TESTI ALLEGATI ALL'ORDINE DEL GIORNO
della seduta n. 366 di Mercoledì 16 ottobre 2024

 
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MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE PER LA PREVENZIONE
E LA CURA DEL TUMORE AL SENO

   La Camera,

   premesso che:

    1) dal 1992 ottobre è il mese della sensibilizzazione sul cancro al seno, il cosiddetto mese rosa, durante il quale vengono promosse azioni per informare e sensibilizzare un sempre maggior numero di donne sull'importanza della prevenzione del cancro al seno e della diagnosi precoce;

    2) dal 1° al 31 ottobre, operatori sanitari, istituzioni, organizzazioni di volontariato e associazioni, in tutto il mondo organizzano eventi e iniziative per sottolineare l'importanza dello screening per la diagnosi precoce dei tumori al seno, così da identificare la malattia nei primi stadi del suo sviluppo e rendere un eventuale trattamento più efficace;

    3) in Italia il cancro al seno rappresenta il 30 per cento dei tumori che colpiscono le donne con circa 60 mila nuovi casi l'anno, ma, grazie alla ricerca sulle terapie e nuove tecnologie diagnostiche, che permettono innovatività e specificità degli interventi terapeutici, e alla possibilità di intervenire in fase iniziale grazie alla maggiore sensibilità acquisita dalle donne in merito all'importanza della prevenzione, la guaribilità raggiunge l'85 per cento dei casi;

    4) il calo della mortalità è attribuibile alla ricerca e a migliori conoscenze della biologia dei tumori al seno che permettono maggiore velocità e precisione delle diagnosi, oltre alla maggiore diffusione dei programmi di diagnosi precoce;

    5) ciò nonostante, il cancro al seno è la prima causa di morte nelle diverse età della vita, rappresentando il 28 per cento delle cause di morte oncologica prima dei 50 anni, il 21 per cento tra i 50 e i 69 anni e il 14 per cento dopo i 70 anni. La mortalità, che supera i 12.000 decessi l'anno, si sta riducendo per tutte le classi di età, soprattutto nelle donne con meno di 50 anni;

    6) anche a livello europeo il cancro al seno è attualmente quello più comunemente diagnosticato nelle donne e la principale causa di morte correlata al cancro, con circa 530.000 nuovi casi e 140.000 decessi all'anno. Tuttavia, la situazione varia notevolmente da un Paese europeo all'altro: l'Europa settentrionale e occidentale presenta un tasso molto più elevato rispetto all'Europa meridionale o orientale di incidenza, ma la situazione si capovolge per quanto riguarda la mortalità che è significativamente inferiore nell'Europa settentrionale e occidentale rispetto all'Europa meridionale e orientale;

    7) secondo il Global cancer observatory – agenzia internazionale di ricerca sul cancro dell'Organizzazione mondiale della sanità – se non si adottano interventi specifici entro il 2040 il numero di nuovi casi di cancro al seno a livello mondiale aumenterà ogni anno da circa 530.000 a 570.000. Allo stesso modo, seguirà lo stesso trend il numero di decessi annuali per cancro al seno, che da circa 140.000 arriveranno a circa 170.000 entro il 2040;

    8) nello specifico europeo, si prevede che l'incidenza e la mortalità del cancro al seno diminuiranno nelle donne di età inferiore ai 70 anni, ma, se non verranno adottate ulteriori misure specifiche per le donne anziane, l'incidenza e la mortalità del cancro al seno aumenteranno significativamente nelle donne di età superiore ai 70 anni;

    9) le donne sopra i 50 anni d'età, infatti, hanno un maggior rischio di sviluppare un tumore mammario, in quanto l'età è uno dei fattori di rischio non modificabili anche se, oggi, le diagnosi di cancro al seno riguardano donne sempre più giovani, il che comporta la necessità di sensibilizzare le ragazze a eseguire controlli non invasivi, quali l'ecografia mammaria, per individuare, già a partire dai 25 anni, eventuali anomalie – nelle donne anziane il tumore al seno viene diagnosticato in una fase successiva in cui la malattia ha raggiunto stadi già più difficili da curare;

    10) nelle donne più anziane i tumori possono essere di maggiori dimensioni al momento della diagnosi, coinvolgere i linfonodi ascellari e comportare maggiore rischio di mortalità, soprattutto in caso di mancata adesione agli screening ovvero di sintomi trascurati e non intercettati;

    11) forme di tumore invasivo (ad esempio triplo negativo), che tradizionalmente vengono associate alle pazienti giovani, sono in realtà di frequente diagnosi anche tra le pazienti anziane;

    12) a ciò si aggiunge la convinzione che il cancro al seno nelle donne anziane non sia pericoloso, mentre, in realtà, questo tende a progredire più facilmente ed è quindi necessario diagnosticarlo nella fase iniziale. Inoltre, alcune pazienti anziane ricevono un trattamento subottimale, dovuto alle condizioni generali, alle comorbidità o, a volte, erroneamente, in ragione dell'età anagrafica o nella convinzione di una presunta minor tolleranza alla terapia;

    13) nelle donne con meno di 40 anni secondo l'American cancer society il tasso di carcinoma mammario è aumentato del 3 per cento ogni anno dal 2000 al 2019;

    14) le giovani donne colpite da tumore al seno hanno, inoltre, maggiori probabilità di ammalarsi di forme tumorali aggressive e in fase avanzata, un maggiore rischio di recidiva e tutto ciò si accompagna, spesso, con un disagio emotivo maggiore rispetto alle più anziane, con forti ripercussioni su lavoro e famiglia e possibili influenze sulla fertilità derivante da alcune terapie;

    15) la prevenzione primaria si propone la riduzione dell'incidenza dei tumori intervenendo sulla conoscenza e rimozione delle cause determinanti: in materia la ricerca sta cercando di individuare modalità per l'identificazione di gruppi di donne a più alto rischio e con più probabilità di sviluppare il tumore;

    16) gli sforzi della ricerca dovrebbero essere canalizzati e concentrati sull'individuazione dei fattori di rischio e sulla prevenzione primaria, in quanto alcuni fattori di rischio possono essere rimossi, riducendo così in misura considerevole il rischio di sviluppare un tumore mammario;

    17) per quanto riguarda i fattori di rischio, infatti, alcuni non sono modificabili, ma su alcuni è possibile intervenire riducendo in misura considerevole il rischio di sviluppare un tumore mammario: ci sono fattori di rischio ereditari e familiari, alcuni sono di natura ormonale e sono legati al ciclo mestruale (menarca precoce e menopausa tardiva), ma altri fattori, è ormai noto, sono legati allo stile di vita: incidono sul rischio di tumore l'obesità, l'abuso di alcol, l'inattività fisica, un ridotto consumo di frutta e verdura e, in misura minore, il fumo. Accanto a questi fattori si pongono l'impatto di sostanze inquinanti, dei pesticidi e di cattive abitudini alimentari;

    18) la prevenzione secondaria si propone la riduzione della mortalità e l'aumento della sopravvivenza attraverso la diagnosi precoce, in quanto intervenire nella fase iniziale dello sviluppo del tumore permette di intervenire chirurgicamente con terapie meno invasive e aggressive, oltre a rendere maggiori le possibilità di guarigione: l'atto chirurgico assume un'importanza fondamentale e costituisce l'atto terapeutico determinante, cui si affiancano terapie mediche sistemiche finalizzate ad aumentare le chance di sopravvivenza e guarigione e una migliore qualità della vita della donna;

    19) i costi socioeconomici del tumore rischiano di esplodere se non si potenzia la prevenzione e non si riorganizza la spesa investendo sul bisogno di prevenzione e diagnosi precoce non ancora soddisfatti. Quello del cancro al seno è un problema che rischia di incidere fortemente sulla sanità pubblica, considerato che l'aspettativa di vita aumenterà nei prossimi decenni, è quindi fondamentale prevedere misure specifiche: la prevenzione dei tumori della mammella deve diventare prioritaria nell'agenda politica sanitaria per contenere sia l'insorgere della malattia che ridurre il tasso di mortalità e deve essere incentivata sia come prevenzione primaria che secondaria;

    20) assumono rilevanza, in tal senso, anche le campagne di sensibilizzazione per modificare abitudini di vita errate e iniziative per promuovere una corretta educazione alimentare che possono avere ricadute positive per la prevenzione dei tumori e per la salute in generale, con risultati di portata superiore a quelli ipotizzabili esclusivamente con interventi medicalizzati, costosi e con conseguenze a lunga distanza ancora non ben valutabili;

    21) intervenire sugli stili di vita, però, non basta ed è fondamentale sostenere e promuovere gli screening di senologia diagnostica: la mammografia può essere usata per lo screening. In Italia è raccomandata e offerta gratuitamente alle donne nella fascia di età tra i 50 e i 69 anni con frequenza biennale. Per quanto già evidenziato precedentemente, alcune regioni, su indicazione del Ministero della salute, stanno estendendo lo screening alle donne tra i 45 e 49 anni con intervallo annuale e alle donne tra i 70 e 74 anni con intervallo biennale;

    22) si aggiunge, a tutto quanto già espresso, l'importanza dell'assistenza e del sostegno alle donne nel corso della malattia, nel periodo del follow up e dopo: la qualità della vita della donna operata al seno è un fine che bisogna perseguire sottolineando il valore della femminilità che si persegue, mediante l'utilizzo di protesi oggi anche meno invasive in quanto predisposte con materiali meno nocivi per la salute della donna;

    23) l'11 ottobre 2022, il gruppo Women@Pace, costituito dal Segretario generale dell'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa nel 2022 in occasione della Giornata internazionale della donna, nell'ambito della campagna di sensibilizzazione sul cancro al seno, ha organizzato un dibattito in merito agli ostacoli nell'individuazione e nel trattamento del cancro al seno. Nello specifico, l'incontro ha sviluppato il tema delle numerose ricerche che si stanno conducendo volte a individuare la correlazione tra l'ambiente e lo sviluppo del cancro al seno;

    24) il dibattito ha preso il via dalla premessa che la nozione di ambiente non è univoca e presenta aspetti di complessità; comprende diversi fattori di rischio, come stili di vita e comportamenti (attività fisica, sedentarietà, sovrappeso), influenze culturali e sociali (l'abuso di alcol, fumo, cure ormonali), vita riproduttiva (età della prima gravidanza, numero di figli, allattamento, gravidanze tardive), senza dimenticare gli agenti chimici come pesticidi, inquinanti industriali e metalli;

    25) nel corso delle iniziative di sensibilizzazione adottate nel corso del cosiddetto «mese rosa» verrà, tra l'altro, distribuito materiale informativo e illustrativo finalizzato, da una parte, a ridurre i fattori di rischio e, dall'altra, a fornire l'adeguata conoscenza affinché ogni donna possa acquisire quel minimo di conoscenze adeguate a effettuare in autonomia una corretta autopalpazione con l'autoesame mensile, che costituisce una pratica fondamentale per conoscere meglio il proprio corpo e riconoscere il carcinoma della mammella nella sua fase iniziale, seguito da controlli clinico-diagnostico-strumentali di fondamentale importanza (ecografia-mammografia-risonanza magnetica), indispensabili, visto che, la possibilità di guarigione per tumori al seno che misurano meno di un centimetro è di oltre il 90 per cento,

impegna il Governo:

1) a valutare l'opportunità di assicurare l'uniformità territoriale dello screening, a partire dai 40 anni e sino ai 75 anni di età, con cadenza annuale;

2) ad adottare iniziative volte a prevedere la dotazione, presso tutte le strutture ospedaliere, di strumentazione di ultima generazione come quella digitale, al fine di poter sviluppare una migliore capacità diagnostica in grado di individuare con sufficiente anticipo anche piccolissime anomalie, così da intervenire con diagnosi precoci e, ove possibile, evitare ulteriori esami che esporrebbero le pazienti a quantità di radiazioni nocive proprie di macchinari più antiquati e analogici;

3) a incentivare la diffusione e l'accesso ai test diagnostici molecolari e ai correlati percorsi di consulenza genetica multidisciplinare pre-test e post-test, al fine di attuare le migliori strategie di prevenzione, in accordo con il paziente, ovvero di permettere l'accesso a terapie target personalizzate, utilizzando in modo appropriato le risorse del Servizio sanitario nazionale e distribuendole omogeneamente sul territorio nazionale;

4) a implementare campagne mirate a migliorare l'adesione ai programmi di screening mammario già esistenti, al fine di ridurre le differenze regionali e a migliorare l'aderenza alle terapie adiuvanti per ridurre i rischi di recidiva e/o metastasi e, di conseguenza, il tasso di mortalità per questo tipo di tumore;

5) a promuovere, nell'ambito dell'autonomia scolastica, misure di sensibilizzazione nelle scuole volte ad adottare stili di vita salutari e a valorizzare l'importanza della prevenzione;

6) a implementare iniziative di competenza per garantire l'accesso alle migliori tecniche di ricostruzione mammaria immediata e del complesso areola-capezzolo, nonché agli interventi di adeguamento sulla mammella sana controlaterale, in modo da offrire alla paziente un trattamento chirurgico personalizzato e mirato, riducendo i traumi dell'intervento.
(1-00204) (Ulteriore nuova formulazione) «Polidori, Vietri, Loizzo, Semenzato, Benigni, Ciancitto, Panizzut, Cappellacci, Ciocchetti, Cattoi, Patriarca, Colombo, Lazzarini, Barelli, Colosimo, Matone, Bagnasco, Lancellotta, Giaccone, Deborah Bergamini, Maccari, Dalla Chiesa, Mura, De Palma, Morgante, Gatta, Rosso, Mangialavori, Schifone, Marrocco, Pittalis, Rossello, Paolo Emilio Russo, Saccani Jotti, Tassinari, Tosi, Battilocchio, Tenerini, Nevi, Mulè».

(17 ottobre 2023)

   La Camera,

   premesso che:

    1) anche quest'anno il mese di ottobre con la campagna di prevenzione del tumore al seno si è tinto di rosa, come ogni anno da oltre trent'anni;

    2) il tumore al seno rappresenta nelle donne, come anche indicato dall'ultimo report «I numeri del cancro in Italia 2022», la neoplasia più frequente;

    3) in Italia il tumore alla mammella rappresenta il 30 per cento dei tumori che colpiscono le donne e le nuove diagnosi nel 2022 sono state 55.700, mentre i decessi verificatisi nel 2021 per effetto di tale patologia sono stati 12.500;

    4) anche a livello europeo il tumore alla mammella è attualmente quello più comunemente diagnosticato nelle donne ed è la principale causa di morte, con circa 530.000 nuovi casi e 140.000 decessi all'anno. La situazione varia notevolmente da un Paese europeo all'altro, sia per quanto riguarda i tassi d'incidenza che quelli di mortalità: nei Paesi dell'Europa settentrionale e occidentale il tasso d'incidenza è più alto a fronte di un tasso di mortalità inferiore, mentre nei Paesi dell'Europa meridionale o orientale il tasso di mortalità è più alto a fronte di un tasso d'incidenza inferiore;

    5) dagli inizi degli anni '90 si osserva una moderata, ma costante diminuzione della mortalità per carcinoma mammario (-0,8, –1,4 per cento all'anno), attribuibile soprattutto all'anticipazione diagnostica della malattia per effetto della maggiore efficacia delle campagne di screening, oltre che ai progressi terapeutici. La sopravvivenza a 5 anni delle donne con tumore alla mammella è oggi pari in Italia all'88 per cento, dato che influenza sensibilmente quello relativo alla sopravvivenza con riferimento a tutte le patologie tumorali e che è migliore nelle donne (65 per cento) rispetto a quella degli uomini (59,4 per cento);

    6) nonostante il miglioramento dei dati sulla mortalità, il tumore al seno rimane la prima causa di morte nelle diverse fasce di età, rappresentando il 28 per cento delle cause di morte oncologica prima dei 50 anni, il 21 per cento tra i 50 e i 69 anni e il 14 per cento dopo i 70 anni;

    7) i principali fattori di rischio, oltre all'età, sono rappresentati da fattori riproduttivi, ormonali, dietetici e metabolici, stili di vita, pregressa radioterapia a livello toracico, precedenti displasie o neoplasie mammarie, familiarità ed ereditarietà;

    8) in Italia il 20 per cento delle donne colpite da tumore del seno ha meno di 40 anni, una percentuale importante, che equivale a 11.140 nuovi pazienti l'anno e che riguarda persone nel pieno dell'attività lavorativa e famigliare, determinando enormi problemi da un punto di vista socio-sanitario;

    9) allo stesso tempo si registra anche un incremento di diagnosi fra le donne con più di 74 anni e che sono ormai escluse dai programmi di screening;

    10) a fronte di questi dati, più volte esplicitati tanto dalla comunità scientifica quanto da associazioni di pazienti come Fondazione IncontraDonna, è indispensabile rimodulare al più presto interventi di prevenzione primaria e secondaria, tenendo conto di quali possano essere le indagini di prevenzione più adatte alle giovani donne, per favorire la diagnosi precoce e la possibilità di guarigione, senza dimenticare però la presa in carico delle donne più anziane;

    11) il Piano nazionale della prevenzione 2020-2025 ha previsto l'esecuzione di programmi di screening per la diagnosi precoce del tumore mammario in favore delle donne di età compresa tra i 50 e i 69 anni, le quali sono invitate a sottoporsi a una mammografia gratuita ogni due anni;

    12) alcune regioni, inoltre, hanno ampliato la fascia di età di riferimento alle donne comprese tra i 45 e i 74 anni di età;

    13) per quanto riguarda gli screening, l'aumento dei casi «giovanili» pone il problema oggettivo di ampliare la platea di donne da sottoporre gratuitamente alla mammografia, abbassando l'età minima di inizio dei programmi di screening;

    14) inoltre, rimane il problema della scarsa adesione agli screening gratuiti che si registra soprattutto in alcuni territori del Centro-Sud. È una battaglia innanzitutto culturale che va portata avanti per incentivare il più possibile la partecipazione ad esami che possono evitare molti gravi problemi a migliaia di potenziali pazienti;

    15) il valore medio italiano della proporzione di donne che hanno eseguito la mammografia rispetto a quelle aventi diritto si attesta intorno al 46,3 per cento, con forte diversità territoriali (61 per cento al Nord, 48 per cento nella macro aerea dell'Italia centrale e solamente 23 per cento al Sud);

    16) la partecipazione ai programmi di screening mammario incide direttamente sulla percentuale di sopravvivenza delle donne colpite dal carcinoma; infatti, i dati disponibili dimostrano che i tumori maligni accertati a seguito delle campagne di screening hanno una prognosi più favorevole rispetto a quella dei tumori diagnosticati quando la malattia è già divenuta sintomatica. In particolare, con riguardo al carcinoma mammario, lo screening e la diagnosi precoce riducono del 40 per cento la mortalità della malattia;

    17) è necessario, quindi, avviare campagne di comunicazione e prevenzione rivolte alla popolazione, anche attraverso i servizi di informazione radiofonica e televisiva, finalizzate a sensibilizzare la collettività sull'importanza della diagnosi tempestiva per contrastare il tumore della mammella;

    18) infine, non bisogna dimenticare che sono 13 mila le donne che ogni anno subiscono un intervento di mastectomia a causa di un tumore al seno. La possibilità di scegliere la migliore ricostruzione possibile, anche garantendo la contestualità con la mastectomia demolitiva nei casi in cui è possibile, garantirebbe alle donne di recuperare prima il proprio benessere fisico e psicologico;

    19) al momento questo non è possibile, poiché il sistema dei raggruppamenti omogenei di diagnosi (cosiddetti drg), che stabilisce a livello regionale il rimborso dei costi ospedalieri, è arretrato e carente e, seppure la tecnica d'elezione oggi sia la ricostruzione del seno effettuata in tempo unico alla mastectomia, così come indicato nei parametri decisi nel riordino dei 196 centri multidisciplinari di senologia diffusi sul territorio nazionale e così come raccomandato dai medici oncologi, la realtà sul territorio nazionale è ben diversa;

    20) la maggioranza delle tecniche operatorie possibili è esclusa dai sistemi di rimborsi che le regioni riconoscono agli ospedali, creando forte disparità tra le regioni e gravi «squilibri» di garanzie per le pazienti,

impegna il Governo:

1) a considerare il tumore al seno tra le priorità della sanità pubblica e ad avviare ogni intervento idoneo a fronteggiare lo stesso;

2) ad avviare campagne informative e di prevenzione contro il tumore al seno che coinvolgano le regioni e le scuole per un coinvolgimento attivo e diretto del mondo scolastico, insegnando alle più giovani i corretti stili di vita e la pratica dell'autoesame;

3) ad adottare iniziative di competenza volte a garantire uniformità territoriale, in tutte le regioni, dello screening annuale per la diagnosi precoce del carcinoma mammario, abbassando la soglia anagrafica delle campagne del servizio sanitario pubblico a partire dai 45 anni e sino ai 74 anni di età, in ragione del fatto che le giovani donne rappresentano un target particolarmente interessato e considerato che negli ultimi dieci anni si è registrato un progressivo incremento di casi di tumore al seno in donne under 50 anni;

4) a prevedere e garantire lo screening mammografico dedicato alle donne ad alto rischio per familiarità/mutazione genetica e per seno denso;

5) a prevedere, di concerto con le regioni, un nuovo modello di avviso e informazione per gli screening mammari, seguendo gli obiettivi della transizione digitale, inviando le comunicazioni alla categoria di donne interessate non più attraverso il sistema postale ma con sms, fascicolo elettronico o altra tecnologia digitale, al fine di garantire un'informazione più puntuale e una risposta tempestiva;

6) ad adottare iniziative di competenza volte a prevedere i raggruppamenti omogenei di diagnosi per la ricostruzione mammaria contestuale all'atto demolitivo, come da indicatore dei centri di senologia, sia per le protesi che per tutti i tipi di intervento di ricostruzione anche con tessuti autologhi;

7) a definire dei percorsi diagnostici terapeutici assistenziali (pdta) per le pazienti metastatiche con carcinoma mammario, come previsto tra gli obiettivi del recente Piano oncologico nazionale, attraverso linee guida nazionali da trasmettere a tutte le regioni, garantendo così uniformità di azione e continuità nella gestione del singolo caso;

8) a monitorare ed aggiornare gli indicatori per il percorso diagnostico terapeutico assistenziale per i centri di senologia;

9) a garantire, di concerto con le regioni, il necessario supporto psiconcologico per le donne afflitte da tumore al seno, determinante per permettere alle pazienti di affrontare un iter terapeutico lungo e spesso doloroso;

10) ad agire, in collaborazione con Inps, per assicurare rapidità nell'iter per la richiesta di invalidità civile nei casi di donne afflitte da tumore al seno metastatico;

11) a favorire l'accesso all'innovazione farmacologica con equa distribuzione fra le regioni per tutte le donne con carcinoma mammario, colmando l'attuale divario territoriale e garantendo pieno accesso alle cure;

12) a promuovere con campagne informative un piano nutrizionale dedicato per il contrasto del tumore al seno e ogni raccomandazione necessaria per un corretto stile di vita;

13) a realizzare un codice nazionale di esenzione dal ticket per le prestazioni diagnostiche opportune in persone sane con mutazione genetica Brca 1, 2 e Cdh1, considerato che attualmente solo poche regioni hanno attivato un ticket (D99) e che si rende, quindi, necessaria un'estensione a tutto il territorio nazionale per garantire una prevenzione accessibile a tutti;

14) a implementare le reti oncologiche regionali con caratteristiche di equità e uniformità su tutto il territorio nazionale (molecular tumor board, oncologia mutazionale, innovazione farmacologica), garantendo una presa in carico multidisciplinare.
(1-00209) (Nuova formulazione) «Di Biase, Malavasi, Braga, Madia, Ferrari, Roggiani, Marino, Manzi, Bonafè, Forattini, Ghio, Gribaudo, Boldrini, Toni Ricciardi, Andrea Rossi, Fornaro, Furfaro, Vaccari, Graziano, Gianassi, Ciani, Fassino, Casu, Sarracino, Cuperlo, Porta, Simiani, Carè, Scarpa, Girelli, D'Alfonso, Curti, Iacono, Berruto, Stumpo, Lacarra, Scotto, Fossi, Orfini, Stefanazzi».

(27 ottobre 2023)

   La Camera,

   premesso che:

    1) in Italia il carcinoma della mammella è il tumore più frequentemente diagnosticato nelle donne. I principali fattori di rischio sono rappresentati da: età, fattori riproduttivi, fattori ormonali, fattori dietetici e metabolici, stile di vita, pregressa radioterapia a livello toracico, precedenti displasie o neoplasie mammarie, familiarità ed ereditarietà;

    2) per l'anno 2022, in ordine decrescente di incidenza stimata nella popolazione complessiva, i tumori più frequenti sono il tumore della mammella e, nelle donne, in ordine decrescente di incidenza stimata, i tumori più frequenti sono il tumore della mammella (55.700 casi); dunque, il tumore della mammella continua a confermare la sua tragica prevalenza e frequenza tra i tumori della popolazione e tra i tumori delle donne;

    3) la maggior parte dei cancri nasce e cresce lentamente e silenziosamente e tanto più piccolo è il tumore, tanto maggiori sono le probabilità di guarigione: la ricerca dei tumori piccoli e asintomatici si chiama prevenzione secondaria, che, seppure ha fatto negli anni passi straordinari, è purtroppo ancora lontana dal raggiungere tutti gli obiettivi attesi;

    4) gli screening oncologici di popolazione ricercano tumori asintomatici e frequenti e rivelano la presenza di neoplasie che si sarebbero manifestate più avanti nel tempo in uno stadio più avanzato, più difficili da curare e con meno speranze di guarigione;

    5) l'efficienza delle campagne di screening è una misura qualificante dell'efficienza del sistema sanitario e al riguardo si rileva che i programmi nazionali di screening per i tumori della mammella sono inegualmente praticati nel territorio nazionale a causa della diversa organizzazione dei progetti di prevenzione, della diversa sensibilizzazione della popolazione, delle diverse risorse sanitarie, logistiche e tecnologiche;

    6) lo screening e la maggior consapevolezza delle donne consentono di diagnosticare la maggior parte dei tumori maligni mammari in fase iniziale quando il trattamento chirurgico può essere più spesso conservativo e la terapia adottata più efficace, permettendo di ottenere sopravvivenze a 5 anni molto elevate;

    7) i medici di medicina generale sono i professionisti che più di altri possono condurre un'efficace prevenzione secondaria, comunicando i benefici della diagnosi precoce del tumore alla mammella;

    8) oltre a ciò è fondamentale una comunicazione capillare e permanente nella scuola e negli ambienti di lavoro;

    9) l'emergenza sanitaria ha messo in evidenza le fragilità dei programmi di screening, soprattutto in alcune aree del Paese e per alcuni programmi;

    10) secondo quanto si evince dalla dodicesima edizione dei «Numeri del cancro in Italia» – anno 2022 – la pandemia da Covid-19 ha aumentato le difficoltà di produrre stime sulle incidenze delle neoplasie e la raccolta dei dati da parte di molti registri tumori di popolazione ha subito rallentamenti e disfunzioni, mentre solo pochi registri hanno potuto aggiornare i dati delle nuove incidenze neoplastiche;

    11) i programmi di screening oncologico sono compresi tra i livelli essenziali di assistenza (decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 12 gennaio 2017) e la loro attività viene monitorata attraverso una serie di analisi effettuate dall'Osservatorio nazionale screening (Ons) e dalla sorveglianza Passi (Progressi delle aziende sanitarie);

    12) lo screening mammografico è un'attività di prevenzione secondaria periodica rivolta a donne asintomatiche, al fine di effettuare una diagnosi di carcinoma mammario in stadio precoce e, quindi, offrire trattamenti meno aggressivi e più efficaci, con l'obiettivo di ridurre la mortalità da carcinoma mammario;

    13) in Italia, i programmi di screening mammografico prevedono l'esecuzione di una mammografia ogni due anni nelle donne tra i 50 e i 69 anni ed in alcune regioni fino all'età di 74 anni. In alcune regioni è stata, inoltre, adottata l'estensione dello screening a donne tra 45 e 49 anni con mammografia annuale;

    14) secondo quanto si evince dalle linee guida neoplasie della mammella – edizione 2021 (in continuo aggiornamento) – pubblicate nel Programma nazionale per le linee guida dell'Istituto superiore di sanità ed elaborate dall'Aiom – Associazione italiana di oncologia medica, in collaborazione con Airo, Anisc, Siapec-Iap, Sico, Sirm – la mammografia è tuttora ritenuto il test più efficace di screening, la modalità organizzata di popolazione è preferibile rispetto a quella spontanea e la tecnica digitale (digital mammography, dm) è da preferire alla mammografia analogica (film-screen);

    15) sulla tecnica digitale c'è da rilevare che non tutte le strutture sanitarie che effettuano lo screening sono dotate della predetta tecnica;

    16) i dati dell'Osservatorio nazionale per lo screening mammografico del periodo 2018-2021, per macroarea geografica (Nord, Centro, Sud e Isole) e complessivi per l'Italia, evidenziano che: il valore medio italiano, che nel 2020 si era attestato al 30 per cento, nel 2021 ritorna in linea (46,3 per cento) con i valori di copertura del periodo 2018-2019. I livelli di copertura sono differenti tra le macroaree, con un evidente gradiente Nord-Sud. Al Nord i valori di copertura, stabili intorno al 61 per cento nel biennio 2018-2019, si sono ridotti drasticamente al 40 per cento nel 2020 per poi ritornare, nel 2021, ai valori pre-pandemici. I valori di copertura della macroarea Centro nel periodo 2018-2019 si attestavano intorno al 50 per cento, per ridursi al 38 per cento nel 2020 e riposizionarsi quindi intorno al 48 per cento nel 2021. I valori di copertura nell'area Sud e Isole sono sempre stati decisamente inferiori alle altre due aree (intorno al 20-21 per cento), con un sensibile peggioramento nel 2020 (12 per cento) e un recupero al 23,2 per cento nel 2021;

    17) come noto, nel 2020 in tutte e tre le macroaree si è osservato un'importante contrazione dei volumi di attività dello screening mammografico e, nonostante in linea di massima si sia registrato nel 2021 un ritorno ai valori di copertura pre-pandemici, all'interno di ogni singola macroarea ci sono regioni con maggiore capacità di ripresa ed altre che dimostrano un'evidente difficoltà anche nel 2021; solo alcune regioni hanno recuperato completamente il ritardo, mentre la maggior parte sono riuscite a prendere in carico, entro la fine del 2021, tutta la popolazione che doveva essere invitata nel 2020, con uno slittamento al 2022 di una quota parte di donne che doveva essere invitata nel 2021;

    18) i dati evidenziati nella dodicesima edizione dei «Numeri del cancro in Italia» confermano che in ambito di screening mammografico le diseguaglianze nell'offerta sono forti e sono profonde le differenze di attenzione al proprio stato di salute;

    19) i dati, come evidenziato nel predetto rapporto, «ci consegnano una Italia a due se non a tre velocità, ma anche con notevoli capacità di rispondere alle emergenze. Senz'altro in epoca pre-pandemica vi era una maggiore sofferenza nella macroarea Sud e Isole, anche se, almeno per lo screening mammografico e cervicale, nel triennio precedente la pandemia si era osservato un progressivo miglioramento nella capacità di offerta dei servizi. In realtà i valori di copertura pre-pandemici non ottimali che si registravano in questa area erano anche osservati in alcune, seppur limitate, aree del Centro e del Nord. In sintesi, si registravano fragilità certamente dovute a difficoltà di implementazione dell'offerta, in particolare nelle regioni in piano di rientro, ma anche ad un'allocazione non adeguata delle risorse sia dal punto di vista meramente numerico che qualitativo (in particolare scarsa competenza organizzativo-manageriale)»;

    20) in sostanza, l'emergenza pandemica ha messo in risalto ancora di più le fragilità che già erano evidenti in epoca pre-pandemica e che ancora non consentivano di ottenere livelli di copertura ottimali in tutte le aree del Paese;

    21) i dati Passi 2021-2022 mostrano che in Italia il 70 per cento delle donne fra i 50 e i 69 anni si è sottoposto allo screening mammografico a scopo preventivo e che la quota di donne che si sottopone allo screening mammografico è maggiore fra quelle più istruite o con maggiori risorse economiche, fra le donne di cittadinanza italiana rispetto alle straniere e fra le donne coniugate o conviventi;

    22) anche i dati Passi 2022 confermano che la copertura dello screening mammografico disegna un chiaro gradiente Nord-Sud, con una copertura totale dell'80 per cento al Nord, 76 per cento nel Centro e solo del 58 per cento nelle regioni meridionali. Il Friuli Venezia Giulia (88 per cento) è la regione con la copertura maggiore, la Calabria (43 per cento), il Molise e la Campania (entrambe al 51 per cento) sono le regioni con le coperture totali più basse; non è trascurabile la quota di 50-69enni che non si è mai sottoposta a una mammografia a scopo preventivo o lo ha fatto in modo non ottimale: 1 donna su 10 non ha mai fatto un esame mammografico e quasi il 20 per cento riferisce di averlo eseguito da oltre due anni;

    23) secondo quanto evincibile dal sito della Lilt «il rischio di tumore al seno si modifica in rapporto all'età: i tassi di incidenza aumentano esponenzialmente fin verso i 50 anni, quindi subiscono una pausa o addirittura una lieve diminuzione, per poi riprendere a crescere, ma con un tasso inferiore, dopo il periodo menopausale. Esiste una stretta correlazione tra l'insorgenza del tumore mammario e gli ormoni femminili. La prima gravidanza precoce e l'allattamento riducono il rischio, che aumenta per effetto della terapia ormonale sostitutiva con associazione di estrogeni e progestinici, in età perimenopausale e in menopausa, se protratta per più di 5 anni. Altri fattori di rischio riconosciuti sono rappresentati dal numero di parenti di primo grado con tumori alla mammella, l'obesità dopo la menopausa, l'eccessivo consumo di alcol, l'età al menarca e l'eventuale diagnosi di iperplasia atipica, il diabete e l'ipertensione arteriosa. Solo il 5-8 per cento dei tumori della mammella sono dovuti a fattori genetici riconosciuti. Un precedente carcinoma della mammella aumenta le probabilità di un secondo tumore alla stessa o nell'altra mammella. Le radiazioni ionizzanti, se utilizzate ripetutamente in età prepubere o puberale, anche a scopo diagnostico, specialmente sulla parete toracica e sulla colonna vertebrale, costituiscono riconosciuti fattori di rischio»;

    24) nel numero del 20 agosto 2022 della rivista Lancet sono stati resi noti i risultati del più grande e rappresentativo studio finora pubblicato sull'associazione tra vari fattori di rischio e mortalità per tumori. Usando stime delle morti per tumori in più di 200 Paesi, i ricercatori del «Global burden of disease study 2019 (Gbd Study)» hanno stimato che nel 2019, nel mondo, i vari fattori di rischio evitabili siano responsabili di 4.450.000 morti per cancro. Questa stima in valore assoluto corrisponde al 44,4 per cento di tutte le morti per cancro documentate nel mondo nel 2019 (il 50,6 per cento delle morti per cancro negli uomini e il 36,3 per cento delle morti per cancro nelle donne): fumo di tabacco, consumo di bevande alcoliche e un alto indice di massa corporea sono risultati di gran lunga i più impattanti fattori di rischio evitabili per la mortalità oncologica nel mondo intero; lo studio conferma e aggiorna a livello mondiale le evidenze ben note da decenni e ribadisce alcuni concetti fondamentali per la prevenzione dei tumori: non fumare, controllare il proprio peso ed evitare l'uso di bevande alcoliche;

    25) il trattamento standard delle forme iniziali del tumore mammario è costituito dalla chirurgia conservativa associata a radioterapia o dalla mastectomia e, dopo la chirurgia, viene generalmente proposto un trattamento sistemico poli-chemioterapico o radioterapico nell'ottica di ridurre il rischio di recidiva e di morte ad esso associata, tenuto conto della situazione del singolo paziente;

    26) nelle pazienti con carcinoma mammario a recettori ormonali positivi/Her2-negativo sono oggi prescrivibili in regime di rimborsabilità da parte del Servizio sanitario nazionale classificatori prognostici genomici, i quali sono indicati in pazienti a rischio intermedio di recidiva, per le quali sia quindi necessaria un'ulteriore definizione dell'effettiva utilità dell'aggiunta della chemioterapia adiuvante al trattamento endocrino;

    27) nelle pazienti con carcinoma mammario in fase iniziale a recettori ormonali positivi/Her2-negativo, operato, ad alto rischio di recidiva, è oggi disponibile l'inibitore Cdk 4/6 abemaciclib; questo medicinale, tuttavia, non è al momento rimborsata da parte del Servizio sanitario nazionale;

    28) nelle pazienti con carcinoma mammario triplo-negativo localmente avanzato, infiammatorio o in stadio iniziale ad alto rischio di recidiva, è oggi disponibile l'inibitore del checkpoint immunitario Pd1 pembrolizumab, nell'ambito di un programma ad uso compassionevole e tale opzione terapeutica non è al momento rimborsata da parte del Servizio sanitario nazionale;

    29) circa 30 mila donne del nostro Paese affette da cancro metastatico del seno Her2 low attenderebbero, da oltre un anno, la possibilità di curarsi con Enhertu, Inn-trastuzumab deruxtecan, un farmaco approvato dall'Agenzia italiana del farmaco sia per la cura del cancro metastatico al seno Her2+ che per Her2 low, ma per cui è stato concluso l'iter di rimborsabilità solo per Her2+, lasciando quindi le donne affette da Her2 low sospese fino al termine del nuovo iter, che dovrebbe essere non prima di febbraio 2024;

    30) Enhertu è un chemioterapico di ultima generazione che ha ottenuto risultati rilevanti rispetto agli altri chemioterapici per la cura del cancro al seno metastatico, sia Her2+ che Her2 low e se l'Her2+, nelle more della rimborsabilità, era stato previsto l'uso compassionevole, per il cancro Her2 low tale possibilità non è stata prevista;

    31) incomprensibilmente sono attive due diverse procedure per la rimborsabilità dello stesso farmaco, con le stesse case farmaceutiche e per lo stesso tipo di cancro (metastatico al seno) che viene distinto solo per la differenza di proteina Her2 contenuta nel sangue, nonostante l'Agenzia italiana del farmaco abbia accertato e ratificato che la cura è efficace per entrambi i casi; l'ulteriore procedura per il cancro Her2 low durerebbe in media più di 400 giorni e ritarderebbe l'accesso alle cure di ulteriori sei mesi;

    32) nel 6-7 per cento dei casi, il tumore alla mammella si presenta metastatico già alla diagnosi, tuttavia la maggior parte delle donne che oggi vive in Italia con carcinoma mammario metastatico (circa 37.000) ha presentato una ripresa di malattia dopo un trattamento per una forma iniziale di carcinoma mammario. Grazie ai progressi diagnostico-terapeutici, alla disponibilità di nuovi farmaci antitumorali, alle migliori terapie di supporto e alla migliore integrazione delle terapie sistemiche con le terapie locali, la sopravvivenza globale di queste pazienti con malattia metastatica è notevolmente aumentata;

    33) il 12 marzo 2019 il Parlamento, su proposta del gruppo parlamentare MoVimento 5 Stelle, ha approvato all'unanimità la legge n. 29 del 2019, recante «Istituzione e disciplina della rete nazionale dei registri dei tumori e dei sistemi di sorveglianza e del referto epidemiologico per il controllo sanitario della popolazione»;

    34) l'articolo 1, al comma 2, della predetta legge prevede l'emanazione, entro 12 mesi dalla data di entrata in vigore della legge, di un regolamento da parte del Ministro della salute, con il quale devono essere individuati e disciplinati i dati che possono essere inseriti nella rete, le modalità relative al loro trattamento, i soggetti che possono avere accesso alla rete, i dati che possono essere oggetto dell'accesso, le misure per la custodia e la sicurezza dei dati, nonché le modalità con cui è garantito agli interessati l'esercizio dei diritti previsti dal Regolamento generale sulla protezione dei dati (Gdpr);

    35) l'articolo 1, comma 6, della medesima legge dispone che: «Per le finalità della presente legge, il Ministro della salute può stipulare, sentito il Garante per la protezione dei dati personali, accordi di collaborazione a titolo gratuito con università, con centri di ricerca pubblici e privati e con enti e associazioni scientifiche che, da almeno dieci anni operino, senza fini di lucro, nell'ambito dell'accreditamento dei sistemi di rilevazione dei tumori, secondo standard nazionali e internazionali, della formazione degli operatori, della valutazione della qualità dei dati, della definizione dei criteri di realizzazione e di sviluppo di banche dati nazionali e dell'analisi e interpretazione dei dati, purché tali soggetti siano dotati di codici etici e di condotta che prevedano la risoluzione di ogni conflitto di interesse e improntino la loro attività alla massima trasparenza, anche attraverso la pubblicazione, nei rispettivi siti internet, degli statuti e degli atti costitutivi, della composizione degli organismi direttivi, dei bilanci, dei verbali e dei contributi e delle sovvenzioni a qualsiasi titolo ricevuti»;

    36) l'articolo 4 prevede poi l'istituzione del referto epidemiologico, al fine di consentire un controllo permanente dello stato di salute della popolazione, anche nell'ambito dei sistemi di sorveglianza, dei registri di mortalità dei tumori e di altre patologie, con particolare riferimento alle aree più critiche del territorio nazionale;

    37) infine, l'articolo 6 stabilisce: «Entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge e successivamente entro il 30 settembre di ogni anno, il Ministro della salute trasmette una relazione alle Camere sull'attuazione della presente legge, con specifico riferimento al grado di raggiungimento delle finalità per le quali è stata istituita la Rete nazionale dei registri dei tumori e dei sistemi di sorveglianza di cui all'articolo 1, nonché sull'attuazione del referto epidemiologico di cui all'articolo 4»;

    38) sono passati quasi 4 anni dall'approvazione della legge ma, ad oggi, il regolamento non risulta adottato e non è stata trasmessa alle Camere alcuna relazione sull'attuazione della legge,

impegna il Governo:

1) a potenziare ulteriormente lo screening mammografico quale attività di prevenzione secondaria periodica rivolta a donne asintomatiche al fine di effettuare una diagnosi di carcinoma mammario in stadio precoce e, quindi, offrire trattamenti meno aggressivi e più efficaci, con l'obiettivo di ridurre la mortalità da carcinoma mammario, assicurando che non vi siano aree del Paese carenti quanto a strutture organizzative e tecnologiche;

2) a garantire uniformità territoriale dello screening mammografico per la diagnosi precoce del carcinoma mammario, adottando iniziative di competenza volte a prevedere che la piena realizzazione dello screening mammografico, in tutte le regioni, non solo rappresenti un adempimento ai fini della verifica dell'erogazione dei livelli essenziali di assistenza da parte del Comitato permanente per la verifica dell'erogazione dei livelli essenziali di assistenza e del Tavolo tecnico per la verifica degli adempimenti regionali, ma consenta anche l'accesso alle forme premiali di cui all'articolo 2, comma 67-bis, della legge 23 dicembre 2009, n. 191, nell'ambito del riparto delle risorse del Fondo sanitario nazionale;

3) ad estendere lo screening mammografico, ampliando la soglia anagrafica di accesso alle donne con fascia di età dai 45 anni ai 74 anni di età, tenuto conto che in alcune regioni è stata già adottata l'estensione dello screening a donne tra 45 e 74 anni con mammografia annuale;

4) ad aggiornare il sistema di realizzazione dello screening mammario, usufruendo delle possibilità oggi consentite dalla tecnologia e dalla comunicazione digitale, prevedendo che l'informazione e l'avviso per l'effettuazione dello screening possa avvenire tramite sms o altra tecnologia;

5) ad adottare iniziative di competenza volte a garantire, con oneri a carico del Servizio sanitario nazionale, l'accesso a tutte le ulteriori indagini specialistiche per le donne ad alto rischio di carcinoma mammario per ragioni di familiarità o mutazione genetica;

6) ad adottare iniziative di competenza volte ad assicurare che in tutte le regioni sia garantita, con oneri a carico del Servizio sanitario nazionale, la ricostruzione mammaria contestuale all'atto demolitivo, sia per le protesi che per tutti i tipi di intervento di ricostruzione anche con tessuti autologhi;

7) ad assicurare che i protocolli terapeutici e assistenziali siano uniformi in tutte le regioni in conformità al Piano oncologico nazionale vigente e alle linee guida pubblicate nel Programma nazionale per le linee guida dell'Istituto superiore di sanità, adottando ogni iniziativa di competenza volta a verificarne periodicamente l'adozione in tutte le strutture sanitarie;

8) a garantire che in tutte le strutture sanitarie oncologiche siano presenti figure professionali per il supporto psicologico delle donne che si sottopongono al complesso e doloroso percorso di cura conseguente al tumore al seno, sostenendo anche l'istituzione in ogni unità complessa di oncologia di un servizio di psiconcologia riservato ai pazienti e ai familiari;

9) ad assicurare che il riconoscimento dell'invalidità civile per le donne che ne hanno diritto sia rapido;

10) ad adottare iniziative di competenza volte ad assicurare il più rapido accesso al farmaco e all'innovazione farmacologica a tutte le pazienti che sono affette da carcinoma mammario;

11) a verificare e quindi ad adottare iniziative di competenza volte a superare la coesistenza di diverse procedure di approvazione per una medesima patologia che differenzia le pazienti che ne sono affette a seconda della bassa o alta presenza della proteina Her2, garantendo a tutti i pazienti affetti da cancro metastatico al seno, sia Her2+ che Her2 low, il medesimo trattamento di cura, assicurando a tutti i pazienti i medesimi tempi di accesso al farmaco;

12) ad implementare, assicurandone una maggiore capillarità, le campagne informative per la prevenzione del tumore al seno che coinvolgano i medici di medicina generale, le strutture consultoriali di tutte le regioni, le scuole e le università e gli ambienti di lavoro;

13) a definire un piano strategico per l'eliminazione dei principali fattori di rischio del tumore al seno, attraverso azioni mirate alla promozione dei corretti stili di vita e all'informazione puntuale dei diversi fattori di rischio evitabili (fumo di tabacco, consumo di bevande alcoliche e un alto indice di massa corporea), prevedendo campagne informative specifiche, anche attraverso i media, che indichino come il fumo, l'alcol e un'alimentazione sbagliata siano all'origine anche del tumore al seno, oltre che di altri tipi di tumori;

14) a garantire che nel territorio nazionale siano presenti ambulatori specifici per le donne in menopausa, tenuto conto che esiste una stretta correlazione tra l'insorgenza del tumore mammario e gli ormoni femminili e che il rischio di tumore al seno aumenta per effetto della terapia ormonale sostitutiva con associazione di estrogeni e progestinici, in età perimenopausale e in menopausa, soprattutto se protratta per più di 5 anni;

15) a sostenere, con azioni mirate, l'allattamento al seno, tenuto conto che, come più volte ribadito, lo stesso riduce il rischio di tumore al seno;

16) ad adottare iniziative volte a completare il percorso istitutivo del registro nazionale tumori e della rete dei registri regionali, nonché del referto epidemiologico nazionale, assicurando un corretto conferimento dei dati regionali relativi al tumore al seno in un unico e funzionante database nazionale.
(1-00214) «Sportiello, Quartini, Marianna Ricciardi, Di Lauro, Francesco Silvestri, Baldino, Santillo, Auriemma, Cappelletti, Fenu».

