XIX Legislatura

III Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 4 di Martedì 20 maggio 2025

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Formentini Paolo , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLE DINAMICHE GEOPOLITICHE NELLA REGIONE DELL'ARTICO
Formentini Paolo , Presidente ... 3 
Rekvig Gunnar , vicedirettore di ... 3 
Formentini Paolo , Presidente ... 7 
Rekvig Gunnar , vicedirettore di ... 7 
Formentini Paolo , Presidente ... 7 
Orsini Andrea , intervento in videoconferenza ... 7 
Formentini Paolo , Presidente ... 8 
Della Vedova Benedetto (Misto-+Europa)  ... 8 
Formentini Paolo , Presidente ... 8 
Marrocco Patrizia , intervento in videoconferenza ... 8 
Formentini Paolo , Presidente ... 8 
Rekvig Gunnar , vicedirettore di ... 8 
Formentini Paolo , Presidente ... 10 

Audizione di Simone Orlandini, responsabile del Progetto Artica 2025 di Ocean Sea Foundation :
Formentini Paolo , Presidente ... 10 
Orlandini Simone , responsabile del Progetto Artica 2025 di ... 10 
Formentini Paolo , Presidente ... 16 
Coin Dimitri (LEGA)  ... 16 
Formentini Paolo , Presidente ... 16 
Orlandini Simone , responsabile del Progetto Artica 2025 di ... 16 
Formentini Paolo , Presidente ... 18

Sigle dei gruppi parlamentari:
Fratelli d'Italia: FdI;
Partito Democratico - Italia Democratica e Progressista: PD-IDP;
Lega - Salvini Premier: Lega;
Forza Italia - Berlusconi Presidente - PPE: FI-PPE;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Alleanza Verdi e Sinistra: AVS;
Azione - Popolari europeisti riformatori - Renew Europe: AZ-PER-RE;
Noi Moderati (Noi con l'Italia, Coraggio Italia, UDC e Italia al Centro) - MAIE - Centro Popolare: NM(N-C-U-I)M-CP;
Italia Viva - il Centro - Renew Europe: IV-C-RE;
Misto: Misto;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-+Europa: Misto-+E.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE
PAOLO FORMENTINI

  La seduta comincia alle 12.30.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche mediante la resocontazione stenografica e la trasmissione attraverso la web-tv della Camera dei deputati.

Audizione, in videoconferenza, di Gunnar Rekvig, vicedirettore di Global Arctic .

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulle dinamiche geopolitiche nella regione dell'Artico, l'audizione di Gunnar Rekvig, vicedirettore di Global Arctic.
  Ricordo che la partecipazione da remoto è consentita a colleghe e colleghi secondo le modalità stabilite dalla Giunta per il Regolamento.
  Anche a nome dei componenti della Commissione, saluto e ringrazio per la disponibilità a prendere parte ai nostri lavori, collegato in videoconferenza, il professor Rekvig.
  Ricordo che il Global Arctic project è nato nel 2014 su iniziativa del Northern Research Forum e della rete tematica su geopolitica e sicurezza dell'Università dell'Artico, con l'obiettivo di definire un approccio interdisciplinare alla regione artica che tenga conto di tutti i profili: ecologico, culturale, economico, geopolitico e sociale.
  Considerati i tempi stretti, cedo la parola al professor Rekvig affinché possa svolgere il proprio intervento.

