TESTI ALLEGATI ALL'ORDINE DEL GIORNO
della seduta n. 353 di Martedì 24 settembre 2024

 
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INTERPELLANZA E INTERROGAZIONI

A) Interrogazione

   ZANELLA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per lo sport e i giovani, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:

   l'articolo 2, comma 2 del decreto-legge 11 marzo 2020, n. 16, come sostituito dal comma 3 dell'articolo 34 del decreto-legge 9 agosto 2022, n. 115 convertito con legge 142 del 2022, prevede che la Fondazione Milano-Cortina 2026, costituita in data 9 dicembre 2019 ai sensi dell'articolo 14 del codice civile, svolga tutte le attività di gestione, organizzazione, promozione e comunicazione degli eventi sportivi relativi ai Giochi olimpici di Milano-Cortina 2026;

   la Fondazione è amministrata esclusivamente da un consiglio di amministrazione, composto da 14 membri, di cui 7 nominati d'intesa dal Coni e dal Comitato italiano paralimpico, uno dei quali con funzioni di presidente, 6 nominati d'intesa dalla regione Lombardia, dalla regione Veneto, dalle province autonome di Trento e Bolzano, dal comune di Milano e dal comune di Cortina d'Ampezzo e 1 con funzioni di amministratore delegato, nominato con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri;

   la Fondazione è un ente avente personalità giuridica che implica la separazione del suo patrimonio da quello dei suoi amministratori, condizione regolata dal decreto del Presidente della Repubblica 10 febbraio 2000, n. 361 che all'articolo 1 stabilisce come, ai fini del riconoscimento, sia necessario un patrimonio adeguato alla realizzazione dello scopo;

   lo statuto della Fondazione Milano-Cortina 2026, approvato con l'atto costitutivo il 9 dicembre 2019, proprio per recepire il principio dell'adeguatezza, vincolerebbe a 50 mila euro il patrimonio minimo, al di sotto del quale, in caso di perdite, il consiglio di amministrazione è chiamato, senza indugio, a deliberare quanto necessario per la sua integrazione sino al suo ripristino o, in caso contrario, deliberare la trasformazione, fusione o scioglimento della Fondazione con la cessazione di ogni attività;

   secondo quando si apprende da organi di stampa, nel 2020 la Fondazione, nonostante avesse perso 6.264.081 euro, senza che fosse deliberato alcun provvedimento d'integrazione del patrimonio, ha continuato la sua attività. Nel 2021 avrebbe perso ulteriori 21.217.315 euro e nel 2022 altri 54.784.542 euro. Il 17 gennaio 2023, prima di ufficializzare con il bilancio la perdita del 2022, la disposizione a garanzia della presenza del patrimonio minimo sarebbe stata eliminata con una modifica dello statuto. Infine nel 2023 si sarebbe registrata un'ulteriore perdita di 33.725.504 euro, con un totale di deficit patrimoniale cumulato pari a 107.800.743 euro;

   la recente memoria del procuratore della Corte dei conti del Veneto, nel porre in evidenza tale deficit patrimoniale cumulato al 31 dicembre 2023, rileva come la Fondazione continui ad operare in condizioni di deficit patrimoniale in costante peggioramento, senza che si ravvisino elementi di certezza sull'eventuale capacità di miglioramento economico dal business plan 2024-2026, redatto dalla stessa Fondazione, che soffre ad oggi di una certa aleatorietà sulla effettiva capacità di far fronte alle obbligazioni finora assunte e ai costi già sostenuti;

   i debiti finali, in buona sostanza, rischiano di finire tutti a carico dello Stato italiano e degli enti territoriali coinvolti nella gestione dei Giochi olimpici 2026, il che fa della Fondazione un organismo che sicuramente riversa nel pubblico le conseguenze delle sue azioni –:

   se il Governo non ritenga urgente fornire chiarimenti al Parlamento sulla situazione di grave deficit della Fondazione Milano-Cortina 2026, quali iniziative, per quanto di competenza, siano state assunte in ordine all'operato del consiglio di amministrazione della Fondazione e alle ricadute economiche che tale gestione rischia di produrre sul bilancio dello Stato e sugli enti territoriali coinvolti nella gestione dei Giochi, per onorare gli impegni assunti dall'Italia in sede internazionale, considerato che, come previsto dalla disciplina vigente dal funzionamento del Comitato organizzatore, non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.
(3-01343)

(18 luglio 2024)

B) Interpellanza

   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro della giustizia, per sapere – premesso che:

   il tirocinio formativo ex articolo 73 del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, presso gli uffici giudiziari è un'attività che prevede, per gli studenti che al termine del loro percorso universitario hanno raggiunto un voto superiore al 105 o che hanno una media pari o superiore al voto 27 nelle materie principali, l'affiancamento per 18 mesi ad un magistrato al fine di collaborare nello svolgimento della funzione giudiziaria;

   il bando prevede che il tirocinante svolga l'affiancamento al magistrato per un minimo di due giorni a settimana seguendo il proprio affidatario nella redazione di sentenze, ordinanze e decreti, dello studio di fascicoli, della scrittura dei verbali d'udienza ed altro;

   all'interno del bando è previsto un rimborso spese per il tirocinante di 400 euro lordi al mese, che verranno erogati solo al termine del tirocinio compilando la relativa domanda di borsa di studio. Tale borsa di studio viene erogata ai tirocinanti sulla base dei fondi stanziati dal Ministero della giustizia anno per anno e assegnati in base alla graduatoria basata sull'Isee;

   dal 2013 al 2021 i fondi stanziati dal Ministero della giustizia hanno coperto interamente tutte le domande di borsa di studio; nell'anno 2022, che fa riferimento alle domande di borsa dell'anno di tirocinio presentate nel 2021, le risorse messe a disposizione non sono state sufficienti escludendo così 1200 richiedenti;

   il Ministero, edotto della situazione, ha stanziato l'anno scorso un'integrazione di fondi per 5 milioni di euro (con decreto interministeriale del 6 marzo 2023, integrazione delle risorse destinate alle borse di studio per i tirocini formativi svolti nell'anno 2021 presso gli uffici giudiziari, Gazzetta Ufficiale serie generale n. 95 del 22 aprile 2023) per poter coprire tutte le borse rimaste fuori in riferimento all'anno di tirocinio del 2021;

   il contenuto di tale decreto riporta quanto segue: L'ammontare delle risorse destinate agli interventi di cui all'articolo 73, comma 8-bis, del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 98, di cui al decreto interministeriale 24 dicembre 2021, è incrementato dell'importo di euro 5.500.000;

   alla fine dell'anno 2023, in attesa della nuova graduatoria per le domande di tirocinio presentate nell'anno 2022, i fondi stanziati non sono stati sufficienti e le richieste escluse dal rimborso sono risultate 714, poi diminuite a 350 grazie alle rimanenze finanziarie dell'anno precedente;

   lo svolgimento del tirocinio e l'esclusione dalla possibilità del rimborso sono in contrapposizione con la risoluzione del Parlamento europeo del 14 giugno 2023 «recante raccomandazioni alla Commissione concernenti tirocini di qualità nell'Unione», in merito a nuove regole anti-sfruttamento in tutta l'Unione che obbliga gli Stati membri a normare la retribuzione obbligatoria per gli stage e tirocini;

   in data 7 luglio 2023, è stata pubblicata la graduatoria definitiva degli aventi diritto all'assegnazione delle borse di studio, pari a 400 euro mensili lordi, di cui al decreto interministeriale 30 dicembre 2022, recante la determinazione annuale delle risorse destinate all'attuazione degli interventi di cui all'articolo 73 del decreto-legge n. 69 del 2013, convertito con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013 n. 98, nonché l'individuazione dei requisiti per l'attribuzione delle borse di studio per l'attività di tirocinio espletata durante l'anno solare 2022 dai cosiddetti tirocinanti giudiziari, di cui all'articolo 73 del decreto-legge n. 69 del 2013;

   si evidenzia che l'importo complessivo liquidabile, al netto di Irap e come da specificazione resa dalla Direzione bilancio e contabilità, ammonta a complessivi euro 8.287.389,86 netti (pari a lordi euro 8.991.818,00) e che, a fronte di 3586 domande di borsa di studio validate nel software ministeriale, ne sono state accolte 2872 (per cui verrà erogata la borsa di studio), pari all'80,09 per cento delle domande ricevute e validate;

   sono, pertanto, rimasti esclusi dall'assegnazione della borsa di studio, 714 tirocinanti giudiziari i quali non percepiranno alcun rimborso per lo svolgimento delle mansioni espletate nel 2022;

   il reddito Isee-U risultato idoneo per l'attribuzione del beneficio è all'incirca a euro 68.990,66;

   con successivo decreto interministeriale del 29 agosto 2023 sono stati destinati i fondi rimanenti dell'integrazione precedente per le borse escluse in riferimento all'anno 2022;

   si rappresenta che l'importo complessivo liquidabile, al netto di Irap e come da specificazione resa dalla Direzione bilancio e contabilità del Ministero della giustizia, ammonta a complessivi euro 1.223.687 (pari a lordi euro 1.327.700) e che, grazie a tale importo, sono state accolte ulteriori 385 domande di borsa di studio;

   sono, pertanto, rimasti esclusi dall'assegnazione della borsa di studio, 329 tirocinanti giudiziari i quali non percepiranno alcun rimborso per lo svolgimento delle mansioni espletate nel 2022;

   di contro, nel 2019 sono state accolte il 92,53 per cento delle domande e nel 2020 il 99,69 per cento delle domande, dati che hanno creato nei tirocinanti la legittima aspettativa di ricevere un rimborso;

   inoltre, il meccanismo di assegnazione del rimborso non presenta gradualità, con la conseguenza che chi non rientra nella graduatoria definitiva perde l'intero rimborso –:

   se stia valutando delle soluzioni in extremis, come già avvenuto nel 2023 attraverso iniziative di stanziamento apposito di fondi;

   se consideri una riorganizzazione generale dell'intero sistema che superi la logica dei tirocini e degli stage non retribuiti e che risolva tutte le gravi criticità giuridiche ed economiche del sistema de quo;

   se, a seguito della risoluzione del Parlamento europeo del 14 giugno 2023 prima citata, intenda prevedere una nuova regolamentazione che migliori la situazione di coloro che svolgano il tirocinio presso gli uffici giudiziari dall'inizio e per tutta la durata del percorso di stage.
(2-00321) «Ciocchetti».

(6 febbraio 2024)

C) Interrogazione

   SCARPA, DI BIASE, SERRACCHIANI, LACARRA e GIANASSI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   il Ministero della giustizia ha avviato da molti anni un processo di digitalizzazione del processo penale telematico che si svolge tramite servizi forniti da aziende esterne che concorrono a gare pubbliche periodicamente bandite dal suddetto Ministero;

   in data 10 agosto 2023 il Ministero della giustizia ha determinato di indire una nuova procedura aperta, suddivisa in 5 lotti, per l'affidamento del servizio di digitalizzazione dei fascicoli giudiziari di Procure della Repubblica, Tribunali ordinari – sezioni penali, Corti d'appello – sezioni penali per la durata di 30 mesi;

   nel giugno 2024 si è proceduto con l'affidamento dei lotti: i primi 4 lotti sono stati affidati ad una medesima azienda, il quinto, riguardante le regioni di Lazio, Umbria, Toscana e Abruzzo, affidato ad una seconda azienda. In merito all'assegnazione i sindacati confederali, in particolare la CGIL Roma e Lazio, assieme alla Fiom CGIL, Fp CGIL e Nidil CGIL Roma e Lazio, denunciano una ricerca del massimo ribasso nell'assegnazione del quinto lotto;

   in particolare, le organizzazioni sindacali denunciano una scarsa attenzione ai lavoratori già operanti da diversi anni nell'ambito dei servizi di digitalizzazione, al servizio delle diverse aziende che si sono susseguite nell'aggiudicarsi l'appalto. In genere, nel rispetto del Ccnl metalmeccanici, si prevede un periodo di 15 giorni di contrattazione con i sindacati per concordare le nuove condizioni di assunzione dei lavoratori, a tutela della loro dignità e professionalità, nonché anzianità. Tuttavia la proposta incorsa per la reintegrazione dei lavoratori da parte della nuova azienda che si è aggiudicata l'appalto prevede il passaggio ad un altro inquadramento contrattuale, implicando un peggioramento delle condizioni di lavoro e una discontinuità contrattuale che penalizzerebbe i benefici acquisiti per anzianità di servizio. Inoltre, verrebbero assunti con un contratto a tempo determinato, e con un compenso eroso rispetto a quello percepito fino al mese di giugno 2024;

   molti lavoratori, attualmente a tempo indeterminato, svolgono attività connesse alle operazioni di digitalizzazione da oltre 20 anni e, accanto ad essi, si affiancano molteplici lavoratori a tempo determinato e in somministrazione, che sarebbe auspicabile stabilizzare. Non è peraltro trascurabile che i suddetti lavoratori operano nella gestione di attività estremamente delicate e con accesso ad informazioni estremamente sensibili e che una successione di lavoratori precari rendono quindi molto vulnerabile il sistema di garanzia della segretezza degli atti che vengono giornalmente lavorati in quelle attività;

   è evidente che vi sia un tentativo di risparmio di risorse che va a danno dei lavoratori, che non hanno intenzione di accettare delle condizioni peggiorative, per loro e per le loro famiglie, e che per questo negli scorsi giorni hanno manifestato il loro dissenso. Ciò che risulta particolarmente grave è, ad avviso degli interroganti, che questo risparmio a scapito della dignità dei lavoratori è ad opera della pubblica amministrazione, che sacrifica decine di famiglie sull'altare del massimo ribasso;

   a partire dal primo luglio 2024 i servizi di digitalizzazione, fondamentali per lo svolgimento di istruttorie e processi, sono fermi, causando di fatto un rallentamento e inceppamento dell'intera macchina giudiziaria e un conseguente disservizio. La situazione deteriore che si è venuta a creare ha generato, di fatto, un'interruzione di pubblico servizio, a scapito di lavoratori e cittadini, su cui le responsabilità vanno accertate –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della situazione incresciosa che la procedura di gara illustrata nelle premesse ha generato nell'ordinaria attività della macchina giudiziaria e cosa intenda fare per favorire la ripresa di un pubblico servizio, nonché se abbia intenzione di accertare le responsabilità a livello amministrativo che hanno condotto di fatto alla predetta interruzione del servizio e che ad avviso degli interroganti hanno portato il suo dicastero a girare le spalle a decine di lavoratori e famiglie, proponendo loro condizioni peggiorative, poco dignitose e precarie.
(3-01435)

(23 settembre 2024)
(ex 5-2656 del 24 luglio 2024)

MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE PER UNA RIFORMA DELLA
DISCIPLINA IN MATERIA DI CITTADINANZA

   La Camera,

   premesso che:

    1) con «cittadinanza» s'intende il rapporto tra individuo e Stato, uno status denominato «civitatis» al quale l'ordinamento giuridico ricollega la pienezza dei diritti civili e politici, ed è elemento essenziale per far sì che le persone possano godere in maniera piena e completa dei diritti fondamentali ed è, quindi, indispensabile per una democrazia realmente inclusiva;

    2) la Costituzione italiana, oltre a proclamare nella sua prima parte in capo ai cittadini la titolarità di alcuni diritti e di alcuni doveri, si occupa specificatamente della cittadinanza all'articolo 22, stabilendo il principio per cui non si può essere privati di essa, così come del nome e della capacità giuridica, per motivi politici. La ratio di questa disposizione va inquadrata nella contestazione degli arbitri compiuti dal fascismo, che non solo aveva privato della cittadinanza italiana tutti gli antifascisti in esilio (legge n. 108 del 1926), ma aveva altresì stabilito (regio decreto-legge n. 1728 del 1938) delle gravi limitazioni alla cittadinanza e alla capacità giuridica nei confronti dei cittadini di cosiddetta «razza ebraica»;

    3) attualmente la cittadinanza è disciplinata dalla legge 5 febbraio 1992, n. 91, e relativi regolamenti di esecuzione;

    4) ai sensi della citata legge acquistano di diritto la cittadinanza italiana coloro i cui genitori (anche solo la madre o il padre) siano cittadini italiani. Si tratta della modalità di acquisizione della cittadinanza per «ius sanguinis»;

    5) esistono alcune procedure più veloci per l'acquisizione della cittadinanza italiana per gli stranieri di origine italiana che possono acquisirla facendo espressa richiesta se l'interessato discenda da un cittadino italiano (sino al secondo grado di parentela) e sia in possesso di almeno un requisito tra quelli previsti dalla legge;

    6) nell'ordinamento italiano è previsto anche un altro riconoscimento della cittadinanza, ma solo in via residuale e per casi limitati: quello dello «ius soli»;

    7) questo diritto viene di norma riconosciuto solo a coloro che nascono in Italia e i cui genitori siano da considerarsi ignoti o apolidi, a coloro che nascono in Italia e che non possono acquisire la cittadinanza dei genitori, in quanto lo Stato di origine dei genitori non consente che chi nasce all'estero possa acquisire quella cittadinanza; per chi, infine, non abbia genitori noti e che venga trovato, a seguito di abbandono, in territorio italiano e per il quale si possa dimostrare, da parte di qualunque soggetto interessato, il non possesso di altra cittadinanza;

    8) la persona nata in Italia può divenire cittadino italiano a condizione che vi abbia risieduto legalmente e ininterrottamente fino al raggiungimento della maggiore età e che dichiari, entro un anno dal compimento della maggiore età, di voler acquisire la cittadinanza italiana;

    9) l'acquisizione della cittadinanza può avvenire, inoltre, per matrimonio o unione civile con cittadino italiano o, infine, per naturalizzazione;

    10) al riguardo di quest'ultima modalità, l'articolo 9 della citata legge n. 91 del 1992 prevede che la cittadinanza possa essere concessa se la persona che ne faccia richiesta abbia trascorso legalmente e ininterrottamente un periodo di tempo di almeno dieci anni in Italia, qualora non appartenga all'Unione europea, e di quattro se, invece, sia cittadino di un Paese che appartiene all'Unione europea. Se apolide la persona che voglia ottenere la cittadinanza italiana deve risiedere nel nostro Paese da almeno cinque anni;

    11) il periodo di 10 anni di residenza legale ininterrotta per i non appartenenti all'Unione europea è tra i più severi in Europa e in questi giorni è in corso la raccolta di firme per la promozione del referendum «cittadinanza», volto proprio a ridurre tale termine da 10 a 5 anni, come già previsto negli ordinamenti di Francia, Germania, Regno Unito, Belgio, Paesi Bassi, Portogallo, Lussemburgo e Svezia e com'era previsto anche in Italia fino al 1992;

    12) secondo l'articolo 14 della legge n. 91 del 1992 i figli minori di chi acquista o riacquista la cittadinanza italiana, se convivono con esso, acquistano la cittadinanza italiana, ma, divenuti maggiorenni, possono rinunciarvi, se in possesso di altra cittadinanza. L'acquisto interviene, quindi, automaticamente alla sola condizione della convivenza e sempre che si tratti di un soggetto minorenne secondo l'ordinamento italiano. Perché il genitore divenuto italiano possa trasmettere lo «status civitatis» al figlio, occorrono pertanto che ricorrano tre condizioni: a) il rapporto di filiazione; b) la minore età del figlio; c) la convivenza con il genitore;

    13) va osservato che la previsione della convivenza con il genitore non appare idonea a riconoscere il diritto di acquisizione della cittadinanza italiana, in quanto esclude di fatto coloro che per qualunque motivo non convivano con il genitore, nonostante questi conservi la responsabilità genitoriale;

    14) ad esempio, in Francia la naturalizzazione viene decisa dall'autorità pubblica e può essere concessa dallo straniero maggiorenne che dimostri la propria residenza abituale in Francia nei cinque anni precedenti la domanda e che vi risieda al momento della domanda stessa. Ma questo termine, che è la metà di quello italiano, può anche essere ridotto a due anni, qualora il richiedente abbia ultimato due anni di studi in un istituto di istruzione universitaria francese;

    15) come in molti altri Paesi, anche la Francia considera essenziale per la cittadinanza la conoscenza della lingua del Paese di cui si vuole diventare cittadini. Sino ad un recente passato la valutazione della capacità meno di comprendere, scrivere e parlare in francese era lasciata all'arbitrio del singolo funzionario statale incaricato dell'esame. Adesso, grazie a recenti modifiche normative, la discrezionalità della pubblica amministrazione è stata almeno ridotta, dovendo il funzionario chiamato a giudicare la conoscenza linguistica del richiedente attenersi ad una «griglia di valutazione» che stabilisce criteri chiari per la valutazione stessa;

    16) inoltre, a condizione che il nome sia menzionato nel decreto di naturalizzazione del genitore, o sulla dichiarazione di acquisizione, il figlio minore, legittimo o naturale della persona naturalizzata francese diventa automaticamente cittadino francese di pieno diritto, sempre che sia a sua volta residente in Francia. Ciò vale anche per il bambino oggetto di adozione piena, mentre, nel caso di divorzio o separazione precedente l'acquisizione di cittadinanza da parte del genitore, il minore acquisisce la cittadinanza se risiede attualmente o alternativamente con il genitore divenuto francese;

    17) per effetto della legge 16 marzo 1998 ogni bambino nato in Francia da genitori stranieri acquisisce automaticamente la cittadinanza francese al momento della maggiore età se a quella data ha propria residenza in Francia o vi ha avuto la propria residenza abituale durante un periodo, continuo o meno, di almeno 5 anni dall'età di 11 anni in poi;

    18) l'acquisizione automatica della cittadinanza può essere anticipata ai 16 anni da parte dell'interessato con dichiarazione sottoscritta dinanzi l'autorità competente o può essere chiesta dai suoi genitori a partire dal 13° anno di vita e previo consenso dell'interessato. Nel quale caso il requisito della residenza abituale dei 5 anni sopra ricordato viene conteggiato a partire dall'ottavo e non dall'undicesimo anno di vita;

    19) per quel che riguarda il caso della Germania, invece, la legislazione tedesca prevede che la cittadinanza possa essere acquisita per nascita, adozione e naturalizzazione. Dal 1° gennaio 2000 acquisiscono la cittadinanza non solo i figli di cittadini tedeschi, ma anche chi, figlio di stranieri, nasca in Germania, purché almeno uno dei genitori risieda stabilmente nel Paese da almeno otto anni e sia in possesso di regolare autorizzazione al soggiorno o di illimitato permesso di soggiorno da almeno tre anni;

    20) per quel che riguarda la naturalizzazione, in Germania essa non avviene in via automatica ma presuppone una richiesta da parte dell'interessato, che può presentarla alle autorità competenti dopo il compimento del sedicesimo anno di età;

    21) nel gennaio 2024 il Bundestag ha approvato una riforma della legge sulla cittadinanza che potrà ridurre il termine di residenza in Germania previsto per l'ottenimento della cittadinanza tedesca, che passa da otto a cinque anni;

    22) la nuova legge sulla cittadinanza prevede anche che, in futuro, i figli di genitori stranieri riceveranno la cittadinanza tedesca alla nascita se padre o madre hanno risieduto legalmente in Germania per cinque anni (anche in questo caso il termine precedentemente in vigore era di otto anni);

    23) inoltre, le persone che diventano tedesche potranno mantenere la loro precedente cittadinanza: questo era già possibile, ad esempio, per i cittadini di altri Paesi dell'Unione europea ed ora viene esteso anche a coloro che non fanno parte dell'Unione europea;

    24) passando rapidamente ad esaminare la situazione in Gran Bretagna, si osserva che, pur con molte eccezioni, vige il principio prevalente che chi nasce in territorio britannico acquisisca in via automatica la cittadinanza;

    25) per coloro che, invece, non sono nati in Gran Bretagna, la possibilità di essere naturalizzato è legata ad una serie di condizioni: avere almeno 18 anni, non avere precedenti penali, aver vissuto in Gran Bretagna almeno cinque anni prima della richiesta di naturalizzazione, non avendo trascorso più di 450 giorni fuori dal Regno Unito nei cinque anni, e meno di 90 giorni nell'anno precedente la domanda di naturalizzazione. È anche necessario conoscere la lingua e superare un test;

    26) i criteri di idoneità sono leggermente diversi qualora si richieda la cittadinanza avendo sposato o avendo un'unione civile con un cittadino britannico. In questo caso, il richiedente deve aver vissuto nel Regno Unito per almeno tre anni e, negli ultimi tre, non deve aver trascorso più di 270 giorni fuori dal territorio nazionale;

    27) in Spagna, infine, il presupposto generale per poter richiedere la cittadinanza per residenza si basa sulla possibilità di dimostrare di essere residenti in Spagna regolarmente da almeno dieci anni, continuativamente. Ma vi sono numerose e importanti eccezioni che riducono sensibilmente i tempi;

    28) ad esempio, coloro che hanno ottenuto lo status di rifugiato possono fare domanda dopo cinque anni di permanenza in Spagna, mentre coloro che sono nati in determinati Paesi possono fare domanda dopo soli due anni di residenza;

    29) appare particolarmente significativa la fattispecie che consente, tra l'altro, a chi sia nato in territorio spagnolo di richiedere la cittadinanza dopo solo un anno di residenza;

    30) questo breve confronto con alcuni Paesi europei evidenzia come di fatto la situazione più complessa sia proprio quella italiana, sia per quel riguarda i tempi di residenza nel Paese sia per quel che riguarda l'ampia discrezionalità della pubblica amministrazione che, anche quando fornisce le motivazioni per il rigetto, si limita sovente ad una sintesi eccessiva e che di fatto non chiarisce le motivazioni del rifiuto;

    31) ad esempio, non appare sempre chiaro su cosa si basi la valutazione circa l'esistenza di un'avvenuta integrazione dello straniero in Italia, tale da poter affermare la sua appartenenza effettiva alla comunità nella quale vive. Soprattutto perché questo esame e le relative decisioni sono in capo ad un'autorità, il Ministero dell'interno, che ben difficilmente può decidere su ogni singolo caso con la dovuta attenzione, trattandosi di un'autorità posta troppo in alto nella scala gerarchica e troppo lontana per sua natura dalle persone interessate;

    32) i comuni, che sono, invece, l'ente più di prossimità per le persone e che hanno di norma anche maggiore conoscenza della realtà locale rispetto ad un centro lontano, sono confinati a ruoli residuali;

    33) si tratta di un paradigma che andrebbe rovesciato, mettendo al cento, appunto, il ruolo dei comuni, enti di prossimità più efficaci nella valutazione delle domande e delle situazioni ad esse sottese, in un'ottica di decentramento amministrativo particolarmente auspicabile, sia in ottica di maggiore rapidità delle procedure, sia anche per quel che riguarda la chiarezza delle decisioni;

    34) si ritiene, quindi, che andrebbe delegato il sindaco del comune dove è stata fatta la domanda di cittadinanza, sia per quel che riguarda la ricezione della domanda sia anche per la predisposizione della relativa istanza da inviare al Presidente della Repubblica, ancorandosi, così, ad un principio di territorialità con procedure più efficaci e sicure;

    35) è necessario intervenire anche per ridurre i tempi di residenza in Italia previsti attualmente per poter richiedere la cittadinanza: infatti, appare evidente che il periodo di dieci anni, praticamente unico nella sua rigidità almeno per quel che riguarda i maggiori Paesi d'Europa, del tutto eccessivo, e non si giustifica nell'ottica di consentire un'integrazione effettiva nella comunità che diverrà quella della persona straniera;

    36) non è, inoltre, accettabile la pretesa che il richiedente la cittadinanza garantisca una specie di cauzione di sé stesso, dovendo dimostrare di avere un reddito tale da potersi mantenere. Questa pretesa, tra l'altro, colpisce i più fragili, i minori, che ben difficilmente possono garantire un reddito e che in realtà nemmeno lo devono, essendo impegnati di norma nello studio e nella formazione;

    37) proprio i minori sono, invece, coloro che devono essere aiutati maggiormente in un processo virtuoso d'inclusione che non può avere alla base che la scuola e l'istruzione in generale, nel vero senso che si deve dare all'espressione «ius culturae»;

    38) infatti, l'istruzione, la cultura, la scuola sono gli elementi fondamentali di ogni sana inclusione, in quanto insegnano non solo nozioni (fondamentali ovviamente), ma anche il rispetto delle diverse culture, la conoscenza degli altri e di se stessi, il senso di comunità. Per questo è lo Stato, in collaborazione con le regioni e gli altri enti locali, che deve agire per garantire un'adeguata offerta formativa volta alla conoscenza della lingua e delle istituzioni italiane, oltre che riconoscere tutte quelle iniziative che sono volte a sostenere il processo d'integrazione linguistica e sociale;