(16 novembre 2023)

   La Camera,

   premesso che:

    1) ottobre è il mese internazionale dedicato alla prevenzione del carcinoma mammario, un mese durante il quale la salute delle donne diventa la priorità, con l'obiettivo di sensibilizzare la popolazione femminile sui rischi del cancro alla mammella e sull'importanza della prevenzione;

    2) la 13a edizione del rapporto annuale «I numeri del cancro in Italia 2023», afferma che, per quanto attiene il carcinoma mammario, nel 2023: sono state stimate circa 55.900 nuove diagnosi nelle donne; che per il 2022 sono stimati 15.500 decessi; che la sopravvivenza netta a 5 anni dalla diagnosi è dell'88 per cento; che le probabilità di vivere ulteriori 4 anni, condizionata ad aver superato il primo anno dopo la diagnosi, sono del 91 per cento; che sono 834.200 le donne viventi in Italia dopo una diagnosi di carcinoma mammario;

    3) il report «I numeri del cancro in Italia 2023» conferma, quindi che il carcinoma mammario è il tumore femminile più frequente, rappresentando circa il 30 per cento di tutti i tumori nelle donne;

    4) nei prossimi due decenni si stima che il numero assoluto annuo di nuove diagnosi oncologiche riguardanti il carcinoma mammario è stimato in +0,2 per cento per anno;

    5) lo screening mammografico organizzato (Smo), pur avendo raggiunto una buona estensione, che si riferisce alle persone invitate a sottoporsi allo screening, risente ancora di un'insufficiente adesione da parte delle donne che hanno effettuato lo screening;

    6) a fronte di un'estensione, ovvero di donne invitate a sottoporsi allo screening, elevata, pari all'85,6 per cento, si osserva purtroppo un'adesione molto inferiore pari al 56,2 per cento, un valore che risente anche delle variazioni da Nord a Sud. Nelle regioni settentrionali l'adesione arriva al 64 per cento e oltre, al Sud e nelle Isole scende al 41,3 per cento;

    7) le più colpite dal carcinoma mammario sono le donne sopra i 64 anni: circa il 40 per cento dei casi di carcinoma mammario riguarda queste pazienti. Alla fascia di età 50-64 anni si riferisce oltre il 30 per cento dei casi, mentre il 20-30 per cento dei casi riguarda donne under 50, di cui circa il 5-7 per cento, riguarda le under 40. Si tratta di un'incidenza tra le più alte in Europa;

    8) la prevenzione ha avuto e ha un ruolo essenziale nella riduzione della mortalità per carcinoma mammario; grazie alla prevenzione tra il 2007 e il 2019 sono infatti stati evitati oltre 10.000 decessi correlati a questa malattia, una riduzione corrispondente al 6 per cento. Il carcinoma mammario, nella classifica dei tumori per i quali la mortalità è calata, si colloca al terzo posto, dopo il cancro allo stomaco e al colon-retto;

    9) si stima che ogni anno siano 53.000 i nuovi casi di carcinoma mammario, di questi circa 10.000 riguardano donne con età inferiore ai 50 anni, 15.000 colpiscono donne tra i 50 e i 70 anni e altri 12.000 casi si riferiscono nell'età più avanzata;

    10) a 50 anni il tasso annuo di tumori al seno stimato è di 150 casi per 100.000 donne e aumenta con l'età, fino ad arrivare ai 60 anni con 200 casi per 100.000 donne ed a 300 casi per 100.000 donne a 70 anni;

    11) il calo nei decessi deriva quindi da due fattori: da una parte, l'aumento della partecipazione agli screening preventivi e, dall'altra, i progressi ottenuti dalla ricerca, che hanno condotto a terapie più efficaci e maggiormente precise;

    12) studi condotti negli Stati Uniti hanno evidenziato che, grazie agli algoritmi di deep learning su cui si basa l'intelligenza artificiale, è possibile ottenere una riduzione assoluta del 5,7 per cento dei falsi positivi e del 9,4 per cento di quelli negativi. Inoltre, nel confronto con l'operato di 6 radiologi, è stato dimostrato un aumento dell'11,5 per cento della sensibilità. Sono oltre 20 mila le variabili nella pratica clinica per rendere le diagnosi di tumore della mammella più precise e poter così assumere decisioni «su misura» sul trattamento di precisione. Tutti obiettivi non raggiungibili da parte degli operatori sanitari con gli strumenti tradizionali;

    13) l'intelligenza artificiale potrebbe trovare applicazione a supporto della mammografia al fine di superarne i limiti. Gli algoritmi dell'intelligenza artificiale possono analizzare immagini diagnostiche e fornire approfondimenti diagnostici, superando le attuali criticità diagnostiche;

    14) da evidenziare è il dato relativo alla relazione tra il tumore al seno e l'alcol. Secondo i dati di Aiom, tra il 2015 e il 2019 il consumo moderato di questa sostanza ha causato circa 5.300 nuove diagnosi e 1.300 decessi, mentre l'abuso di alcol ha portato a 6.600 casi e 1.700 decessi;

    15) è dunque necessario rafforzare la cultura della prevenzione, promuovendo gli screening, aumentandone i livelli di copertura, riducendo la disomogeneità territoriale;

    16) dalla fine degli anni '90 si osserva una continua tendenza alla diminuzione della mortalità per carcinoma mammario con un –0,8 per cento per anno, a conferma della validità di una maggiore diffusione dei programmi di diagnosi precoce, quindi dell'anticipazione diagnostica e anche dei progressi terapeutici;

    17) quasi un quarto dei casi di cancro della mammella (23 per cento) è causato da fattori di rischio evitabili, come fumo di sigaretta, sovrappeso, alcol e sedentarietà. In particolare, al consumo eccessivo di alcol è riconducibile fino all'11 per cento delle nuove diagnosi, segnalando tra i fattori di rischio anche gli agenti chimici, come pesticidi, inquinanti industriali e metalli;

    18) in Italia il 36,9 per cento delle donne è sedentario, il 26,8 per cento è in sovrappeso e l'11,1 per cento obeso, il 15,3 per cento fuma e l'8,7 per cento consuma alcol in quantità a rischio per la salute. Questi comportamenti aumentano la probabilità di sviluppare non solo il carcinoma mammario, ma anche altre neoplasie e gravi malattie, come quelle cardiovascolari, metaboliche e neurodegenerative;

    19) è necessario avviare campagne nazionali rivolte alle donne dai 20 anni in su per favorire corretti stili di vita a tutte le età, con l'obiettivo di ridurre l'incidenza e la mortalità del carcinoma mammario. Campagne indirizzate alla popolazione femminile con messaggi diretti, che si concentrino soprattutto sui fattori di rischio modificabili per prevenire il tumore del seno e, a cascata, tutte le patologie influenzate dagli stili di vita; questo è uno degli ambiti su cui è necessario intraprendere azioni mirate e immediate e per aumentare il livello di consapevolezza della popolazione femminile;

    20) gli stili di vita sani possono ridurre del 27 per cento il rischio di sviluppare il tumore del seno. In Italia, però, il 36,9 per cento delle donne è sedentario, il 26,8 per cento è in sovrappeso e l'11,1 per cento obeso, il 15,3 per cento fuma e l'8,7 per cento consuma alcol in quantità a rischio per la salute;

    21) è necessario che, uniformemente sul territorio nazionale, la gestione della paziente con tumore al seno avvenga da parte di team multidisciplinari, all'interno dei quali siano presenti tutti gli specialisti, che vanno dall'oncologo medico al radioterapista, al patologo e al chirurgo dedicato, ma anche quelle figure fondamentali come lo psicologo, il chirurgo plastico, il genetista, il fisioterapista, il ginecologo; questo, come hanno dimostrato le evidenze scientifiche, riduce la mortalità di quasi il 20 per cento,

impegna il Governo:

1) ad avviare campagne periodiche capillari di informazione alle donne per sensibilizzarle sull'adesione ai programmi di screening, anche al fine di superare i gap territoriali, affiancate da una campagna sugli stili di vita e di educazione alimentare, che evidenze scientifiche hanno dimostrato avere una significativa incidenza sull'insorgere del tumore al seno; tali campagne dovranno interessare anche le scuole;

2) ad adottare iniziative per sostenere, anche prevedendo appositi finanziamenti, la ricerca su farmaci innovativi per la cura del tumore al seno;

3) ad adottare iniziative volte, per quanto di competenza, a velocizzare i tempi per la valutazione da parte dell'Agenzia italiana del farmaco dei farmaci innovativi nella cura del tumore al seno approvati dall'Agenzia europea per i medicinali e a garantire la loro erogazione gratuita da parte dei centri oncologici;

4) a garantire e ad assumere le necessarie iniziative di competenza affinché le reti oncologiche regionali attuino un'effettiva presa in carico multidisciplinare delle pazienti;

5) ad aggiornare periodicamente gli indicatori nei percorsi diagnostico terapeutici assistenziali per i centri di senologia, quali strumenti di gestione clinica per la definizione del migliore processo, tenuto conto delle evidenze scientifiche disponibili;

6) ad adottare iniziative di competenza volte a promuovere, in sinergia con le regioni, corsi di formazione periodici di medici di medicina generale, medici oncologi, infermieri e tecnici, finalizzati al miglioramento dei percorsi terapeutici del tumore al seno, tenuto conto, in particolare, dell'apporto nella prevenzione dei medici di medicina generale, in quanto il tumore al seno necessita di una diagnosi precoce che inizia dall'inquadramento preliminare del soggetto e dalla presenza di fattori di rischio correlati da parte dei medici di medicina generale, che per primi vengono a contatto con la paziente;

7) al fine di incrementare la partecipazione agli screening, ad adottare iniziative di competenza volte a utilizzare anche strumenti digitali che consentano di raggiungere tutte le donne per una sempre maggiore efficacia dei percorsi di prevenzione;

8) a sostenere, per quanto di competenza, l'applicazione dell'intelligenza artificiale nella diagnosi e terapia della neoplasia del seno, in tutti i centri sul territorio nazionale, in quanto la strada dell'uso dell'intelligenza artificiale secondo studi internazionale può fornire maggiore efficacia e accuratezza negli screening e nella cura;

9) a definire linee guida nazionali nei percorsi diagnostici terapeutici assistenziali per le pazienti con carcinoma mammario, alle quali le regioni devono uniformarsi, prevedendo al contempo un costante monitoraggio sull'attuazione delle linee guida anche al fine di garantirne l'uniformità territoriale.
(1-00337) «Zanella, Bonelli, Borrelli, Dori, Fratoianni, Ghirra, Grimaldi, Mari, Piccolotti, Zaratti».

(1° ottobre 2024)

   La Camera,

   premesso che:

    1) i dati dell'ultimo rapporto «I numeri del cancro in Italia 2023» a cura dell'Associazione italiana oncologia medica (Aiom) hanno confermato nuovamente che il tumore alla mammella è la neoplasia più frequente nella popolazione femminile e rappresenta ben un terzo delle malattie tumorali che colpiscono le donne;

    2) secondo lo stesso rapporto, ad oggi in Italia sono 834.200 le donne viventi dopo una diagnosi di tumore al seno. Le diagnosi nel 2023 sono state oltre 55 mila: un numero, secondo le previsioni, destinato ad aumentare dello 0,2 per cento ogni anno nel prossimo ventennio;

    3) vengono nuovamente confermati anche i dati sulla sopravvivenza a 5 anni dalla diagnosi (pari all'88 per cento) e sulla probabilità di vivere ulteriori 4 anni condizionata ad aver superato il primo anno dopo la diagnosi (91 per cento);

    4) pur con miglioramenti nei dati sulla mortalità – grazie alla ricerca sulle terapie e alle nuove tecnologie diagnostiche – il tumore al seno continua a essere la principale causa di morte in varie fasce d'età. Prima dei 50 anni, rappresenta il 28 per cento delle morti oncologiche, il 21 per cento tra i 50 e i 69 anni e il 14 per cento oltre i 70 anni. In particolare, va sottolineato come una percentuale importante di donne colpite da questo tumore è presente tra coloro con un'età inferiore ai 40 anni: più di 11 mila nuove pazienti ogni anno. Si tratta, chiaramente, di persone nel pieno della propria attività e realizzazione sia professionale che familiare;

    5) negli ultimi anni, inoltre, si è registrato un incremento di diagnosi anche fra le donne con età superiore ai 74 anni;

    6) attualmente, lo screening per la diagnosi precoce del tumore mammario si rivolge alle donne di età compresa tra i 50 e i 69 anni e si esegue con una mammografia ogni 2 anni. In alcune regioni si sta sperimentando l'efficacia dell'esame in una fascia d'età più ampia, quella compresa tra i 45 e i 74 anni, mentre altre regioni ancora stanno prevedendo lo screening alle donne tra i 45 e i 49 anni con cadenza annuale;

    7) alla luce di ciò, risulta chiaro come numerosissime donne rimangano escluse dai programmi di screening. L'aumento dei casi in età giovanile, peraltro, pone la necessità e l'urgenza di ampliare sensibilmente la platea di donne da sottoporre gratuitamente allo screening mammografico, abbassando l'età minima di inizio dei programmi di prevenzione secondaria. Nelle giovani, poi, il cancro al seno si presenta in forme più aggressive, comportando delle implicazioni differenti, quali il maggior rischio di recidiva, un disagio emotivo e psicologico superiore e possibili influenze sulla fertilità;

    8) è urgente, pertanto, rivedere e adattare quanto prima le misure di prevenzione, sia primaria che secondaria, oltre a considerare quali siano le indagini preventive più appropriate, al fine di favorire una diagnosi precoce e aumentare le possibilità di guarigione a prescindere dalla fascia d'età;

    9) il rapporto del 2024 dell'Istituto superiore di sanità «Tumori della mammella e del colon-retto: differenze regionali per mortalità, screening oncologici e mobilità sanitaria» ha recentemente evidenziato dei dati allarmanti in alcune aree italiane. Nelle regioni del Sud si perdono più anni di vita per i tumori della mammella e i tassi di mortalità, che storicamente sono sempre stati inferiori rispetto al Nord, ora sono paragonabili. Tra le cause c'è anche il minore ricorso agli screening: nelle aree dove si partecipa meno a questa forma di prevenzione, oltre ad avere una maggiore mortalità, c'è anche un più alto indice di pazienti costretti a spostarsi per potersi operare. Viene poi rilevato come in Italia la mortalità per tumore della mammella dal 2001 al 2021 si sia ridotta del 16 per cento, ma con ritmi diversi nelle diverse aree del Paese: al Sud la riduzione di mortalità è stata inferiore rispetto a quanto osservato nel Nord (-6 per cento contro –21 per cento). In alcune regioni del Sud, quali Calabria, Molise e Basilicata, si osservano, nel periodo in analisi, addirittura dei piccoli incrementi di mortalità, rispettivamente pari al 9, 6 e 0,8 per cento;

    10) inoltre, la copertura totale dello screening mammografico disegna un chiaro gradiente Nord-Sud a sfavore delle regioni meridionali. La copertura da screening organizzato – basato su un invito attivo alla popolazione target da parte delle regioni, con l'offerta di percorsi di screening definiti e gratuiti – è infatti più elevata al Nord (65 per cento), minore al Centro (54 per cento) e decisamente più bassa al Sud e nelle Isole (36 per cento). Il ricorso allo screening mammografico su iniziativa spontanea è meno frequente al Nord (16 per cento), ma maggiore al Centro (23 per cento) e nel Sud-Isole (21 per cento). Uno sguardo ai dati regionali non solo mostra un'Italia tagliata in due con dati significativamente peggiori più si guardi verso il Meridione, ma anche che laddove l'offerta di programmi organizzati è scarsa, la popolazione fa maggiore ricorso allo screening spontaneo;

    11) i dati sugli screening mostrano inoltre significative differenze per determinanti sociali. Le donne socialmente più svantaggiate, per basso titolo di studio o difficoltà economiche, si sottopongono meno delle altre allo screening per tumore della mammella: 79 per cento delle donne laureate contro 52 per cento delle donne con al più la licenza elementare; 75 per cento delle donne senza difficoltà economiche contro 59 per cento delle donne che riferiscono di arrivare alla fine del mese con molta difficoltà. Lo screening organizzato, riducendo queste differenze, necessita di essere rafforzato e ampliato;

    12) la scarsa adesione agli screening gratuiti è quindi una seria problematica da affrontare anche dal punto di vista culturale;

    13) l'avvio di campagne di comunicazione e prevenzione rivolte alla popolazione – in ogni regione e raggiungendo ogni possibile gruppo sociale di appartenenza – anche attraverso i servizi di informazione radiofonica e televisiva, finalizzate a sensibilizzare la collettività sull'importanza della diagnosi tempestiva per contrastare il tumore della mammella è imprescindibile;

    14) con l'imminente inizio del cosiddetto «mese rosa», ossia il mese d'ottobre di ogni anno che sin dal 1992 è dedicato alla sensibilizzazione sul cancro al seno e che vede la partecipazione di operatori sanitari, istituzioni, organizzazioni di volontariato e associazioni, è ancor più determinante incrementare la sensibilizzazione di un sempre maggior numero di donne sull'importanza della prevenzione del cancro al seno e della diagnosi precoce;

    15) per quanto concerne i fattori di rischio, sui quali agisce la prevenzione primaria – tralasciando quelli di derivazione genetica o familiare sui quali non c'è margine di intervento – molti di questi potrebbero rivestire un minor peso ai fini dell'insorgenza del tumore alla mammella se ci fosse maggiore sensibilizzazione. Infatti, obesità, consumo di alcol, inattività fisica, fumo e cattive abitudini alimentari, ad esempio, incidono fortemente sul fenomeno;

    16) il potenziamento della prevenzione e la riorganizzazione della spesa, dando priorità alla diagnosi precoce, sono importanti anche al fine di evitare una crescita esponenziale dei costi sociali ed economici che il tumore comporta. La Lega italiana per la lotta contro i tumori ha calcolato che il costo sociale complessivo pro capite di questa patologia ammonterebbe a ben 28.500 euro, di cui «solo» 15.500 sostenuti dal sistema sanitario nazionale. Il resto è suddiviso tra gli 8.700 euro che figurano come riduzione del reddito che una donna lavoratrice affetta da tumore alla mammella è costretta a subire e i 3.300 euro di costi diretti sanitari, ovvero visite specialistiche, esami radiologici e di laboratorio, fisioterapia, farmaci, eventuale ricovero a pagamento, intervento di chirurgia ricostruttiva, presidi sanitari e altro ancora. Un ulteriore migliaio di euro circa è destinato invece alle trasferte e ai costi indiretti dovuti alla gestione della vita familiare e all'assistenza;

    17) alla luce del fatto che l'aspettativa di vita – e l'età media – sono in costante ascesa, il conseguente costo per la sanità pubblica è destinato ad aumentare sensibilmente. Pertanto, è fondamentale prevedere misure specifiche come contenere l'insorgere della malattia e ridurre il tasso di mortalità, potenziando la prevenzione sia primaria che secondaria,

impegna il Governo:

1) ad adottare iniziative di competenza volte:

  a) ad assicurare l'uniformità territoriale e la cadenza annuale dello screening mammografico per le donne nella fascia d'età compresa tra 40 e 75 anni;

  b) a prevedere e garantire lo screening mammografico per le donne ad alto rischio per ragioni di familiarità o di mutazioni genetiche, garantendo altresì ad esse l'accesso prioritario ad eventuali ulteriori indagini specialistiche;

  c) a prevedere la dotazione presso tutte le strutture ospedaliere di tutte le strumentazioni e le tecnologie disponibili atte a sviluppare una migliore capacità diagnostica, anche per le più piccole anomalie;

  d) ad implementare, in collaborazione con le regioni, l'utilizzo di strumenti elettronici e digitali per rendere più tempestive le comunicazioni da inviare alle donne interessate dalla campagna di screening;

  e) a garantire la presenza, quantomeno nelle strutture sanitarie oncologiche, di figure professionali per il supporto psicologico delle donne che si sottopongono al lungo e doloroso percorso di cura conseguente al tumore al seno;

  f) a promuovere campagne informative e di sensibilizzazione contro il tumore al seno che coinvolgano le regioni, le scuole e le università pubbliche per incrementare la consapevolezza della prevenzione, della diagnosi precoce e dei corretti stili di vita nelle donne più giovani;

  g) a definire un più ampio piano strategico per il contrasto ai principali fattori di rischio associati anche al tumore al seno, con l'obiettivo di promuovere stili di vita più corretti e di informare sui diversi fattori di rischio evitabili, quali fumo, consumo di bevande alcoliche, inattività fisica e cattive abitudini alimentari.
(1-00343) «Bonetti, Grippo, Onori, Pastorella, Ruffino, Richetti, Benzoni, D'Alessio, Sottanelli, Rosato».

(7 ottobre 2024)

   La Camera,

   premesso che:

    1) la prevenzione oncologica rappresenta una priorità essenziale sia nella strategia europea per la lotta al cancro, in cui si stima che quasi il 40 per cento dei casi di cancro può essere prevenuto attraverso azioni efficaci, sia a livello nazionale, come indicato nel Piano oncologico nazionale e più volte ribadito dal Governo;

    2) durante l'evento tecnico che si è tenuto a Genova, l'11 e il 12 luglio 2024, in vista del prossimo G7 salute, si è posta in rilevanza l'assoluta importanza della prevenzione, sottolineando come in Italia tali pratiche assistenziali assorbano solo il 5 per cento delle risorse del fondo sanitario, evidenziando, in conclusione, come sia necessario aumentare tale percentuale per il potenziamento delle attività degli screening, a partire da quelli oncologici. Le medesime conclusioni sono state ribadite anche pochi giorni fa nel corso dell'evento «Nuovo sistema di garanzia: risultati 2022 e sviluppi futuri»;

    3) i dati del report «I numeri del cancro in Italia 2023» confermano che il tumore della mammella è la neoplasia più frequente nelle donne, nelle quali circa un tumore maligno ogni tre è un tumore mammario e 834.200 donne convivono oggi con questa patologia, di cui circa 55.900 casi diagnosticati nel 2023. Negli ultimi decenni si è registrato un costante aumento di diagnosi che ha consentito una significativa riduzione della mortalità;

    4) giova ricordare che il tumore alla mammella affligge sempre di più le fasce più giovani, colpendo le donne proprio nel periodo più produttivo da un punto di vista privato e professionale. Secondo uno studio americano (pubblicato sulla rivista scientifica «Jama network open»), il tasso di incidenza tra i più giovani sembra cresciuto del 3 per cento ogni anno nell'ultimo ventennio. Una giovane donna, inoltre, ha maggiore probabilità di ricevere una diagnosi di tumore al seno aggressivo e in fase avanzata;

    5) attualmente il Servizio sanitario nazionale offre tre programmi di screening organizzato per la prevenzione dei tumori del seno, del collo dell'utero e del colon-retto, previsti dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 29 novembre 2001 («Definizione dei livelli essenziali di assistenza»), nonché dal successivo aggiornamento di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 12 gennaio 2017 («Definizione e aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza, di cui all'articolo 1, comma 7, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502»);

    6) lo screening per la diagnosi precoce del tumore mammario si esegue attraverso la mammografia, un esame radiologico della mammella, che consente di identificare precocemente i tumori del seno, in quanto è in grado di individuare i noduli, anche di piccole dimensioni, non ancora percepibili al tatto;

    7) le linee guida europee indicano come sia ottimale procedere anche per le fasce di età 45-49 anni e 70-74 anni per aumentare la diagnosi e prevenire ulteriori costi a carico del sistema sanitario nazionale. Del pari, anche la legge 23 dicembre 2000, n. 388, all'articolo 85, comma 4, aveva ammesso che lo screening gratuito a livello nazionale per la diagnosi precoce del tumore mammario fosse prevedibile per le donne di età compresa tra i 45 e i 69 anni, da eseguire con una mammografia ogni 2 anni, così come il Piano nazionale della prevenzione 2020-2025;

    8) nonostante ciò, il programma di screening mammario nazionale si rivolge, ogni due anni secondo le linee guida per la prevenzione oncologica del Ministero della salute, solo alle donne di età compresa tra i 50 e i 69 anni;

    9) diverse regioni hanno deciso già da tempo di estendere la fascia di età a cui è consentito lo screening gratuito in linea con le indicazioni europee, tra cui: Lombardia, Emilia-Romagna, Piemonte, Toscana, Basilicata e Valle d'Aosta;

    10) queste esperienze, seppur virtuose, si basano sull'iniziativa di singole regioni e rischiano di generare diseguaglianze inaccettabili fondate sulla provenienza territoriale delle cittadine, mettendo in discussione la possibilità di accedere egualmente a screening significativi per il loro potenziale percorso di cura. Si tratta di una «volatilità» regionale che dovrebbe essere sanata, estendendo il programma di screening nazionale equamente alla fascia di età 45-74 anni per tutte le regioni, offrendo l'opportunità di una diagnosi precoce e dunque di maggior successo della cura al maggior numero di donne;

    11) l'estensione dello screening promossa da alcune regioni è stata possibile, inoltre, grazie a risorse regionali: tale aspetto limita in particolare regioni più in difficoltà, come quelle già sottoposte a piano di rientro o a commissariamento, a replicare l'estensione, rischiando così di consolidare inaccettabili diseguaglianze sanitarie con particolare riguardo all'accesso alla prevenzione. Per questa ragione l'estensione a livello nazionale e la garanzia di risorse adeguate per tutte le regioni è cruciale per garantire livelli omogenei in linea con i principi fondanti dell'universalismo e con l'equità del sistema sanitario nazionale;

    12) vi sono ulteriori aspetti limitanti nella gestione e accesso agli screening che meritano interventi strutturali, paralleli e funzionali all'estensione delle fasce di età. Il primo è l'adesione che ad oggi risulta inferiore al 50 per cento, come evidenziato nel report dell'Osservatorio nazionale screening dal titolo «Lo screening mammografico» e confermato dalla relazione 2022 «Monitoraggio dei livelli essenziali di assistenza attraverso il nuovo sistema di garanzia», con un'ampia variabilità regionale. La mancata adesione spesso è imputata a sistemi di invio delle comunicazioni obsoleti, con l'invio di una lettera cartacea presso l'abitazione spesso non controllata regolarmente dalle cittadine, che andrebbero aggiornati rispetto alle evoluzioni digitali e tecnologiche oggi a disposizione;

    13) nei giorni scorsi, in sede parlamentare, è stata approvata la legge di conversione del decreto-legge 7 giugno 2024, n. 73 («decreto liste d'attesa»), la quale all'interno dell'articolato non prevede alcun tipo di nuova risorsa finanziaria che possa fornire strumenti e soluzioni rispetto all'impellente problema delle liste d'attesa del Servizio sanitario nazionale, nelle quali ricadono anche le visite di prevenzione oncologica;

    14) l'articolo 6 del decreto-legge n. 73 del 2024, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 107 del 2024, tuttavia, prevede che il Ministero della salute dovrà elaborare entro 60 giorni un piano d'azione per il rafforzamento della capacità di erogazione dei servizi sanitari e l'incremento dell'utilizzo dei servizi sanitari e sociosanitari sul territorio, tra i quali anche i punti per gli screening oncologici;

    15) il piano andrà a valere sulle risorse del Programma nazionale equità della salute 2021-2027, programma «plurifondo» che interviene nelle 7 regioni meno sviluppate (Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia) del Paese per rafforzare i servizi sanitari e rendere più equo l'accesso e che tra le aree di intervento prevede proprio «maggiore copertura degli screening oncologici»;

    16) il piano dovrà prevedere anche iniziative volte al rafforzamento dei punti per gli screening oncologici, quali lo sviluppo di metodologie e strumenti per l'integrazione e l'aggiornamento continuo delle liste anagrafiche degli inviti ai test di screening per individuare e includere anche la popolazione in condizione di vulnerabilità socio-economica e la sperimentazione di modelli organizzativi per il miglioramento dell'organizzazione dei servizi stessi;

    17) anche la carenza di personale che da anni affligge il sistema sanitario nazionale, come ravvisato anche durante il dibattito parlamentare in sede di conversione del suddetto decreto-legge, determina un minore livello di efficienza nello sviluppo dello screening organizzato e dei successivi passaggi per comunicarne l'esito che coinvolge diverse figure mediche, criticità che potrebbero diminuire grazie all'utilizzo di nuovi strumenti tecnologici di lettura delle diagnosi. Da un recente studio pubblicato sulla rivista scientifica «The Lancet», basato su dati raccolti su oltre 80.000 donne svedesi, risulta che l'avanzamento tecnologico nell'ambito dell'intelligenza artificiale può apportare un fondamentale contributo nel migliorare l'affidabilità nella lettura delle mammografie, in particolare nella valutazione della necessità di eventuali ulteriori controlli, con impatti potenziali in termini di efficientamento delle liste di attesa. È indubbio che l'intelligenza artificiale stia acquisendo sempre più un ruolo strategico anche in ambito sanitario, ragion per cui anche le strutture del Servizio sanitario nazionale potrebbero beneficiare di un utile supporto, laddove prevedessero l'utilizzo di tali tecnologie con impatti sull'accesso agli screening, ma anche sulle liste di attesa;

    18) il ruolo degli enti del terzo settore, congiuntamente alle istituzioni pubbliche, nella promozione di campagne di prevenzione oncologica e nella presa in carico delle donne affette da cancro al seno, sia nell'ambito del supporto psicologico che in quello materiale, riveste un'importanza cruciale che occorre valorizzare e rafforzare attraverso percorsi strutturati e compartecipati,

impegna il Governo:

1) ad adottare tutte le iniziative di competenza volte ad assicurare l'estensione del programma nazionale di prevenzione secondaria per il tumore al seno, come la mammografia, alla fascia di popolazione compresa tra 45 e 74 anni, così come previsto dal Piano nazionale della prevenzione 2020-2025;

2) a implementare campagne informative mirate al miglioramento dell'adesione ai programmi di screening mammario già esistenti per ridurre le differenze regionali, migliorando l'aderenza alle terapie adiuvanti per ridurre i rischi di recidiva o metastasi e il tasso di mortalità per questa tipologia di tumore;

3) ad adottare entro il termine previsto dall'articolo 6 del decreto-legge n. 73 del 2024 il piano d'azione contenente tra le aree di intervento il rafforzamento dei punti per gli screening oncologici a valere sul Programma nazionale equità della salute 2021-2027, includendo specifici interventi volti a rafforzare e promuovere l'adesione ai programmi di screening per il tumore alla mammella;

4) a valutare la possibilità di implementare sul territorio nazionale modalità sperimentali di supporto alla lettura delle mammografie tramite strumenti di intelligenza artificiale, promuovendo il ruolo della tecnologia informatica nell'ambito degli screening del tumore al seno;

5) ad adottare iniziative di sostegno agli enti del terzo settore, così da rafforzare il ruolo strategico che ricoprono nel supporto alle attività di prevenzione, assistenza psicologica e materiale per le donne affette da tumore, promuovendo, al fine di migliorare l'integrazione dei servizi offerti e potenziare le reti di sostegno, una maggiore sinergia tra istituzioni pubbliche e terzo settore, fondata su una logica di co-progettazione e co-programmazione.
(1-00344) «Boschi, Faraone, Gadda, Del Barba, Bonifazi, Giachetti, Gruppioni».

(7 ottobre 2024)

MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE PER IL RILANCIO PRODUTTIVO E OCCUPAZIONALE DEGLI STABILIMENTI ITALIANI DI STELLANTIS

   La Camera,

   premesso che:

    1) l'Unione europea si è impegnata a diventare un'area a «impatto climatico zero» entro il 2050; il settore dei trasporti, che rappresenta un quarto delle emissioni totali di gas serra della stessa Unione europea, è un ambito su cui è prioritario intervenire, per raggiungere l'obiettivo europeo di neutralità climatica;

    2) nel 1992 l'Italia era tra i primi produttori al mondo per autovetture prodotte. Secondo i dati Anfia, nel 2022 ha prodotto solo 473 mila vetture – rispetto alle 743 mila del 2019 – a riprova di una drastica diminuzione della produzione negli ultimi dieci anni, ulteriormente aggravata dalla pandemia. Nel 2024 non si arriverà a 350 mila auto, a 650 mila se si aggiungono i veicoli commerciali. Un dato estremamente preoccupante se paragonato con quello di altri Paesi dell'Unione europea – Germania (3,5 milioni), Francia (1 milione), Spagna (1,7 milioni) – e con quello del Regno Unito (764 mila);

    3) è indispensabile che, sia in ambito nazionale sia in ambito di Unione europea, l'erogazione di benefici e misure di vantaggio, volte a favorire la produzione e vendita di autoveicoli elettrici e il passaggio alla mobilità elettrica, sia condizionata e vincolata a una percentuale minima di componentistica che deve essere comunque prodotta nel mercato italiano ed europeo;

    4) il settore delle auto sta attraversando un periodo difficile in tutta l'Unione europea: gli ordini di auto nuove sono in calo (nel 2023 le vendite di veicoli nell'Unione europea, considerando anche la Svizzera e la Norvegia, sono state meno di 13 milioni, mentre erano circa 16 milioni nel 2019); se nel 2008 in Europa si vendeva un terzo delle auto prodotte nel mondo, oggi si è a un quinto; mentre nel 2008 si produceva in Cina solo il 4 per cento del totale mondiale dei veicoli, nel 2023 l'Europa ha prodotto quasi il 17 per cento di veicoli e la Cina il 32 per cento;

    5) le novità provenienti dalla Germania, che interessano il gruppo Volkswagen, che intende chiudere per la prima volta nella storia uno stabilimento con decine di migliaia di esuberi, se non adeguatamente affrontate rischiano di produrre un autentico terremoto per tutta l'industria dell'automotive europea, mentre Usa e Cina difendono l'industria con fortissimi investimenti;

    6) è pertanto evidente che i produttori europei devono colmare rapidamente il gap in termini di offerta di prodotto, senza illudersi che uno spostamento dei termini del phase out al 2035 li protegga realmente dalla competizione. L'unico effetto, in negativo, sarebbe sull'ambiente;

    7) in questo quadro l'Italia non solo risente della crisi tedesca, considerato che gran parte del successo dell'industria italiana dell'auto deriva dal mercato della componentistica che riforniva soprattutto l'industria tedesca dell'auto, ma soprattutto dalle scelte industriali di Stellantis, il gruppo automobilistico nato nel 2021 dalla fusione tra l'azienda francese Psa (ex Peugeot-Citröen) e quella italo-statunitense Fca (a sua volta nata dalla fusione tra Fiat e Chrysler);

    8) il settore comprende tutte le imprese che producono materie prime e macchine utensili, passando per le imprese più strettamente produttive, fino ad arrivare alle aziende che si occupano di imballaggi, trasporto merci e servizi legati agli autoveicoli e a quella dei servizi automotive;

    9) la componentistica rappresenta una filiera produttiva in cui operano 5.439 imprese, risultano occupati oltre 272.000 addetti e che genera un fatturato di poco superiore a 100 miliardi di euro, pari al 5,6 per cento del prodotto interno lordo nazionale, con un contributo al gettito fiscale per oltre 76 miliardi (dati Anfia 2023);

    10) negli ultimi 17 anni (2007-2024) la produzione di auto in Italia di Fiat-Fca-Stellantis si è ridotta di quasi il 70 per cento, da 911.000 auto alle 300.000 stimate per il 2024, se continuerà l'attuale trend; delle 505.000 auto vendute in Italia, meno della metà è stata prodotta nel nostro Paese (225.000);

    11) l'Italia, insomma, sta pagando un prezzo molto alto per la presenza di un solo produttore di automobili;

    12) nei primi sei mesi del 2024, considerando sia auto che veicoli commerciali, Stellantis Italia ha prodotto 303.510 veicoli, facendo registrare una riduzione di oltre il 25 per cento rispetto al primo semestre 2023. Ad agosto 2024, finito l'effetto degli incentivi di giugno e luglio, le vendite di auto in Italia hanno fatto registrare un calo del 13,4 per cento, Stellantis è arrivata quindi a perdere oltre il 30 per cento delle vendite e il marchio Fiat, ancora primo in Italia negli otto mesi, è stato superato da Toyota, Volkswagen e Dacia. Se tale andamento produttivo dovesse riconfermarsi nei mesi a venire, la produzione annuale si attesterebbe intorno alle 500.000 unità, un calo di oltre il 33 per cento rispetto ai 751.000 veicoli del 2023. Un risultato simile corrisponderebbe ad appena la metà dell'obiettivo di produzione fissato per il 2030 dal Governo e concordato con Stellantis, pari a 1 milione di veicoli l'anno;

    13) se si guarda alla situazione produttiva dei singoli stabilimenti il quadro è allarmante: a Cassino si è passati da 30.006 vetture prodotte nel primo semestre del 2023 a 18.375 nel 2024; a Melfi da 99.085 nel 2023 a 56.935 nel 2024; a Mirafiori da 52.000 a 18.500; a Modena da 600 a 160. L'unico stabilimento dove si registra una leggera crescita è Pomigliano, dove nel primo semestre del 2023 sono state prodotte 71.520 auto, mentre 85.080 nello stesso periodo del 2024. Infine, per quanto riguarda i veicoli commerciali leggeri prodotti alla Sevel, il calo è da 115.250 nel 2023 a 114.670 nel 2024;

    14) il calo produttivo e delle relative commesse ha coinvolto recentemente persino lo storico stabilimento di Atessa, dove negli ultimi 40 anni erano stati prodotti oltre 7,3 milioni di furgoni e veicoli commerciali: a partire dal giugno 2024, con un calo produttivo arrivati a circa 800 veicoli, dapprima è stata richiesta una cassa integrazione parziale, seguita dalla fermata del turno pomeridiano e da un nuovo ricorso alla cassa integrazione fino al 15 settembre 2024;

    15) tra gennaio e settembre 2024 a Mirafiori sono state prodotte 18.500 auto, contro le 52 mila dello stesso periodo 2023, con un calo dell'83 per cento rispetto ai primi otto mesi del 2023. La produzione di auto al suo interno si è drasticamente ridotta nel corso degli anni: oggi è limitata alla 500 elettrica e a due modelli di Maserati;

    16) naturalmente, tutto quanto sopra esposto ha effetti devastanti sull'occupazione;

    17) se nel 2017 la produzione di veicoli aveva superato il milione di unità, nel 2023 la cifra è scesa fino a toccare quota 751 mila, con un calo occupazionale del 30 per cento. Dal 2014 a oggi sono 11.500 i lavoratori diretti usciti dagli stabilimenti italiani di Stellantis, di cui 2.800 dagli enti centrali. E nel 2024 sono previste ulteriori 3.800 uscite incentivate. A questi vanno aggiunti gli oltre 3.000 lavoratori in somministrazione che risultano licenziati al giugno 2024. Un andamento sull'occupazione che dimostra in maniera esplicita che il problema della crisi di Stellantis non è determinato dalla transizione, bensì da una chiara strategia di disinvestimento;

    18) dal 2014 sono andati via 11.500 dipendenti ed è massiccio l'utilizzo di ammortizzatori sociali – che sta crescendo ovunque e sta coinvolgendo anche gli stabilimenti che negli anni precedenti non erano stati coinvolti in situazioni di crisi – come il peggioramento delle condizioni di lavoro negli stabilimenti;

    19) analogamente, prosegue la strategia di riduzione del numero di dipendenti attraverso lo strumento degli incentivi all'esodo (poco meno di 4.000 solo nella primavera 2024) e il contestuale blocco a nuove assunzioni, così determinando un progressivo svuotamento degli stabilimenti;

    20) nel 2025, quando scadrà la cassa integrazione per i lavoratori di Melfi, si rischiano di perdere circa 25 mila posti di lavoro. A Cassino da gennaio 2024 si lavora su un solo turno. A Mirafiori gli addetti alla linea di assemblaggio hanno lavorato cinque giorni a luglio 2024, altrettanti a settembre 2024. Solo pochi giorni fa, Stellantis ha annunciato l'ennesima sospensione fino al 4 novembre 2024 della produzione della Fiat 500 elettrica nello stabilimento: un duro colpo per gli operai già impegnati in contratti di solidarietà e cassa integrazione fino a dicembre;

    21) a partire dal 2008, nella componentistica torinese più' di 500 aziende hanno cessato l'attività e 35 mila persone hanno perso il lavoro; ma le crisi si estendono e si moltiplicano in tutto il Paese, dall'area industriale di Melfi, alla cessione della Marelli a Crevalcore (Bologna), alla gravissima crisi della Lear a Grugliasco (Torino);

    22) lo stop alla produzione della 500 elettrica avrà inevitabilmente un impatto anche sulla filiera dell'indotto, da tempo in grave sofferenza nella cerchia torinese. I 1.400 lavoratori della Denso di Poirino, dove si producono sistemi di condizionamento, sono già in cassa integrazione e i problemi potrebbero non essere finiti, perché anche i volumi di commesse da Iveco e New Holland non stanno rispettando le attese, motivo per il quale non si esclude l'annuncio di esuberi nelle prossime settimane;

    23) non va meglio alla Novares di Riva di Chieri, dove si sfornano particolari in plastica per la 500 e la Panda: i 150 operai sono in cassa integrazione e non lavorano più su tre turni. Rallentamenti nella produzione sono stati notati anche nello stabilimento di Magna Olsa, gruppo tedesco con uno stabilimento a Moncalieri dedicato alla produzione di gruppi faro e sistemi di illuminazione. Infine, la Sfc Solutions di Ciriè, che produce guarnizioni per auto e camion, ha annunciato, il 3 settembre 2024, otto settimane di cassa integrazione per tutti i 316 dipendenti;