  GUNNAR REKVIG, vicedirettore di Global Arctic. Permettetemi di cominciare ringraziando gli onorevoli membri della Camera dei deputati. Grazie mille per questa occasione che mi avete dato per parlare della governance artica. Vorrei evidenziare i meccanismi storici di cooperazione tra il Nord e la Russia man mano che ci sono delle evoluzioni in materia di sicurezza nell'alto Nord. La mia prospettiva è basata sulle mie ricerche, sulle relazioni internazionali dell'Artico, con un'attenzione particolare concentrata sulla pace nordica, sulla costruzione della fiducia nella guerra fredda e sulle dinamiche geopolitiche all'interno dei quadri di governance nell'Artico.
  L'Artico di oggi è una regione che cambia. Pensate all'Artico come ad un microcosmo che riflette cambiamenti più ampi nell'ordine internazionale. La regione artica si estende per oltre 30 milioni di chilometri quadrati, con una popolazione approssimativamente di quattro milioni di persone; oggi io vi parlo della regione di Barents, l'area più popolata dell'Artico, che comprende le parti settentrionali di Norvegia, Svezia, Finlandia e Russia nord-occidentale.
  Questa regione oggi si trova al crocevia di dinamiche geopolitiche piuttosto complesse e anche al crocevia di cambiamenti climatici. Gli sviluppi che hanno luogo qui amplificano le sfide globali legate all'estrazione delle risorse, alle rotte commerciali marittime e alla competizione strategica tra grandi potenze. Mi voglio concentrare sulla evoluzione storica della governance artica. Il periodo post guerra fredda ha visto l'istituzione di strutture formali di governance artica basate su precedenti accordi di natura prettamente bilaterale.
  Nel 1993 la dichiarazione di Kirkenes ha lanciato la cooperazione euro-artica di Pag. 4Barents, istituzionalizzando le relazioni tra Norvegia settentrionale, Svezia, Finlandia e Russia nord-occidentale, quindi la regione di Barents; questo quadro multilaterale comprendeva tredici regioni amministrative in questi Paesi.
  Nel 1996 il Consiglio Artico è emerso come principale forum di governance circumpolare, unendo gli otto Stati artici con partecipanti permanenti che rappresentavano le popolazioni autoctone. Il suo mandato si concentrava sullo sviluppo sostenibile e sulla protezione dell'ambiente, escludendo esplicitamente la sicurezza militare.
  Si tratta di una limitazione che oggi riduce l'efficacia nell'affrontare le sfide emergenti in materia di sicurezza, quello a cui stiamo assistendo oggi. Malgrado questo, il panorama della governance artica contemporanea comprende vari quadri di riferimento, che esistono e che sono in corso. Forse il più importante è la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare - l'UNCLOS -, che fornisce il quadro legale per la delimitazione dei confini marittimi e le rivendicazioni della piattaforma continentale.
  Poi abbiamo l'Organizzazione marittima internazionale, che ha contribuito ad istituire il codice polare per le norme di navigazione nelle acque polari; abbiamo l'accordo di pesca nell'Oceano Artico centrale: l'obiettivo di tale accordo è quello di prevenire la pesca illegale nell'alto mare dell'Oceano Artico centrale. Oltre a questo, abbiamo degli accordi bilaterali che affrontano questioni specifiche tra gli Stati artici, tra cui la gestione della pesca e la delimitazione dei confini.
  Questa architettura multilivello ha funzionato bene, storicamente, durante i periodi di bassa tensione geopolitica. Malgrado questo, adesso si trova a fronteggiare delle sfide profonde man mano che la transizione del sistema va verso la multipolarità.
  Questo è particolarmente evidente nella regione dell'Artico; a causa di questo, all'interno di questo quadro di governance, assistiamo alla espansione della presenza della NATO nell'Artico; la NATO funziona sia come alleanza militare sia come attore di governance de facto grazie ai suoi Stati membri del Nord.
  Adesso vorrei parlarvi dei meccanismi di cooperazione nordico-russi, soprattutto del caso norvegese. Io sono norvegese, quindi è una questione che mi sta a cuore. La relazione tra Norvegia e Russia, che risale agli anni della guerra fredda e dell'Unione Sovietica, dimostra come la fiducia o le misure di costruzione della fiducia possono facilitare la cooperazione tra nemici ideologici. Le basi di questa relazione risalgono alla liberazione della Norvegia settentrionale da parte dei sovietici nel 1944 e il loro successivo ritiro unilaterale nel 1945. La Norvegia, quindi, è l'unico Paese da cui le forze sovietiche si sono ritirate volontariamente dopo la seconda guerra mondiale. Subito dopo la seconda guerra mondiale, durante la guerra fredda, la Norvegia ha implementato varie iniziative di rafforzamento della fiducia nei confronti dell'Unione Sovietica mantenendo, al contempo, la sua appartenenza alla NATO.
  In primo luogo, abbiamo un accordo culturale che risale al 1956. La Norvegia era diventata il primo Paese occidentale a stabilire un accordo culturale formale con l'Unione Sovietica, facilitando così gli scambi in ambito sportivo, in ambito cinematografico, teatrale e musicale. Tutto questo è stato caratterizzato come un'apertura nella cortina di ferro.
  L'accordo culturale ha portato, nel 1958, ad una collaborazione scientifica tra istituti di ricerca marina norvegesi e sovietici. Ci sono stati dei monitoraggi congiunti nell'ecosistema di pesca nel Mare di Barents. Questo ha portato alla Commissione mista per la pesca nel 1974; si è trattato di un meccanismo bilaterale che ha ripartito le quote di pesca con una suddivisione equa.
  Questa Commissione continua ad operare malgrado la guerra in Ucraina. Poi abbiamo i negoziati sulle dispute relative ai confini del Mare di Barents. I negoziati sono durati dagli anni Settanta al 2010; durante questo periodo di negoziati abbiamo avuto una moratoria sull'estrazione di idrocarburi nell'area contesa.
  Il Trattato del 2010 è stato siglato tra la Norvegia e la Federazione russa. È un Pag. 5trattato che rappresenta una soluzione equilibrata, che ha diviso l'area in modo equo.
  L'ultima politica di rassicurazione è stata quella delle restrizioni militari unilaterali. La Norvegia ha implementato varie limitazioni militari autoimposte. Ha proibito le basi militari straniere in tempo di pace, ha vietato le armi nucleari sul territorio norvegese, ha limitato l'attività militare della NATO vicino al confine sovietico.
  Questo meccanismo dimostra come le regioni periferiche come la Norvegia, soprattutto la Norvegia settentrionale, possano navigare in relazioni geopolitiche complesse grazie ad un impegno strategicamente calibrato. L'approccio della Norvegia ha riconosciuto l'asimmetria del suo rapporto con l'Unione Sovietica preservando, al contempo, il suo allineamento di sicurezza con la NATO, producendo così stabilità regionale durante l'apice del confronto, durante la guerra fredda; il fianco settentrionale della NATO durante la guerra fredda è stato pacifico.
  Adesso passiamo alle trasformazioni contemporanee nel quadro dell'Artico e della sicurezza artica. Il sistema di governance dell'Artico post guerra fredda, attualmente, sta subendo delle profonde trasformazioni a causa di due variabili interconnesse: la guerra in Ucraina e l'accelerazione del cambiamento climatico.
  La guerra in Ucraina ha segnato una rottura decisiva con le precedenti ipotesi di eccezionalismo artico, accelerando la messa in sicurezza e sospendendo i quadri di cooperazione che andavano avanti da lungo tempo.
  Il lavoro del Consiglio Artico si è effettivamente interrotto quando la Russia ha assunto la presidenza nel 2021 e gli altri sette Stati artici hanno boicottato le riunioni in risposta all'invasione russa dell'Ucraina.
  Contemporaneamente, il cambiamento climatico va avanti ad un ritmo senza precedenti, con un riscaldamento dell'Artico quattro volte più veloce rispetto a quello della media globale. La rapida riduzione dei ghiacci ha portato i climatologi a prevedere estati senza ghiaccio potenzialmente entro il 2030, a soli cinque anni da oggi. Nel 2023 il passaggio a nord-ovest ha registrato una copertura di ghiaccio storicamente bassa, mentre la via del Mare settentrionale sulla Russia è stata in gran parte priva di ghiaccio nel mese di agosto. Questi due fattori hanno creato delle condizioni che collegano l'Artico atlantico all'Artico pacifico, mettendo in discussione la precedente segmentazione dei complessi di sicurezza artici.
  Tre sviluppi chiave illustrano tale trasformazione. Parto dal primo: la posizione militare russa nell'Artico si è estesa ben oltre le operazioni orientate all'Atlantico. Negli ultimi anni si è assistito ad un significativo miglioramento delle infrastrutture militari lungo tutta la costa artica della Russia. La flotta del nord sta passando da una forza prevalentemente atlantica ad una forza con capacità trans-artica, con un potenziale di proiezione di potenza verso il Pacifico settentrionale sull'intero arco artico.
  In secondo luogo, la crescente presenza della Cina nell'Artico presuppone una sfida multidimensionale che trascende la divisione tra Atlantico e Pacifico. L'iniziativa di Pechino della Via della seta polare, le stazioni di ricerca in Islanda e nelle Svalbard, in Norvegia, e gli investimenti nei progetti russi di gas naturale liquefatto rivelano un approccio completo, che fonde obiettivi economici, scientifici e strategici.
  In terzo luogo, con la diminuzione della copertura di ghiaccio, nuovi corridoi marittimi che collegano i bacini del Pacifico e dell'Atlantico alterano i modelli di navigazione, creando vulnerabilità nella sicurezza a livello regionale e mettendo in discussione i quadri di sicurezza consolidati. Le strozzature sono critiche; sono, per esempio, quelle dello Stretto di Bering, di Davis, di Danimarca e di Fram. Tutto questo ha un'importanza strategica sempre maggiore. Tali sviluppi hanno spinto a riconsiderare gli accordi di sicurezza già in vigore.
  I Paesi nordici hanno subìto un riallineamento sostanziale con l'adesione di Finlandia e Svezia alla NATO, trasformando, di fatto, il Mar Baltico in un «lago della NATO» ed estendendo il confine diretto dell'Alleanza con la Russia da circa 200 Pag. 6chilometri a oltre 1.300 chilometri. Qual è la situazione al momento? Abbiamo una deterrenza senza rassicurazioni. Gli sforzi profusi storicamente per costruire fiducia nordico-sovietica sono in netto contrasto con le attuali relazioni nordico-russe. L'equilibrio tra deterrenza e rassicurazione, che caratterizzava l'approccio durante la guerra fredda, si è spostato oggi verso la deterrenza senza avere i corrispondenti meccanismi di rassicurazione.

  
  La trasformazione è palese ed evidente nell'abbandono da parte della Norvegia delle restrizioni militari autoimposte. Abbiamo dei marines statunitensi in modo permanente in tempo di pace; abbiamo delle esercitazioni militari congiunte vicino al confine con la Russia; ospitiamo i sottomarini d'attacco statunitensi nella mia città natale, Tromsø, a nord della Norvegia; assistiamo all'aumento della presenza navale della NATO nel Mare di Barents. È questa la nostra nuova normalità. Modelli simili possono essere visti in tutta la regione nordica, con l'adesione alla NATO di Finlandia e Svezia che rappresenta il più significativo riallineamento della sicurezza regionale dalla conclusione della guerra fredda.
  La regione nordica ha perso gli Stati cuscinetto neutrali, quindi la Svezia e la Finlandia. In questa congiuntura abbiamo anche il ruolo sempre più potente della Cina nella governance artica. La presenza della Cina nell'Artico si è evoluta, passando da un impegno principalmente scientifico ad una strategia multidimensionale completa. Al di là della sua auto-designazione come Stato vicino all'Artico (Near Arctic State), la Cina ha sviluppato una notevole infrastruttura scientifica, con stazioni di ricerca alle Isole Svalbard e in Islanda.
  Recentemente sono emerse delle preoccupazioni riguardo a potenziali attività a duplice uso, dove la ricerca scientifica civile può fungere per scopi militari. Secondo quanto segnalato nel 2024, l'istituto cinese di ricerca sulla propagazione delle onde radio, attivo nella ricerca alle Isole Svalbard, aveva dei legami con aziende elettroniche dell'Esercito popolare di liberazione. Questo ha spinto la Norvegia tempestivamente ad intensificare i controlli sulle attività cinesi presso la stazione del Fiume Giallo, a Ny-Alesund.

