Camera dei deputati - Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento Giustizia
Titolo: Disposizioni in materia di sicurezza pubblica, di tutela del personale in servizio, nonché di vittime dell'usura e di ordinamento penitenziario
Riferimenti: AC N.1660/XIX
Serie: Progetti di legge   Numero: 258/2
Data: 30/09/2024
Organi della Camera: II Giustizia, I Affari costituzionali

30 settembre 2024

 

 

 

Disposizioni in materia di sicurezza pubblica, di tutela del personale in servizio, nonché di vittime dell’usura e di ordinamento penitenziario

 

 

 

A.S. n. 1236

 

 

 

 

 

 

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Dossier n. 240/2

 

 

 

 

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Progetti di legge n. 258/2

 

 

 

 

 

 

 

 

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I N D I C E

 

 

Articolo 1 (Modifiche al codice penale in materia di delitti con finalità di terrorismo e contro l’incolumità pubblica) 5

Articolo 2 (Prescrizioni in materia di contratto di noleggio di autoveicoli per finalità di prevenzione del terrorismo). 9

Articolo 3 (Documentazione antimafia). 11

Articolo 4 (Modifiche all'articolo 3 del codice delle leggi antimafia e delle misure  di prevenzione, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, in materia di avviso orale). 19

Articolo 5 (Benefici per i superstiti delle vittime della criminalità organizzata). 23

Articolo 6 (Identità di copertura a protezione di collaboratori e testimoni di giustizia)  25

Articolo 7 (Disposizioni in materia di impugnazione avverso le misure di prevenzione personali e di amministrazione di beni sequestrati e confiscati). 32

Articolo 8 (Armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alla messa a disposizione sul mercato di articoli pirotecnici) 48

Articolo 9 (Revoca della cittadinanza) 52

Articolo 10 (Occupazione arbitraria di immobile destinato a domicilio altrui). 55

Articolo 11 (Modifiche al codice penale in materia di circostanze aggravanti comuni e di truffa) 59

Articolo 12 (Modifica all’art. 635 c.p. in materia di danneggiamento in occasione di manifestazioni). 64

Articolo 13 (Divieto di accesso alle aree di infrastrutture e pertinenze del trasporto pubblico, di sospensione condizionale della pena e in materia di flagranza differita). 66

Articolo 14 (Blocco stradale). 72

Articolo 15 (Esecuzione penale nei confronti di detenute madri). 74

Articolo 16 (Impiego di minori nell'accattonaggio. Organizzazione e favoreggiamento dell'accattonaggio. Induzione e costrizione all'accattonaggio). 80

Articolo 17 (Assunzioni di polizia locale presso le città metropolitane della Regione siciliana)  83

Articolo 18 (Disposizioni in materia di coltivazione e filiera agroindustriale  della canapa)  86

Articolo 19 (Violenza o minaccia e resistenza a pubblico ufficiale). 94

Articolo 20 (Lesioni personali a un ufficiale o agente di polizia giudiziaria o di pubblica sicurezza nell’atto o a causa dell’adempimento delle sue funzioni). 98

Articolo 21 (Dotazione di videocamere alle Forze di polizia). 100

Articolo 22 (Disposizioni in materia di tutela legale per il personale  delle Forze di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco). 105

Articolo 23 (Disposizioni in materia di tutela legale per il personale  delle Forze armate)  108

Articolo 24 (Tutela dei beni mobili e immobili  adibiti all’esercizio di funzioni pubbliche)  110

Articolo 25 (Inosservanza delle prescrizioni impartite dal personale che svolge servizi di polizia stradale). 113

Articolo 26 (Rafforzamento della sicurezza negli istituti penitenziari) 114

Articolo 27 (Sicurezza delle strutture di trattenimento e accoglienza per i migranti, nonché semplificazione delle procedure per la loro realizzazione). 116

Articolo 28 (Licenza, detenzione e porto di armi per gli agenti di pubblica sicurezza non in servizio). 118

Articolo 29 (Tutela delle funzioni istituzionali del Corpo della guardia di finanza svolte in mare e modifiche agli articoli 1099 e 1100 del codice della navigazione) 120

Articolo 30 (Tutela del personale delle Forze armate che partecipa a missioni internazionali)  123

Articolo 31 (Potenziamento dell’attività di informazione per la sicurezza). 125

Articolo 32 (Disposizioni in materia di forniture di servizi di telefonia mobile). 133

Articolo 33 (Sostegno agli operatori economici vittime dell’usura). 138

Articolo 34 (Concessione di benefici ai detenuti). 141

Articolo 35 (Attività lavorativa dei detenuti). 143

Articolo 36 (Apprendistato professionalizzate per i detenuti). 144

Articolo 37 (Organizzazione del lavoro dei detenuti). 148

Articolo 38 (Clausola di invarianza finanziaria) 151

 


Articolo 1
(Modifiche al codice penale in materia di delitti con finalità di terrorismo e contro l’incolumità pubblica)

 

 

L’articolo 1 modifica il codice penale introducendo nuove fattispecie di reato in materia di detenzione di materiale contenente istruzioni per il compimento di atti di terrorismo e di divulgazione di istruzioni sulla preparazione e l’uso di sostanze esplosive o tossiche ai fini del compimento di delitti contro la personalità dello Stato.

 

In particolare, il comma 1, lett. a) introduce nel codice penale l’art.270.quinquies.3 volto a prevedere il delitto di “Detenzione di materiale con finalità di terrorismo”, in base al quale è punito con la reclusione da 2 a 6 anni chiunque - al di fuori dei casi di associazione con finalità di terrorismo e di addestramento ad attività con finalità di terrorismo di cui ai citati artt. 270-bis e 270-quinquies c.p. - consapevolmente si procura o detiene materiale contenente istruzioni sulla preparazione o sull’uso di congegni bellici micidiali di cui all’art. 1, primo comma, della legge n. 110 del 1975, di armi da fuoco o di altre armi, di sostanze chimiche, batteriologiche nocive o pericolose, nonché su ogni altra tecnica o metodo per il compimento di atti di violenza ovvero di sabotaggio di servizi pubblici essenziali, con finalità di terrorismo, anche se rivolti contro uno Stato estero, un’istituzione o un organismo internazionale.

 

Preliminarmente, si ricorda che l’art. 270.quinquies.3 in commento viene a collocarsi nel libro II, titolo I (Dei delitti contro la personalità dello Stato), capo I (Dei delitti contro la personalità internazionale dello Stato) del codice penale.

Gli artt. 270-bis e 270-quinquies c.p., richiamati dalla disposizione in commento, concernono rispettivamente i delitti di associazione con finalità di terrorismo anche internazionale o di eversione dell’ordine democratico e di addestramento ad attività con finalità di terrorismo anche internazionale.

In particolare, l’art. 270-bis punisce con la reclusione da 7 a 15 anni chiunque costituisce, organizza, dirige o finanzia associazioni che si propongono il compimento di atti di violenza con finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine democratico (primo comma).

La mera partecipazione all’associazione è punita con la reclusione da 5 a 10 anni (secondo comma).

L’attività di terrorismo ricorre anche quando gli atti di violenza sono rivolti contro uno Stato estero, un’istituzione e un organismo internazionale (terzo comma).

Si prevede nei confronti del condannato la confisca obbligatoria delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato o che costituiscono il prezzo, il profitto, il prodotto o il reimpiego (quarto comma).

 

L’art. 270-quinquies, primo comma, punisce con la reclusione da 5 a 10 anni chiunque, al di fuori dei casi previsti dall’art. 270-bis, addestra o comunque fornisce istruzioni sulla preparazione o sull’uso di materiali esplosivi, armi, sostanze chimiche o batteriologiche, nonché di ogni altra tecnica o metodo per il compimento di atti di violenza o di sabotaggio dei servizi pubblici essenziali con finalità di terrorismo, anche se rivolti contro uno Stato estero, un’istituzione o un organismo internazionale. La stessa pena si applica nei confronti della persona addestrata o di chi, avendo acquisito autonomamente le predette istruzioni, pone in essere univocamente condotte finalizzate alla commissione delle condotte con finalità di terrorismo di cui all’art. 270-sexies.

Il secondo comma dell’art. 270-quinquies prevede una circostanza aggravante (aumento della pena fino a un terzo) se l’addestramento è impartito attraverso strumenti informatici o telematici.

 

Si segnala, infine, che l’art. 270-sexies definisce con finalità di terrorismo le condotte che, per la loro natura o il contesto, possono arrecare grave danno a uno Stato o a un’organizzazione internazionale e sono commesse allo scopo di

Ø  intimidire la popolazione;

Ø  condizionare l’attività dei pubblici poteri o di un’organizzazione internazionale;

Ø  destabilizzare o distruggere le strutture politiche fondamentali, costituzionali, economiche o sociali di un Paese o di un’organizzazione internazionale.

Sono altresì considerate con finalità di terrorismo le condotte definite tali da convenzioni internazionali o altre norme di diritto internazionale vincolanti per l’Italia.

Sulle convenzioni internazionali in materia di terrorismo si veda il relativo dossier di documentazione.

 

Si ricorda, inoltre, che ai sensi dell’art. 1, primo comma, della legge 110/1975 agli effetti delle leggi penali, di quelle di pubblica sicurezza e delle altre disposizioni legislative o regolamentari in materia sono armi da guerra le armi di ogni specie che, per la loro spiccata potenzialità di offesa, sono o possono essere destinate al moderno armamento delle truppe nazionali o estere per l'impiego bellico, nonché le bombe di qualsiasi tipo o parti di esse, gli aggressivi chimici, biologici, radioattivi, i congegni bellici micidiali di qualunque natura, le bottiglie o gli involucri esplosivi o incendiari.

 

Secondo quanto affermato nella relazione illustrativa “nella prassi operativa, infatti, l’ipotesi della detenzione di materiale informativo concernente l’implementazione di metodi e l’approntamento e l’utilizzo di strumenti terroristici non è agevolmente riconducibile alle fattispecie di cui agli articoli 302 o 414 del codice penale, relativi all’apologia o all’istigazione di reati con finalità di terrorismo, o all’articolo 270-quinquies, nella parte in cui punisce l’auto-addestramento ad attività terroristiche”.

 

Il medesimo comma 1 alla lett. b), invece, modifica l’articolo 435 c.p., aggiungendovi un secondo comma, al fine di introdurre un’ulteriore fattispecie del delitto di “Fabbricazione o detenzione di materie esplodenti”.

 

L’art. 435 c.p. - collocato nel libro II, titolo VI (“Dei delitti contro l’incolumità pubblica”), capo I (“Dei delitti di comune pericolo mediante violenza”) del codice – punisce con la reclusione da 1 a 5 anni chiunque, al fine di attentare alla pubblica incolumità, fabbrica, acquista o detiene materia esplodenti, asfissianti, accecanti, tossiche o infiammabili ovvero sostanza che servono alla loro composizione o fabbricazione.

 

La disposizione in commento inserisce nell’art. 435 c.p. un secondo comma ai sensi del quale, fuori dei casi di concorso, è punito con la reclusione da 6 mesi a 4 anni chiunque con qualsiasi mezzo, anche per via telematica, distribuisce, divulga, diffonde o pubblicizza materiale contenente istruzioni sulla preparazione o sull’uso delle materie o sostanze indicate al primo comma (v. supra), nonché su ogni altra tecnica o metodo per il compimento di delitti non colposi contro la personalità dello Stato di cui al libro II, titolo I, c.p. puniti con la reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni.

 

I delitti contro la personalità dello Stato di cui al libro II, titolo I, c.p. puniti con la reclusione non inferiore nel massimo a 5 anni sono:

·         attentati contro l’integrità, l’indipendenza e l’unità dello Stato (art. 241);

·         cittadino che porta le armi contro lo Stato italiano (art. 242);

·         intelligenza con lo straniero a scopo di guerra contro lo Stato italiano (art. 243);

·         atti ostili verso uno Stato estero che espongono lo Stato italiano al rischio di guerra (art. 244);

·         intelligenza con lo straniero per impegnare lo Stato italiano alla neutralità o alla guerra (art. 245);

·         corruzione del cittadino da parte dello straniero (art. 246);

·         favoreggiamento bellico mediante intelligenza col nemico in tempo di guerra (art. 247);

·         somministrazione al nemico di provvigioni (art. 248),

·         partecipazione a prestiti a favore del nemico (art. 249);

·         commercio col nemico (art. 250);

·         inadempimento di contratti di forniture in tempo di guerra (art. 250);

·         frode in forniture in tempo di guerra (art. 252);

·         distruzione o sabotaggio di opere militari (art. 253);

·         soppressione, falsificazione o sottrazione di atti o documenti concernenti la sicurezza dello Stato (art. 255);

·         spionaggio politico o militare (artt. 257);

·         spionaggio di notizie di cui sia stata vietata la divulgazione (art. 258);

·         introduzione clandestina in luoghi militari e possesso ingiustificato di strumenti di spionaggio (art. 260);

·         rivelazione di segreti di Stato (art. 261);

·         utilizzazione di segreti di Stato (art. 263);

·         infedeltà in affari di Stato (art. 264);

·         disfattismo politico in tempo di guerra (art. 265);

·         istigazione pubblica di militari a disobbedire alle leggi (art. 266, secondo comma);

·         disfattismo economico in tempo di guerra (art. 267);

·         associazione sovversiva (art. 270);

·         associazione con finalità di terrorismo o di eversione (art. 270-bis);

·         arruolamento con finalità di terrorismo (art. 270-quater);

·         organizzazione di trasferimenti per finalità di terrorismo (art. 270-quater.1);

·         addestramento ad attività con finalità di terrorismo (art. 270-quinquies);

·         finanziamento di condotte con finalità di terrorismo (art. 270-quinquies.1 e 270-quinquies.2);

·         attentato contro il Presidente della Repubblica (art. 276)[1];

·         offesa alla libertà del Presidente della Repubblica (art. 277);

·         offesa all’onore o al prestigio del Presidente della Repubblica (art. 278),

·         attentato per finalità terroristiche o di eversione (art. 280);

·         atti di terrorismo con ordigni micidiali o esplosivi (art. 280-bis);

·         atti di terrorismo nucleare (art. 280-ter);

·         attentato contro la Costituzione (art. 283);

·         insurrezione armata contro i poteri dello Stato (art. 284);

·         devastazione, saccheggio e strage (art. 285);

·         guerra civile (art. 286);

·         usurpazione di potere politico e militare (art. 287);

·         arruolamenti o armamenti non autorizzati a favore di uno Stato estero (art. 288);

·         attentato contro organi costituzionali o assemblee regionali (art. 289);

·         sequestro di persona a scopo di terrorismo o di eversione (art. 289-bis);

·         sequestro di persona a scopo di coazione (art. 289-ter);

·         attentato contro i diritti politici del cittadino (art. 294);

·         attentato contro i Capi di Stati esteri (art. 295);

·         offesa alla libertà dei Capi di Stati esteri (art. 296);

·         cospirazione politica mediante associazione (art. 305);

·         banda armata (art. 306).

 

 

 

 


Articolo 2
(Prescrizioni in materia di contratto di noleggio di autoveicoli per finalità di prevenzione del terrorismo)

 

 

L’articolo 2, modificato nel corso dell’esame alla Camera, modifica l’articolo 17 del decreto-legge n. 113 del 2018, in materia di prescrizioni penali in caso di violazioni delle norme per il noleggio di autoveicoli per la finalità di prevenzione del terrorismo.

 

Il primo e unico comma dell’articolo in esame prevede delle modifiche testuali all’articolo 17 del decreto-legge 113/2018, al fine di colmare alcune lacune interpretative.

 

Con l’articolo 17 del decreto-legge 4 ottobre 2018, n. 113, al fine di far fronte alle crescenti esigenze di prevenzione del terrorismo, è stata prevista la comunicazione, da parte degli esercenti dell’attività di autonoleggio, dei dati identificativi del soggetto richiedente il servizio per il successivo raffronto effettuato dal Centro elaborazione dati di cui all’articolo 8 della legge 1° aprile 1981, n. 121.

Per consentire la comunicazione dei dati identificativi del soggetto che richiede il noleggio di un autoveicolo è stata istituita la piattaforma informatica denominata «CaRGOS». Tale previsione mira a perfezionare il sistema di prevenzione antiterrorismo, tenuto conto dell’esperienza maturata a seguito degli attacchi verificatisi negli scorsi anni in varie città europee, che hanno evidenziato come una delle tattiche preferite dai gruppi o anche dai cosiddetti «lupi solitari» sia quella di utilizzare veicoli per colpire indiscriminatamente pedoni in luoghi affollati. La disposizione prevede, altresì, che la summenzionata comunicazione sia contestuale alla stipula del contratto di noleggio e avvenga, comunque, con un congruo anticipo rispetto alla consegna del veicolo, senza prevedere, tuttavia, una sanzione in caso di omissione della comunicazione stessa.

 

 

La lettera a) del comma 1 prevede quanto segue:

§  al primo comma dell’articolo 17 del D.L. 113/2018 è introdotto il riferimento all’articolo 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale. In questo senso, le prescrizioni legislative non sono semplicemente volte a prevenire gli eventi terroristici, ma anche i reati di cui al predetto articolo del codice di procedura penale. Attraverso una modifica apportata nel corso dell’esame alla Camera è stato inoltre previsto che la comunicazione debba contenere anche i dati identificativi del veicolo (quali targa e numero di telaio) nonché gli intervenuti mutamenti della proprietà e gli eventuali contratti di subnoleggio (numero 1);

§  al primo comma dell’articolo 17 del D.L. 113/2018, dopo il terzo periodo, viene introdotta una nuova fattispecie di reato, in particolar modo una contravvenzione per chi viola le disposizioni di legge di cui in oggetto, con punizione prevista di arresto fino a tre mesi o ammenda fino a euro 206 (numero 2).

 

La lettera b) prevede la ridenominazione della rubrica del medesimo articolo 17 in “Prescrizioni in materia di contratto di noleggio di autoveicoli per la prevenzione di reati di particolare gravità”.

 


Articolo 3
(Documentazione antimafia)

 

 

L’articolo 3, modificato nel corso dell’esame alla Camera, reca alcune modifiche al codice antimafia in materia di documentazione antimafia riferita ai contratti di rete e di non applicabilità da parte del prefetto dei divieti di contrattare e di ottenere concessioni o erogazioni qualora dall’applicazione di tali divieti derivi il venir meno dei mezzi di sostentamento per l’interessato e la sua famiglia.

 

In particolare, l’articolo in commento introduce alcune modifiche alle disposizioni in materia di documentazione antimafia contenute del D.Lgs. 159/2011 (codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione).

 

La documentazione antimafia è disciplinata dal Libro II (artt. 82-101) del citato D.Lgs. 159/2011.

Ai sensi dell’art. 83, comma 1, le amministrazioni e gli enti pubblici, gli enti e le aziende vigilati dallo Stato o da altro ente pubblico, le società e le imprese comunque controllate dallo Stato o da altro ente pubblico nonché i concessionari di lavori o sevizi pubblici, prima di stipulare, approvare o autorizzare i contratti e subcontratti relativi a lavori, servizi o forniture pubblici, ovvero prima di rilasciare o consentire i provvedimenti di cui all’art. 67 del codice medesimo (quali concessioni di servizi pubblici o beni demaniali, iscrizioni negli elenchi di appaltatori o fornitori, licenze in materia di armi ed esplosivi) devono acquisire la documentazione antimafia.

Ai sensi dell’art. 84 la documentazione antimafia è costituita dalla comunicazione antimafia e dall’informazione antimafia.

La comunicazione antimafia consiste nell’attestazione della sussistenza o meno di una causa di decadenza, sospensione o divieto di cui all’art. 67 (vale a dire, l’applicazione di misure di prevenzione). Essa può essere sostituita dall’autocertificazione nei casi indicati dall’art. 89 (contratti relativi a lavori, servizi o forniture dichiarati urgenti; provvedimenti di rinnovo; attività private che possono essere intraprese previa segnalazione di inizio attività o sottoposte alla disciplina del silenzio-assenso).

L’informazione antimafia consiste nell’attestazione della sussistenza o meno di una causa di decadenza, sospensione o divieto di cui all’art. 67 nonché nell’attestazione della sussistenza o meno di tentativi di infiltrazione mafiosa (desumibili anche da provvedimenti di condanna non definitivi).

L’informazione antimafia è richiesta per contratti o provvedimenti di valore: pari o superiore a quello determinato dalla legge in attuazione delle direttive comunitarie in materia di opere e lavori pubblici, servizi pubblici e pubbliche forniture, indipendentemente dai casi di esclusione ivi indicati; superiore a 150 mila euro per la concessione di acque pubbliche o beni demaniali o contributi, finanziamenti o agevolazioni; superiore a 150 mila euro per subcontratti, cessioni o cottimi.

Ai sensi dell’art. 85 la documentazione antimafia deve riferirsi al titolare e al direttore tecnico, nel caso di imprese individuali, al legale rappresentante delle associazioni di imprese e al legale rappresentante, agli amministratori, al socio unico o (nel caso di numero di soci pari o inferiori a quattro) al socio di maggioranza delle società di capitali, a tutti i soci delle società semplici, ai soci accomandatari delle società in accomandita semplice, ai soci persone fisiche delle società personali o di capitali socie di società personali.

La documentazione antimafia è acquisita mediante consultazione della banca dati nazionale unica istituita presso il Ministero dell’interno ai sensi dell’art. 96. La banca dati, ai sensi dell’art. 97, può essere consultata dai soggetti indicati nell’art. 83, comma 1 (v. supra), dalle camere di commercio, dagli ordini professionali, dall’Autorità di vigilanza sui contratti pubblici.

Gli artt. 88 e 92 prevedono che il rilascio rispettivamente della comunicazione e delle informazioni antimafia liberatorie sia immediatamente conseguente alla consultazione della banca dati nazionale unica da parte dei soggetti autorizzati qualora non emerga la sussistenza di cause ostative. Qualora viceversa emergano cause ostative o il soggetto non sia censito, il prefetto procede alle conseguenti verifiche entro trenta giorni dalla consultazione (il termine, nel caso delle informazioni antimafia, è prorogabile di quarantacinque giorni mediante comunicazione del prefetto alle amministrazioni interessate).

Decorso il termine (o anche, in caso di urgenza, immediatamente, per quanto concerne le informazioni antimafia), le amministrazioni procedono in assenza della comunicazione o delle informazioni: in tal caso, i contributi, agevolazioni o erogazioni sono corrisposti sotto condizione risolutiva e le amministrazioni revocano le autorizzazioni e le concessioni e recedono dai contratti, fatto salvo il pagamento delle opere già eseguite e il rimborso delle spese sostenute, nei limiti delle utilità conseguite.

Ai sensi dell’art. 94, comma 1, qualora emerga la sussistenza di cause di decadenza, di sospensione o di divieto o di un tentativo di infiltrazione mafiosa nelle società o imprese interessate i soggetti cui sono fornite le informazioni antimafia non possono stipulare, approvare o autorizzare i contratti o subcontratti, né autorizzare, rilasciare o comunque consentire le concessioni e le erogazioni.

L’art. 94-bis prevede che il prefetto, qualora accerti che i tentativi di infiltrazione mafiosa sono riconducibili a situazioni di agevolazione occasionale, prescrive all'impresa con provvedimento motivato, l'osservanza, per un periodo non inferiore a sei mesi e non superiore a dodici mesi, misure amministrative di prevenzione collaborativa (adozione di misure organizzative volte a rimuovere e prevenire le cause di agevolazione occasionale; obbligo di comunicazione di determinati atti od operazioni; utilizzo di un conto corrente dedicato).

La comunicazione e l’informazione antimafia possono essere sostituite (e devono obbligatoriamente esserlo nel caso di attività a rischio di infiltrazione mafiosa) dall’iscrizione nella cd. “white list” istituita presso ciascuna prefettura.

L’art. 1, comma 52, della L. 190/2012 prevede che per le attività maggiormente esposte al rischio di infiltrazione mafiosa la comunicazione e l’informazione antimafia da acquisire indipendentemente dalle soglie stabilite dal codice antimafia sia acquisita obbligatoriamente mediante la consultazione di un apposito elenco di operatori economici non soggetti a tentativi di infiltrazione mafiosa istituito presso ciascuna prefettura (white list). L’iscrizione nella white list tiene luogo della comunicazione e dell’informazione antimafia anche per attività diverse da quelle per cui essa è prevista.

Ai sensi del comma 53 sono considerate a rischio di infiltrazione mafiosa le seguenti attività: estrazione, fornitura e trasporto di terra e materiali inerti; confezionamento, fornitura e trasporto di calcestruzzo e di bitume; noli a freddo di macchinari; fornitura di ferro lavorato; noli a caldo;  autotrasporti per conto di terzi; guardiania dei cantieri; servizi funerari e cimiteriali; ristorazione, gestione delle mense e catering; servizi ambientali, comprese le attività di raccolta, di trasporto nazionale e transfrontaliero, anche per conto di terzi, di trattamento e di smaltimento dei rifiuti, nonché le attività di risanamento e di bonifica e gli altri servizi connessi alla gestione dei rifiuti. Il predetto elenco di attività può essere aggiornato annualmente con decreto del Ministro dell’interno, di concerto con i Ministri della giustizia, delle infrastrutture e dei trasporti e dell’economia e delle finanze, previo parere delle Commissioni parlamentari competenti.

Le modalità per l’istituzione e l’aggiornamento delle white list sono definite con DPCM 18 aprile 2013.

Si vedano altresì, in materia di iscrizione alle white list, i chiarimenti forniti dall’ANAC.

 

In particolare, il comma 1, lett. a) reca una modifica al comma 2 dell’art. 85 del codice in materia di documentazione antimafia.

Il comma 2 dell’art. 85 del codice, nel testo vigente, disciplina i soggetti ai quali deve riferirsi la documentazione antimafia nel caso di associazioni, imprese, società, consorzi e raggruppamenti temporanei di imprese. La modifica introdotta dalla disposizione in commento è volta a includere nella previsione legislativa anche i contratti di rete, stabilendo che in tal caso la documentazione debba riferirsi alle imprese aderenti al contratto e, ove presente, all’organo comune.

 

La disciplina del contratto di rete è stata introdotta nel nostro ordinamento con il decreto-legge n. 5/2009 (convertito, con modificazioni, in L. n. 33/2009) articolo 3, commi 4-ter e ss.’i La disciplina originaria ha subito successive modifiche ed integrazioni (cfr. in particolare, l’art. 45 del D.L. n. 83/2012, convertito con mod. in L. n. 134/2012, l’articolo 36 del D.L. n. 179/2012, nonché l’articolo 12 della Legge n. 81/2017).

Secondo quanto dispone l’articolo 3, comma 4-ter del D.L. n. 5/2009, con il contratto di rete, “due o più imprese si obbligano ad esercitare in comune una o più attività economiche rientranti nei rispettivi oggetti sociali allo scopo di accrescere la reciproca capacità innovativa e la competitività sul mercato e a tal fine esse si obbligano, sulla base di un programma comune di rete, a:

1) collaborare in ambiti predeterminati attinenti all’esercizio delle proprie imprese, ovvero;

2) a scambiarsi informazioni o prestazioni di natura industriale, commerciale, tecnica e tecnologica, ovvero ancora;

3) a svolgere in comune una o più attività rientranti nell’oggetto delle rispettive imprese.

Il contratto può prevedere la costituzione di un fondo patrimoniale comune e la nomina di un organo comune incaricato di gestire, in nome e per conto dei partecipanti, l'esecuzione del contratto o di singole parti o fasi dello stesso (cd. elementi facoltativi del contratto di rete).

Il contratto di rete che prevede l'organo comune e il fondo patrimoniale non è dotato di soggettività giuridica, ma è fatta salva la facoltà di acquisto della stessa soggettività ai sensi del comma 4-quater ultima parte dell’articolo 3.

Secondo tale disposizione, per l’acquisto della soggettività giuridica, il contratto deve essere stipulato per atto pubblico o per scrittura privata autenticata, ovvero per atto firmato digitalmente a norma dell'articolo 25 del Codice dell’amministrazione digitale (D.lgs. n. 82/2005).

Quanto al regime di pubblicità – ai sensi del comma 4-quater - il contratto di rete cd. “ordinario” (privo di soggettività giuridica) è soggetto a iscrizione nella sezione del registro delle imprese presso cui è iscritto ciascun partecipante e l'efficacia del contratto inizia a decorrere da quando è stata eseguita l'ultima delle iscrizioni prescritte a carico di tutti coloro che ne sono stati sottoscrittori originari.

Nel caso invece di contratto di rete con autonoma soggettività si prevede invece l’iscrizione autonoma della rete al registro delle imprese, e non già della posizione dei singoli imprenditori “retisti”.

Appare opportuno rammentare che l’articolo 65 del codice dei contratti pubblici (d.lgs. n. 36/2023) riconosce le aggregazioni tra le imprese aderenti al contratto di rete quali operatori economici ammessi a partecipare alle procedure di affidamento dei contratti pubblici[2]. Al riguardo si rammenta che l’articolo 94 del codice, che disciplina le cause di esclusione automatica di un operatore economico dalla partecipazione a una procedura d'appalto, mantiene fermo quanto previsto dagli articoli 88, comma 4-bis, e 92, commi 2 e 3, del codice antimafia, con riferimento rispettivamente alle comunicazioni antimafia e alle informazioni antimafia.

 

La lett. b) – come sostituita nel corso dell’esame alla Camera - inserisce nel codice antimafia l’art. 94.1, volto a prevedere l’esclusione di alcuni divieti e decadenze nei confronti delle imprese individuali.

In particolare, il comma 1 del nuovo art. 94.1, ferma la competenza esclusiva del giudice di cui all’articolo 67, comma 5, del medesimo codice antimafia, prevede che il prefetto, qualora ritenga sussistenti i presupposti per l’adozione dell’informazione antimafia interdittiva, può escludere l’applicazione di uno o più dei divieti o delle decadenze previste dall’art. 67, comma 1, del codice antimafia derivanti dall’applicazione in via definitiva di una delle misure di prevenzione personali applicate dall’autorità giudiziaria di cui al libro I, titolo I, capo II del codice medesimo, qualora per effetto dei predetti divieti o decadenze verrebbero a mancare i mezzi di sostentamento al titolare dell’impresa individuale e alla sua famiglia.

 

Ai sensi dell’art. 67 del codice antimafia, le persone alle quali siano state applicate dall’autorità giudiziaria le misure di prevenzione di cui al libro I, capo I, titolo II (sorveglianza speciale di pubblica sicurezza; divieto di soggiorno in uno o più comuni; obbligo di soggiorno nel comune di residenza o dimora abituale) non possono ottenere licenze o autorizzazioni di polizia o di commercio, concessioni di beni, opere o servizi pubblici, appalti pubblici, qualunque altra concessione, autorizzazione o abilitazione all’esercizio di attività imprenditoriali, contributi, finanziamenti, mutui agevolati o altre erogazioni da parte dello Stato o di enti pubblici, licenze in materia di armi ed esplosivi. L’applicazione definitiva della misura di prevenzione comporta la decadenza di diritto dalle predette licenze, autorizzazioni, concessioni, abilitazioni ed erogazioni nonché il divieto di concludere contratti pubblici (commi 1 e 2).

I predetti divieti e decadenze operano, su disposizione del tribunale, anche per le persone conviventi con il destinatario della misura di prevenzione nonché per le imprese, associazioni, società e consorzi di cui il destinatario sia amministratore anche di fatto (comma 4).

Il comma 5 prevede che per le licenze ed autorizzazioni di polizia, ad eccezione di quelle relative alle armi, munizioni ed esplosivi, e per gli altri provvedimenti interdittivi le decadenze e i divieti possono essere esclusi dal giudice nel caso in cui per effetto degli stessi verrebbero a mancare i mezzi di sostentamento all'interessato e alla famiglia.

Le misure di prevenzione citate sono applicate dal tribunale, su proposta del procuratore nazionale antimafia, del procuratore distrettuale o del questore, e hanno durata non inferiore a un anno né superiore a cinque anni. Contro la decisione del tribunale il procuratore della Repubblica, il procuratore generale presso la corte d’appello, l’interessato e il suo difensore possono proporre ricorso alla corte d’appello.

 

Ai sensi del comma 2 del nuovo art. 94.1, la mancanza dei mezzi di sostentamento è accertata, su documentata istanza del titolare dell’impresa individuale, all’esito di verifiche effettuate dal gruppo interforze istituito presso la prefettura competente ai sensi dell’articolo 90[3] del codice antimafia.

 

Il comma 3 del medesimo art. 94.1 prevede che il prefetto, disponendo le esclusioni di cui al comma 1, possa prescrivere all’interessato una o più delle misure amministrative di prevenzione collaborativa previste dall’art. 94-bis, c. 1 e 2, del codice antimafia. In tal caso si applicano i commi 3, primo periodo, e 5 del medesimo art. 94-bis.

 

Il comma 1 dell’art. 94-bis del codice antimafia prevede le seguenti misure: adozione di misure organizzative volte a rimuovere e prevenire le cause di agevolazione occasionale; obbligo di comunicazione al gruppo interforze di determinati atti od operazioni; utilizzo di un conto corrente dedicato.

Il comma 2 prevede la facoltà del prefetto di nominare esperti[4], in numero non superiore a tre, con funzioni di supporto finalizzate all’attuazione delle misure di prevenzione collaborativa.

Il comma 3, primo periodo, prevede la cessazione delle misure di prevenzione collaborativa qualora il tribunale disponga il controllo giudiziario e nomini il giudice delegato e l’amministratore giudiziario ex art. 35-bis, comma 2, lett. b).

Il comma 5 prevede che le misure siano annotate in apposita sezione della banca dati nazionale unica, alla quale è precluso l’accesso ai soggetti privati[5], e siano comunicate alla cancelleria del tribunale.

 

Il comma 4 del nuovo art. 94.1 prevede, infine, che le disposizioni di cui al medesimo art. 94.1 non si applicano nei confronti delle persone condannate con sentenza definitiva o, ancorché non definitiva, confermata in grado di appello, per uno dei delitti di cui all’articolo 67, comma 8, del codice antimafia.

 

Il citato art. 67, comma 8, del codice antimafia richiama i delitti di cui all'articolo 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale[6], nonché i reati di cui all'articolo 640, secondo comma, n. 1), del codice penale (Truffa), commesso a danno dello Stato o di un altro ente pubblico, e all'articolo 640-bis del codice penale (Truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche).

 

 

Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione
D.Lgs 159/2011

Testo vigente

Testo come modificato dall’A.S. 1236 

Art. 85
(Soggetti sottoposti alla verifica antimafia)

1. La documentazione antimafia, se si tratta di imprese individuali, deve riferirsi al titolare ed al direttore tecnico, ove previsto.

Identico

2. La documentazione antimafia, se si tratta di associazioni, imprese, società, consorzi e raggruppamenti temporanei di imprese, deve riferirsi, oltre che al direttore tecnico, ove previsto:

a) per le associazioni, a chi ne ha la legale rappresentanza;

b) per le società di capitali, anche consortili ai sensi dell'articolo 2615-ter del codice civile, per le società cooperative, per i consorzi di cooperative, per i consorzi di cui al libro quinto, titolo X, capo II, sezione II, del codice civile, al legale rappresentante e agli eventuali altri componenti l'organo di amministrazione nonché a ciascuno dei consorziati che nei consorzi e nelle società consortili detenga, anche indirettamente, una partecipazione pari almeno al 5 per cento;

c) per le società di capitali, anche al socio di maggioranza in caso di società con un numero di soci pari o inferiore a quattro, ovvero al socio in caso di società con socio unico;

d) per i consorzi di cui all'articolo 2602 del codice civile e per i gruppi europei di interesse economico, a chi ne ha la rappresentanza e agli imprenditori o società consorziate;

e) per le società semplice e in nome collettivo, a tutti i soci;

f) per le società in accomandita semplice, ai soci accomandatari;

g) per le società di cui all'articolo 2508 del codice civile, a coloro che le rappresentano stabilmente nel territorio dello Stato;

h) per i raggruppamenti temporanei di imprese, alle imprese costituenti il raggruppamento anche se aventi sede all'estero, secondo le modalità indicate nelle lettere precedenti;







i) per le società personali ai soci persone fisiche delle società personali o di capitali che ne siano socie.

2. La documentazione antimafia, se si tratta di associazioni, imprese, società, consorzi e raggruppamenti temporanei di imprese e contratti di rete, deve riferirsi, oltre che al direttore tecnico, ove previsto:

a) per le associazioni, a chi ne ha la legale rappresentanza;

b) per le società di capitali, anche consortili ai sensi dell'articolo 2615-ter del codice civile, per le società cooperative, per i consorzi di cooperative, per i consorzi di cui al libro quinto, titolo X, capo II, sezione II, del codice civile, al legale rappresentante e agli eventuali altri componenti l'organo di amministrazione nonché a ciascuno dei consorziati che nei consorzi e nelle società consortili detenga, anche indirettamente, una partecipazione pari almeno al 5 per cento;

c) per le società di capitali, anche al socio di maggioranza in caso di società con un numero di soci pari o inferiore a quattro, ovvero al socio in caso di società con socio unico;

d) per i consorzi di cui all'articolo 2602 del codice civile e per i gruppi europei di interesse economico, a chi ne ha la rappresentanza e agli imprenditori o società consorziate;

e) per le società semplice e in nome collettivo, a tutti i soci;

f) per le società in accomandita semplice, ai soci accomandatari;

g) per le società di cui all'articolo 2508 del codice civile, a coloro che le rappresentano stabilmente nel territorio dello Stato;

h) per i raggruppamenti temporanei di imprese, alle imprese costituenti il raggruppamento anche se aventi sede all'estero, secondo le modalità indicate nelle lettere precedenti;

h-bis) per i contratti di rete, alle imprese aderenti al contratto, secondo le modalità indicate nelle lettere precedenti, e, ove presente, all'organo comune;

 

i) per le società personali ai soci persone fisiche delle società personali o di capitali che ne siano socie.

Commi da 2-bis a 3     Omissis

Identici

Art. 94.1
(Limitazione degli effetti delle informazioni del prefetto per le imprese individuali)

 

1. Ferma la competenza esclusiva del giudice di cui all’articolo 67, comma 5, il prefetto, qualora ritenga sussistenti i presupposti per l’adozione dell’informazione antimafia interdittiva, può escludere uno o più divieti e decadenze previsti all’articolo 67, comma 1, nel caso in cui accerti che per effetto della predetta informazione antimafia interdittiva verrebbero a mancare i mezzi di sostentamento al titolare dell’impresa individuale e alla sua famiglia. L’esclusione disposta ai sensi del presente comma ha durata annuale, prorogabile ove permangano i presupposti accertati.

 

2. La mancanza dei mezzi di sostentamento di cui al comma 1 è accertata, su documentata istanza del titolare dell’impresa individuale, all’esito di verifiche effettuate dal gruppo interforze istituito presso la prefettura competente ai sensi dell’articolo 90.

 

3. Il prefetto, quando dispone l’esclusione dei divieti e delle decadenze di cui al comma 1 del presente articolo, può prescrivere all’interessato l’osservanza di una o più delle misure di cui all’articolo 94-bis, commi 1 e 2, in quanto compatibili. In tal caso, si applicano i commi 3, primo periodo, e 5 del medesimo articolo 94-bis.

 

4. Le disposizioni di cui al presente articolo non si applicano nei confronti delle persone condannate con sentenza definitiva o, ancorché non definitiva, confermata in grado di appello, per uno dei delitti di cui all’articolo 67, comma 8.

 

 


Articolo 4
(Modifiche all'articolo 3 del codice delle leggi antimafia e delle misure
di prevenzione, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, in materia di avviso orale)

 

 

L’articolo 4, introdotto dalla Camera, interviene sulla disciplina delle misure di prevenzione, attribuendo al tribunale in composizione monocratica la cognizione in ordine all’applicazione del divieto di utilizzare strumenti informatici e telefoni cellulari ai soggetti maggiorenni destinatari dell’avviso orale disposto dal questore.

 

In particolare, la modifica riguarda il comma 6-bis dell’art. 3 del D.lgs. 159/2011 (Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione), introdotto dall’art. 5 del d.l. 123/2023, convertito con modificazioni dalla l. 159/ 2023 e recante «Misure urgenti di contrasto al disagio giovanile, alla povertà educativa e alla criminalità minorile, nonché per la sicurezza dei minori in ambito digitale».

Oggetto dell’intervento normativo è la procedura di applicazione dei divieti connessi alla misura di prevenzione dell’avviso orale.

 

L'avviso orale si sostanzia in un potere di richiamo formale esercitabile, ai sensi dell’art. 1 del Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, da parte del questore nei confronti di:

§  coloro che debbano ritenersi, sulla base di elementi di fatto, abitualmente dediti a traffici delittuosi;

§  coloro che, per la condotta ed il tenore di vita, debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che vivono abitualmente, anche in parte, con i proventi di attività delittuose;

§  coloro che per il loro comportamento debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, comprese le reiterate violazioni del foglio di via obbligatorio, nonché dei divieti di frequentazione di determinati luoghi previsti dalla vigente normativa, che sono dediti alla commissione di reati che offendono o mettono in pericolo l'integrità fisica o morale dei minorenni, la sanità, la sicurezza o la tranquillità pubblica.

 

Al ricorrere di tali presupposti, il questore, nella cui provincia la persona dimora, avvisa oralmente il soggetto che esistono indizi a suo carico, indicandone i motivi, e lo invita a tenere una condotta conforme alla legge.

 

Il citato art. 5 del d.l. 123/2023 ha esteso l’ambito di applicazione soggettivo della misura di prevenzione in esame includendovi i minori di diciotto anni che abbiano compiuto il quattordicesimo anno di età.

In questi casi, ai fini dell'avviso orale, il questore convoca il minore, unitamente ad almeno un genitore o ad altra persona esercente la responsabilità genitoriale. Il provvedimento è comunicato al procuratore della Repubblica presso il tribunale per i minorenni del luogo di residenza del minore. Gli effetti dell'avviso orale cessano comunque al compimento della maggiore età.

