XIX Legislatura

III Commissione

COMITATO PERMANENTE SUI DIRITTI UMANI NEL MONDO

Resoconto stenografico



Seduta pomeridiana n. 16 di Giovedì 27 giugno 2024

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Boldrini Laura , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULL'IMPEGNO DELL'ITALIA NELLA COMUNITÀ INTERNAZIONALE PER LA PROMOZIONE E TUTELA DEI DIRITTI UMANI E CONTRO LE DISCRIMINAZIONI

Audizione, in videoconferenza, di Marco Mascia e di Enza Pellecchia, coordinatori della Rete italiana delle Università per la Pace.
Boldrini Laura , Presidente ... 3 
Mascia Marco , coordinatore della Rete italiana delle Università per la Pace, intervento in videoconferenza ... 4 
Boldrini Laura , Presidente ... 7 
Pellecchia Enza , coordinatrice della Rete italiana delle Università per la Pace, intervento in videoconferenza ... 7 
Boldrini Laura , Presidente ... 10 
Porta Fabio (PD-IDP)  ... 10 
Boldrini Laura , Presidente ... 11 
Loperfido Emanuele (FDI) , intervento in videoconferenza ... 11 
Scarpa Rachele (PD-IDP)  ... 11 
Boldrini Laura , Presidente ... 12 
Pellecchia Enza , coordinatrice della Rete italiana delle Università per la Pace, intervento in videoconferenza ... 13 
Boldrini Laura , Presidente ... 14 
Pellecchia Enza , coordinatrice della Rete italiana delle Università per la Pace, intervento in videoconferenza ... 14 
Boldrini Laura , Presidente ... 14 
Mascia Marco , coordinatore della Rete italiana delle Università per la Pace, intervento in videoconferenza ... 14 
Boldrini Laura , Presidente ... 15

Sigle dei gruppi parlamentari:
Fratelli d'Italia: FdI;
Partito Democratico - Italia Democratica e Progressista: PD-IDP;
Lega - Salvini Premier: Lega;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Berlusconi Presidente - PPE: FI-PPE;
Azione - Popolari europeisti riformatori - Renew Europe: AZ-PER-RE;
Alleanza Verdi e Sinistra: AVS;
Italia Viva - il Centro - Renew Europe: IV-C-RE;
Noi Moderati (Noi con L'Italia, Coraggio Italia, UDC e Italia al Centro) - MAIE: NM(N-C-U-I)-M;
Misto: Misto;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-+Europa: Misto-+E.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE
LAURA BOLDRINI

  La seduta comincia alle 13.45.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la resocontazione stenografica e la trasmissione attraverso la web-tv della Camera dei deputati.

Audizione, in videoconferenza, di Marco Mascia e di Enza Pellecchia, coordinatori della Rete italiana delle Università per la Pace.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sull'impegno dell'Italia nella Comunità internazionale per la promozione e la tutela dei diritti umani e contro le discriminazioni, l'audizione, in videoconferenza, del professor Marco Mascia e della professoressa Enza Pellecchia, coordinatori della Rete italiana delle Università per la Pace.
  Ricordo che la partecipazione da remoto è consentita alle colleghe e ai colleghi, secondo le modalità stabilite dalla Giunta per il Regolamento.
  Anche a nome dei componenti del Comitato, saluto e ringrazio per la disponibilità a prendere parte ai nostri lavori il professor Mascia e la professoressa Pellecchia.
  È per noi molto importante avere il punto di vista di quella parte della comunità accademica che è più impegnata sul sistema dei diritti umani. L'indagine conoscitiva, infatti, ha la finalità di porre all'ordine del giorno il rafforzamento degli strumenti di tutela dei diritti umani nel mondo. In questo contesto, il Comitato deve valutare specificamente l'azione dell'Italia e la sua adeguatezza; quindi, è questo che ci proponiamo di fare: valutare se l'Italia sta facendo di tutto per la tutela dei diritti umani all'estero o se, invece, qualcosa manca, e dunque sottoporre poi eventuali raccomandazioni.
  Ricordo che alla Rete italiana delle Università per la Pace, costituita nel 2019 e promossa dalla Conferenza dei rettori delle università italiane, aderiscono settantuno atenei, che ispirano la propria azione ai princìpi fondamentali della Costituzione, della Carta delle Nazioni Unite, dei Trattati istitutivi dell'Unione europea, dell'Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa e del Consiglio d'Europa, nella consapevolezza che sia l'ordinamento interno sia quello degli organismi internazionali sono basati sui seguenti valori: 1) il ripudio della guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo per la risoluzione delle controversie internazionali; 2) la fede nei diritti umani fondamentali, nella dignità e nel valore della persona umana; 3) l'obbligo di cooperare al fine del mantenimento della pace e della prevenzione delle minacce; 4) il contrasto alle disuguaglianze e alla povertà.
  La Rete promuove, all'interno e all'esterno della comunità universitaria, la riflessione sulla responsabilità sociale di tutte le discipline e l'attenzione alla costruzione e al consolidamento della pace con mezzi pacifici, come vocazione costitutiva dell'accademia. A tal fine, sostiene gli studi per la pace come disciplina accademica a forte caratterizzazione interdisciplinare, favorisce l'educazione alla pace, alla non violenza, alla non discriminazione e al dialogo, valorizza il ruolo delle donne nei Pag. 4processi di pace ad ogni livello, contribuisce alla creazione di condizioni favorevoli alla leadership delle giovani generazioni nei processi di pace.
  Fatta questa premessa, sono molto contenta di dare la parola al professor Marco Mascia, che è docente di Relazioni internazionali all'università di Padova, dove è anche titolare della cattedra UNESCO «Diritti umani, democrazia e pace», nonché presidente del Centro di ateneo per i diritti umani «Antonio Papisca».