  
  La Cina ha sviluppato una narrativa artica distintiva, che si allinea con le prospettive russe, promuovendo, al contempo, i propri obiettivi strategici. Il conflitto in Ucraina ha intensificato la cooperazione tra Cina e Russia. Intanto le sanzioni hanno aumentato la dipendenza russa dai mercati e dagli investimenti cinesi, in particolare per quanto concerne le infrastrutture energetiche lungo la rotta nel Mare del Nord.
  Concluderò citando alcuni aspetti futuri della governance artica. Con la transizione dell'Artico verso una realtà multipolare emergono varie sfide per la governance, per esempio la frammentazione istituzionale, la sospensione della partecipazione artica della Russia a quadri cooperativi, che ha creato alcune lacune nella governance, in particolare per quanto concerne il monitoraggio ambientale e nella capacità di risposta alle emergenze. Poi c'è la militarizzazione senza dialogo; quindi, a differenza di quanto accadeva durante la guerra fredda, l'attuale rafforzamento militare avviene nell'Artico senza le corrispondenti misure di rafforzamento della fiducia e questo fa aumentare il rischio di errori di calcolo e di conseguenze impreviste ed involontarie.
  Poi c'è il nesso clima-sicurezza. L'accelerazione dei cambiamenti ambientali crea nuove vulnerabilità per la sicurezza, tra cui l'instabilità delle infrastrutture dovuta al disgelo del permafrost e l'aumento del traffico marittimo in acque poco monitorate.
  Per le medie potenze come l'Italia, che ha interessi nell'Artico, ci sono varie considerazioni strategiche meritevoli di attenzione. La consapevolezza del dominio marittimo, quindi gli approcci integrati per il monitoraggio delle attività in superficie e nel sottosuolo diventano sempre più importanti con l'espansione del traffico marittimo nelle acque precedentemente coperte dai ghiacciai. Il monitoraggio ambientale, e dunque la valutazione ambientale collaborativa che supporta una pianificazione proattiva per i rapidi cambiamenti nella copertura dei ghiacci e gli impatti ecologici, creano potenzialmente uno spazioPag. 7 per la cooperazione depoliticizzata. Ampliare il coinvolgimento delle parti coinvolte, mediante una tavola rotonda con le parti interessate alla sicurezza dell'Artico che includa potenze navali non artiche come Italia, Polonia, Giappone e Corea del Sud, potrebbe consentire di affrontare le sfide della sicurezza trans-artica, collegando i vari aspetti della sicurezza.
  Inoltre, vi è la protezione delle infrastrutture critiche: con l'aumento dell'attività economica nell'Artico aumenta anche la vulnerabilità delle infrastrutture critiche alle minacce della zona grigia, e questo richiede misure di protezione coordinate.
  Mi avvio alla conclusione. La trasformazione della governance artica riflette le più ampie transizioni sistemiche, dal bipolarismo all'unipolarismo durante il post guerra fredda. Adesso stiamo andando verso il multipolarismo. Mentre i modelli di interazione della guerra fredda bilanciavano la deterrenza con la rassicurazione, oggi stiamo andando verso una deterrenza senza meccanismi di rassicurazione.
  Mi fermo qui e vi ringrazio molto per la vostra attenzione.

  PRESIDENTE. Grazie mille. Prima di passare la parola ai colleghi per le domande, gliene pongo una io. Ha accennato alla stazione di ricerca cinese a Ny-Alesund, la Yellow River Station. Quanto dobbiamo preoccuparci delle attività cinesi nell'Artico e della volontà della Cina di essere presente nell'area? Quanta preoccupazione desta nei Paesi dell'Artico, in particolare in Norvegia?
  Grazie.

  GUNNAR REKVIG, vicedirettore di Global Arctic. Grazie per la sua domanda. La Norvegia sta facendo passi avanti per mitigare il rischio delle ricerche cinesi alle Svalbard e all'interno della regione. La Norvegia ha regole molto rigide rispetto al modo in cui questa collaborazione nelle Svalbard può essere condotta. Stiamo ricordando ai cinesi che devono seguire il protocollo su queste isole.
  La Norvegia, inoltre, sta limitando le libertà precedenti sulle isole Svalbard, quindi in un certo qual modo stiamo nazionalizzando, nella misura del possibile. Un esempio risale a qualche anno fa: i cinesi stavano festeggiando un anniversario e qualcuno è arrivato con un'uniforme militare, e questo è proibito; la Norvegia lo ha segnalato all'Ambasciata ad Oslo ed è stato assicurato che non sarebbe più successo. Quindi, sì, stiamo facendo dei passi avanti per mitigare quello che loro stanno facendo.
  Spero di aver risposto alla sua domanda.

  PRESIDENTE. Grazie mille. Si è prenotato per una domanda l'onorevole Orsini, collegato in videoconferenza. L'onorevole Orsini è di Forza Italia, con una lunga esperienza nel settore degli esteri, ed è anche un componente dell'Assemblea parlamentare della NATO.

  ANDREA ORSINI, intervento in videoconferenza. Grazie, presidente.
  Ringrazio innanzitutto per l'eccellente e interessantissima relazione. Vorrei rivolgere due domande, in realtà. La prima parte proprio dalla fine del suo intervento, quando Lei ha ben spiegato come la governance della regione dell'Artico sia stata per molti anni codificata nell'ambito degli equilibri della guerra fredda. Oggi, passando ad un mondo multipolare, i vecchi schemi sono saltati. A suo giudizio, adesso cosa succede? Esiste la possibilità – e come – di arrivare a ridefinire un assetto dell'Artico che garantisca la sicurezza di tutti? A noi, naturalmente, interessa in particolare la nostra sicurezza, dell'Europa e dell'Occidente. Se sì, in che termini?
  La seconda domanda, non del tutto distinta da questa, riguarda il famoso tema della Groenlandia, balzato agli onori della cronaca dopo le prese di posizione del Presidente Trump. Fermo restando, sul piano del diritto – e su questo, naturalmente, non ci può essere discussione –, che la sovranità del Regno di Danimarca non può essere messa in discussione e che, di conseguenza, ogni scelta deve essere fatta dalla Danimarca – in accordo con i groenlandesi, naturalmente – rimane, però, un tema Pag. 8geopolitico che la presa di posizione, sia pure un po' originale, del Presidente Trump ha messo sul tappeto, cioè il futuro di un'area importantissima rispetto all'Artico – importantissima per le materie prime che contiene –, che è indubbiamente fragile, che è difficile immaginare possa essere gestita, in un confronto globale di superpotenze, nella dimensione dei 30-40 mila abitanti della Groenlandia, la cui sovranità – ribadisco – va assolutamente rispettata. Sono evidentemente troppo fragili per gestire questo problema da soli.
  Può avere un ruolo l'Unione europea, anche se la Groenlandia non fa parte dell'Unione europea, pur facendo parte del Regno di Danimarca? Quanto è preoccupante il futuro della Groenlandia in questo ambito?

  PRESIDENTE. Grazie, onorevole Orsini. L'onorevole Della Vedova – lo presento – è stato sottosegretario al Ministero degli Affari esteri, e in quella veste si è occupato proprio di Artico.

  BENEDETTO DELLA VEDOVA. Grazie, presidente. Quando io sono stato alle Svalbard, sette-otto anni fa, a visitare la missione scientifica del Consiglio nazionale delle ricerche (CNR), il mondo era diverso, c'era – e ringrazio il nostro interlocutore per l'intervento – l'eccezionalismo Artico, in cui c'era una sorta di multilateralismo efficace. I tempi sono drasticamente cambiati, probabilmente anche in conseguenza del fatto che il cambiamento climatico in quell'area si muove – ahimè – in modo velocissimo, il che ha effetti su tutto il resto del pianeta, ma ha anche effetti diretti in termini di vie commerciali, di sfruttamento delle risorse del sottosuolo, quindi di rilevanza strategica; in un mondo che, come ha detto il nostro interlocutore, sta passando dal multilateralismo alla – se va bene – cooperazione, se non confronto tra superpotenze imperiali; abbiamo visto quello che fanno gli Stati Uniti rispetto alla Groenlandia e anche al Canada. Ancora ieri Trump ha detto che prenderà la Groenlandia, in un modo o nell'altro. Di Russia abbiamo parlato, di Cina abbiamo parlato.
  Quello che vorrei chiedere, in parte riprendendo un tema del collega Orsini, è questo: rispetto a questi interlocutori, rispetto agli Stati Uniti, che ormai hanno una postura nazionalista, imperiale autonoma, Paesi come i due Paesi dell'Unione europea – tre con la Norvegia, che non è nell'UE – rischiano di essere inefficaci. Lei individua la possibilità che l'Unione europea in quanto tale, magari con uno stretto rapporto con il Canada, che in questa fase è possibile, si ponga come interlocutore tra le grandi potenze oppure i Paesi geograficamente europei o i Paesi dell'Unione europea continueranno a muoversi come singoli? Prendiamo atto che l'eccezionalismo Artico è finito, quindi anche noi dobbiamo muoverci in qualche modo con una logica di potenza, oppure no?

