XIX Legislatura

III Commissione

COMITATO PERMANENTE SUI DIRITTI UMANI NEL MONDO

Resoconto stenografico



Seduta n. 21 di Martedì 10 settembre 2024

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Boldrini Laura , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULL'IMPEGNO DELL'ITALIA NELLA COMUNITÀ INTERNAZIONALE PER LA PROMOZIONE E TUTELA DEI DIRITTI UMANI E CONTRO LE DISCRIMINAZIONI

Audizione di rappresentanti della Fondazione Pangea ETS.
Boldrini Laura , Presidente ... 3 
Lanzoni Simona , rappresentante della Fondazione Pangea ETS ... 4 
Boldrini Laura , Presidente ... 5 
Raz Mohammad Azadah , rappresentante della Fondazione Pangea ETS ... 5 
Boldrini Laura , Presidente ... 7 
Nawabi Frozan , rappresentante della Fondazione Pangea ETS ... 7 
Boldrini Laura , Presidente ... 9 
Lanzoni Simona , rappresentante della Fondazione Pangea ETS ... 10 
Boldrini Laura , Presidente ... 11 
Nawabi Frozan , rappresentante della Fondazione Pangea ETS ... 11 
Boldrini Laura , Presidente ... 12 
Raz Mohammad Azadah , rappresentante della Fondazione Pangea ETS, intervento in videoconferenza ... 12 
Boldrini Laura , Presidente ... 12 
Quartapelle Procopio Lia (PD-IDP)  ... 12 
Boldrini Laura , Presidente ... 13 
Raz Mohammad Azadah , rappresentante della Fondazione Pangea ETS, intervento in videoconferenza ... 13 
Lanzoni Simona , rappresentante della Fondazione Pangea ETS ... 14 
Boldrini Laura , Presidente ... 15 

Allegato 1: Presentazione informatica illustrata da Azadah Raz Mohammad, rappresentante della Fondazione Pangea ETS. ... 16 

Allegato 2: Presentazione informatica illustrata da Frozan Nawabi, rappresentante della Fondazione Pangea ETS. ... 28

Sigle dei gruppi parlamentari:
Fratelli d'Italia: FdI;
Partito Democratico - Italia Democratica e Progressista: PD-IDP;
Lega - Salvini Premier: Lega;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Berlusconi Presidente - PPE: FI-PPE;
Azione - Popolari europeisti riformatori - Renew Europe: AZ-PER-RE;
Alleanza Verdi e Sinistra: AVS;
Noi Moderati (Noi con L'Italia, Coraggio Italia, UDC e Italia al Centro) - MAIE: NM(N-C-U-I)-M;
Italia Viva - il Centro - Renew Europe: IV-C-RE;
Misto: Misto;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-+Europa: Misto-+E.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE
LAURA BOLDRINI

  La seduta comincia alle 11.30.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la resocontazione stenografica e la trasmissione attraverso la web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di rappresentanti della Fondazione Pangea ETS.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sull'impegno dell'Italia nella Comunità internazionale per la promozione e tutela dei diritti umani e contro le discriminazioni, l'audizione di rappresentanti della Fondazione Pangea ETS.
  Ricordo che la partecipazione da remoto è consentita alle colleghe e ai colleghi secondo le modalità stabilite dalla Giunta per il Regolamento.
  Anche a nome dei componenti del Comitato, saluto e ringrazio per la disponibilità a prendere parte ai nostri lavori la dottoressa Simona Lanzoni, vicepresidente della Fondazione Pangea; la dottoressa Azadah Raz Mohammad, collegata in videoconferenza, consulente legale della campagna Ending Gender Apartheid; la dottoressa Frozan Nawabi, rappresentante della Fondazione Pangea ETS, nonché ex Direttrice per i diritti umani del Ministero degli esteri afgano.
  Saluto, altresì, la dottoressa Manuela Campitelli, responsabile della comunicazione della Fondazione Pangea.
  Ricordo che la Fondazione Pangea è un'organizzazione no profit che dal 2002 lavora per favorire lo sviluppo economico e sociale delle donne, delle loro famiglie e delle comunità circostanti. Agisce in conformità delle linee di cooperazione allo sviluppo indicate dai Paesi in cui opera, dalle Nazioni Unite, dall'Unione europea e dal Consiglio d'Europa. Il lavoro si basa sull'ascolto, attraverso consulenze, in un dialogo partecipato, paritario e di fiducia reciproca. La Fondazione struttura così le proprie attività ed i programmi di sviluppo, con l'obiettivo di ottenere il massimo miglioramento possibile per i beneficiari del sostegno.
  L'audizione odierna è incentrata sulla situazione in Afghanistan, dove è in corso una sistematica violazione dei diritti umani, soprattutto a scapito delle donne. A queste ultime viene negata la possibilità di studiare, di lavorare, di curarsi e di muoversi liberamente se non accompagnate da un uomo, nonché di partecipare a qualunque aspetto della vita pubblica e sociale.
  Tali discriminazioni sono configurabili come un vero e proprio crimine di apartheid nei confronti delle donne, quindi un apartheid di genere. Al riguardo, le nostre ospiti ci informeranno sulla campagna di advocacy per il riconoscimento e la codifica di tale crimine, che sarà presentata ad ottobre presso le Nazioni Unite.
  Sul piano più generale, segnalo che ad agosto è entrata in vigore in Afghanistan una nuova legge per promuovere la virtù e prevenire il vizio, in conformità con la Sharia. La normativa sancisce divieti generalmente noti nell'Emirato islamico, ma la sua promulgazione potrebbe consentire di rafforzare il controllo della popolazione da parte del Ministero della propagazione della virtù e della prevenzione del vizio.Pag. 4
  Tra le altre cose, la nuova disciplina stabilisce che – cito testualmente – «le donne devono coprire completamente il corpo in presenza di uomini che non appartengono alla loro famiglia, così come il viso, per evitare tentazioni». Questo comporta anche l'uso di una mascherina sulla bocca. Inoltre, impone che le voci delle donne non possano essere ascoltate in pubblico, il che, di fatto, priva la donna afgana del diritto fondamentale alla libertà di espressione.
  In un comunicato pubblicato il 26 agosto scorso, l'Alto Rappresentante per la politica estera dell'Unione europea, Josep Borrell, ha sottolineato che tali abusi sistematici contro le donne e le ragazze afgane potrebbero configurarsi come persecuzione di genere, un crimine contro l'umanità, ai sensi dello Statuto di Roma istitutivo della Corte penale internazionale, di cui l'Afghanistan è uno Stato firmatario. Secondo Borrell la nuova legislazione crea, inoltre, un ulteriore ostacolo alla normalizzazione dei rapporti con la Comunità internazionale e ad adottare un riconoscimento da parte di quest'ultima, obiettivo a cui i talebani aspirano pubblicamente. Infatti, come affermato nella risoluzione n. 2721 del 2023 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, per ottenere tale eventuale riconoscimento i talebani dovrebbero rispettare pienamente sia i loro obblighi nei confronti dei cittadini afgani sia gli obblighi internazionali assunti dall'Afghanistan.
  Forniti questi elementi di contesto, sono lieta quindi di dare la parola alle nostre ospiti, pregandole di contenere i propri interventi introduttivi in circa venticinque minuti complessivi.
  È con piacere che do la parola alla dottoressa Lanzoni.

