Sulla pubblicità dei lavori:
Formentini Paolo , Presidente ... 3
INDAGINE CONOSCITIVA SULLA PROIEZIONE DELL'ITALIA E DEI PAESI EUROPEI NELL'INDO-PACIFICO
Formentini Paolo , Presidente ... 3
Credendino Enrico , Capo di Stato Maggiore della Marina militare ... 4
Formentini Paolo , Presidente ... 10
Di Giuseppe Andrea (FDI) ... 10
Bergamini Deborah , intervento in videoconferenza ... 10
Quartapelle Procopio Lia , intervento in videoconferenza ... 11
Billi Simone (LEGA) ... 11
Formentini Paolo , Presidente ... 12
Della Vedova Benedetto , intervento in videoconferenza ... 12
Maullu Stefano Giovanni , intervento in videoconferenza ... 12
Formentini Paolo , Presidente ... 12
Malaguti Mauro (FDI) ... 12
Formentini Paolo , Presidente ... 12
Credendino Enrico , Capo di Stato Maggiore della Marina militare ... 12
Formentini Paolo , Presidente ... 16
ALLEGATO: Presentazione informatica illustrata dall'Amm. Enrico Credendino ... 17
Sigle dei gruppi parlamentari:
Fratelli d'Italia: FdI;
Partito Democratico - Italia Democratica e Progressista: PD-IDP;
Lega - Salvini Premier: Lega;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Berlusconi Presidente - PPE: FI-PPE;
Alleanza Verdi e Sinistra: AVS;
Azione - Popolari europeisti riformatori - Renew Europe: AZ-PER-RE;
Noi Moderati (Noi con l'Italia, Coraggio Italia, UDC e Italia al Centro) - MAIE - Centro Popolare: NM(N-C-U-I)M-CP;
Italia Viva - il Centro - Renew Europe: IV-C-RE;
Misto: Misto;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-+Europa: Misto-+E.
PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
PAOLO FORMENTINI
La seduta comincia alle 8.35.
Sulla pubblicità dei lavori.
PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche mediante la resocontazione stenografica e la trasmissione attraverso la web-tv della Camera dei deputati.
Audizione del Capo di Stato Maggiore della Marina militare, Amm. Enrico Credendino.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulle tematiche relative alla proiezione dell'Italia e dei Paesi europei nell'Indo-Pacifico, l'audizione del Capo di Stato maggiore della Marina militare, Ammiraglio Enrico Credendino. Anche a nome dei componenti del Comitato, saluto e ringrazio per la disponibilità a prendere parte ai nostri lavori l'Ammiraglio Credendino, accompagnato dal Contrammiraglio Marco Casapieri, dal Contrammiraglio Enrico Vignola e dal Tenente di vascello Stefano Reale.
Ricordo che la partecipazione da remoto è consentita alle colleghe e ai colleghi secondo le modalità stabilite dalla Giunta per il Regolamento.
C'è una nutrita partecipazione da remoto. Saluto gli onorevoli Quartapelle Procopio, Pozzolo, Bagnasco, Matone, Centemero, Bergamini e Bof.
Nel corso della nostra indagine conoscitiva abbiamo più volte affrontato il tema dei partenariati in materia di sicurezza e difesa che si stanno consolidando nella regione indo-pacifica, nonché del ruolo che l'Italia può sviluppare, a partire dalle iniziative di naval diplomacy, che ha avviato negli ultimi mesi, con l'invio prima del pattugliatore Morosini e poi della nave Amerigo Vespucci, e di un gruppo, il Carrier Strike Group (CSG), guidato dalla portaerei Cavour. Si è trattato di una missione importante, che è servita ad incrementare l'interoperabilità in contesti complessi e a rafforzare il livello di cooperazione con Paesi amici e alleati.
Questi e altri temi saranno oggetto dell'audizione odierna, che conclude il nostro percorso di approfondimento. L'auspicio è di realizzare, in tempi brevi, un documento conclusivo da sottoporre alla Commissione.
Prima di lasciare la parola all'Ammiraglio Credendino, aggiungo solo una breve riflessione.
Le numerose audizioni che abbiamo svolto hanno, tra gli altri, evidenziato due elementi fondamentali: in primo luogo, la connessione tra il nostro tradizionale bacino di riferimento, il Mediterraneo allargato, e l'Indo-Pacifico; in secondo luogo, la centralità della libertà di navigazione, specie rispetto all'azione di attori come la Cina. Ritengo che ciò valga sia nell'ambito della politica estera e commerciale sia nell'ambito della politica di sicurezza e difesa, che si confermano due ambiti tra loro connessi in maniera strettissima. Il benessere di una media potenza come l'Italia non è distinguibile dalla sicurezza, come ciò che accade nel Mar Rosso e nel Mar Cinese orientale e meridionale ci conferma quotidianamente. Di qui il particolare rilievo che assume per i nostri lavori l'audizione di oggi.
Ringrazio il presidente Tremonti, che ha sempre seguito da vicino questa indagine Pag. 4conoscitiva e i lavori del Comitato e che ha voluto essere presente oggi.
Do la parola all'Ammiraglio Credendino.
ENRICO CREDENDINO, Capo di Stato Maggiore della Marina militare. Buongiorno, onorevoli deputati e senatori. Grazie, presidente. Lei ha già detto tutto, quindi l'audizione è finita. Ringrazio il presidente Tremonti per questa idea che ha avuto. Abbiamo parlato più volte dell'Indo-Pacifico e delle ragioni per cui ci siamo andati.
Prima di raccontarvi cosa ha fatto la Marina militare nell'Indo-Pacifico, perché siamo andati e cosa abbiamo conseguito, farei un rapido excursus sull'importanza della marittimità, perché è tutto collegato. Se non si parte dal mare, è difficile comprendere perché la Marina va nell'Indo-Pacifico.
In questa prima slide (slide n. 1) vedete l'immagine del nostro pianeta, che è un pianeta blu, considerato che il 70 per cento del pianeta è ricoperto dall'acqua; ma anche il nostro corpo è costituito per il 70 per cento da acqua, quindi noi veniamo dal mare, proveniamo dal mare, dipendiamo dal mare. Tramite il mare tutto è collegato. Il mare unisce le terre che separa, diceva un poeta inglese dell'Ottocento. Già questo fa capire perché quello che avviene in una parte del globo si riverbera in tutto il globo tramite il mare.
Questa seconda immagine (slide n. 2) fa vedere quanto è piccola l'estensione delle terre – anche della Russia, per esempio, che è il Paese che ha la maggiore estensione territoriale al mondo – rispetto alle acque interne e territoriali e all'alto mare.
La popolazione mondiale vive entro duecento chilometri dalla linea di costa. In Italia – questo è un dato che pochi sanno – il 30 per cento degli italiani vive entro trecento metri dalla linea di costa; ci sono diciassette milioni di italiani che vivono entro trecento metri dal mare. Questo fa capire, per esempio, quanto gli effetti dei cambiamenti climatici possono influenzare la nostra vita. Ci sono studi che dimostrano che fra cent'anni il mare si alzerà di un metro: io abito a Livorno, quindi Livorno sarà quasi tutta sott'acqua. Questo è un dato da tenere in mente per far capire quanto le popolazioni del mondo sono raggiungibili e influenzabili dal mare.