  MARCO MASCIA, coordinatore della Rete italiana delle Università per la Pace, intervento in videoconferenza. Buongiorno a tutte e a tutti. Grazie per il cortese invito a partecipare a questa indagine conoscitiva. Mi sia consentito di ringraziare la presidente, onorevole Boldrini, anche per la sua recente visita al Centro di ateneo per i diritti umani «Antonio Papisca» dell'università di Padova, dove potremmo anche dire che si è svolta un'audizione fuori sede, avendo la presidente incontrato studentesse e studenti, docenti universitari – significativo l'incontro con la Magnifica rettrice, Daniela Mapelli – ma anche insegnanti, dirigenti scolastici, amministratori locali e responsabili di associazioni ed organizzazioni della società civile.
  Alla luce di quanto espresso nel programma dell'indagine conoscitiva, vorrei fare due premesse iniziali, che a mio avviso possono aiutare a meglio definire la politica dei diritti umani dell'Italia nel mondo.
  La prima premessa riguarda la distinzione tra diritto internazionale umanitario e diritto internazionale dei diritti umani. Non è ovviamente mia intenzione fare una lezione, quanto ribadire una differenza sostanziale esistente tra questi due capitoli del diritto internazionale.
  Il diritto internazionale dei diritti umani in quanto tale non è il diritto internazionale umanitario. Il diritto internazionale umanitario entra nel sistema della politica internazionale molto, molto prima: risale alla seconda metà del diciannovesimo secolo, con la Convenzione di Ginevra del 1862. Fonti più recenti sono le Convenzioni di Ginevra del 1949 e i collegati Protocolli del 1977. Il diritto internazionale umanitario ha come obiettivo – io dico improbabile, anzi impossibile – l'umanizzazione della guerra, sottoponendo a comuni princìpi di umanità l'esercizio dello ius ad bellum dei singoli Stati, in particolare per quanto riguarda il trattamento dei prigionieri e dei feriti, la salvaguardia delle popolazioni civili e via elencando. Dunque, è un diritto che non proscrive la guerra, che non vieta la guerra, ma che si propone di umanizzarla.
  Il diritto internazionale dei diritti umani, invece, ha le sue radici nella Carta delle Nazioni Unite e nella Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948. I due grandi pilastri di questo nuovo diritto internazionale sono il Patto internazionale sui diritti civili e politici e il Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali, entrambi adottati dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 1966, entrati in vigore nel 1997 e ratificati dall'Italia nel 1978. Naturalmente, fanno parte di questo processo, per noi europei, anche la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, la Carta sociale europea del Consiglio d'Europa e la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea. Dunque, questo diritto internazionale dei diritti umani, diversamente dal diritto umanitario, è un diritto che vieta la guerra, anzi la ripudia; in altri termini, è un diritto per la vita e per la pace.
  Voglio sottolineare che non intendo disconoscere l'utilità, anzi la necessità di rispettare il diritto internazionale umanitario, intendo piuttosto precisare che il diritto umanitario, in quanto ius in bello – ovvero da applicare in tempo di guerra e, ovviamente, anche in occasione di catastrofi naturali –, non mette in discussione la sovranità dello Stato, corredata dall'attributo dello ius ad bellum, ossia del diritto di fare le guerre, che saranno – specie se vittoriose – sempre e comunque giuste e, quindi, legittime.
  È importante sottolineare questo aspetto per contraddire una tesi che continua ad essere sostenuta soprattutto negli ambienti accademici, vale a dire che il diritto internazionale dei diritti umani varrebbe soltantoPag. 5 per il tempo di pace. No, il diritto internazionale dei diritti umani parte, invece, dall'assunto secondo cui la vita delle persone è valore assoluto. Tant'è che il rispetto del diritto alla vita è esplicitamente sottratto alla possibilità di deroga temporanea di taluni diritti prevista, in via di rigorosa eccezione, dall'articolo 4 del Patto internazionale sui diritti civili e politici. Ribadisco, quindi, che il diritto internazionale dei diritti umani vale in qualsiasi tempo e in qualsiasi contesto.
  Questa tesi trova conferma nelle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell'ONU, così come in quelle dell'Assemblea Generale e del Consiglio per i diritti umani, dove sempre più spesso ricorre il contestuale riferimento al diritto internazionale dei diritti umani, al diritto internazionale umanitario e al diritto internazionale penale.
  La seconda premessa che mi permetto di fare mi serve per richiamare un principio cardine di tutto il sapere dei diritti umani, ed è il principio dell'interdipendenza e indivisibilità dei diritti umani, che sono civili e politici, economici, sociali e culturali, individuali e collettivi, della persona e dei popoli.
  Che cosa comporta questo principio? Comporta che il diritto all'educazione, il diritto alla salute e il diritto alla diversità culturale abbiano le stesse possibilità di garanzia e soddisfacimento del diritto alla libertà di associazione, del diritto a libere elezioni, del diritto a non essere torturato, essendo tutti diritti fondamentali.
  La democrazia che non sia allo stesso tempo politica ed economica non è democrazia nel senso dei diritti umani. Ne discende che lo Stato democratico non può non essere, allo stesso tempo, Stato di diritto e Stato sociale. Insomma, per realizzare i diritti fondamentali non bastano, dunque, la legge e la sentenza giudiziaria – pur necessarie, ovviamente –, ma occorrono anche politiche pubbliche e mobilitazione di risorse finanziarie. Questo vale anche per il diritto dei popoli all'autodeterminazione, sancito dall'identico articolo 1 dei due Patti del 1966: laddove è violato l'inalienabile diritto all'autodeterminazione, sono violati tutti gli altri diritti umani; basti pensare a quello che sta accadendo nella Striscia di Gaza o nei territori palestinesi occupati.
  Adesso vorrei con voi condividere tre brevissime riflessioni. La prima riflessione è che la politica dell'Italia in materia di diritti umani nel mondo, a mio avviso, deve andare oltre i pur fondamentali temi che troviamo enunciati nei documenti del Ministero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale, in particolare nella lettera che l'Italia produce quando si candida al Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite. Questi temi, questi diritti fondamentali li conosciamo: la lotta contro ogni forma di discriminazione, la moratoria universale sulla pena di morte, la promozione dei diritti delle donne e delle bambine, la tutela dei diritti dell'infanzia, la tutela della libertà religiosa, la lotta contro il traffico degli esseri umani, la disabilità e via elencando. Su questi temi, peraltro, l'Italia dovrebbe essere molto più incisiva.
  Il tema oggi, a mio avviso, è quello di andare oltre la retorica dei diritti umani. Qui la grande questione è quella della effettività dei diritti umani internazionalmente riconosciuti. In altre parole, il tema non è più tanto quello dello standard setting, ossia del riconoscimento giuridico internazionale dei diritti umani, quanto quello di garantire l'effettiva protezione di questi diritti in ogni parte del mondo. Allora, ecco che l'agenda della politica internazionale per i diritti umani dovrebbe aprire le porte a temi quali i diritti dei migranti, la criminalizzazione delle organizzazioni non governative, il restringimento degli spazi della società civile, il diritto alla libertà di informazione, la giustizia climatica, l'intelligenza artificiale, i diritti delle persone LGBTQ+. Quindi, l'Italia dovrebbe ampliare i propri interventi nel campo dei diritti umani.
  Collegata a questa c'è una seconda riflessione, a mio avviso significativa: io vedo una sorta di scollamento tra le priorità interne e quelle esterne in materia dei diritti umani, mi sembra che interno ed esterno si parlino poco. L'autorevolezza dell'Italia – così come di qualsiasi altro Paese, Pag. 6ovviamente – per quanto riguarda la promozione dei diritti umani nel mondo è direttamente proporzionale al livello di rispetto dei diritti umani al nostro interno.
  Vi faccio un esempio semplice, ma emblematico: l'Unione europea era considerato un attore di norm promotion (promozione di norme) nel campo dei diritti umani attraverso vari strumenti; tra questi, in particolare, il dialogo sui diritti umani con i Paesi terzi ed i gruppi regionali. Ebbene, l'Unione europea oggi ha perso molto della sua credibilità a seguito della regressione dei diritti umani in alcuni suoi Stati membri.
  Ciò che voglio dire è che l'agenda interna e quella internazionale dell'Italia in materia di diritti umani devono essere fortemente interconnesse, correlate e soprattutto coerenti.
  Vi faccio un esempio concreto che riguarda il nostro Paese: nel 2024 l'Italia ha versato, come contributo volontario all'Ufficio dell'Alto Commissario per i diritti umani delle Nazioni Unite, 1 milione 600 mila euro, il Belgio ha versato 4 milioni, la Germania 5,5 milioni, la Finlandia 9,7 milioni, l'Olanda oltre 13 milioni, la Svezia oltre 17 milioni. Allora, se devo prendere un indicatore sull'impegno dell'Italia nel campo della protezione dei diritti umani, vado a vedere, per esempio, il contributo volontario all'Ufficio dell'Alto Commissario per i diritti umani. Vi do alcuni dati: nel 2022 l'Italia ha versato a questo fondo 693 mila euro, nel 2021 536 mila euro, nel 2020 917 mila euro. Sostanzialmente non ha versato nulla, sono fonti delle Nazioni Unite.
  Questo, dunque, che cosa significa? Significa che promuovere i diritti umani nella politica estera ha, ovviamente, dei costi, sia per quanto riguarda il sostegno ai meccanismi regionali e universali di protezione dei diritti umani, sia con riferimento alle scelte che si devono fare nel campo della politica estera. Un esempio per tutti è il caso Regeni: nel momento in cui un Paese come l'Egitto, che è uno dei più grandi violatori dei diritti umani, violenta quel corpo nel modo in cui tutti noi abbiamo visto, la reazione di un Paese deve essere coerente con la gravità di quell'atto. Ma questo, ovviamente, comporta dei costi, perché significa sospendere le relazioni diplomatiche, sospendere il commercio di armi con quel Paese. Insomma, significa fare delle scelte.
  Arrivo alla terza e ultima riflessione che voglio portare alla vostra attenzione: all'Italia manca ancora la Commissione nazionale indipendente per i diritti umani, raccomandata dalle Nazioni Unite fin dal 1993 e anche da altre organizzazioni internazionali, dal Consiglio d'Europa all'Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa. A Ginevra funziona un coordinamento delle national human rights institutions, che contribuisce a definire la politica internazionale dei diritti umani. Allora, a mio avviso l'Italia dovrebbe, una volta per tutte, istituire questa commissione e, quindi, partecipare attivamente a questi incontri.
  L'obiettivo dell'indagine – diceva bene la presidente, onorevole Boldrini – è anche quello di verificare le modalità con le quali il nostro Paese può contribuire a promuovere una più efficace tutela dei diritti umani e delle libertà fondamentali a livello internazionale. Ebbene, a mio avviso le prime due modalità sono: in primo luogo, la coerenza dell'agenda nel campo dei diritti umani sul piano interno e su quello internazionale; in secondo luogo, il potenziamento e la democratizzazione dell'Organizzazione delle Nazioni Unite e del suo sistema di Agenzie specializzate. Ricordiamoci che noi non avremmo la Dichiarazione universale dei diritti umani e il nuovo diritto internazionale dei diritti umani – che la Dichiarazione dei diritti umani ha generato – se tre anni prima non fosse stata creata l'ONU. Dunque, se noi buttiamo a mare l'ONU, se noi la emarginiamo, la umiliamo, così come sta accadendo in questi anni, buttiamo a mare anche il diritto internazionale dei diritti umani e i collegati sistemi di garanzia attivi all'interno delle Nazioni Unite, dai treaty bodies al Consiglio per i diritti umani, alle procedure speciali e via elencando.
  Una terza modalità per portare il nostro Paese a contribuire alla promozione dei diritti umani sul piano internazionale è quella di sostenere e non di criminalizzare Pag. 7il fondamentale lavoro che le organizzazioni non governative svolgono; organizzazioni che hanno contribuito – non dimentichiamolo – sia al processo di standard setting, ovvero di riconoscimento giuridico internazionale dei diritti umani, sia ai sistemi di monitoraggio.
  Una quarta modalità è sostenere le attività della Corte penale internazionale, senza indugio, e il suo Fondo fiduciario per supportare le vittime dei crimini. Anche qui, l'Italia, insieme ad altri Paesi, versa pochissimi fondi.
  Una quinta modalità, senza con questo sfociare nella retorica, per promuovere i diritti umani nel mondo è quella di bloccare la vendita di armi, in generale e in particolare ai Paesi in guerra.
  Un'ultima modalità è quella dell'educazione alla pace e ai diritti umani, della formazione alla pace e ai diritti umani. Qui penso che la professoressa Enza Pellecchia possa dire quello che stiamo facendo come Rete italiana delle Università per la Pace.
  Vi ringrazio per l'attenzione e mi scuso se mi sono prolungato un po' troppo.