 

La misura dell’avviso orale può essere accompagnata altresì dall’imposizione di una serie di obblighi e divieti, la cui violazione è sanzionata penalmente dall’art. 76 comma 2 del Codice delle leggi antimafia, con la reclusione da uno a tre anni e con la multa da euro 1.549 a euro 5.164.

Più nel dettaglio, il comma 4 dell’articolo 3 del Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione prevede che con l’avviso orale il questore possa imporre, alle persone che risultino definitivamente condannate per delitti non colposi, il divieto di possedere o utilizzare, in tutto o in parte, una serie di strumenti:

Ø  qualsiasi apparato di comunicazione radiotrasmittente;

Ø  radar e visori notturni;

Ø  indumenti e accessori per la protezione balistica individuale;

Ø  mezzi di trasporto blindati o modificati al fine di aumentarne la potenza o la capacità offensiva, o comunque predisposti al fine di sottrarsi ai controlli di polizia;

Ø  armi a modesta capacità offensiva e riproduzioni di armi di qualsiasi tipo, compresi i giocattoli riproducenti armi;

Ø  altre armi o strumenti, in libera vendita, in grado di nebulizzare liquidi o miscele irritanti non idonei ad arrecare offesa alle persone;

Ø  prodotti pirotecnici di qualsiasi tipo, nonché sostanze infiammabili e altri mezzi comunque idonei a provocare lo sprigionarsi delle fiamme;

Ø  programmi informatici ed altri strumenti di cifratura o crittazione di conversazioni e messaggi. 

 

Con la sentenza n. 2 del 2023, la Corte costituzionale aveva dichiarato costituzionalmente illegittima tale disposizione per violazione dell'art. 15 Cost., «nella parte in cui include i telefoni cellulari tra gli apparati di comunicazione radiotrasmittente di cui il questore può vietare, in tutto o in parte, il possesso o l'utilizzo».

In particolare, la Consulta ha affermato che la legittimità costituzionale delle misure di prevenzione limitative della libertà di comunicazione, protetta dall’articolo 15 della Costituzione, è necessariamente subordinata all’osservanza del principio di legalità e alla «esistenza della garanzia giurisdizionale». Ne discende che, secondo la Corte, al questore può essere attribuito il potere di proporre l’applicazione di divieti incidenti sul possesso o sull’utilizzazione di un telefono cellulare, ma la relativa decisione, in conformità con l’art. 15 della Costituzione, deve essere adottata dall’autorità giudiziaria, “con le procedure, le modalità e i tempi che compete al legislatore prevedere”, nel rispetto della riserva di legge prevista dalla Costituzione.

 

Al fine di adeguare la normativa in esame a tale indicazione proveniente dalla giurisprudenza costituzionale, l’art. 5 del d.l. 123/2023 aveva inserito, nell’art. 3 del Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, i commi 6-bis, 6-ter e 6-quater, i quali prevedono un procedimento giurisdizionale per l’adozione di una duplice tipologia di provvedimenti, concernenti:

§  il divieto di utilizzare, in tutto o in parte, piattaforme o servizi informatici e telematici specificamente indicati;

§  il divieto di possedere o utilizzare telefoni cellulari, altri dispositivi per le comunicazioni dati e voce o qualsiasi altro apparato di comunicazione radiotrasmittente.

 

L’applicazione di tali divieti è subordinata all’esistenza di una serie di presupposti fissati dal comma 6-bis[7] e può essere proposta dal questore all’organo giurisdizionale.

 

L’art. 4 in esame incide sull’individuazione dell’organo giurisdizionale competente. La normativa attualmente in vigore rimette, infatti, la decisione al tribunale per i minorenni a prescindere dall’età dell’interessato.

 

Tale previsione, che costituisce il risultato di una modifica intervenuta in sede di conversione del decreto legge 123 del 2023, viene modificata con l’introduzione di una distinzione, in forza della quale la competenza ad adottare i divieti previsti dall’art. 3, comma 6-bis, del Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione:

§  rimane in capo al tribunale per i minorenni nel caso in cui il destinatario dell’avviso orale e dei divieti richiesti dal questore sia un soggetto minore di diciotto anni che abbia compiuto il quattordicesimo anno d’età;

§  viene attribuita al tribunale in composizione monocratica negli altri casi.

 

Per il resto, la disciplina del procedimento continua ad essere regolata dalle disposizioni vigenti. Al destinatario dell’avviso orale viene notificata la proposta del questore ed è data notizia della facoltà di presentare, personalmente o a mezzo di difensore, memorie o deduzioni al giudice competente per l’applicazione del divieto. Il giudice provvede, entro trenta giorni dal deposito della proposta, con decreto motivato ricorribile per cassazione.

Il divieto è disposto dal giudice per una durata non superiore a due anni. La disposizione del divieto si accompagna all’individuazione di modalità applicative compatibili con le esigenze di salute, famiglia, lavoro o studio del destinatario del provvedimento.

 

Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione
D.Lgs 159/2011

Testo vigente

Testo come modificato dall’A.S. 1236 

Art. 3

(Avviso orale)

Commi da 1 a 6 Omissis

Identici

6-bis. Nei casi di cui ai commi 1 e 3-bis, se il soggetto al quale è notificato l'avviso orale risulta condannato, anche con sentenza non definitiva, per uno o più delitti contro la persona o il patrimonio ovvero inerenti alle armi o alle sostanze stupefacenti, il questore può proporre al tribunale per i minorenni l'applicazione del divieto di utilizzare, in tutto o in parte, piattaforme o servizi informatici e telematici specificamente indicati nonché del divieto di possedere o di utilizzare telefoni cellulari, altri dispositivi per le comunicazioni dati e voce o qualsiasi altro apparato di comunicazione radiotrasmittente, quando il suo utilizzo è servito per la realizzazione o la divulgazione delle condotte che hanno determinato l'avviso orale. Alla persona avvisata oralmente viene notificata la proposta di cui al periodo precedente e data notizia della facoltà di presentare, personalmente o a mezzo di difensore, memorie o deduzioni al giudice competente per l'applicazione del divieto.

6-bis. Nei casi di cui ai commi 1 e 3-bis, se il soggetto al quale è notificato l'avviso orale risulta condannato, anche con sentenza non definitiva, per uno o più delitti contro la persona o il patrimonio ovvero inerenti alle armi o alle sostanze stupefacenti, il questore può proporre al tribunale in composizione monocratica, nei casi di cui al comma 1, o al tribunale per i minorenni nei casi di cui al comma 3-bis l'applicazione del divieto di utilizzare, in tutto o in parte, piattaforme o servizi informatici e telematici specificamente indicati nonché del divieto di possedere o di utilizzare telefoni cellulari, altri dispositivi per le comunicazioni dati e voce o qualsiasi altro apparato di comunicazione radiotrasmittente, quando il suo utilizzo è servito per la realizzazione o la divulgazione delle condotte che hanno determinato l'avviso orale. Alla persona avvisata oralmente viene notificata la proposta di cui al periodo precedente e data notizia della facoltà di presentare, personalmente o a mezzo di difensore, memorie o deduzioni al giudice competente per l'applicazione del divieto.

Commi 6-ter e 6-quater     Omissis

Identici

 

 


Articolo 5
(Benefici per i superstiti delle vittime della criminalità organizzata)

 

 

L’articolo 5, introdotto nel corso dell’esame alla Camera, reca disposizioni in materia di condizioni per la concessione dei benefici ai superstiti delle vittime della criminalità organizzata, con particolare riferimento all’esclusione dai benefici dei parenti o affini entro il quarto grado di soggetti destinatari di misure di prevenzione o sottoposti al relativo procedimento o a procedimento penale.

 

Il comma 1 sostituisce il comma 1 dell’art. 2-quinquies del d.l. 151/2008 (conv. con modif. dalla legge 186/2008).

 

Il comma 1 dell’art. 2-quinquies del d.l. 151/2008 prevede che i benefici previsti per i superstiti delle vittime della criminalità organizzata fossero concessi a condizione che il beneficiario non risultasse coniuge, convivente, parente o affine entro il quarto grado di soggetti nei cui confronti risultasse in corso un procedimento per l'applicazione o fosse applicata una misura di prevenzione di cui alla legge 575/1965[8] ovvero di soggetti nei cui confronti risultasse in corso un procedimento penale per uno dei delitti di cui all’art. 51, c. 3-bis, c.p.p.[9]

 

Su tale disposizione è recentemente intervenuta la sentenza della Corte costituzionale 122/2024, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’esclusione dalla platea dei beneficiari dei parenti o affini entro il quarto grado dei soggetti sopra indicati[10].

 

La Corte, pur riconoscendo che l’esclusione si ispira alla finalità legittima “di evitare che le limitate risorse dello Stato siano sviate dal sostegno delle vittime della mafia e del terrorismo e avvantaggino, per vie indirette, le stesse associazioni criminali che intendono contrastare”, rileva come tale finalità sia perseguita dalla norma censurata “con mezzi sproporzionati”, anche in considerazione del fatto che “la legge già prescrive requisiti tassativi e stringenti di meritevolezza”.

La Corte riconosce che “Nella delimitazione della platea dei beneficiari, il legislatore ben può enucleare presunzioni assolute di indegnità, purché siano corroborate da massime d’esperienza plausibili e rispecchino l’id quod plerumque accidit” ma ritiene che la presunzione assoluta posta dalla norma censurata sia “viziata da un’irragionevolezza intrinseca”, in quanto “conferisce rilievo a rapporti di parentela e di affinità fino al quarto grado, che includono una vasta categoria di persone e si caratterizzano per una diversa, talvolta più tenue, intensità del vincolo familiare”.

La Corte sottolinea, inoltre, “un ulteriore elemento di palese contraddittorietà”, in quanto “La condizione ostativa, nella sua assolutezza, pregiudica proprio coloro che si siano dissociati dal contesto familiare e, per tale scelta di vita, abbiano sperimentato l’isolamento e perdite dolorose. Così strutturata, la presunzione assoluta si configura come uno stigma per l’appartenenza a un determinato nucleo familiare, anche quando non se ne condividano valori e stili di vita.

 

La disposizione in commento sostituisce il comma 1 dell’art. 2-quinquies, da un lato ripristinando la previsione dell’esclusione dai benefici nei confronti del soggetto che risulti, oltre che coniuge o convivente, parente o affine entro il quarto grado di soggetti nei cui confronti risulti in corso un procedimento per l'applicazione o sia applicata una misura di prevenzione di cui al d. lgs. 159/2011, ovvero di soggetti nei cui confronti risulti in corso un procedimento penale per uno dei delitti di cui all’art. 51, c. 3-bis, c.p.p., ma, dall’altro, prevedendo nel contempo che l’esclusione non si applichi qualora risulti che il beneficiario al momento dell’evento abbia interrotto definitivamente le relazioni familiari e affettive e i rapporti di interessi e sociali con i predetti soggetti, ovvero non abbia attuali rapporti di concreta frequentazione con i medesimi.

Viene, pertanto, superata l’esclusione assoluta censurata dalla Corte costituzionale.

 

Il comma 2 valuta gli oneri derivanti dalle disposizioni in esame in 1.362.026 euro per l'anno 2024, 1.524.051 euro per l'anno 2025, 1.686.076 euro per l'anno 2026 e 1.848.101 euro annui a decorrere dall'anno 2027. A tali oneri si provvede mediante corrispondente riduzione del Fondo per far fronte ad esigenze indifferibili che si manifestano nel corso della gestione, di cui all'articolo 1, comma 200, della legge 23 dicembre 2014, n. 190 (legge di stabilità 2015).


Articolo 6
(Identità di copertura a protezione di collaboratori
e testimoni di giustizia)

 

 

L’articolo 6 introduce alcune disposizioni in materia di protezione di collaboratori e testimoni di giustizia, in particolare per quanto concerne il rilascio delle identità di copertura.

 

In particolare, il comma 1 interviene sull’art. 13 DL 8/1991 (conv. con modificazioni dalla legge 82/1991).

 

Si ricorda che il Capo II del citato DL 8/1991 (“Nuove norme in materia di sequestri di persona a scopo di estorsione e per la protezione dei testimoni di giustizia, nonché per la protezione e il trattamento sanzionatorio di coloro che collaborano con la giustizia”) reca “Nuove norme per la protezione di coloro che collaborano con la giustizia”.

Sono previste speciali misure di protezione, nonché la possibilità di adottare uno speciale programma di protezione, nei confronti di coloro che versano in grave e attuale pericolo per effetto della collaborazione o delle dichiarazioni rese nel corso di un procedimento penale per delitti commessi per finalità di terrorismo o di eversione ovvero ricompresi fra quelli di competenza della procura distrettuale di cui all’art. 51, c. 3-bis, c.p.p.[11] nonché per i delitti di violenza sessuale, pedopornografia, prostituzione minorile. Le misure possono essere estese anche ai conviventi nonché a coloro che versano in grave e attuale pericolo a causa delle relazioni intrattenute con il destinatario della protezione. La collaborazione deve avere carattere di intrinseca attendibilità, novità e completezza o deve comunque rivestire notevole importanza ai fini investigativi (art. 9).

Per l’applicazione e la definizione delle misure di protezione è istituita con decreto del Ministro dell’interno, di concerto del Ministero della giustizia, una commissione centrale presieduta da un sottosegretario di Stato e composta da un avvocato dello Stato, due magistrati e cinque funzionari e ufficiali con specifica esperienza (art. 10).

 

Il procedimento di ammissione alle misure di protezione e gli impegni che devono essere assunti dal destinatario sono disciplinati dagli artt. 11 e 12.

L’art. 13 disciplina il contenuto delle misure di protezione, ivi compreso il rilascio delle identità di copertura (v. infra), mentre l’art. 13-quater disciplina la revoca e la modifica delle misure.

All’attuazione e alla specificazione delle modalità esecutive del programma speciale di protezione deliberato dalla commissione centrale provvede il Servizio centrale di protezione istituito, nell'ambito del Dipartimento della pubblica sicurezza, con decreto del Ministro dell'interno, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze. Il Servizio centrale di protezione è articolato in almeno due divisioni dotate di personale e strutture differenti e autonome, in modo da assicurare la trattazione separata delle posizioni dei collaboratori di giustizia e dei testimoni di giustizia (art. 14).

L’art. 15 prevede che nell'ambito dello speciale programma di protezione possa essere autorizzato, con decreto del Ministro dell'interno, di concerto con il Ministro della giustizia, il cambiamento delle generalità, garantendone la riservatezza anche in atti della pubblica amministrazione.

 

Nel dettaglio, in materia di identità di copertura, oggetto della proposta in commento, il comma 10 prevede che al fine di garantire la sicurezza, la riservatezza e il reinserimento sociale delle persone sottoposte a speciale programma di protezione che non sono detenute o internate sia consentita l'utilizzazione di un documento di copertura.

Il comma 11 prevede che l'autorizzazione al rilascio del documento di copertura sia data dal Servizio centrale di protezione il quale chiede alle autorità competenti al rilascio, che non possono opporre rifiuto, di predisporre il documento e di procedere alle registrazioni previste dalla legge e agli ulteriori adempimenti eventualmente necessari. Si prevede l’applicazione delle previsioni in tema di esonero da responsabilità di cui all'articolo 5 del d. lgs. 119/1993[12]. Si prevede, altresì, che presso il Servizio centrale di protezione sia tenuto un registro riservato attestante i tempi, le procedure e i motivi dell'autorizzazione al rilascio del documento.

 

Il comma 1, lett. a), della disposizione in commento modifica il comma 10 dell’art. 13 del DL 8/1991, prevedendo:

§  l’utilizzazione del documento di copertura anche da parte dei collaboratori e dei loro familiari sottoposti alla misura cautelare degli arresti domiciliari o che fruiscano della detenzione domiciliare ai sensi dell’art. 16-nonies del medesimo DL 8/1991, al fine di garantire la sicurezza, la riservatezza e il reinserimento sociale delle persone sottoposte a speciale programma di protezione;

 

L’art. 16-nonies citato prevede che nei confronti delle persone condannate per un delitto commesso per finalità di terrorismo o di eversione dell'ordinamento costituzionale o per uno dei delitti di cui all'art. 51, comma 3-bis, c.p.p.[13], che abbiano prestato, anche dopo la condanna, taluna delle condotte di collaborazione che consentono la concessione delle circostanze attenuanti previste dal codice penale o da disposizioni speciali, l’ammissione ai benefici penitenziari, fra cui la detenzione domiciliare, sia disposta su proposta ovvero sentito il procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo.

 

§  l’utilizzazione del documento di copertura e la creazione di identità fiscali di copertura, anche di tipo societario, da parte del Servizio centrale di protezione, qualora ciò si renda necessario per il compimento particolari atti o svolgere specifiche attività di natura riservata e al fine di garantire la sicurezza, la riservatezza e il reinserimento sociale delle persone sottoposte a speciale programma di protezione e la funzionalità, la riservatezza e la sicurezza delle speciali misure di protezione; si prevede che per l’utilizzazione dei documenti e la creazione delle identità fiscali di copertura il Servizio centrale di protezione si avvalga della collaborazione delle autorità e degli altri soggetti competenti.

 

Il comma 1, lett. b), numero 1 della disposizione in commento modifica il comma 11 del medesimo art. 13 del DL 8/1991, inserendo una disposizione volta a prevedere che l’autorizzazione alla creazione di identità fiscali di copertura, anche di tipo societario, da parte del Servizio centrale di protezione sia data dal Capo della polizia - direttore generale della pubblica sicurezza, con facoltà di delega a uno dei vice direttori generali del Dipartimento della pubblica sicurezza, e che diretta alle autorità e agli altri soggetti competenti, che non possono opporre rifiuto di predisporre i documenti, procedere alle registrazioni e porre in essere ogni adempimento necessario.

 

Il comma 1, lett. b), numero 2 reca un’ulteriore integrazione dell’art. 13 del DL 8/1991, la quale prevede che presso il Servizio centrale di protezione siano tenuti un registro riservato attestante i tempi, le procedure e i motivi dell'autorizzazione al rilascio del documento e ogni altra documentazione relativa alla creazione di identità fiscali di copertura, anche di tipo societario

 

Il comma 2 reca una modifica di coordinamento all’art. 5, comma 1, lett. f) della legge 6/2018, inserendo tra le misure di protezione di cui alla predetta lett. f la creazione delle identità fiscali di copertura, anche di tipo societario, previste dal comma 10 dell’art. 13 del DL 8/1991 come modificato dal comma 1, lett. a, della disposizione in commento.

 

La legge 6/2018 reca disposizioni per la protezione dei testimoni di giustizia.

In sintesi, le misure di protezione sono applicate, salvo dissenso, ai testimoni di giustizia e possono essere altresì applicate, salvo dissenso, anche ai soggetti che risultano esposti a grave, attuale e concreto pericolo a causa del rapporto di stabile convivenza o delle relazioni intrattenute con i testimoni di giustizia (art. 1).

E’ testimone di giustizia colui che rende nell’ambito di un procedimento penale dichiarazioni attendibili e rilevanti in qualità di persona offesa, di persona informata sui fatti o di testimone che versi in una condizione di grave, concreto e attuale pericolo e che non abbia riportato condanne per delitti non colposi connessi a quelli per cui si procede e non abbia rivolto a proprio profitto l'essere venuto in relazione con il contesto delittuoso su cui rende le dichiarazioni (non escludono tuttavia la qualità di testimone di giustizia i comportamenti posti in essere in ragione dell'assoggettamento verso i singoli o le associazioni criminali oggetto delle dichiarazioni, né i meri rapporti di parentela, di affinità o di coniugio con indagati o imputati) né sia reputato socialmente pericoloso in ragione della sottoposizione a misure di prevenzione o a procedimento per l’applicazione delle stesse (art. 2).

Il Capo II della legge disciplina nel dettaglio il contenuto delle misure (sono previste misure di tutela, misure di sostegno economico e misure di reinserimento sociale e lavorativo), mentre il Capo III disciplina il procedimento di applicazione, revoca e modifica, rinviando in gran parte a quanto previsto dal DL 8/1991 in materia di collaboratori di giustizia (vedi sopra).

Per una disamina complessiva della disciplina contenuta nella legge si rinvia al dossier di documentazione.

 

L’art. 5, comma 1, su cui interviene la proposta in commento disciplina le misure di tutela, prevedendo in particolare:

Ø  misure di vigilanza e protezione (lett. a);

Ø  misure di sicurezza per le abitazioni, per gli immobili e per le aziende (lett. b);

Ø  misure per gli spostamenti (lett. c);

Ø   trasferimento in luoghi protetti (lett. d);

Ø  speciali modalità di tenuta della documentazione e delle comunicazioni al servizio informatico (lett. e);

Ø  l'utilizzazione di documenti di copertura (lett. f);

Ø  il cambiamento delle generalità (lett. g);

Ø  ogni altra misura straordinaria, anche di carattere economico, eventualmente necessaria, nel rispetto delle direttive generali impartite dal Capo della polizia – direttore generale della pubblica sicurezza (lett. h).

 

Decreto legge n. 8/1991, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 82/1991

Testo vigente

Testo come modificato dall’A.S. 1236

Art. 13

(Contenuti delle speciali misure di protezione e adozione di provvedimenti provvisori)

Commi da 1 a 9     Omissis

Identici

10. Al fine di garantire la sicurezza, la riservatezza e il reinserimento sociale delle persone sottoposte a speciale programma di protezione a norma del comma 5 e che non sono detenute o internate è consentita l'utilizzazione di un documento di copertura.

10. Al fine di garantire la sicurezza, la riservatezza e il reinserimento sociale delle persone sottoposte a speciale programma di protezione a norma del comma 5 e che non sono detenute o internate è consentita l'utilizzazione di un documento di copertura. Per le medesime finalità di cui al primo periodo, l'utilizzazione del documento di copertura può essere consentita anche ai collaboratori e ai rispettivi familiari che siano sottoposti alla misura cautelare degli arresti domiciliari di cui all'articolo 284 del codice di procedura penale o che fruiscano della detenzione domiciliare ai sensi dell'articolo 16-nonies del presente decreto. Quando si rende necessario, nell'ambito dei compiti affidati al Servizio centrale di protezione ai sensi dell'articolo 14 del presente decreto, compiere particolari atti o svolgere specifiche attività di natura riservata, per il perseguimento delle finalità di cui al primo periodo e per la funzionalità, la riservatezza e la sicurezza dell'applicazione delle speciali misure di protezione, sono consentiti al predetto Servizio centrale di protezione l'utilizzazione di documenti di copertura nonché la creazione di identità fiscali di copertura, anche di tipo societario. Per l'utilizzazione dei documenti e la creazione delle identità fiscali di cui al terzo periodo, il Servizio centrale di protezione si avvale della collaborazione delle autorità e degli altri soggetti competenti.

11. L'autorizzazione al rilascio del documento di copertura indicato nel comma 10 è data dal Servizio centrale di protezione di cui all'articolo 14 il quale chiede alle autorità competenti al rilascio, che non possono opporre rifiuto, di predisporre il documento e di procedere alle registrazioni previste dalla legge e agli ulteriori adempimenti eventualmente necessari. Si applicano le previsioni in tema di esonero da responsabilità di cui all'articolo 5 del decreto legislativo 29 marzo 1993, n. 119. Presso il Servizio centrale di protezione è tenuto un registro riservato attestante i tempi, le procedure e i motivi dell'autorizzazione al rilascio del documento.

11. L'autorizzazione al rilascio del documento di copertura indicato nel comma 10 è data dal Servizio centrale di protezione di cui all'articolo 14 il quale chiede alle autorità competenti al rilascio, che non possono opporre rifiuto, di predisporre il documento e di procedere alle registrazioni previste dalla legge e agli ulteriori adempimenti eventualmente necessari. L'autorizzazione alla creazione di identità fiscali di copertura, anche di tipo societario, di cui al comma 10 è data dal Capo della polizia – Direttore generale della pubblica sicurezza, con facoltà di delega a uno dei vice direttori generali del Dipartimento della pubblica sicurezza del Ministero dell'interno, ed è diretta alle autorità e agli altri soggetti competenti, che non possono opporre rifiuto di predisporre i documenti, procedere alle registrazioni e porre in essere ogni adempimento necessario. Si applicano le previsioni in tema di esonero da responsabilità di cui all'articolo 5 del decreto legislativo 29 marzo 1993, n. 119. Presso il Servizio centrale di protezione sono tenuti un registro riservato, attestante i tempi, le procedure e i motivi dell'autorizzazione al rilascio del documento, e ogni altra documentazione relativa alla creazione di identità fiscali di copertura, anche di tipo societario.

Commi da 12 a 15     Omissis

Identici

 

 

Legge n. 6/2018

Testo vigente

Testo come modificato dall’A.S. 1236

Art. 5

(Misure di tutela)

1. Al fine di assicurare l'incolumità dei testimoni di giustizia e degli altri protetti e la sicurezza dei loro beni, sono applicate speciali misure di tutela che, secondo la gravità e l'attualità del pericolo, possono prevedere:

a) la predisposizione di misure di vigilanza e protezione;

b) la predisposizione di accorgimenti tecnici di sicurezza per le abitazioni, per gli immobili e per le aziende di pertinenza dei protetti;

c) l'adozione delle misure necessarie per gli spostamenti nello stesso comune e in comuni diversi da quello di residenza;

d) il trasferimento in luoghi protetti;

e) speciali modalità di tenuta della documentazione e delle comunicazioni al servizio informatico;

f) l'utilizzazione di documenti di copertura;








g) il cambiamento delle generalità ai sensi del decreto legislativo 29 marzo 1993, n. 119, autorizzato con decreto del Ministro dell'interno, di concerto con il Ministro della giustizia, garantendone la riservatezza anche in atti della pubblica amministrazione;

h) ogni altra misura straordinaria, anche di carattere economico, eventualmente necessaria, nel rispetto delle direttive generali impartite dal Capo della polizia - Direttore generale della pubblica sicurezza.

1. Al fine di assicurare l'incolumità dei testimoni di giustizia e degli altri protetti e la sicurezza dei loro beni, sono applicate speciali misure di tutela che, secondo la gravità e l'attualità del pericolo, possono prevedere:

a) la predisposizione di misure di vigilanza e protezione;

b) la predisposizione di accorgimenti tecnici di sicurezza per le abitazioni, per gli immobili e per le aziende di pertinenza dei protetti;

c) l'adozione delle misure necessarie per gli spostamenti nello stesso comune e in comuni diversi da quello di residenza;

d) il trasferimento in luoghi protetti;

e) speciali modalità di tenuta della documentazione e delle comunicazioni al servizio informatico;

f) l'utilizzazione di documenti di copertura nonché la creazione di identità fiscali di copertura, anche di tipo societario, necessari per assicurare il conseguimento delle finalità di cui all'alinea e per garantire la funzionalità, la riservatezza e la sicurezza dell'applicazione delle speciali misure di tutela;

g) il cambiamento delle generalità ai sensi del decreto legislativo 29 marzo 1993, n. 119, autorizzato con decreto del Ministro dell'interno, di concerto con il Ministro della giustizia, garantendone la riservatezza anche in atti della pubblica amministrazione;

h) ogni altra misura straordinaria, anche di carattere economico, eventualmente necessaria, nel rispetto delle direttive generali impartite dal Capo della polizia - Direttore generale della pubblica sicurezza.

 

 

 

 


Articolo 7
(Disposizioni in materia di impugnazione avverso le misure di prevenzione personali e di amministrazione di beni sequestrati e confiscati)

 

 

L’articolo 7, come modificato nel corso dell’esame alla Camera, da un lato, reca disposizioni in materia di impugnazione avverso le misure di prevenzione personali e dall’altro, in materia di gestione delle aziende sequestrate e confiscate, di amministrazione di beni immobili abusivi sequestrati e confiscati, nonché di contributi agli enti locali per la messa in sicurezza e l’efficientamento energetico dei beni destinati con provvedimento dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata.

 

In primo luogo, la lettera a) del comma 1, introdotta nel corso dell’esame alla Camera, modifica l’articolo 10, del decreto legislativo n. 159 del 2011, c.d. Codice antimafia, in materia di impugnazioni avverso le misure di prevenzione personali applicate dall’autorità giudiziaria. Nello specifico, la modifica in commento estende a 30 giorni il termine per proporre ricorso avverso il provvedimento, in luogo dei 10 giorni previsti dalla disciplina vigente.

 

Inoltre, la lettera b), introduce nell’articolo 36, rubricato “Relazione dell’amministratore giudiziario” del medesimo Codice antimafia, due nuovi commi.

 

Con il nuovo comma 2-bis si dispone che la relazione dell’amministratore giudiziario sui beni sequestrati ne illustri nel dettaglio le caratteristiche tecnico-urbanistiche, evidenziando gli eventuali abusi e descrivendo i possibili impieghi dei beni in rapporto ai vigenti strumenti urbanistici generali.

 

Il comma 1 dell’articolo 36 del decreto legislativo n. 159 del 2011 (Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione) disciplina la relazione dei beni sequestrati che deve essere redatta dall’amministratore giudiziario e presentata, entro 30 giorni dalla nomina, al giudice delegato. Tale relazione deve contenere:

-          l'indicazione, lo stato e la consistenza dei singoli beni ovvero delle singole aziende, nonché i provvedimenti da adottare per la liberazione dei beni sequestrati;

-          il presumibile valore di mercato dei beni quale stimato dall'amministratore stesso;

-          gli eventuali diritti di terzi sui beni sequestrati;

-          in caso di sequestro di beni organizzati in azienda, l'indicazione della documentazione reperita e le eventuali difformità tra gli elementi dell'inventario e quelli delle scritture contabili;

-          l'indicazione delle forme di gestione più idonee e redditizie dei beni;

-          le eventuali difformità tra quanto oggetto della misura e quanto appreso, nonché l'esistenza di altri beni che potrebbero essere oggetto di sequestro, di cui l'amministratore giudiziario sia venuto a conoscenza.

 

Si prevede, inoltre, una rapida interlocuzione (entro 45 giorni) con gli uffici comunali competenti al fine di comunicare l’esistenza di eventuali abusi e la natura degli stessi. Sono previste disposizioni per i casi di particolare complessità o nei quali si renda necessario il coinvolgimento di altre Amministrazioni o di enti terzi.

 

Il n. 2 della lettera b), integra l’attuale comma 3 del medesimo articolo 36, prevedendo che detta specifica attività di esecuzione delle verifiche tecnico-urbanistiche e di interlocuzione dell’amministratore giudiziario con gli uffici comunali competenti, debba proseguire sino al suo perfezionamento anche dopo il deposito della relativa relazione.

 

La lettera c) modifica l’articolo 38 del Codice antimafia, aggiungendo il comma 3-bis, che prevede che le modalità di calcolo e di liquidazione dei compensi dei coadiutori dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata (ANBSC) siano individuate con decreto, di natura regolamentare, del Ministero dell’interno, da adottarsi di concerto con i Ministri dell’economia e delle finanze e della giustizia. Si prevede che dall'attuazione di tale regolamento non debbano derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

 

L’intervento mira a colmare una lacuna intervenuta a seguito dell’approvazione della legge 1° dicembre 2018, n. 132. Infatti, mentre l’originaria formulazione del D. Lgs. 159/2011 stabiliva che i coadiutori dell’Agenzia venissero retribuiti con i criteri di calcolo utilizzati per gli amministratori giudiziari (successivamente definiti con D.P.R. 7 ottobre 2015, n. 177), la novella del 2018 ha eliminato tale aggancio normativo, nulla disponendo in merito, con il conseguente venir meno di un riferimento certo per determinare il compenso dei coadiutori ANBSC.

 

La lettera d) dispone l’introduzione, all’articolo 40 (Gestione dei beni sequestrati) del Codice antimafia, di un nuovo comma 1-bis, il quale stabilisce che se nell’ambito dell’accertamento tecnico-urbanistico di cui all’articolo 36, comma 2-bis, (introdotto dalla lettera a) del presente articolo) viene accertata la sussistenza di abusi non sanabili, con il provvedimento di confisca il giudice ne ordina la demolizione in danno del soggetto destinatario del provvedimento; si stabilisce, inoltre, che il bene non venga acquisito al patrimonio dell’erario e che l’area di sedime sia acquisita al patrimonio indisponibile del Comune territorialmente competente. La disposizione prevede l’applicazione della disciplina dettata dal Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia (D.P.R. 06/06/2001, n. 380) in materia di interventi abusivi realizzati su suoli di proprietà dello Stato o di enti pubblici.

 

L’area di sedime corrisponde alla proiezione orizzontale della parte fuori terra di un edificio, ad esclusione delle strutture aggettanti, come balconi e pensiline.

 

La lettera e) modifica l’articolo 41 del decreto legislativo n. 159 del 2011, relativo alla gestione delle aziende sequestrate, intervenendo sul meccanismo di valutazione della prosecuzione o ripresa dell’attività aziendale da parte del Giudice delegato. Viene aggiunto il comma 1-novies, che introduce la verifica da parte del Tribunale, con cadenza almeno annuale, del perdurare delle concrete prospettive di prosecuzione o di ripresa dell’attività di impresa, sulla base delle quali il Giudice delegato ha approvato il programma di prosecuzione o di ripresa dell’attività di impresa ai sensi del comma 1-sexies.

Si aggiunge, inoltre, il comma 5-bis, con cui si integra quanto già disposto dal comma 5 del medesimo articolo 48, relativamente alla messa in liquidazione dell’impresa da parte del Tribunale in caso di mancanza di concrete possibilità di prosecuzione o di ripresa dell’attività. Il nuovo comma 5-bis prevede che se mancano concrete possibilità di prosecuzione o di ripresa e se l’impresa è priva di patrimonio utilmente liquidabile, il Tribunale lo comunica all’ufficio del registro delle imprese, che ne dispone la cancellazione entro 60 giorni.

 

La lettera f) prevede l’introduzione del comma 2-ter dell’articolo 44 del Codice antimafia, disponendo che l’Agenzia provveda alle comunicazioni di cui al nuovo comma 5-bis dell’articolo 41 anche a seguito del decreto di confisca emanato dalla Corte d’Appello, previo nulla osta del Giudice delegato.

 

Con la lettera g) si aggiunge il comma 1-bis all’articolo 45-bis del decreto legislativo n. 159 del 2011, rubricato “Liberazione degli immobili e delle aziende”. La disposizione prevede che, dopo il provvedimento definitivo di confisca, non possano prestare lavoro presso l’impresa confiscata i soggetti che sono parenti, coniugi, affini o conviventi con il destinatario della confisca, o coloro che sono stati condannati, anche in primo grado, per il reato di cui all’articolo 416-bis del codice penale (associazioni di tipo mafioso). I contratti sono risolti ex lege.

 

La lettera h) aggiunge il comma 15-quater.1 all’articolo 48 del Codice antimafia, relativo alla destinazione dei beni e delle somme. La nuova disposizione prevede che, qualora nel procedimento finalizzato alla destinazione del bene sia accertata la sussistenza di abusi non sanabili, l’Agenzia promuova incidente di esecuzione, ai sensi dell’articolo 666 del codice di procedura penale, per avviare il procedimento di cui all’articolo 40, comma 1-bis, con cui il giudice dispone la demolizione del bene (si veda lett.c).

 

L’articolo 666 del codice di procedura penale, che disciplina le forme del procedimento di esecuzione, prevede che il giudice dell’esecuzione non possa agire d’ufficio, bensì solo su impulso del pubblico ministero, dell’interessato o del suo difensore. Per quanto concerne tale forma di intervento, il legislatore ha previsto due modelli di incidente d'esecuzione: il procedimento ordinario, che prevede l'instaurazione del contraddittorio tra le parti, e un procedimento semplificato, definito de plano dal giudice, in cui il contraddittorio è solo eventuale e differito alla fase dell'opposizione.

 

La lettera i) modifica l’articolo 51-bis intervenendo sul suo primo comma, relativo all’iscrizione dei provvedimenti giudiziari nel registro delle imprese. In particolare, al comma 1 vengono sostituite le parole “al deposito in cancelleria” con le parole “all’esecuzione del provvedimento”. Tale modifica è introdotta al fine di evitare che il provvedimento di sequestro possa venire iscritto nei pubblici registri prima della sua esecuzione, determinando la “disclosure” della misura cautelare, stabilendo invece che l’iscrizione avvenga entro il giorno successivo all’esecuzione del provvedimento da iscrivere. La stessa lettera h) introduce inoltre il comma 1-bis, il quale prevede che il Tribunale e l’ANBSC richiedano l’iscrizione gratuita presso il registro delle imprese delle modifiche riguardanti le imprese sequestrate e confiscate derivanti dalla loro amministrazione.

 

Infine, la lettera l) interviene sull’articolo 54, comma 2, aggiungendo al terzo periodo, dopo la parola “disponibili” le parole “nel patrimonio aziendale”. La ratio dell’intervento è quella di prevedere che i crediti prededucibili aziendali siano soddisfatti mediante prelievo delle somme disponibili nel relativo patrimonio aziendale.

 

L’articolo 54 disciplina i crediti prededucibili sorti dopo il sequestro aziendale. Ai sensi dell’articolo 111 della Legge fallimentare (Regio decreto 16 marzo 1942, n. 267), i crediti prededucibili sono quei crediti così qualificati da specifiche disposizioni di legge, nonché i crediti che nascono in conseguenza o in ragione della procedura fallimentare, sorti cioè in seguito agli atti compiuti dal curatore dopo la dichiarazione di fallimento.

 

Nel corso dell’esame alla Camera è stato aggiunto un ulteriore comma il quale modifica il comma 53 dell’articolo 1 della legge di bilancio 2020 (legge n.160 del 2019), in materia di contributi agli enti locali per la progettazione definitiva ed esecutiva per la messa in sicurezza del territorio.

 

Il citato comma 53 prevede che l'ammontare del contributo attribuito a ciascun ente locale venga determinato entro il 28 febbraio dell’esercizio di riferimento del contributo, con decreto del Ministero dell'interno, di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze, tenendo conto del seguente ordine prioritario:

·        messa in sicurezza del territorio a rischio idrogeologico;

·        messa in sicurezza di strade, ponti e viadotti;

 

 

Decreto legislativo n. 159 del 2011

Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, nonché nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 13 agosto 2010, n. 136  

Testo vigente

Testo come modificato dall’A.S. 1236

Art. 10

(Impugnazioni

Art. 10

(Impugnazioni)

Commi 1-1-bis (omissis)

Commi 1-1-bis (omissis)

2. Il ricorso non ha effetto sospensivo e deve essere proposto entro dieci giorni dalla comunicazione del provvedimento. La corte d'appello provvede, con decreto motivato, entro trenta giorni dalla proposizione del ricorso. L'udienza si svolge senza la presenza del pubblico. Il presidente dispone che il procedimento si svolga in pubblica udienza quando l'interessato ne faccia richiesta.

2. Il ricorso non ha effetto sospensivo e deve essere proposto entro trenta giorni dalla comunicazione del provvedimento. La corte d'appello provvede, con decreto motivato, entro trenta giorni dalla proposizione del ricorso. L'udienza si svolge senza la presenza del pubblico. Il presidente dispone che il procedimento si svolga in pubblica udienza quando l'interessato ne faccia richiesta.

Art. 36
(Relazione dell'amministratore giudiziario)

Art. 36
(Relazione dell'amministratore giudiziario)

1. L'amministratore giudiziario presenta al giudice delegato, entro trenta giorni dalla nomina, una relazione particolareggiata dei beni sequestrati. La relazione contiene:

a) l'indicazione, lo stato e la consistenza dei singoli beni ovvero delle singole aziende, nonché i provvedimenti da adottare per la liberazione dei beni sequestrati;

b) il presumibile valore di mercato dei beni quale stimato dall'amministratore stesso;

c) gli eventuali diritti di terzi sui beni sequestrati;

d) in caso di sequestro di beni organizzati in azienda, l'indicazione della documentazione reperita e le eventuali difformità tra gli elementi dell'inventario e quelli delle scritture contabili;

e) l'indicazione delle forme di gestione più idonee e redditizie dei beni, anche ai fini delle determinazioni che saranno assunte dal tribunale ai sensi dell'articolo 41.

1. Identico

 

 

 

2. La relazione di cui al comma 1 indica anche le eventuali difformità tra quanto oggetto della misura e quanto appreso, nonché l'esistenza di altri beni che potrebbero essere oggetto di sequestro, di cui l'amministratore giudiziario sia venuto a conoscenza.

2. Identico

 

2-bis. Nella relazione di cui al comma 1, l’amministratore giudiziario illustra, altresì, in dettaglio, le caratteristiche tecnico-urbanistiche dei beni immobili, evidenziando, in particolare, la sussistenza di eventuali abusi nonché i possibili impieghi dei cespiti in rapporto ai vigenti strumenti urbanistici generali, anche ai fini delle valutazioni preordinate alla destinazione dei beni. A tale scopo l’amministratore giudiziario formula, se necessario, apposita istanza ai competenti uffici comunali che la riscontrano entro e non oltre 45 giorni dalla richiesta, dando comunicazione dell’eventuale sussistenza di abusi e della natura degli stessi. Qualora la verifica risulti di particolare complessità o si renda necessario il coinvolgimento di altre Amministrazioni o di enti terzi, i competenti uffici comunali forniscono all’amministratore giudiziario, entro il predetto termine di 45 giorni, le risultanze dei primi accertamenti e le informazioni in merito alle ulteriori azioni avviate e sono successivamente tenuti a comunicare gli esiti del procedimento.

3. Ove ricorrano giustificati motivi, il termine per il deposito della relazione può essere prorogato dal giudice delegato per non più di novanta giorni. Successivamente l’amministratore giudiziario redige, con la frequenza stabilita dal giudice, una relazione periodica sull’amministrazione, che trasmette anche all’Agenzia, esibendo, ove richiesto, i relativi documenti giustificativi.

3. Ove ricorrano giustificati motivi, il termine per il deposito della relazione può essere prorogato dal giudice delegato per non più di novanta giorni.