Il 90 per cento dei traffici mondiali avviene via mare. In questa immagine (slide n. 4) vedete, in alto a sinistra, il Mar Mediterraneo, che è un mare piccolo, rappresenta l'1 per cento della superficie acqua mondiale, ma è attraversato dal 25 per cento dei traffici marittimi mondiali. Quindi, un quarto del traffico marittimo mondiale transita dal Mediterraneo e poi prosegue via Suez (Bab al-Mandab). Il Mediterraneo è la via più breve, oggi, per andare dall'Atlantico all'Indo-Pacifico. Quindi, è tutto collegato. Dico oggi perché, se un domani si dovesse aprire la rotta artica, allora sarebbe un grosso problema per l'Italia, perché a quel punto la rotta artica diventerebbe la rotta più breve per andare da una parte all'altra del mondo e il Mediterraneo rischierebbe di essere marginalizzato, con un impatto, ovviamente, sulla nostra economia; noi siamo un Paese di trasformazione, dipendiamo prevalentemente dal mare, importiamo via mare ciò che poi riesportiamo, per cui per noi la libertà di navigazione è fondamentale, ovvero mantenere aperto l'alto mare e gli stretti.
Questa è una delle ragioni per cui siamo andati e andiamo nell'Indo-Pacifico, per rimarcare l'importanza di mantenere aperte le linee di comunicazione e di ribadire che l'alto mare è libero. La Cina non può, per esempio, stabilire che gli stretti sono cinesi e non sono transitabili, perché non è così che funziona la legge del mare e degli oceani, ovvero la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (UNCLOS).
Il Mediterraneo è un mare piccolo, ma è estremamente denso e trafficato, così come è trafficato da dati digitali. Oggi il 16 per cento di tutte le comunicazioni digitali transita nel Mediterraneo, ma è in aumento. Si stima che arriverà al 25 per cento nei prossimi anni. Il 90 per cento delle comunicazioni digitali viaggia su dorsali marine. Ancora una volta, dall'Atlantico all'Indo-Pacifico si transita dal Mediterraneo, via Suez (Bab al-Mandab).
Che cosa succede quando si blocca uno stretto? Parlo di Bab al-Mandab in questo Pag. 5caso. Da poco più di un anno è iniziata l'attività degli Houthi nel Mar Rosso, con attacchi a mercantili, inizialmente tutti collegati ad Israele; era la ragione per cui gli Houthi, perlomeno, dicevano che attaccavano i mercantili. Oggi la mia impressione è che Israele sia passata in secondo piano, gli Houthi hanno preso in un certo modo il controllo di Bab al-Mandab e nessuno può dire oggi – se e quando la situazione in Medio Oriente si calmerà – se gli Houthi smetteranno di attaccare i mercantili o meno. Di fatto, oggi gli Houthi hanno il controllo di Bab al-Mandab.
Quest'anno si è registrata una riduzione del traffico di petroliere del 55 per cento, di portacontainer dell'88 per cento e di portarinfuse del 62 per cento. Le navi passeggeri da Bab al-Mandab non transitano più. Soltanto un armatore ha provato a sbarcare i passeggeri a Salalah, in Oman, e a mandarli in aereo in Turchia; ha sbarcato anche parte dell'equipaggio, poi è andato in Turchia a riprendere i passeggeri, perché dice che costa meno che fare il transito tramite Suez. Oggi le compagnie passano prevalentemente a sud dell'Africa e, una volta fatto il giro dell'Africa - a parte MSC Crociere - vanno direttamente nei porti del Nord Europa, che sono molto meglio attrezzati dei nostri. Questa è una realtà. In Italia questo ancora non ha avuto un impatto economico, perché MSC, che ha investito moltissimo in Gioia Tauro, Genova e Marsiglia, continua a entrare nel Mediterraneo. Tuttavia, nella parte ad est della Penisola questo ha avuto un impatto.
La riduzione dei traffici di Bab al-Mandab non ha riguardato la Cina, perché le navi cinesi non vengono attaccate dagli Houthi – a parte un caso, ma pare si sia trattato di un errore –, quindi si è registrato un aumento, per adesso, del 15 per cento del traffico cinese tramite Suez.
Un effetto secondario dell'attività degli Houthi, peraltro, è stato il ritorno della pirateria nell'Oceano Indiano. Di fatto, non c'erano più stati attacchi pirati negli ultimi anni, ma da quando gli Houthi hanno cominciato ad attaccare i mercantili anche i pirati – che hanno visto una distrazione delle navi militari a protezione del traffico mercantile anti-Houthi – hanno ripreso la loro attività. Siamo tornati a un numero di attacchi di pirateria pari a quella registrata nel 2012. Io ho comandato l'operazione anti-pirateria nel 2012 e siamo più o meno a quei livelli. Quindi, come vedete, quello che avviene in mare è tutto collegato.
Questa slide (slide n. 7) fa vedere quali sono le similitudini fra noi e quello che avviene nell'Indo-Pacifico: ci sono molti «mediterranei» nel mondo – per «mediterranei» intendo mari tra terre – e sono tutti molto simili. C'è un Mediterraneo in senso stretto che è il nostro, ma anche un mediterraneo a Suez, due mediterranei nell'Indo-Pacifico e uno in Atlantico, e sono tutti quadranti economici, geopolitici, sociali e culturali dove sussistono delicate forme di convivenza tra i popoli. Le situazioni geopolitiche mondiali nascono prevalentemente in questi mediterranei, in questi bacini, dove le dinamiche sono simili.
La nostra area di prioritario interesse strategico, negli anni Settanta e Ottanta, era il Mediterraneo in senso stretto. Allora la Marina aveva un ruolo ancillare, di scorta, alle portaerei americane. Raccontava l'altro giorno, un mio predecessore, che ha comandato una fregata, l'Alpino, negli anni Settanta, che all'epoca il massimo che facevano era andare da La Spezia alla Sardegna. La Marina svolgeva realmente un'attività locale. Poi, siamo passati al Mediterraneo allargato, che abbraccia gran parte del continente africano, ad est e ad ovest, fino all'Artico. Adesso abbiamo visto quanto il Mediterraneo allargato sia collegato all'Indo-Pacifico, dove le situazioni di crisi e le tensioni sono tutte molto simili. C'è un riarmo di tutti i Paesi di queste zone soprattutto in termini navali. Ricordo che nel Mediterraneo c'è un riarmo della sponda sud in termini navali, con Paesi della sponda sud che comprano armi e mezzi da noi, ma anche dai russi. È il caso dell'Algeria, che ha comprato sei sommergibili russi di ultima generazione, con i missili Kalibr, o dell'Egitto, che ha comprato le fregate dall'Italia e i sommergibili dai cinesi e così via. Comunque, c'è un riarmo in termini marittimi e una corsa al riarmo navale, con la Cina che ha dichiarato di voler diventare la Pag. 6prima Marina del mondo, e probabilmente oggi già lo è, in termini numerici e non in termini qualitativi.
D'altronde, non basta avere una portaerei, bisogna saperla impiegare, che è una cosa molto complicata. Noi, per imparare ad impiegare una portaerei, ci abbiamo messo una ventina d'anni. Oggi i Paesi occidentali sanno usare le portaerei molto bene, perché da sempre lavorano insieme e ci si addestra insieme. I cinesi, invece, che si addestrano da soli, non la sanno usare e non la sapranno usare ancora per molti anni. Questo è un problema che investe anche il Giappone, che si sta dotando di due portaerei – questa è una delle ragioni per cui noi andiamo in Giappone – e si sta dotando degli F-35. Il Giappone, infatti, ha chiesto all'Italia di essere il partner di riferimento per l'addestramento all'uso della portaerei. Quindi, il Giappone vede nell'Italia un partner che potrà contribuire ad insegnare loro ad usare la portaerei, con quel tipo di aereo.
