TESTI ALLEGATI ALL'ORDINE DEL GIORNO
della seduta n. 363 di Giovedì 10 ottobre 2024
MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE IN MATERIA DI PARITÀ DI GENERE, CON PARTICOLARE RIGUARDO ALLE CONDIZIONI LAVORATIVE, ECONOMICHE E SOCIALI DELLE DONNE
La Camera,
premesso che:
1) nel 1947, in un intervento all'Assemblea costituente, Teresa Mattei, affermò: «È nostro convincimento (...) che nessuno sviluppo democratico, nessun progresso sostanziale si produce nella vita di un popolo se esso non sia accompagnato da una piena emancipazione femminile; e per emancipazione noi non intendiamo già solamente togliere barriere al libero sviluppo di singole personalità femminili, ma intendiamo un effettivo progresso e una concreta liberazione per tutte le masse femminili e non solamente nel campo giuridico, ma non meno ancora nella vita economica, sociale e politica del Paese»;
2) a oltre 70 anni da questo intervento, il Presidente della Repubblica nel messaggio che ha inviato, il 16 settembre 2024 al convegno il «Tempo delle donne» ha, tra l'altro, affermato «Nei rapporti di lavoro occorre rispettare i diritti di parità e di eguaglianza, previsti dalla nostra Costituzione. Ancor oggi nel lavoro femminile sono presenti ostacoli, rallentamenti e disparità, per l'accesso, nella retribuzione, nella progressione di carriera, negli incarichi di vertice. Le barriere possono alzarsi fino a giungere a inaccettabili e odiose discriminazioni: licenziamenti, dimissioni in bianco, pressioni indebite, persino forme di stalking e di violenza, fisica o psicologica», e proseguendo ha esortato alla rimozione degli «ostacoli che rendono difficile la conciliazione tra occupazione e cura della famiglia. Il lavoro non allontana la donna dalla maternità. È vero il contrario: l'occupazione femminile è un fattore che sostiene in modo decisivo la famiglia e le nascite.»;
3) l'uguaglianza di opportunità sociali e giuridiche tra i generi, oltre ad essere un diritto fondamentale di rango costituzionale, è un principio cardine dell'Unione europea, riconosciuto dal Trattato di Roma del 1957 e dalla Carta dei diritti fondamentali, nonché un principio chiave del pilastro mondiale dei diritti sociali;
4) il mancato raggiungimento dell'uguaglianza tra le donne e gli uomini in ogni settore della vita sociale è anche drammaticamente rappresentato dal persistere di comportamenti di violenza, fisica e/o psicologica nei confronti delle donne, che rappresenta solo la punta dell'iceberg di un fenomeno culturale, molto più ampio, legato al fenomeno millenario della misoginia, nonostante i passi in avanti che, indubbiamente, le legislazioni di alcuni Paesi hanno compiuto negli ultimi anni per contrastare la violenza di genere;
5) nell'Unione europea nessuno Stato membro ha ancora raggiunto la piena uguaglianza e i progressi rimangono lenti e insufficienti, sia in Europa che a livello globale, e l'Italia è lontana dall'obiettivo;
6) i progressi sono lenti e i divari di genere persistono nel mondo del lavoro e a livello di retribuzioni, assistenza e pensioni; nelle posizioni dirigenziali e nella partecipazione alla vita politica e istituzionale, benché, a livello globale, il raggiungimento dell'uguaglianza per le donne e per le ragazze rappresenti uno dei 17 obiettivi di sviluppo sostenibile che gli Stati si sono impegnati a raggiungere entro il 2030;
7) la centralità delle questioni relative al superamento delle «disparità di genere» viene ribadita anche nel Piano nazionale di ripresa e resilienza per rilanciare lo sviluppo nazionale in seguito alla pandemia. Il Piano, infatti, la individua come una delle tre priorità trasversali perseguite in tutte le missioni che compongono il Piano. L'intero Piano dovrà inoltre essere valutato in un'ottica di gender mainstreaming;
8) il principio della parità retributiva per uno stesso lavoro, o per uno di pari valore, è sancito dai Trattati europei e il Trattato di Lisbona del 2009 non solo ha riaffermato il principio di uguaglianza tra donne e uomini, anche in ambito lavorativo, ma lo ha inserito tra i valori fondanti dell'Unione;
9) il principio di uguaglianza e la lotta contro la violenza maschile sulle donne sono sostenuti da numerosi atti di legislazione ordinaria e applicati dalla giurisprudenza della Corte di giustizia europea;
10) la proposta di direttiva della Commissione sulla trasparenza retributiva, adottata il 4 marzo 2021, e approvata il 30 marzo 2023 dal Parlamento europeo, introduce misure volte a garantire la parità di retribuzione tra donne e uomini nell'Unione europea per uno stesso lavoro; le nuove norme possono garantire una maggiore trasparenza e un'applicazione efficace del principio della parità retributiva tra donne e uomini e possono migliorare l'accesso alla giustizia per le vittime di discriminazione retributiva, gli Stati membri dovranno prevedere sanzioni efficaci, proporzionate e dissuasive per i datori di lavoro che non rispettano tali regole; per la prima volta, sono stati inclusi nell'ambito di applicazione delle nuove norme la discriminazione intersezionale e i diritti delle persone non binarie;
11) la direttiva (UE) 2023/970 approvata il 10 maggio 2023 prevede che, a partire da giugno 2026, le aziende debbano rendere facilmente accessibili i criteri utilizzati per determinare la retribuzione, i livelli retributivi e la progressione economica. Inoltre, dovranno obbligatoriamente condividere con i candidati la retribuzione prima dell'assunzione. L'obiettivo primario è quello di garantire la parità salariale per le persone che svolgono le stesse mansioni;
12) con la successiva direttiva UE 2024/1500 del 14 maggio 2024 il legislatore europeo ha affrontato il tema della parità di genere in materia di occupazione e impiego, dettando norme orientate a migliorare e a rafforzare il funzionamento degli organismi per la parità (già previsti dalle direttive 2006/54/CE e 2010/41/UE), con l'obiettivo di consolidare l'indipendenza dei già menzionati organismi, i quali devono essere liberi da influenze esterne, non dovendo accettare istruzioni dal Governo o da enti pubblici o privati, attribuendo, altresì, a tale organismi rilevanti funzioni;
13) anche a livello di legislazione nazionale sono state introdotte e si sono succedute norme dirette a contrastare e a rimuovere gli ostacoli di fatto che impediscono la realizzazione delle pari opportunità;
14) pur a fronte di una crescente sensibilità delle politiche europee e nazionali e di una aumentata attenzione al fenomeno da parte delle Istituzioni, il divario di genere nel mondo del lavoro risulta essere ancora oggi per il nostro Paese uno dei fattori di disparità maggiormente persistenti;
15) la costante inferiorizzazione delle donne è una condizione legata a un retaggio storico, culturale e giuridico che ha origini molto antiche. Gli avvenimenti storici dimostrano, seppur con parentesi positive, il forte divario lavorativo, prima, e salariale, poi, tra uomo e donna; le donne, infatti, vivono costantemente penalizzazioni sul lavoro nel momento in cui diventano madri. Il connubio tra un vetusto modello patriarcale e il sistema neoliberista reintroduce il vecchio «Male breadwinner», che si può tradurre così: «è l'uomo che deve portare il pane a casa». In una prospettiva globale, il World economic forum, che ogni anno pubblica il World gender gap report sulla base di un'attenta analisi che copre circa 146 Paesi (Italia inclusa), ha messo in luce come la disparità di genere tra uomo e donna nel mercato del lavoro riversi ancora in una situazione di stallo con margini residuali di crescita;
16) l'11 giugno 2024 il World economic forum ha pubblicato la nuova edizione del Global gender gap report aggiornata al 2024: secondo la nuova classifica nel 2024 l'Italia ha registrato un Global gender gap index score pari a 0,703, in leggero calo rispetto al 2023 (-0,002). Questo calo ha causato all'Italia una perdita di otto posizioni in classifica, finendo all'ottantasettesimo posto su 146 Paesi monitorati; anche nel 2023 l'Italia era scesa in graduatoria, perdendo 16 posizioni e piazzandosi al posto numero 79;
17) il Rapporto annuale 2023 dell'Istat evidenzia come avere un figlio in Italia comporti una probabile esclusione della donna dal mercato del lavoro. Nella maggioranza delle coppie, in cui spesso accade che è più istruita del partner, la donna o non lavora o viene intesa come percettrice secondaria. Questo riflette la disuguaglianza di genere presente nel mercato del lavoro e, a sua volta, la disparità dei compiti lavoro-famiglia; d'altra parte, in Italia emerge chiaramente dalle statistiche la diversa distribuzione del carico di lavoro familiare all'interno della coppia: nell'indagine sugli aspetti di vita quotidiana condotta da Istat, il tempo dedicato alla cura della casa e della famiglia è ben maggiore per le donne (15,4 per cento) rispetto agli uomini (6 per cento). Nel momento in cui, però, la donna riesce a entrare nel mercato del lavoro, con principali difficoltà nei ruoli C-suite (ruoli dirigenziali), diviene vittima di un particolare fenomeno qualificato come gender pay gap, ossia un divario retributivo di genere, in cui a parità di mansioni o quantità/qualità del lavoro prestato, l'uomo percepisce comunque una retribuzione più elevata;
18) focalizzando l'analisi sulle donne che partecipano al mercato del lavoro, la condizione di disuguaglianza si manifesta sia nei livelli retributivi, sia nella ridotta presenza ai ruoli apicali. Il «gender pay gap» a livello italiano è del –10,7 per cento, secondo le elaborazioni di Odm Hr Consulting – Gi Group holding su dati dell'Osservatorio sul lavoro dipendente dell'Inps per gli anni 2019-2022, pari a un gap che va dai circa 3.000 euro a oltre 16.000 euro in meno a seconda dell'inquadramento (in termini di retribuzione fissa annua lorda). Il gender pay gap, che si era ridotto fra il 2017 e il 2019, ha poi ripreso a crescere raggiungendo e superando il 10 per cento nel 2022. Il trend di aumento del divario si è stabilizzato attestandosi in chiusura 2023 su una media del 10,7 per cento. Guardando ai singoli inquadramenti, il divario percentuale, e anche in termini di valore assoluto, più ampio tra retribuzione fissa media di uomini e donne si riscontra nell'inquadramento dirigenti. Inoltre, negli ultimi anni le donne sono sempre più protagoniste di rapporti di lavoro non-standard, ossia rapporti caratterizzati da una ridotta continuità nel tempo e/o da una bassa intensità lavorativa (sempre come da dati Istat);
19) secondo il gender equality index (indice sull'uguaglianza di genere) dell'Unione europea 2022 pubblicato dall'Istituto europeo per l'uguaglianza di genere (Eige), se si continua al ritmo attuale, la parità di genere all'interno dell'Unione europea diventerà realtà solo tra 60 anni. A livello globale, l'uguaglianza di genere è lontana su certi indici anche di 300 anni, come ha sottolineato il Segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres alla United Nations Commission on the status of women nel marzo 2023;
20) nel dettaglio, il citato rapporto annuale sintetizza la parità di genere dei 27 Stati membri dell'Unione europea in un unico dato che rappresenta la combinazione delle performance tracciate tramite 31 indicatori che compongono sei dimensioni: lavoro, denaro, conoscenza, tempo, potere e salute. Nell'ultima edizione relativa al 2023, emerge come l'Italia si collochi al tredicesimo posto della classifica, con 68,2 punti su 100, sotto la media europea che si attesta a 70 punti. Fra gli indicatori, i peggiori riguardano proprio il lavoro: l'Italia è infatti ultima in Europa per quanto riguarda la parità di genere nel mondo del lavoro, con un punteggio di 63,2 (la media europea è di 71,76) e un livello di partecipazione femminile al lavoro tra i più bassi (68,1 contro 81,3);
21) nell'ambito lavorativo, le donne in Italia sono ancora molto sottorappresentate, specialmente nei campi dell'energia e dei trasporti. Nel 2022, solo il 26 per cento dei professionisti nel settore energetico italiano erano donne. Analogamente, le donne costituivano solo il 20 per cento del personale nel settore dei trasporti;
22) i dati Eurostat riferiti al 2023 mostrano che in Italia c'è un tasso di occupazione delle donne tra i 15 e i 64 anni pari al 51,1 per cento, sotto la media europea che si attesta al 64,9 per cento, ma soprattutto con un gap di 18,1 punti percentuali rispetto agli uomini, il cui tasso di occupazione è pari al 69,2 per cento. Sopra la media dell'Unione europea del 30 per cento, invece, il tasso di inattività femminile che per l'Italia è al 43,6 per cento. Il quadro si completa con i dati Inps sul lavoro dipendente. I lavoratori a tempo determinato e indeterminato sono per il 71 per cento uomini e solo il 29 per cento donne. Divario che si amplia per i dirigenti (solo 21 per cento di donne) ed è invece lievemente inferiore per quadri e impiegati, confermando quindi non solo una maggiore difficoltà di ingresso delle donne nel mondo del lavoro, ma anche la persistenza del cosiddetto soffitto di cristallo; il divario nei livelli occupazionali maschile e femminile in Italia è uno dei più elevati nell'Unione europea e tra le lavoratrici, quasi 1,9 milioni di donne sono costrette al part-time involontario, contro 849 mila uomini nelle stesse condizioni; l'occupazione femminile è particolarmente bassa nel Mezzogiorno (32,2 per cento) e nelle isole (33,2 per cento): un dato significativo, perché tra le cinque regioni europee con i valori più bassi di occupazione femminile, quattro sono proprio nel Sud Italia;
23) si osserva poi un peggioramento del gap di genere in presenza di figli, a favore della componente maschile. Nel 2022 il tasso di occupazione dei genitori (25-64 anni) con un figlio varia dall'82 per cento per gli uomini al 58,1 per cento per le donne e il divario si amplifica con un numero superiore di figli. Questo vuol dire che, anche a causa di un'adeguata presenza di servizi per la conciliazione vita-lavoro, in una coppia sono più spesso le donne a uscire dal mercato del lavoro per dedicarsi alla cura dei figli, mentre l'uomo si concentra sulla carriera professionale; le donne godono infatti di minore flessibilità rispetto agli uomini, in particolare le lavoratrici laureate. Queste disuguaglianze sono in larga parte il riflesso della «specializzazione» di genere tra lavoro retribuito e non retribuito, in virtù del quale le donne più frequentemente accettano retribuzioni inferiori a fronte di vantaggi in termini di flessibilità e orari;
24) all'interno dei consigli di amministrazione la presenza di donne è cresciuta arrivando al 43 per cento, ma meno del 5 per cento di queste ricopre ruoli esecutivi e solo il 2 per cento la carica di amministratrice delegata. Dopo la legge «Golfo-Mosca», che ha portato a un aumento della presenza femminile all'interno dei consigli di amministrazione; un'ulteriore spinta viene data dalla certificazione della parità di genere (UNI/PdR 125:2022), ossia un'attestazione a valore nazionale di validità triennale che le imprese possono richiedere su base volontaria e che viene loro riconosciuta a condizione che dimostrino di aver fatto proprio il paradigma della «parità di genere» nella loro cultura, strategia e piani di azione al fine di ridurre al proprio interno le disuguaglianze uomo-donna. Anche dal punto di vista imprenditoriale la componente femminile è arretrata: la quota di donne imprenditrici rappresenta nel 2021 il 30 per cento dell'ammontare complessivo; la situazione è migliore tra le libere professioniste (37,4 per cento, mentre è più bassa l'incidenza in caso di società di capitale (26 per cento);
25) un altro elemento che influisce sulla partecipazione delle donne al mercato del lavoro è l'indirizzo disciplinare scelto. È noto, infatti, che alcuni stereotipi di genere influiscono sul percorso formativo scelto dalle donne che, ad esempio, si orientano verso gli indirizzi Stem (science, technology, engineering e mathematics) in misura ben più contenuta degli uomini. Nell'anno accademico 2022-23, le ragazze rappresentano solo il 37 per cento degli iscritti ai corsi di laurea in discipline Stem, con differenze ancora più evidenti nei percorsi Ict (information and communication technologies) 16 per cento donne a fronte di un 84 per cento uomini;
26) i dati più recenti mostrano che in Italia i lavoratori di genere maschile sono meno istruiti rispetto alle donne: secondo dati Istat, in Italia nel 2021 le donne laureate sono pari al 57,2 per cento in netto vantaggio rispetto alla controparte maschile. Nonostante questo, uno degli ambiti in cui il divario di genere è più evidente rimane il gender pay gap, ossia le disparità salariali, proprio la finanza e le professioni Stem sono i settori nei quali si evidenziano i gap salariali maggiori a favore degli uomini, con una retribuzione oraria per i dipendenti maschili superiore ai 2 euro all'ora, che arriva a 5 euro nei servizi finanziari;
27) a corroborare queste evidenze contribuisce anche il Gender policies report 2022, la pubblicazione dell'Inapp (Istituto nazionale per l'analisi delle politiche pubbliche) che ogni anno monitora le differenze di genere nel mondo del lavoro. Le statistiche evidenziano che il divario uomo-donna resta immutato nel tempo e sempre sbilanciato sulla componente maschile, perché la partecipazione femminile è ancora oggi ostaggio di criticità strutturali: occupazione ridotta, prevalentemente precaria, part-time e in settori a bassa remuneratività o poco strategici; dunque, la situazione femminile, pur migliorata in termini assoluti, peggiora in termini relativi;
28) è facilmente intuibile come la delineata discriminazione di genere nel mondo del lavoro abbia importanti conseguenze nel settore previdenziale: il divario di genere a livello occupazionale e retributivo, che si accumula nell'arco di una vita, conduce infatti a un divario pensionistico ancor più accentuato e, di conseguenza, comporta per le donne in età avanzata un maggior rischio di povertà rispetto agli uomini;
29) le carriere delle donne sono più brevi, principalmente a causa del loro ruolo e degli impegni familiari: la maternità e la cura dei minori, dei familiari anziani, malati o disabili e di altre persone a carico, rappresentano un lavoro supplementare o talvolta a tempo pieno, gratuito, quasi esclusivamente delle donne, e ciò ha un impatto enorme sulla loro capacità di accumulare una pensione completa;
30) per questo con l'articolo 1, comma 9, della legge 23 agosto 2004, n. 243, era stata introdotta una misura denominata «opzione donna» che consentiva alle donne di accedere all'assegno pensionistico con requisiti anagrafici più favorevoli rispetto a quelli in vigore, optando per il sistema di calcolo contributivo dell'intero trattamento pensionistico, senza ulteriori penalizzazioni. La misura, rivelatasi del tutto insufficiente negli anni e non risolutiva del problema del divario previdenziale di genere, di recente è stata ulteriormente ridimensionata attraverso la legge di bilancio per il 2023 (articolo 1, comma 292, della legge 29 dicembre 2022, n. 197);
31) i dati 2022 dell'Osservatorio Inps evidenziano come le pensioni delle donne valgano circa il 30 per cento in meno rispetto a quelle degli uomini: per questi ultimi l'assegno medio è di 1.381 euro, per le donne la media è di 976 euro. In generale, gli uomini percepiscono pensioni mediamente più elevate rispetto alle donne, arrivando a essere quasi il doppio (+81,5 per cento) nel Settentrione per la categoria vecchiaia;
32) l'analisi dei dati evidenzia la generale inadeguatezza degli strumenti normativi finora ideati dal legislatore, finalizzati al raggiungimento degli obiettivi prefissati in tema di uguaglianza di genere e nello specifico diretti a ridurre il «gender pay gap», i quali, pur avendo prodotto in taluni miglioramenti anche consistenti, si rilevano nel complesso ancora insufficienti per condurre al radicale e definitivo superamento del problema;
33) ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo si registra un netto e deciso cambio di rotta da parte dell'attuale Governo, volto a indirizzare il Paese in direzione opposta rispetto a quella auspicabile del riconoscimento dell'autodeterminazione delle donne, della parità di genere e del superamento delle discriminazioni nel mondo del lavoro: l'orientamento, sorretto da un'idea arcaica e sorpassata di famiglia e genitorialità, parrebbe essere quello di relegare il genere femminile ai tradizioni ruoli di cura e assistenza familiare, in tutto con l'obiettivo di incentivare la natalità, dichiarato obiettivo prioritario del Governo Meloni;
34) la strategia del Governo Meloni per i firmatari del presente atto è fallimentare, come dimostra il tasso di occupazione femminile in Italia, che secondo gli ultimi dati Eurostat, è il più basso tra gli Stati europei, attestandosi 14 punti sotto la media. Come rivela peraltro un dossier pubblicato dal Servizio studi della Camera dei deputati, nel quarto trimestre del 2022, il divario tra popolazione maschile e femminile è piuttosto ampio sia dal punto di vista occupazionale – sono 9,5 milioni le donne occupate mentre gli uomini sono 13 milioni – sia retributivo. Il dato che parla di risicato aumento del tasso di occupazione femminile va quindi contestualizzato: non riporta i numeri di quante sono costrette a un part-time per poter conciliare il lavoro e la famiglia: nella fascia di età compresa tra i 25 e i 54 anni, con un figlio minore il tasso di occupazione per le donne (madri) si ferma al 63 per cento contro il 90,4 per cento di quello degli uomini (padri); con due figli minori, poi, l'occupazione femminile scende addirittura al 56,1 per cento, mentre crescono i padri che lavorano (90,8 per cento), con un divario che arriva a ben 34 punti percentuali;
35) il cosiddetto «bonus mamme» previsto dalla legge di bilancio per il 2024 è una misura selettiva: l'esenzione dei contributi previdenziali spetta infatti solo a determinate categorie di donne, ovvero madri lavoratrici dipendenti, con un contratto a tempo indeterminato, con tre o più figli (con al massimo 18 anni di età), una quota molto ridotta;
36) parimenti inadeguata la misura del «bonus asilo nido» per le famiglie con un reddito Isee fino a 40 mila euro, che hanno almeno un figlio con meno di 10 anni di età e che ne hanno un altro dal 1° gennaio 2024, soprattutto a fronte del taglio dei fondi europei del Pnrr destinati alla creazione dei servizi di educazione e cura a favore della prima infanzia: tagli previsti dalla revisione proposta dalla maggioranza e approvata dalla Commissione europea il 24 novembre 2023, che consistono nella riduzione da 264.480 a 150.480 dei nuovi posti da creare, riducendo lo stanziamento previsto da 4,6 miliardi di euro a 3,2 miliardi di euro. Il tutto in pieno contrasto con l'obiettivo dell'Unione europea al 2030 di 45 posti al nido ogni 100 bambini, considerando che nel Mezzogiorno del Paese attualmente i posti disponibili sono solo 16 su 100 bambini;
37) a riprova di quello che ai firmatari del presente atto appare il generale orientamento oscurantista e misogino del Governo, oltre le recentissime posizioni esternate in occasione della stesura del documento conclusivo del G7 tenutosi in Puglia il 13-14 e 15 giugno 2024 in tema di diritto di aborto, anche il recente voto contrario delle forze di maggioranza alla direttiva sulla trasparenza salariale votata dal Parlamento europeo. Voto contrario, quest'ultimo, in evidente contrasto con quanto affermato in data 28 giugno 2023 dalla Viceministra del lavoro e delle politiche sociali Bellucci, nell'ambito della discussione alla Camera dei deputati della legge 3 luglio 2023, n. 85, di conversione, con modificazioni, del decreto-legge n. 48 del 2023, recante «Misure urgenti per l'inclusione sociale e l'accesso al mondo del lavoro», con riguardo all'ordine del giorno n. 9/1238/113 a prima firma Ghirra. In tale sede la Viceministra dichiarava il parere non contrario del Governo alla direttiva europea n. 2021/0050 dell'11 aprile 2023 sulla trasparenza retributiva e negava il parere favorevole all'ordine del giorno citato nel punto in cui chiedeva l'estensione delle nuove norme alle aziende con meno di 100 dipendenti, sulla base del fatto che la direttiva non fosse stata ancora approvata definitivamente;
38) realizzare l'uguaglianza di genere e migliorare le condizioni di vita delle donne sono obiettivi fondamentali dell'Agenda 2030 e requisiti imprescindibili per la costruzione di una società realmente giusta e sostenibile. Secondo i dati World economic forum 2023, l'inclusione delle donne nelle aziende sarebbe in grado di aumentare il prodotto interno lordo mondiale fino al 35 per cento. Il sopracitato rapporto Boston consulting group evidenzia, inoltre, come nel 2022 le aziende con almeno il 30 per cento di dirigenti donne abbiano registrato un aumento del 15 per cento della redditività,
impegna il Governo:
1) ad adottare iniziative normative per promuovere con urgenza una generale riforma diretta a introdurre l'assoluto divieto di discriminazione di genere in materia salariale, in attuazione della direttiva sulla trasparenza salariale, con la previsione di adeguate sanzioni in caso di violazione del divieto;
2) a promuovere ogni iniziativa di competenza per incentivare la stabile e qualificata occupazione femminile, al contempo riducendo i disincentivi al lavoro attualmente esistenti per le donne;
3) a promuovere un piano straordinario per l'occupazione femminile e politiche, anche promuovendo il reinserimento professionale delle donne che hanno lasciato il lavoro da più tempo, nonché misure efficaci per il sostegno alle imprese femminili;
4) a dare concreta applicazione alla Convenzione n. 190 dell'Organizzazione internazionale del lavoro «contrasto alle molestie, molestie sessuali e violenze sul posto di lavoro», ratificata dall'Italia e ancora introdotta nella normativa nazionale, e nello specifico ad adottare iniziative normative volte a introdurre il reato di molestie nei luoghi di lavoro, con la previsione di adeguate sanzioni penali a carico dei responsabili e l'obbligo per le aziende di prevedere specifici protocolli preventivi del fenomeno;
5) a promuovere le opportune iniziative finalizzate a sostenere la domanda e l'offerta di lavoro delle donne, rafforzando la disponibilità di servizi di cura per l'infanzia, per gli anziani e i familiari disabili, individuando, altresì, nuovi e adeguati stanziamenti diretti allo sviluppo di servizi di qualità per infanzia, anziani e disabili e misure per favorire una redistribuzione dei carichi di lavoro familiare all'interno della stessa, prevedendo, tra l'altro, investimenti straordinari e strutturali per il sistema pubblico integrato di educazione e istruzione per la fascia 0-6 anni, garantendo l'obiettivo del Piano nazionale di ripresa e resilienza del 33 per cento di servizi, individuato oltre 20 anni fa dalla Strategia di Lisbona, per fare della fascia 0-3 anni non più un servizio a domanda individuale ma un diritto universale;
6) ad adottare iniziative normative volte a ridurre il divario pensionistico di genere attraverso l'introduzione di nuovi e più efficaci strumenti e/o meccanismi previdenziali;
7) a promuovere campagne e progetti comunicativi e formativi sul rispetto dell'uguaglianza, declinato in rapporto alla cogenitorialità e alla condivisione dei compiti di cura nelle famiglie;
8) ad adottare iniziative normative volte a introdurre un congedo di genitorialità paritario di 6 mesi a genitore, introducendo un congedo di paternità di sei mesi per un periodo continuativo, con indennità al 100 per cento, di cui tre obbligatori e tre facoltativi, per usufruirne nell'arco dei primi dodici mesi di vita del bambino.