  PRESIDENTE. Grazie, professor Mascia.
  Do la parola alla professoressa Enza Pellecchia per la sua relazione. Ricordo che la professoressa Pellecchia è docente di diritto privato presso l'università di Pisa e già direttrice, fino al 2022, del Centro interdisciplinare scienze per la pace.

  ENZA PELLECCHIA, coordinatrice della Rete italiana delle Università per la Pace, intervento in videoconferenza. Signor presidente, anch'io ringrazio per l'invito. È un'occasione preziosa.
  Raccolgo immediatamente l'assist del collega Marco Mascia, che ha concluso il suo intervento con il riferimento, tra i possibili contributi che l'Italia può dare al rafforzamento dei diritti umani nel mondo, all'educazione alla pace e ai diritti umani. Questo mi dà l'occasione per andare ad esplorare il contributo che l'Italia può dare tramite le sue università.
  È stato molto bello sentire declamata dall'onorevole Boldrini la descrizione delle principali finalità di Rete italiana delle Università per la Pace (RUniPace), perché quando si è immersi lungamente in un contesto vedersi raccontati dall'esterno non capita di frequente. In genere ci raccontiamo, non veniamo raccontati; quindi, il fatto di sentirci raccontati ci ha fatto vedere quanta bellezza c'è in quello che stiamo facendo.
  Premetto che è possibile che io abbia dei problemi con il computer, in quel caso mi ricollegherei immediatamente dal telefono. Potrei avere questo inconveniente, perché questo collegamento è particolarmente energivoro e, nonostante io sia collegata ad una sorgente elettrica, vedo che il livello della batteria si sta abbassando.
  Alla Rete italiana delle Università per la Pace aderiscono più di settanta atenei ed è una rete che sta cominciando ad intrattenere anche rapporti a livello internazionale. Il nostro motto è una frase del filosofo Diderot: «Non basta fare il bene, bisogna farlo bene». In questo motto che noi abbiamo scelto si racchiude il senso e l'impostazione del nostro lavoro, che non è semplicemente un lavoro di terza missione, che pure è importantissimo, ma è un lavoro principalmente di didattica e di ricerca.
  L'area dei cosiddetti «peace studies» (studi per la pace) – che a livello internazionale nasce subito dopo la fine della seconda guerra mondiale, quando con evidenza estrema si conclama il contributo che le scienze hanno dato e possono dare alla guerra – avvia una riflessione quasi catartica, vale a dire: cosa possono fare le scienze intese come discipline che si insegnano nell'accademia per la costruzione della pace con mezzi pacifici? Questa riflessione, che nel resto del mondo, soprattutto negli Stati Uniti e nei Paesi scandinavi, inizia subito dopo la seconda guerra mondiale, verso gli anni Settanta comincia a diffondersi anche in Italia, e ci sono delle avanguardie che portano avanti questa riflessione, penso all'Unione scienziati per il disarmo, nella quale confluiscono prima di tutto accademici, ma extra università; quindi, è un'organizzazione che, benché costituita prevalentemente da accademici, svolge la sua attività attraverso una forma, quella Pag. 8appunto dell'associazione, che è extra-universitaria. Ma nelle università cominciano poi ad esserci esperienze pilota, dunque il Centro per i diritti umani dell'università di Padova, il Centro interdisciplinare scienze per la pace dell'università di Pisa, ma anche corsi di laurea in scienze per la pace a Pisa e altrove, corsi sui diritti umani, corsi sulla cooperazione eccetera.
  Si comincia a diffondere un sapere mirato alla creazione della pace con mezzi pacifici, attraverso gli strumenti di indagine scientifica, di ricerca scientifica e di didattica universitaria, che comincia a costruire un sapere che si va sedimentando, si va diffondendo, ma che non era ancora entrato in rete, non aveva ancora stabilito sinergie, che è esattamente ciò che la Rete italiana delle Università per la Pace ha cominciato a fare a partire dal 2019. Dunque, dal nostro punto di vista la pace si fa anche con i mezzi dell'analisi scientifica, dell'elaborazione di teorie, di tecniche, di strumenti di analisi, di strumenti di soluzione dei conflitti, di strumenti per l'educazione alla pace. Questa è essenzialmente la nostra missione.
  Come stiamo portando avanti questa missione? Citerò due iniziative, che sono le più recenti e sono quelle che in questo momento rappresentano la nostra offerta principale. Un general course, un cosiddetto «corso trasversale» su diritti umani e trasformazione non violenta dei conflitti, che è stato elaborato dall'università di Padova ed è un modello replicabile in tutte le altre università, che ha avuto un grandissimo successo in termini di risposta, in termini di interesse suscitato negli studenti: quasi trecento tra studenti e studentesse, ma anche personale tecnico-amministrativo e soggetti esterni all'università. Questo a testimonianza del fatto che c'è un grande desiderio, c'è una grande sete di conoscenza e si sente il bisogno di strumenti di indagine e strumenti di analisi di quello che accade nel mondo, per poter poi criticamente comprendere e fare consapevolmente delle scelte.
  La seconda iniziativa riguarda un progetto su cui stiamo investendo le nostre energie e di cui siamo particolarmente orgogliosi, vale a dire il progetto di dottorato nazionale in peace studies. Abbiamo impiegato più di un anno per la sua progettazione, ma il progetto ha finalmente visto la luce. Infatti, partecipiamo al quarantesimo ciclo per i dottorati con un'offerta importante: un dottorato nazionale, a cui aderiscono trentadue atenei – che mette a bando quarantuno posti, di cui trentasei con borsa di studio – e che si articola in dieci curricula. Li enumero rapidamente.
  È importante fare questo elenco per mettere in luce la caratura fortemente interdisciplinare e, soprattutto, per far vedere che cosa significano le scienze per la pace, che cosa significa guardare alle discipline attraverso la lente della pace e della costruzione della pace con mezzi pacifici. I curricula sono i seguenti.
  Curriculum n. 1: tecnologia, sostenibilità e pace; questa è intanto una grandissima apertura su uno scenario al quale solitamente non si guarda quando si pensa ai diritti umani e alla pace, ovvero il tema delle scienze pure e poi delle scienze applicate, le tecnologie. Le tecnologie, che perlopiù sono utilizzate come strumento di guerra, in realtà possono essere formidabili strumenti di pace, ed è proprio questo che verrà sviluppato nell'ambito di questo curriculum.
  Curriculum n. 2: identità, memorie, religioni e pace; il tema del dialogo interreligioso, il tema del dialogo interculturale è, evidentemente, cruciale per la costruzione di società pacifiche.
  Curriculum n. 3: costruzione della pace, diritti umani, diritti dei popoli; qui il riferimento ai diritti umani è esplicito. Il professor Mascia è referente per questo curriculum, non a caso legato al tema dei diritti dei popoli, quindi non visto semplicemente nella prospettiva del diritto umano individuale, ma in una prospettiva universale, e poi i diritti dei popoli in quanto tali.
