XIX LEGISLATURA
CAMERA DEI DEPUTATI
N. 1276
PROPOSTA DI LEGGE
d'iniziativa dei deputati
SCHIFONE, FOTI, DE BERTOLDI, CONGEDO, MATERA, MATTEONI, MESSINA, TESTA, VARCHI
Modifica dell'articolo 2407 del codice civile, in materia di responsabilità dei componenti del collegio sindacale
Presentata il 4 luglio 2023
Onorevoli Colleghi! – Il tema della responsabilità civile dei sindaci, solidale senza limiti con gli amministratori per i fatti o le omissioni di questi, costituisce da sempre uno dei punti più critici della governance delle società di capitali.
Come noto, ai sensi dell'attuale articolo 2407, secondo comma, del codice civile, i sindaci rispondono in solido con gli amministratori, quando il danno non si sarebbe prodotto se essi avessero vigilato in conformità degli obblighi derivanti dalla carica.
Senza quindi operare alcuna distinzione tra le due funzioni, amministratori e sindaci, quindi gestori e controllori, vengono posti, in tema di responsabilità, sullo stesso piano, con l'applicazione, per i secondi, spesso di elementi propri più della normativa penale, fondati sul concetto di «dolo eventuale» in relazione alla commissione di un «reato omissivo proprio», secondo la fattispecie dell'articolo 40, secondo capoverso, del codice penale, ai sensi del quale «Non impedire un evento, che si ha l'obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo».
A ciò si aggiunga che altrettanto spesso gli emolumenti degli amministratori sono di gran lunga superiori a quelli deliberati a favore dei sindaci, per quanto la recente legge 21 aprile 2023, n. 49, in materia di equo compenso abbia, a determinate condizioni, cercato di porre un qualche rimedio a tale situazione.
Pur nella consapevolezza del ruolo di garanzia che, anche secondo la più recente versione del codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza il legislatore e il sistema economico attribuiscono oggi all'organo di controllo, è giunto il momento di prevedere che i componenti debbano essere sanzionati solo per ciò che abbiano effettivamente compiuto od omesso, sulla base di elementi e fatti conosciuti in quello specifico momento e non secondo troppo facili ricostruzioni ex post, provando la sussistenza e la presenza di «dolo specifico», con una correlazione diretta della quantificazione del danno in sede civilistica.
Quanto sopra appare oltremodo urgente, alla luce del rigore di molte pronunce giurisprudenziali di merito e di legittimità.
In diverse occasioni, la Corte di cassazione ha ricordato la necessità che il nesso tra violazione dei doveri di vigilanza e consumazione del reato debba essere provato in maniera rigorosa, verificando che il mancato attivarsi da parte del sindaco «abbia avuto effettiva incidenza di contributo causale nella commissione del reato da parte degli amministratori».
Tuttavia nella pratica, questo si è tradotto e si traduce nell'avvio di azioni pressoché automatiche contro l'organo di controllo all'interno delle procedure concorsuali, a seguito di azioni contro gli amministratori talvolta per presunte responsabilità oggettive, al solo fine di incrementare l'attivo della procedura attingendo alle polizze dei professionisti, unici soggetti obbligati a stipularle. Non è un mistero che l'attività di sindaco sia quella che le polizze definiscono a maggiore rischiosità, anche per la sproporzione presente tra l'atto commesso e la responsabilità imputata.
Poiché concorrente, la pretesa risarcitoria è la medesima per chi ha commesso il fatto e per chi ha vigilato, senza considerare la potenzialità di conoscenza e la possibilità di intervento da parte del sindaco. A questo segue quindi una curiosa e peculiare inversione dell'onere della prova, poiché, nei fatti, i sindaci si trovano a dover dimostrare l'inesistenza di ogni ipotesi di negligenza.
L'anomalia è indotta dall'attuale contesto normativo che dovrebbe limitare la chiamata in responsabilità dei sindaci soltanto all'ipotesi di accertata inerzia nello svolgimento dell'opera di controllo, quando sia stata la causa determinante del danno, senza indulgere in automatismi, ma anche da una prassi giudiziaria che non avverte l'effetto devastante sul professionista dell'azione in quanto tale, non riparato dal riconoscimento successivo e tardivo dell'assenza di responsabilità.
In ordine al rapporto di causalità tra il comportamento omissivo e l'evento, si è altresì affermato, in particolare, che «si tratta sostanzialmente di un giudizio prognostico incentrato sul fatto che, senza il comportamento omissivo e con il concreto esercizio dell'attività doverosa, l'evento non si sarebbe verificato» precisando, però, che la valutazione di probabilità «deve essere tale da avvicinarsi al massimo, attraverso l'utilizzazione di tutti gli elementi acquisiti, la valutazione delle circostanze di fatto e l'applicazione di criteri di ordine logico, alla certezza» (Corte di cassazione, sezione V, 28 febbraio 1991).