(1-00326) «Ghirra, Zanella, Piccolotti, Bonelli, Borrelli, Dori, Fratoianni, Grimaldi, Mari, Zaratti».
(18 settembre 2024)
La Camera,
premesso che:
1) secondo i dati pubblicati da Istat nel rapporto annuale 2024, il tasso di occupazione in Italia è al 62 per cento, ossia 8 otto punti sotto la media europea. Inoltre, l'Italia vanta un primato anche per numero di inattivi, donne e giovani senza lavoro, part time involontario, retribuzioni basse, scarsa produttività, lavoro povero, sommerso e lavoro autonomo, da vent'anni sacca fantasma di precarietà; anche in base ai dati Eurostat 2023, l'Italia è il Paese con il tasso di occupazione più basso fra i Paesi dell'Unione europea e registra una crescita più lenta rispetto ai Paesi europei anche sul fronte dei salari;
2) sempre secondo Istat, negli ultimi vent'anni l'occupazione italiana è cresciuta: in valore assoluto, da 22 a 24 milioni di occupati; come tasso, dal 57 al 62 per cento, da sempre uno dei più bassi in Europa (nello stesso arco temporale il tasso tedesco è salito di 13 punti);
3) stante ciò, l'occupazione stabile, a tempo indeterminato, dice l'Istat nel suo Rapporto annuale, è «aumentata solo tra gli over 50», da 3 a 6 milioni di occupati, mentre è scesa in tutte le altre fasce d'età, anche per un fattore demografico: l'Italia invecchia, fa meno figli e le coorti degli anni '50-'60-'70 si spostano, trattenute al lavoro anche da riforme pensionistiche;
4) c'è stato poi un incremento del lavoro a tempo determinato, così come di voucher, somministrazione, lavoro a chiamata e collaborazioni occasionali. Se la quota di occupati a tempo in Italia è in linea col resto d'Europa (16 per cento), così come il part time al 18 per cento è più o meno nella media europea, il nostro Paese è primo per part time involontario ossia non voluto, ma subìto, e più spesso dalle lavoratrici: si consideri che il 53 per cento degli occupati a tempo parziale è imposto, quota ferma a poco più di 1/3 solo vent'anni fa;
5) nel triste primato italiano si concretizza quella che Istat chiama «doppia vulnerabilità»: contratti di collaborazione o a tempo determinato e anche a part-time. Questa parte dei lavoratori italiani è quella con i più bassi salari, sia orari che annuali, dal 30 al 60 per cento in meno degli altri: è la sacca del lavoro povero – quella che sarebbe in parte beneficiata dal salario minimo; in Italia purtroppo la flexsecurity è diventata precarietà cronica, senza sicurezza: non è stato dato più valore al lavoro e, pertanto, si è scivolati nella competizione globale col dumping salariale, spesso diventando fornitori di lavoro a basso costo. I dati di oggi sull'occupazione in crescita non devono pertanto trarre in inganno: il punto non è solo quanto «più lavoro» purchessia posto che, laddove aumenta l'occupazione in virtù di un basso costo del fattore lavoro, allora ne consegue un mancato aumento dei salari come del reddito e della distribuzione, ovverosia un mancato incremento corrispondente in termini di prodotto interno lordo e di crescita reale per il sistema Paese;
6) con riguardo alla questione femminile, secondo i dati Istat, il divario nel tasso di occupazione rispetto all'Unione europea supera i 12 punti percentuali. Anche secondo il rapporto pubblicato solo il 10 settembre 2024 dall'Ocse, dal titolo Education at a glance 2024, sebbene ragazze e donne continuino ad eccellere in ambito scolastico e nei tassi di completamento degli studi, questi successi non si riflettono in pari opportunità lavorative: per esempio, le donne tra i 25 e i 34 anni senza diploma di scuola secondaria superiore hanno un tasso di occupazione del 47 per cento, ben 25 punti percentuali inferiore a quello dei loro coetanei maschi. Anche tra le donne con una qualifica terziaria, il divario persiste: l'84 per cento di loro è occupato, rispetto al 90 per cento degli uomini con lo stesso livello di istruzione; sulla differenza di genere nessun altro Paese dell'Ocse evidenzia un divario così marcato: le donne laureate in Italia guadagnano solo il 58 per cento dello stipendio dei loro colleghi maschi. Questa disparità è particolarmente significativa se confrontata con la media degli altri Paesi – dove le donne percepiscono in media il 17 per cento in meno rispetto agli uomini – e deriva da «fattori complessi che includono la segregazione occupazionale, pregiudizi nelle pratiche di assunzione e opportunità diseguali di fare carriera», si legge nel rapporto. Le donne hanno meno probabilità degli uomini di ottenere una promozione o di ricevere un grosso aumento di stipendio quando cambiano lavoro;
7) in aggiunta, gli stop alla carriera legati alla nascita di un figlio – e alla successiva necessità di avere maggiore flessibilità, anche a costo di uno stipendio più ridotto – continuano a colpire più le donne degli uomini. Senza contare che si parla solo di chi ha un lavoro a tempo pieno, e non del lavoro part time, determinato, di collaborazione occasionale o a partita Iva: in questi casi, vale quanto già sottolineato rispetto al «falso» incremento dell'occupazione e alla mancanza di investimenti per la crescita effettiva del prodotto interno lordo e del sistema Paese;
8) secondo il rapporto annuale Istat, se in quasi tutti i Paesi europei nella fascia di età compresa fra 30 e 40 anni – fascia potenzialmente più coinvolta da scelte di genitorialità –, si apre un gap tra l'occupazione femminile e quella maschile che poi si ricompone più avanti, in Italia questo gap non si richiude più: in altri termini, nel nostro Paese, il problema vero non è sostenere le famiglie con incentivi alla natalità – scelta che deve rimanere nella sfera personale –, quanto aiutare i diversi nuclei a conciliare vita personale e professionale;
9) non sorprende allora che il Presidente della Repubblica, nel messaggio che ha inviato il 16 settembre 2024 al convegno il «Tempo delle donne», abbia tra l'altro sottolineato come l'occupazione femminile sia un fattore che sostiene in modo decisivo la famiglia e le nascite e come pure siano però ancora presenti «ostacoli, rallentamenti e disparità, per l'accesso, nella retribuzione, nella progressione di carriera, negli incarichi di vertice», oltreché fenomeni come le «dimissioni in bianco, pressioni indebite, persino forme di stalking e di violenza»;
10) in questa prospettiva, secondo i dati Eurostat (pubblicati nel rapporto annuale Employment and activity by sex and age a dicembre 2023), in Italia, una donna su cinque fuoriesce dal mercato del lavoro a seguito della maternità, mentre stando all'osservazione del mercato del lavoro nel 2011 e nel 2022, come riporta Inapp nel recente Rapporto plus 2023, si conferma che l'evento della maternità presenta caratteristiche rispetto all'occupazione femminile ricorrenti addirittura a distanza di un decennio. Tale ultimo aspetto riveste una particolare rilevanza in quanto indice della difficoltà per le donne di conciliare esigenze di vita con l'attività lavorativa. Difficoltà a loro volta fortemente connesse allo sbilanciamento nel care burden familiare che costituisce un persistente fattore critico per i livelli di occupazione femminile, con particolare riguardo anche alle sue declinazioni in attività domestiche, come emerge dal lavoro pionieristico del premio Nobel per l'economia 2023 Claudia Goldin;
11) secondo il rapporto Istat Sdgs (Sustainable development goals) 2023, infatti, ad oggi la distribuzione del carico di lavoro per le cure familiari tra uomini e donne non migliora, mentre i dati ufficiali non sono in grado di descrivere la realtà dell'assistenza domiciliare e del lavoro domestico, a causa degli alti livelli di quello che la Commissione europea definisce «lavoro sommerso», o che comunemente si chiama pagamento in nero per i servizi di assistenza diretta e indiretta. Come si legge in una dichiarazione delle parti sociali di marzo 2022, «in base all'ultima indagine dell'Eurobarometro sull'argomento, è stato calcolato che circa il 34 per cento di tutto il lavoro sommerso svolto nell'Unione europea nel 2019 è relativo al settore dei servizi per la persona e la famiglia. Stime recenti rivelano che, tra i 9,5 milioni di lavoratori e lavoratrici domestiche presenti in Europa, almeno 3,1 milioni svolgono lavoro sommerso»;
12) per quanto attiene all'Italia, come emerge chiaramente dai dati dell'osservatorio Domina, nel relativo quinto rapporto annuale 2024, l'occupazione femminile (che tradizionalmente si avvantaggia di più della collaborazione domestica) è più elevata proprio dove ci sono più lavoratori domestici: il report rileva infatti che oltre il 21 per cento del «prodotto interno lordo del lavoro domestico» italiano è prodotto in Lombardia e circa il 45 per cento nel Lazio, in Emilia-Romagna, Veneto, Piemonte e Toscana, ovvero nelle aree dove il tasso di occupazione femminile è più elevato e quello di disoccupazione è più basso;
13) se per le donne esiste ancora una difficoltà nel conciliare le responsabilità familiari e quelle lavorative, il processo di evoluzione normativa in materia è stato caratterizzato da un significativo ritardo rispetto ad altri Paesi europei che hanno disciplinato il congedo paterno obbligatorio ben oltre i dieci giorni di congedo paterno previsti nel nostro Paese dal 2021: in Francia e Spagna i padri possono usufruire, rispettivamente, di quattro e di sedici settimane di congedo, mentre già nel 1974, prima al mondo, la Svezia sostituiva il congedo di maternità con quello parentale e oggi prevede cinquantadue settimane di congedo da ripartire con il partner, mentre la Norvegia assegna ai neogenitori ben quarantasei settimane di congedo;
14) la conciliazione tra lavoro e genitorialità è nel nostro Paese ancora estremamente difficoltosa e la percezione sociale di un aumentato sostegno pubblico alla genitorialità, sul piano dei congedi, appare ancora debole: il sondaggio di opinione condotto da We World in collaborazione con Ipsos, tra il febbraio e il marzo 2022 su un campione di 1.000 genitori di bambini/e under 18, ha rivelato che solo un genitore su cinque sa che attualmente il congedo di paternità ha una durata di 10 giorni, mentre i dati dell'Istat riferiti al 2022 indicano che il tasso di occupazione delle donne di età compresa tra 25 e 49 anni con figli di età inferiore ai 6 anni è pari a 55,5 per cento rispetto a quello delle donne della stessa età senza figli che è del 76,6 per cento. In altre parole, i dati restituiscono una fotografia dell'Italia come Paese in cui il potenziamento degli istituti del congedo genitoriale realizzato nell'ultimo decennio, con particolare riferimento a quello paterno, non è stato ancora in grado di sostenere adeguatamente il binomio genitorialità/lavoro, in cui il livello di informazione sui congedi genitoriali è ancora scarso, ma dove pure si rileva un'emergente disponibilità dei giovani padri a condividere la cura filiale;
15) l'occupazione femminile è poi caratterizzata anche da un accentuato divario retributivo di genere, nonché dal tipo di lavoro svolto dalle donne;
16) per quanto concerne la differenza di retribuzione, secondo gli ultimi dati Eurostat già citati, il gap retributivo medio (ossia la differenza nella retribuzione oraria lorda tra uomini e donne) è pari al 5 per cento (al di sotto della media europea che è del 13 per cento, come riporta un comunicato stampa della Commissione europea del 14 novembre 2023), mentre quello complessivo (ossia la differenza tra il salario annuale medio percepito da donne e uomini) è pari al 43 per cento (al di sopra della media europea, che è invece pari al 36,2 per cento);
17) secondo i dati dell'Osservatorio sui lavoratori dipendenti del settore privato dell'Inps, nel 2022 la retribuzione media annua è costantemente più alta per il genere maschile, con una differenza di 7.922 euro (26.227 euro per gli uomini contro 18.305 euro per le donne). Con riferimento a tale settore privato, si segnala che la Strategia nazionale per la parità di genere 2021-2026 ha tra gli obiettivi quello di ridurre il gender pay gap nel settore privato dal 17 al 10 per cento;
18) dal punto di vista delle caratteristiche del lavoro svolto, la bassa partecipazione al lavoro delle donne è determinata da diversi fattori, come l'occupazione ridotta, in larga parte precaria, in settori a bassa remuneratività o poco strategici e una netta prevalenza del part time, che riguarda poco meno del 49 per cento delle donne occupate contro il 26,2 per cento degli uomini (si veda il Gender policies report 2022);
19) tra le politiche sovranazionali volte a favorire l'occupazione femminile va ricordata la direttiva dell'Unione europea 2023/970 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 10 maggio 2023, che dovrà essere recepita entro il 7 giugno 2026. Tale direttiva stabilisce prescrizioni minime per rafforzare l'applicazione del principio della parità retributiva per uno stesso lavoro, in particolare attraverso una maggiore trasparenza dei dati sulle retribuzioni, condizione prodromica per la garanzia di un'effettiva parità retributiva che si basa sulla convinzione secondo cui una maggiore conoscibilità del sistema retributivo di un'azienda, dei dati effettivi del divario retributivo di genere, delle informazioni specifiche per ciascun lavoratore è elemento centrale e decisivo per prevenire ed eliminare la discriminazione retributiva e garantire la parità;
20) similmente, con la successiva direttiva dell'Unione europea 2024/1500 del 14 maggio 2024, il legislatore europeo ha affrontato il tema della parità di genere in materia di occupazione e impiego, dettando norme orientate a migliorare e a rafforzare il funzionamento degli organismi per la parità (già previsti dalle direttive 2006/54/CE e 2010/41/UE), con l'obiettivo di consolidare l'indipendenza dei già menzionati organismi, i quali devono essere liberi da influenze esterne, non dovendo accettare istruzioni dal Governo o da enti pubblici o privati, attribuendo, altresì, a tale organismi rilevanti funzioni;
21) sebbene il diritto alla parità di retribuzione per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore tra lavoratori di sesso femminile e maschile sia un principio fondamentale dell'Unione europea, l'effettiva attuazione di tale principio continua a incontrare una serie di ostacoli, come dimostra il dato sul divario retributivo di genere (gender pay gap) nell'Unione europea in base al quale le donne guadagnano, a parità di mansioni, in media il 13 per cento in meno rispetto agli uomini;
22) il lavoro è uno degli ambiti in cui i divari di genere sono più visibili. Molto spesso le donne incontrano maggiori difficoltà a trovare un impiego e a coprire ruoli di prestigio e responsabilità. Secondo le stime contenute nella recente ricerca di Banca d'Italia «Le donne, il lavoro e la crescita economica», in Italia solo poco più di una donna su due ha un lavoro, con un tasso di occupazione femminile del 51,1 per cento, ben al di sotto della media europea del 65 per cento;
23) anche in virtù di quanto già riportato in merito alla difficile conciliazione di vita e lavoro, le donne più svantaggiate sono quelle con figli, al contrario dei padri che riportano un tasso di occupazione più elevato. Preoccupante è in questo senso il dato evidenziato con riferimento alla cosiddetta child penalty sui redditi da lavoro nel nostro Paese: tra le madri occupate, a 15 anni dalla nascita dei figli, la retribuzione annua è circa la metà rispetto a quella delle donne senza figli;
24) il differenziale tra retribuzioni, che si amplifica se si considera il divario retributivo complessivo di genere, determina ripercussioni a lungo termine sulla qualità della vita delle donne, le espone a un maggiore rischio di povertà e perpetua il divario retributivo pensionistico (gender pension gap), che è addirittura pari al 29 per cento nell'Unione europea;
25) secondo il rapporto annuale dell'Inps pubblicato a settembre 2023, in media i pensionati percepiscono un importo mensile lordo superiore di oltre il 36 per cento a quello incassato dalle coetanee e la differenza sfiora il 38 per cento se si fa riferimento «solo» alle pensioni e alle indennità erogate dall'istituto. Per quanto poi attiene al settore pubblico, mentre i dipendenti fuori servizio per raggiunti limiti di età incassano 2.423,91 euro, le dipendenti di 1.831,97 (media lorda mese);
26) il citato rapporto Inps certifica quello che milioni di lavoratrici e lavoratori già sanno, ossia che i fattori che creano e mantengono il divario di genere – in ambito lavorativo, nelle carriere, nelle retribuzioni, nei ruoli apicali – si riflettono anche nelle pensioni, con le donne svantaggiate, in eterna rincorsa dei coetanei, superati unicamente per le pensioni di reversibilità (legate ai redditi dei mariti defunti);
27) sempre dai dati Inps si evidenzia un'altra differenza tra donne e uomini in relazione allo spostamento in avanti degli anni che bisogna avere per poter accedere alla pensione. L'età media per il collocamento a riposo è cresciuta per tutti: per gli uomini è passata da 62 anni nel 2012 a 64,2 nel 2014, per le donne è aumentata più lentamente, ma è arrivata a superare di cinque mesi quella dei coetanei: da 62,3 anni nel 2012 a 64,7 nel 2022. La ragione sta nella già richiamata discontinuità delle carriere femminili, che comporta ritardi nel raggiungimento dei requisiti contributivi per la pensione anticipata;
28) da ultimo, la cosiddetta opzione donna ha sì consentito a molte donne di uscire prima dal mercato del lavoro, ma per le lavoratrici che hanno aderito a questa modalità il prezzo è stato la massiccia decurtazione dell'importo percepito: l'assegno medio è stato del 40 per cento più basso rispetto alla media di tutte le pensioni anticipate. Tale differenza sarebbe in parte riconducibile al ricalcolo contributivo, ma anche in parte alla minore contribuzione rispetto alle pensioni anticipate, oltre al fatto che la propensione a utilizzare l'opzione è maggiore tra le lavoratrici nelle classi di reddito più basse e quindi con minore contribuzione;
29) trattando di gender gap nel mercato del lavoro, non si può prescindere da un approccio che parta dalla violenza sulle donne, troppo spesso ancora oggetto di molestie sul luogo di lavoro e non sufficientemente supportate nel mantenimento dell'occupazione e del reddito, oltreché nel percorso di reinserimento lavorativo laddove siano state vittime di violenza;
30) con la Convenzione n. 190, dal 2019 l'Organizzazione internazionale del lavoro ha riconosciuto il diritto di tutte le persone a un mondo del lavoro libero dalla violenza e dalle molestie, comprese la violenza e le molestie di genere. Ratificata dall'Italia (secondo Paese europeo, dopo la Grecia) il 29 ottobre 2021, la Convenzione rappresenta la prima norma internazionale volta a fornire un quadro organico di intervento per prevenire e contrastare le molestie nel mondo del lavoro, ma soprattutto ne detta la prima definizione riconosciuta secondo cui le molestie sono un insieme di pratiche e di comportamenti inaccettabili che si prefiggono, causano o possono comportare un danno fisico, psicologico, sessuale o economico;
31) secondo i dati del paper «The wage effect of workplace sexual harassment: evidence for women in Europe», pubblicato a maggio 2023 dall'Institute for new economic thinking, l'alto rischio di molestie sessuali penalizza le donne, riducendone i salari e contribuendo così ad aumentare il divario retributivo di genere. Si è infatti riscontrato un impatto negativo significativo del rischio di molestie sessuali sui salari delle donne occupate, che è maggiore per le lavoratrici altamente qualificate rispetto a quelle poco qualificate: il rischio di molestie sessuali riduce il premio salariale che le lavoratrici percepiscono per il fatto di essere impiegate in posizioni professionali apicali;
32) lo studio conclude che, in Europa, le donne impiegate in occupazioni contro-stereotipate – sia in termini di status occupazionale (donne in posizioni apicali), sia in termini di composizione di genere (donne impiegate in ambienti di lavoro in cui la maggior parte delle posizioni apicali sono occupate da uomini) – sono altamente penalizzate, perché sperimentano le conseguenze più severe delle molestie sessuali sui loro salari. Questo tipo di pressioni va considerato quindi come costo aggiuntivo per le donne, anche perché può agire come disincentivo rispetto all'accettare lavori altamente qualificati, andando a incrementare la segregazione orizzontale e verticale di genere nei mercati del lavoro europei;
33) per quanto attiene al nostro Paese, sebbene tra il 2015 e il 2022 l'Italia abbia speso complessivamente 157 milioni di euro contro la violenza (circa 20 per misure di sostegno al reddito, 124 per interventi di reinserimento e inserimento lavorativo delle donne fuoriuscite da situazioni di violenza, 12 per l'autonomia abitativa), stando a quanto emerge dallo studio «Diritti in bilico. Reddito, casa e lavoro per l'indipendenza delle donne in fuoriuscita dalla violenza» di ActionAid Italia, si tratta di cifre decisamente insufficienti, corrispondenti a circa 54 euro al mese per donna presa in carico non economicamente autonoma;
34) oltre alla necessità di modificare l'attuale disciplina penale che identifica la violenza sessuale solo se agita con «violenza, minaccia o abuso di autorità» e, quindi, di riconoscere il fenomeno del cosiddetto freezing anche nei luoghi di lavoro – come d'altronde fa già da tempo l'Inail –, va garantita la possibilità di disporre di un reddito sufficiente, di un alloggio sicuro, di un lavoro dignitoso e di servizi pubblici ben funzionanti: si tratta di presupposti tutti essenziali per consentire alle donne non solo di abbandonare situazioni di violenza, ma anche di accelerare il loro processo di empowerment. Questi devono essere gli elementi costitutivi di una politica pubblica per supportare le donne nel loro percorso verso l'indipendenza economica. Si tratta sostanzialmente di garantire quei diritti economici e sociali tutelati da numerose leggi internazionali – inclusa la Convenzione di Istanbul – e dalla stessa Costituzione;
35) ancora lontana, però, è la realtà quotidiana delle donne rispetto alle previsioni normative: come testimoniato dall'Istat nel corso dell'audizione svoltasi presso la XI Commissione (lavoro pubblico e privato) della Camera dei deputati il 27 febbraio 2024, quasi la metà delle donne che hanno avviato un percorso di uscita da una violenza subita non è infatti economicamente autonoma. La rilevazione sull'utenza dei centri antiviolenza non solo ha permesso di individuare le donne che hanno subito violenza economica (nel complesso si tratta di 10.515 donne, il 40,2 per cento), ma anche una serie di segnali importanti della dipendenza economica della donna. La percentuale infatti aumenta al 74 per cento se si considerano le donne che presentano almeno una delle seguenti caratteristiche: non sono autonome economicamente, sono arrivate al centro antiviolenza con una richiesta di supporto all'autonomia, al lavoro o di natura economica, hanno subito violenza economica o hanno usufruito del servizio di supporto all'autonomia da parte del centro antiviolenza;
36) anche dall'analisi delle chiamate ricevute dal numero di pubblica utilità contro la violenza e lo stalking emerge un quadro preoccupante: nel 2023 le violenze economiche sono segnalate dal 19,7 per cento delle donne che contattano il numero 1522. Subiscono di più violenza economica le casalinghe (41 per cento), le lavoratrici in nero (32,9 per cento) e le disoccupate (30,6 per cento); per le occupate la percentuale è pari a 15,9 per cento. Inoltre, le donne che presentano situazioni economiche più svantaggiate subiscono più di frequente violenza dai partner con cui vivono: in particolare ciò si verifica per le disoccupate (53,7 per cento), le casalinghe (79,5 per cento) e le lavoratrici in nero (52,8 per cento);
37) i dati raccolti evidenziano quindi ancora quanto il lavoro, l'occupazione femminile e l'indipendenza economica siano un valido e imprescindibile argine contro la violenza. In Italia, le politiche per l'inserimento lavorativo o il mantenimento dell'occupazione rivolte alle donne vittime di violenza sono poche e frammentarie. Nello specifico, per favorire l'inserimento lavorativo sono stati finanziati in maniera disorganica, generalmente a livello regionale, percorsi di formazione professionale, tirocini, attività di avvio all'autoimprenditorialità, a cui si sommano gli sgravi contributivi per le imprese – introdotti sperimentalmente a livello nazionale – per incentivare l'assunzione a tempo indeterminato di donne che hanno subito violenza;
