XIX Legislatura

I Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 6 di Martedì 7 novembre 2023

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Pagano Nazario , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA IN MATERIA DI ATTIVITÀ DI RAPPRESENTANZA DI INTERESSI

Audizione di Annamaria Poggi, professoressa di diritto costituzionale presso l'Università degli Studi di Torino (in videoconferenza); Vincenzo Lippolis, professore di diritto pubblico comparato presso l'Università UNINT; Massimo Luciani, professore di diritto costituzionale presso l'Università degli Studi di Roma «La Sapienza» (in videoconferenza); Luca Longhi, professore di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università telematica Pegaso.
Pagano Nazario , Presidente ... 3 
Poggi Annamaria , professoressa di diritto costituzionale presso l'Università degli Studi di Torino (in videoconferenza) ... 3 
Pagano Nazario , Presidente ... 6 
Luciani Massimo , professore di diritto costituzionale presso l'Università degli Studi di Roma «La Sapienza» (in videoconferenza) ... 6 
Pagano Nazario , Presidente ... 6 
Luciani Massimo , professore di diritto costituzionale presso l'Università degli Studi di Roma «La Sapienza» (in videoconferenza) ... 6 
Pagano Nazario , Presidente ... 9 
Longhi Luca , professore di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università telematica Pegaso ... 9 
Pagano Nazario , Presidente ... 11 
Lippolis Vincenzo , professore di diritto pubblico comparato presso l'Università UNINT ... 11 
Pagano Nazario , Presidente ... 13 
Luciani Massimo , professore di diritto costituzionale presso l'Università degli Studi di Roma «La Sapienza» (in videoconferenza) ... 13 
Pagano Nazario , Presidente ... 13 
Mura Francesco (FDI)  ... 13 
Lippolis Vincenzo , professore di diritto pubblico comparato presso l'Università UNINT ... 14 
Pagano Nazario , Presidente ... 14 
Lippolis Vincenzo , professore di diritto pubblico comparato presso l'Università UNINT ... 14 
Pagano Nazario , Presidente ... 14

Sigle dei gruppi parlamentari:
Fratelli d'Italia: FdI;
Partito Democratico - Italia Democratica e Progressista: PD-IDP;
Lega - Salvini Premier: Lega;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Berlusconi Presidente - PPE: FI-PPE;
Azione - Italia Viva - Renew Europe: A-IV-RE;
Alleanza Verdi e Sinistra: AVS;
Noi Moderati (Noi con L'Italia, Coraggio Italia, UDC e Italia al Centro) - MAIE: NM(N-C-U-I)-M;
Misto: Misto;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-+Europa: Misto-+E.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
NAZARIO PAGANO

  La seduta comincia alle 13.35.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta sarà assicurata anche mediante la resocontazione stenografica e la trasmissione attraverso la web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di Annamaria Poggi, professoressa di diritto costituzionale presso l'Università degli Studi di Torino (in videoconferenza); Vincenzo Lippolis, professore di diritto pubblico comparato presso l'Università UNINT; Massimo Luciani, professore di diritto costituzionale presso l'Università degli Studi di Roma «La Sapienza» (in videoconferenza); Luca Longhi, professore di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università telematica Pegaso.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione – nell'ambito dell'indagine conoscitiva in materia di attività di rappresentanza di interessi – di Annamaria Poggi, professoressa di diritto costituzionale presso l'Università degli Studi di Torino (in videoconferenza); Vincenzo Lippolis, professore di diritto pubblico comparato presso l'Università UNINT; Massimo Luciani, professore di diritto costituzionale presso l'Università degli Studi di Roma «La Sapienza» (in videoconferenza); Luca Longhi, professore di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università telematica Pegaso. Avverto che i deputati possono partecipare in videoconferenza alla seduta odierna, secondo le modalità stabilite dalla Giunta per il regolamento. Do quindi la parola a Annamaria Poggi, professoressa di diritto costituzionale presso l'Università degli Studi di Torino.

