XIX Legislatura

VII Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 1 di Mercoledì 12 aprile 2023

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Mollicone Federico , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULL'IMPATTO DELLA DIGITALIZZAZIONE E DELL'INNOVAZIONE TECNOLOGICA SUI SETTORI DI COMPETENZA DELLA COMMISSIONE CULTURA

Audizione di Padre Paolo Benanti, professore di teologia morale presso la Pontificia Università Gregoriana e Roberto Sommella, direttore di Milano Finanza.
Mollicone Federico , Presidente ... 3 
Benanti Padre Paolo , professore di teologia morale presso la Pontificia Università Gregoriana ... 3 
Mollicone Federico , Presidente ... 5 
Benanti Padre Paolo , professore di teologia morale presso la Pontificia Università Gregoriana ... 5 
Mollicone Federico , Presidente ... 6 
Sommella Roberto , direttore di Milano Finanza ... 6 
Mollicone Federico , Presidente ... 10 
Piccolotti Elisabetta (AVS)  ... 10 
Berruto Mauro (PD-IDP)  ... 12 
Caso Antonio (M5S)  ... 12 
Mollicone Federico , Presidente ... 13 
Benanti Padre Paolo , professore di teologia morale presso la Pontificia Università Gregoriana ... 13 
Sommella Roberto , direttore di Milano Finanza ... 15 
Mollicone Federico , Presidente ... 16 

ALLEGATO: Documentazione depositata dal dott. Roberto Sommella ... 18

Sigle dei gruppi parlamentari:
Fratelli d'Italia: FdI;
Partito Democratico - Italia Democratica e Progressista: PD-IDP;
Lega - Salvini Premier: Lega;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Berlusconi Presidente - PPE: FI-PPE;
Azione - Italia Viva - Renew Europe: A-IV-RE;
Alleanza Verdi e Sinistra: AVS;
Noi Moderati (Noi con L'Italia, Coraggio Italia, UDC e Italia al Centro) - MAIE: NM(N-C-U-I)-M;
Misto: Misto;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-+Europa: Misto-+E.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
FEDERICO MOLLICONE

  La seduta comincia alle 14.05.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori sarà assicurata, oltre che con la redazione del resoconto stenografico, anche attraverso la trasmissione sulla web TV della Camera dei deputati.

Audizione di Padre Paolo Benanti, professore di teologia morale presso la Pontificia Università Gregoriana e Roberto Sommella, direttore di Milano Finanza.

  PRESIDENTE. La Commissione avvia oggi un ciclo di audizioni nell'ambito dell'indagine conoscitiva sull'impatto della digitalizzazione e dell'innovazione tecnologica in tutti i settori di competenza della Commissione cultura, che sono cultura, scuola, università, scienza, ricerca, sport ed editoria.
  Saluto e ringrazio padre Benanti, professore di teologia morale presso la Pontificia Università Gregoriana, per avere accolto l'invito della Commissione. Prima di cedergli la parola farò un ringraziamento complessivo anche al direttore Sommella, per avere inaugurato questo ciclo di audizioni dell'indagine conoscitiva, che consideriamo molto importante e che è stata approvata all'unanimità dall'Ufficio di Presidenza. Ringrazio ovviamente il sottosegretario Mazzi per l'attenzione e la sensibilità dimostrate, proprio perché questa indagine ha due obiettivi, tra loro sinergici: il primo è quello di aprire una sede di confronto istituzionale con i soggetti pubblici e privati, nazionali e internazionali, gli operatori di settore, gli accademici e gli esperti, per guidare un processo condiviso di emersione, perimetrazione e definizione dei temi, dei problemi e degli interessi in campo; il secondo è quello di procurare alla Commissione dati, materiali istruttori e contenuti indispensabili per valutare e promuovere migliori politiche pubbliche a riguardo.
  L'avvio dell'indagine conoscitiva per questi motivi è il primo passo per porre la VII Commissione in condizione di svolgere in maniera consapevole ed effettiva il ruolo di propulsore della rappresentanza e degli indirizzi che il profondo impatto della digitalizzazione, sui profili di propria competenza e interesse, impone.
  Pongo già da adesso un quesito a entrambi: come ha luogo il processo decisionale quando qualcuno ha già deciso di noi? Di fatto è un tema politico, perché riguarda sia chi ha il potere di decidere e sia le fondazioni su cui è stato scelto. Ma cosa accade quando qualcosa sta per decidere per noi? Cosa dovremmo fare? In poche parole, come regolamentare lo sviluppo degli algoritmi e dell'intelligenza artificiale? Questo è un quesito a cui, ovviamente, potrete rispondere in sede di replica.
  Lascio ora la parola a padre Benanti. Prego.

  PADRE PAOLO BENANTI, professore di teologia morale presso la Pontificia Università Gregoriana. Gentili onorevoli, grazie dell'invito. Sono veramente onorato di essere qui con voi.
  Da eticista della tecnologia la prima cosa che mi sembra utile fare è chiarire qual è la mia prospettiva, ed è una prospettiva che eredito direttamente dalla mia formazione, cioè quella di interrogare l'artefatto tecnologico, chiedendosi qual è la Pag. 4disposizione d'ordine o la forma di potere che inietta nel processo innovativo.
  Quando è stata costruita la parkway, l'autostrada a sei corsie che unisce Long Island a New York, l'ufficio centrale di progettazione affidato a Richard Moses, ha voluto lasciare Long Island come appannaggio di una specifica classe sociale, la white middle class. Per fare questo non ha realizzato sistemi di trasporto pubblico e ha fatto i ponti in calcestruzzo due piedi sotto lo standard, rendendo impossibile, per chi non avesse un'auto, poter raggiungere Long Island e Jones Beach.
  Cosa fa l'eticista della tecnologia? Non si chiede se qualcosa è meglio o peggio, ma si chiede che tipo di trasferimento di potere e che forma d'ordine inietta una tecnologia.
  Quando con il Covid abbiamo ricevuto il vaccino dietro un algoritmo che era su un portale della sanità regionale, l'ordine con cui il nostro diritto alla salute è stato eseguito all'interno di un contesto sociale è stato affidato a quel processo innovativo e tecnologico. Se questo è quanto c'è in ballo con l'etica della tecnologia e dell'innovazione, cosa questo può significare in un ambito come la digitalizzazione e l'intelligenza artificiale? L'ambito sarebbe eventualmente troppo grande per essere esaurito in dieci minuti.
  Vorrei soffermarmi su una novità, che è la novità dell'interfaccia perché, visto anche quanto sta succedendo nelle ultime settimane, soprattutto con i large language model, GPT, Bard, PaLM e quant'altro, sembra essere uno dei più sfidanti anche per il patrimonio culturale italiano. Sostanzialmente l'innesto del digitale all'interno della società avviene mediante processi di rinnovamento delle interfacce.
  Una volta bisognava saper fare le schede perforate per poter accedere al computer e alla digitalizzazione. La prima cosa che ha fatto Microsoft, ci ha permesso di usare un testo abbastanza particolare, C:>, che era l'MS-DOS, con cui ci siamo potuti interfacciare con la macchina in una maniera più naturale. Dopodiché sempre Microsoft ci ha suggerito di poter usare mouse e tastiera ed è nato Windows. Hanno speso i costi di sviluppo di un gioco come Solitario perché le persone, giocando, imparassero il drag and drop, a usare la macchina in una maniera più confortevole. C'è stata la stagione del touch, in cui Microsoft è stata un po' sconfitta e sono andati avanti Google e Apple.
  Ora GPT, così come declinato da Microsoft e così come è stato acquistato nelle licenze d'uso lo scorso 11 gennaio per 10 miliardi di dollari, diventa l'interfaccia perfetta di utilizzo della macchina perché, se vediamo come è stato messo a terra in tutti i motori, compreso Bing, vediamo che quello che fa un sistema come GPT è sostanzialmente decodificare il linguaggio umano, trasformarlo in un linguaggio che il motore di ricerca capisce meglio (ogni motore di ricerca ha una sua sintassi: asterisco, virgolette, più, meno, che nessuno di noi usa), fa la ricerca migliore e il risultato della ricerca viene rinarrato all'utente in un linguaggio naturale dallo stesso sistema. Ci troviamo di fronte a una capacità scalabile, fruibile e capace di adattarsi a diversi livelli di cultura, che può cambiare di fatto la nostra esperienza con la macchina.
  Uno studio dell'Università della Pennsylvania di quindici giorni fa dice che il 19 per cento dei lavori negli Stati Uniti probabilmente saranno soppressi da questo sistema, ma il 49 per cento dei restanti lavori sarà mediante tutto questo. Il che significa quello che già stiamo vedendo da un punto di vista commerciale, cioè che è messa a terra una serie di strumenti, che prendono il nome di copilota, che aiuteranno le persone a svolgere le loro funzioni.
  Pensate, per esempio, rispetto al patrimonio italiano, che cosa può voler dire digitalizzare la cultura e renderla accessibile attraverso uno strumento che sappia «comprendere» il linguaggio e il livello di cultura di ogni cittadino, decodificarlo rispetto al patrimonio culturale che abbiamo e rinarrarlo in un linguaggio che il cittadino comprende, in ogni lingua, perché questo è disponibile anche all'estero, e anche in ogni modalità. Pensate, per esempio, anche semplicemente al patrimonio normativo. È difficilissimo relazionarsi con quella cultura specifica che è la pubblica Pag. 5amministrazione e questo potrebbe rendere le cose molto più veloci. Quindi, senz'altro questa funzione di encoding and decoding ha moltissimi vantaggi. Ha un vantaggio anche rispetto alla questione demografica. Le persone da zero a venticinque anni in Italia sono il 42 per cento in meno degli ultrasessantacinquenni, numeri che non si vedevano dalla peste nera, dicono alcuni ricercatori. Il che significa che mantenersi competitivi su uno scenario globale internazionale richiede una maggiore produttività.
  E allora, se queste due cose, la valorizzazione del knowledge base, tramite l'interfaccia GPT, e la questione demografica ci spingono a dire che questa può essere una grande positività, non farei l'eticista se non vedessi qual è l'altezza dei ponti, per rimanere alla metafora originale.
  Qui vale quella che è una caratteristica dell'informatica, che si chiama la legge di Conway, che dice che ogni struttura tende a riprodurre nel software quella che è la propria organizzazione interna. Iniettare in un sistema paese, in un sistema cultura, in un sistema complesso come quello italiano un sistema «alieno», che è pregiudiziale, cioè prima di qualsiasi giudizio etico, inevitabilmente inietterà una tensione tra come quel sistema di software decodifica, fa l'ermeneutica di quanto c'è, e quello che siamo. In seconda istanza, se questo tipo di algoritmo diventa quello che è necessario per ogni execution produttiva verticale all'interno dei sistemi, è chiaro che diventa fondamentale come lo è la corrente elettrica per i processi industriali e produttivi in Italia. Questo permette a me, che ho il privilegio di fare solo domande, in quanto eticista, e di consegnarle a voi come decisore politico, di chiederci quale deve essere il processo realmente innovativo che dobbiamo svolgere come Paese per vivere questa sfida.
  Negli anni cinquanta, con Mattei e con il CNR, abbiamo creato un sistema nazionale che ci ha permesso, con il Moplen all'epoca, di vincere la sfida. Forse abbiamo anche delle capacità per fare sistemi di questo tipo, di large language model nazionali, più verticali; ma, soprattutto, abbiamo nel nostro Paese competenze matematiche e scientifiche per un approccio molto diverso da quello che in questo momento ereditiamo dal modello americano, perché lì si parla con potenza di fuoco di miliardi di parametri, con un problema che sono le allucinazioni, che sono le non capacità del sistema di adeguarsi a quello che è la realtà.
  Quello che secondo me potrebbe essere molto interessante è provare a sviluppare a livello nazionale una forma di questa tecnologia, che sappia però farsi forte di un approccio molto diverso, che è un approccio matematico-scientifico, di cui abbiamo grandi interpreti: penso al matematico Mario Rasetti di Torino, ormai ottantenne, che vede nella loro capacità anche intellettuale la capacità di sviluppare un prodotto di questo tipo con caratteristiche organizzative e culturali più vicine a noi.
  Vi ringrazio della pazienza e mi fermo qui.