  SIMONA LANZONI, rappresentante della Fondazione Pangea ETS. Signora presidente, grazie intanto per il lavoro che da sempre la contraddistingue accanto alle donne, in particolare anche accanto alle donne afgane, e grazie anche a tutto il Comitato permanente sui diritti umani.
  Sono Simona Lanzoni, vicepresidente di Fondazione Pangea. Ho vissuto quattro anni in Afghanistan, quindi so cosa vuol dire quello di cui, purtroppo, stiamo parlando oggi. Perché il gender apartheid? Perché ci vuole in qualche maniera una via legale e appropriata affinché si possano fermare non solo il Governo de facto attuale dell'Afghanistan, ma tutti quelli che cercano di segregare e, in qualche maniera, di ledere la libertà delle donne e i diritti di ogni essere umano, a prescindere dal genere di appartenenza.
  Ecco perché per noi questa campagna sul gender apartheid e la richiesta della codifica della definizione di gender apartheid è fondamentale. L'apartheid, come sappiamo, per quello che noi conosciamo, si riferisce solo al Sudafrica, tra il 1948 e il 1993, e sono tante le Convenzioni e le risoluzioni che condannano l'apartheid.
  Al momento l'apartheid è un crimine che verrebbe inserito all'interno della Convenzione sui crimini contro l'umanità, all'articolo 2. È proprio per questo che si chiede che, secondo un'ottica di genere, una lettura di una apartheid fatta sulla base del fatto che ci sia una questione di genere proprio relativa alle donne, si possa segregare ed opprimere la metà della popolazione, come ad esempio accade oggi in Afghanistan.
  Sappiamo anche che questa definizione o questa richiesta di codifica della parola «gender apartheid», che contiene tanto, ha ricevuto già il placet di Guterres, Segretario Generale delle Nazioni Unite, del gruppo di lavoro delle Nazioni Unite sulla discriminazione contro donne e bambine, del Relatore Speciale per l'Afghanistan, mister Bennett, della Direttrice Esecutiva di UN Women. Quindi, c'è già un lavoro che si sta facendo e su cui noi chiediamo che l'Italia possa prendere una posizione a favore all'interno delle Nazioni Unite. Questo per noi sarebbe un segnale importante, proprio perché riteniamo che l'Italia debba posizionarsi su questo. Praticamente quello che sta succedendo in Afghanistan – ma non solo in Afghanistan, anche in altri Paesi – è mantenere metà della popolazione attraverso l'intimidazione, l'uso della violenza, l'uso della forza assolutamente distinta contro le donne rispetto agli uomini, proprio in quanto donne.Pag. 5
  Questo è un metodo, un modo di vita estremamente accurato, dove ci sono delle regole precise contro le donne. Se da un lato ci sono 125 ordini del Ministero dei vizi e delle virtù, oltre 90 sono contro le donne. Questo vuol dire che pensare che questa persistenza di azioni contro le donne possa durare negli anni vuol dire non solo distruggere un intero popolo, ma vuol dire educare un intero popolo sulla base di tutti i contro-valori delle Nazioni Unite, dell'Agenda 2030, di tutte le Convenzioni internazionali che noi conosciamo.
  Ecco perché è impossibile poter riconoscere un Governo che per legge, effettivamente, non educa metà della popolazione, non permette a metà della popolazione di parlare in pubblico, né di cantare, né di far sentire la propria voce; non permette a metà della popolazione di potersi muovere liberamente se non accompagnata da un uomo, di poter lavorare in tutti i settori della vita, di partecipare a tutto il sistema della giustizia.
  Ecco perché oggi siamo qui, perché il «gender apartheid» deve essere proprio un segnale importante della Comunità internazionale, a partire dall'Italia, che può giocare un ruolo internazionale affinché il diritto umano venga, ancora una volta, come è successo con il Trattato di Roma nel 1999, sancito e riaffermato.
  Alcune situazioni non possono e non devono poter più essere favorite dalla Comunità internazionale.
  Lascio la parola alla responsabile legale della campagna mondiale. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie, dottoressa Lanzoni. Do la parola alla dottoressa Azadah Raz Mohammad, collegata in videoconferenza.

  AZADAH RAZ MOHAMMAD, rappresentante della Fondazione Pangea ETS, intervento in videoconferenza.Onorevoli membri del Parlamento, signore e signori, buongiorno a tutti.È veramente un grande piacere per me parlare oggi qui. Per me è una grande opportunità per presentare la nostra situazione e parlare della campagna sull'apartheid di genere.

  La precedente oratrice ha fornito una rappresentazione molto reale di quello che sta succedendo adesso in Afghanistan. Quindi, molto rapidamente, vorrei passare in rassegna la campagna che stiamo portando avanti al Consiglio atlantico. Questa campagna è molto decentralizzata, per cui non ne conosciamo tutti i soggetti responsabili; noi lavoriamo sulla base politica e giuridica.

  Passiamo alla prima diapositiva (slide n. 2). Vorrei dire innanzitutto grazie per avermi dato l'opportunità di parlare con tutti voi oggi. La precedente oratrice ha descritto quello che sta succedendo in Afghanistan. Passerò brevemente in rassegna gli ultimi sviluppi per contestualizzare la situazione. Sugli oltre centocinquanta decreti che sono stati emessi dai Talebani, circa la metà riguarda la condizione delle donne. Ciò significa che i Talebani hanno pianificato il proprio ruolo in Afghanistan, con il completo assoggettamento dei diritti delle donne. Le donne in Afghanistan sono private dei diritti umani fondamentali. Le donne praticamente non hanno alcun diritto in Afghanistan. Non possono praticare le loro attività culturali, non possono andare a scuola, non possono andare a lavorare, non hanno nessuna libertà di espressione, di opinioni o di riunirsi.

  I Talebani hanno anche smantellato tutte le norme del diritto civile del Paese. L'Italia è stato uno dei nostri donatori e ha lavorato con noi al settore della giustizia dell'Afghanistan. Ma i Talebani hanno smantellato le nostre Istituzioni, le nostre leggi nazionali. Tutto il nostro Ministero della Giustizia adesso è guidato dai Talebani, che si avvalgono di mullah e consiglieri che non hanno nulla a che fare con i diritti civili in Afghanistan.