Ciò che avviene in questi mediterranei è molto simile ed è molto complicato. Ci sono armi nuove, armi che sono emerse recentemente e che abbiamo imparato a conoscere negli ultimi tre anni, da quando la Russia ha invaso l'Ucraina. Mi riferisco ai droni: nessuno pensava ai droni fino a tre anni fa, adesso invece il drone è l'arma principale degli Houthi, droni che costano 50 mila euro e contro cui noi, ancora oggi, rispondiamo con missili che costano 3 milioni di euro. Quindi, noi per abbattere un drone usiamo un missile. Diciamo che noi in Italia meno, perché abbiamo una tradizione nell'impiego del cannone antiaereo, ma siamo l'unica nazione, le altre non li hanno. Quindi, oggi usiamo armi molto costose contro droni che costano pochissimo. Ci stiamo attrezzando rapidamente. Abbiamo chiesto all'industria di attrezzarci con droni anti-droni o sistemi ad energia diretta che abbiano un miglior rapporto costi/efficacia nell'impiego. Poi, ci sono i missili balistici e i missili ipersonici; contro il missile ipersonico oggi non c'è nessuna difesa, è un oggetto che non riusciamo nemmeno a vedere. Nel momento in cui ne veniamo a conoscenza, abbiamo pochissimi secondi per reagire. Ma oggi non c'è un'arma in grado di reagire contro il missile ipersonico. Anche il missile balistico è complicato. Poi, c'è tutta la questione cyber, che rappresenta il nuovo dominio.
Questi mediterranei, dicevo, sul piano tecnologico e geopolitico presentano diverse somiglianze, e questa è una delle ragioni per cui siamo andati nell'Indo-Pacifico, con le attività che adesso vi andrò ad illustrare.
La prima missione è stata con la nave Morosini, che ha fatto il giro che vedete in questa slide (slide n. 9): ha fatto più o meno sei mesi di attività nell'Indo-Pacifico ed è stata un successo che è andato al di là delle aspettative. Il Capo della Marina di Singapore, che ho incontrato qualche mese fa, mi ha detto che non pensava che l'Italia avesse una simile Marina. Io sono andato a trovarlo quando la portaerei è andata a Singapore e lui mi ha detto che non immaginava che l'Italia avesse una portaerei di tali capacità, che fosse una Marina d'altura. Ci conoscevano poco dal punto di vista marittimo. Hanno ricominciato a conoscerci, perché erano tanti anni che non andavamo in quella zona.
Il Morosini, che è una delle ultime navi consegnate alla Marina, ha destato grandissimo interesse in Indonesia, che adesso ne comprerà due. Quindi, la Marina italiana darà due navi che erano in costruzione per la nostra Marina all'Indonesia, poi l'industria ce le ridarà. Ma questa penetrazione industriale si riesce ad ottenere in questo modo. Non basta andare ai vari saloni che si svolgono nel mondo, bisogna mostrare il proprio potenziale. E chiunque vede questa nave rimane a bocca aperta.
Abbiamo tre versioni del Morosini, una light, quindi poco armata. All'epoca, quando fu fatta la legge navale, i fondi questo consentivano. Quindi, due sono light, tre sono light plus e due sono full. Comunque, le classi light plus e full hanno una capacità di scoperta di missili antibalistici che non ha nessuna nave al mondo oggi. In questo momento sono le più avanzate al mondo in questo settore. Poi, non abbiamo l'arma per reagire, ma intanto abbiamo la capacità di scoprire questa minaccia. Quindi, Pag. 7chi vede queste navi, che peraltro hanno una plancia molto innovativa, rimane meravigliato. La vogliono gli indonesiani – ne stanno comprando due –, ma anche la Malesia, le Filippine, l'Australia. A suo tempo, l'Australia aveva pensato di comprare le nostre FREMM, poi è intervenuta la regina e non le hanno più comprate, ma sono andati sulle navi inglesi, che non gli sono state ancora consegnate. Sono ormai dieci anni che aspettano queste nuove fregate inglesi, ma in questo momento la cantieristica britannica non funziona. Quindi, stanno ritornando all'attacco e vorrebbero avere anch'essi queste navi, che sono formidabili e offrono grandissima flessibilità. Quindi, è stato un successo.
Abbiamo ripetuto questo successo mandando l'Amerigo Vespucci a fare il giro del mondo. Il Vespucci in questo momento sta rientrando. A breve arriverà negli Emirati. Poi, abbiamo il Carrier Strike Group, il gruppo portaerei, che è la massima espressione di proiezione di forza e di capacità militari a livello internazionale.
Come è stato costituito questo Carrier Strike Group? Con una portaerei e due navi di scorta italiane e con la capacità aerea al completo. La portaerei ha imbarcato otto F-35 – sei della Marina e due dell'Aeronautica – alcuni Harrier, che sono ancora efficaci, e tre elicotteri. Peraltro, è da notare che ha imbarcato due aerei dell'Aeronautica, che sono stati a bordo per un periodo considerevole. Questo ha consentito di migliorare ulteriormente l'interoperabilità e la capacità di lavorare insieme di Aeronautica e Marina, che hanno deciso di avere due gruppi di F-35, uno per Forza armata, di cui ogni capo di Forza armata è responsabile, che lavorano insieme in maniera integrata, sotto il comando o della Marina o dell'Aeronautica a seconda della missione.
Non solo: il Carrier Strike Group ha avuto come scorta molte navi appartenenti a Paesi alleati, che hanno integrato il gruppo, quindi di fatto è stato un gruppo multinazionale sin dalla partenza, con navi francesi, spagnole e americane, che hanno dato la scorta e che hanno lavorato in maniera totalmente integrata con la nostra portaerei. Questo ci ha consentito di passare da un concetto di interoperabilità – quindi, sistemi simili che consentono di lavorare insieme – ad un concetto di interscambiabilità, quindi nave completamente integrata in un gruppo straniero. Gli americani, per la prima volta, ci hanno dato il controllo di una loro nave, così come noi abbiamo dato il controllo della nostra portaerei agli americani. Noi abbiamo sempre dei caveat, ovviamente, possiamo dire che una certa cosa non si fa, ma è la prima volta che c'è questo livello di integrazione. Adesso avremo una fregata che lavorerà integrata nel gruppo portaerei americano in Atlantico fino alla fine dell'anno.
È un gruppo multinazionale, quindi, che ha consentito di lavorare insieme e migliorare la conoscenza e l'interoperabilità delle navi. Abbiamo fatto tantissime attività addestrative con gli alleati, cosa che non si riesce a fare nel Mediterraneo. Abbiamo lavorato con tutti i Paesi dell'area, anche con Paesi con cui da molto tempo non lavoravamo, per esempio l'Australia: la portaerei ha partecipato alla più grande esercitazione aerea in Australia degli ultimi anni ed era l'unica nave presente. Quindi, l'Italia aveva l'unica nave presente in Australia, appunto questa portaerei, dove i nostri aerei giocavano il ruolo di forze opponenti rispetto alla coalizione che c'era in Australia. Questa operazione è stata un grande successo.
Questi che vedete (slide n. 14) sono i numeri della campagna, che è terminata da poco: 150 giorni, 18 porti visitati, tantissime autorità accolte a bordo, un numero incredibile di persone che hanno visitato le nostre navi, che hanno di fatto portato in giro, come ha fatto il Vespucci, il sistema-Paese. Hanno riscosso grande interesse e consentito di fare moltissime cose. Questo deployment ha generato effetti su tre direttrici: la crescita di capacità operativa, la cooperazione internazionale e il posizionamento e la promozione industriale.