  PRESIDENTE. Grazie. Si è prenotata l'onorevole Marrocco, di Forza Italia, collegata in videoconferenza.

  PATRIZIA MARROCCO, intervento in videoconferenza. Grazie, presidente. Innanzitutto ringrazio per questo incontro. Vorrei fare tre domande molto secche. La prima è come valuta oggi il ruolo del Consiglio Artico, soprattutto dopo la sospensione delle relazioni con la Russia a seguito della guerra in Ucraina. Inoltre, vorrei sapere qual è il confine tra sicurezza ambientale e sicurezza militare nell'Artico, se si tratta davvero di due dimensioni separabili e, secondo Lei, quali sono le principali sfide politiche che la regione artica deve affrontare nei prossimi dieci-quindici anni.

  PRESIDENTE. Do la parola al dottor Rekvig per la replica.

  GUNNAR REKVIG, vicedirettore di Global Arctic. Per quanto riguarda la prima domanda del deputato – che cosa si può fare per rispondere alle sfide di sicurezza ad Occidente – rispondo che questo è quello che sta succedendo adesso. Una delle cose che credo sia importante comprendere è il modo in cui la regione nordica è cambiata. Putin ha ottenuto qualcosa che i Paesi nordici non sono stati in grado di fare da Pag. 9soli; ci ha messi in un'alleanza di sicurezza, ci ha uniti all'interno della NATO. L'ultima volta che i Paesi nordici sono stati uniti in un'alleanza è stata l'Unione di Kalmar del 1300: a partire da quel momento abbiamo avuto molti conflitti. I Paesi nordici fino al 1820 erano in una guerra de facto. Dopo c'è stato un cambiamento, c'è stata una certa pace nordica che si è stabilita, ma malgrado questo non siamo stati in grado di unificarci in un quadro di sicurezza. La Svezia e la Finlandia erano solide potenze neutrali. Dopo la seconda guerra mondiale la Svezia ha cercato di avere un'unione di difesa scandinava neutrale, e anche questo tentativo è fallito.
  Adesso i Paesi nordici vengono coordinati all'interno della NATO, e fuori da Norfolk, in Virginia, sono stati stabiliti dei quartieri generali. Nel quadro dell'Alleanza adesso stiamo creando un blocco e stiamo investendo in modo ingente nella ricostruzione delle capacità militari che abbiamo a nord. Ad esempio, abbiamo alcune sfide legate alla logistica, alle infrastrutture. La contea di Finnmark, nella parte settentrionale della Norvegia che confina con la Russia, è la più grande regione della Norvegia – più grande del Regno di Danimarca, più grande del Belgio –, ma c'è solo una strada che connette questa regione al resto della Norvegia, molto soggetta a valanghe. Tutto questo può tagliare fuori l'intera regione dal Paese.
  Questi problemi infrastrutturali mettono alla prova le nostre politiche e sono da fronteggiare adesso. Inoltre, dobbiamo pensare alle potenze medie non artiche all'interno della regione artica. C'è già una tavola rotonda di sicurezza nell'Artico, ma credo che dovrebbero esserci più Stati membri non artici attorno a questa tavola rotonda. Potrebbe essere stabilita una tavola rotonda per Paesi non artici nell'Artico, per fare in modo che queste potenze medie vadano nell'Artico; la Germania, l'Italia, la Spagna, la Polonia, il Regno Unito dovrebbero partecipare, in modo da poter dare una parvenza di stabilità alla regione, per rispondere a questa cooperazione sino-russa.
  Oltre alla cooperazione sino-russa possiamo aspettarci anche un coinvolgimento dei BRICS nell'Artico, ma la Russia non si alleerà con l'Occidente, quindi aumenterà la sua esposizione alle altre nazioni BRICS, nel quadro di questa cooperazione artica, e questo costituirà un'altra sfida per noi.
  Rispondo alla domanda sulla Groenlandia: Donald Trump asserisce di aver bisogno della Groenlandia per la sicurezza nazionale, ha detto che ci sono imbarcazioni russe e cinesi ovunque. Gli Stati Uniti con Trump asseriscono che l'annessione della Groenlandia è necessaria ai fini della sicurezza internazionale, ma da un punto di vista di sicurezza questo non ha molto senso, perché siamo tutti alleati, siamo tutti nella stessa alleanza, siamo tutti Paesi nordici, quindi siamo tutti integrati nella sfera americana della NATO. Gli americani hanno già spazio a Pituffik, in Groenlandia, e cooperano a stretto contatto con la Danimarca e con la NATO a livello di monitoraggio delle attività russe in Groenlandia. Forse si tratta, in realtà, di un interesse nei riguardi della ricchezza della Groenlandia, delle terre rare; questo è, magari, un ritorno all'espansionismo del XX secolo, per frenare l'influenza cinese nell'Artico.
  Gli americani non hanno una comprensione storica del retaggio del colonialismo nell'isola della Groenlandia. La Groenlandia ha sofferto sotto la sovranità danese; molti errori sono stati commessi e gli Stati Uniti non si presentano come un migliore colonizzatore per i groenlandesi. Quindi, le relazioni problematiche tra Stati Uniti, Groenlandia, Danimarca e Canada potrebbero retrocedere nel quadro della cooperazione artica, dovrebbe esserci un maggiore equilibrio da raggiungere.
  Passo alla prossima domanda. Credo di aver già parlato di alcuni di questi elementi, ma nel rispondere alle future sfide nel quadro della sicurezza artica dobbiamo capire una cosa: gli Stati piccoli dell'Artico hanno un funzionamento che è cambiato radicalmente nel post-post guerra fredda. Durante la guerra fredda i piccoli Stati artici hanno messo in equilibrio le super-potenze. La Norvegia, la Danimarca e l'Islanda, membri fondatori della NATO, anchePag. 10 all'interno della NATO hanno ancora questa idea di neutralità e di non allineamento, hanno questa idea di costruire ponti tra Est e Ovest. Questa funzione, che ha condotto ad una costruzione della fiducia con l'Unione Sovietica, ha portato a un'atmosfera pacifica per il nord dell'Europa. Tutto questo adesso è finito. La guerra in Ucraina ha creato una reazione forte nella regione a nord. Era qualcosa di impensabile, non si pensava assolutamente che questo potesse accadere, quindi c'è bisogno di mettere di nuovo in sicurezza il Nord. Questo è il motivo per il quale c'è stato un grande cambiamento in Svezia e in Finlandia quando si è parlato del supporto all'adesione alla NATO. Quindi, i piccoli Stati artici sono cambiati, devono essere più sicuri nell'Artico. Ci auguriamo che l'Italia possa avere un ruolo maggiore in questo quadro di sicurezza che sta cambiando, così come le altre medie potenze, e ci auguriamo di poter cooperare con altri attori affini, come il Giappone, la Corea del Sud e anche Singapore.
  C'è stato un tentativo, non molto tempo fa, di stabilire delle Ambasciate NATO in Giappone, Corea del Sud, Nuova Zelanda, Australia; la Francia ha bloccato questi tentativi, ma adesso il Giappone sta cercando di consolidare la sua presenza nel Nord, nella regione artica, perché vuole fronteggiare questo blocco sino-russo che sta emergendo.
  Entro i prossimi dieci-quindici anni, quello che succederà dipenderà dal risultato della guerra in Ucraina; adesso ci sono dei negoziati in corso, con l'Amministrazione Trump, tra l'Ucraina e la Russia, quindi credo che i risultati di quei negoziati saranno davvero esiziali per capire il modo in cui la situazione di sicurezza cambierà. Malgrado questo, il blocco europeo nella NATO dovrà assumere responsabilità di gran lunga maggiori per la sicurezza europea e nordica sul fronte nord della NATO.
  Non so se ho risposto a tutte le vostre domande.