L’amministratore giudiziario, proseguendo se necessario l’interlocuzione con i compenti uffici comunali sino al termine del procedimento di verifica di cui al comma 2-bis, assicura comunque il completamento delle verifiche tecnico-urbanistiche anche dopo l’avvenuto

deposito della relazione, provvedendo a comunicare gli esiti relativi. Successivamente l’amministratore giudiziario redige, con la frequenza stabilita dal giudice, una relazione periodica sull’amministrazione, che trasmette anche all’Agenzia, esibendo, ove richiesto, i relativi documenti giustificativi.

4. La cancelleria dà avviso alle parti del deposito della relazione dell’amministratore giudiziario ed esse possono prenderne visione ed estrarne copia limitatamente ai contenuti di cui alla lettera b) del comma 1. Ove siano formulate contestazioni motivate sulla stima dei beni entro venti giorni dalla ricezione dell’avviso, il tribunale, se non le ritiene inammissibili, sentite le parti, procede all’accertamento del presumibile valore di mercato dei beni medesimi nelle forme della perizia ai sensi degli articoli 220 e seguenti del codice di procedura penale. Fino alla conclusione della perizia, la gestione prosegue con le modalità stabilite dal giudice delegato.

4. Identico

Art. 38
(Compiti dell’Agenzia)

Art. 38
(Compiti dell’Agenzia)

1. Fino al decreto di confisca di secondo grado emesso dalla corte di appello nei procedimenti di prevenzione, l’Agenzia svolge attività di ausilio e di supporto all’autorità giudiziaria, con le modalità previste dagli articoli 110, 111 e 112, proponendo altresì al tribunale l’adozione di tutti i provvedimenti necessari per la migliore utilizzazione del bene in vista della sua destinazione o assegnazione.

1. Identico

2. All’Agenzia sono comunicati per via telematica i provvedimenti di modifica o revoca del sequestro, quelli di autorizzazione al compimento di atti di amministrazione straordinaria e i dati, individuati dal regolamento di attuazione previsto dall’articolo 113, comma 1, lettera c), indispensabili per lo svolgimento dei propri compiti istituzionali. L’Agenzia effettua le comunicazioni telematiche con l’autorità giudiziaria attraverso il proprio sistema informativo, aggiornando dalla data del provvedimento di confisca di secondo grado i dati necessari per consentire quanto previsto dagli articoli 40, comma 3-ter, e 41, comma 2-ter.

2. Identico

3. Con il provvedimento di confisca emesso in giudizio di appello l’amministrazione dei beni è conferita all’Agenzia, che ne cura la gestione fino all’emissione del provvedimento di destinazione. L’Agenzia si avvale, per la gestione, di un coadiutore, che può essere individuato nell’amministratore giudiziario nominato dal tribunale, salvo che ricorrano le ipotesi di cui all’articolo 35, comma 7, o che sussistano altri giusti motivi. Qualora sia diverso dall’amministratore giudiziario, il coadiutore nominato dall’Agenzia deve essere scelto tra gli iscritti, rispettivamente, agli albi richiamati all’articolo 35, commi 2 e 2-bis. L’Agenzia comunica al tribunale il provvedimento di conferimento dell’incarico. L’incarico ha durata fino alla destinazione del bene, salvo che intervenga revoca espressa. All’attuazione del presente comma, si provvede con le risorse umane e finanziarie disponibili a legislazione vigente.

3. Identico

 

3-bis. Con decreto del Ministro dell’interno, di concerto con i Ministri dell’economia e delle finanze e della giustizia, è adottato, ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, un Regolamento recante disposizioni in materia di modalità di calcolo e liquidazione dei compensi dei coadiutori dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata. Dall’attuazione del regolamento di cui al primo periodo non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

4. L’amministratore giudiziario, dopo il decreto di confisca di secondo grado emesso dalla corte di appello, provvede agli adempimenti di cui all’articolo 42 e all’approvazione del rendiconto della gestione giudiziale dinanzi al giudice delegato. Per l’attività di amministrazione condotta sotto la direzione dell’Agenzia il coadiutore predispone separato conto di gestione. L’Agenzia provvede all’approvazione del nuovo rendiconto della gestione.

4. Identico

5. L’Agenzia, entro un mese dalla comunicazione del deposito del provvedimento di confisca di secondo grado, pubblica nel proprio sito internet l’elenco dei beni immobili oggetto di confisca al fine di facilitare la richiesta di utilizzo da parte degli aventi diritto.

5. Identico

6. L’Agenzia promuove le intese con l’autorità giudiziaria per assicurare, attraverso criteri di trasparenza, la rotazione degli incarichi degli amministratori, la corrispondenza tra i profili professionali e i beni sequestrati, nonché la pubblicità dei compensi percepiti, secondo modalità stabilite con decreto emanato dal Ministro dell’interno e dal Ministro della giustizia.

6. Identico

7. Salvo che sia diversamente stabilito, le disposizioni del presente decreto relative all’amministratore giudiziario si applicano anche all’Agenzia, nei limiti delle competenze alla stessa attribuite ai sensi del comma 3.

7. Identico

Art. 40
(Gestione dei beni sequestrati)

Art. 40
(Gestione dei beni sequestrati)

1. Il giudice delegato impartisce le direttive generali della gestione dei beni sequestrati, anche avvalendosi dell’attività di ausilio e supporto dell’Agenzia ai sensi degli articoli 110, 111 e 112. 1. Il giudice delegato impartisce le direttive generali della gestione dei beni sequestrati, anche avvalendosi dell’attività di ausilio e supporto dell’Agenzia ai sensi degli articoli 110, 111 e 112.

1. Identico

 

1-bis. Se nell’ambito dell’accertamento tecnico-urbanistico di cui all’articolo 36, comma 2-bis, viene accertata la sussistenza di abusi non sanabili, il giudice, con il provvedimento di confisca, ne ordina la demolizione in danno del soggetto destinatario del provvedimento ed il bene non viene acquisito al patrimonio dell’Erario. L’area di sedime è acquisita al patrimonio indisponibile del Comune territorialmente competente. Si applicano le disposizioni di cui al d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 in materia di interventi abusivi realizzati su suoli di proprietà dello Stato o di enti pubblici.

[Commi da 2 a 5-quinquies: omissis]

Identici

Art. 41
(Gestione delle aziende sequestrate)

Art. 41
(Gestione delle aziende sequestrate)

1. Nel caso in cui il sequestro abbia ad oggetto aziende di cui agli articoli 2555 e seguenti del codice civile, anche per effetto del sequestro avente a oggetto partecipazioni societarie, l'amministratore giudiziario è scelto nella sezione di esperti in gestione aziendale dell'Albo nazionale degli amministratori giudiziari. Dopo la relazione di cui all'articolo 36, comma 1, l'amministratore giudiziario, entro tre mesi dalla sua nomina, prorogabili a sei mesi per giustificati motivi dal giudice delegato, presenta una relazione, che trasmette anche all'Agenzia, contenente:

a) gli ulteriori dati acquisiti, integrativi di quelli già esposti nella relazione di cui all'articolo 36, comma 1;

b) l'esposizione della situazione patrimoniale, economica e finanziaria, con lo stato analitico ed estimativo delle attività;

c) una dettagliata analisi sulla sussistenza di concrete possibilità di prosecuzione o di ripresa dell'attività, tenuto conto del grado di caratterizzazione della stessa con il proposto e i suoi familiari, della natura dell'attività esercitata, delle modalità e dell'ambiente in cui è svolta, della forza lavoro occupata e di quella necessaria per il regolare esercizio dell'impresa, della capacità produttiva e del mercato di riferimento nonché degli oneri correlati al processo di legalizzazione dell'azienda. Nel caso di proposta di prosecuzione o di ripresa dell'attività è allegato un programma contenente la descrizione analitica delle modalità e dei tempi di adempimento della proposta, che deve essere corredato, previa autorizzazione del giudice delegato, della relazione di un professionista in possesso dei requisiti di cui all'articolo 67, terzo comma, lettera d), del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, e successive modificazioni, che attesti la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del programma medesimo, considerata la possibilità di avvalersi delle agevolazioni e delle misure previste dall'articolo 41-bis del presente decreto;

d) la stima del valore di mercato dell'azienda, tenuto conto degli oneri correlati al processo di legalizzazione della stessa;

e) l'indicazione delle attività esercitabili solo con autorizzazioni, concessioni e titoli abilitativi.

1. Identico

[commi da 1-bis a 1-quinquies: omissis]

Identici

1-sexies. Il tribunale esamina la relazione di cui al comma 1, depositata dall'amministratore giudiziario, in camera di consiglio ai sensi dell'articolo 127 del codice di procedura penale con la partecipazione del pubblico ministero, dei difensori delle parti, dell'Agenzia e dell'amministratore giudiziario, che vengono sentiti se compaiono. Ove rilevi concrete prospettive di prosecuzione o di ripresa dell'attività dell'impresa, il tribunale approva il programma con decreto motivato e impartisce le direttive per la gestione dell'impresa.

1-sexies. Identico

[comma 1-septies e 1-octies: omissis]

Identici

 

1-nonies. Nei casi di approvazione del programma di prosecuzione ai sensi del comma 1 sexies, il Tribunale verifica con cadenza almeno annuale il perdurare delle prospettive di cui al comma 1-sexies, secondo periodo.

[commi da 2 a 4: omissis]

Identici

5. Se mancano concrete possibilità di prosecuzione o di ripresa dell'attività, il tribunale, acquisito il parere del pubblico ministero, dei difensori delle parti e dell'amministratore giudiziario, dispone la messa in liquidazione dell'impresa. In caso di insolvenza, si applica l'articolo 63, comma 1.

5. Identico

 

5-bis. Nei casi di imprese mancanti di concrete possibilità di prosecuzione o di ripresa e prive di patrimonio utilmente liquidabile, il Tribunale ne dà comunicazione all’ufficio del registro delle imprese che dispone la cancellazione entro 60 giorni dalla relativa comunicazione.

[commi 6 e 6-bis: omissis]

Identici

Art. 44
(Gestione dei beni confiscati)

Art. 44
(Gestione dei beni confiscati)

1. L'Agenzia gestisce i beni confiscati anche in via non definitiva dal decreto di confisca della corte di appello, ai sensi dell'articolo 20 della legge 23 dicembre 1993, n. 559, e, in quanto applicabile, dell'articolo 40 del presente decreto, nonché sulla base degli indirizzi e delle linee guida adottati dal Consiglio direttivo dell'Agenzia medesima ai sensi dell'articolo 112, comma 4, lettera d). Essa provvede al rimborso ed all'anticipazione delle spese, nonché alla liquidazione dei compensi che non trovino copertura nelle risorse della gestione, anche avvalendosi di apposite aperture di credito disposte, a proprio favore, sui fondi dello specifico capitolo istituito nello stato di previsione della spesa del Ministero dell'economia e delle finanze, salva, in ogni caso, l'applicazione della normativa di contabilità generale dello Stato e del decreto del Presidente della Repubblica 20 aprile 1994, n. 367.

1. Identico

2. L'Agenzia richiede al giudice delegato il nulla osta al compimento degli atti di cui all'articolo 40, comma 3.

2. Identico

2-bis. Per il recupero e la custodia dei veicoli a motore e dei natanti confiscati, l'Agenzia applica le tariffe stabilite con il decreto del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, emanato ai sensi dell'articolo 59 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115. Ferme restando le tariffe stabilite dal periodo precedente, l'Agenzia può avvalersi di aziende da essa amministrate operanti nello specifico settore.

2-bis. Identico

 

2-ter. L’Agenzia dopo il decreto di confisca della corte d’appello provvede alle comunicazioni di cui all’articolo 41, comma 5-bis, previo nulla osta del giudice delegato.

Art. 45-bis

(Liberazione degli immobili e delle aziende)

Art. 45-bis

(Liberazione degli immobili e delle aziende)

1. L'Agenzia, ricevuta la comunicazione del provvedimento definitivo di confisca, qualora l'immobile risulti ancora occupato, con provvedimento revocabile in ogni momento, può differire l'esecuzione dello sgombero o dell'allontanamento nel caso previsto dall'articolo 40, comma 3-ter, ovvero qualora lo ritenga opportuno in vista dei provvedimenti di destinazione da adottare.

1. Identico

 

1-bis. Dopo la definitività non possono prestare lavoro presso l’impresa confiscata i soggetti che sono parenti, coniugi, affini o conviventi con il destinatario della confisca, o coloro che sono stati condannati, anche in primo grado, per il reato di cui all’articolo 416-

bis del codice penale. I relativi contratti sono risolti ex lege.

Art. 48

(Destinazione dei beni e delle somme)

Art. 48

(Destinazione dei beni e delle somme)

[commi da 1 a 15-ter: omissis]

Identici

15-quater. I beni di cui al comma 5 che rimangono invenduti, decorsi tre anni dall'avvio della relativa procedura, sono mantenuti al patrimonio dello Stato con provvedimento dell'Agenzia. La relativa gestione è affidata all'Agenzia del demanio.

15-quater. Identico

 

15-quater.1. Qualora nel corso del procedimento finalizzato alla destinazione del bene sia accertata, la sussistenza di abusi non sanabili, l’Agenzia promuove incidente di esecuzione, ai sensi dell’articolo 666 del codice di procedura penale, innanzi al giudice delegato competente che avvia il procedimento di cui all’articolo 40, comma 1-bis.

[comma 15-quinquies: omissis]

15-quinquies. Identico

Art. 51-bis

(Iscrizione di provvedimenti al registro delle imprese)

Art. 51-bis

(Iscrizione di provvedimenti al registro delle imprese)

1. Il decreto di sequestro di cui all'articolo 20, il decreto di confisca di cui all'articolo 24, i provvedimenti di cui agli articoli 34 e 34-bis, la nomina dell'amministratore giudiziario ai sensi dell'articolo 41, il provvedimento di cui all'articolo 45, nonché tutti i provvedimenti giudiziari di cui al presente decreto comunque denominati, relativi ad imprese, a società o a quote delle stesse, sono iscritti al registro delle imprese, su istanza della cancelleria, entro il giorno successivo al deposito in cancelleria, con le modalità individuate dal regolamento emanato ai sensi dell'articolo 8, comma 6-bis, della legge 29 dicembre 1993, n. 580. Nelle more dell'emanazione del regolamento di cui al periodo precedente si applica l'articolo 8, comma 6-ter, della citata legge n. 580 del 1993.

1. Il decreto di sequestro di cui all'articolo 20, il decreto di confisca di cui all'articolo 24, i provvedimenti di cui agli articoli 34 e 34-bis, la nomina dell'amministratore giudiziario ai sensi dell'articolo 41, il provvedimento di cui all'articolo 45, nonché tutti i provvedimenti giudiziari di cui al presente decreto comunque denominati, relativi ad imprese, a società o a quote delle stesse, sono iscritti al registro delle imprese, su istanza della cancelleria, entro il giorno successivo all’esecuzione del provvedimento, con le modalità individuate dal regolamento emanato ai sensi dell'articolo 8, comma 6-bis, della legge 29 dicembre 1993, n. 580. Nelle more dell'emanazione del regolamento di cui al periodo precedente si applica l'articolo 8, comma 6-ter, della citata legge n. 580 del 1993.

 

1-bis. Il Tribunale o l’Agenzia iscrivono presso il Registro delle imprese, senza oneri, ogni modifica riguardante le imprese sequestrate e confiscate derivante dalla loro amministrazione ai sensi del presente decreto legislativo, comprese quelle relative alla loro destinazione.

Art. 54

(Pagamento di crediti prededucibili)

Art. 54

(Pagamento di crediti prededucibili)

1. I crediti prededucibili sorti nel corso del procedimento di prevenzione che sono liquidi, esigibili e non contestati, non debbono essere accertati secondo le modalità previste dagli articoli 57, 58 e 59, e possono essere soddisfatti, in tutto o in parte, al di fuori del piano di riparto, previa autorizzazione del giudice delegato.

1. Identico

2. Se l'attivo è sufficiente e il pagamento non compromette la gestione, al pagamento di cui al comma 1 provvede l'amministratore giudiziario mediante prelievo dalle somme disponibili. In caso contrario, il pagamento è anticipato dallo Stato. Tuttavia, se la confisca ha ad oggetto beni organizzati in azienda e il tribunale ha autorizzato la prosecuzione dell'attività, la distribuzione avviene mediante prelievo delle somme disponibili secondo criteri di graduazione e proporzionalità, conformemente all'ordine assegnato dalla legge.

2. Se l'attivo è sufficiente e il pagamento non compromette la gestione, al pagamento di cui al comma 1 provvede l'amministratore giudiziario mediante prelievo dalle somme disponibili nel patrimonio aziendale. In caso contrario, il pagamento è anticipato dallo Stato. Tuttavia, se la confisca ha ad oggetto beni organizzati in azienda e il tribunale ha autorizzato la prosecuzione dell'attività, la distribuzione avviene mediante prelievo delle somme disponibili secondo criteri di graduazione e proporzionalità, conformemente all'ordine assegnato dalla legge.

3. Il giudice delegato, con il decreto di autorizzazione di cui al comma 1, indica il soggetto tenuto al pagamento del credito prededucibile.

3. Identico

 

Legge 27 dicembre 2019, n. 160

Testo vigente

Testo come modificato dall’AC 1660-A

Art. 1, comma 53

Art. 1, comma 53

53. L'ammontare del contributo attribuito a ciascun ente locale è determinato entro il 28 febbraio dell'esercizio di riferimento del contributo, con decreto del Ministero dell'interno, di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze, tenendo conto del seguente ordine prioritario:

53. Identico

a) messa in sicurezza del territorio a rischio idrogeologico;

a) identica;

b) messa in sicurezza di strade, ponti e viadotti;

b) identica;

c) messa in sicurezza ed efficientamento energetico degli edifici, con precedenza per gli edifici scolastici, e di altre strutture di proprietà dell'ente.

c) messa in sicurezza ed efficientamento energetico degli edifici, con precedenza per gli edifici scolastici, e di altre strutture di proprietà dell'ente, ivi compresi i beni destinati con provvedimento dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata

 


Articolo 8
(Armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alla messa a disposizione sul mercato di articoli pirotecnici)

 

 

L’articolo 8 modifica la definizione di “articolo pirotecnico”, contenuta nel D.lgs. 29 luglio 2015, n. 123. Con tale modifica, l'ordinamento interno viene adeguato alla nuova definizione unionale di articolo pirotecnico, introdotta nell’anno 2021. Secondo tale nuova definizione, gli effetti calorifici, luminosi, sonori, gassosi e fumogeni sono riferiti non più alle sostanze esplosive contenute nel prodotto, ma al prodotto medesimo.

 

L’articolo 8 modifica la definizione di “articolo pirotecnico”, contenuta nell’articolo 2 comma 1, lett. a) del D.lgs. 29 luglio 2015, n. 123, di recepimento della Direttiva 2013/29/UE concernente l'armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alla messa a disposizione sul mercato di articoli pirotecnici.

La citata lettera a) - nella sua formulazione vigente – definisce «articolo pirotecnico» qualsiasi articolo contenente sostanze esplosive o una miscela esplosiva di sostanze destinate a produrre un effetto calorifico, luminoso, sonoro, gassoso o fumogeno o una combinazione di tali effetti grazie a reazioni chimiche esotermiche auto mantenute.

 

Con la modifica apportata all’articolo in esame, viene sostituito il termine “destinate” con il termine “destinato”. Pertanto, viene ora definito «articolo pirotecnico» qualsiasi articolo contenente sostanze esplosive o una miscela esplosiva di sostanze destinato a produrre un effetto calorifico, luminoso, sonoro, gassoso o fumogeno o una combinazione di tali effetti grazie a reazioni chimiche esotermiche auto mantenute.

 

Si evidenzia che la definizione di articolo pirotecnico originariamente contenuta nell’articolo 3, par. 1, punto 1) della Direttiva 2013/29/UE (corrispondente a quella attualmente vigente nell’ordinamento nazionale) è stata oggetto di rettifica, pubblicata in GUUE del 18 marzo 2021. In virtù di questa rettifica, la definizione attuale di “articolo pirotecnico” è la seguente: qualsiasi articolo contenente sostanze esplosive o una miscela esplosiva di sostanze destinato a produrre un effetto calorifico, luminoso, sonoro, gassoso o fumogeno o una combinazione di tali effetti grazie a reazioni chimiche esotermiche auto mantenute.

 

Come anche evidenziato dalla relazione illustrativa di accompagnamento all’A.C. 1660, la proposta emendativa in oggetto trova quindi il suo fondamento nella necessità di adeguare l'ordinamento interno alla normativa unionale che, con la rettifica della direttiva 2013/29/UE, ha coniato una nuova definizione di articolo pirotecnico. In virtù di quest'ultima, afferma la relazione, gli effetti calorifici, luminosi, sonori, gassosi e fumogeni o una combinazione di tali effetti, sono riferiti non più alle sostanze esplosive contenute nel prodotto, ma al prodotto medesimo.

La novella, pertanto, in analogia a quanto avvenuto in ambito unionale, consente il recepimento, nell'ordinamento interno, di tale nuova specifica definizione, apportando la correzione alla definizione di “articolo pirotecnico”, in modo da assicurare controlli di polizia più mirati e coerenti.

 

 

 

La direttiva 2013/29/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 12 giugno 2013, concernente l'armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alla messa a disposizione sul mercato di articoli pirotecnici muniti della marcatura CE, ha abrogato, per rifusione, la precedente direttiva 2007/23/CE. La Direttiva 2013/29/UE è stata recepita nell’ordinamento nazionale con il Decreto legislativo 29 luglio 2015, n. 123.

La direttiva 2013/29/UE si applica agli articoli pirotecnici come definiti dall’articolo 3, par. 1[14]. Tale definizione, sopra richiamata, come detto, è stata rettificata nell’anno 2021 (GUUE 18 marzo 2021).

La direttiva elenca le categorie di articoli pirotecnici a cui è applicabile, in base al tipo di impiego, e fissa i requisiti essenziali di sicurezza che gli articoli pirotecnici devono soddisfare per poter essere messi a disposizione sul mercato. Tali requisiti figurano nell’Allegato I (articolo 1). La direttiva stabilisce le procedure di valutazione della conformità[15] e stabilisce i limiti minimi di età e altre restrizioni sull’accesso agli articoli pirotecnici. In particolare, i limiti di età sono i seguenti:

·         Fuochi d’artificio: categoria F1: 12 anni; categoria F2: 16 anni; categoria F3: 18 anni.

·         Articoli pirotecnici teatrali: categoria T1: 18 anni.

·         Altri articoli pirotecnici: categoria P1: 18 anni.

·         Alcuni articoli pirotecnici possono essere messi a disposizione unicamente di persone con conoscenze specialistiche, ad esempio i fuochi d’artificio di categoria F4, ovvero i fuochi d’artificio per uso professionale, che presentano un rischio potenziale elevato.

Gli Stati membri possono innalzare i limiti di età e aumentare le restrizioni sulla disponibilità al pubblico di alcuni articoli pirotecnici per motivi di ordine pubblico, pubblica sicurezza, salute e tutela dell’ambiente.

Tutte le imprese e aziende operanti nella catena di fornitura e distribuzione devono garantire la messa a disposizione sul mercato solo di articoli pirotecnici conformi alla presente direttiva. La direttiva definisce gli obblighi di ognuna delle parti che intervengono lungo la catena.

I fabbricanti devono indicare sull’articolo pirotecnico il proprio nome, la propria denominazione commerciale registrata e l’indirizzo postale al quale possono essere contattati oppure, ove ciò non sia possibile, sull’imballaggio o in un documento di accompagnamento di ciascun articolo. Le informazioni relative ai recapiti devono essere in una lingua facilmente comprensibile dagli utenti finali e dalle autorità di vigilanza del mercato.

Le istruzioni e le informazioni sulla sicurezza devono essere in una lingua che può essere facilmente compresa dai consumatori e da altri utilizzatori finali dello Stato membro in cui l’articolo viene reso disponibile sul mercato.

L’etichettatura deve essere nella lingua ufficiale o nelle lingue ufficiali dello Stato membro in cui l’articolo pirotecnico è messo a disposizione. L’etichetta deve comprendere almeno le informazioni minime richieste dalla direttiva.

Ai fini della vigilanza del mercato, i fabbricanti devono compilare una dichiarazione di conformità dell’Unione per ciascun prodotto a norma del modello indicato nell’allegato III della direttiva, che conferma che il prodotto soddisfa i requisiti essenziali di sicurezza. Tramite la compilazione della dichiarazione di conformità dell’Unione, il fabbricante si assume la responsabilità legale della conformità dell’articolo pirotecnico ai requisiti della direttiva. I fabbricanti devono garantire che l’etichettatura rechi il numero di registrazione assegnato al prodotto dall’organismo notificato che esegue la valutazione.

Le aziende importatrici devono garantire di immettere sul mercato solo prodotti conformi alla presente direttiva e assicurare che:

·         il fabbricante abbia eseguito la procedura di valutazione di conformità;

·         la marcatura di conformità CE sia apposta sull’articolo pirotecnico;

·         l’etichettatura soddisfi i requisiti;

·         i documenti compilati dall’azienda produttrice siano disponibili alle autorità competenti su richiesta.

I fabbricanti e gli importatori conservano entrambi i numeri di registrazione degli articoli che mettono a disposizione sul mercato[16].

La direttiva richiede agli Stati membri di garantire che i fabbricanti, gli importatori, i distributori e i venditori al minuto ecc. possano immettere sul mercato solo articoli pirotecnici che siano adeguatamente immagazzinati e usati per la finalità prevista, affinché non mettano in pericolo la salute e l’incolumità delle persone.

Gli Stati membri devono stabilire norme relative alle sanzioni applicabili nel caso in cui le parti non rispettino i requisiti della direttiva. Tali norme possono comprendere sanzioni penali in caso di violazioni gravi.

Il Decreto legislativo 29 luglio 2015, n. 123 recepisce la citata Direttiva[17], recando, attualmente, all’articolo 2, comma 1, lett. a) la definizione di articolo pirotecnico ante rettifica del 2021.


Articolo 9
(Revoca della cittadinanza)

 

 

L’articolo 9 interviene sulle ipotesi di revoca della cittadinanza italiana in caso di condanna definitiva per i reati di terrorismo ed eversione ed altri gravi reati, introdotte nel 2018 (art. 10-bis, L. 91/1992) stabilendo che non si può procedere alla revoca ove l’interessato non possieda un’altra cittadinanza ovvero non ne possa acquisire altra. Al contempo, si estende da tre a dieci anni dal passaggio in giudicato della sentenza di condanna il termine per poter adottare il provvedimento di revoca.

 

A tale fine, l’articolo 9 modifica l’articolo 10-bis, comma 1, della legge 5 febbraio 1992, n. 91, introdotto dal D.L. n. 113 del 2018 (art. 14, co. 1, lett. d), il quale prevede la revoca della cittadinanza in caso di condanna definitiva per alcuni gravi reati.

 

Si tratta, in particolare, delle seguenti fattispecie:

-          delitti commessi per finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine costituzionale per i quali la legge prevede la pena della reclusione non inferiore, nel minimo, a 5 anni o nel massimo a 10 anni (art. 407, comma 2, lett. a), n. 4);

-          ricostituzione, anche sotto falso nome o in forma simulata, di associazioni sovversive delle quali sia stato ordinato lo scioglimento (art. 407, co. 1, lett. a) n. 4, che rinvia all’art. 270, terzo comma, c.p.);

-          partecipazione a banda armata (art. 407, co. 1, lett. a) n. 4, che rinvia all’art. 306, secondo comma, c.p.);

-          assistenza agli appartenenti ad associazioni sovversive o associazioni con finalità di terrorismo, anche internazionale (art. 270-ter c.p.). Questa fattispecie è espressamente richiamata dal legislatore in quanto, per l’entità della pena prevista, non rientra nel catalogo di delitti di cui all’art. 407, co. 2, lett. a) n. 4) c.p.p.;

-          sottrazione di beni o denaro sottoposti a sequestro per prevenire il finanziamento del terrorismo (art. 270-quinquies.2 c.p.). Anche questa fattispecie è espressamente richiamata dal legislatore in quanto, per l’entità della pena prevista, non rientra nel catalogo di delitti di cui all’art. 407, co. 2, lett. a) n. 4) c.p.p.

 

In base alla attuale formulazione, la revoca della cittadinanza è adottata con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro dell’interno, entro tre anni dal passaggio in giudicato della sentenza di condanna.

 

Le fattispecie di revoca sono applicabili solo nel caso in cui la cittadinanza italiana sia stata acquisita per matrimonio (art. 5, L. n. 91/1992), per naturalizzazione (art. 9), ovvero ai sensi dell’articolo 4, co. 2, della medesima legge. Tale ultima ipotesi riguarda i casi di acquisto della cittadinanza dello straniero nato in Italia, che vi abbia risieduto legalmente senza interruzioni fino al raggiungimento della maggiore età. Tale revoca è pertanto esclusa per i cittadini italiani iure sanguinis.

 

In particolare, la lettera a) del comma unico dell’articolo in esame integra la previsione del citato articolo 10-bis, inserendo la clausola secondo la quale si può procedere al provvedimento di revoca a condizione che il soggetto condannato in via definitiva per quei reati “possieda” un’altra cittadinanza ovvero ne “possa acquisire” altra.

Come esplicitato nella relazione illustrativa di accompagnamento all’A.C. 1660, la ratio della proposta è data dalla necessità di prevenire situazioni di apolidia, che, invece, verrebbero a crearsi laddove, in caso di revoca della cittadinanza italiana, l’interessato non possieda o non possa acquisire altra cittadinanza. In tal modo s’intende garantire il rispetto della Convenzione delle Nazioni Unite sui casi di apolidia, fatta a New York il 30 agosto 1961, che prevede che uno Stato contraente non possa privare una persona della cittadinanza quando tale perdita renda la persona apolide, fatte salve alcune circostanze. La medesima Convenzione subordina la perdita della cittadinanza in casi specifici, ove prevista dalla legge di uno Stato contraente, al possesso o all’acquisizione di un’altra cittadinanza (si v. ad esempio, articolo 5, in base al quale se la legge di uno Stato Contraente comporta la perdita della cittadinanza a seguito di una qualsiasi variazione dello status personale di un individuo, tale perdita sarà subordinata al possesso o all'acquisizione di un'altra cittadinanza).

Nella novella in esame, - al fine di render il vigente testo di legge maggiormente aderente ai principi della convenzione del 61 - la revoca è subordinata al possesso di altra cittadinanza, ovvero alla circostanza “che possa essere acquisita” altra cittadinanza. In proposito, alla luce delle finalità espresse nella relazione illustrativa di prevenire una situazione di apolidia, si valuti l’opportunità di specificare meglio tale ultima espressione; in particolare, si valuti l’opportunità di chiarire se, in attuazione della disposizione, la revoca della cittadinanza possa verificarsi anche nei casi in cui la possibilità di acquisire un’altra cittadinanza poi in concreto non si realizzi.

L’opportunità di approfondire tale aspetto è stata segnalata anche dal parere espresso sul provvedimento dal Comitato per la legislazione della Camera nella seduta del 29 maggio 2024.

 

Si ricorda, in proposito, che l’art. 15 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo ogni individuo ha diritto a possedere “una cittadinanza”, a non esserne “arbitrariamente privato” e a mutarla.

In conformità con il citato art. 15, vige il principio internazionale che impone di limitare il fenomeno dell’apolidia. In proposito, si ricorda che l’Italia ha sottoscritto e ratificato la Convenzione delle Nazioni Unite sulla riduzione dei casi di apolidia, fatta a New York il 30 agosto 1961. La Convenzione prevede in particolare che nessuno Stato Contraente può privare una persona della sua cittadinanza, qualora tale privazione rendesse tale persona apolide (articolo 8, paragrafo 1). Al tempo stesso dispone la facoltà degli stati contraenti (articolo 8, paragrafo 3) di mantenere il diritto di privare una persona della sua cittadinanza qualora al momento della firma, della ratifica o dell’adesione specifichi l’intenzione di conservare tale diritto su uno o più dei seguenti motivi, a condizione che in quella circostanza tali motivi fossero presenti nel proprio diritto nazionale:

1) nel caso in cui, incompatibilmente con il suo dovere di lealtà verso lo Stato Contraente, la persona, in violazione di un divieto esplicito dallo Stato Contraente, abbia reso o continuato a prestare servizi, oppure abbia ricevuto o continuato a ricevere emolumenti da un altro Stato, oppure si sia comportata in modo da recare grave pregiudizio agli interessi vitali dello Stato;

2) nel caso in cui la persona abbia prestato un giuramento, o reso una dichiarazione formale di fedeltà ad un altro Stato, o dato prova definitiva della sua determinazione a ripudiare la sua fedeltà allo Stato Contraente.

Uno Stato Contraente non potrà esercitare tale potere di privazione se non in conformità con la legge, che dovrà prevedere per l'interessato il diritto ad un equo processo dì fronte a un tribunale o ad altro organo indipendente.

L’Italia ha ratificato e reso esecutiva tale Convenzione con la legge n. 162 del 2015, avvalendosi della facoltà di cui all'articolo 8, paragrafo 3, della Convenzione.

 

Con una seconda modifica all’art. 10-bis, comma 1, della legge n. 91/1992, la lettera b) estende da tre a dieci anni il termine entro il quale poter esercitare la revoca della cittadinanza concessa allo straniero in presenza di condanne definitive per i reati ivi previsti.

 

 

 


Articolo 10
(Occupazione arbitraria di immobile destinato a domicilio altrui)

 

 

L’articolo 10, modificato dalla Camera, prevede norme volte a contrastare l’occupazione abusiva di immobili, introducendo il reato di occupazione arbitraria di immobile destinato a domicilio altrui (o delle relative pertinenze) e una procedura d’urgenza per il rilascio dell’immobile e la reintegrazione nel possesso.

 

L’articolo in commento reca misure per il contrasto del fenomeno dell’occupazione arbitraria di immobile destinato a domicilio altrui.

A tal fine, esso prevede l’inserimento nel codice penale, nell’ambito dei delitti contro il patrimonio, dell’articolo 634-bis (Occupazione arbitraria di immobile destinato a domicilio altrui) e nel codice di procedura penale dell’articolo 321-bis (Reintegrazione nel possesso dell’immobile).

 

Si ricorda che l’art. 633 c.p. (Invasione di terreni o di edifici) punisce con la reclusione da 1 a 3 anni e con la multa da euro 103 a euro 1.032 chiunque invade arbitrariamente terreni o edifici altrui, pubblici o privati, al fine di occuparli o di trarne altrimenti profitto. Il delitto è punibile a querela (primo comma).

Si applica la pena della reclusione da 2 a 4 anni e della multa da euro 206 a euro 2064 e si procede d'ufficio se il fatto è commesso da più di cinque persone o da persona palesemente armata (secondo comma).

La pena per i promotori e gli organizzatori è aumentata fino a un terzo se il fatto è commesso da due o più persone (terzo comma).

 

L’art. 633-bis (Invasione di terreni o edifici con pericolo per la salute pubblica o l'incolumità pubblica), introdotto dall’art. 5, comma 1, del DL 162/2022, conv. con modificaz. dalla legge 199/2029 (cd “decreto rave party”) punisce con la reclusione da 3 a 6 anni e con la multa da euro 1.000 a euro 10.000 chiunque organizza o promuove l'invasione arbitraria di terreni o edifici altrui, pubblici o privati, al fine di realizzare un raduno musicale o avente altro scopo di intrattenimento, quando dall'invasione deriva un concreto pericolo per la salute pubblica o per l'incolumità pubblica a causa dell'inosservanza delle norme in materia di sostanze stupefacenti ovvero in materia di sicurezza o di igiene degli spettacoli e delle manifestazioni pubbliche di intrattenimento, anche in ragione del numero dei partecipanti ovvero dello stato dei luoghi (primo comma).

È sempre ordinata la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato di cui al primo comma, nonché di quelle utilizzate per realizzare le finalità dell'occupazione o di quelle che ne sono il prodotto o il profitto (secondo comma).

 

L’art. 634 c.p. (Turbativa violenta del possesso di cose immobili) punisce con la reclusione fino a due anni e con la multa da euro 103 a euro 309 chiunque, fuori dei casi indicati negli articoli 633 e 633-bis, turba, con violenza alla persona o con minaccia, l'altrui pacifico possesso di cose immobili. Il delitto è punibile a querela (primo comma).

Il fatto si considera compiuto con violenza o minaccia quando è commesso da più di dieci persone (secondo comma).

Si procede d'ufficio se la persona offesa è incapace, per età o per infermità (terzo comma).

 

In particolare, l’articolo in commento prevede, al comma 1, l’inserimento dell’art. 634-bis c.p., volto a introdurre il reato di occupazione arbitraria di immobile destinato a domicilio altrui.

Ai sensi del primo comma del nuovo art. 634-bis c.p. è punito con la reclusione da 2 a 7 anni:

ü  chiunque, mediante violenza o minaccia, occupa o detiene senza titolo un immobile destinato a domicilio altrui ovvero impedisce il rientro del proprietario o di colui che lo detiene legittimamente (primo periodo);

ü  chiunque si appropria con artifizi o raggiri di un immobile altrui ovvero cede ad altri l’immobile occupato (secondo periodo);

 

Sulla base della formulazione letterale del testo la fattispecie dell’acquisizione fraudolenta sembra riferirsi a tutti gli “immobili altrui” e non soltanto a quelli destinati a domicilio altrui, come invece previsto nelle ipotesi di cui al primo periodo.

 

Si valuti l’opportunità di chiarire l’esatta portata normativa dei due differenti riferimenti.

 

A seguito di modifica apportata dalla Camera, si prevede che le fattispecie di cui al primo comma, relative, rispettivamente, all’occupazione o detenzione di immobile destinato a domicilio altrui con violenza o minaccia (primo periodo), e all’appropriazione di domicilio altrui con artifizi o raggiri (secondo periodo), si applichino anche alle pertinenze dell’immobile medesimo.

 

Analogamente, la procedura per la reintegrazione nel possesso dell’immobile di cui all’art. 321-bis c.p.p., introdotto dal comma 3 dell’articolo in commento, si applica anche alle pertinenze (v. infra).

 

Ai sensi del secondo comma dell’articolo 634-bis soggiace alla stessa pena chiunque, fuori dai casi di concorso, si intromette o coopera nell’occupazione dell’immobile, ovvero riceve o corrisponde denaro o altra utilità per l’occupazione.

Il terzo comma prevede una causa di non punibilità in favore dell’occupante che collabori all’accertamento dei fatti e ottemperi volontariamente all’ordine di rilascio dell’immobile.

Il quarto comma prevede che il delitto sia punibile a querela della persona offesa. Con una modifica apportata alla Camera, è stato tuttavia stabilito che nei casi in cui il fatto sia commesso ai danni di una persona incapace, per età o per infermità, il reato sia perseguibile d’ufficio.

Si ricorda che l’incapacità per età o per infermità è già riconosciuta dall’ordinamento penale, per reati analoghi a quello di occupazione arbitraria di immobile destinato a domicilio altrui, come una condizione meritevole di particolare tutela, tanto da comportare, ove tale incapacità sussista, la procedibilità d’ufficio contro l’autore del reato, senza necessità di querela da parte della vittima: in particolare si segnalano il reato di circonvenzione di incapaci di cui all’art. 643 c.p., che consiste nell’indurre taluno a compiere un atto, con effetti giuridici dannosi per sé o per altri, abusando dei bisogni, delle passioni o della inesperienza di un soggetto di minore età, ovvero dello stato d'infermità o deficienza psichica di una persona, anche se non interdetta o inabilitata, nonché la truffa, di cui all’art. 640 c.p., accomunata peraltro al reato di cui all’art. 643-bis, primo comma, secondo periodo, dalla messa in atto di artifizi e raggiri per raggiungere lo scopo delittuoso, se aggravata dal ricorrere della circostanza della c.d. “minorata difesa”, di cui all’art. 61, primo comma, n. 5), c.p., che consiste nell’approfittare di circostanze di tempo, di luogo o di persona, anche in riferimento all’età, tali da ostacolare la pubblica o privata difesa.

 

Si segnala che la disposizione fa riferimento alle pertinenze dell’immobile solo con riguardo alla condotta di cui al primo comma del nuovo articolo 634-bis c.p., nulla disponendo in merito alla cooperazione nell’occupazione dell’immobile, di cui al secondo comma del medesimo articolo, o alla causa di non punibilità prevista dal terzo comma. Si valuti, pertanto, l’opportunità di coordinare le citate disposizioni.

 

Il comma 2 reca una modifica all’art. 639-bis c.p. (Casi di esclusione della perseguibilità a querela) in virtù della quale anche per l’introducendo delitto si procede d’ufficio – al pari di quanto previsto dalla norma vigente per i delitti di usurpazione (art. 631), deviazione di acque e modificazione dello stato dei luoghi (art. 632) e invasione di terreni o edifici (art. 633) – se il fatto riguarda un bene pubblico o destinato al pubblico.

 

Il comma 3 prevede l’inserimento dell’artt. 321-bis c.p.p., volto a disciplinare il procedimento per la reintegrazione nel possesso dell’immobile.

Il comma 1 prevede il giudice competente – prime dell’inizio dell’azione penale il giudice per le indagini preliminari - su richiesta del pubblico ministero disponga con decreto motivato il rilascio dell’immobile o delle pertinenze oggetto di occupazione arbitraria ex art. 634-bis (deve, dunque, trattarsi di immobile destinato a domicilio altrui).

I commi da 2 a 6 disciplinano la procedura di rilascio coattivo e di reintegrazione nel possesso ad opera della polizia giudiziaria, previa autorizzazione del pubblico ministero e successiva convalida da parte del giudice, nel caso in cui l’immobile occupato sia l’unica abitazione effettiva del denunciante.