    39) lo «ius soli» e lo «ius culturae» non sono tra loro in contraddizione, ma anzi possono rafforzarsi l'un l'altro. Ad esempio, potrebbe ottenere automaticamente la cittadinanza italiana il minore straniero, nato in Italia o che risieda nel nostro Paese da un certo numero di anni, e che abbia frequentato almeno per cinque anni uno o più cicli scolastici presso istituti appartenenti al sistema nazionale d'istruzione, o fattispecie analoghe che siano volte, appunto, alla formazione e all'integrazione culturale del giovane italiano di nuova generazione;

    40) appare, invece, francamente inaccettabile proseguire su una visione meramente economica dell'integrazione, con, appunto, la sopra ricordata pretesa di una garanzia di reddito da parte del richiedente, a monte della procedura di naturalizzazione, ma anche per l'intollerabile balzello imposto ai richiedenti la cittadinanza, che deve essere evitato quantomeno per le richieste che riguardano i minori;

    41) si fa, tra l'altro, notare che per la concessione o il rinnovo del permesso di soggiorno, i cittadini stranieri residenti in Italia versano allo Stato italiano somme considerevoli, come evidenziato nell'atto di sindacato ispettivo n. 5-02285 presentato il 18 aprile 2024 e nel quale si evidenziava come esempio che nel 2012 l'ammontare complessivo delle imposte dovuto ad immigrati era pari a 182.750.072 milioni di euro (fonte Ministero dell'interno – Dipartimento della pubblica sicurezza – Direzione centrale dell'immigrazione e della polizia di frontiera);

    42) non è dunque immaginabile introdurre una specie di «ius pecuniae», analogo a quello messo in atto in un recente passato da Paesi dell'Unione europea, e che consentiva a chi era in grado di pagare di acquisire la cittadinanza senza troppi intralci burocratici, mentre coloro che non avevano abbastanza risorse si trovavano sottoposti a vincoli ingiustificati in una sorta di inaccettabile divisione tra richiedenti di «serie A» e di «serie B»;

    43) lo «ius soli» e lo «ius culturae» sono, invece, come detto, le fondamenta sulle quali basarsi per un cambiamento reale e volto all'inclusione effettiva di chi è nato e vive in quello che oggi è il suo Paese. Il principio deve essere quello di collegare cittadinanza e legalità di soggiorno, anche prescindendo dalla formale residenza, superando quelle difficoltà burocratiche che attualmente ostacolano l'integrazione;

    44) a maggior ragione deve essere previsto un sistema che consenta ai figli nati in Italia da genitore straniero, ma nato nel nostro Paese, di essere di per sé cittadini italiani, essendo evidente il legame tra la persona e il territorio in cui nasce e cresce, evitando forme di ghettizzazione inaccettabili e pericolose;

    45) sono inoltre inaccettabili i tempi lunghi che di solito si accompagnano all'esame e all'eventuale accettazione delle domande di naturalizzazione, tempi che a volte fanno pensare più che ad un'inefficienza degli uffici demandati ad una specie di ostruzionismo latente ma concretamente operante;

    46) inaccettabile è anche l'attuale situazione che riguarda il riconoscimento della cittadinanza italiana per coloro che sono giunti in Italia da minori. Attualmente per questa specifica categoria viene applicato il criterio della naturalizzazione, che, però, espone molte e molti al rischio di non ottenere la cittadinanza qualora divengano maggiorenni durante l'iter che riguarda i propri genitori, dovendo, quindi, presentare istanza individualmente nonostante siano giunti in Italia in tenera età. Si tenga presente che al 31 agosto 2023, ultimo dato disponibile sul sito del Ministero dell'istruzione e del merito, le studentesse e gli studenti non di cittadinanza italiana erano nelle scuole italiane 894.624,

impegna il Governo:

1) ad adottare iniziative, in particolare di carattere normativo, volte:

  a) a riconoscere la cittadinanza italiana per i minori nati nel territorio della Repubblica da genitori stranieri di cui almeno uno è regolarmente soggiornante in Italia da almeno un anno al momento della nascita del figlio, senza legare questo criterio, valevole per i minori, ad alcun parametro reddituale ma solo territoriale e di stanzialità di almeno uno dei genitori e senza assoggettare il diritto alla cittadinanza per nascita sul suolo italiano a scadenze, ma consentendo di esercitarlo in qualsiasi momento;

  b) a individuare modalità specifiche per il riconoscimento della cittadinanza per coloro che giungano in Italia da minori, riconoscendo la cittadinanza italiana a coloro che, soggetti all'obbligo scolastico, abbiano compiuto almeno un ciclo d'istruzione, ad esempio tre anni di scuola dell'infanzia, un ciclo di primaria, secondaria superiore, o di un percorso d'istruzione e formazione professionale, intendendo il compimento del ciclo in termini di frequenza del corso e non di rendimento;

  c) ad informare la disciplina e la sua applicazione al principio secondo il quale la concessione della cittadinanza è un incentivo per favorire l'inclusione sociale, lavorativa e orientata alla partecipazione attiva nelle proprie comunità territoriali, prevedendo, quindi, criteri più accessibili ed allineati alla maggioranza dei Paesi europei più significativi per quel che riguarda la popolazione e i flussi migratori per la concessione della cittadinanza;

  d) nell'ottica di cui all'impegno precedente, a semplificare le procedure di concessione della cittadinanza, prevedendo, tra l'altro, la riduzione del vincolo della residenza continuativa, rispettivamente a: 1) cinque anni per lo straniero o la straniera non appartenente ad uno Stato membro dell'Unione europea; 2) a tre anni se appartenente ad uno Stato membro dell'Unione europea; 3) a due anni se riconosciuto come rifugiato o persona cui è stata accordata la protezione sussidiaria (o analoghe) o se apolide;

  e) a rivedere il criterio della residenza continuativa anagrafica, semplificando le forme e i vincoli che attualmente sono spesso escludenti per coloro che, seppur stabili sul territorio italiano, abbiano avuto interruzioni involontarie dell'iscrizione all'anagrafe, riconoscendo altre forme per dimostrare la continuità della permanenza sul territorio italiano, quali ad esempio, certificazioni scolastiche e formative, contratti di lavoro, documentazione sanitaria e altro;

  f) ad abrogare il contributo previsto attualmente per le pratiche di acquisizione della cittadinanza per i minori, commisurandolo ai costi comunque non superiori a quelli per il rilascio del passaporto per le pratiche di naturalizzazione, prevedendo, tuttavia, esenzioni/riduzioni/decontribuzioni per soglie reddituali Isee inferiori ai 15.000 euro annui;

  g) a predisporre, per quanto di competenza ed eventualmente anche in collaborazione con le regioni e gli altri enti locali, l'offerta formativa per i richiedenti la cittadinanza e volta alla conoscenza della lingua e delle istituzioni italiane, individuando e riconoscendo nel contempo quelle iniziative e attività messe in atto a sostegno dell'integrazione linguistica e sociale degli stranieri;

  h) a procedere alla riorganizzazione, semplificazione e accorpamento delle disposizioni di natura regolamentare in materia di cittadinanza, emanando un unico regolamento relativo in particolare alla disciplina dei procedimenti amministrativi, indicando i termini improrogabili dello stesso e prevedendo che, in caso di superamento dei termini sopra citati, la domanda di cittadinanza debba essere considerata accolta;

  i) a modificare la disciplina dell'acquisizione della cittadinanza da parte dei figli minori di chi acquista o riacquista la cittadinanza italiana eliminando in particolare l'attuale previsione della convivenza del minore con il genitore, sostituendola con la più razionale disposizione relativa alla non decadenza del genitore dalla responsabilità genitoriale;

  l) a disporre che, in coerenza con il principio dell'unità familiare, ai fini del conseguimento della cittadinanza da parte del figlio di chi ottiene la cittadinanza italiana, sia rilevante la minore età al momento della presentazione della domanda, anche qualora tale figlio, nel corso dell'iter di esame della domanda, sia divenuto maggiorenne;

  m) a disporre, per quanto di competenza, che siano demandati ai sindaci dei comuni nei quali sia stata presentata l'istanza di concessione della cittadinanza, tanto la ricezione dell'istanza stessa quanto la predisposizione della relativa istanza da inviare al Presidente della Repubblica per la concessione della cittadinanza, nell'ottica di un vero decentramento amministravo volto ad una maggiore efficienza ed efficacia ed ancorato al principio di territorialità;

  n) a riconoscere a tutti i minori nati in Italia, o con background migratorio, senza cittadinanza, inclusi i rifugiati e richiedenti asilo, il diritto di accesso alla pratica sportiva, garantendo altresì, per quanto di competenza, la possibilità di essere tesserati presso le federazioni sportive nazionali e di competere in tutti i campionati italiani, per evidente interesse sportivo confermato da un'apposita commissione Coni, e di avere anche la possibilità di ottenere la cittadinanza italiana nel caso in cui abbiano completato un ciclo scolastico di almeno cinque anni in Italia, ovvero almeno uno dei genitori sia nato in Italia (cosiddetto «doppio ius soli»), ovvero siano nati da genitori stranieri, dimostrando almeno un anno di residenza regolare di almeno uno dei genitori.
(1-00314) (Nuova formulazione) «Bakkali, Zanella, Magi, Berruto, Braga, Schlein, Ascani, Boldrini, Bonafè, Carè, Ciani, Cuperlo, Curti, De Micheli, Di Biase, Fassino, Ferrari, Forattini, Fornaro, Furfaro, Ghio, Girelli, Graziano, Gribaudo, Iacono, Lai, Laus, Madia, Malavasi, Manzi, Marino, Mauri, Morassut, Orfini, Peluffo, Porta, Prestipino, Quartapelle Procopio, Toni Ricciardi, Roggiani, Romeo, Andrea Rossi, Sarracino, Scarpa, Scotto, Serracchiani, Simiani, Speranza, Stefanazzi, Vaccari, Di Sanzo, Bonelli, Fratoianni, Borrelli, Dori, Ghirra, Grimaldi, Mari, Piccolotti, Zaratti».

(7 agosto 2024)

   La Camera,

   premesso che:

    1) sull'onda dei trionfi azzurri alle Olimpiadi di Parigi e delle becere polemiche razziste che ne sono seguite, si è riacceso il dibattito sull'acquisto della cittadinanza italiana da parte di stranieri che vivono nel nostro Paese;

    2) in verità, instancabilmente, molte autorevoli voci, per qualità e quantità, si sono levate, nel tempo, e si levano tuttora, per richiamare la classe politica a guardare alle condizioni in cui si trovano a crescere e vivere le nuove generazioni di immigrati, i bambini e gli adolescenti, ancora legalmente stranieri, nonostante i progetti stabili di vita dei loro genitori, nonostante qui siano nati, si siano formati e si siano integrati con la nostra cultura;

    3) da molto tempo, infatti, nel nostro Paese è nato, senza mai del tutto sopirsi, un dibattito orientato a riscrivere la disciplina vigente, dettata dalla legge 5 febbraio 1992, n. 91, ampliando le condizioni e i requisiti per l'acquisto della cittadinanza italiana, al fine di riconoscere tale diritto non solo e (quasi) esclusivamente per un fatto di «sangue»: è innegabile che il vigente jus sanguinis, in base al quale la cittadinanza italiana è acquisita di diritto dal figlio nato o adottato da padre o madre cittadini italiani, concepisca la nazionalità alla stregua di un gene che si trasmette per via ereditaria e non per la partecipazione quotidiana e l'appartenenza ad un contesto sociale e culturale;

    4) ci sono migliaia di minori, ragazze e ragazzi che sono nati e cresciuti in Italia o che comunque nel nostro Paese vivono da anni, parlano la lingua italiana e i dialetti dei luoghi che abitano, che si sentono italiani a tutti gli effetti, ma non hanno i nostri stessi diritti perché il nostro ordinamento giuridico li considera «stranieri»: la politica ha il dovere di affrontare il tema responsabilmente, tenendo a freno reazioni emotive o pregiudiziali ideologiche e riconoscendo i cambiamenti sociali e culturali del proprio Paese;

    5) ai sensi della disciplina dettata dalla legge 5 febbraio 1992, n. 91, si è riconosciuti cittadini per nascita, in applicazione dello jus soli, in casi ben definiti e limitati: chi è nato nel territorio della Repubblica da genitori entrambi ignoti o apolidi oppure non può acquisire la cittadinanza dei genitori a causa di leggi dello Stato cui questi appartengono; è cittadino per nascita, infine, il figlio di ignoti trovato nel territorio della Repubblica, se non venga trovato in possesso di altra cittadinanza;

    6) con esclusione dei casi sopra citati, allo straniero nato nel territorio italiano è riconosciuta la cittadinanza italiana, ove ne faccia richiesta, a condizione che vi abbia risieduto legalmente e ininterrottamente fino al raggiungimento della maggiore età;

    7) la legge dispone, altresì, che la cittadinanza italiana può essere concessa, per naturalizzazione, allo straniero che risieda legalmente e ininterrottamente da almeno dieci anni nel territorio della Repubblica, ove ne faccia richiesta e dimostri di avere un reddito, sufficiente a mantenere se stesso ed eventualmente i familiari a carico, derivante da un lavoro che, oltre ad essere regolare, può considerarsi stabile: i minori stranieri, dunque, non possono rientrare, ovviamente, nel secondo caso, ma anche nel primo caso; pur nati, scolarizzati e cresciuti in Italia, debbono attendere la maggiore età per poter richiedere la cittadinanza, restando in attesa, anche per lungo tempo, dell'esito;

    8) preme ai firmatari del presente atto di indirizzo porre all'attenzione del Governo la maturata esigenza di un aggiornamento delle norme in materia di riconoscimento e acquisizione della cittadinanza italiana, attraverso l'introduzione nel nostro ordinamento giuridico di un diverso criterio, lo jus scholae, che collega il riconoscimento della cittadinanza ai minori stranieri, nati o giunti in Italia, che abbiano compiuto un percorso scolastico oppure un percorso di formazione professionale presso gli istituti appartenenti al nostro sistema di istruzione;

    9) il criterio si basa sul riconoscimento della formazione dei minori nati o precocemente entrati in Italia e riconosce la cittadinanza previa dimostrazione dell'integrazione scolastica e rappresenta un'opportunità di uguaglianza – potrebbe dirsi, anche, in linea con i principi e il dettato costituzionale, che rappresenti la rimozione di un ostacolo che limita l'uguaglianza e la pari dignità – e di pari diritti per tutti quei ragazzi italiani di fatto, ma non secondo la legge;

    10) secondo i più recenti dati elaborati dall'Ufficio di statistica del Ministero dell'istruzione e del merito, nelle nostre scuole studiano 914.860 studenti con cittadinanza non italiana, pari all'11,2 per cento della popolazione scolastica e risulta, altresì, che solo il 15,5 per cento delle scuole italiane non registra la presenza di alunni di origine straniera;

    11) si pensi ai bambini, alle bambine, a tutti gli adolescenti stranieri che crescono in Italia insieme ai compagni di scuola, ma con meno diritti e meno opportunità e con la sensazione permanente di diversità ed estraneità;

    12) i firmatari del presente atto di indirizzo ritengono che il criterio dello jus scholae sia un volano per garantire e favorire l'integrazione, considerando l'integrazione culturale non solo come presupposto della disciplina, ma anche come effetto, proprio perché lo Stato, nell'accogliere, nel riconoscere il soggetto, lo include nel proprio ambito e, a sua volta, quel soggetto si sentirà ancora e sempre più partecipe dello spirito del paese in cui abita;

    13) i firmatari del presente atto di indirizzo credono che l'attribuzione della cittadinanza secondo il criterio dello jus scholae sia l'espressione di civiltà di un procedimento di integrazione dello straniero: i firmatari pensano che la cittadinanza debba essere collegata a un effettivo elemento di integrazione del soggetto nella nostra comunità, dal punto di vista sociale e culturale, quale la frequentazione di un ciclo di studi – chi, meglio e più della scuola può certificare l'integrazione dei bambini e dei ragazzi nel nostro vivere comune, tra i banchi di quella scuola incaricata di trasmettere i valori fondanti di libertà, uguaglianza e rispetto;

    14) la formazione scolastica rimane un potente fattore di integrazione, ma il mancato riconoscimento della cittadinanza rischia di alimentare stereotipi e rappresentazioni sociali e culturali costruite sulla «diversità», con il risultato di depotenziare il processo di condivisione di principi e valori fondamentali su cui si regge la nostra comunità nazionale e dei quali la scuola è portatrice e formatrice;

    15) presupposto della cittadinanza è il radicamento e la cittadinanza, come sosteneva la filosofa Hannah Arendt, è al di là di un diritto, in quanto «diritto ad avere diritti»;

    16) deve essere affermato il potente fattore evolutivo, inclusivo e aggregante della scuola, fonte primaria di integrazione sociale e culturale, quale misura finalizzata a riconoscere il percorso di radicamento nel nostro territorio avviato dai minori di origine straniera che vi sono nati, stabilmente vi abitano e sono partecipi della vita socio-culturale del nostro Paese,

impegna il Governo:

1) ad adottare ogni opportuna iniziativa di carattere normativo ed amministrativo, affinché:

  a) la cittadinanza italiana sia riconosciuta ai minori stranieri, nati o giunti in Italia, che abbiano frequentato e concluso, nel territorio nazionale, uno o più cicli scolastici presso istituti appartenenti al sistema nazionale di istruzione o percorsi di istruzione e formazione triennali o quadriennali idonei al conseguimento di una qualifica professionale;

  b) siano garantite politiche efficaci di inclusione scolastica che sostengano i percorsi educativi degli studenti con background migratorio, con l'obiettivo di ridurre le disuguaglianze negli apprendimenti.
(1-00320) «Baldino, Alfonso Colucci, Auriemma, Alifano, Penza, Quartini, Riccardo Ricciardi».

(16 settembre 2024)

   La Camera,

   premesso che:

    1) il trattamento giuridico dei cittadini di Stati non appartenenti all'Unione europea e degli apolidi in Italia è regolato dal decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), ivi indicati come «stranieri»;

    2) la Costituzione, all'articolo 2, riconosce e garantisce i diritti inviolabili della persona, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità. Al contempo, richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale, non limitando tali doveri a chi detiene lo status di cittadino;

    3) all'articolo 3, primo comma, si afferma il principio di eguaglianza formale di tutti i cittadini, sancendone la pari dignità sociale ed eguaglianza davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali;

    4) al medesimo articolo, il secondo comma stabilisce che è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che limitano di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini e ne impediscono il pieno sviluppo nonché l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese;

    5) la cittadinanza si configura, pertanto, come status giuridico che permette agli individui di godere pienamente dei diritti da questo garantiti ed essere soggetti ai doveri richiesti da parte dello Stato a chi ne partecipa attivamente al progresso;

    6) tali principi sanciscono la piena partecipazione dell'individuo alla vita politica, economica e sociale del Paese solo se in possesso della cittadinanza, ai sensi degli articoli 48, 49, 50, 51, 52, 53 e 54 della Costituzione;

    7) con sentenza n. 120 del 1967 e successiva giurisprudenza, la Corte costituzionale ha più volte ribadito che il principio di eguaglianza non si limita ai cittadini e deve, quindi, ritenersi esteso anche agli stranieri, i quali hanno doveri, concorrono al gettito fiscale, al progresso sociale ed economico, ma senza diritto di partecipare a pieno titolo al progresso del Paese, in particolar modo per ciò che concerne i diritti politici;

    8) ad oggi, l'acquisizione della cittadinanza italiana avviene in via principale per ius sanguinis, ossia per la discendenza da genitori italiani. La cittadinanza italiana può essere inoltre acquisita anche da chi, dimostrando ascendenze italiane, ne faccia richiesta pur non avendo vissuto nemmeno un giorno in Italia, mentre la stessa viene negata a chi vive, anche da decenni, il progresso economico e sociale del nostro Paese;

    9) la legge 5 febbraio 1992, n. 91, recante norme in materia di cittadinanza, prevede disposizioni per l'acquisto della cittadinanza italiana anche da parte dei minori che ne sono sprovvisti;

    10) ad oggi sono presenti sul territorio della Repubblica centinaia di migliaia di giovani che, nonostante partecipino assiduamente e attivamente alla comunità nazionale, spesso nascendo in Italia o svolgendo per anni percorsi di studio o attività lavorativa, non si vedono riconosciuti i diritti civili e politici che spetterebbero loro in quanto cittadini;

    11) la naturale evoluzione della società, dovuta sia a dinamiche socio-economiche che geopolitiche, richiede oggi di adeguare le modalità di acquisizione della cittadinanza alle necessità del Paese e delle persone. Da un lato, l'andamento demografico rischia di portare a uno spopolamento dello Stato, con ricadute negative in termini di sostenibilità della spesa sociale; dall'altro, non è accettabile non tenere in considerazione le richieste di maggiori tutele di migliaia di persone che ad oggi sono a tutti gli effetti cittadini senza cittadinanza;

    12) risulta necessaria, quindi, l'introduzione di nuove fattispecie di acquisto della cittadinanza, che permetterebbero a chi è nato in Italia e a chi ha partecipato attivamente al progresso sociale, economico e culturale dello Stato di acquisire i diritti propri di ogni altro cittadino italiano;

    13) sono già presenti proposte legislative che permetterebbero l'ampliamento dell'acquisizione della cittadinanza a fattispecie quali il cosiddetto ius soli e lo ius culturae;

    14) uno ius soli «temperato» prevederebbe l'acquisizione della cittadinanza per chi è nato nel territorio della Repubblica da genitori stranieri, di cui almeno uno sia titolare del diritto di soggiorno permanente, riconosciuto al cittadino dell'Unione europea che abbia soggiornato legalmente e in via continuativa per cinque anni nel territorio nazionale, o sia in possesso del permesso di soggiorno dell'Unione europea per soggiornanti di lungo periodo, se il genitore o chi esercita la responsabilità genitoriale fa richiesta all'ufficiale dello stato civile del comune di residenza del minore, entro il compimento della maggiore età dell'interessato;

    15) lo ius culturae riguarderebbe, invece, il minore straniero che sia nato in Italia o vi abbia fatto ingresso entro il compimento del dodicesimo anno di età, il quale abbia frequentato regolarmente, ai sensi della normativa vigente, per almeno cinque anni, uno o più cicli presso istituti appartenenti al sistema nazionale di istruzione o percorsi di istruzione e formazione professionale triennali o quadriennali idonei al conseguimento di una qualifica professionale;

    16) sarebbe inoltre auspicabile l'introduzione di un ulteriore caso di concessione della cittadinanza per naturalizzazione, a carattere discrezionale, per lo straniero che abbia fatto ingresso nel territorio nazionale prima del compimento della maggiore età, il quale sia legalmente residente da almeno cinque anni, abbia frequentato regolarmente un ciclo scolastico con il conseguimento del titolo conclusivo, ovvero un percorso di formazione professionale triennale o quadriennale con il conseguimento di una qualifica professionale. Tale fattispecie dovrebbe riguardare, soprattutto, i minori stranieri che abbiano fatto ingresso nel territorio italiano tra il dodicesimo e il diciottesimo anno di età;

    17) l'acquisizione della cittadinanza italiana per naturalizzazione andrebbe, inoltre, adeguata alle tempistiche adottate nella maggior parte dei Paesi europei. Attualmente, la normativa prevede che i cittadini non-Unione europea possano acquisire la cittadinanza italiana a seguito di una permanenza ininterrotta di almeno dieci anni sul territorio italiano, mentre i nostri partner europei richiedono generalmente un periodo di permanenza inferiore. Portare a cinque anni il periodo di permanenza legale richiesto dalla normativa interesserebbe circa 2,5 milioni di persone residenti legalmente in Italia, includendo coloro che, pur vivendo e lavorando nel Paese da molti anni, sono ancora esclusi dai diritti fondamentali riservati ai cittadini italiani;

    18) tali modifiche sono indispensabili per superare sperequazioni e discriminazioni, nonché per affermare che la cittadinanza rappresenta uno status di partecipazione e di riconoscimento dei valori nazionali, cui può accedere chiunque sia impegnato costantemente nel contribuire al progresso della nazione. Tali modifiche sono indispensabili per superare sperequazioni e discriminazioni, nonché per affermare che la cittadinanza rappresenta uno status di partecipazione e di riconoscimento dei valori nazionali, cui può accedere chiunque sia impegnato costantemente nel contribuire al progresso della nazione. La stessa Costituzione, all'articolo 4, secondo comma, sancisce che ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un'attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società. Tale principio, che si lega direttamente con l'articolo 3, fa proprio il concetto di cittadinanza come «partecipazione» e non mera «appartenenza»: è cittadino chi partecipa alla vita socio-economica dello Stato e coopera al suo progresso, chi vive nella comunità nazionale e partecipa allo sviluppo economico e sociale della comunità,

impegna il Governo:

1) ad adottare iniziative normative volte a introdurre nell'ordinamento italiano nei termini richiamati in premessa:

  a) lo ius soli, al fine di garantire la cittadinanza ai nati in Italia da genitori stranieri, di cui almeno uno sia titolare del diritto di soggiorno permanente, riconosciuto al cittadino dell'Unione europea che abbia soggiornato legalmente e in via continuativa per cinque anni nel territorio nazionale, o sia in possesso del permesso di soggiorno dell'Unione europea per soggiornanti di lungo periodo, se il genitore o chi esercita la responsabilità genitoriale fa richiesta all'ufficiale dello stato civile del comune di residenza del minore, entro il compimento della maggiore età dell'interessato, considerando come termine iniziale per il computo del periodo di permanenza la data di rilascio del primo permesso di soggiorno e prevedendo, per quanto attiene al requisito della minore età, che la richiesta presentata per l'acquisizione della cittadinanza del minore rimanga valida anche al compimento del diciottesimo anno di età, se detta richiesta è stata presentata precedentemente al compimento del diciottesimo anno del minore da parte del genitore o di chi esercita la responsabilità genitoriale;

  b) lo ius culturae, per tutelare e rendere cittadino italiano il minore straniero che sia nato in Italia o vi abbia fatto ingresso entro il compimento del dodicesimo anno di età, il quale abbia frequentato regolarmente, ai sensi della normativa vigente, per almeno cinque anni, uno o più cicli presso istituti appartenenti al sistema nazionale di istruzione o percorsi di istruzione e formazione professionale triennali o quadriennali idonei al conseguimento di una qualifica professionale;

  c) lo ius universitatis, volto al conferimento della cittadinanza italiana ai cittadini europei e stranieri che abbiano frequentato almeno un ciclo universitario in Italia e che, successivamente all'acquisizione del titolo, abbiano lavorato in Italia per due anni continuativi e, ove necessario per i cittadini non-Unione europea, a seguito del rilascio del visto per lavoro autonomo o lavoro subordinato;

  d) la naturalizzazione per lo straniero che abbia fatto ingresso nel territorio nazionale prima del compimento della maggiore età, il quale sia legalmente residente da almeno cinque anni, abbia frequentato regolarmente un ciclo scolastico con il conseguimento del titolo conclusivo, ovvero un percorso di formazione professionale triennale o quadriennale con il conseguimento di una qualifica professionale;

  e) la riduzione da dieci a cinque anni del periodo di permanenza legale previsto dall'articolo 9, comma 1, lettera f), della legge 5 febbraio 1992, n. 91, per permettere l'acquisizione della cittadinanza e il relativo riconoscimento dei diritti spettanti a 2,5 milioni di individui che ad oggi risiedono legalmente sul suolo italiano;

  f) il diritto alla pratica sportiva ai minori non-cittadini presenti in Italia a qualsiasi titolo, garantendo loro la possibilità di essere tesserati presso le federazioni sportive nazionali e di competere in tutti i campionati italiani senza alcuna discriminazione rispetto ai minori cittadini italiani, includendo la pratica sportiva tra le ipotesi di conferimento della cittadinanza per meriti speciali.
(1-00323) «Faraone, Gadda, De Monte, Del Barba, Bonifazi, Boschi, Giachetti, Gruppioni».