  Curriculum n. 4: educazione alla pace – torna ancora il tema dell'educazione alla pace – e migrazioni; un binomio giustificato dal fatto che le nostre sono società sempre più miste, sono sempre più società interculturali, in cui l'ineluttabilità dei processi di accoglienza deve essere coniugata Pag. 9con strumenti di educazione sempre più in grado di dare conto della diversità delle identità che nelle nostre società si vanno manifestando.
  Curriculum n. 5: architettura e paesaggi di pace; l'organizzazione dello spazio, il modo in cui si vive, il modo in cui si abita lo spazio può essere strumento di conflitto o può essere strumento di costruzione della pace. Quando diciamo «architettura» non intendiamo, ovviamente, semplicemente quell'architettura che quasi sconfina nelle opere d'arte, ma intendiamo proprio l'organizzazione dei luoghi e degli spazi in cui le persone si incontrano e che possono veicolare messaggi di pace oppure messaggi che vanno nella direzione del conflitto.
  Curriculum n. 6: spazio, territori, risorse e narrazioni nella prospettiva della pace; ancora una volta il tema dello spazio, questa volta declinato soprattutto sulla questione delle risorse, che possono essere presupposto di conflitti.
  Curriculum n. 7: economia della pace; perché i modelli economici possono essere uno strumento importantissimo per alimentare i conflitti o, invece, per alimentare convivenze pacifiche.
  Curriculum n. 8: letteratura, arti, filosofie e immaginari di pace.
  Curriculum n. 9: giustizia riparativa, giustizia di transizione e trasformazione non violenta dei conflitti; il tema della giustizia riparativa è un tema che certamente riguarda i grandi processi internazionali, e in questa direzione noi intendiamo svilupparlo, e comunque certamente guarderemo alle esperienze internazionali più significative di giustizia riparativa. Ne cito una soltanto, una per tutte, quello della Colombia, che è in atto, però ce ne sono altre minori, meno conosciute, ma non meno importanti. Lì il contributo che potremo dare, come Italia, a questi processi, preparando persone con competenze specifiche per poter incidere in quei contesti, sarà importante, ma il tema generale della trasformazione non violenta dei conflitti opera a livello, ovviamente, anche della nostra società interna.
  Curriculum n. 10: dinamiche, processi e attori delle relazioni internazionali.
  Mi sono soffermata un po' di più sull'illustrazione dell'offerta formativa del dottorato nazionale in studi per la pace perché ritengo che la prospettiva di formare ogni anno quaranta – ma speriamo anche di più – giovani che rafforzeranno i loro strumenti di analisi della realtà e daranno un contributo in termini di elaborazione, a loro volta, di ricerche sui temi della costruzione della pace e sui temi del rispetto dei diritti umani, può rappresentare un serbatoio importante di persone qualificate a cui attingere per immaginare, per queste persone, un ruolo anche in quei contesti, nazionali o internazionali, dove si prendono decisioni che riguardano i diritti umani. Quindi, noi formeremo persone di elevatissima qualità, che potranno, dalla specializzazione conseguita, rappresentare l'Italia in molteplici contesti, anche internazionali.
  Qual è la peculiarità della preparazione, della formazione che noi forniremo a queste persone? È l'interdisciplinarità, perché un ingegnere che ha il desiderio di approfondire il tema delle tecnologie per la pace deve, però, sapere qualcosa anche di analisi dei conflitti e di tecniche di trasformazione non violenta dei conflitti. Dunque, il fatto di poter avere – questo lo forniremo soprattutto nel primo anno – delle informazioni e delle competenze di base sarà particolarmente importante.
  Per concludere, voglio fare riferimento ad un altro contesto nel quale l'Italia potrebbe giocare un ruolo molto importante dal punto di vista del rafforzamento della protezione dei diritti umani. So che è un ambito rispetto al quale l'onorevole Boldrini è particolarmente sensibile, perché è in quel contesto che abbiamo avuto modo, già da qualche anno, di conoscerci e di incontrarci, ovvero l'impegno per il disarmo nucleare. Perché richiamo l'impegno per il disarmo nucleare, che, in questo specifico momento storico, dovrebbe essere impegno per la ratifica, da parte dell'Italia, del Trattato di messa al bando delle armi nucleari? Lo cito perché l'impostazione di questo Trattato è proprio una impostazione fortemente radicata nella prospettiva umanitaria.Pag. 10
  Se poniamo a confronto quello che continua a essere un importantissimo pilastro delle politiche internazionali in materia di disarmo nucleare, ovvero il Trattato di non proliferazione, con il Trattato di messa al bando – e questo confronto lo operiamo soprattutto sui preamboli, che non sono meri enunciati retorici, ma indicano proprio quali sono le premesse, le fondamenta eccetera – vedremo una differenza veramente significativa: il trattato di non proliferazione – stipulato negli anni Settanta – si muove sul piano della geopolitica, sul piano degli equilibri dei rapporti tra Stati, guarda alla questione del disarmo nucleare dal punto di vista della sicurezza degli Stati; il Trattato di messa al bando delle armi nucleari adotta un approccio completamente diverso, evidentissimo fin dalla premessa, ossia che la questione non è la sicurezza degli Stati, ma la sicurezza delle persone. Un mondo che faccia proprio l'imperativo della sicurezza delle persone non può convivere con il principale strumento che mette a rischio la sicurezza delle persone, la sicurezza degli esseri umani, ovvero le armi nucleari.
  Per questo, l'approccio fondamentale è il cosiddetto «approccio umanitario»: il tema, il focus è l'inaccettabilità delle conseguenze a livello umanitario che deriverebbero da esplosioni deliberate o anche soltanto accidentali di ordigni nucleari della potenza di quelli attuali.
  Penso che un buon modo per rafforzare l'impegno dell'Italia dal punto di vista della promozione del rispetto dei diritti umani potrebbe essere anche un impegno a sostegno di questo Trattato e il coraggio, da parte dell'Italia, di fare un passo avanti nel sostegno a questo Trattato.
  L'importanza del Trattato, secondo me, è più che mai evidente in questo momento, nel quale la corsa agli armamenti è ripresa, il che significa che il nostro mondo non sarà un mondo più sicuro, ma sarà un mondo sempre meno sicuro, visto che sullo scenario internazionale gli Stati che stanno partecipando alla corsa agli armamenti sono non più soltanto quelli tradizionali – riconosciuti e legittimati ad avere armi nucleari, come quelli previsti dal Trattato di non proliferazione –, ma nuovi soggetti si affacciano sulla scena, e si affacciano sulla scena anche soltanto come – cosa gravissima – Paesi che ospitano armi nucleari altrui. Il caso recente della Bielorussia allarma moltissimo dal punto di vista della sicurezza internazionale, ma non dimentichiamo che, rispetto al caso della Bielorussia – che oggi ospita armi nucleari della Federazione Russa –, il precedente lo abbiamo, purtroppo, creato noi, alleati degli Stati Uniti – tra cui l'Italia, ma anche la Germania, il Belgio e i Paesi Bassi – ospitando sui rispettivi territori nazionali armi nucleari degli Stati Uniti.
  In questa direzione ci sarebbe veramente da giocare una partita importante e sarebbe molto bello che l'Italia lo facesse con grande protagonismo.