38) la parità di genere è uno dei valori fondanti dell'Unione europea, al centro della Strategia per la parità di genere 2020-2025 e riconosciuta dai Piani di ripresa e resilienza adottati dai Governi degli Stati che ne fanno parte. I piani d'intervento nazionali riguardano soprattutto le differenze di genere sul mercato del lavoro, che restano marcate in alcuni Paesi come l'Italia;
39) l'attuale contesto europeo vive una persistente fase di crisi che trae origine dalle conseguenze socioeconomiche della pandemia, dalla situazione di instabilità geopolitica alimentata dai conflitti in corso in Ucraina e Medio Oriente, nonché dall'emergenza climatica e ambientale globale. In tale scenario, le disparità di genere si moltiplicano e pongono ai Paesi europei vecchie e nuove sfide a cui le politiche pubbliche dovrebbero trovare risposte capaci di raggiunge l'intera popolazione;
40) si tratta di scelte sul futuro che, stando ai dati appena usciti sulla composizione di genere del nuovo Parlamento europeo, saranno assunte da un consesso in cui la partecipazione femminile è in calo. A parte alcune conferme (Svezia e Finlandia sono i Paesi che hanno eletto più donne, rispettivamente 62 e 60 per cento), infatti, la media europea di presenza femminile passa dal 41 per cento del 2019 al 39 per cento nel 2024: per la prima volta nella storia del Parlamento europeo la presenza delle donne non cresce e si registra un passo indietro. Una dinamica che riguarda anche l'Italia, che dopo queste elezioni risulta ben al di sotto della media dell'Unione europea con il 33 per cento, mentre nel 2019 le donne erano il 41 per cento;
41) altra notizia negativa la si apprende leggendo il rapporto Draghi su «Il futuro della competitività europea», presentato il 9 settembre 2024 a Bruxelles: alzando lo sguardo verso un futuro di più lungo termine, dentro uno scenario economico-finanziario soggetto a continui e repentini cambiamenti, specie negli ultimi anni, la prospettiva di genere pare quasi completamente assente. Il sintetico riferimento alla crescita della quota femminile della forza lavoro, come fattore di aumento del contributo del lavoro alla crescita, non basta come indicazione in un Rapporto che ambisce ad indicare la strategia per affrontare le sfide future: stando ai dati del Global gender gap report 2024, ad oggi servirebbero 134 anni per raggiungere la piena parità, circa cinque generazioni in più rispetto all'obiettivo di sviluppo sostenibile fissato al 2030; la correlazione positiva tra occupazione femminile e livello del prodotto interno lordo è invero ormai stimata da numerose organizzazioni internazionali: più donne al lavoro significa maggiore produzione e creazione di valore aggiunto che si converte in prodotto interno lordo. Non si tratta solo di livello di prodotto interno lordo, ma anche di crescita in termini reali e di benessere sociale perché il lavoro femminile innesca una spinta ulteriore di domanda di lavoro e un circolo virtuoso di opportunità;
42) diverso è stato infatti il caso del Piano nazionale di ripresa e resilienza che, al fine di rilanciare lo sviluppo nazionale in seguito alla pandemia, ha individuato nel superamento delle «disparità di genere» una delle tre priorità trasversali perseguite in tutte le missioni che compongono il Piano stesso, in un'ottica di gender mainstreaming;
43) uno studio dell'Istituto europeo per l'uguaglianza di genere (Eige) sui «vantaggi economici dell'uguaglianza di genere» fornisce nuovi solidi riscontri obiettivi dai quali emergono gli impatti positivi della riduzione delle disparità di genere nel mercato del lavoro. Tra le misure a favore dell'uguaglianza di genere che possono ridurre i divari di genere, si segnalano in particolare: offerta di assistenza all'infanzia e altre forme di assistenza, cambiamenti della retribuzione e delle condizioni di fruizione del congedo parentale, promozione e sostegno di contratti di lavoro a tempo parziale e flessibili, disposizioni legislative e politiche in materia di parità di retribuzione e di condizioni di lavoro, eliminazione della segregazione di genere a livello di settori e di posti di lavoro e riduzione del numero di interruzioni di carriera tra le donne;
44) la stima dell'Istituto europeo per l'uguaglianza di genere sulla crescita del prodotto interno lordo in Europa mostra che, entro il 2050, promuovere la parità di genere in uno scenario di progresso rapido rispetto a quello lento potrebbe aumentare il prodotto interno lordo pro capite in Europa dal 6,1 al 9,6 per cento. Si tratta di un ammontare tra i 1,95 e i 3,15 milioni di milioni di euro. Inoltre, nei Paesi che hanno una situazione di partenza della parità di genere più arretrata, come l'Italia, il potenziale impatto sul prodotto interno lordo è maggiore: i guadagni di prodotto interno lordo potrebbero arrivare nel 2050 a circa il 12 per cento,
impegna il Governo:
1) al fine di rilanciare il sistema Paese, ad adottare iniziative, anche di carattere normativo, volte a predisporre un piano straordinario e urgente volto a sostenere e promuovere l'occupazione femminile, la conciliazione tempi di vita e lavoro, in particolare:
a) adottando iniziative di programmazione concrete che riorganizzino ogni servizio suscettibile di supportare e sostituire il lavoro di cura prevalentemente svolto dalle donne, anche attraverso:
1) la disponibilità di servizi socio-educativi per la prima infanzia quale diritto esigibile di tutti i bambini e il rafforzamento della rete degli asili nido, a partire dai territori più deprivati, con copertura dei posti, adeguati standard qualitativi e condizioni di accessibilità eque e compatibili con le potenzialità di spesa delle famiglie;
2) il riconoscimento e l'acquisizione di un valore economico del lavoro di cura e domestico, cruciale per la partecipazione femminile al mercato del lavoro e per una maggiore conciliazione vita-lavoro, in particolare adottando un serio piano di sostegno all'occupazione in questo settore, suscettibile di determinarne una maggiore produttività e una conseguente riduzione dell'area sommersa;
3) la promozione di progetti a livello comunale che, sostenendo l'occupazione, rispondano in maniera più prossima alle esigenze legate alla cura e all'assistenza, con effetti positivi sia per le famiglie che per coloro che prestano il servizio;
4) l'incentivazione della creazione di asili nido aziendali attraverso l'istituzione di un «Fondo» nell'ambito dello stato di previsione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali;
5) l'adozione di modelli flessibili di organizzazione del lavoro come la riduzione dell'orario di lavoro a parità di salario e lo smart working, con particolare attenzione ai soggetti fragili e ai genitori con figli di età inferiore ai 14 anni;
b) prevedendo iniziative volte a un'estensione del sistema di tutela delle lavoratrici, sia del comparto autonomo che subordinato, modificando il testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, di cui al decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, e in particolare prevedendo:
1) l'ampliamento da cinque a sei mesi del congedo obbligatorio di maternità;
2) l'introduzione di un identico congedo obbligatorio di paternità;
3) la fruibilità congiunta e contestuale dei congedi obbligatori dei genitori;
4) l'introduzione di un identico congedo obbligatorio per entrambi i genitori anche nel caso di adozione o affidamento ovvero nei casi rientranti nella gestione separata;
5) l'estensione del trattamento in tutti i casi sopra citati fino alla copertura di un'indennità giornaliera pari al 100 per cento della retribuzione;
6) il sostegno dell'allattamento attraverso l'individuazione di spazi idonei che, ove le condizioni lavorative e ambientali lo consentano, permettano al genitore che lo desideri di poter allattare il bambino anche durante l'orario di lavoro, fermo restando il diritto ad usufruire dei periodi già previsti dalla normativa vigente;
c) rafforzando e implementando iniziative specifiche di tutela e sostegno delle donne, in particolare delle donne vittime di violenza e con disabilità, e dedicate anche alle persone transgender, non-binary e gender non-conforming, volte a superare la discriminazione e gli ostacoli che incontrano nel corso dell'intero ciclo lavorativo, con specifico riguardo:
1) alla promozione e creazione di una cultura lavorativa positiva e inclusiva finalizzata alla prevenzione di comportamenti che possano direttamente o indirettamente determinare l'insorgere di stati di disagio o di danno psichico a carico delle lavoratrici e dei lavoratori;
2) alla prevenzione e al contrasto delle condotte vessatorie a carico delle lavoratrici e dei lavoratori e delle conseguenti disfunzioni organizzative ansiogene nei luoghi di lavoro;
3) alla definizione di sistemi premiali che incentivino l'inclusività, la concreta attuazione dell'eguale valorizzazione del lavoro e siano funzionali alla conservazione del posto di lavoro nel tempo e nelle varie fasi di vita delle lavoratrici e dei lavoratori;
4) alla previsione di iniziative normative volte al reinserimento professionale delle donne vittime di violenza, al riconoscimento del fenomeno del cosiddetto freezing anche nei luoghi di lavoro, all'accelerazione del processo di empowerment femminile nei luoghi di lavoro sia pubblici che privati, dando concreta attuazione alla Convenzione Ilo n. 190 «contrasto alle molestie, molestie sessuali e violenze sul posto di lavoro», ratificata dall'Italia con legge 15 gennaio 2021, n. 4;
d) garantendo una piena e più estesa effettiva applicazione dell'articolo 55, comma 4, del decreto legislativo n. 151 del 2001 e delle relative tutele contro il fenomeno delle c.d. «dimissioni in bianco»;
e) dando piena attuazione alla direttiva dell'Unione europea 2023/970 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 10 maggio 2023, volta a rafforzare l'applicazione del principio della parità di retribuzione tra uomini e donne per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore attraverso la trasparenza retributiva e i relativi meccanismi di applicazione, in particolare:
1) attraverso il riconoscimento di un valore economico al lavoro di cura e domestico di modo che, nell'ambito di una considerazione dell'economia quale sistema di riproduzione sociale, esso non si traduca in una valorizzazione di mercato quanto piuttosto una valorizzazione sociale (social provisioning), tale da influenzare alla base la distinzione tra lavoro produttivo e improduttivo, rendendo quindi il lavoro di cura remunerabile e contribuendo a ridurre il differenziale di genere nel mercato del lavoro in termini di retribuzione e benefici;
2) prevedendo interventi mirati a ridurre il gap pensionistico, attraverso il ripristino, nel prossimo provvedimento utile, della disciplina sull'uscita pensionistica per il tramite della cosiddetta «opzione donna» alle regole vigenti sino al 31 dicembre 2022 e l'adozione di ulteriori misure suscettibili di affrontare in modo più incisivo e risolutivo le condizioni che sono alla base della penalizzazione femminile in campo previdenziale ovverosia la disuguaglianza di genere nel mercato del lavoro, con particolare riguardo ai bassi livelli contributivi e alle interruzioni di contribuzione per maternità e lavoro di cura.
(1-00329) «Quartini, Barzotti, Aiello, Carotenuto, Di Lauro, Marianna Ricciardi, Sportiello, Tucci, Alifano, Amato, Appendino, Ascari, Auriemma, Baldino, Bruno, Cafiero De Raho, Cantone, Cappelletti, Caramiello, Carmina, Caso, Cherchi, Alfonso Colucci, Conte, Sergio Costa, D'Orso, Dell'Olio, Donno, Fede, Fenu, Ferrara, Ilaria Fontana, Giuliano, Gubitosa, Iaria, L'Abbate, Lomuti, Morfino, Orrico, Pavanelli, Pellegrini, Penza, Raffa, Riccardo Ricciardi, Santillo, Scerra, Scutellà, Francesco Silvestri, Torto, Traversi».
(23 settembre 2024)
La Camera,
premesso che:
1) la parità di genere è un diritto fondamentale riconosciuto a livello internazionale, europeo e costituzionale e rappresenta un obiettivo prioritario per garantire equità e sviluppo sociale ed economico;
2) nonostante una maggiore attenzione delle politiche europee e nazionali e un crescente impegno delle istituzioni nel contrastare il fenomeno, il divario di genere nel mondo del lavoro rimane per l'Italia una delle più significative forme di disuguaglianza, soprattutto in termini di accesso alle posizioni dirigenziali, di retribuzione e opportunità di crescita professionale;
3) l'Italia è scesa dal 79° all'87° posto nella graduatoria mondiale della parità di genere stilata dal World economic forum e secondo il Gender equality index 2022 dell'Eige (European institute for gender equality) si colloca al 14° posto tra i 27 Paesi europei, con ampie disparità in aree come la partecipazione al lavoro, le risorse economiche e il potere decisionale;
4) secondo i dati Istat, il tasso di occupazione femminile in Italia nel 2023 si attesta al 52,1 per cento, contro il 72,1 per cento degli uomini, con un divario di 20 punti percentuali che pone l'Italia tra i Paesi con il divario occupazionale di genere tra i più alti in Europa, dove la media è del 10,8 per cento;
5) le donne risultano essere maggiormente coinvolte nei lavori part time e una su cinque lascia il mercato del lavoro dopo la maternità, spesso non per scelta ma per una necessità imposta da fattori esterni come la cura familiare, la mancanza di servizi di supporto e la discriminazione di genere nel mercato del lavoro;
6) in molte famiglie italiane la cura dei figli, degli anziani o di altri familiari dipendenti ricade prevalentemente sulle donne. Secondo dati Istat, il 24,5 per cento delle donne italiane tra i 55 e i 64 anni fornisce assistenza gratuita ai familiari, riducendo così la loro disponibilità per un impiego a tempo pieno. Questa distribuzione diseguale del lavoro di cura è spesso una delle principali ragioni che spingono le donne a lavorare part time o a rimanere in posizioni a basso reddito e con poche opportunità di crescita in cambio di una maggiore flessibilità a lavoro;
7) la carenza di servizi accessibili e flessibili, come asili nido, scuole pubbliche con orari prolungati e strutture per l'assistenza agli anziani, costringe molte donne a ridurre le proprie ore lavorative per poter far fronte alle esigenze familiari. In particolare, nelle regioni del Mezzogiorno, la disponibilità di tali servizi è limitata, aumentando la pressione sulle donne di dover combinare lavoro e cura familiare;
8) è fondamentale evidenziare che l'accesso agli asili nido è un fattore cruciale per permettere alle donne di partecipare attivamente e a tempo pieno al mercato del lavoro, ma l'offerta di asili nido pubblici in Italia è insufficiente e non è distribuita equamente sul territorio. Secondo dati Istat, solo il 26 per cento dei bambini sotto i tre anni ha accesso a servizi per la prima infanzia, contro una media europea che supera il 30 per cento. La situazione è ancora più critica nelle regioni del Mezzogiorno, dove la copertura dei servizi per l'infanzia è ben al di sotto della media nazionale. Ad esempio, in alcune regioni, come la Calabria e la Sicilia, la percentuale di bambini che frequentano un asilo nido è inferiore al 10 per cento, lasciando le famiglie senza alternative. Questo deficit di servizi pubblici spinge molte donne a rimanere a casa o a ridurre le ore di lavoro per occuparsi dei figli, rinunciando così alle opportunità di carriera e di realizzazione professionale;
9) inoltre, anche nelle aree in cui i servizi sono disponibili, gli orari di apertura delle scuole non sono sempre compatibili con le esigenze lavorative dei genitori. Le scuole italiane, infatti, hanno orari ridotti rispetto a quelli di molti altri Paesi europei, con la maggior parte delle istituzioni che terminano le lezioni a metà giornata e con poche opzioni per il tempo prolungato o il doposcuola. Tale situazione costringe i genitori, in particolare le madri, a dover gestire il tempo extra non coperto dalla scuola, spesso ricorrendo al part time oppure rivolgendosi all'assistenza privata, gravando in modo sproporzionato sul reddito e generando disparità di trattamento tra chi può permettersi un supporto esterno e chi invece è costretto a ridurre o abbandonare l'attività lavorativa per mancanza di alternative economiche;
10) oltre alla cura dei figli, molte donne sono responsabili dell'assistenza agli anziani, specialmente in famiglie multigenerazionali. Il nostro Paese ha una popolazione in progressivo invecchiamento e i servizi di assistenza pubblici, come le residenze per anziani o l'assistenza domiciliare, sono insufficienti. Secondo i dati Istat, solo il 10 per cento degli anziani riceve assistenza domiciliare, il che significa che il 90 per cento delle persone anziane, molte delle quali necessitano di cure quotidiane, è gestito in casa, prevalentemente dalle donne della famiglia, che finiscono per sacrificare la loro carriera lavorativa;
11) le famiglie italiane spendono in media il 10 per cento del loro reddito per pagare i servizi di cura, una percentuale che aumenta nelle regioni del Sud e per le famiglie a reddito più basso. Molte donne, trovandosi davanti a costi elevati e a servizi pubblici limitati, scelgono di lavorare meno ore o di rinunciare completamente al lavoro, poiché il reddito derivante da un impiego a tempo pieno potrebbe non coprire i costi di cura e assistenza alla famiglia;
12) la precarietà lavorativa femminile ha effetti negativi non solo sull'autonomia economica delle donne durante l'età lavorativa, ma anche sulla loro pensione futura, in quanto contratti a termine, lavori part time e interruzioni di carriera dovute a responsabilità di cura familiare riducono il reddito complessivo e i contributi pensionistici, ampliando le disuguaglianze di genere a lungo termine;
13) le donne con disabilità affrontano ostacoli significativi non solo nell'ottenere un'occupazione stabile, ma anche nel vedersi garantiti i diritti fondamentali alla pari dei colleghi maschi o delle donne senza disabilità, subendo pertanto una doppia discriminazione, sia a causa della loro condizione fisica o mentale, sia per questioni di genere, che le espone a maggiori difficoltà nell'accesso al lavoro, nella progressione di carriera e nella conciliazione vita-lavoro;
14) in tante aziende esiste ancora una forte discriminazione di genere basata su stereotipi radicati che presumono erroneamente che le donne, specialmente in età fertile o già madri, siano meno affidabili o meno «dedicate» al lavoro, in quanto vengono spesso percepite come poco disponibili a fare straordinari o a spostarsi per motivi professionali. Tali pregiudizi impliciti portano a una minore fiducia nell'affidare loro ruoli di grande responsabilità o a offrire opportunità di crescita professionale, alimentando il fenomeno del «soffitto di cristallo», ossia di barriere invisibili che impediscono alle donne, anche quando dimostrano di avere le competenze e l'esperienza necessarie per ricoprire ruoli di alto livello, di accedere a posizioni di leadership o di avanzare nella carriera aziendale o istituzionale;
15) il divario di genere è evidente anche nella retribuzione: le donne italiane guadagnano mediamente meno degli uomini, con un gender pay gap complessivo che raggiunge il 43 per cento tra i salari annui medi, uno dei più alti in Europa. Nel settore privato, in particolare, il gender pay gap diventa più marcato, considerando le differenze di carriera che vedono solo il 28 per cento delle posizioni dirigenziali nelle imprese occupate da donne, rispetto al 33 per cento della media europea;
16) nonostante le donne rappresentino il 58 per cento dei laureati, superando gli uomini in termini di tasso di conseguimento di lauree triennali e magistrali, tuttavia continuano a essere fortemente sottorappresentate nelle discipline Stem (science, technology, engineering and mathematics). Solo il 16,6 per cento delle laureate italiane proviene da tali discipline, un dato che evidenzia un divario significativo rispetto agli uomini e che ha implicazioni importanti sul loro accesso ai settori lavorativi più remunerativi e strategici per la crescita economica e tecnologica del Paese;
17) le istituzioni europee hanno più volte sottolineato la necessità di attuare misure concrete per ridurre le disuguaglianze di genere nel lavoro, come indicato nelle recenti direttive e raccomandazioni, con l'obiettivo di colmare il divario di genere entro il 2030. In particolare, la direttiva (UE) 2023/970 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 10 maggio 2023, che dovrà essere recepita entro il 7 giugno 2026, ha stabilito norme finalizzate a garantire la trasparenza salariale e a stabilire prescrizioni minime per rafforzare l'applicazione del principio della parità retributiva per uno stesso lavoro tra uomini e donne e il divieto di discriminazione in materia di occupazione e impiego per motivi di genere. La direttiva ha inoltre previsto che gli Stati membri sviluppino strumenti o metodologie per confrontare il valore dei lavori svolti da uomini e donne, assicurando che le valutazioni siano basate su criteri oggettivi, non discriminatori e, ove possibile, concordati con i rappresentanti dei lavoratori;
18) il Piano nazionale di ripresa e resilienza avrebbe dovuto essere uno strumento utile a raggiungere la parità di genere, ma, a tre anni dalla sua approvazione, le azioni messe in atto sembrano presentare notevoli criticità. L'articolo 47 del decreto-legge 31 maggio 2021, n. 77, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 luglio 2021, n. 108, ha stabilito disposizioni per promuovere l'inclusione delle donne nel mercato del lavoro, tramite l'introduzione del cosiddetto «gender procurement», imponendo l'obbligo per le imprese partecipanti alle gare pubbliche di riservare almeno il 30 per cento delle assunzioni alle donne. Tale norma mirava a ridurre il significativo divario occupazionale tra uomini e donne, contribuendo a innalzare il tasso di occupazione femminile in Italia, fermo al 55 per cento, e avvicinarlo alla media europea del 69,3 per cento. Tuttavia, le deroghe consentite dalle linee guida per l'attuazione dell'articolo 47 hanno aperto la possibilità di escludere l'applicazione delle quote con clausole generiche. Di conseguenza, il 57 per cento dei progetti approvati è andato in deroga totale, senza alcun riferimento al «gender procurement», e per il 60 per cento dei bandi in deroga non è stata resa disponibile alcuna motivazione specifica per l'esenzione;
19) la normativa vigente non prevede l'obbligo di inserire le premialità legate all'inclusione lavorativa delle donne nei bandi di gara, lasciando la loro applicazione alla discrezionalità degli enti appaltanti. Questa mancanza di vincolo normativo determina un'applicazione insufficiente delle misure a sostegno della parità di genere, in contrasto con l'obiettivo del Piano nazionale di ripresa e resilienza di considerare la parità di genere una priorità trasversale, e compromette la possibilità di riconoscere punteggi aggiuntivi alle imprese che hanno già attuato misure concrete per favorire l'inclusione delle donne nel mercato del lavoro e la parità di genere nelle loro strutture organizzative;
20) la legge 5 novembre 2021, n. 162, ha introdotto la certificazione della parità di genere per incentivare le aziende a ridurre il divario di genere, ma solo poche centinaia di imprese hanno ottenuto tale certificazione su oltre 4,3 milioni di imprese attive in Italia;
21) il cosiddetto Family act, introdotto con la legge 7 aprile 2022, n. 32, che delegava il Governo ad adottare entro ventiquattro mesi dall'entrata in vigore della legge i decreti legislativi attuativi volti a promuovere interventi strutturali a favore delle famiglie, dei giovani e delle donne, non è stato attuato. La delega all'Esecutivo per attuare il piano è scaduta senza l'emanazione di alcun decreto e, di conseguenza, non sono state introdotte le misure di fiscalità agevolata per le famiglie, il rimborso delle spese scolastiche, gli incentivi al lavoro femminile e la riforma dei congedi parentali. L'unica misura strutturale rimasta è l'assegno unico universale, approvato nella XVIII legislatura;
22) le misure introdotte dai decreti collegati al cosiddetto Jobs act, come l'estensione del periodo di congedo parentale, insieme agli incentivi per le imprese che adottano il telelavoro e la legislazione che ha regolamentato lo smart working, hanno rappresentato passi importanti per promuovere una più equa distribuzione delle responsabilità familiari e ridurre per le imprese i costi di organizzare il lavoro in maniera meno standardizzata e più aderente ai ritmi richiesti dalla combinazione di lavoro e famiglia;