(17 settembre 2024)

   La Camera,

   premesso che:

    1) il 13 ottobre 2015 la Camera dei deputati ha approvato in prima lettura la proposta di legge di riforma della cittadinanza, cosiddetta ius culturae, con un voto trasversale di 310 favorevoli, 66 contrari e 83 astenuti. Si è trattato di una pagina di storia, anche perché quel voto era stato lungamente atteso dalla politica e da centinaia di migliaia di giovani nuovi italiani nel nostro Paese;

    2) quel testo non è diventato legge dello Stato perché non venne approvato in tempo dal Senato della Repubblica nella XVII legislatura (atto Senato n. 2092). A distanza di oltre sette anni da quel tentativo, è giunto il momento di riproporre il tema nel dibattito politico, ma – e questa è una condizione ineludibile – allo stesso tempo è necessario fermare lo scontro ideologico;

    3) quella per la cittadinanza ai nuovi italiani non deve tradursi in una battaglia identitaria di una parte politica, ma deve costituire una delle urgenze che il Parlamento nella sua interezza deve affrontare; sul tema della cittadinanza di chi nasce e/o cresce nel nostro Paese bisogna collaborare per trovare una sintesi che risolva finalmente questo vulnus giuridico;

    4) com'è noto, nell'ordinamento, la cittadinanza italiana – che è disciplinata dalla legge 5 febbraio 1992, n. 91 – si acquisisce iure sanguinis, cioè se si nasce o si è adottati da cittadini italiani. Non rileva ai fini del diritto alla cittadinanza l'essere nati o cresciuti nel territorio nazionale e l'unica ipotesi di acquisto della cittadinanza iure soli riguarda il caso in cui si nasca in Italia da genitori apolidi o da genitori ignoti o che non possono trasmettere la propria cittadinanza al figlio secondo la legge dello Stato di provenienza;

    5) la legge attuale consente allo straniero nato in Italia di acquisire la cittadinanza italiana solamente al compimento della maggiore età e a condizione che abbia soggiornato legalmente e ininterrottamente fino al raggiungimento dei diciotto anni nel territorio nazionale e dichiari, entro un anno dal compimento della maggiore età, di voler acquistare la cittadinanza italiana;

    6) sebbene il regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 18 aprile 1994, n. 362, che disciplina i procedimenti di acquisto della cittadinanza italiana, abbia disposto come termine di conclusione del procedimento due anni dalla presentazione dell'istanza, l'orientamento della giurisprudenza ormai consolidato ha sempre ritenuto tale termine a carattere non perentorio. Recentemente, peraltro, questo termine è stato modificato dal decreto-legge 21 ottobre 2020, n. 130, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 dicembre 2020, n. 173, e aumentato a tre anni dalla presentazione dell'istanza. Tuttavia, i procedimenti per l'acquisto della cittadinanza italiana si concludono in tempi ben più lunghi di quelli fissati dalla legge e verosimilmente in quattro anni circa, a fronte di una complessa istruttoria finalizzata a verificare il sussistere di molteplici indici, non ultimo quello concernente il reddito;

    7) a fronte di questo quadro, appare evidente la discriminazione subita da centinaia di migliaia di ragazze e ragazzi nati e cresciuti nel nostro Paese che non sono riconosciuti come cittadini dallo Stato, nonostante facciano di fatto pienamente parte della comunità nazionale. Si tratta di circa 800.000 giovani, espressione della cosiddetta «seconda generazione», che sono pienamente integrati nella società, che non si considerano stranieri e che sentono l'Italia come il loro unico Paese, ma ai quali manca il riconoscimento giuridico della cittadinanza. Una generazione dimenticata dallo Stato, complice un quadro normativo non al passo con i cambiamenti sociali intervenuti negli anni. Una generazione vulnerabile e vitale per il nostro futuro, alla luce della diminuzione delle nascite che si registra costantemente nel nostro Paese;

    8) va ricordato che la Convenzione sui diritti del fanciullo, approvata a New York il 20 novembre 1989, e resa esecutiva dalla legge 27 maggio 1991, n. 176, impegna anche il nostro Stato ad adottare «tutti i provvedimenti appropriati affinché il fanciullo sia effettivamente tutelato contro ogni forma di discriminazione o di sanzione motivate dalla condizione sociale, dalle attività, opinioni professate o convinzioni dei suoi genitori». Non si può ritenere rispettato questo enunciato di fronte al quadro normativo attuale;

    9) nell'anno scolastico 2022/2023, negli istituti scolastici pubblici al primo anno della scuola primaria (elementari) era straniero circa uno studente su sette (14,7 per cento); al primo anno della secondaria inferiore (medie) uno su otto (13,1 per cento); al primo anno della secondaria superiore, uno su nove (11,5 per cento). Questi studenti stranieri, mediamente in due casi su tre, erano nati in Italia; in tre casi su quattro se si considera la sola scuola primaria;

    10) con l'attuale trend di crescita, nel giro di qualche anno quattro studenti stranieri su cinque tra quanti entreranno nella scuola primaria saranno nati in Italia e, come tutti i nati in Italia, saranno in possesso delle competenze linguistiche di base in lingua italiana;

    11) negli ultimi anni si è discusso ripetutamente sull'opportunità, ovvero sulla necessità, di riconoscere la cittadinanza italiana ai minori stranieri che seguono l'intero percorso di istruzione e formazione in Italia;

    12) il principio dello ius scholae è stato considerato da molti un fattore e una garanzia sufficiente di integrazione culturale e civile per giovani che sono anagraficamente stranieri, ma che hanno passato tutta o la gran parte della propria vita in Italia;

    13) malgrado una polarizzazione politica e ideologica molto forte sui temi dell'immigrazione, il consenso dell'opinione pubblica, confermato da rilevazioni demoscopiche, sulla ragionevolezza di un riconoscimento della cittadinanza italiana ai minori stranieri nati e formatisi in Italia si è andato affermando in modo oggettivamente bipartisan;

    14) le opinioni divergono in genere circa i modi e i tempi di questo riconoscimento, ma certamente non sulla necessità di abbreviare i termini per l'acquisto della cittadinanza dei nati in Italia da genitori stranieri, che oggi possono richiederla solo a diciotto anni, quando abbiano risieduto legalmente senza interruzioni sul territorio nazionale fino al raggiungimento della maggiore età;

    15) allo stesso modo, prevedere una soluzione basata sullo ius soli per quei minori nati in Italia da genitori stranieri regolarmente residenti in Italia e in possesso di un permesso di soggiorno permanente o di un permesso di soggiorno dell'Unione europea di lungo periodo;

    16) secondo, poi, l'articolo 14 della legge n. 91 del 1992, i figli minori di chi acquista o riacquista la cittadinanza italiana, se convivono con esso, acquistano la cittadinanza italiana, ma, divenuti maggiorenni, possono rinunciarvi, se in possesso di altra cittadinanza. L'acquisto, quindi, avviene automaticamente alla sola condizione della convivenza e sempre che si tratti di un soggetto minorenne secondo l'ordinamento italiano;

    17) la condizione di convivenza, però, appare sicuramente un ostacolo al riconoscimento del diritto di acquisizione della cittadinanza per tutti coloro i quali, per qualsiasi motivo, non convivano con il genitore naturalizzato italiano;

    18) infine, va ricordata la situazione del riconoscimento della cittadinanza italiana per naturalizzazione a favore degli individui giunti in Italia da minori: questi ultimi, infatti, rischiano di non ottenere la cittadinanza qualora divengano maggiorenni durante l'iter che riguarda i propri genitori, vedendosi costretti, dunque, a presentare una propria istanza individuale nonostante l'approdo in Italia in giovane età,

impegna il Governo:

1) ad adottare con la massima priorità tutte le iniziative normative di competenza al fine di:

  a) riconoscere la cittadinanza italiana per i minori nati nel territorio della Repubblica da genitori stranieri, dei quali almeno uno sia in possesso del diritto di soggiorno permanente o del permesso di soggiorno dell'Unione europea di lungo periodo;

  b) riconoscere la cittadinanza italiana per i minori nati in Italia o che vi abbiano fatto ingresso entro il compimento del dodicesimo anno di età qualora abbiano frequentato regolarmente un percorso formativo per almeno cinque anni nel territorio nazionale;

  c) riconoscere la cittadinanza italiana per «naturalizzazione» ai minori che abbiano fatto ingresso nel territorio nazionale prima del compimento della maggiore età, che siano legalmente residenti sul territorio nazionale per almeno sei anni e che abbiano frequentato regolarmente un ciclo scolastico, con il conseguimento del titolo conclusivo;

  d) rivedere le condizioni di acquisizione della cittadinanza da parte dei figli minori di chi acquista o riacquista la cittadinanza italiana, da un lato sostituendo l'attuale condizionalità di convivenza del minore con il genitore naturalizzato con la non decadenza del genitore dalla responsabilità genitoriale e, dall'altro, tutelando quegli individui che diventano maggiorenni durante l'iter di naturalizzazione dei propri genitori;

  e) prevedere, in via transitoria, che le nuove fattispecie di acquisto della cittadinanza si applichino anche agli individui, di età inferiore a venti anni, che abbiano maturato i requisiti prima della loro entrata in vigore;

  f) semplificare i procedimenti amministrativi relativi all'acquisizione della cittadinanza italiana, indicando tempi improrogabili che l'amministrazione deve rispettare e prevedendo che, in caso di superamento di tali termini, la domanda di acquisizione della cittadinanza sia considerata accolta;

  g) prevedere l'esenzione dal pagamento del contributo attualmente previsto per le istanze e le pratiche relative all'acquisizione della cittadinanza concernenti i minori;

  h) riconoscere a tutti i minori nati in Italia, ovvero arrivati in Italia entro il compimento del diciottesimo anno di età, il diritto di accesso alla pratica sportiva e garantendo loro, per quanto di competenza, la possibilità di essere tesserati presso le federazioni sportive nazionali.
(1-00324) «Richetti, Rosato, Bonetti, Benzoni, D'Alessio, Grippo, Sottanelli, Onori, Pastorella, Ruffino».

(18 settembre 2024)

MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE VOLTE A GARANTIRE IL DIRITTO ALLO STUDIO

   La Camera,

   premesso che:

    1) nell'imminenza dell'inizio del nuovo anno scolastico, molti genitori stanno affrontando le spese per l'acquisto dei libri di testo e del materiale necessario; anche quest'anno, in un contesto di forti aumenti generalizzati rientrano i materiali tipicamente dedicati alla scuola;

    2) secondo i dati dell'Osservatorio nazionale Federconsumatori, si registra un incremento medio del 6,6 per cento rispetto al 2023. La spesa per il corredo scolastico, inclusi i materiali di ricambio, si attesta intorno ai 647 euro per studente. A questi si aggiunge il costo dei libri di testo, con una media di 591,44 euro, comprensivi di due dizionari, con un aumento del 18 per cento rispetto all'anno precedente;

    3) quest'anno, inoltre, l'analisi dell'Osservatorio nazionale Federconsumatori ha preso in considerazione non solo il costo dei prodotti presso la grande distribuzione organizzata e presso le cartolibrerie, ma anche on line; qualunque sia la modalità di acquisto prescelta, quella per la scuola si conferma una voce di spesa estremamente onerosa per le famiglie;

    4) il prezzo più alto lo pagano tutte le famiglie che hanno figli e figlie al primo anno della scuola dell'obbligo, perché occorre comprare il corredo di base che verrà riutilizzato negli anni successivi. Tuttavia, se la situazione risulta più bilanciata nella scuola primaria, dove è richiesto un impegno economico solo per il materiale didattico dato che i libri sono gratuiti, a partire dalla scuola secondaria di primo grado la situazione diventa complessa;

    5) le spese sono particolarmente alte per gli alunni delle classi prime, in particolare: uno studente di prima media spenderà mediamente per i libri di testo più 2 dizionari 461,81 euro, a tali spese vanno aggiunti 647,00 euro per il corredo scolastico e i ricambi durante l'intero anno, per un totale di 1.108,81 euro; un ragazzo di prima liceo spenderà per i libri di testo più 4 dizionari 715,30 euro (+3 per cento rispetto allo scorso anno) e 647,00 euro per il corredo scolastico e i ricambi, per un totale di ben 1.362,30 euro;

    6) tali importi risultano proibitivi per molte famiglie, a cui si aggiungono i costi ancor più onerosi da sostenere per l'acquisto di un personal computer, dei programmi e dei dispositivi necessari per un utilizzo didattico di tale strumento, divenuto ormai indispensabile; dallo studio effettuato dall'Osservatorio nazionale Federconsumatori emerge, infatti, che tra computer, webcam, microfono, antivirus, programmi base una famiglia, dovendosi dotare di tali dispositivi, arriva a spendere, come minimo, 413,44 euro (considerando per antivirus e programmi i costi su base annua), con un rincaro del +5 per cento rispetto al 2023; mediamente i prodotti tecnologici utili alla didattica, rispetto allo scorso anno, registrano un aumento medio del +8,5 per cento e a questo va aggiunta la spesa per la connessione a internet;

    7) sempre l'Osservatorio nazionale federconsumatori ha sottolineato come questi rincari stiano mettendo sotto pressione i bilanci familiari, costringendo molte famiglie a ricorrere a soluzioni di risparmio, come il riutilizzo di zaini e astucci o l'acquisto di materiali di seconda mano; tuttavia, come evidenziato dallo stesso Osservatorio, nonostante le strategie adottate, coprire tutte le spese scolastiche resta una sfida ardua, in particolare per le famiglie con maggiori difficoltà economiche;

    8) costi così elevati incidono significativamente sul diritto allo studio di studentesse e studenti e le misure esistenti per aiutare le famiglie ad affrontare tali spese sebbene utili e necessarie, non riescono ancora a ridurre in modo significativo l'impatto economico sul bilancio familiare e inoltre sono declinate in modo diversificato da regione a regione;

    9) dunque, in un contesto di crescenti rincari scolastici, è necessario più che mai venire incontro alle famiglie che dovranno sostenere economicamente i propri figli durante il percorso scolastico con adeguati interventi di sostegno, anche al fine di contrastare l'abbandono e la dispersione scolastica; la spesa per la scuola in Italia è, in percentuale, rispetto a quella generale, la più bassa d'Europa e se si paragonano i costi dei materiali e dei libri scolastici con quelli delle principali economie europee il divario diventa significativo;

    10) dal rapporto Ocse sull'educazione, pubblicato il 10 settembre 2024, emerge che in Italia la spesa per studente è di 13.799 dollari nell'istruzione primaria, 11.739 dollari nell'istruzione secondaria e 13.717 dollari nell'istruzione terziaria; l'Ocse rileva inoltre come l'Italia investe il 4,0 per cento del suo prodotto interno lordo nell'istruzione, a fronte del 4,9 per cento della media Ocse. In media nei Paesi membri dell'organizzazione la quota del prodotto interno lordo dedicata agli istituti scolastici (dai livelli primario a quello terziario) è rimasta sostanzialmente stabile, al 4,9 per cento nel 2015 e nel 2021. Tuttavia, le tendenze variano notevolmente tra i Paesi. L'Italia – rileva il rapporto – è tra i Paesi in cui la spesa come quota del prodotto interno lordo è rimasta pressoché costante al 4 per cento;

    11) per garantire il diritto allo studio e alle pari opportunità di istruzione e formazione dei cittadini, appare auspicabile e necessaria l'istituzione di una «dote educativa», quale misura fondamentale a garanzia del diritto allo studio su tutto il territorio nazionale per sostenere economicamente le famiglie durante tutto il percorso educativo dei figli e contrastare le diseguaglianze socio-culturali e territoriali, anche al fine di prevenire e contrastare l'abbandono e la dispersione scolastica, nonché al fine di contribuire ad arginare il triste fenomeno della denatalità in Italia;

    12) lo studio è un diritto e, come tale, dev'essere garantito universalmente a tutte le bambine e i bambini, ragazze e ragazzi in età scolastica. Un'istruzione adeguata e completa rappresenta uno degli strumenti più importanti per rendere finalmente concreta l'uguaglianza sostanziale tra cittadini, principio fondamentale garantito dalla Carta costituzionale all'articolo 3, comma 2, perché permette di compiere scelte consapevoli e di costruire un'esistenza dignitosa;

    13) investire nella scuola e nel sistema d'istruzione significa investire nel «futuro»,

impegna il Governo:

1) ad intervenire urgentemente, con iniziative forti e immediate, per sostenere le famiglie nell'acquisto dei libri scolastici e del materiale necessario per affrontare dignitosamente l'avvio del nuovo anno scolastico e dunque garantire pienamente il diritto allo studio;

2) ad adottare iniziative volte a reperire risorse adeguate a garantire il diritto all'istruzione per tutte le bambine e i bambini, ragazze e ragazzi, in modo uniforme su tutto il territorio nazionale, al fine di colmare il divario tra Nord e Sud e assicurare la costruzione di una scuola realmente inclusiva, che coinvolga tutti gli alunni e studenti, con particolare attenzione quelli in situazioni di disagio socio-economico ovvero ai bambini e ragazzi con disabilità, introducendo strumenti di supporto indirizzati alle famiglie, quali garanzia del tempo pieno, l'implementazione dei servizi di mensa scolastica, la gratuità dei libri di testo e dei servizi di trasporto;

3) al fine di sostenere economicamente le famiglie durante tutto il percorso educativo dei figli e contrastare le diseguaglianze socio-culturali e territoriali, anche per prevenire e contrastare l'abbandono e la dispersione scolastica, ad adottare iniziative volte a istituire il beneficio della dote educativa da destinare a tutte le alunne e gli alunni, studentesse e studenti del primo e secondo ciclo di istruzione;

4) ad intervenire con politiche di sostegno per affrontare e risolvere, anche attraverso le comunità educanti, il problema della dispersione scolastica, che vede un giovane su dieci abbandonare precocemente gli studi e con percentuale maggiore al Sud, anche alla luce di provvedimenti come l'autonomia differenziata e il dimensionamento della rete scolastica che a parere dei firmatari del presente atto di fatto penalizzano oltremodo le regioni del Sud, in quanto si inseriscono in un contesto dove le diseguaglianze del sistema scolastico sono da tempo ampiamente registrate e aumenterebbero dunque solo le differenze che già esistono.
(1-00315) «Caso, Amato, Orrico, Francesco Silvestri, Baldino, Santillo, Auriemma, Cappelletti, Fenu, Alfonso Colucci, D'Orso, Riccardo Ricciardi, Pellegrini, Torto, Ilaria Fontana, Iaria, Pavanelli, Barzotti, Quartini, Caramiello, Scutellà, Morfino, Donno».

(10 settembre 2024)

   La Camera,

   premesso che:

    1) «Vogliamo Potere» è lo slogan scelto per la mobilitazione che culminerà con uno sciopero nazionale il 15 novembre 2024. Gli studenti chiedono a gran voce un cambio di rotta nelle politiche scolastiche, accusando il Governo di non garantire il diritto allo studio e di promuovere un modello di scuola dannoso;

    2) a fianco dei problemi che riguardano il regolare avvio dell'anno scolastico, l'oggetto della mobilitazione sono, anche, le spese per l'acquisto dei libri di testo e del materiale necessario e l'assenza di un welfare studentesco;

    3) secondo i recenti dati dell'Osservatorio nazionale Federconsumatori, si registra un incremento medio del 6,6 per cento rispetto al 2023. La spesa per il corredo scolastico, inclusi i materiali di ricambio, si attesta intorno ai 647 euro per studente. A questi si aggiunge il costo dei libri di testo, con una media di 591,44 euro, comprensivi di due dizionari, con un aumento del 18 per cento rispetto all'anno precedente;

    4) considerando una «famiglia media» con due figli (che frequentano i due differenti cicli scolastici di secondo grado), la spesa che dovrebbe sostenere per l'acquisto dei libri di testo e del materiale scolastico si attesterebbe a circa 800 euro, mentre sarebbe pari a 442 euro per un figlio che frequenti la prima media e a 621 euro per un figlio iscritto al primo anno di una scuola superiore di secondo grado: in quest'ultimo caso la spesa per i libri e per il materiale e corredo scolastico di due figli a inizio ciclo andrebbe ad attestarsi a 1.060 euro, senza considerare i costi aggiuntivi;

    5) secondo lo studio a cura di Trovaprezzi.it, nel 2024 emerge un notevole aumento di interesse per le ricerche on line di materiale scolastico; Per quanto riguarda gli zaini, ad esempio, le ricerche sono cresciute del 109 per cento a luglio e del 110 per cento ad agosto (rispetto all'anno precedente); ancora più elevato, invece, è l'interesse per i manuali e i dizionari: +416 per cento a luglio e +463 per cento ad agosto di ricerche rispetto allo scorso anno;

    6) i dati evidenziano un cambiamento significativo nelle abitudini dei consumatori, che si spingono sempre di più verso l'acquisto di prodotti scolastici tramite le piattaforme on line, riflettendo anche la crescente fiducia nel servizio di comparazione dei prezzi;

    7) in questi ultimi anni l'editoria scolastica è, di conseguenza, un settore in sofferenza a causa delle problematiche, comuni ad altri settori, relative al costo dell'energia, alla mancanza di materie prime e alla difficoltà di approvvigionamento della carta;

    8) la crisi della carta se, da un lato, tra il 2020 e il 2021 è stata influenzata dai generali problemi di approvvigionamento e di trasporti legati alla pandemia da coronavirus, dall'altro è continuata anche a causa della guerra in Ucraina e all'aumento dei costi di produzione;

    9) secondo i dati più recenti dell'Associazione italiana editori, il costo medio della carta per i libri è aumentato del 57 per cento tra gennaio 2021 e maggio 2022 e, in particolare, per i libri scolastici l'aumento sarebbe dell'80 per cento rispetto a un anno fa;

    10) anche per le suddette difficoltà, con la ripresa della scuola si ripropone il problema dell'assenza dei libri di testo e l'aumento dei costi;

    11) è chiaro che il tema della distribuzione non può scindere dal problema del costo dei libri di testo ed emerge la necessità di intervenire con azioni concrete;

    12) per le famiglie con studenti in età scolare, il costo dei libri di testo rappresenta una voce di spesa rilevante nel bilancio familiare e, in un periodo di generale aumento del livello dei prezzi, rischia di creare disparità nel diritto allo studio per gli studenti provenienti da contesti socio-economici più problematici;

    13) l'aumento del costo dei libri scolastici, oltre a gravare in modo significativo sui bilanci delle famiglie italiane, rischia di avere degli effetti particolarmente gravi nel contesto della crescente povertà infantile europea: in un contesto socioculturale dove la povertà educativa tocca 1,2 milioni di minori e il numero di minori di 18 anni che vivono a rischio di povertà è aumentato dal 23 al 25 per cento tra il 2019 e il 2022, il costo per l'istruzione è aumentato due volte più velocemente dei salari di tutta Europa e il prezzo del materiale utile agli studenti, come penne, matite, carta, gomme, temperamatite e forbici, è salito del 13 per cento tra gennaio e maggio 2023. Un aumento che segue quello del 2022 pari all'8 per cento. Nel 2019 era stato dell'1,7 per cento;

    14) è indubbio che la condizione economica e sociale influenzi la dispersione scolastica e gli scarsi rendimenti. Il diritto allo studio non è ancora garantito dallo Stato per tutti a differenza di molti Paesi europei, in cui per tutto il periodo dedicato alla formazione e alla crescita dei bambini e dei ragazzi è proprio lo Stato a farsi carico dei costi;

    15) l'istruzione è quel passaggio che rende concreta l'eguaglianza tra le persone e permette a ciascuno di fare scelte consapevoli e di costruire un'esistenza dignitosa. Pertanto, tutti bambini e i ragazzi hanno il diritto all'istruzione ed è compito dello Stato garantire che tale diritto sia davvero esigibile;

    16) ciononostante, nel nostro Paese si registra un elevato numero di giovani che non studiano, non si formano e non lavorano, un numero di abbandoni precoci più elevato della media europea (13,1 per cento, pari a circa 543.000 giovani, rispetto al 9,9 per cento europeo), con livelli maggiori nel Mezzogiorno, tra gli alunni stranieri e tra quelli in condizioni di svantaggio economico, sociale e personale. Divari che negli ultimi anni sono aumentati nonostante le tante azioni positive messe in campo dall'intera comunità scolastica (studenti, docenti, dirigenti scolastici, direttori dei servizi generali e amministrativi, personale tecnico amministrativo e collaboratori scolastici) e dalle famiglie. Negli ultimi anni le differenze e i divari tra parti del Paese sono aumentate, con un peggioramento del rendimento scolastico e un allargamento delle distanze tra gli studenti;

    17) politiche di welfare risultano avviate da alcune amministrazioni che hanno introdotto misure a sostegno alle famiglie: anche per l'anno scolastico 2024/2025 le regioni Emilia-Romagna e Toscana, ad esempio, hanno previsto «buoni libro» e la regione Toscana, in particolare, ha introdotto un «pacchetto scuola», misura economica individuale di sostegno di studentesse e studenti delle scuole secondarie provenienti da famiglie a basso reddito per affrontare le spese necessarie alla frequenza, all'acquisto di libri scolastici, materiale didattico di vario tipo e altri servizi scolastici, finanziato con risorse statali e risorse proprie della regione;

    18) analoghe misure di sostegno a favore degli studenti e delle loro famiglie sono state adottate anche riguardo al trasporto pubblico per venire incontro ai costi da essi sostenuti per recarsi presso il proprio istituto scolastico. Si fa riferimento, ad esempio, al progetto «Salta su», promosso dalla regione Emilia-Romagna, diretto a garantire l'abbonamento gratuito agli studenti delle scuole elementari, medie, superiori e degli istituti di formazione professionale, residenti in regione che scelgono di andare a scuola, utilizzando bus e treni regionali, con un risparmio per le famiglie compreso tra i 300 e i 600 euro a figlio in base all'abbonamento;

    19) queste misure di welfare scolastico riescono concretamente a venire incontro a situazioni legate al caro libri e al caro trasporti e all'incremento dei costi a carico delle famiglie, che, spesso, rischiano di produrre degli effetti particolarmente penalizzanti, in particolare per i nuclei familiari che vivono condizioni di maggiore disagio, e ad affrontare la più generale emergenza educativa che caratterizza il nostro Paese, come testimoniano anche i drammatici dati relativi alla povertà educativa, all'abbandono e alla dispersione scolastica;

    20) a causa delle medesime e difficili condizioni economiche, molte bambine, bambini, ragazze e ragazzi non hanno le stesse opportunità dei loro coetanei in situazioni economiche migliori: dai dati Istat più recenti emerge che oggi, complice anche il post pandemia, più di 1,2 milioni di minori nel nostro Paese, pari al 15,5 per cento del totale dei bambini e delle bambine, vive in condizioni di povertà assoluta, ovvero di grave indigenza, condizione che determina un aumento della dispersione scolastica e della povertà educativa;

    21) i recentissimi dati forniti da Save the children evidenziano la necessità di sostenere interventi progressivi che arrivino al riconoscimento della mensa come un servizio pubblico essenziale da garantire uniformemente su scala nazionale;

    22) il Partito democratico ha depositato, sia alla Camera che al Senato, proposte di legge dirette a contrastare il caro libri, il caro trasporti e a garantire un livello essenziale delle prestazioni per il servizio di refezione scolastica;

    23) l'insieme dei dati sopra riferiti richiede, quindi, l'avvio di azioni strutturali e non episodiche a sostegno del settore dell'istruzione, delle studentesse e degli studenti italiani e delle loro famiglie per sostenere i costi connessi all'inizio del prossimo anno scolastico e per affrontare l'emergenza educativa che caratterizza settori significativi dell'istruzione,

impegna il Governo:

1) ad intervenire con iniziative per il sostegno al diritto allo studio nella direzione di un'omogeneizzazione delle condizioni di accesso alla gratuità dei libri di testo nelle diverse aree del Paese, anche aumentando le risorse nazionali a tal fine destinate alla progressiva gratuità a cominciare dalle famiglie meno abbienti;

2) ad intervenire con iniziative dirette a garantire, in forma graduale e progressiva, la gratuità dei costi legati alla mobilità delle studentesse e degli studenti del sistema nazionale di istruzione nel tragitto dall'abitazione alla sede scolastica, anche attraverso l'istituzione di un fondo specifico diretto a coprire i costi da essi sostenuti, sia per il trasporto scolastico erogato dagli enti locali sia per il trasporto pubblico locale;

3) ad adottare iniziative volte a prevedere l'istituzione di un fondo di solidarietà per i viaggi di istruzione presso il Ministero dell'istruzione e del merito, da ripartire, sulla base dell'indice di disagio sociale, tra i diversi istituti di scuola di ogni ordine e grado;

4) ad adottare iniziative per reperire risorse adeguate ad incrementare, nella prospettiva dell'introduzione di un livello essenziale delle prestazioni, il servizio di refezione scolastica per la scuola primaria su tutto il territorio nazionale;

5) ad adottare iniziative per garantire un maggior numero di insegnanti, presidi territoriali e l'istituzionalizzazione della comunità educante e dei patti educativi di comunità diretti alla costruzione di reti tra scuole, terzo settore, parrocchie, enti locali, fondazioni e il supporto di educatori e assistenti sociali.
(1-00318) «Manzi, Braga, Berruto, Iacono, Orfini, Bonafè, Ciani, Ghio, Toni Ricciardi, Fornaro, Casu, De Luca, Ferrari, Roggiani, De Maria, Ascani, Bakkali».