  Possiamo passare alla seconda diapositiva (slide n. 3): come è stato detto dalla precedente oratrice, il 21 agosto i talebani hanno emesso una nuova legge, secondo la quale le donne possono uscire di casa solo per questioni urgenti, accompagnate da un uomo e con il corpo e il viso completamente coperti. La loro voce non può essere Pag. 6ascoltata in pubblico, il che vuol dire che le donne sono soltanto un corpo che si muove e non hanno alcuna autorità e autonomia su se stesse.

  I talebani hanno anche ristabilito il Ministero per la propagazione della virtù e della prevenzione del vizio. Questo Ministero ha il diritto arbitrario di arrestare qualsiasi donna che a loro avviso non segua i dettami talebani in materia di abbigliamento o che non rispetti i decreti sullo status delle donne. Hanno anche annunciato il ripristino della flagellazione pubblica e della lapidazione per determinati reati. Abbiamo visto varie donne che sono state condannate a morte con la lapidazione.

  È stata proposta la definizione di «gender apartheid» (slide n. 4), che noi vorremmo far includere nel progetto di Convenzione sui crimini contro l'umanità presentato alle Nazioni Unite. Noi riteniamo che non debba essere introdotta una nuova definizione dei crimini; chiediamo solo che si aggiunga l'accezione di «genere» alla definizione dei reati, per renderla più inclusiva. La definizione che proponiamo sarebbe quella di «atti commessi nel contesto di un regime istituzionalizzato di oppressione e dominazione sistematica di un gruppo di genere contro un altro gruppo o gruppi di genere, perpetrati con l'intendimento di mantenere questo regime». Questo concetto rientra nella definizione già esistente del reato di apartheid.

  Come è stato già detto, questo progetto di Convenzione sarà esaminato a ottobre dalla Sesta Commissione dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite; ci auguriamo che l'Italia possa sostenere l'inclusione dell'«apartheid di genere», così come ci auguriamo di avere l'appoggio dell'Italia quando il progetto di Convenzione entrerà nella fase negoziale.

  Le donne afghane, di fatto, sostengono da decenni che il regime dei Talebani pratica una forma di gender apartheid. La prima volta in cui le donne afghane hanno parlato di gender apartheid è stata trent'anni fa, quando i talebani andarono al potere per la prima volta. Se noi avessimo dato una definizione del gender apartheid, se avessimo riconosciuto quello dei Talebani come un sistema di gender apartheid, forse non sarebbero ritornati al potere.

  Questa campagna adesso è sostenuta da persone che hanno ricevuto il Premio Nobel (slide n. 5): Malala Yousafzai, Narges Mohammadi, politici, giuristi e personalità provenienti da Paesi di tutto il mondo, inclusi l'Iran e l'Afghanistan. Come è già stato detto, questa campagna è sostenuta anche da vari meccanismi delle Nazioni Unite, ad esempio il Relatore Speciale delle Nazioni Unite per la situazione dei diritti umani in Afghanistan.

  L'ultimo rapporto del Relatore Speciale delle Nazioni Unite ha messo in luce chiaramente che il gender apartheid racchiude pienamente la natura degli abusi in oggetto e chiede agli altri attori internazionali di reagire in modo adeguato a tutto questo. Il rapporto risale a giugno e contiene un'analisi meticolosa della situazione delle donne e delle ragazze in Afghanistan.

  Ad oggi sono queste le Istituzioni e Organizzazioni (slide n. 7), che adesso non passerò in rassegna, che portano avanti la campagna per l'inclusione del gender apartheid nel progetto di Convenzione e che confermano che in Afghanistan esiste il gender apartheid.

  Riteniamo che sia molto importante fare qui, nel Parlamento italiano, una mappatura del sostegno che abbiamo a livello internazionale. I Paesi qui indicati (slide n. 8) sostengono l'inclusione del gender apartheid nel progetto di Convenzione: compaiono anche le missioni diplomatiche dell'Afghanistan a Ginevra e a New York, ma anche Australia, Austria, Brasile, Cile, Islanda, Malta, Messico, Filippine e Stati Uniti. Noi ci auguriamo vivamente che anche l'Italia possa, a sua volta, offrire il proprio supporto per includere il gender apartheid nel progetto di Trattato.

Pag. 7

  Sono qui innanzi a voi, oggi, per fare due raccomandazioni specifiche: la prima riguarda le politiche e la seconda la politica. Noi riteniamo che l'Afghanistan stia attraversando una crisi multipla, quindi abbiamo bisogno di un supporto politico a lungo termine e di un coinvolgimento forte da parte della comunità internazionale.

  In termini di politiche, noi chiediamo all'Italia e alla comunità internazionale di riconoscere e condannare, come regime di apartheid, il regime dei talebani e il suo regime istituzionalizzato di persecuzione e oppressione sistematica basate sul genere, nonché di supportare un processo intergovernativo che possa codificare esplicitamente il gender apartheid come crimine secondo il diritto internazionale, sulla base del testo che verrà presentato ad ottobre presso le Nazioni Unite.

  In termini di supporto politico, come ho già detto, queste persecuzioni dei talebani sono basate su un'ideologia, e nella comunità internazionale è sempre più diffusa la preoccupazione legata al fatto che alcuni Paesi hanno normalizzato le proprie relazioni con i talebani. Questo preoccupa anche noi e chiediamo, quindi, alla comunità internazionale di valutare la situazione dell'Afghanistan sotto il potere dei talebani e, quindi, di non considerare come una nuova normalità le violazioni dei diritti umani che si verificano nel Paese. Per questo motivo chiedo alla comunità internazionale, all'Italia e ai Paesi europei di non chiudere le nostre Ambasciate. Abbiamo sentito, infatti, che alcuni Paesi europei stanno prendendo in considerazione l'ipotesi di chiudere le Ambasciate afgane in Europa e passarle nelle mani dei talebani. Ma noi abbiamo davvero bisogno di offrire un contatto diplomatico ai cittadini dell'Afganistan. Quindi, vi chiediamo di non chiudere le nostre Ambasciate e vi chiediamo di dirlo anche agli altri Paesi europei.

  Noi temiamo che il Regno Unito entro la fine di questo mese possa chiudere in modo permanente l'Ambasciata dell'Afghanistan a Londra e vi sono almeno altri due Stati europei che stanno prendendo in considerazione di sostituire i diplomatici afgani con quelli talebani.

  Chiediamo anche alla Comunità internazionale, all'Europa e all'Italia di non dimenticare, nelle loro relazioni politiche con i talebani, la responsabilità penale di questi ultimi per i reati attribuiti ai talebani e per il gender apartheid. Noi riteniamo che senza responsabilità penale non potrà mai esistere una pace sostenibile in Afghanistan.