In particolare, si prevede che gli ufficiali di polizia giudiziaria che ricevono la denuncia dell’occupazione, espletati i primi accertamenti tesi a verificare la sussistenza dell’arbitrarietà dell’occupazione medesima, si rechino senza ritardo presso l'immobile al fine di svolgere le attività di cui all'art. 55 c.p.p., vale a dire impedire che il reato sia portato a ulteriori conseguenze, ricercarne gli autori, compiere gli atti necessari per assicurare le fonti di prova e raccogliere quant’altro possa servire per l’applicazione della legge penale (comma 2), e che, ove sussistano fondati motivi per ritenere l’arbitrarietà dell’occupazione, ordinino all’occupante l'immediato rilascio dell'immobile e contestualmente reintegrino il denunciante nel possesso (comma 3).

Nel caso in cui non sia possibile ottenere l’esecuzione spontanea dell’ordine di rilascio da parte dell’occupante per diniego all'accesso, resistenza, rifiuto o assenza, gli ufficiali di polizia giudiziaria - sempre che sussistano fondati motivi per ritenere l’arbitrarietà dell’occupazione - dispongono coattivamente il rilascio dell'immobile e reintegrano il denunciante nel possesso, previa autorizzazione del pubblico ministero (l’autorizzazione può essere scritta, resa oralmente e confermata per iscritto o resa per via telematica) (comma 4).

Delle attività svolte dalla polizia giudiziaria è redatto verbale, con l’indicazione dei motivi del provvedimento di rilascio. Copia del verbale è consegnata al destinatario del provvedimento di rilascio (comma 5). Il verbale è trasmesso entro 48 ore al pubblico ministero del luogo in cui ha avuto luogo la reintegrazione nel possesso. Il pubblico ministero entro 48 ore dalla ricezione del verbale, salvo che ritenga di disporre la restituzione dell’immobile al destinatario del provvedimento di rilascio, chiede al giudice la convalida e l'emissione di un decreto di reintegrazione nel possesso (comma 6). La reintegrazione nel possesso perde efficacia se non sono osservati i predetti di termini di trasmissione del verbale al pubblico ministero e di richiesta di convalida al giudice ovvero se il giudice non emette l'ordinanza di convalida entro 10 giorni dalla ricezione della richiesta. Copia dell'ordinanza è immediatamente notificata all’occupante (comma 7).

 

 


Articolo 11
(Modifiche al codice penale in materia di circostanze aggravanti comuni e di truffa)

 

 

L’articolo 11, come modificato nel corso dell’esame alla Camera, oltre ad introdurre una nuova circostanza aggravante comune, reca ulteriori modifiche al Codice penale volte a rendere più incisiva la repressione del fenomeno delle truffe nei confronti delle persone anziane.

 

Più nel dettaglio, il comma 1, introdotto nel corso dell’esame alla Camera, introduce nell’articolo 61 c.p. (nuovo numero 11-decies del comma 1) la nuova circostanza aggravante comune dell’aver commesso il fatto nelle aree interne o nelle immediate adiacenze delle infrastrutture ferroviarie o all’interno dei convogli adibiti al trasporto passeggeri.

 

 Il comma 2 incide sull’articolo 640 c.p. (rubricato “Truffa”), prevedendo la soppressione del numero 2-bis, secondo comma, relativo all’aggravante dell’aver profittato di circostanze di tempo, di luogo o di persona, anche in riferimento all’età, tali da ostacolare la pubblica o privata difesa (cd. minorata difesa, di cui all’articolo 61, numero 5 del Codice penale). All'età avanzata della vittima del reato di truffa, infatti, era attribuito rilievo mediante il rinvio a tale circostanza aggravante comune.

 

Il riferimento all'età della vittima è stato inserito nel codice penale dalla legge n. 94 del 2009, che ha codificato un orientamento della giurisprudenza che già individuava, tra le circostanze relative alla persona idonee a integrare una situazione di minorata difesa, l'età della persona offesa. Anche dopo la riforma, l'aggravante è configurabile nelle sole situazioni in cui l'età della vittima abbia determinato una sua particolare debolezza psichica o fisica.

Con la stessa finalità di tutela di soggetti deboli in ragione dell'età, la legge n. 94 del 2009 aveva introdotto un'aggravante ad effetto speciale per il reato di truffa (art. 640 c.p., secondo comma numero 2-bis), che rendeva il delitto procedibile d'ufficio, nel caso in cui la truffa fosse commessa «in presenza della circostanza di cui all'art. 61 n. 5».

 

Si ricorda che l'art. 640 del codice penale - relativo al delitto di truffa - apre il capo II del titolo XIII del libro secondo del codice penale, relativo ai "Delitti contro il patrimonio mediante frode" e punisce con la reclusione da 6 mesi a 3 anni e con la multa da 51 a 1.032 euro chiunque, con artifizi o raggiri, inducendo taluno in errore, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno (primo comma). La disposizione individua, oltre alla circostanza di cui al soppresso numero 2-bis, altre due aggravanti speciali del reato (secondo comma), che comportano un aumento di pena (reclusione da 1 a 5 cinque anni e multa da 309 a 1.549 euro): 1) se il fatto è commesso a danno dello Stato o di un altro ente pubblico o dell'Unione europea o col pretesto di far esonerare taluno dal servizio militare; 2) se il fatto è commesso ingenerando nella persona offesa il timore di un pericolo immaginario o l'erroneo convincimento di dovere eseguire un ordine dell'autorità.

Il medesimo comma 2 della disposizione in esame prevede, tuttavia, la contestuale introduzione di un nuovo terzo comma dell’articolo 640 c.p., recante una specifica ipotesi di truffa aggravata. Tale ipotesi si sostanzia nella condotta già prevista dal sopprimendo num. 2-bis, alla quale viene ora attribuito autonomo rilievo, nonché un corrispondente inasprimento del relativo trattamento sanzionatorio. Si prevede, infatti, la pena della reclusione da 2 a 6 anni e la multa da euro 700 a euro 3.000.

 

Nelle ipotesi di truffa aggravata, disciplinate dal secondo comma, oltre che dal terzo comma di nuova introduzione, dell’articolo 640 c.p., è consentita l’applicazione della misura della custodia cautelare in carcere, secondo quanto stabilito dal secondo comma dell’articolo 280 c.p.p.

La punibilità del delitto è a querela della persona offesa; si procede, invece, d'ufficio quando ricorre taluna delle circostanze aggravanti indicate. Prima della c.d. Riforma Cartabia (decreto legislativo n. 150 del 2022) era prevista la procedibilità d’ufficio anche nel caso in cui ricorresse la circostanza aggravante di cui all'articolo 61, numero 7) c.p. (ovvero l'avere cagionato alla persona offesa dal reato un danno patrimoniale di rilevante gravità).

In merito, la Corte di Cassazione ha affermato che la legge del 2009 ha attribuito all'età della vittima una rilevanza maggiore, anche se non esclusiva, che impone al giudice di verificare se la condotta sia stata agevolata dalla scarsa lucidità o incapacità di orientarsi da parte della vittima nella comprensione degli eventi secondo criteri di normalità (Cass., Sez. II, sentenza n. 8998 del 2014; Sez. V, sentenza n. 38347 del 2011; Sez. II, sentenza n. 35997 del 2010). Prima della modifica normativa, la giurisprudenza attribuiva rilievo all'età avanzata quando fosse accompagnata da fenomeni di decadimento o di indebolimento delle facoltà mentali o da ulteriori condizioni personali, quali il basso livello culturale del soggetto passivo, che determinassero un diminuito apprezzamento critico della realtà (Cass., Sez. II, sentenza n. 39023 del 2008; Sez. II, sentenza n. 10531 del 1994).

 

Inoltre, in ordine alla configurabilità della circostanza aggravante della cd. “minorata difesa”, di cui all’articolo 61 n. 5 del Codice penale, laddove il reato sia commesso ai danni di una persona anziana, si rileva l’esistenza di un intenso dibattito giurisprudenziale, nell’ambito del quale è intervenuta anche la Corte di Cassazione, e che ha condotto a due diversi orientamenti.

Secondo un primo indirizzo, la circostanza aggravante della minorata difesa, qualora riguardi l’età di una persona anziana, deve rilevare in re ipsa, e cioè automaticamente, per la sola qualità “anagrafica” del soggetto passivo.

In tal senso, si veda la sentenza della Sezione V Penale della Corte di Cassazione, n. 12796 del 21 febbraio 2019, nella quale si afferma che “Nei reati che presuppongono l'interazione tra l'autore del fatto e la vittima (nella specie, furto con strappo), ai fini del riconoscimento della circostanza aggravante di cui all'art. 61, n. 5 cod. pen., l'agevolazione all'agire illecito derivante dall'età avanzata della persona offesa è "in re ipsa", senza che gravi in capo al giudice di merito uno specifico e ulteriore onere motivazionale rispetto al riscontro obiettivo dell'età della persona offesa.”

Secondo un altro e diverso orientamento, invece, è necessario un accertamento in concreto in ordine alla effettiva configurabilità della circostanza aggravante della cd. “minorata difesa”. In particolare, la Suprema Corte ha evidenziato che la configurabilità della suddetta circostanza aggravante non può fondarsi su una valutazione meramente presuntiva, giacché la stessa confliggerebbe apertamente con la necessità di interpretazione conforme a Costituzione delle norme incriminatrici e di quelle che ne aggravano la dimensione sanzionatoria.

In tal senso si è recentemente espressa la Sezione II Penale della Corte di Cassazione, con sentenza n. 16017 del 14 marzo 2023, secondo la quale “Ai fini della configurabilità dell'aggravante di cui all'art. 61, n. 5, cod. pen., l'età avanzata della persona offesa non realizza una presunzione assoluta di minorata difesa per la ridotta capacità di resistenza, dovendosi valutare, invece, la ricorrenza di situazioni che denotano la particolare vulnerabilità della vittima dalla quale l'agente trae consapevolmente vantaggio.

 

Al comma 3, si prevede l’introduzione della lettera f.1) nell’art. 380, secondo comma, del codice di procedura penale.

L’intervento è finalizzato ad includere la nuova fattispecie di truffa aggravata, di cui al nuovo terzo comma dell’articolo 640 c.p., nel novero dei reati per i quali è previsto l’arresto obbligatorio in flagranza.

 

Si segnala, infine, che l’esigenza di contrastare il fenomeno delle truffe agli anziani è stata posta alla base anche di un diverso intervento normativo, relativo alle modifiche al codice penale in materia di circonvenzione di persone anziane, ovvero l’Atto Camera n. 1164, già approvato dal Senato.

Il disegno di legge interviene sull’articolo 643 del codice penale, rubricato "Circonvenzione di persone incapaci", il quale punisce con la reclusione da 2 a 6 anni e con la multa da 206 a 2.065 euro chiunque, per procurare a sé o ad altri un profitto, abusando dei bisogni, delle passioni o della inesperienza di un minore, ovvero abusando dello stato d'infermità o deficienza psichica di una persona, anche se non interdetta o inabilitata, la induce a compiere un atto, che importi qualsiasi effetto giuridico per lei o per altri dannoso.

In particolare, l'articolo unico del provvedimento modifica il primo comma dell’articolo 643 del codice penale, prevedendo che si configuri il reato di circonvenzione di incapace anche nel caso in cui l’induzione della persona a compiere un atto dannoso per lei o per altri avvenga abusando delle condizioni di vulnerabilità, anche dovute all’età avanzata.


 

Codice penale

Testo vigente

Testo come modificato dall’A.C.1660-A

Art. 61.

Circostanze aggravanti comuni

Art. 61.

Circostanze aggravanti comuni

Aggravano il reato quando non ne sono elementi costitutivi o circostanze aggravanti speciali, le circostanze seguenti:

Identico

1-11-novies (omissis)

1-11-novies (omissis)

 

11-decies. L'aver commesso il fatto a bordo treno o nelle aree interne delle stazioni ferroviarie e delle relative aree adiacenti

Art. 640
(Truffa)

Art. 640

(Truffa)

Chiunque, con artifizi o raggiri, inducendo taluno in errore, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da euro 51 a euro 1.032

Identico

 

 

 

La pena è della reclusione da uno a cinque anni e della multa da euro 309 a euro 1.549:
1. se il fatto è commesso a danno dello Stato o di un altro ente pubblico o dell'Unione europea o col pretesto di far esonerare taluno dal servizio militare;
2. se il fatto è commesso ingenerando nella persona offesa il timore di un pericolo immaginario o l'erroneo convincimento di dovere eseguire un ordine dell'autorità;
2-bis. se il fatto è commesso in presenza della circostanza di cui all'articolo 61, numero 5).

La pena è della reclusione da uno a cinque anni e della multa da euro 309 a euro 1.549:
1. se il fatto è commesso a danno dello Stato o di un altro ente pubblico o dell'Unione europea o col pretesto di far esonerare taluno dal servizio militare;
2. se il fatto è commesso ingenerando nella persona offesa il timore di un pericolo immaginario o l'erroneo convincimento di dovere eseguire un ordine dell'autorità.

Il delitto è punibile a querela della persona offesa, salvo che ricorra taluna delle circostanze previste dal capoverso precedente.

Il delitto è punibile a querela della persona offesa, salvo che ricorra taluna delle circostanze previste dal capoverso precedente e dal terzo comma.

 

Se il fatto è commesso in presenza della circostanza di cui all’articolo 61, numero 5), la pena è della reclusione da due a sei anni e della multa da euro 700 a euro 3.000.

 


 

 

Codice di procedura penale

Testo vigente

Testo come modificato dall’A.C. 1660-A

Art. 380

(Arresto obbligatorio in flagranza)

Art. 380

(Arresto obbligatorio in flagranza)

1. Gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria procedono all'arresto di chiunque è colto in flagranza di un delitto non colposo consumato o tentato per il quale la legge stabilisce la pena dell'ergastolo o della reclusione non inferiore nel minimo a cinque anni e nel massimo a venti anni.

Identico

2. Anche fuori dei casi previsti dal comma 1, gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria procedono all'arresto di chiunque è colto in flagranza di uno dei seguenti delitti non colposi, consumati o tentati:

Identico

[lettere da a) a f): omissis]

Identiche

 

f.1). Delitto di truffa aggravata previsto dall’articolo 640, terzo comma, del codice penale.

[lettere da f-bis) a m-quinquies: omissis]

Identiche

[comma 3: omissis]

Identico

 

 


Articolo 12
(Modifica all’art. 635 c.p. in materia di danneggiamento in occasione di manifestazioni)

 

 

L’articolo 12, introdotto nel corso dell’esame alla Camera, modifica il terzo comma dell’art. 635 c.p. al fine di prevedere un inasprimento delle pene per il delitto di danneggiamento in occasione di manifestazioni in luogo pubblico o aperto al pubblico qualora il fatto sia commesso con violenza alla persona o minaccia.

 

L’articolo in commento interviene sull’art. 635 c.p. (Danneggiamento).

 

L’art. 635 c.p. punisce con la reclusione da 6 mesi a 3 anni chiunque distrugge, disperde, deteriora o rende, in tutto o in parte, inservibili, cose mobili o immobili altrui con violenza alla persona o minaccia ovvero in occasione del delitto di interruzione di pubblico servizio (primo comma). Il delitto è punibile a querela, salvo che sia commesso in occasione del delitto di interruzione di pubblico servizio o se la persona offesa è incapace per età o infermità (quinto comma).

Ai sensi del secondo comma, alla stessa pena soggiace chi commette il fatto su determinati beni ivi specificati: edifici pubblici o destinati a uso pubblico o al culto, immobili situati nei centri storici od oggetto di lavori di ricostruzione, ristrutturazione o risanamento, cose situate in edifici pubblici o di uso pubblico, sottoposte a sequestro o pignoramento, esposte alla pubblica fede o destinate a un pubblico servizio o a pubblica utilità, difesa o reverenza (n. 1); opere destinate all’irrigazione (n. 2); coltivazioni, selve e foreste (n. 3); attrezzature e impianti sportivi al fine di impedire o interrompere competizioni sportive (n. 4). In tali casi, dunque, il delitto sussiste indipendentemente dalla violenza o minaccia o dall’interruzione di pubblico servizio richiesti dal primo comma.

Ai sensi del terzo comma chi commette il fatto in occasione di manifestazioni che si svolgono in luogo pubblico o aperto al pubblico è punito con la reclusione da 1 a 5 anni. Anche in tal caso, dunque, il delitto sussiste indipendentemente dalla violenza o minaccia o dall’interruzione di pubblico servizio richiesti dal primo comma.

Il quarto comma prevede che la sospensione condizionale della pena sia subordinata all’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato o, se il condannato non si oppone, alla prestazione di attività non retribuita in favore della collettività per un periodo non superiore alla durata della pena sospesa.

 

 

L’articolo in commento modifica il terzo comma dell’art. 635 c.p., prevedendo che qualora il delitto di danneggiamento in occasione di manifestazioni in luogo pubblico o aperto al pubblico sia commesso con violenza alla persona o minaccia si applichi la pena della reclusione da 1 anno e 6 mesi a 5 anni e della multa fino a 15.000 euro.

Per effetto della modifica verrebbero dunque a configurarsi due diverse fattispecie di danneggiamento in occasione di manifestazioni in luogo pubblico o aperto al pubblico: l’una, “semplice”, punita con la reclusione da 1 a 5 anni; l’altra, con violenza alla persona o minaccia, punita con la reclusione da 1 anno e 6 mesi a 5 anni e con la multa fino a 15.000 euro.

 

 


Articolo 13
(Divieto di accesso alle aree di infrastrutture e pertinenze del trasporto pubblico, di sospensione condizionale della pena e in materia di flagranza differita)

 

 

L’articolo 13, modificato nel corso dell’esame alla Camera, reca disposizioni finalizzate ad estendere l’ambito di applicazione della misura di prevenzione del divieto d'accesso alle aree urbane (DACUR, c.d. Daspo urbano). Viene introdotta, inoltre, l’osservanza del divieto di accesso, disposto in caso di condanna per reati contro la persona o il patrimonio commessi nelle aree e nelle pertinenze dei trasporti pubblici, come ulteriore condizione al rispetto della quale può essere subordinata la concessione della sospensione condizionale della pena. La disposizione estende infine l’ambito di applicazione dell’arresto in flagranza differita anche al reato di cui all’art. 583-quater c.p. 

 

Più nel dettaglio, il comma 1, lett. a) dell’articolo in esame interviene sull’articolo 10, comma 2, del decreto legge n. 14 del 20 febbraio 2017 (convertito, con modificazioni, dalla legge n. 48 del 2017), recante disposizioni urgenti in materia di sicurezza delle città.

 

Il decreto-legge 20 febbraio 2017, n. 14 ha introdotto una serie di disposizioni in materia di sicurezza urbana affidando, in particolare, ai sindaci ed alle autorità di pubblica sicurezza nuovi strumenti operativi, volti a prevenire e contrastare l’insorgenza di condotte di diversa natura che – pur non costituendo violazioni di legge - sono da ritenersi, comunque, di ostacolo alla piena mobilità e fruibilità di specifiche aree pubbliche.

In particolare, l’articolo 9 del suddetto decreto-legge n. 14 ha introdotto una serie di misure a tutela del decoro di particolari luoghi. È stata prevista in primo luogo una sanzione amministrativa pecuniaria da 100 a 300 euro a carico di chi pone in essere condotte che impediscono la libera accessibilità e fruizione delle aree interne di infrastrutture, fisse e mobili, ferroviarie, aeroportuali, marittime e di trasporto pubblico locale, urbano ed extraurbano e delle relative pertinenze in violazione dei divieti di stazionamento o di occupazione di spazi ivi previsti.

Sempre l’articolo 9 ha introdotto, accanto alla sanzione pecuniaria, anche l’istituto dell’ordine di allontanamento: contestualmente alla sanzione, infatti, la disposizione ha previsto che al trasgressore debba essere ordinato di allontanarsi dal luogo ove è stato commesso il fatto. Tale ordine opera, per specifica estensione normativa, anche a carico di chi svolge le attività vietate negli artt. 688 (manifesta ubriachezza) e 726 c.p. (atti contrari alla pubblica decenza, turpiloquio), 29 d.l. 114/1998 (esercizio del commercio senza le prescritte autorizzazioni o in violazione di divieti) e 7, comma 15?bis, del codice della strada (esercizio di attività di parcheggiatore abusivo e guardiamacchine), 1-sexies d.l. 28/2003 (bagarinaggio) nelle aree innanzi indicate nell’art. 9 del decreto-legge.

I contenuti dell'ordine di allontanamento, rivolto per iscritto dall’organo accertatore della violazione sono indicati nell’articolo 10, comma 1, del decreto legge. In particolare si tratta dei seguenti contenuti: le motivazioni sulla base delle quali è stato adottato; la specificazione che ne cessa l'efficacia trascorse 48 ore dall'accertamento del fatto e che la sua violazione è soggetta alla sanzione amministrativa pecuniaria da 100 a 300 euro, aumentata del doppio. Copia del provvedimento, sempre ai sensi dell’articolo 10, deve essere trasmessa con immediatezza al questore competente per territorio con contestuale segnalazione ai competenti servizi socio-sanitari, ove ne ricorrano le condizioni.

Il comma 2 prevede che alla recidiva nelle condotte illecite consegue la possibilità per il questore, ove dalla condotta tenuta ritenga possa derivare pericolo per la sicurezza pubblica, di disporre con provvedimento motivato il divieto di accesso ad una o più delle aree espressamente individuate e per non più di 12 mesi; le modalità applicative del divieto devono comunque essere compatibili con le esigenze di mobilità, salute e lavoro del destinatario dell'atto. Il contravventore è punito con l’arresto da sei mesi a un anno.

 

Intervenendo sul comma 2 dell’articolo 10 del decreto legge n. 14 del 2017, la disposizione in commento prevede che il divieto di accesso possa essere disposto dal questore anche nei confronti di coloro che risultino denunciati o condannati, anche con sentenza non definitiva, nei cinque anni precedenti, per uno dei delitti contro la persona o contro il patrimonio previsti dal libro secondo, titoli XII e XIII del Codice penale, qualora questi siano commessi in aree indicate dall’articolo 9, comma 1, del decreto legge (ovvero le aree interne delle infrastrutture, fisse e mobili, ferroviarie, aeroportuali, marittime e di trasporto pubblico locale, urbano ed extraurbano, e delle relative pertinenze).

 

Il comma 3 del medesimo articolo 10 prevede, inoltre, che se le condotte indicate all’art. 9 sono commesse da un condannato con sentenza definitiva (o confermata in appello), nel corso degli ultimi cinque anni per reati contro la persona o il patrimonio, la durata del Daspo urbano non può essere inferiore a sei mesi, né superiore a due anni.

 

Il comma 1, lett. b) della disposizione in esame, inoltre, abroga il comma 5, articolo 10, del decreto legge n. 14/2017, relativo alla possibilità di subordinare la concessione della sospensione condizionale della pena all’osservanza del divieto di accesso a luoghi o aree specificamente individuate, imposto dal giudice, nei casi di condanna per reati contro la persona o contro il patrimonio commessi nei luoghi e nelle aree di cui all’articolo 9.

 

La lett. c), introdotta nel corso dell’esame alla Camera, modifica anche il comma 6-quater dell’articolo 10 del decreto legge n. 14 del 2017, prevedendo che la disciplina dell’arresto in flagranza differita trovi applicazione anche nel caso del delitto di cui all’articolo 583-quater c.p., quando il fatto è commesso in occasione di manifestazioni in luogo pubblico o aperto al pubblico

 

L’articolo 583-quater c.p., al primo comma, punisce le lesioni personali cagionate a un pubblico ufficiale in servizio di ordine pubblico in occasione di manifestazioni sportive, mentre, al secondo comma, reca le sanzioni nei casi di lesioni cagionate al personale esercente una professione sanitaria o socio-sanitaria nell'esercizio o a causa delle funzioni o del servizio, nonché a chiunque svolga attività ausiliarie di cura, assistenza sanitaria o soccorso, funzionali allo svolgimento di dette professioni, nell'esercizio o a causa di tali attività. 

 

La già ricordata abrogazione del comma 5 dell’articolo 10, del d.l. n. 14 del 2017 è consequenziale alla modifica dell’articolo 165 c.p., operata dal comma 2 della disposizione in esame. L’articolo 165 c.p., infatti, stabilisce che la concessione della sospensione condizionale della pena può essere subordinata all’adempimento di alcuni obblighi del condannato.

La disposizione in esame, intervenendo sull’articolo 165 c.p., prevede che, in caso di condanna per reati contro la persona o il patrimonio commessi nelle aree e nelle pertinenze dei trasporti pubblici la concessione della sospensione condizionale della pena debba essere subordinata all'osservanza del divieto di accesso, imposto dal giudice, a luoghi o aree specificamente individuate. Se il divieto di accesso non è osservato, il giudice revoca la sospensione condizionale della pena.

 

Decreto legge 20 febbraio 2017, n. 14

Testo vigente

Testo come modificato dall’A.C. 1660-A

Art. 10
(Divieto di accesso)

Art. 10

(Divieto di accesso)

1. L'ordine di allontanamento di cui all'articolo 9, comma 1, secondo periodo e comma 2, è rivolto per iscritto dall'organo accertatore, individuato ai sensi dell'articolo 13 della legge 24 novembre 1981, n. 689. In esso sono riportate le motivazioni sulla base delle quali è stato adottato ed è specificato che ne cessa l'efficacia trascorse quarantotto ore dall'accertamento del fatto e che la sua violazione è soggetta alla sanzione amministrativa pecuniaria applicata ai sensi dell'articolo 9, comma 1, aumentata del doppio. Copia del provvedimento è trasmessa con immediatezza al questore competente per territorio con contestuale segnalazione ai competenti servizi socio-sanitari, ove ne ricorrano le condizioni.

1. Identico

 

 

 

2. Nei casi di reiterazione delle condotte di cui all'articolo 9, commi 1 e 2, il questore, qualora dalla condotta tenuta possa derivare pericolo per la sicurezza, può disporre, con provvedimento motivato, per un periodo non superiore a dodici mesi, il divieto di accesso ad una o più delle aree di cui all'articolo 9, espressamente specificate nel provvedimento, individuando, altresì, modalità applicative del divieto compatibili con le esigenze di mobilità, salute e lavoro del destinatario dell'atto.
Il contravventore al divieto di cui al presente comma è punito con l'arresto da sei mesi ad un anno.

2. Nei casi di reiterazione delle condotte di cui all'articolo 9, commi 1 e 2, il questore, qualora dalla condotta tenuta possa derivare pericolo per la sicurezza, può disporre, con provvedimento motivato, per un periodo non superiore a dodici mesi, il divieto di accesso ad una o più delle aree di cui all'articolo 9, espressamente specificate nel provvedimento, individuando, altresì, modalità applicative del divieto compatibili con le esigenze di mobilità, salute e lavoro del destinatario dell'atto.
Il contravventore al divieto di cui al presente comma è punito con l'arresto da sei mesi ad un anno.
Il questore può disporre il divieto di accesso di cui al primo periodo anche nei confronti di coloro che risultino denunciati o condannati, anche con sentenza non definitiva, nel corso dei cinque anni precedenti, per alcuno dei delitti contro la persona o contro il patrimonio, di cui al libro secondo, titoli XII e XIII del codice penale, commessi in uno dei luoghi o delle aree indicati dall’articolo 9, comma 1.

3. La durata del divieto di cui al comma 2 non può comunque essere inferiore a dodici mesi, né superiore a due anni, qualora le condotte di cui all'articolo 9, commi 1 e 2, risultino commesse da soggetto condannato, con sentenza definitiva o confermata in grado di appello, nel corso degli ultimi cinque anni per reati contro la persona o il patrimonio. Il contravventore al divieto emesso in relazione ai casi di cui al presente comma è punito con l'arresto da uno a due anni. Qualora il responsabile sia soggetto minorenne, il questore ne dà notizia al procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni.

3. Identico

4. I divieti di cui ai commi 1, 2 e 3 possono essere disposti anche nei confronti di soggetti minori di diciotto anni che hanno compiuto il quattordicesimo anno di età. Il provvedimento è notificato a coloro che esercitano la responsabilità genitoriale e comunicato al procuratore della Repubblica presso il tribunale per i minorenni competente per il luogo di residenza del minore.

Identico

5. Nei casi di condanna per reati contro la persona o il patrimonio commessi nei luoghi o nelle aree di cui all'articolo 9, la concessione della sospensione condizionale della pena può essere subordinata all'osservanza del divieto, imposto dal giudice, di accedere a luoghi o aree specificamente individuati.

5. Abrogato

[commi da 6 a 6-ter: omissis]

Identici

6-quater. Nel caso di reati commessi con violenza alle persone o alle cose, compiuti alla presenza di più persone anche in occasioni pubbliche, per i quali è obbligatorio l'arresto ai sensi dell'articolo 380 del codice di procedura penale, quando non è possibile procedere immediatamente all'arresto per ragioni di sicurezza o incolumità pubblica, si considera comunque in stato di flagranza ai sensi dell'articolo 382 del medesimo codice colui il quale, sulla base di documentazione video fotografica dalla quale emerga inequivocabilmente il fatto, ne risulta autore, sempre che l'arresto sia compiuto non oltre il tempo necessario alla sua identificazione e, comunque, entro le quarantotto ore dal fatto.

6-quater. Nel caso di reati commessi con violenza alle persone o alle cose, compiuti alla presenza di più persone anche in occasioni pubbliche, per i quali è obbligatorio l'arresto ai sensi dell'articolo 380 del codice di procedura penale, nonché nel caso del delitto di cui all’articolo 583-quater del codice penale, commesso in occasione di manifestazioni in luogo pubblico o aperto al pubblico, quando non è possibile procedere immediatamente all'arresto per ragioni di sicurezza o incolumità pubblica, si considera comunque in stato di flagranza ai sensi dell'articolo 382 del medesimo codice colui il quale, sulla base di documentazione video fotografica dalla quale emerga inequivocabilmente il fatto, ne risulta autore, sempre che l'arresto sia compiuto non oltre il tempo necessario alla sua identificazione e, comunque, entro le quarantotto ore dal fatto.

 

 

Codice penale

Testo vigente

Testo come modificato dall’A.C.1660-A

Art. 165

(Obblighi del condannato)

Art. 165

(Obblighi del condannato)

La sospensione condizionale della pena può essere subordinata all'adempimento dell'obbligo delle restituzioni, al pagamento della somma liquidata a titolo di risarcimento del danno o provvisoriamente assegnata sull'ammontare di esso e alla pubblicazione della sentenza a titolo di riparazione del danno; può altresì essere subordinata, salvo che la legge disponga altrimenti, all'eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato, ovvero, se il condannato non si oppone, alla prestazione di attività non retribuita a favore della collettività per un tempo determinato comunque non superiore alla durata della pena sospesa, secondo le modalità indicate dal giudice nella sentenza di condanna

Identico

La sospensione condizionale della pena, quando è concessa a persona che ne ha già usufruito, deve essere subordinata all'adempimento di uno degli obblighi previsti nel comma precedente

Identico

[commi da 3 a 7: omissis]

Identici

 

Nei casi di condanna per reati contro la persona o il patrimonio commessi nelle aree delle infrastrutture, fisse e mobili, ferroviarie, aeroportuali, marittime e di trasporto pubblico locale, urbano ed extraurbano, e nelle relative pertinenze ovvero nelle aree individuate dai regolamenti di polizia urbana ai fini della tutela del decoro e della sicurezza urbani la concessione della sospensione condizionale della pena è comunque subordinata all'osservanza del divieto, imposto dal giudice, di accedere a luoghi o aree specificamente individuati.

 

 

 


Articolo 14
(Blocco stradale)

 

 

L’articolo 14 prevede che sia punito a titolo di illecito penale - in luogo dell’illecito amministrativo, attualmente previsto - il blocco stradale o ferroviario attuato mediante ostruzione fatta col proprio corpo. La pena è aumentata se il fatto è commesso da più persone riunite.

 

L’articolo 14 novella l’art. 1-bis del D.lgs. n. 66 del 1948 introducendo l’illecito penale, con la reclusione fino a un mese o la multa fino a 300 euro, nel caso un blocco stradale o ferroviario effettuato con i propri corpi. Si prevede inoltre la reclusione da sei mesi a due anni se il fatto è commesso da più persone riunite.

 

 La disciplina sostanziale in materia è contenuta negli articoli 1 e 1-bis del citato D.Lgs. 66 del 1948 (Norme per assicurare la libera circolazione sulle strade ferrate ed ordinarie e la libera navigazione).

L’articolo 1 sanziona con la reclusione da uno a sei anni il reato di blocco ferroviario ovvero l’illecito commesso da chi, per impedire od ostacolare la libera circolazione, depone o abbandona congegni o altri oggetti di qualsiasi specie in una strada ordinaria o ferrata o comunque ostruisce o ingombra una strada ordinaria o ferrata (comma 1); alla stessa pena è soggetto chi con le stesse modalità commette analogo blocco in una zona portuale o nelle acque di fiumi, canali o laghi, per ostacolare la libera navigazione, o comunque ostruisce o ingombra tali zone (comma 2). La pena è raddoppiata se il fatto è commesso da più persone, anche non riunite, ovvero se è commesso usando violenza o minaccia alle persone o violenza sulle cose (comma 3).

Prima delle modifiche introdotte dal DL 113/2018 (c.d. decreto sicurezza), il blocco stradale, diversamente dal blocco di strade ferrate (nonché di porti, fiumi, laghi ecc.), era punito dall’articolo 1-bis dello stesso D.Lgs. n. 66/1948 come illecito amministrativo, salvo il caso in cui il fatto costituisca reato, in quanto configuri una interruzione di pubblico servizio (art. 340 c.p.); in tale ultima ipotesi, infatti, si applica la reclusione fino a un anno (da uno a cinque anni per i promotori o organizzatori).

Si ricorda che il citato DL 113/2018 aveva sostanzialmente operato un ritorno al testo dell’art. 1 del D.lgs. 66 del 1948, previgente alla depenalizzazione operata dall’art. 17 del D.lgs. n. 507 del 1999. Il decreto del 2018 aveva parimenti sostituito l’art. 1-bis del decreto legislativo del 1948 prevedendo che l’impedimento alla libera circolazione su una strada ordinaria mediante ostruzione con il proprio corpo costituisse un illecito amministrativo punito con la sanzione pecuniaria da 1.000 a 4.000 euro; analoga sanzione è irrogata ai promotori e organizzatori.

 

Nello specifico, l’articolo in esame:

Ø intervenendo sul primo periodo (lett. a), trasforma la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 1.000 a euro 4.000 per chi impedisce la libera circolazione su strada ordinaria, ostruendo la stessa con il proprio corpo, in un illecito penale, sanzionato con la reclusione fino a un mese o la multa fino a 300 euro, ed estende tale condotta a chi impedisce la libera circolazione anche su una strada ferrata.

Ø sostituendo il secondo periodo (lett. b), introduce un’aggravante speciale ad effetto speciale, prevedendo che la pena da sei mesi a due anni se il blocco stradale o ferroviario attuato con il proprio corpo è commesso da più persone riunite.

 

Si elimina pertanto il riferimento alla sanzione ammnistrativa per i promotori e gli organizzatori del blocco.

 

 

 

Decreto legislativo 22/01/1948, n. 66

Testo vigente

Testo come modificato dall’AS 1236

Art. 1-bis

(Misure di tutela)

1. Chiunque impedisce la libera circolazione su strada ordinaria, ostruendo la stessa con il proprio corpo, è punito con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 1.000 a euro 4.000. La medesima sanzione si applica ai promotori ed agli organizzatori.

1. Chiunque impedisce la libera circolazione su strada ordinaria o ferrata, ostruendo la stessa con il proprio corpo, è punito con la reclusione fino a un mese o la multa fino a 300 euro. La pena è della reclusione da sei mesi a due anni se il fatto è commesso da più persone riunite.

 

 


Articolo 15
(Esecuzione penale nei confronti di detenute madri)

 

 

L’articolo 15, comma 1, modifica gli articoli 146 e 147 c.p. rendendo facoltativo, e non più obbligatorio, il rinvio dell’esecuzione della pena per le condannate incinte o madri di figli di età inferiore ad un anno e disponendo che le medesime scontino la pena, qualora non venga disposto il rinvio, presso un istituto a custodia attenuata per detenute madri. Inoltre è previsto che l’esecuzione non sia rinviabile ove sussista il rischio, di eccezionale rilevanza, di commissione di ulteriori delitti.

Il comma 2, introdotto dalla Camera dei deputati, prevede che il Governo presenti alle Camere una relazione annuale sull'attuazione delle misure cautelari e dell'esecuzione delle pene non pecuniarie nei confronti delle donne incinte e delle madri di prole di età inferiore a tre anni.

 

Più nel dettaglio, l’articolo in commento interviene (lett. a) del comma 1) sull’art. 146 c.p., che disciplina i casi di rinvio obbligatorio dell’esecuzione della pena:

Ø abrogando i numeri 1 e 2 del primo comma, ovvero quelli concernenti il differimento obbligatorio della pena per le donne incinte e le madri di infanti di età inferiori a un anno;

Ø conseguentemente abrogando il secondo comma, che stabiliva la non applicabilità del rinvio (o la sua revoca qualora fosse stato disposto) nel caso in cui la gravidanza si fosse interrotta, se la madre fosse stata dichiarata decaduta dalla responsabilità genitoriale, il figlio fosse morto, fosse stato abbandonato o affidato ad altri (purché l'interruzione di gravidanza o il parto fossero avvenuti da oltre due mesi).

 

Gli ulteriori interventi (lett. b) del comma 1) riguardano l’art. 147 c.p., in materia di rinvio facoltativo dell’esecuzione della pena (quindi a discrezione del giudice), nel quale viene integralmente trasposta la disciplina del rinvio dell’esecuzione per le detenute madri. Infatti, ai casi già previsti, riguardanti le madri di figli di età compresa tra 1 e 3 anni, si aggiunge, seppur con alcune differenze (v. infra), quella riguardante le donne incinte e le detenute madri di figli fino ad un anno di età.

 

La disciplina introdotta dall’articolo in esame stabilisce pertanto che:

·        il rinvio dell’esecuzione di una pena restrittiva della libertà personale sia facoltativo tanto per le donne incinte, quanto per le madri di prole di età inferiore a 3 anni, indifferentemente quindi dal fatto che l’età del bambino sia inferiore ad un anno o compresa tra uno e tre anni (numeri 3 e 3-bis del secondo comma dell’art. 147 c.p.);

·        il provvedimento che ha disposto il rinvio sia revocato anche qualora, durante il periodo di differimento, la madre tenga comportamenti che potrebbero recare un grave pregiudizio alla crescita del minore (modifica al terzo comma art. 147 c.p.);

 

A tale proposito si ricorda che il terzo comma dell’art. 147 attualmente vigente già prevede, quali ipotesi di revoca:

-          la decadenza della madre dalla responsabilità genitoriale;

-          la morte del figlio;

-          l’abbandono del figlio;

-          l’affidamento del figlio ad altri.

 

·        l’esclusione del rinvio qualora sussista il pericolo, di eccezionale rilevanza, di commissione di ulteriori delitti (nuovo quinto comma dell’art. 147 c.p.).

 

L’unico aspetto che nella nuova disciplina (nuovo quinto comma dell’art. 147 c.p.) differenzia il trattamento delle donne incinte/madri di figli di età inferiore ad 1 anno rispetto alle madri di figli di età compresa tra 1 e 3 anni è il luogo dell’esecuzione della pena nel caso in cui l’esecuzione della stessa non fosse stata differita:

·        per le donne incinte o madri di figli di età inferiore ad 1 anno la pena dovrà obbligatoriamente essere eseguita presso un istituto a custodia attenuata per detenute madri (ICAM);

·        per le madri di figli di età compresa tra 1 e 3 anni la pena potrà essere eseguita presso un ICAM solo se le esigenze di eccezionale rilevanza lo consentano.

 

Con riferimento all’obbligo di esecuzione della pena presso un ICAM per le donne incinte o madri di figli di età inferiore ad 1 anno, di cui al nuovo quinto comma dell’art. 147 c.p., andrebbe valutata l’opportunità di coordinare tale disposizione con quanto previsto dall’articolo 47-ter dell’ordinamento penitenziario (legge n. 345 del 1975) in materia di detenzione domiciliare per le detenute madri; in particolare, andrebbe chiarito se, in attuazione della disposizione in commento, sia preclusa per il giudice la possibilità di disporre la misura della detenzione domiciliare. L’opportunità di approfondire tale aspetto è stata segnalata anche dal parere espresso sul provvedimento dal Comitato per la legislazione della Camera nella seduta del 29 maggio 2024.

 

Al riguardo, infatti, si ricorda che ai sensi di quanto previsto dal comma 1, lett. a), del citato art. 47-ter la donna incinta o madre di prole di età inferiore ad anni dieci con lei convivente, può espiare la pena della reclusione non superiore a quattro anni, anche se costituente parte residua di maggior pena, nonché la pena dell'arresto, nella propria abitazione o in altro luogo di privata dimora ovvero in luogo pubblico di cura, assistenza o accoglienza, o in case famiglia protette. Inoltre, il successivo comma 1-ter, prevede che quando potrebbe essere disposto il rinvio obbligatorio o facoltativo dell’esecuzione della pena ai sensi degli artt. 146 e 147 c.p., oggetto di modifica da parte delle disposizioni in commento, il tribunale di sorveglianza, anche se la pena supera il limite di quattro anni, può disporre la detenzione domiciliare, stabilendone un termine di durata, prorogabile.

 

Il comma 2, introdotto dalla Camera dei deputati, prevede che il Governo presenti alle Camere una relazione annuale sull'attuazione delle misure cautelari e dell'esecuzione delle pene non pecuniarie nei confronti delle donne incinte e delle madri di prole di età inferiore a tre anni. Si precisa che la relazione debba essere presentata entro il 31 ottobre.

 

 

Di seguito si riporta la tabella elaborata dalla Sezione statistica del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria riguardante le detenute madri presenti negli istituti penitenziari italiani al 31 luglio 2024.