23) le misure introdotte con la legge di bilancio per il 2024, come l'aumento del bonus asilo nido e la riduzione dei contributi previdenziali per le madri lavoratrici dipendenti, pur rappresentando dei passi avanti, sono comunque rivolte solo a famiglie con due o più figli e con limiti di Isee che restringono ulteriormente la platea di beneficiari. Escludere le madri con un solo figlio dal beneficio significa ignorare il fatto che le difficoltà economiche e le esigenze di conciliazione lavoro-famiglia per le donne si presentano anche nel caso del primo figlio e non tenere in considerazione che la maggior parte delle famiglie italiane ha un solo bambino e che è proprio la decisione di avere il primo figlio a rappresentare un passo cruciale per invertire la tendenza demografica negativa del nostro Paese. Inoltre, la mancanza di sostegni specifici per le donne single con figli, che devono gestire in completa autonomia le responsabilità genitoriali senza poter contare sul supporto di un partner, rischia di emarginarle ulteriormente. Questa situazione limita le loro opportunità di realizzazione personale e professionale, riducendo la capacità di partecipare attivamente al mercato del lavoro;
24) uno degli ostacoli principali alla formazione di nuove famiglie è la mancanza di stabilità economica e abitativa, che spesso impedisce alle coppie di programmare la costituzione di una famiglia. La difficoltà di accesso a mutui e affitti a condizioni vantaggiose, soprattutto per i giovani e per coloro che hanno contratti di lavoro precari o part time, prime fra tutte le donne, rappresenta un freno significativo alla natalità;
25) le politiche attuali, nel loro complesso, tendono a incentivare principalmente la nascita del secondo e del terzo figlio, riflettendo una visione che focalizza le politiche di genere sulla promozione della maternità come priorità centrale per le donne, sottintendendo che il ruolo primario delle donne sia quello di madri. Questo orientamento politico e culturale non considera adeguatamente il desiderio di molte donne di conciliarsi con il lavoro, né promuove un sistema equo che condivida il peso delle responsabilità genitoriali e familiari con i padri, ma rafforza una visione tradizionale del ruolo delle donne, limitando le loro opportunità di crescita professionale e occupazionale,
impegna il Governo:
1) a promuovere iniziative strutturali volte a ridurre il divario di genere nel mondo del lavoro, in particolare attraverso l'introduzione di politiche che favoriscano la partecipazione delle donne al mercato del lavoro in modo strutturato e qualificato e che garantiscano l'equità salariale, incentivando la trasparenza retributiva all'interno delle aziende pubbliche e private, anche con l'introduzione di sanzioni per le realtà che non rispettano i principi di equità retributiva tra uomini e donne;
2) a sviluppare misure di sostegno per l'accesso delle donne alle posizioni dirigenziali e di leadership, favorendo politiche di quota di genere nei processi di selezione e assunzione e introducendo maggiori incentivi per le aziende che adottano politiche inclusive;
3) a prevedere misure che incentivino l'inclusione femminile nei settori caratterizzati da alta disparità di genere, come le discipline Stem (science, technology, engineering and mathematics), strategici per la crescita economica e tecnologica del Paese, attraverso politiche di orientamento, borse di studio dedicate e misure per combattere gli stereotipi di genere che ancora limitano le scelte formative delle ragazze;
4) ad assumere iniziative volte a incentivare le politiche di welfare aziendale che favoriscano la conciliazione lavoro-famiglia e sostengano il reinserimento delle donne nel mercato del lavoro dopo periodi di assenza e che favoriscano il lavoro flessibile, con particolare riguardo al part time, ai servizi per l'infanzia e al lavoro agile, incentivandolo e compatibilmente con esigenze organizzative, su base accordi, favorendo anche la settimana corta al fine di favorire di organizzare il lavoro in maniera meno standardizzata e più aderente ai ritmi richiesti dalla combinazione di lavoro e famiglia;
5) ad adottare iniziative volte a potenziare, per quanto di competenza, l'accesso ai servizi di supporto alla famiglia, come asili nido e scuole con orari prolungati, attraverso l'ampliamento dell'offerta di tali servizi su tutto il territorio nazionale, con particolare attenzione alle regioni del Mezzogiorno, al fine di consentire alle donne di partecipare attivamente al mercato del lavoro senza dover ridurre le proprie ore lavorative o abbandonare il lavoro;
6) ad adottare iniziative volte a estendere le misure di sostegno previste dalla legislazione vigente per le madri di due o più figli anche alle madri con un solo figlio, incluse le madri single, al fine di poter affrontare le sfide economiche e di conciliazione lavoro-famiglia fin dal primo figlio;
7) ad adottare iniziative volte a sviluppare strumenti di garanzia pubblica più efficaci per facilitare l'accesso a mutui e affitti a condizioni agevolate, in particolare per le giovani coppie con donne lavoratrici che si trovano in condizioni di precarietà occupazionale;
8) ad adottare iniziative volte a introdurre politiche di congedo parentale paritario, estendendo e rafforzando il congedo retribuito per i padri, al fine di favorire una più equa divisione delle responsabilità genitoriali e ridurre il carico di cura che grava prevalentemente sulle madri, incentivando la partecipazione dei padri alla cura familiare;
9) a promuovere politiche inclusive che incentivino le aziende a integrare donne con disabilità, attraverso programmi di formazione, incentivi fiscali e strumenti di monitoraggio per valutare i progressi in termini di inclusione;
10) a rafforzare le tutele lavorative, con l'introduzione di programmi di assistenza specifici che prevedano supporto sia per le donne con disabilità che per le imprese che le assumono, facilitando, per quanto di competenza, la creazione di ambienti di lavoro accessibili e inclusivi;
11) ad adottare iniziative per rendere obbligatoria l'applicazione delle premialità legate all'inclusione lavorativa delle donne nei bandi di gara e appalti pubblici, garantendo che le aziende che adottano politiche inclusive e paritarie ricevano riconoscimenti tangibili in termini di punteggi aggiuntivi, come previsto dal Piano nazionale di ripresa e resilienza, al fine di promuovere una maggiore partecipazione delle donne al lavoro;
12) ad adottare iniziative volte a potenziare il sistema di certificazione della parità di genere, incentivando ulteriormente le imprese a ottenere la certificazione attraverso meccanismi di premialità più efficaci e diffondendo la consapevolezza sui vantaggi derivanti dall'adozione di misure concrete per ridurre il divario di genere;
13) a rafforzare il monitoraggio dell'applicazione del «gender procurement» previsto dall'articolo 47 del decreto-legge n. 77 del 2021, eliminando le clausole generiche di deroga e prevedendo obblighi stringenti per le imprese partecipanti alle gare pubbliche in materia di assunzioni di donne, con l'obiettivo di aumentare il tasso di occupazione femminile e ridurre il divario occupazionale tra uomini e donne;
14) ad adottare iniziative normative per riaprire la delega prevista dal Family act, ai fini dell'adozione dei decreti legislativi necessari per garantire l'introduzione di misure di fiscalità agevolata per le famiglie, il rimborso delle spese scolastiche, incentivi al lavoro femminile e la riforma dei congedi parentali, fornendo così un quadro normativo stabile e strutturato a favore delle famiglie e delle donne;
15) ad adottare iniziative per riprendere il percorso di consolidamento e rafforzamento dell'assegno unico universale, rendendolo uno strumento più inclusivo ed equo, capace di sostenere economicamente tutte le famiglie con figli, indipendentemente dal numero dei figli o dalle loro condizioni economiche, per incentivare una ripresa demografica e ridurre il peso economico che grava sulle donne in particolare;
16) a sostenere campagne di sensibilizzazione a livello nazionale per promuovere la parità di genere nei luoghi di lavoro e combattere gli stereotipi di genere che ancora influenzano le scelte dei datori di lavoro, coinvolgendo non solo le istituzioni pubbliche, ma anche le aziende private e le associazioni di categoria, con particolare attenzione alle nuove generazioni, al fine di educarle all'inclusione e promuovere l'introduzione nelle scuole di programmi educativi sulla parità di genere, indispensabili per superare gli stereotipi e le mentalità patriarcali che perpetuano le disuguaglianze.
(1-00333) «Faraone, Gadda, De Monte, Del Barba, Bonifazi, Boschi, Giachetti, Gruppioni».
(24 settembre 2024)
La Camera,
premesso che:
1) un Paese che non riesce a riconoscere il dovuto ruolo della donna nella società, nell'economia e nelle istituzioni, oltre a perpetrare una ingiustificabile discriminazione che ne frustra le legittime aspirazioni e potenzialità – è ormai dimostrato da innumerevoli studi e ricerche – rinuncia a uno sviluppo equilibrato e inclusivo, nonché a ingenti quote di ricchezza nazionale che, secondo la Banca d'Italia, arrivano fino a 7 punti percentuali di prodotto interno lordo;
2) nel contesto europeo, il tasso di occupazione femminile in Italia risulta essere – secondo dati relativi al quarto trimestre 2022 – quello più basso tra gli Stati dell'Unione europea, essendo di circa 14 punti percentuali al di sotto della media Ue: il tasso di occupazione delle donne di età compresa tra i 20 e i 64 anni è stato, infatti, pari al 55 per cento, mentre il tasso di occupazione medio dell'Unione europea è stato pari al 69,3 per cento. Il recente dato dell'aprile 2024 di limitato incremento dell'occupazione femminile nella fascia di età 15-64 anni, con un 53,4 per cento, non sembra certo il prologo per una inversione di tendenza, anche in considerazione del fatto che, in numeri assoluti, si registrano 13.781 mila occupati maschi a fronte di 10.194 mila lavoratrici, con un divario occupazionale di 18 punti percentuali;
3) in Germania il tasso di occupazione femminile è al 77,4 per cento, in Francia al 71,7 per cento, ma anche in Spagna è superiore di quasi dieci punti percentuali a quello italiano e con divari che si fermano al 7,7 per cento in Germania, al 5,5 per cento in Francia e al 10,2 per cento in Spagna;
4) per di più, secondo Eurostat 2024, una donna su cinque presenta le proprie dimissioni dopo la nascita del primo figlio. Quasi la metà delle dimissioni presentate nel 2022 (il 42 per cento) è collegata apertamente alle difficoltà di svolgere il lavoro di cura a causa dell'assenza di adeguati servizi per la prima infanzia e il 22 per cento a problemi legati all'organizzazione del lavoro, secondo quanto riferito dall'ispettorato nazionale del lavoro;
5) inoltre, in Italia, alla maternità è associata una forte perdita salariale per le donne, la difficoltà di reinserimento nel mercato del lavoro e minori possibilità di progressioni di carriera. Tale effetto, conosciuto come «child penalty», si traduce in cifre allarmanti: nel lungo periodo la perdita dei salari annuali delle lavoratrici madri determinata dalla nascita di un figlio è pari al 53 per cento, dovuto per il 6 per cento alla riduzione del salario settimanale, per l'11,5 per cento all'accesso a rapporti di lavoro a tempo parziale e per il 35,1 per cento al minor numero di settimane retribuite (secondo i dati del 2020 dell'Istituto nazionale della previdenza sociale);
6) come lucidamente chiarito dal Presidente della Repubblica in occasione del recente messaggio inviato all'11a edizione dell'iniziativa «il tempo delle donne», «Il divario del quasi 20 per cento tra occupazione maschile e femminile costituisce un punto critico di sistema: ogni sforzo va compiuto per ridurlo sempre di più. Il lavoro è anche libertà, dignità e riscatto. Nei rapporti di lavoro occorre rispettare i diritti di parità e di eguaglianza, previsti dalla nostra Costituzione. Ancor oggi nel lavoro femminile sono presenti ostacoli, rallentamenti e disparità, per l'accesso, nella retribuzione, nella progressione di carriera, negli incarichi di vertice. Le barriere possono alzarsi fino a giungere a inaccettabili e odiose discriminazioni: licenziamenti, dimissioni in bianco, pressioni indebite, persino forme di stalking e di violenza, fisica o psicologica. Il rispetto delle norme e dei diritti va assicurato anche attraverso una vigilanza ferma ed efficace»;
7) sul tema della parità salariale il Parlamento ha compiuto un significativo passo in avanti approvando la legge n. 102 del 2021, legge sulla parità salariale e di opportunità sul luogo di lavoro, in linea con le finalità della successiva direttiva (UE) 2023/970. Con tale misura si introducono disposizioni volte a sostenere la partecipazione delle donne al mercato del lavoro e a favorire la parità retributiva tra i sessi, con l'obiettivo di ridurre la differenza di salario tra donne e uomini, e far emergere ogni discriminazione, anche indiretta, in ambito lavorativo, fornendo concretezza ai principi di equità già sanciti dalla Costituzione e dalla «legge Anselmi» del 1977 (legge 9 dicembre 1977, n. 903, «Parità di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro»);
8) il Piano nazionale di ripresa e resilienza rappresenta una grande occasione per intervenire sulle disuguaglianze e sul gender gap: le proposte del Piano nazionale di ripresa e resilienza prevedono la digitalizzazione, l'innovazione, la competitività e la cultura, ovvero la promozione di posizioni dirigenziali di alto livello e incentivi per il corretto bilanciamento tra vita professionale e vita privata; investimenti nell'imprenditoria femminile digitale; un piano asili nido e di estensione del tempo pieno per semplificare la gestione della cura famigliare e l'occupazione femminile, uno specifico investimento nell'imprenditoria femminile, soprattutto nelle aree più critiche per la crescita professionale delle donne. In più, sono previste azioni per l'autonomia delle persone disabili che avranno effetti indiretti sull'occupazione femminile, nonché il rafforzamento dei servizi di prossimità e di supporto domiciliare;
9) il Piano nazionale di ripresa e resilienza ha previsto, inoltre, un investimento significativo per le giovani donne, che beneficeranno di progetti nei campi dell'istruzione e della ricerca, come pure dello stanziamento di risorse per l'estensione del tempo pieno scolastico e per il potenziamento delle infrastrutture sportive (a tal proposito, è promossa l'attività motoria nella scuola primaria, in funzione di contrasto alla dispersione scolastica), nonché la previsione di una clausola di condizionalità per l'assunzione di almeno il 30 per cento di donne e giovani. In tale prospettiva, appare più che criticabile la decisione del taglio dei fondi del Pnrr riguardo il target finale degli asili nido e delle scuole dell'infanzia previsti dal precedente Governo Draghi, riducendo, difatti, sia il numero da 264.480 a 150.480 di posti e operando un taglio di 900 milioni destinati all'avvio della gestione del servizio di prima infanzia. Anche il successivo decreto del Ministro dell'istruzione e del merito per un nuovo Piano per gli asili nido del valore di 734,9 milioni di euro, che, in linea con gli obiettivi del Piano nazionale di ripresa e resilienza, punta a incrementare i posti degli asili nido, non compensa il taglio fatto a valere sulle risorse del Piano nazionale di ripresa e resilienza di 1,3 miliardi di euro;
10) a livello internazionale va ricordata la Convenzione n. 190 sull'eliminazione della violenza e delle molestie nel mondo del lavoro in questo contesto normativo, approvata dall'Organizzazione internazionale del lavoro nel giugno 2019, con la quale si stabilisce l'obbligo di adottare misure normative coerenti con la constatazione «che la violenza e le molestie nel mondo del lavoro possono costituire un abuso o una violazione dei diritti umani e che la violenza e le molestie rappresentano una minaccia alle pari opportunità e che sono inaccettabili e incompatibili con il lavoro dignitoso». A fronte di tali problematiche, la Convenzione ha, altresì, proposto l'adozione un approccio inclusivo, integrato e in una prospettiva di genere, che intervenga sulle cause all'origine e sui fattori di rischio, ivi compresi stereotipi di genere, forme di discriminazione multiple e interconnesse e squilibri nei rapporti di potere dovuti al genere;
11) tra i fattori che maggiormente incidono in negativo sulla condizione delle donne lavoratrici si segnala certamente l'incidenza del lavoro precario e del part-time involontario, fenomeni che vedono coinvolti maggiormente proprio le donne e i giovani, con particolare riguardo per quelle che vivono nelle regioni del Sud. Il contrasto alla precarietà e la promozione della buona e stabile occupazione rappresentano uno degli obiettivi prioritari per il miglioramento della condizione delle lavoratrici italiane;
12) un lavoro precario, discontinuo e sottopagato precostituisce la condizione per una prospettiva pensionistica di povertà, a fronte della quale le misure adottate dal Governo non solo non rappresentano una opportunità reale, ma addirittura ne peggiorano il quadro. Basti pensare alla pressoché eliminazione di «opzione donna» o all'introduzione di «quota 103» con l'applicazione integrale del calcolo contributivo, che non costituisce alcuna concreta opportunità di uscita anticipata per le donne;
13) sul piano salariale va ricordato che dai recenti lavori del Forum Ambrosetti è stato evidenziato come l'introduzione del salario minimo legale in Germania abbia ridotto il gender pay gap tra uomini e donne. Una valutazione confermata dall'Ocse che ha dimostrato come l'introduzione del salario minimo abbia aiutato Paesi come Germania, Francia e Spagna nella fase della crescita inflazionistica, mettendo al riparo il potere di acquisto, soprattutto, dei lavoratori più fragili quali le donne;
14) l'articolo 3, comma 1, decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 17 dicembre 2020, ha introdotto il «reddito di libertà», destinato alle donne vittime di violenza, senza figli o con figli minori, seguite dai centri antiviolenza riconosciuti dalle regioni e dai servizi sociali nei percorsi di fuoriuscita dalla violenza, al fine di contribuire a sostenerne l'autonomia: la legge di bilancio per il 2024, legge 30 dicembre 2023, n. 213, al fine di incrementare la misura, ha incrementato di 10 milioni di euro per ciascuno degli anni 2024, 2025 e 2026 e di 6 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2027 il Fondo di cui all'articolo 19, comma 3, del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248;
15) per quanto concerne la condivisione dei carichi familiari, soprattutto nei primi mesi di vita dei figli, appare sempre più urgente l'introduzione della misura del congedo paritario e non trasferibile di almeno cinque mesi, come strumento per sostenere le donne e la loro carriera professionale e, al tempo stesso, garantire agli uomini la possibilità di essere più vicini ai propri figli. Un concreto supporto per contrastare la crisi della natalità, favorire l'occupazione femminile e redistribuire il carico di cura dentro le famiglie,
impegna il Governo:
1) ad assumere le necessarie iniziative di competenza, anche di carattere normativo, al fine di favorire l'implementazione della normativa in materia di parità salariale di genere e la trasparenza retributiva, in linea con quanto disposto dalla legge 5 novembre 2021, n. 162, anche prevedendo un'estensione incentivata dell'applicazione alle imprese fino a 20 dipendenti, nonché dalla direttiva (UE) 2023/970;
2) ad adoperarsi affinché sia tempestivamente presentata alle Camere la relazione ai sensi dell'articolo 20 del decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198, in merito ai risultati del monitoraggio sull'applicazione della legislazione in materia di parità e pari opportunità nel lavoro e sulla valutazione degli effetti delle disposizioni del codice delle pari opportunità tra uomo e donna, nonché per rendere accessibili i dati relativi ai rapporti sulla situazione del personale presentati dalle aziende, ai sensi dell'articolo 46 del medesimo decreto legislativo;
3) ad adottare un vero a proprio piano per incrementare l'occupazione femminile, con particolare riguardo nelle aree interne e del Mezzogiorno;
4) ad avviare un concreto e tempestivo confronto con le parti sociali realmente rappresentative, volto a definire una nuova strategia in materia di lavoro nel nostro Paese, che metta al centro la buona e stabile occupazione e il contrasto a ogni forma di precarietà attraverso una vera e propria «bonifica» normativa delle diverse forme di precarietà che colpiscono con particolare riguardo le donne e ai giovani;
5) ad adottare iniziative volte a introdurre significative modifiche al quadro normativo in materia previdenziale, al fine di assicurare appropriate condizioni di accesso al trattamento pensionistico per le donne, ripristinando integralmente l'istituto originario di «opzione donna», così come disciplinato nel 2004 dall'allora Ministro Maroni, nonché prevedendo il riconoscimento del lavoro di cura per le lavoratrici attraverso una riduzione del requisito anagrafico per l'accesso alla pensione di vecchiaia di dodici mesi per ogni figlio, nel limite massimo di tre anni;
6) ad assumere iniziative normative volte a prevedere, già in occasione del prossimo disegno di legge di bilancio, l'introduzione di un congedo paritario di almeno 5 mesi, pagato al 100 per cento per entrambi i genitori, non trasferibile, così come positivamente praticato in altri Paesi Ue;
7) a favorire, con la massima sollecitudine, ogni iniziativa utile, anche di carattere normativo, volta a dare piena e tempestiva attuazione ai principi e alle finalità della direttiva (UE) 2022/2041 del Parlamento europeo e del Consiglio, così come agli indirizzi espressi dalla Corte di cassazione, introducendo anche nel nostro ordinamento il riconoscimento alle lavoratrici e ai lavoratori di ciascun settore economico del salario minimo legale, coincidente con il trattamento economico complessivo non inferiore a quello previsto dal contratto collettivo nazionale stipulato dalle associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative a livello nazionale. Un trattamento salariale in grado di garantire una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del lavoro e ad assicurare alle lavoratrici e ai lavoratori e alle relative famiglie un'esistenza libera e dignitosa;
8) a monitorare e a garantire, per quanto di competenza, che le missioni e le modalità di attuazione indicate nel Piano nazionale di ripresa e resilienza per la parità di genere e volte alla eliminazione del gender gap, come, a esempio, la clausola del 30 per cento, siano applicate concretamente in tutti i campi di azione indicati in premessa, nonché a individuare le opportune risorse per ripristinare le condizioni per realizzare l'obiettivo dei 264.480 posti negli asili nido;
9) ad assumere le necessarie iniziative, anche di carattere normativo, volte a dare piena attuazione alla Convenzione approvata dall'Organizzazione internazionale del lavoro nel giugno 2019, la Convenzione n. 190 sull'eliminazione della violenza e delle molestie nel mondo del lavoro, che ha sancito l'obbligo di adottare misure normative coerenti con la constatazione «che la violenza e le molestie nel mondo del lavoro possono costituire un abuso o una violazione dei diritti umani e che la violenza e le molestie rappresentano una minaccia alle pari opportunità e che sono inaccettabili e incompatibili con il lavoro dignitoso», introducendo nel nostro ordinamento la fattispecie di reato di molestia sessuale, nonché tese a mettere in campo strategie efficaci volte a prevenire e perseguire ogni forma di violenza e molestia sul luogo di lavoro anche dotandosi di linee guida per la predisposizione di appositi protocolli volti prevenire e ad affrontare adeguatamente le molestie sul luogo di lavoro;
10) ad adottare iniziative volte a garantire adeguati stanziamenti finanziari per le case rifugio e per i centri antiviolenza, nonché per gli sportelli dedicati alle vittime di reati violenti, semplificando, velocizzando e rendendo stabile il percorso dei finanziamenti stessi, verificando l'effettiva erogazione ai centri antiviolenza e alle case rifugio attraverso un sistema di monitoraggio più efficace anche al fine di assicurare una loro adeguata distribuzione in tutto il territorio nazionale;
11) a garantire annualmente con tempestività la distribuzione dei fondi per il reddito di libertà alle regioni, assicurando che tale misura sia fruibile da tutte le donne inserite nei percorsi di uscita dalla violenza che ne facciano richiesta.
(1-00334) «Gribaudo, Ferrari, Ghio, Scotto, Fossi, Laus, Sarracino, Braga, Forattini, Scarpa, Marino, Iacono, Romeo, Madia, Bonafè, Manzi, Quartapelle Procopio, Malavasi, Roggiani, Boldrini, Serracchiani, Evi, Prestipino».