  PRESIDENTE. Chiedo se vi sono deputati che intendono intervenire. Resta la domanda che le ho fatto io, se vuole rispondere. Gliela ripeto? Se dal punto di vista etico, il potere di controllo e amministrativo debba interferire e quanto.

  PADRE PAOLO BENANTI, professore di teologia morale presso la Pontificia Università Gregoriana. Grazie della domanda. Sostanzialmente, nel momento stesso in cui un algoritmo ha capacità surrogativa di un giudizio umano, è evidente che la decisione è politica, perché orienta la distribuzione dei beni. Se prima l'algoritmo non di intelligenza artificiale era costruito mediante rigide catene logiche, if this then that, cioè, se c'è questo fai quello, e la causalità era in qualche misura replicabile, per cui c'era un programmatore che un giorno, di fronte a un se, gli aveva detto cosa doveva fare, il problema dell'intelligenza artificiale è che non è esplicabile. Non essendo esplicabile e, anzi, negli ultimi large language model, mostrando anche una certa intenzionalità interna, con un po' di spavento di tante persone nel mondo, potrebbe non solo avere effetti non previsti, ma anche mostrare a Pag. 6lungo termine tendenze che potrebbero sbilanciare una distribuzione di giustizia o di altre cose.
  Come regolare? Qui ci sono varie scuole. C'è chi pensa di dover spingere nell'ottica della spiegabilità. Ma i risultati che noi abbiamo oggi, nel 2023, grazie al non chiedere la spiegabilità, probabilmente, se dovessimo aspettare una spiegabilità piena, non li avremo mai, e quindi già abbiamo sul mercato prodotti che non è detto che saranno mai spiegabili.
  La seconda questione è che non è detto che chi detiene questi patrimoni protetti da brevetti e da copyright, sia disposto ad aprirli a soggetti terzi. Si potrebbe richiedere di mettere dei guardrail etici per tenere questa macchina virtuale sulla strada che abbiamo deciso, ma il problema è come verificare tutto questo.
  In una stagione passata in Europa e nel nostro Paese abbiamo pensato a una Commissione di certificazione, la famosa direttiva macchine, per cui, se c'era un'affettatrice, c'era qualcuno che dava dei parametri per certificare la macchina in condizioni con un operatore, che doveva a sua volta essere formato. Probabilmente, visto quanto c'è in gioco, non possiamo né dare un via libera totale, né stoppare integralmente il sistema, ma dobbiamo trovare risoluzioni intermedie che sappiano, da una parte, offrire le soluzioni più economiche e vantaggiose alle nostre aziende e, dall'altra, garantire comunque quelli che poi altrimenti sarebbero costi di ingiustizia sociale che si scaricano sulla collettività.
  L'Europa ci sta provando con l'AI Act, ma riguarda solo il consumatore individuale. Il Consiglio d'Europa in questo momento sta negoziando (per l'Italia mi sembra che ci sia ancora Marco Bellezza) un trattato internazionale per la tutela dei diritti umani e le intelligenze artificiali. Iniziano a essere un paio di guardrail e forse c'è bisogno di qualche misura più coraggiosa, almeno nell'applicazione in alcuni ambiti fondamentali, come il diritto alla salute e altre forme di diritto, e forse anche di fare un po' da apripista rispetto a panorami europei.

  PRESIDENTE. Grazie. Risposta molto interessante. Saluto e ringrazio il dottor Sommella, direttore di Milano Finanza, per aver accolto l'invito della Commissione e gli cedo la parola per lo svolgimento del suo intervento. Vale anche per lui il quesito di cui sopra. Prego.

