Camera dei deputati - Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento Giustizia
Titolo: Disposizioni sanzionatorie in materia di distruzione, dispersione, deterioramento, deturpamento, imbrattamento e uso illecito di beni culturali o paesaggistici
Riferimenti: AC N.1297/XIX
Serie: Progetti di legge   Numero: 237
Data: 15/01/2024
Organi della Camera: Assemblea


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Disposizioni sanzionatorie in materia di distruzione, dispersione, deterioramento, deturpamento, imbrattamento e uso illecito di beni culturali o paesaggistici

15 gennaio 2024
Elementi per l'esame in Assemblea


Indice

Quadro normativo|Contenuto del disegno di legge AC 1297|


Il disegno di legge in titolo, di iniziativa governativa, è stato trasmesso alla Camera il 12 luglio 2023, dopo l'approvazione da parte del Senato. L'esame presso la Commissione Giustizia, insieme a quello dell'abbinata C. 789, è iniziato il 7 settembre; nella seduta del 28 settembre il ddl del Governo è stato adottato come testo base. L'esame si è concluso, senza modifiche al testo approvato dal Senato, il 23 settembre con il conferimento del mandato al relatore. 

Quadro normativo

La legge n. 22 del 2022 ha introdotto nel codice penale un nuovo titolo, dedicato ai delitti contro il patrimonio culturale, composto da 17 nuovi articoli, con i quali sono puniti, con pene più severe rispetto a quelle previste per i corrispondenti delitti semplici, il furto, l'appropriazione indebita, la ricettazione, il riciclaggio e l'autoriciclaggio e il danneggiamento che abbiano ad oggetto beni culturali.

In particolare, l'articolo 518-duodecies c.p. disciplina il reato di distruzione, dispersione, deterioramento, deturpamento, imbrattamento e uso illecito di beni culturali o paesaggistici. Il primo comma dell'articolo punisce, con la reclusione da due a cinque anni e con la multa da euro 2.500 a euro 15.000, chiunque distrugge, disperde, deteriora o rende in tutto o in parte inservibili o non fruibili beni culturali o paesaggistici propri o altrui.  La condotta è a forma libera e la sua descrizione riprende la formulazione dell'art. 635 (che punisce il reato di danneggiamento), con l'aggiunta del riferimento alla non fruibilità del bene. L'oggetto materiale del reato comprende l'intero patrimonio culturale, comprensivo dei beni culturali e di quelli paesaggistici. Esso riguarda, inoltre, non solo i beni "altrui", ovvero di proprietà di terzi, ma anche i beni "propri" dell'autore del reato. Il secondo comma dell'articolo 518-duodecies c.p. introduce una fattispecie autonoma e meno grave di danneggiamento, applicabile infatti fuori dei casi previsti al primo comma (stante la espressa clausola di riserva) e punita meno severamente (reclusione da sei mesi a tre anni e multa da euro 1.500 a euro 10.000). La condotta è integrata dal deturpamento o imbrattamento di tali beni, ovvero dalla destinazione dei beni culturali a un uso incompatibile con il loro carattere storico o artistico ovvero pregiudizievole per la loro conservazione o integrità. Tali condotte, a ben vedere, anticipano la tutela penale a un momento antecedente alla vera e propria lesione dell'integrità del bene, configurando un reato di pericolo. L'ultimo comma dell'art. 518- duodecies subordina la concessione della sospensione condizionale della pena al ripristino dello stato dei luoghi o alla eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato ovvero alla prestazione di attività non retribuita a favore della collettività per un tempo non determinato, comunque non superiore alla durata della pena sospesa, secondo le modalità indicate dal giudice nella sentenza di condanna. Trattasi di previsione che subordina la concessione del beneficio all'imposizione di specifici obblighi ripristinatori, secondo una scelta legislativa già adottata per altre fattispecie di reato e, in particolare, per il danneggiamento aggravato (ultimo comma dell'articolo 635 c.p..) e il deturpamento e imbrattamento aggravato (ultimo comma dell'articolo 639 c.p.).

Ai sensi dell'articolo 635 c.p., primo comma, è punito con la pena della reclusione da sei mesi a tre anni, chiunque distrugge, disperde, deteriora o rende, in tutto o in parte, inservibili cose mobili o immobili altrui. Il fatto costitutivo del danneggiamento deve essere accompagnato dalla violenza alla persona o dalla minaccia.