Quanto sopra è stato confermato anche dalla sentenza della Corte di cassazione n. 18770 del 12 luglio 2019, che continua ad inscriversi in un contesto giurisprudenziale che, specie a livello di pronunce di legittimità, manifesta un atteggiamento di particolare rigore nella valutazione della responsabilità dei sindaci. Un rigore che, nei fatti, finisce, talvolta, per tradursi nell'imputazione ai sindaci di una responsabilità da posizione, di tipo oggettivo, sganciata da qualunque valutazione delle peculiarità del caso concreto e dell'effettiva possibilità, per i sindaci, di percepire l'illecito commesso dall'organo amministrativo. Si ha la netta sensazione che il flusso di sentenze che si sono succedute nell'ultimo quindicennio stia alimentando il passaggio dal tristemente noto criterio del «non poteva non sapere» a quello, non meno allarmante, del «non può non essere in colpa».
Spesso, l'orientamento della giurisprudenza è stato quello di un nesso causale automatico, presunto, senza verificare gli effettivi poteri in capo ai sindaci idonei ad impedire l'evento.
Sul piano della responsabilità per omessa vigilanza, si sostiene, poi, che un sindaco accorto non possa non essere in grado di percepire l'illecito compiuto dagli amministratori e che, pertanto, la colpa del sindaco si presuma. Da qui la massima, che, nel volgere di pochi anni è assurta a caposaldo delle pronunce in materia: «in tema di responsabilità degli organi sociali delle società di capitali, [...] la configurabilità dell'inosservanza del dovere di vigilanza, imposto ai sindaci dall'articolo 2407 del codice civile, secondo comma, non richiede l'individuazione di specifici comportamenti che si pongano espressamente in contrasto con tale dovere, ma è sufficiente che essi non abbiano rilevato una macroscopica violazione o comunque non abbiano in alcun modo reagito di fronte ad atti di dubbia legittimità e regolarità, così da non assolvere l'incarico con diligenza, correttezza e buona fede».
Di fatto, l'ignoranza non è perdonata, in quanto l'inadempimento dei sindaci viene ravvisato nel «fatto stesso di non aver rilevato» l'illecito, ossia nell'inerzia oggettiva rispetto all'evento lesivo (l'illecito degli amministratori), concretamente ignorato: «l'inerzia, a fronte dell'illecito altrui, è dunque in sé colpevole: il disinteresse è già indice di colpa» e, in specie, di «colpa nella conoscenza» (Corte di cassazione, sentenza n. 6037 del 29 marzo 2016; Corte di cassazione, sentenza n. 21662 del 5 settembre 2018; Corte di cassazione penale, sentenza n. 44107 dell'11 maggio 2018; Corte di cassazione, sentenza n. 18770 del 12 luglio 2019; tribunale di Napoli, sentenza 28 gennaio 2009).
In questo contesto di pronunce si inserisce, da ultimo e positivamente, la sentenza della Corte di cassazione penale n. 20867 del 26 maggio 2021, secondo cui «la responsabilità dei sindaci, a titolo di concorso nel reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale, sussiste solo qualora emergano puntuali elementi sintomatici, dotati del necessario spessore indiziario, in forza dei quali l'omissione del potere di controllo – e, pertanto l'inadempimento dei poteri-doveri di vigilanza il cui esercizio sarebbe valso ad impedire le condotte distrattive degli amministratori – esorbiti dalla dimensione meramente colposa per assurgere al rango di elemento dimostrativo di dolosa partecipazione, sia pure nella forma del dolo eventuale, per consapevole volontà di agire anche a costo di far derivare dall'omesso controllo la commissione di illiceità da parte degli amministratori».
Occorre quindi che venga dimostrata la volontà dolosa di concorrere nel reato, onde evitare che la responsabilità venga derivata solo dal fatto di avere una posizione di controllo.
Appare quindi ragionevole ed «equo», secondo una terminologia oggi molto cara al legislatore ed assolutamente condivisibile, prendere come base di riferimento, per la determinazione dell'eventuale danno causato dall'organo di controllo, l'emolumento annuo deliberato a favore di ciascun componente, al quale applicare dei moltiplicatori tra loro differenziati, a seconda che la società faccia o meno ricorso al mercato del capitale di rischio.
Il cosiddetto sistema del multiplo del compenso, in uso in altri ordinamenti, ha il pregio di ancorare la responsabilità a un parametro noto alle parti, rappresentato dal compenso e dal multiplo prescelto, consentendo una differenziazione in rapporto all'importanza, alla complessità e alla natura dell'incarico concretamente svolto nella società. Per dare attuazione a tale previsione, sarebbe opportuno individuare criteri e parametri cui ancorare i multipli del compenso da prendere come riferimento per la limitazione della responsabilità.