  PRESIDENTE. Grazie mille. Non vi sono altre richieste di intervento. Ringrazio per il contributo molto interessante e qualificato; La terremo aggiornata sul prosieguo dei lavori.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione di Simone Orlandini, responsabile del Progetto Artica 2025 di Ocean Sea Foundation .

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno del giorno reca, sempre nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulle dinamiche geopolitiche nella regione dell'Artico, l'audizione di Simone Orlandini, responsabile del progetto Artica 2025 di Ocean Sea Foundation.
  Anche a nome dei componenti della Commissione, saluto e ringrazio per la disponibilità a prendere parte ai nostri lavori il professor Orlandini. Segnalo che l'Ocean Sea Foundation è un'organizzazione non governativa, con sedi negli Stati Uniti e in Europa, che conduce ricerche in tutti i settori delle scienze marine, tra cui fisica, climatologia, chimica, biologia e geologia, con l'obiettivo di sensibilizzare le Istituzioni e l'opinione pubblica circa l'importanza di tutelare le risorse marine e oceaniche e promuoverne l'uso sostenibile.
  Fatta questa premessa, cedo subito la parola al professor Orlandini affinché possa svolgere il proprio intervento.

  SIMONE ORLANDINI, responsabile del Progetto Artica 2025 di Ocean Sea Foundation. Buongiorno, onorevoli deputati. Per me è motivo di profondo onore e responsabilità poter portare in questa sede il contributo di una realtà civile italiana attiva nell'Artico. Innanzitutto ringrazio la presidenza e tutti i membri della Commissione Affari esteri per avermi invitato a partecipare a questa indagine conoscitiva, che considero non solo strategica, ma anche necessaria, in un momento storico in cui la regione artica è diventata un crocevia tra clima, geopolitica, economia e sicurezza.
  Mi presento brevemente: sono Simone Orlandini, presidente dell'Ocean Sea Foundation, un'organizzazione non governativa e indipendente, operante in Italia, Stati Uniti d'America, Danimarca e Svalbard; queste sono le sedi principali. Ci occupiamo principalmentePag. 11 di tutela ambientale, osservazione scientifica e cooperazione internazionale, in special modo in ambienti complessi e remoti, come quello del Mar glaciale artico. Tra il 2018 e il 2024 ho diretto il programma di ricerca ambientale denominato «Artica», una piattaforma operativa, coordinata dall'Ocean Sea Foundation, che ha dato origine ad una serie di missioni autonome ma interconnesse, ciascuna con obiettivi scientifici specifici, tra cui annovero ARVA (advanced research of virus activities), focalizzata sul rilevamento di virus giganti nel permafrost e contaminanti biologici nei plancton artici; Poseidon, dedicata allo studio della colonna d'acqua profonda e alla modellazione delle traiettorie delle microplastiche; QuickSilver, rivolta al campionamento costiero rapido e alla mappatura georeferenziata dei sedimenti. Queste missioni, tutte condotte nell'ambito delle attività del programma «Artica», si sono svolte prevalentemente tra le isole Svalbard e la costa orientale della Groenlandia, con l'obiettivo condiviso di raccogliere dati ambientali oggettivi e sistematici sull'inquinamento da microplastiche e sui processi ecologici correlati in ambiente artico.
  Il lavoro ha coinvolto una rete multidisciplinare di ricercatori, tecnici, volontari e personale logistico, provenienti da diversi Paesi europei, sotto la guida operativa e scientifica italiana. «Artica» si configura oggi come uno dei primi programmi civili indipendenti ad aver operato con continuità e rigore metodologico in Artico, grazie anche al supporto logistico della nave P13, che è una nostra piccola nave rompighiaccio, offrendo un contributo originale sia alla scienza ambientale sia alla strategia italiana di presenza e cooperazione nella regione.
  Il motivo principale per cui sono qui oggi non è solo raccontare una spedizione scientifica, ma anche mettere in evidenza come attività di questo tipo contribuiscano in maniera concreta e documentata agli interessi geopolitici e strategici dell'Italia nell'Artico e come il nostro Paese possa trarre vantaggio dal rafforzamento di una presenza multilivello nella regione che includa non solo le missioni statali o diplomatiche, ma anche azioni civili coordinate, tecnicamente fondate e aperte alla cooperazione internazionale.
  L'Artico, come ben sapete, è una delle regioni più vulnerabili del pianeta e, al tempo stesso, è una delle più ambite e contese. La risposta italiana deve sicuramente essere articolata, credibile e tempestiva, e credo che anche organizzazioni come la nostra possano fornire un tassello utile in questa risposta, portando dati, relazioni ed esperienze operative, ma anche una cultura di servizio e di responsabilità scientifica coerente con i valori e gli interessi della Repubblica.
  Il mio intervento, pertanto, sarà articolato in tre direzioni: innanzitutto una breve analisi del contesto geopolitico artico; in secondo luogo, un approfondimento tecnico sul progetto «Artica» e sulle ricadute operative; infine, alcune proposte concrete per rafforzare in chiave strategica la presenza italiana nella regione attraverso strumenti integrati tra Istituzioni e società civile.
  Fino a pochi decenni fa l'Artico era considerato una regione periferica, remota, quasi estranea alle grandi dinamiche globali; oggi, al contrario, è divenuta una delle aree più strategiche del pianeta, al centro di una complessa intersezione di fattori ambientali, economici, energetici e, soprattutto, geopolitici. Il primo fattore è, ovviamente, quello climatico: com'è noto, l'Artico si sta scaldando a un ritmo almeno quattro volte più veloce rispetto alla media globale. Tuttavia, occorre precisare che, alla luce di studi scientifici indipendenti – sia astronomici sia geologici – questi cambiamenti non possono essere ricondotti in modo automatico ed univoco all'attività umana.
  L'evidenza storica, paleoclimatica e solare dimostra che il clima terrestre è sempre stato soggetto a grandi oscillazioni cicliche naturali, indipendenti dalla presenza dell'uomo. In particolare, le ricerche più aggiornate mettono in evidenza il ruolo determinante delle variazioni dell'attività solare – massimi e minimi solari –, l'influenza dell'irradianza solare sul sistema terrestre, le oscillazioni astronomiche a Pag. 12lungo periodo – cicli di Milankovitch o cicli orbitali, ovvero le variazioni periodiche dell'orbita terrestre e dell'inclinazione dell'asse terrestre – e le dinamiche oceaniche naturali – AMO, atlantic multidecadal oscillation, e PDO, pacific decadal oscillation –, che influiscono sulla distribuzione del calore su scala planetaria. Questo non è tutto: anche le variazioni delle concentrazioni di anidride carbonica atmosferica, spesso citate come indicatore antropico, appaiono nelle serie storiche ben prima dell'industrializzazione, ovvero in linea con le dinamiche naturali del degassamento oceanico e vulcanico.
  È scientificamente fondato, dunque, affermare che il riscaldamento attuale dell'Artico è sicuramente reale, ma ha un'origine prevalentemente naturale e che le cause principali vanno ricercate nelle interazioni tra sole, oceani e cicli climatici millenari, non nella semplice attività umana recente, ricordando che l'anidride carbonica prodotta dall'uomo a livello globale è meno del 3 per cento e di questa l'Europa ne è responsabile di meno del 5 per cento.
  Questa posizione non nega l'importanza della responsabilità ambientale ma, al contrario, proprio perché il cambiamento in atto è incontrollabile dall'uomo, è essenziale monitorarlo seriamente, comprenderlo e adattarci ad esso con strumenti adeguati.
  Questo fenomeno sta modificando radicalmente l'equilibrio ambientale della regione. I ghiacci pluriennali del nord si stanno ritirando, mentre quelli del sud crescono di pari passo. Si assiste ad un aumento esponenziale del traffico stagionale e si stanno aprendo nuove rotte polari, come la Northern Sea Route, che riducono significativamente i tempi di collegamento tra Europa e Asia.
  Questa evoluzione non è solo climatica, ma è anche strategica. La possibilità di navigare e sfruttare risorse in aree un tempo inaccessibili ha riacceso la competizione tra le grandi potenze: da un lato, abbiamo la Federazione russa, che possiede oltre la metà della costa artica e ha investito enormemente nella militarizzazione e infrastrutturazione delle regioni, con porti, radar, basi, rompighiaccio atomiche eccetera; dall'altro, abbiamo la Cina che, pur non essendo uno Stato artico, si è autodefinita «Stato quasi artico» e ha adottato, dal 2018, una strategia esplicita sull'Artico, ha investito in ricerca scientifica e logistica e in infrastrutture, in particolare nelle regioni limitrofe a Russia e Groenlandia, con l'obiettivo di inserirsi nelle dinamiche energetiche, minerarie e di trasporto.
  In risposta, anche l'Alleanza atlantica – in particolare Stati Uniti d'America, Canada, Norvegia e Danimarca – ha intensificato la propria attenzione e la propria presenza nell'area. Inoltre, la sospensione temporanea delle attività del Consiglio Artico, soprattutto durante la presidenza russa dal 2021 al 2023, ha interrotto un meccanismo di cooperazione che durava dal 1996, lasciando un vuoto delicato e non più colmato. Ecco quindi che l'Artico si configura oggi come una zona di frizione tra grandi potenze dove si combinano la competizione per le risorse naturali – gas, petrolio e terre rare –, la sovrapposizione di interessi commerciali e marittimi e la necessità di difendere e regolare un ecosistema unico e fragile. C'è di più: l'Artico è anche un osservatorio anticipatore, cioè ciò che accade in Artico – pensiamo all'alterazione delle correnti oceaniche o al rilascio di metano del permafrost – anticipa gli effetti globali del cambiamento climatico.
  In questo senso l'Artico non è lontano, ma è interconnesso con le nostre coste, con il nostro clima e con le nostre filiere. Proprio per questo motivo l'Italia ha tutto l'interesse ad essere presente in Artico, non soltanto per tutelare la propria reputazione scientifica, ma anche per proteggere interessi strategici concreti, la sicurezza energetica europea, il commercio marittimo globale e la transizione ecologica, che ha nei poli un barometro fondamentale.
  Come vedremo, esistono già strumenti e presenze italiane attive nell'area ma, come intendo sostenere, queste possono essere potenziate e rafforzate anche attraverso attori non statali che portano operatività, flessibilità e credibilità nei contesti locali e scientifici.Pag. 13
  Oggi l'Artico richiede approcci multilivello. Se, da un lato, è essenziale mantenere una presenza istituzionale nei consessi multilaterali, dall'altro, è altrettanto strategico essere presenti fisicamente sul campo, raccogliere dati e costruire relazioni operative anche attraverso attori non statali, capaci di muoversi in contesti complessi e interfacciarsi in modo flessibile con le comunità locali, con le forze scientifiche internazionali e con i partner europei. Ecco perché oggi porto la voce di una fondazione indipendente che lavora in Artico da diversi anni, per dimostrare che l'Italia ha già nella sua società civile risorse attive e credibili che possono potenziare la nostra strategia nazionale.
  Ora vorrei soffermarmi su quello che è stato in questi anni il fulcro operativo della nostra attività nell'Artico, ovvero il programma «Artica», che ho avuto l'onore di dirigere dal 2018 ad oggi.
  «Artica» nasce come una piattaforma civile di ricerca ambientale promossa e coordinata dalla Ocean Sea Foundation con l'obiettivo di raccogliere dati indipendenti, sistematici e oggettivi sull'inquinamento da microplastiche e sulle dinamiche ecologiche dei mari artici.