 

 

 


 

 

Codice penale

Testo vigente

Testo come modificato dall’A.C. 1660-A

Art. 146
(Rinvio obbligatorio dell'esecuzione della pena)

L'esecuzione di una pena, che non sia pecuniaria, è differita:

1) se deve aver luogo nei confronti di donna incinta;

2) se deve aver luogo nei confronti di madre di infante di età inferiore ad anni uno;

3) se deve aver luogo nei confronti di persona affetta da AIDS conclamata o da grave deficienza immunitaria accertate ai sensi dell'articolo 286-bis, comma 2, del codice di procedura penale, ovvero da altra malattia particolarmente grave per effetto della quale le sue condizioni di salute risultano incompatibili con lo stato di detenzione, quando la persona si trova in una fase della malattia così avanzata da non rispondere più, secondo le certificazioni del servizio sanitario penitenziario o esterno, ai trattamenti disponibili e alle terapie curative.

L'esecuzione di una pena, che non sia pecuniaria, è differita:

Abrogato

Abrogato


3) se deve aver luogo nei confronti di persona affetta da AIDS conclamata o da grave deficienza immunitaria accertate ai sensi dell'articolo 286-bis, comma 2, del codice di procedura penale, ovvero da altra malattia particolarmente grave per effetto della quale le sue condizioni di salute risultano incompatibili con lo stato di detenzione, quando la persona si trova in una fase della malattia così avanzata da non rispondere più, secondo le certificazioni del servizio sanitario penitenziario o esterno, ai trattamenti disponibili e alle terapie curative.

Nei casi previsti dai numeri 1) e 2) del primo comma il differimento non opera o, se concesso, è revocato se la gravidanza si interrompe, se la madre è dichiarata decaduta dalla responsabilità genitoriale sul figlio ai sensi dell'articolo 330 del codice civile, il figlio muore, viene abbandonato ovvero affidato ad altri, sempreché l'interruzione di gravidanza o il parto siano avvenuti da oltre due mesi.

 

 

Abrogato

Art. 147

(Rinvio facoltativo dell'esecuzione della pena)

L'esecuzione di una pena può essere differita:

1. se è presentata domanda di grazia, e l'esecuzione della pena non deve esser differita a norma dell'articolo precedente;

2. se una pena restrittiva della libertà personale deve essere eseguita contro chi si trova in condizioni di grave infermità fisica;

3. se una pena restrittiva della libertà personale deve essere eseguita nei confronti di madre di prole di età inferiore a tre anni.

L'esecuzione di una pena può essere differita:

1. se è presentata domanda di grazia, e l'esecuzione della pena non deve esser differita a norma dell'articolo precedente;

2. se una pena restrittiva della libertà personale deve essere eseguita contro chi si trova in condizioni di grave infermità fisica;

3. se una pena restrittiva della libertà personale deve essere eseguita nei confronti di donna incinta o di madre di prole di età inferiore a un anno.

3-bis. se una pena restrittiva della libertà personale deve essere eseguita nei confronti di madre di prole di età superiore a un anno e inferiore a tre anni.

Nel caso indicato nel n. 1, l'esecuzione della pena non può essere differita per un periodo superiore complessivamente a sei mesi, a decorrere dal giorno in cui la sentenza è divenuta irrevocabile, anche se la domanda di grazia è successivamente rinnovata.

Identico

Nel caso indicato nel numero 3) del primo comma il provvedimento è revocato, qualora la madre sia dichiarata decaduta dalla responsabilità genitoriale sul figlio ai sensi dell'articolo 330 del codice civile, il figlio muoia, venga abbandonato ovvero affidato ad altri che alla madre.

Nei casi indicati nei numeri 3) e 3-bis del primo comma il provvedimento è revocato, qualora la madre sia dichiarata decaduta dalla responsabilità genitoriale sul figlio ai sensi dell'articolo 330 del codice civile, il figlio muoia, venga abbandonato o affidato ad altri che alla madre, ovvero quando quest'ultima, durante il periodo di differimento, pone in essere comportamenti che causano un grave pregiudizio alla crescita del minore.

Il provvedimento di cui al primo comma non può essere adottato o, se adottato, è revocato se sussiste il concreto pericolo della commissione di delitti.

Identico

 

Nei casi indicati nei numeri 3 e 3-bis del primo comma, l'esecuzione della pena non può essere differita se dal rinvio derivi una situazione di pericolo, di eccezionale rilevanza, di commissione di ulteriori delitti. In tale caso, nell'ipotesi di cui al numero 3-bis, l'esecuzione può avere luogo presso un istituto a custodia attenuata per detenute madri, ove le esigenze di eccezionale rilevanza lo consentano; nell'ipotesi di cui al numero 3, l'esecuzione deve comunque avere luogo presso un istituto a custodia attenuata per detenute madri

 

 

 


Articolo 16
(Impiego di minori nell'accattonaggio. Organizzazione e favoreggiamento dell'accattonaggio. Induzione e costrizione all'accattonaggio)

 

 

L’articolo 16 introduce modifiche all’articolo 600-octies c.p., relativo al reato di impiego di minori nell’accattonaggio.

 

Più nel dettaglio, il comma 1, lett. a) della disposizione in esame incide sul primo comma dell’articolo 600-octies c.p., prevedendo che sia punito l’impiego nell’accattonaggio di minori fino ai sedici anni di età (non più fino ai quattordici anni) ed innalzando la pena per tali condotte da uno a cinque anni di reclusione, in luogo dei tre anni attualmente previsti come massimo edittale.

 

L’articolo 600-octies del codice penale è stato inserito dalla legge 15 luglio 2009, n. 94, che ha contestualmente rimosso il disposto dell’articolo 671 del codice penale, a seguito della scelta del legislatore di mutare la qualifica dell’impiego di minori nell’accattonaggio da contravvenzione a delitto.

La norma in commento punisce le condotte di chi sfrutti minori o incapaci per l’accattonaggio, o comunque permetta che altri se ne avvalgano. Il bene giuridico tutelato è la libertà psico-fisica del minore o del non imputabile. I soggetti tutelati, dunque, sono i minori degli anni quattordici, ritenuti incapaci di intendere e di volere, oltre ad ogni altra persona incapace di intendere e di volere per causa diversa dall'età.

 

La norma trova applicazione qualora il fatto non costituisca più grave reato, ad esempio la riduzione in schiavitù ai sensi dell’art. 600 c.p.

Il delitto di cui all'art. 600-octies, primo comma, relativo all’impiego di minori nell’accattonaggio, prevede tre diverse modalità di realizzazione della condotta: avvalersi per mendicare di una persona minore degli anni quattordici o, comunque, non imputabile; permettere che tale persona, ove sottoposta alla autorità o affidata alla custodia o vigilanza del soggetto attivo, mendichi; ovvero permettere che altri se ne avvalga per mendicare.

È un reato in forma commissiva per quanto riguarda lo sfruttamento, mentre ha natura omissiva per quanto concerne il permettere che altri si avvalga dell’altrui accattonaggio, qualora sussista un obbligo giuridico di impedire l'evento. In tal modo si rende punibile, ad esempio, sia il genitore che sfrutti il minore, sia il genitore che nulla faccia per impedirlo, sottoponendoli alla medesima cornice edittale.

Come conseguenza dell’innalzamento dei limiti edittali di pena, gli autori di tali condotte potranno essere sottoposti alle misure cautelari personali, sia di natura interdittiva che coercitiva. In particolare, con riferimento a queste ultime, diventa applicabile al reato in oggetto anche la misura della custodia cautelare in carcere, ai sensi dell’articolo 280 del codice di procedura penale.

 

La lett. b) del comma 1 dell’articolo 13 interviene sul secondo comma dell’articolo 600-octies c.p., introducendo quale ulteriore condotta integrativa della fattispecie di reato l’induzione all’accattonaggio, in aggiunta alle condotte, già previste dal secondo comma, di chi organizzi, si avvalga o favorisca, ai fini di profitto, l’altrui accattonaggio.

 

La condotta di induzione ha un ampio spettro applicativo, consistente in ogni attività idonea a persuadere, convincere, determinare il soggetto passivo a compiere determinati atti.

È specificamente prevista quale fattispecie delittuosa in relazione a diversi reati, come l’induzione alla prostituzione (articolo 3, numero 5, della legge 20 febbraio 1958, n. 75), l’induzione al matrimonio (articolo 558-bis c.p.) e l’induzione indebita a dare o promettere utilità (articolo 319-quater c.p.).

L’induzione rileva, inoltre, anche in relazione al reato di circonvenzione di persone incapaci (articolo 643 c.p.), nel quale rientra la condotta di chi, per procurare a sé o ad altri un profitto, abusando dei bisogni, delle passioni o della inesperienza di un minore, ovvero abusando dello stato d'infermità o deficienza psichica di una persona, anche se non interdetta o inabilitata, la induce a compiere un atto, che importi qualsiasi effetto giuridico per lei o per altri dannoso.

In riferimento al concetto di induzione, di cui all'art. 643 c.p., la giurisprudenza ha affermato che costituisce induzione ogni attività diretta a convincere, a persuadere (Cass., sez. II, Sentenza 26 marzo 2018, n. 13968). Incompatibile con l'induzione è quindi la condotta omissiva (Cass., sez. II, Sentenza 19 novembre 1999, n. 13308). Secondo parte della giurisprudenza non può essere ricompresa nella nozione di induzione la semplice richiesta di compiere l'atto, ma la condotta di induzione si deve concretare in un'apprezzabile attività di suggestione, pressione morale e persuasione finalizzata a determinare, o quantomeno a rafforzare, la volontà minorata del soggetto passivo (Cass., sez. II, Sentenza 2 luglio 2015, n. 28080). Altra parte della giurisprudenza ritiene invece che l'attività di induzione possa consistere anche in un qualsiasi comportamento o attività, come una semplice richiesta, cui la vittima, per le sue minorate condizioni, non sia capace di opporsi e che la porti quindi a compiere atti privi di alcuna causale, che ella in condizioni normali non avrebbe compiuto e che siano per lei pregiudizievoli e favorevoli all'agente (Cass., sez. II, Sentenza 19 giugno 2009, n. 18583). Il concetto di induzione abbraccia non solo l'azione del soggetto attivo della circonvenzione, ma anche l'evento di natura psichica, costituito, in base all'articolo 643 c.p., dalla risoluzione, del soggetto passivo dell'azione, di compiere l'atto.

La lett. b) prevede, altresì, un innalzamento della pena, prevista per le predette fattispecie, che passa dalla reclusione da uno a tre anni, alla reclusione da due a sei anni.

L’età inferiore ad anni sedici della persona offesa è invece prevista espressamente come circostanza aggravante ad effetto speciale, introdotta nello stesso secondo comma dall’articolo in esame, per la quale si prevede un aumento di pena da un terzo fino alla metà. Tale aumento è previsto anche se il fatto è commesso con violenza o minaccia o nei confronti di persona non imputabile.

 

Infine, la lett. c) del comma 1 dell’articolo 13 incide sulla rubrica dell’articolo 600-octies, che viene modificata da “Impiego di minori nell’accattonaggio. Organizzazione dell’accattonaggio” a “Impiego di minori nell’accattonaggio. Organizzazione e favoreggiamento dell’accattonaggio. Induzione e costrizione all’accattonaggio”, a seguito dell’introduzione della nuova condotta di induzione all’accattonaggio.

 

 

Codice penale

Testo vigente

Testo come modificato dall’AS 1236

Art. 600-octies
(Impiego di minori nell’accattonaggio. Organizzazione dell’accattonaggio)

Art. 600-octies

(Impiego di minori nell’accattonaggio. Organizzazione e favoreggiamento dell’accattonaggio. Induzione e costrizione all’accattonaggio)

Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque si avvale per mendicare di una persona minore degli anni quattordici o, comunque, non imputabile, ovvero permette che tale persona, ove sottoposta alla sua autorità o affidata alla sua custodia o vigilanza, mendichi, o che altri se ne avvalga per mendicare, è punito con la reclusione fino a tre anni.

Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque si avvale per mendicare di una persona minore degli anni sedici o, comunque, non imputabile, ovvero permette che tale persona, ove sottoposta alla sua autorità o affidata alla sua custodia o vigilanza, mendichi, o che altri se ne avvalga per mendicare, è punito con la reclusione da uno a cinque anni.

Chiunque organizzi l'altrui accattonaggio, se ne avvalga o comunque lo favorisca a fini di profitto è punito con la reclusione da uno a tre anni.

Chiunque induca un terzo all’accattonaggio, organizzi l'altrui accattonaggio, se ne avvalga o comunque lo favorisca a fini di profitto è punito con la reclusione da due a sei anni. La pena è aumentata da un terzo alla metà se il fatto è commesso con violenza o minaccia o nei confronti di persona minore degli anni sedici o comunque non imputabile.

 


Articolo 17
(Assunzioni di polizia locale presso le città metropolitane
della Regione siciliana)

 

 

L’articolo 17, introdotto nel corso dell’esame alla Camera, estende anche ai comuni capoluogo di città metropolitana della Regione siciliana in procedura di riequilibrio finanziario pluriennale (c.d. pre-dissesto) e che hanno sottoscritto l'accordo per il ripiano del disavanzo e il rilancio degli investimenti, l’autorizzazione ad assumere 100 vigili urbani, già previsto dal D.L. 39/2024 per le città metropolitane siciliane che hanno terminato il periodo di risanamento. Viene specificato, inoltre, che tale numero di unità di personale si riferisce a ciascun ente interessato.

 

A tal fine, l’articolo in esame apporta alcune modifiche all’articolo 9 del decreto-legge n. 39 del 2024 recante misure finalizzate a fronteggiare le emergenze di sicurezza urbana e di controllo del territorio, comprese quelle derivanti dagli eccezionali eventi meteorologici che hanno colpito la Sicilia nel luglio 2023.

Nello specifico viene modificato il comma 3 del citato articolo 9 che, nel testo vigente, autorizza i comuni capoluogo di città metropolitana della Regione siciliana[18], che alla data del 31 dicembre 2023 hanno terminato il periodo di risanamento quinquennale decorrente dalla redazione dell'ipotesi di bilancio stabilmente riequilibrato[19], ad assumere a tempo indeterminato, a partire dal 1° aprile 2024, 100 unità di personale non dirigenziale del corpo della polizia locale, mediante procedure concorsuali semplificate di cui all’articolo 35-quater, comma 3-bis, del D.Lgs. 265/2001, o mediante scorrimento di graduatorie vigenti di altre amministrazioni, comunque in deroga al previo espletamento delle procedure di cui agli articoli 30 e 34 del medesimo D.Lgs. 165/2001.

 

Si segnala che tra i comuni capoluogo di città metropolitana della Regione Siciliana il comune di Catania risulta essere l’unico ente che, alla data del 31 dicembre 2023, ha terminato il periodo di risanamento quinquennale (Corte dei conti, Sezione di controllo della Regione siciliana, Deliberazione 16 maggio 2024, n. 120).

 

L’articolo 35-quater, comma 3-bis, del D.Lgs. 165/2001 prevede che fino al 31 dicembre 2026, in deroga alle procedure ordinarie, i bandi di concorso per i profili non apicali delle pubbliche amministrazioni possono prevedere lo svolgimento della sola prova scritta, e non anche della prova orale.

L’articolo 30 del medesimo D.Lgs. 165/2001 prevede, tra l’altro, che le amministrazioni, prima di procedere all'espletamento di procedure concorsuali, finalizzate alla copertura di posti vacanti in organico, devono attivare le procedure di mobilità tra amministrazioni.

L’articolo 34 del D.Lgs. 165/2001 ha ad oggetto la gestione del personale collocato in disponibilità e, tra l’altro, prevede che l'avvio di procedure concorsuali e le nuove assunzioni a tempo indeterminato o determinato per un periodo superiore a dodici mesi, ad esclusione di quelle relative al conferimento di incarichi dirigenziali ad esperti esterni, al conferimento degli incarichi dirigenziali presso gli enti locali, e al conferimento di incarichi per l'espletamento di funzioni di particolare rilevanza e di interesse strategico in ambito sanitario, sono subordinate alla verificata impossibilità di ricollocare il personale in disponibilità iscritto nell'apposito elenco e in possesso della qualifica e della categoria di inquadramento occorrenti.

 

Per completezza, si ricorda che il comma 4 (non modificato dall’articolo in esame), del citato art. 9, del DL 39/2024, prevede che le assunzioni di cui al comma 3 sono autorizzate in deroga ai vincoli assunzionali di cui all’articolo 1, comma 557, della legge 296/2006 (che prevede che gli enti sottoposti al patto di stabilità interno assicurano la riduzione delle spese di personale), nonché in deroga all’articolo 33, comma 2, del DL 34/2019 (che stabilisce che i comuni possono procedere ad assunzioni di personale a tempo indeterminato in coerenza con i piani triennali dei fabbisogni di personale, e fermo restando il rispetto pluriennale dell'equilibrio di bilancio asseverato dall'organo di revisione, sino ad una spesa complessiva per tutto il personale dipendente, al lordo degli oneri riflessi a carico dell'amministrazione, non superiore al valore soglia definito come percentuale, differenziata per fascia demografica, della media delle entrate correnti relative agli ultimi tre rendiconti approvati, considerate al netto del fondo crediti dubbia esigibilità stanziato in bilancio di previsione).

Il successivo comma 5 (anch’esso non modificato) dispone che ai concorsi per le assunzioni di cui al comma 3 provvede il Dipartimento della funzione pubblica della Presidenza del Consiglio dei ministri tramite la Commissione RIPAM, che provvede, con propria delibera, alla individuazione delle commissioni esaminatrici.

 

L’articolo in commento interviene sulla sopracitata normativa apportando le seguenti modifiche.

In primo luogo (comma 1, lett. a, n. 1)), si estende l’autorizzazione alle assunzioni anche per i comuni capoluogo di città metropolitana della Regione siciliana che, alla data di entrata in vigore della disposizione, risultano ancora in procedura di riequilibrio finanziario pluriennale ai sensi dell’articolo 243-bis del testo unico degli enti locali (TUEL, D.Lgs. 267/2000) e che hanno sottoscritto l’accordo per il ripiano del disavanzo e il rilancio degli investimenti, di cui all’articolo 1, comma 572, della legge 234/2021.

In base alla richiamata disciplina, la modifica, in sostanza, riguarda il comune di Palermo che ha in corso la procedura di riequilibrio finanziario pluriennale ed ha sottoscritto il predetto accordo il 31 gennaio 2023. Il rappresentante del Governo, intervenendo in Commissione Bilancio della Camera nel corso dell’esame del provvedimento ha affermato che le disposizioni di cui all'articolo in commento, consentiranno l'applicazione delle norme attualmente previste per la città metropolitana di Catania anche a quella di Palermo (seduta del 10 settembre 2024). 

 

Ai sensi dell’articolo 243-bis del TUEL i comuni e le province per i quali, anche in considerazione delle pronunce delle competenti sezioni regionali della Corte dei conti sui bilanci degli enti, sussistano squilibri strutturali del bilancio in grado di provocare il dissesto finanziario, nel caso in cui le misure di cui agli articoli 193 (salvaguardia degli equilibri di bilancio) e 194 (riconoscimento di legittimità di debiti fuori bilancio) non siano sufficienti a superare le condizioni di squilibrio rilevate, possono ricorrere, con deliberazione consiliare alla procedura di riequilibrio finanziario pluriennale. La durata del piano è compresa tra quattro e venti anni ed è determinata sulla base del rapporto tra le passività da ripianare e l’ammontare degli impegni di cui al titolo I della spesa (spesa corrente) dell’ultimo rendiconto approvato. Dalla data di deliberazione del ricorso alla procedura sono sospese le azioni esecutive nei confronti dell’ente.

La legge di bilancio per il 2022 (articolo 1, commi 567-580, legge n. 234 del 2021) ha stanziato per gli anni 2022-2042 un contributo complessivo di 2,67 miliardi di euro a favore dei comuni sede di capoluogo di città metropolitana con disavanzo pro capite superiore a euro 700 (si tratta dei comuni di Napoli, Torino, Palermo e Reggio Calabria). La sottoscrizione dell'Accordo sospende per due anni la possibilità di attivare la procedura del dissesto. In base al comma 572 dell’articolo 1 della legge di bilancio per il 2022, richiamato dalla disposizione in commento, l'erogazione del contributo è subordinata alla sottoscrizione, entro il 15 febbraio 2022 (termine prorogato al 31 gennaio 2023 dal comma 783 della legge n. 197 del 2022) di un Accordo tra il Presidente del Consiglio dei ministri e il Sindaco, in cui il comune si impegna, sulla base di uno specifico cronoprogramma con scadenze semestrali, a concorrere al ripiano del disavanzo per almeno un quarto del contributo statale annuo concesso, attraverso varie misure. Con il DM 6 aprile 2022 il contributo complessivo di 2,67 miliardi di euro è stato ripartito, per gli anni 2022-2042, ai comuni di Napoli (1,231 milioni), Torino (1,120 milioni), Palermo (180 milioni) e Reggio Calabria (138 milioni).

 

In secondo luogo (comma 1, lett. a, n. 2)), si chiarisce che il numero di unità di personale del corpo di polizia locale per il quale è autorizzata l’assunzione si riferisce a “ciascun ente”, quindi ciascun comune interessato può assumere fino a 100 nuovi vigili urbani.

 

Infine (comma 1, lett. b), viene conseguentemente adeguata la quantificazione degli oneri, indicati dal vigente comma 6 dell’articolo 9 del DL 39/2024, che vengono elevati da 2.925.000 euro per l'anno 2024 e 3.900.000 euro a decorrere dall'anno 2025 a 3.900.000 euro per l'anno 2024 e 7.800.000 euro a decorrere dall'anno 2025.

 

L’importo per l’anno 2024, nel testo originario dell’articolo, introdotto in sede referente, pari 5.200.000, è stato così rideterminato in sede di esame in Assemblea a seguito del parere della Commissione Bilancio della Camera. In quella sede il rappresentante del Governo ha affermato che i nuovi oneri, “risultano sovrastimati con riferimento all'anno 2024, in quanto, in considerazione dei tempi necessari all'entrata in vigore del provvedimento in esame, i medesimi oneri potranno prodursi esclusivamente con riferimento all'ultimo quadrimestre dell'anno in corso” (seduta del 10 settembre 2024).

 

Alla copertura si provvede, come previsto dalla norma vigente, mediante corrispondente riduzione del Fondo per le esigenze indifferibili di cui all’articolo 1, comma 200, della legge 23 dicembre 2014, n. 190.


Articolo 18
(Disposizioni in materia di coltivazione e filiera agroindustriale
della canapa)

 

 

L’articolo 18, introdotto dalla Camera, apporta novelle alla disciplina relativa al sostegno e alla promozione della coltivazione e della filiera agroindustriale della canapa (Cannabis sativa L.)  di cui alla L. n. 242 del 2016. Tra le modifiche introdotte vi è, in particolare, il divieto di importazione, cessione, lavorazione, distribuzione, commercio, trasporto, invio, spedizione e consegna delle infiorescenze della canapa (Cannabis sativa L.), anche in forma semilavorata, essiccata o triturata, nonché di prodotti contenenti tali infiorescenze, compresi gli estratti, le resine e gli olii da esse derivati. Si prevede che, in tali ipotesi, si applicano le sanzioni previste al Titolo VIII del D.P.R. n. 309/1990 in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza.

 

Nel dettaglio l’articolo 18, comma 1, lettera a) - novellando l’articolo 1 della L. n. 242/2016 - apporta le seguenti quattro modificazioni:

§  al punto 1 - intervenendo sul comma 1 - specifica che le misure normative di sostegno e promozione delineate nella legge n. 242 del 2016 si rivolgono alla filiera industriale della canapa;

§  al punto 2 - modificando il comma 3 - prevede che le suddette misure di sostegno e promozione si rivolgono in via esclusiva alla coltura della canapa comprovatamente finalizzata alle attività ivi previste;

§  al punto 3 - modificando il comma 3, lettera b) - elimina, tra le finalità del sostegno e della promozione della canapa, l'impiego e il consumo finale di semilavorati, finalizzando la realizzazione dei semilavorati ai soli usi consentiti dalla legge;

§  al punto 4 -  inserisce, dopo il comma 3, un ulteriore comma nel quale si chiarisce la non applicazione della legge n. 242 del 2016 all'importazione, alla lavorazione, alla detenzione, alla cessione, alla distribuzione, al commercio, al trasporto, all'invio, alla spedizione, alla consegna, alla vendita al pubblico e al consumo di prodotti costituiti da infiorescenze di canapa (Cannabis sativa L.), anche in forma semilavorata, essiccata o triturata, o contenenti tali infiorescenze, comprese estratti, resine e olii da esse derivati.

Restano ferme le disposizioni del D.P.R. n.309/1990 in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza.

Si ricorda, in proposito, che l’articolo 1, della L. n. 242 del 2016 ha introdotto disposizioni volte al sostegno e alla promozione della coltivazione e della filiera agroindustriale della canapa (Cannabis sativa L.), quale coltura in grado di contribuire alla riduzione dell'impatto ambientale in agricoltura, alla riduzione del consumo dei suoli e della desertificazione e alla perdita di biodiversità, nonché come coltura da impiegare quale possibile sostituto di colture eccedentarie e come coltura da rotazione.

 

L’articolo 18, comma 1, lettera b) – novellando l’articolo 2 della legge n. 242 del 2016 - apporta le seguenti due modificazioni:

§  al punto 1 - novellando il comma 2, lettera g) – precisa che la coltivazione della canapa è consentita senza la necessità di autorizzazione a condizione che dalla stessa si ottengano, tra l’altro, prodotti destinati al florovivaismo professionale;

§  al punto 2 - aggiungendo dopo il comma 3 un ulteriore comma – sancisce il divieto di importazione, cessione, lavorazione, distribuzione, commercio, trasporto, invio, spedizione e consegna delle infiorescenze della canapa (Cannabis sativa L.) coltivata ai sensi del comma 1 dell’art. 2 della legge n. 242 del 2016, anche in forma semilavorata, essiccata o triturata, nonché di prodotti contenenti tali infiorescenze, compresi gli estratti, le resine e gli olii da esse derivati. E’ previsto che in tali ipotesi si applicano le sanzioni previste al Titolo VIII del D.P.R. n. 309/1990.

 

L’art. 2, comma 1, della legge n. 242 del 2016, richiama l’articolo 1, comma 2, della medesima legge, il quale sancisce che la legge medesima si applica alle coltivazioni di canapa delle varietà ammesse iscritte nel Catalogo comune delle varietà delle specie di piante agricole, ai sensi dell'articolo 17 della direttiva 2002/53/CE del Consiglio, del 13 giugno 2002, le quali non rientrano nell'ambito di applicazione del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309.

Il Titolo VIII del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, contiene, al Capo I, una serie di disposizioni di natura penale e amministrativa. I principali reati contemplati nel capo sono quelli di produzione, traffico e detenzione illeciti di sostanze stupefacenti o psicotrope, di cui all’art. 73, punito di base con la reclusione da sei a venti anni e con la multa da euro 26.000 a euro 260.000 (pene maggiori sono previste se il reato è commesso da chi detiene l’autorizzazione a coltivare, produrre, importare, esportare, commerciare sostanze stupefacenti o psicotrope, mentre pene inferiori si applicano ai casi lieve entità) e l’associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope, di cui all’art. 74, punita con la reclusione non inferiore a 20 anni per chi promuove, costituisce, dirige, organizza o finanzia l'associazione e la reclusione non inferiore a 10 anni per chi vi partecipa.

Per i delitti di cui all’art. 73 sono inoltre previste alcune aggravanti specifiche che aumentano le pene da un terzo alla metà (art. 80) tra cui la consegna di sostanze a persona minore, la cessione effettuata all'interno o in prossimità di scuole, comunità giovanili, caserme, carceri, ospedali, strutture per la cura e la riabilitazione dei tossicodipendenti, l’adulterazione che accentui la potenzialità lesiva delle sostanze. L’aumento della pena è aumentata dalla metà a due terzi se il fatto riguarda quantità ingenti di sostanze stupefacenti o psicotrope; la pena è di 30 anni di reclusione quando ricorrono sia la quantità ingente che l’adulterazione che accentua la lesività. Di converso è prevista una riduzione di pena (art. 81) dalla metà a due terzi se, in caso di morte o lesioni personali dell’assuntore di sostanze stupefacenti, colui che ha determinato o agevolato l'uso di tali sostanze ha prestato assistenza alla persona offesa ed ha tempestivamente informato l'autorità sanitaria o di polizia.

Altri reati previsti sono quelli di agevolazioni dell'uso di sostanze stupefacenti o psicotrope (art. 79), di istigazione, proselitismo e induzione al reato di persona minore (art. 82) e di prescrizioni abusive per uso non terapeutico (art. 83). Alla condanna per uno dei delitti di cui agli articoli 73, 74, 79 e 82, può conseguire la pena accessoria del divieto di espatrio e del ritiro della patente di guida per un periodo non superiore a 3 anni. Lo straniero condannato per gli stessi reati deve essere espulso al termine dell’espiazione della pena.

Il Capo I contiene altresì alcune sanzioni amministrative. In particolare l’art. 75 prevede che chiunque, per uso personale, illecitamente importa, esporta, acquista, riceve a qualsiasi titolo o comunque detiene sostanze stupefacenti o psicotrope è sottoposto ad una o più sanzioni amministrative (sospensione della patente di guida, della licenza di porto d'armi, del permesso di soggiorno per motivi di turismo o divieto di conseguirli); se dalla condotta sopra descritta può derivare pericolo per la sicurezza pubblica, l'interessato che risulti già condannato, anche non definitivamente, per taluni reati (contro la persona, il patrimonio, ovvero per reati previsti dal medesimo testo unico o dalle norme sulla circolazione stradale) può essere sottoposto ad ulteriori misure, quali l’obbligo di presentarsi almeno due volte a settimana presso il locale ufficio della polizia o dei carabinieri o di comparire in uno specifico ufficio di polizia negli orari di entrata ed uscita dagli istituti scolastici, l’obbligo di rientrare nella propria abitazione entro un determinato orario, divieto di frequentare determinati locali pubblici e di allontanarsi dal comune di residenza, nonché di condurre qualsiasi veicolo a motore.

 

Le modifiche normative sopra illustrate sono finalizzate, secondo quanto descritto al comma 1 dell’art. 13-bis in commento, ad evitare che l'assunzione di prodotti da infiorescenza della canapa possa favorire - mediante alterazioni dello stato psicofisico - l’insorgere di comportamenti che possono porre a rischio la sicurezza o l'incolumità pubblica o la sicurezza stradale.

Ciò premesso si riportano qui di seguito due approfondimenti sulla coltivazione della canapa ad uso industriale e sulla giurisprudenza che si è formata con riferimento all’interpretazione della sopra citata legge n. 242 del 2016, e in particolare, alla commercializzazione dei prodotti contenenti THC. 

 

Coltivazione di canapa ad uso industriale

La legge 2 dicembre 2016, n. 242 recante “Disposizioni per la promozione della coltivazione e della filiera agroindustriale della canapa” ha consentito in Italia la coltivazione della canapa (denominata scientificamente cannabis sativa L.) esclusivamente per la produzione di fibre o per altri usi industriali, diversi dall'uso farmaceutico, con sementi certificate, in applicazione della normativa di settore, secondo le indicazioni dell’allora Ministero delle politiche alimentari, agricole e forestali. Le varietà di canapa che la legge n. 242 del 2016 consente di coltivare sono quelle iscritte nel Catalogo comune delle varietà delle specie di piante agricole, ai sensi dell'articolo 17 della direttiva 2002/53/CE. Tali piante non rientrano nell'ambito di applicazione del Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope sopra richiamato poiché hanno un tenore di THC inferiore o uguale allo 0,2%. Infatti, ai sensi dell'articolo 2, comma 1, della legge 242/2016 la coltivazione di tali varietà è consentita senza necessità di autorizzazione, richiesta, invece, per la coltivazione di canapa ad alto contenuto di ?-9-tetraidrocannabinolo (THC) e ?-8-trans-tetraidrocannabinolo (THC).

Ai sensi dell’articolo 2 della L. n. 242 del 2016 i possibili usi del prodotto derivante dalla coltivazione senza la necessità di autorizzazione, sono i seguenti:

a) alimenti e cosmetici prodotti esclusivamente nel rispetto delle discipline dei rispettivi settori;

b) semilavorati, quali fibra, canapulo, polveri, cippato, olio carburanti, per forniture alle industrie e alle attività artigianali di diversi settori, compreso quello energetico. L'uso della canapa come biomassa ai fini energetici è consentito esclusivamente per l'autoproduzione energetica aziendale;

c) materiale destinato alla pratica del sovescio;

d) materiale organico destinato ai lavori di bioingegneria o prodotti utili per la bioedilizia;

e) materiale finalizzato alla fitodepurazione per la bonifica di siti inquinati;

f) coltivazioni dedicate alle attività didattiche e dimostrative nonché di ricerca da parte di istituti pubblici o privati;

g) coltivazioni destinate al florovivaismo.

Lo stesso articolo 2 statuisce che l'uso della canapa come biomassa ai fini energetici è consentito esclusivamente per l'autoproduzione energetica aziendale, nei limiti e alle condizioni previste dall'allegato X alla parte quinta del D. Lgs. n. 15272006 e successive modificazioni.

Quanto ai controlli, l’art. 4 della legge n. 242 del 2016 li pone in capo al Corpo forestale dello Stato, autorizzato a effettuare i prelievi e le analisi di laboratorio sulle coltivazioni di canapa, fatto salvo ogni altro tipo di controllo da parte degli organi di polizia giudiziaria eseguito su segnalazione e nel corso dello svolgimento di attività giudiziarie. Nel caso di campionamento, le modalità di prelevamento, conservazione e analisi dei campioni provenienti da colture in pieno campo, ai fini della determinazione quantitativa del contenuto di tetraidrocannabinolo (THC) delle varietà di canapa, sono quelle stabilite ai sensi della vigente normativa dell'Unione europea e nazionale. Qualora gli addetti ai controlli, reputino necessario effettuare i campionamenti con prelievo della coltura, sono tenuti a eseguirli in presenza del coltivatore e a rilasciare un campione prelevato in contraddittorio all'agricoltore stesso per eventuali controverifiche. I meccanismi di controllo dettati dalla norma fanno salvi i criteri europei e nazionali di prelievo e campionamento, individuando un ambito di tolleranza, esente da responsabilità, tra il tenore di 0,2 e 0,6 di tetraidrocannabinolo (THC). Il sequestro o la distruzione delle coltivazioni di canapa impiantate possono essere disposti dall'autorità giudiziaria solo qualora, a seguito di un accertamento effettuato risulti che il contenuto di THC nella coltivazione è superiore allo 0,6 per cento. Anche in tal caso è esclusa la responsabilità dell'agricoltore.

Con riferimento all'aspetto "agricolo" della cannabis sativa, si rinvia all'apposita sezione del sito del MASAF sulla canapa e alla relativa disciplina, compresa la circolare MIPAAF n. 5059 del 22 maggio 2018 recante disposizioni per la promozione della coltivazione e della filiera agroindustriale della canapa, emessa in attuazione della legge n. 242 del 2016.

Si ricorda, inoltre,  che ai sensi dell'art. 5 della richiamata legge n. 242 del 2016, il decreto del Ministro della salute 4 novembre 2019 “Definizione di livelli massimi di tetraidrocannabinolo (THC) negli alimenti pubblicato sulla G.U. n. 11 del 15 gennaio 2020 fornisce indicazioni agli operatori del settore alimentare e alle Autorità competenti (Ministero della salute, Ministero dell’agricoltura della sovranità alimentare e delle foreste, Ispettorato centrale della tutela della qualità e della repressione frodi dei prodotti agroalimentari, le regioni, le Province autonome e le aziende sanitarie locali), fissando i livelli massimi di THC negli alimenti (semi, farina ottenuta dai semi, olio ottenuto dai semi; non rientrano il polline, le infiorescenze e le radici).

Sulla base del principio di precauzione, i limiti sono definiti come somma della sostanza attiva (A9-THC, A9-tetraidrocanabinolo) e del precursore acido non attivo (A9-THCA-A, acido delta-9-tetraidrocannabinolico A) che, in specifiche situazioni, può portare alla formazione della sostanza attiva. II regolamento fornisce, altresì, chiarimenti alle Autorità competenti e agli operatori del settore sugli alimenti derivati dalla canapa che possono essere prodotti e immessi sul mercato a livello nazionale, fatte salve le disposizioni di mutuo riconoscimento previste dall'articolo 7 del decreto, ovvero le merci legalmente commercializzate in un altro Stato membro dell'Unione europea o in Turchia o provenienti da uno Stato EFTA firmatario dell'accordo SEE e in esso legalmente commercializzate sono considerate compatibili con questa misura.

Inoltre, si rimanda ai seguenti documenti di interesse: disciplinare di produzione della cannabis sativa in Italia firmato dalle organizzazioni agricole il 12 luglio 2018; Circolare del Ministero dell'interno del luglio 2018 sulla commercializzazione delle infiorescenze della canapa tessile a basso tenore di THC e relazione con la normativa sugli stupefacenti; la direttiva 9 maggio 2019 del Ministro dell'Interno[20] contiene indirizzi su commercializzazione di canapa e normativa sugli stupefacenti.; parere del Consiglio superiore di sanità del 18 aprile 2018 sulla commercializzazione di prodotti contenti THC (come le infiorescenze di canapa); lettera del segretario generale dell'Organizzazione mondiale della sanità (OMS) sull'uso terapeutico della cannabis del 24 gennaio 2019 (in inglese).


 

 

Giurisprudenza rilevante sulla coltivazione della canapa

La legge n. 242 del 2016 è stata oggetto di un importante volume di contenzioso, coinvolgendo sia la giurisdizione del giudice ordinario, e segnatamente penale, che quella del giudice amministrativo.

Sul lato penalistico, occorre ricordare la sentenza della Corte di Cassazione del 30 maggio 2019, n. 30475-19 Sezioni unite penali. Il dispositivo della citata sentenza, sottolinea che "la commercializzazione di cannabis sativa e, in particolare, di foglie, inflorescenze, olio, resina, ottenuti dalla coltivazione della predetta varietà di canapa, non rientra nell'ambito di applicazione della legge 242 del 2016, che qualifica come lecita unicamente l'attività di coltivazione di canapa delle varietà iscritte nel catalogo comune delle specie di piante agricole". Conseguentemente, la Corte ha ribadito che non sono consentite la vendita o la cessione a qualunque titolo dei prodotti derivati dalla coltivazione della cannabis sativa, come l'olio, le foglie, le inflorescenze e la resina, poiché il commercio di tali prodotti rientra nella fattispecie di reato contenuta nel Testo unico sugli stupefacenti, salvo che gli stessi prodotti siano in concreto privi di efficacia drogante.

Più di recente la stessa Corte di cassazione, -sezione quarta penale, sentenza 17 marzo-28 aprile 2021, n. 16155 - ha asserito che la coltivazione di canapa delle varietà iscritte nel Catalogo comune delle varietà delle specie di piante agricole, ai sensi dell'articolo 17 della direttiva 2002/53/CE del Consiglio, del 13 giugno 2002, da parte di coltivatore diretto, integra il reato di cui all'art. 73, comma 4, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, allorquando emerga la prova di una finalità diversa da quella indicata dall'art.2 della citata legge n.242 del 2016. 

Si evince l’ampia discrezionalità lasciata al giudice di merito per la decisione nel caso concreto, sicché problematiche applicative si sono riscontrate sia sul lato sostanziale, sia processuale.

Sul primo versante, la Suprema Corte è intervenuta specificando che, ai fini della rilevanza penale, la percentuale inferiore alla soglia indicata dalla L. n. 242/2016, art. 4, commi 5 e 7, non esclude a priori il configurarsi del reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, e, inoltre, “non rileva il superamento della dose media giornaliera ma la circostanza che la sostanza ceduta abbia effetto drogante per la singola assunzione dello stupefacente. Nella valutazione della rilevanza penale delle condotte aventi ad oggetto stupefacenti, occorre sempre verificare, nel rispetto del principio di offensività, che in concreto la sostanza abbia una reale efficacia drogante, vale a dire una effettiva attitudine a produrre effetti psicotropi.” (Cassazione penale, sent. n. 7256/2021).

Invece, dal lato del giudice amministrativo, si segnala la sentenza del T.A.R. del Lazio, n. 2616/2023 del 14 febbraio, che ha annullato “il decreto pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 115 del 18 maggio 2022, che ha inserito la cannabis sativa l. nell'elenco di varietà botaniche con regime speciale, con l'intenzione di limitare la coltivazione agricola, consentendo di commercializzare solo i semi e i loro derivati. La normativa nazionale di ciascun Stato membro può limitare l'utilizzo delle parti della pianta soltanto se tale limitazione sia strettamente indispensabile a tutelare il diritto alla salute pubblica, purché ciò non ecceda quanto necessario per il suo raggiungimento.” (sul punto, si rimanda al comunicato presente sul sito della giustizia amministrativa).

In merito alla giurisprudenza nazionale, si ricordano le sentenze gemelle del Tar del Lazio n. 2613/2023 e n. 2616/2023[21], che hanno annullato il decreto del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali del 21 gennaio 2022[22], ritenendo che la limitazione all’industrializzazione e alla commercializzazione della canapa soltanto alle fibre e ai semi si pone in contrasto con gli articoli 34 e 36 del TFUE (libera circolazione delle merci), i quali “devono essere interpretati nel senso che ostano a una normativa nazionale che vieta la commercializzazione del cannabidiolo (CBD) legalmente prodotto, qualora sia estratto dalla pianta di cannabis sativa nella sua interezza e non soltanto dalle sue fibre e dai suoi semi, a meno che tale normativa sia idonea a garantire la realizzazione dell’obiettivo della tutela della salute pubblica e non ecceda quanto necessario per il suo raggiungimento” (in adesione alla sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea sopra richiamata) (sul punto, si rimanda al comunicato presente sul sito della giustizia amministrativa).