  Come voi sapete, la Corte penale internazionale dell'Aia sta conducendo un'analisi della situazione in Afghanistan dal 2006, che rappresenta una delle indagini di più lunga data della storia. È molto importante supportare questa indagine che sta portando avanti la Corte penale internazionale, quindi chiediamo all'Unione europea e a tutti gli Stati europei – incluso il Governo italiano - di sostenere questa indagine per i crimini commessi dai talebani e anche dagli altri gruppi affiliati.

  Sappiamo anche che la Corte internazionale di giustizia sta indagando a tal riguardo e noi ci auguriamo che possa essere un'indagine più inclusiva possibile e che avremo, quindi, una maggiore attenzione rispetto alle vittime di questa situazione. Il popolo e le donne dell'Afghanistan sono al centro di questa inchiesta. Chiediamo anche la creazione di un potenziale meccanismo di indagine delle Nazioni Unite affinché possa documentare i crimini perpetrati in Afghanistan dai talebani, augurandoci che l'Italia e gli Stati europei possano ritenere perseguibili i talebani per reati di portata internazionale e per l'apartheid di genere in virtù dei princìpi della giurisdizione internazionale.

  Mi fermo qui. Se ci sono domande, sarò lieta di rispondere.

  PRESIDENTE. Grazie mille. Do la parola alla dottoressa Frozan Nawabi.

  FROZAN NAWABI, rappresentante della Fondazione Pangea ETS. Buongiorno a tutti. Grazie, è un onore per noi essere qui per Pag. 8parlare di gender apartheid e della situazione in Afghanistan.

  Il gender apartheid in Afghanistan. Vediamo qui (slide n. 3) una foto del 1967 - la prima in alto - mentre la seconda - quella in basso - è una foto attuale delle donne in Afghanistan.

  Apartheid letteralmente significa separazione, ed è un termine utilizzato per definire la politica di segregazione razziale istituita dal Governo bianco del Sudafrica dopo la seconda guerra mondiale e rimasta in vigore fino al 1993. È stato dichiarato un crimine internazionale dalla Convenzione internazionale sull'eliminazione e la repressione del crimine di apartheid, adottata dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite con la risoluzione n. 3068 del 30 novembre 1973.

  Il crimine di gender apartheid, come abbiamo già detto, viene definito come una serie di atti disumani commessi nel contesto di un regime istituzionalizzato di discriminazione sistematica e di oppressione, dominazione e sottomissione da parte di un gruppo nei confronti di un altro gruppo, o altri gruppi, sulla base del genere, e commessi con l'intenzione di mantenere tale regime.

  I crimini contro l'umanità: esistono Trattati internazionali per i crimini di genocidio, tortura, apartheid e sparizioni forzate, ma non esiste un Trattato specifico per i crimini contro l'umanità.

  Donne in Afghanistan (slide n. 7): da quasi ovunque a quasi sparite. Come vediamo, prima dell'agosto 2021 – lo vedete rappresentato in questa piramide rovesciata – le donne erano presenti in tutti gli ambiti della società. Dopo agosto 2021 la situazione è peggiorata drasticamente e le donne afghane sono sempre e soltanto a casa e da nessun'altra parte. Questo è un disegno di Mona Chalabi, attivista negli Stati Uniti.

  L'Afghanistan ha adottato, approvato o ratificato una serie di documenti internazionali per proteggere i diritti delle donne e i diritti umani, che includono trattati, risoluzioni, dichiarazioni e documenti conclusivi di conferenze.

  Vi elenco una serie di questi documenti (slide n. 9): la Convenzione sull'eliminazione di ogni forma di discriminazione della donna (CEDAW), la Dichiarazione di Pechino, la Risoluzione n. 1325, la CRC - Convenzione ONU sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza, la ICCPR - Convenzione internazionale sui diritti civili e politici, la Convenzione internazionale sui diritti economici, sociali e culturali, la Convenzione per i diritti delle persone con disabilità nonché la Convenzione contro la tortura. Quindi in Afghanistan si è provveduto a proteggere i diritti delle donne.

  Dal 2001 - se non addirittura prima del 2001 - e fino al 2021 le donne afgane hanno raggiunto successi significativi in vari ambiti, nonostante le numerose sfide che esse hanno dovuto affrontare, anche prima dei talebani. I settori in cui sono stati raggiunti successi significativi sono: istruzione, partecipazione politica, lavoro, sanità, media, arte, attivismo, sport.

  Vengo al punto di vista delle organizzazioni internazionali sull'apartheid di genere in Afghanistan. Come abbiamo sentito anche prima, il Segretario Generale delle Nazioni Unite ha chiaramente parlato di un attacco sistematico, senza precedenti, in Afghanistan, contro i diritti delle donne e delle ragazze in violazione degli obblighi internazionali e in concomitanza con l'esercizio dell'apartheid di genere.

  Anche esperti dell'ONU hanno parlato per l'Afghanistan di politiche e di pratiche poste in essere dai talebani che rappresentano una sistema istituzionalizzato di discriminazione, oppressione e sottomissione delle donne e delle ragazze.

  Richard Bennett, Relatore Speciale per la situazione dei diritti umani in Afghanistan, così come il Relatore Speciale sulla violenza contro le donne hanno detto che le donne e le ragazze in Afghanistan stanno Pag. 9vivendo una discriminazione severa, grave, che conduce alla persecuzione di genere, un crimine contro l'umanità. Le autorità de facto gestiscono questa discriminazione sistematica con l'intento di sottomettere completamente le donne e le ragazze afgane.

  La Direttrice Esecutiva di UN Women, Sima Bahous, ha detto che l'apartheid di genere sta soffocando le donne e le ragazze in Afghanistan.

  Quindi l'intero sistema delle Nazioni Unite è d'accordo nel sostenere che in Afghanistan esiste l'apartheid di genere. Attualmente parliamo di discriminazione delle donne e delle ragazze afgane che vengono discriminate semplicemente perché sono donne. I talebani hanno imposto la loro versione della legge della Sharia. Quindi non viene applicata semplicemente la legge della Sharia, ma piuttosto la versione talebana della legge della Sharia. Le donne e le ragazze non possono andare a scuola, non possono studiare, non possono lavorare, non possono uscire di casa senza un accompagnatore di sesso maschile, non possono mostrare la loro pelle in pubblico, non hanno accesso a servizi sanitari erogati da uomini, e neanche da donne, e non possono essere coinvolte in attività sociali e politiche.

  In un servizio della CNN le Nazioni Unite hanno documentato, tra il 15 agosto 2021 e il 31 marzo 2024, almeno 1.033 episodi in cui agenti e ufficiali talebani hanno esercitato violenza per imporre le loro regole. L'autorità talebana de facto, come abbiamo detto prima, ha annunciato pubblicamente nuove leggi che, secondo i talebani, saranno di grande aiuto per la promozione della virtù e la prevenzione del vizio. In realtà, queste leggi mirano ad esercitare un controllo su tutti gli aspetti sociali e privati della vita dei cittadini dell'Afghanistan, in particolare le donne.