  È stato in assoluto uno dei primi programmi italiani non governativi ad operare in maniera continuativa e metodica in ambiente polare, con strumenti di analisi compatibili con gli standard internazionali. Al suo interno si sono sviluppate diverse missioni operative, ciascuna con un target scientifico specifico, ma tutte inserite in una cornice comune di metodologia etica della ricerca e obiettivi ambientali condivisi.
  Le attività si sono concentrate principalmente tra le isole Svalbard, dove si trova la base italiana Dirigibile Italia, e la costa orientale della Groenlandia in aree scarsamente abitate, spesso raggiungibili solo con mezzi specializzati.
  Nel complesso abbiamo condotto oltre duecentoventi campionamenti ambientali di acqua, sedimenti e biota marino, analisi FTR (fattore di trasferimento), spettroscopia trasformata di Fourier per la caratterizzazione molecolare dei polimeri e modellazione retroattiva delle rotte di trasporto delle particelle plastiche, con ipotesi di provenienza principalmente dall'Europa settentrionale e dai bacini asiatici. I risultati sono purtroppo inequivocabili: abbiamo rilevato la presenza di microplastiche nell'82 per cento dei campioni analizzati, con una prevalenza di polietilene, polipropilene e PET in forme di fibre e frammenti tra 10 e 500 micron. Queste particelle non solo vengono ingerite dalla fauna marina, in particolare da zooplancton o molluschi, ma fungono da vettori per contaminanti secondari come PCB, IPA e pesticidi persistenti, aggravando l'impatto eco-tossicologico sulle catene alimentare artica.
  Le microplastiche, questi minuscoli frammenti di plastica inferiori ai 5 millimetri, assomigliano a cibo per molti organismi marini; organismi come zooplancton, molluschi bivalvi, cozze, vongole, piccoli crostacei; persino i pesci ingeriscono queste particelle scambiandole per nutrienti. Una volta ingerite non vengono digerite e possono accumularsi nel tratto intestinale, ostacolare l'alimentazione vera e propria o causare danni cellulari o infiammatori.
  Le microplastiche, però, hanno una superficie porosa e una grande area superficiale, anche se microscopica, e questo le rende molto appiccicose chimicamente, ovvero attraggono e assorbono sostanze tossiche presenti nell'ambiente marino. Queste sostanze sono chiamate contaminanti secondari, perché non sono prodotte dalla plastica stessa, ma si legano ad essa successivamente. Le principali sono le PCB, i policlorobifenili, composti chimici industriali usati in passato come isolanti elettrici, per esempio, oggi vietati, ma ancora presenti e persistenti nell'ambiente. Sono tossici per il fegato e per il sistema endocrino di molti organismi.
  Gli IPA, idrocarburi policiclici aromatici, derivano da combustione incompleta di combustibili fossili (gasolio, petrolio eccetera); sono cancerogeni e si legano facilmente alla plastica galleggiante.
  I pesticidi persistenti, come i DDT o altri organofosforici, si accumulano nei tessuti degli animali e interferiscono con il sistema ormonale e si bio-accumulano nella catena Pag. 14alimentare. Quindi, succede che quando un piccolo organismo – il plancton o altro – ingerisce una microplastica carica di contaminanti queste sostanze possono migrare nei tessuti, passare dall'organismo predatore – pesci, uccelli, mammiferi, eccetera – e risalire la catena alimentare, arrivando anche a noi.
  Da uno studio fatto negli ultimi anni si evince che ogni settimana si possono ingerire, mangiando normalmente, circa 7 grammi di microplastiche, l'equivalente del peso di una carta di credito; però senza soldi dentro, solo la plastica.
  Da dove provengono tutte le microplastiche nell'Artico? Le microplastiche artiche non sono prodotte localmente; l'Artico non ha quasi abitanti, non ci sono complessi industriali. Sono trasportate da grandi correnti oceaniche (fiumi e atmosfera le principali). Le rotte di origine sono la corrente atlantica, la North Atlantic Drift, che trasporta plastica da Europa occidentale e America settentrionale, con origine prevalente in Sudamerica, Regno Unito, Francia e Mare del Nord; la corrente pacifica, attraverso il mare di Bering, che conduce microplastiche da Cina, Corea e Giappone, entra nel Mar glaciale artico attraverso lo Stretto di Bering; e, infine, per via atmosferica, deposizione aerea, particelle di plastica leggere, microfibre tessili e frammenti di pneumatici.
  I frammenti di pneumatici sono estremamente pericolosi perché contribuiscono a circa 7 milioni di tonnellate annue di particelle a livello globale, rendendola una delle principali fonti di microplastiche nell'ambiente, oltre al 45 per cento del totale di microplastiche.
  Studi francesi e norvegesi hanno proprio dimostrato che la plastica che noi troviamo oggigiorno in Europa o al Polo arriva principalmente per via aerea dalla zona euroasiatica; queste sono le vie principali.
  L'ambiente artico emerge così come un global sink della plastica, un bacino terminale dove si accumulano rifiuti generati altrove e trasportati da venti, fiumi e correnti oceaniche, fino a raggiungere le latitudini polari. In termini di output, «Artica»ha prodotto una banca dati open access condivisibile con enti pubblici e centri di ricerca, un atlante geo referenziato dei siti campionati e materiale di comunicazione e divulgazione scientifica pensati per sensibilizzare anche l'opinione pubblica e i decisori politici.
  Tutto questo è stato realizzato senza fondi pubblici diretti, ma con il contributo di partner privati, aziende, tecnici, volontari e sostenitori europei. Esso è un esempio concreto di cooperazione civile e scientifica ad alto livello, in linea con i princìpi della diplomazia ambientale e dell'interesse nazionale.
  Dopo avere illustrato le attività del programma «Artica» ed i suoi effetti operativi sul campo, vorrei concludere questa parte del mio intervento con alcune proposte concrete che, a mio avviso, potrebbero contribuire a rendere più efficace ed integrata la presenza italiana nella regione artica, senza necessariamente richiedere grandi investimenti o nuovi apparati.
  Non si tratta di creare nuove strutture, piuttosto di mettere in rete risorse già esistenti, valorizzare le esperienze sul campo e aprire canali di collaborazione più diretti tra Istituzioni e attori civili tecnicamente validati.
  Il primo punto potrebbe essere di coinvolgere le organizzazioni civili qualificate al tavolo Artico attivo presso il Ministero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale, che oggi è il primo strumento di coordinamento tra enti pubblici, università, imprese e corpi tecnici coinvolti nella strategia italiana per l'Artico. Proponiamo che venga formalizzata una forma di partecipazione consultiva anche per ONG, fondazioni e organizzazioni ambientali italiane che hanno operato in Artico, come per esempio l'Ocean Sea Foundation. Questo consentirebbe di allineare le missioni civili agli obiettivi nazionali, di evitare duplicazioni di missioni e di rafforzare la visibilità internazionale della proiezione italiana sul territorio, anche attraverso il contributo non governativo.
  Creare un portale pubblico per la condivisione dei dati italiani raccolti in Artico: molti dati italiani raccolti da università, Pag. 15fondazioni, enti di ricerca restano dispersi e non accessibili in modo sistematico. Proponiamo, pertanto, l'istituzione di una piattaforma digitale nazionale leggera, ma efficace, che raccolga e renda visibili i dataset ambientali raccolti in Artico da soggetti italiani, le coordinate geografiche delle missioni, i protocolli adottati e le collaborazioni internazionali in corso. Questa piattaforma potrebbe essere, ad esempio, coordinata dal Centro nazionale delle ricerche (CNR) o da un ente accademico, ma aperta anche al contributo di soggetti civili certificati, con chiari criteri di accesso e validazione scientifica. Un simile strumento migliorerebbe la coerenza interna della strategia nazionale, faciliterebbe l'elaborazione di documenti internazionali e aumenterebbe la visibilità delle attività italiane all'estero.
  Istituire micro-bandi di sostegno per missioni ambientali civili in Artico: in questo momento non esistono strumenti pubblici specifici che possano supportare anche in minima parte le spese vive di missioni ambientali civili in contesto Artico. Proponiamo l'istituzione di un piccolo fondo annuale, anche di entità limitata, destinato a progetti ambientali indipendenti che operino in coerenza con la strategia italiana per l'Artico. L'obiettivo non è quello di finanziare strutture permanenti, ma di favorire l'invio di operatori civili qualificati sul campo, il coordinamento con enti italiani all'estero e la produzione di dati ambientali certificabili. Con questo impegno modesto sarebbe possibile moltiplicare le occasioni di presenza italiana operativa in zone strategiche e formare nuove competenze nazionali nell'ambito della cooperazione ambientale polare.
  Come ultimo punto, prevedere una sezione dedicata al contributo civile nella revisione della strategia italiana per l'Artico. Proponiamo che nella prossima revisione o aggiornamento della strategia italiana per l'Artico venga riconosciuto formalmente il ruolo delle iniziative civili e delle fondazioni ambientali come strumenti complementari a quelli statali. Non si tratta, perciò, di assimilare i ruoli, ma di dare dignità e visibilità ad una componente attiva, che ha dimostrato di saper operare in modo responsabile e strategicamente utile per il Paese, includendo una sezione dedicata alle cooperazioni pubblico-civili, magari accompagnate da esempi concreti, che aiuterebbe a strutturare un modello italiano credibile e replicabile in altri contesti internazionali.
  Per concludere, onorevoli deputati, l'Artico è oggi molto più di una regione geografica: è un punto di osservazione privilegiato delle trasformazioni globali, ma è anche un banco di prova per le capacità dei Paesi di affrontare le sfide del futuro con una visione di competenza e responsabilità. Ciò che accade nell'Artico non resta confinato a nord del Circolo polare, ma, al contrario, si riflette nel clima del Mediterraneo, nei flussi marittimi globali, nella sicurezza energetica europea, nelle dinamiche geopolitiche tra le grandi potenze e riguarda, in definitiva, anche l'Italia.
  La mia proposta oggi è semplice e concreta: valorizzare anche il contributo della società civile italiana nella strategia nazionale per l'Artico non per ideologia, ma per interesse nazionale, perché l'Italia dispone già, all'interno delle sue reti civili, di tecniche e competenze scientifiche, di risorse capaci di rafforzare la propria protezione esterna con pochi mezzi, ma con grande efficacia.
  L'Artico è una terra estrema: è vento, ghiacci e silenzio, è anche un luogo che mette alla prova ogni persona, ogni tecnologia, ogni certezza, ma proprio per questo è anche il luogo dove si misura la volontà di un Paese di esserci, di contare e di portare valore. Noi ci siamo andati senza bandiere di potenza, ma con le bandiere dell'impegno; senza proclami, ma con strumenti di misura e spirito di servizio. Abbiamo portato il nome dell'Italia là dove pochi osano arrivare, in acque gelide e cieli immobili, per ascoltare la voce silenziosa di un pianeta che cambia; non con l'arroganza di chi pretende di dominare la natura, ma con l'umiltà di chi sa osservare, sa documentare e sa riferire.
  Oggi, con lo stesso spirito riferiamo qui a voi, non per ricevere elogi, ma per consegnarvi una prova concreta che l'Italia ha Pag. 16tutto ciò che serve per essere protagonista in Artico: intelligenza, passione, competenza e cuore.
  Se oggi, in quest'Aula, si afferma che l'Italia vuole avere un ruolo nell'Artico, vi dico che l'Italia c'è già, l'Italia che parte con poco e torna con molto, l'Italia che non arretra davanti al freddo né all'indifferenza. Quella bandiera che abbiamo issato sulla prua della nave P13, in mezzo ai ghiacci, non era solo un simbolo, ma una dichiarazione d'intenti. Portiamola avanti insieme, con orgoglio, con visione e con coraggio.