Una proposta potrebbe essere quella di individuare alcuni scaglioni di riferimento (preferibilmente tre) a seconda del compenso percepito dal sindaco e per ogni scaglione prevedere un differente multiplo cui ancorare il limite del ristoro del danno. A titolo d'esempio, potrebbe essere il caso di individuare:
un primo scaglione ricomprendente i compensi fino a 10.000 euro, stabilendo per questa ipotesi un multiplo pari a quindici volte il compenso;
un secondo scaglione ricomprendente i compensi da 10.000 a 50.000 euro, stabilendo per questa ipotesi un multiplo pari a dodici volte il compenso;
un terzo scaglione ricomprendente i compensi maggiori di 50.000 euro, stabilendo per questo caso un multiplo pari a dieci volte il compenso.
A legislazione invariata, andrebbe inoltre rivisto il regime della prescrizione dell'azione di responsabilità esercitata contro i sindaci, uniformandola a quella attualmente prevista per l'incaricato della revisione legale ai sensi dell'articolo 15, comma 3, del decreto legislativo 27 gennaio 2010, n. 39.
Il raffronto tra l'attuale formulazione dell'articolo 2407 del codice civile e l'articolo 15 del decreto legislativo n. 39 del 2010 mette in luce un trattamento di maggior favore per il revisore legale rispetto al sindaco, per quanto attiene alla disciplina della responsabilità. Ragioni di equità e la circostanza che, frequentemente, il collegio sindacale svolge la funzione di revisione legale, suggeriscono di uniformare i regimi di prescrizione delle azioni di responsabilità, individuando una data certa da cui far decorrere la prescrizione. Tale data dovrebbe coincidere con il deposito della relazione di cui all'articolo 2429 del codice civile, relativa all'esercizio in cui si è verificato il danno.
È solo il caso di rammentare che nel caso di azione di responsabilità contro i sindaci, in forza dell'attuale rinvio effettuato nell'articolo 2407 del codice civile, trova applicazione la disciplina dell'articolo 2393 del codice civile o dell'articolo 2395 del codice civile, ovvero dell'articolo 2949 del codice civile per la responsabilità verso i creditori sociali o nell'ambito delle procedure concorsuali. Ne consegue che attualmente la prescrizione quinquennale può decorrere dalla cessazione del sindaco dalla carica o dal compimento dell'atto che ha pregiudicato il socio o il terzo, ovvero, come insegna la giurisprudenza, dal momento in cui l'insufficienza patrimoniale è divenuta oggettivamente conoscibile.
La necessità di limitare l'esposizione dei sindaci, anche nei casi in cui agli stessi la società affidi l'incarico di revisione legale, trova pieno riscontro nel dibattito sviluppatosi con specifico riferimento alle responsabilità del revisore legale. Al riguardo si schematizzano i regimi in uso in altre giurisdizioni.
Paesi |
Limitazione risarcimento |
Grecia |
Quintuplo dell'emolumento annuo del Presidente della Corte suprema |
Polonia |
20 volte il compenso in società non enti di interesse pubblico (EIP); 10 volte il compenso in società EIP |
Slovacchia |
20 volte il compenso società non EIP; 10 volte il compenso società EIP |
Estonia |
Multiplo del compenso non superiore a dieci volte |
Olanda |
Multiplo del compenso non superiore a tre volte |
Germania, Austria, Belgio |
Soglia fissa predeterminata dalla legge |
Regno Unito |
Limitazione contrattuale |
PROPOSTA DI LEGGE
Art. 1.
1. L'articolo 2407 del codice civile è sostituito dal seguente:
«Art. 2407. – (Responsabilità) – I sindaci devono adempiere i loro doveri con la professionalità e la diligenza richieste dalla natura dell'incarico; sono responsabili della verità delle loro attestazioni e devono conservare il segreto sui fatti e sui documenti di cui hanno conoscenza per ragione del loro ufficio.
Al di fuori delle ipotesi in cui hanno agito con dolo, anche nei casi in cui la revisione legale è esercitata da collegio sindacale a norma dell'articolo 2409-bis, secondo comma, i sindaci che violano i propri doveri sono responsabili per i danni cagionati alla società che ha conferito l'incarico, ai suoi soci, ai creditori e ai terzi nei limiti di un multiplo del compenso annuo percepito, secondo i seguenti scaglioni: per i compensi fino a 10.000 euro, quindici volte il compenso; per i compensi da 10.000 a 50.000 euro, dodici volte il compenso; per i compensi maggiori di 50.000 euro, dieci volte il compenso.
All'azione di responsabilità contro i sindaci si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni degli articoli 2393, 2393-bis, 2394, 2394-bis e 2395.
L'azione di responsabilità verso i sindaci si prescrive nel termine di cinque anni dal deposito della relazione di cui all'articolo 2429 relativa all'esercizio in cui si è verificato il danno».