    24) è evidente quindi che la crisi della vendita di auto e il calo di commesse interne si riflette inevitabilmente sullo stesso settore della componentistica. Un settore che sconta ovviamente soprattutto la riduzione della produzione Stellantis in Italia e la partenza lenta dei nuovi prodotti previsti negli stabilimenti italiani;

    25) per contro, negli ultimi anni diverse produzioni sono state spostate all'estero, mentre in altri Paesi come la Francia sono stati aperti nuovi stabilimenti e assunti dipendenti, grazie anche ai 15 modelli prodotti (contro i 7 dell'Italia);

    26) gli stabilimenti italiani sono divenuti ormai l'ottava produzione europea, mentre quelli francesi sono pressoché tutti pronti alla produzione di veicoli elettrici o ibridi e in corso di riconversione (in Italia nemmeno la metà). Per quanto riguarda la ricerca, nel 2021 la divisione italiana ricerca e sviluppo ha depositato appena un decimo dei brevetti rispetto all'omologa francese;

    27) la stessa Presidente del Consiglio dei ministri, nel rispondere ad un'interrogazione a risposta immediata in Assemblea il 29 gennaio 2024, ha ribadito come si debba avere «il coraggio di criticare alcune scelte che sono state fatte dalla proprietà e dal management del gruppo quando sono stati distanti dagli interessi italiani» e che, anche alla luce del fatto che nel consiglio di amministrazione di Stellantis sieda un rappresentante del Governo francese, «le scelte industriali del gruppo tengano in considerazione molto più le istanze francesi rispetto a quelle italiane»;

    28) gli investimenti annunciati nel 2023 da Stellantis per lo stabilimento di Torino risultano marginali rispetto alla produzione e all'assemblaggio di nuovi modelli che verranno e già vengono costruiti all'estero;

    29) a Pomigliano, secondo le uniche notizie ufficiali, il 2029 sarà l'ultimo anno di produzione della Panda, modello che ha consentito la sopravvivenza dello stabilimento e che dal 2025 sarà in diretta concorrenza con la nuova Grande Panda, elettrica e ibrida, costruita in Serbia;

    30) dei diversi modelli del gruppo Fiat un tempo prodotti in Italia e oggi delocalizzati in altri Paesi, si ricordano la 500 algerina, la Panda serba, la Topolino prodotta anche in Marocco, l'Alfa Romeo Junior realizzata in Polonia;

    31) lettere sono state inviate dallo stesso gruppo ai fornitori circa le opportunità di investimento in Africa ed è esemplificativa l'apertura di uno stabilimento nella città di Orano (Algeria) a dicembre 2023, alla presenza del Viceministro italiano Valentini;

    32) Torino è la città più esposta al grave declino e disimpegno di Stellantis, con conseguenze pesantissime sull'occupazione e sulla stessa città e i suoi abitanti;

    33) a luglio 2024 Stellantis ha avviato la vendita della quota di maggioranza di Comau – azienda specializzata nell'automazione industriale – al fondo di investimento statunitense One Equity Partners, privandosi così di un comparto ad alto contenuto tecnologico e innovativo, che conta circa 750 dipendenti solo a Grugliasco, di cui circa 70 operai e operaie;

    34) risulta che il Governo italiano non eserciterà il veto sull'acquisizione del 51 per cento di Comau da parte del fondo statunitense One Equity Partners;

    35) in precedenza, era successo con la Marelli che dopo la cessione nell'ottobre 2018 da Fca alla giapponese Calsonic Kansei, a sua volta integralmente controllata dal fondo di investimento americano Kkr, vi sia stato un percorso di licenziamenti e chiusure, anche nello stabilimento piemontese di Venaria;

    36) recentemente è trapelata l'indiscrezione secondo la quale la dirigenza di Stellantis intenderebbe trasferire in Polonia una decina di lavoratori di Mirafiori, ulteriore drammatico segnale di un'azienda senza strategia e che intende disimpegnarsi dall'Italia;

    37) sulla linea Maserati la situazione della produzione è critica. Sul fronte produttivo si sono raggiunte 1.850 unità; una diminuzione del 70 per cento rispetto al 2023. Negli anni migliori di Maserati, la produzione, tra Grugliasco e Mirafiori, nel primo semestre raggiungeva oltre 27.000 unità (anno 2017). Oltre ai 65 giorni di stop produttivo nel primo semestre, dal 3 aprile 2024 fino al 31 dicembre 2024 viene utilizzato il contratto di solidarietà per circa 968 lavoratori in base agli ordinativi da evadere; dal secondo trimestre vengono prodotte solo le Maserati GT e GC anche nelle versioni Folgore full-electric, ma a tutt'oggi non riescono a compensare il fermo produttivo di Ghibli, Quattroporte e Levante;

    38) l'apertura del battery center e del cosiddetto hub dell'economia circolare denominato Sustainera nel corso del 2023 a Torino non ha portato a nessuna nuova assunzione;

    39) anche la quota di partecipazione del 20 per cento acquisita nel 2023 dal marchio cinese Leapmotor non affiancherà infine nuove vetture elettriche alla produzione della Cinquecento elettrica a Mirafiori, perché a quanto pare la produzione di tali modelli si svolgerà in Ungheria;

    40) nonostante tale quadro desolante, la società ha iniziato il secondo semestre del 2024 confermando il secondo posto nella classifica europea, con una quota di mercato totale di quasi il 18 per cento. Il gruppo risulta al vertice in Francia, Italia e Portogallo in agosto e dall'inizio del 2024, mentre in Austria, Germania e Polonia registra una crescita costante;

    41) Stellantis Pro One, in particolare, conferma la propria leadership nel settore dei veicoli commerciali, con una quota di mercato che sfiora il 29 per cento e un incremento dei volumi dell'1,4 per cento. Nel mercato lev (low-emission-vehicle), Stellantis ha registrato un aumento continuo delle vendite, con una crescita delle elettriche (Bev) in Francia e Regno Unito nel corso del 2024;

    42) la filiera automotive italiana si posiziona infatti nei segmenti a più elevato valore aggiunto grazie non solo alle eccellenze nella produzione di autoveicoli di alta gamma e di autoveicoli commerciali, ma anche in virtù delle specializzazioni produttive che caratterizzano, in particolare, i distretti della componentistica;

    43) da una ricerca condotta da Cassa depositi e prestiti, Ernst & Young e Luiss Business School, emerge come circa il 20 per cento del valore aggiunto generato dalla filiera della componentistica risulti fortemente radicato nei mercati internazionali (la Germania resta il primo cliente nell'Unione europea) e inglobato dai prodotti esportati dagli altri partner commerciali. Nel 2022 il nostro Paese ha esportato il 12,5 per cento di tutte le produzioni manifatturiere nazionali, per un valore di circa 73 miliardi di euro, e, con riferimento alla sola componentistica per autoveicoli, circa il 21 per cento per un valore intorno ai 4 miliardi di euro;

    44) in parallelo vi è una crescita esponenziale degli utili di esercizio e del valore aggiunto per addetto realizzati da Stellantis;

    45) a seguito della fusione già in corso tra Fca e il gruppo francese Psa – finalizzata nel gennaio 2021 con la nascita di Stellantis – e a un anno dall'erogazione del prestito garantito dallo Stato, Fca e Psa hanno riconosciuto ai propri azionisti un maxi-dividendo di circa 5,5 miliardi di euro, rivisti poi a 2,9 miliardi;

    46) a livello mondiale Stellantis ha chiuso il 2023 con un utile netto di 18,6 miliardi di euro, in crescita dell'11 per cento sul 2022, e ricavi netti per 189,5 miliardi di euro, annunciando un dividendo di 1,55 euro per azione ordinaria, circa il 16 per cento in più del 2022. Exor, la holding della famiglia Elkann che detiene il 14 per cento delle azioni di Stellantis, ha incassato per il 2023 circa 700 milioni di euro di dividendi, contro i 140 milioni di euro del 2020. Tavares nel 2023 ha percepito 23 milioni di euro, pari alla retribuzione di quasi 1.000 operai;

    47) Stellantis sta continuando a ridurre il numero dei veicoli prodotti negli stabilimenti italiani, nonostante gli aiuti di cui continua a beneficiare sotto forma di incentivi al settore delle auto e di cassa integrazione per i dipendenti;

    48) secondo uno studio di Federcontribuenti, dal 1975 al 2012 Fiat ha ricevuto dallo Stato italiano 220 miliardi di euro per cassa integrazione, sviluppo industriale, sussidi, implementazione degli stabilimenti;

    49) nel corso del 2020, sfruttando l'inedito strumento «Garanzia Italia» stanziato dal decreto-legge cosiddetto «liquidità» (decreto-legge n. 23 del 2020), Fca Italy, controllata del gruppo Fca – avente sede legale in Olanda –, ha ottenuto un prestito di circa 6,3 miliardi di euro, pari a circa il 25 per cento del fatturato, limite massimo ottenibile;

    50) tale prestito, da ripagare con interessi entro tre anni, prevedeva alcune condizionalità, tra cui la rinuncia alla distribuzione di un dividendo di circa 1,1 miliardi di euro nel primo anno e la destinazione esclusiva delle risorse verso il finanziamento delle attività produttive e industriali di Fca Italy, inclusi quindi gli stabilimenti localizzati in Italia. Il prestito è stato restituito, ma senza che i livelli di produzione tornassero mai a quelli precedenti la pandemia;

    51) nemmeno i 950 milioni di euro di incentivo all'acquisto stanziati nel 2024 hanno in alcun modo invertito la rotta;

    52) all'inizio del 2024 Stellantis si era impegnata ad aumentare la produzione negli stabilimenti italiani, con l'obiettivo di arrivare a un milione di veicoli all'anno;

    53) rispondendo alla già citata interrogazione a risposta immediata in Assemblea, la stessa Presidente Meloni ha sottolineato come sia intenzione dell'attuale Governo «difendere (...) i livelli occupazionali e tutto l'indotto dell'automotive», anche con l'obiettivo di «tornare a produrre in Italia almeno un milione di veicoli l'anno». Va sottolineato che sarebbe comunque un obiettivo insufficiente. Peraltro, l'Italia avrebbe la capacità produttiva e di ricerca e sviluppo per due milioni di veicoli;

    54) tali dichiarazioni di intenzione, nonostante l'apertura del tavolo automotive presso il Ministero delle imprese e del made in Italy avvenuto il 6 dicembre 2023 e i successivi incontri del tavolo stesso, dove Stellantis ha confermato ancora una volta l'impegno nei confronti dell'Italia e la centralità del nostro Paese nella strategia globale del gruppo, e dove il Ministero ha discusso con gli altri attori della filiera l'introduzione di nuovi incentivi per le produzioni ad elevato contenuto di componentistica italiana ed europea, non hanno trovato riscontro nella realtà, come evidenziato dai risultati produttivi del primo semestre 2024;

    55) al tavolo che si è tenuto il 20 febbraio 2024 a Torino con il sindaco, l'assessore regionale alle attività produttive del Piemonte, le organizzazioni sindacali e Stellantis, non sono emersi impegni concreti da parte dell'azienda;

    56) nonostante, poi, le recenti dichiarazioni del Ministro Urso – secondo cui «la priorità è il sostegno alla filiera nazionale e all'occupazione (...)» – e la dotazione del fondo automotive che può contare ancora su quasi 6 miliardi di euro fino al 2030, i vertici del gruppo Stellantis seguitano con quella che potrebbe essere definita una vera e propria «fuga» dai confini nazionali anche per mezzo di una campagna comunicativa polemica e di natura ricattatoria, come dimostrato recentemente fa dall'invito agli operai di Mirafiori di trasferirsi in Polonia;

    57) i toni ricattatori seguono una lunga scia del gruppo, confermata anche dalle parole del febbraio 2024 dell'amministratore delegato Carlos Tavares, il quale reclamava a gran voce sussidi per l'elettrificazione, pena il rischio di chiusura degli stabilimenti italiani;

    58) le promesse evidentemente non mantenute da Stellantis circa gli investimenti e i livelli occupazionali degli stabilimenti italiani sono incompatibili con le rassicurazioni date per mezzo stampa e durante gli incontri tenuti al Ministero e, oltretutto, risultano inaccettabili alla luce delle garanzie pubbliche ottenute nel corso del 2020;

    59) il 17 settembre 2024 il Ministro Urso ha reso noto che il Governo ha deciso di spostare su altri progetti i fondi del Piano nazionale di ripresa e resilienza destinati a co-finanziare la gigafactory di Stellantis a Termoli, annunciata nel 2021;

    60) a fronte delle sfide ambientali e tecnologiche che si prospettano per il settore, l'unico orientamento che sembra emergere da parte del Governo è tuttavia la sola richiesta di un rinvio delle scadenze previste dall'Europa per gli autoveicoli in termini di emissioni di anidride carbonica, mentre sarebbe necessario farsi promotori di un piano per la gestione a livello europeo della transizione ecologica con strumenti comuni e avviare immediatamente una trattativa con Stellantis per salvaguardare l'occupazione e mantenere la capacità produttiva degli impianti,

impegna il Governo:

1) ad adottare iniziative di competenza volte a sostenere la transizione all'elettrico, in quanto le novità introdotte nel contesto normativo europeo, l'evoluzione tecnologica nella propulsione elettrica, delle batterie di ricarica e dei circuiti e le nuove esigenze di mobilità dei cittadini impongono alle grandi aziende automobilistiche l'avvio immediato di un processo di ulteriore profonda trasformazione del loro assetto produttivo e della filiera di distribuzione;

2) ad avviare le opportune iniziative, anche in ambito di Unione europea, al fine di prevedere che l'erogazione di bonus, benefici e altre misure di vantaggio volte a favorire la produzione e la vendita di autoveicoli elettrici e il passaggio alla mobilità elettrica siano condizionate e vincolate a una percentuale minima di componentistica che deve essere comunque prodotta nel mercato italiano ed europeo (come già sperimentato in altri Paesi dell'Unione europea, cosiddetto local content);

3) a mettere in atto una seria ed efficace politica industriale, finora assente nell'azione di Governo, proprio in un contesto in cui questa fase di trasformazione, se ben supportata, potrebbe rappresentare un'opportunità di ritornare a crescere;

4) ad adottare iniziative di competenza volte a sviluppare per la filiera dell'industria automobilistica ecosistemi, tramite anche il coinvolgimento delle università, per sostenere la riconversione produttiva verso l'elettrico, la ricerca e lo sviluppo di prodotti e tecnologie, in modo da poter assecondare la domanda emergente nel mercato di riferimento e competere a livello globale, nonché a promuovere la riqualificazione professionale degli addetti;

5) a predisporre un pacchetto di iniziative a supporto della filiera produttiva automotive con interventi sull'energia (con l'inclusione di tutto il settore nella categoria energivori con ammissione all'utilizzo di interconnector), una linea dedicata di accordi di programma e di innovazione senza limitazione territoriale, l'accesso semplificato per Transizione 5.0, la possibilità di garantire cash flow per investimenti;

6) a prevedere per Stellantis, al fine di poter accedere al suddetto pacchetto di supporto alla filiera produttiva automotive, di sottoscrivere precisi impegni, quali il reshoring dei modelli Fiat programmati su Serbia, Polonia e Marocco;

7) ad adottare iniziative volte a prorogare al 2025 la cassa integrazione straordinaria;

8) ad adottare iniziative di competenza volte a varare un piano pluriennale stabile per il rinnovo del parco circolante, prevedendo a tal fine:

  a) le necessarie iniziative in ambito di Unione europea volte a ottenere una deroga alla normativa sugli aiuti di Stato;

  b) la conferma dei tempi di realizzazione della gigafactory di Termoli;

  c) la visibilità sui nuovi modelli;

  d) l'interruzione del processo di spinta alla delocalizzazione degli investimenti dei fornitori;

  e) la tutela di posti di lavoro stabili e a tempo indeterminato e la cessazione del ricorso al lavoro somministrato;

  f) un piano di assunzioni anche per determinare un necessario ricambio generazionale;

  g) il mantenimento in Italia dei settori della progettazione;

  h) la garanzia da parte delle aziende della componentistica di un piano industriale e formativo e della stabilità del personale;

9) ad adottare urgentemente politiche volte a svecchiare i veicoli commerciali e il parco autovetture circolanti, fra i più vetusti, insicuri e inquinanti d'Europa;

10) ad adottare iniziative volte ad aumentare l'infrastrutturazione per la mobilità sostenibile, dal momento che la media di colonnine di ricarica ogni 100 chilometri è di 12,3 in Unione europea e in Italia è a 7,9;

11) ad adottare iniziative volte a sostenere, anche in ambito di Unione europea, gli investimenti del settore dell'automotive per garantire nei tempi e modi previsti la transizione all'elettrico e a farsi promotore di un piano per la gestione a livello europeo della transizione ecologica con strumenti comuni e avviare immediatamente una trattativa con Stellantis per salvaguardare l'occupazione e mantenere la capacità produttiva degli impianti;

12) a sostenere l'innovazione e la trasformazione dell'industria automobilistica, a partire dalla digitalizzazione fino al cambio delle motorizzazioni e allo sviluppo delle nuove tecnologie, alle attività di ricerca e sviluppo (anche aumentando la copertura dedicata nella ricerca e sviluppo di prodotto e processo), al trasferimento tecnologico e alla nascita di nuove imprese innovative;

13) a pretendere da Stellantis un serio e credibile progetto industriale che indichi espressamente gli investimenti, i nuovi modelli e le garanzie sotto il profilo produttivo e occupazionale, dal momento che i nostri siti produttivi potrebbero produrre un milione e mezzo di auto e il Governo si è impegnato a farne produrre almeno un milione;

14) ad adottare le necessarie iniziative volte a tutelare il lavoro, anche alla luce del fatto che nel 2025 sia l'indotto che Stellantis esauriranno gli ammortizzatori sociali e, se non si interviene per tempo, ci saranno licenziamenti di massa, e che in meno di 10 anni la maggior parte dei lavoratori di Mirafiori andrà in pensione e un piano di assunzioni risulta essenziale perché possa restare aperto, adottando:

  a) le opportune iniziative per la proroga degli ammortizzatori sociali nel settore dell'automotive allo scopo di impedire licenziamenti di massa, nonché iniziative volte a prevedere forme di integrazione al reddito per le lavoratrici e i lavoratori in cassa integrazione da lungo tempo;

  b) tutte le forme di tutela delle lavoratrici e dei lavoratori coinvolti, anche attraverso l'introduzione di misure quali incentivi per favorire accordi tra le parti per la riduzione di orario di lavoro a parità di salario, nonché piani per la riqualificazione del personale;

15) ad adottare iniziative volte a prevedere la concessione di incentivi vincolati all'impegno che le produzioni che negli ultimi due anni sono state trasferite all'estero, in particolare tra l'Europa e la zona mediterranea, vengano riportate in Italia;

16) a favorire la produzione di modelli mass market, avviando tutte le iniziative, anche in ambito europeo, necessarie a ridurre il gap con i produttori soprattutto cinesi e coreani e ad esigere che Stellantis porti in Italia la progettazione e la produzione di nuovi modelli di massa al fine di garantire il milione di autoveicoli prodotti a più riprese promesso;

17) a sostenere l'indotto e il comparto della componentistica;

18) ad adottare tutte le iniziative utili ad attrarre altri produttori, favorendo a tal fine, anche attraverso semplificazioni burocratiche e opportuni incentivi, l'attrazione di investimenti stranieri e lo stabilimento sul territorio nazionale di almeno un secondo produttore, che operi nel pieno rispetto di salari, norme e contratti di lavoro, valorizzando l'indotto nazionale, ossia appoggiandosi alla catena di fornitura presente nel nostro Paese;

19) ad adottare iniziative volte a favorire l'attrattività dell'Italia per gli investimenti nella filiera e l'ingresso di nuovi produttori;

20) a rendere permanente il tavolo automotive già costituito presso il Ministero delle imprese e del made in Italy e a spostarlo presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, allo scopo di mantenere costante il dialogo tra le parti sociali, i rappresentanti delle regioni, le associazioni di categoria, le case produttrici e le istituzioni;

21) a convocare i sindacati per discutere del futuro di Stellantis e, più in generale, delle prospettive produttive e occupazionali del settore automotive.
(1-00316) (Nuova formulazione) «Richetti, Schlein, Conte, Bonelli, Fratoianni, Braga, Francesco Silvestri, Zanella, Benzoni, Peluffo, Appendino, Ghirra, Grimaldi, Bonetti, D'Alessio, Grippo, Sottanelli, Onori, Pastorella, Rosato, Ruffino, Guerra, Barbagallo, Scotto, Simiani, Gribaudo, Berruto, Fornaro, Bakkali, Casu, Curti, De Micheli, Di Sanzo, Evi, Ferrari, Fossi, Ghio, Gnassi, Laus, Morassut, Orlando, Sarracino, Pavanelli, Cappelletti, Ferrara, Auriemma, Lomuti, Torto, Ilaria Fontana, Borrelli, Dori, Mari, Piccolotti, Zaratti».

(11 settembre 2024)

   La Camera,

   premesso che:

    1) nel 2014, dalla fusione tra Fiat e Chrysler, nasce Fiat Chrysler Automobiles (Fca), con sede legale ad Amsterdam e domicilio fiscale a Londra;

    2) a dicembre 2019 i Consigli di amministrazione di Fca e del gruppo francese Psa hanno annunciato la fusione tra le due società per dare vita al quarto gruppo mondiale del settore per volumi di vendita;

    3) a marzo 2020 Fca ha ricevuto un prestito da 6,3 miliardi di euro a un tasso agevolato con garanzia pubblica all'80 per cento di Sace, nell'ambito della procedura prevista dal decreto-legge 8 aprile 2020, n. 23. A fronte della garanzia, Fca si era impegnata a utilizzare le risorse a supporto del piano industriale prevedendo: a) investimenti in Italia per 5,2 miliardi di euro; b) pagamenti ai fornitori e al personale degli stabilimenti italiani; c) gestione dei livelli occupazionali attraverso accordi sindacali; d) divieto di distribuzione dei dividendi ordinari e di riacquisto di azioni proprie;

    4) il 21 dicembre 2020 l'Unione europea ha approvato la fusione tra le due società;

    5) il 4 gennaio 2021 le assemblee degli azionisti di Psa e Fca hanno deliberato la fusione divenuta effettiva il 16 gennaio 2021, sette mesi dopo la concessione del prestito con garanzia pubblica del Governo italiano, e dalla fusione tra Fca e Groupe Psa, è nata Stellantis N.V., holding multinazionale con sede nei Paesi Bassi;

    6) nel 2021 il Governo decise di non esercitare i poteri speciali (Golden power) sull'operazione di fusione tra Fiat Chrysler Automobiles N.V. e Peugeot S.A., ritenendola non oggetto di obbligo di notifica;

    7) il Governo francese, invece, concordò l'ingresso nel capitale di Bpi France, controllata dalla Caisse des depots et consignations, l'equivalente della nostra Cassa depositi e prestiti, rafforzando la presenza pubblica nella nuova società, avendo già una partecipazione azionaria significativa in Peugeot;

    8) tra i primi mesi del 2020 e la primavera 2021 diverse interrogazioni (3-01285, 3-01764, 3-02292 Camera dei deputati, 3-02397 Senato della Repubblica) presentate dai Gruppi che compongono l'attuale maggioranza hanno denunciato la non pariteticità dell'avvenuta fusione tra i gruppi industriali del settore automobilistico Psa e Fca, dovuta allo sbilanciamento in termini di quota di possesso del nuovo gruppo automobilistico Stellantis;

    9) dette interrogazioni chiedevano le motivazioni del mancato ingresso di Cassa depositi e prestiti con quota pari a quella detenuta dallo Stato francese o altra forma di partecipazione pubblica dello Stato italiano, allo scopo di garantire che anche gli stabilimenti industriali italiani e la filiera dell'automotive nazionale fossero protetti in caso di ristrutturazioni;

    10) anche il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica, nella relazione annuale al Parlamento presentata nel febbraio 2022, aveva evidenziato uno squilibrio azionario a favore della Francia, con ricadute «già evidenti nel settore dell'indotto connesso con le linee di produzione degli stabilimenti italiani», e, inoltre, un aumento della presenza dello Stato francese nell'azionariato, «determinando una distribuzione della proprietà diversa da quella precedentemente annunciata», invitando a un ingresso nel capitale di Stellantis da parte di Cassa depositi e prestiti per «preservare gli interessi nazionali nell'industria automobilistica»;

    11) nel corso del 2021 il gruppo Stellantis ha ottenuto una nuova linea di credito revolving di 12 miliardi di euro con un gruppo di banche, utilizzata per sostituire le precedenti linee di credito di Psa per 3 miliardi di euro e Fca per 6,3 miliardi di euro;

    12) a gennaio 2022, con un anno di anticipo, Stellantis ha rimborsato la linea di credito da 6,3 miliardi vincolata agli impegni sopra richiamati;

    13) l'assetto societario di Stellantis prevedeva al momento della fusione una quota di partecipazione pari al 6,2 per cento per Bpi France, banca d'investimento di proprietà dello Stato francese. Come risultato del meccanismo di voto in vigore, i poteri di voto di Bpi sono attualmente del 9,9 per cento;

    14) su territorio italiano sono operativi sei stabilimenti di assemblaggio: Torino Mirafiori, Modena, Cassino, Pomigliano, Melfi e Atessa;

    15) oltre a questi stabilimenti di assemblaggio, sono presenti anche altri stabilimenti: tre centri di produzione dei cambi: Torino Mirafiori, Termoli (Campobasso) e Verrone (Biella); tre stabilimenti per la produzione di motori: Cento (Ferrara), Pratola Serra (Avellino) e Termoli (Campobasso);

    16) i dati della produzione dei siti produttivi italiani di Stellantis nei primi sei mesi del 2024 hanno segnato una riduzione della produzione con una quantità tra autovetture e furgoni commerciali di 303.510 unità contro le 405.870 del primo semestre 2023, e, in particolare, la produzione di autovetture ha registrato una contrazione del 36 per cento;

    17) le imprese della componentistica nazionale sono circa 2.200, impiegano 167.000 addetti e generano un fatturato pari a 56 miliardi di euro; di tutte le aziende la metà produce componenti specifici per veicoli endotermici e non è attiva nei veicoli elettrici;

    18) il Ministero delle imprese e del made in Italy (Mimit) ha avviato in data 5 dicembre 2022 il Tavolo automotive, rappresentativo di tutte le realtà del comparto, e in data 6 dicembre 2023 un Tavolo permanente con Stellantis, Anfia (Associazione Nazionale Filiera Industria Automobilistica), sindacati di categoria e regioni con l'obiettivo di giungere a un accordo con Stellantis e tutti gli attori del settore al fine di: a) aumentare i livelli produttivi; b) consolidare i centri di ingegneria e ricerca; c) rafforzare gli investimenti sui modelli innovativi; d) riqualificare le competenze dei lavoratori; e) sostenere la riconversione della filiera della componentistica;

    19) in quell'occasione, il Ministro delle imprese e del made in Italy ha sottolineato l'importanza di invertire la progressiva contrazione dei volumi produttivi, con lo scopo di raggiungere in Italia la produzione di almeno un milione di veicoli Stellantis;

    20) il 10 luglio 2023 l'amministratore delegato di Stellantis, Carlos Tavares, al termine del primo incontro con il Ministro delle imprese e del made in Italy, affermò di condividere l'obiettivo del milione di veicoli;

    21) nel corso dell'incontro il Ceo di Stellantis, al fine di incrementare la produzione in Italia, chiese al Governo di rimuovere l'ostacolo del regolamento Euro 7, che avrebbe costretto a investire risorse su una tecnologia di transizione e realizzare un piano incentivi significativo;

    22) in data 18 dicembre 2023 il Ministero delle imprese e del made in Italy è riuscito nell'obiettivo di modificare in modo radicale il regolamento sull'omologazione di veicoli a motore e motori, nonché di sistemi, componenti ed entità tecniche indipendenti destinati a tali veicoli, per quanto riguarda le relative emissioni e la durabilità delle batterie, meglio noto come regolamento Euro 7, nella direzione auspicata dalle case automobilistiche;

    23) il Ministero delle imprese e del made in Italy ha realizzato per il 2024 un piano di incentivi alla domanda da un miliardo di euro che ha raggiunto tre dei quattro obiettivi che si era proposto: a) supporto alla transizione energetica; b) rinnovo del parco auto circolante; c) supporto alle persone con minori capacità d'acquisto; non è stato invece raggiunto l'obiettivo di aumentare la produzione in Italia: la quota nel mercato italiano di Stellantis nei primi otto mesi 2024 si è addirittura ridotta passando al 31,2 per cento dal 33,2 per cento dello stesso periodo del 2023;

    24) a giugno 2024 Automotive Cells Company (Acc), la joint venture per la produzione di batterie tra Stellantis, Mercedes-Benz e TotalEnergies, ha annunciato di sospendere il progetto di costruzione delle gigafactory previste a Termoli in Italia e a Kaiserslautern in Germania, adducendo la motivazione che i costi di produzione non sarebbero stati competitivi con quelli extraeuropei e che il mercato delle auto elettriche non aveva i ritmi di crescita che erano stati previsti;

    25) il Ministero delle imprese e del made in Italy ha convocato Acc il 17 settembre 2024, in presenza della regione Molise e delle organizzazioni sindacati, e in quella sede Acc ha affermato l'intenzione di sviluppare una nuova tecnologia più competitiva assumendo l'impegno a chiarire il Piano industriale entro la prima metà del 2025;

    26) il Ministero delle imprese e del made in Italy, alla luce di quanto manifestato da Acc, al fine di non pregiudicare il raggiungimento degli obiettivi del PNRR e di utilizzare le risorse pubbliche entro il 2026, pari a circa euro 256 milioni, ha comunicato che procederà a riallocare i fondi previsti per la realizzazione del sito produttivo di Termoli in altri investimenti coerenti con la transizione energetica del comparto e nel contempo ha assicurato che in presenza di un nuovo progetto avrebbe assicurato il sostegno finanziario in pari entità con altre risorse non legate alla tempistica del PNRR;

    27) il 14 maggio 2024 Stellantis ha annunciato l'accordo con Leapmotors che prevede la vendita di auto cinesi sul territorio europeo nella rete vendita dell'azienda;

    28) il 7 agosto 2024 è stato convocato il terzo incontro del Tavolo automotive al Mimit in cui il Ministro delle imprese e del made in Italy ha ricordato l'operazione di salvataggio dello stabilimento Marelli di Crevalcore, rilevato dalla Tecnomeccanica, che ha consentito di garantire la riconversione industriale e la salvaguardia dei livelli occupazionali;

    29) in quella stessa occasione, il Ministro ha dichiarato soddisfazione per il raggiungimento di quasi 7 obiettivi posti dalla misura dell'Ecobonus, a eccezione dell'incremento appunto dei volumi produttivi dei modelli prodotti in Italia;

    30) nella medesima sede, viste queste premesse, Il Ministro delle imprese e del made in Italy ha comunicato che, nel prossimo futuro, il piano incentivi sarà rimodulato, puntando a una programmazione pluriennale delle risorse e allo stimolo all'acquisto di veicoli a prevalente incidenza di componentistica europea e italiana;

    31) il Ministro delle imprese e del made in Italy ha comunicato l'intenzione di porre in essere una politica di attrazione in Italia di nuovi player, consentendo l'insediamento di almeno un'altra casa automobilistica. A tale riguardo, il Ministro ha dichiarato di aver sottoscritto Memorandum of Understanding con il Ministero dell'industria cinese e con diverse case automobilistiche;

    32) l'Italia è l'unico Paese produttore di auto in Europa ad avere una sola casa automobilistica; negli altri Paesi, dalla Francia alla Germania, Spagna, Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca, Slovacchia ne sono presenti da 4 a 7;

    33) il Ministero delle imprese e del made in Italy ha annunciato che nei Memorandum of Understanding è previsto che le case automobilistiche debbano produrre in Italia con componenti italiane o europee così che possano rispondere alle regole d'origine al fine di sostenere la filiera dell'automotive;

    34) in sede di regolamentazione UE, il piano Fit for 55 (Regolamento 2019/631 Parlamento europeo e del Consiglio del 17 aprile 2019) prescrive che, entro il 2025, le case automobilistiche europee dovranno ridurre l'impronta di CO2 delle loro flotte di veicoli mediamente del 19 per cento rispetto al periodo 2020-2024 (e di un ulteriore 38 per cento entro il 2030), fino ad azzerarle nel 2035. In caso di mancato raggiungimento di tali obiettivi, è prevista una multa che ammonterà a 95 euro per ogni grammo al chilometro di CO2 emesso sopra la soglia, moltiplicato per il numero di veicoli immatricolati;

    35) si tratta di un risultato pressoché irraggiungibile per tutti i produttori europei. Secondo le simulazioni Dataforce, società di analisi di mercato, il Gruppo Stellantis dovrebbe avere una quota di vendite di Bev e plug-in del 26 per cento, ma lo scorso anno non è arrivata al 18 per cento e ora è al 13 per cento;

    36) per il 2025 si stimano già sanzioni complessive da pagare per i costruttori europei comprese tra i 7,5 e i 15 miliardi di euro;

    37) il Gruppo Volkswagen ha annunciato l'inizio di una fase di spending review che partirà con la chiusura del sito produttivo Audi di Bruxelles, ma potrebbe estendersi anche alle fabbriche di Dresda e Osnabruck con il licenziamento di trentamila lavoratori;

    38) a normativa vigente, la Commissione Europea dovrà effettuare entro il 2026 una revisione complessiva dell'efficacia del regolamento che definisce i livelli di prestazione in materia di emissioni di CO2 delle autovetture nuove e dei veicoli commerciali leggeri nuovi; tale revisione includerà l'opportunità di aggiornare gli obiettivi di riduzione delle emissioni di CO2 per auto e furgoni e stabilire soglie minime di efficienza;

    39) l'8 settembre 2024 al meeting internazionale di Cernobbio, il Ministro delle imprese e del made in Italy ha annunciato l'intenzione del Governo italiano di proporre l'anticipo della revisione alla prima parte del 2025 per evitare il collasso della industria europea dell'auto a fronte dei dati che già dimostrano la impossibilità di reggere la pressione globale con la tempistica e le regole che l'Unione europea ha imposto alle proprie aziende, anche al fine di non lasciare i mercati nella incertezza per altri due anni preso atto sin d'ora della assoluta necessità di rivedere il green deal;

    40) il Ministro ha, inoltre, avviato una serie di consultazioni bilaterali con i colleghi europei su quella che sarà la proposta italiana, e ha convocato per lunedì 23 settembre 2024 le rappresentanze delle imprese e dei sindacati per confrontarsi nel merito anche in vista del meeting europeo sull'automotive che si svolgerà a Bruxelles il 25 settembre 2024 e del successivo Consiglio competitività del 26 settembre 2024;

    41) a giugno del 2024 Mario Draghi, incaricato dalla Commissione europea di elaborare un rapporto sul futuro della competitività europea, ha stimato in via preliminare in 500 miliardi l'anno il fabbisogno necessario per sostenere le transizioni verde e digitale dei settori produttivi europei, pari al gap di investimenti tra Unione europea e Usa;

    42) il «Rapporto sul futuro della competitività europea» (cosiddetto rapporto Draghi), pubblicato il 9 settembre 2024, stima invece in 800 miliardi l'anno, tra risorse pubbliche e private, il fabbisogno necessario per sostenere le transizioni verde e digitale dei settori produttivi europei, per effetto di un divario dell'Unione europea rispetto agli Usa che si sta progressivamente allargando. La differenza rispetto alla stima di giugno dà la misura della rapidità nell'evoluzione degli scenari e della necessità di un intervento urgente per rafforzare la competitività dell'industria europea;

    43) il rapporto Draghi sottolinea l'esigenza di introdurre fondi comunitari per sostenere la duplice transizione digitale ed ecologica delle economie dell'Unione europea;

    44) il rapporto Draghi evidenzia che il settore automobilistico è un esempio chiave della mancanza di pianificazione dell'Unione europea che nel tempo ha creato un disaccoppiamento tra politica climatica e politica industriale, causando la progressiva perdita di leadership a livello globale ed evidenzia la necessità di una visione fondata sulla «naturalità tecnologica», come evidenzia il Governo italiano in sede nazionale ed europea sin dall'inizio della legislatura;

    45) in particolare, per il settore automobilistico il rapporto Draghi, sottolinea l'importanza di rafforzare la certezza sulla legislazione in vigore e dare al settore il tempo adeguato di adattamento di prodotti e processi attraverso un forte stimolo agli investimenti aziendali e la ricerca nel settore automobilistico;

    46) il mercato europeo delle auto elettriche, a zero emissioni, è ancora limitato e non evidenzia un trend crescente significativo: nel primo semestre 2024, le immatricolazioni di Bev sono pari al 13,9 per cento del totale in Europa, quota praticamente in linea con l'anno precedente, e appena al 3,9 per cento in Italia;

    47) ad agosto detto mercato ha registrato un calo del 43,9 per cento rispetto all'agosto 2023: la quota di mercato complessiva perde un terzo, passando dal 21 per cento al 14,4 per cento, i risultati peggiori si sono registrati in Germania (-68,8 per cento), Italia (-40,9 per cento) e Francia (-33,1 per cento); il calo è dovuto, secondo gli analisti, alla mancanza di chiarezza sugli incentivi, ai prezzi elevati delle vetture e alle preoccupazioni sul basso valore residuo dei veicoli elettrici; in tale quadro Stellantis ha registrato una delle performance peggiori con un -52 per cento;

    48) il 19 settembre 2024 Acea, associazione che rappresenta le case produttrici europee, ha rilasciato un comunicato pubblico in cui chiederà alla Commissione europea e a tutti i Capi di Stato dell'Unione europea di sviluppare un pacchetto completo di misure a breve e lungo termine per riportare saldamente sulla buona strada la transizione a emissioni zero, garantire i posti di lavoro nel settore e ripristinare la nostra competitività. In particolare, Acea ha chiesto alle istituzioni europee di varare misure urgenti di sostegno in vista dell'entrata in vigore nel 2025 dei nuovi obiettivi per le emissioni di CO2 per automobili e i furgoni, nonché di anticipare le revisioni del regolamento CO2 per le automobili e i furgoni e per i mezzi pesanti, attualmente previsti rispettivamente per il 2026 e il 2027;

    49) al fine di evitare le sanzioni miliardarie sopra indicate, Acea ha chiesto di posticipare al 2027 l'entrata in vigore delle sanzioni per il superamento dei limiti di emissioni previste per il 2025. Nonostante la performance estremamente negativa della casa automobilistica da lui condotta, il Ceo di Stellantis si è espresso contro la richiesta di Acea;

    50) in costanza dell'attuale quadro normativo, le case produttrici si troverebbero di fronte al dilemma di tagliare la produzione di veicoli endotermici, con effetti sulle quote di mercato e sulla base produttiva, ovvero di riversare il costo delle sanzioni sul prezzo di vendita dei veicoli; oltre alla perdita di competitività, si aggraverebbe la tendenza di mercato già in atto che vede ridursi la presenza di veicoli nuovi dal costo accessibile per i cittadini meno abbienti;

    51) nel rapporto annuale «Veicoli sulle strade europee» pubblicato da Acea a febbraio 2024, si segnala che dal 2018 l'età media di tutti i tipi di veicoli è aumentata di circa un anno (secondo il Rapporto in Italia è di 12,5 anni, ma un'auto su cinque è una Euro 0-2, con almeno 18 anni di anzianità): le politiche sin qui perseguite a livello europeo sembrano aver sortito l'effetto di aumentare le difficoltà per i cittadini a svecchiare il parco circolante;

    52) consapevole di questi aspetti problematici e al fine di evitare che gli automatismi della legislazione europea, trasfusi nelle norme sulla circolazione emanate dagli enti territoriali, incidessero su cittadini e imprese, il Governo ha emanato il 12 settembre 2023 il decreto-legge n. 121 in materia di pianificazione della qualità dell'aria e di limitazioni della circolazione stradale,

impegna il Governo:

1) ad avanzare una proposta in sede europea per rivedere da subito il percorso del green deal anche alla luce del rapporto sulla competitività che conferma quel che il Governo italiano ha sempre evidenziato;

2) a proporre in sede dell'Unione europea l'anticipo alla prima metà del 2025 della presentazione della relazione sui progressi sulla mobilità e della clausola di revisione del regolamento che definisce i livelli di prestazione in materia di emissioni di anidride carbonica delle autovetture nuove e dei veicoli commerciali leggeri nuovi, al fine di dare certezze alle imprese della filiera e ai consumatori;

3) a promuovere, anche in sede europea, percorsi di transizione della filiera italiana dell'automotive non solo verso l'elettrico ma anche verso soluzioni tecnologicamente ecologiche che utilizzino carburanti di nuova generazione come gli e-fuel (carburanti sintetici), biocarburanti e idrogeno, potenziando le misure di incentivazione delle attività di ricerca, sviluppo e innovazione tecnologica, nonché gli investimenti in beni strumentali;

4) a proporre in sede di Unione europea l'elaborazione e l'approvazione di un piano che preveda la costituzione di un Fondo con risorse comuni finalizzato a supportare la transizione all'elettrico dell'intera filiera;

5) a proporre in sede di Unione europea l'elaborazione di politiche volte a incentivare la realizzazione di veicoli a basso impatto a prezzi accessibili ai cittadini meno abbienti;

6) a convocare i vertici Stellantis per chiarire i termini del piano industriale del Gruppo in Italia, così come da impegni emersi nei lavori del tavolo al Ministero delle imprese e del made in Italy impegnando Stellantis a comunicare i dati dei dipendenti fuoriusciti dagli stabilimenti italiani attraverso la prassi (con accordi sindacali) delle dimissioni incentivate, così da valutare la congruità con il piano di sviluppo industriale;

7) a fornire aggiornamenti sui Memorandum of Understanding firmati con il Ministero dell'industria cinese e con le diverse case automobilistiche condividendo l'obiettivo di altre case produttrici in Italia;

8) a monitorare il nuovo progetto di Acc, sollecitando Stellantis a mantenere gli impegni presi e a mettere in sicurezza le risorse del Piano nazionale di ripresa e resilienza utilizzando eventualmente risorse che abbiano altre tempistiche di impegno più confacenti alle nuove modalità del progetto;

9) a valutare i risultati applicativi del decreto-legge 12 settembre 2023, n. 121, citato in premessa, riconsiderandone gli obiettivi e adottando le misure che si dovessero rendere necessarie per il suo aggiornamento.
(1-00335) «Caramanna, Barabotti, Squeri, Cavo, Antoniozzi, Andreuzza, Casasco, Colombo, Benvenuto, Polidori, Comba, Di Mattina, Giovine, Gusmeroli, Maerna, Maccanti, Pietrella, Toccalini, Schiano di Visconti, Zucconi».