  ROBERTO SOMMELLA, direttore di Milano Finanza. Buongiorno a tutti. Grazie Presidente e buongiorno onorevoli. Sono molto grato alla Commissione, da cittadino, di essere audito. Dopo una trentennale esperienza da giornalista parlamentare per una volta tocca a me misurarmi con la difficoltà di legiferare e di capire i problemi, magari provare a capirli prima.
  Indubbiamente la vostra iniziativa è molto importante, e lo dico da cittadino, non solo da esperto della materia della concorrenza e, evidentemente, dell'editoria e della finanza, perché in questa fase storica indubbiamente questo tema della sovranità, che non è soltanto sovranità dei confini, ma è sovranità digitale, sovranità economica e sovranità finanziaria, sta diventando un tema legato alla sovranità mentale e della libertà di pensiero.
  Ho prodotto un testo che vi consegno; ho portato anche alcuni documenti che vi lascerò, con alcune pubblicazioni che il mio giornale e io stesso abbiamo fatto in questi anni proprio per centrare il problema. Prima di rispondere alla domanda clou del Presidente Mollicone, andrò per ampi passi.
  Questa fase è cruciale, perché veniamo da un ventennio in cui sono stati lasciati crescere liberamente i grandi campioni delle reti: le grandi piattaforme digitali che ormai fatturano come metà del Programma nazionale di riforma, valgono in Borsa quanto la metà del PIL europeo. Parlo evidentemente degli over-the-top, Facebook, Google, Amazon, Microsoft, eccetera, che, tuttavia, nel tempo, dove sono nate, hanno cominciato a incontrare dei primi ostacoli di natura regolamentare, di natura antitrust, di natura concorrenziale. Sappiamo che la prima legge antitrust è stata promulgata nel lontano 1890 negli Stati Uniti, lo Sherman Act, per ridurre la potenza dei grandi monopoli, che all'epoca Pag. 7erano quelli ferroviari, poi petroliferi e poi delle telecomunicazioni. Negli Stati Uniti l'ultimo intervento clou di riduzione della dominanza di un grande player che si era fatto monopolista è ormai dei primi anni Ottanta, nei confronti di un gigante all'epoca come IBM.
  Invece su tutti i soggetti, che sono le piattaforme digitali, che sono monopoli e che sono ormai la nostra vita quotidiana, si è fatto ben poco, fin quando è arrivata alla presidenza dell'autorità Antitrust americana una donna molto combattiva, Lina Khan, la Federal Trade Commission, che è diventata famosa nella community del mondo digitale, degli studiosi della concorrenza, per aver scritto un pamphlet molto importante dal titolo già emblematico «Il paradosso di Amazon».
  Gli americani stanno cominciando a pensare che è stato un errore lasciare totale libertà di sviluppo, cosa avvenuta durante la presidenza Obama, a questi grandi player? Probabilmente sì. Però, nello stesso tempo, noi, che viviamo in Italia, che viviamo nello spazio comune europeo – ricordo che resta il più ricco del mondo il nostro mercato unico, con tutte le imperfezioni che ha, dove vivono le persone più benestanti del mondo, quindi con una maggiore capacità di spesa – stiamo cercando di adottare, attraverso misure sanzionatorie, quello che ancora non sta facendo l'amministrazione americana. Per certi versi, quindi, siamo un pochino più avanti. Come diceva nella sua brillante illustrazione padre Benanti, stiamo cercando con la Commissione europea di controllare e di regolare sia il contenitore della rete, quindi i grandi player, le grandi piattaforme digitali, con il Digital Markets Act – ma presumo che ne parlerete poi nel prosieguo delle audizioni – e il contenuto, che è ancora più oscuro, prezioso, pericoloso – usate il termine che preferite – che è il Digital Services Act. Si sta cercando di imbrigliare questa potenza della rete, che pone alcuni problemi fondamentali, ormai anche di sovranità democratica.
  Quindi è importantissima questa iniziativa del Parlamento italiano, perché mette al centro la persona. È evidente che parlare dei monopoli di un tempo era più semplice, perché se c'è un cartello delle compagnie petrolifere, il prezzo della benzina sale e i consumatori sono i primi a pagarne le spese; idem succede per le compagnie assicurative e idem succede per le banche e per altri soggetti finanziari. Ma nell'approcciarsi alle grandi piattaforme digitali, che sono sostanzialmente gratuite, è molto complicato spiegare all'opinione pubblica i rischi insiti nell'approcciarsi senza le dovute cautele a queste piattaforme.
  Quindi oggi abbiamo un mondo diviso in due. Ci si sta organizzando con misure di imbrigliatura per frenare la forza di queste piattaforme che si sono fatte mercato, che hanno superato anche lo spirito di qualsiasi normativa antitrust e, nello stesso tempo, come avete individuato bene nel lancio di questa indagine conoscitiva, per affrontare il tema dell'intelligenza artificiale.
  Come vedrete, nel testo io concludo sostanzialmente auspicando che non si intervenga su ChatGPT e su tutti i processi di intelligenza artificiale troppo tardi, perché renderebbero innanzitutto vecchi e desueti tutti gli interventi sulle piattaforme digitali, perché il problema è diventato più alto e, nello stesso tempo, si rischia di intervenire tardivamente.
  Ho allegato al testo una tabella, che già spiega come sono cresciuti in modo impetuoso i fatturati e la capitalizzazione di Google, Facebook, Amazon, Apple e Microsoft: praticamente questi soggetti valgono in Borsa quattro/cinque volte il PIL e il lavoro di tutti gli italiani; poi ho posto una domanda molto semplice. Il Presidente Mollicone lo sa perché già un'altra volta ci siamo confrontati su ChatGPT, che viene utilizzato già stabilmente, per quanto mi consta, in tante scuole italiane, e quindi il tema è fondamentale anche dal punto di vista della formazione e dell'informazione.
  Ho chiesto a ChatGPT cosa pensa dell'invasione dell'Ucraina di Vladimir Putin e se Vladimir Putin può rappresentare un pericolo per l'umanità e per il mondo occidentale. Questa è la risposta: ve la leggo perché è davvero sorprendente e, per certi versi, democratica e diplomatica, sembra Pag. 8Henry Kissinger, più che altro. ChatGPT risponde: «L'invasione dell'Ucraina da parte della Russia nel 2022 è stata una grave violazione del diritto internazionale, ha suscitato preoccupazioni a livello mondiale per il futuro della sicurezza regionale e globale. Tuttavia non è facile valutare il grado di minaccia rappresentato da Vladimir Putin per il mondo in generale. Da un lato, Putin è un leader che ha dimostrato di essere disposto ad agire in modo aggressivo per proteggere gli interessi della Russia, come dimostrato dall'annessione della Crimea nel 2014 e dall'intervento in Siria nel 2015; d'altro canto, la Russia ha anche svolto un ruolo importante nella risoluzione di conflitti internazionali, come nell'accordo sul nucleare iraniano». Su questa risposta si potrebbe aprire un ampio dibattito. Ma pensate che effetto può avere se uno studente italiano, nel momento in cui la professoressa gli chiede di predisporre un tema sullo specifico della guerra in Ucraina, facesse la stessa domanda che io banalmente ho fatto a ChatGPT e rispondesse in questo modo, senza alcun esercizio della critica. Tant'è che io ho interpellato anche Lev Tolstoj – visto che questa è la Commissione cultura e si occupa anche di cultura – e Lev Tolstoj, nell'incipit di uno dei suoi capolavori – «Guerra e Pace» – lascia dire questo da Anna Scherer di Napoleone Bonaparte, proprio nelle prime righe: «Ebbene, principe, Genova e Lucca sono divenute appannaggio della famiglia Bonaparte. No, vi prevengo, se mi direte ancora che non avremo la guerra, se vi permetterete di assumere le difese di tutte le turpitudini, di tutti gli orrori perpetrati da quell'anticristo», e sta parlando di Napoleone Bonaparte. Quindi abbiamo un esercizio letterario evidentemente di altissimo livello, di un capolavoro come «Guerra e pace», in cui si prefigura una guerra mondiale, quale sarebbe poi effettivamente accaduta, evidentemente nei limiti dell'Ottocento, attraverso l'azione di Napoleone Bonaparte e, dall'altra parte, oggi, nel 2023, una intelligenza artificiale che ci dà una risposta sull'azione di Vladimir Putin molto più diplomatica; ripeto: una risposta che, se interpellassimo Henry Kissinger, probabilmente ci direbbe qualcosa del genere.
  Quindi, dobbiamo concentrarci moltissimo sul tema della formazione, sul tema della crescita educativa dei giovani italiani e quindi europei, perché questo argine si è rotto già da tempo.
  Nel testo poi ricordo anche la potenza di questa forza digitale, che sta riducendo di fatto la componente lavoro rispetto ai fattori della produzione. Faccio un esempio banale, che tutti voi potreste constatare: una Fiat utilitaria, una 126, nel 1976 costava 990.000 lire, più o meno cinque stipendi di un operaio di Mirafiori; oggi, un'auto elettrica e, ancora di più, se passerà la direttiva europea sull'auto elettrica, arriverà a costare almeno dieci, se non quindici, stipendi di un operaio. Quindi avremo una situazione in cui l'automobile, su cui si è creato il progresso del mondo occidentale, ma direi di tutto il mondo, un settore che ancora oggi crea occupazione e PIL più di tutti gli altri, verrà sempre di più ricondotto a fattori della produzione che non sono umani, se è vero che oggi già il 60 per cento del costo di un'automobile elettrica è composto dalla batteria, i cui componenti principali, peraltro, non sono prodotti nello spazio comune europeo.
  Pertanto avremo un mondo, ma forse già lo abbiamo, in cui l'automobile, da bene comune, diverrà un bene di lusso. Non ci sarà più l'auto del popolo, da cui il nome Volkswagen, ma un'auto senza popolo. Quando nello sviluppo di un processo economico, di un sistema economico, un operaio che produce un'automobile, seppure a rate, non può comprarla, è chiaro che questo modello di sviluppo non esiste più.
  C'è un modello di sviluppo alternativo, che è quello delineato dal Next Generation EU della Commissione europea, che delinea una società evidentemente più green, più sostenibile, più attenta ai diritti; una società di stampo utopico, su cui possiamo sicuramente confrontarci e su cui possiamo essere tutti d'accordo a prescindere dalle componenti diverse di maggioranza e opposizione, ma che non delinea e non fissa bene i costi di questa transizione. Ma i costi sono elevatissimi.Pag. 9
  Vi faccio un esempio banale, che non ho messo nel mio intervento, ma che mi viene in mente. Oggi la più grande azienda manifatturiera del mondo è la Apple; sappiamo tutti che cosa produce. Negli Stati Uniti occupa ottantamila persone e quest'anno registrerà circa 100 miliardi di utili, che sono ricavi meno costi. Cinquant'anni fa, la più grande azienda manifatturiera del mondo era la General Motors, che produce automobili ancora oggi e occupava seicentomila persone negli Stati Uniti per avere utili per 10 miliardi di dollari. Quindi abbiamo una situazione in cui la più grande azienda manifatturiera del mondo produce più capitale e crea meno lavoro. Questi sono dati che vi ho aggiornato, ma questa situazione era tale già cinque anni fa.
  Quindi, fermarsi soltanto ad affrontare la forza delle piattaforme digitali, come ho fatto anch'io in un recente libro dal titolo «Ingovernabili», è sicuramente un esercizio interessante, ma può essere un esercizio tardivo perché, di fronte alla forza della creazione distruttiva, citando Joseph Schumpeter, dell'innovazione tecnologica, non c'è regolamento, non c'è legge, non c'è sanzione antitrust che tenga. Va data la parola ai Parlamenti.
  L'iniziativa che voi ponete, soprattutto legata alla necessità – che è la domanda del Presidente Mollicone – di intervenire o meno come governi, come autorità, sulla diffusione, sull'utilizzo e sulle dinamiche, che sono molto complesse, dell'innovazione tecnologica e, nello specifico, dell'intelligenza artificiale, è molto importante: io direi che è fondamentale. Mi chiedo perché non sia stato fatto prima. Noi nel nostro settore abbiamo pubblicato molte volte, anche su Milano Finanza, interventi di altissimo livello e di grandi prospettive, proprio per affrontare il tema. Noi, come editoria, ma toccherà alle banche, toccherà agli avvocati, siamo molto colpiti dall'intelligenza artificiale – ne parlavo l'altro giorno con un amico della Federazione italiana editori – perché se, da una parte, il regolamento copyright sull'equo compenso è passato e si sta consolidando in Italia, e quindi le piattaforme digitali quando utilizzano un articolo di Roberto Sommella o di un suo collega devono pagare una revenue sharing agli editori che hanno prodotto, con dei costi, questa notizia, è evidente che, nel momento in cui ChatGPT e tutti i suoi similari non sono soggetti al copyright, con un sistema di intelligenza artificiale si produce un giornale, si produce un telegiornale, si stampa qualsiasi cosa, si scrive un tema. E allora perché non una legge, perché non un decreto-legge, perché non un disegno di legge? Ecco qui, di nuovo, che indubbiamente la sede assolutamente naturale per affrontare temi di questo genere, supportati dagli specialisti che ascolterete nel prosieguo di questa indagine, è il Parlamento. Non so che tipo di legislazione si possa produrre, ma con un allarme non ancora rosso, ma giallo, su cosa è l'intelligenza artificiale e che danni può produrre, senza nemmeno esserne consapevoli, è giusto che si affronti questo tema.
  Concludo ricordandovi che sempre nel testo che ho consegnato alla Commissione, faccio due flash. Non traggo conclusioni perché non sono in grado di trarne, però cito due pilastri del pensiero economico e fisico che, secondo me, possono aiutarci a darci alcune risposte. Uno è Joseph Schumpeter, un economista che è stato il teorico della distruzione creatrice. Io mi sono laureato con una tesi su Joseph Schumpeter nel 1988, ma, avendola scritta con una Olivetti 32, per me il progresso tecnologico era qualcosa di impalpabile e di incomprensibile. Oggi gli studiosi e soprattutto gli studenti che seguono i processi economici e li studiano capiscono immediatamente che cos'è la distruzione creatrice. Noi abbiamo, per certi versi, questa forza, cioè quella di poter parlare ed esaminare i fenomeni, nelle varie specializzazioni in cui operiamo, vedendoli mentre si formano. Non è una roba dell'Ottocento, che uno studia e cerca di trasporre nell'attualità, ma è l'attualità che si fa cronaca, che si fa storia, che si fa processo economico. Quindi è difficile arginare questa onda, però almeno ce l'hai davanti, non ce l'hai dietro, nel passato: ce l'hai di fronte. L'altro grandissimo fisico che cito – che molto spesso è ospitato sulle nostre pagine grazie a Paolo Panerai, che è vicepresidente esecutivo di Pag. 10Class Editori, che molto spesso nel suo editoriale del sabato ha toccato questo tema – è Mario Rasetti, un fisico che lavora presso il Politecnico di Torino e che più volte è intervenuto sulla forza dell'intelligenza artificiale. Lo vedrete nelle ultime righe del mio intervento: lui è convinto che sicuramente sarà un grande assist per il genere umano, che sicuramente, addirittura, l'intelligenza artificiale potrà produrre alcuni processi non solo del cervello, ma della mente. Ecco perché, come vi dicevo, il tema che affrontate è cruciale per la sovranità economica, per la sovranità finanziaria.
  Ho omesso tutta la parte su chi sta investendo in intelligenza artificiale, ma si parla di decine e decine di miliardi di euro. Proprio quegli over-the-top che si pensava di aver regolato con gli strumenti della concorrenza e dell'antitrust, stanno trasponendo, come se fosse un derivato finanziario, la loro forza in un nuovo soggetto, che è intelligenza artificiale o che è metaverso. Se noi non regoliamo metaverso e intelligenza artificiale ci sfuggono questi grandi player, che influenzano le nostre vite e la nostra stessa capacità di pensare.
  C'è un libro bellissimo, che davvero mi ha aperto moltissimo la mente cinque/sei anni fa: è di Susan Greenfield, una psicoterapeutica britannica, che già dal titolo dice tutto perché si chiama «Cambiamento mentale». Questa psicoterapeutica britannica ha analizzato come l'eccessiva esposizione ai social network modifica non solo il modo di pensare e dunque di discriminare o di amare determinate cose o posizioni, ma addirittura la percezione del sé – e qui veniamo all'etica – perché la percezione del sé, dell'individuo e di se stessi cambia a seconda di come cambia l'esposizione ai social. Se a questo combiniamo la forza dell'intelligenza artificiale, bella e spaventosa e sconosciuta ancora oggi ai più, e il diffondersi anche della dematerializzazione dei processi produttivi e dei rapporti finanziari, abbiamo un quadro molto complesso, che sicuramente sarà importante affrontare. Grazie dell'attenzione.