  PRESIDENTE. Grazie. Do la parola ai colleghi che intendono intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  FABIO PORTA. Signora presidente, La ringrazio per questa opportunità.
  Ringrazio soprattutto i nostri auditi, il professor Mascia e la professoressa Pellecchia. Davvero molto interessante questa presentazione, in particolare gli spunti che ne sono venuti per la nostra attività parlamentare, di questo Comitato, ma anche della Commissione e del Parlamento più in generale. Dico questo perché sono convinto – ma credo che lo siamo tutti – che il dramma che questo pianeta sta vivendo – cioè la minaccia alla pace, conseguenza di tante guerre, di quella terza guerra mondiale a pezzi che cita anche Papa Francesco – dipenda soprattutto dal deterioramento dei diritti umani e della democrazia in tanti Paesi.
  La guerra, sostanzialmente, è la conseguenza di questa regressione dello Stato di diritto, dello Stato sociale, come ci veniva detto prima. Credo che la nostra responsabilità, a tutti i livelli – e l'audizione di oggi si inserisce in questo contesto – sia quella di rafforzare – proprio come rimedio, come medicina a questa deriva, che non è soltanto continentale, ma è transnazionale, mondiale – rafforzare a tutti i Pag. 11livelli il multilateralismo, le Agenzie delle Nazioni unite, le Corti, come la Corte internazionale dell'Aia; non farlo – come, purtroppo, ci hanno ricordato i nostri auditi – a parole, ma anche con fatti concreti e con risorse concrete: è vergognoso che l'Italia contribuisca in maniera così debole, quasi testimoniale, simbolica, ad organismi tanto importanti.
  Noi dovremmo raccogliere questi spunti, raccoglierli anche come mondo politico, che spesso guarda ai diritti umani a seconda delle convenienze ideologiche, di partito, se non addirittura economiche e commerciali, e puntare molto – dovremmo anche vedere in che modo potremmo farlo come Parlamento – alla formazione non soltanto dei diritti, ma anche alle nuove tecnologie, all'intelligenza artificiale, che, per esempio, potrebbero non soltanto essere un problema, ma anche un deterrente a tante forme di disinformazione, che sono alla base della messa in discussione dei diritti umani nel mondo, magari anche promuovendo ed istituendo delle borse di studio finanziate dalla stessa Camera o dallo stesso Parlamento italiano, per partecipare a quei dottorati, a quelle iniziative che ci sono state raccontate prima.
  Concludo soltanto con due brevissime domande ai due relatori. È stata citata la Colombia. Conosco un po' quello che si sta facendo, tra l'altro mi sembra proprio con il sostegno del Centro per la pace dell'Università di Padova. C'è un cantiere di pace tra Monfalcone e Bogotà, un'esperienza molto interessante. Vorrei sapere se il professor Mascia ci poteva dire qualcosa in più; recentemente c'è stata anche l'Arena della pace a Verona, alla quale ha partecipato anche Papa Francesco e tanti amici, anche italiani, volontari che provenivano dalla Colombia.
  Ho una curiosità da domandare alla professoressa Pellecchia: queste iniziative accademiche, in particolare il dottorato – non so se i curricula si riferivano soltanto a questo o anche ad altri tipi di percorsi – riguardano soltanto cittadini italiani? Quanti sono – se ci sono – i cittadini provenienti da Paesi terzi? Esistono borse di studio? Vi è la possibilità di finanziarle? Anche questo potrebbe essere un invito che potremmo raccogliere, sia come Parlamento, ma eventualmente anche come atto di indirizzo al Governo. Grazie.