(25 settembre 2024)
La Camera,
premesso che:
1) la parità di genere in tutte le sue forme è un principio cardine garantito dalla Costituzione italiana all'articolo 3, che sancisce il principio di eguaglianza, all'articolo 51, che dispone eguale accesso agli uffici pubblici e alle cariche elettive e in base al quale la Repubblica promuove le pari opportunità tra donne e uomini, all'articolo 37, che dispone che la donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni spettanti al lavoratore, e all'articolo 117, settimo comma, che prevede, tra l'altro, che le leggi regionali rimuovono ogni ostacolo che impedisce la piena parità degli uomini e delle donne nella vita sociale;
2) la reale attuazione di tali fondamentali principi della vita democratica è un processo continuo che richiede leggi specifiche e politiche pubbliche lungimiranti. È per questo che il Governo Meloni, dal suo insediamento, ha messo in atto molteplici iniziative per promuovere la parità di genere e contrastare ogni forma di discriminazione e disuguaglianza;
3) decontribuzione per mamme lavoratrici (cosiddetto bonus mamme), promozione del codice di autodisciplina per le imprese per favorire l'occupazione delle donne, certificazione della parità di genere per le imprese, sgravi contributivi per l'assunzione di donne disoccupate vittime di violenza, incremento del fondo di garanzia per le piccole e medie imprese dedicato alle imprese femminili, incentivi per l'assunzione a tempo determinato e a tempo indeterminato di donne in condizioni di svantaggio: sono tutti provvedimenti adottati dall'attuale Esecutivo che testimoniano il forte impegno a sostegno delle donne anche nell'ambito del mondo del lavoro;
4) tale impegno ha generato risultati concreti certificati dall'Istat. Al riguardo, i dati divulgati dall'istituto attestano che, rispetto al 2019, l'occupazione femminile ha registrato, nel 2023, una crescita dell'1,6 per cento, con un trend ancora più positivo emerso nel 2024, segnando rispetto al 2022, un incremento del 2,4 per cento. Al riguardo, all'inizio del 2024 il numero delle occupate ha raggiunto i 10 milioni 95 mila, il tasso di occupazione ha fatto un ulteriore balzo in avanti, arrivando a quota 53 per cento, mentre quello di disoccupazione scende all'8,2 per cento. Anche i recenti dati di luglio 2024 attestano un generale aumento degli occupati, con una crescita per le donne di 56 mila unità;
5) l'aumento dell'occupazionale femminile ha riguardato principalmente le fasce d'età più adulte, in particolare le 55-64enni, che hanno registrato un incremento di 284 mila occupate (+15,1 per cento) tra il 2019 e il 2023. In tale fascia d'età si registra il maggiore incremento del tasso di occupazione, passato dal 43,9 per cento del terzo trimestre 2019 al 48,6 per cento del terzo trimestre 2023. Ma anche tra le giovani si riscontrano dinamiche positive: tra le 25-34enni, l'occupazione aumenta del 2,4 per cento tra il 2019 e il 2023, mentre tra le under 25 la crescita è del 6,6 per cento. Tra le prime, il tasso di occupazione passa dal 54,3 per cento al 57,8 per cento;
6) questo scenario mostra un quadro in evoluzione, con progressi significativi ma anche sfide ancora aperte e ostacoli da superare per garantire una piena parità di genere nel mondo del lavoro, che merita un impegno costante da parte di tutte le istituzioni, delle imprese e della società civile;
7) garantire la parità di genere delle donne nel mondo del lavoro è strettamente correlato anche all'adozione di misure di contrasto alla violenza di genere. Tale fenomeno in tutte le sue forme rappresenta uno dei principali ostacoli alla realizzazione delle donne, poiché le costringe a non lavorare o lasciare il lavoro, privandole dell'indipendenza economica e delle opportunità di carriera;
8) sul punto, tra le novità legislative introdotte si evidenzia la legge n. 168 del 2023 che ha apportato modifiche ai codici penale, di procedura penale, delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione e ad alcune leggi speciali in materia di prevenzione e contrasto alla violenza sulle donne; in materia penale è intervenuta anche la legge n. 122 del 2023 che mira a rendere più stringente l'obbligo introdotto per i delitti di violenza domestica o di genere dalla legge n. 69 del 2019 (cosiddetto codice rosso), di assumere informazioni dalla persona offesa nel termine di tre giorni;
9) inoltre, il Governo ha esteso la misura dell'assegno di inclusione, introdotta dal cosiddetto «decreto-legge lavoro» (decreto-legge 4 maggio 2023, n. 48, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 luglio 2023, n. 85), anche alle donne vittime di violenza. Uno strumento che consente loro di essere autonome economicamente e, soprattutto, ne facilita il reinserimento all'interno della vita sociale e lavorativa;
10) dal punto di vista anche delle risorse impiegate, sono di rilievo gli interventi operati in sede di legge di bilancio per il 2024 (legge n. 213 del 2023) sul fondo per le pari opportunità, che prevedono, tra le altre cose, un finanziamento permanente, pari a 10 milioni di euro per ciascuno degli anni 2024-2026 e a 6 milioni di euro a decorrere dal 2027 in favore del cosiddetto reddito di libertà per le donne vittime di violenza; l'incremento da 1 a 4 milioni di euro della quota del fondo riservata all'istituzione e al potenziamento dei centri di riabilitazione per il recupero degli uomini autori di violenza di genere; il rifinanziamento, pari a 5 milioni di euro per ciascuno degli anni 2024-2026, delle risorse del fondo destinate alla realizzazione di centri antiviolenza nei confronti delle donne; l'incremento di 3 milioni di euro dal 2024 delle risorse del fondo al fine di rafforzare la prevenzione della violenza nei confronti delle donne e delle violenza domestica, in particolare attraverso iniziative formative;
11) la parità di genere è altresì un principio cardine del Piano nazionale di ripresa e resilienza, rappresentando una delle tre priorità trasversali in termini di inclusione sociale, unitamente a giovani e Mezzogiorno. Concretamente, si promuove una maggiore partecipazione femminile al mercato del lavoro, attraverso:
a) interventi diretti di sostegno all'occupazione e all'imprenditorialità femminile;
b) interventi indiretti o abilitanti, rivolti soprattutto al potenziamento dei servizi educativi per i bambini e di alcuni servizi sociali, che il Piano nazionale di ripresa e resilienza ritiene potrebbero incoraggiare un aumento dell'occupazione femminile;
12) tra le azioni di riforma del Piano nazionale di ripresa e resilienza, vi è il Programma garanzia occupabilità lavoratori (Gol), che pone al centro i soggetti più fragili del mercato del lavoro, in particolare le donne. Il sistema di presa in carico del Programma garanzia occupabilità lavoratori, focalizzato su orientamento e formazione, offre alle donne disoccupate o in transizione occupazionale percorsi personalizzati per favorire il loro reinserimento lavorativo. Attraverso un accompagnamento mirato, il Programma garanzia occupabilità lavoratori promuove l'incremento di posti di lavoro femminili di qualità, in linea con le competenze e le aspirazioni delle donne coinvolte. Questo approccio contribuisce non solo a ridurre il divario di genere sul mercato del lavoro, ma anche a valorizzare il potenziale delle donne e a favorire una crescita economica più inclusiva;
13) ed ancora, sulla stessa linea di interventi si pone la riclassificazione delle spese del bilancio dello Stato con riferimento alla spesa che promuove la parità di genere, secondo la previsione della riforma 1.13 del Piano nazionale di ripresa e resilienza e dell'articolo 51-bis del decreto-legge n. 13 del 2023 (cosiddetto «decreto-legge Pnrr-ter»), che appunto stabilisce che a decorrere dall'anno 2023 il Ministro dell'economia e delle finanze trasmetta alle Camere, entro trenta giorni dalla presentazione del disegno di legge di bilancio, appositi allegati conoscitivi nei quali, per il triennio di riferimento del disegno di legge di bilancio è data evidenza delle spese relative alla promozione della parità di genere attraverso le politiche pubbliche;
14) più di recente, con il decreto-legge 7 maggio 2024, n. 60, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 luglio 2024, n. 95 (cosiddetto «decreto-legge coesione»), il Governo ha introdotto un'ulteriore misura utile a favorire le pari opportunità nel mercato del lavoro per le lavoratrici svantaggiate, anche nell'ambito della zona economica speciale per il Mezzogiorno – zes unica. Con il cosiddetto bonus donne, difatti, è previsto un esonero contributivo del 100 per cento a favore dei datori di lavoro che nel periodo dal 1° settembre 2024 al 31 dicembre 2025 assumono a tempo indeterminato donne di qualsiasi età prive di un impiego;
15) in materia pensionistica, la legge di bilancio annuale per il 2024 ha prorogato per il 2024 la cosiddetta opzione donna, misura sperimentale che consente di accedere al trattamento pensionistico in anticipo alle lavoratrici che maturino entro il 31 dicembre 2023 un'anzianità contributiva pari almeno a 35 anni, un'età anagrafica di almeno 61 anni, ridotta di un anno per ogni figlio e nel limite massimo di due anni, e siano in possesso di determinati requisiti e condizioni: caregiver, invalide civili in misura pari o superiore al 74 per cento e chi è stata licenziata o è dipendente in imprese per le quali è attivo un tavolo di confronto per la gestione della crisi aziendale;
16) inoltre, il Governo Meloni si è reso parte attiva in merito alla promozione delle discipline Stem (science, technology, engineering, mathematics), intervenendo con la promozione di iniziative volte a combattere lo stereotipo della presunta scarsa attitudine delle studentesse verso dette discipline, che ha prodotto in passato un divario di genere in questi ambiti, sia interno al percorso di studi che nelle scelte di orientamento prima e professionali poi;
17) nello specifico il Dipartimento per le pari opportunità ha avviato, anche in collaborazione con il Ministero dell'università e della ricerca, iniziative volte a promuovere le pari opportunità e a contrastare gli stereotipi di genere nei percorsi scolastici, contribuendo a rimuovere gli ostacoli di tipo culturale, sensibilizzando docenti e studenti e valorizzando il talento delle studentesse e degli studenti negli ambiti scientifici e tecnologici;
18) uno strumento fondamentale, da ampliare e rinnovare nelle strategie per migliorare la parità di genere, a livello aziendale e settoriale, deve essere individuato senz'altro nella contrattazione collettiva e, dunque, nel potere negoziale che hanno i sindacati per supportare la partecipazione di qualità delle donne al mondo del lavoro e colmare le disparità di trattamento. Da questo punto di vista, a parere dei firmatari del presente atto di indirizzo gli stessi sindacati dovrebbero rafforzare la presenza delle donne nelle loro organizzazioni, per attuare una maggiore uguaglianza;
19) è essenziale innovare le relazioni industriali, promuovere modelli organizzativi flessibili che conciliano lavoro e vita privata, investire in formazione e sviluppo professionale; in questo modo, le aziende e il sistema economico nel suo complesso potranno beneficiare appieno delle competenze e del potenziale delle donne. Attraverso accordi di buone pratiche sulla parità di genere, la contrattazione collettiva può valorizzare il contesto sociale e le esigenze di lavoratrici e lavoratori, contribuendo a costruire un futuro del lavoro più equo ed inclusivo,
impegna il Governo:
1) a porre in essere iniziative e progetti finalizzati alla diffusione della cultura dell'uguaglianza, dell'equità e dell'indipendenza economica nelle scuole, nei luoghi di lavoro e in ogni ambito della società civile, anche al fine di responsabilizzare le aziende e l'intera comunità in modo che sia sentito, a livello collettivo, l'impegno di superare ogni divario affinché la parità di genere sia riconosciuta come uno di quei valori primari che devono guidare le politiche delle aziende italiane;
2) ad adottare iniziative affinché nell'ambito della contrattazione collettiva, di primo e secondo livello, siano favorite iniziative a sostegno della parità di genere, dell'inclusione e del superamento di ogni discriminazione, anche e soprattutto incentivando la negoziazione di accordi che promuovano la trasparenza salariale e l'equità retributiva;
3) a sostenere e potenziare ulteriormente l'offerta di servizi per l'infanzia e per la cura degli anziani e delle persone fragili, rendendoli accessibili e di qualità;
4) ad adottare iniziative di competenza volte a promuovere flessibilità lavorativa e lavoro agile per favorire la conciliazione tra vita professionale e familiare;
5) ad adottare iniziative normative volte a riconoscere agevolazioni tributarie alle donne vittime di violenza di genere o domestica certificata, da incrementare in presenza di figli minori conviventi;
6) ad avviare iniziative di competenza volte a garantire la realizzazione concreta di percorsi di formazione continua che favoriscano l'aggiornamento delle competenze delle donne e la loro adattabilità ai cambiamenti del mercato del lavoro;
7) a proseguire le iniziative di competenza volte a garantire la realizzazione concreta di percorsi stabili di orientamento post-scolastico che coinvolgano i discenti, istituzioni pubbliche e operatori privati, per favorire la conoscenza delle discipline Stem, sensibilizzando docenti e studenti e valorizzando il talento delle studentesse e degli studenti negli ambiti scientifici e tecnologici;
8) ad adottare iniziative normative volte a ridurre il divario pensionistico di genere, anche adottando provvedimenti che favoriscano attraverso campagne informative e misure incentivanti l'adesione a forme di previdenza complementare;
9) a proseguire nelle iniziative anche di carattere normativo improntate a un approccio paritario tra madre e padre relativamente all'accesso ai congedi parentali;
10) a proseguire le iniziative già adottate a sostegno del lavoro e delle imprese femminili, descritte in premessa, e a valutare le modalità di estensione del cosiddetto bonus mamme anche alle lavoratrici autonome;
11) ad adottare le necessarie iniziative volte a potenziare e rendere maggiormente operativo il Fondo impresa femminile, l'incentivo nazionale che sostiene la nascita e il consolidamento delle imprese guidate da donne, promosso dal Ministero delle imprese e del made in Italy;
12) ad adottare iniziative volte a integrare i benefici già riconosciuti alle imprese che ottengono la certificazione della parità di genere di cui alla legge 5 novembre 2021, n. 162, prevedendo forme agevolate di accesso al fondo di garanzia per le piccole e medie imprese, di cui all'articolo 2, comma 100, lettera a), della legge 23 dicembre 1996, n. 662.
(1-00341) «Rizzetto, Ravetto, Tenerini, Semenzato, Schifone, Giaccone, Polidori, Coppo, Nisini, Tassinari, Giovine, Caparvi, Battilocchio, Malagola, Loizzo, Mascaretti, Giagoni, Volpi, Lazzarini, Zurzolo, Panizzut, Matone».
(7 ottobre 2024)
La Camera,
premesso che:
1) l'articolo 3 della Costituzione definisce che tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali, impegnando la Repubblica a rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana;
2) l'articolo 37 della Costituzione introduce la parità retributiva tra donna e uomo come principio costituzionale, stabilendo che la donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore;
3) l'articolo 51 della Costituzione, che costituisce specificazione e conferma del principio di cui all'articolo 3, risponde che tutti i cittadini dell'uno o dell'altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge, e che a tal fine la Repubblica debba promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini;
4) la democrazia paritaria disegnata dalla Costituzione non si è tuttavia ancora realizzata, anche a causa di un prevalente approccio culturale che, contravvenendo al dettato costituzionale, alimenta una discriminazione di fatto delle donne, sia nel contesto lavorativo che sociale in senso lato, con il conseguente effetto anche di depotenziare gli strumenti previsti dall'ordinamento a tutela della parità di genere;
5) nel percorso di costruzione della nostra democrazia, anche se con un passo più lento rispetto a quello della maggior parte degli altri Paesi europei, il complesso processo di trasformazione socio-culturale a cui è andato incontro il nostro Paese ha coinvolto attivamente le donne, una trasformazione che ha toccato vari ambiti, tra i quali il mercato occupazionale, il mondo dell'università e della ricerca, il mondo aziendale e societario;
6) nonostante l'abbattimento di numerose barriere formali e l'adozione da parte del legislatore di alcuni strumenti in favore dell'uguaglianza, sono note le difficoltà che ancora incontrano le donne nella loro quotidianità, trovandosi a dover contrastare stereotipi e meccanismi che le vedono svantaggiate e penalizzate rispetto alle persone di sesso maschile;
7) quello ancora in corso nel nostro Paese è un cammino lento, sicuramente intralciato da ostacoli tali da non consentire un'indipendenza e realizzazione femminile piena e pari a quella maschile;
8) il legislatore, negli ultimi decenni e soprattutto negli anni più recenti, ha compiuto diversi e importanti progressi, adottando nuove misure volte a migliorare la condizione delle donne; tuttavia, i dati indicano la necessità di fare ulteriori passi nella consapevolezza riconosciuta trasversalmente che senza una compiuta parità di genere non vi possa essere alcuna crescita economica e, anzi, come essa rappresenti un vero motore di sviluppo;
9) come ha avuto modo di affermare il Presidente Draghi: «la mobilitazione delle energie femminili e un non solo simbolico riconoscimento della funzione e del talento delle donne sono essenziali per la costruzione del futuro della nostra nazione»;
10) la Strategia nazionale per la parità di genere 2021-2026, documento programmatico adottato in coerenza con la Strategia per la parità di genere 2020-2025 della Commissione europea a marzo 2020, e previsto come strumento strutturale dalla legge 30 dicembre 2021, n. 234, definisce un sistema di azioni e politiche integrate per contrastare le molteplici dimensioni delle discriminazioni di genere, ponendosi l'obiettivo di raggiungere entro il 2026 l'incremento di cinque punti nella classifica dell'Indice sull'uguaglianza di genere elaborato che attualmente vede l'Italia al 13esimo posto nella classifica dei Paesi dell'Unione europea;
11) secondo le ultime statistiche relative al 2023, il punteggio attribuito all'Italia in questo indice di uguaglianza è pari a 68,2, che, sebbene segni un miglioramento di 3,2 punti rispetto al 2020, risulta essere ancora molto basso specialmente nel settore del lavoro, in relazione al quale il miglioramento risulta più contenuto, attestando l'indice a 62,7 punti;
12) nonostante negli ultimi anni si sia verificato un recupero dell'occupazione femminile, anche come contraccolpo al collo registrato nel periodo pandemico, il tasso di occupazione delle donne risulta ancora bene lontano dalla media europea e anzi si attesta, secondo i dati Eurostat, come il dato più basso tra i Paesi dell'Unione europea;
13) a dieci anni dall'entrata della legge 12 luglio 2011, n. 120 (cosiddetta legge Golfo-Mosca), la quota di donne componenti dei consigli di amministrazione delle società quotate o a partecipazione pubblica è passata dal 6 per cento al 43 per cento, a testimonianza che l'introduzione della legislazione sulle quote ha prodotto un risultato importante;
14) il risultato ottenuto dalla legge di cui al capoverso precedente, purtroppo, non si è tradotto in uno sviluppo parallelo della presenza delle donne nelle posizioni di vertice esecutivo, come pure nelle posizioni apicali nel settore privato, dove la percentuale delle donne quadro o dirigenti è passato dal 14 per cento del 2012 al 21 per cento del 2022;
15) nel dettaglio del mercato del lavoro, le donne risultano essere meno presenti nei settori produttivi risultanti più remunerativi, concentrandosi invece in settori a basso valore aggiunto, in organizzazioni di piccole e piccolissime dimensioni o in organizzazioni di grandi dimensioni, ma occupando figure professionali medio-basse, o in settori caratterizzati da bassi salari e limitate opportunità di carriera;
16) questo avviene nonostante nei percorsi di laurea di primo e secondo livello le donne rappresentino stabilmente oltre la metà della popolazione studentesca – sono il 53 per cento degli iscritti ai corsi di laurea e il 57 per cento dei totali dei laureati – e si laureino con performance migliori dei colleghi maschi: il 63 per cento si laurea in corso, contro il 58 per cento degli uomini; 104,2 voto medio di laurea, contro il voto medio 102,4 degli uomini;
17) nonostante la Carta europea dei diritti dell'uomo sancisca, all'articolo 23, che la parità tra uomini e donne deve essere assicurata in tutti i campi, compreso in materia di occupazione, di lavoro e di retribuzione, il divario retributivo di genere in Europa si attesta, secondo gli ultimi dati di Eurostat al 12,7 per cento, mentre l'Italia – stando al Global gender gap report del 2024 – con un punteggio pari a 0,703 su 1, si posiziona all'87esimo posto a livello globale, perdendo otto posizioni rispetto al 2023, e al 37esimo posto in Europa, davanti solo a Ungheria, Repubblica ceca e Turchia;
18) il raggiungimento dell'uguaglianza di genere è uno dei 17 obiettivi di sviluppo sostenibili individuati dall'Organizzazione delle Nazioni Unite e impegna gli Stati, entro il 2030, a garantire alle donne la piena ed effettiva partecipazione e pari opportunità di leadership a tutti i livelli del processo decisionale nella vita politica, economica e pubblica;
19) parimenti, il Piano nazionale di ripresa e resilienza individua, come uno degli obiettivi trasversali alle missioni che compongono il Piano, il superamento delle disparità di genere;
20) sul principio di uguaglianza di genere nel mercato del lavoro, l'Unione europea è intervenuta più volte, anche negli anni più recenti, in particolare con la direttiva (UE) 2023/970 del 10 maggio 2023 sulla parità salariale, da recepire entro il 2026, secondo la quale le aziende devono rendere facilmente accessibili i criteri utilizzati per determinare le retribuzioni, i livelli di retribuzione e la progressione economica, comunicando altresì alle autorità competenti informazioni dettagliate sul divario retributivo di genere, e con la direttiva (UE) 2024/1500 del 14 maggio 2024 sugli organismi per la parità di trattamento e pari opportunità tra donne e uomini in materia di occupazione e impiego, con l'obiettivo di consolidarne la loro indipendenza;
21) sul piano nazionale, per favorire una maggiore partecipazione delle donne al mercato del lavoro e per contribuire a contrastare il divario salariale, il legislatore è intervenuto, soprattutto negli anni più recenti, con alcuni strumenti particolarmente virtuosi, tra cui in particolare i seguenti due;
22) il primo è rappresentato dalla legge delega 7 maggio 2022, n. 32, per il sostegno e la valorizzazione della famiglia (cosiddetto Family act), che prevede anche la definizione di norme per una redistribuzione del carico familiare e per migliorare la conciliazione dei tempi casa-lavoro, la riforma dei congedi parentali, ivi compreso il congedo obbligatorio di paternità in una logica di piena condivisione tra donne e uomini dei carichi di cura familiari e genitoriali;
23) il secondo riguarda, invece, la legge 5 novembre 2021, n. 162, in materia di pari opportunità tra uomo e donna in ambito lavorativo, che ha introdotto la certificazione della parità di genere per le imprese a cui è stata data attuazione con il decreto ministeriale della Ministra per le pari opportunità e la famiglia del 29 aprile 2022, introducendo la prassi Uni 125/2022 e l'attuazione di un progetto previsto dal Piano nazionale di ripresa e resilienza, con un risultato di notevole riscontro da parte delle imprese (ad oggi più di 2.700 certificate), prevedendo sconti contributivi e vantaggi negli appalti pubblici;
24) nonostante l'innovativo contenuto normativo e un sostegno parlamentare trasversale, la legge delega per il sostegno e la valorizzazione della famiglia non ha trovato attuazione nella presente legislatura, mentre la certificazione della parità di genere ha rappresentato da subito un valido strumento di riduzione delle disparità di genere in ambito imprenditoriale, incentivando fiscalmente e negli appalti pubblici l'adozione di policy adeguate a ridurre il divario di genere;
25) sulla base dei riscontri positivi avuti si ritiene opportuno implementare prossimamente lo strumento della certificazione della parità di genere con l'innalzamento della soglia massima di esonero contributivo per le aziende in possesso di tale certificazione e condizionare per le aziende più grandi l'accesso agli appalti pubblici e ai finanziamenti statali al possesso di tale certificazione, introducendo altresì per le imprese che superano un elevato numero di dipendenti un obbligo a dotarsi di questa certificazione e a redigere annualmente un rapporto sulla rappresentanza di genere;
26) nel Piano nazionale di ripresa e resilienza il Governo Draghi ha voluto introdurre come obiettivo trasversale la parità di genere, prevedendo un effetto positivo sull'occupazione femminile, attraverso misure specifiche e una linea trasversale di vincolo di assunzione di donne nei progetti di attuazione del Piano stesso;
27) l'assegno unico universale è stato costruito prevedendo un supporto per le donne lavoratrici con un effetto già rilevabile come evidenziato da uno studio di Banca d'Italia del marzo 2023, mentre la costruzione dell'Isee e misure anche recentemente introdotte dal Governo, che tendono a premiare situazioni familiari in cui uno dei due coniugi sia a carico dell'altro, di fatto favoriscono la fuoriuscita dal mondo del lavoro delle donne;
28) alla luce delle misure introdotte dal legislatore italiano ed europeo e della condizione ancora non soddisfacente in materia di pari trattamento tra uomo e donna, in particolare nel mercato del lavoro, si ravvisa la necessità di riaffermare l'impegno delle istituzioni a dare piena attuazione alla legislazione sulla parità di genere e ad implementare gli strumenti che si sono dimostrati efficaci, anche mediante un rifinanziamento di alcune misure e di un'attenta attività di monitoraggio e rendiconto dei traguardi raggiunti,
impegna il Governo:
1) a dare piena attuazione alla Strategia nazionale per la parità di genere 2021-2026, prevedendo altresì che l'autorità politica delegata alle pari opportunità ne illustri al Parlamento lo stato di attuazione;
2) ad intraprendere tutte le iniziative di competenza per il raggiungimento dell'obiettivo individuato nel Piano nazionale di ripresa e resilienza circa il superamento delle disparità di genere, prevedendo altresì una rendicontazione semestrale al Parlamento sullo stato di attuazione delle missioni alla luce di questo traguardo;
3) ad attuare senza diminuzione degli obiettivi le misure specifiche che sono state individuate nel Piano nazionale di ripresa e resilienza come di incentivo al lavoro femminile, tra cui il sostegno all'imprenditoria femminile, la rimozione del gap di competenze nelle materie Stem tra ragazze e ragazzi, l'implementazione del tempo pieno nelle scuole, la costruzione di asili nido per arrivare alla copertura del 50 per cento di posti per la fascia di età dei bambini 0-3;
4) ad adottare iniziative anche di carattere normativo volte a rafforzare l'assegno unico universale nella componente di maggiorazione prevista per la casistica in cui lavorino entrambi i genitori e a rivedere più in generale la normativa Isee per evitare che siano penalizzati i nuclei in cui lavorano entrambi i genitori per quanto riguarda le prestazioni sociali;
5) ad adottare le necessarie iniziative tese a dare rapida e piena attuazione alla direttiva (UE) 2023/970 del 10 maggio 2023 volta a rafforzare l'applicazione del principio della parità di retribuzione tra uomini e donne, anche ai sensi dell'articolo 9 della legge 21 febbraio 2024, n. 15;
6) ad implementare attraverso apposite iniziative anche di carattere normativo lo strumento della certificazione della parità di genere, anche prevedendo l'innalzamento della soglia massima di esonero contributivo o condizionando l'accesso agli appalti pubblici e ai finanziamenti statali per le grandi aziende al possesso di tale certificazione.