La Corte Costituzionale ha recentemente osservato nella sentenza 9 febbraio 2023 n. 57 che “l'art. 2, comma 2, della legge n. 242 del 2016 nel delimitare in maniera tassativa  le attività che si possono svolgere e i prodotti che è dato ottenere attraverso la coltivazione della canapa, senza necessità di autorizzazione, assurge a norma di grande riforma economico-sociale.(…) All'esterno di simile perimetro, si dispiega la fattispecie di reato di cui all'art. 73 del D.P.R. n. 309 del 1990, concernente la produzione, il traffico e la detenzione illeciti di sostanze stupefacenti o psicotrope, che attiene a un ambito di sicura competenza dello Stato (sentenza n. 51 del 2022).”.

 A livello europeo, si richiama, infine,  la sentenza del 19 novembre 2020 della Corte di giustizia dell’Unione europea (C-663/18 – B S e C A/ Ministére public et Conseil national de l’ordre des pharmaciens) secondo cui “Gli articoli 34 e 36 TFUE devono essere interpretati nel senso che ostano a una normativa nazionale che vieta la commercializzazione del cannabidiolo (CBD) legalmente prodotto in un altro Stato membro, qualora sia estratto dalla pianta di Cannabis sativa nella sua interezza e non soltanto dalle sue fibre e dai suoi semi, a meno che tale normativa sia idonea a garantire la realizzazione dell’obiettivo della tutela della salute pubblica e non ecceda quanto necessario per il suo raggiungimento”.

 

 

Dati e statistiche

 

La canapa, come prima illustrato, presenta una notevole versatilità in tema di possibilità di utilizzo, in settori diversi quali tessile, alimentare, edilizio, risultando impiegabile anche nell’industria cartaria, cosmetica ed energetica.

Circa la produzione italiana, l’Istat riporta, per il 2023, una superficie totale destinata alla coltivazione di canapa industriale (tendenzialmente riferita al comparto tessile) pari a 298 ettari, in diminuzione rispetto all’area sfruttata nel 2022, pari a 487 ettari.

La produzione nazionale si è attestata, per il 2023, a 23.820 quintali, in diminuzione rispetto ai 40.019 quintali dell’anno 2022. 

Tuttavia, occorre sottolineare che i dati riportati non riguardano la c.d. cannabis light, ma, per lo più, la canapa tiglio, ossia la canapa prodotta al fine di estrarre fibre tessili (come confermato dall’Annuario dell’agricoltura italiana 2022, pubblicato dal CREA).

Invero, circa la canapa destinata ad altre tipologie di produzioni, non si rinvengono dati da fonti ufficiali.

A livello europeo si ricordano i dati della Commissione europea, secondo cui la superficie destinata alla coltivazione di canapa (genericamente intesa, non solo la canapa tiglio) è aumentata del 75% nel periodo 2015-2019, passando da 19.970 ettari a 34.960 ettari. Anche la produzione ha subito incrementi analoghi, pari al 62,4%, arrivando a 152.820 tonnellate nel 2019, contro le 94.120 tonnellate del 2015.

 

 

Come si può evincere dal grafico sopra riportato, nonostante una diminuzione nel triennio 2019-2022, l’ultima rilevazione mostra ancora un incremento riguardante la superficie coltivata a canapa nell’UE, pari a 33.020 ettari.

 

 


Articolo 19
(Violenza o minaccia e resistenza a pubblico ufficiale)

 

 

L’articolo 19, modificato nel corso dell’esame alla Camera, reca modifiche gli articoli 336, 337 e 339 del codice penale, introducendo una circostanza aggravante dei delitti di violenza o minaccia e di resistenza a pubblico ufficiale se il fatto è commesso nei confronti di un ufficiale o un agente di polizia giudiziaria o di pubblica sicurezza, prevedendo il divieto di prevalenza delle attenuanti sulla predetta aggravante e introducendo altresì – in virtù di un emendamento approvato nel corso dell’esame alla Camera - un’ulteriore circostanza aggravante dei delitti di violenza o minaccia a un pubblico ufficiale, di resistenza a pubblico ufficiale e di violenza o minaccia a un corpo politico, amministrativo o giudiziario o ai suoi componenti, se il fatto è commesso al fine di impedire la realizzazione di un’opera pubblica o di un’infrastruttura strategica.

 

In particolare, il comma 1, lett. a) modifica l’art. 336 c.p. (Violenza o minaccia a un pubblico ufficiale)

 

L’art. 336, primo comma, c.p. punisce con la reclusione da 6 mesi a 5 anni chiunque usa violenza o minaccia a un pubblico ufficiale o ad un incaricato di un pubblico servizio per costringerlo a fare un atto contrario ai propri doveri, o ad omettere un atto dell'ufficio o del servizio.

Il terzo comma prevede la pena della reclusione fino a 3 anni se il fatto è commesso per costringere il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio a compiere un atto del proprio ufficio o servizio, o per influire, comunque, su di esso.

 

Si ricorda peraltro che l’art. 393-bis c.p. prevede una causa di non punibilità, qualora il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio abbia dato causa al fatto eccedendo con atti arbitrari i limiti delle sue attribuzioni.

 

La disposizione in commento aggiunge all’art. 336 c.p. due commi, volti a prevedere:

Ø  l’aumento della pena di un terzo se il fatto è commesso nei confronti di un ufficiale o agente di polizia giudiziaria o di pubblica sicurezza;

Ø  il divieto di prevalenza delle attenuanti, diverse da quella della minore età di cui all’art. 98 c.p., rispetto alla predetta aggravante.

 

Simmetricamente, la lett. b) modifica l’art. 337 c.p. (Resistenza a un pubblico ufficiale) aggiungendovi due commi, volti a prevedere:

Ø  l’aumento della pena di un terzo se il fatto è commesso per opporsi a un ufficiale o agente di polizia giudiziaria o di pubblica sicurezza mentre compie un atto di ufficio;

Ø  il divieto di prevalenza delle attenuanti, diverse da quella della minore età di cui all’art. 98 c.p., rispetto alla predetta aggravante.

 

Ai sensi dell’art. 57, primo e secondo comma, c.p.p. sono ufficiali e agenti di polizia giudiziaria gli appartenenti alla Polizia di Stato, all’Arma dei carabinieri, alla Guardia di finanza, ai quali l’ordinamento delle rispettive amministrazioni riconosca le predette qualità, nonché, nei limiti del servizio cui sono destinate e secondo le rispettive attribuzioni, le persone alle quali le leggi e i regolamenti attribuiscono le attribuzioni previste dall’art. 55 c.p. (vale a dire prendere, anche di propria iniziativa, notizia dei reati, impedire che vengano portati a conseguenze ulteriori, , ricercarne gli autori, compiere gli atti necessari per assicurare le fonti di prova e raccogliere quant’altro possa servire per l’applicazione della legge penale).

A titolo meramente esemplificativo, si segnala che funzioni di polizia giudiziaria sono attribuite agli appartenenti alla Polizia penitenziaria (art. 14 L. 395/1990), agli appartenenti alla polizia municipale, nell'ambito territoriale dell'ente di appartenenza e nei limiti delle proprie attribuzioni (art. 7 L. 65/1986), al personale, anche volontario, del Corpo nazionale dei vigili del fuoco (art. 6 d. lgs. 136/2006), ai funzionari e agenti dell’amministrazione finanziaria ai quali sia demandato l’accertamento di reati, nei limiti del servizio cui sono destinati e secondo le attribuzioni ad essi conferite dalla legge (art. 31 L. 4/1929), al personale delle ASL che svolge funzioni ispettive e di controllo in materia di sicurezza sul lavoro (art. 21 L. 833/1978), al personale ispettivo dell’Ispettorato nazionale del lavoro, dell’INPS e dell’INAIL (art. 1 d. lgs. 149/2015), agli agenti venatori degli enti locali (art. 27 L. 157/1992), al personale consolare (art. 38 d. lgs. 71/2011), ai comandanti delle navi e degli aeromobili per i reati commessi a bordo in corso di navigazione (art. 1235 cod. nav.).

Si ricorda, infine, che nei comuni in cui non abbia sede un ufficio della Polizia di Stato o un comando dell’Arma dei carabinieri o della Guardia di finanza le funzioni di ufficiale di polizia giudiziaria sono esercitate dal sindaco (art. 57, terzo comma, c.p.p.).

 

Si rileva come l’articolo in commento introduca, per i reati di cui agli artt. 336 e 337 c.p., una circostanza aggravante a effetto speciale, in quanto l’aumento della pena è previsto nella misura fissa di un terzo (anziché nella misura fino a un terzo prevista dall’art. 64, primo comma, c.p. per le circostanze aggravanti a effetto comune).

 

In riferimento al divieto di prevalenza delle attenuanti sulle aggravanti, si ricorda che, di recente, la Corte costituzionale con la sentenza 197/2023 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 577, terzo comma, del codice penale nella parte in cui vieta al giudice, in caso di omicidio commesso in danno di un ascendente, discendente, coniuge o convivente, ai sensi del medesimo art. 577, primo comma, n. 1), di comminare la pena a seguito del giudizio di bilanciamento, ex art. 69 c.p., tra circostanze aggravanti ed attenuanti, in particolare operando una valutazione circa la possibile prevalenza di queste ultime, con specifico riguardo a quelle di cui agli artt. 62, primo comma, numero 2) (attenuante della provocazione), e 62-bis, del codice penale (attenuanti generiche).

Nelle motivazioni la Corte, citando la propria sentenza n. 73 del 2020, ricorda che la pena deve essere «adeguatamente calibrata non solo al concreto contenuto di offensività del fatto di reato per gli interessi protetti, ma anche al disvalore soggettivo espresso dal fatto medesimo», e che quest’ultimo «dipende in maniera determinante non solo dal contenuto della volontà criminosa (dolosa o colposa) e dal grado del dolo o della colpa, ma anche dalla eventuale presenza di fattori che hanno influito sul processo motivazionale dell’autore, rendendolo più o meno rimproverabile».

In questo senso, il «flessibile strumento del bilanciamento tra le circostanze» può essere considerato espressione diretta dei principi costituzionali di proporzionalità e individualizzazione della pena desumibili dagli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost.

Derogare al regime del bilanciamento – afferma la Corte - è certamente consentito al legislatore nell’esercizio della propria discrezionalità, purché la deroga sia conforme ai principi costituzionali.

La Corte ha ritenuto che il divieto di prevalenza di cui all’art. 577, terzo comma, c.p., violasse l’art. 3 Cost., rilevando fra l’altro la “intrinseca irragionevolezza” della previsione per cui “una sola circostanza aggravante […] abbia l’effetto di impedire un giudizio di prevalenza di una pluralità di circostanze attenuanti”.

Nello stesso solco, la Corte costituzionale con la sentenza 201/2023 ha altresì dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 69, quarto comma, c.p., nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza della circostanza attenuante di cui all'art. 74, comma 7, del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (T.u. in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza), la quale prevede la diminuzione della pena dalla metà a due terzi «per chi si sia efficacemente adoperato per assicurare le prove del reato o per sottrarre all'associazione risorse decisive per la commissione dei delitti», sulla recidiva di cui all'art. 99, quarto comma, c.p.. La Corte costituzionale, infatti, ha rilevato che la disposizione censurata determinerebbe “un vizio di irragionevolezza intrinseca della disciplina, che finisce per frustrare lo scopo perseguito dal legislatore mediante la previsione della circostanza attenuante.”

 

La lett. c), inserita nel corso dell’esame alla Camera, aggiunge un comma all’art. 339 c.p. in materia di circostanze aggravanti dei delitti di violenza o minaccia a un pubblico ufficiale, resistenza a un pubblico ufficiale e violenza o minaccia a un corpo politico, amministrativo o giudiziario o ai suoi componenti.

 

L’art. 339 c.p. nel testo attualmente vigente prevede, al primo comma, che le pene per i predetti delitti siano aumentate se il fatto è commesso nel corso di manifestazioni in luogo pubblico o aperto al pubblico ovvero con armi o da persona travisata o da più persone riunite, o con scritto anonimo o in modo simbolico, o valendosi della forza intimidatrice derivante da associazioni segrete, esistenti o supposte.

Il secondo comma prevede che qualora il fatto sia commesso da più di cinque persone riunite mediante l’uso di armi anche soltanto da parte di una di esse, o da più di dieci persone, pur senza armi, si applichi la pena della reclusione da 3 a 15 anni, ovvero da 2 a 8 anni nell’ipotesi di cui all’art. 336, secondo comma.

Il terzo comma prevede che l’aggravante di cui al secondo comma si applichi anche nel caso in cui la violenza o la minaccia sia commessa mediante il lancio di corpi contundenti o altri oggetti atti ad offendere, compresi gli artifici pirotecnici, in modo da creare pericolo alle persone.

 

La disposizione in commento prevede l’introduzione di un’ulteriore circostanza aggravante in virtù della quale la pena è aumentata se la violenza o la minaccia è commessa al fine di impedire la realizzazione di un’opera pubblica o di un’infrastruttura strategica. Si tratta, pertanto, di una circostanza aggravante a effetto comune, con aumento della pena fino a un terzo (art. 64, primo comma, c.p.).

 

L’allegato I.1 (Definizioni dei soggetti, dei contratti, delle procedure e degli strumenti) del Codice dei contratti pubblici (D. Lgs. 36/2023) definisce “opere pubbliche di interesse statale”, le opere eseguite dalle amministrazioni statali o comunque le opere insistenti su aree statali, nonché le opere da realizzarsi da ogni altro ente istituzionalmente competente, destinate a servire interessi pubblici non limitati al territorio di una singola regione.

L’art. 37 (Programmazione dei lavori e degli acquisti di beni e servizi) prevede in particolare che le stazioni appaltanti e gli enti concedenti adottino il programma triennale dei lavori pubblici, approvato nel rispetto dei documenti programmatori e in coerenza con il bilancio e, per gli enti locali, secondo le norme della programmazione economico-finanziaria e i principi contabili.

L’art. 38 (Localizzazione e approvazione del progetto delle opere) stabilisce che l'approvazione dei progetti da parte delle amministrazioni è effettuata in conformità alla legge 7 agosto 1990, n. 241, e alle disposizioni statali e regionali che regolano la materia. La procedura si applica anche alle opere di interesse pubblico, ivi comprese quelle di cui al Codice dell’ambiente (decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152), se concernenti la concessione e la gestione di opere pubbliche, oppure la concessione di servizi pubblici con opere da realizzare da parte del concessionario.

L’art. 39 del Codice dei contratti pubblici (D. Lgs. 36/2024) dispone in merito alla programmazione e progettazione delle infrastrutture strategiche e di preminente interesse nazionale. In particolare, le disposizioni dell’articolo 39 disciplinano le procedure di pianificazione, programmazione e progettazione delle infrastrutture strategiche la cui realizzazione riveste carattere di urgenza e di preminente interesse nazionale ai fini della modernizzazione e dello sviluppo della Nazione (coma 1). Il Governo qualifica una infrastruttura come strategica e di preminente interesse nazionale con delibera del Consiglio dei ministri, in considerazione del rendimento infrastrutturale, dei costi, degli obiettivi e dei tempi di realizzazione dell'opera. La qualificazione è operata su proposta dei Ministri competenti, sentite le regioni interessate, ovvero su proposta delle regioni al Governo, sentiti i Ministri competenti (comma 2). L'elenco delle infrastrutture è inserito nel documento di economia e finanza (DEF), con l'indicazione: a) dei criteri di rendimento attesi in termini di sviluppo infrastrutturale, riequilibrio socio-economico fra le aree del territorio nazionale, sostenibilità ambientale, garanzia della sicurezza strategica, contenimento dei costi dell'approvvigionamento energetico del Paese, adeguamento della strategia nazionale a quella della rete europea delle infrastrutture; b) degli esiti della valutazione delle alternative progettuali; c) dei costi stimati e dei relativi stanziamenti; d) del cronoprogramma di realizzazione.

 

 


Articolo 20
(Lesioni personali a un ufficiale o agente di polizia giudiziaria o di pubblica sicurezza nell’atto o a causa dell’adempimento delle sue funzioni)

 

 

L’articolo 20 modifica l’art. 583-quater c.p., introducendo la nuova fattispecie di reato di lesioni personali a un ufficiale o agente di polizia giudiziaria o di pubblica sicurezza nell’atto o a causa dell’adempimento delle funzioni.

 

In particolare, il comma 1, lett. a) modifica il primo comma dell’art. 583-quater c.p (Lesioni personali a un pubblico ufficiale in servizio di ordine pubblico in occasione di manifestazioni sportive, nonché a personale esercente una professione sanitaria o sociosanitaria e a chiunque svolga attività ausiliarie ad essa funzionali)

 

L’art. 583-quater c.p., primo comma, nel testo attualmente vigente, punisce con la reclusione da 4 a 10 anni le lesioni gravi e con la reclusione da 8 a 16 anni le lesioni gravissime cagionate a un pubblico ufficiale in servizio di ordine pubblico in occasione di manifestazioni sportive.

Il secondo comma del medesimo articolo punisce con la reclusione da 2 a 5 anni le lesioni personali semplici e con le pene previste dal primo comma le lesioni personali gravi o gravissime cagionate a personale esercente una professione sanitaria o sociosanitaria e a chiunque svolga attività ausiliarie ad essa funzionale[23].

 

La proposta in commento sostituisce il primo comma dell’art. 583-quater c.p.p., introducendo la nuova fattispecie di reato di lesioni personali a un ufficiale o agente di polizia giudiziaria o di pubblica sicurezza nell’atto o a causa dell’adempimento delle sue funzioni, punita con la reclusione:

-          da 2 a 5 anni nel caso di lesioni semplici;

-          da 4 a 10 anni nel caso di lesioni gravi;

-         da 8 a 16 anni nel caso di lesioni gravissime.

Pertanto, la disposizione in esame estende l’ambito di applicazione della citata disposizione che, nella versione attualmente vigente, è circoscritta alle lesioni personali in servizio di ordine pubblico in occasione di manifestazioni sportive. Inoltre, viene introdotta anche una specifica sanzione (da 2 a 5 anni) per le lesioni semplici, attualmente rientranti nella disposizione generale di cui all’art. 582 c.p.

 

Ai sensi dell’art. 583 c.p. la lesione personale è grave se dal fatto deriva pericolo di vita o l’incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per un periodo superiore a  40 giorni o l’indebolimento permanente di un senso o di un organo; è gravissima se dal fatto deriva un malattia probabilmente o certamente insanabile, la perdita di un senso, la perdita di un arto o la mutilazione di un arto che lo renda inservibile, la perdita dell’uso di un organo o della capacità di procreare o una permanente e grave difficoltà della favella.

 

Ai sensi dell’art. 57, primo e secondo comma, c.p.p. sono ufficiali e agenti di polizia giudiziaria gli appartenenti alla Polizia di Stato, all’Arma dei carabinieri, alla Guardia di finanza, ai quali l’ordinamento delle rispettive amministrazioni riconosca le predette qualità, nonché, nei limiti del servizio cui sono destinate e secondo le rispettive attribuzioni, le persone alle quali le leggi e i regolamenti conferiscono le attribuzioni previste dall’art. 55 c.p. (vale a dire prendere, anche di propria iniziativa, notizia dei reati, impedire che vengano portati a conseguenze ulteriori, , ricercarne gli autori, compiere gli atti necessari per assicurare le fonti di prova e raccogliere quant’altro possa servire per l’applicazione della legge penale).

A titolo meramente esemplificativo, si segnala che funzioni di polizia giudiziaria sono attribuite agli appartenenti alla Polizia penitenziaria (art. 14 L. 395/1990), agli appartenenti alla polizia municipale, nell'ambito territoriale dell'ente di appartenenza e nei limiti delle proprie attribuzioni (art. 7 L. 65/1986), ,al personale, anche volontario, del Corpo nazionale dei vigili del fuoco (art. 6 d.lgs. 136/2006), ai funzionari e agenti dell’amministrazione finanziaria ai quali sia demandato l’accertamento di reati, nei limiti del servizio cui sono destinati e secondo le attribuzioni ad essi conferite dalla legge (art. 31 L. 4/1929), al personale delle ASL che svolge funzioni ispettive e di controllo in materia di sicurezza sul lavoro (art. 21 L. 833/1978), al personale ispettivo dell’Ispettorato nazionale del lavoro, dell’INPS e dell’INAIL (art. 1 d.lgs. 149/2015), agli agenti venatori degli enti locali (art. 27 L. 157/1992), al personale consolare (art. 38 d.lgs. 71/2011), ai comandanti delle navi e degli aeromobili per i reati commessi a bordo in corso di navigazione (art. 1235 cod. nav.).

Si ricorda, infine, che nei comuni in cui non abbia sede un ufficio della Polizia di Stato o un comando dell’Arma dei carabinieri o della Guardia di finanza le funzioni di ufficiale di polizia giudiziaria sono esercitate dal sindaco (art. 57, terzo comma, c.p.p.).

 

La lett. b) introduce una modifica di coordinamento al secondo comma dell’art. 583-quater c.p.

 

La lett. c) sostituisce la rubrica del medesimo articolo, che diviene pertanto la seguente: Lesioni personali a un ufficiale o agente di polizia giudiziaria o di pubblica sicurezza nell’atto o a causa dell’adempimento delle funzioni, nonché a personale esercente una professione sanitaria o sociosanitaria e a chiunque svolga attività ausiliarie ad essa funzionali.

 

 


Articolo 21
(Dotazione di videocamere alle Forze di polizia)

 

 

L’articolo 21, introdotto dalla Camera, al comma 1 consente alle Forze di polizia di utilizzare dispositivi di videosorveglianza indossabili nei servizi di mantenimento dell’ordine pubblico, di controllo del territorio, di vigilanza di siti sensibili, nonché in ambito ferroviario e a bordo treno. Il comma 2 rende possibile l’utilizzo della videosorveglianza nei luoghi e negli ambienti in cui vengono trattenute persone sottoposte a restrizione della libertà personale. Il comma 3 reca la quantificazione degli oneri derivanti dalle disposizioni del presente articolo. Il comma 4 individua le relative fonti di copertura finanziaria.

 

Il comma 1 prevede che le Forze di polizia possano essere dotate di dispositivi di videosorveglianza indossabili, idonei a registrare l’attività operativa e il suo svolgimento.

Si tratta quindi di una facoltà, non di un obbligo generalizzato.

La disposizione prevede tale possibilità per i casi in cui le Forze di polizia siano impiegate nei servizi di mantenimento dell’ordine pubblico, di controllo del territorio, di vigilanza di siti sensibili, nonché in ambito ferroviario e a bordo treno.

 

Secondo quanto disciplinato al primo comma dell’articolo 16 della legge n. 121 del 1981 (“Nuovo ordinamento dell’Amministrazione della pubblica sicurezza”), ai fini della tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica, sono Forze di polizia, fermi restando i rispettivi ordinamenti e dipendenze:

·        la Polizia di Stato;

·        l’Arma dei carabinieri, quale forza armata in servizio permanente di pubblica sicurezza;

·        il Corpo della guardia di finanza, per il concorso al mantenimento dell’ordine e della sicurezza pubblica.

È compresa tra le Forze di polizia, ai sensi del secondo comma dello stesso articolo, anche la Polizia penitenziaria, la quale può essere chiamata a concorrere nell’espletamento di servizi di ordine e sicurezza pubblica.
 

Si ricorda che, similmente alla Polizia penitenziaria, il secondo comma dell’articolo 16 della legge n. 121/1981 prevede che anche il Corpo forestale dello Stato rientri nel novero delle Forze di polizia. Tuttavia, per effetto del decreto legislativo n. 177 del 2016 (“Disposizioni in materia di razionalizzazione delle funzioni di polizia e assorbimento del Corpo forestale dello Stato, ai sensi dell'articolo 8, comma 1, lettera a), della legge 7 agosto 2015, n. 124, in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche”), il Corpo è oggi confluito nell’Arma dei carabinieri.

 

È opportuno, inoltre, ricordare che la legge n. 65 del 1986 (“Legge-quadro sull’ordinamento della polizia municipale”) prevede che il personale di polizia municipale, oltre ai compiti di istituto, debba collaborare, previa disposizione del sindaco e su richiesta delle competenti autorità, con le forze della polizia di Stato. L’articolo 5 della legge stabilisce, in particolare, che il personale appartenente al corpo della polizia municipale può essere chiamato a svolgere anche funzioni di ausiliarie di pubblica sicurezza.

 

Con riferimento ai dispositivi di videosorveglianza indossabili, si segnala che il Garante per la protezione dei dati personali, con provvedimenti n. 290 e n. 291 del 22 luglio 2021 (si veda, in termini esplicativi, la newsletter del Garante del 10.9.2021), aveva avuto modo di fornire parere favorevole alle valutazioni di impatto sulla protezione dei dati personali[24] relativamente all’utilizzo di tali dispositivi presentate, rispettivamente, dal Dipartimento della pubblica sicurezza e dal Comando generale dell’Arma dei Carabinieri.

 

Si ricorda infatti che l’articolo 23 del D.P.R 15/2018 (“Regolamento a norma dell’articolo 57 del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, recante l’individuazione delle modalità di attuazione dei principi del Codice in materia di protezione dei dati personali relativamente al trattamento dei dati effettuato, per le finalità di polizia, da organi, uffici e comandi di polizia”) già prevede che l’utilizzo di sistemi di ripresa fotografica, video e audio “per le finalità di polizia di cui all’articolo 3[25], è consentito ove necessario per documentare: una specifica attività preventiva o repressiva di fatti di reato, situazioni dalle quali possano derivare minacce per l’ordine e la sicurezza pubblica o un pericolo per la vita e l'incolumità dell’operatore, o specifiche attività poste in essere durante il servizio che siano espressione di poteri autoritativi degli organi, uffici e comandi di polizia”.

 

Tali pareri erano stati emessi con alcune precisazioni. In particolare, si era tenuto anche conto del fatto che le videocamere indossabili in uso al personale dei reparti mobili potevano essere attivate solo allorquando sussistessero fatti di reato ovvero concrete situazioni di pericolo di turbamento dell’ordine pubblico. Non era ammessa la registrazione continua delle immagini, né quella di episodi non critici.

Il Garante aveva, inoltre, ritenuto ragionevole il periodo di sei mesi di conservazione dei dati, prospettato nelle valutazioni di impatto presentate, e ritenuto rispettato il principio di privacy by default (protezione per impostazione predefinita), essendo stata prevista la loro cancellazione automatica trascorso tale termine. L’Autorità non aveva invece considerato possibile dotare tali dispositivi di un sistema volto all’identificazione univoca o al riconoscimento facciale della persona.

 

Il comma 2 dispone che possono essere utilizzati dispositivi di videosorveglianza nei luoghi e negli ambienti in cui vengono trattenute persone sottoposte a restrizione della libertà personale.

Differentemente dal primo comma, non ci si riferisce esclusivamente ai dispositivi indossabili, bensì si utilizza una formulazione più ampia, idonea a ricomprendere sia questi ultimi che altra strumentazione atta allo scopo (quindi sia portatile che fissa).

 

La norma in commento fa riferimento ai luoghi e agli ambienti in cui vengono “trattenute” le persone sottoposte a restrizione della libertà personale.

Nella fattispecie indicata dalla disposizione in commento potrebbero quindi rientrare anche le misure cosiddette precautelari, ossia quelle limitative della libertà personale aventi natura anticipatoria e strumentale di una misura cautelare. Ai fini del presente commento vengono in rilievo l’arresto in flagranza ex artt. 380 e seguenti c.p.p., nonché il fermo ex art. 384 c.p.p.

Si ricorda che tali misure, una volta eseguite dalla polizia giudiziaria (o dal pubblico ministero) sono soggette a convalida da parte del giudice per le indagini preliminari (art. 391 c.p.p.).

 

Appare poi suscettibile di approfondimento se la norma sia applicabile anche al trattenimento dello straniero presso i centri di permanenza per i rimpatri (CPR).

Si ricorda che il comma 1 dell’articolo 14 del decreto legislativo 286/1998 (“Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero”) dispone che “quando non è possibile eseguire con immediatezza l’espulsione mediante accompagnamento alla frontiera o il respingimento, a causa di situazioni transitorie che ostacolano la preparazione del rimpatrio o l’effettuazione dell’allontanamento, il questore dispone che lo straniero sia trattenuto per il tempo strettamente necessario presso il centro di permanenza per i rimpatri più vicino”.

La misura appena ricordata, in quanto limitativa della libertà personale, è soggetta alle garanzie dell’articolo 13 della Costituzione.

 

Si ricorda che, secondo quanto previsto da tale disposizione:

·         la libertà personale è inviolabile;

·         non è ammessa forma alcuna di detenzione, di ispezione o perquisizione personale, né qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dall’autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge;

·         in casi eccezionali di necessità ed urgenza, indicati tassativamente dalla legge, l’autorità di pubblica sicurezza può adottare provvedimenti provvisori, che devono essere comunicati entro quarantotto ore all’autorità giudiziaria e, se questa non li convalida nelle successive quarantotto ore, si intendono revocati e restano privi di ogni effetto;

·         è punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà;

·         la legge stabilisce i limiti massimi della carcerazione preventiva.

 

Sul punto la Corte costituzionale ha avuto modo di pronunciarsi nei seguenti termini: “il trattenimento dello straniero presso i centri di permanenza temporanea e assistenza (oggi centri di permanenza per i rimpatri) è misura incidente sulla libertà personale, che non può essere adottata al di fuori delle garanzie dell’art. 13 della Costituzione”. La Corte, sebbene evidenzi come possa sorgere il dubbio se la misura rientri tra quelle restrittive tipiche espressamente menzionate dall’articolo 13, tuttavia rileva che “il trattenimento è quantomeno da ricondurre alle «altre restrizioni della libertà personale», di cui pure si fa menzione nell’art. 13 della Costituzione. Lo si evince dal comma 7 dell’art. 14, secondo il quale il questore, avvalendosi della forza pubblica, adotta efficaci misure di vigilanza affinché lo straniero non si allontani indebitamente dal centro”. La Corte, proseguendo nel ragionamento, ritiene si determini nel caso del trattenimento “quella mortificazione della dignità dell’uomo che si verifica in ogni evenienza di assoggettamento fisico all’altrui potere e che è indice sicuro dell’attinenza della misura alla sfera della libertà personale” (Corte cost. 105/2001 e, nello stesso senso, si vedano anche le pronunce n. 127/2022 e n. 212/2023).

 

Alla luce di quanto esposto, si valuti l’opportunità di approfondire, al fine di evitare dubbi interpretativi, l’ambito di applicazione del comma 2.

 

Il secondo comma in commento stabilisce inoltre, come anticipato, che i sistemi di videosorveglianza “possono” essere utilizzati nei luoghi e negli ambienti in cui vengono trattenute persone sottoposte a restrizione della libertà personale. La disposizione, quindi, non pone un obbligo in tal senso. Non viene, tuttavia, precisato a chi competa la scelta in merito all’utilizzo di tali dispositivi.

 

Si valuti l’opportunità di un approfondimento sul punto.

 

Si segnala che, con specifico riferimento alla videosorveglianza dei detenuti sottoposti a trattamento penitenziario differenziato ai sensi dell’articolo 41-bis ord. pen, la Corte di cassazione ha avuto modo di pronunciarsi nei seguenti termini: “la continua videosorveglianza del detenuto attuata con telecamera a bassa risoluzione, idonea a riprodurre solo immagini non a fuoco, installata nella cella con inquadratura verso l’area di ingresso del locale bagno, non costituisce di per sé un trattamento penitenziario inumano e degradante contrario alla disposizione di cui all’art. 3 della CEDU” (Cass. pen. 44972/2018 e, nello stesso senso, si veda la più recente Cass. pen. 37640/2023).

 

Il comma 3 reca la quantificazione degli oneri derivanti dalle previsioni dell’articolo in commento. In particolare, sono autorizzate le seguenti spese:

·        euro 2.000.000 per l’anno 2024, euro 3.000.000 per l’anno 2025 e euro 4.223.200 per l’anno 2026, da destinare alla Polizia di Stato;

·        euro 2.000.000 per l’anno 2024, euro 3.000.000 per l’anno 2025, euro 4.449.702 per l’anno 2026, da destinare all’Arma dei carabinieri;

·        euro 789.054 per l’anno 2024 e euro 1.929.754 per ciascuno degli anni 2025 e 2026, da destinare al Corpo della Guardia di finanza;

·        euro 167.750 per l’anno 2024 da destinare al Corpo di Polizia penitenziaria.

Complessivamente, è autorizzata la spesa di euro 4.956.804 per l’anno 2024, di euro 7.929.754 per l’anno 2025 e di euro 10.602.656 per l’anno 2026.

 

Il comma 4 indica le fonti di copertura finanziaria degli oneri previsti al comma 3. In particolare, si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento del fondo speciale in conto capitale iscritto, ai fini del bilancio triennale 2024-2026, nell’ambito del programma «Fondi di riserva e speciali» della missione «Fondi da ripartire» dello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze per l’anno 2024, allo scopo parzialmente utilizzando:

·        l’accantonamento relativo al Ministero dell’economia e delle finanze per euro 789.054 per l’anno 2024 e euro 1.929.754 per ciascuno degli anni 2025 e 2026;

·        l’accantonamento relativo al Ministero della giustizia per euro 167.750 per l’anno 2024;

·        l’accantonamento relativo al Ministero dell’interno per 2.000.000 di euro per l'anno 2024, 3.000.000 di euro per l’anno 2025 e 4.223.200 euro per l'anno 2026;

·        l’accantonamento relativo al Ministero della difesa per euro 2.000.000 per l’anno 2024, euro 3.000.000 per l’anno 2025, euro 4.449.702 per l’anno 2026.

 


Articolo 22
(Disposizioni in materia di tutela legale per il personale
delle Forze di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco)

 

 

L’articolo 22, introdotto dalla Camera, reca disposizioni concernenti il riconoscimento di un beneficio economico a fronte delle spese legali sostenute da ufficiali o agenti di pubblica sicurezza o di polizia giudiziaria, nonché dai vigili del fuoco, indagati o imputati nei procedimenti riguardanti fatti inerenti al servizio svolto. Il beneficio è riconosciuto a decorrere dal 2024.

Tale beneficio non può superare complessivamente l'importo di 10.000 euro per ciascuna fase del procedimento. È fatta salva la rivalsa delle somme corrisposte in caso di accertamento della responsabilità con dolo del beneficiario. Sono comunque previsti alcuni casi di esclusione della rivalsa con riferimento alle somme anticipate.

La disposizione reca altresì un’autorizzazione di spesa nel limite di 860.000 euro a decorrere dal 2024 e provvede alla copertura degli oneri.

 

Il comma 1 riconosce, a decorrere dall’anno 2024, agli ufficiali o agenti di pubblica sicurezza o di polizia giudiziaria, nonché ai vigili del fuoco, indagati o imputati per fatti inerenti al servizio, la possibilità di ricevere una somma a fronte delle spese legali, quando intendano avvalersi di un professionista di fiducia.

Possono accedere al beneficio anche il coniuge, il convivente di fatto e i figli del dipendente deceduto.

Si prevede che la suddetta somma per le spese legali, corrisposta a richiesta dell'interessato, anche in modo frazionato, non possa superare complessivamente l'importo di 10.000 euro per ciascuna fase del procedimento.

Le somme sono attribuite compatibilmente con le disponibilità di bilancio dell'amministrazione di appartenenza e salvo rivalsa in caso di accertamento della responsabilità del dipendente a titolo di dolo.

 

La disposizione in esame mantiene comunque fermo quanto stabilito dalle seguenti norme:

§  art. 32 della legge n. 152 del 1975, il quale attribuisce al Ministero dell’interno (salvo rivalsa in caso di responsabilità con dolo) le spese legali quando ufficiali o agenti di pubblica sicurezza o di polizia giudiziaria, o i militari in servizio di pubblica sicurezza, optino per un professionista di fiducia (in luogo dell’Avvocatura dello Stato) nei procedimenti per fatti compiuti in servizio e relativi all'uso delle armi o di altro mezzo di coazione fisica;

§  art. 18 del decreto-legge n. 67 del 1997 (convertito dalla legge n. 135 del 1997) concernente il rimborso delle spese di patrocinio legale a fronte delle spese relative a giudizi per responsabilità civile, penale e amministrativa, promossi nei confronti di dipendenti di amministrazioni statali, per fatti inerenti al servizio e conclusi con sentenza o provvedimento che escluda la loro responsabilità.

 

La disciplina in esame si applica anche al personale convenuto in giudizi per responsabilità civile ed amministrativa previsti dalle disposizioni sopra illustrate (comma 3).

 

La disposizione in esame richiama esplicitamente le forze di polizia, ad ordinamento civile o militare, di cui all’art. 16 della legge n. 121 del 1981. Tale articolo 16 annovera tra le Forze di polizia, oltre alla Polizia di Stato, l'Arma dei carabinieri e il Corpo della guardia di finanza. Fatte salve le rispettive attribuzioni e le disposizioni applicabili, sono altresì forze di polizia ai sensi del medesimo art. 16 il Corpo degli agenti di custodia e il Corpo forestale dello Stato.

Per quanto concerne il riferimento ai “conviventi di fatto”, la disposizione in esame richiama esplicitamente l’art. 1, comma 36, della legge n. 76 del 2016, il quale definisce come tali “due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un'unione civile”.

 

Il comma 2 stabilisce che non si procede alla rivalsa delle somme anticipate quando:

§  le indagini preliminari si siano concluse con un provvedimento di archiviazione;

§  sia stata emessa sentenza di non luogo a procedere (art. 425 c.p.p.) in sede di udienza preliminare;

§  sia stata emessa sentenza di proscioglimento prima del dibattimento (art. 469 c.p.p.);

§  sia stata emessa sentenza di proscioglimento in caso immediata declaratoria di non punibilità (art. 129 c.p.p.), in caso di sentenza di non doversi procedere (art. 529 c.p.p.), assoluzione (nei casi di cui all’art. 530 c.p.p. commi 2 e 3), e in caso di dichiarazione di estinzione del reato (art. 531 c.p.p.), anche se la sentenza è intervenuta successivamente a sentenza o altro provvedimento che abbia escluso la responsabilità penale del dipendente, salvo che per i fatti contestati in sede penale sia stata accertata la responsabilità per grave negligenza in sede disciplinare.

 

Il comma 4 autorizza la spesa per l’attuazione delle disposizioni in commento nel limite di 860.000 euro annui a decorrere dall’anno 2024.

Al relativo onere si provvede:

§  quanto a 600.000 euro per l’anno 2024 e a 20.000 euro annui a decorrere dall’anno 2025, mediante corrispondente riduzione del fondo per interventi strutturali di politica economica - FISPE (art. 10, comma 5, del decreto-legge n. 282 del 2004, convertito, dalla legge n. 307 del 2004);

§  quanto a 260.000 euro annui a decorrere dall’anno 2024, mediante corrispondente riduzione del fondo speciale di parte corrente, utilizzando l'accantonamento relativo al Ministero della difesa (esposto in tabella A della legge di bilancio);

§  quanto a euro 40.000 annui a decorrere dall’anno 2025, mediante corrispondente riduzione del fondo speciale di parte corrente, utilizzando l'accantonamento relativo al Ministero della giustizia (esposto in tabella A della legge di bilancio);

§  quanto a euro 540.000 annui a decorrere dall’anno 2025 mediante corrispondente riduzione del fondo speciale di parte corrente, utilizzando l'accantonamento relativo al Ministero dell’interno (esposto in tabella A della legge di bilancio).

 

Riduzioni 

 

2024

2025 e ss

FISPE

600.000

20.000

Tab A l. di bilancio:

260.000

840.000

di cui:

 

 

Difesa

260.000

260.000

Giustizia

40.000

Interno

540.000

Totale

860.000

860.000

 

Il FISPE è il fondo istituito nello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze dal citato d.l. n. 282/2004, al fine di agevolare il perseguimento degli obiettivi di finanza pubblica, anche mediante interventi volti alla riduzione della pressione fiscale.

Si rammenta inoltre che la tabella A annessa alle leggi di bilancio espone gli accantonamenti distinti per ciascun ministero del fondo speciale di parte corrente iscritto, ai fini del bilancio triennale, nell'ambito del programma “Fondi di riserva e speciali” della missione “Fondi da ripartire” dello stato di previsione del Ministero dell'economia

 

 


Articolo 23
(Disposizioni in materia di tutela legale per il personale
delle Forze armate)

 

 

L’articolo 23, introdotto dalla Camera, reca disposizioni concernenti il riconoscimento di un beneficio economico a fronte delle spese legali sostenute personale delle Forze armate, indagato o imputato per fatti inerenti al servizio, nonché al coniuge, al convivente di fatto di e ai figli superstiti del dipendente deceduto. Il beneficio è riconosciuto a decorrere dal 2024. Tale beneficio non può superare complessivamente l'importo di 10.000 euro per ciascuna fase del procedimento. È fatta salva la rivalsa delle somme corrisposte in caso di accertamento della responsabilità con dolo del beneficiario. Sono comunque previsti alcuni casi di esclusione della rivalsa con riferimento alle somme anticipate. La disposizione reca altresì un’autorizzazione di spesa nel limite di 120.000 euro a decorrere dal 2024 e provvede alla copertura degli oneri.

 

Il comma 1 dell’articolo, introdotto nel corso dell’esame alla Camera, riconosce, a decorrere dall’anno 2024, al personale delle Forze armate, indagato o imputato per fatti inerenti al servizio, la possibilità di ricevere una somma a fronte delle spese legali, quando intendano avvalersi di un professionista di fiducia.

 

Possono accedere al beneficio anche il coniuge, il convivente di fatto e i figli superstiti del dipendente deceduto.

 

Per quanto concerne la nozione di “conviventi di fatto”, la disposizione in esame richiama esplicitamente l’art. 1, comma 36, della legge n. 76 del 2016, il quale definisce come tali “due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un'unione civile”.

 

Si prevede che la suddetta somma per le spese legali, corrisposta, anche in modo frazionato, a richiesta dell'interessato, non possa superare complessivamente l'importo di 10.000 euro per ciascuna fase del procedimento.