  ANNAMARIA POGGI, professoressa di diritto costituzionale presso l'Università degli Studi di Torino (in videoconferenza). Grazie, presidente. Un caro saluto a te e un saluto ai parlamentari presenti e anche ai colleghi.
  Interverrò su alcune questioni che riguardano un tema assolutamente complesso. Dico preliminarmente che le questioni su cui intervengo sono quelle che hanno a che fare con la finalità della legge, con l'ambito oggettivo e soggettivo dell'intervento, e cioè chi sono i portatori di interesse e i decisori pubblici. Poi farò qualche accenno, non di più, a tutta la questione procedimentale così come è configurata soprattutto nel disegno di legge S. 2495 della scorsa Legislatura, che secondo me, non soltanto perché è più recente, offre l'occasione per una serie di riflessioni su alcuni punti nodali.
  Per quello che riguarda la finalità della legge, come sapete bene, c'è parecchia discussione su quale finalità debba avere una legge che vada a disciplinare questo fenomeno. In questa discussione si contrappongono sostanzialmente due modelli di finalità. Quanto al primo, si tratta di un modello principalmente improntato sulla necessità di esigere la trasparenza del processo decisionale, quindi di un modello che punta principalmente a rendere trasparente questo tipo di processo e che annette a questa finalità tutta una serie di istituti procedimentali e anche il regime sanzionatorio.
  Dall'altro lato, c'è chi ritiene che in realtà la partecipazione delle lobby al processo decisionale sia una conquista dei sistemiPag. 4 liberaldemocratici e si atteggi quasi più a diritto che a controllo e che quindi le legislazioni sul tema debbano avere quest'altro tipo di impronta.
  Io ritengo che sarebbe opportuno tenere insieme in maniera bilanciata questi due aspetti, perché si tratta di esigenze che hanno entrambe una cittadinanza – tra virgolette – «costituzionale».
  La prima, vale a dire l'esigenza di trasparenza del processo decisionale, si fonda su tutta una serie di principi costituzionali. Vorrei sottolineare a questo proposito un fondamento che spesso viene dimenticato, o almeno non viene necessariamente sottolineato, e che invece è anche un buon modello di riferimento. Mi riferisco a quanto l'articolo 97 della Costituzione stabilisce rispetto ai principi che devono presiedere all'attività della pubblica amministrazione e alle procedure amministrative.
  Ma indubbiamente anche la seconda, cioè la partecipazione dei lobbisti al processo decisionale pubblico, è un'esigenza che è diventata sempre più rilevante, anche in considerazione della rilevanza che determinati fenomeni di tipo economico hanno assunto rispetto appunto ai processi decisionali.
  Non si tratta, dunque, soltanto di portare in evidenza determinati interessi, quali la trasparenza, ma anche di affermare in sostanza una legittimità della partecipazione democratica di questi interessi al processo di definizione della legge o di atti amministrativi che abbiano una determinata rilevanza pubblica.
  Sotto questo profilo basterebbe rammentare alcune pagine dei lavori dell'Assemblea costituente in cui Costantino Mortati affermava la necessità di portare addirittura all'interno di una delle due Camere del Parlamento proprio le rappresentanze economico-produttive. Com'è noto questa proposta non ebbe il plauso dell'Assemblea costituente, per la sola motivazione che ricordava troppo esperienze di un recente passato, ma non certo perché i costituenti non fossero convinti di questa necessità. Difatti, sappiamo che quel tipo di esigenza si è trasformato poi nell'articolo che ha costituzionalizzato il Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro.
  Quindi, da questo punto di vista, nell'articolo 1 indubbiamente bisognerebbe dar conto di queste finalità in maniera equilibrata; per esempio, rispetto a quanto previsto dal disegno di legge S. 2495, considero una buona scelta quella di elencarle: io riprenderei la lettera c) del comma 1 dell'articolo 1 mentre metterei insieme le lettere a) e b) perché mi sembra che abbiano una certa attinenza.
  Per quello che riguarda l'ambito soggettivo e oggettivo, entriamo sul terreno di scelte che sono sicuramente molto delicate e che riguardano anzitutto la decisione (scusate il bisticcio di parole) su chi siano i decisori pubblici e a che tipo di decisione ci si riferisca.
  Qui mi viene da dire quali sono i pro e i contro di una scelta particolarmente ampia, come quella che fa appunto il disegno di legge a cui mi riferivo.
  I pro di una scelta particolarmente ampia rispetto alla gamma dei decisori pubblici da tenere in considerazione sono sostanzialmente di due tipi: il primo è quello di dare princìpi e indicazioni uniformi, rispetto a un tema che è complesso ma che sicuramente ha aspetti comuni per quello che riguarda tutti i decisori pubblici; e poi c'è un altro pro che secondo me è rilevante, vale a dire quello di una migliore leggibilità da parte dei destinatari rispetto agli adempimenti stessi.