Con riferimento alla crescita della capacità operativa, noi abbiamo dichiarato la capacità iniziale di operare con la portaerei e gli F-35 durante questo deployment, un anno e mezzo prima di quanto era stato Pag. 8pianificato. Quindi, siamo riusciti con diciotto mesi di anticipo a fare queste dichiarazioni. Questo perché abbiamo potuto impiegare gli aerei nel Pacifico, dove ci sono poligoni e aree addestrative che non esistono nel Mediterraneo. Lì ci sono spazi immensi, poligoni immensi, si può usare qualunque tipo di mezzo e di arma, cosa che non si può fare nel Mediterraneo. Il pacchetto di otto aerei ci ha consentito, quindi, di fare queste dichiarazioni: oggi al mondo ci sono tre Paesi che hanno, di fatto, una portaerei con gli F-35, che è l'aereo di quinta generazione – questo binomio dà un vantaggio operativo assoluto su qualunque altro tipo di capacità – noi, gli Stati Uniti e il Regno Unito. In Europa siamo gli unici. È vero che la Francia ha una portaerei nucleare, ma ha i caccia di quarta generazione. Quindi, il nostro vantaggio tecnologico sugli altri Paesi oggi è assoluto.
Altri Paesi si doteranno di questo sistema. Il Giappone avrà due portaerei, con i caccia di quinta generazione. Ci metterà del tempo prima di poter dichiarare di avere capacità operative come le nostre. La Cina si sta dotando di portaerei con caccia di quinta generazione, ma ci vorrà molto tempo. Quindi, questo ci dà oggi una capacità di expeditionary che hanno solamente tre Paesi al mondo. Questo l'abbiamo conseguito – lo ripeto – con diciotto mesi di anticipo grazie a questa attività, che è la prima volta che l'Italia svolge. È la prima volta che l'Italia manda il gruppo portaerei fuori dai normali bacini di navigazione per un periodo così prolungato. Tutto questo ci ha dato una credibilità a livello internazionale molto forte, un credito che l'Italia può vantare su qualunque tavolo.
Per quanto riguarda la cooperazione internazionale, abbiamo avviato moltissimi colloqui con tutte le Marine del Sud-Est asiatico, fino all'Australia, che prima non avevamo. Quest'anno abbiamo impiantato i primi colloqui bilaterali con moltissimi Paesi e a livello internazionale abbiamo stretto un forte rapporto con Francia, Regno Unito e Stati Uniti, che non avevamo fino a tre anni fa. Fino a tre anni fa c'era un gruppo ristretto di Paesi – Francia, USA e Regno Unito – che hanno una portaerei con caccia di quinta generazione o nucleare, che dettavano legge a livello mondiale. Noi cercavamo di entrare in questo gruppo, ma non ci riuscivamo. Poi, con lo scoppio della guerra russo-ucraina e con gli effetti sul Mediterraneo - quindi l'aumento della flotta russa nel Mediterraneo, che ci ha costretto a mettere in mare in maniera preponderante la nostra flotta e ha fatto tornare gli americani con la portaerei nel Mediterraneo -, da quel momento abbiamo dato la scorta agli americani delle nostre FREMM, in chiave antisommergibile russo; c'erano tre sommergibili russi, di cui uno con missili balistici, che sono l'incubo degli americani; del resto, i sommergibili russi nascono per affondare le grandi portaerei. Quindi, la credibilità che abbiamo conseguito ci ha consentito di entrare in questo gruppo ristretto, che oggi è un QUAD dove siamo dentro a pieno titolo.
In diversi momenti, l'ultimo è stata la Conferenza navale di Parigi di quest'anno, abbiamo stabilito una rotazione dei gruppi portaerei europei nell'Indo-Pacifico (non Unione europea, ma europei, dato che sono presenti anche gli inglesi). L'idea è di avere sempre un gruppo portaerei europeo nell'Indo-Pacifico e un gruppo pronto nel Mediterraneo o nell'Atlantico del Nord per qualunque esigenza. Noi siamo rientrati dopo sei mesi, adesso sono partiti i francesi, che stanno per transitare Suez, staranno nell'Indo-Pacifico sei mesi, poi andranno gli inglesi e così via, con gli americani che hanno, ovviamente, un gruppo portaerei in tutti e tre i quadranti. Comunque, questo ci consente di far parte di questo QUAD che stabilisce le regole e l'impiego dei gruppi portaerei, che è il riferimento a livello internazionale per l'uso della portaerei.
Abbiamo attivato colloqui con questi Paesi, colloqui che prima non avevamo. Per la prima volta nella nostra storia, abbiamo fatto un'importante esercitazione con l'India. Il Capo della Marina indiana, l'anno scorso, quando l'ho incontrato, mi aveva detto che voleva iniziare a lavorare con noi, che loro lavoravano molto con i francesi e Pag. 9gli inglesi e che avrebbe voluto che l'Italia venisse in India con le sue navi. Ebbene, siamo andati e abbiamo fatto un'importante attività addestrativa con le portaerei, che ha riscosso un grande successo. Certamente l'India, dal punto di vista militare, vede l'Italia come un partner privilegiato. Questo, come conseguenza, ha fatto sì che anche il Pakistan voglia che adesso lavoriamo con loro. Quindi, come sempre, è tutto collegato. Come dicevo, abbiamo attivato colloqui bilaterali con tutti i Paesi dell'area e abbiamo iniziato a mandare le navi in quelle aree.
In questa slide (slide n. 18) vedete i colloqui che abbiamo oggi attivi con le Marine del mondo o che stiamo avviando quest'anno. Parliamo di quarantaquattro Paesi. Certamente questo favorisce il dialogo a livello anche di difese. Questo, peraltro, è un unicum delle Marine, dal momento che uno dei compiti storici della Marina è quello di naval diplomacy, ovvero la Marina va in giro per il mondo ed è il braccio lungo del Ministero degli Affari esteri.
La differenza di approccio la si può apprezzare confrontando il giro del mondo del Vespucci che si sta concludendo con quello fatto vent'anni fa. Vent'anni fa il Vespucci ha fatto il giro del mondo, ma era incentrato prevalentemente sulla Coppa America, in Nuova Zelanda. È andato lì per la Coppa America, visto che regatava una barca italiana, e poi ha fatto il giro del mondo. Ma era un giro del mondo addestrativo, lasciato un po' a sé stante. Questa volta, invece, è stato deciso dal Ministro della Difesa di mandare in giro per il mondo il sistema-Italia. Sono undici i Ministeri rappresentati. C'è una cabina di regia che si muove con il Vespucci e con un Villaggio Italia, che ha riscosso un grande successo. Non so se qualcuno di voi è andato a visitare il Villaggio Italia del Vespucci: ci sono folle di persone, 45-50 mila visitatori a sosta in quattro giorni, 45-50 mila persone che vedono il Vespucci e il Villaggio Italia, con le autorità governative di difesa che vanno a bordo e si innamorano di questa nave, che sicuramente è la nave più bella del mondo; non lo diciamo noi, ce lo dicono gli altri. Questo ha un valore che va molto al di là del semplice addestramento della Marina per gli allievi dell'accademia o per la Marina in senso generale, perché è proprio la diplomazia italiana che va in giro per il mondo. È certamente un viaggio che rimarrà nella storia del nostro Paese.