(1-00342) «Bonetti, Richetti, Benzoni, D'Alessio, Grippo, Sottanelli, Onori, Pastorella, Rosato, Ruffino».
(7 ottobre 2024)
MOZIONI IN MATERIA DI ATTUAZIONE DELL'AUTONOMIA DIFFERENZIATA, CON PARTICOLARE RIGUARDO ALLA PRIORITARIA DEFINIZIONE DEI LIVELLI ESSENZIALI DELLE PRESTAZIONI, ANCHE AL FINE DI RIDURRE IL DIVARIO TRA LE DIVERSE AREE DEL PAESE
La Camera,
premesso che:
1) è stata promulgata la legge 26 giugno 2024, n. 86, recante «Disposizioni per l'attuazione dall'autonomia differenziata delle regioni a statuto ordinario ai sensi dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione», dopo un iter parlamentare caratterizzato da un acceso dibattito;
2) essa introduce nell'ordinamento la cosiddetta «autonomia differenziata», la quale, come concepita, rappresenta un'interpretazione dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione che ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo comporta una grave distorsione volta ad alterare profondamente l'equilibrio tra i soggetti di cui all'articolo 114 della Costituzione e che si pone in contrasto con i principi di capacità fiscale, perequazione e coesione di cui all'articolo 119 della Costituzione. Espunge di fatto la categoria «legislazione concorrente» dall'articolo 117, terzo comma, annulla la differenza tra regioni a statuto ordinario differenziato e regioni a statuto speciale, assimilando le due fattispecie, lede il principio di uguaglianza formale e sostanziale di cui all'articolo 3 della Costituzione, e, ad onta delle pur lodevoli finalità e dei richiami ad alcuni dei principi fondamentali del nostro ordinamento di cui all'articolo 1, comma 1, in assenza di correttivi determinerà la frantumazione dell'unità giuridica ed economica della Repubblica;
3) l'ordinamento delle regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento e di Bolzano è disciplinato dai rispettivi statuti e dalle norme di attuazione degli stessi. Gli statuti – che hanno forma di legge costituzionale – stabiliscono ambiti e limiti della autonomia, le singole competenze legislative e amministrative e l'ordinamento finanziario di ciascuna regione. Gli statuti speciali possono attualmente essere modificati secondo la procedura di cui all'articolo 138 della Costituzione per l'approvazione delle leggi di revisione costituzionale e delle altre leggi costituzionali con alcune peculiarità introdotte dalla legge Costituzionale n. 2 del 2001, volte a garantirle la partecipazione degli organi della regione nell'iter legislativo. In tale contesto, la legge n. 86 del 2024 dispone l'applicabilità alle regioni a statuto speciale dell'intero provvedimento attuativo dell'autonomia differenziata. In tal modo esse vedrebbero, di fatto, annullate le ragioni della loro «specialità» – culturali, geografiche, economiche e sociali – riconosciute dalla Costituzione. Surrettiziamente, dunque, attraverso la norma ordinaria in questione, a parere dei firmatari del presente atto, si annienta la tutela formale e sostanziale che la Costituzione assegna alle regioni a statuto speciale, violando anche la procedura di cui all'articolo 138 della Costituzione. In altri termini si consente l'attribuzione di materie e funzioni alle regioni a statuto speciale con la legislazione ordinaria, in luogo della procedura costituzionale effettivamente prevista dalla Carta;
4) la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale – nella loro individuazione, nel loro finanziamento, nella loro erogazione e nella fruizione da parte dei cittadini – nella legge n. 86 del 2024, così come nelle disposizioni di cui all'articolo 1, comma 793, lettera c), della legge di bilancio per il 2023 da essa richiamate, è subordinata agli stanziamenti di bilancio disponibili a legislazione vigente o a quelli resi disponibili dalle leggi di bilancio, con ciò subordinando la primaria connotazione sociale e il principio fondamentale di uguaglianza della nostra Carta costituzionale al criterio economico, subordinando l'articolo 3 della Costituzione all'articolo 81, in assenza di qualunque bilanciamento e secondo un ordine di priorità completamente rovesciato rispetto alle pronunce della Corte costituzionale in merito. Si consideri, inoltre che l'articolo 9, comma 1, della legge sull'autonomia differenziata dispone che: «Dall'applicazione della presente legge e di ciascuna intesa non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica»;
5) si sottolinea, in proposito, che i diritti e i principi costituzionali costituiscono un insieme vivente che interagisce e nessuno di essi può avere, in astratto, una posizione di supremazia gerarchica e, vieppiù, che la Corte costituzionale ha sancito (sentenza n. 275 del 2016), con riguardo al rapporto tra principio dell'equilibrio del bilancio e tutela dei diritti costituzionali, che «è la garanzia dei diritti incomprimibili a incidere sul bilancio e non l'equilibrio di questo a condizionarne la doverosa erogazione»
6) l'attribuzione di una o più materie, nella loro interezza, concretizza un ulteriore vulnus della legge, in quanto – in palese contrasto con la suddivisione delle competenze legislative operata dall'articolo 117 della Costituzione, commi secondo e terzo – l'articolo 116, terzo comma, non può essere «interpretato» nel senso adottato dalla legge, a pena della sua legittimità costituzionale né può l'attribuzione di autonomia ai sensi del medesimo articolo, come autorevolmente sostenuto, essere interpretata in forma espansiva, quasi che non vi siano limiti residuati a tutela della potestà legislativa statale: nell'articolo 117 della Costituzione sono tuttora vigenti le disposizioni costituzionali che prevedono che il legislatore statale dispone del potere di disciplinare le materie di competenza esclusiva (secondo comma) e di stabilire i principi fondamentali nelle materie di competenza concorrente (terzo comma, ultimo periodo) e analogamente prevedono gli statuti speciali;
7) la norma reca un impianto segnato da nodi politico-tecnici rilevanti, tuttora irrisolti, mentre, al contrario, cittadini ed imprese necessitano di un quadro normativo certo per programmare le proprie scelte nell'attività che svolgono, tenuto conto della delicatezza e del vasto ambito di tematiche che il testo va ad investire;
8) l'attuazione dell'autonomia regionale non può prescindere dal rispetto della coesione sociale del Paese ed anzi la solidarietà e l'unità dei diritti fondamentali esigibili dovrebbero essere preliminari a qualsiasi passaggio ulteriore;
9) ci si avvia, in modo azzardato, a dare attuazione ad un processo potenzialmente di amplissima portata senza certezza alcuna del quadro ordinamentale e procedurale che lo accompagnerà non soltanto nella cruciale fase negoziale ed istruttoria, ma anche in quella strettamente applicativa – incertezza consistente nella mancanza di un quadro articolato e preciso di tutte le risposte legislative, finanziarie ed amministrative da utilizzare in base alle possibili variabili nelle ricadute concrete del meccanismo una volta avviato e che si ripercuoterebbe su scala pluriennale;
10) sin dalla fase iniziale – costituito dallo stesso processo di valutazione delle richieste di attribuzione di autonomia differenziata – appare logico che dette richieste vengano subordinate alla preventiva valutazione dell'impatto sulla redistribuzione tra cittadini in termini fiscali e di servizi e, soprattutto, di diritti, prevedendo l'intervento dello Stato in caso di necessità per interesse nazionale e di regole comuni volte a prevenire differenziazioni normative sul territorio disfunzionali per la solidarietà tra territori e la coesione socioeconomica nazionale;
11) sarebbe, altresì, opportuno definire le regole della istruttoria preventiva su ciascuna funzione e materia, cui conformare le istanze delle regioni interessate a richiedere l'autonomia, le regole di trasparenza e rendicontazione, le procedure obbligatorie di verifica della spesa e delle prestazioni erogate da tutte le regioni, a tal fine raccordandosi costantemente con la Corte dei conti, il Consiglio di Stato, la Banca d'Italia, la Ragioneria generale dello Stato e l'Ufficio parlamentare di bilancio, nonché con tutti gli altri organismi pubblici competenti nelle specifiche funzioni;
12) ad avviso dei firmatari del presente atto ciò vale, parallelamente, anche per la procedura di richieste di attribuzione di materie o ambiti di materie e delle relative funzioni non associate ai livelli essenziali delle prestazioni, che dovrebbe comunque considerare parametri di efficienza, equità, solidarietà e coesione socioeconomica nell'ambito di tutto il territorio nazionale, nel rispetto del principio fondamentale di non discriminazione nel godimento dei diritti e dei servizi relativi, apparentemente affermati, ma poi privati di un concreto presidio legislativo di tutela;
13) non soltanto la fase negoziale ma la stessa possibilità di richiesta di attribuzione di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia manca del presupposto di una dimostrata o dimostrabile assenza di effetti negativi sia per la regione richiedente che per le altre regioni e per il libero esercizio dei diritti sociali e civili ed economici dei cittadini e delle imprese su tutto il territorio nazionale;
14) le carenze della disciplina generale, dai criteri di valutazione ex ante alle modalità di intervento ex post pongono rischi concreti in caso di future problematiche. Il divario tra Nord e Sud e quello all'interno dei diversi territori, di cui l'articolo 119 della Costituzione per effetto del regionalismo differenziato così delineato tende, se possibile, ad inasprirsi, in violazione anche del principio perequativo di cui all'articolo 174 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea e quindi dell'articolo 117 della Costituzione;
15) sul tema si è espresso in prima persona il Governatore della Banca d'Italia in una lettera inviata al presidente del Comitato Lep, con cui mette in guardia sui rischi per il bilancio pubblico o per prestazioni collegate ai livelli essenziali delle prestazioni formulate in termini troppo generici, in buona parte riconducibili a mere petizioni di principio, il cui contenuto pratico rimane a suo avviso in larga parte indeterminato;
16) in proposito, si segnala, altresì, che non sono previsti momenti di valutazione ex ante o ex post delle conseguenze delle attribuzioni, in quanto l'autonomia differenziata potrebbe portare a configurazioni molto diverse fra loro e, dunque, ad uno scenario fortemente frammentato, con funzioni differenti e livelli essenziali delle prestazioni differenti e peso finanziario differente: il caos derivante dalla possibilità che in ciascuna delle 23 materie oggetto di devoluzione si possa determinare una attività legislativa e amministrativa differenziata in ciascuna delle 20 regioni impatterà anche in ordine all'attrattività, già piuttosto bassa, del Paese da parte degli investitori esteri;
17) l'autonomia cosiddetta differenziata come delineata appare anacronistica, anche considerati i contesti di crisi nazionale ed internazionale più recenti che hanno evidenziato l'importanza del potere centrale e di una cornice normativa unitaria, in termini di coordinamento ed operatività, se si considerano le diverse materie oggetto di devolution, dall'energia ai trasporti, dalla politica industriale alle grandi reti di trasporto dell'energia alla ricerca, appare assai difficile rendere tali devoluzioni compatibili con il piano di ammodernamento del Paese richiesto dal Piano nazionale di ripresa e resilienza, come pure con l'esigenza di un Piano energetico nazionale volto a migliorare il mix energetico e a ridurre la dipendenza nazionale da pochi Paesi esportatori e contestualmente contribuire agli obiettivi europei in materia di decarbonizzazione e ambiente;
18) i contesti di crisi nazionale e internazionale più recenti hanno infatti dimostrato che un potere centrale incisivo in termini di coordinamento ed operatività serve tanto quanto una cornice normativa unitaria e che la frammentazione indebolisce l'Italia di fronte ai suoi competitori internazionali perché polverizza i centri decisionali e le responsabilità;
19) l'attuazione dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione non può che essere subordinata alla definizione di una cornice legislativa statale che determini tutti i livelli essenziali delle prestazioni, per i quali deve essere assicurato lo stanziamento di risorse necessario a garantirne l'uniforme attuazione in concreto, nonché alla definizione dei principi fondamentali per tutte quelle materie di legislazione esclusiva statale e di legislazione concorrente che necessitano di coordinamento e controllo statale, a tutela degli interessi nazionali e del «sistema paese», cui, in ogni caso, nessuna istituzione territoriale dovrebbe poter derogare;
20) i firmatari del presente atto di indirizzo ne hanno già deprecato l'avventatezza a fronte del rischio per gli interessi nazionali e per la tenuta economica del «sistema paese», ma è oltremodo preoccupante che siano rappresentanti del Governo e della maggioranza parlamentare a lanciare ripetuti allarmi e richieste di riflessione in ordine all'attuazione dell'autonomia differenziata, così fortemente voluta e peraltro in vigore – esempio ne sono proprio le dichiarazioni in ordine al commercio con l'estero (settore che rappresenta il 40 per cento del prodotto interno lordo) riportate dagli organi della stampa, che i firmatari del presente atto condividono per averle già ampiamente segnalate: l'autonomia nel commercio con l'estero creerebbe pericolose asimmetrie di natura legislativa e amministrativa che darebbero origine a caos nei rapporti dello Stato italiano con il resto del mondo, è sbagliato affidare l'export ad ogni regione e non ha senso che ogni regione possa sponsorizzare e firmare i propri contratti di export e di promozione per conto proprio, è necessario che sia il Ministro competente per il Paese a garantire il marchio del made in Italy, in quanto non siamo di fronte a repubbliche indipendenti in competizione;
21) non è chiaro quale possa essere il ruolo futuro del Parlamento e del Governo, quindi dello Stato, che dovrebbe invece poterne mantenere il controllo e la regia a garanzia di tutti i cittadini su tutto il territorio;
22) la Commissione europea, nei rilievi di cui al Country Report del 2024 ha sollevato numerosi dubbi in merito ai presunti rischi che l'autonomia differenziata potrebbe provocare in termini di aumento delle disparità e tenuta dei conti pubblici, nonché sulla capacità dei Lep di compensare gli squilibri territoriali per l'incapienza dei necessari stanziamenti;
23) la Corte dei conti ha ribadito che il conseguimento dell'autonomia differenziata debba essere inserito all'interno di un quadro di riferimento unitario e cooperativo che, da una parte, rimandi alla necessaria definizione e al necessario finanziamento dei livelli essenziali delle prestazioni, dall'altra rinvii alla necessità di una completa perequazione infrastrutturale, necessaria non isolo per colmare le carenze di molte regioni, in particolare del Sud, ma anche all'interno delle regioni più sviluppate, dove talvolta convivono situazioni di marginalità – questione che neppure il decreto-legge cosiddetto «coesione» n. 60 del 2024, convertito con modificazioni dalla legge 4 luglio 2024, n. 95, ha risolto e realizzato;
24) in conclusione, si deve rilevare con preoccupazione che il sistema concepito, declinato in maniera dettagliata solo in alcuni suoi aspetti, appare privo di un quadro normativo di misure altrettanto puntuali da adottare in caso di malfunzionamento dello stesso;
25) la legge, peraltro, non assicura che siano contestualmente determinati e debitamente finanziati, quindi concretamente attuabili tutti i livelli essenziali delle prestazioni attinenti all'esercizio di diritti civili e sociali ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione e, al contempo, consente l'avvio, anche immediato, delle intese che non concernono materie o ambiti di materie connesse ai livelli essenziali delle prestazioni;
26) in ordine alla procedura volta alla determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni, il Governo ha nominato una Commissione ad hoc, presieduta da Sabino Cassese; in proposito, si rammenta che il 24 settembre 2024, dagli organi della stampa, si è appreso di un documento circolato e discusso in seno alla Commissione, redatto da dodici esperti, volto a fissare i criteri e le modalità di calcolo con cui quantificare i costi dei livelli essenziali delle prestazioni: tra i criteri individuati, risulterebbe esservi quello della «territorialità», inteso come l'insieme delle caratteristiche dei diversi territori, tra i quali spicca, prepotentemente, il costo della vita – questione che appare preoccupante, a fronte dei forti divari sul territorio nazionale, inaccettabile, in quanto la modalità prescelta rischia di perpetuarli ed aggravarli e, a giudizio dei firmatari del presente atto, illegittima, in quanto tesa a «proporzionare» l'esercizio di diritti garantiti dalla Costituzione e a differenziarlo sulla base del luogo di residenza;
27) il 25 settembre 2024, nel corso di un'audizione alla Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale, con il fine di sedare le polemiche innescate dalle notizie in ordine alle modalità di calcolo dei livelli essenziali delle prestazioni, il Ministro per gli affari regionali e le autonomie avrebbe chiarito la procedura per la definizione dei livelli essenziali delle prestazioni e dei relativi costi standard, ribadendo che «la definizione dei livelli essenziali dei costi e fabbisogni standard è il punto più alto della politica» e questa avverrà «attraverso un atto di rango primario, ancorché una delega con successivo decreto legislativo, non attraverso organismi tecnici»;
28) occorre chiarire, in primis, cosa intenda il Ministro con «decisione politica» e soprattutto a quale organo «politico» si riferisca, dal momento che, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo:
a) è il Parlamento, organo elettivo e di rappresentanza politica, che tutela l'interesse nazionale, ma la legge attuativa dell'autonomia cosiddetta differenziata ha inquinato (ulteriormente) il sistema ordinamentale aggravando lo squilibrio nei rapporti tra Governo e Parlamento, marginalizzato e spogliato delle sue prerogative, dell'esercizio delle sue funzioni e limitato nella sua potestà legislativa non solo nelle fasi deliberative delle intese, anche nelle fasi informative e conoscitive;
b) è contestualmente – e deprecabilmente – in vigore nel nostro ordinamento una procedura di individuazione e determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni disciplinata in due provvedimenti diversi, i quali dispongono modalità attuative distinte e contrarie con riguardo proprio alla «decisione finale» – l'una, con i commi da 791 a 801 della legge di bilancio n. 197 del 2022, che la rimette, con una procedura completamente ed esclusivamente endogovernativa, all'emanazione di un decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri e l'altra, recata dalla legge n. 86 del 2024, che la rimette all'emanazione di uno o più decreti legislativi, il cui iter coinvolge a più riprese il Parlamento – in proposito, merita sottolineare che è la stessa legge n. 86 del 2024 a disporre espressamente l'applicazione della procedura recata dai predetti commi della legge di bilancio per il 2023, «nelle more dell'entrata in vigore dei decreti legislativi che essa stessa ha introdotto e previsto ai fini della determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni» – «more» che possono protrarsi fino al 13 luglio 2026 – e che, in sostanza, il Governo potrebbe decidere di applicare, indistintamente e alternativamente, una qualsiasi delle due procedure vigenti, a parer suo;
29) acuisce il complesso delle problematiche e dei rischi anzidetti l'accelerazione impressa all'iter applicativo dell'autonomia differenziata, con la richiesta da parte delle regioni Veneto, Lombardia, Liguria e Piemonte di avviare le interlocuzioni con il Governo,
impegna il Governo:
1) al fine di salvaguardare gli obiettivi della rimozione degli squilibri economici e sociali tra le diverse aree del Paese e in attuazione del principio di uguaglianza formale e sostanziale di cui all'articolo 3 della Costituzione, ad astenersi dall'avviare il negoziato previsto dall'articolo 2 della legge n. 86 del 2024 nonché dal procedere, ai sensi dell'articolo 11 comma 1, della legge in parola, in ordine alle richieste di attribuzione di materie o ambiti di materie e delle relative funzioni fino alla determinazione e al conseguente finanziamento dei livelli essenziali delle prestazioni di cui all'articolo 117, secondo comma, lettera m), unitamente alle modalità di verifica e controllo della loro parità di accesso, erogazione ed uniformità su tutto il territorio nazionale;
2) onde non pregiudicare l'unità giuridica, economica e sociale della Repubblica e al fine di scongiurare lacune o incertezze applicative, ad adottare iniziative volte a prevedere che il trasferimento delle funzioni avvenga successivamente o contestualmente all'adozione di misure organiche di perequazione di cui all'articolo 119 della Costituzione per i territori con minori capacità fiscale e siano previsti efficaci e tempestivi poteri sostitutivi da attivare per prevenire o far cessare fenomeni di disuguaglianza, inefficienza e problematiche rilevate dalla fase di monitoraggio, compresa la revisione e correzione delle intese in corso di attuazione;
3) ad adottare iniziative volte a predisporre, reperendo le risorse finanziarie utili, a tal fine bilanciando l'attuazione del principio di uguaglianza di cui all'articolo 3 della Costituzione e il rispetto degli equilibri di bilancio di cui all'articolo 81 della Costituzione, preliminarmente alla determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni, l'istituzione di un fondo perequativo a garanzia dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale e dei relativi costi e fabbisogni standard, per le regioni che non richiedano ulteriori forme e condizioni di autonomia ai sensi dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione;
4) ad adottare iniziative volte a elaborare e a fornire alle Camere una valutazione dell'impatto derivante dalla richiesta di trasferimento delle funzioni concernenti materie o ambiti di materie, anche non riferibili ai livelli essenziali delle prestazioni, sulle altre regioni e, in generale, sul territorio nazionale, anche in ordine alla tutela della potestà legislativa statale di cui alle vigenti disposizioni di cui all'articolo 117 della Costituzione, considerando di agire, per quanto di competenza, per l'istruttoria e la predetta valutazione di impatto, in raccordo con la Corte dei conti, il Consiglio di Stato, la Banca d'Italia, la Ragioneria generale dello Stato e l'Ufficio parlamentare di bilancio e con tutti gli altri organismi pubblici competenti nelle specifiche funzioni;
5) in ordine all'attribuzione di autonomia nelle materie e nelle relative funzioni concernenti la tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali, il governo del territorio, la produzione, il trasporto e la distribuzione nazionale dell'energia, ad avvalersi delle precauzioni di cui agli articoli 2 comma 2, secondo periodo, 3, comma 5, ultimo periodo e 7, comma 1, ultimo periodo della legge n. 86 del 2024 ai fini del mantenimento dell'unitarietà di indirizzo delle politiche pubbliche prioritarie nonché degli strumenti giuridici disposti dal nostro ordinamento a tutela dell'interesse nazionale, dell'unità giuridica e socio-economica della Repubblica e dei principi fondamentali della Costituzione, in modo da garantire il rispetto dei principi di coesione sociale e territoriale, la indispensabile omogeneità nelle predette materie e funzioni socialmente ed economicamente strategiche, mantenere una cornice normativa unitaria onde scongiurare effetti distorsivi, deleteri rispetto ai competitori internazionali e nei contesti di crisi, promuovere univoche, coerenti e lungimiranti pratiche ambientalmente sostenibili, onde ridurre progressivamente l'impatto del cambiamento climatico, a tal fine valutando l'opportunità di escludere l'attribuzione di autonomia nelle predette materie qualora oggetto di procedure di infrazione e pre-infrazione europee pendenti nei confronti del nostro Paese;
6) ad assicurare la trasparenza in ogni fase della procedura istruttoria volta alla determinazione, alla quantificazione e al finanziamento dei livelli essenziali delle prestazioni da parte della commissione di cui alla premessa, attraverso la pubblicazione sul sito del Dipartimento per gli affari regionali e le autonomie e la trasmissione alle Camere dei documenti e di ogni altro elemento utile, anche da parte delle amministrazioni pubbliche coinvolte e competenti, ai fini della sua comprensione e della sua valutazione complessiva, alla luce del principio di trasparenza richiamato dall'articolo 1, comma 1, della legge n. 86 del 2024 e in attuazione del principio di trasparenza dell'attività amministrativa, che costituisce livello essenziale delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione, secondo quanto previsto anche dall'articolo 1 del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33;
7) a voler riconsiderare la devoluzione, come disposta ai sensi della legge n. 86 del 2024, di materie o loro ambiti che incidono sugli interessi nazionali e sulla tenuta economico-sociale del Sistema Paese, con riguardo, in particolare, al settore dell'import e dell'export nonché ai settori più significativi per il prodotto interno lordo nazionale e quelli più esposti in ordine alla concorrenza, alla competitività, alla sostenibilità energetica, agli scambi e agli accordi di natura internazionale e che necessitano di unitarietà delle politiche pubbliche, di principi fondamentali nonché di una cornice normativa univoca, in termini di coordinamento ed operatività, anche a fini di salvaguardia delle opportunità delle nostre imprese;
8) a provvedere e a vigilare affinché l'attuazione della cosiddetta autonomia differenziata di cui alla legge n. 86 del 2024 non pregiudichi le ragioni culturali, geografiche, economiche e sociali a fondamento della specialità garantita e tutelata dalla Costituzione, ai sensi dell'articolo 116, primo comma, delle regioni a statuto speciale.