(25 settembre 2024)

MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE IN MATERIA DI PARITÀ DI GENERE, CON PARTICOLARE RIGUARDO ALLE CONDIZIONI LAVORATIVE, ECONOMICHE E SOCIALI DELLE DONNE

   La Camera,

   premesso che:

    1) nel 1947, in un intervento all'Assemblea costituente, Teresa Mattei, affermò: «È nostro convincimento (...) che nessuno sviluppo democratico, nessun progresso sostanziale si produce nella vita di un popolo se esso non sia accompagnato da una piena emancipazione femminile; e per emancipazione noi non intendiamo già solamente togliere barriere al libero sviluppo di singole personalità femminili, ma intendiamo un effettivo progresso e una concreta liberazione per tutte le masse femminili e non solamente nel campo giuridico, ma non meno ancora nella vita economica, sociale e politica del Paese»;

    2) a oltre 70 anni da questo intervento, il Presidente della Repubblica nel messaggio che ha inviato, il 16 settembre 2024 al convegno il «Tempo delle donne» ha, tra l'altro, affermato «Nei rapporti di lavoro occorre rispettare i diritti di parità e di eguaglianza, previsti dalla nostra Costituzione. Ancor oggi nel lavoro femminile sono presenti ostacoli, rallentamenti e disparità, per l'accesso, nella retribuzione, nella progressione di carriera, negli incarichi di vertice. Le barriere possono alzarsi fino a giungere a inaccettabili e odiose discriminazioni: licenziamenti, dimissioni in bianco, pressioni indebite, persino forme di stalking e di violenza, fisica o psicologica», e proseguendo ha esortato alla rimozione degli «ostacoli che rendono difficile la conciliazione tra occupazione e cura della famiglia. Il lavoro non allontana la donna dalla maternità. È vero il contrario: l'occupazione femminile è un fattore che sostiene in modo decisivo la famiglia e le nascite.»;

    3) l'uguaglianza di opportunità sociali e giuridiche tra i generi, oltre ad essere un diritto fondamentale di rango costituzionale, è un principio cardine dell'Unione europea, riconosciuto dal Trattato di Roma del 1957 e dalla Carta dei diritti fondamentali, nonché un principio chiave del pilastro mondiale dei diritti sociali;

    4) il mancato raggiungimento dell'uguaglianza tra le donne e gli uomini in ogni settore della vita sociale è anche drammaticamente rappresentato dal persistere di comportamenti di violenza, fisica e/o psicologica nei confronti delle donne, che rappresenta solo la punta dell'iceberg di un fenomeno culturale, molto più ampio, legato al fenomeno millenario della misoginia, nonostante i passi in avanti che, indubbiamente, le legislazioni di alcuni Paesi hanno compiuto negli ultimi anni per contrastare la violenza di genere;

    5) nell'Unione europea nessuno Stato membro ha ancora raggiunto la piena uguaglianza e i progressi rimangono lenti e insufficienti, sia in Europa che a livello globale, e l'Italia è lontana dall'obiettivo;

    6) i progressi sono lenti e i divari di genere persistono nel mondo del lavoro e a livello di retribuzioni, assistenza e pensioni; nelle posizioni dirigenziali e nella partecipazione alla vita politica e istituzionale, benché, a livello globale, il raggiungimento dell'uguaglianza per le donne e per le ragazze rappresenti uno dei 17 obiettivi di sviluppo sostenibile che gli Stati si sono impegnati a raggiungere entro il 2030;

    7) la centralità delle questioni relative al superamento delle «disparità di genere» viene ribadita anche nel Piano nazionale di ripresa e resilienza per rilanciare lo sviluppo nazionale in seguito alla pandemia. Il Piano, infatti, la individua come una delle tre priorità trasversali perseguite in tutte le missioni che compongono il Piano. L'intero Piano dovrà inoltre essere valutato in un'ottica di gender mainstreaming;

    8) il principio della parità retributiva per uno stesso lavoro, o per uno di pari valore, è sancito dai Trattati europei e il Trattato di Lisbona del 2009 non solo ha riaffermato il principio di uguaglianza tra donne e uomini, anche in ambito lavorativo, ma lo ha inserito tra i valori fondanti dell'Unione;

    9) il principio di uguaglianza e la lotta contro la violenza maschile sulle donne sono sostenuti da numerosi atti di legislazione ordinaria e applicati dalla giurisprudenza della Corte di giustizia europea;

    10) la proposta di direttiva della Commissione sulla trasparenza retributiva, adottata il 4 marzo 2021, e approvata il 30 marzo 2023 dal Parlamento europeo, introduce misure volte a garantire la parità di retribuzione tra donne e uomini nell'Unione europea per uno stesso lavoro; le nuove norme possono garantire una maggiore trasparenza e un'applicazione efficace del principio della parità retributiva tra donne e uomini e possono migliorare l'accesso alla giustizia per le vittime di discriminazione retributiva, gli Stati membri dovranno prevedere sanzioni efficaci, proporzionate e dissuasive per i datori di lavoro che non rispettano tali regole; per la prima volta, sono stati inclusi nell'ambito di applicazione delle nuove norme la discriminazione intersezionale e i diritti delle persone non binarie;

    11) la direttiva (UE) 2023/970 approvata il 10 maggio 2023 prevede che, a partire da giugno 2026, le aziende debbano rendere facilmente accessibili i criteri utilizzati per determinare la retribuzione, i livelli retributivi e la progressione economica. Inoltre, dovranno obbligatoriamente condividere con i candidati la retribuzione prima dell'assunzione. L'obiettivo primario è quello di garantire la parità salariale per le persone che svolgono le stesse mansioni;

    12) con la successiva direttiva UE 2024/1500 del 14 maggio 2024 il legislatore europeo ha affrontato il tema della parità di genere in materia di occupazione e impiego, dettando norme orientate a migliorare e a rafforzare il funzionamento degli organismi per la parità (già previsti dalle direttive 2006/54/CE e 2010/41/UE), con l'obiettivo di consolidare l'indipendenza dei già menzionati organismi, i quali devono essere liberi da influenze esterne, non dovendo accettare istruzioni dal Governo o da enti pubblici o privati, attribuendo, altresì, a tale organismi rilevanti funzioni;

    13) anche a livello di legislazione nazionale sono state introdotte e si sono succedute norme dirette a contrastare e a rimuovere gli ostacoli di fatto che impediscono la realizzazione delle pari opportunità;

    14) pur a fronte di una crescente sensibilità delle politiche europee e nazionali e di una aumentata attenzione al fenomeno da parte delle Istituzioni, il divario di genere nel mondo del lavoro risulta essere ancora oggi per il nostro Paese uno dei fattori di disparità maggiormente persistenti;

    15) la costante inferiorizzazione delle donne è una condizione legata a un retaggio storico, culturale e giuridico che ha origini molto antiche. Gli avvenimenti storici dimostrano, seppur con parentesi positive, il forte divario lavorativo, prima, e salariale, poi, tra uomo e donna; le donne, infatti, vivono costantemente penalizzazioni sul lavoro nel momento in cui diventano madri. Il connubio tra un vetusto modello patriarcale e il sistema neoliberista reintroduce il vecchio «Male breadwinner», che si può tradurre così: «è l'uomo che deve portare il pane a casa». In una prospettiva globale, il World economic forum, che ogni anno pubblica il World gender gap report sulla base di un'attenta analisi che copre circa 146 Paesi (Italia inclusa), ha messo in luce come la disparità di genere tra uomo e donna nel mercato del lavoro riversi ancora in una situazione di stallo con margini residuali di crescita;

    16) l'11 giugno 2024 il World economic forum ha pubblicato la nuova edizione del Global gender gap report aggiornata al 2024: secondo la nuova classifica nel 2024 l'Italia ha registrato un Global gender gap index score pari a 0,703, in leggero calo rispetto al 2023 (-0,002). Questo calo ha causato all'Italia una perdita di otto posizioni in classifica, finendo all'ottantasettesimo posto su 146 Paesi monitorati; anche nel 2023 l'Italia era scesa in graduatoria, perdendo 16 posizioni e piazzandosi al posto numero 79;

    17) il Rapporto annuale 2023 dell'Istat evidenzia come avere un figlio in Italia comporti una probabile esclusione della donna dal mercato del lavoro. Nella maggioranza delle coppie, in cui spesso accade che è più istruita del partner, la donna o non lavora o viene intesa come percettrice secondaria. Questo riflette la disuguaglianza di genere presente nel mercato del lavoro e, a sua volta, la disparità dei compiti lavoro-famiglia; d'altra parte, in Italia emerge chiaramente dalle statistiche la diversa distribuzione del carico di lavoro familiare all'interno della coppia: nell'indagine sugli aspetti di vita quotidiana condotta da Istat, il tempo dedicato alla cura della casa e della famiglia è ben maggiore per le donne (15,4 per cento) rispetto agli uomini (6 per cento). Nel momento in cui, però, la donna riesce a entrare nel mercato del lavoro, con principali difficoltà nei ruoli C-suite (ruoli dirigenziali), diviene vittima di un particolare fenomeno qualificato come gender pay gap, ossia un divario retributivo di genere, in cui a parità di mansioni o quantità/qualità del lavoro prestato, l'uomo percepisce comunque una retribuzione più elevata;

    18) focalizzando l'analisi sulle donne che partecipano al mercato del lavoro, la condizione di disuguaglianza si manifesta sia nei livelli retributivi, sia nella ridotta presenza ai ruoli apicali. Il «gender pay gap» a livello italiano è del –10,7 per cento, secondo le elaborazioni di Odm Hr ConsultingGi Group holding su dati dell'Osservatorio sul lavoro dipendente dell'Inps per gli anni 2019-2022, pari a un gap che va dai circa 3.000 euro a oltre 16.000 euro in meno a seconda dell'inquadramento (in termini di retribuzione fissa annua lorda). Il gender pay gap, che si era ridotto fra il 2017 e il 2019, ha poi ripreso a crescere raggiungendo e superando il 10 per cento nel 2022. Il trend di aumento del divario si è stabilizzato attestandosi in chiusura 2023 su una media del 10,7 per cento. Guardando ai singoli inquadramenti, il divario percentuale, e anche in termini di valore assoluto, più ampio tra retribuzione fissa media di uomini e donne si riscontra nell'inquadramento dirigenti. Inoltre, negli ultimi anni le donne sono sempre più protagoniste di rapporti di lavoro non-standard, ossia rapporti caratterizzati da una ridotta continuità nel tempo e/o da una bassa intensità lavorativa (sempre come da dati Istat);

    19) secondo il gender equality index (indice sull'uguaglianza di genere) dell'Unione europea 2022 pubblicato dall'Istituto europeo per l'uguaglianza di genere (Eige), se si continua al ritmo attuale, la parità di genere all'interno dell'Unione europea diventerà realtà solo tra 60 anni. A livello globale, l'uguaglianza di genere è lontana su certi indici anche di 300 anni, come ha sottolineato il Segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres alla United Nations Commission on the status of women nel marzo 2023;

    20) nel dettaglio, il citato rapporto annuale sintetizza la parità di genere dei 27 Stati membri dell'Unione europea in un unico dato che rappresenta la combinazione delle performance tracciate tramite 31 indicatori che compongono sei dimensioni: lavoro, denaro, conoscenza, tempo, potere e salute. Nell'ultima edizione relativa al 2023, emerge come l'Italia si collochi al tredicesimo posto della classifica, con 68,2 punti su 100, sotto la media europea che si attesta a 70 punti. Fra gli indicatori, i peggiori riguardano proprio il lavoro: l'Italia è infatti ultima in Europa per quanto riguarda la parità di genere nel mondo del lavoro, con un punteggio di 63,2 (la media europea è di 71,76) e un livello di partecipazione femminile al lavoro tra i più bassi (68,1 contro 81,3);

    21) nell'ambito lavorativo, le donne in Italia sono ancora molto sottorappresentate, specialmente nei campi dell'energia e dei trasporti. Nel 2022, solo il 26 per cento dei professionisti nel settore energetico italiano erano donne. Analogamente, le donne costituivano solo il 20 per cento del personale nel settore dei trasporti;

    22) i dati Eurostat riferiti al 2023 mostrano che in Italia c'è un tasso di occupazione delle donne tra i 15 e i 64 anni pari al 51,1 per cento, sotto la media europea che si attesta al 64,9 per cento, ma soprattutto con un gap di 18,1 punti percentuali rispetto agli uomini, il cui tasso di occupazione è pari al 69,2 per cento. Sopra la media dell'Unione europea del 30 per cento, invece, il tasso di inattività femminile che per l'Italia è al 43,6 per cento. Il quadro si completa con i dati Inps sul lavoro dipendente. I lavoratori a tempo determinato e indeterminato sono per il 71 per cento uomini e solo il 29 per cento donne. Divario che si amplia per i dirigenti (solo 21 per cento di donne) ed è invece lievemente inferiore per quadri e impiegati, confermando quindi non solo una maggiore difficoltà di ingresso delle donne nel mondo del lavoro, ma anche la persistenza del cosiddetto soffitto di cristallo; il divario nei livelli occupazionali maschile e femminile in Italia è uno dei più elevati nell'Unione europea e tra le lavoratrici, quasi 1,9 milioni di donne sono costrette al part-time involontario, contro 849 mila uomini nelle stesse condizioni; l'occupazione femminile è particolarmente bassa nel Mezzogiorno (32,2 per cento) e nelle isole (33,2 per cento): un dato significativo, perché tra le cinque regioni europee con i valori più bassi di occupazione femminile, quattro sono proprio nel Sud Italia;

    23) si osserva poi un peggioramento del gap di genere in presenza di figli, a favore della componente maschile. Nel 2022 il tasso di occupazione dei genitori (25-64 anni) con un figlio varia dall'82 per cento per gli uomini al 58,1 per cento per le donne e il divario si amplifica con un numero superiore di figli. Questo vuol dire che, anche a causa di un'adeguata presenza di servizi per la conciliazione vita-lavoro, in una coppia sono più spesso le donne a uscire dal mercato del lavoro per dedicarsi alla cura dei figli, mentre l'uomo si concentra sulla carriera professionale; le donne godono infatti di minore flessibilità rispetto agli uomini, in particolare le lavoratrici laureate. Queste disuguaglianze sono in larga parte il riflesso della «specializzazione» di genere tra lavoro retribuito e non retribuito, in virtù del quale le donne più frequentemente accettano retribuzioni inferiori a fronte di vantaggi in termini di flessibilità e orari;

    24) all'interno dei consigli di amministrazione la presenza di donne è cresciuta arrivando al 43 per cento, ma meno del 5 per cento di queste ricopre ruoli esecutivi e solo il 2 per cento la carica di amministratrice delegata. Dopo la legge «Golfo-Mosca», che ha portato a un aumento della presenza femminile all'interno dei consigli di amministrazione; un'ulteriore spinta viene data dalla certificazione della parità di genere (UNI/PdR 125:2022), ossia un'attestazione a valore nazionale di validità triennale che le imprese possono richiedere su base volontaria e che viene loro riconosciuta a condizione che dimostrino di aver fatto proprio il paradigma della «parità di genere» nella loro cultura, strategia e piani di azione al fine di ridurre al proprio interno le disuguaglianze uomo-donna. Anche dal punto di vista imprenditoriale la componente femminile è arretrata: la quota di donne imprenditrici rappresenta nel 2021 il 30 per cento dell'ammontare complessivo; la situazione è migliore tra le libere professioniste (37,4 per cento, mentre è più bassa l'incidenza in caso di società di capitale (26 per cento);

    25) un altro elemento che influisce sulla partecipazione delle donne al mercato del lavoro è l'indirizzo disciplinare scelto. È noto, infatti, che alcuni stereotipi di genere influiscono sul percorso formativo scelto dalle donne che, ad esempio, si orientano verso gli indirizzi Stem (science, technology, engineering e mathematics) in misura ben più contenuta degli uomini. Nell'anno accademico 2022-23, le ragazze rappresentano solo il 37 per cento degli iscritti ai corsi di laurea in discipline Stem, con differenze ancora più evidenti nei percorsi Ict (information and communication technologies) 16 per cento donne a fronte di un 84 per cento uomini;

    26) i dati più recenti mostrano che in Italia i lavoratori di genere maschile sono meno istruiti rispetto alle donne: secondo dati Istat, in Italia nel 2021 le donne laureate sono pari al 57,2 per cento in netto vantaggio rispetto alla controparte maschile. Nonostante questo, uno degli ambiti in cui il divario di genere è più evidente rimane il gender pay gap, ossia le disparità salariali, proprio la finanza e le professioni Stem sono i settori nei quali si evidenziano i gap salariali maggiori a favore degli uomini, con una retribuzione oraria per i dipendenti maschili superiore ai 2 euro all'ora, che arriva a 5 euro nei servizi finanziari;

    27) a corroborare queste evidenze contribuisce anche il Gender policies report 2022, la pubblicazione dell'Inapp (Istituto nazionale per l'analisi delle politiche pubbliche) che ogni anno monitora le differenze di genere nel mondo del lavoro. Le statistiche evidenziano che il divario uomo-donna resta immutato nel tempo e sempre sbilanciato sulla componente maschile, perché la partecipazione femminile è ancora oggi ostaggio di criticità strutturali: occupazione ridotta, prevalentemente precaria, part-time e in settori a bassa remuneratività o poco strategici; dunque, la situazione femminile, pur migliorata in termini assoluti, peggiora in termini relativi;

    28) è facilmente intuibile come la delineata discriminazione di genere nel mondo del lavoro abbia importanti conseguenze nel settore previdenziale: il divario di genere a livello occupazionale e retributivo, che si accumula nell'arco di una vita, conduce infatti a un divario pensionistico ancor più accentuato e, di conseguenza, comporta per le donne in età avanzata un maggior rischio di povertà rispetto agli uomini;

    29) le carriere delle donne sono più brevi, principalmente a causa del loro ruolo e degli impegni familiari: la maternità e la cura dei minori, dei familiari anziani, malati o disabili e di altre persone a carico, rappresentano un lavoro supplementare o talvolta a tempo pieno, gratuito, quasi esclusivamente delle donne, e ciò ha un impatto enorme sulla loro capacità di accumulare una pensione completa;

    30) per questo con l'articolo 1, comma 9, della legge 23 agosto 2004, n. 243, era stata introdotta una misura denominata «opzione donna» che consentiva alle donne di accedere all'assegno pensionistico con requisiti anagrafici più favorevoli rispetto a quelli in vigore, optando per il sistema di calcolo contributivo dell'intero trattamento pensionistico, senza ulteriori penalizzazioni. La misura, rivelatasi del tutto insufficiente negli anni e non risolutiva del problema del divario previdenziale di genere, di recente è stata ulteriormente ridimensionata attraverso la legge di bilancio per il 2023 (articolo 1, comma 292, della legge 29 dicembre 2022, n. 197);

    31) i dati 2022 dell'Osservatorio Inps evidenziano come le pensioni delle donne valgano circa il 30 per cento in meno rispetto a quelle degli uomini: per questi ultimi l'assegno medio è di 1.381 euro, per le donne la media è di 976 euro. In generale, gli uomini percepiscono pensioni mediamente più elevate rispetto alle donne, arrivando a essere quasi il doppio (+81,5 per cento) nel Settentrione per la categoria vecchiaia;

    32) l'analisi dei dati evidenzia la generale inadeguatezza degli strumenti normativi finora ideati dal legislatore, finalizzati al raggiungimento degli obiettivi prefissati in tema di uguaglianza di genere e nello specifico diretti a ridurre il «gender pay gap», i quali, pur avendo prodotto in taluni miglioramenti anche consistenti, si rilevano nel complesso ancora insufficienti per condurre al radicale e definitivo superamento del problema;

    33) ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo si registra un netto e deciso cambio di rotta da parte dell'attuale Governo, volto a indirizzare il Paese in direzione opposta rispetto a quella auspicabile del riconoscimento dell'autodeterminazione delle donne, della parità di genere e del superamento delle discriminazioni nel mondo del lavoro: l'orientamento, sorretto da un'idea arcaica e sorpassata di famiglia e genitorialità, parrebbe essere quello di relegare il genere femminile ai tradizioni ruoli di cura e assistenza familiare, in tutto con l'obiettivo di incentivare la natalità, dichiarato obiettivo prioritario del Governo Meloni;

    34) la strategia del Governo Meloni per i firmatari del presente atto è fallimentare, come dimostra il tasso di occupazione femminile in Italia, che secondo gli ultimi dati Eurostat, è il più basso tra gli Stati europei, attestandosi 14 punti sotto la media. Come rivela peraltro un dossier pubblicato dal Servizio studi della Camera dei deputati, nel quarto trimestre del 2022, il divario tra popolazione maschile e femminile è piuttosto ampio sia dal punto di vista occupazionale – sono 9,5 milioni le donne occupate mentre gli uomini sono 13 milioni – sia retributivo. Il dato che parla di risicato aumento del tasso di occupazione femminile va quindi contestualizzato: non riporta i numeri di quante sono costrette a un part-time per poter conciliare il lavoro e la famiglia: nella fascia di età compresa tra i 25 e i 54 anni, con un figlio minore il tasso di occupazione per le donne (madri) si ferma al 63 per cento contro il 90,4 per cento di quello degli uomini (padri); con due figli minori, poi, l'occupazione femminile scende addirittura al 56,1 per cento, mentre crescono i padri che lavorano (90,8 per cento), con un divario che arriva a ben 34 punti percentuali;

    35) il cosiddetto «bonus mamme» previsto dalla legge di bilancio per il 2024 è una misura selettiva: l'esenzione dei contributi previdenziali spetta infatti solo a determinate categorie di donne, ovvero madri lavoratrici dipendenti, con un contratto a tempo indeterminato, con tre o più figli (con al massimo 18 anni di età), una quota molto ridotta;

    36) parimenti inadeguata la misura del «bonus asilo nido» per le famiglie con un reddito Isee fino a 40 mila euro, che hanno almeno un figlio con meno di 10 anni di età e che ne hanno un altro dal 1° gennaio 2024, soprattutto a fronte del taglio dei fondi europei del PNRR destinati alla creazione dei servizi di educazione e cura a favore della prima infanzia: tagli previsti dalla revisione proposta dalla maggioranza e approvata dalla Commissione europea il 24 novembre 2023, che consistono nella riduzione da 264.480 a 150.480 dei nuovi posti da creare, riducendo lo stanziamento previsto da 4,6 miliardi di euro a 3,2 miliardi di euro. Il tutto in pieno contrasto con l'obiettivo dell'Unione europea al 2030 di 45 posti al nido ogni 100 bambini, considerando che nel Mezzogiorno del Paese attualmente i posti disponibili sono solo 16 su 100 bambini;

    37) a riprova di quello che ai firmatari del presente atto appare il generale orientamento oscurantista e misogino del Governo, oltre le recentissime posizioni esternate in occasione della stesura del documento conclusivo del G7 tenutosi in Puglia il 13-14 e 15 giugno 2024 in tema di diritto di aborto, anche il recente voto contrario delle forze di maggioranza alla direttiva sulla trasparenza salariale votata dal Parlamento europeo. Voto contrario, quest'ultimo, in evidente contrasto con quanto affermato in data 28 giugno 2023 dalla Viceministra del lavoro e delle politiche sociali Bellucci, nell'ambito della discussione alla Camera dei deputati della legge 3 luglio 2023, n. 85, di conversione, con modificazioni, del decreto-legge n. 48 del 2023, recante «Misure urgenti per l'inclusione sociale e l'accesso al mondo del lavoro», con riguardo all'ordine del giorno n. 9/1238/113 a prima firma Ghirra. In tale sede la Viceministra dichiarava il parere non contrario del Governo alla direttiva europea n. 2021/0050 dell'11 aprile 2023 sulla trasparenza retributiva e negava il parere favorevole all'ordine del giorno citato nel punto in cui chiedeva l'estensione delle nuove norme alle aziende con meno di 100 dipendenti, sulla base del fatto che la direttiva non fosse stata ancora approvata definitivamente;

    38) realizzare l'uguaglianza di genere e migliorare le condizioni di vita delle donne sono obiettivi fondamentali dell'Agenda 2030 e requisiti imprescindibili per la costruzione di una società realmente giusta e sostenibile. Secondo i dati World economic forum 2023, l'inclusione delle donne nelle aziende sarebbe in grado di aumentare il prodotto interno lordo mondiale fino al 35 per cento. Il sopracitato rapporto Boston consulting group evidenzia, inoltre, come nel 2022 le aziende con almeno il 30 per cento di dirigenti donne abbiano registrato un aumento del 15 per cento della redditività,

impegna il Governo:

1) ad adottare iniziative normative per promuovere con urgenza una generale riforma diretta a introdurre l'assoluto divieto di discriminazione di genere in materia salariale, in attuazione della direttiva sulla trasparenza salariale, con la previsione di adeguate sanzioni in caso di violazione del divieto;

2) a promuovere ogni iniziativa di competenza per incentivare la stabile e qualificata occupazione femminile, al contempo riducendo i disincentivi al lavoro attualmente esistenti per le donne;

3) a promuovere un piano straordinario per l'occupazione femminile e politiche, anche promuovendo il reinserimento professionale delle donne che hanno lasciato il lavoro da più tempo, nonché misure efficaci per il sostegno alle imprese femminili;

4) a dare concreta applicazione alla Convenzione n. 190 dell'Organizzazione internazionale del lavoro «contrasto alle molestie, molestie sessuali e violenze sul posto di lavoro», ratificata dall'Italia e ancora introdotta nella normativa nazionale, e nello specifico ad adottare iniziative normative volte a introdurre il reato di molestie nei luoghi di lavoro, con la previsione di adeguate sanzioni penali a carico dei responsabili e l'obbligo per le aziende di prevedere specifici protocolli preventivi del fenomeno;

5) a promuovere le opportune iniziative finalizzate a sostenere la domanda e l'offerta di lavoro delle donne, rafforzando la disponibilità di servizi di cura per l'infanzia, per gli anziani e i familiari disabili, individuando, altresì, nuovi e adeguati stanziamenti diretti allo sviluppo di servizi di qualità per infanzia, anziani e disabili e misure per favorire una redistribuzione dei carichi di lavoro familiare all'interno della stessa, prevedendo, tra l'altro, investimenti straordinari e strutturali per il sistema pubblico integrato di educazione e istruzione per la fascia 0-6 anni, garantendo l'obiettivo del Piano nazionale di ripresa e resilienza del 33 per cento di servizi, individuato oltre 20 anni fa dalla Strategia di Lisbona, per fare della fascia 0-3 anni non più un servizio a domanda individuale ma un diritto universale;

6) ad adottare iniziative normative volte a ridurre il divario pensionistico di genere attraverso l'introduzione di nuovi e più efficaci strumenti e/o meccanismi previdenziali;

7) a promuovere campagne e progetti comunicativi e formativi sul rispetto dell'uguaglianza, declinato in rapporto alla cogenitorialità e alla condivisione dei compiti di cura nelle famiglie;

8) ad adottare iniziative normative volte a introdurre un congedo di genitorialità paritario di 6 mesi a genitore, introducendo un congedo di paternità di sei mesi per un periodo continuativo, con indennità al 100 per cento, di cui tre obbligatori e tre facoltativi, per usufruirne nell'arco dei primi dodici mesi di vita del bambino.
(1-00326) «Ghirra, Zanella, Piccolotti, Bonelli, Borrelli, Dori, Fratoianni, Grimaldi, Mari, Zaratti».

(18 settembre 2024)

   La Camera,

   premesso che:

    1) secondo i dati pubblicati da Istat nel rapporto annuale 2024, il tasso di occupazione in Italia è al 62 per cento, ossia 8 otto punti sotto la media europea. Inoltre, l'Italia vanta un primato anche per numero di inattivi, donne e giovani senza lavoro, part time involontario, retribuzioni basse, scarsa produttività, lavoro povero, sommerso e lavoro autonomo, da vent'anni sacca fantasma di precarietà; anche in base ai dati Eurostat 2023, l'Italia è il Paese con il tasso di occupazione più basso fra i Paesi dell'Unione europea e registra una crescita più lenta rispetto ai Paesi europei anche sul fronte dei salari;

    2) sempre secondo Istat, negli ultimi vent'anni l'occupazione italiana è cresciuta: in valore assoluto, da 22 a 24 milioni di occupati; come tasso, dal 57 al 62 per cento, da sempre uno dei più bassi in Europa (nello stesso arco temporale il tasso tedesco è salito di 13 punti);

    3) stante ciò, l'occupazione stabile, a tempo indeterminato, dice l'Istat nel suo Rapporto annuale, è «aumentata solo tra gli over 50», da 3 a 6 milioni di occupati, mentre è scesa in tutte le altre fasce d'età, anche per un fattore demografico: l'Italia invecchia, fa meno figli e le coorti degli anni '50-'60-'70 si spostano, trattenute al lavoro anche da riforme pensionistiche;

    4) c'è stato poi un incremento del lavoro a tempo determinato, così come di voucher, somministrazione, lavoro a chiamata e collaborazioni occasionali. Se la quota di occupati a tempo in Italia è in linea col resto d'Europa (16 per cento), così come il part time al 18 per cento è più o meno nella media europea, il nostro Paese è primo per part time involontario ossia non voluto, ma subìto, e più spesso dalle lavoratrici: si consideri che il 53 per cento degli occupati a tempo parziale è imposto, quota ferma a poco più di 1/3 solo vent'anni fa;

    5) nel triste primato italiano si concretizza quella che Istat chiama «doppia vulnerabilità»: contratti di collaborazione o a tempo determinato e anche a part-time. Questa parte dei lavoratori italiani è quella con i più bassi salari, sia orari che annuali, dal 30 al 60 per cento in meno degli altri: è la sacca del lavoro povero – quella che sarebbe in parte beneficiata dal salario minimo; in Italia purtroppo la flexsecurity è diventata precarietà cronica, senza sicurezza: non è stato dato più valore al lavoro e, pertanto, si è scivolati nella competizione globale col dumping salariale, spesso diventando fornitori di lavoro a basso costo. I dati di oggi sull'occupazione in crescita non devono pertanto trarre in inganno: il punto non è solo quanto «più lavoro» purchessia posto che, laddove aumenta l'occupazione in virtù di un basso costo del fattore lavoro, allora ne consegue un mancato aumento dei salari come del reddito e della distribuzione, ovverosia un mancato incremento corrispondente in termini di prodotto interno lordo e di crescita reale per il sistema Paese;

    6) con riguardo alla questione femminile, secondo i dati Istat, il divario nel tasso di occupazione rispetto all'Unione europea supera i 12 punti percentuali. Anche secondo il rapporto pubblicato solo il 10 settembre 2024 dall'Ocse, dal titolo Education at a glance 2024, sebbene ragazze e donne continuino ad eccellere in ambito scolastico e nei tassi di completamento degli studi, questi successi non si riflettono in pari opportunità lavorative: per esempio, le donne tra i 25 e i 34 anni senza diploma di scuola secondaria superiore hanno un tasso di occupazione del 47 per cento, ben 25 punti percentuali inferiore a quello dei loro coetanei maschi. Anche tra le donne con una qualifica terziaria, il divario persiste: l'84 per cento di loro è occupato, rispetto al 90 per cento degli uomini con lo stesso livello di istruzione; sulla differenza di genere nessun altro Paese dell'Ocse evidenzia un divario così marcato: le donne laureate in Italia guadagnano solo il 58 per cento dello stipendio dei loro colleghi maschi. Questa disparità è particolarmente significativa se confrontata con la media degli altri Paesi – dove le donne percepiscono in media il 17 per cento in meno rispetto agli uomini – e deriva da «fattori complessi che includono la segregazione occupazionale, pregiudizi nelle pratiche di assunzione e opportunità diseguali di fare carriera», si legge nel rapporto. Le donne hanno meno probabilità degli uomini di ottenere una promozione o di ricevere un grosso aumento di stipendio quando cambiano lavoro;

    7) in aggiunta, gli stop alla carriera legati alla nascita di un figlio – e alla successiva necessità di avere maggiore flessibilità, anche a costo di uno stipendio più ridotto – continuano a colpire più le donne degli uomini. Senza contare che si parla solo di chi ha un lavoro a tempo pieno, e non del lavoro part time, determinato, di collaborazione occasionale o a partita Iva: in questi casi, vale quanto già sottolineato rispetto al «falso» incremento dell'occupazione e alla mancanza di investimenti per la crescita effettiva del prodotto interno lordo e del sistema Paese;

    8) secondo il rapporto annuale Istat, se in quasi tutti i Paesi europei nella fascia di età compresa fra 30 e 40 anni – fascia potenzialmente più coinvolta da scelte di genitorialità –, si apre un gap tra l'occupazione femminile e quella maschile che poi si ricompone più avanti, in Italia questo gap non si richiude più: in altri termini, nel nostro Paese, il problema vero non è sostenere le famiglie con incentivi alla natalità – scelta che deve rimanere nella sfera personale –, quanto aiutare i diversi nuclei a conciliare vita personale e professionale;

    9) non sorprende allora che il Presidente della Repubblica, nel messaggio che ha inviato il 16 settembre 2024 al convegno il «Tempo delle donne», abbia tra l'altro sottolineato come l'occupazione femminile sia un fattore che sostiene in modo decisivo la famiglia e le nascite e come pure siano però ancora presenti «ostacoli, rallentamenti e disparità, per l'accesso, nella retribuzione, nella progressione di carriera, negli incarichi di vertice», oltreché fenomeni come le «dimissioni in bianco, pressioni indebite, persino forme di stalking e di violenza»;

    10) in questa prospettiva, secondo i dati Eurostat (pubblicati nel rapporto annuale Employment and activity by sex and age a dicembre 2023), in Italia, una donna su cinque fuoriesce dal mercato del lavoro a seguito della maternità, mentre stando all'osservazione del mercato del lavoro nel 2011 e nel 2022, come riporta Inapp nel recente Rapporto plus 2023, si conferma che l'evento della maternità presenta caratteristiche rispetto all'occupazione femminile ricorrenti addirittura a distanza di un decennio. Tale ultimo aspetto riveste una particolare rilevanza in quanto indice della difficoltà per le donne di conciliare esigenze di vita con l'attività lavorativa. Difficoltà a loro volta fortemente connesse allo sbilanciamento nel care burden familiare che costituisce un persistente fattore critico per i livelli di occupazione femminile, con particolare riguardo anche alle sue declinazioni in attività domestiche, come emerge dal lavoro pionieristico del premio Nobel per l'economia 2023 Claudia Goldin;

    11) secondo il rapporto Istat Sdgs (Sustainable development goals) 2023, infatti, ad oggi la distribuzione del carico di lavoro per le cure familiari tra uomini e donne non migliora, mentre i dati ufficiali non sono in grado di descrivere la realtà dell'assistenza domiciliare e del lavoro domestico, a causa degli alti livelli di quello che la Commissione europea definisce «lavoro sommerso», o che comunemente si chiama pagamento in nero per i servizi di assistenza diretta e indiretta. Come si legge in una dichiarazione delle parti sociali di marzo 2022, «in base all'ultima indagine dell'Eurobarometro sull'argomento, è stato calcolato che circa il 34 per cento di tutto il lavoro sommerso svolto nell'Unione europea nel 2019 è relativo al settore dei servizi per la persona e la famiglia. Stime recenti rivelano che, tra i 9,5 milioni di lavoratori e lavoratrici domestiche presenti in Europa, almeno 3,1 milioni svolgono lavoro sommerso»;

    12) per quanto attiene all'Italia, come emerge chiaramente dai dati dell'osservatorio Domina, nel relativo quinto rapporto annuale 2024, l'occupazione femminile (che tradizionalmente si avvantaggia di più della collaborazione domestica) è più elevata proprio dove ci sono più lavoratori domestici: il report rileva infatti che oltre il 21 per cento del «prodotto interno lordo del lavoro domestico» italiano è prodotto in Lombardia e circa il 45 per cento nel Lazio, in Emilia-Romagna, Veneto, Piemonte e Toscana, ovvero nelle aree dove il tasso di occupazione femminile è più elevato e quello di disoccupazione è più basso;

    13) se per le donne esiste ancora una difficoltà nel conciliare le responsabilità familiari e quelle lavorative, il processo di evoluzione normativa in materia è stato caratterizzato da un significativo ritardo rispetto ad altri Paesi europei che hanno disciplinato il congedo paterno obbligatorio ben oltre i dieci giorni di congedo paterno previsti nel nostro Paese dal 2021: in Francia e Spagna i padri possono usufruire, rispettivamente, di quattro e di sedici settimane di congedo, mentre già nel 1974, prima al mondo, la Svezia sostituiva il congedo di maternità con quello parentale e oggi prevede cinquantadue settimane di congedo da ripartire con il partner, mentre la Norvegia assegna ai neogenitori ben quarantasei settimane di congedo;

    14) la conciliazione tra lavoro e genitorialità è nel nostro Paese ancora estremamente difficoltosa e la percezione sociale di un aumentato sostegno pubblico alla genitorialità, sul piano dei congedi, appare ancora debole: il sondaggio di opinione condotto da We World in collaborazione con Ipsos, tra il febbraio e il marzo 2022 su un campione di 1.000 genitori di bambini/e under 18, ha rivelato che solo un genitore su cinque sa che attualmente il congedo di paternità ha una durata di 10 giorni, mentre i dati dell'Istat riferiti al 2022 indicano che il tasso di occupazione delle donne di età compresa tra 25 e 49 anni con figli di età inferiore ai 6 anni è pari a 55,5 per cento rispetto a quello delle donne della stessa età senza figli che è del 76,6 per cento. In altre parole, i dati restituiscono una fotografia dell'Italia come Paese in cui il potenziamento degli istituti del congedo genitoriale realizzato nell'ultimo decennio, con particolare riferimento a quello paterno, non è stato ancora in grado di sostenere adeguatamente il binomio genitorialità/lavoro, in cui il livello di informazione sui congedi genitoriali è ancora scarso, ma dove pure si rileva un'emergente disponibilità dei giovani padri a condividere la cura filiale;

    15) l'occupazione femminile è poi caratterizzata anche da un accentuato divario retributivo di genere, nonché dal tipo di lavoro svolto dalle donne;

    16) per quanto concerne la differenza di retribuzione, secondo gli ultimi dati Eurostat già citati, il gap retributivo medio (ossia la differenza nella retribuzione oraria lorda tra uomini e donne) è pari al 5 per cento (al di sotto della media europea che è del 13 per cento, come riporta un comunicato stampa della Commissione europea del 14 novembre 2023), mentre quello complessivo (ossia la differenza tra il salario annuale medio percepito da donne e uomini) è pari al 43 per cento (al di sopra della media europea, che è invece pari al 36,2 per cento);

    17) secondo i dati dell'Osservatorio sui lavoratori dipendenti del settore privato dell'Inps, nel 2022 la retribuzione media annua è costantemente più alta per il genere maschile, con una differenza di 7.922 euro (26.227 euro per gli uomini contro 18.305 euro per le donne). Con riferimento a tale settore privato, si segnala che la Strategia nazionale per la parità di genere 2021-2026 ha tra gli obiettivi quello di ridurre il gender pay gap nel settore privato dal 17 al 10 per cento;

    18) dal punto di vista delle caratteristiche del lavoro svolto, la bassa partecipazione al lavoro delle donne è determinata da diversi fattori, come l'occupazione ridotta, in larga parte precaria, in settori a bassa remuneratività o poco strategici e una netta prevalenza del part time, che riguarda poco meno del 49 per cento delle donne occupate contro il 26,2 per cento degli uomini (si veda il Gender policies report 2022);

    19) tra le politiche sovranazionali volte a favorire l'occupazione femminile va ricordata la direttiva dell'Unione europea 2023/970 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 10 maggio 2023, che dovrà essere recepita entro il 7 giugno 2026. Tale direttiva stabilisce prescrizioni minime per rafforzare l'applicazione del principio della parità retributiva per uno stesso lavoro, in particolare attraverso una maggiore trasparenza dei dati sulle retribuzioni, condizione prodromica per la garanzia di un'effettiva parità retributiva che si basa sulla convinzione secondo cui una maggiore conoscibilità del sistema retributivo di un'azienda, dei dati effettivi del divario retributivo di genere, delle informazioni specifiche per ciascun lavoratore è elemento centrale e decisivo per prevenire ed eliminare la discriminazione retributiva e garantire la parità;

    20) similmente, con la successiva direttiva dell'Unione europea 2024/1500 del 14 maggio 2024, il legislatore europeo ha affrontato il tema della parità di genere in materia di occupazione e impiego, dettando norme orientate a migliorare e a rafforzare il funzionamento degli organismi per la parità (già previsti dalle direttive 2006/54/CE e 2010/41/UE), con l'obiettivo di consolidare l'indipendenza dei già menzionati organismi, i quali devono essere liberi da influenze esterne, non dovendo accettare istruzioni dal Governo o da enti pubblici o privati, attribuendo, altresì, a tale organismi rilevanti funzioni;

    21) sebbene il diritto alla parità di retribuzione per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore tra lavoratori di sesso femminile e maschile sia un principio fondamentale dell'Unione europea, l'effettiva attuazione di tale principio continua a incontrare una serie di ostacoli, come dimostra il dato sul divario retributivo di genere (gender pay gap) nell'Unione europea in base al quale le donne guadagnano, a parità di mansioni, in media il 13 per cento in meno rispetto agli uomini;

    22) il lavoro è uno degli ambiti in cui i divari di genere sono più visibili. Molto spesso le donne incontrano maggiori difficoltà a trovare un impiego e a coprire ruoli di prestigio e responsabilità. Secondo le stime contenute nella recente ricerca di Banca d'Italia «Le donne, il lavoro e la crescita economica», in Italia solo poco più di una donna su due ha un lavoro, con un tasso di occupazione femminile del 51,1 per cento, ben al di sotto della media europea del 65 per cento;

    23) anche in virtù di quanto già riportato in merito alla difficile conciliazione di vita e lavoro, le donne più svantaggiate sono quelle con figli, al contrario dei padri che riportano un tasso di occupazione più elevato. Preoccupante è in questo senso il dato evidenziato con riferimento alla cosiddetta child penalty sui redditi da lavoro nel nostro Paese: tra le madri occupate, a 15 anni dalla nascita dei figli, la retribuzione annua è circa la metà rispetto a quella delle donne senza figli;

    24) il differenziale tra retribuzioni, che si amplifica se si considera il divario retributivo complessivo di genere, determina ripercussioni a lungo termine sulla qualità della vita delle donne, le espone a un maggiore rischio di povertà e perpetua il divario retributivo pensionistico (gender pension gap), che è addirittura pari al 29 per cento nell'Unione europea;

    25) secondo il rapporto annuale dell'Inps pubblicato a settembre 2023, in media i pensionati percepiscono un importo mensile lordo superiore di oltre il 36 per cento a quello incassato dalle coetanee e la differenza sfiora il 38 per cento se si fa riferimento «solo» alle pensioni e alle indennità erogate dall'istituto. Per quanto poi attiene al settore pubblico, mentre i dipendenti fuori servizio per raggiunti limiti di età incassano 2.423,91 euro, le dipendenti di 1.831,97 (media lorda mese);

    26) il citato rapporto Inps certifica quello che milioni di lavoratrici e lavoratori già sanno, ossia che i fattori che creano e mantengono il divario di genere – in ambito lavorativo, nelle carriere, nelle retribuzioni, nei ruoli apicali – si riflettono anche nelle pensioni, con le donne svantaggiate, in eterna rincorsa dei coetanei, superati unicamente per le pensioni di reversibilità (legate ai redditi dei mariti defunti);

    27) sempre dai dati Inps si evidenzia un'altra differenza tra donne e uomini in relazione allo spostamento in avanti degli anni che bisogna avere per poter accedere alla pensione. L'età media per il collocamento a riposo è cresciuta per tutti: per gli uomini è passata da 62 anni nel 2012 a 64,2 nel 2014, per le donne è aumentata più lentamente, ma è arrivata a superare di cinque mesi quella dei coetanei: da 62,3 anni nel 2012 a 64,7 nel 2022. La ragione sta nella già richiamata discontinuità delle carriere femminili, che comporta ritardi nel raggiungimento dei requisiti contributivi per la pensione anticipata;

    28) da ultimo, la cosiddetta opzione donna ha sì consentito a molte donne di uscire prima dal mercato del lavoro, ma per le lavoratrici che hanno aderito a questa modalità il prezzo è stato la massiccia decurtazione dell'importo percepito: l'assegno medio è stato del 40 per cento più basso rispetto alla media di tutte le pensioni anticipate. Tale differenza sarebbe in parte riconducibile al ricalcolo contributivo, ma anche in parte alla minore contribuzione rispetto alle pensioni anticipate, oltre al fatto che la propensione a utilizzare l'opzione è maggiore tra le lavoratrici nelle classi di reddito più basse e quindi con minore contribuzione;

    29) trattando di gender gap nel mercato del lavoro, non si può prescindere da un approccio che parta dalla violenza sulle donne, troppo spesso ancora oggetto di molestie sul luogo di lavoro e non sufficientemente supportate nel mantenimento dell'occupazione e del reddito, oltreché nel percorso di reinserimento lavorativo laddove siano state vittime di violenza;

    30) con la Convenzione n. 190, dal 2019 l'Organizzazione internazionale del lavoro ha riconosciuto il diritto di tutte le persone a un mondo del lavoro libero dalla violenza e dalle molestie, comprese la violenza e le molestie di genere. Ratificata dall'Italia (secondo Paese europeo, dopo la Grecia) il 29 ottobre 2021, la Convenzione rappresenta la prima norma internazionale volta a fornire un quadro organico di intervento per prevenire e contrastare le molestie nel mondo del lavoro, ma soprattutto ne detta la prima definizione riconosciuta secondo cui le molestie sono un insieme di pratiche e di comportamenti inaccettabili che si prefiggono, causano o possono comportare un danno fisico, psicologico, sessuale o economico;

    31) secondo i dati del paper «The wage effect of workplace sexual harassment: evidence for women in Europe», pubblicato a maggio 2023 dall'Institute for new economic thinking, l'alto rischio di molestie sessuali penalizza le donne, riducendone i salari e contribuendo così ad aumentare il divario retributivo di genere. Si è infatti riscontrato un impatto negativo significativo del rischio di molestie sessuali sui salari delle donne occupate, che è maggiore per le lavoratrici altamente qualificate rispetto a quelle poco qualificate: il rischio di molestie sessuali riduce il premio salariale che le lavoratrici percepiscono per il fatto di essere impiegate in posizioni professionali apicali;