  PRESIDENTE. Prego. Onorevole Piccolotti, prego.

  ELISABETTA PICCOLOTTI. Grazie mille. Alcune considerazioni su entrambe le audizioni, per provare poi ad arrivare a una domanda finale.
  La prima, l'etica. Sono tra coloro che sono convinti che abbiamo difficoltà con l'affermazione di una visione etica del mondo non da oggi. A tutti noi piacerebbe, come diceva Kant, avere il cielo stellato sopra di noi e la legge morale dentro di noi, ma abbiamo ormai ben compreso, soprattutto dopo le tragedie della seconda guerra mondiale, che questa legge morale non parla a tutti allo stesso modo e non indica a tutti la stessa strada da seguire, tanto che dopo la tragedia dell'Olocausto, nella filosofia contemporanea si è andato affermando un punto di vista che ha cercato di mettere in relazione tavole valoriali diverse, cioè di prendere atto che nella società si muovono individui orientati eticamente in maniera diversa e che quindi il compito di una politica attenta era quello di provare a far confrontare questi valori, cercando di produrre elementi di avanzamento sul terreno della difesa dei diritti umani e delle libertà fondamentali.
  A me pare che l'intelligenza artificiale sostanzialmente segua più o meno lo stesso meccanismo. Non è autonoma nel giudizio, perché non ha un'intelligenza come quella umana, ma propone giudizi che si formano alimentandosi da ciò che l'intelligenza artificiale ha appreso leggendo milioni e milioni di informazioni che sono disponibili nella rete. È per questo che noi dobbiamo, allo stato attuale, escludere che l'intelligenza artificiale possa formulare valori di giudizio al posto della politica o al posto di qualsiasi essere umano, e quindi evitare l'applicazione di questa forma di automazione a tutte quelle attività umane che prevedono non l'analisi di dati, ma l'espressione di un giudizio etico o morale.
  Detto questo, passo al secondo tema che, invece, mi sembra un po' più cogente: quello del rischio rispetto alla sovranità democratica. A me pare che la questione sia mal posta. Lo dico perché da sempre la democrazia è imperfetta, non ha mai raggiunto una totale pienezza e non l'ha mai raggiunta perché i cittadini sono tutti uguali Pag. 11sulla carta, ma non sono mai tutti uguali nella sostanza: ci sono cittadini ricchi e cittadini poveri; ci sono cittadini bianchi e cittadini neri; ci sono uomini e ci sono donne; ci sono cittadini che hanno storie e condizioni sociali di provenienza molto diverse. Molto spesso, siccome molti di questi cittadini, purtroppo, sono stati anche lasciati in una condizione di deprivazione culturale, quindi non hanno potuto esercitare e alimentare la propria intelligenza attraverso gli studi, questa parte della cittadinanza è stata oggetto di azioni molto forti di propaganda. Accadeva anche prima, con strumenti diversi: una propaganda orientata a creare il consenso su alcune scelte tanto più che su altre, e avviene oggi attraverso gli strumenti dei social, così come, in termini di prospettiva, potrebbe accadere attraverso gli strumenti dell'intelligenza artificiale.
  Su questo tema della capacità di costruire un'influenza sul pensiero largo dell'opinione pubblica a fare la differenza è sempre stato il denaro, le risorse economiche che si possono investire o non investire in queste azioni di propaganda. È sempre stato così ed è ancora oggi così. L'algoritmo di Facebook o l'algoritmo di Instagram si alimentano e possono raggiungere più o meno persone con un contenuto a seconda della quantità di denaro che si immette dentro. Quindi a me pare che ci sia una contraddizione non tanto tra sovranità democratica e strumenti della tecnologia, quanto più classicamente, ancora una volta, tra sovranità democratica, libertà e uguaglianza dei cittadini, mercato e processi di accumulazione della ricchezza, perché è evidente che i processi di accumulazione della ricchezza sono passati poi dal livello locale a quello nazionale e oggi, invece, hanno un asset globale che rende difficile per i singoli cittadini, anche in forma organizzata, provare a essere liberi dentro lo spazio dell'opinione pubblica.
  L'ultima cosa che voglio dire è invece sulla parte che riguarda l'automazione, quella che io chiamo la liberazione dal lavoro. Non credo che noi possiamo essere, né come Parlamento, né come forze politiche, luddisti; non possiamo pensare che quando una tecnologia ci libera dal peso di un lavoro gravoso e spesso odioso, dobbiamo annullare quella tecnologia per conservare quel lavoro, perché questo significherebbe fermare lo sviluppo dell'umanità. Io sono molto contenta se una macchina può andare in una miniera al posto di un minatore, considerando quanti sono i minatori morti nelle gallerie di una miniera. Quindi credo che questo approccio sia completamente sbagliato e, ancora una volta, visto che parliamo di investimenti miliardari in automazione e intelligenza artificiale, che è l'intelligenza che sostiene i processi di automazione, penso che dovremmo andare a guardare quali sono i processi economici che sottendono a questo meccanismo. Il processo economico è quello della produzione di valore, senza una redistribuzione della ricchezza prodotta verso coloro che, in qualche modo, la producono, che sono classicamente i lavoratori.
  Però faccio anche una domanda. Già oggi produciamo ricchezza anche quando non lavoriamo. Ieri sera sono stata sul mio divano un paio d'ore sui social e ho prodotto un sacco di ricchezza, anche non lavorando, anche nel mio tempo libero, perché, stando su Facebook, ho prodotto per Facebook ricchezza e valore. Quella ricchezza e quel valore non vengono in nessun modo, nella società attuale, redistribuiti; mentre nella società classica si redistribuiva pagando lo stipendio dell'operaio, a me nessuno ha pagato uno stipendio per stare su Facebook due ore. Quindi il problema, anche in questo caso, non è impedire o meno l'uso dell'intelligenza artificiale – questa è la domanda – ma sarebbe invece trovare la modalità di costruire un fisco capace di passare la ricchezza prodotta dall'intelligenza artificiale e dalle macchine per redistribuirla verso coloro che nella società ne hanno bisogno, che la producono persino non lavorando. Anche su questo vorrei capire se c'è stata una riflessione, perché l'altro punto chiaro è che l'intelligenza artificiale nel mercato delle azioni e della finanza potrebbe produrre denaro a mezzo di denaro, senza bisogno di nessun controllo Pag. 12umano, quindi penso che lì sia il vero punto su cui noi dobbiamo riflettere.

  MAURO BERRUTO. Grazie Presidente. Grazie padre Benanti e dottor Sommella, anche per aver portato due punti di vista, che ovviamente arrivano da posizioni diverse, su un tema, immagino, tanto affascinante quanto pressoché infinito, nella possibilità di essere controllato.
  Ringrazio e sposo l'approccio economico che l'onorevole Piccolotti ha espresso adesso, precedendomi. Mi interessa molto anche quella domanda finale che l'onorevole ha fatto.
  Aggiungo due aspetti, che sono due domande, fondamentalmente. Avendo voi citato molti torinesi, matematici e fisici, ne cito uno anch'io, mio concittadino e amico, che è don Luca Peyron, che si è espresso ripetutamente su questo tema, fondamentalmente con una tesi, che è quella del fatto che l'intelligenza artificiale possa comunque essere considerata uno strumento al servizio dell'intelligenza umana. È chiaro che il tema è affascinante e complesso allo stesso tempo; però mi interessano i vostri punti di vista. Se noi immaginassimo, per gioco, un tavolo, una serie di intelligenze umane che possano in qualche maniera guidare l'intelligenza artificiale, chi vedreste, chi immaginereste seduto a questo tavolo? È chiaro che – lo avete detto bene, lo diceva padre Benanti – è una decisione politica quella di determinare o meno un certo tipo di sviluppo a favore o a scapito di un altro, ma credo che occorra sottolineare anche il fatto che abbiamo, ahimè, tanti esempi di strumenti simili dove l'intelligenza politica, chiamiamola così, si è espressa in maniera distorsiva dello strumento stesso. Quella stessa risposta che il dottor Sommella ha scritto nella sua relazione sull'interrogazione rispetto all'azione di Putin, è chiaro che potrebbe essere orientata in un senso o in un altro a seconda dell'intelligenza politica alle spalle di quella risposta. Quindi mi interesserebbe capire come immaginate, anche in virtù delle differenze del nostro background, la composizione di questo ipotetico tavolo. Quanti tipi di intelligenza umana possiamo mettere insieme per provare a raggiungere questo obiettivo?
  La seconda domanda la faccio in riferimento a una citazione – anche qui padre Benanti l'ha detto molto bene – la citazione è quella di Stewart Brand, l'inventore di «Whole Earth Catalog», quello diventato famoso per la citazione di Steve Jobs «stay hungry, stay foolish», che diceva: «Non puoi cambiare la natura degli umani, ma puoi cambiare gli strumenti che metti loro a disposizione, in quella maniera cambierai la civiltà». Se sul tema etico di questo tavolo di intelligenze, che possa in qualche maniera nutrire un'intelligenza artificiale, possiamo avere delle idee, mi sembra molto più complicata l'azione di controllo degli strumenti che viene messa a disposizione, perché credo che veramente lì si giochi la partita, e padre Benanti lo spiegava molto bene.
  La prima domanda è: chi ci facciamo sedere a quel tavolo? La seconda domanda è: secondo voi, secondo la vostra opinione e la vostra lettura della situazione, esiste un modo per controllare gli strumenti che vengono messi a disposizione delle persone? Grazie.