Con riferimento al posizionamento industriale, noi costruiamo navi, oltre che belle – e l'estetica ovviamente ha il suo perché – estremamente efficaci e molto innovative. Sicuramente, Fincantieri e Leonardo oggi sono riconosciuti in tutto il mondo. Probabilmente Fincantieri in questo momento è la miglior shipbuilding company al mondo, meglio degli inglesi, dei francesi e degli spagnoli. Costruisce navi estremamente efficaci e innovative, in collaborazione con Leonardo. Quindi, il posizionamento industriale è stato molto, molto buono e continua ad esserlo.
Nel 2025 stiamo ultimando la pianificazione di una nuova campagna, che faremo con una FREMM nell'Indo-Pacifico, campagna che partirà a metà gennaio e durerà sei mesi. La nave parteciperà a tutti i principali saloni internazionali di difesa dell'area e parteciperà anche all'apertura dell'Expo in Giappone. Sarà in banchina quando verrà inaugurato l'Expo, l'anno prossimo, in Giappone. Ce l'hanno chiesto i giapponesi. Questo fa capire, quando si va in un posto, quanto poi c'è richiesta di italianità.
A livello mondiale ci sono due simposi sulla marittimità, che si svolgono ad anni alterni, i nostri negli anni pari, negli Stati Uniti negli anni dispari. Grazie ai deployment degli ultimi anni, all'ultimo simposio, che si è svolto due mesi fa a Venezia, abbiamo avuto una presenza impressionante di Capi di Marine del mondo. Sessantasette sono stata le Marine che sono venute a Venezia, per tre giorni, a parlare del mondo subacqueo, con 150 organizzazioni internazionali. Il simposio americano è solo militare, io l'ho aperto alle organizzazioni internazionali, e vi assicuro che è stato un grandissimo successo. Ma questo perché? Perché siamo andati lì. Insomma, Pag. 10bisogna essere presenti e, chiaramente, bisogna essere credibili.
Ciò che avviene nell'Indo-Pacifico si riverbera direttamente sulla nostra economia tramite gli stretti ed essere presenti significa ribadire e rimarcare l'importanza di mantenere aperte le linee di comunicazione e ricordare a tutti che l'alto mare è mare di tutti. Ricordo che, quando Gheddafi chiuse il Golfo della Sirte perché sosteneva che quello fosse un mare interno libico; il giorno dopo vi entrarono la flotta americana, la flotta francese, la flotta inglese e la nostra flotta. Questo per sottolineare che l'alto mare è alto mare e tutti hanno il diritto di navigare in alto mare. Ma per farlo bisogna essere presenti, e questo è quello che avviene nel Mar Cinese meridionale, dove si transita perché quello è alto mare. I distretti sono comunque transitabili. Noi non siamo andati nell'Indo-Pacifico per dare messaggi ai cinesi o ai coreani, ma siamo andati per ribadire che l'alto mare è un mare libero, per ribadire che l'UNCLOS è essenziale, ma anche per proteggere e garantire i traffici che dall'Indo-Pacifico arrivano al Mediterraneo, che sono fondamentali per la nostra economia.
Io mi fermerei qui e lascerei spazio agli interventi e alle domande. Grazie.
PRESIDENTE. Grazie, Ammiraglio.
Saluto e ringrazio la senatrice Pucciarelli, già sottosegretario alla Difesa, che ha voluto essere presente.
Do la parola ai colleghi parlamentari che intendono intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.
ANDREA DI GIUSEPPE. La ringrazio, Ammiraglio Credendino. Come si dice negli Stati Uniti, grazie per il vostro servizio.
Dalla sua presentazione mi pare vengano fuori dati piuttosto chiari. Il primo è che finalmente questo Paese ha capito che le nostre eccellenze – come siete voi – vanno non solo valorizzate, ma anche mostrate. Lei ha detto una cosa giusta: bisogna esserci in alto mare, non possiamo farlo per delega. Bisogna esserci e bisogna esserci in una certa maniera. Quindi, più noi investiamo in spese militari e più questo – piaccia o non piaccia – è direttamente proporzionale alla crescita economica del sistema-Paese. Gli Stati Uniti ci insegnano questo concetto. Questo per due aspetti fondamentali: voi siete un magnifico – mi passi e mi perdoni il termine – sample book per le altre nazioni per comprare i nostri prodotti dalle nostre grandi aziende. Tuttavia, queste vostre campagne portano beneficio anche alla semplice piccola e media azienda. Io sono andato a vedere la Vespucci due volte, una negli Stati Uniti e una a Santo Domingo, e passerò il 31 dicembre ad Abu Dhabi, al Villaggio Italia, e non si parla d'altro. Quindi, tutto il sistema-Italia, il tessuto economico, le nostre piccole e medie aziende, che non hanno niente a che vedere con la difesa, beneficiano di questa eccellenza che voi siete. Questa è una cosa veramente incredibile, che è andata ben oltre le migliori aspettative. Quindi, io sottolineerei il fatto che questa comunicazione, questo branding del sistema andrebbe fatto, come voi state già pensando di fare, anche nel 2025.
Lo scacchiere di cui parliamo ovviamente è lo scacchiere economico del domani. Le guerre prima o poi finiranno, quindi si aprirà un capitolo diverso, dove tutti gli attori economici, i players internazionali dovranno intervenire, quindi avere a fianco delle nostre imprese la Marina, indirettamente, è una cosa che non è mai successa nella storia, almeno ultima, italiana. Dunque, io suggerisco con sempre più convinzione di investire ben oltre il 2 per cento di cui si parlava come tetto minimo. Come sostiene il nostro Ministro della Difesa, noi dovremmo investire il 2,5-3 per cento del PIL per essere ad un certo tipo di situazione.
Vi ringrazio, quindi, per il vostro servizio, anche perché vi posso garantire, non da parlamentare, ma da piccolo e medio imprenditore, che l'eccellenza italiana che state portando nel mondo comincia a far sentire grandi benefìci a tutti noi.
Grazie.
DEBORAH BERGAMINI, intervento in videoconferenza. Ringrazio l'Ammiraglio Credendino per averci fornito un quadro complessivo molto ben fatto e molto utile per Pag. 11noi, anche in chiave prospettica. È evidente il valore della Marina militare per il nostro sistema-Paese, come ha ben ribadito il collega Di Giuseppe. Ciò che noi dobbiamo chiederci è anche come possiamo, da un punto di vista prospettico e legislativo - ma non solo - essere di supporto al lavoro della Marina militare.
Un tema che ho ascoltato con particolare attenzione è quello che riguarda il futuro del Mar Mediterraneo. L'Ammiraglio ci diceva che l'apertura della rotta artica potrebbe, in prospettiva, creare grosse problematiche al traffico commerciale nel Mediterraneo. C'è tutto il tema della sicurezza e del vertiginoso calo di traffico legato alle attività terroristiche degli Houthi, che – come ci diceva l'Ammiraglio – stanno chiaramente beneficiando la Cina. Questo è un elemento che mi ha colpito molto.
Vorrei capire dall'Ammiraglio – nella prospettiva di molti rischi per gli equilibri economici, commerciali e anche di sicurezza del Mare Mediterraneo, che naturalmente ci riguarda in primis – come possiamo essere di ulteriore supporto o che tipo di lavoro si può fare, come Parlamento, come Commissione Affari esteri. Effettivamente preoccupa molto il futuro del nostro mare, anche il fatto che abbiamo strutture portuali meno attrezzate di quelle dei mari del nord.
Tutto il quadro che l'Ammiraglio ci ha fatto ci dimostra che c'è una criticità nel Mar Mediterraneo che va affrontata con grande forza, e va affrontata ora.