    32) lo studio conclude che, in Europa, le donne impiegate in occupazioni contro-stereotipate – sia in termini di status occupazionale (donne in posizioni apicali), sia in termini di composizione di genere (donne impiegate in ambienti di lavoro in cui la maggior parte delle posizioni apicali sono occupate da uomini) – sono altamente penalizzate, perché sperimentano le conseguenze più severe delle molestie sessuali sui loro salari. Questo tipo di pressioni va considerato quindi come costo aggiuntivo per le donne, anche perché può agire come disincentivo rispetto all'accettare lavori altamente qualificati, andando a incrementare la segregazione orizzontale e verticale di genere nei mercati del lavoro europei;

    33) per quanto attiene al nostro Paese, sebbene tra il 2015 e il 2022 l'Italia abbia speso complessivamente 157 milioni di euro contro la violenza (circa 20 per misure di sostegno al reddito, 124 per interventi di reinserimento e inserimento lavorativo delle donne fuoriuscite da situazioni di violenza, 12 per l'autonomia abitativa), stando a quanto emerge dallo studio «Diritti in bilico. Reddito, casa e lavoro per l'indipendenza delle donne in fuoriuscita dalla violenza» di ActionAid Italia, si tratta di cifre decisamente insufficienti, corrispondenti a circa 54 euro al mese per donna presa in carico non economicamente autonoma;

    34) oltre alla necessità di modificare l'attuale disciplina penale che identifica la violenza sessuale solo se agita con «violenza, minaccia o abuso di autorità» e, quindi, di riconoscere il fenomeno del cosiddetto freezing anche nei luoghi di lavoro – come d'altronde fa già da tempo l'Inail –, va garantita la possibilità di disporre di un reddito sufficiente, di un alloggio sicuro, di un lavoro dignitoso e di servizi pubblici ben funzionanti: si tratta di presupposti tutti essenziali per consentire alle donne non solo di abbandonare situazioni di violenza, ma anche di accelerare il loro processo di empowerment. Questi devono essere gli elementi costitutivi di una politica pubblica per supportare le donne nel loro percorso verso l'indipendenza economica. Si tratta sostanzialmente di garantire quei diritti economici e sociali tutelati da numerose leggi internazionali – inclusa la Convenzione di Istanbul – e dalla stessa Costituzione;

    35) ancora lontana, però, è la realtà quotidiana delle donne rispetto alle previsioni normative: come testimoniato dall'Istat nel corso dell'audizione svoltasi presso la XI Commissione (lavoro pubblico e privato) della Camera dei deputati il 27 febbraio 2024, quasi la metà delle donne che hanno avviato un percorso di uscita da una violenza subita non è infatti economicamente autonoma. La rilevazione sull'utenza dei centri antiviolenza non solo ha permesso di individuare le donne che hanno subìto violenza economica (nel complesso si tratta di 10.515 donne, il 40,2 per cento), ma anche una serie di segnali importanti della dipendenza economica della donna. La percentuale infatti aumenta al 74 per cento se si considerano le donne che presentano almeno una delle seguenti caratteristiche: non sono autonome economicamente, sono arrivate al centro antiviolenza con una richiesta di supporto all'autonomia, al lavoro o di natura economica, hanno subìto violenza economica o hanno usufruito del servizio di supporto all'autonomia da parte del centro antiviolenza;

    36) anche dall'analisi delle chiamate ricevute dal numero di pubblica utilità contro la violenza e lo stalking emerge un quadro preoccupante: nel 2023 le violenze economiche sono segnalate dal 19,7 per cento delle donne che contattano il numero 1522. Subiscono di più violenza economica le casalinghe (41 per cento), le lavoratrici in nero (32,9 per cento) e le disoccupate (30,6 per cento); per le occupate la percentuale è pari a 15,9 per cento. Inoltre, le donne che presentano situazioni economiche più svantaggiate subiscono più di frequente violenza dai partner con cui vivono: in particolare ciò si verifica per le disoccupate (53,7 per cento), le casalinghe (79,5 per cento) e le lavoratrici in nero (52,8 per cento);

    37) i dati raccolti evidenziano quindi ancora quanto il lavoro, l'occupazione femminile e l'indipendenza economica siano un valido e imprescindibile argine contro la violenza. In Italia, le politiche per l'inserimento lavorativo o il mantenimento dell'occupazione rivolte alle donne vittime di violenza sono poche e frammentarie. Nello specifico, per favorire l'inserimento lavorativo sono stati finanziati in maniera disorganica, generalmente a livello regionale, percorsi di formazione professionale, tirocini, attività di avvio all'autoimprenditorialità, a cui si sommano gli sgravi contributivi per le imprese – introdotti sperimentalmente a livello nazionale – per incentivare l'assunzione a tempo indeterminato di donne che hanno subìto violenza;

    38) la parità di genere è uno dei valori fondanti dell'Unione europea, al centro della Strategia per la parità di genere 2020-2025 e riconosciuta dai Piani di ripresa e resilienza adottati dai Governi degli Stati che ne fanno parte. I piani d'intervento nazionali riguardano soprattutto le differenze di genere sul mercato del lavoro, che restano marcate in alcuni Paesi come l'Italia;

    39) l'attuale contesto europeo vive una persistente fase di crisi che trae origine dalle conseguenze socioeconomiche della pandemia, dalla situazione di instabilità geopolitica alimentata dai conflitti in corso in Ucraina e Medio Oriente, nonché dall'emergenza climatica e ambientale globale. In tale scenario, le disparità di genere si moltiplicano e pongono ai Paesi europei vecchie e nuove sfide a cui le politiche pubbliche dovrebbero trovare risposte capaci di raggiunge l'intera popolazione;

    40) si tratta di scelte sul futuro che, stando ai dati appena usciti sulla composizione di genere del nuovo Parlamento europeo, saranno assunte da un consesso in cui la partecipazione femminile è in calo. A parte alcune conferme (Svezia e Finlandia sono i Paesi che hanno eletto più donne, rispettivamente 62 e 60 per cento), infatti, la media europea di presenza femminile passa dal 41 per cento del 2019 al 39 per cento nel 2024: per la prima volta nella storia del Parlamento europeo la presenza delle donne non cresce e si registra un passo indietro. Una dinamica che riguarda anche l'Italia, che dopo queste elezioni risulta ben al di sotto della media dell'Unione europea con il 33 per cento, mentre nel 2019 le donne erano il 41 per cento;

    41) altra notizia negativa la si apprende leggendo il rapporto Draghi su «Il futuro della competitività europea», presentato il 9 settembre 2024 a Bruxelles: alzando lo sguardo verso un futuro di più lungo termine, dentro uno scenario economico-finanziario soggetto a continui e repentini cambiamenti, specie negli ultimi anni, la prospettiva di genere pare quasi completamente assente. Il sintetico riferimento alla crescita della quota femminile della forza lavoro, come fattore di aumento del contributo del lavoro alla crescita, non basta come indicazione in un Rapporto che ambisce ad indicare la strategia per affrontare le sfide future: stando ai dati del Global gender gap report 2024, ad oggi servirebbero 134 anni per raggiungere la piena parità, circa cinque generazioni in più rispetto all'obiettivo di sviluppo sostenibile fissato al 2030; la correlazione positiva tra occupazione femminile e livello del prodotto interno lordo è invero ormai stimata da numerose organizzazioni internazionali: più donne al lavoro significa maggiore produzione e creazione di valore aggiunto che si converte in prodotto interno lordo. Non si tratta solo di livello di prodotto interno lordo, ma anche di crescita in termini reali e di benessere sociale perché il lavoro femminile innesca una spinta ulteriore di domanda di lavoro e un circolo virtuoso di opportunità;

    42) diverso è stato infatti il caso del Piano nazionale di ripresa e resilienza che, al fine di rilanciare lo sviluppo nazionale in seguito alla pandemia, ha individuato nel superamento delle «disparità di genere» una delle tre priorità trasversali perseguite in tutte le missioni che compongono il Piano stesso, in un'ottica di gender mainstreaming;

    43) uno studio dell'Istituto europeo per l'uguaglianza di genere (Eige) sui «vantaggi economici dell'uguaglianza di genere» fornisce nuovi solidi riscontri obiettivi dai quali emergono gli impatti positivi della riduzione delle disparità di genere nel mercato del lavoro. Tra le misure a favore dell'uguaglianza di genere che possono ridurre i divari di genere, si segnalano in particolare: offerta di assistenza all'infanzia e altre forme di assistenza, cambiamenti della retribuzione e delle condizioni di fruizione del congedo parentale, promozione e sostegno di contratti di lavoro a tempo parziale e flessibili, disposizioni legislative e politiche in materia di parità di retribuzione e di condizioni di lavoro, eliminazione della segregazione di genere a livello di settori e di posti di lavoro e riduzione del numero di interruzioni di carriera tra le donne;

    44) la stima dell'Istituto europeo per l'uguaglianza di genere sulla crescita del prodotto interno lordo in Europa mostra che, entro il 2050, promuovere la parità di genere in uno scenario di progresso rapido rispetto a quello lento potrebbe aumentare il prodotto interno lordo pro capite in Europa dal 6,1 al 9,6 per cento. Si tratta di un ammontare tra i 1,95 e i 3,15 milioni di milioni di euro. Inoltre, nei Paesi che hanno una situazione di partenza della parità di genere più arretrata, come l'Italia, il potenziale impatto sul prodotto interno lordo è maggiore: i guadagni di prodotto interno lordo potrebbero arrivare nel 2050 a circa il 12 per cento,

impegna il Governo:

1) al fine di rilanciare il sistema Paese, ad adottare iniziative, anche di carattere normativo, volte a predisporre un piano straordinario e urgente volto a sostenere e promuovere l'occupazione femminile, la conciliazione tempi di vita e lavoro, in particolare:

  a) adottando iniziative di programmazione concrete che riorganizzino ogni servizio suscettibile di supportare e sostituire il lavoro di cura prevalentemente svolto dalle donne, anche attraverso:

   1) la disponibilità di servizi socio-educativi per la prima infanzia quale diritto esigibile di tutti i bambini e il rafforzamento della rete degli asili nido, a partire dai territori più deprivati, con copertura dei posti, adeguati standard qualitativi e condizioni di accessibilità eque e compatibili con le potenzialità di spesa delle famiglie;

   2) il riconoscimento e l'acquisizione di un valore economico del lavoro di cura e domestico, cruciale per la partecipazione femminile al mercato del lavoro e per una maggiore conciliazione vita-lavoro, in particolare adottando un serio piano di sostegno all'occupazione in questo settore, suscettibile di determinarne una maggiore produttività e una conseguente riduzione dell'area sommersa;

   3) la promozione di progetti a livello comunale che, sostenendo l'occupazione, rispondano in maniera più prossima alle esigenze legate alla cura e all'assistenza, con effetti positivi sia per le famiglie che per coloro che prestano il servizio;

   4) l'incentivazione della creazione di asili nido aziendali attraverso l'istituzione di un «Fondo» nell'ambito dello stato di previsione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali;

   5) l'adozione di modelli flessibili di organizzazione del lavoro come la riduzione dell'orario di lavoro a parità di salario e lo smart working, con particolare attenzione ai soggetti fragili e ai genitori con figli di età inferiore ai 14 anni;

  b) prevedendo iniziative volte a un'estensione del sistema di tutela delle lavoratrici, sia del comparto autonomo che subordinato, modificando il testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, di cui al decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, e in particolare prevedendo:

   1) l'ampliamento da cinque a sei mesi del congedo obbligatorio di maternità;

   2) l'introduzione di un identico congedo obbligatorio di paternità;

   3) la fruibilità congiunta e contestuale dei congedi obbligatori dei genitori;

   4) l'introduzione di un identico congedo obbligatorio per entrambi i genitori anche nel caso di adozione o affidamento ovvero nei casi rientranti nella gestione separata;

   5) l'estensione del trattamento in tutti i casi sopra citati fino alla copertura di un'indennità giornaliera pari al 100 per cento della retribuzione;

   6) il sostegno dell'allattamento attraverso l'individuazione di spazi idonei che, ove le condizioni lavorative e ambientali lo consentano, permettano al genitore che lo desideri di poter allattare il bambino anche durante l'orario di lavoro, fermo restando il diritto ad usufruire dei periodi già previsti dalla normativa vigente;

  c) rafforzando e implementando iniziative specifiche di tutela e sostegno delle donne, in particolare delle donne vittime di violenza e con disabilità, e dedicate anche alle persone transgender, non-binary e gender non-conforming, volte a superare la discriminazione e gli ostacoli che incontrano nel corso dell'intero ciclo lavorativo, con specifico riguardo:

   1) alla promozione e creazione di una cultura lavorativa positiva e inclusiva finalizzata alla prevenzione di comportamenti che possano direttamente o indirettamente determinare l'insorgere di stati di disagio o di danno psichico a carico delle lavoratrici e dei lavoratori;

   2) alla prevenzione e al contrasto delle condotte vessatorie a carico delle lavoratrici e dei lavoratori e delle conseguenti disfunzioni organizzative ansiogene nei luoghi di lavoro;

   3) alla definizione di sistemi premiali che incentivino l'inclusività, la concreta attuazione dell'eguale valorizzazione del lavoro e siano funzionali alla conservazione del posto di lavoro nel tempo e nelle varie fasi di vita delle lavoratrici e dei lavoratori;

   4) alla previsione di iniziative normative volte al reinserimento professionale delle donne vittime di violenza, al riconoscimento del fenomeno del cosiddetto freezing anche nei luoghi di lavoro, all'accelerazione del processo di empowerment femminile nei luoghi di lavoro sia pubblici che privati, dando concreta attuazione alla Convenzione Ilo n. 190 «contrasto alle molestie, molestie sessuali e violenze sul posto di lavoro», ratificata dall'Italia con legge 15 gennaio 2021, n. 4;

  d) garantendo una piena e più estesa effettiva applicazione dell'articolo 55, comma 4, del decreto legislativo n. 151 del 2001 e delle relative tutele contro il fenomeno delle c.d. «dimissioni in bianco»;

  e) dando piena attuazione alla direttiva dell'Unione europea 2023/970 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 10 maggio 2023, volta a rafforzare l'applicazione del principio della parità di retribuzione tra uomini e donne per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore attraverso la trasparenza retributiva e i relativi meccanismi di applicazione, in particolare:

   1) attraverso il riconoscimento di un valore economico al lavoro di cura e domestico di modo che, nell'ambito di una considerazione dell'economia quale sistema di riproduzione sociale, esso non si traduca in una valorizzazione di mercato quanto piuttosto una valorizzazione sociale (social provisioning), tale da influenzare alla base la distinzione tra lavoro produttivo e improduttivo, rendendo quindi il lavoro di cura remunerabile e contribuendo a ridurre il differenziale di genere nel mercato del lavoro in termini di retribuzione e benefici;

   2) prevedendo interventi mirati a ridurre il gap pensionistico, attraverso il ripristino, nel prossimo provvedimento utile, della disciplina sull'uscita pensionistica per il tramite della cosiddetta «opzione donna» alle regole vigenti sino al 31 dicembre 2022 e l'adozione di ulteriori misure suscettibili di affrontare in modo più incisivo e risolutivo le condizioni che sono alla base della penalizzazione femminile in campo previdenziale ovverosia la disuguaglianza di genere nel mercato del lavoro, con particolare riguardo ai bassi livelli contributivi e alle interruzioni di contribuzione per maternità e lavoro di cura.
(1-00329) «Quartini, Barzotti, Aiello, Carotenuto, Di Lauro, Marianna Ricciardi, Sportiello, Tucci, Alifano, Amato, Appendino, Ascari, Auriemma, Baldino, Bruno, Cafiero De Raho, Cantone, Cappelletti, Caramiello, Carmina, Caso, Cherchi, Alfonso Colucci, Conte, Sergio Costa, D'Orso, Dell'Olio, Donno, Fede, Fenu, Ferrara, Ilaria Fontana, Giuliano, Gubitosa, Iaria, L'Abbate, Lomuti, Morfino, Orrico, Pavanelli, Pellegrini, Penza, Raffa, Riccardo Ricciardi, Santillo, Scerra, Scutellà, Francesco Silvestri, Torto, Traversi».

(23 settembre 2024)

   La Camera,

   premesso che:

    1) la parità di genere è un diritto fondamentale riconosciuto a livello internazionale, europeo e costituzionale e rappresenta un obiettivo prioritario per garantire equità e sviluppo sociale ed economico;

    2) nonostante una maggiore attenzione delle politiche europee e nazionali e un crescente impegno delle istituzioni nel contrastare il fenomeno, il divario di genere nel mondo del lavoro rimane per l'Italia una delle più significative forme di disuguaglianza, soprattutto in termini di accesso alle posizioni dirigenziali, di retribuzione e opportunità di crescita professionale;

    3) l'Italia è scesa dal 79° all'87° posto nella graduatoria mondiale della parità di genere stilata dal World economic forum e secondo il Gender equality index 2022 dell'Eige (European institute for gender equality) si colloca al 14° posto tra i 27 Paesi europei, con ampie disparità in aree come la partecipazione al lavoro, le risorse economiche e il potere decisionale;

    4) secondo i dati Istat, il tasso di occupazione femminile in Italia nel 2023 si attesta al 52,1 per cento, contro il 72,1 per cento degli uomini, con un divario di 20 punti percentuali che pone l'Italia tra i Paesi con il divario occupazionale di genere tra i più alti in Europa, dove la media è del 10,8 per cento;

    5) le donne risultano essere maggiormente coinvolte nei lavori part time e una su cinque lascia il mercato del lavoro dopo la maternità, spesso non per scelta ma per una necessità imposta da fattori esterni come la cura familiare, la mancanza di servizi di supporto e la discriminazione di genere nel mercato del lavoro;

    6) in molte famiglie italiane la cura dei figli, degli anziani o di altri familiari dipendenti ricade prevalentemente sulle donne. Secondo dati Istat, il 24,5 per cento delle donne italiane tra i 55 e i 64 anni fornisce assistenza gratuita ai familiari, riducendo così la loro disponibilità per un impiego a tempo pieno. Questa distribuzione diseguale del lavoro di cura è spesso una delle principali ragioni che spingono le donne a lavorare part time o a rimanere in posizioni a basso reddito e con poche opportunità di crescita in cambio di una maggiore flessibilità a lavoro;

    7) la carenza di servizi accessibili e flessibili, come asili nido, scuole pubbliche con orari prolungati e strutture per l'assistenza agli anziani, costringe molte donne a ridurre le proprie ore lavorative per poter far fronte alle esigenze familiari. In particolare, nelle regioni del Mezzogiorno, la disponibilità di tali servizi è limitata, aumentando la pressione sulle donne di dover combinare lavoro e cura familiare;

    8) è fondamentale evidenziare che l'accesso agli asili nido è un fattore cruciale per permettere alle donne di partecipare attivamente e a tempo pieno al mercato del lavoro, ma l'offerta di asili nido pubblici in Italia è insufficiente e non è distribuita equamente sul territorio. Secondo dati Istat, solo il 26 per cento dei bambini sotto i tre anni ha accesso a servizi per la prima infanzia, contro una media europea che supera il 30 per cento. La situazione è ancora più critica nelle regioni del Mezzogiorno, dove la copertura dei servizi per l'infanzia è ben al di sotto della media nazionale. Ad esempio, in alcune regioni, come la Calabria e la Sicilia, la percentuale di bambini che frequentano un asilo nido è inferiore al 10 per cento, lasciando le famiglie senza alternative. Questo deficit di servizi pubblici spinge molte donne a rimanere a casa o a ridurre le ore di lavoro per occuparsi dei figli, rinunciando così alle opportunità di carriera e di realizzazione professionale;

    9) inoltre, anche nelle aree in cui i servizi sono disponibili, gli orari di apertura delle scuole non sono sempre compatibili con le esigenze lavorative dei genitori. Le scuole italiane, infatti, hanno orari ridotti rispetto a quelli di molti altri Paesi europei, con la maggior parte delle istituzioni che terminano le lezioni a metà giornata e con poche opzioni per il tempo prolungato o il doposcuola. Tale situazione costringe i genitori, in particolare le madri, a dover gestire il tempo extra non coperto dalla scuola, spesso ricorrendo al part time oppure rivolgendosi all'assistenza privata, gravando in modo sproporzionato sul reddito e generando disparità di trattamento tra chi può permettersi un supporto esterno e chi invece è costretto a ridurre o abbandonare l'attività lavorativa per mancanza di alternative economiche;

    10) oltre alla cura dei figli, molte donne sono responsabili dell'assistenza agli anziani, specialmente in famiglie multigenerazionali. Il nostro Paese ha una popolazione in progressivo invecchiamento e i servizi di assistenza pubblici, come le residenze per anziani o l'assistenza domiciliare, sono insufficienti. Secondo i dati Istat, solo il 10 per cento degli anziani riceve assistenza domiciliare, il che significa che il 90 per cento delle persone anziane, molte delle quali necessitano di cure quotidiane, è gestito in casa, prevalentemente dalle donne della famiglia, che finiscono per sacrificare la loro carriera lavorativa;

    11) le famiglie italiane spendono in media il 10 per cento del loro reddito per pagare i servizi di cura, una percentuale che aumenta nelle regioni del Sud e per le famiglie a reddito più basso. Molte donne, trovandosi davanti a costi elevati e a servizi pubblici limitati, scelgono di lavorare meno ore o di rinunciare completamente al lavoro, poiché il reddito derivante da un impiego a tempo pieno potrebbe non coprire i costi di cura e assistenza alla famiglia;

    12) la precarietà lavorativa femminile ha effetti negativi non solo sull'autonomia economica delle donne durante l'età lavorativa, ma anche sulla loro pensione futura, in quanto contratti a termine, lavori part time e interruzioni di carriera dovute a responsabilità di cura familiare riducono il reddito complessivo e i contributi pensionistici, ampliando le disuguaglianze di genere a lungo termine;

    13) le donne con disabilità affrontano ostacoli significativi non solo nell'ottenere un'occupazione stabile, ma anche nel vedersi garantiti i diritti fondamentali alla pari dei colleghi maschi o delle donne senza disabilità, subendo pertanto una doppia discriminazione, sia a causa della loro condizione fisica o mentale, sia per questioni di genere, che le espone a maggiori difficoltà nell'accesso al lavoro, nella progressione di carriera e nella conciliazione vita-lavoro;

    14) in tante aziende esiste ancora una forte discriminazione di genere basata su stereotipi radicati che presumono erroneamente che le donne, specialmente in età fertile o già madri, siano meno affidabili o meno «dedicate» al lavoro, in quanto vengono spesso percepite come poco disponibili a fare straordinari o a spostarsi per motivi professionali. Tali pregiudizi impliciti portano a una minore fiducia nell'affidare loro ruoli di grande responsabilità o a offrire opportunità di crescita professionale, alimentando il fenomeno del «soffitto di cristallo», ossia di barriere invisibili che impediscono alle donne, anche quando dimostrano di avere le competenze e l'esperienza necessarie per ricoprire ruoli di alto livello, di accedere a posizioni di leadership o di avanzare nella carriera aziendale o istituzionale;

    15) il divario di genere è evidente anche nella retribuzione: le donne italiane guadagnano mediamente meno degli uomini, con un gender pay gap complessivo che raggiunge il 43 per cento tra i salari annui medi, uno dei più alti in Europa. Nel settore privato, in particolare, il gender pay gap diventa più marcato, considerando le differenze di carriera che vedono solo il 28 per cento delle posizioni dirigenziali nelle imprese occupate da donne, rispetto al 33 per cento della media europea;

    16) nonostante le donne rappresentino il 58 per cento dei laureati, superando gli uomini in termini di tasso di conseguimento di lauree triennali e magistrali, tuttavia continuano a essere fortemente sottorappresentate nelle discipline Stem (science, technology, engineering and mathematics). Solo il 16,6 per cento delle laureate italiane proviene da tali discipline, un dato che evidenzia un divario significativo rispetto agli uomini e che ha implicazioni importanti sul loro accesso ai settori lavorativi più remunerativi e strategici per la crescita economica e tecnologica del Paese;

    17) le istituzioni europee hanno più volte sottolineato la necessità di attuare misure concrete per ridurre le disuguaglianze di genere nel lavoro, come indicato nelle recenti direttive e raccomandazioni, con l'obiettivo di colmare il divario di genere entro il 2030. In particolare, la direttiva (UE) 2023/970 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 10 maggio 2023, che dovrà essere recepita entro il 7 giugno 2026, ha stabilito norme finalizzate a garantire la trasparenza salariale e a stabilire prescrizioni minime per rafforzare l'applicazione del principio della parità retributiva per uno stesso lavoro tra uomini e donne e il divieto di discriminazione in materia di occupazione e impiego per motivi di genere. La direttiva ha inoltre previsto che gli Stati membri sviluppino strumenti o metodologie per confrontare il valore dei lavori svolti da uomini e donne, assicurando che le valutazioni siano basate su criteri oggettivi, non discriminatori e, ove possibile, concordati con i rappresentanti dei lavoratori;

    18) il Piano nazionale di ripresa e resilienza avrebbe dovuto essere uno strumento utile a raggiungere la parità di genere, ma, a tre anni dalla sua approvazione, le azioni messe in atto sembrano presentare notevoli criticità. L'articolo 47 del decreto-legge 31 maggio 2021, n. 77, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 luglio 2021, n. 108, ha stabilito disposizioni per promuovere l'inclusione delle donne nel mercato del lavoro, tramite l'introduzione del cosiddetto «gender procurement», imponendo l'obbligo per le imprese partecipanti alle gare pubbliche di riservare almeno il 30 per cento delle assunzioni alle donne. Tale norma mirava a ridurre il significativo divario occupazionale tra uomini e donne, contribuendo a innalzare il tasso di occupazione femminile in Italia, fermo al 55 per cento, e avvicinarlo alla media europea del 69,3 per cento. Tuttavia, le deroghe consentite dalle linee guida per l'attuazione dell'articolo 47 hanno aperto la possibilità di escludere l'applicazione delle quote con clausole generiche. Di conseguenza, il 57 per cento dei progetti approvati è andato in deroga totale, senza alcun riferimento al «gender procurement», e per il 60 per cento dei bandi in deroga non è stata resa disponibile alcuna motivazione specifica per l'esenzione;

    19) la normativa vigente non prevede l'obbligo di inserire le premialità legate all'inclusione lavorativa delle donne nei bandi di gara, lasciando la loro applicazione alla discrezionalità degli enti appaltanti. Questa mancanza di vincolo normativo determina un'applicazione insufficiente delle misure a sostegno della parità di genere, in contrasto con l'obiettivo del Piano nazionale di ripresa e resilienza di considerare la parità di genere una priorità trasversale, e compromette la possibilità di riconoscere punteggi aggiuntivi alle imprese che hanno già attuato misure concrete per favorire l'inclusione delle donne nel mercato del lavoro e la parità di genere nelle loro strutture organizzative;

    20) la legge 5 novembre 2021, n. 162, ha introdotto la certificazione della parità di genere per incentivare le aziende a ridurre il divario di genere, ma solo poche centinaia di imprese hanno ottenuto tale certificazione su oltre 4,3 milioni di imprese attive in Italia;

    21) il cosiddetto Family act, introdotto con la legge 7 aprile 2022, n. 32, che delegava il Governo ad adottare entro ventiquattro mesi dall'entrata in vigore della legge i decreti legislativi attuativi volti a promuovere interventi strutturali a favore delle famiglie, dei giovani e delle donne, non è stato attuato. La delega all'Esecutivo per attuare il piano è scaduta senza l'emanazione di alcun decreto e, di conseguenza, non sono state introdotte le misure di fiscalità agevolata per le famiglie, il rimborso delle spese scolastiche, gli incentivi al lavoro femminile e la riforma dei congedi parentali. L'unica misura strutturale rimasta è l'assegno unico universale, approvato nella XVIII legislatura;

    22) le misure introdotte dai decreti collegati al cosiddetto Jobs act, come l'estensione del periodo di congedo parentale, insieme agli incentivi per le imprese che adottano il telelavoro e la legislazione che ha regolamentato lo smart working, hanno rappresentato passi importanti per promuovere una più equa distribuzione delle responsabilità familiari e ridurre per le imprese i costi di organizzare il lavoro in maniera meno standardizzata e più aderente ai ritmi richiesti dalla combinazione di lavoro e famiglia;

    23) le misure introdotte con la legge di bilancio per il 2024, come l'aumento del bonus asilo nido e la riduzione dei contributi previdenziali per le madri lavoratrici dipendenti, pur rappresentando dei passi avanti, sono comunque rivolte solo a famiglie con due o più figli e con limiti di Isee che restringono ulteriormente la platea di beneficiari. Escludere le madri con un solo figlio dal beneficio significa ignorare il fatto che le difficoltà economiche e le esigenze di conciliazione lavoro-famiglia per le donne si presentano anche nel caso del primo figlio e non tenere in considerazione che la maggior parte delle famiglie italiane ha un solo bambino e che è proprio la decisione di avere il primo figlio a rappresentare un passo cruciale per invertire la tendenza demografica negativa del nostro Paese. Inoltre, la mancanza di sostegni specifici per le donne single con figli, che devono gestire in completa autonomia le responsabilità genitoriali senza poter contare sul supporto di un partner, rischia di emarginarle ulteriormente. Questa situazione limita le loro opportunità di realizzazione personale e professionale, riducendo la capacità di partecipare attivamente al mercato del lavoro;

    24) uno degli ostacoli principali alla formazione di nuove famiglie è la mancanza di stabilità economica e abitativa, che spesso impedisce alle coppie di programmare la costituzione di una famiglia. La difficoltà di accesso a mutui e affitti a condizioni vantaggiose, soprattutto per i giovani e per coloro che hanno contratti di lavoro precari o part time, prime fra tutte le donne, rappresenta un freno significativo alla natalità;

    25) le politiche attuali, nel loro complesso, tendono a incentivare principalmente la nascita del secondo e del terzo figlio, riflettendo una visione che focalizza le politiche di genere sulla promozione della maternità come priorità centrale per le donne, sottintendendo che il ruolo primario delle donne sia quello di madri. Questo orientamento politico e culturale non considera adeguatamente il desiderio di molte donne di conciliarsi con il lavoro, né promuove un sistema equo che condivida il peso delle responsabilità genitoriali e familiari con i padri, ma rafforza una visione tradizionale del ruolo delle donne, limitando le loro opportunità di crescita professionale e occupazionale,

impegna il Governo:

1) a promuovere iniziative strutturali volte a ridurre il divario di genere nel mondo del lavoro, in particolare attraverso l'introduzione di politiche che favoriscano la partecipazione delle donne al mercato del lavoro in modo strutturato e qualificato e che garantiscano l'equità salariale, incentivando la trasparenza retributiva all'interno delle aziende pubbliche e private, anche con l'introduzione di sanzioni per le realtà che non rispettano i principi di equità retributiva tra uomini e donne;

2) a sviluppare misure di sostegno per l'accesso delle donne alle posizioni dirigenziali e di leadership, favorendo politiche di quota di genere nei processi di selezione e assunzione e introducendo maggiori incentivi per le aziende che adottano politiche inclusive;

3) a prevedere misure che incentivino l'inclusione femminile nei settori caratterizzati da alta disparità di genere, come le discipline Stem (science, technology, engineering and mathematics), strategici per la crescita economica e tecnologica del Paese, attraverso politiche di orientamento, borse di studio dedicate e misure per combattere gli stereotipi di genere che ancora limitano le scelte formative delle ragazze;

4) ad assumere iniziative volte a incentivare le politiche di welfare aziendale che favoriscano la conciliazione lavoro-famiglia e sostengano il reinserimento delle donne nel mercato del lavoro dopo periodi di assenza e che favoriscano il lavoro flessibile, con particolare riguardo al part time, ai servizi per l'infanzia e al lavoro agile, incentivandolo e compatibilmente con esigenze organizzative, su base accordi, favorendo anche la settimana corta al fine di favorire di organizzare il lavoro in maniera meno standardizzata e più aderente ai ritmi richiesti dalla combinazione di lavoro e famiglia;

5) ad adottare iniziative volte a potenziare, per quanto di competenza, l'accesso ai servizi di supporto alla famiglia, come asili nido e scuole con orari prolungati, attraverso l'ampliamento dell'offerta di tali servizi su tutto il territorio nazionale, con particolare attenzione alle regioni del Mezzogiorno, al fine di consentire alle donne di partecipare attivamente al mercato del lavoro senza dover ridurre le proprie ore lavorative o abbandonare il lavoro;

6) ad adottare iniziative volte a estendere le misure di sostegno previste dalla legislazione vigente per le madri di due o più figli anche alle madri con un solo figlio, incluse le madri single, al fine di poter affrontare le sfide economiche e di conciliazione lavoro-famiglia fin dal primo figlio;

7) ad adottare iniziative volte a sviluppare strumenti di garanzia pubblica più efficaci per facilitare l'accesso a mutui e affitti a condizioni agevolate, in particolare per le giovani coppie con donne lavoratrici che si trovano in condizioni di precarietà occupazionale;

8) ad adottare iniziative volte a introdurre politiche di congedo parentale paritario, estendendo e rafforzando il congedo retribuito per i padri, al fine di favorire una più equa divisione delle responsabilità genitoriali e ridurre il carico di cura che grava prevalentemente sulle madri, incentivando la partecipazione dei padri alla cura familiare;

9) a promuovere politiche inclusive che incentivino le aziende a integrare donne con disabilità, attraverso programmi di formazione, incentivi fiscali e strumenti di monitoraggio per valutare i progressi in termini di inclusione;

10) a rafforzare le tutele lavorative, con l'introduzione di programmi di assistenza specifici che prevedano supporto sia per le donne con disabilità che per le imprese che le assumono, facilitando, per quanto di competenza, la creazione di ambienti di lavoro accessibili e inclusivi;

11) ad adottare iniziative per rendere obbligatoria l'applicazione delle premialità legate all'inclusione lavorativa delle donne nei bandi di gara e appalti pubblici, garantendo che le aziende che adottano politiche inclusive e paritarie ricevano riconoscimenti tangibili in termini di punteggi aggiuntivi, come previsto dal Piano nazionale di ripresa e resilienza, al fine di promuovere una maggiore partecipazione delle donne al lavoro;

12) ad adottare iniziative volte a potenziare il sistema di certificazione della parità di genere, incentivando ulteriormente le imprese a ottenere la certificazione attraverso meccanismi di premialità più efficaci e diffondendo la consapevolezza sui vantaggi derivanti dall'adozione di misure concrete per ridurre il divario di genere;

13) a rafforzare il monitoraggio dell'applicazione del «gender procurement» previsto dall'articolo 47 del decreto-legge n. 77 del 2021, eliminando le clausole generiche di deroga e prevedendo obblighi stringenti per le imprese partecipanti alle gare pubbliche in materia di assunzioni di donne, con l'obiettivo di aumentare il tasso di occupazione femminile e ridurre il divario occupazionale tra uomini e donne;

14) ad adottare iniziative normative per riaprire la delega prevista dal Family act, ai fini dell'adozione dei decreti legislativi necessari per garantire l'introduzione di misure di fiscalità agevolata per le famiglie, il rimborso delle spese scolastiche, incentivi al lavoro femminile e la riforma dei congedi parentali, fornendo così un quadro normativo stabile e strutturato a favore delle famiglie e delle donne;

15) ad adottare iniziative per riprendere il percorso di consolidamento e rafforzamento dell'assegno unico universale, rendendolo uno strumento più inclusivo ed equo, capace di sostenere economicamente tutte le famiglie con figli, indipendentemente dal numero dei figli o dalle loro condizioni economiche, per incentivare una ripresa demografica e ridurre il peso economico che grava sulle donne in particolare;

16) a sostenere campagne di sensibilizzazione a livello nazionale per promuovere la parità di genere nei luoghi di lavoro e combattere gli stereotipi di genere che ancora influenzano le scelte dei datori di lavoro, coinvolgendo non solo le istituzioni pubbliche, ma anche le aziende private e le associazioni di categoria, con particolare attenzione alle nuove generazioni, al fine di educarle all'inclusione e promuovere l'introduzione nelle scuole di programmi educativi sulla parità di genere, indispensabili per superare gli stereotipi e le mentalità patriarcali che perpetuano le disuguaglianze.
(1-00333) «Faraone, Gadda, Del Barba, Bonifazi, Boschi, Giachetti, Gruppioni».

(24 settembre 2024)

   La Camera,

   premesso che:

    1) un Paese che non riesce a riconoscere il dovuto ruolo della donna nella società, nell'economia e nelle istituzioni, oltre a perpetrare una ingiustificabile discriminazione che ne frustra le legittime aspirazioni e potenzialità – è ormai dimostrato da innumerevoli studi e ricerche – rinuncia a uno sviluppo equilibrato e inclusivo, nonché a ingenti quote di ricchezza nazionale che, secondo la Banca d'Italia, arrivano fino a 7 punti percentuali di prodotto interno lordo;

    2) nel contesto europeo, il tasso di occupazione femminile in Italia risulta essere – secondo dati relativi al quarto trimestre 2022 – quello più basso tra gli Stati dell'Unione europea, essendo di circa 14 punti percentuali al di sotto della media Ue: il tasso di occupazione delle donne di età compresa tra i 20 e i 64 anni è stato, infatti, pari al 55 per cento, mentre il tasso di occupazione medio dell'Unione europea è stato pari al 69,3 per cento. Il recente dato dell'aprile 2024 di limitato incremento dell'occupazione femminile nella fascia di età 15-64 anni, con un 53,4 per cento, non sembra certo il prologo per una inversione di tendenza, anche in considerazione del fatto che, in numeri assoluti, si registrano 13.781 mila occupati maschi a fronte di 10.194 mila lavoratrici, con un divario occupazionale di 18 punti percentuali;

    3) in Germania il tasso di occupazione femminile è al 77,4 per cento, in Francia al 71,7 per cento, ma anche in Spagna è superiore di quasi dieci punti percentuali a quello italiano e con divari che si fermano al 7,7 per cento in Germania, al 5,5 per cento in Francia e al 10,2 per cento in Spagna;

    4) per di più, secondo Eurostat 2024, una donna su cinque presenta le proprie dimissioni dopo la nascita del primo figlio. Quasi la metà delle dimissioni presentate nel 2022 (il 42 per cento) è collegata apertamente alle difficoltà di svolgere il lavoro di cura a causa dell'assenza di adeguati servizi per la prima infanzia e il 22 per cento a problemi legati all'organizzazione del lavoro, secondo quanto riferito dall'ispettorato nazionale del lavoro;

    5) inoltre, in Italia, alla maternità è associata una forte perdita salariale per le donne, la difficoltà di reinserimento nel mercato del lavoro e minori possibilità di progressioni di carriera. Tale effetto, conosciuto come «child penalty», si traduce in cifre allarmanti: nel lungo periodo la perdita dei salari annuali delle lavoratrici madri determinata dalla nascita di un figlio è pari al 53 per cento, dovuto per il 6 per cento alla riduzione del salario settimanale, per l'11,5 per cento all'accesso a rapporti di lavoro a tempo parziale e per il 35,1 per cento al minor numero di settimane retribuite (secondo i dati del 2020 dell'Istituto nazionale della previdenza sociale);

    6) come lucidamente chiarito dal Presidente della Repubblica in occasione del recente messaggio inviato all'11a edizione dell'iniziativa «il tempo delle donne», «Il divario del quasi 20 per cento tra occupazione maschile e femminile costituisce un punto critico di sistema: ogni sforzo va compiuto per ridurlo sempre di più. Il lavoro è anche libertà, dignità e riscatto. Nei rapporti di lavoro occorre rispettare i diritti di parità e di eguaglianza, previsti dalla nostra Costituzione. Ancor oggi nel lavoro femminile sono presenti ostacoli, rallentamenti e disparità, per l'accesso, nella retribuzione, nella progressione di carriera, negli incarichi di vertice. Le barriere possono alzarsi fino a giungere a inaccettabili e odiose discriminazioni: licenziamenti, dimissioni in bianco, pressioni indebite, persino forme di stalking e di violenza, fisica o psicologica. Il rispetto delle norme e dei diritti va assicurato anche attraverso una vigilanza ferma ed efficace»;

    7) sul tema della parità salariale il Parlamento ha compiuto un significativo passo in avanti approvando la legge n. 102 del 2021, legge sulla parità salariale e di opportunità sul luogo di lavoro, in linea con le finalità della successiva direttiva (UE) 2023/970. Con tale misura si introducono disposizioni volte a sostenere la partecipazione delle donne al mercato del lavoro e a favorire la parità retributiva tra i sessi, con l'obiettivo di ridurre la differenza di salario tra donne e uomini, e far emergere ogni discriminazione, anche indiretta, in ambito lavorativo, fornendo concretezza ai principi di equità già sanciti dalla Costituzione e dalla «legge Anselmi» del 1977 (legge 9 dicembre 1977, n. 903, «Parità di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro»);

    8) il Piano nazionale di ripresa e resilienza rappresenta una grande occasione per intervenire sulle disuguaglianze e sul gender gap: le proposte del Piano nazionale di ripresa e resilienza prevedono la digitalizzazione, l'innovazione, la competitività e la cultura, ovvero la promozione di posizioni dirigenziali di alto livello e incentivi per il corretto bilanciamento tra vita professionale e vita privata; investimenti nell'imprenditoria femminile digitale; un piano asili nido e di estensione del tempo pieno per semplificare la gestione della cura famigliare e l'occupazione femminile, uno specifico investimento nell'imprenditoria femminile, soprattutto nelle aree più critiche per la crescita professionale delle donne. In più, sono previste azioni per l'autonomia delle persone disabili che avranno effetti indiretti sull'occupazione femminile, nonché il rafforzamento dei servizi di prossimità e di supporto domiciliare;

    9) il Piano nazionale di ripresa e resilienza ha previsto, inoltre, un investimento significativo per le giovani donne, che beneficeranno di progetti nei campi dell'istruzione e della ricerca, come pure dello stanziamento di risorse per l'estensione del tempo pieno scolastico e per il potenziamento delle infrastrutture sportive (a tal proposito, è promossa l'attività motoria nella scuola primaria, in funzione di contrasto alla dispersione scolastica), nonché la previsione di una clausola di condizionalità per l'assunzione di almeno il 30 per cento di donne e giovani. In tale prospettiva, appare più che criticabile la decisione del taglio dei fondi del PNRR riguardo il target finale degli asili nido e delle scuole dell'infanzia previsti dal precedente Governo Draghi, riducendo, difatti, sia il numero da 264.480 a 150.480 di posti e operando un taglio di 900 milioni destinati all'avvio della gestione del servizio di prima infanzia. Anche il successivo decreto del Ministro dell'istruzione e del merito per un nuovo Piano per gli asili nido del valore di 734,9 milioni di euro, che, in linea con gli obiettivi del Piano nazionale di ripresa e resilienza, punta a incrementare i posti degli asili nido, non compensa il taglio fatto a valere sulle risorse del Piano nazionale di ripresa e resilienza di 1,3 miliardi di euro;

    10) a livello internazionale va ricordata la Convenzione n. 190 sull'eliminazione della violenza e delle molestie nel mondo del lavoro in questo contesto normativo, approvata dall'Organizzazione internazionale del lavoro nel giugno 2019, con la quale si stabilisce l'obbligo di adottare misure normative coerenti con la constatazione «che la violenza e le molestie nel mondo del lavoro possono costituire un abuso o una violazione dei diritti umani e che la violenza e le molestie rappresentano una minaccia alle pari opportunità e che sono inaccettabili e incompatibili con il lavoro dignitoso». A fronte di tali problematiche, la Convenzione ha, altresì, proposto l'adozione un approccio inclusivo, integrato e in una prospettiva di genere, che intervenga sulle cause all'origine e sui fattori di rischio, ivi compresi stereotipi di genere, forme di discriminazione multiple e interconnesse e squilibri nei rapporti di potere dovuti al genere;

    11) tra i fattori che maggiormente incidono in negativo sulla condizione delle donne lavoratrici si segnala certamente l'incidenza del lavoro precario e del part-time involontario, fenomeni che vedono coinvolti maggiormente proprio le donne e i giovani, con particolare riguardo per quelle che vivono nelle regioni del Sud. Il contrasto alla precarietà e la promozione della buona e stabile occupazione rappresentano uno degli obiettivi prioritari per il miglioramento della condizione delle lavoratrici italiane;