  Quali sono i contra di un'ampia estensione del concetto di decisori pubblici all'interno di una legge parlamentare? Che più si estende l'ambito di applicazione e più bisogna tenere presente che c'è anche un livello di autonomia dei soggetti che si ricomprendono nella sfera di applicazione della legge. L'esempio più lampante, ma anche quello più delicato, mi pare quello che riguarda i decisori pubblici a livello regionale. Però noi sappiamo bene che quasi tutte le regioni hanno affrontato il fenomeno nella propria normazione sia a livello di statuto sia con molte normative; quindi sono tante le normative regionali sia di regioni ordinarie che di regioni a statuto speciale che affrontano questo tema, con Pag. 5soluzioni in parte comuni e in parte differenti. E si tratta di una scelta che si riverbera anche sulla selezione del titolo competenziale ex articolo 117 della Costituzione, e quindi di un titolo competenziale rispetto al quale le Commissioni competenti e il Parlamento devono ovviamente riflettere. La scelta che era stata fatta nel disegno di legge della precedente Legislatura era quella di considerare per questi soggetti i principi: ciò non toglie comunque il tema del titolo competenziale in cui si interviene. Per quello che riguarda il tipo di atti, a me pare che la scelta di definirli dicendo che si tratta della partecipazione a un procedimento di formazione degli atti normativi e dei provvedimenti amministrativi generali potrebbe essere considerato soddisfacente.
  Altra questione è chi sono i portatori di interesse. Qui il disegno di legge precedente (mi riferisco sempre all'atto S. 2495) fa una scelta interessante, introducendo una formula generale per definirli e un'elencazione tassativa di quelli esclusi. A me pare che questa sia una buona scelta.
  Tuttavia c'è un tema che quel disegno di legge non toccava, che a mio giudizio è particolarmente rilevante e che riguarda gli ex decisori pubblici. Mi riferisco agli ex parlamentari in particolare ma ovviamente anche a tutti gli ex decisori pubblici a seconda dell'ambito di perimetrazione che la legge intende tenere.
  Qui si pone un problema: ovviamente non c'è alcun motivo per escluderli, ma certamente bisognerebbe superare l'obiezione di una loro eventuale condotta a fine mandato di precostituzione di atti normativi volti a favorire taluni interessi e anche il proprio, apprestandosi a diventare appunto portatori di interesse. Se si decide di includerli, non c'è altra possibilità se non quella di prevedere un certo numero di anni di freezing, che certamente non potrebbe superare l'arco della legislatura successiva, forse dovrebbe durare addirittura di meno. Credo che questo sia un aspetto delicato e importante che le Commissioni e il Parlamento dovrebbero affrontare, secondo me anche per una sorta di credibilità e di autorevolezza del testo normativo stesso.
  Altri aspetti – procedo un po' più velocemente – riguardano il registro. Anche qui in dottrina i commentatori si dividono tra quanti ritengono che sia opportuno e quanti ritengono che non sia opportuno o almeno che non sia uno strumento adeguato. E poi naturalmente il tema è dove inquadrarlo.
  Se uno dei principi che deve fondare la motivazione dell'esigenza di una legge di questo genere è quello della trasparenza, secondo me la risposta alla questione «registro sì, registro no» è indubbiamente «sì». Il problema però è dove inquadrarlo, presso quale istituzione, e soprattutto come. Non mi fermo tanto sul dove perché le possibilità di scelta sono numerose; secondo me però l'aspetto più delicato è il come. L'aspetto molto delicato, che era presente nel precedente disegno di legge e che secondo me invece andrebbe rimeditato con molta attenzione, è relativo alle modalità di accesso, vale a dire se l'accesso debba essere riservato o pubblico. Nel disegno di legge si era fatta la scelta di un accesso in pratica totalmente pubblico. Secondo me bisognerebbe forse trovare un bilanciamento che consenta di avere il registro accessibile, ma non la totale pubblicità, vale a dire che chiunque possa accedervi: secondo me la scelta è molto delicata e va meditata veramente con grande attenzione.
  Allo stesso modo va meditato con grande attenzione, e qui io sarei favorevole a rendere più leggera possibile la normazione, l'aspetto relativo alla tenuta dell'agenda degli incontri e dell'eventuale comitato di sorveglianza sul rispetto dell'agenda degli incontri. Nel citato disegno di legge era tutto molto pesante e molto procedimentalizzato, al punto che addirittura si poteva instaurare un contraddittorio tra il decisore pubblico e il portatore di interessi sulle informazioni contenute all'interno dell'agenda, vigilata da un comitato di sorveglianza formato quasi completamente da magistrati. Io su questo francamente penso che occorra essere molto cauti, più snelli, tenendo conto che, se la finalità è quella Pag. 6della trasparenza, la procedimentalizzazione eccessiva potrebbe favorire fenomeni, diciamo così, di aggiramento della normativa piuttosto che fenomeni invece di rispetto della normativa stessa.
  Per quel che riguarda infine l'apparato sanzionatorio, penso che anche in questo caso esso debba essere molto leggero e soprattutto debba essere correlato alle finalità della legge stessa.
  Quindi, in conclusione, presidente, colleghi e onorevoli parlamentari che state ascoltando questa mia breve relazione, io penso che la legge ottimale sia una legge che in qualche misura tenga conto delle finalità importanti da inserire, ma che non sia così pesante da costituire uno strumento che è più facile aggirare che rispettare. Questo perché se effettivamente, dopo un po' di tempo, vogliamo avere una legge di questo genere, se quest'ultima viene combinata in una maniera tale da essere eccessivamente pesante e procedimentalizzata, si potrebbe ottenere l'effetto opposto.
  Ultimissima questione è quella del rispetto dell'autonomia dei decisori pubblici che eventualmente si intende inglobare nella legge stessa. Anche su questo, secondo me, a seconda che si tratti di enti territoriali, di amministrazioni dello Stato o di autorità indipendenti, probabilmente bisognerebbe avere delle accortezze in termini di rispetto della rispettiva autonomia e lasciare comunque margini di autonomia su determinate scelte.
  Grazie, presidente, spero di non aver preso troppo tempo.