  Vediamo questa immagine delle donne afgane (slide n. 19): ora i talebani vogliono questo genere di cose per le donne del Paese; anche se si riuniscono in una stanza dove non ci sono uomini, esse devono essere completamente coperte e indossare abiti neri.

  L'Afghanistan è l'unico Paese al mondo che attua per legge un regime di apartheid di genere, che opprime tutte le donne del Paese, a prescindere dall'età, dall'etnia e dai risultati ottenuti nella vita. Noi, come donne afghane, raccomandiamo che l'apartheid di genere sia riconosciuto come un crimine contro l'umanità in base all'articolo 2 del progetto di Convenzione per la prevenzione e la repressione dei crimini contro l'umanità, attualmente all'esame della sesta Commissione dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite.

  La Comunità internazionale non può riconoscere i talebani come il Governo legittimo dell'Afghanistan e deve proteggere coloro che difendono tutti i diritti umani, non solo quelli delle donne.

  Vi ringrazio per l'attenzione.

  PRESIDENTE. Molte grazie, dottoressa Nawabi, per averci illustrato questi punti molto chiari, che evidenziano anche l'immensa gravità di quello che sta accadendo in Afghanistan.
  Non abbiamo altri interventi previsti.
  Do la parola ai colleghi che intendono intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.
  Magari dico prima qualcosa io rispetto a quello che abbiamo ascoltato. Intanto lasciatemi dire che esprimo tutta la mia ammirazione e vicinanza alle donne afgane, a nome mio e del Comitato diritti umani. Penso che la loro forza, la loro resilienza, sia un esempio per tutte noi donne. Questo ci dà una responsabilità aggiuntiva. Noi non possiamo permettere che questo accada. Non possiamo permetterlo non solo perché questo è un crimine contro chi lo subisce, è un crimine nei confronti di queste donne afgane, ma io penso che anche per noi, come donne italiane, non ci sarà mai vera parità se non riusciremo a portare avanti tutte le donne. Saremo veramente libere e vivremo veramente in una condizione di parità quando tutte le donne di questo mondo, di questo Pag. 10pianeta, riusciranno a poter affermare i loro diritti.
  Non c'è piena parità se solo una parte di queste donne riesce ad essere affermata e la gran parte, invece, continua a lottare per la propria sopravvivenza.
  Manifesto veramente una sentitissima espressione di vicinanza, di rispetto e di ammirazione per tutte le donne afgane che lottano. Chiaramente questa condizione così asfissiante e criminale viene vissuta dalle donne afgane e io credo che – in altra misura forse, ma comunque sempre asfissiante – viene vissuta anche da donne di altri Paesi. Il mio pensiero va alle donne iraniane, al Premio Nobel che dal carcere ha invitato gli Stati a sostenere la richiesta di includere il gender apartheid tra i crimini contro l'umanità. Il pensiero va anche alle donne dell'Arabia Saudita, alle donne dello Yemen e di altri Paesi dove c'è una sistematica umiliazione e un tentativo di cancellare la presenza delle donne e la loro voce.
  Vorrei sapere da voi molte altre cose. In questo Comitato abbiamo udito anche la voce di altre ong, associazioni che hanno parlato di una situazione altrettanto drammatica di come ce la state descrivendo voi, allargando la lente alla condizione più generale del Paese: la situazione economica, la situazione delle minoranze. O si riesce a trovare un modo per sostenere questo Paese senza arrivare al riconoscimento del regime dei talebani, oppure questo Paese arriverà ad un punto in cui ci sarà veramente una carestia così allargata, così grave, che causerà molti morti.
  Di fronte a questo dilemma, per me insormontabile – ho lavorato in Afghanistan, come forse saprete, in diverse circostanze, prima, durante e dopo il regime dei talebani, ho fatto missioni lunghe di alcuni mesi in tutti e tre i periodi –, sapere che questo popolo rischia quello che rischiò nel 1996, 1997 e 1998, quando morivano i bambini assiderati dal freddo – li chiamavamo i «bambini blu», perché morivano di notte perché non avevano protezione – e un'intera generazione rischiava di scomparire, oggi mi chiedo, con ancora più angoscia, che cosa si deve fare, cosa il mondo deve fare.
  Io penso che il mondo non debba riconoscere un regime come questo, non lo debba proprio fare, ma il mondo non può neanche condannare un'altra generazione di afgani, che rischia di non riuscire a sopravvivere alla carestia, alla fame, alla privazione delle cure. Chiederei a voi di avere qualche suggerimento su come poter fare di più senza legittimare questo Governo liberticida e criminale, che vuole far scomparire le donne dal proprio Paese.
  Questa mia domanda la rivolgo a tutte voi. Avrei bisogno, insomma, di avere da voi una risposta che non deve partire dal presupposto che sto chiedendo di legittimare il Governo dei talebani – questo deve essere chiaro –, ma di capire come, nonostante loro, si possa riuscire a sostenere di più questo popolo che si trova grandissime difficoltà.
  Do la parola alle nostre ospiti per la replica.