(1-00309) (Nuova formulazione) «Francesco Silvestri, Alfonso Colucci, Baldino, Santillo, Auriemma, Cappelletti, Fenu, Alifano, Penza, Aiello, Amato, Appendino, Ascari, Barzotti, Bruno, Cafiero De Raho, Cantone, Caramiello, Carmina, Carotenuto, Caso, Cherchi, Conte, Sergio Costa, Dell'Olio, Di Lauro, Donno, D'Orso, Fede, Ferrara, Ilaria Fontana, Giuliano, Gubitosa, Iaria, L'Abbate, Lomuti, Lovecchio, Morfino, Orrico, Pavanelli, Pellegrini, Quartini, Raffa, Marianna Ricciardi, Riccardo Ricciardi, Scerra, Scutellà, Sportiello, Torto, Traversi, Tucci».
(16 luglio 2024)
La Camera,
premesso che:
1) le norme contenute nella legge 26 giugno 2024, n. 86, «Disposizioni per l'attuazione dell'autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario ai sensi dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione», sono, a giudizio dei firmatari del presente atto di indirizzo, in palese contrasto con il dettato costituzionale degli articoli 1, 2, 3, 4, 9, 33, 34, 53, 70, 116, 117, 119 della Costituzione;
2) il 12 novembre 2024 sarà una data cruciale per la discussione sulla legittimità costituzionale della legge, che riguarda l'attuazione dell'autonomia differenziata delle regioni a statuto ordinario. La Corte costituzionale esaminerà i ricorsi presentati da Puglia, Toscana, Sardegna e Campania. Il 26 settembre 2024 sono state presentate 1.300.000 firme che chiedono il referendum abrogativo; in questo contesto avviare le negoziazioni tra alcune regioni e lo Stato per l'eventuale trasferimento di competenze è sbagliato e irrispettoso della democrazia. Se la Corte costituzionale accogliesse i ricorsi, la legge n. 86 del 2024 decadrebbe; se invece fossero respinti, la legge rimarrebbe valida e si dovrebbe celebrare il referendum che potrebbe tenersi nel 2025. È evidente che le forzature delle regioni governate dalla destra potrebbero essere motivate dalla volontà di influenzare il giudizio della Corte costituzionale che si appresta a giudicare e dal tentativo di mettere tutti davanti al fatto compiuto;
3) intanto, la conseguenza più immediata sarà la cristallizzazione delle differenze esistenti fra i territori, in aperto e evidente contrasto con quanto stabilito dall'articolo 5 della Costituzione, laddove è stabilito che la Repubblica è «una e indivisibile», dall'articolo 3 della Costituzione, che prescrive il principio di eguaglianza e che impone allo Stato il compito fondamentale di «rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.»;
4) l'oggettiva ripercussione dell'entrata in vigore della riforma consentirà alle regioni più ricche di trattenere più poteri e risorse per garantire i loro cittadini, mentre i territori più fragili, segnatamente quelli del Mezzogiorno e delle aree periferiche o interne e insulari, avranno maggiori difficoltà per riassorbire le diseguaglianze e raggiungere i livelli di sviluppo e di benessere sociale della parte del Paese più ricca;
5) si accrescono quindi le diseguaglianze e divari territoriali potenzialmente irreversibili, si apre la strada alle diseguaglianze nei diritti fondamentali su base territoriale, unico discrimine sarà la residenza delle persone;
6) trattasi di una torsione dell'interpretazione della Costituzione pericolosa e inaccettabile, che potrebbe condurre ad una fase di instabilità e di pericolose tensioni tra le diverse aree del Paese, che, nella peggiore delle ipotesi, porterebbe mettere in discussione la stessa unità nazionale;
7) il percorso attivato di definizione formale dei livelli essenziali delle prestazioni e il lavoro – lodevole – del nominato Comitato per l'individuazione dei livelli essenziali delle prestazioni rischiano di rimanere solo un'esercitazione virtuale, in mancanza delle risorse necessarie per la loro concreta attuazione;
8) il principio di unità e indivisibilità della Repubblica risulta, nel disegno costituzionale, strettamente connesso con gli altri principi costituzionali e, in particolare, con i principi fondamentali, a partire dall'articolo 1 della Costituzione, che consacra l'assetto democratico della Repubblica, basato sull'appartenenza della sovranità al popolo (Corte costituzionale, sentenza n. 256 del 1989), che si identifica tramite la partecipazione delle autonomie sociali, politiche e territoriali alla vita politica, economica e sociale del Paese e la condivisione di quella che è stata definita, in dottrina, la «sostanza costituzionale dell'unità», intesa come «unità nel nome di valori omnicondivisi»;
9) in questo senso, l'unità nazionale non può prescindere dai compiti che i successivi articoli 2, 3, 4 della Costituzione assegnano alla Repubblica: la garanzia dei diritti inviolabili e l'assolvimento dei doveri inderogabili di solidarietà, la rimozione degli ostacoli all'eguaglianza sostanziale di tutti i cittadini. In evidente contraddizione a giudizio dei firmatari del presente atto di indirizzo con questi principi, la legge n. 86 del 2024 prevede un novero di materie delegabili che esorbita dai confini segnati dai principi costituzionali sopra menzionati: la sanità, la scuola, l'università e la ricerca, i beni culturali, l'ambiente e gli ecosistemi, l'organizzazione della giustizia di pace, le politiche attive del lavoro, i trasporti, porti e aeroporti, protezione civile, il governo del territorio, il trattamento dei rifiuti, la produzione, il trasporto e la distribuzione di energia, il sostegno alle attività produttive, la riorganizzazione degli enti locali, e altro;
10) è evidente come il passaggio alle regioni finirà per tradursi in un inevitabile aggravamento del divario sociale e territoriale, con una lesione diretta dei principi di eguaglianza, solidarietà e democrazia sostanziale. Sul punto la letteratura scientifica e la reportistica di agenzie indipendenti e associazioni di categoria (Banca d'Italia, sindacati, Confindustria e altri) è copiosa e dettagliatissima, eppure non è stata tenuta in alcuna considerazione da parte della maggioranza che esprime il Governo in carica, così come in alcuna considerazione è stata tenuta la giurisprudenza della Corte costituzionale sull'applicazione uniforme dei diritti fondamentali;
11) come da più parti osservato, l'articolo 116, comma 3, non dà alcuna indicazione circa le ragioni che debbano supportare la richiesta di nuove competenze e/o il quantum di autonomia possibile e, anzi, la formula è tale da non escludere che ogni singola regione possa richiedere la maggiore autonomia per tutte le materie elencate, tant'è che, nonostante alcune astratte opinioni dottrinali prefiguranti l'inammissibilità di richieste per più materie, tutte le regioni finora attivatesi hanno dimostrato la volontà di ottenere quanta più autonomia possibile, né appaiono efficaci le limitazioni previsti all'articolo 2 della legge, poiché demandate esclusivamente alle valutazioni del Presidente pro tempore del Consiglio dei ministri;
12) in particolare, la procedura individuata dall'articolo 2 per l'approvazione delle intese è serrata nei tempi e non coinvolge in modo adeguato né la Conferenza unificata, cui si chiede solo il parere, né il Parlamento, sede della sovranità popolare, cui si demanda la sola facoltà di esprimere un atto di indirizzo non vincolante sugli schemi preliminari di intesa;
13) il Parlamento potrà solamente respingere o approvare, senza alcuna possibilità di intervenire su punti di merito specifici, l'accordo raggiunto tra Governo e singola regione. Si lascia così che sia ridefinita l'attribuzione di competenze legislative, amministrative e regolamentari, riscrivendo nei fatti parte dell'articolo 117 della Costituzione;
14) la procedura definita dall'articolo 3 della legge 26 giugno 2024, n. 86, non restituisce dignità al Parlamento, ma gli sottrae le proprie nonché specifiche prerogative, stabilite chiaramente dal dettato dell'articolo 70 della Costituzione, che al Parlamento, e non al Governo, attribuisce prioritariamente la funzione legislativa. La previsione che a determinare i livelli essenziali delle prestazioni sia un decreto legislativo di iniziativa governativa, lungi dallo sconfessare l'intento di sottrarre spazi e compiti al Parlamento, conferma invece il proposito di spostare l'asse del potere legislativo, fermamente ancorato al Parlamento – a Costituzione vigente – verso un'illegittima attribuzione al Governo del potere legislativo;
15) riguardo al tema delle risorse economiche con cui far fronte ai nuovi compiti, ovvero residui fiscali e trasferimenti in base alla spesa storica, valga il riferimento alla sentenza n. 275 del 2016 della Corte costituzionale, la quale sancisce che deve essere «la garanzia dei diritti incomprimibili a incidere sul bilancio e non l'equilibrio di questo a condizionarne la doverosa erogazione». Innanzitutto è lo Stato, con il suo bilancio, chiamato a soddisfare i diritti inviolabili dei cittadini, qualunque sia il territorio in cui essi vivono e lavorano;
16) il riferimento alla spesa, come criterio di ripartizione delle risorse, denuncia e conferma le profonde differenze già esistenti – si va da una spesa pro capite di 19 mila euro in Lombardia ai 13.700 euro in Campania – rendendo evidente la palese illegittimità del criterio prospettato, che, lungi dal promuovere la coesione sociale e territoriale, finirebbe per aggravarne le differenze. Si ignora il fatto che i diritti sono non il frutto di concessioni graziose di chi più ha nei confronti di coloro che versano in differenti condizioni economiche e sociali, ma il necessario corredo della cittadinanza e, ancora, che non sono le regioni ma i cittadini a pagare le tasse in ragione della loro capacità contributiva e non del luogo di residenza, sicché una norma così concepita finisce per violare per ciò solo gli articoli 2 e 53 Costituzione, a tenore dei quali la solidarietà economica e tributaria opera a livello nazionale, non regionale;
17) così oggi ci si trova di fronte a tre tipologie differenti di autonomia: quella delle regioni che la domandano (e la ottengono), quella delle regioni a statuto speciale e quella prevista della competenza concorrente di cui all'articolo 117, terzo comma, con l'effetto di un'inarrestabile frammentazione della disciplina normativa, con le ovvie conseguenze in termini di inflazione normativa e di incertezza del diritto (si pensi a materie come il governo del territorio), maggiori costi per le imprese e i cittadini (si pensi alla disciplina di porti, aeroporti, autostrade e altro), inefficacia delle politiche pubbliche (si pensi alle materie che coinvolgono necessariamente lo Stato nazionale, quando non addirittura gli organismi sovranazionali: dall'energia all'ambiente e, più in generale, a tutte quelle che essendo toccate dal Piano nazionale di ripresa e resilienza e dalle priorità con lo stesso variamente dichiarate – transizione verde, trasformazione digitale, crescita intelligente, sostenibile e inclusiva, coesione sociale e territoriale, salute e resilienza economica, sociale e istituzionale, politiche per le nuove generazioni, l'infanzia e i giovani – esigono, al contrario, la capacità di formulare e implementare politiche nazionali forti e non compatibili con le richieste di ulteriore disgregazione);
18) evidente la necessità di pre-determinare i livelli essenziali delle prestazioni, prima di attribuire alle regioni le risorse necessarie per sostenere le loro nuove competenze. Al di là delle evidenti difficoltà per molte delle regioni interessate di assicurare l'effettiva erogazione delle prestazioni, che la prima parte della Costituzione pretende non essenziali o minime, ma uguali per tutti i cittadini, a prescindere dal luogo di nascita o di residenza, si evidenzia che, mentre l'articolo 117 della Costituzione attribuisce la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni, per tutti i diritti sociali e civili, «alla competenza legislativa dello Stato», nella legge n. 86 del 2024 si prevede una procedura accelerata che si conclude con l'approvazione di un decreto legislativo;
19) così il ruolo attribuito al Parlamento risulta del tutto marginale, sia in merito alla definizione delle intese con le singole regioni sia in relazione alla determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni così come previsto dalla legge di bilancio per il 2023 (legge n. 197 del 2022, articolo 1, commi 791-801), con una procedura amministrativa che si ritiene sia del tutto incompatibile con la riserva di legge che la Costituzione stabilisce in materia;
20) inoltre, per quanto concerne la procedura per definizione dei livelli essenziali delle prestazioni, non è prevista alcuna predeterminazione politica degli obiettivi di uguaglianza sostanziale e, soprattutto, non sono previste adeguate procedure vincolate di stanziamento delle risorse aggiuntive necessarie per garantirli. I livelli essenziali delle prestazioni definiti in questo modo non costituiranno l'insieme dei servizi e degli interventi pubblici necessari ad assicurare – in maniera omogenea e uniforme – i diritti sulla base dei bisogni e a prescindere dalla capacità fiscale di un territorio, ma, come detto, determineranno una cristallizzazione – se non un incremento – delle disuguaglianze in essere;
21) un sistema così congegnato – per di più a risorse date e senza spesa aggiuntiva – sarà un moltiplicatore dei divari territoriali e produrrà una riduzione del perimetro pubblico proprio nei territori e negli ambiti in cui è maggiormente decisiva la funzione redistributiva dello Stato;
22) un sistema di autonomia differenziata compatibile con l'attuale assetto costituzionale e istituzionale dovrebbe invece subordinare le «ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia» al vincolo del rispetto dei principi fondamentali e delle norme generali nazionali inderogabili ed esplicitare le materie insuscettibili di qualsiasi differenziazione;
23) si ritiene particolarmente grave che fra le materie oggetto di devoluzione non sia stata esclusa l'istruzione: questo potrebbe radicalmente mutare il quadro, in peggio, della scuola italiana e quindi del nostro Paese, poiché attraverso le intese regionali si prevede che si possa giungere perfino a far diventare «le norme generali sull'istruzione» – oggi legislazione esclusiva dello Stato – oggetto di legislazione concorrente. Non solo, ma, ancora, le leggi regionali potrebbero disciplinare l'istituzione di ruoli del personale della scuola, la sua consistenza organica, la stipulazione di contratti collettivi regionali, con gravi e devastanti conseguenze sulla tenuta delle finalità nazionali dell'ordinamento scolastico, sul contratto collettivo nazionale e trattamento economico di docenti, personale amministrativo, tecnico e ausiliario e dirigenti scolastici, sulla mobilità territoriale, sulla valenza di concorsi per il reclutamento a sbarramento regionale. Inoltre, la stessa autonomia scolastica costituzionalmente riconosciuta rischia di essere pregiudicata e collocata in ambito subalterno rispetto alle nuove funzioni e poteri regionali e locali;
24) chiare ed evidenti le conseguenze negative che deriverebbero all'ordinamento scolastico, finalizzato in primo luogo all'esercizio del diritto all'istruzione degli alunni e alla libertà dell'insegnamento, fondamenti intangibili su cui si costruisce la cittadinanza, la libertà e l'unità del nostro popolo e della nostra comunità;
25) il tutto in aperto e evidente contrasto con gli articoli 33 e 34 della Costituzione, che stabiliscono le caratteristiche basilari del sistema scolastico e che alle prescrizioni derivanti da tali articoli si attribuisce «valenza necessariamente generale ed unitaria che identifica un ambito di competenza esclusivamente statale», rappresentando «la struttura portante del sistema nazionale di istruzione e che richiedono di essere applicate in modo necessariamente unitario ed uniforme in tutto il territorio nazionale, assicurando, mediante una offerta formativa omogenea, la sostanziale parità di trattamento tra coloro che fruiscono del servizio dell'istruzione (interesse primario di rilievo costituzionale)» (Corte costituzionale, sentenza 24 giugno 2009, n. 200);
26) se è chiaro che la missione principale della scuola è la costruzione della cittadinanza, la condivisione di valori e il senso di appartenenza, che fondano la convivenza democratica, è altresì pacifico che questo ruolo del sistema di istruzione statale verrà inevitabilmente pregiudicato da una scelta regionalistica e territorialistica;
27) già oggi le regioni godono di ampie funzioni amministrative: sulla programmazione dell'offerta formativa integrata tra istruzione e formazione professionale, sulla programmazione della rete scolastica, sulla suddivisione del territorio regionale in ambiti funzionali al miglioramento dell'offerta formativa, sulla determinazione del calendario scolastico, sui contributi alle scuole non statali, sulle iniziative e sulle attività di promozione relative all'ambito delle funzioni attribuite. Oltre queste competenze non si può e non si deve andare. Il diritto all'apprendimento dell'alunno, le finalità dell'istruzione ancorate all'esercizio della cittadinanza italiana sono diritti dell'individuo/persona/lavoratore-lavoratrice che devono essere esercitati e garantiti in ogni luogo del nostro Paese, esigibili a prescindere dai confini territoriali;
28) una scelta ponderata e consapevole del Governo avrebbe quantomeno suggerito, nell'ambito della gradualità del processo, di escludere dal possibile riconoscimento di ulteriori e particolari forme di autonomia alle regioni le materie di legislazione esclusiva statale, tra cui le norme generali sull'istruzione e la tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali e alcune delle materie di legislazione concorrente, per le quali un'ulteriore devoluzione comporterà un rischio di disarticolazione di diritti fondamentali delle persone e dello sviluppo economico unitario del Paese, come la produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia, il governo del territorio, le grandi reti di trasporto e navigazione, fino alla valorizzazione dei beni culturali e ambientali;
29) l'integrazione delle fonti rinnovabili nel sistema energetico nazionale è impossibile senza unità e coordinamento nella pianificazione e nello sviluppo delle infrastrutture necessarie per la loro produzione e per la loro distribuzione, nonché per un'uniformità del processo autorizzativo su tutto il territorio nazionale. La notevole differenza di disponibilità finanziarie tra regioni, che si accentuerà con l'autonomia differenziata a causa della compartecipazione dei gettiti fiscali molto diversi tra regione e regione, creerà ulteriori ostacoli al loro coerente sviluppo, anche in settori strategici come le politiche in materia di energia, di reti di trasporto, di governo del territorio, di tutela dell'ambiente, di contrasto all'impatto dei cambiamenti climatici e di riduzione delle emissioni climalteranti, anche declinate attraverso una miriade di regolamentazioni autorizzative degli impianti produttivi e delle infrastrutture necessarie ad affrontare la sfida della transizione ecologica, energetica e produttiva, in un contesto in cui molte di queste materie sono delegate alla competenza sovranazionale dell'Unione europea;
30) si ricorda che, sotto il profilo dei controlli ambientali, l'esigenza di assicurare omogeneità ed efficacia all'esercizio dell'azione conoscitiva e di controllo pubblico della qualità dell'ambiente, a supporto delle politiche di sostenibilità ambientale e di prevenzione sanitaria a tutela della salute pubblica, ha reso necessario l'istituzione del Sistema nazionale delle agenzie ambientali al quale è stata altresì demandata la funzione di attuare i livelli essenziali delle prestazioni tecniche ambientali, che rappresentano i livelli qualitativi e quantitativi di attività che devono essere garantite in modo omogeneo a livello nazionale;
31) giustizia energetica e giustizia ambientale devono procedere parallelamente per poter garantire un benessere equo, diffuso, duraturo e condiviso a livello nazionale. Soltanto un cambiamento radicale del tessuto produttivo, con particolare riguardo all'eliminazione dei combustibili fossili dalla produzione di energia e dai processi produttivi, pianificato e progettato a livello nazionale, in sintonia con l'Unione europea e nel rispetto degli accordi internazionali siglati, può mitigare gli effetti della crisi e consentire la giusta resilienza del sistema produttivo italiano;
32) stando così le cose, la Repubblica si potrebbe ritrovare un corpus normativo frammentato tra regioni ordinarie ad autonomia differenziata, regioni ordinarie ad autonomia non differenziata e regioni a statuto speciale per tutte o ciascuna di tali materie. Ne risulterebbe un mosaico incomprensibile e ingestibile che nulla ha a che vedere con l'attuazione dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione;
33) l'autonomia differenziata espone l'intero Paese ai rischi di un indebolimento della capacità competitiva per effetto di una frammentazione insostenibile delle politiche pubbliche;
34) inoltre, la legge non assicura che siano al contempo determinati e debitamente finanziati, quindi concretamente attuabili, tutti i livelli essenziali delle prestazioni attinenti all'esercizio di diritti civili e sociali ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione;
35) particolare incertezza avvolge il futuro di materie, quali: la tutela dell'ambiente e dei beni culturali, la tutela e la sicurezza del lavoro, l'istruzione, la tutela della salute, le reti di trasporto, energetiche e della comunicazione, il commercio e le professioni, il coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario. In tutti questi campi, come anche in altri, non è chiaro quale possa essere il ruolo futuro del Parlamento e del Governo, quindi dello Stato, che dovrebbe invece poterne mantenere il controllo e la regia a garanzia di tutti i cittadini su tutto il territorio;
36) i criteri di accesso delle singole regioni alle competenze differenziate, per ciascuna materia o ambito di materia, andrebbero delineati per via legislativa e sulla base di valutazioni qualificate e analisi adeguate, concedendole purché la modifica dell'attuale riparto di competenze sia motivato dall'interesse nazionale;
37) una sonora bocciatura all'autonomia differenziata è arrivata anche dalla Commissione europea che nei rilievi di cui al Country report del 2023 ha sollevato numerosi dubbi in merito ai presunti rischi che l'autonomia differenziata porterebbe provocare in termini di aumento delle disparità e tenuta dei conti pubblici, nonché sulla capacità dei livelli essenziali delle prestazioni di compensare gli squilibri territoriali per l'incapienza dei necessari stanziamenti;
38) inoltre, è la Corte dei conti a ribadire che il conseguimento dell'autonomia differenziata debba essere inserito all'interno di un quadro di riferimento unitario e cooperativo e, se da una parte rimanda alla necessaria definizione dei livelli essenziali delle prestazioni, dall'altra rinvia alla necessità di realizzare una completa perequazione infrastrutturale, necessaria non solo per colmare le carenze di molte regioni, in particolare del Sud, ma anche all'interno delle regioni più sviluppate, dove talvolta convivono situazioni di marginalità;
39) il divario tra Nord e Sud e quello all'interno dei diversi territori, di cui all'articolo 119 della Costituzione, dovrebbero essere rimossi, invece per effetto del regionalismo differenziato essi tendono, se possibile, ad inasprirsi, in violazione del principio perequativo di cui all'articolo 174 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea e quindi dell'articolo 117 della Costituzione;
40) è stato posto in luce da numerosi costituzionalisti che «l'adozione, da parte della legge costituzionale n. 3 del 2001, del terzo comma dell'articolo 116 della Costituzione, in base alla quale “ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia possono essere attribuite ad altre regioni”, non può essere interpretata in forma espansiva, al di là della sfera dei meri poteri amministrativi, quasi che non vi siano limiti residuati a tutela della potestà legislativa statale, poiché nell'articolo 117 della Costituzione troviamo tuttora vigenti le disposizioni costituzionali che prevedono che il legislatore statale dispone del potere di disciplinare le materie di competenza esclusiva (secondo comma) e di stabilire i principi fondamentali nelle materie di competenza concorrente (terzo comma, ultimo periodo) e analogamente prevedono gli Statuti speciali»;
41) si segnala che la Corte costituzionale, con sentenza n. 274 del 2003, ha osservato che la novella costituzionale introdotta con la riforma del Titolo V, pur introducendo la pari dignità «orizzontale» tra le componenti territoriali della Repubblica, non comporta una totale equiparazione dello Stato alle altre componenti, in quanto lo stesso continua ad essere investito di peculiari funzioni non altrimenti esercitabili; come rilevato anche dalla Corte dei conti, «prendendo in considerazione il tema delle conseguenze del trasferimento delle ulteriori competenze sulle funzioni dello Stato, nella prospettiva dell'unità e indivisibilità della Repubblica e alla luce dei criteri individuati dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 274 del 2003, appare dubbio che nelle funzioni devolute non residui in capo allo Stato un margine di intervento, sia pure nel rispetto del principio di leale collaborazione; infatti, non deve venir meno un momento di coordinamento e di sintesi degli interessi generali del Paese»;
42) infine, i contesti di crisi nazionale e internazionale più recenti stanno dimostrando che un potere centrale incisivo, in termini di coordinamento e operatività, è indispensabile, mentre la frammentazione indebolirebbe l'Italia di fronte ai suoi competitori internazionali,
impegna il Governo:
1) a interrompere senza indugio ogni interlocuzione con le regioni Veneto e Lombardia, almeno fino alla prevista sentenza della Corte costituzionale, valutandone comunque gli eventuali effetti applicativi, o comunque fino allo svolgimento del referendum abrogativo;
2) a non dar nessun seguito a intese tra Stato e regione, finché non sarà disponibile il Fondo perequativo, così come previsto dall'articolo 119, terzo comma, della Costituzione;