(16 settembre 2024)

   La Camera,

   premesso che:

    1) la Costituzione all'articolo 34 dispone che la scuola è aperta a tutti, nonché che la Repubblica rende effettivo il diritto allo studio con borse di studio, assegni alle famiglie e altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso;

    2) la scuola, offrendo agli studenti la possibilità di accedere alla conoscenza e di sviluppare le proprie potenzialità, educa i giovani a diventare cittadini consapevoli e responsabili, in grado di partecipare attivamente alla vita democratica e di contribuire al benessere della comunità;

    3) è tra i banchi di scuola che i giovani si abituano al concetto di comunità, interfacciandosi tra persone non legate da un comune affetto, come nel caso della famiglia, o da uno specifico interesse;

    4) il diritto allo studio, oltre ad essere costituzionalmente garantito, garantisce una funzione sociale che favorisce la crescita personale dell'individuo e la sua emancipazione, educando lo studente all'inclusione e a farsi comunità, indipendentemente dalle condizioni personali, sociali ed economiche;

    5) l'accesso all'istruzione, quale strumento di diretta attuazione dell'articolo 3, secondo comma, della Costituzione e strumento di rimozione degli ostacoli alla partecipazione sociale, rappresenta un passaggio fondamentale per la costruzione del progresso della comunità nazionale e, pertanto, non può tollerare compressioni di sorta: garantire l'inclusività degli studenti con disabilità e il recupero di quelli in situazioni familiari disagiate rappresentano vere e proprie priorità del sistema scolastico, meritando un approccio strutturato e consolidato e non, dunque, azioni estemporanee e asistematiche;

    6) nell'imminenza dell'avvio dell'anno scolastico, come ogni anno, grava però sulle famiglie il costo dell'acquisto del materiale didattico e dei libri di testo;

    7) nel panorama economico attuale, le voci del bilancio pubblico destinate al sistema scolastico risultano insufficienti e pongono l'Italia tra i Paesi europei che dedicano meno risorse all'istruzione;

    8) l'ultimo rapporto Ocse sull'educazione mette in evidenza come il nostro Paese investe il 4,0 per cento del suo prodotto interno lordo nell'istruzione, a fronte del 4,9 per cento della media Ocse;

    9) i dati raccolti dall'Osservatorio nazionale Federconsumatori nel 2024, tanto per le modalità di acquisto tradizionale che per quella sui canali on line, mettono in luce un aumento medio dei costi per il corredo scolastico, al netto dei libri di testo, di circa il 6,6 per cento rispetto all'anno precedente, attestandosi a 647 euro per studente;

    10) lo stesso Osservatorio sottolinea come la spesa media per i libri di testo e due dizionari è aumentata del 18 per cento rispetto al 2023, attestandosi a 591,44 euro;

    11) le situazioni più complesse si registrano tra le prime classi dei diversi ordini scolastici. Se per le scuole primarie l'esborso è mitigato dalla gratuità dei libri di testo, lo stesso non può dirsi per le scuole secondarie;

    12) la famiglia di uno studente di prima media è chiamata a spendere mediamente per i libri di testo più 2 dizionari 461,81 euro; a tali spese vanno aggiunti 647,00 euro per il corredo scolastico e i ricambi durante l'intero anno, per un totale di 1.108,81 euro;

    13) un ragazzo chiamato a frequentare il primo anno di liceo classico spenderà per i libri di testo più 4 dizionari 715,30 euro (in aumento del 3 per cento rispetto al 2023) e 647,00 euro per il corredo scolastico e i ricambi, per un totale di ben 1.362,30 euro;

    14) è fuor di dubbio che tali aumenti incontrollati intaccano il diritto allo studio e gravano totalmente sulle famiglie che già negli ultimi anni – come si legge dall'Employment outlook annuale dell'Ocse – hanno pagato aspramente la crisi causata da Covid e inflazione (con annessi stipendi stagnanti) e hanno subito una riduzione dei salari reali del 6,9 per cento rispetto al 2019;

    15) in tale quadro si inseriscono criticità ormai «strutturali», quali la carenza di docenti di sostegno, la vetustà dei plessi scolastici ed evidenti disomogeneità territoriali, con particolare riferimento alle aree interne e insulari;

    16) l'effettività del diritto allo studio è subordinata anche all'erogazione di contributi da parte delle singole regioni, nell'ambito della loro competenza in materia di istruzione, ai sensi dell'articolo 117 della Costituzione. Tale situazione determina una disomogeneità territoriale nell'accesso ai servizi e alle provvidenze collegate al diritto allo studio, con particolari criticità rilevate nelle regioni meridionali, dove le risorse destinate a sostenere le famiglie per l'acquisto di libri di testo e materiale didattico, nonché per i servizi di trasporto e mensa scolastica, risultano spesso inferiori rispetto ad altre aree del Paese, creando un'ingiustificata disparità di trattamento e compromettendo il principio di uguaglianza di cui all'articolo 3 della Costituzione;

    17) il processo di autonomia differenziata, previsto dalla legge 26 giugno 2024, n. 86, rischia di accentuare ulteriormente le disuguaglianze territoriali nell'erogazione dei servizi scolastici, aggravando il divario tra le regioni più ricche e quelle economicamente svantaggiate, minando così il principio di uguaglianza sostanziale costituzionalmente garantito;

    18) a giudizio dei firmatari del presente atto di indirizzo il definanziamento dei livelli essenziali delle prestazioni, il cui obiettivo è assicurare in modo uniforme su tutto il territorio nazionale i diritti civili e sociali fondamentali, ha contribuito a ridurre le risorse destinate al sistema scolastico, in particolare nelle aree più svantaggiate del Paese, compromettendo il diritto all'istruzione e accrescendo le diseguaglianze territoriali,

impegna il Governo:

1) ad adottare senza indugio le iniziative necessarie per sostenere le famiglie nell'acquisto dei libri scolastici e del materiale necessario per affrontare l'avvio dell'anno scolastico;

2) ad adottare iniziative volte a reclutare un numero congruo di docenti di sostegno, così da limitare il continuo cambio di personale e garantire un'offerta formativa adeguata alle esigenze degli studenti con disabilità;

3) ad adottare iniziative volte non solo a rendere effettivo il dettato dell'articolo 34 della Costituzione, ma anche ad uniformare il diritto d'accesso agli studi tra le studentesse e gli studenti di ogni regione così da affrontare l'abbandono scolastico, con particolare riferimento alle regioni meridionali, alle aree interne e periferiche del Paese;

4) ad adottare misure volte a potenziare i servizi mensa e i sistemi di trasporto, nonché la fornitura dei libri di testo, con particolare riferimento ai nuclei familiari a basso reddito e alle persone con disabilità così da rendere effettivo l'accesso al diritto allo studio e un sistema scolastico più inclusivo;

5) ad adottare iniziative volte al contrasto della povertà alimentare a scuola istituendo un fondo, da destinare agli studenti della scuola primaria facenti parte di nuclei familiari a basso reddito che non riescano a provvedere al pagamento delle rette previste, per la fruizione del servizio di ristorazione scolastica.
(1-00319) (Nuova formulazione) «Faraone, Gadda, De Monte, Del Barba, Bonifazi, Boschi, Giachetti, Gruppioni».

(16 settembre 2024)

   La Camera,

   premesso che:

    1) il diritto all'istruzione è un tratto distintivo di ogni democrazia consacrato dalla Dichiarazione universale del 1948 e, in Italia, dalla Carta costituzionale;

    2) nell'ordinamento italiano, infatti, il diritto allo studio trova fondamento all'articolo 34 della Costituzione, commi terzo e quarto, nei quali è proclamato il diritto dei capaci e dei meritevoli, anche se privi di mezzi economici, di raggiungere i gradi più alti degli studi e, altresì, si statuisce il dovere della Repubblica a garantire l'effettività di tale diritto;

    3) l'istruzione rende concreta l'eguaglianza tra le persone e permette a ciascuno di fare scelte consapevoli e di costruire un'esistenza dignitosa. Tutti i bambini e i ragazzi di età inferiore ai 18 anni – italiani e stranieri – presenti in Italia hanno il diritto-dovere all'istruzione e alla formazione;

    4) è compito dello Stato garantire l'estensione a tutti dell'offerta formativa, nonché la fruibilità di essa, anche con una serie di aiuti agli studenti più bisognosi, al fine di realizzare l'eguaglianza dei punti di partenza sancita dalla Costituzione;

    5) il diritto all'istruzione si persegue attraverso la costruzione di un'alleanza e una sinergia virtuosa tra le diverse agenzie educative, prime fra tutte scuola e famiglia, condividendo i nuclei fondanti dell'azione educativa, al fine di garantire il successo formativo di tutti gli alunni e gli studenti, il cui benessere e la cui crescita personale e culturale rimangono obiettivo primario della scuola, nel rispetto della libertà di insegnamento dei docenti e dell'autonomia riconosciuta alle istituzioni scolastiche, nonché del pluralismo culturale e delle scelte educative della famiglia;

    6) proprio perché l'istruzione è un diritto universale, è fondamentale assicurare a ciascuno il diritto alla costruzione di un percorso di conoscenza e di apprendimento, la cui realizzazione si avvale di uno strumento didattico privilegiato, quale il libro di testo, che rappresenta, indubbiamente, il canale preferenziale su cui si attiva la comunicazione didattica;

    7) tale percorso è caratterizzato da esperienze educative e formative che possono essere arricchite anche attraverso i viaggi di istruzione e le uscite didattiche, che rappresentano un importante contributo per la crescita culturale, la socializzazione e lo sviluppo delle competenze degli studenti. È fondamentale, quindi, assicurare risorse e rafforzare misure per supportare il diritto-dovere all'istruzione e alla formazione, anche al fine di prevenire la dispersione scolastica e l'abbandono;

    8) il sostegno al diritto all'istruzione non si misura solo in termini di risorse economiche, ma anche attraverso azioni che, di fatto, mirano a garantire pari opportunità a tutti gli alunni e studenti, soprattutto a quelli provenienti da contesti sociali difficili;

    9) consapevole di ciò, l'attuale Governo ha adottato una serie di iniziative che garantiscono, da un lato, lo stanziamento di nuove risorse per il rafforzamento delle misure di welfare dello studente e, dall'altro, l'effettività del diritto all'istruzione con azioni mirate in favore degli studenti in situazioni di svantaggio economico e sociale, nonché mediante azioni destinate a sostenere le istituzioni scolastiche nella lotta alla dispersione, alla povertà educativa e al disagio giovanile;

    10) nell'ambito delle iniziative anzidette si colloca la riforma del sistema di orientamento prevista dal Piano nazionale di ripresa e resilienza e che ha portato all'emanazione delle linee guida con il decreto ministeriale n. 328 del 2022;

    11) non è un caso che una delle prime azioni del Ministro si sia concentrata su una riforma profonda delle attività di orientamento, che devono costituire un elemento di forte incentivazione per accompagnare l'alunno fin dai primi anni del suo ingresso nel mondo della scuola, aiutandolo ad esaminare i contesti, a formare e recuperare gli elementi motivazionali, a chiarire gli obiettivi e le finalità dell'attività di formazione;

    12) aspetto qualificante della riforma è l'introduzione della figura dei docenti tutor, con il compito di sostenere gli alunni, soprattutto quelli più fragili, nell'elaborazione di un progetto di orientamento, attraverso la predisposizione di un «portfolio digitale», strumento finalizzato a integrare e completare il percorso scolastico;

    13) per l'attuazione della riforma sono stati stanziati 150 milioni di euro previsti come dotazione iniziale per l'anno 2023, incrementati di 42 milioni di euro per ciascuno degli anni 2024 e 2025, destinati a remunerare le circa 40.000 figure di docente tutor a cui vanno ad aggiungersi quelle di docente orientatore, una per ogni istituto scolastico;

    14) sempre nell'ambito delle iniziative finanziate con il Piano nazionale di ripresa e resilienza è stata avviata, altresì, la realizzazione del «Piano Agenda Sud», che prevede la destinazione di risorse per interventi mirati alla riduzione della dispersione scolastica e dei divari territoriali e negli apprendimenti delle istituzioni scolastiche site in contesti caratterizzati da maggiore disagio educativo nelle regioni del Mezzogiorno. In particolare, con il decreto ministeriale n. 176 del 2023 sono state ripartite le risorse destinate agli istituti beneficiari del Piano, il quale prevede un totale di 265,588 milioni di euro in favore delle scuole statali primarie, secondarie di primo e di secondo grado delle regioni del Mezzogiorno;

    15) a distanza di un anno da «Agenda Sud», il Ministro ha adottato il «Piano Agenda Nord» che, con uno stanziamento complessivo di 220 milioni di euro, mira a contrastare la dispersione scolastica e a potenziare le competenze nelle aree del Settentrione e del Centro Italia inserite in contesti difficili e con più alti tassi di dispersione e che spesso scontano differenze legate alla marginalità del contesto sociale in cui si trovano;

    16) il «Piano Agenda Sud» e il «Piano Agenda Nord» sono frutto di una politica che mette tutti i giovani in condizione di avere pari opportunità formative, a prescindere dal luogo in cui sono nati;

    17) nell'ottica di promuovere esperienze educative e formative, a marzo 2024 il Ministro dell'istruzione e del merito ha firmato una nuova direttiva per promuovere la partecipazione più ampia degli studenti e delle studentesse ai viaggi di istruzione e alle visite didattiche. Il provvedimento conferma l'impegno costante del Ministero per garantire la piena fruizione del diritto allo studio e il sostegno alle famiglie, assicurando che ogni studente, indipendentemente dalla condizione economica, abbia l'opportunità di partecipare a viaggi d'istruzione e a visite didattiche. In particolare, viene riconosciuta la possibilità di accedere a un contributo fino a 150 euro anche per gli studenti che provengono da contesti familiari con un Indicatore della situazione economica equivalente (Isee) fino a 15.000 euro, mentre prima era fino a 5.000 euro. Tutto questo grazie ai 50 milioni di euro stanziati, su volontà del Ministro Valditara, per la prima volta, per questa specifica finalità;

    18) ad aprile 2024 lo stesso Ministro ha firmato il decreto cosiddetto «Piano estate», che stanzia 400 milioni di euro per finanziare attività di inclusione, socialità e potenziamento delle competenze, soprattutto a beneficio delle famiglie meno abbienti;

    19) tra le più recenti misure, non si può non menzionare il decreto-legge n. 71 del 2024, con il quale il Ministero ha adottato interventi mirati a beneficio della reale integrazione degli alunni stranieri, che prevedono attività di potenziamento concretamente messe a disposizione delle scuole. Le misure sono rivolte, infatti, a quegli alunni stranieri che, soprattutto se neo-arrivati in Italia, non possiedono un adeguato livello di conoscenza della lingua italiana. Per queste ragioni, si prevede, da una parte, la possibilità per le scuole di accedere a specifici progetti Pon volti ad assicurare il potenziamento dell'apprendimento della lingua italiana; dall'altra di avviare un percorso che porterà, attraverso la rimodulazione degli organici e l'avvio di uno specifico concorso, ad introdurre in tutte le classi con un numero di studenti stranieri neoarrivati in Italia, pari o superiore al 20 per cento, un docente abilitato all'insegnamento della lingua italiana per alunni stranieri;

    20) con il medesimo decreto-legge il Ministero ha stanziato nuove risorse per la fornitura gratuita, totale o parziale, dei libri di testo, come prevede l'articolo 27 della legge n. 448 del 1998, in favore degli alunni meno abbienti che adempiono l'obbligo scolastico, nonché alla fornitura di libri di testo da dare anche in comodato agli studenti della scuola secondaria superiore;

    21) pertanto, per la prosecuzione degli interventi di cui all'articolo 27 della legge n. 448 del 1998, l'articolo 14-ter del decreto-legge n. 71 del 2024, al comma 2, ha incrementato di 3 milioni di euro, a decorrere dall'anno 2025, l'autorizzazione di spesa per la fornitura gratuita, totale o parziale, di libri di testo in favore degli alunni che adempiono l'obbligo scolastico in possesso dei requisiti richiesti;

    22) per supportare l'assolvimento dell'obbligo scolastico e prevenire la dispersione, il decreto legislativo del 13 aprile 2017, n. 63, ha istituito, all'articolo 9, il Fondo unico per il diritto allo studio, finalizzato all'erogazione ogni anno di borse di studio destinate agli studenti a basso reddito della scuola secondaria di secondo grado, e per il quale è all'attenzione del Ministero un piano per ridurre i tempi per il riconoscimento delle borse di studio e migliorare, quindi, il processo di erogazione delle stesse con le regioni;

    23) tra le azioni volte a contrastare la dispersione scolastica vanno ricompresi anche gli interventi di edilizia per le mense scolastiche – previsti dall'Investimento 1.2: «Mense», per un totale di 600 milioni di euro – che rappresentano un ulteriore sostegno ai piani per combattere l'abbandono precoce degli studi. D'altronde, il tempo mensa è indiscutibilmente compreso nel tempo scuola, in quanto esso condivide le finalità educative proprie del progetto formativo scolastico di cui esso fa parte. Al riguardo, con avviso pubblico 29 luglio 2024, il Ministero ha inteso finanziare, sempre attraverso l'Investimento 1.2 del Piano nazionale di ripresa e resilienza, l'estensione del tempo pieno per ampliare l'offerta formativa delle scuole e rendere le stesse sempre più aperte al territorio, anche oltre l'orario scolastico e nei periodi di sospensione della didattica, anche come opportunità per dare vita a iniziative di recupero e potenziamento delle discipline, così da sostenere le famiglie e contribuire a ridurre i divari territoriali tra realtà territoriali diverse;

    24) per garantire lo sviluppo armonico della persona e per affrontare quelle difficoltà relazionali che molto spesso afferiscono alla dimensione più intima e personale degli alunni e che risultano amplificate dagli effetti sociali della pandemia da Covid-19, si è ritenuto opportuno richiamare l'attenzione sull'importanza dell'introduzione delle competenze non cognitive nel percorso didattico e, con il decreto ministeriale n. 183 del 7 settembre 2024, si è provveduto ad emanare nuove linee guida per l'insegnamento dell'educazione civica che recepiscono i cambiamenti negli stili di vita degli alunni e sostengono le famiglie in quel patto educativo con la scuola che è alla base della crescita umana e personale di ogni singolo alunno;

    25) in aggiunta alle numerose misure sopra richiamate, il Ministero ha, altresì, confermato la «Carta dello studente», che consente agli studenti l'accesso ai servizi e alle agevolazioni e rappresenta la prima rete in Italia di partenariato privato/pubblico a favore del diritto allo studio;

    26) nonostante il raggiungimento di risultati positivi, grazie alle iniziative fino ad oggi adottate, si prospettano ulteriori sfide volte a fronteggiare il contesto dell'attuale e complessa congiuntura economica caratterizzata da un generalizzato innalzamento dei prezzi;

    27) l'ampliamento dell'accesso e della qualità dell'istruzione consentirà alle studentesse e agli studenti, soprattutto se provenienti da famiglie vulnerabili, di potersi dotare di strumenti e competenze necessari per confrontarsi con le mutevoli esigenze del mercato del lavoro, assicurando loro una formazione che valorizzi i talenti e le potenzialità di ognuno;

    28) la previsione di misure omogenee per sostenere il diritto allo studio, per superare, così, i divari e le disuguaglianze degli studenti è, d'altronde, un obiettivo pienamente condivisibile per garantire il diritto all'istruzione;

    29) il Governo ha assunto numerose iniziative rivolte a incrementare le risorse destinate a sostenere il diritto allo studio e ha riportato al centro dell'agenda istituzionale il settore istruzione, grazie allo stanziamento di risorse aggiuntive e a riforme legate al mondo della scuola,

impegna il Governo:

1) a proseguire le iniziative poste in essere per sostenere le famiglie nell'acquisto dei libri scolastici e dunque garantire il diritto allo studio;

2) a continuare a promuovere le politiche di agevolazione per ridurre i costi per sostenere la partecipazione ai viaggi di istruzione e alle visite didattiche;

3) ad adottare iniziative volte a ottimizzare l'impiego delle risorse finalizzate al superamento dei divari negli apprendimenti tra Nord e Sud, garantendo pari opportunità di istruzione su tutto il territorio nazionale alle bambine e ai bambini, ragazze e ragazzi, con particolare attenzione a quelli in situazioni di disagio socioeconomico e con disabilità;

4) a proseguire le iniziative per garantire una maggiore equità nell'accesso alle opportunità educative, riducendo il divario tra studenti di diverse origini socioeconomiche, anche al fine di contrastare l'abbandono e la dispersione scolastica;

5) ad adottare iniziative di competenza volte a garantire che la scuola continui ad essere un luogo di confronto e di dialogo, durante l'orario curriculare e durante le aperture pomeridiane, anche prevedendo la promozione di attività culturali e sportive extracurricolari, in collaborazione con gli enti del terzo settore e le altre realtà associative presenti sui territori, e valorizzando le esperienze di educazione non formale per permettere alle studentesse e agli studenti di acquisire tutti gli strumenti necessari a confrontarsi con i cambiamenti repentini che oggi caratterizzano la società e il mondo del lavoro, anche in seguito ai veloci progressi della tecnologia;

6) a continuare a promuovere il dialogo intergenerazionale e tra gli alunni, puntando l'attenzione sulle competenze non cognitive e accompagnando gli alunni in un percorso di educazione alle relazioni, alle emozioni e all'affettività;

7) ad assumere iniziative di competenza volte a contribuire a formare cittadini responsabili e consapevoli, partendo dalla Carta costituzionale e consentendo agli alunni di consolidare un patrimonio di valori, di principi, di diritti e di doveri;

8) a continuare a investire sulle mense e sul tempo pieno, soprattutto nelle regioni del Mezzogiorno, per dare a tutti, al di là delle condizioni di partenza e del territorio di residenza, le stesse opportunità di successo formativo di altre realtà;

9) ad adottare iniziative volte a rafforzare le agevolazioni fiscali per spese d'istruzione;

10) a valorizzare il ruolo degli insegnanti anche attraverso iniziative per un aumento delle retribuzioni, riconoscendo l'importante ruolo che essi svolgono nel garantire l'effettiva attuazione del diritto allo studio.
(1-00321) «Sasso, Amorese, Tassinari, Pisano, Latini, Mollicone, Dalla Chiesa, Loizzo, Cangiano, Mulè, Miele, Di Maggio, Matteoni, Messina, Perissa, Roscani».

(16 settembre 2024)

   La Camera,

   premesso che:

    1) con l'inizio del nuovo anno scolastico, le famiglie si vedono costrette ad affrontare la spesa per libri di testo, corredo scolastico (zaini, materiale di cancelleria, quaderni e altro), trasporti e mensa;

    2) la distribuzione gratuita dei libri di testo a tutti gli alunni delle scuole elementari (scuola primaria), da parte dei comuni, indipendentemente dal reddito familiare, è stata introdotta dalla legge n. 719 del 1964 e viene tuttora applicata, malgrado l'obbligo di istruzione sia stato innalzato nel 1962 a 8 anni, includendo i 3 anni della scuola media, e nel 2006 a 10 anni, includendo i primi 2 anni dell'istruzione secondaria di II grado;

    3) dal 1998 (legge n. 448) la gratuità totale o parziale dei libri di testo è stata finanziata per l'importo di 200 miliardi di lire – divenuti 103,3 milioni di euro con l'introduzione della nuova moneta – e rifinanziata negli anni successivi con lo stesso importo fino al 2020. Nel 2021 (legge n. 178 del 2020) la cifra fu portata a 133 milioni di euro, confermati negli anni successivi, con una previsione fino al 2026;

    4) il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 320 del 1999 indicò in 30 milioni di lire (corrispondenti a 15.493,71 euro, ma che al cambio attuale corrispondono a ben 24.743,45 euro) il reddito annuale massimo del nucleo familiare necessario per l'accesso al beneficio e da allora tale cifra è rimasta invariata;

    5) l'Istat ha rilevato che nel 2023 1,3 milioni di minori appartenevano a famiglie in povertà assoluta, dato sostanzialmente stabile rispetto al 2022 e distribuito diversamente tra Nord, Centro e Sud;

    6) nel 2023 hanno fruito gratuitamente della fornitura dei libri di testo 2.219.151 alunni della scuola primaria, il che, calcolando il costo medio annuale di 39 euro, porta la spesa complessiva a circa 85 milioni di euro, i quali, detratti dai 133 milioni stanziati, lasciano un residuo di 48 milioni di euro, con i quali si dovrebbero fornire i necessari sussidi agli alunni della scuola secondaria di primo e secondo grado, appartenenti a famiglie a basso reddito;

    7) nel 2023, dei 4.152.491 mila studenti di scuola media e superiore, solo 589.196, appartenenti a famiglie con un reddito inferiore a 15.493,71 euro, hanno ricevuto un sussidio;

    8) le risorse per l'acquisto dei libri di testo e del materiale scolastico vengono assegnate dal Ministero dell'istruzione e del merito alle regioni, che poi le erogano agli interessati tramite i comuni. Le regioni integrano i fondi statali con risorse proprie, in misura anche assai differente nelle varie realtà territoriali, così come sono differenti, per importi e requisiti, le regole di accesso ai voucher, con conseguenti disuguaglianze gravi nella fruizione del diritto allo studio da parte degli studenti;

    9) in molte regioni, peraltro, si segnalano ritardi nell'erogazione delle risorse agli interessati, dovuti alle complessità burocratiche dei passaggi dal Ministero dell'istruzione e del merito alle regioni e da queste ai comuni;

    10) l'Anci ha più volte segnalato come il costo dei libri della scuola primaria sia in gran parte a carico dei comuni, essendo insufficiente il contributo statale;

    11) buona parte delle case editrici, poi, ogni anno cambiano codici Isbn, aggiungendo o togliendo immagini, modificando la prefazione, qualche riga di testo, il numero di pagine o gli esercizi applicativi, pur mantenendo pressoché invariato il contenuto, ma impedendo il riuso dei volumi, che invece per molte famiglie potrebbe portare a un risparmio del 30-40 per cento;

    12) su questo il Codacons ha annunciato di aver avviato una denuncia in procura per truffa, accompagnata dalla richiesta di sequestro di tutti i libri scolastici presentati come «nuovi», al fine di «controllare/monitorare/verificare/ispezionare se all'interno del testo presentato come “nuova edizione” vi sia un aggiornamento scientifico e/o didattico ovvero un differimento superiore alla soglia del 20 per cento, così come disciplinato dal codice di autoregolamentazione del settore editoriale educativo, rispetto alla “vecchia” edizione»;

    13) sul costo dei libri incide moltissimo la foliazione, che in Italia è ormai fuori controllo, per cui vengono realizzati libri con centinaia di pagine, solo in parte utilizzate, ma che comunque appesantiscono gli zaini e favoriscono una didattica trasmissiva;

    14) secondo i dati dell'Osservatorio nazionale Federconsumatori, nel 2024 per ogni alunno si spenderanno mediamente 647,00 euro per il corredo scolastico (+6,6 per cento rispetto al 2023) e 591,44 euro per i libri (+18 per cento rispetto al 2023), cui occorre aggiungere i costi per personal computer e dispositivi vari,

impegna il Governo:

1) ad adottare con la massima priorità le iniziative di competenza, in particolare di carattere normativo, volte a:

  a) estendere alla scuola primaria il meccanismo che collega la gratuità al reddito familiare, destinando i risparmi così creati ai successivi ordini di scuola;

  b) innalzare l'attuale soglia Isee che dà diritto al contributo per le spese scolastiche (libri, corredo scolastico, trasporti, mensa), tenendo conto dell'inflazione e dei dati Istat sulla povertà assoluta e relativa delle famiglie;

  c) portare ad almeno a 300 milioni di euro la cifra attualmente destinata al capitolo 2043 del Ministero dell'istruzione e del merito, in modo tale da avvicinare l'investimento dell'Italia in istruzione a quello dei principali Paesi europei;

  d) prevedere la detraibilità fiscale del costo dei libri e degli altri materiali scolastici, con incidenza percentuale parametrata al reddito familiare;

  e) regolamentare la produzione di libri di testo, affinché essi siano:

   1) annuali e non più triennali o quinquennali, con gli evidenti vantaggi che questo comporterebbe in termini di riuso e di peso;

   2) validi per almeno 3 anni, impedendo i cosiddetti «finti aggiornamenti», e con eventuali integrazioni da apportare attraverso fascicoli di aggiornamento in luogo di un'intera ristampa, al fine di garantire un forte risparmio non soltanto per le famiglie, ma anche in termini di impronta ecologica, con la diminuzione dei consumi di carta e dell'utilizzo di inchiostri e altri materiali ad elevato impatto ambientale;

  f) formare e incentivare gli insegnanti all'autoproduzione di materiali didattici digitali;

  g) sensibilizzare il personale docente e dirigente delle scuole affinché siano messe in pratica iniziative di riuso, condivisione e passaggio dei testi tra le classi successive, adottando, laddove possibile, testi comuni per le diverse sezioni e creando al proprio interno biblioteche solidali che mettano a disposizione gratuitamente i libri e il corredo scolastico per le famiglie in maggiore difficoltà;

  h) sostenere e diffondere, in collaborazione con regioni e comuni, il comodato d'uso dei libri di testo e l'arricchimento delle biblioteche scolastiche;

  i) stabilire criteri condivisi con le regioni, affinché il diritto all'istruzione non sia condizionato dal territorio di residenza, sia per entità del contributo che per tempistiche di erogazione dello stesso.
(1-00325) «Grippo, Richetti, Bonetti, Benzoni, D'Alessio, Sottanelli, Onori, Pastorella, Rosato, Ruffino».