  PRESIDENTE. Grazie a lei, professoressa Poggi. Passiamo quindi al secondo ospite, cioè il professor Massimo Luciani, professore di diritto costituzionale presso l'Università degli studi La Sapienza di Roma. Prego professor Luciani, a te la parola.

  MASSIMO LUCIANI, professore di diritto costituzionale presso l'Università degli Studi di Roma «La Sapienza» (in videoconferenza). Grazie, presidente. Spero mi si senta regolarmente.

  PRESIDENTE. Si sente.

  MASSIMO LUCIANI, professore di diritto costituzionale presso l'Università degli Studi di Roma «La Sapienza» (in videoconferenza). Magnifico.
  Sarò assai sintetico, però occorre una premessa generale, perché interrogarsi su una legislazione che regoli la rappresentanza degli interessi presso le sedi decisionali pubbliche è una cosa senz'altro positiva. È positiva perché questo è un fenomeno molto rilevante ed è un fenomeno che ciclicamente torna all'attenzione dell'opinione pubblica, però bisogna chiedersi preliminarmente se una legislazione di questo genere sia davvero necessaria o anche semplicemente opportuna.
  Nel suo ultimo libro, che si intitola Democrazia, ultimo atto? (con un opportuno punto interrogativo alla fine), Carlo Galli osserva questo, cito testualmente: «La democrazia può vivere solo di equilibrio instabile fra trasparenza e opacità». Cito dalla pagina 7.
  Ora, che tutto il processo decisionale politico possa essere trasparente, è un'istanza che a mio avviso è allo stesso tempo ingenua e improvvida.
  È ingenua perché la rappresentanza politica ha bisogno di spazi riservati affinché possano maturare le condizioni di quel compromesso tra posizioni diverse: è l'essenza stessa della funzione istituzionale della rappresentanza, a ben vedere.
  È improvvida perché alimentare l'illusione che tutto sia trasparente rende i cittadini inavvertiti della fatale esistenza dei luoghi nei quali le esigenze di trasparenza non riescono a penetrare; quindi si dà un'immagine falsata del processo decisionale politico.
  Questa esigenza di riservatezza riguarda un po' tutte le istituzioni. Richiamo la vostra attenzione sulla notissima sentenza n. 1/2013 della Corte costituzionale, che fece queste osservazioni in riferimento all'intercettazione indiretta delle conversazioni del Capo dello Stato. Questa esigenza è avvertita appunto anche dalle assemblee rappresentative. Però la democrazia è esattamente lo strumento politico che consente a tutti i cittadini di contare nel processo decisionale, rimuovendo il più possibile gli Pag. 7spazi di opacità nei quali possono operare inavvertite élite, che in questo modo riescono a esercitare la loro influenza occulta.
  Quindi occorre un giusto equilibrio. Senza una qualche dose di riservatezza la politica non funziona, ma senza trasparenza non funziona la democrazia.
  Questa è la premessa generale.
  Se quello che ho detto fino adesso è vero, una legge sulla rappresentanza degli interessi privati, cioè sulle cosiddette lobby, non è solo opportuna ma è indispensabile. E lo è per due motivi.
  Anzitutto, il punto di equilibrio fra trasparenza e riservatezza non può essere lasciato alle prassi, perché ahimè le prassi non sempre sono virtuose e spesso sono guidate più dall'interesse di parte che dalla bussola dell'equilibrio.
  In secondo luogo c'è da dire che quando gli interessi privati vengono immessi nel processo decisionale pubblico, in questo caso le esigenze di trasparenza fanno aggio su quelle di riservatezza. Perché un conto è mantenere riservato, almeno quando serve, il dialogo fra decisori politici; cosa molto diversa è consentire che questo o quel decisore politico venga attinto da questo o da quell'interesse privato senza che l'opinione pubblica ne sappia alcunché.
  Credo di aver dato un quadro sufficientemente preciso del problema generale che abbiamo di fronte, cioè quello dell'esigenza di un equilibrio tra interessi diversi che vanno sapientemente amministrati.
  Quindi spetta alla stessa rappresentanza politica, spetta alle Camere esercitare il loro potere normativo. Questo è un caso classico di esercizio del potere normativo da parte delle Camere.
  Non c'è spazio per la decretazione legislativa di urgenza e secondo me non c'è spazio neanche per la delegazione legislativa, perché una legge su questo fenomeno può essere tranquillamente una legge che si esaurisce in sé stessa senza invocare l'esercizio della legislazione delegata.
  Quindi spetta alle Camere esercitare il loro potere normativo identificando, proprio nel libero e, insisto, trasparente confronto parlamentare, le modalità migliori per soddisfare le esigenze di trasparenza, che - come accennavo - assumono una rilevanza prioritaria quando si tratta di conoscere quali interessi privati entrano in contatto con la politica e come vi entrino.
  La necessità di rendere il processo decisionale il più possibile trasparente, quindi in osservanza del principio democratico, a me sembra che assuma una coloritura del tutto particolare quando si tratta dell'emersione dei punti di contatto fra privato e pubblico: quindi opportunità, anzi necessità, di una legislazione in materia, ma una legislazione che sappia sapientemente tenere conto delle esigenze di riservatezza, delle esigenze di trasparenza e anche delle esigenze di funzionalità della macchina amministrativa e politica.
  A questo punto però si pongono molti problemi. Su questi problemi si sta esercitando un gruppo di lavoro che è stato istituito per iniziativa del presidente Pagano, quindi io mi limito a manifestare qualche personalissima opinione.
  Mi soffermo sui principali nodi problematici. Del resto questi nodi problematici, a ben vedere, i signori parlamentari li hanno già chiaramente presenti perché possono contare sulla lettura del dossier che è stato elaborato dal Servizio studi e che è stato pubblicato il 23 marzo di quest'anno, in cui questi nodi problematici emergono con una certa precisione.