Il secondo comma dell'articolo 635 c.p. punisce con la medesima pena coloro che distruggono, disperdono, deteriorano o rendono, in tutto o in parte, inservibili le seguenti cose altrui:

  •  edifici pubblici o destinati a uso pubblico o all'esercizio di un culto o immobili compresi nel perimetro dei centri storici, ovvero immobili i cui lavori di costruzione, di ristrutturazione, di recupero o di risanamento sono in corso o risultano ultimati o altre delle cose indicate nel numero 7) dell'articolo 625 (si tratta di cose esistenti in uffici o stabilimenti pubblici, o sottoposte a sequestro  o a pignoramento, o esposte per necessità o per consuetudine o per destinazione alla pubblica fede, o destinate a pubblico servizio o a pubblica utilità, difesa o reverenza); 
  • opere destinate all'irrigazione; 
  • piantate di viti, di alberi o arbusti fruttiferi, o boschi, selve o foreste, ovvero vivai forestali destinati al rimboschimento; 
  • attrezzature e impianti sportivi al fine di impedire o interrompere lo svolgimento di manifestazioni sportive.   

Il terzo comma prevede un'ipotesi aggravata della fattispecie che ricorre quando il danneggiamento è commesso in occasione di manifestazioni che si svolgono in luogo pubblico o aperto al pubblico. In tali casi è prevista la pena della reclusione da uno a cinque anni. 

Per i reati di cui ai commi precedenti, la sospensione condizionale della pena è subordinata all'eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato, ovvero, se il condannato non si oppone, alla prestazione di attività non retribuita a favore della collettività per un tempo determinato, comunque non superiore alla durata della pena sospesa, secondo le modalità indicate dal giudice nella sentenza di condanna. 

Nei casi previsti dal primo comma il delitto è punibile a querela della persona offesa. Si procede tuttavia d'ufficio se il fatto è commesso in occasione del delitto previsto dall'articolo 331 (Interruzione di un servizio pubblico o di pubblica necessità) ovvero se la persona offesa è incapace, per età o per infermità.

L'articolo 639 c.p. infine punisce il deturpamento o l'imbrattamento di cose mobili con la multa fino a euro 103. Se il fatto è commesso su beni immobili o su mezzi di trasporto pubblici o privati, si applica la pena della reclusione da uno a sei mesi o della multa da 300 a 1.000 euro. L'interesse protetto dall'articolo 639 c.p. - residuale e di chiusura rispetto al danneggiamento comune per espressa dichiarazione del legislatore, che ha inserito la clausola di sussidiarietà «fuori dai casi preveduti dall'art. 635» - è l'inviolabilità dei beni mobili o immobili estesa al fatto estetico e rilevante anche sotto il profilo patrimoniale. La condotta lesiva consiste nel deturpare, cioè nel rendere la cosa brutta, disarmonica, deforme, ovvero nell'imbrattare, cioè nell'insudiciarla, insozzarla, sporcarla. La condotta deve limitarsi quindi a una semplice alterazione rispettivamente dell'estetica e della nettezza della cosa, facilmente e completamente eliminabile, senza quindi pregiudicare per un tempo giuridicamente apprezzabile utilizzabilità o il pregio della stessa. Qualora il deturpamento o l'imbrattamento incidano sulla funzionalità della cosa, risulterà invece integrata la fattispecie di danneggiamento. La giurisprudenza, ribadita la natura sussidiaria della fattispecie in esame rispetto a quella di danneggiamento, condivide l'assunto secondo il quale non è configurabile il delitto di danneggiamento, ma il delitto di deturpamento e imbrattamento di cose altrui nell'ipotesi in cui il bene sia stato insudiciato, sporcato o insozzato sotto l'aspetto dell'estetica o della nettezza, senza che lo stesso nulla abbia perduto della sua integrità o funzionalità, tanto che un semplice intervento superficiale sia idoneo a ripristinarlo nel suo aspetto e nel suo valore  anche quando la ripulitura abbia richiesto una ritinteggiatura completa e per quanto costoso sia risultato l'intervento di restauro (Si veda per tutte Cass. pen. Sez. V Sentenza n. 38574 del 2014).


Contenuto del disegno di legge AC 1297

Il disegno di legge in esame si compone di quattro articoli.   