(18 settembre 2024)

   La Camera,

   premesso che:

    1) è stato pubblicato qualche giorno fa l'annuale rapporto «Education at a glance» curato dall'Ocse, l'Organizzazione per la cooperazione e per lo sviluppo economico, dove si può leggere che nel nostro Paese il 20 per cento (la media Ocse è al 14 per cento) dei giovani fra i 25 e i 34 anni non completa il ciclo di istruzione secondaria di secondo grado. Ciò comporta grosse conseguenze sull'occupazione in questa fascia d'età; infatti, solo il 57 per cento dei 25-34enni senza diploma di maturità trova lavoro, a fronte del 69 per cento dei diplomati. Inoltre, il 27 per cento della popolazione fra i 25 e i 64 anni non diplomata guadagna la metà o meno del reddito medio;

    2) la scarsa attenzione alla qualità della scuola, da anni privata delle ore di laboratorio, di compresenze e di personale docente e ATA, viene purtroppo confermata dal rapporto. Secondo l'Ocse, l'Italia è sotto la media per quanto riguarda la spesa pubblica per l'istruzione: 4 per cento del prodotto interno lordo rispetto al 4,9 per cento dei Paesi Ocse;

    3) in questi giorni poco più di 8 milioni di studenti e studentesse della scuola italiana statale e paritaria sono tornati sui banchi per l'inizio del nuovo anno scolastico. Nonostante il tasso demografico in caduta libera porti meno iscritti a scuola, i parametri per creare nuove classi rimangono sempre gli stessi e sono quelli, decisamente elevati, introdotti dall'allora Ministra Gelmini: per formare le prime classi alle superiori, ad esempio, servono almeno 27 studenti;

    4) secondo le associazioni di categoria Federconsumatori e Codacons, la ripartenza sarà ancora più costosa rispetto a quella del 2023. L'Osservatorio nazionale di Federconsumatori, per l'anno scolastico 2024/2025, prevede che le famiglie dovranno affrontare una spesa media di 647 euro per il corredo scolastico e di 591 euro per i libri di testo. La spesa prevista, quindi, supera i 1200 euro a figlio;

    5) sulla stessa linea c'è il Codacons, che stima una spesa complessiva di 1.300 euro, per l'acquisto di libri, dizionari e materiale scolastico;

    6) oltre a zaini e a cancelleria varia, ad aumentare sono anche i libri di testo: tra testi obbligatori e almeno due dizionari, gli studenti dovranno spendere in media 591,44 euro, ovvero il 18 per cento in più rispetto al 2023. Le spese più elevate si registrano per i manuali indirizzati alla scuola secondaria di secondo grado;

    7) come sempre, le spese maggiori saranno per gli studenti che cominceranno un nuovo ciclo scolastico e che, quindi, dovranno rinnovare l'intero catalogo. Federconsumatori, per i libri di prima media, stima una spesa di 461 euro che, sommati al corredo didattico, arrivano a 1.100 euro. Il conto è ancora più salato per la scuola superiore: le spese salgono a 715 per i manuali e 1362 euro per il corredo scolastico;

    8) a queste spese andranno aggiunte, nel corso dell'anno scolastico, quelle per il trasporto, quelle per la mensa e quelle per i viaggi di istruzione. Nel 2023 uno studente su due non ha potuto prendervi parte a causa dei costi troppo elevati. Molte scuole si impegnano a coprire le spese per incentivare la partecipazione alle gite del maggior numero possibile di studenti. Ma l'aumento dei prezzi degli aerei, dei trasporti in generale e degli hotel rende sempre più difficile, se non impossibile, per gli istituti provare ad andare incontro ai ragazzi, semplicemente perché far quadrare i conti è una vera impresa. Così si cercano mete più economiche e si propongono soggiorni più brevi. Ma spesso non basta e così i ragazzi si vedono negata una parte importante dell'offerta formativa. Il Ministero ha istituito un fondo per agevolare le studentesse e gli studenti delle scuole statali secondarie di secondo grado provenienti da famiglie con Isee fino a 15.000 euro a partecipare ai viaggi di istruzione, ma la dotazione di 50 milioni di euro è decisamente insufficiente;

    9) i diritti, in quanto tali, non si pagano, altrimenti si chiamano privilegi. E se per studiare occorre pagare cifre molto alte significa che «raggiungere i gradi più alti degli studi» non è più un diritto garantito, così come sancito dall'articolo 34 della Costituzione;

    10) in Italia la povertà penalizza le aspirazioni dei giovani. Quasi un adolescente su dieci in Italia vive in condizioni di grave deprivazione materiale, condizione che riguarda più di centomila ragazze e ragazzi tra i 15 e i 16 anni. Secondo la ricerca «Domani (Im)possibili» presentata da Save the children a maggio 2024, più di un ragazzo su quattro, che vive in condizioni di grave deprivazione materiale, pensa che non riuscirà a finire la scuola e che sarà costretto ad andare a lavorare, a fronte dell'8,9 per cento dei coetanei;

    11) la povertà materiale incide anche sulle opportunità educative: quasi un adolescente su quattro, il 23,9 per cento, ha iniziato il precedente anno scolastico senza aver potuto acquistare tutti i libri e il materiale scolastico, il 24 per cento non può partecipare a gite scolastiche, il 17,4 per cento dei ragazzi e delle ragazze non si iscrive ai corsi di lingue perché troppo costosi. La ricerca «Domani (Im)possibili» mostra che la povertà materiale e educativa sono strettamente collegate. Molti minori non hanno a disposizione le risorse necessarie per studiare da casa, come per il 15 per cento degli adolescenti intervistati che non dispone di uno spazio tranquillo, l'8,8 per cento di una scrivania e l'8,4 per cento di uno smartphone;

    12) inoltre il divario tra diverse aree del Paese disegna una realtà sconcertante e inaccettabile che emerge anche dai risultati in termini di apprendimento. Secondo il rapporto Svimez 2023 «Un paese, due scuole», se a Firenze uno studente riceve in media 1.226 ore di formazione in una stagione scolastica, uno di Caivano (Napoli) ne ha almeno 200 in meno che coincidono di fatto con un anno di scuola persa per il bambino del Sud;

    13) non stupisce, quindi, che i risultati Invalsi 2023 evidenzino un'allarmante crescita del divario tra il Nord e il Sud del nostro Paese: sulla scuola primaria, ad esempio, i dati dicono che in partenza i livelli di apprendimento sono simili sull'intero territorio nazionale, ma alla fine le differenze territoriali sono più marcate, specialmente in matematica, per la quale nelle seconde primarie il dato nazionale del 2023 parla di un 35 per cento degli alunni insufficiente, con percentuali del 32 per cento nel Nord e del 45 per cento nel Sud e Isole, che si rafforzano in quinta primaria quando i risultati insufficienti passano dal 45 al 47 per cento. Questo dato era già evidente dai dati Ocse Pisa del 2018, gli ultimi aggiornati, che evidenziavano grandi divari Nord-Sud sia in lettura che in matematica (lettura: punteggio medio nazionale 476, nel Nord-Ovest 498, nel Nord-Est 501, nel Sud 453 e nelle Isole 439; matematica: punteggio medio nazionale 487, nel Nord-Est 515, nel Nord-Ovest 514, nel Centro 494, nel Sud 458 e nelle Isole 445);

    14) questi risultati sono il frutto di un vero e proprio disinvestimento progressivo nella filiera dell'istruzione che continua da molti anni e che ha visto tra il 2008 e il 2020 l'investimento complessivo nelle regioni meridionali scendere del 19,5 per cento, 8 punti percentuali in più rispetto a quanto subito in quelle del Centro-Nord, con differenze sempre più marcate nell'offerta di tempo pieno (nel Meridione riguarda il 18 per cento degli scolari, rispetto al 48 per cento del Settentrione), mense (650.000 studenti, il 79 per cento del totale, non ne beneficiano, di questi 200.000 solo in Campania), palestre (2/3 delle scuole primarie del Mezzogiorno non ne hanno) e trasporti (servizio scuolabus nel 29 per cento al Nord contro 13,6 per cento al Sud, servizio di pedibus per 5 per cento delle scuole e concentrato solo regioni settentrionali);

    15) la scuola rappresenta un presidio essenziale nella lotta alle disuguaglianze. Una scuola di qualità, che offra quindi spazi sicuri, infrastrutture e servizi adeguati, può dare opportunità eguali di apprendimento a tutti gli studenti e le studentesse, anche, e soprattutto, a quelli che sono maggiormente svantaggiati;

    16) poiché si ritiene necessario superare i divari e le disuguaglianze tra studenti, appare fondamentale adottare misure omogenee per l'accesso alla gratuità dei libri di testo, per assicurare a tutti l'utilizzo dei mezzi pubblici e per garantire a tutti i giovani il diritto allo studio;

    17) per favorire lo sviluppo delle competenze relazionali nelle attività educative e didattiche, per migliorare il processo di formazione degli alunni e delle alunne, per contrastare l'abbandono e la dispersione scolastica, per garantire il successo formativo degli studenti è necessario che la priorità sia garantire il diritto allo studio,

impegna il Governo:

1) ad adottare iniziative volte a prevedere, sin dal prossimo disegno di legge di bilancio, le risorse necessarie per garantire la gratuità delle mense scolastiche, dei libri di testo e dei trasporti pubblici almeno per tutti gli studenti che frequentano fino all'ultimo anno di obbligo scolastico e appartenenti a nuclei familiari con Isee fino a 35.000 euro;

2) ad adottare iniziative volte ad aumentare la dotazione del fondo per partecipare a visite didattiche e viaggi di istruzione istituito presso il Ministero dell'istruzione e del merito, rendendolo strutturale, e a prevedere l'estensione dell'utilizzo della carta della cultura giovani per i viaggi di istruzione;

3) al fine di contrastare la povertà educativa e l'abbandono scolastico nonché di garantire l'effettivo diritto allo studio, ad adottare iniziative di competenza volte ad istituire – nelle aree del territorio italiano o nelle città o negli istituti scolastici in cui si registrano elevate percentuali di abbandono scolastico e che presentano maggiori difficoltà di natura sociale o geografica ovvero, in generale, una minore disponibilità di servizi o una maggiore difficoltà di accesso agli stessi – le zone di educazione prioritaria e solidale, da istituire, prioritariamente, nelle aree montane e interne, nelle aree periferiche delle città e comunque nei territori che presentino le caratteristiche di cui sopra, tenendo conto sia dell'indice di abbandono scolastico sia dell'indice di vulnerabilità sociale, aggiornati, rispettivamente, dal Ministero dell'istruzione e del merito e dall'Istituto nazionale di statistica;

4) ad adottare iniziative di competenza volte ad accrescere gli investimenti nel sistema di istruzione pubblico nelle regioni meridionali, elaborando un piano nazionale di azione finalizzato a raggiungere i dati di quelle settentrionali quanto a diffusione del tempo pieno, delle mense, delle palestre e del trasporto scolastico.
(1-00330) «Piccolotti, Zanella, Bonelli, Borrelli, Dori, Fratoianni, Ghirra, Grimaldi, Mari, Zaratti».

(23 settembre 2024)

MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE PER IL RILANCIO PRODUTTIVO E OCCUPAZIONALE DEGLI STABILIMENTI ITALIANI DI STELLANTIS

   La Camera,

   premesso che:

    1) il settore dell'automotive rappresenta un pilastro strategico dell'industria italiana, con un fatturato di oltre 90 miliardi di euro (5,2 per cento del prodotto interno lordo, ma nel 2022 ha prodotto solo 460 mila vetture – rispetto alle 743 mila del 2019 – a riprova di una drastica diminuzione della produzione negli ultimi dieci anni, ulteriormente aggravata dalla pandemia;

    2) il dato italiano desta maggiori preoccupazioni se paragonato con quello di altri Paesi dell'Unione europea – Germania (3,5 milioni), Francia (1 milione), Spagna (1,7 milioni) – e con quello del Regno Unito (764 mila);

    3) nel corso del 2020, sfruttando l'inedito strumento «Garanzia Italia» stanziato dal decreto-legge «liquidità» (decreto-legge n. 23 del 2020), Fca Italy, controllata del gruppo Fca – avente sede legale in Olanda – ha ottenuto un prestito di circa 6,3 miliardi di euro, pari a circa il 25 per cento del fatturato, limite massimo ottenibile;

    4) tale prestito, da ripagare con interessi entro tre anni, prevedeva alcune condizionalità, tra cui la rinuncia alla distribuzione di un dividendo di circa 1,1 miliardi di euro nel primo anno e la destinazione esclusiva delle risorse verso il finanziamento delle attività produttive e industriali di Fca Italy, inclusi quindi gli stabilimenti localizzati in Italia;

    5) a seguito della fusione già in corso tra Fca e il gruppo francese Psa – finalizzata nel gennaio 2021 con la nascita di Stellantis – e ad un anno dall'erogazione del prestito garantito dallo Stato, Fca e Psa hanno riconosciuto ai propri azionisti un maxi-dividendo di circa 5,5 miliardi di euro, rivisti poi a 2,9 miliardi;

    6) il rapporto delle istituzioni con Fca, dopo la morte di Sergio Marchionne, non ha riflettuto alcuna logica di reale salvaguardia della presenza del gruppo automobilistico in Italia, contribuendo nei fatti ad arrivare, con la colpevole disattenzione anche delle organizzazioni sindacali e degli organi di informazione, alla più grande deindustrializzazione della storia della Repubblica italiana;

    7) se, infatti, nel 2017 la produzione di veicoli aveva superato il milione di unità, nel 2023 la cifra è scesa fino a toccare quota 751 mila, con un calo occupazionale del 30 per cento. Inoltre, nei primi sei mesi del 2024, considerando sia auto che veicoli commerciali, Stellantis Italia ha prodotto 303.510 veicoli, facendo registrare una riduzione di oltre il 25 per cento rispetto al primo semestre 2023. Se l'andamento produttivo del primo semestre 2024 dovesse riconfermarsi nei mesi a venire, la produzione annuale si attesterebbe intorno alle 500.000 unità, un calo di oltre il 33 per cento rispetto ai 751.000 veicoli del 2023. Un risultato simile corrisponderebbe ad appena la metà dell'obiettivo di produzione fissato per il 2030 dal Governo e concordato con Stellantis, pari a 1 milione di veicoli l'anno;

    8) oltre alla questione legata allo stabilimento Marelli Holdings di Crevalcore e risalente allo scorso anno, tutto ciò viene riflesso anche dall'impietoso confronto tra gli stabilimenti italiani – divenuti ormai l'ottava produzione europea – e quelli francesi di Stellantis: questi ultimi sono pressoché tutti pronti alla produzione di veicoli elettrici o ibridi e in corso di riconversione, mentre in Italia nemmeno la metà. Per quanto riguarda la ricerca, nel 2021 la divisione italiana ricerca e sviluppo ha depositato appena un decimo dei brevetti rispetto all'omologa francese;

    9) a questi fatti si sono aggiunte le notizie di questi mesi su chiusure, cassa integrazione e limitazione della produzione nei vari stabilimenti del gruppo, oltre a lettere inviate dallo stesso gruppo ai fornitori circa le opportunità di investimento in Africa e l'apertura, esemplificativa, di uno stabilimento nella città di Orano (Algeria) lo scorso dicembre 2023, alla presenza del viceministro italiano Valentini;

    10) la stessa Presidente del Consiglio dei ministri, nel rispondere ad un question-time il 29 gennaio 2024, ha ribadito come si debba avere «il coraggio di criticare alcune scelte che sono state fatte dalla proprietà e dal management del gruppo quando sono stati distanti dagli interessi italiani» e che, anche alla luce del fatto che nel consiglio di amministrazione di Stellantis siede un rappresentante del Governo francese, «le scelte industriali del gruppo tengano in considerazione molto più le istanze francesi rispetto a quelle italiane»;

    11) in quella stessa occasione, la Presidente del Consiglio dei ministri Meloni sottolineò come fosse intenzione dell'attuale Governo «difendere [...] i livelli occupazionali e tutto l'indotto dell'automotive» anche con l'obiettivo di «tornare a produrre in Italia almeno un milione di veicoli l'anno»;

    12) tali dichiarazioni di intenzione, nonostante l'apertura del tavolo automotive presso il Ministero delle imprese e del made in italy avvenuto il 6 dicembre 2023 e i successivi incontri del tavolo stesso, dove Stellantis ha confermato ancora una volta l'impegno nei confronti dell'Italia e la centralità del nostro Paese nella strategia globale del gruppo, e dove il Ministero ha discusso con gli altri attori della filiera l'introduzione di nuovi incentivi per le produzioni ad elevato contenuto di componentistica italiana ed europea, non hanno trovato riscontro nella realtà, come evidenziato dai risultati produttivi del primo semestre 2024;

    13) nonostante, poi, le recenti dichiarazioni del Ministro Urso – secondo cui «La priorità è il sostegno alla filiera nazionale e all'occupazione [...]» – e la dotazione del fondo automotive che può contare ancora su quasi 6 miliardi di euro fino al 2030, i vertici del gruppo Stellantis seguitano con quella che potrebbe essere definita una vera e propria «fuga» dai confini nazionali anche per mezzo di una campagna comunicativa polemica e ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo di natura ricattatoria, come dimostrato pochi giorni fa dall'invito agli operai di Mirafiori di trasferirsi in Polonia;

    14) toni ricattatori che seguono una lunga scia del gruppo, confermata anche dalle parole del febbraio 2024 dell'amministratore delegato Carlos Tavares, il quale reclamava a gran voce sussidi per l'elettrificazione, pena il rischio di chiusura degli stabilimenti italiani;

    15) il calo produttivo e delle relative commesse ha coinvolto nelle ultime settimane persino lo storico stabilimento di Atessa, dove negli ultimi 40 anni erano stati prodotti oltre 7,3 milioni di furgoni e veicoli commerciali: a partire da giugno 2024, con un calo produttivo arrivati a circa 800 veicoli, dapprima è stata richiesta una cassa integrazione parziale, seguita dalla fermata del turno pomeridiano e da un nuovo ricorso alla cassa integrazione fino almeno al prossimo 15 settembre;

    16) discorso analogo per quanto riguarda lo stabilimento di Cassino, che ha visto una netta riduzione del personale e un costante ricorso agli ammortizzatori sociali. A causa del calo degli ordini, lo stabilimento è rimasto chiuso questa estate dal 31 luglio e lo rimarrà almeno fino al 15 settembre 2024, ovvero una settimana aggiuntiva rispetto a quanto previsto inizialmente: una chiusura di 40 giorni mai registrata finora. Lo stabilimento di Cassino, il quale negli ultimi 3 anni ha perso circa il 30 per cento dei dipendenti, passando da 4.200 unità a 3.000 unità, ha peraltro certificato un calo produttivo del 40 per cento nel primo trimestre dell'anno in corso rispetto al già non brillante 2023;

    17) le promesse evidentemente non mantenute da Stellantis circa gli investimenti e i livelli occupazionali degli stabilimenti italiani sono incompatibili con le rassicurazioni date per mezzo stampa e durante gli incontri tenuti al Ministero e, oltretutto, risultano inaccettabili alla luce delle garanzie pubbliche ottenute nel corso del 2020,

impegna il Governo

1) a convocare con la massima urgenza il presidente di Stellantis, John Elkann, e l'amministratore delegato, Carlos Tavares, per chiarire quali siano i piani industriali del gruppo con riferimento agli stabilimenti italiani e con quali garanzie sugli investimenti e sui livelli occupazionali.
(1-00316) «Richetti, Benzoni, Bonetti, D'Alessio, Grippo, Sottanelli, Ruffino, Onori, Rosato, Pastorella».

(11 settembre 2024)

   La Camera,

   premesso che:

    1) il settore dell'automotive riveste un ruolo centrale nell'economia italiana, comprendendo tutte le imprese coinvolte nella produzione di autoveicoli, a partire dalle imprese che producono materie prime e macchine utensili, passando per le imprese più strettamente produttive, fino ad arrivare alle aziende che si occupano di imballaggi, trasporto merci e servizi legati agli autoveicoli, e quella dei servizi automotive, con 5.500 imprese, oltre un milione e duecentomila addetti e un fatturato con un'incidenza percentuale sul prodotto interno lordo includendo i servizi, a due cifre;

    2) la filiera automotive italiana si posiziona nei segmenti a più elevato valore aggiunto grazie non solo alle eccellenze nella produzione di autoveicoli di alta gamma e di autoveicoli commerciali, ma anche in virtù delle specializzazioni produttive che caratterizzano in particolare i distretti della componentistica;

    3) la produzione di auto in Italia mostra scenari preoccupanti: da quasi un milione e mezzo di veicoli prodotti nel 1999 si è scesi a 473 mila nel 2022; solo a Torino nel 2007 venivano fabbricate 218 mila auto, nel 2019 si è arrivati a 21 mila;

    4) tale calo di produzione determina anche la crisi dell'indotto del settore: a partire dal 2008, nella componentistica torinese più di 500 aziende hanno cessato l'attività e 35 mila persone hanno perso il lavoro. Le crisi si estendono e si moltiplicano in tutto il Paese, dall'area industriale di Melfi, Cassino, Termoli e Atessa, alla decisione di chiusura della Marelli a Crevalcore ribaltata grazie alla mobilitazione che ha portato ad un importante progetto di reindustrializzazione, alla gravissima crisi della Lear a Grugliasco;

    5) il comparto dell'automotive italiano si presenta articolato e composto da numerose realtà: da quelle specializzate nella produzione di autoveicoli fino alla componentistica, segmento quest'ultimo nel quale le imprese nazionali hanno sempre saputo distinguersi: una filiera produttiva in cui operano 5.439 imprese, risultano occupati oltre 272.000 addetti e che genera un fatturato di poco superiore a 100 miliardi di euro, pari al 5,6 per cento del Pil nazionale, con un contributo al gettito fiscale per oltre 76 miliardi di euro (dati Anfia 2023);

    6) da una ricerca condotta da Cassa depositi e prestiti, Ernst & Young e Luiss Business School, emerge come circa il 20 per cento del valore aggiunto generato dalla filiera della componentistica risulti fortemente radicato nei mercati internazionali (la Germania resta il primo cliente nell'Unione) e inglobato dai prodotti esportati dagli altri partner commerciali. Nel 2022, il nostro Paese ha esportato il 12,5 per cento di tutte le produzioni manifatturiere nazionali, per un valore di circa 73 miliardi di euro e, con riferimento alla sola componentistica per autoveicoli, circa il 21 per cento per un valore intorno ai quattro miliardi;

    7) la situazione di Stellantis è sempre più preoccupante: con sei stabilimenti produttivi, la forza lavoro nazionale del gruppo conta circa 40 mila addetti; a partire dal 2015 il personale è diminuito di 11.500 unità, con il costante ricorso agli ammortizzatori sociali tra cassa integrazione e contratti di solidarietà in tutti gli stabilimenti e alle uscite incentivate (3.800 solo nei primi mesi del 2024);

    8) l'Italia sta pagando un prezzo molto alto per la presenza di un solo produttore di automobili: la produzione del primo semestre 2024 rispetto all'analogo periodo del 2023 è precipitata del 30 per cento e a Torino addirittura del 64 per cento; la cassa integrazione è in aumento ovunque e in Piemonte è cresciuta di più del 47 per cento in un anno; senza nuovi modelli la situazione dei lavoratori di Stellantis e dell'indotto potrà solo peggiorare;

    9) i 950 milioni di euro di euro di incentivi all'acquisto stanziati nel 2024 non hanno in alcun modo invertito la rotta;

    10) al tavolo che si è tenuto il 20 febbraio 2024 a Torino con il sindaco, l'assessore regionale alle attività produttive del Piemonte, le organizzazioni sindacali e Stellantis non sono emersi impegni concreti da parte dell'azienda;

    11) ad agosto 2024, Stellantis ha proposto a una decina di operai il trasferimento in Polonia per mantenere il posto di lavoro;

    12) il 12 settembre 2024 Stellantis ha comunicato l'ennesimo stop produttivo che bloccherà la produzione della 500 elettrica per un intero mese;

    13) il 17 settembre 2024 il Ministro delle imprese e del made in Italy Urso ha reso noto che il Governo ha deciso di spostare su altri progetti i fondi del Pnrr destinati a co-finanziare la Gigafactory di Stellantis a Termoli, annunciata nel 2021;

    14) il periodo di sofferenza per Mirafiori, quindi, prosegue nonostante le dichiarazioni di Stellantis, la quale ha sempre affermato di voler puntare sullo stabilimento torinese per la realizzazione di un «green campus»; a queste parole però non seguono i fatti e non si può che constatare il periodo di difficoltà che sta affrontando il sito in questo momento, in particolare nei reparti della carrozzeria;

    15) sul destino di Mirafiori e Pomigliano si rincorrono periodicamente annunci, dichiarazioni e indiscrezioni che non precipitano ancora in una seria trattativa tra Governo, azienda e organizzazioni sindacali, né in azioni concrete per il rilancio degli stabilimenti. L'apertura del battery center e del cosiddetto hub dell'economia circolare denominato Sustainera nel corso del 2023 a Torino non hanno infatti portato a nessuna nuova assunzione;

    16) da troppi anni le organizzazioni sindacali sottolineano la necessità che vengano individuati nuovi modelli, vengano effettuate assunzioni e abbandonato il ricorso alla cassa integrazione, per non arrivare all'eutanasia dello stabilimento di Mirafiori e dell'indotto che verrà inevitabilmente travolto. In meno di 10 anni, infatti, la maggior parte dei lavoratori di Mirafiori andrà in pensione e un piano di assunzioni risulta essenziale perché possa restare aperto;

    17) anche nello stabilimento di Pomigliano vi è forte preoccupazione, da parte delle lavoratrici e dei lavoratori, per il futuro della fabbrica e i timori nascono dalla mancanza di un piano industriale e dal fatto che le uniche notizie ufficiali sono che il 2029 sarà l'ultimo anno di produzione della Panda, modello che ha consentito la sopravvivenza dello stabilimento, e che dal 2025 sarà in diretta concorrenza con la nuova Grande Panda, elettrica e ibrida, costruita in Serbia;

    18) secondo uno studio di Federcontribuenti, dal 1975 al 2012 Fiat ha ricevuto dallo Stato italiano 220 miliardi di euro per cassa integrazione, sviluppo industriale, sussidi, implementazione degli stabilimenti;

    19) nel 2020 a Fca sono stati concessi 6,3 miliardi di euro di linea di credito con garanzia Sace: il prestito è stato restituito, ma senza che i livelli di produzione tornassero mai a quelli precedenti la pandemia;