  SIMONA LANZONI, rappresentante della Fondazione Pangea ETS. La ringrazio per aver messo sul tappeto questa domanda molto scomoda, perché immagino che chi abbia fatto questa richiesta non abbia una lettura di genere di quello che succede in questa società, soprattutto, sul lungo periodo, di quello che saranno le conseguenze in questa società, di come cresceranno bambine e bambini che diventeranno la futura classe politica di questo Paese, sotto le regole dell'attuale regime de facto talebano.
  La cosa interessante è vedere come ogni volta, malgrado i tentativi della comunità internazionale di mediare – perché fondamentalmente si tratta di entrare in dialogo e trovare una mediazione –, si gioca al rialzo. Ogni volta che ci sono dei tentativi, delle conferenze internazionali, qualche periodo più tardi esce un nuovo editto contro le donne. È interessante questo, perché va letto anche questo, non va letta solo la fame, che c'è a prescindere e c'è in molti altri posti del mondo, purtroppo. Penso al Sudan, per esempio. È sempre uno strumento, anche quello, di guerra e di ricatto. Ogni volta che si chiede di fare un passo per un dialogo, per la costruzione di un Pag. 11dialogo, esce fuori un editto contro le donne fino addirittura a non far udire la loro voce in pubblico, perché poi il problema è sempre degli uomini, il problema è che potrebbero provocare la reazione degli uomini.
  È interessante. Noi dovremmo nutrire un popolo intero per poter crescere in questa maniera e, nell'arco di cinque o dieci anni, avere una popolazione che sarà un esempio per tutta l'umanità, non solo per un'area geografica; effettivamente si può, perché i valori con cui io, almeno, e tutti noi siamo cresciuti – e penso anche tutta l'Italia – prima o poi si possono sfaldare davanti ad un'emergenza.
  È questo il vero problema: quanto valgono i diritti umani, quanto vale una donna – e non una, metà della popolazione afgana –, ma anche quanto valgono quegli uomini, perché entrambi sono sotto ricatto. Gli uomini non possono andare con i jeans; vengono frustati per strada se portano i jeans. Non è solo un problema delle donne, ma anche degli uomini.
  Certo, dal punto di vista umanitario è una tragedia. Abbiamo visto che siamo in grado di mandare a morte un intero popolo in altri posti del mondo, malgrado ci sia la fame nel mondo. Perché ci sono sempre letture diverse dei posti, dei luoghi, a seconda di dove siamo? Ci sono altri posti nel mondo, penso per esempio alla Palestina, dove è stato vietato entrare con i carichi umanitari, per mesi; ripeto, per mesi. Questo significa solo accrescere la cultura dell'odio. In Afghanistan la istituzionalizziamo, perché crescere per dieci anni – ma anche solo per tre anni, come ancora adesso è stato fatto – dentro questa cultura dell'odio – perché io non posso dire che sia altro, una cultura che nega alle donne di esistere è una cultura dell'odio – diventa un sistema di vita per tutte queste generazioni che vi stanno crescendo.
  Queste donne noi le abbiamo intervistate – ne abbiamo intervistate un centinaio – e tutte hanno pensieri suicidari ogni giorno. Che tipo di messaggio trasmetteranno alle loro figlie, ma anche ai loro figli? E questi con quale messaggio cresceranno? Diventeranno una nazione che dovrà continuare ad essere all'interno di un quadro internazionale. Io non ci credo che non ci sia un modo per negoziare con l'attuale Governo de facto. Non ci credo che tutte le nazioni del mondo non possano fare una cosa. Non ci credo. E ho visto come vivono le donne. L'ho vissuto, sono stata con loro per quattro anni, e ho visto le conseguenze. Vi dico una cosa banale: quando lavoravo come Fondazione Pangea in Afghanistan, i giovani, che erano quelli che avevano vissuto sotto i talebani, erano assolutamente molto più retrogradi e conservativi rispetto agli anziani. Era la prima volta nella mia vita che trovavo un Paese dove i giovani non erano progressisti e, invece, gli anziani lo erano. Quindi, è chiaro che il loro futuro era già tarato, perché facevano meno i giovani rispetto agli anziani. Era una situazione assurda. Vogliamo questo?
  Io penso che si debba trovare una mediazione sulla questione, perché le donne sono parte dell'umanità, non sono animali. Non si può cedere.

  PRESIDENTE. È stata molto chiara. Do la parola alla dottoressa Nawabi.

  FROZAN NAWABI, rappresentante della Fondazione Pangea ETS. Grazie. È veramente una domanda difficile e sono d'accordo con Simona Lanzoni. Quando parliamo di negoziati o di mediazioni, a che genere di mediazioni o di trattative ci riferiamo? Del resto, quando si parla di Doha 3, per esempio, si fa riferimento al commercio, all'economia o alla lotta al traffico di sostanze stupefacenti. Ma per il popolo afghano sono importanti anche i diritti umani. Quando una persona non ha cibo per i propri figli, muore di povertà. E che cosa dire degli scambi commerciali in Afghanistan? La settimana scorsa i talebani hanno annunciato di avere 23 mila persone in prigione, di cui mille donne e ottocento bambini. In base a quale legge? Non c'è nessuna legge. In Afghanistan non c'è neanche una Costituzione. In un Paese senza leggi, come possono mettere in prigione le persone? Anche quando si dice che le donne non possono uscire di casa, mi chiedo: come si può mettere una donna in Pag. 12prigione senza mahram, senza un tutore? Non sono soltanto le donne afghane che soffrono. È un problema anche per i giovani e per i bambini. Pensiamo anche ad una donna invalida o ad una donna vedova o alle persone LGBT: anche loro hanno diritti. Quando parliamo di esseri umani, noi dobbiamo parlare di tutti, non soltanto di una parte dell'umanità.

  Personalmente, in trent'anni, ho vissuto e lavorato da Kandahar a Mazar a Bamiyan, in qualsiasi parte dell'Afghanistan; ma oggi vedo solo persone che vivono senza avere una vita, senza istruzione, senza cibo, senza niente; l'unica cosa che fanno è respirare, chiuse in casa.

  Per me la comunità internazionale non deve dire che si tratta di un gruppo terroristico. Per me non si tratta di un gruppo che rispetta gli esseri umani. Adesso in Afghanistan sono attivi ventitré gruppi terroristici, ivi compresi Al-Qaeda e Daesh, però vediamo che Cina, Russia, Germania e Stati Uniti si siedono con i gruppi talebani. Questi non sono gruppi con i quali si può condurre un negoziato o una mediazione. Loro si siedono soltanto per il loro proprio vantaggio, non per il popolo afghano. La Comunità internazionale deve pensare che la minaccia oggi può riguardare l'Afghanistan, ma domani anche una regione più ampia, quindi si deve sensibilizzare. La loro azione non serve soltanto per il popolo afghano. Si verificherà un aumento degli attacchi terroristici e dell'immigrazione clandestina; vedete quello che è successo in Germania, in Francia, ma anche in altri Paesi. Quali sono le conseguenze dell'immigrazione clandestina? Siamo di fronte a una grande minaccia anche per gli altri Paesi. Ma soltanto i Parlamenti possono dire ai propri Governi, in Italia o in altri Paesi della comunità internazionale: smettetela di parlare con i gruppi talebani. Adesso, nella situazione attuale, se si parla con i gruppi talebani, allora che cosa significa per i diritti umani o per i diritti delle donne o per gli esseri umani in generale? Questo perché loro non pensano alle donne come ad esseri umani.

  Io stessa ho studiato la legge della Sharia e vorrei chiedere loro: in quale parte del Corano è scritto tutto questo oppure dov'è che l'Islam dice tutto questo? Io sono sicura che anche in Arabia Saudita ci sono molte restrizioni e molte violazioni dei diritti, ma mai come in Afghanistan. Si verificano in Turchia, Malesia, Indonesia, Pakistan e Iran, ma non è la stessa cosa in Afghanistan. In Afghanistan praticamente niente è a favore del popolo. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie, dottoressa Nawabi. Do la parola alla dottoressa Azadah Raz Mohammad.