  PRESIDENTE. Grazie mille, anche per i tantissimi spunti che ci ha dato e che raccoglieremo senz'altro.
  Ringrazio il presidente Tremonti di averci raggiunto e chiedo ai colleghi se vogliono porre delle domande, in presenza o collegati in videoconferenza.

  DIMITRI COIN. Grazie, presidente. Ringrazio per la relazione così dettagliata e ampia. Vorrei rivolgere una domanda, probabilmente banale, perché tra le righe mi sembra di averlo anche intuito: la concentrazione di microplastiche nell'Artico è maggiore rispetto a quella che si verifica in altre zone del pianeta? Ci sono confluenze particolari per cui là si trovano situazioni di criticità maggiori?
  Passo ad una riflessione – ammiro il coraggio e la chiarezza con la quale è stata esposta – rispetto all'estremizzazione degli eventi atmosferici. I cambiamenti sono sotto gli occhi di tutti. L'Artico, da quello che apprendiamo in queste audizioni che stiamo facendo, è un luogo dove questi cambiamenti si stanno verificando ad una velocità diversa rispetto a quella del resto del pianeta. Il fatto che ci siano delle estremizzazioni degli eventi atmosferici è sotto gli occhi di tutti. Penso anch'io che l'incidenza dell'uomo rispetto a questi cambiamenti sia tutta da valutare, però ammiro e apprezzo il coraggio con il quale è stato detto in questa sede.
  Passo al mio quesito: tra gli operatori scientifici che operano in questa zona particolare, dove tutto accade molto più velocemente, c'è altrettanto coraggio di analizzare questo tipo di messaggio ed eventualmente di comunicarlo o si è sempre abbastanza nella posizione timorosa di andare a disturbare con un pensiero diverso da quello generale che viene portato avanti?