    20) Stellantis produce in Francia un milione di auto e 15 modelli e quasi tutta la componentistica, mentre in Italia meno di 500 mila auto e 13 modelli a fine vita risalenti all'epoca Fca, il che vuol dire che da quando c'è Stellantis nessuna produzione di nuovi modelli è stata portata in Italia;

    21) Stellantis a livello mondiale ha chiuso il 2023 con un utile netto di 18,6 miliardi di euro, in crescita dell'11 per cento sul 2022, e ricavi netti per 189,5 miliardi di euro, annunciando un dividendo di 1,55 euro per azione ordinaria; circa il 16 per cento in più del 2022. Exor, la holding della famiglia Elkann che detiene il 14 per cento delle azioni di Stellantis, ha incassato per il 2023 circa 700 milioni di euro di dividendi, contro i 140 milioni di euro del 2020. Tavares nel 2023 ha percepito 23 milioni di euro, pari alla retribuzione di 12.000 dipendenti, mentre le lavoratrici e i lavoratori da tanti anni sono interessati da un massiccio utilizzo di cassa integrazione con incertezze sulla tenuta occupazionale e una significativa decurtazione del salario;

    22) le novità introdotte nel contesto normativo europeo, l'evoluzione tecnologica nella propulsione elettrica, delle batterie di ricarica e dei circuiti, e le nuove esigenze di mobilità dei cittadini, impongono alle grandi aziende automobilistiche l'avvio immediato di un processo di ulteriore profonda trasformazione del loro assetto produttivo e della filiera di distribuzione. Di conseguenza, è necessaria anche una politica industriale finora assente nell'azione di Governo, proprio in un contesto in cui questa fase di trasformazione, se ben supportata, potrebbe rappresentare una opportunità di ritornare a crescere;

    23) per la filiera dell'industria automobilistica è necessario sviluppare ecosistemi, tramite anche il coinvolgimento delle università, per sostenere la riconversione produttiva verso l'elettrico, la ricerca e lo sviluppo di prodotti e tecnologie in modo da poter assecondare la domanda emergente nel mercato di riferimento e di competere a livello globale, nonché la riqualificazione professionale degli addetti. In assenza di tali politiche si prefigura il rischio di ulteriori chiusure e licenziamenti di personale;

    24) il nostro parco di autovetture (38,5 milioni) e di veicoli commerciali (3,97 milioni) è fra i più vetusti, insicuri ed inquinanti d'Europa con il 29 per cento delle vetture e il 47 per cento degli autocarri che hanno un'omologazione tra Euro 0 e Euro 3. Risulta quindi evidente l'urgenza di politiche volte a svecchiare il circolante e aumentare l'infrastrutturazione per la mobilità sostenibile, dal momento che la media di colonnine di ricarica ogni 100 chilometri è di 12,3 in Unione europea e in Italia siamo a 7,9;

    25) una politica industriale che non contrasta il ritardo e, anzi, in qualche modo lo incentiva rischia, nel corso dei prossimi anni, di aggravare la situazione, mentre sarebbe necessario farsi promotori di un piano per la gestione a livello europeo della transizione ecologica con strumenti comuni e avviare immediatamente una trattativa con Stellantis per salvaguardare l'occupazione e mantenere la capacità produttiva degli impianti,

impegna il Governo:

1) a convocare con la massima urgenza il presidente e l'amministratore delegato di Stellantis per richiamare il gruppo alle sue responsabilità e pervenire ad un accordo quadro sul settore automotive che rilanci un settore in forte crisi e che tuteli l'occupazione;

2) a rendere permanente il tavolo automotive già costituito presso il Ministero delle imprese e del made in Italy e a spostarlo presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, allo scopo di mantenere costante il dialogo tra le parti sociali, i rappresentanti delle regioni, le associazioni di categoria, le case produttrici e le istituzioni;

3) ad adottare iniziative volte a condizionare i finanziamenti pubblici alla tutela di posti di lavoro stabili e a tempo indeterminato e, solo successivamente, a varare incentivi pluriennali per l'acquisto di autovetture ibride ed elettriche per riportare il prezzo delle autovetture ad un livello sostenibile per il consumatore;

4) ad adottare iniziative volte a varare urgentemente nuovi ammortizzatori sociali perché le aziende del settore automotive stanno esaurendo le settimane di cassa integrazione e per la necessità di integrare il reddito dei lavoratori altrimenti penalizzati;

5) a esigere che Stellantis porti in Italia la progettazione e la produzione di nuovi modelli mass market al fine di garantire il milione di autoveicoli prodotti a più riprese promesso;

6) ad adottare iniziative di competenza finalizzate ad un piano di assunzioni per determinare il necessario cambio generazionale e fermare la dinamica delle uscite volontarie che stanno svuotando gli stabilimenti;

7) ad adottare iniziative di competenza per delineare un nuovo e solido quadro finanziario volto a sostenere il progetto di Acc per la costruzione della Gigafactory nel sito di Termoli ed ottenere da Acc e Stellantis l'approvazione di un nuovo piano industriale che fissi tempi certi per l'avvio dei lavori, al fine di dare prospettiva ai 2.000 lavoratori impegnati attualmente nello stabilimento Stellantis oltre a quelli dell'indotto;

  8) ad avviare ogni iniziativa di competenza al fine di incentivare la presenza nel nostro Paese di almeno un altro costruttore che, nel rispetto delle regole europee e italiane, garantisca un futuro al settore automotive in Italia e che si appoggi alla catena di fornitura presente nel nostro Paese.
(1-00327) «Appendino, Pavanelli, Cappelletti, Ferrara, Auriemma, Lomuti, Francesco Silvestri, Torto».

(20 settembre 2024)

   La Camera,

   premesso che:

    1) il settore automobilistico è la punta di diamante della produzione industriale metalmeccanica, ma negli anni '90 l'Italia si sfidava con la Germania per veicoli prodotti, ora è sotto la Repubblica ceca. Nel 1992 l'Italia era il secondo produttore in Europa e il quinto nel mondo con oltre 2 milioni di autovetture prodotte. Nel 2024 non si arriverà a 350 mila auto e 650 mila se si aggiungono i veicoli commerciali;

    2) l'automotive e la sua filiera rappresentano un comparto strategico per il sistema industriale del Paese che produce l'11 per cento del prodotto interno lordo nazionale;

    3) il gruppo automobilistico Stellantis – nato nel 2021 dalla fusione tra Psa (ex Peugeot-Citröen) e Fca (a sua volta nata dalla fusione tra Fiat e Chrysler) – ha annunciato la sospensione fino all'11 ottobre 2024 della produzione della Fiat 500 elettrica nello stabilimento di Mirafiori, a Torino;

    4) dal 2014 ad oggi sono 11.500 i lavoratori diretti usciti dagli stabilimenti italiani di Stellantis, di cui 2.800 dagli enti centrali. E nel 2024 sono previste ulteriori 3.800 uscite incentivate. A questi vanno aggiunti gli oltre 3.000 lavoratori in somministrazione che risultano licenziati al giugno 2024. Un andamento sull'occupazione che dimostra in maniera esplicita che il problema della crisi di Stellantis non è determinato dalla transizione, bensì da una chiara strategia di disinvestimento;

    5) se si guarda alla situazione produttiva dei singoli stabilimenti il quadro è allarmante. A Cassino si è passati da 30.006 vetture prodotte nel primo semestre del 2023 a 18.375 nel 2024; a Melfi da 99.085 nel 2023 a 56.935 nel 2024; a Mirafiori da 52.000 a 18.500; a Modena da 600 a 160. L'unico stabilimento dove si registra una leggera crescita è Pomigliano dove nel primo semestre del 2023 sono state prodotte 71.520 auto, mentre 85.080 nello stesso periodo del 2024. Infine, per quanto riguarda i veicoli commerciali leggeri prodotti alla Sevel, il calo è da 115.250 nel 2023 a 114.670 nel 2024;

    6) ad agosto 2024, finito l'effetto degli incentivi di giugno e luglio, le vendite di auto in Italia hanno fatto registrare un calo del 13,4 per cento. Stellantis ad agosto 2024 ha perso oltre il 30 per cento delle vendite e il marchio Fiat, ancora primo in Italia negli otto mesi, ad agosto è stato superato da Toyota, Volkswagen e Dacia;

    7) tra gennaio e settembre 2024 a Mirafiori sono state prodotte 18.500 auto contro le 52 mila dello stesso periodo 2023, con un calo dell'83 per cento rispetto ai primi otto mesi del 2023. La produzione di auto al suo interno si è drasticamente ridotto nel corso degli anni: oggi è limitata alla 500 elettrica e a due modelli di Maserati. Al momento gli addetti sono 34.000;

    8) a fronte degli 11.500 dipendenti andati via dal 2014, aumentano gli utili, come ricorda anche la Fiom, a discapito dei lavoratori, anche attraverso l'utilizzo massiccio di ammortizzatori sociali e il peggioramento delle condizioni di lavoro negli stabilimenti;

    9) nel 2025, quando scadrà la cassa integrazione per i lavoratori di Melfi, si rischia di perdere circa 25 mila posti di lavoro;

    10) nel primo semestre 2024 la produzione di Stellantis in Italia è scesa di oltre un quarto rispetto ai risultati, già poco performanti, del 2023. Per la precisione la diminuzione è del 25,2 per cento: dagli stabilimenti italiani sono usciti appena 303.510 veicoli. Solo lo stabilimento di Pomigliano registra una leggera crescita (Atessa –0,5 per cento);

    11) nei giorni scorsi, Stellantis ha comunicato ai sindacati che la produzione della 500 elettrica a Mirafiori subirà una sospensione delle attività sino all'11 ottobre 2024. Un duro colpo per gli operai già impegnati in contratti di solidarietà e cassa integrazione fino a dicembre 2024;

    12) lo stop alla produzione della 500 elettrica avrà inevitabilmente un impatto anche sulla filiera dell'indotto, da tempo in grave sofferenza nella cerchia torinese. I 1.400 lavoratori della Denso di Poirino, dove si producono sistemi di condizionamento, sono già in cassa integrazione e i problemi potrebbero non essere finiti perché anche i volumi di commesse da Iveco e New Holland non stanno rispettando le attese, motivo per il quale non si esclude l'annuncio di esuberi nelle prossime settimane. Non va meglio alla Novares di Riva di Chieri dove si producono particolari in plastica per la 500 e la Panda: i 150 operai sono in cassa integrazione e non lavorano più su tre turni. Rallentamenti nella produzione sono stati notati anche nello stabilimento di Magna Olsa, gruppo tedesco con uno stabilimento a Moncalieri dedicato alla produzione di gruppi faro e sistemi di illuminazione. Infine, la Sfc solutions di Ciriè, che produce guarnizioni per auto e camion, ha annunciato, il 3 settembre 2024, otto settimane di cassa integrazione per tutti i 316 dipendenti;

    13) è evidente quindi la crisi della vendita di auto e il calo di commesse interne, che si riflette inevitabilmente sullo stesso settore della componentistica. Un settore che sconta ovviamente soprattutto la riduzione della produzione Stellantis in Italia e la partenza lenta dei nuovi prodotti previsti negli stabilimenti italiani;

    14) il calo di produzione determina quindi anche la crisi dell'indotto del settore: a partire dal 2008, nella componentistica torinese più di 500 aziende hanno cessato l'attività e 35 mila persone hanno perso il lavoro; le crisi si estendono e si moltiplicano in tutto il Paese, dall'area industriale di Melfi, alla cessione della Marelli a Crevalcore (Bologna), alla gravissima crisi della Lear a Grugliasco (Torino);

    15) è bene comunque sottolineare che in questo momento l'impatto dell'elettrico sulla crisi della filiera delle forniture automotive è assai limitato. Dai dati dell'Osservatorio sulle trasformazioni dell'ecosistema automotive italiano, risulta che su 2.300 componentisti, solo 100 hanno la totalità dei loro componenti utilizzabili solo sul motore endotermico;

    16) negli ultimi anni il numero di auto prodotte nello stabilimento Fiat di Mirafiori di Torino è diminuito decisamente. Non solo non vengono fatte assunzioni per sostituire i dipendenti che vanno in pensione, ma i licenziamenti vengono incentivati con contributi economici. Diverse produzioni sono state spostate all'estero, mentre in altri Paesi come la Francia sono stati aperti nuovi stabilimenti e assunti dipendenti;

    17) nel 2023 Stellantis aveva annunciato investimenti per lo stabilimento di Torino, ma per certi versi marginali rispetto alla produzione e all'assemblaggio di nuovi modelli che verranno invece costruiti all'estero;

    18) Torino è la città più esposta al grave declino e disimpegno di Stellantis, con conseguenze pesantissime sull'occupazione e sulla stessa città di Torino e i suoi abitanti;

    19) il periodo di sofferenza per Mirafiori, quindi, prosegue nonostante le dichiarazioni di Stellantis, la quale ha sempre affermato di voler puntare sullo stabilimento torinese per la realizzazione di un «green campus»; a queste parole però non seguono i fatti e non si può che constatare il periodo di difficoltà che sta affrontando il sito in questo momento, in particolare nei reparti della carrozzeria;

    20) a luglio 2024 Stellantis del 2024 ha avviato la vendita della quota di maggioranza di Comau – azienda specializzata nell'automazione industriale – al fondo di investimento statunitense One equity partners, privandosi così di un comparto ad alto contenuto tecnologico e innovativo, che conta circa 750 dipendenti solo a Grugliasco, di cui circa 70 operai e operaie;

    21) in precedenza era successo con la Marelli, che dopo la cessione nell'ottobre 2018 da Fca alla giapponese Calsonic Kansei, a sua volta integralmente controllata dal fondo di investimento americano Kkr, ha subito un percorso di licenziamenti e chiusure, anche nello stabilimento piemontese di Venaria;

    22) recentemente è trapelata l'indiscrezione secondo la quale la dirigenza Stellantis intenderebbe trasferire in Polonia una decina di lavoratori di Mirafiori, ulteriore drammatico segnale di un'azienda senza strategia e che intende disimpegnarsi dall'Italia;

    23) nonostante l'azienda abbia più volte ribadito la centralità dello stabilimento torinese e assicurato che «è fermamente impegnata a garantire la continuità di tutti i suoi impianti e delle sue attività e sta lavorando duramente per gestire al meglio e traguardare questa difficile fase della transizione», la cassa integrazione continua inesorabilmente con un ennesimo stop produttivo;

    24) tutto questo avviene mentre la stessa azienda nei giorni scorsi ha mandato una mail per offrire a prezzi scontati le Maserati ai propri dipendenti che ne guadagnano 1.200 al mese. L'assurda iniziativa commerciale riguarda tre modelli: il Grecale prodotto a Cassino, GranTurismo e GranCabrio che nascono a Mirafiori. I modelli costano dagli 80 ai 180 mila euro;

    25) dei diversi modelli del gruppo Fiat un tempo prodotti in Italia e oggi delocalizzati in altri Paesi, si ricordano la 500 algerina, la Panda serba, la Topolino prodotta anche in Marocco, l'Alfa Romeo Junior realizzata in Polonia;

    26) nonostante tutti gli annunci, da parte di Stellantis sull'Italia non ci sono strategie. Né sull'auto di massa, storicamente la più forte, né sul lusso. Anche la Maserati ha volumi di produzione minimi;

    27) sulla linea Maserati la situazione della produzione è infatti critica. Sul fronte produttivo si sono raggiunte le 1.850 unità: una diminuzione del 70 per cento rispetto al 2023. Negli anni migliori di Maserati la produzione, tra Grugliasco e Mirafiori, nel primo semestre raggiungeva oltre le 27.000 unità (anno 2017). Oltre ai 65 giorni di stop produttivo nel primo semestre, dal 3 aprile fino al 31 dicembre 2024 viene utilizzato il contratto di solidarietà per circa 968 lavoratori in base agli ordinativi da evadere;

    28) dal secondo trimestre vengono prodotte solo le Maserati Gt e Gc anche nelle versioni Folgore full-electric, ma a tutt'oggi non riescono a compensare il fermo produttivo di Ghibli, Quattroporte e Levante;

    29) sul destino di Mirafiori e Pomigliano si rincorrono periodicamente annunci, dichiarazioni e indiscrezioni che non precipitano ancora in una seria trattativa tra Governo, azienda e organizzazioni sindacali, né in azioni concrete per il rilancio degli stabilimenti. L'apertura del battery center e del cosiddetto hub dell'economia circolare denominato Sustainera nel corso del 2023 a Torino non hanno infatti portato a nessuna nuova assunzione;

    30) anche la quota di partecipazione del 20 per cento acquisita nel 2023 dal marchio cinese Leapmotor non affiancherà infine nuove vetture elettriche alla produzione della Cinquecento elettrica a Mirafiori, perché a quanto pare la produzione di tali modelli si svolgerà in Ungheria;

    31) secondo uno studio di Federcontribuenti, dal 1975 al 2012 Fiat ha ricevuto dallo Stato italiano 220 miliardi di euro per cassa integrazione, sviluppo industriale, sussidi, implementazione degli stabilimenti;

    32) nel 2020 a Fca sono stati concessi 6,3 miliardi di euro di linea di credito con garanzia Sace: il prestito è stato restituito, ma senza che i livelli di produzione tornassero mai a quelli precedenti la pandemia;

    33) Stellantis produce in Francia un milione di auto e 15 modelli e quasi tutta la componentistica, mentre in Italia sono prodotte circa 500 mila auto e 7 modelli;

    34) Stellantis, anche grazie al progressivo passaggio alla produzione di auto elettriche, ha iniziato il secondo semestre del 2024, confermando il secondo posto nella classifica europea, con una quota di mercato totale di quasi il 18 per cento. Il gruppo risulta al vertice in Francia, Italia e Portogallo ad agosto 2024 e dall'inizio dell'anno, mentre in Austria, Germania e Polonia registra una crescita costante;

    35) Stellantis Pro One, in particolare, conferma la propria leadership nel settore dei veicoli commerciali, con una quota di mercato che sfiora il 29 per cento e un incremento dei volumi dell'1,4 per cento. Nel mercato lev (low-emission-vehicle), Stellantis ha registrato un aumento continuo delle vendite, con una crescita delle elettriche (bev) in Francia e Regno Unito nel corso del 2024;

    36) è improcrastinabile che Stellantis presenti al più presto un serio e credibile progetto industriale indicando espressamente quali investimenti, quali nuovi modelli, quali garanzie sotto il profilo produttivo e occupazionale;

    37) i nostri siti produttivi potrebbero fare un milione e mezzo di auto e il Governo si è impegnato a farne almeno un milione. La realtà è che nel 2023 ne facevamo 750 mila, nel 2024 si chiuderà a 500 mila. In Francia ne producono un milione e mezzo e hanno 15 modelli;

    38) nel 2025 sia l'indotto che Stellantis esauriranno gli ammortizzatori sociali e, se non si interviene per tempo, ci saranno licenziamenti di massa;

    39) a tale quadro desolante corrisponde paradossalmente una crescita esponenziale degli utili di esercizio e del valore aggiunto per addetto realizzati da Stellantis;

    40) l'Unione europea si è impegnata a diventare un'area a «impatto climatico zero» entro il 2050 e il settore dei trasporti, che rappresenta un quarto delle emissioni totali di gas serra della stessa Unione europea, è un ambito su cui è prioritario intervenire, per raggiungere l'obiettivo europeo di neutralità climatica;

    41) secondo la ricerca «La rivoluzione dell'automotive», condotta e realizzata dall'Associazione economisti dell'energia per Federmanager, entro il 2030 i veicoli elettrificati arriveranno a rappresentare oltre il 70 per cento delle vendite in Europa e più del 40 per cento negli Stati Uniti, mentre entro il 2026 il costo totale delle auto elettriche uguaglierà quello dei veicoli a combustione interna e già da tempo molte case automobilistiche europee hanno deciso di convertire la propria filiera verso un radicale passaggio all'elettrico, anche anticipando, in molti casi, le scadenze previste dalle normative dell'Unione europea;

    42) a livello di Unione europea e nel nostro Paese, le case automobilistiche hanno preferito continuare a fare margini facili sull'endotermico piuttosto che puntare con forza sull'elettrico, con la conseguenza che i produttori coreani e cinesi stanno guadagnando un vantaggio competitivo che si traduce in una maggiore offerta di auto elettriche e a prezzi più bassi. Sotto questo aspetto è evidente che i produttori europei devono colmare rapidamente il gap in termini di offerta di prodotto, senza illudersi che uno spostamento dei termini del phase out al 2035 li protegga realmente dalla competizione. L'unico effetto, in negativo, sarebbe solo sull'ambiente,

impegna il Governo:

1) a convocare in tempi rapidi l'amministratore delegato di Stellantis per concordare un piano di rilancio e vincolare Stellantis stessa al rispetto degli impegni presi in termini di investimenti per nuovi modelli, di livelli di produzione nazionale di autovetture, di garanzie sotto il profilo occupazionale;

2) ad adottare le opportune iniziative per la proroga degli ammortizzatori sociali nel settore dell'automotive allo scopo di impedire licenziamenti di massa;

3) ad adottare iniziative volte a prevedere forme di integrazione al reddito per le lavoratrici e i lavoratori in cassa integrazione da lungo tempo;

4) a elaborare, in accordo con le parti sociali, misure di politiche industriali, energetiche e infrastrutturali atte a difendere e rilanciare la filiera italiana dell'automotive e, in particolare, a:

  a) favorire forti investimenti per la produzione di modelli mass market, avviando tutte le iniziative, anche in ambito europeo, necessarie a ridurre il gap con i produttori, soprattutto cinesi e coreani, che stanno guadagnando un notevole vantaggio competitivo con l'offerta di auto elettriche molto più articolata e meno cara;

  b) sostenere l'indotto e il comparto della componentistica;

  c) favorire gli investimenti anche stranieri nel pieno rispetto di salari, norme e contratti di lavoro e contenenti la valorizzazione dell'indotto nazionale;

  d) favorire partnership con produttori cinesi e internazionali più avanzati nella produzione di modelli elettrici, in grado di garantire un aumento sensibile della produzione nazionale di auto elettriche;

  e) tutelare le lavoratrici e i lavoratori coinvolti, mediante misure quali incentivi per favorire accordi tra le parti per la riduzione di orario di lavoro a parità di salario, nonché piani per la riqualificazione del personale;

  f) sostenere con forza, anche in ambito di Unione europea gli investimenti del settore dell'automotive per garantire, nei tempi e modi previsti, la transizione all'elettrico.
(1-00328) «Grimaldi, Ghirra, Zanella, Bonelli, Borrelli, Dori, Fratoianni, Mari, Piccolotti, Zaratti».

(20 settembre 2024)

MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE IN MATERIA DI PARITÀ DI GENERE, CON PARTICOLARE RIGUARDO ALLE CONDIZIONI LAVORATIVE, ECONOMICHE E SOCIALI DELLE DONNE

   La Camera,

   premesso che:

    1) nel 1947, in un intervento all'Assemblea costituente, Teresa Mattei, affermò: «È nostro convincimento (...) che nessuno sviluppo democratico, nessun progresso sostanziale si produce nella vita di un popolo se esso non sia accompagnato da una piena emancipazione femminile; e per emancipazione noi non intendiamo già solamente togliere barriere al libero sviluppo di singole personalità femminili, ma intendiamo un effettivo progresso e una concreta liberazione per tutte le masse femminili e non solamente nel campo giuridico, ma non meno ancora nella vita economica, sociale e politica del Paese»;

    2) a oltre 70 anni da questo intervento, il Presidente della Repubblica nel messaggio che ha inviato, il 16 settembre 2024 al convegno il «Tempo delle donne» ha, tra l'altro, affermato «Nei rapporti di lavoro occorre rispettare i diritti di parità e di eguaglianza, previsti dalla nostra Costituzione. Ancor oggi nel lavoro femminile sono presenti ostacoli, rallentamenti e disparità, per l'accesso, nella retribuzione, nella progressione di carriera, negli incarichi di vertice. Le barriere possono alzarsi fino a giungere a inaccettabili e odiose discriminazioni: licenziamenti, dimissioni in bianco, pressioni indebite, persino forme di stalking e di violenza, fisica o psicologica», e proseguendo ha esortato alla rimozione degli «ostacoli che rendono difficile la conciliazione tra occupazione e cura della famiglia. Il lavoro non allontana la donna dalla maternità. È vero il contrario: l'occupazione femminile è un fattore che sostiene in modo decisivo la famiglia e le nascite.»;

    3) l'uguaglianza di opportunità sociali e giuridiche tra i generi, oltre ad essere un diritto fondamentale di rango costituzionale, è un principio cardine dell'Unione europea, riconosciuto dal Trattato di Roma del 1957 e dalla Carta dei diritti fondamentali, nonché un principio chiave del pilastro mondiale dei diritti sociali;

    4) il mancato raggiungimento dell'uguaglianza tra le donne e gli uomini in ogni settore della vita sociale è anche drammaticamente rappresentato dal persistere di comportamenti di violenza, fisica e/o psicologica nei confronti delle donne, che rappresenta solo la punta dell'iceberg di un fenomeno culturale, molto più ampio, legato al fenomeno millenario della misoginia, nonostante i passi in avanti che, indubbiamente, le legislazioni di alcuni Paesi hanno compiuto negli ultimi anni per contrastare la violenza di genere;

    5) nell'Unione europea nessuno Stato membro ha ancora raggiunto la piena uguaglianza e i progressi rimangono lenti e insufficienti, sia in Europa che a livello globale, e l'Italia è lontana dall'obiettivo;

    6) i progressi sono lenti e i divari di genere persistono nel mondo del lavoro e a livello di retribuzioni, assistenza e pensioni; nelle posizioni dirigenziali e nella partecipazione alla vita politica e istituzionale, benché, a livello globale, il raggiungimento dell'uguaglianza per le donne e per le ragazze rappresenti uno dei 17 obiettivi di sviluppo sostenibile che gli Stati si sono impegnati a raggiungere entro il 2030;

    7) la centralità delle questioni relative al superamento delle «disparità di genere» viene ribadita anche nel Piano nazionale di ripresa e resilienza per rilanciare lo sviluppo nazionale in seguito alla pandemia. Il Piano, infatti, la individua come una delle tre priorità trasversali perseguite in tutte le missioni che compongono il Piano. L'intero Piano dovrà inoltre essere valutato in un'ottica di gender mainstreaming;

    8) il principio della parità retributiva per uno stesso lavoro, o per uno di pari valore, è sancito dai Trattati europei e il Trattato di Lisbona del 2009 non solo ha riaffermato il principio di uguaglianza tra donne e uomini, anche in ambito lavorativo, ma lo ha inserito tra i valori fondanti dell'Unione;

    9) il principio di uguaglianza e la lotta contro la violenza maschile sulle donne sono sostenuti da numerosi atti di legislazione ordinaria e applicati dalla giurisprudenza della Corte di giustizia europea;

    10) la proposta di direttiva della Commissione sulla trasparenza retributiva, adottata il 4 marzo 2021, e approvata il 30 marzo 2023 dal Parlamento europeo, introduce misure volte a garantire la parità di retribuzione tra donne e uomini nell'Unione europea per uno stesso lavoro; le nuove norme possono garantire una maggiore trasparenza e un'applicazione efficace del principio della parità retributiva tra donne e uomini e possono migliorare l'accesso alla giustizia per le vittime di discriminazione retributiva, gli Stati membri dovranno prevedere sanzioni efficaci, proporzionate e dissuasive per i datori di lavoro che non rispettano tali regole; per la prima volta, sono stati inclusi nell'ambito di applicazione delle nuove norme la discriminazione intersezionale e i diritti delle persone non binarie;

    11) la direttiva (UE) 2023/970 approvata il 10 maggio 2023 prevede che, a partire da giugno 2026, le aziende debbano rendere facilmente accessibili i criteri utilizzati per determinare la retribuzione, i livelli retributivi e la progressione economica. Inoltre, dovranno obbligatoriamente condividere con i candidati la retribuzione prima dell'assunzione. L'obiettivo primario è quello di garantire la parità salariale per le persone che svolgono le stesse mansioni;

    12) con la successiva direttiva UE 2024/1500 del 14 maggio 2024 il legislatore europeo ha affrontato il tema della parità di genere in materia di occupazione e impiego, dettando norme orientate a migliorare e a rafforzare il funzionamento degli organismi per la parità (già previsti dalle direttive 2006/54/CE e 2010/41/UE), con l'obiettivo di consolidare l'indipendenza dei già menzionati organismi, i quali devono essere liberi da influenze esterne, non dovendo accettare istruzioni dal Governo o da enti pubblici o privati, attribuendo, altresì, a tale organismi rilevanti funzioni;