LIA QUARTAPELLE PROCOPIO, intervento in videoconferenza. Signor presidente, la ringrazio. Ringrazio molto l'Ammiraglio Credendino. Il quadro che ci ha fatto è estremamente utile.
Ho due domande. La prima riguarda la difesa europea: la nostra Marina – come Lei ci ha detto – è una Marina eccellente, sempre più riconosciuta al mondo anche grazie alle iniziative prese nell'Indo-Pacifico. Qual è il tipo di collegamento tra queste iniziative e il necessario sviluppo di una difesa sempre più comune?
La seconda domanda riguarda, invece, il Mediterraneo: come diceva la collega Bergamini, [problemi di audio] la sua audizione, le cose che Lei ci ha detto sulla centralità del Mediterraneo, ma anche sul rischio che questa centralità venga messa in discussione.
Abbiamo ragionato sulla Via del cotone e su quanto il legame tra Mediterraneo e Indo-Pacifico possa essere [problemi di audio] nei prossimi mesi. Non so se su questo può dirci qualcosa di più.
Grazie.
SIMONE BILLI. Signor presidente, anch'io ringrazio l'Ammiraglio. È vero, è un tema vasto, il nostro tempo a disposizione è poco, quindi cercherò di essere breve.
Ammiraglio, mi sono segnato un paio di appunti. Considerando – come ha detto giustamente anche Lei prima – che la flotta più grande al mondo - in termini numerici, ma non operativi - è quella cinese, secondo la vostra esperienza quali sono i Paesi dell'Indo-Pacifico che stanno sviluppando politiche di difesa più significative? In altre parole, in quali Paesi dell'Indo-Pacifico il riarmo navale sta crescendo più rapidamente?
Sarei interessato, Ammiraglio, ad avere due sue parole – come già accennava anche la mia collega – sulla proiezione delle Marine dei Paesi europei nell'Indo-Pacifico in generale, compatibilmente con i tempi a disposizione.
Ne approfitterei per chiederle altre due cose molto veloci. Dal vostro punto di vista, quali sono le principali difficoltà nello sviluppare una difesa comune europea, quindi non solo in chiave Indo-Pacifico? In particolare, quando potremo cominciare a pensare ad una Marina europea? Considerando, come ha detto anche Lei, che la Marina è un fattore chiave, la possiamo anche definire una naval diplomacy, come potremmo sviluppare una naval diplomacy europea? Considerando, per esempio, che adesso a livello europeo stiamo portando avanti due progetti per due caccia differenti; quindi, si vede una divisione di sforzi, che forse non è molto produttiva dal punto di vista realistico sul territorio. Forse sarebbe bene sviluppare un solo caccia europeo, e così anche – immagino io – dal punto di vista navale.Pag. 12
Una curiosità, Ammiraglio, rispetto a quello che diceva prima: quali sono le principali difficoltà, in generale, nell'uso di una portaerei, quindi come i cinesi dovrebbero sviluppare l'uso delle proprie portaerei? Lei accennava al fatto che non è solo necessario avere la porterei o avere un sistema navale efficiente, ma bisogna anche saperlo usare. Sono curioso, da inesperto: quali sono le principali problematiche nell'uso di una portaerei o di una flotta navale militare?
Grazie.
PRESIDENTE. Si sono prenotati ancora due colleghi. Prego di essere brevissimi, perché stiamo esaurendo il nostro tempo. Poi ci sarà un brevissimo secondo giro di domande.
BENEDETTO DELLA VEDOVA, intervento in videoconferenza. Signor presidente, La ringrazio.
Grazie mille, Ammiraglio, anche per aver ricordato questo episodio, quando perdemmo con gli inglesi la vendita agli australiani; fa piacere sapere che non si trovino bene, magari torneranno sui propri passi.
Volevo fare una domanda – l'ha fatta il collega Billi – sull'integrazione europea: io auspicherei, in prospettiva, un sistema di difesa comune, anche dal punto di vista delle Marine. Lei ha accennato all'ingresso dell'Italia nel quartetto; mi chiedevo se si muove qualcosa anche a livello di Unione europea.
Ho una curiosità, già sollevata anche dai colleghi, che riguarda il tema delle rotte artiche. Peraltro, mi complimento con il vicepresidente Formentini per questo approfondimento sull'Indo-Pacifico e meritoriamente anche per aver già previsto un lavoro di questo tipo sull'Artico, dove l'Italia è un Paese osservatore nel Consiglio Artico. Sul tema della rotta artica, c'è un approfondimento di carattere scientifico, innanzitutto, una revisione, uno scenario – con le variabili date attualmente – di apertura delle rotte artiche, oppure stiamo aspettando di capire? Questo tema mi interessa.
Grazie mille.
STEFANO GIOVANNI MAULLU, intervento in videoconferenza. Signor presidente, La ringrazio.
Grazie, Ammiraglio, per ciò che ci ha messo a disposizione. Io esulo un attimo dal tema dell'Indo-Pacifico per chiederle una riflessione rispetto a tutte le infrastrutture sottomarine che consentono la connessione globale di tutte le varie parti del mondo, per chiederle, rispetto al know how che la nostra Marina ha storicamente come ricchezza in termini assoluti, se esiste un percorso di approfondimento per quanto riguarda i mezzi, le attrezzature, lo sviluppo del monitoraggio, interventi preventivi rispetto ad azioni di sabotaggio, rispetto, ad esempio, alle reti internet che sono collocate sul fondo marino piuttosto che tutto ciò che viaggia sott'acqua e che ci consente di essere connessi.
PRESIDENTE. Grazie. Se è brevissimo, la parola all'onorevole Malaguti, così chiudiamo il giro di domande.
MAURO MALAGUTI. Signor presidente, la ringrazio.
Grazie, Ammiraglio, per la sua presenza. Sappiamo che i conflitti stanno cambiando molto velocemente con le guerre ibride e le operazioni cognitive. La flotta russa temeva molto i droni ucraini. Anche gli Houthi utilizzano questi sistemi, che costano molto meno, però sono molto pericolosi. Volevo chiederle se ci stiamo attrezzando in questo senso.
Concludo dicendo che mi fa molto piacere vedere che oggi stiamo ricoprendo quel ruolo importante – che avremmo dovuto avere sempre, essendo una piattaforma sul Mediterraneo – di controllo di quell'area, che in futuro sarà sempre più pericolosa.
PRESIDENTE. Do la parola all'Ammiraglio Credendino per le risposte.
ENRICO CREDENDINO, Capo di Stato Maggiore della Marina militare. Vi ringrazio.
Difesa europea: io sono un tecnico e la questione è politica. Auspico, ovviamente, Pag. 13che la difesa sia sempre più integrata, anche perché oggi nessuno può fare niente da solo. Il gruppo portaerei è andato nell'Indo-Pacifico e ha transitato attraverso Bab-el-Mandeb anche grazie alle scorte alleate, perché quando abbiamo transitato quell'area c'erano navi americane, c'erano aerei francesi e americani che volavano per proteggere la portaerei da eventuali droni. Quindi, oggi nessuno fa niente da solo.