  PRESIDENTE. Aggiungo anch'io due domande. Parto dalla prima: già ci ha detto molto su come coinvolgere la società civile, chi opera da italiano come attore non governativo nell'area, ma secondo Lei cosa potrebbe fare ancora di più l'Italia, in generale? Che ruolo potrebbe giocare in quest'area, nella quale – ricordiamo – da sempre è presente, tant'è che ha questo status di osservatore nel Consiglio artico che tutti conosciamo e del quale continuiamo a parlare.
  Com'è percepito il nostro Paese dai Paesi dell'area? Poco fa abbiamo audito un professore norvegese, che da Tromsø ci diceva che c'è bisogno – ma qui parliamo di strategie, di geopolitica – della presenza delle medie potenze europee, perché quello che si osserva è una convergenza, forse non di interessi, ma al momento politica, tra Russia e Cina. Il professor Rekvig diceva, da norvegese, che servirà un contro-bilanciamento.

  SIMONE ORLANDINI, responsabile del Progetto Artica 2025 di Ocean Sea Foundation. Partiamo dal primo quesito che è stato posto, ossia perché il Polo Nord principalmente si trova in questa situazione. Il motivo non è semplicissimo, però i fattori principali sono le correnti oceaniche. La corrente calda del Golfo, per esempio, che segue la rotta dal Sudamerica verso l'Europa e poi si divide sulle coste europee verso il nord, inizia a trasportare tutto ciò che si trova nella superficie del mare dal Sudamerica fino al Polo. C'è questo flusso, come una grande autostrada, che porta le microplastiche ed altri inquinanti da Paesi lontanissimi verso il Nord; poi dal Nord la corrente discendente della Groenlandia inizia il suo percorso nuovamente verso il Sud; è dunque una cosa ciclica. Anche se al Polo Nord non si produce nessun inquinante ugualmente li ritroviamo. Questo è il motivo principale.Pag. 17
  Lo stesso si può dire per le correnti aeree: quello che portano il vento e tutte le correnti aeree noi ce lo ritroviamo ugualmente in Europa o al Polo Nord. È un po' come l'effetto butterfly, un battito di farfalla in Medio Oriente magari porta una tempesta alle nostre latitudini. Questo è principalmente il motivo per cui troviamo degli inquinanti, come microplastiche o altri, al Polo.
  Per quello che riguarda l'uniformarsi sulle risposte, spesso nelle Istituzioni scientifiche non si ha la libertà di poter seguire a largo spettro un'attività di ricerca, ma si hanno solamente dei settori ben definiti; perciò, se io sono definito in un settore e mi viene chiesto se c'è qualcosa, posso dire sì o no, ma non posso andare oltre la mia parte di ricerca. Questa è una delle differenze di una Fondazione come la nostra, che non dipende da nessuno ed è sovranazionale, perciò possiamo muoverci liberamente, anche con costi molto inferiori. Faccio un esempio: tutte le nostre ricerche dal 2018 al 2024 hanno avuto un costo di circa un ventesimo rispetto ad una missione ufficiale, magari operata da università o da altri enti. Pertanto, i costi sono nettamente inferiori e questo vuol dire che si riescono ad avere anche risultati più veloci. L'anno scorso, per esempio, abbiamo pubblicato un libro nel quale venivano già esposti tutti i dati emersi nelle settimane scorse. Faccio riferimento agli incrementi dei ghiacci al Polo Sud: adesso sta emergendo che al Polo Sud sta aumentando il ghiaccio, ma noi l'abbiamo pubblicato tre anni fa, sia per la parte scientifica sia, l'anno scorso, in modo divulgativo, con un libro, La grande truffa verde – per chi è interessato a leggerlo –, nel quale si parla proprio di questo.
  Questo vuol dire che i dati già c'erano, noi li abbiamo già anticipati, ma questo non è possibile con Istituzioni più macchinose, ad esempio enti di tipo universitario o statali. Questo è il limite. Anche se lì ci sono i mezzi, la nostra Fondazione ha la facoltà di rendersi più flessibile e perciò le ricerche sono più immediate. Per questo sarebbe importante cercare di integrare l'una con l'altra, in modo da avere dei paragoni, avere dei sistemi integrati e cercare di non replicare missioni, anche perché ogni missione ha dei costi; evitare di fare le solite missioni, con i soliti punti di ricerca, potrebbe essere fondamentale.
  Per quanto riguarda il motivo per cui alcuni scienziati non dicono che cosa pensano veramente, è molto semplice: perché hanno paura di perdere il posto. Se dico qualcosa che è contro la politica della mia azienda, della mia università, da domani sono a casa. Questo è quello che succede oggi. Vi faccio un esempio: se dico che al Polo Nord ogni settimana si perdono 5 metri di ghiacciaio, fa notizia; se dico che al Polo Nord si perdono 5 metri ma al Polo Sud si acquistano 5 metri ogni settimana, fa meno notizia, perché è un bilanciamento dell'uno con l'altro. Se vado a mettere solamente la parte negativa, sicuramente anche a livello comunicativo è una notizia bomba; se faccio presente che la realtà è più complessa, non c'è più notizia. Per una società o un ente che fa ricerca e che chiede i fondi per quel tipo di ricerca, se viene a mancare la drammaticità dell'evento non c'è più bisogno di fare grandi investimenti o dare grandi sostegni. Bisognerebbe, dunque, riflettere su come vengono elargiti certi tipi di fondi, su come certi tipi di operazioni vengono coordinate.
  Per quanto riguarda l'altra domanda, l'Italia sicuramente, come abbiamo detto in precedenza, non è solamente un attore passivo che può guardare e basta, ma sicuramente può essere molto attivo. Ricordiamoci anche che l'Italia è stato uno dei primi Paesi che ha esplorato il Polo Nord. Basti pensare alle spedizioni di Umberto Nobile, nel 1928. Siamo stati i primi ad arrivare al Polo con la missione, assieme ad Amundsen, con il Norge. L'Italia perciò ha sempre avuto un posto in prima fila e credo che sia importante continuare a mantenere questo posto e contribuire in modo efficace in questa collaborazione anche con gli altri Paesi. Tra l'altro, il Nord, a differenza del Sud, è un punto strategico fondamentale. I principali Paesi sono tutti nella parte nord del globo; le terre emerse sono principalmente al nord. Perciò avere un punto strategico al Polo Nord vuol dire Pag. 18essere al top di tutte le dinamiche geopolitiche che ci sono oggi. Oggigiorno l'Artico non è solamente quella parte remota di terra, ma è quel punto centrale nel quale ci sono i bottoni che possiamo spingere per il futuro, per muovere quella che sarà l'economia del futuro, sia per le rotte che si stanno aprendo – i trasporti dai vari Paesi – sia per le terre rare, sia per le estrazioni, sia anche per motivi geopolitici che sono ovvi.
  Credo che l'Italia debba mantenere e rafforzare, anche con presenze, tutto ciò che è Artico. Ormai sono dodici, quasi tredici anni che andiamo nell'Artico, alle Svalbard, ma la presenza principale in questi territori è dei Paesi del Nord: Norvegia, Svezia, Finlandia, Danimarca. L'Italia ha una base, la base Dirigibile Italia, però non ha la forza, non ha il prestigio che hanno gli altri Paesi. Oggigiorno se al Nord parla la Norvegia è come se fossero parole scritte in oro su un libro sacro; l'Italia viene sì intesa, però ha sempre questa visione di un Paese che si interessa al Nord, ma attivamente cosa fa? Ci dicono subito: siete lontani, avete il sole, state bene, nell'Artico non avete alcun interesse.

  PRESIDENTE. La ringrazio per il contributo e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 13.55.