    13) anche a livello di legislazione nazionale sono state introdotte e si sono succedute norme dirette a contrastare e a rimuovere gli ostacoli di fatto che impediscono la realizzazione delle pari opportunità;

    14) pur a fronte di una crescente sensibilità delle politiche europee e nazionali e di una aumentata attenzione al fenomeno da parte delle Istituzioni, il divario di genere nel mondo del lavoro risulta essere ancora oggi per il nostro Paese uno dei fattori di disparità maggiormente persistenti;

    15) la costante inferiorizzazione delle donne è una condizione legata a un retaggio storico, culturale e giuridico che ha origini molto antiche. Gli avvenimenti storici dimostrano, seppur con parentesi positive, il forte divario lavorativo, prima, e salariale, poi, tra uomo e donna; le donne, infatti, vivono costantemente penalizzazioni sul lavoro nel momento in cui diventano madri. Il connubio tra un vetusto modello patriarcale e il sistema neoliberista reintroduce il vecchio «Male breadwinner», che si può tradurre così: «è l'uomo che deve portare il pane a casa». In una prospettiva globale, il World economic forum, che ogni anno pubblica il World gender gap report sulla base di un'attenta analisi che copre circa 146 Paesi (Italia inclusa), ha messo in luce come la disparità di genere tra uomo e donna nel mercato del lavoro riversi ancora in una situazione di stallo con margini residuali di crescita;

    16) l'11 giugno 2024 il World economic forum ha pubblicato la nuova edizione del Global gender gap report aggiornata al 2024: secondo la nuova classifica nel 2024 l'Italia ha registrato un Global gender gap index score pari a 0,703, in leggero calo rispetto al 2023 (-0,002). Questo calo ha causato all'Italia una perdita di otto posizioni in classifica, finendo all'ottantasettesimo posto su 146 Paesi monitorati; anche nel 2023 l'Italia era scesa in graduatoria, perdendo 16 posizioni e piazzandosi al posto numero 79;

    17) il Rapporto annuale 2023 dell'Istat evidenzia come avere un figlio in Italia comporti una probabile esclusione della donna dal mercato del lavoro. Nella maggioranza delle coppie, in cui spesso accade che è più istruita del partner, la donna o non lavora o viene intesa come percettrice secondaria. Questo riflette la disuguaglianza di genere presente nel mercato del lavoro e, a sua volta, la disparità dei compiti lavoro-famiglia; d'altra parte, in Italia emerge chiaramente dalle statistiche la diversa distribuzione del carico di lavoro familiare all'interno della coppia: nell'indagine sugli aspetti di vita quotidiana condotta da Istat, il tempo dedicato alla cura della casa e della famiglia è ben maggiore per le donne (15,4 per cento) rispetto agli uomini (6 per cento). Nel momento in cui, però, la donna riesce a entrare nel mercato del lavoro, con principali difficoltà nei ruoli C-suite (ruoli dirigenziali), diviene vittima di un particolare fenomeno qualificato come gender pay gap, ossia un divario retributivo di genere, in cui a parità di mansioni o quantità/qualità del lavoro prestato, l'uomo percepisce comunque una retribuzione più elevata;

    18) focalizzando l'analisi sulle donne che partecipano al mercato del lavoro, la condizione di disuguaglianza si manifesta sia nei livelli retributivi, sia nella ridotta presenza ai ruoli apicali. Il «gender pay gap» a livello italiano è del –10,7 per cento, secondo le elaborazioni di Odm Hr ConsultingGi Group holding su dati dell'Osservatorio sul lavoro dipendente dell'Inps per gli anni 2019-2022, pari a un gap che va dai circa 3.000 euro a oltre 16.000 euro in meno a seconda dell'inquadramento (in termini di retribuzione fissa annua lorda). Il gender pay gap, che si era ridotto fra il 2017 e il 2019, ha poi ripreso a crescere raggiungendo e superando il 10 per cento nel 2022. Il trend di aumento del divario si è stabilizzato attestandosi in chiusura 2023 su una media del 10,7 per cento. Guardando ai singoli inquadramenti, il divario percentuale, e anche in termini di valore assoluto, più ampio tra retribuzione fissa media di uomini e donne si riscontra nell'inquadramento dirigenti. Inoltre, negli ultimi anni le donne sono sempre più protagoniste di rapporti di lavoro non-standard, ossia rapporti caratterizzati da una ridotta continuità nel tempo e/o da una bassa intensità lavorativa (sempre come da dati Istat);

    19) secondo il gender equality index (indice sull'uguaglianza di genere) dell'Unione europea 2022 pubblicato dall'Istituto europeo per l'uguaglianza di genere (Eige), se si continua al ritmo attuale, la parità di genere all'interno dell'Unione europea diventerà realtà solo tra 60 anni. A livello globale, l'uguaglianza di genere è lontana su certi indici anche di 300 anni, come ha sottolineato il Segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres alla United Nations Commission on the status of women nel marzo 2023;

    20) nel dettaglio, il citato rapporto annuale sintetizza la parità di genere dei 27 Stati membri dell'Unione europea in un unico dato che rappresenta la combinazione delle performance tracciate tramite 31 indicatori che compongono sei dimensioni: lavoro, denaro, conoscenza, tempo, potere e salute. Nell'ultima edizione relativa al 2023, emerge come l'Italia si collochi al tredicesimo posto della classifica, con 68,2 punti su 100, sotto la media europea che si attesta a 70 punti. Fra gli indicatori, i peggiori riguardano proprio il lavoro: l'Italia è infatti ultima in Europa per quanto riguarda la parità di genere nel mondo del lavoro, con un punteggio di 63,2 (la media europea è di 71,76) e un livello di partecipazione femminile al lavoro tra i più bassi (68,1 contro 81,3);

    21) nell'ambito lavorativo, le donne in Italia sono ancora molto sottorappresentate, specialmente nei campi dell'energia e dei trasporti. Nel 2022, solo il 26 per cento dei professionisti nel settore energetico italiano erano donne. Analogamente, le donne costituivano solo il 20 per cento del personale nel settore dei trasporti;

    22) i dati Eurostat riferiti al 2023 mostrano che in Italia c'è un tasso di occupazione delle donne tra i 15 e i 64 anni pari al 51,1 per cento, sotto la media europea che si attesta al 64,9 per cento, ma soprattutto con un gap di 18,1 punti percentuali rispetto agli uomini, il cui tasso di occupazione è pari al 69,2 per cento. Sopra la media dell'Unione europea del 30 per cento, invece, il tasso di inattività femminile che per l'Italia è al 43,6 per cento. Il quadro si completa con i dati Inps sul lavoro dipendente. I lavoratori a tempo determinato e indeterminato sono per il 71 per cento uomini e solo il 29 per cento donne. Divario che si amplia per i dirigenti (solo 21 per cento di donne) ed è invece lievemente inferiore per quadri e impiegati, confermando quindi non solo una maggiore difficoltà di ingresso delle donne nel mondo del lavoro, ma anche la persistenza del cosiddetto soffitto di cristallo; il divario nei livelli occupazionali maschile e femminile in Italia è uno dei più elevati nell'Unione europea e tra le lavoratrici, quasi 1,9 milioni di donne sono costrette al part-time involontario, contro 849 mila uomini nelle stesse condizioni; l'occupazione femminile è particolarmente bassa nel Mezzogiorno (32,2 per cento) e nelle isole (33,2 per cento): un dato significativo, perché tra le cinque regioni europee con i valori più bassi di occupazione femminile, quattro sono proprio nel Sud Italia;

    23) si osserva poi un peggioramento del gap di genere in presenza di figli, a favore della componente maschile. Nel 2022 il tasso di occupazione dei genitori (25-64 anni) con un figlio varia dall'82 per cento per gli uomini al 58,1 per cento per le donne e il divario si amplifica con un numero superiore di figli. Questo vuol dire che, anche a causa di un'adeguata presenza di servizi per la conciliazione vita-lavoro, in una coppia sono più spesso le donne a uscire dal mercato del lavoro per dedicarsi alla cura dei figli, mentre l'uomo si concentra sulla carriera professionale; le donne godono infatti di minore flessibilità rispetto agli uomini, in particolare le lavoratrici laureate. Queste disuguaglianze sono in larga parte il riflesso della «specializzazione» di genere tra lavoro retribuito e non retribuito, in virtù del quale le donne più frequentemente accettano retribuzioni inferiori a fronte di vantaggi in termini di flessibilità e orari;

    24) all'interno dei consigli di amministrazione la presenza di donne è cresciuta arrivando al 43 per cento, ma meno del 5 per cento di queste ricopre ruoli esecutivi e solo il 2 per cento la carica di amministratrice delegata. Dopo la legge «Golfo-Mosca», che ha portato a un aumento della presenza femminile all'interno dei consigli di amministrazione; un'ulteriore spinta viene data dalla certificazione della parità di genere (UNI/PdR 125:2022), ossia un'attestazione a valore nazionale di validità triennale che le imprese possono richiedere su base volontaria e che viene loro riconosciuta a condizione che dimostrino di aver fatto proprio il paradigma della «parità di genere» nella loro cultura, strategia e piani di azione al fine di ridurre al proprio interno le disuguaglianze uomo-donna. Anche dal punto di vista imprenditoriale la componente femminile è arretrata: la quota di donne imprenditrici rappresenta nel 2021 il 30 per cento dell'ammontare complessivo; la situazione è migliore tra le libere professioniste (37,4 per cento, mentre è più bassa l'incidenza in caso di società di capitale (26 per cento);

    25) un altro elemento che influisce sulla partecipazione delle donne al mercato del lavoro è l'indirizzo disciplinare scelto. È noto, infatti, che alcuni stereotipi di genere influiscono sul percorso formativo scelto dalle donne che, ad esempio, si orientano verso gli indirizzi Stem (science, technology, engineering e mathematics) in misura ben più contenuta degli uomini. Nell'anno accademico 2022-23, le ragazze rappresentano solo il 37 per cento degli iscritti ai corsi di laurea in discipline Stem, con differenze ancora più evidenti nei percorsi Ict (information and communication technologies) 16 per cento donne a fronte di un 84 per cento uomini;

    26) i dati più recenti mostrano che in Italia i lavoratori di genere maschile sono meno istruiti rispetto alle donne: secondo dati Istat, in Italia nel 2021 le donne laureate sono pari al 57,2 per cento in netto vantaggio rispetto alla controparte maschile. Nonostante questo, uno degli ambiti in cui il divario di genere è più evidente rimane il gender pay gap, ossia le disparità salariali, proprio la finanza e le professioni Stem sono i settori nei quali si evidenziano i gap salariali maggiori a favore degli uomini, con una retribuzione oraria per i dipendenti maschili superiore ai 2 euro all'ora, che arriva a 5 euro nei servizi finanziari;

    27) a corroborare queste evidenze contribuisce anche il Gender policies report 2022, la pubblicazione dell'Inapp (Istituto nazionale per l'analisi delle politiche pubbliche) che ogni anno monitora le differenze di genere nel mondo del lavoro. Le statistiche evidenziano che il divario uomo-donna resta immutato nel tempo e sempre sbilanciato sulla componente maschile, perché la partecipazione femminile è ancora oggi ostaggio di criticità strutturali: occupazione ridotta, prevalentemente precaria, part-time e in settori a bassa remuneratività o poco strategici; dunque, la situazione femminile, pur migliorata in termini assoluti, peggiora in termini relativi;

    28) è facilmente intuibile come la delineata discriminazione di genere nel mondo del lavoro abbia importanti conseguenze nel settore previdenziale: il divario di genere a livello occupazionale e retributivo, che si accumula nell'arco di una vita, conduce infatti a un divario pensionistico ancor più accentuato e, di conseguenza, comporta per le donne in età avanzata un maggior rischio di povertà rispetto agli uomini;

    29) le carriere delle donne sono più brevi, principalmente a causa del loro ruolo e degli impegni familiari: la maternità e la cura dei minori, dei familiari anziani, malati o disabili e di altre persone a carico, rappresentano un lavoro supplementare o talvolta a tempo pieno, gratuito, quasi esclusivamente delle donne, e ciò ha un impatto enorme sulla loro capacità di accumulare una pensione completa;

    30) per questo con l'articolo 1, comma 9, della legge 23 agosto 2004, n. 243, era stata introdotta una misura denominata «opzione donna» che consentiva alle donne di accedere all'assegno pensionistico con requisiti anagrafici più favorevoli rispetto a quelli in vigore, optando per il sistema di calcolo contributivo dell'intero trattamento pensionistico, senza ulteriori penalizzazioni. La misura, rivelatasi del tutto insufficiente negli anni e non risolutiva del problema del divario previdenziale di genere, di recente è stata ulteriormente ridimensionata attraverso la legge di bilancio per il 2023 (articolo 1, comma 292, della legge 29 dicembre 2022, n. 197);

    31) i dati 2022 dell'Osservatorio Inps evidenziano come le pensioni delle donne valgano circa il 30 per cento in meno rispetto a quelle degli uomini: per questi ultimi l'assegno medio è di 1.381 euro, per le donne la media è di 976 euro. In generale, gli uomini percepiscono pensioni mediamente più elevate rispetto alle donne, arrivando a essere quasi il doppio (+81,5 per cento) nel Settentrione per la categoria vecchiaia;

    32) l'analisi dei dati evidenzia la generale inadeguatezza degli strumenti normativi finora ideati dal legislatore, finalizzati al raggiungimento degli obiettivi prefissati in tema di uguaglianza di genere e nello specifico diretti a ridurre il «gender pay gap», i quali, pur avendo prodotto in taluni miglioramenti anche consistenti, si rilevano nel complesso ancora insufficienti per condurre al radicale e definitivo superamento del problema;

    33) ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo si registra un netto e deciso cambio di rotta da parte dell'attuale Governo, volto a indirizzare il Paese in direzione opposta rispetto a quella auspicabile del riconoscimento dell'autodeterminazione delle donne, della parità di genere e del superamento delle discriminazioni nel mondo del lavoro: l'orientamento, sorretto da un'idea arcaica e sorpassata di famiglia e genitorialità, parrebbe essere quello di relegare il genere femminile ai tradizioni ruoli di cura e assistenza familiare, in tutto con l'obiettivo di incentivare la natalità, dichiarato obiettivo prioritario del Governo Meloni;

    34) la strategia del Governo Meloni per i firmatari del presente atto è fallimentare, come dimostra il tasso di occupazione femminile in Italia, che secondo gli ultimi dati Eurostat, è il più basso tra gli Stati europei, attestandosi 14 punti sotto la media. Come rivela peraltro un dossier pubblicato dal Servizio studi della Camera dei deputati, nel quarto trimestre del 2022, il divario tra popolazione maschile e femminile è piuttosto ampio sia dal punto di vista occupazionale – sono 9,5 milioni le donne occupate mentre gli uomini sono 13 milioni – sia retributivo. Il dato che parla di risicato aumento del tasso di occupazione femminile va quindi contestualizzato: non riporta i numeri di quante sono costrette a un part-time per poter conciliare il lavoro e la famiglia: nella fascia di età compresa tra i 25 e i 54 anni, con un figlio minore il tasso di occupazione per le donne (madri) si ferma al 63 per cento contro il 90,4 per cento di quello degli uomini (padri); con due figli minori, poi, l'occupazione femminile scende addirittura al 56,1 per cento, mentre crescono i padri che lavorano (90,8 per cento), con un divario che arriva a ben 34 punti percentuali;

    35) il cosiddetto «bonus mamme» previsto dalla legge di bilancio per il 2024 è una misura selettiva: l'esenzione dei contributi previdenziali spetta infatti solo a determinate categorie di donne, ovvero madri lavoratrici dipendenti, con un contratto a tempo indeterminato, con tre o più figli (con al massimo 18 anni di età), una quota molto ridotta;

    36) parimenti inadeguata la misura del «bonus asilo nido» per le famiglie con un reddito Isee fino a 40 mila euro, che hanno almeno un figlio con meno di 10 anni di età e che ne hanno un altro dal 1° gennaio 2024, soprattutto a fronte del taglio dei fondi europei del Pnrr destinati alla creazione dei servizi di educazione e cura a favore della prima infanzia: tagli previsti dalla revisione proposta dalla maggioranza e approvata dalla Commissione europea il 24 novembre 2023, che consistono nella riduzione da 264.480 a 150.480 dei nuovi posti da creare, riducendo lo stanziamento previsto da 4,6 miliardi di euro a 3,2 miliardi di euro. Il tutto in pieno contrasto con l'obiettivo dell'Unione europea al 2030 di 45 posti al nido ogni 100 bambini, considerando che nel Mezzogiorno del Paese attualmente i posti disponibili sono solo 16 su 100 bambini;

    37) a riprova di quello che ai firmatari del presente atto appare il generale orientamento oscurantista e misogino del Governo, oltre le recentissime posizioni esternate in occasione della stesura del documento conclusivo del G7 tenutosi in Puglia il 13-14 e 15 giugno 2024 in tema di diritto di aborto, anche il recente voto contrario delle forze di maggioranza alla direttiva sulla trasparenza salariale votata dal Parlamento europeo. Voto contrario, quest'ultimo, in evidente contrasto con quanto affermato in data 28 giugno 2023 dalla Viceministra del lavoro e delle politiche sociali Bellucci, nell'ambito della discussione alla Camera dei deputati della legge 3 luglio 2023, n. 85, di conversione, con modificazioni, del decreto-legge n. 48 del 2023, recante «Misure urgenti per l'inclusione sociale e l'accesso al mondo del lavoro», con riguardo all'ordine del giorno n. 9/1238/113 a prima firma Ghirra. In tale sede la Viceministra dichiarava il parere non contrario del Governo alla direttiva europea n. 2021/0050 dell'11 aprile 2023 sulla trasparenza retributiva e negava il parere favorevole all'ordine del giorno citato nel punto in cui chiedeva l'estensione delle nuove norme alle aziende con meno di 100 dipendenti, sulla base del fatto che la direttiva non fosse stata ancora approvata definitivamente;

    38) realizzare l'uguaglianza di genere e migliorare le condizioni di vita delle donne sono obiettivi fondamentali dell'Agenda 2030 e requisiti imprescindibili per la costruzione di una società realmente giusta e sostenibile. Secondo i dati World economic forum 2023, l'inclusione delle donne nelle aziende sarebbe in grado di aumentare il prodotto interno lordo mondiale fino al 35 per cento. Il sopracitato rapporto Boston consulting group evidenzia, inoltre, come nel 2022 le aziende con almeno il 30 per cento di dirigenti donne abbiano registrato un aumento del 15 per cento della redditività,

impegna il Governo:

1) ad adottare iniziative normative per promuovere con urgenza una generale riforma diretta a introdurre l'assoluto divieto di discriminazione di genere in materia salariale, in attuazione della direttiva sulla trasparenza salariale, con la previsione di adeguate sanzioni in caso di violazione del divieto;

2) a promuovere ogni iniziativa di competenza per incentivare la stabile e qualificata occupazione femminile, al contempo riducendo i disincentivi al lavoro attualmente esistenti per le donne;

3) a promuovere un piano straordinario per l'occupazione femminile e politiche, anche promuovendo il reinserimento professionale delle donne che hanno lasciato il lavoro da più tempo, nonché misure efficaci per il sostegno alle imprese femminili;

4) a dare concreta applicazione alla Convenzione n. 190 dell'Organizzazione internazionale del lavoro «contrasto alle molestie, molestie sessuali e violenze sul posto di lavoro», ratificata dall'Italia e ancora introdotta nella normativa nazionale, e nello specifico ad adottare iniziative normative volte a introdurre il reato di molestie nei luoghi di lavoro, con la previsione di adeguate sanzioni penali a carico dei responsabili e l'obbligo per le aziende di prevedere specifici protocolli preventivi del fenomeno;

5) a promuovere le opportune iniziative finalizzate a sostenere la domanda e l'offerta di lavoro delle donne, rafforzando la disponibilità di servizi di cura per l'infanzia, per gli anziani e i familiari disabili, individuando, altresì, nuovi e adeguati stanziamenti diretti allo sviluppo di servizi di qualità per infanzia, anziani e disabili e misure per favorire una redistribuzione dei carichi di lavoro familiare all'interno della stessa, prevedendo, tra l'altro, investimenti straordinari e strutturali per il sistema pubblico integrato di educazione e istruzione per la fascia 0-6 anni, garantendo l'obiettivo del Piano nazionale di ripresa e resilienza del 33 per cento di servizi, individuato oltre 20 anni fa dalla Strategia di Lisbona, per fare della fascia 0-3 anni non più un servizio a domanda individuale ma un diritto universale;

6) ad adottare iniziative normative volte a ridurre il divario pensionistico di genere attraverso l'introduzione di nuovi e più efficaci strumenti e/o meccanismi previdenziali;

7) a promuovere campagne e progetti comunicativi e formativi sul rispetto dell'uguaglianza, declinato in rapporto alla cogenitorialità e alla condivisione dei compiti di cura nelle famiglie;

8) ad adottare iniziative normative volte a introdurre un congedo di genitorialità paritario di 6 mesi a genitore, introducendo un congedo di paternità di sei mesi per un periodo continuativo, con indennità al 100 per cento, di cui tre obbligatori e tre facoltativi, per usufruirne nell'arco dei primi dodici mesi di vita del bambino.
(1-00326) «Ghirra, Zanella, Piccolotti, Bonelli, Borrelli, Dori, Fratoianni, Grimaldi, Mari, Zaratti».

(18 settembre 2024)

   La Camera,

   premesso che:

    1) secondo i dati pubblicati da Istat nel rapporto annuale 2024, il tasso di occupazione in Italia è al 62 per cento, ossia 8 otto punti sotto la media europea. Inoltre, l'Italia vanta un primato anche per numero di inattivi, donne e giovani senza lavoro, part time involontario, retribuzioni basse, scarsa produttività, lavoro povero, sommerso e lavoro autonomo, da vent'anni sacca fantasma di precarietà; anche in base ai dati Eurostat 2023, l'Italia è il Paese con il tasso di occupazione più basso fra i Paesi dell'Unione europea e registra una crescita più lenta rispetto ai Paesi europei anche sul fronte dei salari;

    2) sempre secondo Istat, negli ultimi vent'anni l'occupazione italiana è cresciuta: in valore assoluto, da 22 a 24 milioni di occupati; come tasso, dal 57 al 62 per cento, da sempre uno dei più bassi in Europa (nello stesso arco temporale il tasso tedesco è salito di 13 punti);

    3) stante ciò, l'occupazione stabile, a tempo indeterminato, dice l'Istat nel suo Rapporto annuale, è «aumentata solo tra gli over 50», da 3 a 6 milioni di occupati, mentre è scesa in tutte le altre fasce d'età, anche per un fattore demografico: l'Italia invecchia, fa meno figli e le coorti degli anni '50-'60-'70 si spostano, trattenute al lavoro anche da riforme pensionistiche;

    4) c'è stato poi un incremento del lavoro a tempo determinato, così come di voucher, somministrazione, lavoro a chiamata e collaborazioni occasionali. Se la quota di occupati a tempo in Italia è in linea col resto d'Europa (16 per cento), così come il part time al 18 per cento è più o meno nella media europea, il nostro Paese è primo per part time involontario ossia non voluto, ma subìto, e più spesso dalle lavoratrici: si consideri che il 53 per cento degli occupati a tempo parziale è imposto, quota ferma a poco più di 1/3 solo vent'anni fa;

    5) nel triste primato italiano si concretizza quella che Istat chiama «doppia vulnerabilità»: contratti di collaborazione o a tempo determinato e anche a part-time. Questa parte dei lavoratori italiani è quella con i più bassi salari, sia orari che annuali, dal 30 al 60 per cento in meno degli altri: è la sacca del lavoro povero – quella che sarebbe in parte beneficiata dal salario minimo; in Italia purtroppo la flexsecurity è diventata precarietà cronica, senza sicurezza: non è stato dato più valore al lavoro e, pertanto, si è scivolati nella competizione globale col dumping salariale, spesso diventando fornitori di lavoro a basso costo. I dati di oggi sull'occupazione in crescita non devono pertanto trarre in inganno: il punto non è solo quanto «più lavoro» purchessia posto che, laddove aumenta l'occupazione in virtù di un basso costo del fattore lavoro, allora ne consegue un mancato aumento dei salari come del reddito e della distribuzione, ovverosia un mancato incremento corrispondente in termini di prodotto interno lordo e di crescita reale per il sistema Paese;

    6) con riguardo alla questione femminile, secondo i dati Istat, il divario nel tasso di occupazione rispetto all'Unione europea supera i 12 punti percentuali. Anche secondo il rapporto pubblicato solo il 10 settembre 2024 dall'Ocse, dal titolo Education at a glance 2024, sebbene ragazze e donne continuino ad eccellere in ambito scolastico e nei tassi di completamento degli studi, questi successi non si riflettono in pari opportunità lavorative: per esempio, le donne tra i 25 e i 34 anni senza diploma di scuola secondaria superiore hanno un tasso di occupazione del 47 per cento, ben 25 punti percentuali inferiore a quello dei loro coetanei maschi. Anche tra le donne con una qualifica terziaria, il divario persiste: l'84 per cento di loro è occupato, rispetto al 90 per cento degli uomini con lo stesso livello di istruzione; sulla differenza di genere nessun altro Paese dell'Ocse evidenzia un divario così marcato: le donne laureate in Italia guadagnano solo il 58 per cento dello stipendio dei loro colleghi maschi. Questa disparità è particolarmente significativa se confrontata con la media degli altri Paesi – dove le donne percepiscono in media il 17 per cento in meno rispetto agli uomini – e deriva da «fattori complessi che includono la segregazione occupazionale, pregiudizi nelle pratiche di assunzione e opportunità diseguali di fare carriera», si legge nel rapporto. Le donne hanno meno probabilità degli uomini di ottenere una promozione o di ricevere un grosso aumento di stipendio quando cambiano lavoro;

    7) in aggiunta, gli stop alla carriera legati alla nascita di un figlio – e alla successiva necessità di avere maggiore flessibilità, anche a costo di uno stipendio più ridotto – continuano a colpire più le donne degli uomini. Senza contare che si parla solo di chi ha un lavoro a tempo pieno, e non del lavoro part time, determinato, di collaborazione occasionale o a partita Iva: in questi casi, vale quanto già sottolineato rispetto al «falso» incremento dell'occupazione e alla mancanza di investimenti per la crescita effettiva del prodotto interno lordo e del sistema Paese;

    8) secondo il rapporto annuale Istat, se in quasi tutti i Paesi europei nella fascia di età compresa fra 30 e 40 anni – fascia potenzialmente più coinvolta da scelte di genitorialità –, si apre un gap tra l'occupazione femminile e quella maschile che poi si ricompone più avanti, in Italia questo gap non si richiude più: in altri termini, nel nostro Paese, il problema vero non è sostenere le famiglie con incentivi alla natalità – scelta che deve rimanere nella sfera personale –, quanto aiutare i diversi nuclei a conciliare vita personale e professionale;

    9) non sorprende allora che il Presidente della Repubblica, nel messaggio che ha inviato il 16 settembre 2024 al convegno il «Tempo delle donne», abbia tra l'altro sottolineato come l'occupazione femminile sia un fattore che sostiene in modo decisivo la famiglia e le nascite e come pure siano però ancora presenti «ostacoli, rallentamenti e disparità, per l'accesso, nella retribuzione, nella progressione di carriera, negli incarichi di vertice», oltreché fenomeni come le «dimissioni in bianco, pressioni indebite, persino forme di stalking e di violenza»;

    10) in questa prospettiva, secondo i dati Eurostat (pubblicati nel rapporto annuale Employment and activity by sex and age a dicembre 2023), in Italia, una donna su cinque fuoriesce dal mercato del lavoro a seguito della maternità, mentre stando all'osservazione del mercato del lavoro nel 2011 e nel 2022, come riporta Inapp nel recente Rapporto plus 2023, si conferma che l'evento della maternità presenta caratteristiche rispetto all'occupazione femminile ricorrenti addirittura a distanza di un decennio. Tale ultimo aspetto riveste una particolare rilevanza in quanto indice della difficoltà per le donne di conciliare esigenze di vita con l'attività lavorativa. Difficoltà a loro volta fortemente connesse allo sbilanciamento nel care burden familiare che costituisce un persistente fattore critico per i livelli di occupazione femminile, con particolare riguardo anche alle sue declinazioni in attività domestiche, come emerge dal lavoro pionieristico del premio Nobel per l'economia 2023 Claudia Goldin;