  ANTONIO CASO. Grazie Presidente e grazie agli auditi per il contributo. Parto da una premessa di chi oltre dieci anni fa ha avuto il suo primo approccio con una sorta di intelligenza artificiale durante il suo corso di studi. In particolare, come esercizio, all'epoca dovevamo creare un giocatore intelligente del gioco «Forza 4», gioco semplice, quindi un'intelligenza abbastanza primitiva paragonata a quelle di oggi e, come i miei colleghi, feci il mio lavoro e iniziai ad avere le preoccupazioni quando, provando e riprovando, non sono mai riuscito a battere l'intelligenza che io stesso avevo creato. Quindi da lì iniziano un po' di ragionamenti e di preoccupazioni, che però poi, negli anni, osservando il mondo della tecnologia che avanza, mi hanno portato a ragionamenti diversi da quelli di partenza. Questo per dire che, da un lato, è normale essere intimoriti dalle novità che ci sono state nella storia e, dall'altro, è però importante avere la capacità di proiettarsi nel Pag. 13futuro e iniziare a ragionare su possibili azioni o meno.
  E qui arrivo alla mia domanda. Lei diceva prima: «Abbiamo la fortuna di affrontare un fenomeno e guardarlo non dalle spalle, ma di guardarlo mentre evolve». Su questo approccio il mio dubbio è: si ha la lungimiranza e la lucidità di riuscire a ragionare per bene su una cosa che è in evoluzione? Ovvero, in tutti i ragionamenti che siamo chiamati a fare e che dobbiamo fare, non dico solo come Parlamento italiano, ma come umanità, siamo in grado, secondo voi, che state analizzando il problema, di riuscire a ragionare sull'impatto di queste tecnologie, pur immaginandole non sulla società attuale, ma su una società futura? Mi collego anche a quello che diceva la collega, quindi per quanto riguarda l'aspetto economico, e l'aspetto di società, che non per forza dovrà essere legato alle regole attuali, e quindi riuscire a valutare il tutto avendo però l'apertura mentale di poter immaginare una società che funziona in modo diverso. Un errore che può essere fatto – è difficilissimo altrimenti – è valutare il futuro immaginandolo nel presente. Questa è la difficoltà che riscontro da informatico e da amante della tecnologia, spesso mi ci ritrovo in prima persona, e non è che io abbia una risposta. Però siamo qui per ragionarci insieme.
  Seconda domanda: quanto, se non si lavora a livello globale – per me non sarebbe sufficiente neanche a livello europeo – si può determinare l'evoluzione di questi strumenti e il loro controllo? Ragionare solo come Italia a cosa ci può portare e ragionare come Europa a cosa ci può portare, se non ragionare a livello globale? Penso che, come tante cose che sono accadute nella storia, il ragionamento debba essere globale. Ovviamente, per il fatto che siamo tante società che convivono sullo stesso pianeta, la vedo molto difficile. Quindi la mia domanda è: muovendoci come Italia veramente riusciremo a fare qualcosa? Muovendoci come Europa veramente riusciremo a fare qualcosa, quando poi abbiamo un mondo che vedo inevitabilmente andare avanti?
  Non so se sono riuscito a esprimere quello che volevo, ma intanto vi ringrazio.

  PRESIDENTE. Grazie. Padre Benanti e poi il dott. Sommella.

  PADRE PAOLO BENANTI, professore di teologia morale presso la Pontificia Università Gregoriana. Grazie delle domande, perché mi consentono anche di spaziare più in là dell'intervento iniziale. Come professore ho un difetto: parlo tanto e amo la mia voce, quindi è un macello. Scherzi a parte, il primo punto che vorrei dire, da eticista, è che l'etica non è solo normatività; anzi, la prima forma dell'etica sono le virtù. A chiunque chiediamo se preferisce un'intelligenza artificiale che distribuisca le risorse in maniera giusta o ingiusta, dirà giusta. Poi dobbiamo litigare su quant'è la giustizia, e qui siete voi. Però è chiaro che l'approccio etico, nel discorso che vi facevo prima, è innanzitutto di questo tipo, che è la matrice fondamentale dell'etica, che è Aristotele.
  Racconto un'esperienza personale, che si è conclusa l'11 gennaio scorso, quando le tre religioni mediterranee abramitiche si sono sedute intorno al tavolo e hanno firmato questo documento sull'etica nell'intelligenza artificiale e, solitamente d'accordo su nulla, per la prima volta ci siamo trovati d'accordo su qualcosa di questo tipo. Questo è il primo documento in cui tre mondi completamente diversi dicono: «C'è qualcosa che ci interroga».
  Quindi il tema importante è che ci possono essere approcci che semplicemente non si fossilizzano su tradizioni di approccio storico, ma cercano soluzioni al di là del presente. Il punto, secondo me, è proprio questo, e cioè che quel modello kantiano di normatività, ahimè, è in crisi, perché quando Eichmann è stato processato a Gerusalemme e abbiamo sentito che la legge morale dentro di me ha prodotto sei milioni di morti, non ci è andato più bene. Ulteriore elemento: quando nel 1976 Roland Barthes al Collège de France nella sua lezione inaugurale ha detto: «il linguaggio è fascista, non perché impedisce di dire, ma perché obbliga a dire, dopo il verbo ci vuole Pag. 14il complemento oggetto, la normatività è assunta come epifenomeno dell'insopportabile», e la versione da strada di questa insopportabilità della normatività è che siamo passati dai semafori, normatività esterna kantiana, alle rotonde, dove ciascuno si regola per conto suo.
  Questa crisi della normatività, però, produce il bisogno di normare la società, perché sennò c'è il caos. La soluzione ce l'ha data il premio Nobel dell'economia, che si è accorto di quello che si chiama la nudge theory. La storia della nudge theory è abbastanza sconcia, nel senso che nasce negli aeroporti di Amsterdam, dove i bagni degli uomini per essere puliti costavano ogni anno il doppio dei bagni delle donne. Hanno disegnato una piccola mosca al centro degli orinatoi e il prezzo si è più o meno pareggiato. È un bel commento sul cervello maschile, ma di fatto dice che io potevo scrivere sempre più grossa una questione normativa che indicava qual era la norma da seguire, è bastato cambiare l'esperienza e passare a un'esperienza di tipo nudging e gamification, per ottenere lo stesso risultato passando per altri versi.
  Ahimè, il nudging e la gamification, che è perfetta con le notifiche e con tutto un sistema digitale, sta prendendo il posto della normatività. Intelligenza artificiale e algoritmi sono perfetti per questo.
  Durante la pandemia abbiamo avuto due App, una è stata Immuni e l'altra è stata PagoPA con il cashback. La prima ha fatto un milione di download in un mese e la seconda, grazie al nudging del 10 per cento, ne ha fatti dieci milioni in una settimana. E allora io potevo fare sette norme in Parlamento per dire: «paga in chiaro», ma è bastato un nudging di questo tipo per produrre un effetto nelle persone.
  Ecco un primo motivo di urgenza per cui bisogna occuparsene, perché è un sistema surrogativo di un sistema normativo di cui voi siete custodi e a tutela, che è il sistema della rule of law, che sta alla base dello Stato di diritto.
  Mettere in un contesto sociale sistemi digitali che hanno lo stesso effetto di una legge, cioè orientare in media il comportamento delle persone, richiede di sottometterlo proprio in luce e in nome di quel sangue di cui è pieno il Novecento, a un sistema dello Stato di diritto, dove gli interessi sono sempre gli stessi da sempre. Con una novità però, perché quello che è vero per l'intelligenza artificiale è un paradosso fatto da un grande informatico, che è il paradosso di Moravec. Moravec ci dice che è molto più facile far fare a un'intelligenza artificiale un compito cognitivo alto che non un compito cognitivo basso. Per pochi centesimi acquisisco una calcolatrice solare da un venditore cinese; per avere una mano robotica devo andare all'IIT di Genova e pagare 700.000 euro. Allora che cosa significa? Mentre un bambino apre la porta di casa a quattro anni e scappa, per fare una radice quadrata, che fa la calcolatrice solare, deve andare almeno in terza media. Quello che accade è che questa innovazione tramite l'intelligenza artificiale andrà a essere capace prima di fare i compiti cognitivi più alti, tipo giocare a un gioco con i numeri, che è qualsiasi lavoro del medio-alto stipendio, e sarà molto meno capace di consegnare una pizza a casa. Allora che cosa succede? Vediamo il modello del food delivery, dove ai lavoratori rimane di essere la forza meccanica nei pedali: unire problem owner e solution owner, cioè chi ordina la pizza e chi la vende, lo fa un sistema SAP e nessun rider potrà mai prendere il problema del SAP. Perdonatemi, io la penso come Stigler qua, che diceva che il problema della politica, rispetto al digitale, è che i politici si vedranno rinfacciare il fatto se hanno chiesto al digitale se può essere uno strumento per arricchire molti o di vantaggio per pochi. Però è radicale la necessità di non lasciarlo fuori da questa piazza, perché di fatto già si comporta come un dispositivo in grado di orientare il comportamento delle persone, e quindi pseudolegale. Come? Secondo me l'idea è quella anche di incentivare – non è detto che per forza la regolamentazione debba essere normativa – usi che non siano alternativi all'umano, ma che siano in grado di amplificare quella che è l'efficacia dell'umano.
  Chi farai sedere a questo tavolo? Qui mi piace citare Baricco nel romando «City», Pag. 15dove lui dice: «Perché tutti dicono che sono una strada? Io sono una piazza, dove altri si possono incontrare», piazza è anche il nome del centro della polis, che è la matrice più antica della nostra democrazia. Quindi questa idea di governance deve essere messa in atto e deve poter avvalersi di contributi differenti.
  L'ultima cosa, che riguarda un concetto anche di posizione europea rispetto agli altri o di competizione globale e internazionale, riguarda il decoupling. C'è un decoupling fatto dalla Cina, che stiamo provando a mettere in atto. Con la legge sul cloud francese forse c'è anche un decoupling nascosto rispetto al modello statunitense. Il problema non è solo dire alcuni no, ma è anche costruire l'identità europea, e questo parte anche da processi nazionali.
  Ci sarebbe da rispondere anche oltre, ma mi interessava di più sottolineare l'urgenza che ci si occupi di questi temi.