Nel dettaglio i commi 1 e 2 dell'articolo 1 puniscono rispettivamente:

  • con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 20.000 a euro 60.000, chiunque distrugge, disperde, deteriora o rende in tutto o in parte inservibili o, ove previsto non fruibili beni culturali o paesaggistici propri o altrui;
  • con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 10.000 a euro 40.000 chiunque deturpa o imbratta beni culturali o paesaggistici propri o altrui, ovvero destina i beni culturali ad un uso pregiudizievole per la loro conservazione o integrità ovvero ad un uso incompatibile con il loro carattere storico o artistico.

Sono fatte salve ("Ferme") le sanzioni penali applicabili a fronte di tali condotte criminose.

Come ricordato nel quadro normativo, le condotte di danneggiamento e distruzione di beni culturali sono punite ai sensi dell'articolo 518-duodecies, comma primo, c.p., con la pena della reclusione da due a cinque anni e con la multa da euro 2.500 a euro 15.000. Il deturpamento o imbrattamento di beni culturali, ovvero la loro destinazione a un uso incompatibile con il loro carattere storico o artistico ovvero pregiudizievole per la loro conservazione o integrità sono puniti, ai sensi dell'articolo 518-duodecies, secondo comma, c.p. con la pena della reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da euro 1.500 a euro 10.000.

Si ricorda che in seguito alla riforma Cartabia (d.lgs. n. 150 del 2022) il giudice, nel pronunciare sentenza di condanna (o di applicazione della pena su richiesta delle parti), può sostituire le pene detentive brevi con sanzioni sostitutive (si veda l'articolo 20-bis c.p. e le disposizioni di cui al Capo III della legge n. 689 del 1981), fra le quali la pena pecuniaria sostitutiva (applicabile dal giudice in caso di condanna alla reclusione o all'arresto non superiori a un anno).

Il disegno di legge governativo sembra introdurre quindi un "doppio binario" sanzionatorio, per il quale per un medesimo fatto è prevista l'applicazione congiunta di sanzioni penali e amministrative, seppur temperato dalla previsione di cui al comma 7 (v. infra). È opportuno rammentare che il concorso tra illecito penale ed illecito amministrativo è esplicitamente supposta dall'art. 9, comma 1, della legge 24 novembre 1981, n. 689, secondo il quale "quando uno stesso fatto è punito da una disposizione penale e da una disposizione che prevede una sanzione amministrativa, ovvero da una pluralità di disposizioni che prevedono sanzioni amministrative, si applica la disposizione speciale". 