  PRESIDENTE. So che il deputato Loperfido, vicepresidente di questo Comitato, è collegato da remoto, ma non lo vedo.

  EMANUELE LOPERFIDO, intervento in videoconferenza. Buongiorno. Non credo di avere la telecamera attivata, perché ho dovuto reinstallare tutto e sto guidando. Mi limito, quindi, a parlare.
  Signora presidente, La ringrazio. Ringrazio soprattutto i prestigiosi relatori. Come dicevo ieri alla presidente, io mi sono laureato a Padova nel 2002, quindi percepivo l'importanza di questo prestigioso istituto a livello internazionale.
  Detto questo, rapidamente, anche per curiosità, visto che di dialoghi c'è sempre bisogno, ho letto poche ore fa che il dialogo tra Kosovo e Serbia non ha fatto alcun passo avanti, il che significa che delle volte i margini sono veramente limitati.
  La mia curiosità riguarda le borse di studio, se sono fatte su invito da parte dell'istituto o se ci sono studenti volontari che arrivano da diverse parti del mondo per poter usufruire di questi percorsi formativi. Inoltre, vorrei sapere in quali Stati del mondo ci sono questi istituti con i quali c'è una collaborazione, per capire se si sta diffondendo anche in quelle zone in cui di dialogo c'è sempre più bisogno.

  RACHELE SCARPA. Signora presidente, mi associo subito anch'io ai ringraziamenti al professor Marco Mascia e alla professoressa Enza Pellecchia. Anche io sono una laureata classe 2021 all'Università di Padova, quindi conosco l'impegno dell'Ateneo e la vivacità della discussione da questo punto di vista; tanto che entrambi gli interventi, più che delle domande, in realtà, mi suscitavano alcune riflessioni, con un approccio quasi interdisciplinare, perché sono questioni che spesso è difficile inquadrare, essendo molto ampie, quelle sulla tutela dei diritti umani e per la costruzione di pace, che è anche difficile inquadrare Pag. 12nella specificità. Penso possa essere utile sia ai lavori di questo Comitato che, in generale, all'attività parlamentare.
  Penso a varie questioni che ho seguito recentemente e ad alcuni degli approcci che sono emersi dai due interventi. Innanzitutto, quello che distingue la difesa del diritto umanitario dalla difesa dei diritti umani, anche rispetto a temi di grande drammaticità ed attualità. Penso alla guerra nella Striscia di Gaza, dove abbiamo visto anche una delegazione di parlamentari toccare con mano una situazione di grave violazione sia del diritto umanitario sia dei diritti umani.
  Penso che l'approccio del nostro Paese, in generale, possa essere assolutamente migliorato in quest'ottica: è stato timido e tardivo il contributo umanitario dato dall'Italia su questo fronte e per lungo tempo è stato anche diffidente e non rafforzativo, sicuramente, del lavoro delle Agenzie delle Nazioni unite. In questo senso, trovo interessante, anche per il lavoro delle prossime settimane, che vedrà in discussione in Parlamento una mozione sul riconoscimento dello Stato di Palestina, l'approccio che ci invita alla coerenza nelle scelte e anche alle conseguenze materiali ed economiche, in termini di investimento, che le scelte e le coerenze devono implicare quando si tratta di difesa dei diritti umani.
  In questo spirito penso che abbiamo molto da lavorare, anche sulla coerenza tra agenda interna e agenda esterna, posto che su moltissime questioni, anche citate dall'intervento del professor Mascia, che afferiscono all'ambito dei diritti umani, il nostro Paese è drammaticamente indietro. Quindi, non solo non c'è allineamento tra l'agenda esterna e l'agenda interna, ma in questo momento abbiamo delle emergenze che vanno assolutamente aggredite. Penso alla situazione nelle carceri italiane e al fatto che molto ancora c'è da fare per garantire standard minimi da quel punto di vista.
  Penso alle questioni che afferiscono alle migrazioni. In queste ultime settimane, in particolare, mi sono occupata della detenzione amministrativa, del trattenimento finalizzato al rimpatrio, che è un ambito dove, vi assicuro, sembra che ci sia una vera e propria sospensione dei diritti umani; quindi, lascia molto da ragionare ad un Paese, ad un Parlamento che, in questo momento, sta, anzi, esportando il modello, ad esempio, dei centri di permanenza per il rimpatrio all'estero come approccio generale al fenomeno delle migrazioni.
  È un discorso che si potrebbe fare anche sul fronte delle tematiche LGBT, che in questo momento subiscono, purtroppo, quasi una forma di ideologizzazione, là dove tantissime sono le carenze sul fronte della garanzia di sicurezza, banalmente, della discriminazione piuttosto che della tutela del diritto alla salute della comunità LGBT.
  Insomma, c'è molto lavoro da fare.
  Trovo prezioso anche il contributo successivo della dottoressa Pellecchia, che valorizza l'importanza di un approccio interdisciplinare e che mette al centro la costruzione di saperi nell'ambito dell'istruzione pubblica, per favorire questo tipo di approccio; con la consapevolezza, acquisita dalla discussione di oggi, che, una volta che vediamo questi problemi e così li riscontriamo, serve dare consequenzialità alla consapevolezza, quindi adottare un certo tipo di approccio.
  Spero che l'appuntamento di oggi ci serva a capire che è possibile scegliere di investire, ad esempio, in questi percorsi, è possibile decidere di valorizzarli ed è possibile mantenere su tutte le questioni dove c'è una violazione dei diritti umani anche quell'approccio sociale e di garanzia, quindi non più di standard, che viene settato e che viene lasciato lì ad esaurirsi sulla carta, ma di garanzia effettiva e universale del rispetto dei diritti umani, per chiunque, in qualsiasi ambito o situazione si trovi. Contributi molto preziosi, quindi.
  Ringrazio anche la presidente Boldrini per aver organizzato questa audizione.