  ROBERTO SOMMELLA, direttore di Milano Finanza. Molto rapidamente. Avete posto tutti e tre temi da affrontare in lunghe giornate interessanti di convegno. Io, però, vorrei ricordare una cosa e cioè che noi abbiamo la possibilità di affrontare, di arginare e di cambiare il corso delle cose per il semplice motivo che, come ha detto Albert Einstein, le macchine possono risolvere i problemi, ma non possono crearne, perché la mente umana è imperfetta. Lavorare su quella imperfezione, su quella cifra di imperfezione, che è la cifra dell'essere umano, da cui poi emana la sua etica, secondo me è un lavoro che va fatto. Come? Semplicemente leggendo «Pro domo mea», tornando alla lettura tridimensionale della carta, del libro, che fissa molto di più della lettura monodimensionale, i processi cerebrali, la memoria; coltivare la memoria nel momento in cui si legge, perché lettura significa cultura e significa scrittura. Se perdiamo anche la capacità di scrivere a penna, e questa si sta perdendo, è perché non siamo più capaci di leggere una pagina scritta. Indubbiamente questo è il tema fondamentale per il nostro sistema scolastico, che io vedo sempre più lontano dal centro della nostra società. La scuola è fondamentale perché a scuola si abbattono le diseguaglianze, quelle che l'onorevole Piccolotti sottolineava, è da lì che cominciano le diseguaglianze. Che esplosione di diseguaglianze c'è stata durante il lockdown! Quanti milioni di studenti non avevano la fibra, non avevano la rete, non avevano l'ultimo modello di iPad? Non abbiamo uno studio su che cosa è accaduto ai nostri giovani durante il lockdown, ma qualcosa è accaduto, basta leggere le cronache. Quindi partiamo da zero, ripartiamo dalla scuola. La scuola è il primo organismo di democrazia perché abbatte le diseguaglianze. Certo, la scuola in presenza, è evidente, perché la scuola a distanza non le ha abbattute, le ha aumentate, e non sappiamo nemmeno di quanto. Tutto poi da lì trascende. Arriviamo all'economia e ai sistemi industriali che cambiano.
  Il mio non è un atteggiamento neoluddista, però vedo che la potenza digitale è qualcosa di più del cavallo a vapore, del microchip e del carbone; e, proprio perché è qualcosa di più, va comunque indagato. Certo, si creano grandi ricchezze, anche con l'utilizzo dell'high frequency trading, dei robot che comprano, si distruggono anche ricchezze: i fallimenti della Silicon Valley Bank e quasi della First Republic Bank, che sono banche regionali negli Stati Uniti, ma sono grandi quanto il Monte dei Paschi di Siena in Italia, sono anche legati a una operazione social pressante che ha fatto svuotare i depositi di questi istituti di credito. Da una parte si crea e dall'altra è un attimo. Un tempo bisognava vedere la fila fuori da una banca per capire che la gente veniva a togliere i depositi; oggi ti svegli la mattina e con un clic te li hanno tolti. Questa è una grande forza che il consumatore, il cittadino, ha nelle sue mani, e forse ancora non ne ha piena consapevolezza: cioè la competizione a portata di un clic, ma anche il successo. L'insuccesso di un soggetto, di una banca, di una società è a portata di clic. Per certi versi, il consumatore è anche merce nell'ambito digitale; ormai se la merce è gratis nel digitale, la merce sei tu, con i tuoi dati personali, con la tua caratura e con la tua Pag. 16identità finanziaria; indubbiamente c'è anche questo potere.
  Le diseguaglianze sono aumentate per via della forza digitale? Sicuramente. Sicuramente ci sono grandissime ricchezze, sicuramente aveva ragione Steve Jobs quando disse: «Il credito è necessario. Le banche no». Quindi non dobbiamo avere paura del futuro, però penso che l'impatto, e ce lo dicono le statistiche, dell'economia digitale, combinato alla crescita esponenziale dell'intelligenza artificiale, produrrà centinaia di milioni di disoccupati. Sicuramente va bene se non ci saranno più minatori, lavoratori a rischio, ci saranno macchine che ci cureranno. Ma che faremo di un miliardo di disoccupati? Questa è la stima tra vent'anni. Lavorare meno, ho capito il concetto, però sono tanti. Comunque il lavoro fa parte dell'identità dell'individuo. Una cosa che questo periodo triennale che abbiamo alle spalle ci ha lasciato è di pensare l'impensabile, di prevedere l'imprevedibile, di vivere nell'incertezza. L'incertezza è la nuova normalità. In tre anni abbiamo avuto un virus pandemico, un lockdown generalizzato e una guerra. Anche lì non c'è intelligenza artificiale – ma qui padre Benanti potrebbe supportarmi – che possa prevedere questo, e torno a Tolstoj. Questo è imprevedibile.
  Qual è il tavolo dei giusti? Secondo me il tavolo dei giusti è questo, il Parlamento, tra maggioranza e opposizione. È un po' come il PNRR, ne abbiamo parlato poco, però è una sfida per l'Italia, non soltanto per il Governo in carica di Giorgia Meloni: è per tutti i Governi e per tutti noi. Usare male quei soldi, che sono peraltro pure a debito, significa prendere un mutuo e non avere la casa, un suicidio organizzato di tutti quanti noi italiani, non soltanto di questa maggioranza, dell'opposizione e di quelli che verranno dopo. Questa è la sede del Parlamento, che francamente deve operare per il meglio, perché siete i rappresentanti di tutti noi.
  La tassazione è fondamentale. Oggi abbiamo un lavoro tassato al 25 per cento e l'automazione è tassata zero. Questo non lo dico io, l'ha detto Bill Gates, che ha detto: «Fin quando l'automazione è tassata zero io investo là». Questo è un problema di riforma fiscale. L'ho posto anche in un paio di editoriali, ne ho parlato anche con il Viceministro Leo in un'intervista: bisogna ridurre la tassazione sul lavoro. Fin quando è conveniente prendere un robot piuttosto che una persona si prende un robot, perché purtroppo la leva fiscale è tutto, e da lì è anche la nostra rappresentanza.
  Credo di avere risposto.

  PRESIDENTE. Grazie. Credo che da queste prime due audizioni si sia compresa l'importanza dello scenario che la Commissione sta andando ad affrontare. Penso che i contributi siano stati tutti molto utili, anche quelli dei colleghi, e ringrazio sia Benanti che Sommella per gli spunti, i dati e le analisi che hanno posto alla Commissione.
  In conclusione, condivido molte delle cose che sono state dette dagli auditi e dai colleghi, fermo restando che sono tutti temi che l'indagine conoscitiva deve inquadrare, focalizzare, mettere a fuoco e, come abbiamo fatto per quella sullo spettacolo, che ha portato per la prima volta allo stanziamento di 100 milioni per l'indennità di discontinuità dei lavoratori dello spettacolo, dopo un'indagine conoscitiva della scorsa legislatura, penso che nella prosecuzione delle audizioni, andando ad audire le authority, quindi chi fa le regole, e altri rappresentanti, anche filosofi della scienza, anche operatori rappresentanti delle grandi OTT, senza criminalizzare e demonizzare nessuno, si possa dare a tutto il Parlamento – anche se noi partiamo da sette contesti nella nostra Commissione – un quadro chiaro e al Governo la possibilità di intervenire per non limitare. Perché l'innovazione, di per sé, non è né buona né cattiva, bisogna saperla governare e questo può farlo anche una Commissione come la nostra che può avere non solo un'importantissima funzione consultiva, di parere, ma anche legislativa e propulsiva di analisi, approfondimento e indagini conoscitive, che poi Pag. 17rimangono negli archivi storici del Parlamento italiano.
  Vi ringrazio per questo inizio di indagine conoscitiva che proseguiremo con tutte le altre audizioni e autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della documentazione depositata dal dott. Sommella (vedi allegato).
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15.15.

Pag. 18

ALLEGATO

Documentazione depositata dal dott. Roberto Sommella.

  Roma, 12 aprile 2023.

  Audizione presso la Commissione Cultura, Scienza e Istruzione della Camera dei deputati.
  Nell'ambito dell'indagine conoscitiva sull'impatto e sulle prospettive della digitalizzazione

  Roberto Sommella
  Giornalista e scrittore, Direttore di MF-Milano Finanza

  Egregio Presidente, Egregi Onorevoli,

   Vorrei iniziare questa mia testimonianza sulla forza dell'economia digitale e sulle prospettive che ne derivano per il nostro Paese e per l'Europa con una riflessione letteraria che a mio modo di vedere ben inquadra le sfide che abbiamo davanti, a partire dall'utilizzo dell'Intelligenza Artificiale.
   Successivamente illustrerò gli elementi che vanno tenuti in considerazione dal punto di vista dell'economia, della finanza e dell'innovazione. Sempre considerando che la velocità dello sviluppo delle odierne tecnologie rende purtroppo statico un esame troppo approfondito.
   Meglio procedere quindi in questa sede per rapidi diaframmi di realtà, si auspica utili a generare delle riflessioni in questo Parlamento.

  Intelligenza umana o artificiale? Questo è il dilemma.

   Ebbene, principe, Genova e Lucca son divenute appannaggio della famiglia Bonaparte. No, vi prevengo, se mi direte ancora che non avremo la guerra, se vi permetterete di assumere le difese di tutte le turpitudini, di tutti gli orrori perpetrati da quell'Anticristo, – che per tale lo tengo, in fede mia! – non vi guarderò più in viso, non vi avrò più per amico, non sarete più, secondo voi dite, il mio schiavo fedele. Orsù, sedete: vedo che vi ho spaventato a dovere: sedete e raccontate.

   Così parlava nel luglio 1805 Anna Scherer, damigella di onore ed intima della imperatrice Maria Feodòrovna, accogliendo il grave e impettito principe Basilio, che arrivava per primo alla veglia di lei.
   E così scriveva Lev Tolstoy nel celebre incipit di Guerra e Pace.
   Se si chiede invece a ChatGpt se Vladimir Putin può essere considerato una minaccia, così come Anna Scherer sosteneva di Napoleone Bonaparte, la risposta è molto più articolata e per certi versi diplomatica nonché sorprendente.

   L'invasione dell'Ucraina da parte della Russia nel 2022 è stata una grave violazione del diritto internazionale e ha suscitato preoccupazione a livello mondiale per il futuro della sicurezza regionale e globale. Tuttavia, non è facile valutare il grado di minaccia rappresentato da Vladimir Putin per il mondo in generale.Pag. 19
   Da un lato, Putin è un leader che ha dimostrato di essere disposto ad agire in modo aggressivo per proteggere gli interessi della Russia, come dimostrato dall'annessione della Crimea nel 2014 e dall'intervento in Siria nel 2015. D'altro canto, la Russia ha anche svolto un ruolo importante nella risoluzione di conflitti internazionali, come nell'accordo sul nucleare iraniano.

   Affrontare il tema dell'innovazione tecnologica e dell'impatto dell'economia digitale e dello sviluppo dell'Intelligenza Artificiale sulla società può partire da questo semplice confronto testuale appena riportato, che mette in rilievo come l'intelligenza umana possa, già dalla pagina scritta, essere più imprevedibile di una macchina e per questo maggiormente bisognosa di protezione.
   Sgombrato il campo di cosa sia da tutelare e cosa da vigilare, occorre quindi distinguere gli effetti dei nuovi monopoli digitali prima sulla sovranità fiscale, poi su quella finanziaria e infine su quella tecnologica.

  L'innovazione tecnologica e la sovranità fiscale e del lavoro

   Prima di affrontare il tema dell'impatto della forza digitale sull'economia digitale qualche numero può essere utile.

    1) Velocità di propagazione. Per raggiungere il milione di utenti, calcola l'Ispi, Netflix ha impiegato tre anni e mezzo, Twitter due anni. A Facebook sono serviti 10 mesi, a Instagram soltanto due mesi e mezzo. Tempi biblici in confronto a quelli di ChatGpt, il super-software di intelligenza artificiale di OpenAI che ha tagliato il nastro del milionesimo utente dopo appena cinque giorni dal suo lancio.

    2) Numero di applicazioni esistenti in totale. Nel Google Play Store esistono 3,5 milioni di app, per un fatturato complessivo di quasi 32 miliardi di dollari a trimestre. Nell'App Store il numero di app è pari a 1,6 milioni.

    3) Valore del fatturato degli OTT, Over The Top, (Google, Apple, Facebook, Amazon, Microsoft) e del valore in Borsa.
    Ricavi quarto trimestre: Microsoft 52,7 miliardi, Apple 117,2 miliardi, Alphabet-Google 76 miliardi, Meta-Facebook 32,2 miliardi, Amazon 149,2 miliardi. Per un totale di 430 miliardi.
    Gli OTT ai valori correnti di borsa (prima settimana di aprile 2023) capitalizzano in tutto 7.728 miliardi.