Il cumulo sanzionatorio, non sconosciuto all'ordinamento italiano, è stato oggetto nel corso degli anni di un ampio dibattito a livello giurisprudenziale, soprattutto europeo, sul piano del rispetto del principio del ne bis in idem. La locuzione ne bis in idem viene utilizzata, invero, dagli ordinamenti penali nazionali in un duplice significato: da una parte il divieto di doppio processo per lo stesso fatto, e dall'altra il divieto di addebitare più volte, mediante il ricorso a molteplice pena, lo stesso accadimento criminoso all'autore. Il principio in questione è codificato, nell'ordinamento interno, dall'art. 649 c.p.p. A livello europeo, invece, il principio in esame è stato positivizzato: dall'art. 4, p.1, del VII Protocollo addizionale della CEDU; e dall'art. 50 della Carta dei diritti fondamentali dell'UE (dotata della stessa efficacia riconosciuta nell'ordinamento nazionale al TUE e al TFUE). 
Il doppio binario sanzionatorio non sembra incontrare un limite nel principio sancito nel già ricordato art. 649 c.p.p., il quale vieta formalmente il bis in idem solo con riguardo alle sanzioni penali. Tuttavia, la giurisprudenza della Corte EDU, a partire dalla sentenza, Engel c. Paesi Bassi, del 1976 ha elaborato una serie di indici volti a riqualificare la sanzione formalmente amministrativa, secondo il diritto interno, per attribuirle natura sostanzialmente penale. La natura intrinsecamente penale determina l'applicazione delle garanzie convenzionali previste per la materia penale, fra cui il divieto di bis in idem. Con riguardo all'ordinamento italiano, la Corte EDU, inizialmente, con la sentenza resa nel caso Grande Stevens v. Italia del 2014, aveva sancito l'incompatibilità con l'art. 4 del VII Protocollo addizionale della CEDU dei sistemi a doppio binario sanzionatorio, in presenza dell'idem factum e nel caso in cui la sanzione formalmente amministrativa fosse da considerarsi avente natura penale.
In seguito, con la sentenza A e B c. Norvegia del 2016, la Corte di Strasburgo ha mutato il proprio orientamento, ritenendo il ne bis in idem compatibile con i sistemi a doppio binario sanzionatorio, penale e amministrativo (ma sostanzialmente penale), in presenza di una connessione sostanziale e temporale sufficientemente stretta tra i due procedimenti.
In altri termini, premessa la verifica dell' idem factum e della natura penale della sanzione formalmente amministrativa, si ha la predetta connessione qualora:
  • i due procedimenti perseguano obiettivi complementari relativi al medesimo interesse protetto;
  • la doppia risposta sanzionatoria risulti prevedibile per l'agente;
  • i due procedimenti siano connessi, evitando duplicazioni nella raccolta/valutazione delle prove, nonché assicurando interazione tra le autorità procedenti;
  • sia assicurata la proporzionalità complessiva delle sanzioni irrogate, per scongiurarne un'eccessiva severità; 
  • i due procedimenti, per quanto non consequenziali, non lascino il soggetto in un perdurante stato di incertezza processuale, protraendo eccessivamente i tempi di definizione.
A livello eurounitario, la Corte di Giustizia dell'UE è intervenuta nel 2018 con tre pronunce (le sentenze Menci, Garlsson Real Estate e altri, Di Puma e Zecca), accogliendo il nuovo approccio ermeneutico della Corte EDU e confermando la tenuta del sistema di duplicazione sanzionatoria in particolare in materia tributaria e di abusi di mercato. La Corte di Lussemburgo, pur non negando che il cumulo di procedimenti e sanzioni costituisca un limite al principio del ne bis in idem, conclude che il doppio binario sanzionatorio è conforme all'art. 50 CDFUE, a condizione che la normativa nazionale rispetti determinati criteri, ampiamente ripresi dalla pronuncia A. e B. c. Norvegia (con particolare attenzione alla proporzionalità complessiva delle sanzioni). Secondo la Corte UE, in caso di condanna penale, qualora la stessa sia già idonea a reprimere il reato in maniera efficace e proporzionata, non è consentito irrogare anche la sanzione amministrativa.
Con riguardo alla giurisprudenza nazionale, la Corte di Cassazione nella sentenza Chiarion Casoni (Cass. pen., Sez. V, 31.10.18, n. 49869) ha affermato che la verifica della proporzionalità delle sanzioni, vero criterio cardine del n e bis in idem, impone la disapplicazione delle norme relative al trattamento sanzionatorio dell'illecito oggetto del secondo procedimento, in toto (se la prima sanzione assorbe interamente il disvalore del fatto) o (più frequentemente) derogando in mitius al minimo edittale, sempre nel rispetto, sul fronte penale, del limite insuperabile dell'art. 23 c.p. In una successiva decisione (Cass. pen., Sez. V, 5.02.19, n. 5679) la Corte ha precisato come tale valutazione debba operare in concreto, valorizzando pertanto anche eventuali sconti di pena conseguenti all'accesso ai riti premiali.  
Si ricorda da ultimo la Sentenza n. 149 del 2022 nella quale la Corte costituzionale – dichiarando l'illegittimità costituzionale dell'art. 649 c.p.p., nella parte in cui non prevede che il giudice pronunci sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere nei confronti di un imputato per uno dei delitti previsti dall'art. 171-ter della legge 22 aprile 1941, n. 633 (Protezione del diritto d'autore e di altri diritti connessi al suo esercizio), che, in relazione al medesimo fatto, sia già stato sottoposto a procedimento, definitivamente conclusosi, per l'illecito amministrativo di cui all'art. 174-bis della medesima legge – ha rivolto un espresso monito al legislatore sollecitandolo a "rimodulare la disciplina in esame in modo da assicurare un adeguato coordinamento tra le sue previsioni procedimentali e sanzionatorie, nel quadro di un'auspicabile rimeditazione complessiva dei vigenti sistemi di doppio binario sanzionatorio alla luce dei principi enunciati dalla Corte EDU, dalla Corte di giustizia e da questa stessa Corte".

Il comma 3 prevede che l'organo competente a ricevere il rapporto con il quale viene accertata la violazione e irrogare le introducende sanzioni amministrative è il prefetto del luogo in cui è stata commessa la violazione. La disposizione inoltre precisa che il verbale contenente l'accertamento e la contestazione delle violazioni debba essere notificato al trasgressore entro 120 giorni dal giorno in cui il fatto è commesso.