  AZADAH RAZ MOHAMMAD, rappresentante della Fondazione Pangea ETS, intervento in videoconferenza. Vorrei aggiungere che l'Afghanistan sta anche attraversando una crisi umanitaria veramente grave e la vostra idea di cercare di parlare con il popolo dell'Afghanistan senza normalizzare le relazioni con i talebani o riconoscere i talebani come rappresentanti del popolo afghano è senz'altro molto valida. Questo è un problema molto complesso, come hanno detto le mie colleghe.

  Noi vogliamo, quindi, che la Comunità internazionale riconosca che i talebani hanno introdotto un regime di apartheid di genere. Abbiamo questo strumento giuridico e questi meccanismi giuridici che possiamo utilizzare nel nostro rapporto con i talebani.

  Inoltre, la condizionalità dell'aiuto che noi forniamo al popolo afghano deve essere basata sul rispetto dei diritti umani e sulla responsabilità penale per le violazioni dei diritti umani nel Paese. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie. Do la parola all'onorevole Quartapelle.

  LIA QUARTAPELLE PROCOPIO. Ringrazio molto le dottoresse Raz Mohammad e Nawabi, che ho seguito da remoto. Ringrazio Simona Lanzoni e Pangea, che, come sempre, sono davvero preziose per continuare a tenere dei rapporti, a questo punto, con la diaspora afghana più che con l'Afghanistan.Pag. 13 Nonostante il lavoro che Pangea sta facendo in Afghanistan, obiettivamente è più difficile dare spazio a quel tipo di lavoro, anche per tutelare il lavoro che state facendo, che è un lavoro preziosissimo, perché è ancora più raro e più complicato.
  Io ho una domanda molto semplice: credo che il caso che voi avete portato per sostenere la richiesta di crimine di gender apartheid sia un caso molto solido, nel senso che obiettivamente è il modo per includere la situazione afghana all'interno delle Convenzioni esistenti, senza dover fare una Convenzione in più, e credo che debba avere il sostegno di questa Camera. Ne avevamo già parlato a luglio con Pangea, forse proprio con la dottoressa Raz Mohammad. Quindi, credo che questo debba poi concretizzarsi in qualsiasi iniziativa che la presidente riterrà di prendere.
  La cosa che mi colpisce, però, è la recrudescenza della situazione delle donne. Una persona penserebbe che a tre anni dal ritiro americano e della NATO la situazione del Paese sia quella che sia e non ci sia bisogno di peggiorare la situazione delle donne. Vorrei capire la ragione per la quale vi è stato questo editto ad agosto. È una ragione di politica interna? Di solito, quando noi vediamo i regimi diventare ancora più restrittivi è perché c'è una carenza di legittimazione, quindi si deve aumentare la repressione. Non so se è una ragione di politica interna, oppure se è una politica che ha un supporto da parte di qualcuno in questo momento, internamente o esternamente. Però, vorrei capire la ragione, perché comunque questo lavoro sul crimine di gender apartheid è un lavoro che sarà molto politico e i segnali politici, come quello che è stato fatto rispetto all'editto di agosto, devono essere da noi decrittati per capire come essere più efficaci possibile nel sostenervi.
  Infine, anch'io credo che l'interrogativo che poneva la presidente sia la «domanda delle domande». Comunque, questo richiederà anche da parte nostra un ragionamento politico. Però, ripeto, mi chiedo: perché è stato emesso questo editto? Che vantaggi porta? Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie, onorevole Quartapelle. Do la parola alle nostre ospiti per le risposte.

  AZADAH RAZ MOHAMMAD, rappresentante della Fondazione Pangea ETS, intervento in videoconferenza. Posso provare a rispondere a questa domanda. Durante la sua presentazione la dottoressa Nawabi ha parlato degli incontri che le Nazioni Unite hanno avuto a Doha, la capitale del Qatar, sull'Afghanistan; peraltro l'ufficio politico dei talebani ha la propria base proprio a Doha, in Qatar, e quando quell'ufficio fu aperto, i talebani dalla maggior parte dei Paesi europei erano, e sono ancora, definiti come gruppo terroristico e sono stati oggetto di sanzioni, per cui non potevano viaggiare. Nel 2009 si iniziò a voler coinvolgere i talebani nei negoziati per il popolo afghano. Tante persone in Afghanistan, incluso il governo, protestarono per l'apertura di un ufficio politico dei Talebani a Doha. Poi si è passati alla normalizzazione da parte della comunità internazionale, per cui i talebani sono passati dall'essere considerati un gruppo terroristico ad essere considerati un gruppo politico. Quindi, si è cercato di fare dei negoziati con le persone in Afghanistan.

  Quando gli Stati Uniti si sono incontrati con i talebani per concludere l'accordo di pace, non hanno coinvolto nessuno dell'Afghanistan. Nel panel c'erano soltanto tre donne e queste donne non avevano modo di parlare. Noi esprimevamo la nostra preoccupazione sui talebani, però la Comunità internazionale non ci ascoltava, gli Stati Uniti non ci ascoltavano, le Nazioni Unite non ci ascoltavano, ma dicevano: questi sono i talebani «2.0», sono i talebani delle riforme, l'Afghanistan non tornerà mai al regime dei talebani degli anni Novanta; tuttavia, dopo tre anni la situazione non fa che peggiorare.

  Questo accade perché i talebani sono diventati più sicuri di loro stessi, pensano di poter avere il supporto della Comunità internazionale, perché le Nazioni Unite hanno avuto tre incontri a Doha e nell'ultima di queste occasioni non era presente Pag. 14nessuno della società civile afgana. Sono state escluse le donne, è stata esclusa la società civile, i difensori dei diritti umani. Inizialmente alcune delle mie amiche erano state invitate a questa conferenza e poi, invece, non hanno più potuto partecipare, perché è stato detto loro che si voleva parlare solo con i talebani. Chiaramente questo ha dato molta sicurezza ai talebani.

  Come ho detto in precedenza, adesso la maggior parte dei Paesi confinanti con l'Afghanistan hanno ceduto loro le Ambasciate dell'Afghanistan, ed è per questo che chiedo all'Italia di non rinunciare alla rappresentanza diplomatica dell'Afghanistan cedendola ai talebani. So che questa settimana il Regno Unito ha chiuso in modo permanente la nostra Ambasciata a Londra, che è la vera rappresentanza del popolo afghano, e adesso sentiamo dire che lo stesso accadrà anche in altri Paesi europei, probabilmente in Germania e in Austria. Ma sappiamo che anche l'Ambasciata olandese seguirà lo stesso percorso. Ecco perché stanno diventando più sicuri di sé. Ad esempio, la legge che hanno approvato ad agosto, che impedisce alle donne di parlare in pubblico, rappresenta un altro segno di peggioramento. A questo siamo arrivati: noi donne non possiamo neanche parlare in pubblico. Questo accade proprio per la fiducia che noi stiamo dando loro. Le donne non possono lavorare nei progetti umanitari, nei progetti della Banca mondiale o delle Nazioni Unite. E le Nazioni Unite e la Banca Mondiale lo hanno accettato, hanno accettato i limiti imposti dai talebani, accettando di non consentire a nessuna donna di lavorare e consentendo l'arrivo degli aiuti umanitari per la popolazione civile. Ma andranno alla popolazione civile e ai gruppi vulnerabili? Noi non lo sappiamo, perché nessuno va a controllare se questi aiuti arriveranno alla popolazione civile. Quindi, i talebani diventano sempre più sicuri di se stessi e continuano ad esercitare in modo più sistematico l'apartheid di genere.