    4) Numero di criptomonete e controvalore complessivo. Il valore complessivo del mercato delle criptovalute è di 1.190 miliardi di dollari. Stabilire un numero preciso è impossibile, visto che ne nascono di nuove ogni giorno, ma è ragionevole pensare che siano ampiamente sopra le 3.000. Esse rappresentano il punto di contatto tra il complesso mondo digitale e un pubblico di utenti più vasto. Secondo le stime della Banca d'Italia, già il 2% delle famiglie italiane hanno investito in criptomonete (ma altre valutazioni parlano del 6%) ma questa percentuale è destinata ad ampliarsi e a superare il numero di coloro che investono in titoli di Stato. Resta basso, in questo contesto, il tasso di educazione finanziaria per affrontare scelte di investimento così rischiose, come alti i pericoli di impoverimento delle famiglie.

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   I quattro dati appena illustrati, pur nella loro eterogeneità, mostrano come il problema che si deve affrontare con urgenza sia quello di preservare il Reddito da lavoro, minacciato dalla crisi, dall'inflazione e dalla forza dell'automazione nei processi produttivi.
   Le prospettive per il lavoro sono molto più cupe di quanto si possa pensare e di quanto ipotizzavano i padri costituenti nel momento in cui fondarono la Repubblica sulla principale attività umana. E nonostante sia evidente da tempo che in Italia l'occupazione la creino le piccole e medie imprese, spesso ostacolate da una eccessiva pressione fiscale, dai vincoli della burocrazia e da una giustizia lenta. Tutti elementi che non intralciano affatto l'attività dei nuovi Leviatani della rete e all'IA.
   Da tempo la lotta alle disuguaglianze e la redistribuzione del reddito sono al centro del confronto politico ma le ricette per affrontare quei temi, a cominciare dalla leva fiscale e contributiva, scontano le ristrettezze della finanza pubblica. I governi si affannano a gestire i processi globali e le innovazioni dei processi produttivi con strumenti esigui rispetto a quanto questa sfida richiederebbe.
   Tali processi sono infatti calati in una situazione in cui la tecnologia prende sempre più piede e modifica non solo i rapporti di forza tra le imprese, la gestione delle aziende e la loro proiezione all'esterno attraverso i social, ma lo stesso modo di pensare, di lavorare e, in ultima analisi, di vivere. La forza combinata dell'automazione con i programmi di sostenibilità ambientali avviati dall'Unione Europea sotto il nome di New Green Deal possono condurre ad una nuova società europea basata sulla crescita, sulla sostenibilità e sull'inclusione. Ma non se ne conoscono ancora i costi e i confini di azione.
   Soprattutto non si conosce quanti posti di lavoro si lasceranno sul terreno per via della transizione digitale ed ecologica, una volta combinata all'innovazione tecnologica che rende quanto può fare l'Intelligenza Artificiale bello e spaventoso al tempo stesso. Occorre ricordare quanto sosteneva Luigi Einaudi, secondo cui i nuovi monopoli sono i primi distruttori di occupazione.
   In questo contesto, sono sempre di più gli addetti ai lavori che sostengono la necessità di una forte regolazione di questi fenomeni digitali. Negli Stati Uniti, con l'avvento di Lina Khan al vertice dell'Autorità Antitrust (Federal Trade Commission), da tempo si sta provando a mettere un freno concreto al dispiegarsi della dominanza delle grandi piattaforme digitali, lasciate libere di agire nell'ultimo ventennio. A questo va aggiunta una doverosa riflessione sullo sviluppo che tale potere potrà avere una volta combinato con l'attività dell'IA, della Cybersicurezza e l'automazione di molti processi produttivi.
   Sono temi che tutti i governi europei, compreso quello italiano nell'ambito del PNRR, devono porsi. Da un lato, si registra una riduzione delle politiche del lavoro, dall'altro, si sta sviluppando un mondo alternativo, un Metaverso dove rischiano di sprofondare milioni di possibili nuovi disoccupati creati dal nuovo modello di sviluppo. Privi di un reddito e anche degli stessi diritti di cittadinanza. È necessario immaginare una nuova dimensione di sviluppo che aggreghi tutte le istanze ambientali e dell'innovazione tecnologica con la capacità di creare nuova occupazione, nuovi mestieri, nuova artigianalità.Pag. 21
   Il trend dei prezzi dei beni di largo consumo dimostra però che ad oggi nessuno ha trovato una formula per combinare sviluppo, sostenibilità, innovazione e benessere diffuso. Prendiamo l'automobile, il fulcro della diffusione del capitalismo nel secolo scorso, orfana da tempo in Italia di un vero piano strategico. Un'utilitaria Fiat nel 1976 costava cinque volte uno stipendio, oggi il suo prezzo vale sette volte un salario medio di un operaio e se elettrica questo costo sale a dieci volte, una percentuale destinata a crescere ancora di più nel 2035, diventando il simbolo di un bene che da largo consumo si trasformerà in un prodotto di lusso. L'automobile non sembra essere più del popolo, né il popolo sarà più in grado di acquistarla. E quando le fabbriche saranno ancora più automatizzate, costerà meno il lavoro prodotto da un robot che quello svolto da una persona.
   Ma senza proiettarsi nel futuro, la transizione ha già un suo costo sociale, perché la tassazione media del lavoro si aggira sul 25% mentre quella sull'innovazione tecnologica rasenta lo zero, contribuendo alla crescita del capitale in sostituzione del lavoro medesimo e alla sostituzione degli operai con le macchine di nuovo brevetto.
   Occorre dunque chiedersi che effetti concreti avrà sulla società industriale la nuova rivoluzione in corso dell'IA e della robotizzazione: sarà la benzina di un nuovo modello di sviluppo o un percorso pericoloso di distruzione di valore umano? E in questo secondo quadro, quali saranno i paesi che ne approfitteranno rispetto all'Unione Europea, priva di quei fattori di produzione e delle materie prime fondamentali per costruire i nuovi motori?
   L'Unione Europea sta provando a rispondere a tutto ciò con quello che la rende diversa dalle altre potenze mondiali, che usano la forza militare e il commercio per imporsi: la difesa dei diritti umani e della libertà attraverso la legge. Per questo la Commissione ha varato due regolamenti sulle piattaforme e sui contenuti che vi si veicolano (il Digital Market Act e il Digital Service Act) senza escludere provvedimenti ancora più forti come il divieto di utilizzo di alcuni social network, partendo da Tik Tok. Ma non saranno i veti a frenare lo sviluppo tecnologico, né le leggi anti-monopoli.
   Senza un vero, nuovo piano di sviluppo, che vada oltre alle buone intenzioni del New Green Deal dell'Unione Europea, il futuro che attende milioni di lavoratori è molto incerto, perché dipende dal livello di consapevolezza che i governi occidentali devono avere riguardo il passaggio epocale che si prospetta: un futuro con sempre più capitale, sempre più automazione e sempre meno lavoro, tassato peraltro come se si fosse ancora nel secolo scorso.
   Quella appena descritta non è una visione tecnofobica né tanto meno neo luddista, ma si basa proprio sull'assunto che ogni invenzione «disruptive» comporta distruzione di valore e creazione di nuove opportunità, come ha insegnato Joseph Schumpeter. Ogni grande trasformazione ha comportato vincitori e sconfitti: ma mai come oggi i secondi possono essere miliardi di persone senza un'azione decisa da parte di chi li governa.
   Nel Novecento sono stati inventati l'auto, la radio, la televisione e internet. Nel nuovo millennio le quattro grandi innovazioni si sono già di fatto trasformate in qualcosa di diverso che ha le sembianze di uno smartphone, o di una vettura elettrica, totalmente integrata, come Pag. 22nel caso di Tesla. Tesla e device si combineranno a loro volta in un unico soggetto, magari un Metamondo destinato a diventare il nuovo reddito di cittadinanza globale?
   Per scacciare questi spettri occorre scuotersi dal torpore e ribellarsi al dominio delle menti ma soprattutto agire sulla leva fiscale e della formazione. Esistono ancora strumenti che da sempre rappresentano la forza dell'essere umano che lo differenzia dagli altri abitanti terrestri e dalle macchine: la lettura, la scrittura, la ragione.
   La cultura del cervello, vera ricchezza del pianeta, leggera e preziosa quanto l'aria che respiriamo, deve restare al centro di tutti i processi, compresi quelli legati alla creazione del lavoro. Non è scontato ribadirlo.

  La sovranità tecnologica e la sovranità finanziaria

   Come detto, ChatGpt, il super-software di intelligenza artificiale di OpenAI ha tagliato il nastro del milionesimo utente dopo appena cinque giorni dal suo lancio. Altrettanto rapidamente però il chatbot, per la cui distribuzione Microsoft ha messo in campo 10 miliardi di dollari, si appresta ora a infrangere un altro record: quello di tecnologia con più nemici al mondo.
   Il Garante della Privacy è solo l'ultimo in ordine di tempo: con un provvedimento urgente l'Authority italiana ha disposto con effetto immediato lo stop a ChatGpt, dando a OpenAI 20 giorni di tempo per conformarsi alle norme in materia di trattamento dei dati. Altri paesi stanno pensando di fare la stessa cosa e molti addetti ai lavori pensano che sia arrivato il momento di vietare, almeno nelle scuole, l'utilizzo dell'Intelligenza Artificiale.
   In generale, l'Autorità per la Privacy pensa che il quadro normativo attuale sia efficace, ma crede anche che servano nuove regole, ad esempio su cosa sia o non sia possibile fare con i dati personali. Regole specifiche ancora non esistono, e proprio questa mancanza è alla base della lettera dei 1.000 imprenditori ed esperti (ormai diventati circa 2.000) che, guidati dal magnate Elon Musk, hanno chiesto di mettere in pausa per almeno sei mesi la ricerca e sviluppo su «sistemi di intelligenza artificiale più potenti di Gpt-4» che possono «generare profondi rischi per la società e l'umanità stessa».
   Alessandro Perilli, ex dirigente in Red Hat (società acquisita da Ibm nel 2019) e oggi ceo della startup Unstable Reality, è stato tra i primi 40 firmatari della lettera, secondo italiano dopo il professor Gianluca Bontempi dell'università di Bruxelles. «Come molti firmatari non sono d'accordo su tutto quello che c'è scritto», ha spiegato nell'ambito di un'inchiesta di Milano Finanza. «Non mi sembra realistico che si possa bloccare lo sviluppo di questi modelli di AI per sei mesi, peraltro un tempo irrisorio per tecnologie di questo tipo. Ma ci troviamo in una situazione unica nella storia in cui gli stessi creatori della tecnologia hanno paura della loro invenzione».
   Il riferimento è alla recente intervista che il fondatore di OpenAI, Sam Altman, ha rilasciato ad Abc News, nella quale si è detto «un po' spaventato» da quello che può fare il software e ha chiesto il «massimo coinvolgimento delle autorità di regolamentazione» nel corso della sua diffusione. La paura degli esperti è quella di mettere in circolazione un prodotto senza supervisioni, guardando solo ai benefici e non agli effetti collaterali.Pag. 23
   Due aspetti preoccupano particolarmente gli addetti ai lavori che si collegano su quanto descritto precedentemente: un impatto sul mondo del lavoro superiore a quello di tutte le altre tecnologie fin qui sviluppate e il cosiddetto effetto Eliza, quello per cui le persone scambiano i messaggi dati dall'IA per quelli di persone reali.