Entro 30 giorni dalla notifica del verbale di accertamento, il trasgressore è ammesso al pagamento della sanzione in misura ridotta. L'applicazione della sanzione in misura ridotta non è ammessa qualora il destinatario del provvedimento sanzionatorio si sia già avvalso, nei cinque anni precedenti, della stessa facoltà (comma 5). Ai sensi del comma 6 per tutto quanto non espressamente indicato è applicabile la legge 24 novembre 1981, n. 689.

In base alla legge n. 689 del 1981 (Modifiche al sistema penale), l'applicazione della sanzione amministrativa pecuniaria avviene secondo il seguente procedimento:
  • accertamento, contestazione-notifica al trasgressore;
  • pagamento in misura ridotta o inoltro di memoria difensiva all'autorità amministrativa: archiviazione o emanazione di ordinanza ingiunzione di pagamento da parte dell'autorità amministrativa;
  • eventuale opposizione all'ordinanza ingiunzione davanti all'autorità giudiziaria (giudice di pace o tribunale);
  • accoglimento dell'opposizione, anche parziale, o rigetto (sentenza ricorribile per cassazione);
  • eventuale esecuzione forzata per la riscossione delle somme.
Dal punto di vista procedimentale, occorre innanzitutto che essa sia accertata dagli organi di controllo competenti o dalla polizia giudiziaria (art. 13). 
La violazione deve essere immediatamente contestata o comunque notificata al trasgressore entro 90 giorni (art. 14); entro i successivi 60 giorni l'autore può conciliare pagando una somma ridotta pari alla terza parte del massimo previsto o pari al doppio del minimo (cd. oblazione o pagamento in misura ridotta, art. 16). In caso contrario, egli può, entro 30 giorni, presentare scritti difensivi all'autorità competente; quest'ultima, dopo aver esaminato i documenti e le eventuali memorie presentate, se ritiene sussistere la violazione contestata determina l'ammontare della sanzione con ordinanza motivata e ne ingiunge il pagamento (cd. ordinanza-ingiunzione, art. 18).
Entro 30 giorni dalla sua notificazione l'interessato può presentare opposizione all'ordinanza ingiunzione (che, salvo eccezioni, non sospende il pagamento), inoltrando ricorso all'autorità giudiziaria competente (artt. 22, 22- bis). In base all'art. 6 del decreto-legislativo 150/2011, l'autorità giudiziaria competente sulla citata opposizione è il giudice di pace a meno che, per il valore della controversia (sanzione pecuniaria superiore nel massimo a 15.493 euro) o per la materia trattata (tutela del lavoro, igiene sui luoghi di lavoro e prevenzione degli infortuni sul lavoro; previdenza e assistenza obbligatoria; tutela dell'ambiente dall'inquinamento, della flora, della fauna e delle aree protette; igiene degli alimenti e delle bevande; materia valutaria; antiriciclaggio), non sussista la competenza del tribunale. L'esecuzione dell'ingiunzione non viene sospesa e il giudizio che con esso si instaura si può concludere o con un'ordinanza di convalida del provvedimento o con sentenza di annullamento o modifica del provvedimento. Il giudice ha piena facoltà sull'atto, potendo o annullarlo o modificarlo, sia per vizi di legittimità che di merito. In caso di condizioni economiche disagiate del trasgressore, l'autorità che ha applicato la sanzione può concedere la rateazione del pagamento (art. 26) Decorso il termine fissato dall'ordinanza ingiunzione, in assenza del pagamento, l'autorità che ha emesso il provvedimento procede alla riscossione delle somme dovute con esecuzione forzata in base alle norme previste per l'esazione delle imposte dirette (art. 27). Il termine di prescrizione delle sanzioni amministrative pecuniarie è di 5 anni dal giorno della commessa violazione (art. 28).

I proventi di tali sanzioni amministrative pecuniarie sono versati – secondo quanto precisato dal comma 4 - ad apposito capitolo del bilancio dello Stato per essere successivamente riassegnati al Ministero della cultura affinché siano impiegati prioritariamente per il ripristino dei beni. L'individuazione delle modalità di destinazione e di gestione dei proventi delle sanzioni amministrative è rimessa ad un successivo decreto del Ministro dell'economia e delle finanze da adottarsi di concerto con il Ministro della cultura.