  Adesso abbiamo i talebani che hanno più margine di manovra. Io ho lavorato con la missione italiana in Afghanistan e ho visto che l'Italia ha investito tantissimo, dal punto di vista tecnico e finanziario, però che cosa è successo? Niente. Noi abbiamo tutte queste piccole vittorie, e quando parlo con i colleghi italiani pensiamo a cosa fare, al ruolo delle donne. Le donne non erano autorizzate a lavorare già negli anni novanta, né a studiare, e dopo quattro-cinque anni del regime talebano negli anni novanta cosa abbiamo avuto? Abbiamo adesso di nuovo un regime talebano da tre anni e cosa accadrà alle generazioni future? Anche dopo l'11 settembre si disse che quella situazione avrebbe potuto ripetersi ma nessuno ci ha ascoltato. Se le Nazioni Unite e la Comunità internazionale continuano a supportare i talebani in modo incondizionato e non ascoltano noi vedremo sempre un peggioramento di tutte queste situazioni, anche a livello globale.

  Grazie, signora Presidente, per aver detto che la situazione delle donne in Afghanistan è che nessuna donna è libera. È esattamente questo, noi vogliamo parlare con persone come Lei, con politici come Lei e abbiamo bisogno del vostro supporto per le donne in Afghanistan e anche per gli altri Paesi del mondo, che devono riconoscere che il regime talebano pratica l'apartheid di genere. Abbiamo bisogno del sostegno di Paesi come l'Italia per far inserire l'apartheid di genere nel progetto di Convenzione alle Nazioni Unite e dobbiamo fare lobby con altri Paesi europei.

  Fra due settimane – questo è l'ultimissimo punto – un Paese europeo si pronuncerà contro i talebani, però nessuna donna afgana è stata mai consultata. Si tratta di una mossa politica, ma come si procede se nessuno della nostra comunità è stato consultato? Quindi come procederanno se la nostra comunità non è stata ascoltata? I talebani continuano a commettere crimini nella massima impunità; hanno ricevuto maggiore sicurezza grazie alla Comunità internazionale, alle Nazioni Unite e ad altri Paesi europei.

  Grazie della vostra attenzione.

  SIMONA LANZONI, rappresentante della Fondazione Pangea ETS. Ringrazio veramentePag. 15 la dottoressa Raz Mohammad per quello che ha detto. Vorrei sottolineare una cosa: i talebani sono anti-sistema. Non esiste il sistema che abbiamo noi, con i talebani si parla con un'altra struttura mentale e un altro pensiero; sono anti-sistema e non entreranno mai nel sistema della Comunità internazionale, forse questo ancora non l'abbiamo capito. Vogliono solo che venga tolto loro l'etichetta di terroristi.
  Effettivamente è vero quello che dice la dottoressa: ogni volta che c'è un incontro sono più confidenti, più sicuri, più fiduciosi che comunque la comunità internazionale, in qualche modo, li sta accettando e stanno raggiungendo i loro obiettivi. Ogni volta, quindi, fanno un nuovo decreto contro le donne, che è esattamente quello che stavo dicendo prima, cioè sempre peggio. I vecchi talebani ne hanno fatti in continuazione (c'era pure quello sui tacchi, vi ricordate?). C'era di tutto, era impressionante. Lapidavano le donne come si fa adesso. Non c'è niente di nuovo, ma quello che a me stupisce è come la Comunità internazionale possa accettare di non ascoltare la voce delle donne afgane che hanno già vissuto i talebani, il fatto cioè di non rendere loro il giusto riconoscimento. Se esse stesse vi stanno dicendo, malgrado vedano morire i loro figli, di non accettarli, chi altro deve dirvelo? È questa la cosa incredibile.
  Chi altro ve lo deve dire? Non chi ci lavora, ve lo devono dire loro quello che vogliono. È anche il motivo per cui io adesso porto sempre con me le donne afgane, perché adesso sono qui, possono prendere parola. Ma devono anche essere ascoltate, altrimenti è difficile.
  Il riconoscimento diplomatico dei talebani deve essere assolutamente evitato, anche in Italia. È veramente importante. Forse gli Stati pensano sempre a breve termine, quindi fa comodo avere un posto no man's land, dove poter fare qualunque cosa, ma nel lungo periodo è come coltivare batteri, virus. Noi dobbiamo dare retta alle donne, dobbiamo ascoltarle, perché vogliono costruire un Paese sui valori del loro Paese, che non sono valori di odio, ma sono «donne, vita e libertà». È per questo che bisogna ascoltarle, perché loro sanno quello che le aspetta, con o senza soldi.
  Ogni giorno la Banca mondiale dà soldi all'Afghanistan, ogni giorno ne manda non so quanti – mi dispiace non avere queste informazioni –, ma è un sistema. Non è che i soldi non ci sono, senza contare tutte le rimesse, laddove tutte le diaspore afgane vivono qua e vivono là contemporaneamente, perché devono continuare a dare speranza alle loro famiglie, hanno questa responsabilità, lo sanno benissimo. Quindi, che futuro vogliamo? Ecco, sulla base di questo non sarà un futuro solo per quello Stato, sarà un futuro che inciderà su tutta la Comunità internazionale, inclusa l'Italia.
  Vi chiedo dunque di pensare bene quando si parla di questo Paese e ascoltare le donne afgane e quello che chiedono. Grazie.

  PRESIDENTE. Se non ci sono altre domande ringrazio tutta la delegazione che oggi è venuta qui in sede di Comitato diritti umani, anche per la documentazione, di cui autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna (vedi allegati).
  Quello che ritengo si debba fare è lavorare in seno al Comitato per una risoluzione, che possiamo impostare con la richiesta al Governo di essere parte attiva nella codifica dell'apartheid contro le donne. Faremo questo lavoro parlamentare, vi consulteremo e cercheremo di indirizzare il Governo verso questa posizione in sede delle Nazioni Unite, come voi ci avete chiesto di fare.
  Vi ringrazio e dichiaro chiusa questa audizione.

La seduta termina alle 12.35.

Gli interventi in lingua straniera sono tradotti a cura degli interpreti

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