    12) un lavoro precario, discontinuo e sottopagato precostituisce la condizione per una prospettiva pensionistica di povertà, a fronte della quale le misure adottate dal Governo non solo non rappresentano una opportunità reale, ma addirittura ne peggiorano il quadro. Basti pensare alla pressoché eliminazione di «opzione donna» o all'introduzione di «quota 103» con l'applicazione integrale del calcolo contributivo, che non costituisce alcuna concreta opportunità di uscita anticipata per le donne;

    13) sul piano salariale va ricordato che dai recenti lavori del Forum Ambrosetti è stato evidenziato come l'introduzione del salario minimo legale in Germania abbia ridotto il gender pay gap tra uomini e donne. Una valutazione confermata dall'Ocse che ha dimostrato come l'introduzione del salario minimo abbia aiutato Paesi come Germania, Francia e Spagna nella fase della crescita inflazionistica, mettendo al riparo il potere di acquisto, soprattutto, dei lavoratori più fragili quali le donne;

    14) l'articolo 3, comma 1, decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 17 dicembre 2020, ha introdotto il «reddito di libertà», destinato alle donne vittime di violenza, senza figli o con figli minori, seguite dai centri antiviolenza riconosciuti dalle regioni e dai servizi sociali nei percorsi di fuoriuscita dalla violenza, al fine di contribuire a sostenerne l'autonomia: la legge di bilancio per il 2024, legge 30 dicembre 2023, n. 213, al fine di incrementare la misura, ha incrementato di 10 milioni di euro per ciascuno degli anni 2024, 2025 e 2026 e di 6 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2027 il Fondo di cui all'articolo 19, comma 3, del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248;

    15) per quanto concerne la condivisione dei carichi familiari, soprattutto nei primi mesi di vita dei figli, appare sempre più urgente l'introduzione della misura del congedo paritario e non trasferibile di almeno cinque mesi, come strumento per sostenere le donne e la loro carriera professionale e, al tempo stesso, garantire agli uomini la possibilità di essere più vicini ai propri figli. Un concreto supporto per contrastare la crisi della natalità, favorire l'occupazione femminile e redistribuire il carico di cura dentro le famiglie,

impegna il Governo:

1) ad assumere le necessarie iniziative di competenza, anche di carattere normativo, al fine di favorire l'implementazione della normativa in materia di parità salariale di genere e la trasparenza retributiva, in linea con quanto disposto dalla legge 5 novembre 2021, n. 162, anche prevedendo un'estensione incentivata dell'applicazione alle imprese fino a 20 dipendenti, nonché dalla direttiva (UE) 2023/970;

2) ad adoperarsi affinché sia tempestivamente presentata alle Camere la relazione ai sensi dell'articolo 20 del decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198, in merito ai risultati del monitoraggio sull'applicazione della legislazione in materia di parità e pari opportunità nel lavoro e sulla valutazione degli effetti delle disposizioni del codice delle pari opportunità tra uomo e donna, nonché per rendere accessibili i dati relativi ai rapporti sulla situazione del personale presentati dalle aziende, ai sensi dell'articolo 46 del medesimo decreto legislativo;

3) ad adottare un vero a proprio piano per incrementare l'occupazione femminile, con particolare riguardo nelle aree interne e del Mezzogiorno;

4) ad avviare un concreto e tempestivo confronto con le parti sociali realmente rappresentative, volto a definire una nuova strategia in materia di lavoro nel nostro Paese, che metta al centro la buona e stabile occupazione e il contrasto a ogni forma di precarietà attraverso una vera e propria «bonifica» normativa delle diverse forme di precarietà che colpiscono con particolare riguardo le donne e ai giovani;

5) ad adottare iniziative volte a introdurre significative modifiche al quadro normativo in materia previdenziale, al fine di assicurare appropriate condizioni di accesso al trattamento pensionistico per le donne, ripristinando integralmente l'istituto originario di «opzione donna», così come disciplinato nel 2004 dall'allora Ministro Maroni, nonché prevedendo il riconoscimento del lavoro di cura per le lavoratrici attraverso una riduzione del requisito anagrafico per l'accesso alla pensione di vecchiaia di dodici mesi per ogni figlio, nel limite massimo di tre anni;

6) ad assumere iniziative normative volte a prevedere, già in occasione del prossimo disegno di legge di bilancio, l'introduzione di un congedo paritario di almeno 5 mesi, pagato al 100 per cento per entrambi i genitori, non trasferibile, così come positivamente praticato in altri Paesi Ue;

7) a favorire, con la massima sollecitudine, ogni iniziativa utile, anche di carattere normativo, volta a dare piena e tempestiva attuazione ai principi e alle finalità della direttiva (UE) 2022/2041 del Parlamento europeo e del Consiglio, così come agli indirizzi espressi dalla Corte di cassazione, introducendo anche nel nostro ordinamento il riconoscimento alle lavoratrici e ai lavoratori di ciascun settore economico del salario minimo legale, coincidente con il trattamento economico complessivo non inferiore a quello previsto dal contratto collettivo nazionale stipulato dalle associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative a livello nazionale. Un trattamento salariale in grado di garantire una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del lavoro e ad assicurare alle lavoratrici e ai lavoratori e alle relative famiglie un'esistenza libera e dignitosa;

8) a monitorare e a garantire, per quanto di competenza, che le missioni e le modalità di attuazione indicate nel Piano nazionale di ripresa e resilienza per la parità di genere e volte alla eliminazione del gender gap, come, a esempio, la clausola del 30 per cento, siano applicate concretamente in tutti i campi di azione indicati in premessa, nonché a individuare le opportune risorse per ripristinare le condizioni per realizzare l'obiettivo dei 264.480 posti negli asili nido;

9) ad assumere le necessarie iniziative, anche di carattere normativo, volte a dare piena attuazione alla Convenzione approvata dall'Organizzazione internazionale del lavoro nel giugno 2019, la Convenzione n. 190 sull'eliminazione della violenza e delle molestie nel mondo del lavoro, che ha sancito l'obbligo di adottare misure normative coerenti con la constatazione «che la violenza e le molestie nel mondo del lavoro possono costituire un abuso o una violazione dei diritti umani e che la violenza e le molestie rappresentano una minaccia alle pari opportunità e che sono inaccettabili e incompatibili con il lavoro dignitoso», introducendo nel nostro ordinamento la fattispecie di reato di molestia sessuale, nonché tese a mettere in campo strategie efficaci volte a prevenire e perseguire ogni forma di violenza e molestia sul luogo di lavoro anche dotandosi di linee guida per la predisposizione di appositi protocolli volti prevenire e ad affrontare adeguatamente le molestie sul luogo di lavoro;

10) ad adottare iniziative volte a garantire adeguati stanziamenti finanziari per le case rifugio e per i centri antiviolenza, nonché per gli sportelli dedicati alle vittime di reati violenti, semplificando, velocizzando e rendendo stabile il percorso dei finanziamenti stessi, verificando l'effettiva erogazione ai centri antiviolenza e alle case rifugio attraverso un sistema di monitoraggio più efficace anche al fine di assicurare una loro adeguata distribuzione in tutto il territorio nazionale;

11) a garantire annualmente con tempestività la distribuzione dei fondi per il reddito di libertà alle regioni, assicurando che tale misura sia fruibile da tutte le donne inserite nei percorsi di uscita dalla violenza che ne facciano richiesta.
(1-00334) «Gribaudo, Ferrari, Ghio, Scotto, Fossi, Laus, Sarracino, Braga, Forattini, Scarpa, Marino, Iacono, Romeo, Madia, Bonafè, Manzi, Quartapelle Procopio, Malavasi, Roggiani, Boldrini, Serracchiani, Evi, Prestipino».

(25 settembre 2024)

   La Camera,

   premesso che:

    1) la parità di genere in tutte le sue forme è un principio cardine garantito dalla Costituzione italiana all'articolo 3, che sancisce il principio di eguaglianza, all'articolo 51, che dispone eguale accesso agli uffici pubblici e alle cariche elettive e in base al quale la Repubblica promuove le pari opportunità tra donne e uomini, all'articolo 37, che dispone che la donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni spettanti al lavoratore, e all'articolo 117, settimo comma, che prevede, tra l'altro, che le leggi regionali rimuovono ogni ostacolo che impedisce la piena parità degli uomini e delle donne nella vita sociale;

    2) la reale attuazione di tali fondamentali principi della vita democratica è un processo continuo che richiede leggi specifiche e politiche pubbliche lungimiranti. È per questo che il Governo Meloni, dal suo insediamento, ha messo in atto molteplici iniziative per promuovere la parità di genere e contrastare ogni forma di discriminazione e disuguaglianza;

    3) decontribuzione per mamme lavoratrici (cosiddetto bonus mamme), promozione del codice di autodisciplina per le imprese per favorire l'occupazione delle donne, certificazione della parità di genere per le imprese, sgravi contributivi per l'assunzione di donne disoccupate vittime di violenza, incremento del fondo di garanzia per le piccole e medie imprese dedicato alle imprese femminili, incentivi per l'assunzione a tempo determinato e a tempo indeterminato di donne in condizioni di svantaggio: sono tutti provvedimenti adottati dall'attuale Esecutivo che testimoniano il forte impegno a sostegno delle donne anche nell'ambito del mondo del lavoro;

    4) tale impegno ha generato risultati concreti certificati dall'Istat. Al riguardo, i dati divulgati dall'istituto attestano che, rispetto al 2019, l'occupazione femminile ha registrato, nel 2023, una crescita dell'1,6 per cento, con un trend ancora più positivo emerso nel 2024, segnando rispetto al 2022, un incremento del 2,4 per cento. Al riguardo, all'inizio del 2024 il numero delle occupate ha raggiunto i 10 milioni 95 mila, il tasso di occupazione ha fatto un ulteriore balzo in avanti, arrivando a quota 53 per cento, mentre quello di disoccupazione scende all'8,2 per cento. Anche i recenti dati di luglio 2024 attestano un generale aumento degli occupati, con una crescita per le donne di 56 mila unità;

    5) l'aumento dell'occupazionale femminile ha riguardato principalmente le fasce d'età più adulte, in particolare le 55-64enni, che hanno registrato un incremento di 284 mila occupate (+15,1 per cento) tra il 2019 e il 2023. In tale fascia d'età si registra il maggiore incremento del tasso di occupazione, passato dal 43,9 per cento del terzo trimestre 2019 al 48,6 per cento del terzo trimestre 2023. Ma anche tra le giovani si riscontrano dinamiche positive: tra le 25-34enni, l'occupazione aumenta del 2,4 per cento tra il 2019 e il 2023, mentre tra le under 25 la crescita è del 6,6 per cento. Tra le prime, il tasso di occupazione passa dal 54,3 per cento al 57,8 per cento;

    6) questo scenario mostra un quadro in evoluzione, con progressi significativi ma anche sfide ancora aperte e ostacoli da superare per garantire una piena parità di genere nel mondo del lavoro, che merita un impegno costante da parte di tutte le istituzioni, delle imprese e della società civile;

    7) garantire la parità di genere delle donne nel mondo del lavoro è strettamente correlato anche all'adozione di misure di contrasto alla violenza di genere. Tale fenomeno in tutte le sue forme rappresenta uno dei principali ostacoli alla realizzazione delle donne, poiché le costringe a non lavorare o lasciare il lavoro, privandole dell'indipendenza economica e delle opportunità di carriera;

    8) sul punto, tra le novità legislative introdotte si evidenzia la legge n. 168 del 2023 che ha apportato modifiche ai codici penale, di procedura penale, delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione e ad alcune leggi speciali in materia di prevenzione e contrasto alla violenza sulle donne; in materia penale è intervenuta anche la legge n. 122 del 2023 che mira a rendere più stringente l'obbligo introdotto per i delitti di violenza domestica o di genere dalla legge n. 69 del 2019 (cosidetto codice rosso), di assumere informazioni dalla persona offesa nel termine di tre giorni;

    9) inoltre, il Governo ha esteso la misura dell'assegno di inclusione, introdotta dal cosiddetto «decreto-legge lavoro» (decreto-legge 4 maggio 2023, n. 48, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 luglio 2023, n. 85), anche alle donne vittime di violenza. Uno strumento che consente loro di essere autonome economicamente e, soprattutto, ne facilita il reinserimento all'interno della vita sociale e lavorativa;

    10) dal punto di vista anche delle risorse impiegate, sono di rilievo gli interventi operati in sede di legge di bilancio per il 2024 (legge n. 213 del 2023) sul fondo per le pari opportunità, che prevedono, tra le altre cose, un finanziamento permanente, pari a 10 milioni di euro per ciascuno degli anni 2024-2026 e a 6 milioni di euro a decorrere dal 2027 in favore del cosiddetto reddito di libertà per le donne vittime di violenza; l'incremento da 1 a 4 milioni di euro della quota del fondo riservata all'istituzione e al potenziamento dei centri di riabilitazione per il recupero degli uomini autori di violenza di genere; il rifinanziamento, pari a 5 milioni di euro per ciascuno degli anni 2024-2026, delle risorse del fondo destinate alla realizzazione di centri antiviolenza nei confronti delle donne; l'incremento di 3 milioni di euro dal 2024 delle risorse del fondo al fine di rafforzare la prevenzione della violenza nei confronti delle donne e della violenza domestica, in particolare attraverso iniziative formative;

    11) la parità di genere è altresì un principio cardine del Piano nazionale di ripresa e resilienza, rappresentando una delle tre priorità trasversali in termini di inclusione sociale, unitamente a giovani e Mezzogiorno. Concretamente, si promuove una maggiore partecipazione femminile al mercato del lavoro, attraverso:

     a) interventi diretti di sostegno all'occupazione e all'imprenditorialità femminile;

     b) interventi indiretti o abilitanti, rivolti soprattutto al potenziamento dei servizi educativi per i bambini e di alcuni servizi sociali, che il Piano nazionale di ripresa e resilienza ritiene potrebbero incoraggiare un aumento dell'occupazione femminile;

    12) tra le azioni di riforma del Piano nazionale di ripresa e resilienza, vi è il Programma garanzia occupabilità lavoratori (Gol), che pone al centro i soggetti più fragili del mercato del lavoro, in particolare le donne. Il sistema di presa in carico del Programma garanzia occupabilità lavoratori, focalizzato su orientamento e formazione, offre alle donne disoccupate o in transizione occupazionale percorsi personalizzati per favorire il loro reinserimento lavorativo. Attraverso un accompagnamento mirato, il Programma garanzia occupabilità lavoratori promuove l'incremento di posti di lavoro femminili di qualità, in linea con le competenze e le aspirazioni delle donne coinvolte. Questo approccio contribuisce non solo a ridurre il divario di genere sul mercato del lavoro, ma anche a valorizzare il potenziale delle donne e a favorire una crescita economica più inclusiva;

    13) ed ancora, sulla stessa linea di interventi si pone la riclassificazione delle spese del bilancio dello Stato con riferimento alla spesa che promuove la parità di genere, secondo la previsione della riforma 1.13 del Piano nazionale di ripresa e resilienza e dell'articolo 51-bis del decreto-legge n. 13 del 2023 (cosiddetto «decreto-legge PNRR-ter»), che appunto stabilisce che a decorrere dall'anno 2023 il Ministro dell'economia e delle finanze trasmetta alle Camere, entro trenta giorni dalla presentazione del disegno di legge di bilancio, appositi allegati conoscitivi nei quali, per il triennio di riferimento del disegno di legge di bilancio è data evidenza delle spese relative alla promozione della parità di genere attraverso le politiche pubbliche;

    14) più di recente, con il decreto-legge 7 maggio 2024, n. 60, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 luglio 2024, n. 95 (cosiddetto «decreto-legge coesione»), il Governo ha introdotto un'ulteriore misura utile a favorire le pari opportunità nel mercato del lavoro per le lavoratrici svantaggiate, anche nell'ambito della zona economica speciale per il Mezzogiorno – zes unica. Con il cosiddetto bonus donne, difatti, è previsto un esonero contributivo del 100 per cento a favore dei datori di lavoro che nel periodo dal 1° settembre 2024 al 31 dicembre 2025 assumono a tempo indeterminato donne di qualsiasi età prive di un impiego;

    15) in materia pensionistica, la legge di bilancio annuale per il 2024 ha prorogato per il 2024 la cosiddetta opzione donna, misura sperimentale che consente di accedere al trattamento pensionistico in anticipo alle lavoratrici che maturino entro il 31 dicembre 2023 un'anzianità contributiva pari almeno a 35 anni, un'età anagrafica di almeno 61 anni, ridotta di un anno per ogni figlio e nel limite massimo di due anni, e siano in possesso di determinati requisiti e condizioni: caregiver, invalide civili in misura pari o superiore al 74 per cento e chi è stata licenziata o è dipendente in imprese per le quali è attivo un tavolo di confronto per la gestione della crisi aziendale;

    16) inoltre, il Governo Meloni si è reso parte attiva in merito alla promozione delle discipline Stem (science, technology, engineering, mathematics), intervenendo con la promozione di iniziative volte a combattere lo stereotipo della presunta scarsa attitudine delle studentesse verso dette discipline, che ha prodotto in passato un divario di genere in questi ambiti, sia interno al percorso di studi che nelle scelte di orientamento prima e professionali poi;

    17) nello specifico il Dipartimento per le pari opportunità ha avviato, anche in collaborazione con il Ministero dell'università e della ricerca, iniziative volte a promuovere le pari opportunità e a contrastare gli stereotipi di genere nei percorsi scolastici, contribuendo a rimuovere gli ostacoli di tipo culturale, sensibilizzando docenti e studenti e valorizzando il talento delle studentesse e degli studenti negli ambiti scientifici e tecnologici;

    18) uno strumento fondamentale, da ampliare e rinnovare nelle strategie per migliorare la parità di genere, a livello aziendale e settoriale, deve essere individuato senz'altro nella contrattazione collettiva e, dunque, nel potere negoziale che hanno i sindacati per supportare la partecipazione di qualità delle donne al mondo del lavoro e colmare le disparità di trattamento. Da questo punto di vista, a parere dei firmatari del presente atto di indirizzo gli stessi sindacati dovrebbero rafforzare la presenza delle donne nelle loro organizzazioni, per attuare una maggiore uguaglianza;

    19) è essenziale innovare le relazioni industriali, promuovere modelli organizzativi flessibili che conciliano lavoro e vita privata, investire in formazione e sviluppo professionale; in questo modo, le aziende e il sistema economico nel suo complesso potranno beneficiare appieno delle competenze e del potenziale delle donne. Attraverso accordi di buone pratiche sulla parità di genere, la contrattazione collettiva può valorizzare il contesto sociale e le esigenze di lavoratrici e lavoratori, contribuendo a costruire un futuro del lavoro più equo ed inclusivo,

impegna il Governo:

1) a porre in essere iniziative e progetti finalizzati alla diffusione della cultura dell'uguaglianza, dell'equità e dell'indipendenza economica nelle scuole, nei luoghi di lavoro e in ogni ambito della società civile, anche al fine di responsabilizzare le aziende e l'intera comunità in modo che sia sentito, a livello collettivo, l'impegno di superare ogni divario affinché la parità di genere sia riconosciuta come uno di quei valori primari che devono guidare le politiche delle aziende italiane;

2) ad adottare iniziative affinché nell'ambito della contrattazione collettiva, di primo e secondo livello, siano favorite iniziative a sostegno della parità di genere, dell'inclusione e del superamento di ogni discriminazione, anche e soprattutto incentivando la negoziazione di accordi che promuovano la trasparenza salariale e l'equità retributiva;

3) a sostenere e potenziare ulteriormente l'offerta di servizi per l'infanzia e per la cura degli anziani e delle persone fragili, rendendoli accessibili e di qualità;

4) ad adottare iniziative di competenza volte a promuovere flessibilità lavorativa e lavoro agile per favorire la conciliazione tra vita professionale e familiare;

5) ad adottare iniziative normative volte a riconoscere agevolazioni tributarie alle donne vittime di violenza di genere o domestica certificata, da incrementare in presenza di figli minori conviventi;

6) ad avviare iniziative di competenza volte a garantire la realizzazione concreta di percorsi di formazione continua che favoriscano l'aggiornamento delle competenze delle donne e la loro adattabilità ai cambiamenti del mercato del lavoro;

7) a proseguire le iniziative di competenza volte a garantire la realizzazione concreta di percorsi stabili di orientamento post-scolastico che coinvolgano i discenti, istituzioni pubbliche e operatori privati, per favorire la conoscenza delle discipline Stem, sensibilizzando docenti e studenti e valorizzando il talento delle studentesse e degli studenti negli ambiti scientifici e tecnologici;

8) ad adottare iniziative normative volte a ridurre il divario pensionistico di genere, anche adottando provvedimenti che favoriscano attraverso campagne informative e misure incentivanti l'adesione a forme di previdenza complementare;

9) a proseguire nelle iniziative anche di carattere normativo improntate a un approccio paritario tra madre e padre relativamente all'accesso ai congedi parentali;

10) a proseguire le iniziative già adottate a sostegno del lavoro e delle imprese femminili, descritte in premessa, e a valutare le modalità di estensione del cosiddetto bonus mamme anche alle lavoratrici autonome;

11) ad adottare le necessarie iniziative volte a potenziare e rendere maggiormente operativo il Fondo impresa femminile, l'incentivo nazionale che sostiene la nascita e il consolidamento delle imprese guidate da donne, promosso dal Ministero delle imprese e del made in Italy;

12) ad adottare iniziative volte a integrare i benefici già riconosciuti alle imprese che ottengono la certificazione della parità di genere di cui alla legge 5 novembre 2021, n. 162, prevedendo forme agevolate di accesso al fondo di garanzia per le piccole e medie imprese, di cui all'articolo 2, comma 100, lettera a), della legge 23 dicembre 1996, n. 662.
(1-00341) «Rizzetto, Ravetto, Tenerini, Semenzato, Schifone, Giaccone, Polidori, Coppo, Nisini, Tassinari, Giovine, Caparvi, Battilocchio, Malagola, Loizzo, Mascaretti, Giagoni, Volpi, Lazzarini, Zurzolo, Panizzut, Matone».

(7 ottobre 2024)

   La Camera,

   premesso che:

    1) l'articolo 3 della Costituzione definisce che tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali, impegnando la Repubblica a rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana;

    2) l'articolo 37 della Costituzione introduce la parità retributiva tra donna e uomo come principio costituzionale, stabilendo che la donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore;

    3) l'articolo 51 della Costituzione, che costituisce specificazione e conferma del principio di cui all'articolo 3, risponde che tutti i cittadini dell'uno o dell'altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge, e che a tal fine la Repubblica debba promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini;

    4) la democrazia paritaria disegnata dalla Costituzione non si è tuttavia ancora realizzata, anche a causa di un prevalente approccio culturale che, contravvenendo al dettato costituzionale, alimenta una discriminazione di fatto delle donne, sia nel contesto lavorativo che sociale in senso lato, con il conseguente effetto anche di depotenziare gli strumenti previsti dall'ordinamento a tutela della parità di genere;

    5) nel percorso di costruzione della nostra democrazia, anche se con un passo più lento rispetto a quello della maggior parte degli altri Paesi europei, il complesso processo di trasformazione socio-culturale a cui è andato incontro il nostro Paese ha coinvolto attivamente le donne, una trasformazione che ha toccato vari ambiti, tra i quali il mercato occupazionale, il mondo dell'università e della ricerca, il mondo aziendale e societario;

    6) nonostante l'abbattimento di numerose barriere formali e l'adozione da parte del legislatore di alcuni strumenti in favore dell'uguaglianza, sono note le difficoltà che ancora incontrano le donne nella loro quotidianità, trovandosi a dover contrastare stereotipi e meccanismi che le vedono svantaggiate e penalizzate rispetto alle persone di sesso maschile;

    7) quello ancora in corso nel nostro Paese è un cammino lento, sicuramente intralciato da ostacoli tali da non consentire un'indipendenza e realizzazione femminile piena e pari a quella maschile;

    8) il legislatore, negli ultimi decenni e soprattutto negli anni più recenti, ha compiuto diversi e importanti progressi, adottando nuove misure volte a migliorare la condizione delle donne; tuttavia, i dati indicano la necessità di fare ulteriori passi nella consapevolezza riconosciuta trasversalmente che senza una compiuta parità di genere non vi possa essere alcuna crescita economica e, anzi, come essa rappresenti un vero motore di sviluppo;

    9) come ha avuto modo di affermare il Presidente Draghi: «la mobilitazione delle energie femminili e un non solo simbolico riconoscimento della funzione e del talento delle donne sono essenziali per la costruzione del futuro della nostra nazione»;

    10) la Strategia nazionale per la parità di genere 2021-2026, documento programmatico adottato in coerenza con la Strategia per la parità di genere 2020-2025 della Commissione europea a marzo 2020, e previsto come strumento strutturale dalla legge 30 dicembre 2021, n. 234, definisce un sistema di azioni e politiche integrate per contrastare le molteplici dimensioni delle discriminazioni di genere, ponendosi l'obiettivo di raggiungere entro il 2026 l'incremento di cinque punti nella classifica dell'Indice sull'uguaglianza di genere elaborato che attualmente vede l'Italia al 13esimo posto nella classifica dei Paesi dell'Unione europea;

    11) secondo le ultime statistiche relative al 2023, il punteggio attribuito all'Italia in questo indice di uguaglianza è pari a 68,2, che, sebbene segni un miglioramento di 3,2 punti rispetto al 2020, risulta essere ancora molto basso specialmente nel settore del lavoro, in relazione al quale il miglioramento risulta più contenuto, attestando l'indice a 62,7 punti;

    12) nonostante negli ultimi anni si sia verificato un recupero dell'occupazione femminile, anche come contraccolpo al collo registrato nel periodo pandemico, il tasso di occupazione delle donne risulta ancora bene lontano dalla media europea e anzi si attesta, secondo i dati Eurostat, come il dato più basso tra i Paesi dell'Unione europea;

    13) a dieci anni dall'entrata della legge 12 luglio 2011, n. 120 (cosiddetta legge Golfo-Mosca), la quota di donne componenti dei consigli di amministrazione delle società quotate o a partecipazione pubblica è passata dal 6 per cento al 43 per cento, a testimonianza che l'introduzione della legislazione sulle quote ha prodotto un risultato importante;

    14) il risultato ottenuto dalla legge di cui al capoverso precedente, purtroppo, non si è tradotto in uno sviluppo parallelo della presenza delle donne nelle posizioni di vertice esecutivo, come pure nelle posizioni apicali nel settore privato, dove la percentuale delle donne quadro o dirigenti è passato dal 14 per cento del 2012 al 21 per cento del 2022;

    15) nel dettaglio del mercato del lavoro, le donne risultano essere meno presenti nei settori produttivi risultanti più remunerativi, concentrandosi invece in settori a basso valore aggiunto, in organizzazioni di piccole e piccolissime dimensioni o in organizzazioni di grandi dimensioni, ma occupando figure professionali medio-basse, o in settori caratterizzati da bassi salari e limitate opportunità di carriera;

    16) questo avviene nonostante nei percorsi di laurea di primo e secondo livello le donne rappresentino stabilmente oltre la metà della popolazione studentesca – sono il 53 per cento degli iscritti ai corsi di laurea e il 57 per cento dei totali dei laureati – e si laureino con performance migliori dei colleghi maschi: il 63 per cento si laurea in corso, contro il 58 per cento degli uomini; 104,2 voto medio di laurea, contro il voto medio 102,4 degli uomini;

    17) nonostante la Carta europea dei diritti dell'uomo sancisca, all'articolo 23, che la parità tra uomini e donne deve essere assicurata in tutti i campi, compreso in materia di occupazione, di lavoro e di retribuzione, il divario retributivo di genere in Europa si attesta, secondo gli ultimi dati di Eurostat al 12,7 per cento, mentre l'Italia – stando al Global gender gap report del 2024 – con un punteggio pari a 0,703 su 1, si posiziona all'87esimo posto a livello globale, perdendo otto posizioni rispetto al 2023, e al 37esimo posto in Europa, davanti solo a Ungheria, Repubblica ceca e Turchia;

    18) il raggiungimento dell'uguaglianza di genere è uno dei 17 obiettivi di sviluppo sostenibili individuati dall'Organizzazione delle Nazioni Unite e impegna gli Stati, entro il 2030, a garantire alle donne la piena ed effettiva partecipazione e pari opportunità di leadership a tutti i livelli del processo decisionale nella vita politica, economica e pubblica;

    19) parimenti, il Piano nazionale di ripresa e resilienza individua, come uno degli obiettivi trasversali alle missioni che compongono il Piano, il superamento delle disparità di genere;

    20) sul principio di uguaglianza di genere nel mercato del lavoro, l'Unione europea è intervenuta più volte, anche negli anni più recenti, in particolare con la direttiva (UE) 2023/970 del 10 maggio 2023 sulla parità salariale, da recepire entro il 2026, secondo la quale le aziende devono rendere facilmente accessibili i criteri utilizzati per determinare le retribuzioni, i livelli di retribuzione e la progressione economica, comunicando altresì alle autorità competenti informazioni dettagliate sul divario retributivo di genere, e con la direttiva (UE) 2024/1500 del 14 maggio 2024 sugli organismi per la parità di trattamento e pari opportunità tra donne e uomini in materia di occupazione e impiego, con l'obiettivo di consolidarne la loro indipendenza;

    21) sul piano nazionale, per favorire una maggiore partecipazione delle donne al mercato del lavoro e per contribuire a contrastare il divario salariale, il legislatore è intervenuto, soprattutto negli anni più recenti, con alcuni strumenti particolarmente virtuosi, tra cui in particolare i seguenti due;

    22) il primo è rappresentato dalla legge delega 7 maggio 2022, n. 32, per il sostegno e la valorizzazione della famiglia (cosiddetto Family act), che prevede anche la definizione di norme per una redistribuzione del carico familiare e per migliorare la conciliazione dei tempi casa-lavoro, la riforma dei congedi parentali, ivi compreso il congedo obbligatorio di paternità in una logica di piena condivisione tra donne e uomini dei carichi di cura familiari e genitoriali;

    23) il secondo riguarda, invece, la legge 5 novembre 2021, n. 162, in materia di pari opportunità tra uomo e donna in ambito lavorativo, che ha introdotto la certificazione della parità di genere per le imprese a cui è stata data attuazione con il decreto ministeriale della Ministra per le pari opportunità e la famiglia del 29 aprile 2022, introducendo la prassi Uni 125/2022 e l'attuazione di un progetto previsto dal Piano nazionale di ripresa e resilienza, con un risultato di notevole riscontro da parte delle imprese (ad oggi più di 2.700 certificate), prevedendo sconti contributivi e vantaggi negli appalti pubblici;

    24) nonostante l'innovativo contenuto normativo e un sostegno parlamentare trasversale, la legge delega per il sostegno e la valorizzazione della famiglia non ha trovato attuazione nella presente legislatura, mentre la certificazione della parità di genere ha rappresentato da subito un valido strumento di riduzione delle disparità di genere in ambito imprenditoriale, incentivando fiscalmente e negli appalti pubblici l'adozione di policy adeguate a ridurre il divario di genere;

    25) sulla base dei riscontri positivi avuti si ritiene opportuno implementare prossimamente lo strumento della certificazione della parità di genere con l'innalzamento della soglia massima di esonero contributivo per le aziende in possesso di tale certificazione e condizionare per le aziende più grandi l'accesso agli appalti pubblici e ai finanziamenti statali al possesso di tale certificazione, introducendo altresì per le imprese che superano un elevato numero di dipendenti un obbligo a dotarsi di questa certificazione e a redigere annualmente un rapporto sulla rappresentanza di genere;

    26) nel Piano nazionale di ripresa e resilienza il Governo Draghi ha voluto introdurre come obiettivo trasversale la parità di genere, prevedendo un effetto positivo sull'occupazione femminile, attraverso misure specifiche e una linea trasversale di vincolo di assunzione di donne nei progetti di attuazione del Piano stesso;

    27) l'assegno unico universale è stato costruito prevedendo un supporto per le donne lavoratrici con un effetto già rilevabile come evidenziato da uno studio di Banca d'Italia del marzo 2023, mentre la costruzione dell'Isee e misure anche recentemente introdotte dal Governo, che tendono a premiare situazioni familiari in cui uno dei due coniugi sia a carico dell'altro, di fatto favoriscono la fuoriuscita dal mondo del lavoro delle donne;

    28) alla luce delle misure introdotte dal legislatore italiano ed europeo e della condizione ancora non soddisfacente in materia di pari trattamento tra uomo e donna, in particolare nel mercato del lavoro, si ravvisa la necessità di riaffermare l'impegno delle istituzioni a dare piena attuazione alla legislazione sulla parità di genere e ad implementare gli strumenti che si sono dimostrati efficaci, anche mediante un rifinanziamento di alcune misure e di un'attenta attività di monitoraggio e rendiconto dei traguardi raggiunti,

impegna il Governo:

1) a dare piena attuazione alla Strategia nazionale per la parità di genere 2021-2026, prevedendo altresì che l'autorità politica delegata alle pari opportunità ne illustri al Parlamento lo stato di attuazione;

2) ad intraprendere tutte le iniziative di competenza per il raggiungimento dell'obiettivo individuato nel Piano nazionale di ripresa e resilienza circa il superamento delle disparità di genere, prevedendo altresì una rendicontazione semestrale al Parlamento sullo stato di attuazione delle missioni alla luce di questo traguardo;

3) ad attuare senza diminuzione degli obiettivi le misure specifiche che sono state individuate nel Piano nazionale di ripresa e resilienza come di incentivo al lavoro femminile, tra cui il sostegno all'imprenditoria femminile, la rimozione del gap di competenze nelle materie Stem tra ragazze e ragazzi, l'implementazione del tempo pieno nelle scuole, la costruzione di asili nido per arrivare alla copertura del 50 per cento di posti per la fascia di età dei bambini 0-3;

4) ad adottare iniziative anche di carattere normativo volte a rafforzare l'assegno unico universale nella componente di maggiorazione prevista per la casistica in cui lavorino entrambi i genitori e a rivedere più in generale la normativa Isee per evitare che siano penalizzati i nuclei in cui lavorano entrambi i genitori per quanto riguarda le prestazioni sociali;

5) ad adottare le necessarie iniziative tese a dare rapida e piena attuazione alla direttiva (UE) 2023/970 del 10 maggio 2023 volta a rafforzare l'applicazione del principio della parità di retribuzione tra uomini e donne, anche ai sensi dell'articolo 9 della legge 21 febbraio 2024, n. 15;

6) ad implementare attraverso apposite iniziative anche di carattere normativo lo strumento della certificazione della parità di genere, anche prevedendo l'innalzamento della soglia massima di esonero contributivo o condizionando l'accesso agli appalti pubblici e ai finanziamenti statali per le grandi aziende al possesso di tale certificazione.
(1-00342) «Bonetti, Richetti, Benzoni, D'Alessio, Grippo, Sottanelli, Onori, Pastorella, Rosato, Ruffino».

(7 ottobre 2024)

MOZIONI IN MATERIA DI ATTUAZIONE DELL'AUTONOMIA DIFFERENZIATA, CON PARTICOLARE RIGUARDO ALLA PRIORITARIA DEFINIZIONE DEI LIVELLI ESSENZIALI DELLE PRESTAZIONI, ANCHE AL FINE DI RIDURRE IL DIVARIO TRA LE DIVERSE AREE DEL PAESE

   La Camera,

   premesso che:

    1) è stata promulgata la legge 26 giugno 2024, n. 86, recante «Disposizioni per l'attuazione dall'autonomia differenziata delle regioni a statuto ordinario ai sensi dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione», dopo un iter parlamentare caratterizzato da un acceso dibattito;

    2) essa introduce nell'ordinamento la cosiddetta «autonomia differenziata», la quale, come concepita, rappresenta un'interpretazione dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione che ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo comporta una grave distorsione volta ad alterare profondamente l'equilibrio tra i soggetti di cui all'articolo 114 della Costituzione e che si pone in contrasto con i principi di capacità fiscale, perequazione e coesione di cui all'articolo 119 della Costituzione. Espunge di fatto la categoria «legislazione concorrente» dall'articolo 117, terzo comma, annulla la differenza tra regioni a statuto ordinario differenziato e regioni a statuto speciale, assimilando le due fattispecie, lede il principio di uguaglianza formale e sostanziale di cui all'articolo 3 della Costituzione, e, ad onta delle pur lodevoli finalità e dei richiami ad alcuni dei principi fondamentali del nostro ordinamento di cui all'articolo 1, comma 1, in assenza di correttivi determinerà la frantumazione dell'unità giuridica ed economica della Repubblica;

    3) l'ordinamento delle regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento e di Bolzano è disciplinato dai rispettivi statuti e dalle norme di attuazione degli stessi. Gli statuti – che hanno forma di legge costituzionale – stabiliscono ambiti e limiti della autonomia, le singole competenze legislative e amministrative e l'ordinamento finanziario di ciascuna regione. Gli statuti speciali possono attualmente essere modificati secondo la procedura di cui all'articolo 138 della Costituzione per l'approvazione delle leggi di revisione costituzionale e delle altre leggi costituzionali con alcune peculiarità introdotte dalla legge Costituzionale n. 2 del 2001, volte a garantirle la partecipazione degli organi della regione nell'iter legislativo. In tale contesto, la legge n. 86 del 2024 dispone l'applicabilità alle regioni a statuto speciale dell'intero provvedimento attuativo dell'autonomia differenziata. In tal modo esse vedrebbero, di fatto, annullate le ragioni della loro «specialità» – culturali, geografiche, economiche e sociali – riconosciute dalla Costituzione. Surrettiziamente, dunque, attraverso la norma ordinaria in questione, a parere dei firmatari del presente atto, si annienta la tutela formale e sostanziale che la Costituzione assegna alle regioni a statuto speciale, violando anche la procedura di cui all'articolo 138 della Costituzione. In altri termini si consente l'attribuzione di materie e funzioni alle regioni a statuto speciale con la legislazione ordinaria, in luogo della procedura costituzionale effettivamente prevista dalla Carta;

    4) la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale – nella loro individuazione, nel loro finanziamento, nella loro erogazione e nella fruizione da parte dei cittadini – nella legge n. 86 del 2024, così come nelle disposizioni di cui all'articolo 1, comma 793, lettera c), della legge di bilancio per il 2023 da essa richiamate, è subordinata agli stanziamenti di bilancio disponibili a legislazione vigente o a quelli resi disponibili dalle leggi di bilancio, con ciò subordinando la primaria connotazione sociale e il principio fondamentale di uguaglianza della nostra Carta costituzionale al criterio economico, subordinando l'articolo 3 della Costituzione all'articolo 81, in assenza di qualunque bilanciamento e secondo un ordine di priorità completamente rovesciato rispetto alle pronunce della Corte costituzionale in merito. Si consideri, inoltre che l'articolo 9, comma 1, della legge sull'autonomia differenziata dispone che: «Dall'applicazione della presente legge e di ciascuna intesa non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica»;

    5) si sottolinea, in proposito, che i diritti e i principi costituzionali costituiscono un insieme vivente che interagisce e nessuno di essi può avere, in astratto, una posizione di supremazia gerarchica e, vieppiù, che la Corte costituzionale ha sancito (sentenza n. 275 del 2016), con riguardo al rapporto tra principio dell'equilibrio del bilancio e tutela dei diritti costituzionali, che «è la garanzia dei diritti incomprimibili a incidere sul bilancio e non l'equilibrio di questo a condizionarne la doverosa erogazione»

    6) l'attribuzione di una o più materie, nella loro interezza, concretizza un ulteriore vulnus della legge, in quanto – in palese contrasto con la suddivisione delle competenze legislative operata dall'articolo 117 della Costituzione, commi secondo e terzo – l'articolo 116, terzo comma, non può essere «interpretato» nel senso adottato dalla legge, a pena della sua legittimità costituzionale né può l'attribuzione di autonomia ai sensi del medesimo articolo, come autorevolmente sostenuto, essere interpretata in forma espansiva, quasi che non vi siano limiti residuati a tutela della potestà legislativa statale: nell'articolo 117 della Costituzione sono tuttora vigenti le disposizioni costituzionali che prevedono che il legislatore statale dispone del potere di disciplinare le materie di competenza esclusiva (secondo comma) e di stabilire i principi fondamentali nelle materie di competenza concorrente (terzo comma, ultimo periodo) e analogamente prevedono gli statuti speciali;

    7) la norma reca un impianto segnato da nodi politico-tecnici rilevanti, tuttora irrisolti, mentre, al contrario, cittadini ed imprese necessitano di un quadro normativo certo per programmare le proprie scelte nell'attività che svolgono, tenuto conto della delicatezza e del vasto ambito di tematiche che il testo va ad investire;

    8) l'attuazione dell'autonomia regionale non può prescindere dal rispetto della coesione sociale del Paese ed anzi la solidarietà e l'unità dei diritti fondamentali esigibili dovrebbero essere preliminari a qualsiasi passaggio ulteriore;

    9) ci si avvia, in modo azzardato, a dare attuazione ad un processo potenzialmente di amplissima portata senza certezza alcuna del quadro ordinamentale e procedurale che lo accompagnerà non soltanto nella cruciale fase negoziale ed istruttoria, ma anche in quella strettamente applicativa – incertezza consistente nella mancanza di un quadro articolato e preciso di tutte le risposte legislative, finanziarie ed amministrative da utilizzare in base alle possibili variabili nelle ricadute concrete del meccanismo una volta avviato e che si ripercuoterebbe su scala pluriennale;

    10) sin dalla fase iniziale – costituito dallo stesso processo di valutazione delle richieste di attribuzione di autonomia differenziata – appare logico che dette richieste vengano subordinate alla preventiva valutazione dell'impatto sulla redistribuzione tra cittadini in termini fiscali e di servizi e, soprattutto, di diritti, prevedendo l'intervento dello Stato in caso di necessità per interesse nazionale e di regole comuni volte a prevenire differenziazioni normative sul territorio disfunzionali per la solidarietà tra territori e la coesione socioeconomica nazionale;

    11) sarebbe, altresì, opportuno definire le regole della istruttoria preventiva su ciascuna funzione e materia, cui conformare le istanze delle regioni interessate a richiedere l'autonomia, le regole di trasparenza e rendicontazione, le procedure obbligatorie di verifica della spesa e delle prestazioni erogate da tutte le regioni, a tal fine raccordandosi costantemente con la Corte dei conti, il Consiglio di Stato, la Banca d'Italia, la Ragioneria generale dello Stato e l'Ufficio parlamentare di bilancio, nonché con tutti gli altri organismi pubblici competenti nelle specifiche funzioni;

    12) ad avviso dei firmatari del presente atto ciò vale, parallelamente, anche per la procedura di richieste di attribuzione di materie o ambiti di materie e delle relative funzioni non associate ai livelli essenziali delle prestazioni, che dovrebbe comunque considerare parametri di efficienza, equità, solidarietà e coesione socioeconomica nell'ambito di tutto il territorio nazionale, nel rispetto del principio fondamentale di non discriminazione nel godimento dei diritti e dei servizi relativi, apparentemente affermati, ma poi privati di un concreto presidio legislativo di tutela;

    13) non soltanto la fase negoziale ma la stessa possibilità di richiesta di attribuzione di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia manca del presupposto di una dimostrata o dimostrabile assenza di effetti negativi sia per la regione richiedente che per le altre regioni e per il libero esercizio dei diritti sociali e civili ed economici dei cittadini e delle imprese su tutto il territorio nazionale;

    14) le carenze della disciplina generale, dai criteri di valutazione ex ante alle modalità di intervento ex post pongono rischi concreti in caso di future problematiche. Il divario tra Nord e Sud e quello all'interno dei diversi territori, di cui l'articolo 119 della Costituzione per effetto del regionalismo differenziato così delineato tende, se possibile, ad inasprirsi, in violazione anche del principio perequativo di cui all'articolo 174 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea e quindi dell'articolo 117 della Costituzione;

    15) sul tema si è espresso in prima persona il Governatore della Banca d'Italia in una lettera inviata al presidente del Comitato Lep, con cui mette in guardia sui rischi per il bilancio pubblico o per prestazioni collegate ai livelli essenziali delle prestazioni formulate in termini troppo generici, in buona parte riconducibili a mere petizioni di principio, il cui contenuto pratico rimane a suo avviso in larga parte indeterminato;