    11) secondo il rapporto Istat Sdgs (Sustainable development goals) 2023, infatti, ad oggi la distribuzione del carico di lavoro per le cure familiari tra uomini e donne non migliora, mentre i dati ufficiali non sono in grado di descrivere la realtà dell'assistenza domiciliare e del lavoro domestico, a causa degli alti livelli di quello che la Commissione europea definisce «lavoro sommerso», o che comunemente si chiama pagamento in nero per i servizi di assistenza diretta e indiretta. Come si legge in una dichiarazione delle parti sociali di marzo 2022, «in base all'ultima indagine dell'Eurobarometro sull'argomento, è stato calcolato che circa il 34 per cento di tutto il lavoro sommerso svolto nell'Unione europea nel 2019 è relativo al settore dei servizi per la persona e la famiglia. Stime recenti rivelano che, tra i 9,5 milioni di lavoratori e lavoratrici domestiche presenti in Europa, almeno 3,1 milioni svolgono lavoro sommerso»;

    12) per quanto attiene all'Italia, come emerge chiaramente dai dati dell'osservatorio Domina, nel relativo quinto rapporto annuale 2024, l'occupazione femminile (che tradizionalmente si avvantaggia di più della collaborazione domestica) è più elevata proprio dove ci sono più lavoratori domestici: il report rileva infatti che oltre il 21 per cento del «prodotto interno lordo del lavoro domestico» italiano è prodotto in Lombardia e circa il 45 per cento nel Lazio, in Emilia-Romagna, Veneto, Piemonte e Toscana, ovvero nelle aree dove il tasso di occupazione femminile è più elevato e quello di disoccupazione è più basso;

    13) se per le donne esiste ancora una difficoltà nel conciliare le responsabilità familiari e quelle lavorative, il processo di evoluzione normativa in materia è stato caratterizzato da un significativo ritardo rispetto ad altri Paesi europei che hanno disciplinato il congedo paterno obbligatorio ben oltre i dieci giorni di congedo paterno previsti nel nostro Paese dal 2021: in Francia e Spagna i padri possono usufruire, rispettivamente, di quattro e di sedici settimane di congedo, mentre già nel 1974, prima al mondo, la Svezia sostituiva il congedo di maternità con quello parentale e oggi prevede cinquantadue settimane di congedo da ripartire con il partner, mentre la Norvegia assegna ai neogenitori ben quarantasei settimane di congedo;

    14) la conciliazione tra lavoro e genitorialità è nel nostro Paese ancora estremamente difficoltosa e la percezione sociale di un aumentato sostegno pubblico alla genitorialità, sul piano dei congedi, appare ancora debole: il sondaggio di opinione condotto da We World in collaborazione con Ipsos, tra il febbraio e il marzo 2022 su un campione di 1.000 genitori di bambini/e under 18, ha rivelato che solo un genitore su cinque sa che attualmente il congedo di paternità ha una durata di 10 giorni, mentre i dati dell'Istat riferiti al 2022 indicano che il tasso di occupazione delle donne di età compresa tra 25 e 49 anni con figli di età inferiore ai 6 anni è pari a 55,5 per cento rispetto a quello delle donne della stessa età senza figli che è del 76,6 per cento. In altre parole, i dati restituiscono una fotografia dell'Italia come Paese in cui il potenziamento degli istituti del congedo genitoriale realizzato nell'ultimo decennio, con particolare riferimento a quello paterno, non è stato ancora in grado di sostenere adeguatamente il binomio genitorialità/lavoro, in cui il livello di informazione sui congedi genitoriali è ancora scarso, ma dove pure si rileva un'emergente disponibilità dei giovani padri a condividere la cura filiale;

    15) l'occupazione femminile è poi caratterizzata anche da un accentuato divario retributivo di genere, nonché dal tipo di lavoro svolto dalle donne;

    16) per quanto concerne la differenza di retribuzione, secondo gli ultimi dati Eurostat già citati, il gap retributivo medio (ossia la differenza nella retribuzione oraria lorda tra uomini e donne) è pari al 5 per cento (al di sotto della media europea che è del 13 per cento, come riporta un comunicato stampa della Commissione europea del 14 novembre 2023), mentre quello complessivo (ossia la differenza tra il salario annuale medio percepito da donne e uomini) è pari al 43 per cento (al di sopra della media europea, che è invece pari al 36,2 per cento);

    17) secondo i dati dell'Osservatorio sui lavoratori dipendenti del settore privato dell'Inps, nel 2022 la retribuzione media annua è costantemente più alta per il genere maschile, con una differenza di 7.922 euro (26.227 euro per gli uomini contro 18.305 euro per le donne). Con riferimento a tale settore privato, si segnala che la Strategia nazionale per la parità di genere 2021-2026 ha tra gli obiettivi quello di ridurre il gender pay gap nel settore privato dal 17 al 10 per cento;

    18) dal punto di vista delle caratteristiche del lavoro svolto, la bassa partecipazione al lavoro delle donne è determinata da diversi fattori, come l'occupazione ridotta, in larga parte precaria, in settori a bassa remuneratività o poco strategici e una netta prevalenza del part time, che riguarda poco meno del 49 per cento delle donne occupate contro il 26,2 per cento degli uomini (si veda il Gender policies report 2022);

    19) tra le politiche sovranazionali volte a favorire l'occupazione femminile va ricordata la direttiva dell'Unione europea 2023/970 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 10 maggio 2023, che dovrà essere recepita entro il 7 giugno 2026. Tale direttiva stabilisce prescrizioni minime per rafforzare l'applicazione del principio della parità retributiva per uno stesso lavoro, in particolare attraverso una maggiore trasparenza dei dati sulle retribuzioni, condizione prodromica per la garanzia di un'effettiva parità retributiva che si basa sulla convinzione secondo cui una maggiore conoscibilità del sistema retributivo di un'azienda, dei dati effettivi del divario retributivo di genere, delle informazioni specifiche per ciascun lavoratore è elemento centrale e decisivo per prevenire ed eliminare la discriminazione retributiva e garantire la parità;

    20) similmente, con la successiva direttiva dell'Unione europea 2024/1500 del 14 maggio 2024, il legislatore europeo ha affrontato il tema della parità di genere in materia di occupazione e impiego, dettando norme orientate a migliorare e a rafforzare il funzionamento degli organismi per la parità (già previsti dalle direttive 2006/54/CE e 2010/41/UE), con l'obiettivo di consolidare l'indipendenza dei già menzionati organismi, i quali devono essere liberi da influenze esterne, non dovendo accettare istruzioni dal Governo o da enti pubblici o privati, attribuendo, altresì, a tale organismi rilevanti funzioni;

    21) sebbene il diritto alla parità di retribuzione per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore tra lavoratori di sesso femminile e maschile sia un principio fondamentale dell'Unione europea, l'effettiva attuazione di tale principio continua a incontrare una serie di ostacoli, come dimostra il dato sul divario retributivo di genere (gender pay gap) nell'Unione europea in base al quale le donne guadagnano, a parità di mansioni, in media il 13 per cento in meno rispetto agli uomini;

    22) il lavoro è uno degli ambiti in cui i divari di genere sono più visibili. Molto spesso le donne incontrano maggiori difficoltà a trovare un impiego e a coprire ruoli di prestigio e responsabilità. Secondo le stime contenute nella recente ricerca di Banca d'Italia «Le donne, il lavoro e la crescita economica», in Italia solo poco più di una donna su due ha un lavoro, con un tasso di occupazione femminile del 51,1 per cento, ben al di sotto della media europea del 65 per cento;

    23) anche in virtù di quanto già riportato in merito alla difficile conciliazione di vita e lavoro, le donne più svantaggiate sono quelle con figli, al contrario dei padri che riportano un tasso di occupazione più elevato. Preoccupante è in questo senso il dato evidenziato con riferimento alla cosiddetta child penalty sui redditi da lavoro nel nostro Paese: tra le madri occupate, a 15 anni dalla nascita dei figli, la retribuzione annua è circa la metà rispetto a quella delle donne senza figli;

    24) il differenziale tra retribuzioni, che si amplifica se si considera il divario retributivo complessivo di genere, determina ripercussioni a lungo termine sulla qualità della vita delle donne, le espone a un maggiore rischio di povertà e perpetua il divario retributivo pensionistico (gender pension gap), che è addirittura pari al 29 per cento nell'Unione europea;

    25) secondo il rapporto annuale dell'Inps pubblicato a settembre 2023, in media i pensionati percepiscono un importo mensile lordo superiore di oltre il 36 per cento a quello incassato dalle coetanee e la differenza sfiora il 38 per cento se si fa riferimento «solo» alle pensioni e alle indennità erogate dall'istituto. Per quanto poi attiene al settore pubblico, mentre i dipendenti fuori servizio per raggiunti limiti di età incassano 2.423,91 euro, le dipendenti di 1.831,97 (media lorda mese);

    26) il citato rapporto Inps certifica quello che milioni di lavoratrici e lavoratori già sanno, ossia che i fattori che creano e mantengono il divario di genere – in ambito lavorativo, nelle carriere, nelle retribuzioni, nei ruoli apicali – si riflettono anche nelle pensioni, con le donne svantaggiate, in eterna rincorsa dei coetanei, superati unicamente per le pensioni di reversibilità (legate ai redditi dei mariti defunti);

    27) sempre dai dati Inps si evidenzia un'altra differenza tra donne e uomini in relazione allo spostamento in avanti degli anni che bisogna avere per poter accedere alla pensione. L'età media per il collocamento a riposo è cresciuta per tutti: per gli uomini è passata da 62 anni nel 2012 a 64,2 nel 2014, per le donne è aumentata più lentamente, ma è arrivata a superare di cinque mesi quella dei coetanei: da 62,3 anni nel 2012 a 64,7 nel 2022. La ragione sta nella già richiamata discontinuità delle carriere femminili, che comporta ritardi nel raggiungimento dei requisiti contributivi per la pensione anticipata;

    28) da ultimo, la cosiddetta opzione donna ha sì consentito a molte donne di uscire prima dal mercato del lavoro, ma per le lavoratrici che hanno aderito a questa modalità il prezzo è stato la massiccia decurtazione dell'importo percepito: l'assegno medio è stato del 40 per cento più basso rispetto alla media di tutte le pensioni anticipate. Tale differenza sarebbe in parte riconducibile al ricalcolo contributivo, ma anche in parte alla minore contribuzione rispetto alle pensioni anticipate, oltre al fatto che la propensione a utilizzare l'opzione è maggiore tra le lavoratrici nelle classi di reddito più basse e quindi con minore contribuzione;

    29) trattando di gender gap nel mercato del lavoro, non si può prescindere da un approccio che parta dalla violenza sulle donne, troppo spesso ancora oggetto di molestie sul luogo di lavoro e non sufficientemente supportate nel mantenimento dell'occupazione e del reddito, oltreché nel percorso di reinserimento lavorativo laddove siano state vittime di violenza;

    30) con la Convenzione n. 190, dal 2019 l'Organizzazione internazionale del lavoro ha riconosciuto il diritto di tutte le persone a un mondo del lavoro libero dalla violenza e dalle molestie, comprese la violenza e le molestie di genere. Ratificata dall'Italia (secondo Paese europeo, dopo la Grecia) il 29 ottobre 2021, la Convenzione rappresenta la prima norma internazionale volta a fornire un quadro organico di intervento per prevenire e contrastare le molestie nel mondo del lavoro, ma soprattutto ne detta la prima definizione riconosciuta secondo cui le molestie sono un insieme di pratiche e di comportamenti inaccettabili che si prefiggono, causano o possono comportare un danno fisico, psicologico, sessuale o economico;

    31) secondo i dati del paper «The wage effect of workplace sexual harassment: evidence for women in Europe», pubblicato a maggio 2023 dall'Institute for new economic thinking, l'alto rischio di molestie sessuali penalizza le donne, riducendone i salari e contribuendo così ad aumentare il divario retributivo di genere. Si è infatti riscontrato un impatto negativo significativo del rischio di molestie sessuali sui salari delle donne occupate, che è maggiore per le lavoratrici altamente qualificate rispetto a quelle poco qualificate: il rischio di molestie sessuali riduce il premio salariale che le lavoratrici percepiscono per il fatto di essere impiegate in posizioni professionali apicali;

    32) lo studio conclude che, in Europa, le donne impiegate in occupazioni contro-stereotipate – sia in termini di status occupazionale (donne in posizioni apicali), sia in termini di composizione di genere (donne impiegate in ambienti di lavoro in cui la maggior parte delle posizioni apicali sono occupate da uomini) – sono altamente penalizzate, perché sperimentano le conseguenze più severe delle molestie sessuali sui loro salari. Questo tipo di pressioni va considerato quindi come costo aggiuntivo per le donne, anche perché può agire come disincentivo rispetto all'accettare lavori altamente qualificati, andando a incrementare la segregazione orizzontale e verticale di genere nei mercati del lavoro europei;

    33) per quanto attiene al nostro Paese, sebbene tra il 2015 e il 2022 l'Italia abbia speso complessivamente 157 milioni di euro contro la violenza (circa 20 per misure di sostegno al reddito, 124 per interventi di reinserimento e inserimento lavorativo delle donne fuoriuscite da situazioni di violenza, 12 per l'autonomia abitativa), stando a quanto emerge dallo studio «Diritti in bilico. Reddito, casa e lavoro per l'indipendenza delle donne in fuoriuscita dalla violenza» di ActionAid Italia, si tratta di cifre decisamente insufficienti, corrispondenti a circa 54 euro al mese per donna presa in carico non economicamente autonoma;

    34) oltre alla necessità di modificare l'attuale disciplina penale che identifica la violenza sessuale solo se agita con «violenza, minaccia o abuso di autorità» e, quindi, di riconoscere il fenomeno del cosiddetto freezing anche nei luoghi di lavoro – come d'altronde fa già da tempo l'Inail –, va garantita la possibilità di disporre di un reddito sufficiente, di un alloggio sicuro, di un lavoro dignitoso e di servizi pubblici ben funzionanti: si tratta di presupposti tutti essenziali per consentire alle donne non solo di abbandonare situazioni di violenza, ma anche di accelerare il loro processo di empowerment. Questi devono essere gli elementi costitutivi di una politica pubblica per supportare le donne nel loro percorso verso l'indipendenza economica. Si tratta sostanzialmente di garantire quei diritti economici e sociali tutelati da numerose leggi internazionali – inclusa la Convenzione di Istanbul – e dalla stessa Costituzione;

    35) ancora lontana, però, è la realtà quotidiana delle donne rispetto alle previsioni normative: come testimoniato dall'Istat nel corso dell'audizione svoltasi presso la XI Commissione (lavoro pubblico e privato) della Camera dei deputati il 27 febbraio 2024, quasi la metà delle donne che hanno avviato un percorso di uscita da una violenza subita non è infatti economicamente autonoma. La rilevazione sull'utenza dei centri antiviolenza non solo ha permesso di individuare le donne che hanno subito violenza economica (nel complesso si tratta di 10.515 donne, il 40,2 per cento), ma anche una serie di segnali importanti della dipendenza economica della donna. La percentuale infatti aumenta al 74 per cento se si considerano le donne che presentano almeno una delle seguenti caratteristiche: non sono autonome economicamente, sono arrivate al centro antiviolenza con una richiesta di supporto all'autonomia, al lavoro o di natura economica, hanno subito violenza economica o hanno usufruito del servizio di supporto all'autonomia da parte del centro antiviolenza;

    36) anche dall'analisi delle chiamate ricevute dal numero di pubblica utilità contro la violenza e lo stalking emerge un quadro preoccupante: nel 2023 le violenze economiche sono segnalate dal 19,7 per cento delle donne che contattano il numero 1522. Subiscono di più violenza economica le casalinghe (41 per cento), le lavoratrici in nero (32,9 per cento) e le disoccupate (30,6 per cento); per le occupate la percentuale è pari a 15,9 per cento. Inoltre, le donne che presentano situazioni economiche più svantaggiate subiscono più di frequente violenza dai partner con cui vivono: in particolare ciò si verifica per le disoccupate (53,7 per cento), le casalinghe (79,5 per cento) e le lavoratrici in nero (52,8 per cento);

    37) i dati raccolti evidenziano quindi ancora quanto il lavoro, l'occupazione femminile e l'indipendenza economica siano un valido e imprescindibile argine contro la violenza. In Italia, le politiche per l'inserimento lavorativo o il mantenimento dell'occupazione rivolte alle donne vittime di violenza sono poche e frammentarie. Nello specifico, per favorire l'inserimento lavorativo sono stati finanziati in maniera disorganica, generalmente a livello regionale, percorsi di formazione professionale, tirocini, attività di avvio all'autoimprenditorialità, a cui si sommano gli sgravi contributivi per le imprese – introdotti sperimentalmente a livello nazionale – per incentivare l'assunzione a tempo indeterminato di donne che hanno subito violenza;

    38) la parità di genere è uno dei valori fondanti dell'Unione europea, al centro della Strategia per la parità di genere 2020-2025 e riconosciuta dai Piani di ripresa e resilienza adottati dai Governi degli Stati che ne fanno parte. I piani d'intervento nazionali riguardano soprattutto le differenze di genere sul mercato del lavoro, che restano marcate in alcuni Paesi come l'Italia;

    39) l'attuale contesto europeo vive una persistente fase di crisi che trae origine dalle conseguenze socioeconomiche della pandemia, dalla situazione di instabilità geopolitica alimentata dai conflitti in corso in Ucraina e Medio Oriente, nonché dall'emergenza climatica e ambientale globale. In tale scenario, le disparità di genere si moltiplicano e pongono ai Paesi europei vecchie e nuove sfide a cui le politiche pubbliche dovrebbero trovare risposte capaci di raggiunge l'intera popolazione;

    40) si tratta di scelte sul futuro che, stando ai dati appena usciti sulla composizione di genere del nuovo Parlamento europeo, saranno assunte da un consesso in cui la partecipazione femminile è in calo. A parte alcune conferme (Svezia e Finlandia sono i Paesi che hanno eletto più donne, rispettivamente 62 e 60 per cento), infatti, la media europea di presenza femminile passa dal 41 per cento del 2019 al 39 per cento nel 2024: per la prima volta nella storia del Parlamento europeo la presenza delle donne non cresce e si registra un passo indietro. Una dinamica che riguarda anche l'Italia, che dopo queste elezioni risulta ben al di sotto della media dell'Unione europea con il 33 per cento, mentre nel 2019 le donne erano il 41 per cento;

    41) altra notizia negativa la si apprende leggendo il rapporto Draghi su «Il futuro della competitività europea», presentato il 9 settembre 2024 a Bruxelles: alzando lo sguardo verso un futuro di più lungo termine, dentro uno scenario economico-finanziario soggetto a continui e repentini cambiamenti, specie negli ultimi anni, la prospettiva di genere pare quasi completamente assente. Il sintetico riferimento alla crescita della quota femminile della forza lavoro, come fattore di aumento del contributo del lavoro alla crescita, non basta come indicazione in un Rapporto che ambisce ad indicare la strategia per affrontare le sfide future: stando ai dati del Global gender gap report 2024, ad oggi servirebbero 134 anni per raggiungere la piena parità, circa cinque generazioni in più rispetto all'obiettivo di sviluppo sostenibile fissato al 2030; la correlazione positiva tra occupazione femminile e livello del prodotto interno lordo è invero ormai stimata da numerose organizzazioni internazionali: più donne al lavoro significa maggiore produzione e creazione di valore aggiunto che si converte in prodotto interno lordo. Non si tratta solo di livello di prodotto interno lordo, ma anche di crescita in termini reali e di benessere sociale perché il lavoro femminile innesca una spinta ulteriore di domanda di lavoro e un circolo virtuoso di opportunità;

    42) diverso è stato infatti il caso del Piano nazionale di ripresa e resilienza che, al fine di rilanciare lo sviluppo nazionale in seguito alla pandemia, ha individuato nel superamento delle «disparità di genere» una delle tre priorità trasversali perseguite in tutte le missioni che compongono il Piano stesso, in un'ottica di gender mainstreaming;

    43) uno studio dell'Istituto europeo per l'uguaglianza di genere (Eige) sui «vantaggi economici dell'uguaglianza di genere» fornisce nuovi solidi riscontri obiettivi dai quali emergono gli impatti positivi della riduzione delle disparità di genere nel mercato del lavoro. Tra le misure a favore dell'uguaglianza di genere che possono ridurre i divari di genere, si segnalano in particolare: offerta di assistenza all'infanzia e altre forme di assistenza, cambiamenti della retribuzione e delle condizioni di fruizione del congedo parentale, promozione e sostegno di contratti di lavoro a tempo parziale e flessibili, disposizioni legislative e politiche in materia di parità di retribuzione e di condizioni di lavoro, eliminazione della segregazione di genere a livello di settori e di posti di lavoro e riduzione del numero di interruzioni di carriera tra le donne;

    44) la stima dell'Istituto europeo per l'uguaglianza di genere sulla crescita del prodotto interno lordo in Europa mostra che, entro il 2050, promuovere la parità di genere in uno scenario di progresso rapido rispetto a quello lento potrebbe aumentare il prodotto interno lordo pro capite in Europa dal 6,1 al 9,6 per cento. Si tratta di un ammontare tra i 1,95 e i 3,15 milioni di milioni di euro. Inoltre, nei Paesi che hanno una situazione di partenza della parità di genere più arretrata, come l'Italia, il potenziale impatto sul prodotto interno lordo è maggiore: i guadagni di prodotto interno lordo potrebbero arrivare nel 2050 a circa il 12 per cento,

impegna il Governo:

1) al fine di rilanciare il sistema Paese, ad adottare iniziative, anche di carattere normativo, volte a predisporre un piano straordinario e urgente volto a sostenere e promuovere l'occupazione femminile, la conciliazione tempi di vita e lavoro, in particolare:

  a) adottando iniziative di programmazione concrete che riorganizzino ogni servizio suscettibile di supportare e sostituire il lavoro di cura prevalentemente svolto dalle donne, anche attraverso:

   1) la disponibilità di servizi socio-educativi per la prima infanzia quale diritto esigibile di tutti i bambini e il rafforzamento della rete degli asili nido, a partire dai territori più deprivati, con copertura dei posti, adeguati standard qualitativi e condizioni di accessibilità eque e compatibili con le potenzialità di spesa delle famiglie;

   2) il riconoscimento e l'acquisizione di un valore economico del lavoro di cura e domestico, cruciale per la partecipazione femminile al mercato del lavoro e per una maggiore conciliazione vita-lavoro, in particolare adottando un serio piano di sostegno all'occupazione in questo settore, suscettibile di determinarne una maggiore produttività e una conseguente riduzione dell'area sommersa;

   3) la promozione di progetti a livello comunale che, sostenendo l'occupazione, rispondano in maniera più prossima alle esigenze legate alla cura e all'assistenza, con effetti positivi sia per le famiglie che per coloro che prestano il servizio;

   4) l'incentivazione della creazione di asili nido aziendali attraverso l'istituzione di un «Fondo» nell'ambito dello stato di previsione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali;

   5) l'adozione di modelli flessibili di organizzazione del lavoro come la riduzione dell'orario di lavoro a parità di salario e lo smart working, con particolare attenzione ai soggetti fragili e ai genitori con figli di età inferiore ai 14 anni;

  b) prevedendo iniziative volte a un'estensione del sistema di tutela delle lavoratrici, sia del comparto autonomo che subordinato, modificando il testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, di cui al decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, e in particolare prevedendo:

   1) l'ampliamento da cinque a sei mesi del congedo obbligatorio di maternità;

   2) l'introduzione di un identico congedo obbligatorio di paternità;

   3) la fruibilità congiunta e contestuale dei congedi obbligatori dei genitori;

   4) l'introduzione di un identico congedo obbligatorio per entrambi i genitori anche nel caso di adozione o affidamento ovvero nei casi rientranti nella gestione separata;

   5) l'estensione del trattamento in tutti i casi sopra citati fino alla copertura di un'indennità giornaliera pari al 100 per cento della retribuzione;

   6) il sostegno dell'allattamento attraverso l'individuazione di spazi idonei che, ove le condizioni lavorative e ambientali lo consentano, permettano al genitore che lo desideri di poter allattare il bambino anche durante l'orario di lavoro, fermo restando il diritto ad usufruire dei periodi già previsti dalla normativa vigente;

   c) rafforzando e implementando iniziative specifiche di tutela e sostegno delle donne, in particolare delle donne vittime di violenza e con disabilità, e dedicate anche alle persone transgender, non-binary e gender non-conforming, volte a superare la discriminazione e gli ostacoli che incontrano nel corso dell'intero ciclo lavorativo, con specifico riguardo:

    1) alla promozione e creazione di una cultura lavorativa positiva e inclusiva finalizzata alla prevenzione di comportamenti che possano direttamente o indirettamente determinare l'insorgere di stati di disagio o di danno psichico a carico delle lavoratrici e dei lavoratori;

    2) alla prevenzione e al contrasto delle condotte vessatorie a carico delle lavoratrici e dei lavoratori e delle conseguenti disfunzioni organizzative ansiogene nei luoghi di lavoro;

    3) alla definizione di sistemi premiali che incentivino l'inclusività, la concreta attuazione dell'eguale valorizzazione del lavoro e siano funzionali alla conservazione del posto di lavoro nel tempo e nelle varie fasi di vita delle lavoratrici e dei lavoratori;

    4) alla previsione di iniziative normative volte al reinserimento professionale delle donne vittime di violenza, al riconoscimento del fenomeno del cosiddetto freezing anche nei luoghi di lavoro, all'accelerazione del processo di empowerment femminile nei luoghi di lavoro sia pubblici che privati, dando concreta attuazione alla Convenzione Ilo n. 190 «contrasto alle molestie, molestie sessuali e violenze sul posto di lavoro», ratificata dall'Italia con legge 15 gennaio 2021, n. 4;

   d) garantendo una piena e più estesa effettiva applicazione dell'articolo 55, comma 4, del decreto legislativo n. 151 del 2001 e delle relative tutele contro il fenomeno delle c.d. «dimissioni in bianco»;

   e) dando piena attuazione alla direttiva dell'Unione europea 2023/970 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 10 maggio 2023, volta a rafforzare l'applicazione del principio della parità di retribuzione tra uomini e donne per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore attraverso la trasparenza retributiva e i relativi meccanismi di applicazione, in particolare:

    1) attraverso il riconoscimento di un valore economico al lavoro di cura e domestico di modo che, nell'ambito di una considerazione dell'economia quale sistema di riproduzione sociale, esso non si traduca in una valorizzazione di mercato quanto piuttosto una valorizzazione sociale (social provisioning), tale da influenzare alla base la distinzione tra lavoro produttivo e improduttivo, rendendo quindi il lavoro di cura remunerabile e contribuendo a ridurre il differenziale di genere nel mercato del lavoro in termini di retribuzione e benefici;

    2) prevedendo interventi mirati a ridurre il gap pensionistico, attraverso il ripristino, nel prossimo provvedimento utile, della disciplina sull'uscita pensionistica per il tramite della cosiddetta «opzione donna» alle regole vigenti sino al 31 dicembre 2022 e l'adozione di ulteriori misure suscettibili di affrontare in modo più incisivo e risolutivo le condizioni che sono alla base della penalizzazione femminile in campo previdenziale ovverosia la disuguaglianza di genere nel mercato del lavoro, con particolare riguardo ai bassi livelli contributivi e alle interruzioni di contribuzione per maternità e lavoro di cura.
(1-00329) «Quartini, Barzotti, Aiello, Carotenuto, Di Lauro, Marianna Ricciardi, Sportiello, Tucci, Alifano, Amato, Appendino, Ascari, Auriemma, Baldino, Bruno, Cafiero De Raho, Cantone, Cappelletti, Caramiello, Carmina, Caso, Cherchi, Alfonso Colucci, Conte, Sergio Costa, D'Orso, Dell'Olio, Donno, Fede, Fenu, Ferrara, Ilaria Fontana, Giuliano, Gubitosa, Iaria, L'Abbate, Lomuti, Morfino, Orrico, Pavanelli, Pellegrini, Penza, Raffa, Riccardo Ricciardi, Santillo, Scerra, Scutellà, Francesco Silvestri, Torto, Traversi».

(23 settembre 2024)