Il comma 7 specifica che nel caso in cui per lo stesso fatto è stata applicata, a carico del reo o dell'autore della violazione, la sanzione amministrativa pecuniaria ovvero una sanzione penale: 

  • l'autorità giudiziaria e l'autorità amministrativa tengono conto, al momento dell'irrogazione delle sanzioni di propria competenza, delle misure punitive già irrogate; 
  • l'esazione della pena pecuniaria ovvero della sanzione pecuniaria amministrativa è limitata alla parte eccedente quella riscossa, rispettivamente, dall'autorità amministrativa ovvero da quella giudiziaria.

La previsione di cui al comma 7, come evidenzia la relazione illustrativa, «prevede un coordinamento nei casi di applicazione concorrente di sanzioni penali e amministrative, tenuto conto della giurisprudenza in materia di divieto del "ne bis in idem"». La formulazione del comma ricalca, come sottolinea sempre la relazione, quella dell'articolo 187-terdecies ("Applicazione ed esecuzione delle sanzioni penali ed amministrative") del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 recante "Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, ai sensi degli articoli 8 e 21 della legge 6 febbraio 1996, n. 52" (c.d. Testo unico finanza).

Si tratta quindi di una previsione finalizzata a mitigare e temperare il rigore afflittivo riveniente dal cumulo sanzionatorio, imponendo all'autorità (giudiziaria o amministrativa) che si pronuncia per seconda, di tenere conto al momento dell'irrogazione delle sanzioni di propria competenza, delle misure punitive già irrogate. In connessione alla definitività di una delle sanzioni applicabili, la disposizione affida ora al giudice (penale, ma anche della opposizione) ora all'autorità amministrativa il compito di verificare, in concreto, la proporzionalità della complessiva risposta sanzionatoria. Tale verifica si appunterà sulla disamina dell'idoneità della sanzione già irrogata ad esaurire le finalità preventive e repressive alle quali resta preordinata la legislazione sanzionatoria in materia di tutela dei beni culturali e sulla conseguente identificazione della misura di un'eventuale esigenza punitiva residua. Il controllo circa il carattere proporzionato del complesso delle sanzioni irrogate dovrebbe imporre (sulla scia della giurisprudenza in materia di doppio binario in tema di abusi di mercato), la compensazione anche tra sanzioni eterogenee (pecuniarie e detentive), ma non anche tra quelle accessorie (che continuano a sommarsi per intero), e può condurre, a certe condizioni, alla disapplicazione della legge che deve essere attuata per ultima (Cass. Civ., n. 39999/2019), nei casi in cui la sanzione già irrogata assorba ed esaurisca, in sé, le esigenze repressive e la piena tutela degli interessi protetti.

Il comma 8 reca infine la clausola di invarianza finanziaria.

L'articolo 2 modifica l'art. 518-duodecies c.p. al fine di circoscrivere la fattispecie (Distruzione, dispersione, deterioramento, deturpamento, imbrattamento e uso illecito di beni culturali o paesaggistici, vedi sopra "Quadro normativo"), nella parte in cui punisce la condotta di chi rende il bene non fruibile, all'ipotesi in cui la fruibilità sia prevista (analogamente a quanto previsto dall'art. 1, comma 1, della proposta in commento).

L'articolo 3 modifica il terzo comma dell'articolo 635 del codice penale, prevedendo per la fattispecie prevista dal medesimo comma (danneggiamento in occasione di manifestazioni che si svolgono in luogo pubblico o aperto al pubblico, vedi sopra "Quadro normativo") anche con la pena pecuniaria della multa fino a 10 mila euro, in aggiunta alla già prevista pena della reclusione da uno a cinque anni.

L'articolo 4 infine modifica l'articolo 639 del codice penale (vedi quadro normativo): 

  • elevando "fino a euro 309" la multa comminabile ai sensi del primo comma; 
  • introducendo una fattispecie aggravata (sanzionata con pene raddoppiate) a carico di chi, al di fuori dei casi previsti dall'art. 635, deturpa o imbratta cose mobili o immobili altrui in occasione di manifestazioni che si svolgono in luogo pubblico o aperto al pubblico;
  • prevedendo specifiche sanzioni – reclusione da 1 a 6 mesi o multa da 300 a 1.000 euro – per coloro che deturpano o imbrattano teche, custodie e altre strutture adibite alla esposizione, protezione e conservazione di beni culturali esposti in musei, pinacoteche, gallerie e altri luoghi espositivi dello Stato, delle regioni, degli altri enti pubblici territoriali, nonché di ogni altro ente e istituto pubblico.