    16) in proposito, si segnala, altresì, che non sono previsti momenti di valutazione ex ante o ex post delle conseguenze delle attribuzioni, in quanto l'autonomia differenziata potrebbe portare a configurazioni molto diverse fra loro e, dunque, ad uno scenario fortemente frammentato, con funzioni differenti e livelli essenziali delle prestazioni differenti e peso finanziario differente: il caos derivante dalla possibilità che in ciascuna delle 23 materie oggetto di devoluzione si possa determinare una attività legislativa e amministrativa differenziata in ciascuna delle 20 regioni impatterà anche in ordine all'attrattività, già piuttosto bassa, del Paese da parte degli investitori esteri;

    17) l'autonomia cosiddetta differenziata come delineata appare anacronistica, anche considerati i contesti di crisi nazionale ed internazionale più recenti che hanno evidenziato l'importanza del potere centrale e di una cornice normativa unitaria, in termini di coordinamento ed operatività, se si considerano le diverse materie oggetto di devolution, dall'energia ai trasporti, dalla politica industriale alle grandi reti di trasporto dell'energia alla ricerca, appare assai difficile rendere tali devoluzioni compatibili con il piano di ammodernamento del Paese richiesto dal Piano nazionale di ripresa e resilienza, come pure con l'esigenza di un Piano energetico nazionale volto a migliorare il mix energetico e a ridurre la dipendenza nazionale da pochi Paesi esportatori e contestualmente contribuire agli obiettivi europei in materia di decarbonizzazione e ambiente;

    18) i contesti di crisi nazionale e internazionale più recenti hanno infatti dimostrato che un potere centrale incisivo in termini di coordinamento ed operatività serve tanto quanto una cornice normativa unitaria e che la frammentazione indebolisce l'Italia di fronte ai suoi competitori internazionali perché polverizza i centri decisionali e le responsabilità;

    19) l'attuazione dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione non può che essere subordinata alla definizione di una cornice legislativa statale che determini tutti i livelli essenziali delle prestazioni, per i quali deve essere assicurato lo stanziamento di risorse necessario a garantirne l'uniforme attuazione in concreto, nonché alla definizione dei principi fondamentali per tutte quelle materie di legislazione esclusiva statale e di legislazione concorrente che necessitano di coordinamento e controllo statale, a tutela degli interessi nazionali e del «sistema paese», cui, in ogni caso, nessuna istituzione territoriale dovrebbe poter derogare;

    20) i firmatari del presente atto di indirizzo ne hanno già deprecato l'avventatezza a fronte del rischio per gli interessi nazionali e per la tenuta economica del «sistema paese», ma è oltremodo preoccupante che siano rappresentanti del Governo e della maggioranza parlamentare a lanciare ripetuti allarmi e richieste di riflessione in ordine all'attuazione dell'autonomia differenziata, così fortemente voluta e peraltro in vigore – esempio ne sono proprio le dichiarazioni in ordine al commercio con l'estero (settore che rappresenta il 40 per cento del prodotto interno lordo) riportate dagli organi della stampa, che i firmatari del presente atto condividono per averle già ampiamente segnalate: l'autonomia nel commercio con l'estero creerebbe pericolose asimmetrie di natura legislativa e amministrativa che darebbero origine a caos nei rapporti dello Stato italiano con il resto del mondo, è sbagliato affidare l'export ad ogni regione e non ha senso che ogni regione possa sponsorizzare e firmare i propri contratti di export e di promozione per conto proprio, è necessario che sia il Ministro competente per il Paese a garantire il marchio del made in Italy, in quanto non siamo di fronte a repubbliche indipendenti in competizione;

    21) non è chiaro quale possa essere il ruolo futuro del Parlamento e del Governo, quindi dello Stato, che dovrebbe invece poterne mantenere il controllo e la regia a garanzia di tutti i cittadini su tutto il territorio;

    22) la Commissione europea, nei rilievi di cui al Country Report del 2024 ha sollevato numerosi dubbi in merito ai presunti rischi che l'autonomia differenziata potrebbe provocare in termini di aumento delle disparità e tenuta dei conti pubblici, nonché sulla capacità dei Lep di compensare gli squilibri territoriali per l'incapienza dei necessari stanziamenti;

    23) la Corte dei conti ha ribadito che il conseguimento dell'autonomia differenziata debba essere inserito all'interno di un quadro di riferimento unitario e cooperativo che, da una parte, rimandi alla necessaria definizione e al necessario finanziamento dei livelli essenziali delle prestazioni, dall'altra rinvii alla necessità di una completa perequazione infrastrutturale, necessaria non isolo per colmare le carenze di molte regioni, in particolare del Sud, ma anche all'interno delle regioni più sviluppate, dove talvolta convivono situazioni di marginalità – questione che neppure il decreto-legge cosiddetto «coesione» n. 60 del 2024, convertito con modificazioni dalla legge 4 luglio 2024, n. 95, ha risolto e realizzato;

    24) in conclusione, si deve rilevare con preoccupazione che il sistema concepito, declinato in maniera dettagliata solo in alcuni suoi aspetti, appare privo di un quadro normativo di misure altrettanto puntuali da adottare in caso di malfunzionamento dello stesso;

    25) la legge, peraltro, non assicura che siano contestualmente determinati e debitamente finanziati, quindi concretamente attuabili tutti i livelli essenziali delle prestazioni attinenti all'esercizio di diritti civili e sociali ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione e, al contempo, consente l'avvio, anche immediato, delle intese che non concernono materie o ambiti di materie connesse ai livelli essenziali delle prestazioni;

    26) in ordine alla procedura volta alla determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni, il Governo ha nominato una Commissione ad hoc, presieduta da Sabino Cassese; in proposito, si rammenta che il 24 settembre 2024, dagli organi della stampa, si è appreso di un documento circolato e discusso in seno alla Commissione, redatto da dodici esperti, volto a fissare i criteri e le modalità di calcolo con cui quantificare i costi dei livelli essenziali delle prestazioni: tra i criteri individuati, risulterebbe esservi quello della «territorialità», inteso come l'insieme delle caratteristiche dei diversi territori, tra i quali spicca, prepotentemente, il costo della vita – questione che appare preoccupante, a fronte dei forti divari sul territorio nazionale, inaccettabile, in quanto la modalità prescelta rischia di perpetuarli ed aggravarli e, a giudizio dei firmatari del presente atto, illegittima, in quanto tesa a «proporzionare» l'esercizio di diritti garantiti dalla Costituzione e a differenziarlo sulla base del luogo di residenza;

    27) il 25 settembre 2024, nel corso di un'audizione alla Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale, con il fine di sedare le polemiche innescate dalle notizie in ordine alle modalità di calcolo dei livelli essenziali delle prestazioni, il Ministro per gli affari regionali e le autonomie avrebbe chiarito la procedura per la definizione dei livelli essenziali delle prestazioni e dei relativi costi standard, ribadendo che «la definizione dei livelli essenziali dei costi e fabbisogni standard è il punto più alto della politica» e questa avverrà «attraverso un atto di rango primario, ancorché una delega con successivo decreto legislativo, non attraverso organismi tecnici»;

    28) occorre chiarire, in primis, cosa intenda il Ministro con «decisione politica» e soprattutto a quale organo «politico» si riferisca, dal momento che, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo:

     a) è il Parlamento, organo elettivo e di rappresentanza politica, che tutela l'interesse nazionale, ma la legge attuativa dell'autonomia cosiddetta differenziata ha inquinato (ulteriormente) il sistema ordinamentale aggravando lo squilibrio nei rapporti tra Governo e Parlamento, marginalizzato e spogliato delle sue prerogative, dell'esercizio delle sue funzioni e limitato nella sua potestà legislativa non solo nelle fasi deliberative delle intese, anche nelle fasi informative e conoscitive;

     b) è contestualmente – e deprecabilmente – in vigore nel nostro ordinamento una procedura di individuazione e determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni disciplinata in due provvedimenti diversi, i quali dispongono modalità attuative distinte e contrarie con riguardo proprio alla «decisione finale» – l'una, con i commi da 791 a 801 della legge di bilancio n. 197 del 2022, che la rimette, con una procedura completamente ed esclusivamente endogovernativa, all'emanazione di un decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri e l'altra, recata dalla legge n. 86 del 2024, che la rimette all'emanazione di uno o più decreti legislativi, il cui iter coinvolge a più riprese il Parlamento – in proposito, merita sottolineare che è la stessa legge n. 86 del 2024 a disporre espressamente l'applicazione della procedura recata dai predetti commi della legge di bilancio per il 2023, «nelle more dell'entrata in vigore dei decreti legislativi» che essa stessa ha introdotto e previsto ai fini della determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni – «more» che possono protrarsi fino al 13 luglio 2026 – e che, in sostanza, il Governo potrebbe decidere di applicare, indistintamente e alternativamente, una qualsiasi delle due procedure vigenti, a parer suo;

    29) acuisce il complesso delle problematiche e dei rischi anzidetti l'accelerazione impressa all'iter applicativo dell'autonomia differenziata, con la richiesta da parte delle regioni Veneto, Lombardia, Liguria e Piemonte di avviare le interlocuzioni con il Governo,

impegna il Governo:

1) al fine di salvaguardare gli obiettivi della rimozione degli squilibri economici e sociali tra le diverse aree del Paese e in attuazione del principio di uguaglianza formale e sostanziale di cui all'articolo 3 della Costituzione, ad astenersi dall'avviare il negoziato previsto dall'articolo 2 della legge n. 86 del 2024 nonché dal procedere, ai sensi dell'articolo 11 comma 1, della legge in parola, in ordine alle richieste di attribuzione di materie o ambiti di materie e delle relative funzioni fino alla determinazione e al conseguente finanziamento dei livelli essenziali delle prestazioni di cui all'articolo 117, secondo comma, lettera m), unitamente alle modalità di verifica e controllo della loro parità di accesso, erogazione ed uniformità su tutto il territorio nazionale;

2) onde non pregiudicare l'unità giuridica, economica e sociale della Repubblica e al fine di scongiurare lacune o incertezze applicative, ad adottare iniziative volte a prevedere che il trasferimento delle funzioni avvenga successivamente o contestualmente all'adozione di misure organiche di perequazione di cui all'articolo 119 della Costituzione per i territori con minori capacità fiscale e siano previsti efficaci e tempestivi poteri sostitutivi da attivare per prevenire o far cessare fenomeni di disuguaglianza, inefficienza e problematiche rilevate dalla fase di monitoraggio, compresa la revisione e correzione delle intese in corso di attuazione;

3) ad adottare iniziative volte a predisporre, reperendo le risorse finanziarie utili, a tal fine bilanciando l'attuazione del principio di uguaglianza di cui all'articolo 3 della Costituzione e il rispetto degli equilibri di bilancio di cui all'articolo 81 della Costituzione, preliminarmente alla determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni, l'istituzione di un fondo perequativo a garanzia dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale e dei relativi costi e fabbisogni standard, per le regioni che non richiedano ulteriori forme e condizioni di autonomia ai sensi dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione;

4) ad adottare iniziative volte a elaborare e a fornire alle Camere una valutazione dell'impatto derivante dalla richiesta di trasferimento delle funzioni concernenti materie o ambiti di materie, anche non riferibili ai livelli essenziali delle prestazioni, sulle altre regioni e, in generale, sul territorio nazionale, anche in ordine alla tutela della potestà legislativa statale di cui alle vigenti disposizioni di cui all'articolo 117 della Costituzione, considerando di agire, per quanto di competenza, per l'istruttoria e la predetta valutazione di impatto, in raccordo con la Corte dei conti, il Consiglio di Stato, la Banca d'Italia, la Ragioneria generale dello Stato e l'Ufficio parlamentare di bilancio e con tutti gli altri organismi pubblici competenti nelle specifiche funzioni;

5) in ordine all'attribuzione di autonomia nelle materie e nelle relative funzioni concernenti la tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali, il governo del territorio, la produzione, il trasporto e la distribuzione nazionale dell'energia, ad avvalersi delle precauzioni di cui agli articoli 2 comma 2, secondo periodo, 3, comma 5, ultimo periodo e 7, comma 1, ultimo periodo della legge n. 86 del 2024 ai fini del mantenimento dell'unitarietà di indirizzo delle politiche pubbliche prioritarie nonché degli strumenti giuridici disposti dal nostro ordinamento a tutela dell'interesse nazionale, dell'unità giuridica e socio-economica della Repubblica e dei principi fondamentali della Costituzione, in modo da garantire il rispetto dei principi di coesione sociale e territoriale, la indispensabile omogeneità nelle predette materie e funzioni socialmente ed economicamente strategiche, mantenere una cornice normativa unitaria onde scongiurare effetti distorsivi, deleteri rispetto ai competitori internazionali e nei contesti di crisi, promuovere univoche, coerenti e lungimiranti pratiche ambientalmente sostenibili, onde ridurre progressivamente l'impatto del cambiamento climatico, a tal fine valutando l'opportunità di escludere l'attribuzione di autonomia nelle predette materie qualora oggetto di procedure di infrazione e pre-infrazione europee pendenti nei confronti del nostro Paese;

6) ad assicurare la trasparenza in ogni fase della procedura istruttoria volta alla determinazione, alla quantificazione e al finanziamento dei livelli essenziali delle prestazioni da parte della commissione di cui alla premessa, attraverso la pubblicazione sul sito del Dipartimento per gli affari regionali e le autonomie e la trasmissione alle Camere dei documenti e di ogni altro elemento utile, anche da parte delle amministrazioni pubbliche coinvolte e competenti, ai fini della sua comprensione e della sua valutazione complessiva, alla luce del principio di trasparenza richiamato dall'articolo 1, comma 1, della legge n. 86 del 2024 e in attuazione del principio di trasparenza dell'attività amministrativa, che costituisce livello essenziale delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione, secondo quanto previsto anche dall'articolo 1 del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33;

7) a voler riconsiderare la devoluzione, come disposta ai sensi della legge n. 86 del 2024, di materie o loro ambiti che incidono sugli interessi nazionali e sulla tenuta economico-sociale del Sistema Paese, con riguardo, in particolare, al settore dell'import e dell'export nonché ai settori più significativi per il prodotto interno lordo nazionale e quelli più esposti in ordine alla concorrenza, alla competitività, alla sostenibilità energetica, agli scambi e agli accordi di natura internazionale e che necessitano di unitarietà delle politiche pubbliche, di principi fondamentali nonché di una cornice normativa univoca, in termini di coordinamento ed operatività, anche a fini di salvaguardia delle opportunità delle nostre imprese;

8) a provvedere e a vigilare affinché l'attuazione della cosiddetta autonomia differenziata di cui alla legge n. 86 del 2024 non pregiudichi le ragioni culturali, geografiche, economiche e sociali a fondamento della specialità garantita e tutelata dalla Costituzione, ai sensi dell'articolo 116, primo comma, delle regioni a statuto speciale.
(1-00309) (Nuova formulazione) «Francesco Silvestri, Alfonso Colucci, Baldino, Santillo, Auriemma, Cappelletti, Fenu, Alifano, Penza, Aiello, Amato, Appendino, Ascari, Barzotti, Bruno, Cafiero De Raho, Cantone, Caramiello, Carmina, Carotenuto, Caso, Cherchi, Conte, Sergio Costa, Dell'Olio, Di Lauro, Donno, D'Orso, Fede, Ferrara, Ilaria Fontana, Giuliano, Gubitosa, Iaria, L'Abbate, Lomuti, Lovecchio, Morfino, Orrico, Pavanelli, Pellegrini, Quartini, Raffa, Marianna Ricciardi, Riccardo Ricciardi, Scerra, Scutellà, Sportiello, Torto, Traversi, Tucci».

(16 luglio 2024)

   La Camera,

   premesso che:

    1) le norme contenute nella legge 26 giugno 2024, n. 86, «Disposizioni per l'attuazione dell'autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario ai sensi dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione», sono, a giudizio dei firmatari del presente atto di indirizzo, in palese contrasto con il dettato costituzionale degli articoli 1, 2, 3, 4, 9, 33, 34, 53, 70, 116, 117, 119 della Costituzione;

    2) il 12 novembre 2024 sarà una data cruciale per la discussione sulla legittimità costituzionale della legge, che riguarda l'attuazione dell'autonomia differenziata delle regioni a statuto ordinario. La Corte costituzionale esaminerà i ricorsi presentati da Puglia, Toscana, Sardegna e Campania. Il 26 settembre 2024 sono state presentate 1.300.000 firme che chiedono il referendum abrogativo; in questo contesto avviare le negoziazioni tra alcune regioni e lo Stato per l'eventuale trasferimento di competenze è sbagliato e irrispettoso della democrazia. Se la Corte costituzionale accogliesse i ricorsi, la legge n. 86 del 2024 decadrebbe; se invece fossero respinti, la legge rimarrebbe valida e si dovrebbe celebrare il referendum che potrebbe tenersi nel 2025. È evidente che le forzature delle regioni governate dalla destra potrebbero essere motivate dalla volontà di influenzare il giudizio della Corte costituzionale che si appresta a giudicare e dal tentativo di mettere tutti davanti al fatto compiuto;

    3) intanto, la conseguenza più immediata sarà la cristallizzazione delle differenze esistenti fra i territori, in aperto e evidente contrasto con quanto stabilito dall'articolo 5 della Costituzione, laddove è stabilito che la Repubblica è «una e indivisibile», dall'articolo 3 della Costituzione, che prescrive il principio di eguaglianza e che impone allo Stato il compito fondamentale di «rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.»;

    4) l'oggettiva ripercussione dell'entrata in vigore della riforma consentirà alle regioni più ricche di trattenere più poteri e risorse per garantire i loro cittadini, mentre i territori più fragili, segnatamente quelli del Mezzogiorno e delle aree periferiche o interne e insulari, avranno maggiori difficoltà per riassorbire le diseguaglianze e raggiungere i livelli di sviluppo e di benessere sociale della parte del Paese più ricca;

    5) si accrescono quindi le diseguaglianze e divari territoriali potenzialmente irreversibili, si apre la strada alle diseguaglianze nei diritti fondamentali su base territoriale, unico discrimine sarà la residenza delle persone;

    6) trattasi di una torsione dell'interpretazione della Costituzione pericolosa e inaccettabile, che potrebbe condurre ad una fase di instabilità e di pericolose tensioni tra le diverse aree del Paese, che, nella peggiore delle ipotesi, porterebbe mettere in discussione la stessa unità nazionale;

    7) il percorso attivato di definizione formale dei livelli essenziali delle prestazioni e il lavoro – lodevole – del nominato Comitato per l'individuazione dei livelli essenziali delle prestazioni rischiano di rimanere solo un'esercitazione virtuale, in mancanza delle risorse necessarie per la loro concreta attuazione;

    8) il principio di unità e indivisibilità della Repubblica risulta, nel disegno costituzionale, strettamente connesso con gli altri principi costituzionali e, in particolare, con i principi fondamentali, a partire dall'articolo 1 della Costituzione, che consacra l'assetto democratico della Repubblica, basato sull'appartenenza della sovranità al popolo (Corte costituzionale, sentenza n. 256 del 1989), che si identifica tramite la partecipazione delle autonomie sociali, politiche e territoriali alla vita politica, economica e sociale del Paese e la condivisione di quella che è stata definita, in dottrina, la «sostanza costituzionale dell'unità», intesa come «unità nel nome di valori omnicondivisi»;

    9) in questo senso, l'unità nazionale non può prescindere dai compiti che i successivi articoli 2, 3, 4 della Costituzione assegnano alla Repubblica: la garanzia dei diritti inviolabili e l'assolvimento dei doveri inderogabili di solidarietà, la rimozione degli ostacoli all'eguaglianza sostanziale di tutti i cittadini. In evidente contraddizione a giudizio dei firmatari del presente atto di indirizzo con questi principi, la legge n. 86 del 2024 prevede un novero di materie delegabili che esorbita dai confini segnati dai principi costituzionali sopra menzionati: la sanità, la scuola, l'università e la ricerca, i beni culturali, l'ambiente e gli ecosistemi, l'organizzazione della giustizia di pace, le politiche attive del lavoro, i trasporti, porti e aeroporti, protezione civile, il governo del territorio, il trattamento dei rifiuti, la produzione, il trasporto e la distribuzione di energia, il sostegno alle attività produttive, la riorganizzazione degli enti locali, e altro;

    10) è evidente come il passaggio alle regioni finirà per tradursi in un inevitabile aggravamento del divario sociale e territoriale, con una lesione diretta dei principi di eguaglianza, solidarietà e democrazia sostanziale. Sul punto la letteratura scientifica e la reportistica di agenzie indipendenti e associazioni di categoria (Banca d'Italia, sindacati, Confindustria e altri) è copiosa e dettagliatissima, eppure non è stata tenuta in alcuna considerazione da parte della maggioranza che esprime il Governo in carica, così come in alcuna considerazione è stata tenuta la giurisprudenza della Corte costituzionale sull'applicazione uniforme dei diritti fondamentali;

    11) come da più parti osservato, l'articolo 116, comma 3, non dà alcuna indicazione circa le ragioni che debbano supportare la richiesta di nuove competenze e/o il quantum di autonomia possibile e, anzi, la formula è tale da non escludere che ogni singola regione possa richiedere la maggiore autonomia per tutte le materie elencate, tant'è che, nonostante alcune astratte opinioni dottrinali prefiguranti l'inammissibilità di richieste per più materie, tutte le regioni finora attivatesi hanno dimostrato la volontà di ottenere quanta più autonomia possibile, né appaiono efficaci le limitazioni previsti all'articolo 2 della legge, poiché demandate esclusivamente alle valutazioni del Presidente pro tempore del Consiglio dei ministri;

    12) in particolare, la procedura individuata dall'articolo 2 per l'approvazione delle intese è serrata nei tempi e non coinvolge in modo adeguato né la Conferenza unificata, cui si chiede solo il parere, né il Parlamento, sede della sovranità popolare, cui si demanda la sola facoltà di esprimere un atto di indirizzo non vincolante sugli schemi preliminari di intesa;

    13) il Parlamento potrà solamente respingere o approvare, senza alcuna possibilità di intervenire su punti di merito specifici, l'accordo raggiunto tra Governo e singola regione. Si lascia così che sia ridefinita l'attribuzione di competenze legislative, amministrative e regolamentari, riscrivendo nei fatti parte dell'articolo 117 della Costituzione;

    14) la procedura definita dall'articolo 3 della legge 26 giugno 2024, n. 86, non restituisce dignità al Parlamento, ma gli sottrae le proprie nonché specifiche prerogative, stabilite chiaramente dal dettato dell'articolo 70 della Costituzione, che al Parlamento, e non al Governo, attribuisce prioritariamente la funzione legislativa. La previsione che a determinare i livelli essenziali delle prestazioni sia un decreto legislativo di iniziativa governativa, lungi dallo sconfessare l'intento di sottrarre spazi e compiti al Parlamento, conferma invece il proposito di spostare l'asse del potere legislativo, fermamente ancorato al Parlamento – a Costituzione vigente – verso un'illegittima attribuzione al Governo del potere legislativo;

    15) riguardo al tema delle risorse economiche con cui far fronte ai nuovi compiti, ovvero residui fiscali e trasferimenti in base alla spesa storica, valga il riferimento alla sentenza n. 275 del 2016 della Corte costituzionale, la quale sancisce che deve essere «la garanzia dei diritti incomprimibili a incidere sul bilancio e non l'equilibrio di questo a condizionarne la doverosa erogazione». Innanzitutto è lo Stato, con il suo bilancio, chiamato a soddisfare i diritti inviolabili dei cittadini, qualunque sia il territorio in cui essi vivono e lavorano;

    16) il riferimento alla spesa, come criterio di ripartizione delle risorse, denuncia e conferma le profonde differenze già esistenti – si va da una spesa pro capite di 19 mila euro in Lombardia ai 13.700 euro in Campania – rendendo evidente la palese illegittimità del criterio prospettato, che, lungi dal promuovere la coesione sociale e territoriale, finirebbe per aggravarne le differenze. Si ignora il fatto che i diritti sono non il frutto di concessioni graziose di chi più ha nei confronti di coloro che versano in differenti condizioni economiche e sociali, ma il necessario corredo della cittadinanza e, ancora, che non sono le regioni ma i cittadini a pagare le tasse in ragione della loro capacità contributiva e non del luogo di residenza, sicché una norma così concepita finisce per violare per ciò solo gli articoli 2 e 53 Costituzione, a tenore dei quali la solidarietà economica e tributaria opera a livello nazionale, non regionale;

    17) così oggi ci si trova di fronte a tre tipologie differenti di autonomia: quella delle regioni che la domandano (e la ottengono), quella delle regioni a statuto speciale e quella prevista della competenza concorrente di cui all'articolo 117, terzo comma, con l'effetto di un'inarrestabile frammentazione della disciplina normativa, con le ovvie conseguenze in termini di inflazione normativa e di incertezza del diritto (si pensi a materie come il governo del territorio), maggiori costi per le imprese e i cittadini (si pensi alla disciplina di porti, aeroporti, autostrade e altro), inefficacia delle politiche pubbliche (si pensi alle materie che coinvolgono necessariamente lo Stato nazionale, quando non addirittura gli organismi sovranazionali: dall'energia all'ambiente e, più in generale, a tutte quelle che essendo toccate dal Piano nazionale di ripresa e resilienza e dalle priorità con lo stesso variamente dichiarate – transizione verde, trasformazione digitale, crescita intelligente, sostenibile e inclusiva, coesione sociale e territoriale, salute e resilienza economica, sociale e istituzionale, politiche per le nuove generazioni, l'infanzia e i giovani – esigono, al contrario, la capacità di formulare e implementare politiche nazionali forti e non compatibili con le richieste di ulteriore disgregazione);

    18) evidente la necessità di pre-determinare i livelli essenziali delle prestazioni, prima di attribuire alle regioni le risorse necessarie per sostenere le loro nuove competenze. Al di là delle evidenti difficoltà per molte delle regioni interessate di assicurare l'effettiva erogazione delle prestazioni, che la prima parte della Costituzione pretende non essenziali o minime, ma uguali per tutti i cittadini, a prescindere dal luogo di nascita o di residenza, si evidenzia che, mentre l'articolo 117 della Costituzione attribuisce la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni, per tutti i diritti sociali e civili, «alla competenza legislativa dello Stato», nella legge n. 86 del 2024 si prevede una procedura accelerata che si conclude con l'approvazione di un decreto legislativo;

    19) così il ruolo attribuito al Parlamento risulta del tutto marginale, sia in merito alla definizione delle intese con le singole regioni sia in relazione alla determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni così come previsto dalla legge di bilancio per il 2023 (legge n. 197 del 2022, articolo 1, commi 791-801), con una procedura amministrativa che si ritiene sia del tutto incompatibile con la riserva di legge che la Costituzione stabilisce in materia;

    20) inoltre, per quanto concerne la procedura per definizione dei livelli essenziali delle prestazioni, non è prevista alcuna predeterminazione politica degli obiettivi di uguaglianza sostanziale e, soprattutto, non sono previste adeguate procedute vincolate di stanziamento delle risorse aggiuntive necessarie per garantirli. I livelli essenziali delle prestazioni definiti in questo modo non costituiranno l'insieme dei servizi e degli interventi pubblici necessari ad assicurare – in maniera omogenea e uniforme – i diritti sulla base dei bisogni e a prescindere dalla capacità fiscale di un territorio, ma, come detto, determineranno una cristallizzazione – se non un incremento – delle disuguaglianze in essere;

    21) un sistema così congegnato – per di più a risorse date e senza spesa aggiuntiva – sarà un moltiplicatore dei divari territoriali e produrrà una riduzione del perimetro pubblico proprio nei territori e negli ambiti in cui è maggiormente decisiva la funzione redistributiva dello Stato;

    22) un sistema di autonomia differenziata compatibile con l'attuale assetto costituzionale e istituzionale dovrebbe invece subordinare le «ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia» al vincolo del rispetto dei principi fondamentali e delle norme generali nazionali inderogabili ed esplicitare le materie insuscettibili di qualsiasi differenziazione;

    23) si ritiene particolarmente grave che fra le materie oggetto di devoluzione non sia stata esclusa l'istruzione: questo potrebbe radicalmente mutare il quadro, in peggio, della scuola italiana e quindi del nostro Paese, poiché attraverso le intese regionali si prevede che si possa giungere perfino a far diventare «le norme generali sull'istruzione» – oggi legislazione esclusiva dello Stato – oggetto di legislazione concorrente. Non solo, ma, ancora, le leggi regionali potrebbero disciplinare l'istituzione di ruoli del personale della scuola, la sua consistenza organica, la stipulazione di contratti collettivi regionali, con gravi e devastanti conseguenze sulla tenuta delle finalità nazionali dell'ordinamento scolastico, sul contratto collettivo nazionale e trattamento economico di docenti, personale amministrativo, tecnico e ausiliario e dirigenti scolastici, sulla mobilità territoriale, sulla valenza di concorsi per il reclutamento a sbarramento regionale. Inoltre, la stessa autonomia scolastica costituzionalmente riconosciuta rischia di essere pregiudicata e collocata in ambito subalterno rispetto alle nuove funzioni e poteri regionali e locali;

    24) chiare ed evidenti le conseguenze negative che deriverebbero all'ordinamento scolastico, finalizzato in primo luogo all'esercizio del diritto all'istruzione degli alunni e alla libertà dell'insegnamento, fondamenti intangibili su cui si costruisce la cittadinanza, la libertà e l'unità del nostro popolo e della nostra comunità;

    25) il tutto in aperto e evidente contrasto con gli articoli 33 e 34 della Costituzione, che stabiliscono le caratteristiche basilari del sistema scolastico e che alle prescrizioni derivanti da tali articoli si attribuisce «valenza necessariamente generale ed unitaria che identifica un ambito di competenza esclusivamente statale», rappresentando «la struttura portante del sistema nazionale di istruzione e che richiedono di essere applicate in modo necessariamente unitario ed uniforme in tutto il territorio nazionale, assicurando, mediante una offerta formativa omogenea, la sostanziale parità di trattamento tra coloro che fruiscono del servizio dell'istruzione (interesse primario di rilievo costituzionale)» (Corte costituzionale, sentenza 24 giugno 2009, n. 200);

    26) se è chiaro che la missione principale della scuola è la costruzione della cittadinanza, la condivisione di valori e il senso di appartenenza, che fondano la convivenza democratica, è altresì pacifico che questo ruolo del sistema di istruzione statale verrà inevitabilmente pregiudicato da una scelta regionalistica e territorialistica;

    27) già oggi le regioni godono di ampie funzioni amministrative: sulla programmazione dell'offerta formativa integrata tra istruzione e formazione professionale, sulla programmazione della rete scolastica, sulla suddivisione del territorio regionale in ambiti funzionali al miglioramento dell'offerta formativa, sulla determinazione del calendario scolastico, sui contributi alle scuole non statali, sulle iniziative e sulle attività di promozione relative all'ambito delle funzioni attribuite. Oltre queste competenze non si può e non si deve andare. Il diritto all'apprendimento dell'alunno, le finalità dell'istruzione ancorate all'esercizio della cittadinanza italiana sono diritti dell'individuo/persona/lavoratore-lavoratrice che devono essere esercitati e garantiti in ogni luogo del nostro Paese, esigibili a prescindere dai confini territoriali;

    28) una scelta ponderata e consapevole del Governo avrebbe quantomeno suggerito, nell'ambito della gradualità del processo, di escludere dal possibile riconoscimento di ulteriori e particolari forme di autonomia alle regioni le materie di legislazione esclusiva statale, tra cui le norme generali sull'istruzione e la tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali e alcune delle materie di legislazione concorrente, per le quali un'ulteriore devoluzione comporterà un rischio di disarticolazione di diritti fondamentali delle persone e dello sviluppo economico unitario del Paese, come la produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia, il governo del territorio, le grandi reti di trasporto e navigazione, fino alla valorizzazione dei beni culturali e ambientali;

    29) l'integrazione delle fonti rinnovabili nel sistema energetico nazionale è impossibile senza unità e coordinamento nella pianificazione e nello sviluppo delle infrastrutture necessarie per la loro produzione e per la loro distribuzione, nonché per un'uniformità del processo autorizzativo su tutto il territorio nazionale. La notevole differenza di disponibilità finanziarie tra regioni, che si accentuerà con l'autonomia differenziata a causa della compartecipazione dei gettiti fiscali molto diversi tra regione e regione, creerà ulteriori ostacoli al loro coerente sviluppo, anche in settori strategici come le politiche in materia di energia, di reti di trasporto, di governo del territorio, di tutela dell'ambiente, di contrasto all'impatto dei cambiamenti climatici e di riduzione delle emissioni climalteranti, anche declinate attraverso una miriade di regolamentazioni autorizzative degli impianti produttivi e delle infrastrutture necessarie ad affrontare la sfida della transizione ecologica, energetica e produttiva, in un contesto in cui molte di queste materie sono delegate alla competenza sovranazionale dell'Unione europea;

    30) si ricorda che, sotto il profilo dei controlli ambientali, l'esigenza di assicurare omogeneità ed efficacia all'esercizio dell'azione conoscitiva e di controllo pubblico della qualità dell'ambiente, a supporto delle politiche di sostenibilità ambientale e di prevenzione sanitaria a tutela della salute pubblica, ha reso necessario l'istituzione del Sistema nazionale delle agenzie ambientali al quale è stata altresì demandata la funzione di attuare i livelli essenziali delle prestazioni tecniche ambientali, che rappresentano i livelli qualitativi e quantitativi di attività che devono essere garantite in modo omogeneo a livello nazionale;

    31) giustizia energetica e giustizia ambientale devono procedere parallelamente per poter garantire un benessere equo, diffuso, duraturo e condiviso a livello nazionale. Soltanto un cambiamento radicale del tessuto produttivo, con particolare riguardo all'eliminazione dei combustibili fossili dalla produzione di energia e dai processi produttivi, pianificato e progettato a livello nazionale, in sintonia con l'Unione europea e nel rispetto degli accordi internazionali siglati, può mitigare gli effetti della crisi e consentire la giusta resilienza del sistema produttivo italiano;

    32) stando così le cose, la Repubblica si potrebbe ritrovare un corpus normativo frammentato tra regioni ordinarie ad autonomia differenziata, regioni ordinarie ad autonomia non differenziata e regioni a statuto speciale per tutte o ciascuna di tali materie. Ne risulterebbe un mosaico incomprensibile e ingestibile che nulla ha a che vedere con l'attuazione dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione;

    33) l'autonomia differenziata espone l'intero Paese ai rischi di un indebolimento della capacità competitiva per effetto di una frammentazione insostenibile delle politiche pubbliche;

    34) inoltre, la legge non assicura che siano al contempo determinati e debitamente finanziati, quindi concretamente attuabili, tutti i livelli essenziali delle prestazioni attinenti all'esercizio di diritti civili e sociali ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione;

    35) particolare incertezza avvolge il futuro di materie, quali: la tutela dell'ambiente e dei beni culturali, la tutela e la sicurezza del lavoro, l'istruzione, la tutela della salute, le reti di trasporto, energetiche e della comunicazione, il commercio e le professioni, il coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario. In tutti questi campi, come anche in altri, non è chiaro quale possa essere il ruolo futuro del Parlamento e del Governo, quindi dello Stato, che dovrebbe invece poterne mantenere il controllo e la regia a garanzia di tutti i cittadini su tutto il territorio;

    36) i criteri di accesso delle singole regioni alle competenze differenziate, per ciascuna materia o ambito di materia, andrebbero delineati per via legislativa e sulla base di valutazioni qualificate e analisi adeguate, concedendole purché la modifica dell'attuale riparto di competenze sia motivato dall'interesse nazionale;

    37) una sonora bocciatura all'autonomia differenziata è arrivata anche dalla Commissione europea che nei rilievi di cui al Country report del 2023 ha sollevato numerosi dubbi in merito ai presunti rischi che l'autonomia differenziata porterebbe provocare in termini di aumento delle disparità e tenuta dei conti pubblici, nonché sulla capacità dei livelli essenziali delle prestazioni di compensare gli squilibri territoriali per l'incapienza dei necessari stanziamenti;

    38) inoltre, è la Corte dei conti a ribadire che il conseguimento dell'autonomia differenziata debba essere inserito all'interno di un quadro di riferimento unitario e cooperativo e, se da una parte rimanda alla necessaria definizione dei livelli essenziali delle prestazioni, dall'altra rinvia alla necessità di realizzare una completa perequazione infrastrutturale, necessaria non solo per colmare le carenze di molte regioni, in particolare del Sud, ma anche all'interno delle regioni più sviluppate, dove talvolta convivono situazioni di marginalità;

    39) il divario tra Nord e Sud e quello all'interno dei diversi territori, di cui all'articolo 119 della Costituzione, dovrebbero essere rimossi, invece per effetto del regionalismo differenziato essi tendono, se possibile, ad inasprirsi, in violazione del principio perequativo di cui all'articolo 174 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea e quindi dell'articolo 117 della Costituzione;

    40) è stato posto in luce da numerosi costituzionalisti che «l'adozione, da parte della legge costituzionale n. 3 del 2001, del terzo comma dell'articolo 116 della Costituzione, in base alla quale “ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia possono essere attribuite ad altre regioni”, non può essere interpretata in forma espansiva, al di là della sfera dei meri poteri amministrativi, quasi che non vi siano limiti residuati a tutela della potestà legislativa statale, poiché nell'articolo 117 della Costituzione troviamo tuttora vigenti le disposizioni costituzionali che prevedono che il legislatore statale dispone del potere di disciplinare le materie di competenza esclusiva (secondo comma) e di stabilire i principi fondamentali nelle materie di competenza concorrente (terzo comma, ultimo periodo) e analogamente prevedono gli Statuti speciali»;

    41) si segnala che la Corte costituzionale, con sentenza n. 274 del 2003, ha osservato che la novella costituzionale introdotta con la riforma del Titolo V, pur introducendo la pari dignità «orizzontale» tra le componenti territoriali della Repubblica, non comporta una totale equiparazione dello Stato alle altre componenti, in quanto lo stesso continua ad essere investito di peculiari funzioni non altrimenti esercitabili; come rilevato anche dalla Corte dei conti, «prendendo in considerazione il tema delle conseguenze del trasferimento delle ulteriori competenze sulle funzioni dello Stato, nella prospettiva dell'unità e indivisibilità della Repubblica e alla luce dei criteri individuati dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 274 del 2003, appare dubbio che nelle funzioni devolute non residui in capo allo Stato un margine di intervento, sia pure nel rispetto del principio di leale collaborazione; infatti, non deve venir meno un momento di coordinamento e di sintesi degli interessi generali del Paese»;

    42) infine, i contesti di crisi nazionale e internazionale più recenti stanno dimostrando che un potere centrale incisivo, in termini di coordinamento e operatività, è indispensabile, mentre la frammentazione indebolirebbe l'Italia di fronte ai suoi competitori internazionali,

impegna il Governo:

1) a interrompere senza indugio ogni interlocuzione con le regioni Veneto e Lombardia, almeno fino alla prevista sentenza della Corte costituzionale, valutandone comunque gli eventuali effetti applicativi, o comunque fino allo svolgimento del referendum abrogativo;

2) a non dar nessun seguito a intese tra Stato e regione, finché non sarà disponibile il Fondo perequativo, così come previsto dall'articolo 119, terzo comma, della Costituzione;

3) ad adottare iniziative volte a garantire il rispetto, nelle eventuali future intese tra Stato e regioni, delle disposizioni degli articoli 9 e 41 della Costituzione, laddove si prevede che la Repubblica tutela l'ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi anche nell'interesse delle future generazioni, considerato che gli ecosistemi non conoscono confini amministrativi, e a rivalersi dell'onere finanziario sostenuto nei confronti delle regioni che dovessero subire una procedura d'infrazione;

4) ad adottare iniziative volte a garantire comunque un programma nazionale pluriennale di investimenti, che integri le risorse vigenti, e finalizzato a garantire la continuità territoriale e la riduzione dei forti squilibri infrastrutturali nelle regioni del Mezzogiorno e delle isole in cui i servizi di trasporto ferroviario e pubblico sono drammaticamente carenti;

5) nell'ambito dei negoziati relativi a eventuali future intese tra Stato e regioni, ad adottare iniziative di competenza volte a limitare il più possibile i contenuti riguardanti la materia del diritto alla salute, materia che deve mantenere una dimensione nazionale, affinché il Ministero della salute assuma il vero ruolo centrale, evitando che la dimensione locale diventi quella primaria, perché sono forti i rischi per l'integrazione sociale e l'unità del Paese se i cittadini non condividono gli stessi principi di giustizia sociale in un ambito rilevante come quello della salute;

6) a prevedere nel prossimo disegno di legge di bilancio risorse economiche sufficienti per allineare la spesa sanitaria almeno con gli altri Paesi dell'Unione europea, garantendo un accesso alle cure veramente equo e universale in ogni parte del Paese;

7) ad aggiornare il cronoprogramma del Piano nazionale di ripresa e resilienza relativo ai milestone M1C1-119 e M1C1-120, al fine di garantire il completamento della riforma del quadro fiscale subnazionale e la piena attuazione dei meccanismi perequativi per province e regioni, prevedendo l'istituzione presso il Ministero dell'economia e delle finanze di un fondo alimentato annualmente dalla differenza tra la quota di gettito fiscale di compartecipazione maturato in ciascuna regione e il costo complessivo dei fabbisogni standard dalla stessa sostenuto, al fine di compensare il minor gettito di compartecipazione maturato in quei territori a minore capacità fiscale pro capite che avrebbero maggiori difficoltà ad accedere alle funzioni aggiuntive;

8) a prevedere, nel prossimo provvedimento legislativo utile, una più precisa definizione del modello di finanziamento dell'autonomia differenziata verso cui orientare il sistema, accompagnata da adeguati presidi al fine di garantire il coordinamento della finanza pubblica tra i diversi livelli di Governo e di assicurare una piena condivisione degli obiettivi programmatici, l'uniformità nelle metodologie per la revisione dei fabbisogni e meccanismi per assicurare il contributo delle regioni ad autonomia differenziata in caso di esigenze eccezionali di finanza pubblica;

9) nell'ambito dei negoziati di future intese tra Stato e regioni, ad adottare iniziative di competenza volte a circoscrivere al massimo i contenuti riguardanti la materia dell'istruzione;

10) ad evitare nelle future intese eventuali asimmetricità tra le diverse regioni che possano in futuro intaccare l'eguaglianza di diritti civili dei cittadini che deve restare uniforme in tutto il Paese;

11) ad evitare che l'accesso alle procedure concorsuali del personale amministrativo, di tutti gli uffici giudiziari, con particolare riferimento alla giustizia di pace, sia frammentato e regionalizzato, poiché l'amministrazione della giustizia, nel nostro Paese, rappresenta un settore importante e delicato che ha bisogno di personale con un'adeguata, appropriata e omogenea formazione in tutto il territorio;

12) ferme restando le prerogative parlamentari, a valutare gli effetti applicativi della disposizione di cui all'articolo 2, comma 2, della legge n. 86 del 2024 e ad adottare iniziative di competenza volte a rivederla al fine di escludere la materia «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia»;

13) a prevedere, nel primo provvedimento utile, che il richiamo all'insularità, nell'ambito del rispetto dei princìpi di unità giuridica ed economica, di coesione economica, sociale e territoriale sia esteso anche ai territori transfrontalieri e di montagna, in quanto caratterizzati da gravi e permanenti svantaggi naturali o demografici, in coerenza con quanto stabilito dai citati articoli 174 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea e dal secondo comma dell'articolo 44 della Costituzione;

14) a prevedere il ripristino, nel primo provvedimento utile, della dotazione del «Fondo perequativo infrastrutturale»;

15) nell'ambito dei negoziati relativi a future intese tra Stato e regioni, ad affrontare con la massima prudenza le materie riguardanti i livelli essenziali delle prestazioni, limitando il negoziato stesso esclusivamente a specifiche competenze o funzioni;

16) a prevedere analisi di impatto preventive per qualsiasi formalizzazione di intesa su ulteriori forme di autonomia differenziata sulle materie non riguardanti i livelli essenziali delle prestazioni;

17) ad adottare iniziative anche di carattere normativo volte a prevedere l'attribuzione delle prerogative di valutazione degli oneri finanziari derivanti dalle intese di ulteriori forme di autonomia differenziata, nonché di ricognizione dell'allineamento tra i fabbisogni di spesa già definiti e l'andamento del gettito dei tributi compartecipati per il finanziamento delle medesime funzioni, ad un organismo tecnico unico in luogo della molteplicità di commissioni paritetiche bilaterali, in modo tale da evitare, altresì, che con l'andare del tempo si arrivi a diminuzioni delle prestazioni non trasferite e ad inasprimenti del prelievo fiscale per preservare gli equilibri di bilancio;

18) ad adottare iniziative anche di carattere normativo volte a prevedere che gli schemi di decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, di cui all'articolo 3, comma 7, della legge n. 86 del 2024 siano corredati, all'atto della relativa trasmissione alle Camere ai fini dell'acquisizione dei pareri delle Commissioni parlamentari competenti per materia e per i profili finanziari, di una relazione tecnica redatta in conformità a quanto previsto dall'articolo 17 della legge 31 dicembre 2009, n. 196;

19) a non avviare negoziati su atti di iniziativa delle regioni e a non procedere nel confronto congiunto sugli atti di iniziativa sui quali tale confronto sia stato già avviato prima dell'entrata in vigore della legge n. 86 del 2024, fino alla definizione dei relativi livelli essenziali delle prestazioni secondo quanto indicato nelle premesse;

20) a valutare l'adozione delle opportune iniziative, anche normative, volte a prevedere, prima di procedere alla stipula di intese che prevedano l'attribuzione di funzioni relative alle ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia sulle materie escluse dalla determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni, la predisposizione di un'analisi di impatto della regolamentazione che tenga conto della valutazione degli effetti delle ipotesi di intervento normativo e regolamentare regionale, nonché di atti amministrativi generali, di programmazione o pianificazione, ricadenti sulle attività dei cittadini e delle imprese e sull'organizzazione e sul funzionamento delle pubbliche amministrazioni, anche mediante comparazione di opzioni alternative, tenendo conto della necessità di assicurare il corretto funzionamento concorrenziale del mercato, la tutela delle libertà individuali e la tenuta dei principi generali dell'ordinamento, da presentare alle Camere per l'esame secondo i rispettivi regolamenti;

21) a dare attuazione alla legge n. 86 del 2024 in rigorosa conformità agli effetti inderogabili del combinato disposto degli articoli 116 e 117 della Costituzione, in particolare intervenendo a limitare correttamente l'oggetto del negoziato, qualora le regioni richiedano il trasferimento di intere materie o di tutte le funzioni concernenti le materie richiamate dall'articolo 116, terzo comma, della Costituzione;

22) al fine di salvaguardare i principi fondamentali e l'unitarietà del Servizio sanitario nazionale, a incrementare le risorse disponibili, finanziarie e professionali, per il funzionamento e il potenziamento del Servizio sanitario nazionale su tutto il territorio nazionale, nel rispetto dei principi di equità, di solidarietà e di universalismo, al fine di allineare progressivamente il livello della spesa sanitaria alla media dell'Unione europea, garantendo risorse adeguate a tutti i nuovi livelli essenziali di assistenza, riducendo gli attuali divari territoriali tra Nord e Sud nell'offerta dei servizi e delle prestazioni, nonché le interminabili liste d'attesa che costringono i cittadini a ricorrere al privato, contrastando la «frattura strutturale» Nord-Sud, che comprometterà l'uguaglianza dei cittadini nell'esercizio del diritto costituzionale alla tutela della salute;

23) ad adottare iniziative volte a destinare maggiori risorse a Roma capitale, tenuto conto del suo ruolo e delle sue funzioni, al pari della considerazione che altri Paesi europei hanno verso le loro capitali;

24) ad adottare iniziative di carattere normativo volte a istituire, reperendo le risorse finanziarie utili, a tal fine bilanciando l'attuazione del principio di uguaglianza di cui all'articolo 3 della Costituzione e il rispetto degli equilibri di bilancio di cui all'articolo 81 della Costituzione, preliminarmente all'adozione dei decreti del Presidente del Consiglio dei ministri di cui all'articolo 3 della legge n. 86 del 2024 per la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale e dei relativi costi e fabbisogni standard, di un fondo perequativo per i territori con minore capacità fiscale per abitante da ripartire, nel rispetto dei costi standard associati ai livelli essenziali delle prestazioni, in piena collaborazione con le regioni e gli enti locali;

25) ad adottare iniziative anche di carattere normativo volte ad istituire un tavolo di confronto tecnico-politico, cui partecipano, unitamente al Ministro per gli affari europei, le politiche di coesione e il PNRR i rappresentanti dei Ministeri competenti e interessati, dell'Anci, dell'Upi, della Conferenza delle regioni e delle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative, della Corte dei conti, del Consiglio di Stato, della Banca d'Italia, della Ragioneria generale dello Stato e dell'Ufficio parlamentare di bilancio e di tutti gli altri organismi pubblici competenti nelle specifiche funzioni, al fine di individuare le modalità di attuazione degli articoli 117, secondo comma, lettera m), e 119, quinto comma, della Costituzione, con riferimento alle materie o ambiti di materie non coinvolti nell'attuazione dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione e riguardanti la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni per i servizi di competenza degli enti territoriali;

26) ad adottare iniziative di competenza volte ad assicurare l'omogeneità ed efficacia dell'esercizio dell'azione conoscitiva e di controllo pubblico della qualità dell'ambiente, a supporto delle politiche di sostenibilità ambientale e di prevenzione sanitaria a tutela della salute pubblica, attraverso il Sistema nazionale delle agenzie ambientali al quale è stata altresì demandata la funzione di attuare i livelli essenziali delle prestazioni tecniche ambientali.
(1-00339) «Zaratti, Zanella, Bonelli, Fratoianni, Borrelli, Dori, Ghirra, Grimaldi, Mari, Piccolotti».