  Elenco sei punti largamente coincidenti con quelli di cui parlava prima Anna Poggi.
  Il primo, la nozione di decisore pubblico. Qui la definizione può essere abbastanza semplice, l'alternativa più delicata è quella di quale livello disciplinare: solo il centro o anche la periferia, e se anche la periferia quale periferia, cioè le regioni o anche gli enti locali. Ora qui mi permetto di suggerire una certa prudenza, sarebbe forse opportuno un intervento in due passaggi: anzitutto una legge generale che riguardi appunto il centro e poi o una legge-quadro successiva per l'esercizio delle funzioni legislative regionali, oppure in una primissima sede soltanto alcuni generali principi molto di cornice. Starei molto attento anche all'esigenza di snellezza, perché aggravare il processo decisionale pubblico, che già di per sé non ha tanto bisogno Pag. 8di essere ulteriormente reso complesso, non è cosa buona.
  Secondo punto, la nozione di portatori di interessi privati. Questo forse è il punto più difficile, perché mi pare evidente che un'eccessiva latitudine della definizione potrebbe portare davvero a un'ingessatura indebita del rapporto fra società politica e società civile. Insomma, quanto al ruolo della società civile, è bene che vengano dal basso le sollecitazioni all'autorità politica, senza tutte le complessità e le complicazioni che possono derivare dall'applicazione della normativa sulle cosiddette lobby.
  Qui mi sembra che andrebbe bene, e condivido quello che ha detto Anna Poggi, una definizione generale di portatori di interesse, come si fa appunto nel disegno di legge che è stato menzionato da Anna, con alcune esclusioni esplicite che possono essere molto utili perché sono capaci di delimitare bene il campo. Questo fa appunto il disegno di legge S. 2495.
  Non sono invece d'accordo sull'idea di estendere qui o di elaborare norme analoghe a quelle che sono state costruite sul pantouflage, perché ho l'impressione che se facessimo questo renderemmo davvero molto complicato l'esercizio anche di diritti fondamentali da parte di ex decisori politici. E la mia impressione è che ci siano limiti costituzionali molto stretti che suggeriscono prudenza nell'elaborare norme sul pantouflage.
  Terzo punto, istituire o meno un registro dei portatori di interessi privati. La risposta per quanto mi riguarda è sì, perché altrimenti francamente non saprei bene come si possa immaginare una ragionevole disciplina del fenomeno.
  Quanto al quarto punto, la tenuta di un'agenda degli incontri e di altre sollecitazioni comporta un aggravio di obbligazioni per il decisore pubblico e per colui che li gestisce. Qui sarei anch'io, come Anna Poggi, piuttosto scettico. Sarei prudente proprio perché le esigenze di efficienza e snellezza suggeriscono una qualche cautela. Probabilmente quelle esigenze di trasparenza di cui parlavo precedentemente sono soddisfatte già dalla previsione del registro.
  Quinto punto: questo registro da chi deve essere tenuto e chi deve essere il garante del rispetto degli obblighi di registrazione e degli eventuali altri obblighi? Qui lo stesso dossier del servizio studi ci dice che sono state immaginate varie soluzioni.
  La prima: autorità indipendente di nuova istituzione. Qui mi permetto di manifestare una contrarietà. Basta, francamente: di ulteriori autorità indipendenti probabilmente non ne abbiamo bisogno. Ritengo che si dovrebbe utilizzare lo strumento delle autorità indipendenti soltanto quando davvero ci troviamo di fronte a punti nei quali la normale amministrazione non può funzionare soddisfacentemente.
  L'istituzione del registro presso l'Ufficio della Presidenza del Consiglio, presso l'Autorità garante della concorrenza e del mercato, presso l'ANAC, presso il CNEL?
  Personalmente io ho qualche dubbio sull'Autorità antitrust. Ho questo dubbio perché non siamo soltanto di fronte a interessi economici che devono essere rappresentati, quindi l'Autorità garante della concorrenza e del mercato mi sembra inidonea.
  L'ANAC. Insomma, far risiedere il registro presso l'Autorità anticorruzione forse è il segnale di una concezione negativa del fenomeno, cioè dell'idea che l'accesso degli interessi privati alla decisione pubblica sia una cosa negativa. Invece è fisiologica, in tutti i sistemi accade questo, opportunamente il dossier del Servizio studio riporta la disciplina che è stata adottata in sede di Unione europea.
  Presso la Presidenza del Consiglio potrebbe essere una soluzione.
  Ritengo invece che dovrebbe essere valutata anche la soluzione del Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro, se almeno si pensa – come io ho sempre pensato – che il Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro fosse un'interessante innovazione immaginata dai costituenti, allo scopo non già di mediare il conflitto sociale ma di moderarlo. E se davvero il Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro venisse utilizzato in tutte le sue potenzialità potrebbe essere anche questa una soluzionePag. 9 opportuna, e alternativa ovviamente a quella che era stata immaginata, vale a dire l'eliminazione di questo organo di rilevanza costituzionale.
  Infine, ultimo punto, le sanzioni. Qui condivido la posizione cauta di Anna Poggi e di altri colleghi che si sono occupati di questo tema. Meglio lavorare con le incentivazioni più che con le sanzioni; credo poco qui all'utilità delle sanzioni e credo molto invece al fatto che quando si prevedono sanzioni si può star certi che si sollecita un pesante contenzioso.
  Quindi concludo, presidente, e spero di non aver abusato della vostra pazienza, sottolineando la complessità della questione e l'esigenza di mantenere un punto di equilibrio fra interessi generali che non sono sempre del tutto coincidenti: quindi una legislazione in materia sì senz'altro, ma senz'altro anche una legislazione prudente.
  Grazie per la vostra attenzione.