 

Le somme sono attribuite compatibilmente con le disponibilità di bilancio dell'amministrazione di appartenenza e salvo rivalsa in caso di accertamento della responsabilità del dipendente a titolo di dolo.

 

La disposizione in esame mantiene comunque fermo quanto stabilito dall’art. 18 del decreto-legge n. 67 del 1997 (convertito dalla legge n. 135 del 1997) concernente il rimborso delle spese di patrocinio legale a fronte delle spese relative a giudizi per responsabilità civile, penale e amministrativa, promossi nei confronti di dipendenti di amministrazioni statali, per fatti inerenti al servizio e conclusi con sentenza o provvedimento che escluda la loro responsabilità.

 

La disciplina in esame si applica anche al personale convenuto in giudizi per responsabilità civile ed amministrativa previsti dalle disposizioni sopra illustrate (comma 3).

 

Il comma 2 stabilisce che non si procede alla rivalsa delle somme anticipate quando:

§  le indagini preliminari si siano concluse con un provvedimento di archiviazione;

§  sia stata emessa sentenza di non luogo a procedere (art. 425 c.p.p.) in sede di udienza preliminare;

§  sia stata emessa sentenza di proscioglimento prima del dibattimento (art. 469 c.p.p.);

§  sia stata emessa sentenza di proscioglimento in caso immediata declaratoria di non punibilità (art. 129 c.p.p.), in caso di sentenza di non doversi procedere (art. 529 c.p.p.), assoluzione (nei casi di cui all’art. 530 c.p.p. commi 2 e 3), e in caso di dichiarazione di estinzione del reato (art. 531 c.p.p.), anche se la sentenza sia intervenuta successivamente a sentenza o altro provvedimento che abbia escluso la responsabilità penale del dipendente, salvo che per i fatti contestati in sede penale sia stata accertata la responsabilità per grave negligenza in sede disciplinare.

 

Il comma 4, al fine di dare attuazione alle disposizioni recate dall’articolo in commento, autorizza la spesa nel limite di 120.000 euro annui a decorrere dall’anno 2024, indicandone anche la relativa copertura finanziaria.

 

Si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento del fondo speciale di parte corrente iscritto, ai fini del bilancio triennale 2024-2026, nell’ambito del programma «Fondi di riserva e speciali» della missione «Fondi da ripartire» dello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze per l’anno 2024, allo scopo parzialmente utilizzando l’accantonamento relativo al Ministero della difesa.

 


Articolo 24
(Tutela dei beni mobili e immobili
adibiti all’esercizio di funzioni pubbliche)

 

 

L’articolo 24 introduce modifiche all’articolo 639 c.p., relativo al reato di deturpamento e imbrattamento di cose altrui, potenziando gli strumenti volti a salvaguardare i beni mobili e immobili adibiti all’esercizio di funzioni pubbliche.

 

Più nel dettaglio, il comma 1, lettera a) della disposizione in esame, intervenendo sul secondo comma dell’articolo 639 c.p., prevede che ove il fatto sia commesso su beni mobili o immobili adibiti all’esercizio di funzioni pubbliche, con la precipua finalità di “ledere l’onore, il prestigio o il decoro” dell’istituzione alla quale appartengono, si applichi la pena della reclusione da sei mesi a un anno e sei mesi e la multa da 1.000 a 3.000 euro.

 

Viene quindi introdotta una tutela rafforzata, ed un corrispettivo aggravamento sanzionatorio, rispetto all’ipotesi disciplinata dallo stesso secondo comma, relativa al deturpamento ed imbrattamento di beni immobili o di mezzi di trasporto pubblici o privati, nella quale si applica la pena della reclusione da uno a sei mesi e della multa da 300 a 1.000 euro.

Occorre rammentare che la legge n. 6 del 2021 ha modificato l’articolo 639 c.p., prevedendo (al secondo comma dell’articolo 639 c.p.) specifiche sanzioni – reclusione da 1 a 6 mesi o multa da 300 a 1.000 euro – per coloro che deturpano o imbrattano teche, custodie e altre strutture adibite alla esposizione, protezione e conservazione di beni culturali esposti in musei, pinacoteche, gallerie e altri luoghi espositivi dello Stato, delle regioni, degli altri enti pubblici territoriali, nonché di ogni altro ente e istituto pubblico.

 

La lettera b) della disposizione in esame interviene in tema di recidiva, introducendo al terzo comma dell’articolo 639 c.p. la previsione per cui, nei casi di recidiva per deturpamento e imbrattamento di beni mobili o immobili adibiti all’esercizio di funzioni pubbliche, si applichi la pena della reclusione da sei mesi a tre anni e della multa fino a 12.000 euro.

 

Nei casi di recidiva riguardante le ipotesi previste dal primo e dal secondo periodo del secondo comma, si applica invece la pena della reclusione da tre mesi a due anni e della multa fino a 10.000 euro.


 

 

Codice penale

Testo vigente

Testo come modificato dall’AS 1236

Art. 639
(Deturpamento e imbrattamento di cose altrui)

Art. 639

(Deturpamento e imbrattamento di cose altrui)

Chiunque, fuori dei casi preveduti dall'articolo 635, deturpa o imbratta cose mobili altrui è punito, a querela della persona offesa, con la multa fino a euro 309.

Identico

Se il fatto è commesso su beni immobili o su mezzi di trasporto pubblici o privati, si applica la pena della reclusione da uno a sei mesi o della multa da 300 a 1.000 euro. Se il fatto è commesso su teche, custodie e altre strutture adibite all'esposizione, protezione e conservazione di beni culturali esposti in musei, pinacoteche, gallerie e altri luoghi espositivi dello Stato, delle regioni, degli altri enti pubblici territoriali, nonché di ogni altro ente e istituto pubblico, si applica la pena della reclusione da uno a sei mesi o della multa da 300 a 1.000 euro.

Se il fatto è commesso su beni immobili o su mezzi di trasporto pubblici o privati, si applica la pena della reclusione da uno a sei mesi o della multa da 300 a 1.000 euro.

Se il fatto è commesso su teche, custodie e altre strutture adibite all'esposizione, protezione e conservazione di beni culturali esposti in musei, pinacoteche, gallerie e altri luoghi espositivi dello Stato, delle regioni, degli altri enti pubblici territoriali, nonché di ogni altro ente e istituto pubblico, si applica la pena della reclusione da uno a sei mesi o della multa da 300 a 1.000 euro. Se il fatto è commesso, su beni mobili o immobili adibiti all’esercizio di funzioni pubbliche, con la finalità di ledere l’onore, il prestigio o il decoro dell’istituzione cui il bene appartiene, si applicano la reclusione da sei mesi a un anno e sei mesi e la multa da 1.000 a 3.000 euro.

Nei casi di recidiva per le ipotesi di cui al secondo comma si applica la pena della reclusione da tre mesi a due anni e della multa fino a 10.000 euro.

Nei casi di recidiva per le ipotesi di cui al secondo comma, primo e secondo periodo, si applica la pena della reclusione da tre mesi a due anni e della multa fino a 10.000 euro.

Nei casi di recidiva per le ipotesi di cui al secondo comma, terzo periodo, si applicano la reclusione da sei mesi a tre anni e la multa fino a 12.000 euro.

Chiunque, fuori dei casi preveduti dall'articolo 635, deturpa o imbratta cose mobili o immobili altrui in occasione di manifestazioni che si svolgono in luogo pubblico o aperto al pubblico è punito con le pene di cui ai commi precedenti, raddoppiate

Identico

Nei casi previsti dal secondo comma si procede d'ufficio.

Identico

Con la sentenza di condanna per i reati di cui al secondo e terzo comma il giudice, ai fini di cui all'articolo 165, primo comma, può disporre l'obbligo di ripristino e di ripulitura dei luoghi ovvero, qualora ciò non sia possibile, l'obbligo di sostenerne le spese o di rimborsare quelle a tal fine sostenute, ovvero, se il condannato non si oppone, la prestazione di attività non retribuita a favore della collettività per un tempo determinato comunque non superiore alla durata della pena sospesa, secondo le modalità indicate nella sentenza di condanna.

Identico

 

 


Articolo 25
(Inosservanza delle prescrizioni impartite dal personale che svolge servizi di polizia stradale)

 

 

L’articolo 25 reca un inasprimento sanzionatorio delle previsioni dell’articolo 192 del codice della strada, di cui al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, con particolare riguardo ai casi di inosservanza dell’obbligo di fermarsi intimato dal personale che svolge servizi di polizia stradale, nonché delle altre prescrizioni impartite dal personale medesimo.

 

Il comma 1, lettera a), numero 1), nelle ipotesi di violazione degli obblighi di cui ai commi 2, 3 e 5 del medesimo articolo 192 prevede la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da 100 a 400 euro (attualmente, è da 87 a 344 euro).

 

Al comma 1, lettera a), numero 2), nel caso di inosservanza dell’invito a fermarsi di cui all’articolo 192, comma 1, viene prevista, ove il fatto non costituisca reato, la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 200 ad euro 600 (a fronte della medesima sanzione pecuniaria sopra indicata).  Si prevede altresì che, in caso di reiterazione della violazione nel biennio, si applichi anche la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida fino a un mese.

 

Invece, al comma 1, lettera a), numero 3), per l’inosservanza delle previsioni di cui al comma 4 dello stesso articolo 192 si prevede, ove il fatto non costituisca reato, la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 1.500 ad euro 6.000. In questa ipotesi, oggettivamente più grave delle precedenti, si stabilisce che all’accertamento della violazione consegua la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida da tre mesi a un anno.

 

Con il comma 1, lettera b), invece, viene ritoccata la tabella dei punteggi prevista dall’articolo 126-bis dello stesso codice della strada, al duplice scopo di adeguarla alla nuova articolazione delle condotte e di graduare la decurtazione alla nuova valutazione di gravità delle stesse.

In particolare, per le violazioni di cui al comma 6 sono comminati 3 punti di sanzioni; per le violazioni di cui al comma 6-bis, primo periodo, sono comminati 5 punti; per il comma 6-bis, secondo periodo, vengono comminati 10 punti di sanzione; per le violazioni di cui al comma 7, infine, 10 punti di sanzione.

 


Articolo 26
(Rafforzamento della sicurezza negli istituti penitenziari)

 

 

L’articolo 26, modificando alcune disposizioni del codice penale, introduce misure riguardanti la sicurezza all’interno degli istituti penitenziari, ovvero:

- l’aggravante del reato di istigazione a disobbedire alle leggi di cui all’art. 415 c.p., se commesso all’interno di un istituto penitenziario o a mezzo di scritti o comunicazioni diretti a persone detenute;

- il delitto di rivolta all’interno di un istituto penitenziario, di cui al nuovo art. 415-bis c.p.

 

In particolare, la lettera a) del comma 1 aggiunge un comma all’articolo 415 c.p., che disciplina il reato di istigazione a disobbedire alle leggi, per introdurre un’aggravante.

La fattispecie punita ai sensi dell’art. 415 c.p. consiste nell’istigazione alla disobbedienza delle leggi di ordine pubblico, ovvero all'odio fra le classi sociali, punita con la reclusione da 6 mesi a 5 anni.

L’aggravante di nuova introduzione prevede che la pena sia aumentata se il fatto è commesso all’interno di un istituto penitenziario o a mezzo di scritti o comunicazioni diretti a persone detenute; si tratta dunque di un’aggravante ad effetto comune, che comporta l’aumento della pena edittale fino ad un terzo.

 

La lettera b) del comma 1 dell’articolo in esame introduce nel codice penale un nuovo articolo, l’art. 415-bis, rubricato “rivolta all’interno di un istituto penitenziario”.

Le condotta che integra la fattispecie di reato ivi prevista (primo comma) è quella di partecipazione ad una rivolta, mediante:

ü  atti di violenza o minaccia;

ü  resistenza, anche passiva, all'esecuzione degli ordini impartiti.

 

<Ai sensi dell’art. 41 dell’ordinamento penitenziario (legge n. 354 del 1975), l’uso della forza fisica nei confronti dei detenuti e degli internati è consentito, ove necessario, esclusivamente al fine di prevenire o impedire il compimento di taluno degli atti sopra indicati.

 

Tali condotte devono essere poste in essere da tre o più persone riunite.

La disposizione in esame specifica, inoltre, quali siano le condotte di resistenza passiva: si tratta delle condotte che impediscono il compimento degli atti dell’ufficio o del servizio necessari alla gestione dell’ordine e della sicurezza, tenendo conto del numero delle persone coinvolte e del contesto in cui operano i pubblici ufficiali o gli incaricati di pubblico servizio.

La pena base è la reclusione da 1 a 5 anni.

Per coloro che promuovono, organizzano, o dirigono la rivolta, è prevista la pena della reclusione da 2 a 8 anni.

 

Inoltre, sono previste alcune aggravanti che comportano un aumentano della pena:

·        la partecipazione alla rivolta con uso di armi è punita con la reclusione da 2 a 6 anni; l’aver promosso, organizzato o diretto la rivolta con uso di armi è punito con la reclusione da 3 a 10 anni (terzo comma);

·        se dal fatto deriva, non volutamente, una lesione personale grave o gravissima la pena è della reclusione da 2 a 6 anni per chi ha partecipato alla rivolta, da 4 a 12 anni per chi ha promosso, organizzato o diretto la rivolta (quarto comma);

·        se dal fatto deriva, non volutamente, la morte, la pena è della reclusione da 7 a 15 anni per chi ha partecipato alla rivolta, da 10 a 18 anni per chi ha promosso, organizzato o diretto la rivolta (quarto comma).

Nel caso di lesioni gravi o gravissime o morte di più persone, si applica la pena che dovrebbe infliggersi per la violazione più grave, aumentata fino al triplo; la pena della reclusione non può comunque essere superiore a 20 anni.

 

Si ricorda che, ai sensi dell’art. 41-bis, comma 1, dell’ordinamento penitenziario, la rivolta costituisce una situazione di emergenza in cui è consentito al Ministro della giustizia di sospendere l'applicazione delle normali regole di trattamento dei detenuti e degli internati nell'istituto interessato o in parte di esso. La sospensione deve essere motivata dalla necessità di ripristinare l'ordine e la sicurezza e ha la durata strettamente necessaria al conseguimento del fine suddetto.

 

 

 

 

 

 


Articolo 27
(Sicurezza delle strutture di trattenimento e accoglienza per i migranti, nonché semplificazione delle procedure per la loro realizzazione)

 

 

L’articolo 27, modificato nel corso dell’esame alla Camera, introduce un nuovo reato finalizzato a reprimere gli episodi di proteste violente da parte di gruppi di stranieri irregolari trattenuti nei centri di trattenimento ed accoglienza. Si prevede, inoltre, l’estensione della disciplina speciale relativa alla realizzazione dei centri di permanenza per i rimpatri, anche alle procedure per la localizzazione e per l’ampliamento e il ripristino dei centri esistenti.

 

Più nel dettaglio il comma 1, modificato dalla Camera, novella l’articolo 14 del TU immigrazione (d.lgs. n. 286 del 1998). E’ introdotto, in primo luogo, il nuovo comma (7.1) il quale stabilisce le pene nei confronti di chiunque - durante il trattenimento o la permanenza in una delle strutture di cui al medesimo art. 14 (centro di permanenza per i rimpatri), di cui all'articolo 10-ter (punti di crisi) del citato testo unico immigrazione o in uno dei centri di cui agli articoli 9 (centri governativi di accoglienza) e 11 (strutture temporanee di accoglienza) del decreto legislativo 18 agosto 2015 n.142[26], ovvero in una delle strutture di cui all'articolo 1-sexies del decreto legge 30 dicembre 1989, n. 416 (in tema servizi di accoglienza prestati dagli enti locali ai titolari di protezione internazionale e per i minori stranieri non accompagnati) - mediante atti di violenza o minaccia o mediante atti di resistenza anche passiva all’esecuzione degli ordini impartiti, posti in essere da tre o più persone riunite, partecipa oppure promuove, organizza, dirige una rivolta.

La disposizione in esame specifica, inoltre, quali siano le condotte di resistenza passiva: si tratta delle condotte che impediscono il compimento degli atti dell’ufficio o del servizio necessari alla gestione dell’ordine e della sicurezza, con riferimento al numero delle persone coinvolte e al contesto in cui operano i pubblici ufficiali o gli incaricati di pubblico servizio.

 

La mera partecipazione alla rivolta è punita con la pena della reclusione da uno a quattro anni.

La pena della reclusione è aumentata - da un anno e sei mesi a cinque anni - nei confronti di coloro che promuovono, organizzano o dirigono la rivolta.

Se, invece, il fatto è commesso con l’uso di armi, la pena prevista è della reclusione da uno a cinque anni per la mera partecipazione; da due a sette anni per chi promuove, organizza o dirige la rivolta.

La novella prevede la pena della reclusione da due a sei anni nelle ipotesi in cui si partecipi ad una rivolta nel corso della quale, quale conseguenza non voluta, taluno riporti lesioni personali gravi o gravissime; nella medesima ipotesi, la pena per chi ha promosso, organizzato o diretto la rivolta è da quattro a dodici anni di reclusione.

La novella prevede, inoltre, la pena della reclusione da sette a quindici anni nelle ipotesi in cui si partecipi ad una rivolta che provochi la morte, quale conseguenza non voluta; nella medesima ipotesi, la pena per chi ha promosso, organizzato o diretto la rivolta è da dieci a diciotto anni di reclusione.

Nel caso di lesioni gravi o gravissime o morte di più persone, si applica la pena che dovrebbe infliggersi per la violazione più grave, aumentata fino al triplo; la pena della reclusione non può comunque essere superiore a venti anni.

L’art.14 del D.lgs. n. 286 del 1998, disciplina il trattenimento nei CPR quale misura esecutiva dell’espulsione.

È poi modificato, per ragioni di coordinamento, il comma 7-bis dell’articolo 14 del TU immigrazione.

 

Il comma 2, introdotto nel corso dell’esame alla Camera, modifica il comma 3-bis dell’articolo 19, del decreto legge n. 13 del 2017, che semplifica le procedure per la realizzazione dei centri di permanenza per i rimpatri attraverso la possibilità di derogare ad ogni disposizione di legge ad eccezione della legge penale e del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione e nel rispetto dei vincoli derivanti dall’appartenenza all’Unione europea. Tale disciplina viene estesa dal provvedimento in esame anche alle procedure per la localizzazione e per l’ampliamento e il ripristino dei centri esistenti. L’efficacia della deroga, occorre rammentare, è prevista fino al 31 dicembre 2025.

 

 


Articolo 28
(Licenza, detenzione e porto di armi per gli agenti di pubblica sicurezza non in servizio)

 

 

L’articolo 28 autorizza gli agenti di pubblica sicurezza a portare senza licenza alcune tipologie di armi quando non sono in servizio.

 

A tal fine, il comma 1 precisa che si tratta degli agenti di pubblica sicurezza di cui agli articoli 17 e 18 del Testo unico della legge sugli ufficiali di pubblica sicurezza (Regio decreto n. 690 del 1907). Si tratta del personale delle Forze di polizia (e cioè, attualmente, carabinieri, agenti della polizia di Stato, della Guardia di finanza e del Corpo della Polizia penitenziaria).

In proposito, si ricorda che in base a norme specifiche anche al personale di altri corpi è attribuita la qualifica di agente di pubblica sicurezza, quali ad esempio gli appartenenti alla polizia municipale (legge n. 65 del 1986, art. 5). Dalla formulazione della norma, che compie un rinvio specifico agli articoli richiamati e non si limita quindi a richiamare in termini generali “gli agenti di pubblica sicurezza”, sembra quindi desumersi che l’ambito di applicazione della disposizione in esame riguardi esclusivamente il personale delle citate Forze di polizia e non quello di ulteriori corpi cui sia attribuita la qualifica di agente di pubblica sicurezza.

Le armi che gli agenti di pubblica sicurezza sono autorizzati a detenere senza licenza sono quelle di cui all’articolo 42 del Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza (Regio decreto n. 773 del 1931) e cioè arma lunga da fuoco, rivoltella e pistola di qualunque misura, bastoni animati con lama di lunghezza inferiore ai 65 centimetri.

 

Si ricorda che la normativa attualmente vigente in materia di porto d’armi senza licenza per gli agenti di pubblica sicurezza è quella di cui all’articolo 73 del regio decreto 6 maggio 1940, n. 635, recante l’approvazione del regolamento di esecuzione del TULPS (testo unico 18 giugno 1931, n. 773, delle leggi di pubblica sicurezza). Ai sensi di tale articolo il porto d’armi senza licenza, attribuito comunque soltanto ai fini della difesa personale, è consentito ai seguenti soggetti:

-           al Capo della Polizia, ai Prefetti, ai Viceprefetti, agli Ispettori provinciali amministrativi, agli ufficiali di Pubblica sicurezza, ai pretori e ai magistrati addetti al Pubblico ministero o all'ufficio di istruzione, relativamente alle armi di cui all’articolo 42 del TULPS, e dunque a qualunque arma lunga da fuoco, alle rivoltelle e alle pistole di qualunque misura, nonché ai bastoni animati con lama di lunghezza inferiore ai 65 centimetri;

-           agli agenti di pubblica sicurezza di cui agli articoli 17 e 18 del testo unico della legge sugli ufficiali ed agenti di pubblica sicurezza, di cui al regio decreto 31 agosto 1907, n. 690, relativamente alle sole armi di cui sono muniti, e cioè quelle in dotazione ufficiale, a termini dei rispettivi regolamenti;

-           agli altri agenti di pubblica sicurezza, ai quali tale qualifica sia riconosciuta dal Ministro dell’interno o dal Prefetto, ai sensi dell’articolo 43 del testo unico della legge sugli ufficiali ed agenti di pubblica sicurezza, di cui al regio decreto 31 agosto 1907, n. 690, o di altre disposizioni speciali, relativamente alle armi di cui sono muniti, soltanto durante il servizio o per recarsi al luogo ove esercitano le proprie mansioni e farne ritorno.

 

La disposizione in commento consente quindi agli agenti di pubblica sicurezza sopra richiamati di portare senza licenza non solo le armi di dotazione ma anche altre armi rientranti nelle categorie di cui all’articolo 42 del TULPS

 

Conseguentemente, il comma 2 autorizza il Governo ad apportare le necessarie modifiche al sopra richiamato articolo 73 del regolamento di esecuzione del Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza (Regio decreto n. 635 del 1940) con regolamento di delegificazione ai sensi dell’articolo 17, comma 2, della legge n. 400 del 1988. 

 

Si ricorda che il citato articolo 17, comma 2, della legge n. 400 del 1988 dispone che con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, sentito il Consiglio di Stato, e previo parere delle Commissioni parlamentari competenti in materia, che si pronunciano entro trenta giorni dalla richiesta, sono emanati i regolamenti per la disciplina delle materie, non coperte da riserva assoluta di legge prevista dalla Costituzione, per le quali le leggi della Repubblica, autorizzando l'esercizio della potestà regolamentare del Governo, determinano le norme generali regolatrici della materia e dispongono l'abrogazione delle norme vigenti, con effetto dall'entrata in vigore delle norme regolamentari.

 

In proposito si rileva che il regolamento di esecuzione di cui al Regio decreto n. 635 del 1940 appare appunto di carattere regolamentare; alcune sue disposizioni sono state in passato oggetto di diretta modifica legislativa (ad esempio, l’articolo 110, in materia di licenza per la costruzione di impianti provvisori elettrici per straordinarie illuminazioni pubbliche, modificato in più punti dall’articolo 4, comma 1, del decreto legislativo n. 222 del 2016) e quindi hanno assunto rango di fonte legislativa ma questo non risulta essere avvenuto per l’articolo 73.

Al riguardo, si valuti quindi l’opportunità di approfondire la necessità di utilizzare un regolamento di delegificazione per apportare modifiche ad una norma di rango secondario.

 

L’opportunità di approfondire tale aspetto è stata segnalata anche dal parere espresso sul provvedimento dal Comitato per la legislazione della Camera nella seduta del 29 maggio 2024.

 


Articolo 29
(Tutela delle funzioni istituzionali del Corpo della guardia di finanza svolte in mare e modifiche agli articoli 1099 e 1100 del codice della navigazione)

 

 

L’articolo 29 estende l’applicabilità delle pene previste dagli articoli 1099 e 1100 del codice della navigazione per i capitani delle navi, italiane o straniere, che non obbediscano all’intimazione di fermo di unità del naviglio della Guardia di finanza o che commettano atti di resistenza contro di esse, al naviglio della Guardia di Finanza impiegato in attività istituzionali (comma 1).

Prevede inoltre la reclusione fino a 2 anni per il comandante della nave straniera che non obbedisca all’ordine di una nave da guerra nazionale nei casi consentiti dalle norme internazionali di visita e a ispezione delle carte e dei documenti di bordo e la reclusione da tre a dieci anni per il comandante o l'ufficiale della nave straniera per gli atti compiuti contro una nave da guerra nazionale (comma 2).

 

In dettaglio, il comma 1 prevede che le disposizioni degli articoli 5 e 6 della legge 13 dicembre 1956, n. 1409, che sono attualmente applicabili alle sole fattispecie di vigilanza marittima ai fini della repressione del contrabbando dei tabacchi, siano applicabili anche quando le unità del naviglio della Guardia di finanza siano impiegate nell’esercizio delle funzioni istituzionali a esse attribuite dalla normativa vigente. Si tratta delle norme in base alle quali:

-          il comandante della nave nazionale che non obbedisce alla intimazione di fermo di una unità del naviglio della Guardia di finanza è punito con le pene stabilite dall'articolo 1099 del Codice della navigazione, che prevede la reclusione fino a 2 anni (articolo 5);

-         il capitano della nave nazionale che commette atti di resistenza o di violenza contro una unità di naviglio della Guardia di finanza è punito con le pene stabilite dall'articolo 1100 del Codice della navigazione, cioè con la reclusione da tre a dieci anni (articolo 6).

 

Il comma 1 prevede inoltre che tali disposizioni si applichino, nel rispetto delle norme internazionali, anche quando le condotte sono poste in essere dal comandante di una nave straniera.

 

Il comma 2 novella gli articoli 1099 e 1100 del codice della navigazione, disponendo rispettivamente che:

-         alla medesima pena prevista dall’art. 1099, cioè la reclusione fino a 2 anni, debba soggiacere il comandante della nave straniera che non obbedisce all’ordine di una nave da guerra nazionale, quando, nei casi consentiti dalle norme internazionali, quest’ultima procede a visita e a ispezione delle carte e dei documenti di bordo;

 

-         la reclusione da tre a dieci anni prevista al primo periodo dell’articolo 1100 si applichi anche alle navi straniere per gli atti compiuti contro una nave da guerra nazionale impiegata nello svolgimento, in conformità alle norme internazionali, dei relativi compiti.

 

Si ricorda preliminarmente che ai sensi dell’art. 1080 cod. nav. le disposizioni penali contenute nel medesimo codice si applicano al cittadino o allo straniero al servizio di una nave o di un aeromobile nazionale. Il medesimo articolo stabilisce che le predette disposizioni penali non si applichino ai componenti dell'equipaggio e ai passeggeri di nave o di aeromobile stranieri, salvo che sia diversamente stabilito.

 

Quanto agli articoli del codice della navigazione oggetto della disposizione in commento, l’art. 1099 (Rifiuto di obbedienza a nave da guerra) nel testo attualmente vigente prevede che il comandante della nave che nei casi previsti nell'articolo 200 cod. nav.  non obbedisce all'ordine di una nave da guerra nazionale sia punito con la reclusione fino a due anni.

Il richiamato art. 200 attribuisce compiti di polizia, comprendenti la visita e l’ispezione delle carte e dei documenti di bordo, alle navi da guerra italiane nei confronti delle navi mercantili nazionali, in alto mare, nel mare territoriale e nei porti esteri dove non vi sia un’autorità consolare italiana o su richiesta della medesima.

 

L’art. 1100 cod. nav. (Resistenza o violenza contro nave da guerra) nel testo attualmente vigente punisce con la reclusione da tre a dieci anni il comandante o l'ufficiale della nave che commette atti di resistenza o di violenza contro una nave da guerra nazionale. La pena per i concorrenti è ridotta da un terzo alla metà.

 

A livello internazionale, l’art. 29 della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (Convenzione di Montego Bay) definisce quale “nave da guerra” una nave che appartenga alle forze armate di uno Stato, che porti i segni distintivi esteriori delle navi militari della sua nazionalità e sia posta sotto il comando di un ufficiale di Marina al servizio dello Stato e iscritto nell’apposito ruolo degli ufficiali o in documento equipollente, il cui equipaggio sia sottoposto alle regole della disciplina militare.

La medesima definizione di nave da guerra è contenuta a livello nazionale nell’239, comma 2, del codice dell’ordinamento militare (c.d. COM, di cui al decreto legislativo n. 66 del 2010). Il comma 3 della medesima disposizione specifica che la nave da guerra costituisce parte del territorio dello Stato.

L’articolo 243 COM specifica che le unità navali in dotazione all’Esercito italiano, all'Aeronautica militare, all'Arma dei carabinieri, al Corpo della Guardia di finanza e al Corpo delle capitanerie di porto sono iscritte in ruoli speciali del naviglio militare dello Stato.

 

Come ricorda la Relazione illustrativa di accompagnamento all’A.C. 1660, la Guardia di finanza svolge nel settore marittimo le funzioni di:

- vigilanza in mare per fini di polizia finanziaria e concorso ai servizi di polizia marittima, assistenza e segnalazione (articolo 1 della L. n. 189 del 1959);

- concorso, anche con il proprio naviglio, alla difesa politico-militare delle frontiere e, in caso di guerra, alle operazioni militari (articoli 1 e 4, terzo comma, della legge n. 189 del 1959 e articolo 98 del D.P.R. n. 90 del 2010);

- sicurezza del mare in via esclusiva - in relazione ai compiti di polizia, garantendo il mantenimento dell’ordine e della sicurezza pubblica in tale ambiente geografico - ivi compresa l’attività di prevenzione e contrasto dell’immigrazione irregolare (D.lgs. n. 177 del 2016 e DM interno 14 luglio 2003);

- polizia economica e finanziaria in mare, in via esclusiva, nonché di contrasto dei traffici illeciti (art. 2, comma 3, del D.Lgs. n. 68 del 2001).

 

 


Articolo 30
(Tutela del personale delle Forze armate che partecipa a missioni internazionali)

 

 

L’articolo 30 è finalizzato alla tutela delle Forze armate impegnate in missioni internazionali, e a tale scopo integra le disposizioni penali applicabili al personale partecipante e di supporto alle missioni, per prevedere la non punibilità dell’utilizzo di dispositivi e programmi informatici o altri mezzi idonei a commettere delitti contro l’inviolabilità del domicilio e dei segreti, ai sensi del Codice penale.

 

Più in dettaglio, la norma integra l’articolo 19 della legge quadro sulle missioni internazionali (legge n. 145/2016), che contiene disposizioni in materia penale applicabili al personale che partecipa alle missioni internazionali, nonché al personale inviato in supporto alle medesime missioni.

Il comma 3, primo periodo – su cui interviene la norma in esame – prevede la non punibilità per il personale che, nel corso delle missioni internazionali, in conformità alle direttive, alle regole di ingaggio ovvero agli ordini legittimamente impartiti, fa uso ovvero ordina di fare uso delle armi, della forza o di altro mezzo di coazione fisica, per le necessità delle operazioni militari. A tali fattispecie, viene aggiunto l’uso “di apparecchiature, dispositivi, programmi, apparati, strumenti informatici o altri mezzi idonei a commettere taluno dei delitti di cui alla sezione IV e alla sezione V del capo III del titolo XII del codice penale”.

 

Le norme penali in questione riguardano la violazione del domicilio, della corrispondenza e delle comunicazioni, le illegittime interferenze nella vita privata nonché la violazione dei segreti.

 

Si tratta, in particolare, dei seguenti delitti: violazione di domicilio (art. 614); violazione di domicilio commessa da un pubblico ufficiale (art. 615); interferenze illecite nella vita privata attraverso l’uso di strumenti di ripresa visiva o sonora (art. 615-bis); accesso abusivo a un sistema informatico (art. 615-ter); detenzione, diffusione e installazione abusiva di apparecchiature, codici e altri mezzi atti all’accesso a sistemi informatici o telematici (art. 615-quater); detenzione, diffusione e installazione abusiva di apparecchiature, dispositivi o programmi informatici diretti a danneggiare o interrompere un sistema informatico (art. 615-quinquies); violazione, sottrazione o soppressione di corrispondenza (art. 616); cognizione, interruzione o impedimento illeciti di comunicazioni o conversazioni telegrafiche o telefoniche (art. 617); detenzione, diffusione e installazione abusiva di apparecchiature e di altri mezzi atti a intercettare, impedire o interrompere comunicazioni o conversazioni telegrafiche o telefoniche  (art. 617-bis); falsificazione, alterazione o soppressione del contenuto di comunicazioni o conversazioni telegrafiche o telefoniche (art. 617-ter); intercettazione, impedimento o interruzione illecita di comunicazioni informatiche o telematiche (art. 617-quater); detenzione, diffusione e installazione abusiva di apparecchiature e di altri mezzi atti a intercettare, impedire o interrompere comunicazioni informatiche o telematiche (art. 617-quinquies); falsificazione, alterazione o soppressione del contenuto di comunicazioni informatiche o telematiche (art. 617-sexies); diffusione di riprese e registrazioni fraudolente (art. 617-septies); rivelazione del contenuto di corrispondenza (art. 618); violazione, sottrazione e soppressione di corrispondenza commesse da un addetto ai servizi postale, telegrafico o telefonico (art. 619); rivelazione del contenuto di corrispondenza, commessa da un addetto ai servizi postale, telegrafico o telefonico (art. 620); rivelazione del contenuto di documenti segreti (art. 621); rivelazione di segreto professionale (art. 622); rivelazione di segreti scientifici o commerciali (art. 623).

 

Si ricorda che l’articolo 19 della legge quadro prevede che:

§  quando, nel commettere uno dei fatti previsti dal primo periodo del comma 3, si eccedono colposamente i limiti stabiliti dalla legge, dalle direttive, dalle regole di ingaggio o dagli ordini legittimamente impartiti, ovvero imposti dalla necessità delle operazioni militari, si applicano le disposizioni concernenti i delitti colposi se il fatto è previsto dalla legge come delitto colposo (comma 3, secondo periodo, dell’articolo 19);

§  il comma 3 non si applica in nessun caso ai crimini previsti dagli articoli 5 e seguenti dello statuto istitutivo della Corte penale internazionale, adottato a Roma il 17 luglio 1998, ratificato ai sensi della legge 12 luglio 1999, n. 232. Si tratta del crimine di genocidio, dei crimini contro l’umanità, dei crimini di guerra e del crimine di aggressione, di competenza della Corte penale internazionale (comma 4 dell’articolo 19).

 

 


Articolo 31
(Potenziamento dell’attività di informazione per la sicurezza)

 

 

L’articolo 31, in primo luogo, rende permanenti le disposizioni introdotte, in via transitoria, dal decreto-legge 7/2015 (e, per effetto di successive proroghe, vigenti fino al 31 dicembre 2024), per il potenziamento dell’attività dei servizi di informazione per la sicurezza, in materia di:

§   estensione delle condotte di reato scriminabili, che possono compiere gli operatori dei servizi di informazione per finalità istituzionali su autorizzazione del Presidente del Consiglio dei ministri, a ulteriori fattispecie concernenti reati associativi per finalità di terrorismo;

§   attribuzione della qualifica di agente di pubblica sicurezza con funzioni di polizia di prevenzione a personale militare impiegato nella tutela delle strutture e del personale degli organismi di informazione per la sicurezza;

§   tutela processuale in favore degli operatori degli organismi di informazione per la sicurezza, attraverso l’utilizzo di identità di copertura negli atti dei procedimenti penali e nelle deposizioni;

§   possibilità di condurre colloqui con detenuti e internati, per finalità di acquisizione informativa per la prevenzione di delitti con finalità terroristica di matrice internazionale.

Inoltre, vengono introdotte nuove disposizioni, sempre riguardanti l’attività informativa, concernenti:

§   la previsione di ulteriori condotte di reato per finalità informative, scriminabili, concernenti la direzione o l’organizzazione di associazioni con finalità di terrorismo anche internazionale o di eversione dell’ordine democratico e la detenzione di materiale con finalità di terrorismo (reato quest’ultimo introdotto dall’articolo 1 del provvedimento), la fabbricazione o detenzione di materie esplodenti;

§   la previsione che le pubbliche amministrazioni e soggetti equiparati siano tenuti a prestare agli organismi del sistema di informazione per la sicurezza la collaborazione e l’assistenza richieste necessarie per la tutela della sicurezza nazionale e l’estensione di tale potere nei confronti di società partecipate e a controllo pubblico;

§   la possibilità di richiedere informazioni e analisi finanziarie alla Guardia di finanza e alla DIA per il contrasto al terrorismo internazionale.

 

Collaborazione delle pubbliche amministrazioni con gli organismi del sistema di informazione per la sicurezza

Il comma 1, lett. a), n. 1, modifica l’articolo 13, comma 1, della legge 124/2007 (la legge reca la nuova disciplina dei servizi di informazione), prevedendo che le pubbliche amministrazioni e alcuni soggetti ad esse equiparati siano tenuti a prestare al Dipartimento delle informazioni per la sicurezza (DIS) e alle agenzie del sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica - ossia l’Agenzia informazioni e sicurezza esterna (AISE) e l’Agenzia informazioni e sicurezza interna (AISI) – la collaborazione e l’assistenza richieste, anche di tipo tecnico e logistico, necessarie per la tutela della sicurezza nazionale.

Attualmente, la disposizione vigente prevede che DIS e agenzie possono corrispondere con le pubbliche amministrazioni e con i soggetti che erogano, in regime di autorizzazione, concessione o convenzione, servizi di pubblica utilità e chiedere ad essi la collaborazione, anche di ordine logistico, necessaria per l'adempimento delle loro funzioni istituzionali.

La norma in esame, da un lato, rende cogente la collaborazione - ed anche l’assistenza, non prevista dalla norma vigente - che gli organismi di sicurezza eventualmente richiedono alle pubbliche amministrazioni. Dall’altro, specifica che la collaborazione e assistenza debbano essere motivate dalla necessità della tutela della sicurezza nazionale, mentre la disposizione vigente fa riferimento alla necessità di adempiere alle funzioni istituzionali di detti organismi.

Inoltre, viene ampliato il novero dei soggetti tenuti a prestare la collaborazione, estendendo tale obbligo alle società a partecipazione pubblica o a controllo pubblico.

Come nella formulazione vigente, è previsto che le modalità di tale collaborazione siano definite con convenzioni tra i soggetti tenuti a prestarla e gli organismi di informazione per la sicurezza. A differenza della disposizione in vigore, viene specificato che le convenzioni possano prevedere anche la comunicazione di informazione agli organismi in deroga a vincoli di riservatezza previsti dalla normativa di settore.

Il comma 1, lett. a), n. 2, modifica la rubrica dell’articolo 13 della legge 124/2007 per adattarla alle modifiche di cui sopra.

 

Tutela funzionale e processuale del personale dei servizi di informazione per la sicurezza della Repubblica

Il comma 1, lett. b), mette a regime la disposizione in materia di garanzie funzionali introdotta in via transitoria dall’articolo 8, comma 2, lettera a), del decreto-legge 7/2015, successivamente prorogata più volte (da ultimo fino al 31 dicembre 2024). A tal fine viene modificato l’articolo 17, comma 4, della legge 124/2007.

 

La disposizione è stata introdotta in via transitoria (inizialmente fino al 31 gennaio 2018), dal decreto-legge 7/2015 (art. 8, comma 2) recante sia disposizioni urgenti per il contrasto del terrorismo, sia la proroga delle missioni internazionali di pace. Una prima proroga, fino al 31 gennaio 2021, è stata disposta dall'articolo 1, comma 1120, lettera d) della legge 205/2017. Successivamente, sono intervenute ulteriori proroghe: fino 31 gennaio 2022, ad opera del D.L. 183/2020 (art. 1, comma 14), fino al 31 gennaio 2023 con il D.L. 228/2021 (art. 1, comma 17), fino al 31 gennaio 2024 con il D.L. 198/2022 (art. 21, comma 1) e fino al 31 dicembre 2024 con il D.L. 215/2023 (art. 19, comma 1).

 

La prima disposizione di cui si prevede la messa a regime concerne la possibilità di estendere anche a una serie di delitti con finalità di terrorismo le condotte scriminabili, previste dalla legge come reato, che tuttavia il personale dei servizi di informazione per la sicurezza può essere autorizzato a porre in essere, sebbene per tali condotte non sia opponibile il segreto di Stato di cui all’art. 39, comma 11 della legge sui servizi di informazione (L. 124/2007).

 

L’art. 17 della L. 124/2007 esclude che possano essere autorizzate condotte dirette a mettere in pericolo o a ledere la vita, l'integrità fisica, la personalità individuale, la libertà personale, la libertà morale, la salute o l'incolumità di una o più persone (comma 2) e altre condotte particolarmente gravi (comma 3), quali, ad esempio, attentato contro organi costituzionali o contro i diritti politici.

Inoltre, non possono essere autorizzate, condotte previste dalla legge come reato per le quali non è opponibile il segreto di Stato ai sensi dell’art. 39, comma 11, della legge 124/2007, con le sole eccezioni della partecipazione all’associazione con finalità di terrorismo anche internazionale (art. 270-bis, 2° comma, c.p.) e dell’associazione mafiosa (art. 416-bis, 1° comma, c.p.). Solo per le condotte relative ai due reati da ultimo citati opera la speciale causa di giustificazione - prevista dallo stesso art. 17, comma 1, della legge 124/2007 - secondo cui non è punibile il personale dei servizi di informazione per la sicurezza che ponga in essere condotte previste dalla legge come reato, legittimamente autorizzate di volta in volta in quanto indispensabili alle finalità istituzionali di tali servizi.