A livello tecnico, l'integrazione è molto buona, soprattutto tra le Marine. Le Marine sono abituate da sempre, dal dopoguerra in poi, a lavorare insieme. Le navi escono dal porto, si riuniscono navi straniere e lavorano insieme. Non c'è differenza tra la nave italiana e la nave inglese. Abbiamo procedure comuni, abbiamo sistemi comuni, siamo totalmente interoperabili. Quindi, a livello tattico l'integrazione è molto buona. Il problema è una questione politica: l'integrazione europea richiede prima una vera politica estera comune e un'industria della difesa comune. È vero, ogni Paese costruisce il suo aereo, la sua nave, il suo carrarmato, cosa che non avviene negli Stati Uniti, per esempio, dove i modelli sono unici. Noi a quello dovremo puntare, ad avere un solo tipo di fregata, un solo tipo di caccia, un solo tipo di portaerei. Non avviene questo, ma è una questione di volontà politica. Auspico che questo avvenga; è molto complicato, perché bisogna cedere sovranità, ma questa – voi me lo insegnate – è una questione di volontà politica.
Dal punto di vista operativo, siamo molto ben attrezzati, soprattutto a livello di Marine. Questa questione di aver messo insieme – in turno, in rotazione, di fatto – l'impiego delle portaerei nell'Indo-Pacifico è la dimostrazione che, anche se il Regno Unito non è più nell'Unione europea, ma fa parte dell'Europa militare, la volontà c'è, sicuramente a livello tattico, ma non solo. Ci vuole ancora tempo, però. La strada non può essere che quella, altrimenti saremo perdenti, secondo me. Quindi, o si fa una vera integrazione della difesa europea oppure non andiamo da nessuna parte.
Il futuro del Mediterraneo: che cosa si deve fare? Bisogna investire in marittimità. La Marina Militare è una costola del cluster marittimo, una costola fondamentale perché noi consentiamo a tutto il cluster marittimo – mercantili, pescatori, eccetera – di lavorare in sicurezza in mare. Bisogna investire in marittimità a tutto tondo, iniziando dai porti. Non basta costruire un porto, poi ci vuole il sistema di comunicazione terrestre che porti le merci da Gioia Tauro a Francoforte, per esempio. Bisogna investire a tutto tondo e guardare la marittimità italiana a 360 gradi.
Per me, che sono un marinaio da quarantacinque anni, il fatto che questo Governo abbia istituito il Ministero del Mare, che è all'inizio del suo percorso, del suo cammino, è stato un messaggio fondamentale per noi. Per «noi» intendo tutta la marittimità nazionale. Questo Governo, con questo Ministero, dimostra di aver capito quanto è importante il mare per il nostro Paese. Gli anglosassoni hanno coniato il termine – Sea Blindness – e se lo fanno gli inglesi, che sono un'isola... Anche per loro c'è una marcata incapacità, da parte dei taxpayers e anche dei governanti, in molti casi, di capire quanto è importante il mare per l'economia, proprio per la vita stessa del Paese. L'istituzione del Ministero del Mare è un passo molto importante. Bisogna investire molto di più in marittimità e capire, secondo me, che attraverso il mare l'Italia può avere veramente un ruolo guida a livello europeo. Lo può avere attraverso la terra, attraverso lo spazio. Attraverso il mare sicuramente sì, ed è un nostro interesse, perché noi abbiamo 8 mila chilometri di costa, sette ottavi della nostra frontiera sono frontiera liquida. Certo, il nemico può passare le Alpi, ma se passa le Alpi vuol dire che siamo in un'altra dimensione, perché c'è un sistema di alleanze che ci protegge.
Dal mare può arrivare qualunque cosa. Questo richiede, quindi, di essere pre-posizionati, di avere le navi in mare pronte ad intervenire, avere il controllo di quello che avviene in mare, sopra e sotto la superficie. Qui mi riallaccio alla questione del mondo subacqueo. Il mondo subacqueo è la vera nuova frontiera dell'umanità. Il mondo investe miliardi nella corsa allo Pag. 14spazio. Sott'acqua siamo rimasti ai tempi di Jules Verne di Ventimila leghe sotto i mari. Invece, il 70 per cento di quello che ci serve per vivere proviene dal mare, da sotto il mare. Il cibo del prossimo secolo per il 50 per cento proverrà dal mare.
Quello che avviene sott'acqua è molto meno influenzato dagli effetti dei cambiamenti climatici di quello che avviene sopra la superficie. La temperatura è stabile. Un esempio: i grandi data centers – che saranno sempre più numerosi perché l'intelligenza artificiale richiederà data centers molto energivori – hanno un grande problema di inquinamento, di dissipare il calore. Questo problema sott'acqua non c'è, perché la temperatura è stabile. Le grandi imprese, tipo Google, stanno cominciano a mettere data centers sott'acqua perché non c'è il problema dell'inquinamento, di dissipare l'energia.
Pensiamo alle terre rare: c'è un fondale abissale dove c'è una quantità di tungsteno pari a 6 mila volte tutto il tungsteno che si trova nella superficie terrestre. Chi riesce ad accedere alle terre rare sott'acqua può, per esempio, svincolarsi da Cina e Taiwan sui cellulari, i microprocessori eccetera. Oggi l'80 per cento dei fondali è inesplorato, il 97 per cento dei fondali abissali è inesplorato. Soltanto il 3 per cento dei fondali abissali è mappato, quindi – per assurdo – conosciamo meglio le superfici di Giove e di Marte rispetto ai nostri fondali. È difficile da capire, ma questo è il dato di fatto.
Bisogna invertire questo. Il Nord Stream 2 e tutti gli attentati che sono stati fatti a cavidotti e gasdotti ci hanno insegnato quanto sono vulnerabili le infrastrutture critiche. Le infrastrutture critiche nazionali, peraltro, per l'Italia sono prevalentemente subacquee (Eni, Terna, Sparkle, cavidotti, condotte che portano elettricità, comunicazioni digitali e così via) e sono molto vulnerabili. Si riesce ad arrivare a 3 mila metri di profondità oggi in maniera abbastanza agevole. Come ci si arriva per motivi buoni, ci si arriva anche per motivi cattivi. Nel Mar Rosso, per esempio, i fondali sono bassi 100-200 metri. Oggi gli Houthi ancora non sono attrezzati, ma non è difficile fare un attentato a quella profondità. Anche l'incidente è possibile. Se una nave mercantile dà fondo all'àncora nel punto sbagliato, quando tira su l'àncora trancia il cavo. È una cosa che avviene, per esempio, a Pantelleria: ogni tanto il cavo che collega Pantelleria alla terraferma viene tranciato dalle ancore dei pescatori.
Siamo poco attrezzati per intervenire perché abbiamo investito poco. L'Italia ha creato questa struttura – il Polo nazionale della dimensione subacquea, lo ricordavo prima – che mette insieme tutti: Ministeri, piccole e medie imprese, università, industria della difesa, sotto la regia della Marina Militare. Serve a fare studi, ricerche e a pensare al futuro. Abbiamo investito pochissimo. Questo è l'aiuto che io chiedo a voi. Un investimento iniziale di 5 milioni di euro farà partire l'organizzazione, ma non è assolutamente sufficiente ad avere un ruolo che l'Italia potrebbe avere da protagonista se sfruttasse – come dicevamo prima – il mare sopra e sotto la superficie.
Pensando a questo, bisogna pensare ad investimenti molto più importanti non per la Marina, ovviamente, ma per il Sistema Paese. Questo è un mondo totalmente duale, peraltro, che sarà costituito da sensori che ci devono dire chi transita e dove. Ricordo che sott'acqua non si vede e non si sente, quindi è un mondo molto complesso dal punto di vista delle leggi fisiche che lo regolano. Occorre sapere chi transita e dove e poi riuscire a trasmettere queste informazioni a navi madri, che poi le mandano agli enti a terra. E poi sarà un mondo popolato da droni, tutti droni duali, perché intervengono per fini civili (ispezionare cavi, riparare cavi, riparare condotte) e anche per fini militari, quando serve (contrastare, quindi, aggressioni).