3) ad adottare iniziative volte a garantire il rispetto, nelle eventuali future intese tra Stato e regioni, delle disposizioni degli articoli 9 e 41 della Costituzione, laddove si prevede che la Repubblica tutela l'ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi anche nell'interesse delle future generazioni, considerato che gli ecosistemi non conoscono confini amministrativi, e a rivalersi dell'onere finanziario sostenuto nei confronti delle regioni che dovessero subire una procedura d'infrazione;
4) ad adottare iniziative volte a garantire comunque un programma nazionale pluriennale di investimenti, che integri le risorse vigenti, e finalizzato a garantire la continuità territoriale e la riduzione dei forti squilibri infrastrutturali nelle regioni del Mezzogiorno e delle isole in cui i servizi di trasporto ferroviario e pubblico sono drammaticamente carenti;
5) nell'ambito dei negoziati relativi a eventuali future intese tra Stato e regioni, ad adottare iniziative di competenza volte a limitare il più possibile i contenuti riguardanti la materia del diritto alla salute, materia che deve mantenere una dimensione nazionale, affinché il Ministero della salute assuma il vero ruolo centrale, evitando che la dimensione locale diventi quella primaria, perché sono forti i rischi per l'integrazione sociale e l'unità del Paese se i cittadini non condividono gli stessi principi di giustizia sociale in un ambito rilevante come quello della salute;
6) a prevedere nel prossimo disegno di legge di bilancio risorse economiche sufficienti per allineare la spesa sanitaria almeno con gli altri Paesi dell'Unione europea, garantendo un accesso alle cure veramente equo e universale in ogni parte del Paese;
7) ad aggiornare il cronoprogramma del Piano nazionale di ripresa e resilienza relativo ai milestone M1C1-119 e M1C1-120, al fine di garantire il completamento della riforma del quadro fiscale subnazionale e la piena attuazione dei meccanismi perequativi per province e regioni, prevedendo l'istituzione presso il Ministero dell'economia e delle finanze di un fondo alimentato annualmente dalla differenza tra la quota di gettito fiscale di compartecipazione maturato in ciascuna regione e il costo complessivo dei fabbisogni standard dalla stessa sostenuto, al fine di compensare il minor gettito di compartecipazione maturato in quei territori a minore capacità fiscale pro capite che avrebbero maggiori difficoltà ad accedere alle funzioni aggiuntive;
8) a prevedere, nel prossimo provvedimento legislativo utile, una più precisa definizione del modello di finanziamento dell'autonomia differenziata verso cui orientare il sistema, accompagnata da adeguati presidi al fine di garantire il coordinamento della finanza pubblica tra i diversi livelli di Governo e di assicurare una piena condivisione degli obiettivi programmatici, l'uniformità nelle metodologie per la revisione dei fabbisogni e meccanismi per assicurare il contributo delle regioni ad autonomia differenziata in caso di esigenze eccezionali di finanza pubblica;
9) nell'ambito dei negoziati di future intese tra Stato e regioni, ad adottare iniziative di competenza volte a circoscrivere al massimo i contenuti riguardanti la materia dell'istruzione;
10) ad evitare nelle future intese eventuali asimmetricità tra le diverse regioni che possano in futuro intaccare l'eguaglianza di diritti civili dei cittadini che deve restare uniforme in tutto il Paese;
11) ad evitare che l'accesso alle procedure concorsuali del personale amministrativo, di tutti gli uffici giudiziari, con particolare riferimento alla giustizia di pace, sia frammentato e regionalizzato, poiché l'amministrazione della giustizia, nel nostro Paese, rappresenta un settore importante e delicato che ha bisogno di personale con un'adeguata, appropriata e omogenea formazione in tutto il territorio;
12) ferme restando le prerogative parlamentari, a valutare gli effetti applicativi della disposizione di cui all'articolo 2, comma 2, della legge n. 86 del 2024 e ad adottare iniziative di competenza volte a rivederla al fine di escludere la materia «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia»;
13) a prevedere, nel primo provvedimento utile, che il richiamo all'insularità, nell'ambito del rispetto dei princìpi di unità giuridica ed economica, di coesione economica, sociale e territoriale sia esteso anche ai territori transfrontalieri e di montagna, in quanto caratterizzati da gravi e permanenti svantaggi naturali o demografici, in coerenza con quanto stabilito dai citati articoli 174 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea e dal secondo comma dell'articolo 44 della Costituzione;
14) a prevedere il ripristino, nel primo provvedimento utile, della dotazione del «Fondo perequativo infrastrutturale»;
15) nell'ambito dei negoziati relativi a future intese tra Stato e regioni, ad affrontare con la massima prudenza le materie riguardanti i livelli essenziali delle prestazioni, limitando il negoziato stesso esclusivamente a specifiche competenze o funzioni;
16) a prevedere analisi di impatto preventive per qualsiasi formalizzazione di intesa su ulteriori forme di autonomia differenziata sulle materie non riguardanti i livelli essenziali delle prestazioni;
17) ad adottare iniziative anche di carattere normativo volte a prevedere l'attribuzione delle prerogative di valutazione degli oneri finanziari derivanti dalle intese di ulteriori forme di autonomia differenziata, nonché di ricognizione dell'allineamento tra i fabbisogni di spesa già definiti e l'andamento del gettito dei tributi compartecipati per il finanziamento delle medesime funzioni, ad un organismo tecnico unico in luogo della molteplicità di commissioni paritetiche bilaterali, in modo tale da evitare, altresì, che con l'andare del tempo si arrivi a diminuzioni delle prestazioni non trasferite e ad inasprimenti del prelievo fiscale per preservare gli equilibri di bilancio;
18) ad adottare iniziative anche di carattere normativo volte a prevedere che gli schemi di decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, di cui all'articolo 3, comma 7, della legge n. 86 del 2024 siano corredati, all'atto della relativa trasmissione alle Camere ai fini dell'acquisizione dei pareri delle Commissioni parlamentari competenti per materia e per i profili finanziari, di una relazione tecnica redatta in conformità a quanto previsto dall'articolo 17 della legge 31 dicembre 2009, n. 196;
19) a non avviare negoziati su atti di iniziativa delle regioni e a non procedere nel confronto congiunto sugli atti di iniziativa sui quali tale confronto sia stato già avviato prima dell'entrata in vigore della legge n. 86 del 2024, fino alla definizione dei relativi livelli essenziali delle prestazioni secondo quanto indicato nelle premesse;
20) a valutare l'adozione delle opportune iniziative, anche normative, volte a prevedere, prima di procedere alla stipula di intese che prevedano l'attribuzione di funzioni relative alle ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia sulle materie escluse dalla determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni, la predisposizione di un'analisi di impatto della regolamentazione che tenga conto della valutazione degli effetti delle ipotesi di intervento normativo e regolamentare regionale, nonché di atti amministrativi generali, di programmazione o pianificazione, ricadenti sulle attività dei cittadini e delle imprese e sull'organizzazione e sul funzionamento delle pubbliche amministrazioni, anche mediante comparazione di opzioni alternative, tenendo conto della necessità di assicurare il corretto funzionamento concorrenziale del mercato, la tutela delle libertà individuali e la tenuta dei principi generali dell'ordinamento, da presentare alle Camere per l'esame secondo i rispettivi regolamenti;
21) a dare attuazione alla legge n. 86 del 2024 in rigorosa conformità agli effetti inderogabili del combinato disposto degli articoli 116 e 117 della Costituzione, in particolare intervenendo a limitare correttamente l'oggetto del negoziato, qualora le regioni richiedano il trasferimento di intere materie o di tutte le funzioni concernenti le materie richiamate dall'articolo 116, terzo comma, della Costituzione;
22) al fine di salvaguardare i principi fondamentali e l'unitarietà del Servizio sanitario nazionale, a incrementare le risorse disponibili, finanziarie e professionali, per il funzionamento e il potenziamento del Servizio sanitario nazionale su tutto il territorio nazionale, nel rispetto dei principi di equità, di solidarietà e di universalismo, al fine di allineare progressivamente il livello della spesa sanitaria alla media dell'Unione europea, garantendo risorse adeguate a tutti i nuovi livelli essenziali di assistenza, riducendo gli attuali divari territoriali tra Nord e Sud nell'offerta dei servizi e delle prestazioni, nonché le interminabili liste d'attesa che costringono i cittadini a ricorrere al privato, contrastando la «frattura strutturale» Nord-Sud, che comprometterà l'uguaglianza dei cittadini nell'esercizio del diritto costituzionale alla tutela della salute;
23) ad adottare iniziative volte a destinare maggiori risorse a Roma capitale, tenuto conto del suo ruolo e delle sue funzioni, al pari della considerazione che altri Paesi europei hanno verso le loro capitali;
24) ad adottare iniziative di carattere normativo volte a istituire, reperendo le risorse finanziarie utili, a tal fine bilanciando l'attuazione del principio di uguaglianza di cui all'articolo 3 della Costituzione e il rispetto degli equilibri di bilancio di cui all'articolo 81 della Costituzione, preliminarmente all'adozione dei decreti del Presidente del Consiglio dei ministri di cui all'articolo 3 della legge n. 86 del 2024 per la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale e dei relativi costi e fabbisogni standard, di un fondo perequativo per i territori con minore capacità fiscale per abitante da ripartire, nel rispetto dei costi standard associati ai livelli essenziali delle prestazioni, in piena collaborazione con le regioni e gli enti locali;
25) ad adottare iniziative anche di carattere normativo volte ad istituire un tavolo di confronto tecnico-politico, cui partecipano, unitamente al Ministro per gli affari europei, le politiche di coesione e il Pnrr, i rappresentanti dei Ministeri competenti e interessati, dell'Anci, dell'Upi, della Conferenza delle regioni e delle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative, della Corte dei conti, del Consiglio di Stato, della Banca d'Italia, della Ragioneria generale dello Stato e dell'Ufficio parlamentare di bilancio e di tutti gli altri organismi pubblici competenti nelle specifiche funzioni, al fine di individuare le modalità di attuazione degli articoli 117, secondo comma, lettera m), e 119, quinto comma, della Costituzione, con riferimento alle materie o ambiti di materie non coinvolti nell'attuazione dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione e riguardanti la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni per i servizi di competenza degli enti territoriali;
26) ad adottare iniziative di competenza volte ad assicurare l'omogeneità ed efficacia dell'esercizio dell'azione conoscitiva e di controllo pubblico della qualità dell'ambiente, a supporto delle politiche di sostenibilità ambientale e di prevenzione sanitaria a tutela della salute pubblica, attraverso il Sistema nazionale delle agenzie ambientali al quale è stata altresì demandata la funzione di attuare i livelli essenziali delle prestazioni tecniche ambientali.
(1-00339) «Zaratti, Zanella, Bonelli, Fratoianni, Borrelli, Dori, Ghirra, Grimaldi, Mari, Piccolotti».
(7 ottobre 2024)
La Camera,
premesso che,
1) nel giugno 2024, dopo un accesissimo dibattito parlamentare, è stata approvata la legge n. 86 del 2024, che ha introdotto «Disposizioni per l'attuazione dell'autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario ai sensi dell'articolo 116, comma terzo, della Costituzione»;
2) tale legge, come è noto, è diventata oggetto di una proposta di referendum per la quale sono state raccolte più di un milione di firme in appena tre mesi, trattandosi di una legge che pregiudica la coesione sociale del nostro Paese, introduce veri e propri elementi di rottura dell'unità nazionale – laddove, per esempio, permette che in Italia potranno essere adottate fino a venti politiche energetiche differenti, una per ciascuna regione, o laddove, per esempio, consente che ciascuna regione possa promuovere programmi e concorsi differenti per le scuole o retribuire in modo diverso i propri docenti – e costringerà sempre più italiani ad emigrare al Nord per curarsi, allungando le già lunghe liste d'attesa, o i nostri giovani ad abbandonare le aree interne, con un aggravamento della spesa pubblica annuale, secondo alcune stime pubblicate sullo stesso sito del Dipartimento per le politiche di coesione e per il Sud, pari a circa 19.000 euro per ciascun cittadino del Nord, e a circa 14.000 euro per ciascun cittadino del Sud;
3) tra gli elementi particolarmente problematici della legge n. 86 del 2024 va senz'altro rilevata la separazione tra le materie «lep» e le materie «non lep», che risulta sbagliata sia sotto il profilo procedurale – perché di fatto raddoppierà per ciascuna regione il numero di intese, con un conseguente aggravio sia per il Governo che per il Parlamento – sia sotto il profilo sostanziale, non consentendo la separazione tra materie «lep» e «non lep» una valutazione complessiva e coerente sia sul piano politico che su quello tecnico, con particolare riferimento all'attribuzione del personale e delle risorse finanziarie, di ognuna delle funzioni per le quali ciascuna regione potrà chiedere l'esercizio di un'autonomia differenziata;
4) è del tutto controproducente prevedere, come la legge n. 86 del 2024 fa, che ciascuna regione possa avanzare la richiesta per l'attribuzione di funzioni inerenti a materie «non lep», anche prima della determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni, e farlo con riferimento a funzioni che permetterebbero, ad esempio, alle singole regioni di sponsorizzare e firmare i propri contratti di export o di promozione per conto proprio, autorizzando una competizione nociva, come nel caso della promozione all'estero di un vino di una regione ai danni di quello di un'altra, così dimenticando che il marchio da esportare all'estero non è quello delle singole regioni, ma quello del made in Italy, al quale il Governo in carica ha dedicato persino un Ministero;
5) sarebbe stato assi più opportuno, come sistematicamente richiesto durante i lavori parlamentari che hanno condotto all'approvazione della legge n. 86 del 2024, una previa definizione di tutti i livelli essenziali delle prestazioni e del relativo finanziamento, assistito dalle necessarie misure perequative, e, solo successivamente, un esame complessivo per ciascuna regione di tutte le richieste, sia su materie «lep» che «non lep», inerenti una maggior autonomia;
6) il 25 settembre 2024 si è riunito il Comitato per la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni (Clep), presieduto dal professor Sabino Cassese, per esaminare il documento elaborato dalla Sottocommissione dei dodici, che ha il compito di elaborare i criteri in base ai quali la Commissione tecnica determinerà poi i valori dei fabbisogni standard; tale organo, nominato dalla Presidenza del Consiglio dei ministri, è presieduto da Elena D'Orlando, una giurista in passato facente parte della delegazione scelta da Zaia proprio per «trattare» per conto del Veneto i margini di autonomia nella negoziazione con il Governo sulle materie da attribuire alla regione per l'esercizio di un'autonomia differenziata;
7) in questo documento, secondo quanto riportato dalla stampa e in alcuni atti di controllo al Senato, sarebbe previsto che i fabbisogni standard andrebbero determinati sulla «base delle caratteristiche dei diversi territori, del clima, del costo della vita e degli aspetti sociodemografici della popolazione residente», una scelta questa che rischia di consolidare e aumentare le differenze già esistenti nell'offerta dei servizi; con riferimento poi a criteri, come quello del «costo della vita», tale scelta determinerebbe un'inevitabile differenziazione degli stessi fabbisogni e, di conseguenza, dei livelli essenziali delle prestazioni nell'ambito del territorio nazionale e, soprattutto, nel Mezzogiorno e nelle aree interne del Paese;
8) determinare i fabbisogni standard sulla base di criteri quali il clima, il costo della vita e gli aspetti sociodemografici della popolazione residente significa, in settori come, ad esempio, quello dell'istruzione, comporterà che in futuro un insegnante del Mezzogiorno o di un'area interna potrebbe essere pagato meno del collega di una città metropolitana, così determinando un surrettizio e antistorico scivolamento verso il modello delle gabbie salariali, che furono oggetto di uno specifico accordo tra le parti sociali nel 1945, definitivamente archiviato nel 1972 e che aveva determinato quel fenomeno che fu opportunamente definito «La giungla retributiva», poiché disattendeva il principio del riconoscimento dell'identica retribuzione per la medesima prestazione lavorativa;
9) la subordinazione della determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni ai suddetti criteri si pone in evidente contrasto anche con quanto stabilito dalla stessa legge 26 giugno 2024, n. 86, che, all'articolo 1, stabilisce che i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, ivi compresi quelli connessi alle funzioni fondamentali degli enti locali, «devono essere garantiti equamente su tutto il territorio nazionale» e che, all'articolo 4, comma 1, in merito al trasferimento delle funzioni da effettuarsi soltanto dopo la determinazione dei medesimi livelli essenziali delle prestazioni e dei relativi costi e fabbisogni standard, prevede, in modo esplicito, che detto trasferimento può realizzarsi solo successivamente all'entrata in vigore dei provvedimenti legislativi di stanziamento delle risorse finanziarie volte «ad assicurare i medesimi livelli essenziali delle prestazioni sull'intero territorio nazionale, ivi comprese le Regioni che non hanno sottoscritto le intese, al fine di scongiurare disparità di trattamento tra Regioni (...)»;
10) una volta definiti i livelli essenziali delle prestazioni, occorrerebbe consentire al Parlamento di fare una valutazione complessiva delle risorse che sono necessarie per finanziare tali livelli essenziali delle prestazioni e decidere di conseguenza, nel rispetto della Costituzione, priorità e grado della loro attuazione;
11) del resto, già in sede di esame del disegno di legge da parte del Parlamento, diversi illustri costituzionalisti auditi sollevarono, in merito alla determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni – come prevista dal testo – rilievi di incostituzionalità poiché il metodo previsto avrebbe comportato il rischio (allora e la certezza adesso) di cristallizzare le differenze territoriali esistenti;
12) accanto al tema della corretta definizione dei livelli essenziali delle prestazioni, vi è quello delle risorse necessarie a garantirli su tutto il territorio nazionale, risorse delle quali al momento non si è ravvisata traccia;
13) anzi, la legge n. 86 del 2024, così come le disposizioni dell'articolo 1, comma 793, lettera d), della legge di bilancio per il 2023, hanno subordinato la stessa determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni agli stanziamenti di bilancio disponibili a legislazione vigente o a quelli resi disponibili dalle leggi di bilancio, così subordinando la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni inerenti ai diritti civili e sociali – che l'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione prevede debbano essere garantiti su tutto il territorio nazionale – ad un criterio squisitamente economico;
14) l'articolo 116, terzo comma, della Costituzione prevede che ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia possano essere attribuite ad altre regioni solo nel rispetto dei principi di cui all'articolo 119 della Costituzione: tale articolo pone infatti una norma cardine dell'ordinamento per l'attuazione di un regionalismo solidale, ricavabile dalla previsione della perequazione rivolta ai territori con minore capacità fiscale; sempre l'articolo 119, al quinto comma, stabilisce che lo Stato deve destinare risorse aggiuntive ed effettuare interventi speciali per promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale, al fine di rimuovere gli squilibri economici e sociali e favorire l'effettivo esercizio dei diritti della persona; con la legge di bilancio per il 2024 il Governo ha peraltro definanziato l'esistente Fondo perequativo infrastrutturale;
15) come sottolineato da numerosi professori durante le audizioni, la legge n. 86 del 2024, al contrario, passa dalla concezione di un regionalismo solidale e cooperativo a declinazioni meramente competitive dello stesso: con specifico riferimento al finanziamento delle funzioni che dovrebbero essere trasferite, infatti, il disegno di legge in esame prevede una clausola di invarianza finanziaria all'articolo 9, comma 1, dove viene espressamente stabilito che «dall'applicazione della presente legge e di ciascuna intesa non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica»; la stessa clausola di neutralità finanziaria tuttavia pare poi smentita da un inciso dello stesso articolo 4, comma 1, in cui si dice che eventuali «maggiori oneri a carico della finanza pubblica» potranno condizionare il trasferimento delle funzioni allo stanziamento delle risorse necessarie, sicché si apre una prospettiva di grande confusione, che mette a rischio la stessa tenuta del sistema di finanza pubblica italiano;
16) particolarmente problematica sotto il profilo costituzionale è poi la previsione dell'articolo 5 del provvedimento laddove prevede che quote di compartecipazione al gettito di tributi erariali vengano definite nelle intese, senza dettare però alcun criterio sull'ammontare di queste quote di compartecipazione ai tributi erariali che dovranno essere garantite dalle regioni differenziate e che serviranno a finanziare le funzioni ad esse affidate;
17) l'affidamento alla negoziazione tra Stato e regioni di scelte tributarie, potenzialmente decisive sul bilancio dello Stato, appare un'opzione non solo rischiosa e irragionevole, ma anche lesiva degli articoli 3 e 81 della Costituzione;
18) la previsione dell'articolo 5, comma 2, appare poi del tutto incoerente con quella del successivo articolo 9, comma 3, laddove prevede che «le intese, in ogni caso, non possono pregiudicare l'entità e la proporzionalità delle risorse da destinare a ciascuna delle altre Regioni», una clausola di salvaguardia questa irrealizzabile senza una previa determinazione della quota di compartecipazione al gettito erariale che dovrà essere corrisposta dalle singole regioni differenziate,
impegna il Governo:
1) ad attuare una moratoria delle intese in atto, astenendosi dall'avviare o proseguire qualunque negoziato inerente alle materie «non lep», prima di aver determinato i livelli essenziali delle prestazioni relativi alle materie già di competenza delle regioni e dei comuni ai sensi delle legge n. 42 del 2009 e per i quali è stato assunto un impegno ad adempiere entro il 2026 nel quadro del Piano nazionale di ripresa e resilienza e prima che siano stati comunque definiti i livelli essenziali delle prestazioni da attuarsi su tutto il territorio nazionale ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione, con la conseguente individuazione delle risorse che ne rende possibile il finanziamento.
2) al fine di assicurare l'unità giuridica, economica e sociale della Repubblica e di non compromettere in ogni caso l'attuazione uniforme dei livelli essenziali delle prestazioni inerenti ai diritti civili e sociali su tutto il territorio nazionale, a non subordinare la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni a criteri che penalizzerebbero le regioni e le aree più povere del Paese, a conferma di una visione che – in contrasto con la Costituzione e con lo stesso Titolo V- certifica i divari territoriali, non garantendo a tutti i cittadini, ovunque risiedano, il pieno godimento delle prestazioni inerenti ai diritti civili e sociali, come avverrebbe nel caso del parametro sul «costo della vita» o come nel caso del criterio della spesa storica, che riflette e consolida le disuguaglianze territoriali esistenti;
3) ad adottare iniziative anche di carattere normativo a prevedere che ogni possibile trasferimento di funzioni, sia nelle materie «lep» che in quelle «non lep», sia accompagnato dall'adozione di idonee misure perequative, così come previsto dall'articolo 119 della Costituzione, per sostenere le regioni con minore capacità fiscale;
4) ad adottare ogni iniziativa utile di carattere normativo, fin dal prossimo disegno di legge di bilancio, volta a reperire tutte le risorse necessarie ad assicurare l'attuazione dei livelli essenziali delle prestazioni non solo relativamente alle materie devolvibili alle regioni ai sensi dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione, ma prima ancora nelle materie già di competenza delle regioni e dei comuni ai sensi della legge n. 142 del 2009, anche istituendo un fondo perequativo a garanzia della loro attuazione e dei relativi costi e fabbisogni standard per tutelare quelle regioni che non intendano richiedere ulteriori forme e condizioni di autonomia, nonché a rifinanziare già dal prossimo disegno di legge di bilancio il fondo perequativo infrastrutturale;
5) a promuovere, per quanto di competenza, un adeguato coinvolgimento del Parlamento non solo in tutte le fasi di negoziazione delle intese, ma anche nella delicata valutazione complessiva delle risorse che saranno necessarie per finanziare i livelli essenziali delle prestazioni, nel rispetto della Costituzione e in considerazione delle priorità che debbono essere perseguite e del grado della loro attuazione;
6) a presentare entro sei mesi una relazione dettagliata alle Camere sull'impatto che il trasferimento di funzioni «lep» e «non lep» può determinare non solo sulle altre regioni, ma anche sulla coesione sociale e sull'unità economica, giuridica e sociale di tutto il territorio nazionale, anche al fine di scongiurare ogni possibile effetto distorsivo nell'efficacia e nella coerenza dell'azione, anche europea ed internazionale, del nostro Paese.
(1-00340) «Sarracino, Bonafè, Schlein, Braga, Cuperlo, Fornaro, Mauri, Ubaldo Pagano, Guerra, De Luca, Toni Ricciardi, Casu».
(7 ottobre 2024)