  PRESIDENTE. Grazie professor Luciani. Grazie Massimo, sei stato come al solito estremamente chiaro. Passiamo a questo punto agli ospiti che invece abbiamo in presenza, cioè innanzitutto il professor Luca Longhi, professore di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università telematica Pegaso. Do quindi la parola al professor Longhi.

  LUCA LONGHI, professore di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università telematica Pegaso. Grazie, presidente. Grazie alla Commissione per l'invito e un saluto ai presenti nonché ai professori illustri collegati.
  Il dibattito sull'elaborazione di una disciplina del sistema della rappresentanza di interessi deve valutare a mio avviso da un lato la necessità e l'opportunità – lo diceva poc'anzi il professor Luciani – di regolamentare un settore dell'ordinamento che evidenzia chiaramente un vuoto normativo; ma dall'altro anche l'esigenza di non ingabbiare troppo entro schemi rigidi un ambito che reclama, per sua stessa natura, flessibilità per poter essere realmente rispondente a quegli obiettivi di efficacia che vengono richiesti al legislatore.
  Sul fenomeno lobbistico credo che tuttora sussistano equivoci poiché è un tema evocato correntemente dalla vulgata giornalistica prima ancora che giuridica in senso stretto. Quindi, questa potrebbe essere forse anche una sede fondativa del concetto in termini tecnico-giuridici e normativi. Volendo cercare riferimenti costituzionali, esso attiene a mio avviso a quella partecipazione all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese evocata dal secondo comma dell'articolo 3 della Costituzione, così come anche in un certo senso alle formazioni sociali di cui all'articolo 2. E questo ritengo che possa essere l'alveo concettuale più appropriato ai fini di un corretto inquadramento teorico sistematico della materia.
  Quest'ultimo aspetto acquista un rilievo ancora maggiore nel contesto attuale caratterizzato, come è noto, da diversi decenni da una tendenza irreversibile – chissà – alla crisi della rappresentanza, delle sue sedi tradizionali, ovvero dei partiti politici, cui corrisponde dunque una frammentazione, ma potrei dire addirittura una frantumazione, degli interessi e delle istanze sociali. Dunque, prendendo atto della sussistenza di questo vuoto normativo, occorre procedere a una sistematizzazione della materia, al fine di favorire quanto più possibile, in una dimensione di trasparenza, l'emersione di una realtà che è – diciamo – sotto gli occhi di tutti, anche se il più delle volte tende a restare nascosta allo sguardo dell'ordinamento ed è capace, non possiamo nasconderci, di incidere profondamente sul traffico giuridico-economico.
  Proprio il principio di trasparenza, già richiamato prima di me dai professori Poggi e Luciani, va declinato di pari passo con l'esigenza di contrastare la corruzione, che costituisce una delle missioni più significative espresse dall'ordinamento negli ultimi tempi, direi una delle direttrici fondamentali lungo le quali si è andato a sviluppare il diritto pubblico a partire dagli anni duemila. Pensiamo al ruolo dell'ANAC e a quel forte impulso che ha ricevuto soprattutto in una certa stagione, che adesso mi sembraPag. 10 trascorsa ma che comunque ha segnato sicuramente uno spartiacque.
  Una disciplina organica della materia, se inquadrata dalla giusta angolazione e messa nelle condizioni di funzionare in maniera corretta, come avviene diffusamente negli altri ordinamenti, potrebbe rappresentare un prezioso fattore di coesione sociale e di partecipazione democratica, in quell'accezione di cui agli articoli 2 e 3 della Costituzione cui facevo riferimento poc'anzi, oltre che un propulsore decisivo di progresso economico e benessere collettivo. Ne va di quel sentimento di fiducia che in una democrazia evoluta come la nostra i cittadini sono chiamati a riporre nelle istituzioni ovvero, riguardato dall'altro lato, della bontà delle decisioni pubbliche che vengono assunte a garanzia dell'interesse generale.
  Tuttavia l'attesa disciplina della materia dovrà anche considerare i profili patologici, ovvero quelli che destano a vari livelli le maggiori preoccupazioni di ordine sistematico. Ci si riferisce al tema ricorrente dei conflitti di interessi, ovvero all'individuazione dei criteri di selezione degli interessi, tenuto conto che le dinamiche socio-economiche presentano nel contesto attuale contrapposizioni non di rado feroci ed irriducibili – si pensi alla causa dei tassisti venuta a più riprese alla ribalta nelle cronache di questi tempi –, allo scopo di evitare che il bilanciamento delle forze in campo veda sempre e comunque prevalere le ragioni del più forte in danno delle componenti semplicemente meno rappresentate della società, un tempo si sarebbe detto silenziose della società.
  La questione dei conflitti di interessi richiama poi a sua volta in qualche modo il tema della concorrenza, altro grande oggetto misterioso (mi permetto di dirlo e di scriverlo poi nel testo tra virgolette) del nostro armamentario giuridico, nella misura in cui sulla spinta dei trattati europei assurge oramai a principio fondamentale con il quale dovere fare i conti, pur in assenza di un esplicito riconoscimento nell'impianto originario della Carta, in una maniera peraltro non sempre adeguata poi nella traduzione concreta che ha avuto ad opera del legislatore.
  Da un punto di vista ideale la concorrenza, se letta in armonia con i principi dello stato sociale, dovrebbe rappresentare di per sé un elemento virtuoso di democrazia e giustizia materiale, favorendo lo sviluppo di una competizione ad armi pari tra gli operatori economici e di un diffuso soddisfacimento dei bisogni dei cittadini nelle varie vesti che assumiamo a seconda dei frangenti della vita (di consumatori, risparmiatori, utenti, clienti, contribuenti, portatori di interesse, perché no, o di micro interessi).
  Invece, nel nostro ordinamento non si sono ancora venute a creare quelle condizioni perché la concorrenza possa assolvere in termini effettivi a una vocazione democratica, come ho provato a descriverla, tant'è che la sua attuazione ha finito spesso e volentieri per sortire risultati radicalmente opposti rispetto a quelli auspicati o comunque non sempre ha ricevuto dalla società quel consenso e quel riscontro attesi dal legislatore. Pensiamo alle cosiddette «lenzuolate» del 2006.
  Nello scenario illustrato, dunque, si è registrato un utilizzo per lo più ideologico o comunque inefficace del principio di concorrenza, cui non è corrisposto affatto a tutt'oggi lo scardinamento di posizioni di potere tuttora dominanti all'interno della società (il caso dei balneari è paradigmatico ma solo esemplificativo del nostro discorso, quindi lo menziono a uno scopo direi didascalico), con il risultato di un Paese che appare oggi ancora poco attrattivo e frenato sulla via della modernità rispetto ai partner europei.
  Ecco perché una compiuta regolamentazione del sistema delle lobby non potrà prescindere da una valorizzazione delle potenzialità democratiche contenute nell'idea di concorrenza, rimaste per ora per lo più inesplorate e inespresse nell'ottica di una composizione delle conflittualità sociali.
  Ad altro livello – e mi avvio verso le conclusioni – la richiamata questione dei conflitti di interessi, ad esempio a proposito della compatibilità tra le funzioni di Pag. 11parlamentare e quelle di lobbista o di ex parlamentare, come diceva la professoressa Poggi, rileva in relazione al dettato degli articoli 54 e 67 della Costituzione che, benché attengano entrambi a capisaldi del nostro Stato di diritto, non sempre ricevono sufficiente attenzione nel dibattito pubblico, quasi come se ad essi non dovesse corrispondere un significato concreto ed effettivo, prospettiva quest'ultima evidentemente inaccettabile sul piano tecnico giuridico.
  In altri termini, concetti come la fedeltà alla Repubblica o la rappresentanza nazionale sono difficilmente conciliabili con l'eventualità di servire interessi altri o comunque cause che non rientrino nell'interesse generale.
  In questa direzione, l'istituzione di un registro dei lobbisti – come già previsto in alcune delle proposte di legge elaborate nelle precedenti legislature – potrebbe rivelarsi una misura essenziale a salvaguardia dei principi di trasparenza, pubblicità e partecipazione, verso i quali si rivolge opportunamente sempre di più negli ultimi decenni l'attività dei pubblici poteri. Viceversa, ad ordinamento invariato, si potrebbe decidere di rivitalizzare finalmente le funzioni del CNEL – lo ha detto in maniera diversa ma sicuramente migliore di me il professor Luciani – che nell'impianto originario della Costituzione, all'articolo 99, avrebbe dovuto assolvere proprio al ruolo di sede di rappresentanza degli interessi che si vorrebbe disciplinare qui, ma che invece, come è noto, non è mai stato messo nelle condizioni di operare, finendo addirittura per assurgere, direi immeritatamente, a simbolo della categoria degli enti inutili e bersaglio di ingenerose campagne mediatiche cavalcate da quanti, nel corso degli anni, hanno mirato soprattutto a solleticare i sentimenti anticasta sempre in agguato in una certa pancia del Paese.
  In conclusione, tirando le fila di questo breve ragionamento, ritengo, da operatore pratico del diritto, da modesto cultore del diritto costituzionale, che nello strumentario giuridico vigente il CNEL potrebbe rappresentare il luogo istituzionale più congeniale per vedere garantita una tanto invocata rappresentanza degli interessi, nonché il punto di partenza ideale per poter immaginare qualsiasi percorso di riforma in materia.
  Resto a disposizione per ogni eventuale chiarimento, rinvio al testo scritto che mi impegno qui a produrre e ringrazio per l'attenzione salutando.

  PRESIDENTE. Grazie professore, è stato molto chiaro. Grazie anche per il documento che ci lascerà.
  Per ultimo, ma non in ordine di importanza ovviamente, passiamo al mitico professor Vincenzo Lippolis, professore di diritto pubblico comparato presso l'Università UNINT.
  Professor Lippolis, a te la parola per le conclusioni di questo incontro molto interessante di oggi.