(7 ottobre 2024)

   La Camera,

   premesso che,

    1) nel giugno 2024, dopo un accesissimo dibattito parlamentare, è stata approvata la legge n. 86 del 2024, che ha introdotto «Disposizioni per l'attuazione dell'autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario ai sensi dell'articolo 116, comma terzo, della Costituzione»;

    2) tale legge, come è noto, è diventata oggetto di una proposta di referendum per la quale sono state raccolte più di un milione di firme in appena tre mesi, trattandosi di una legge che pregiudica la coesione sociale del nostro Paese, introduce veri e propri elementi di rottura dell'unità nazionale – laddove, per esempio, permette che in Italia potranno essere adottate fino a venti politiche energetiche differenti, una per ciascuna regione, o laddove, per esempio, consente che ciascuna regione possa promuovere programmi e concorsi differenti per le scuole o retribuire in modo diverso i propri docenti – e costringerà sempre più italiani ad emigrare al Nord per curarsi, allungando le già lunghe liste d'attesa, o i nostri giovani ad abbandonare le aree interne, con un aggravamento della spesa pubblica annuale, secondo alcune stime pubblicate sullo stesso sito del Dipartimento per le politiche di coesione e per il Sud, pari a circa 19.000 euro per ciascun cittadino del Nord, e a circa 14.000 euro per ciascun cittadino del Sud;

    3) tra gli elementi particolarmente problematici della legge n. 86 del 2024 va senz'altro rilevata la separazione tra le materie «lep» e le materie «non lep», che risulta sbagliata sia sotto il profilo procedurale – perché di fatto raddoppierà per ciascuna regione il numero di intese, con un conseguente aggravio sia per il Governo che per il Parlamento – sia sotto il profilo sostanziale, non consentendo la separazione tra materie «lep» e «non lep» una valutazione complessiva e coerente sia sul piano politico che su quello tecnico, con particolare riferimento all'attribuzione del personale e delle risorse finanziarie, di ognuna delle funzioni per le quali ciascuna regione potrà chiedere l'esercizio di un'autonomia differenziata;

    4) è del tutto controproducente prevedere, come la legge n. 86 del 2024 fa, che ciascuna regione possa avanzare la richiesta per l'attribuzione di funzioni inerenti a materie «non lep», anche prima della determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni, e farlo con riferimento a funzioni che permetterebbero, ad esempio, alle singole regioni di sponsorizzare e firmare i propri contratti di export o di promozione per conto proprio, autorizzando una competizione nociva, come nel caso della promozione all'estero di un vino di una regione ai danni di quello di un'altra, così dimenticando che il marchio da esportare all'estero non è quello delle singole regioni, ma quello del made in Italy, al quale il Governo in carica ha dedicato persino un Ministero;

    5) sarebbe stato assi più opportuno, come sistematicamente richiesto durante i lavori parlamentari che hanno condotto all'approvazione della legge n. 86 del 2024, una previa definizione di tutti i livelli essenziali delle prestazioni e del relativo finanziamento, assistito dalle necessarie misure perequative, e, solo successivamente, un esame complessivo per ciascuna regione di tutte le richieste, sia su materie «lep» che «non lep», inerenti una maggior autonomia;

    6) il 25 settembre 2024 si è riunito il Comitato per la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni (Clep), presieduto dal professor Sabino Cassese, per esaminare il documento elaborato dalla Sottocommissione dei dodici, che ha il compito di elaborare i criteri in base ai quali la Commissione tecnica determinerà poi i valori dei fabbisogni standard; tale organo, nominato dalla Presidenza del Consiglio dei ministri, è presieduto da Elena D'Orlando, una giurista in passato facente parte della delegazione scelta da Zaia proprio per «trattare» per conto del Veneto i margini di autonomia nella negoziazione con il Governo sulle materie da attribuire alla regione per l'esercizio di un'autonomia differenziata;

    7) in questo documento, secondo quanto riportato dalla stampa e in alcuni atti di controllo al Senato, sarebbe previsto che i fabbisogni standard andrebbero determinati sulla «base delle caratteristiche dei diversi territori, del clima, del costo della vita e degli aspetti sociodemografici della popolazione residente», una scelta questa che rischia di consolidare e aumentare le differenze già esistenti nell'offerta dei servizi; con riferimento poi a criteri, come quello del «costo della vita», tale scelta determinerebbe un'inevitabile differenziazione degli stessi fabbisogni e, di conseguenza, dei livelli essenziali delle prestazioni nell'ambito del territorio nazionale e, soprattutto, nel Mezzogiorno e nelle aree interne del Paese;

    8) determinare i fabbisogni standard sulla base di criteri quali il clima, il costo della vita e gli aspetti sociodemografici della popolazione residente significa, in settori come, ad esempio, quello dell'istruzione, comporterà che in futuro un insegnante del Mezzogiorno o di un'area interna potrebbe essere pagato meno del collega di una città metropolitana, così determinando un surrettizio e antistorico scivolamento verso il modello delle gabbie salariali, che furono oggetto di uno specifico accordo tra le parti sociali nel 1945, definitivamente archiviato nel 1972 e che aveva determinato quel fenomeno che fu opportunamente definito «La giungla retributiva», poiché disattendeva il principio del riconoscimento dell'identica retribuzione per la medesima prestazione lavorativa;

    9) la subordinazione della determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni ai suddetti criteri si pone in evidente contrasto anche con quanto stabilito dalla stessa legge 26 giugno 2024, n. 86, che, all'articolo 1, stabilisce che i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, ivi compresi quelli connessi alle funzioni fondamentali degli enti locali, «devono essere garantiti equamente su tutto il territorio nazionale» e che, all'articolo 4, comma 1, in merito al trasferimento delle funzioni da effettuarsi soltanto dopo la determinazione dei medesimi livelli essenziali delle prestazioni e dei relativi costi e fabbisogni standard, prevede, in modo esplicito, che detto trasferimento può realizzarsi solo successivamente all'entrata in vigore dei provvedimenti legislativi di stanziamento delle risorse finanziarie volte «ad assicurare i medesimi livelli essenziali delle prestazioni sull'intero territorio nazionale, ivi comprese le Regioni che non hanno sottoscritto le intese, al fine di scongiurare disparità di trattamento tra Regioni (...)»;

    10) una volta definiti i livelli essenziali delle prestazioni, occorrerebbe consentire al Parlamento di fare una valutazione complessiva delle risorse che sono necessarie per finanziare tali livelli essenziali delle prestazioni e decidere di conseguenza, nel rispetto della Costituzione, priorità e grado della loro attuazione;

    11) del resto, già in sede di esame del disegno di legge da parte del Parlamento, diversi illustri costituzionalisti auditi sollevarono, in merito alla determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni – come prevista dal testo – rilievi di incostituzionalità poiché il metodo previsto avrebbe comportato il rischio (allora e la certezza adesso) di cristallizzare le differenze territoriali esistenti;

    12) accanto al tema della corretta definizione dei livelli essenziali delle prestazioni, vi è quello delle risorse necessarie a garantirli su tutto il territorio nazionale, risorse delle quali al momento non si è ravvisata traccia;

    13) anzi, la legge n. 86 del 2024, così come le disposizioni dell'articolo 1, comma 793, lettera d), della legge di bilancio per il 2023, hanno subordinato la stessa determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni agli stanziamenti di bilancio disponibili a legislazione vigente o a quelli resi disponibili dalle leggi di bilancio, così subordinando la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni inerenti ai diritti civili e sociali – che l'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione prevede debbano essere garantiti su tutto il territorio nazionale – ad un criterio squisitamente economico;

    14) l'articolo 116, terzo comma, della Costituzione prevede che ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia possano essere attribuite ad altre regioni solo nel rispetto dei principi di cui all'articolo 119 della Costituzione: tale articolo pone infatti una norma cardine dell'ordinamento per l'attuazione di un regionalismo solidale, ricavabile dalla previsione della perequazione rivolta ai territori con minore capacità fiscale; sempre l'articolo 119, al quinto comma, stabilisce che lo Stato deve destinare risorse aggiuntive ed effettuare interventi speciali per promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale, al fine di rimuovere gli squilibri economici e sociali e favorire l'effettivo esercizio dei diritti della persona; con la legge di bilancio per il 2024 il Governo ha peraltro definanziato l'esistente Fondo perequativo infrastrutturale;

    15) come sottolineato da numerosi professori durante le audizioni, la legge n. 86 del 2024, al contrario, passa dalla concezione di un regionalismo solidale e cooperativo a declinazioni meramente competitive dello stesso: con specifico riferimento al finanziamento delle funzioni che dovrebbero essere trasferite, infatti, il disegno di legge in esame prevede una clausola di invarianza finanziaria all'articolo 9, comma 1, dove viene espressamente stabilito che «dall'applicazione della presente legge e di ciascuna intesa non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica»; la stessa clausola di neutralità finanziaria tuttavia pare poi smentita da un inciso dello stesso articolo 4, comma 1, in cui si dice che eventuali «maggiori oneri a carico della finanza pubblica» potranno condizionare il trasferimento delle funzioni allo stanziamento delle risorse necessarie, sicché si apre una prospettiva di grande confusione, che mette a rischio la stessa tenuta del sistema di finanza pubblica italiano;

    16) particolarmente problematica sotto il profilo costituzionale è poi la previsione dell'articolo 5 del provvedimento laddove prevede che quote di compartecipazione al gettito di tributi erariali vengano definite nelle intese, senza dettare però alcun criterio sull'ammontare di queste quote di compartecipazione ai tributi erariali che dovranno essere garantite dalle regioni differenziate e che serviranno a finanziare le funzioni ad esse affidate;

    17) l'affidamento alla negoziazione tra Stato e regioni di scelte tributarie, potenzialmente decisive sul bilancio dello Stato, appare un'opzione non solo rischiosa e irragionevole, ma anche lesiva degli articoli 3 e 81 della Costituzione;

    18) la previsione dell'articolo 5, comma 2, appare poi del tutto incoerente con quella del successivo articolo 9, comma 3, laddove prevede che «le intese, in ogni caso, non possono pregiudicare l'entità e la proporzionalità delle risorse da destinare a ciascuna delle altre Regioni», una clausola di salvaguardia questa irrealizzabile senza una previa determinazione della quota di compartecipazione al gettito erariale che dovrà essere corrisposta dalle singole regioni differenziate,

impegna il Governo:

1) ad attuare una moratoria delle intese in atto, astenendosi dall'avviare o proseguire qualunque negoziato inerente alle materie «non lep», prima di aver determinato i livelli essenziali delle prestazioni relativi alle materie già di competenza delle regioni e dei comuni ai sensi delle legge n. 42 del 2009 e per i quali è stato assunto un impegno ad adempiere entro il 2026 nel quadro del Piano nazionale di ripresa e resilienza e prima che siano stati comunque definiti i livelli essenziali delle prestazioni da attuarsi su tutto il territorio nazionale ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione, con la conseguente individuazione delle risorse che ne rende possibile il finanziamento.

2) al fine di assicurare l'unità giuridica, economica e sociale della Repubblica e di non compromettere in ogni caso l'attuazione uniforme dei livelli essenziali delle prestazioni inerenti ai diritti civili e sociali su tutto il territorio nazionale, a non subordinare la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni a criteri che penalizzerebbero le regioni e le aree più povere del Paese, a conferma di una visione che – in contrasto con la Costituzione e con lo stesso Titolo V- certifica i divari territoriali, non garantendo a tutti i cittadini, ovunque risiedano, il pieno godimento delle prestazioni inerenti ai diritti civili e sociali, come avverrebbe nel caso del parametro sul «costo della vita» o come nel caso del criterio della spesa storica, che riflette e consolida le disuguaglianze territoriali esistenti;

3) ad adottare iniziative anche di carattere normativo a prevedere che ogni possibile trasferimento di funzioni, sia nelle materie «lep» che in quelle «non lep», sia accompagnato dall'adozione di idonee misure perequative, così come previsto dall'articolo 119 della Costituzione, per sostenere le regioni con minore capacità fiscale;

4) ad adottare ogni iniziativa utile di carattere normativo, fin dal prossimo disegno di legge di bilancio, volta a reperire tutte le risorse necessarie ad assicurare l'attuazione dei livelli essenziali delle prestazioni non solo relativamente alle materie devolvibili alle regioni ai sensi dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione, ma prima ancora nelle materie già di competenza delle regioni e dei comuni ai sensi della legge n. 142 del 2009, anche istituendo un fondo perequativo a garanzia della loro attuazione e dei relativi costi e fabbisogni standard per tutelare quelle regioni che non intendano richiedere ulteriori forme e condizioni di autonomia, nonché a rifinanziare già dal prossimo disegno di legge di bilancio il fondo perequativo infrastrutturale;

5) a promuovere, per quanto di competenza, un adeguato coinvolgimento del Parlamento non solo in tutte le fasi di negoziazione delle intese, ma anche nella delicata valutazione complessiva delle risorse che saranno necessarie per finanziare i livelli essenziali delle prestazioni, nel rispetto della Costituzione e in considerazione delle priorità che debbono essere perseguite e del grado della loro attuazione;

6) a presentare entro sei mesi una relazione dettagliata alle Camere sull'impatto che il trasferimento di funzioni «lep» e «non lep» può determinare non solo sulle altre regioni, ma anche sulla coesione sociale e sull'unità economica, giuridica e sociale di tutto il territorio nazionale, anche al fine di scongiurare ogni possibile effetto distorsivo nell'efficacia e nella coerenza dell'azione, anche europea ed internazionale, del nostro Paese.
(1-00340) «Sarracino, Bonafè, Schlein, Braga, Cuperlo, Fornaro, Mauri, Ubaldo Pagano, Guerra, De Luca, Toni Ricciardi, Casu».

(7 ottobre 2024)

INTERROGAZIONI A RISPOSTA IMMEDIATA

   BONELLI, ZANELLA, FRATOIANNI, ZARATTI, BORRELLI, DORI, GHIRRA, GRIMALDI, MARI e PICCOLOTTI. – Al Ministro dell'interno. – Per sapere – premesso che:

   il 15 febbraio 2024 è stata approvata la legge n. 14 di ratifica ed esecuzione del Protocollo Italia-Albania in materia migratoria;

   il Protocollo prevede che l'Albania fornisca all'Italia gli spazi per costruire due centri per il trattenimento delle persone migranti: uno nel porto di Shengjin, e l'altro a Gjader;

   dopo numerosi rinvii della data di apertura dei centri, il Governo ne ha annunciato l'apertura per lunedì 14 ottobre 2024;

   il quotidiano Domani ha recentemente svelato che numerosi degli appalti per la costruzione dei centri in Albania sono stati affidati senza gara pubblica per circa 60 milioni di euro, con deroghe al codice degli appalti e senza alcuna verifica antimafia;

   tra gli affidamenti diretti sopra al milione riportati da Domani alcuni sono da 25, 10, 7, 12, 9 milioni di euro ad aziende ignote;

   Domani rivela che l'unico operatore economico selezionato con sede in Albania è la ditta «Everest Shpk»: non si conoscono i nomi dei subappaltatori;

   nei cantieri di Shengjin e Gjader hanno lavorato operai sia albanesi che kosovari, ma non vi sono ulteriori informazioni in merito;

   secondo Transparency international, l'Albania è il Paese più corrotto dell'area europea;

   come mostrato nella puntata del programma Report del 21 aprile 24 «(Hot)Spot albanese» vi è sui lavori dei centri l'appetito dei cartelli della mafia albanese;

   come svela anche Domani (in data 2 giugno 2024) l'area del centro di Gjader è una zona dove il crimine organizzato albanese prospera;

   fonti investigative in Albania e Italia hanno infatti confermato che nel territorio in questione la criminalità ricicla denaro del narcotraffico e controlla aziende che si occupano di lavori pubblici;

   anche la magistratura dello Spak (ente indipendente del sistema giudiziario albanese) commenta: «I gruppi organizzati vanno sempre alla ricerca di fondi pubblici»;

   proprio nel comune di Lezhe, dove sorge il centro di Gjader, un altro procuratore della Spak ha indagato su un giro di malaffare e corruzione, traffico di droga e omicidi per cui anche il capo della polizia locale di Lezhe, il capo della narcotici e un ex deputato, Arben Ndoke, sono stati indagati;

   è necessario che il Parlamento venga informato circa le società affidatarie e sub-affidatarie dei lavori per la costruzione dei centri albanesi –:

   quali iniziative siano state messe in atto ai fini di prevenire e contrastare il rischio di infiltrazioni criminali riguardo alla costruzione dei centri di cui in premessa.
(3-01488)

(15 ottobre 2024)

   PAOLO EMILIO RUSSO, NAZARIO PAGANO, BARELLI e BATTILOCCHIO. – Al Ministro dell'interno. – Per sapere – premesso che:

   il Protocollo d'Intesa tra Italia e Albania per la gestione dei flussi migratori è entrato nella fase operativa: lo dimostrano la messa in attività dei due centri (Schengjin e Gjiader) e l'arrivo del primo gruppo di migranti;

   come previsto dagli accordi, entro quattro settimane dovranno essere vagliate le domande di asilo, trasferendo in Italia gli aventi diritto e rimpatriando gli altri;

   come il Ministro interrogato ha affermato al G7 dei Ministri dell'interno, in molti Paesi europei c'è grande interesse nei confronti della soluzione individuata dall'Italia con il «modello Albania»: 15 Stati hanno sottoscritto una richiesta formale alla Commissione europea finalizzata a guardare con attenzione a tale modello, come possibilità di estensione;

   il Governo italiano sta operando con successo nella direzione di fermare l'immigrazione illegale e riportare sotto controllo un fenomeno inevitabile, che l'Italia gestisce e non subisce più, come capitato talvolta in passato;

   la corretta gestione dei flussi migratori, consentendo l'ingresso ai lavoratori regolari, riconoscendo asilo agli aventi diritto e respingendo, tramite rimpatri celeri, gli irregolari, è di fondamentale importanza non solo per l'Italia, ma per gran parte dell'Europa;

   con il citato Protocollo d'intesa con l'Albania e da ultimo con il decreto-legge n. 145 del 2024, in materia di lavoratori stranieri e gestione dei flussi migratori, si prosegue lungo questa strada –:

   quali ulteriori iniziative intenda assumere il Governo, nel pieno rispetto dei diritti umani, per proseguire sulla strada intrapresa in materia di immigrazione e se i pronunciamenti della magistratura italiana ed europea possano mettere a rischio gli obiettivi prefissati.
(3-01489)

(15 ottobre 2024)

   ALFONSO COLUCCI, ALIFANO, AURIEMMA e PENZA. – Al Ministro dell'interno. – Per sapere – premesso che:

   700 milioni di euro e il costo dell'accordo italo-albanese per la costruzione dei centri in Albania, un hotspot e un centro di permanenza per i rimpatri, ove saranno delocalizzati i migranti provenienti da Paesi extra Unione europea considerati dal Governo «sicuri» – migranti maschi, adulti, soccorsi in acque internazionali dalle navi militari italiane: 880 posti nell'hotspot e 144 nel centro di permanenza per i rimpatri;

   come riferito dalla stampa, il 14 ottobre 2024 sono sbarcati a Lampedusa 1.000 migranti; nella stessa giornata, il primo trasbordo verso l'Albania di 16 migranti, a bordo della nave Libra, di nazionalità bangladese ed egiziana; il costo di questo primo viaggio si aggira tra i 250 e i 290 mila euro; per i soli trasbordi dei soli primi tre mesi è stimato un costo di 13,5 milioni di euro – tutti costi di gestione aggiuntivi;

   la sentenza del 4 ottobre 2024 della Corte di giustizia dell'Unione europea ha ridefinito i criteri di «Paese sicuro» – dovranno applicarsi in tutti i Paesi membri – annullando il presupposto fondamentale per la delocalizzazione di migranti: risultano esclusi i Paesi qualificati sicuri dal Governo, quali la Tunisia, l'Egitto e il Bangladesh, dai quali arriva la grandissima parte dei migranti, che non potranno essere trasferiti in Albania;

   moltissimi agenti delle forze dell'ordine sono già presenti – molti altri vi saranno trasferiti – in Albania, dove il Governo garantisce una spesa in presidi, numero di personale e alloggi altissima, in netto contrasto con la situazione sul territorio nazionale, che vede in aumento la criminalità predatoria e l'insicurezza reale e percepita, che registra grave carenza di organici e presidi, esasperazione per i troppi straordinari, contratto scaduto da oltre mille giorni;

   gli interroganti hanno costantemente stigmatizzato come aberrante e traballante il fondamento giuridico e l'intera operazione in Albania, unitamente all'abnorme esborso di soldi pubblici sostenuto dai contribuenti, cittadini e imprese italiani, e che ben altrimenti potevano essere impiegati per sostenere le gravi carenze dei trasporti, i settori economici in crisi, le fasce della popolazione in sofferenza, le forze dell'ordine, in luogo dei tagli e dei sacrifici richiesti nell'affannosa ricerca di risorse –:

   quali iniziative intenda assumere, per quanto di competenza, affinché le risorse esorbitanti dell'accordo con l'Albania, inidoneo, a giudizio degli interroganti, a risolvere il fenomeno dell'immigrazione irregolare, possano essere destinate a finalità certamente più utili, quale l'incremento dei presidi a tutela della sicurezza sul territorio nazionale, in luogo dei sacrifici annunciati.
(3-01490)

(15 ottobre 2024)

   BENZONI, RICHETTI, BONETTI, D'ALESSIO, GRIPPO e SOTTANELLI. – Al Ministro dell'interno. – Per sapere – premesso che:

   il permesso di soggiorno autorizza la presenza dello straniero sul territorio dello Stato italiano e ne documenta la regolarità, consentendo di svolgere attività, autorizzando l'accesso ai diritti e ai servizi riconosciuti agli stranieri, l'iscrizione nelle liste anagrafiche e il rilascio della carta di identità e del codice fiscale, utile, ad esempio, per ricevere assistenza sanitaria o aprire un conto bancario;

   le procedure per il rilascio o il rinnovo del permesso di soggiorno sono in capo all'ufficio immigrazione della questura individuata con riferimento al luogo di residenza dello straniero, con modalità e termini ben definiti dalla normativa;

   da numerose recenti segnalazioni e notizie apprese a mezzo stampa, emerge una situazione di enorme difficoltà nell'evasione delle relative pratiche, con tempi di attesa irragionevolmente lunghi che creano enormi problemi per le numerose persone straniere che contribuiscono al mantenimento del sistema economico italiano;

   tali ritardi appaiono imputabili alla grave carenza di organico che interessa gli uffici, con conseguenti disagi e denunce da parte dei cittadini stranieri bloccati da un'intricata trafila burocratica che li costringe a rimanere per mesi senza un documento valido, compromettendone la possibilità di trovare lavoro;

   inoltre, le testimonianze di chi ha vissuto l'esperienza della richiesta del permesso di soggiorno presso gli uffici delle questure italiane ad avviso degli interroganti non sono degne di un Paese che si reputa «civile»: lunghe code già dalle ore notturne e in qualunque condizione climatica per vincere la concorrenza di migliaia di altri cittadini in cerca di un appuntamento;

   i ritardi accumulati, poi, fanno pervenire alla consegna di permessi di soggiorno con una validità rimanente esigua, o in alcuni casi addirittura scaduta; altre volte, le questure consegnano una versione che non sostituisce il documento vero e proprio e un «cedolino» che, di conseguenza, non ha valore legale ai fini di un'assunzione lavorativa o della stipula di un contratto di locazione. Infine, sempre più spesso si è costretti a richiedere l'assistenza di un avvocato per impugnare le mancate risposte, con un ulteriore esborso per il riconoscimento di un proprio diritto garantito dalla legge;

   ad oggi, l'assunzione di lavoratori interinali presso le questure non si è rivelata affatto sufficiente –:

   quali iniziative di competenza intenda adottare per risolvere con la massima priorità i ritardi relativi al rilascio e al rinnovo dei permessi di soggiorno e se non ritenga di prevedere un ulteriore potenziamento del personale impiegato, al fine di consentire un'efficace ed efficiente operatività dei competenti uffici sull'intero territorio nazionale.
(3-01491)

(15 ottobre 2024)

   BORDONALI, MOLINARI, ANDREUZZA, ANGELUCCI, BAGNAI, BARABOTTI, BELLOMO, BENVENUTO, DAVIDE BERGAMINI, BILLI, BISA, BOF, BOSSI, BRUZZONE, CANDIANI, CAPARVI, CARLONI, CARRÀ, CATTOI, CAVANDOLI, CECCHETTI, CENTEMERO, COIN, COMAROLI, CRIPPA, DARA, DI MATTINA, FORMENTINI, FRASSINI, FURGIUELE, GIACCONE, GIAGONI, GIGLIO VIGNA, GUSMEROLI, IEZZI, LATINI, LAZZARINI, LOIZZO, MACCANTI, MARCHETTI, MATONE, MIELE, MONTEMAGNI, MORRONE, NISINI, OTTAVIANI, PANIZZUT, PIERRO, PIZZIMENTI, PRETTO, RAVETTO, SASSO, STEFANI, SUDANO, TOCCALINI, ZIELLO, ZINZI e ZOFFILI. – Al Ministro dell'interno. – Per sapere – premesso che:

   da fonti di stampa si ha notizia che nei giorni scorsi il Ministro interrogato ha firmato un decreto di allontanamento dal territorio nazionale per ragioni di sicurezza pubblica nei confronti di Zulfiqar Khan, presidente dell'associazione culturale islamica «Iqraa» e, di fatto, imam di una moschea in via Jacopo di Paolo a Bologna;

   Zulfiqar Khan, di nazionalità pakistana e in Italia dal 1995, era già noto alle cronache per le sue esternazioni e i suoi sermoni contro l'Occidente e Israele, l'omosessualità e il ruolo della donna, fino ad arrivare, dopo l'attacco terroristico del 7 ottobre 2023, a manifestare palesemente apprezzamento per le azioni condotte da Hamas;

   queste posizioni sono state espresse con toni sempre più aggressivi, nei dibattiti ai quali partecipava in qualità di «esperto» della religione islamica, e diffuse anche sui profili social e sul web, per raggiungere così un pubblico potenzialmente illimitato e finendo per rappresentare un rischio sempre più grave per la sicurezza nazionale;

   quello dell'imam di Bologna non è purtroppo un caso isolato, come dimostrano le diverse espulsioni per motivi di sicurezza, adottate negli scorsi mesi e riportate dalla stampa, di altri soggetti che inneggiavano al terrorismo e facevano attività di proselitismo nel nostro Paese, anche in pubblico e durante delle funzioni religiose;

   nonostante la capillare attività investigativa delle forze dell'ordine e delle altre autorità preposte che costantemente monitorano le possibili minacce alla sicurezza dello Stato, tali espulsioni confermano la necessità di una costante attenzione sui probabili rischi nel nostro Paese, in particolare dopo i tragici fatti del 7 ottobre 2023 –:

   quali iniziative di competenza si intendano assumere per la prevenzione e il contrasto delle attività di proselitismo e di radicalizzazione riconducibili all'estremismo e al terrorismo di matrice religiosa.
(3-01492)

(15 ottobre 2024)

   GHIO, FURFARO, CIANI, GIRELLI, MALAVASI, STUMPO, FERRARI, CASU e FORNARO. – Al Ministro della salute. – Per sapere – premesso che:

   «la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività e garantisce cure gratuite agli indigenti». Così recita l'articolo 32 della Costituzione, sancendo il diritto alla salute come un diritto fondamentale ed universale;

   in seguito, con l'articolo 1 della legge 23 dicembre 1978, n. 833, è stato istituito il Servizio sanitario nazionale e sono stati fissati gli obiettivi legati ai principi di universalità, eguaglianza ed equità;

   l'efficienza del Servizio sanitario nazionale è frutto sia delle risorse dedicate che dei singoli modelli organizzativi che ciascuna regione adotta;

   lo scenario che restituisce la regione Liguria presenta gravi criticità, con 850.000 esami in attesa nel 2023 e in alcune aziende sanitarie locali 259 giorni d'attesa per poter eseguire una colonscopia urgente, 249 per ecoaddome, 308 per ecocolordoppler, 180 per una visita oculistica, solo per citare qualche esempio, e, nonostante, negli ultimi due anni sulle liste d'attesa la regione abbia stanziato 100 milioni di euro, esclusivamente per la sanità privata, per recuperare il gap;

   a giudizio degli interroganti in Liguria con il governo di centrodestra si è assistito: a privatizzazioni selvagge; a mancati investimenti sulla sanità pubblica; a non valorizzazione delle competenze; a nessun investimento nell'erogazione dei servizi; a nessun ospedale, seppur promesso, realizzato; a interi reparti ormai gestiti solo con personale a gettone che ha portato inevitabilmente la sanità ligure allo sfascio;

   la stessa A.li.sa, l'Azienda ligure sanitaria fondata nel 2016 dalla prima giunta Toti che doveva «coordinare» le aziende e razionalizzare la spesa sanitaria, ad avviso degli interroganti ha pienamente fallito nel suo ruolo, tant'è che ora si annunciano le ennesime consulenze esterne con i tagli lineari ai bilanci delle aziende;

   per ripianare un bilancio mandato in dissesto dall'attuale governo si annunciano ulteriori tagli alla sanità regionale, che andranno a colpire indiscriminatamente situazioni già critiche, quali la medicina territoriale, la salute mentale, la neuropsichiatria infantile o addirittura il blocco delle assunzioni;

   la strada da percorrere è sicuramente un'altra rispetto a quella intrapresa in questi ultimi anni dal governo regionale e passa dal rafforzamento del pubblico e dalla costruzione di eccellenze sul territorio per invertire una tendenza che con la destra è solo peggiorata –:

   alla luce di quanto espresso in premessa quali iniziative urgenti, per quanto di competenza, il Ministro intenda interrogato adottare affinché sia garantito il diritto alla salute e alle prestazioni sanitarie, così come sancito dall'articolo 32 della Costituzione a coloro che risiedono in Liguria.
(3-01493)

(15 ottobre 2024)

   LUPI, ROMANO, BICCHIELLI, BRAMBILLA, CAVO, ALESSANDRO COLUCCI, PISANO, SEMENZATO e TIRELLI. – Al Ministro della salute. – Per sapere – premesso che:

   il problema della sicurezza e della disparità di trattamento economico, in particolare dei pronto soccorso, sono i principali elementi causa dell'allontanamento dei giovani dalle specializzazioni emergenziali;

   la sicurezza per i medici è garantita dal decreto legislativo n. 81 del 2008, dalla raccomandazione ministeriale n. 8 del 2007, dalle linee guida 2015 Osha e dalle linee guida 2015 Nice;

   su 718 posti disponibili, l'anno scorso per chirurgia generale ne sono stati coperti solo 278, delle 898 borse per la scuola di emergenza urgenza ne sono state utilizzate dagli specializzandi solo 225, per l'anestesia e rianimazione sono stati coperti 753 posti coperti, a fronte di 1.567 borse di specializzazione;

   le peggiori performance riguardano medicina delle cure primarie, in cui è stato coperto solamente il 10,1 per cento dei posti, radioterapia farmacologia e tossicologia;

   uno specializzando, indipendentemente dalla specializzazione scelta, riceve una borsa di studio di circa 1.700 euro mensili a fronte di turni stremanti in sala operatoria o in pronto soccorso e, purtroppo, troppo frequentemente sono sottoposti a pericolo per la propria incolumità;

   il fattore economico e l'impossibilità per molte specializzazioni di non poter integrare con la libera professione impongono ai giovani medici di integrare il lavoro svolto con ore notturne in guardia medica;

   rispetto al resto d'Europa il nostro Paese si trova al quartultimo posto per gli stipendi dei medici a fronte del costo medio della vita;

   tra il 2010 e il 2022 circa 22.000 medici hanno deciso, spinti da contratti di formazione pari a 4.500 euro, di trasferirsi all'estero e rimanervi con contratti a tempo indeterminato da 6.000 euro, contribuendo così al fenomeno dei «cervelli in fuga»;

   i dati provvisori di luglio-agosto 2024, nei pronto soccorso, segnano un aumento degli accessi tra il 5 e il 15 per cento in grandi città come Milano e Torino, ma anche in piccoli centri come Potenza, dove si è arrivati a un +14 per cento;

   l'aumento degli accessi e il livello di affollamento dei pronto soccorso è causato, anche, da uno storico indebolimento delle reti di medicina territoriale;

   la Commissione giustizia del Senato della Repubblica ha avviato l'esame del disegno di legge recante «Misure urgenti per contrastare i fenomeni di violenza nei confronti dei professionisti sanitari, socio-sanitari, ausiliari e di assistenza e cura nell'esercizio delle loro funzioni, nonché di danneggiamento dei beni destinati all'assistenza sanitaria» –:

   quali iniziative intenda assumere per fronteggiare questa emergenza.
(3-01494)

(15 ottobre 2024)

   FARAONE, GADDA, DEL BARBA, BONIFAZI, BOSCHI, GIACHETTI e GRUPPIONI. – Al Ministro per la protezione civile e le politiche del mare. – Per sapere – premesso che:

   la Sicilia sconta una cronica scarsità d'acqua, dovuta a infrastrutture per la captazione e la distribuzione dell'acqua a uso civile, agricolo, ambientale, turistico e produttivo insufficienti e obsolete;

   nel territorio siciliano, uno dei più estesi d'Italia, risiedono circa 4,8 milioni di cittadini;

   nel 2020 la giunta regionale guidata dall'allora presidente Nello Musumeci ha approvato il Piano regionale per la lotta alla siccità, contenente proposte di intervento finalizzate al risparmio idrico attraverso la riduzione delle perdite e la manutenzione dei sistemi, l'implementazione di norme comportamentali, il reperimento di risorse alternative, il potenziamento del sistema conoscitivo e di monitoraggio e altre azioni che – se messe in atto – avrebbero smorzato la crisi idrica;

   a tale scopo il Piano nazionale di ripresa e resilienza prevede lo stanziamento di fondi per ridurre le perdite nelle reti idriche (nel 2022 in Sicilia le perdite sono state del 51,6 per cento, per un volume di 339,7 milioni di metri cubi) e misure volte a potenziarne il monitoraggio anche attraverso controlli digitalizzati;

   nel 2024 la siccità ha colpito particolarmente le province di Agrigento, Caltanissetta, Enna, Palermo e Trapani, dove la situazione risulta drammatica con molte famiglie totalmente prive d'acqua e costrette ad acquistarla dalle autobotti;

   le ricadute sui diversi comparti produttivi sono gravissime e i danni economici sono stimati in diversi miliardi di euro. Basti pensare ai 2,7 miliardi di euro di perdite per l'agricoltura – con la produzione di arance che rischia il dimezzamento – oltre alle ingenti perdite per l'indotto, per il settore alberghiero e dell'ospitalità, per la produzione manifatturiera e per le realtà industriali che necessitano di risorse idriche per completare i loro cicli produttivi;

   il 9 febbraio 2024 il presidente della regione Schifani – nominato dal Governo commissario delegato per la realizzazione degli interventi urgenti finalizzati alla gestione della crisi idrica – ha dichiarato lo stato di calamità naturale su tutto il territorio regionale e a maggio 2024 il Consiglio dei ministri ha deliberato lo stato di emergenza in Sicilia;

   tali interventi emergenziali, però, non sono sufficienti a sopperire ai mancati interventi strutturali sugli invasi, sulle reti idriche e sull'assenza di piani per l'approvvigionamento idrico;

   la situazione ad oggi risulta tragica a causa della mancata attivazione degli interventi strategici che l'attuale giunta siciliana avrebbe dovuto mettere in atto ed evitare una situazione così altamente critica che appare irrisolvibile –:

   perché non siano stati messi in atto gli interventi strutturali riportati dal piano richiamato in premessa, agendo solamente in via emergenziale, e quali iniziative intenda adottare il Governo per sopperire alla crisi idrica siciliana.
(3-01495)

(15 ottobre 2024)

   FOTI, MESSINA, ANTONIOZZI, GARDINI, MONTARULI, RUSPANDINI, MATTIA, BUONGUERRIERI, BENVENUTI GOSTOLI, IAIA, LAMPIS, MILANI, FABRIZIO ROSSI, ROTELLI, COLOMBO, DONDI, MALAGUTI, PIETRELLA, GAETANA RUSSO e VINCI. – Al Ministro per la protezione civile e le politiche del mare. – Per sapere – premesso che:

   in Emilia-Romagna continuano a ripetersi eventi atmosferici estremi che tra il 2023 e il 2024 hanno causato l'esondazione di oltre venti fiumi, il danneggiamento di 44 comuni e il verificarsi di centinaia di frane;

   il ricorrere dei fenomeni alluvionali, gli ultimi dei quali a maggio 2023 e settembre 2024, durante i quali gli argini degli stessi fiumi esondati hanno rotto in punti diversi, hanno evidenziato una generale fragilità di tutta l'asta fluviale e del reticolo idrografico generale;

   dai primi eventi alluvionali nel 2023 ad oggi il Governo ha stanziato risorse pari a 4,7 miliardi di euro: 2,8 miliardi destinati alla ricostruzione pubblica e 1,9 miliardi alla ricostruzione privata;

   la ricostruzione pubblica si è incentrata sul ripristino, sulla riparazione e sulla ricostruzione delle infrastrutture del reticolo idrografico; il Governo ha garantito dal settembre 2023 la copertura finanziaria di tutte le richieste di finanziamento degli enti locali e altri soggetti attuatori, ma dei circa 1,6 miliardi di euro erogati in favore degli enti attuatori regionali risultano rendicontati solo 250 milioni di euro;

   molti fiumi esondati nel 2023 erano esondati anche nel 2015 e 2019, ma le segnalazioni alla regione fatte dagli amministratori locali non avevano avuto risposta;

   l'Emilia-Romagna è tra le regioni più cementificata d'Italia e secondo la Corte dei conti ha utilizzato solo un terzo delle risorse stanziate per il rischio idrogeologico: ha costruito, parzialmente, solo 12 casse di espansione delle 23 dichiarate necessarie dalla regione;

   il Governo, con tre distinte ordinanze, ha stanziato 230 milioni di euro per la messa in sicurezza idraulica, dei quali solo 49 sono stati spesi, mentre, a fronte di 750 milioni di euro destinati dal Governo alla messa in sicurezza viaria, gli enti regionali attuatori ne hanno spesi meno del 20 per cento; dei 40 milioni di euro stanziati per la messa in sicurezza viaria del comune e della provincia di Ravenna non è stato speso nulla;

   dal 2013 al 2023 l'Emilia-Romagna ha ricevuto 600 milioni di euro per il contrasto al dissesto idrogeologico, ma non risulta alcuna documentazione circa le somme effettivamente spese, come anche non è stata ancora prodotta alcuna documentazione concernente lo stato dei fiumi prima dell'alluvione del 2023 –:

   quale sia l'entità dei fondi stanziati per la regione Emilia-Romagna per il contrasto al dissesto idrogeologico prima e dopo il maggio 2023 e quanti di questi siano stati stanziati e spesi dalla regione nello stesso periodo e se la regione abbia risposto alla richiesta di inoltro dei documenti rappresentanti lo stato idrografico esistente prima del maggio 2023.
(3-01496)

(15 ottobre 2024)