La Russia è molto avanti, ha navi attrezzate a fare sabotaggi subacquei, navi che sembrano navi mercantili, navi oceanografiche, che invece sono molto ben attrezzate e addestrate ad intervenire in quell'area. Bisogna correre.
Noi abbiamo creato una struttura sicuramente all'avanguardia a livello internazionale. Bisogna popolarla. Anche perché grazie al mare noi veramente potremo avere Pag. 15un ruolo, secondo me, di primo livello, a livello senz'altro europeo.
La questione artica. Oggi è difficile fare previsioni sull'apertura o meno della rotta artica, perché dipenderà veramente da quali saranno gli effetti dei cambiamenti climatici, quindi tutto quello che è correlato a questo. Bisogna investire, bisogna essere presenti. Noi, come Marina, mandiamo tutti gli anni una nostra nave oceanografica nell'Artico, per fare una campagna estiva, proprio per fare studi e ricerche e capire i modelli collegati all'apertura o meno di questa rotta. Devo dire che la Russia è molto avanti nella gestione della rotta artica, certamente anche per questioni geografiche. Anche la Cina è molto avanti. I Paesi occidentali sono rimasti un po' indietro.
Da un punto di vista marittimo, la rotta artica è molto complicata, perché la gestione della logistica dei grandi freddi è molto complessa. Le navi devono essere attrezzate per poter navigare in quelle aree. Certamente, se si dovesse aprire in maniera preponderante, questo sarà un grosso problema per l'Italia. Il Mediterraneo ha già subìto l'effetto della chiusura di Bab el-Mandeb. Se poi si apre anche la rotta artica, è difficile immaginare che qualcuno continui ad entrare nel Mediterraneo per andare da est a ovest, e viceversa; si passa da nord o da sud; è meno pericoloso e si fa prima a nord; a sud è meno pericoloso, ma è molto più costoso: ci vogliono tre settimane in più per fare il giro dell'Africa. Questo ha un impatto immediato sull'aumento dei costi delle materie prime, per esempio. Siccome c'è anche la pirateria, aumentano anche i premi delle assicurazioni.
I problemi marittimi, quindi, hanno un impatto immediato sull'economia e sulla nostra vita.
Quali sono i Paesi presenti nell'Indo-Pacifico? Da sempre Stati Uniti, Regno Unito e Francia, ma prima di noi ci sono andati, per esempio, i tedeschi. I tedeschi hanno cominciato a mandare le loro fregate l'anno prima di noi, e la Germania non è certo un Paese marittimo. L'Australia, per ovvi motivi. Anche il Canada sta pensando ad una presenza permanente nell'Indo-Pacifico. La Spagna comincerà a mandare le navi. Quindi, i Paesi che hanno Marine d'altura stanno tutti investendo e mandando le proprie navi nell'Indo-Pacifico. Come dicevamo prima, chi è presente è credibile; chi non è presente fa solo chiacchiere. Bisogna essere visibili, presenti e lavorare con quei Paesi che hanno metodi di lavoro diversi dai nostri. Anche per questo per noi è fondamentale essere in quell'area.
La difficoltà nell'uso della portaerei: la portaerei è una città, le nostre sono piccole, ma quelle americane hanno 6 mila persone, quindi, sono dei Paesi. Bisogna imparare a gestirli. Il Cavour è andato con il ponte di volo totalmente pieno. È molto complicato gestire i movimenti sul ponte di volo, le tecniche per impiegare gli aerei. Ci vogliono anni. Non basta averle, ma bisogna saperle usare.
Le navi cinesi adesso sono navi, da un punto di vista qualitativo, buone. Vent'anni fa io ho visitato un caccia quando ero nell'Oceano Indiano, nel 2012, una nave nuova cinese, molto bella apparentemente, ma copiata da una nave occidentale. Non è che fosse, da un punto di vista tecnologico, così avanzata. Oggi no, oggi sono navi efficienti, efficaci, molto avanzate e molto performanti. Bisogna vedere l'uso. Diciamo che tra dieci anni le sapranno usare. Bisogna essere pronti tra dieci anni a fare i conti con la prima Marina del mondo. La risposta della Marina americana è stata di passare dalla flotta a duecento navi a una flotta di oltre 500 tra navi e mezzi unmanned. Questa è stata la risposta. Gli Stati Uniti, chiaramente, hanno subito ricominciato ad investire in navi per triplicare la flotta e avere una flotta in grado di bilanciare quella cinese. Gli americani dicono sempre che il prossimo conflitto nascerà in quell'area. Dobbiamo essere pronti a questo ed essere pronti – come dicevo prima – ad attrezzarci con questi nuovi mezzi: aerei, droni in superficie e droni subacquei. I droni subacquei non li vede nessuno oggi. Non c'è difesa contro un drone subacqueo. Abbiamo visto che le navi russe sono vulnerabili ai droni in superficie. Certo, non Pag. 16sono le navi più nuove della flotta russa quelle che sono state colpite, però il drone in superficie è anche complicato da vedere, quello aereo è complicatissimo. Bisogna attrezzarsi.
Bisogna anche cambiare mentalità. Noi ci eravamo abituati, nel periodo della guerra fredda, per tutto il post caduta del muro di Berlino fino all'invasione della Russia in Ucraina, a missioni di peacekeeping, in tutte le accezioni del termine. L'Afghanistan certamente è un'operazione dove c'erano conflitti locali ad alta intensità, ma di fatto era un'operazione a supporto della pace. Nel Mar Rosso noi siamo in guerra; possiamo chiamarla come ci pare, ma lì ci bombardano, ci lanciano missili aerei di superficie, droni. Abbiamo dovuto cambiare l'addestramento, noi e i nostri alleati, per essere in grado di usare lo strumento in tutto lo spettro ad alta intensità, cosa che mentalmente non eravamo più abituati a fare. L'abbiamo fatto, abbiamo cambiato le modalità di addestramento, abbiamo chiesto all'industria nazionale. Noi costruivamo le navi e dopo pensavamo ad armarle. Adesso la nave deve arrivare con l'equipaggio bellico completo, perché quando parte e va in Mar Rosso rischia di trovarsi scoperta.
Il problema di reagire ad un drone da 50 mila euro con un missile di 3 milioni non riguarda solo il valore economico del missile, ma il fatto che non ce ne sono. L'industria non era abituata a fornire armi nella quantità che serve oggi. Quindi, l'industria deve accelerare e sta accelerando la produzione. In una notte una nave americana ha svuotato il deposito, ha lanciato ottantotto missili, perché è stata attaccata da uno sciame di droni. Noi in sei ore finiamo il munizionamento, quindi ci dobbiamo arrendere dopo sei ore. Sto esagerando. Questa situazione ha richiesto un netto cambio di mentalità a noi per l'addestramento – e l'abbiamo fatto subito – e all'industria per la fornitura di sistemi, e si sta attrezzando.
Più o meno ho completato.
PRESIDENTE. Ringrazio davvero di cuore l'Ammiraglio Credendino per l'autorevole contributo ai nostri lavori, e anche per la documentazione, che sarà pubblicata in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna (vedi allegato).
Dichiaro conclusa questa audizione, con l'auspicio che l'Italia continui ad essere presente, anzi incrementi la propria presenza nell'area dell'Indo-Pacifico. Grazie davvero.
La seduta termina alle 9.45.
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