  VINCENZO LIPPOLIS, professore di diritto pubblico comparato presso l'Università UNINT. Grazie, presidente. Grazie per l'invito e un saluto a chi assiste a questa riunione.
  Partirò dal diritto comparato.
  L'esame del diritto comparato ci fa vedere che le democrazie consolidate europee, le più significative e importanti, hanno tutte una legge sulla disciplina dei rappresentanti di interessi, delle lobby. Sono normative relativamente recenti: più risalente è quella degli Stati Uniti che comunque l'hanno aggiornata nel 2007, seguono poi la Gran Bretagna nel 2014, la Francia nel 2016 e la Germania nel 2022. Noi non l'abbiamo.
  Ora, non è che il diritto comparato serve a individuare modelli che bisogna acriticamente copiare e fare propri; però il dato che ho citato mi pare indicativo. Mi pare che sia nello spirito delle democrazie contemporanee questa esigenza appunto – che è stata richiamata da chi mi ha preceduto – di una trasparenza di rapporti tra decisore pubblico e portatore di interessi.
  Quindi, quanto al primo punto, la legge appare non solo opportuna ma direi quasi necessaria, e fa bene la Commissione ad avere questo obiettivo.Pag. 12
  Come deve essere impostata la legge? Innanzitutto direi questo: non mi pare che il progetto di legge della scorsa legislatura sia da buttare nel cestino, vale a dire che esso conteneva una serie di indicazioni che possono essere utilmente adoperate nella costruzione della nuova legge, facendo limature, cambiando qualcosa, ma c'è un impianto che non mi pare da rifiutare. Ad esempio, per quanto riguarda un aspetto che pure è stato sottolineato, la definizione di portatori di interesse con l'indicazione delle esclusioni mi sembra risponda ad un criterio ragionevole.
  Nel dibattito che c'è stato anche in Commissione nel gruppo di lavoro e nelle audizioni si è impostata quasi una sorta di dicotomia: una legge che mira alla trasparenza o alla partecipazione. Come ha detto anche la professoressa Poggi, queste due polarità possono essere portate avanti insieme nel testo legislativo; quella che però mi pare l'esigenza decisiva è quella della trasparenza. Qualche intervento c'è stato, forse con un eccesso di fiducia nel vedere nella partecipazione dei portatori di interessi quasi un antidoto alla mancanza di partecipazione che vi è nei sistemi democratici per il deperimento dei partiti, per il distacco dell'opinione pubblica dalla politica. Quindi l'obiettivo principale mi pare che debba essere quello della trasparenza. Ed è questo che in realtà si chiede, senza esagerare – come è stato avvisato – ad esempio su alcuni punti come l'accesso al registro o le notizie che devono essere inserite nel registro. Sono d'accordo con chi mi ha preceduto nel dire che ci vuole una legislazione abbastanza snella, che non appesantisca.
  Mi soffermo su due o tre punti, perché il terreno è stato ben arato.
  Per quanto riguarda la questione delicata del centro e della periferia, vale a dire delle competenze delle regioni, essa va studiata approfonditamente ed eventualmente risolta con delle norme di principio, delle norme quadro.
  Per quanto riguarda poi il registro, è ovvio che ci deve essere un registro, anche qui tutti gli esempi che ci vengono dal diritto comparato ce lo dimostrano.
  Anche su questo argomento, riprendo un dibattito che c'è stato nel gruppo di lavoro: io sono per l'obbligatorietà dell'iscrizione, perché se no si perderebbe molto dell'incisività della normativa, anche se altri colleghi, in questa o in altre sedi, hanno parlato di una normativa premiale, vale a dire che si deve attrarre il portatore di interessi a essere coinvolto non tanto in virtù di un obbligo ma in virtù di un qualche vantaggio, qualche incentivo che ne ricava.
  Io mi chiedo però, prima di sposare questa prospettiva, quali sarebbero gli incentivi. Non lo so, ho difficoltà a vederne, se non collegati all'obbligo. Comunque questo può essere un tema aperto. Non so, se per esempio l'incentivo fosse la conoscenza degli atti parlamentari, degli atti del Governo, oramai su Internet si trova tutto dopo pochi minuti: l'incentivo in un'epoca diversa poteva essere quello di fornire notizie o testi dei provvedimenti. C'è un'importante associazione di studi che un quarto d'ora dopo la chiusura del Consiglio dei Ministri mette in rete i testi dei provvedimenti.
  Detto questo, quindi, sarei favorevole ad un registro riguardo al quale ci sia l'obbligo di iscrizione da parte dei portatori di interessi, mentre va valutato con prudenza l'aspetto relativo ai dati che devono essere inseriti e alla loro ostensibilità.
  Vorrei toccare solo altri due punti, il primo relativo a chi tiene il registro e controlla il rispetto della legge e il secondo relativo alle cosiddette porte girevoli, vale a dire al fatto che chi è stato un decisore poi passi dall'altra parte della barricata.
  Per quanto riguarda il controllo del rispetto della legge, anch'io condivido pienamente l'idea che non si debbano creare nuove autorità, che non ce ne sia la necessità in questo caso. Esprimo qualche dubbio, qualche perplessità riguardo alla Presidenza del Consiglio, perché sarebbe la sede del massimo decisore pubblico, almeno in questo momento, vale a dire il Governo, che è il principale attore della vita politica, a controllare questi aspetti. Pag. 13Le perplessità che esprimo andrebbero approfondite naturalmente nell'elaborazione del testo di legge.
  Per quanto riguarda il CNEL, a parte il discorso che per cinquant'anni (forse di più, non lo so) si è parlato della sua abolizione, se si pensa di dare nuova linfa a questo organo non può bastare solo il controllo del registro delle lobby, ma andrebbero rimeditate un po' tutte le sue funzioni.
  Il CNEL nasce soprattutto come organo di composizione degli interessi, mentre qui – approvata la legge – ci troveremmo di fronte a un'attività di mero controllo, non di composizione. Sotto questo aspetto io non considero male la soluzione dell'Autorità antitrust.
  Rispetto al progetto di legge approvato nella scorsa legislatura farei un'osservazione. Il progetto di legge della scorsa legislatura aveva una strana soluzione: affidava all'Autorità antitrust questa competenza, però creava all'interno dell'Autorità un altro organo composto da un magistrato di Cassazione, un magistrato della Corte dei conti e un membro del CNEL. Era una forma surrettizia di creazione di un'altra autorità che avrebbe dovuto utilizzare il personale dell'Antitrust. Insomma, a questo punto, se si sceglie quella strada, tanto vale affidare la competenza direttamente all'Autorità per la concorrenza.
  L'ultimo punto – e poi non vi annoio più – riguarda la questione che correntemente viene definita delle porte girevoli: il decisore pubblico può immediatamente passare dall'altra parte e diventare un portatore di interessi, un lobbista? È inteso non per forza in senso negativo, ma anche in senso positivo; non ci deve essere necessariamente una connotazione negativa nel termine.
  Ecco, io ritengo che non possa. Qui il collega Longhi è intervenuto. Non vedo ostacoli di natura costituzionale a prevedere – se non un divieto assoluto – un periodo di raffreddamento, per garantire un distacco, perché l'immediato passaggio all'attività di portatore d'interesse potrebbe provocare forti polemiche.
  I punti sono tanti, ma ho toccato quelli che mi sembravano un po' più problematici. Vi ringrazio per l'attenzione.