  PRESIDENTE. Prima di darvi la parola, vorrei aggiungere una domanda che ci serve per questa istruttoria, proprio perché poi dobbiamo tirare le somme, quando avremo terminato la serie di audizioni, rispetto al fatto che i diritti umani sembra vivano una stagione molto complicata, sembra non godano di buona salute. La domanda che vi Pag. 13rivolgo è se condividete questa considerazione e a che cosa si deve lo smottamento dei diritti umani, che, a mio avviso, esiste, purtroppo. Qual è il motivo per cui c'è stato questo tipo di arretramento? Voi notate questo tipo di arretramento? Se lo notate, da quando? Come si è arrivati a non considerare più centrale, nelle politiche nazionali e nelle politiche estere, la tutela dei diritti umani? Non è, questo, un motivo per perdere qualsiasi credibilità agli occhi del mondo?
  Se l'Unione europea ha un ruolo da svolgere nella sfera globale è quello di essere un po' la culla dei diritti umani, dei diritti civili e sociali. Disattendere questo, non vuol dire perdere reputazione e anche posizionamento a livello internazionale? Da voi vorrei una valutazione in merito a questo, perché penso che questa deriva in corso sia totalmente autolesionista.
  Do la parola agli auditi per la replica.

  ENZA PELLECCHIA, coordinatrice della Rete italiana delle Università per la Pace, intervento in videoconferenza. Rispondo prima alla domanda più facile, quella sulle informazioni relative al dottorato nazionale, sulla possibilità di finanziare borse, eccetera, e su come si accede. Essendo un dottorato, si accede per concorso; a questo concorso possono partecipare non soltanto italiani, ma anche stranieri. Per quanto riguarda le borse, è necessario uno sforzo significativo dal punto di vista economico, perché, trattandosi di borse di dottorato [problemi di audio], prevedono anche un periodo all'estero. Per ogni borsa sono necessari 80 mila euro per tutto il ciclo dei tre anni. Le università che hanno partecipato al dottorato hanno sostenuto questo sforzo economico, che è uno sforzo economico comunque importante in una fase storica di cronico sotto-finanziamento e costante de-finanziamento dell'università e, in generale, di tutto il comparto dell'istruzione, di cui noi siamo grati alle università.
  Ci sono stati anche dei finanziamenti esterni: in particolare, ci sono stati istituti religiosi, la Chiesa apostolica e l'Istituto buddista italiano Soka Gakkai. Quest'ultimo ha partecipato con il finanziamento di due intere borse, utilizzando i fondi dell'otto per mille che derivano dall'intesa con lo Stato italiano.
  Naturalmente, è possibile e sarebbero graditissimi altri finanziamenti per finanziare altre borse, questo laddove si volesse andare nella direzione del finanziamento delle borse di dottorato. Sarebbe particolarmente gradita una dimostrazione, un'attestazione, un investimento da parte del Parlamento italiano su questa grande scommessa scientifica e culturale che stiamo facendo; però, ci sono altri modi per finanziare gli studi per la pace, nel senso che oltre che finanziare borse di dottorato si possono comunque finanziare borse di ricerca, assegni di ricerca. Il tema degli studi per la pace è un tema che ormai sta crescendo. Si possono fare ricerche che non necessariamente si traducono nella partecipazione ad un dottorato.
  Si possono finanziare – questa sarebbe un'altra cosa importantissima, che darebbe un sostegno concreto ai diritti umani nel mondo – i corridoi umanitari universitari. Esistono progetti con l'Alto Commissariato per i diritti umani. Sono progetti in cui molte università sono coinvolte, progetti attraverso cui giovani che arrivano da Paesi in cui l'istruzione universitaria è particolarmente complicata oppure giovani rifugiati, oppure giovani che provengono da Paesi in cui il sistema universitario è, di fatto, posto nella impossibilità al momento attuale di svolgere il proprio ruolo; penso alla emergenza a Gaza, che non è soltanto una emergenza umanitaria, è anche una emergenza che riguarda l'istruzione. Il sistema universitario a Gaza è stato completamente distrutto e dunque le università italiane stanno cercando fondi per attivare borse per fare arrivare studenti e studentesse che possano proseguire qui il loro percorso universitario.
  Da questo punto di vista, se volete sostenere i diritti umani e, nello specifico, dei giovani studiosi, delle giovani studiose, ma anche degli accademici a rischio, l'università italiana ha già tutto un sistema che con grande gioia accoglierebbe finanziamenti. Abbiamo la partecipazione al sistema Scholars at Risk (SAR), una rete internazionale che accoglie nel nostro Paese universitari Pag. 14che nei loro Paesi sono perseguitati proprio per le opinioni che anche, dal punto di vista della didattica, esprimono. Poi ci sono i corridoi universitari, il progetto UNICORE (University Corridors for Refugees), manifesto delle l'università che si riconoscono proprio nei valori dell'accoglienza ai rifugiati.
  Questo potrebbe essere un altro canale su cui investire, perché questo significa...

  PRESIDENTE. Dottoressa, può andare alle conclusioni, per favore? Fra poco dobbiamo chiudere. Se non Le dispiace, devo passare la parola al professor Mascia.

  ENZA PELLECCHIA, coordinatrice della Rete italiana delle Università per la Pace, intervento in videoconferenza. Mi ero fatta prendere dall'entusiasmo. Volevo convincervi ad investire su di noi e sui diritti umani.
  Dico pochissime parole sullo smottamento dei diritti umani. Alla domanda «siamo di fronte ad uno smottamento?» io rispondo di sì, purtroppo. Alla domanda «perché?» la mia risposta è perché un sincero rispetto dei diritti umani richiede coerenza e la coerenza richiede delle scelte che sono spesso delle scelte scomode. E queste scelte scomode richiedono coraggio.
  Mi sembra che tutte queste cose drammaticamente manchino.

  PRESIDENTE. Grazie. È molto chiara questa ultima considerazione.