  Chi investe e quanto in IA

   Le big tech stanno investendo cifre record per decine di miliardi sull'intelligenza artificiale generativa, quella di cui fa parte l'applicazione ChatGpt. Microsoft ha scommesso sulla società che l'ha prodotta, OpenAI, puntando circa 10 miliardi di dollari. Alphabet ha risposto investendo in Bard, il chatbot che si è presentato come vero competitor di ChatGpt. Ma si stanno muovendo anche Apple e soprattutto Amazon: il colosso delle spedizioni è al lavoro su un modello di intelligenza artificiale generativa da utilizzare all'interno del suo marketplace.
   Il Manifesto-lettera firmato da Musk e dagli altri esperti di questa materia sembra però suscitare anche il sospetto che ci siano preoccupazioni da parte di quelle società che risultano essere indietro nello sviluppo della tecnologia e che cercano di prendere tempo per colmare il divario, mentre sollecitano giustamente le autorità a stabilire delle regole del gioco. Nell'IA ci sono peraltro tantissime società medio piccole che saranno acquisite da quelle più grandi, a loro volta prede dei titani che conosciamo tutti, da Amazon a Meta, Microsoft, Google ed Apple. Tecnicamente si chiama killer acquisition ed è una consuetudine di tanti monopoli digitali, come segnalato dal presidente dell'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato Roberto Rustichelli: comprare un piccolo concorrente per soffocarlo nella culla. In particolare Amazon, con il dipartimento Aws, sta facendo passi avanti considerevoli.
   C'è poi il tema dell'esposizione più o meno indiretta all'Intelligenza Artificiale. Come la società Nvidia, una società che crea schede grafiche chip blockchain e ha sviluppato un software per il cloud computing all'avanguardia. L'intelligenza artificiale può avere varie declinazioni e Nvidia è un player da monitorare, secondo gli esperti del settore.

  Le quote di mercato e i guadagni

   Microsoft punta a sfidare il monopolista Google implementando ChatGpt nel suo motore di ricerca Bing, per ribaltare le quote di un mercato che oggi è per il 93% della società di Alphabet (162 miliardi di dollari fatturati da Google nel 2022 contro i 3,1 di Microsoft con Bing). Ma la vera sfida è riuscire a produrre ricavi grazie proprio all'IA. Le offerte premium, con cui gli utenti pagano un abbonamento mensile o annuale per accedere a queste opzioni è solo il primo modo, ma altri ne verranno.
   Fondamentale è anche il ruolo dell'advertising. Una parte significativa dei servizi di IA è sostenuta dalla pubblicità, perché le aziende possono inserire annunci pubblicitari all'interno dell'esperienza dell'utente, che vengono mostrati agli stessi utenti in base ai loro interessi e comportamenti; la pubblicità mirata può essere particolarmente efficace per le applicazioni di Intelligenza Artificiale. Non a caso Microsoft ha già annunciato che sta introducendo annunci nel suo motore di Pag. 24ricerca Bing basato sull'intelligenza artificiale, mentre si sta sperimentando anche l'inserimento di banner per condividere le entrate pubblicitarie con i partner i cui contenuti hanno contribuito alla risposta del chatbot basato sull'IA.
   A tutto ciò va aggiunto che un'altra grande fonte di monetizzazione possono essere gli stessi dati aggregati ottenuti dall'interazione degli utenti con i modelli di IA, che possono poi essere venduti.
   Alla sfida dell'IA partecipa anche la Cina, la quale, dopo aver prodotto una ventina di leggi contro lo strapotere degli over the top americani negli anni passati, ha creato due colossi locali Alibaba e Baidu: essi hanno già annunciato l'introduzione di soluzioni simili a ChatGpt. La sfida al dominio americano in questo settore è stata lanciata.
   Sicuramente in Cina dove ci sono i team più talentuosi, a detta degli esperti, sull'intelligenza artificiale generativa, ma c'è ancora scarsa trasparenza sui protagonisti del settore e sui nuovi avanzamenti tecnologici. Gli investimenti per ricerca e sviluppo nel settore dell'IA da parte dei cinesi hanno superato di gran lunga quelli degli americani, già da più di cinque anni: sono quasi il doppio.

  L'impatto sull'editoria

   L'avvento dell'Intelligenza Artificiale, non presente nel regolamento italiano sul copyright, che impone il pagamento da parte delle grandi piattaforme digitali per l'utilizzo delle notizie prodotte dalle case editrici, impone, come sottolineato da Paolo Panerai, vice presidente e amministratore delegato di Class Editori, una rapida presa di coscienza da parte degli organi di governo.
   Una società civile, secondo Panerai, per progredire ha bisogno di pensiero, pensiero di chi sa e con lo scritto o a voce è in grado di trasmettere conoscenza agli altri e di trarre dal suo pensiero e dal suo lavoro un giusto compenso. Senza considerare che per evadere il copyright è già oggi diffusa sulla rete, prima ancora dell'arrivo delle Chat di AI, una sequela di notizie leggermente modificate, che si trasformano spesso in fake news, partendo da un dettaglio vero, inquinando quindi le conoscenze dei cittadini, con grave danno per la democrazia.
   Per questo negli Usa i maggiori giornali si sono già attivati per difendere il loro copyright. Il primo è stato The Wall Street Journal. Ha scritto Robert Thomson, ceo di tutto il gruppo Murdoch: «È chiaro che le Chat stanno utilizzando contenuti di proprietà che ovviamente ci devono essere pagati». E il New York Times non è stato da meno e ha compiuto un test pubblico per dimostrare che Bard, la Chat di intelligenza artificiale di Google, ha rielaborato dei testi del quotidiano americano sulle relazioni Usa-Russia senza fornire link diretti al sito della testata.

   Queste considerazioni dimostrano come l'Intelligenza Artificiale rappresenti un grande salto di livello tecnologico rispetto alla nota dominanza delle piattaforme digitali, con il rischio che tutti gli strumenti regolatori predisposti per frenare la forza degli over the top risultino a breve desueti.

  Conclusioni. L'innovazione tecnologica e la sovranità creatrice

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   Non possono esserci conclusioni davvero definitive nell'affrontare sommariamente, come è stato fatto, la quarta rivoluzione industriale che presto cederà il passo alla quinta.
   Meglio lasciare spazio a coloro che, in tempi diversi, hanno illustrato con visione e capacità predittiva la forza dell'innovazione tecnologica e i rischi insiti al suo sviluppo: l'economista Joseph Schumpeter e il fisico Mario Rasetti.
   Joseph Schumpeter sosteneva che nel capitalismo non conta il prezzo ma il nuovo prodotto. Era convinto che nuove tecnologie, nuove fonti di offerta, nuovi tipi di organizzazione fossero decisive. Il tutto in un contesto di concorrenza in movimento, che comporta vantaggi di costo o di qualità decisivi, che non colpiscono al margine dei profitti e degli output delle imprese esistenti, ma alle fondamenta delle loro possibilità di vita.
   Il capitalismo non è perciò solo mosso da consumatori che scelgono ma da quello che sono in grado di fare gli imprenditori. Innovando. Cambiando. Distruggendo. Ripartendo. Capannoni, filiere, attrezzi e poi centrali, fabbriche e impianti, hanno dentro la loro storia il movimento della distruzione creatrice. Un processo di mutamento industriale che rivoluziona incessantemente la struttura economica dall'interno, distruggendo quella vecchia e creandone una nuova.
   La costruzione di nuovi impianti, da parte, per lo più, di nuove imprese è anche associata alla leadership di uomini nuovi. I nuovi prodotti possono dar vita anche a nuovi settori industriali. È quindi molto più importante il processo di creazione del nuovo rispetto all'amministrazione dell'esistente. Per capire come il capitalismo crea nuove strutture industriali l'impresa deve essere vista come un agente del cambiamento e l'imprenditore come la fonte di nuove idee.
   Per questo, secondo Schumpeter, l'imprenditore è una figura cruciale. Originatore. Pioniere. Realizzatore di nuove idee. Rivoluzionario. La sua personale sfida è stravolgere i metodi produttivi e le forme organizzative esistenti e introdurre nuovi prodotti con la creazione di nuove imprese. L'introduzione di prodotti veramente nuovi comporta anche la nascita di nuovi mercati.
   Sosteneva dunque Schumpeter che il processo di distruzione creatrice è il fatto essenziale del capitalismo. Ieri, oggi, domani.
   Sostiene Mario Rasetti, uno dei massimi esperti mondiali di Intelligenza Artificiale, che l'IA si sta avvicinando alle potenzialità della mente umana, sovvertendo il celebre aforisma di Albert Estein (le macchine possono risolvere problemi ma non crearne). Di seguito un passaggio del suo pensiero.

   Per decine di migliaia di anni la curva dell'evoluzione dell'apprendimento umano è stata sostanzialmente piatta, o con una crescita infinitesimale. I nostri antenati e gli antenati dei nostri antenati sono lentissimamente diventati capaci di cucire vestiti, di accendere il fuoco, di scuoiare gli animali... Tutte cose che non erano iscritte nel loro dna ma che apprendevano, consolidavano e trasmettevano di generazione in generazione. In quella fase della nostra storia quel che contava era la capacità di pensiero per comprendere le cose che si vedevano e si imparavano e la capacità di trasferire questo pensiero alle generazioni successive. Raramente in una singola generazione gli uomini di quei tempi vedevano il progresso. L'intelligenza artificiale oggi è in questa fase, Pag. 26nella quale cerca di assorbire tutte le capacità che l'uomo ha in termini di abilità di apprendere, comprendere quel che si è appreso e abilità di trasferire le cose che si sono apprese e comprese all'umano che la gestisce. Questa curva piatta dell'evoluzione dell'IA è però giunta a un gomito di crescita esponenziale. La forza dell'intelligenza umana sta nell'essere in grado non solo di eseguire compiti ed eseguirli nella maniera più efficiente possibile ma anche nella possibilità di non eseguirli, nella scelta di disobbedire alle regole. E un elemento evolutivo chiave, che noi ora stiamo cercando di insegnare alle macchine.
   Siamo in prossimità di un'intelligenza artificiale che comincia a saper fare cose che l'uomo ha sempre considerato sua esclusiva prerogativa perché non la attribuiva solo al cervello, ma alla mente, che è la funzione più alta del nostro cervello, quella in cui risiedono anche la fantasia, la creatività, l'arte...

   La sfida che ci troviamo di fronte oggi è quella di sapere coniugare i rischi di uno sviluppo senza regole dell'innovazione tecnologica con la potente componente di benessere innovativo che essa produce a favore della società.

   Grazie per l'attenzione.

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