  PRESIDENTE. Ringrazio tutti e quattro i nostri docenti di diritto costituzionale che sono intervenuti oggi. Tra l'altro una della questioni che vi avrei voluto sottoporre in realtà è stata affrontata da tutti, vale a dire se potesse svolgere attività di rappresentanza di interessi un soggetto che avesse ricoperto in precedenza incarichi istituzionali o comunque avesse rivestito ruoli nell'ambito delle istituzioni pubbliche. Questo è uno dei temi che è sottoposto ad attenzione anche a livello europeo. Mi pare che comunque sia stato da ciascuno di voi affrontato.
  Professor Luciani, anche tu sei intervenuto su questo punto mi pare, non vorrei essermi distratto un attimo.

  MASSIMO LUCIANI, professore di diritto costituzionale presso l'Università degli Studi di Roma «La Sapienza» (in videoconferenza). Sono intervenuto evidenziando alcuni dubbi invece sulla possibilità di una disciplina restrittiva.

  PRESIDENTE. Perfetto, ottimo, diciamo in senso differente rispetto alla posizione del professor Lippolis. Dunque io ringrazio gli auditi. Chiedo quindi se vi siano richieste di intervento. Prego, onorevole Mura.

  FRANCESCO MURA. Grazie, presidente. Sarò brevissimo, perché vorrei ringraziare gli intervenuti per il contributo che hanno dato a questa Commissione su un tema così complesso, come è stato detto.
  Mi sembra che siano emersi tre concetti da tutti gli interventi: quelli della necessità di un provvedimento normativo che intervenga su questo tema, della snellezza e della prudenza. Io ovviamente faccio miei questi tre concetti e cercherò di portarli nel contributo che potrò dare al percorso.
  Vorrei fare una domanda al professor Lippolis, perché nella citazione del diritto Pag. 14comparato ha detto che altre democrazie, seppur di recente, hanno già provveduto a normare questo tema. Chiedo quindi se siamo in grado di conoscerne eventuali conseguenze rispetto ai tre concetti che sono emersi su questo tema.

  VINCENZO LIPPOLIS, professore di diritto pubblico comparato presso l'Università UNINT. Io personalmente oggi non posso darle una risposta precisa, ma credo che si possa fare un'indagine in questo senso. Anche se sarebbe abbastanza laboriosa, perché bisognerebbe valutare il contesto. La Francia ha costituito un'autorità proprio per la trasparenza dell'attività pubblica, allora bisognerebbe guardare gli atti di questa autorità. In Germania è il Bundestag che segue il registro, mentre in Inghilterra c'è un organo monocratico. Credo che un'indagine sia possibile, anche se poi diventa complicata perché bisogna sempre contestualizzare; non è solo una questione di numeri – cioè di dire «sono stati sollevati tanti casi, tante sono state le sanzioni», ma si tratta poi di contestualizzare questi numeri nel funzionamento dell'ordinamento.
  Io ho segnalato quella che è una tendenza che per ora non registra arretramenti: per esempio negli Stati Uniti, che forse sono la patria di questo tipo di legislazione, la tendenza va nella direzione del suo affinamento. A proposito delle porte girevoli ho letto una curiosità, che non possono diventare lobbisti gli ex funzionari del Senato americano.

  PRESIDENTE. Questa cosa la preoccupa?

  VINCENZO LIPPOLIS, professore di diritto pubblico comparato presso l'Università UNINT. La segnalavo come curiosità. Quindi è un'indagine che andrebbe contestualizzata.
  Anzi, si è verificato nel diritto comparato un allargamento dell'area, perché anche altri paesi, quali il Canada e Israele, hanno seguito questo corso legislativo.
  Poi dobbiamo essere convinti, cioè dovete essere convinti, rispetto alla realtà italiana, se la legge può funzionare, se è utile o non lo è, perché poi come si comportano i tedeschi o i francesi dipende da vari fattori.

  PRESIDENTE. Voglio aggiungere, rivolgendomi anche al collega, che in effetti non siamo proprio gli ultimi rimasti, perché ci sono ancora Spagna e Grecia che non hanno ancora una normativa in tal senso. Ovviamente, si pone la questione del monitoraggio rispetto a quanto abbiano funzionato o meno, a quanto per esempio anche i processi telematici abbiamo inciso rispetto a normative ormai superate. L'informatica è entrata poco nei servizi. Questo è un altro degli aspetti su cui il gruppo di lavoro dei costituzionalisti sta lavorando.
  Voglio aggiungere, ovviamente per i deputati presenti, che con la professoressa Catelani, che sarà audita prossimamente, abbiamo concluso il ciclo delle audizioni dei costituzionalisti, che tra l'altro fanno anche parte del gruppo di lavoro. È mia ferma intenzione – lo dico ovviamente ai professori che sono oggi con noi ma anche ai deputati presenti – provare a dare una risposta all'indagine conoscitiva, arrivando ad una sorta di conclusione dei lavori, prima di Natale. Avremo modo di incontrarci con il gruppo di lavoro quanto prima per cercare di capire se siamo in grado di fornire un lavoro da proporre ovviamente a tutti i membri della Commissione.
  Direi che si può concludere. Ringrazio ovviamente sia i professori in presenza che il professor Luciani e la professoressa Poggi che sono collegati con noi da remoto. Grazie e buona prosecuzione di giornata a tutti. Dichiaro quindi conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 14.40.