  MARCO MASCIA, coordinatore della Rete italiana delle Università per la Pace, intervento in videoconferenza. Signora presidente, intervengo rapidamente.
  Mi rivolgo all'onorevole Emanuele Loperfido: certo, la questione Kosovo-Serbia è una grande questione che ci riguarda da vicino, dove ancora una volta l'Unione europea non sta riuscendo a favorire la pacificazione, perché ovviamente il contesto internazionale, lo scontro contro la Russia, sta impedendo un accordo di pace tra Kosovo e Serbia.
  Ci sono tante iniziative in tante altre università in Europa e nel mondo. Ne dico solo una: nel 1997-1998 abbiamo creato lo European Master's Programme in Human Rights and Democratisation (EMA), che è un programma di master di un anno, che ha sede al Lido di Venezia; oggi è composto da quarantuno università internazionali partner, gestito dal Global Campus of Human Rights, che coordina altri sei master regionali in America Latina, nei Balcani, nel mondo arabo, in Africa, nel Caucaso e così via.
  Lo sviluppo dell'insegnamento sui diritti umani, la pace e la democrazia si sta diffondendo in giro per il mondo. Sono certo che darà i suoi frutti negli anni a venire.
  L'onorevole Porta richiamava la Colombia e l'Arena di pace. Le università, il Centro Diritti Umani di Padova, il Centro interdisciplinare scienze per la pace di Pisa, la rete delle Università per la Pace sostengono con forza le iniziative di pace in Colombia attraverso le nostre colleghe e i nostri colleghi. Abbiamo il professor Roberto Cornelli che sta formando in Colombia coloro che dovranno gestire il processo di giustizia riparativa; è un progetto enorme, dove molti colleghe e colleghi italiani sono coinvolti.
  Allo stesso tempo, però, queste università e la loro rete stanno sostenendo anche la Comunità Papa Giovanni XXIII, che da tanti anni è presente nella Comunità di pace di San José de Apartadò, in Colombia, vive con le contadine e i contadini e difende i difensori e le difensore della terra.
  Infine, ringrazio l'onorevole Scarpa per la sua riflessione, che naturalmente condivido.
  Dimenticavo l'Arena di pace: è stato un momento particolarmente forte, emozionante, con la presenza di Papa Francesco. È stato un evento organizzato per più di un anno, con una serie di incontri, di interventi. L'Arena è stato un momento conclusivo straordinario. Ci saranno dei seguiti – che non anticipo, perché non sono ancora stati definiti del tutto – che produrranno un nuovo forte investimento nel campo dell'educazione.Pag. 15
  Infine, ringrazio l'onorevole presidente Laura Boldrini per la sua domanda, che richiederebbe un'altra audizione. A che cosa si deve questa regressione nel campo dei diritti umani? Ho fatto un elenco rapidissimo: si deve al fatto che abbiamo troppe guerre, la guerra è la più grande violazione dei diritti umani; finché facciamo le guerre non possiamo pensare di promuovere i diritti umani, perché per fare le guerre ci vuole la corsa agli armamenti, ci vogliono le armi. L'Italia, in realtà, è quella che in Europa, in questo momento, sta spendendo di meno in armamenti, ma i Paesi baltici, la Germania, la Polonia, la Francia affrontano spese militari straordinarie. Ovviamente, investendo nelle spese militari non si investe in educazione, non si investe in sanità, non si investe in inclusione.
  Questa regressione si deve anche perché c'è, in Europa e nel mondo, una chiusura sempre più forte degli spazi, della società civile. C'è una crisi latente dello Stato di diritto in Europa, nei Paesi di forte tradizione democratica. C'è la crisi della democrazia, non lo possiamo nascondere. È una crisi che deriva dal fatto che non si può più pensare ad una democrazia che si esercita e che si sviluppa soltanto dentro le frontiere, i confini dello Stato nazionale. Oggi dobbiamo pensare alla democrazia internazionale, a nuove forme di partecipazione politica popolare.
  Torno e chiudo sul tema del multilateralismo: se noi buttiamo a mare l'istituzione, l'ONU e le Agenzie specializzate, e buttiamo a mare le leggi internazionali, la Dichiarazione universale e tutte le Convenzioni che hanno seguito, entriamo nell'anarchia. Siamo già dentro l'anarchia.
  Il diritto e l'organizzazione internazionale sono sepolti sotto le macerie di Gaza, di Kiev, di Aleppo. Non sono morti, ovviamente, perché hanno una forza intrinseca di resistenza, ma questo è il punto.
  Noi dobbiamo ridare forza, rilanciare il ruolo del diritto internazionale e dell'istituzione. Senza le istituzioni non ci può essere il rispetto dei diritti umani, né all'interno degli Stati né nel sistema della politica internazionale.
  Poi c'è l'ideologia neoliberista, che sta provocando quello che stiamo vedendo tutti, un aumento della povertà, dell'emarginazione sociale. Siamo in una crisi veramente tragica, drammatica.
  Come diceva la professoressa Pellecchia, abbiamo bisogno intanto di buon senso comune, perché basterebbe un po' di buon senso comune, e poi di tanto coraggio; ci vuole coraggio per fare delle scelte e il nostro Paese, come l'Unione europea, deve dire da che parte sta: se sta dalla parte dell'anarchia, se sta dalla parte della legge del più forte o se sta dalla parte della forza della legge, se sta dalla parte del multilateralismo.
  Questo è il punto: l'Unione europea deve ritrovare una sintesi, non può continuare ad andare a votare in Assemblea Generale con tre Paesi contro, tre Paesi si astengono e tre Paesi votano a favore; è la fine dell'Unione europea, di un processo che nasce, come tutti noi sappiamo, per costruire la pace in Europa.
  L'Italia nella politica internazionale deve giocare, secondo me, questo ruolo e lo può giocare, ha gli strumenti per farlo, ha una società civile forte, che chiede più pace, più diritti umani e più democrazia.
  Lavoriamo insieme – università, Parlamento, società civile – se vogliamo veramente costruire e formare quelli che Papa Francesco chiama gli artigiani, gli architetti della pace e costruire questo grande edificio della pace, che poi è la grande Casa comune europea di cui parlava Gorbaciov all'indomani della caduta del Muro di Berlino, e che gli occidentali poi hanno abbandonato fin da subito.
  Grazie ancora, presidente Boldrini, per questa opportunità che ci ha dato. Speriamo di poter continuare questa collaborazione.

  PRESIDENTE. Ringrazio entrambi. La collaborazione continuerà, perché ritengo sia fondamentale porre al centro del dibattito questo tema. Se non si arriva alla consapevolezza che erodendo i diritti umani viene meno l'assetto dell'equilibrio globale, se non si capisce questo, si continuerà a Pag. 16pensare che va bene chiudere un occhio e anche forse chiudere tutti e due gli occhi.
  È così che avanza l'imbarbarimento, l'insicurezza generale e la legge del più forte, non la forza della legge, ma la legge del più forte. Io farò la mia parte; la faremo in questo Comitato e la faremo anche insieme a voi, che ci fornite un osservatorio molto prezioso per inquadrare la realtà che stiamo vivendo, partendo dalla conoscenza, che è sempre alla base di qualsiasi percorso utile per le comunità.
  Spero di avere presto l'occasione di incontrarvi. Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15.