Il richiamato art. 39, comma 11, esclude che possono essere oggetto di segreto di Stato notizie, documenti o cose relativi a fatti di terrorismo o eversivi dell'ordine costituzionale o a fatti costituenti i delitti di devastazione, saccheggio e strage, associazione mafiosa, scambio elettorale politico-mafioso.

 

In base al decreto-legge 7/2015 le ulteriori condotte-reato previste dal codice penale per le quali, in presenza di autorizzazione, opera la suddetta scriminante, in via temporanea e, in base al presente provvedimento in via permanente, sono le seguenti:

§  partecipazione ad associazioni sovversive (art. 270, secondo comma, c.p.);

§  assistenza agli associati (art. 270-ter, c.p.);

§  arruolamento con finalità di terrorismo anche internazionale (art. 270-quater c.p.);

§  organizzazione di trasferimenti per finalità di terrorismo (art. 270-quater.1, c.p.);

§  addestramento ad attività con finalità di terrorismo anche internazionale (art. 270-quinquies c.p.);

§  finanziamento di condotte con finalità di terrorismo (art. 270-quinques.1 c.p.);

§  istigazione a commettere uno dei delitti contro la personalità interna o internazionale dello Stato (art. 302 c.p.);

§  partecipazione a banda armata (art. 306, secondo comma, c.p.);

§  istigazione a commettere delitti di terrorismo o crimini contro l’umanità o apologia degli stessi delitti (art. 414, quarto comma, c.p.).

 

La disposizione in esame, oltre a mettere a regime le fattispecie di cui sopra, aggiunge le seguenti ulteriori condotte-reato:

§  direzione e organizzazione di associazioni con finalità di terrorismo anche internazionale o di eversione dell’ordine democratico (art. 270-bis, primo comma c.p.; il primo comma dell’articolo 270-bis punisce anche l’ipotesi della promozione, costituzione e finanziamento di associazioni con finalità di terrorismo ma la disposizione in commento specifica che la scriminante vale solo per le ipotesi di direzione ed organizzazione);

§  detenzione di materiale con finalità di terrorismo (art. 270-quinquies.3 c.p.), introdotto dall’articolo 1 del provvedimento in commento;

§  fabbricazione o detenzione di materie esplodenti (435 c.p.).

 

Quindi, mentre per le associazioni sovversive rientrano tra le condotte-reato per le quali vale la scriminante solo la partecipazione all’associazione di cui all’articolo 270, secondo comma, del codice penale, per le associazioni con finalità di terrorismo rientrano tra tali condotte oltre alla partecipazione, (articolo 270-bis, secondo comma c. p.) anche la direzione e organizzazione (articolo 270-bis, primo comma c. p.).

 

Il comma 2, lett. a), mette a regime tre ulteriori misure introdotte in via transitoria, e poi prorogate più volte, dal citato articolo 8 del D.L. 7/2015, comma 2, lett. b), c) e d). A tal fine, vengono introdotti tre ulteriori commi al medesimo articolo 8 del D.L. 7/2015 (1-bis, 1-ter, 1-quater).

 

La prima misura riguarda la possibilità di attribuire anche al personale delle Forze armate adibito alla tutela delle strutture e del personale del Dipartimento per le informazioni per la sicurezza (DIS) o dei servizi di informazione per la sicurezza (AISI e AISE) la qualifica di ufficiale o di agente di pubblica sicurezza, con funzioni di polizia di prevenzione.

 

L’attribuzione può avvenire, specifica la disposizione, con le modalità previste dall’articolo 23, comma 2, della legge n. 124 del 2007 vale a dire dal Presidente del Consiglio per non oltre un anno, su proposta del direttore generale del DIS, AISI e AISE. La disposizione specifica anche che si tratta del personale delle forze armate adibito alla tutela delle strutture di DIS, AISI e AISE ai sensi dell’articolo 12 della legge n. 124 del 2007, il quale, in particolare al comma 1, prevede appunto che  Forze armate, le Forze di polizia, gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria e di pubblica sicurezza forniscono ogni possibile cooperazione, anche di tipo tecnico-operativo, al personale addetto ai servizi di informazione per la sicurezza, per lo svolgimento dei compiti a questi affidati.

 

La seconda misura prevede che, in caso di procedimenti penali avviati per le condotte-reato di addetti dei servizi realizzate nelle operazioni d’istituto, è consentito utilizzare le relative identità di copertura (autorizzate dal direttore generale del DIS), previa comunicazione con modalità riservate all’autorità giudiziaria procedente contestualmente all’opposizione della causa di giustificazione.

 

La disposizione specifica che si tratta delle identità di copertura di cui all’articolo 24, comma 1, della legge n. 124 del 2007. In base a tale norma, il direttore generale del DIS, previa comunicazione al Presidente del Consiglio dei ministri o all'Autorità delegata, ove istituita, può autorizzare, su proposta dei direttori dell'AISE e dell'AISI, l'uso, da parte degli addetti ai servizi di informazione per la sicurezza, di documenti di identificazione contenenti indicazioni di qualità personali diverse da quelle reali. Con la medesima procedura può essere disposta o autorizzata l'utilizzazione temporanea di documenti e certificati di copertura. La disposizione specifica altresì che si fa riferimento ai procedimenti penali di cui all’articolo 19 della legge n. 124 del 2007. Tale articolo disciplina le modalità con cui, in caso di indagini preliminari riguardanti personale dei servizi di informazione e sicurezza, può essere opposta all’autorità giudiziaria l’esistenza della speciale causa di giustificazione in base alla quale non è punibile, nel rispetto di determinati limiti, il personale dei servizi di informazione per la sicurezza che ponga in essere condotte previste dalla legge come reato, legittimamente autorizzate di volta in volta in quanto indispensabili alle finalità istituzionali di tali servizi (tale speciale causa di giustificazione è prevista dall’articolo 17 della medesima legge e autorizzata ai sensi dell’articolo 18).

 

Infine, viene messa a regime la misura che consente all’autorità giudiziaria - su richiesta dei vertici del DIS, dell’AISI e dell’AISE - di autorizzare gli addetti dei servizi di informazione per la sicurezza a deporre nel processo penale con identità di copertura, ove sia necessario mantenere segrete le loro vere generalità nell’interesse della sicurezza dello Stato o per tutelarne l’incolumità.

Resta ferma la disposizione generale che consente agli ufficiali e agli agenti di polizia giudiziaria, anche appartenenti ad organismi di polizia di Paesi stranieri, ai dipendenti dei servizi di informazione per la sicurezza, agli ausiliari, nonché alle interposte persone, chiamati a deporre, in ogni stato e grado del procedimento, in ordine alle attività svolte sotto copertura ad indicare le generalità di copertura utilizzate nel corso delle attività medesime (art. 497, comma 2-bis, c.p.p.).

Al comma 2, lettera b), è conseguentemente abrogato il comma 2 dell’articolo 8 del decreto-legge n. 7 del 2015, recante le medesime disposizioni in via transitoria.

 

Autorizzazione del personale dei servizi di informazione per la sicurezza della Repubblica a svolgere colloqui personali con detenuti

Al comma 3 si introduce, attraverso la modifica di cui alla lettera a), in modo permanente la possibilità che il Presidente del Consiglio - anche a mezzo del Direttore generale del D.I.S. (Dipartimento delle informazioni per la sicurezza) – possa richiedere che i direttori dell’AISE (l'Agenzia informazioni e sicurezza esterna) e dell’AISI (l’Agenzia informazioni e sicurezza interna) o altro personale dipendente espressamente delegato siano autorizzati a svolgere colloqui investigativi con detenuti e internati, al solo fine di acquisire informazioni per la prevenzione di delitti con finalità terroristica di matrice internazionale.

 

Tale facoltà è stata introdotta, in via transitoria (inizialmente fino al 31 gennaio 2016), dall'articolo 6 del decreto-legge 7/2015 che ha modificato l’articolo 4 del decreto-legge n. 144 del 2005, introducendovi il comma 2-bis.

 

La proroga di tale disciplina è stata già disposta più volte: prima dal D.L. 210/2015 fino al 31 gennaio 2017 (articolo 4-ter), poi dal D.L. 244/2016 fino al 31 gennaio 2018 (art. 5, comma 8), dalla L. 205/2017 fino al 31 gennaio 2019 (articolo 1, comma 1120, lett. c), dalla L. 145/2018 fino al 31 gennaio 2020 (articolo 1, comma 1131, lett. g), dal D.L. 162/2019 fino al 31 gennaio 2021 (articolo 3, comma 3), dal D.L. 183/2020 fino al 31 gennaio 2022 (articolo 1, comma 14), dal D.L. 228/2021, fino al 31 gennaio 2023 (articolo 1, comma 16), dal decreto-legge n. 198/2022 fino al 31 gennaio 2024 (art. 21, comma 2), dal decreto-legge n. 215 del 2023 fino al 31 dicembre 2024 (art. 19, comma 2).

 

L’autorizzazione a tali colloqui investigativi è rilasciata dal Procuratore generale presso la Corte d’appello di Roma, in presenza di specifici e concreti elementi informativi che rendano assolutamente indispensabile l’attività di prevenzione (art. 4, comma 2-ter, D.L. 144/2005).

Dello svolgimento dei colloqui è data comunicazione scritta entro il termine di cinque giorni al Procuratore generale presso la Corte d’appello di Roma. Inoltre, le autorizzazioni ai colloqui e le successive comunicazioni sono annotate in un registro riservato presso l’ufficio del procuratore generale. Devono essere informati dello svolgimento dei colloqui anche il Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo e, a conclusione delle operazioni, il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica (art. 4, comma 2-quater, D.L. 144/2005 come ora modificato dal comma 3, lettera b); la norma in commento stabilisce infatti che il termine è comunque di cinque giorni, non richiamandosi più il termine di cui all’articolo 226, comma 3, del decreto legislativo n. 271 del 1989 che pure è di cinque giorni ma, facendosi riferimento a intercettazioni, è prorogabile a dieci se sussistono esigenze di traduzione delle comunicazioni e delle conversazioni).

Il personale dei servizi di informazione ha l'obbligo di denunciare fatti costituenti reato ai rispettivi direttori i quali, senza ritardo, informano il Presidente del Consiglio, o l'Autorità delegata, ove istituita. A loro volta, i direttori dei servizi di informazione per la sicurezza e il direttore generale del DIS hanno l'obbligo di fornire ai competenti organi di polizia giudiziaria le informazioni e gli elementi di prova relativamente a fatti configurabili come reati, di cui sia stata acquisita conoscenza nell'ambito delle strutture che da essi dipendono. L'adempimento di tale obbligo può essere ritardato, su autorizzazione del Presidente del Consiglio, quando ciò sia strettamente necessario al perseguimento delle finalità istituzionali del Sistema di informazione per la sicurezza (art. 23, commi 6, 7 e 8 della L. 124/2007, richiamati dall’art. 4, comma 2-quinques del D.L. 144/2005).

Gli elementi acquisiti attraverso le attività di cui al presente articolo per lo sviluppo della ricerca informativa non possono essere utilizzati nel procedimento penale. In ogni caso, le attività di intercettazione di cui ai commi da 1 a 4 e le notizie acquisite a seguito delle attività medesime non possono essere menzionate in atti di indagine né costituire oggetto di deposizione né essere altrimenti divulgate (art. 4-bis, comma 5, del D.L. 144/2005, richiamato dall’art. 4, comma 2-quinques del D.L. 144/2005, nel testo modificato dalla lettera c); il testo attuale prevede invece, attraverso il richiamo all’articolo 226, comma 5, del decreto legislativo n. 271 del 1989, che in ogni caso, gli elementi acquisiti attraverso le attività di cui sopra non possono essere utilizzati nel procedimento penale, fatti salvi i fini investigativi).

 

Richiesta di informazioni finanziarie

Il comma 4, lett. a) modifica l’articolo 14 del D.Lgs. 186/2021, aggiungendo il comma 1-bis che prevede la possibilità per AISI e AISE di richiedere, secondo modalità definite d’intesa, alle autorità nazionali competenti di cui all’articolo 5 del citato decreto legislativo (ossia il Nucleo speciale di polizia valutaria della Guardia di finanza e la Direzione investigativa antimafia) le informazioni e le analisi finanziarie connesse al terrorismo. Ciò al fine di prevenire ogni forma di aggressione terroristica di matrice internazionale.

Viene così integrato il comma 1 dell’articolo 14 del D.Lgs. 186/2021 che prevede che Forze di polizia, condividono tempestivamente, secondo modalità definite d'intesa, le informazioni finanziarie e le analisi finanziarie.

 

La lett. b) integra la rubrica del citato articolo 14 alla luce della disposizione introdotta dal nuovo comma 1-bis.

 

Le informazioni e le analisi finanziarie sono definite dal D.Lgs. 186/2021, art. 2, comma 1, come segue:

§  informazioni finanziarie: qualsiasi tipo di informazioni o dati, quali dati su attività finanziarie, movimenti di fondi o relazioni finanziarie commerciali, già detenuti dalle unità di informazione finanziaria (FIU) al fine di prevenire, accertare e contrastare efficacemente il riciclaggio e il finanziamento del terrorismo;

§  analisi finanziarie: i risultati delle analisi operative e strategiche già condotte dalle FIU nello svolgimento dei compiti alle stesse attribuiti dalla direttiva (UE) 2015/849 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 maggio 2015, relativa alla prevenzione dell'uso del sistema finanziario a fini di riciclaggio o finanziamento del terrorismo, che modifica il regolamento (UE) n. 648/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio e che abroga la direttiva 2005/60/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e la direttiva 2006/70/CE della Commissione.

 

La direttiva (UE) 2019/1153 del Parlamento europeo e del Consiglio del 20 giugno 2019, entrata in vigore il 1° agosto 2019, reca disposizioni per agevolare l'uso di informazioni finanziarie e di altro tipo a fini di prevenzione, accertamento, indagine o perseguimento di determinati “reati gravi”. Essa mira inoltre a rafforzare la collaborazione tra gli organi investigativi e le Unità di informazione finanziaria (UIF), nel rispetto dei principi di indipendenza operativa di queste ultime. Il provvedimento disciplina gli scambi informativi tra UIF, organi investigativi nazionali ed Europol, per consentire l'uso più esteso possibile delle informazioni e delle analisi finanziarie prodotte dalle UIF a supporto di indagini per reati gravi, categoria più ampia di quella dei reati presupposto associati al riciclaggio.

La predetta direttiva è stata attuata dal D.Lgs. 186/2021.

I “reati gravi” ai quali fa riferimento la direttiva sono quelli di cui all’allegato I del Regolamento (UE) 2016/794 istitutivo di Europol.

 

Secondo la relazione illustrativa di accompagnamento all’A.C. 1660 la disposizione in esame “si propone di colmare un deficit informativo in relazione a esigenze riconducibili a obiettivi selettivi, inserendo l’Agenzia informazioni e sicurezza esterna e l’Agenzia informazioni e sicurezza interna all’interno del circuito di cooperazione già esistente tra le forze di polizia di cui all’articolo 14 del citato decreto legislativo n. 186 del 2021.

 

 


Articolo 32
(Disposizioni in materia di forniture di servizi di telefonia mobile)

 

 

L’articolo 32, introdotto in sede referente dalla Camera, in primo luogo modifica l’articolo 30 del codice delle comunicazioni elettroniche (decreto legislativo n. 259 del 2003) e prevede la sanzione amministrativa accessoria della chiusura dell’esercizio o dell’attività da 5 a 30 giorni per i casi nei quali le imprese autorizzate a vendere schede S.I.M non osservino gli obblighi di identificazione dei clienti, di cui all’articolo 98-undetricies. In secondo luogo, apporta novelle all’articolo 98-undetricies del codice delle comunicazioni elettroniche.

Nel dettaglio, con riferimento alla conclusione di contratti il cui oggetto sia un servizio per la telefonia mobile (contratti pre-pagati o in abbonamento), viene previsto che al cliente, che sia cittadino di Paese fuori dall’Unione europea, sia richiesto anche il documento che attesti il regolare soggiorno in Italia. Per il caso in cui il cliente lo abbia smarrito o gli sia stato sottratto, è necessario fornire copia della denuncia di smarrimento o furto.

Infine, al citato articolo 98-undetricies viene aggiunto il comma 1-ter, ai sensi del quale ai condannati per il reato di sostituzione di persona (art. 494 c.p.), commesso con la finalità di sottoscrivere un contratto per la fornitura di telefonia mobile, si applica altresì la pena accessoria dell’incapacità di contrarre con gli operatori per un tempo da fissarsi tra i sei mesi e i due anni.

 

Aggiunto in sede referente dalla Camera, l’articolo 32 del disegno di legge in esame al comma 1 modifica – con l’aggiunta del comma 19-bis – l’articolo 30 del codice delle comunicazioni elettroniche, di cui al d.lgs. n. 259 del 2003.

Tale ultima disposizione inerisce, in generale, alle sanzioni a carico degli operatori e dei venditori di servizi di comunicazione elettronica.

Il comma 19 della disposizione tratta delle sanzioni amministrative pecuniarie conseguenti alla violazione, tra gli altri, dell’articolo 98-undetricies.

 

La nuova disposizione prevede, in aggiunta alla sanzione pecuniaria, quella accessoria della chiusura dell’esercizio o dell’attività da 5 a 30 giorni per le imprese autorizzate alla vendita le schede elettroniche S.I.M da parte degli operatori nel caso in cui siano inadempienti rispetto agli obblighi di identificazione imposti dall’art. 98-undetricies, commi:

·        1, periodi terzo, quarto e quinto;

·        1-bis (su cui v. infra).

 

Il comma 2 reca tre modifiche testuali al citato articolo 98-undetricies del codice delle comunicazioni elettroniche, di cui al decreto legislativo n. 259 del 2003.

 

Per dettagli sul decreto legislativo n. 207 del 2021, di modifica al codice delle comunicazioni elettroniche si veda il dossier. Inoltre, per ragguagli sul decreto legislativo n. 48 del 2024, correttivo del precedente, si rimanda al dossier (vedi in particolare pag. 27).

Giova ricordare che la disposizione novellata obbliga, secondo le misure del Ministero delle imprese e del made in Italy e dell’AGCOM per le rispettive competenze, le imprese fornitrici di servizi di telefonia mobile a identificare i clienti e a rendere disponibile il relativo elenco anche al Ministero dell’interno.

 

La nuova disposizione, modificando anzitutto il comma 1 del citato articolo con l’aggiunta del quinto periodo, disciplina il caso in cui il cliente che attivi un servizio di telefonia mobile sia cittadino di uno Stato non appartenente all’Unione Europea.

In tale circostanza, l’impresa fornitrice è tenuta ad acquisire non solo il documento di identità – come già previsto – ma anche il titolo di soggiorno dello stesso (comma 2, lett. a).

 

Il successivo comma 1-bis della disposizione novellata, prevede che in caso di furto o smarrimento dei documenti necessari sia consegnata all’esercente o all’impresa fornitrice copia della relativa denuncia.

 

Da ultimo, la nuova norma, prevede che nel caso in cui si tratti di soggetto condannato per sostituzione di persona, ai sensi dell’articolo 494 del codice penale, sia applicata la pena accessoria dell’incapacità di contrarre con gli operatori per un tempo da fissarsi tra i sei mesi e i due anni (comma 2, lett. b).

 

Si ricorda che la sostituzione di persona, prevista dall’articolo 494 c.p., è un reato contro la fede pubblica in cui sono incriminate le seguenti condotte[27]:

·         la sostituzione illegittima della propria all’altrui persona (vale a dire il dichiararsi persona diversa da chi si è);

·         l’attribuzione a sé o ad altri di un falso nome;

·         l’attribuzione a sé o ad altri di un falso stato;

·         l’attribuzione a sé o ad altri di una qualità da cui la legge fa conseguire determinati effetti giuridici.

Il riferimento della nuova disposizione a tutto l’articolo 494 c.p. significa che essa richiama tutte le quattro condotte incriminate.

Per “operatore” si intende quello di cui all’articolo 2, comma 1, lett. ll) del medesimo codice delle comunicazioni elettroniche, vale a dire “l'impresa che fornisce o è autorizzata a fornire una rete pubblica di comunicazione elettronica, o una risorsa correlata”.

 

La pena accessoria dell’incapacità di contrarre è irrogata nel caso in cui la condotta accertata sia stata animata dal dolo specifico del fine di sottoscrivere un contratto di telefonia mobile. A tal proposito, pertanto, occorre osservare che tra le diverse finalità di profitto per sé o per altri, o di danno per terzi (già previste dall’articolo 494 c.p.), solo quella di sottoscrivere un contratto di telefonia mobile è idonea a configurare il dolo specifico che può portare alla citata pena accessoria.

 

Per una maggiore evidenza grafica delle modifiche apportate, si rimanda al seguente testo a fronte.

 

 


Decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259

Testo vigente

Testo come modificato dall’A.C. 1660-A

Art. 30
(Sanzioni)

Art. 30
(idem)

Commi da 1 a 18          Omissis

Identici

19. In caso di inosservanza delle disposizioni di cui agli articoli 98, 98-quindecies, 98-sedecies, 98-septiesdecies, 98-duodetricies e 98-undetricies il Ministero o l'Autorità, secondo le rispettive competenze, comminano una sanzione amministrativa pecuniaria da euro 25.000,00 a euro 5.000.000,00 e, nei casi più gravi, fino al 5% del fatturato risultante dall'ultimo bilancio approvato al momento della notifica della contestazione. e ordinano l'immediata cessazione della violazione. L'Autorità ordina inoltre all'operatore il rimborso delle somme ingiustificatamente addebitate agli utenti, indicando il termine entro cui adempiere, in ogni caso non inferiore a trenta giorni. Nel caso di violazione di particolare gravità o reiterazione degli illeciti di cui agli articoli 98, 98-quindecies, 98-sedecies, 98-septiesdecies, 98-duodetricies e 98-undetricies per più di due volte in un quinquennio, l'Autorità irroga la sanzione amministrativa pecuniaria in misura non inferiore al 2 per cento e non superiore al 5 per cento del fatturato realizzato dallo stesso soggetto nell'ultimo bilancio approvato anteriormente alla notificazione della contestazione.

Identico

 

19-bis. Ferme le sanzioni previste dal comma precedente, le imprese autorizzate alla vendita delle schede elettroniche S.I.M. da parte degli operatori, in caso di inosservanza degli obblighi di identificazione imposti dal comma 1, terzo, quarto e quinto periodo, e 1-bis dell’articolo 98-undetricies, soggiacciono alla sanzione amministrativa accessoria della chiusura dell’esercizio o dell’attività da cinque a trenta giorni.

Commi da 20 a 27-quinquies    Omissis

Identici

Art. 98-undetricies
(Identificazione degli utenti)

Art. 98-undetricies
(idem)

1. Ogni impresa è tenuta a rendere disponibili, anche per via telematica, al centro di elaborazione dati del Ministero dell'interno gli elenchi dei propri clienti titolari di contratti pre-pagati (acquirenti traffico) o post-pagati (abbonati) della telefonia mobile. Il Ministero e l'Autorità, ognuno per le parti di propria competenza, assicurano che i clienti siano identificati prima dell'attivazione, anche di singole componenti, dei servizi, al momento della consegna o messa a disposizione della scheda elettronica (S.I.M.) o della fornitura del profilo nel caso di S.I.M. digitale (eS.I.M.). Le predette imprese, nei casi di nuova attivazione e di portabilità del numero o cambio della S.I.M., adottano tutte le necessarie misure affinchè sia garantita l'acquisizione dei dati anagrafici del titolare del contratto riportati su un documento di identità, nonché del tipo, del numero, acquisendone copia ed assicurano il corretto trattamento dei dati acquisiti, fatto salvo il caso in cui per l'identificazione del cliente siano utilizzati sistemi di identità digitale equipollenti ad ogni effetto di legge ai documenti d'identità. L'identificazione del titolare del contratto può essere effettuata anche da remoto o in via indiretta, purché vengano garantiti la corretta acquisizione dei dati necessari al riconoscimento dell'utente ed il rispetto delle norme a tutela della riservatezza dei dati personali. L'Autorità giudiziaria ha facoltà di accedere per fini di giustizia ai predetti elenchi in possesso del centro di elaborazione dati del Ministero dell'interno.

1. Ogni impresa è tenuta a rendere disponibili, anche per via telematica, al centro di elaborazione dati del Ministero dell'interno gli elenchi dei propri clienti titolari di contratti pre-pagati (acquirenti traffico) o post-pagati (abbonati) della telefonia mobile. Il Ministero e l'Autorità, ognuno per le parti di propria competenza, assicurano che i clienti siano identificati prima dell'attivazione, anche di singole componenti, dei servizi, al momento della consegna o messa a disposizione della scheda elettronica (S.I.M.) o della fornitura del profilo nel caso di S.I.M. digitale (eS.I.M.). Le predette imprese, nei casi di nuova attivazione e di portabilità del numero o cambio della S.I.M., adottano tutte le necessarie misure affinchè sia garantita l'acquisizione dei dati anagrafici del titolare del contratto riportati su un documento di identità, nonché del tipo, del numero, acquisendone copia ed assicurano il corretto trattamento dei dati acquisiti, fatto salvo il caso in cui per l'identificazione del cliente siano utilizzati sistemi di identità digitale equipollenti ad ogni effetto di legge ai documenti d'identità. L'identificazione del titolare del contratto può essere effettuata anche da remoto o in via indiretta, purché vengano garantiti la corretta acquisizione dei dati necessari al riconoscimento dell'utente ed il rispetto delle norme a tutela della riservatezza dei dati personali. L'Autorità giudiziaria ha facoltà di accedere per fini di giustizia ai predetti elenchi in possesso del centro di elaborazione dati del Ministero dell'interno. Se il cliente è cittadino di uno Stato non appartenente all’Unione europea, deve essere acquisita copia del titolo di soggiorno di cui lo stesso è in possesso.

 

1-bis. Quando il cliente non dispone dei documenti previsti dal comma 1 perché oggetto di furto o smarriti, l’impresa acquisisce copia della relativa denuncia.

 

1-ter. La condanna per il delitto di cui all’articolo 494 del codice penale, quando il fatto è commesso al fine della sottoscrizione del contratto di cui al comma 1 del presente articolo, comporta l’incapacità di contrarre con gli operatori per un periodo da sei mesi a due anni.

2. L'obbligo di identificazione di cui al comma 1 non si applica alle schede elettroniche (S.I.M.) utilizzate per la fornitura di servizi di tipo 'internet delle cosé, installate senza possibilità di essere estratte all'interno degli oggetti connessi e che, anche se disinstallate, non possono essere utilizzate per effettuare traffico vocale, inviare SMS o fruire del servizio di connessione a internet.

Identico

 

 


Articolo 33
(Sostegno agli operatori economici vittime dell’usura)

 

 

L’articolo 33, modificato nel corso dell’esame alla Camera, istituisce un albo di esperti che affianchino gli operatori economici vittime di usura ai fini del reinserimento nel circuito economico legale, stabilendo altresì le norme fondamentali che disciplinano compiti, incompatibilità e decadenza, durata dell’incarico e compenso dei suddetti esperti.

 

L’articolo in commento interviene sulla legge 7 marzo 1996, n. 108, che detta disposizioni in materia di usura, inserendo un nuovo articolo, il 14-bis, che disciplina la figura dell’esperto chiamato a sostegno del soggetto vittima di usura che ha beneficiato dell’erogazione del mutuo previsto dall’art. 14[28] della medesima legge n. 108 per il suo reinserimento nell’ambito dell’economia legale.

In particolare, l’esperto, che svolge funzioni di consulenza e di assistenza, deve garantire un efficiente utilizzo delle risorse economiche assegnate ed è iscritto, a richiesta, nell’apposito albo istituito ai sensi del comma 2, purché ne abbia i requisiti. Attraverso una modifica apportata nel corso dell’esame alla Camera è stato precisato che le vittime del delitto di usura si avvalgono della consulenza dell’esperto dal momento della concessione del mutuo (comma 1).

Il citato albo (comma 2) è istituito presso l'Ufficio del Commissario straordinario per il coordinamento delle iniziative antiracket e antiusura e ad esso possono fare richiesta di iscrizione, in virtù di una modifica apportata dalla Camera: revisori legali, esperti contabili, avvocati e commercialisti regolarmente iscritti ai rispettivi ordini professionali, nonché soggetti dotati di specifiche competenze nell'attività economica svolta dalla vittima del delitto di usura e nella gestione di impresa.

La richiesta di iscrizione deve essere corredata da una dichiarazione, sottoscritta dall'interessato in presenza del dipendente addetto ovvero sottoscritta e presentata unitamente a copia fotostatica non autenticata di un documento di identità del sottoscrittore ai sensi dell’art. 38 del d.P.R. n. 445 del 2000, che nei loro confronti non sussistono le cause di divieto, sospensione o decadenza di cui all'art. 67[29] del codice delle leggi antimafia (comma 3).

L'incarico di esperto è conferito dal prefetto della provincia nel cui ambito ha sede l'ufficio giudiziario che procede per il reato di usura ovvero della provincia ove ha sede legale o residenza il beneficiario (comma 4) e del conferimento viene data tempestiva comunicazione alla società CONSAP – Concessionaria servizi assicurativi pubblici Spa (comma 5), anche al fine della segnalazione al prefetto e all’ordine professionale al quale l’esperto risulti iscritto di eventuali violazioni ai suoi doveri da parte della stessa CONSAP (comma 14).

All'atto del conferimento dell'incarico all’esperto, le somme erogate attraverso i mutui di cui all'articolo 14 confluiscono in un patrimonio autonomo e separato costituito all’esclusivo scopo di rilancio dell'attività dell'operatore economico vittima del delitto di usura (comma 6). Nel caso in cui emerga, anche tramite segnalazione dell'esperto, che l'attività svolta con l'utilizzo delle risorse assegnate non realizzi le predette finalità di reinserimento nel circuito dell’economia legale, i relativi provvedimenti di assegnazione dei benefìci possono essere revocati, con recupero delle somme erogate (comma 7).

L'esperto, a pena di decadenza, deve attestare di non trovarsi in situazioni di incompatibilità o di conflitto di interessi.

L’esperto deve svolgere con diligenza una serie di compiti, puntualmente indicati al comma 8, che vanno dal supporto per i progetti di capitalizzazione e per le attività di gestione del mutuo erogato, sulle quali l’esperto è tenuto a presentare un rendiconto, con cadenza periodica e ogni volta che il prefetto lo richieda, alla presentazione di una relazione annuale sul proprio operato al prefetto, all'ufficio del Commissario straordinario per il coordinamento delle iniziative antiracket e antiusura e alla società CONSAP Spa, al sostegno alla vittima dell’usura in qualsivoglia azione indirizzata alla ripresa della sua attività economica. Nel caso voglia farsi coadiuvare da altri soggetti qualificati, l’esperto deve farne richiesta al prefetto che gli ha conferito l'incarico (comma 8).

All'esperto si applicano, quali cause di incompatibilità, le cause di ineleggibilità e decadenza stabilite dal primo comma dell'articolo 2399[30] c.c. per i sindaci di società per azioni (comma 9); egli inoltre è tenuto alla riservatezza sui fatti e sui documenti di cui ha conoscenza in ragione delle sue funzioni, adempie ai suoi doveri con la diligenza del mandatario[31] e risponde della veridicità della relazione annuale (comma 10).

La durata dell’incarico è fissata in 5 anni ed è rinnovabile per una sola volta; sono sempre possibili le dimissioni volontarie dall’incarico, da comunicare, con preavviso di almeno 45 giorni, al prefetto e alla società CONSAP Spa (comma 11).

L'incarico è revocabile dal prefetto, ai sensi dell'articolo 1723, primo comma, c.c. nonché, con atto motivato del prefetto, in caso di azioni od omissioni contrarie al corretto esercizio dei compiti di cui al comma 8 che, qualora accertate, danno luogo alla cancellazione dell’esperto dall’albo e alla nomina di un nuovo esperto per garantire la continuità nello svolgimento dell’attività di supporto (comma 13).

L’esperto e il beneficiario possono chiedere di essere ascoltati dal prefetto o da un suo delegato in caso di dissenso, di situazioni di particolare gravità e urgenza, di mancato rispetto degli impegni assunti con il piano di investimento (comma 12).

Il compenso spettante all'esperto è corrisposto annualmente, a seguito della presentazione della relazione annuale a cura del medesimo, a valere sulle risorse del Fondo di rotazione per la solidarietà alle vittime dei reati di tipo mafioso, delle richieste estorsive, dell'usura e dei reati intenzionali violenti nonché agli orfani per crimini domestici, senza alcuna decurtazione della somma erogata alla vittima del delitto di usura (comma 15).

Ad un apposito regolamento, adottato con decreto del Ministro dell'interno, di concerto con i Ministri della giustizia e dell'economia e delle finanze, da emanare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione, è demandata la normativa di dettaglio circa i requisiti per l'iscrizione all'albo nonché per la tenuta e la gestione del medesimo, il limite al numero di incarichi ricopribili, le modalità di conferimento secondo criteri di trasparenza e con il rispetto del principio di rotazione degli incarichi, la determinazione del compenso minimo e massimo, anche in relazione all'ammontare del beneficio concesso alla vittima di usura, da aggiornare ogni tre anni nonché le modalità per l’audizione, da parte del prefetto, dell’esperto o del beneficiario ai sensi del comma 12 (comma 16).

 

 


Articolo 34
(Concessione di benefici ai detenuti)

 

 

L’articolo 34 reca modifiche all’ordinamento penitenziario volte a:

- ricomprendere l’aggravante del reato di istigazione a disobbedire alle leggi e il delitto di rivolta all’interno di un istituto penitenziario nel catalogo dei reati per i quali la concessione di benefici penitenziari è subordinata alla mancanza di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva;

- istituire un termine di 60 giorni entro cui l’amministrazione penitenziaria deve esprimersi nel merito sulle proposte di convenzione relative allo svolgimento di attività lavorative da parte di detenuti ricevute.

 

L’articolo in commento reca due modifiche di diversa natura alla legge sull’ordinamento penitenziario (legge 26 luglio 1975, n. 354).

 

La prima modifica (lettera a) del comma 1) incide sull’art. 4-bis della citata legge, concernente la concessione di benefici ai condannati per taluni delitti (c.d. reati ostativi), ritenuti indice della loro elevata pericolosità sociale. Tale modifica è conseguente all’introduzione, recata dall’art. 18 del ddl in esame (v. supra), di una circostanza aggravante e di un nuovo delitto nel codice penale. Si tratta, in particolare:

·        dell’aggravante del reato di istigazione a disobbedire alle leggi di cui all’art. 415 c.p., se commesso all’interno di un istituto penitenziario o a mezzo di scritti o comunicazioni diretti a persone detenute;

·        del delitto di rivolta all’interno di un istituto penitenziario, di cui all’art. 415-bis c.p. (cfr. articolo 26 del presente provvedimento).

Entrambi vengono inseriti nell’elenco dei reati[32] di cui al comma 1-ter dell’art. 4-bis, ovvero di quei reati per cui i benefici penitenziari, quali l'assegnazione al lavoro all'esterno, i permessi premio e le misure alternative alla detenzione, possono essere concessi purché non vi siano elementi tali da far ritenere la sussistenza di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva.

 

Si ricorda che all’inizio della legislatura in corso il decreto-legge n. 162 del 2022, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 199 del 2022, è intervenuto sull’art. 4-bis della legge n. 354/1975, facendo seguito ad un monito rivolto dalla Corte costituzionale al legislatore con l'ordinanza n. 97 del 2021. L’intervento non ha tuttavia riguardato il comma 1-ter, bensì il comma 1-bis (che è stato sostituito dai commi 1-bis, 1-bis.1, 1-bis.1.1 e 1-bis.1.2.). Le modifiche hanno in particolare riguardato l’esclusione dal novero dei reati ostativi i delitti contro la p.a.; l’estensione del regime differenziato per l'accesso ai benefici anche ai reati non ostativi, ma che siano caratterizzati da nesso teleologico con tali reati; la trasformazione da assoluta a relativa della presunzione di pericolosità ostativa alla concessione dei benefici in favore dei detenuti non collaboranti, che vengono ora ammessi alla possibilità di farne istanza, sebbene in presenza di stringenti e concomitanti condizioni, diversificate a seconda dei reati che vengono in rilievo; la sostituzione della disciplina della collaborazione impossibile o irrilevante con una nuova regolamentazione dell'accesso ai benefici penitenziari e alle misure alternative alla detenzione, applicabile a tutti i detenuti ed internati che non collaborano con la giustizia; l'ampliamento delle fonti di conoscenza cui la magistratura di sorveglianza deve ricorrere e la modifica del relativo procedimento, nonché l'onere in capo al detenuto di fornire elementi di prova contraria in caso di indizi, emergenti dall'istruttoria, dell'attuale sussistenza di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva o con il contesto nel quale il reato è stato commesso, ovvero del pericolo di loro ripristino.

 

La seconda modifica (lettera b) del comma 1) interviene sull’art. 20 dell’ordinamento penitenziario, in materia di convenzioni stipulate dagli organi centrali e territoriali dell'amministrazione penitenziaria per l’inserimento lavorativo con soggetti pubblici o privati o cooperative sociali interessati a fornire opportunità di lavoro a detenuti o internati.

Più nel dettaglio viene inserito un periodo finale al comma 8, volto a stabilire un termine di 60 giorni dal ricevimento della proposta di convenzione per l’espressione del parere nel merito da parte dell’amministrazione penitenziaria, corredato delle eventuali condizioni e prescrizioni necessarie affinché la proposta possa essere approvata.

 

Ai sensi dell’art. 20, le convenzioni disciplinano l'oggetto e le condizioni di svolgimento dell'attività lavorativa, la formazione e il trattamento retributivo, senza oneri a carico della finanza pubblica. Le proposte di convenzione sono pubblicate a cura del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria sul proprio sito istituzionale; i soggetti privati che intendano accettarle trasmettono al Dipartimento i propri progetti ed il curriculum dell'ente (entrambi pubblicati sul sito del Dap). Della convenzione stipulata è data adeguata pubblicità sul medesimo sito.

 


Articolo 35
(Attività lavorativa dei detenuti)

 

 

L’articolo 35 estende i benefici previsti dalla legge n. 193 del 2000 per le aziende pubbliche o private che impieghino detenuti anche all’esterno degli istituti penitenziari.

 

La legge 193 del 2000 reca norme per favorire l’attività lavorativa dei detenuti. In particolare, l’articolo 2, oggetto dell’intervento di cui all’articolo in esame, stabilisce l’estensione alle aziende pubbliche o private che organizzino attività produttive o di servizi all'interno delle carceri delle agevolazioni previste dalla legge n. 381 del 1999 a favore delle cooperative sociali che impieghino persone detenute o internate negli istituti penitenziari, ovvero la riduzione delle aliquote dovute per l’assicurazione obbligatoria previdenziale e assistenziale secondo una percentuale individuata ogni due anni con decreto del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze e del lavoro e delle politiche sociali[33]. L’agevolazione riguarda esclusivamente i contributi relativi alle persone detenute o internate impiegate.

 

La modifica recata dal comma 1 dell’articolo 35 è volta ad estendere ulteriormente il perimetro delle agevolazioni previste per il lavoro dei detenuti disponendo che si applichino anche:

·        alle attività lavorative svolte all’esterno degli istituti penitenziari;

·        ai detenuti o internati ammessi al lavoro esterno.

 

Il comma 2 prevede che per la copertura finanziaria per l’estensione delle agevolazioni si faccia ricorso alle risorse disponibili a legislazione vigente previste dall’articolo 6 della medesima legge n. 193 del 2000.

In proposito si ricorda che il d.l. n. 76 del 2013, n. 76, convertito, con modificazioni dalla legge n. 99 del 2013, ha disposto che a tale onere si provveda mediante corrispondente utilizzo di quota parte delle maggiori entrate derivanti dall'applicazione delle disposizioni relative al versamento del contributo unificato, che sono iscritte nello stato di previsione dell'entrata ed in quello del Ministero della giustizia, e che, da ultimo, la legge n. 197 del 2022 (art. 1, comma 308) ha disposto l’incremento di 6 milioni della relativa autorizzazione di spesa di euro a decorrere dall'anno 2023.

 


Articolo 36
(Apprendistato professionalizzate per i detenuti)

 

 

L’articolo 36 estende la possibilità di assumere in apprendistato professionalizzante anche i condannati e gli internati ammessi alle misure alternative alla detenzione e i detenuti assegnati al lavoro all'esterno.

 

In particolare, la disposizione in esame interviene sull’articolo 47 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81 (recante Disciplina organica dei contratti di lavoro e revisione della normativa in tema di mansioni, a norma dell'articolo 1, comma 7, della legge 10 dicembre 2014, n. 183), che prevede le disposizioni finali in materia di apprendistato, estendendo, al comma 4, la possibilità di assumere in apprendistato professionalizzante anche i condannati e gli internati ammessi alle misure alternative alla detenzione e i detenuti assegnati al lavoro all'esterno ai sensi dell'articolo 21 della legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni[34] (comma 1).

 

Si ricorda preliminarmente che l'apprendistato è un contratto di lavoro a tempo indeterminato finalizzato alla formazione e alla occupazione dei giovani.

Per quanto qui di interesse, l'apprendistato professionalizzante è una delle tre tipologie di apprendistato attualmente previste (insieme all'apprendistato per la qualifica e per il diploma professionale, il diploma di istruzione secondaria superiore e il certificato di specializzazione tecnica superiore e a quello di alta formazione e ricerca).

L'apprendistato professionalizzante (art. 44 del D.Lgs. 81/2015) è previsto in tutti i settori di attività, per i giovani tra i 18 (17 per i soggetti in possesso di una qualifica professionale, conseguita ai sensi della normativa vigente, ex D.Lgs. 226/2005) e i 29 anni (23 per i lavoratori sportivi), ed è finalizzato ad apprendere un mestiere o una professione in ambiente di lavoro. La durata non può essere superiore a tre anni ovvero cinque per i profili professionali caratterizzanti la figura dell'artigiano individuati dalla contrattazione collettiva di riferimento. Per i datori di lavoro che svolgono la propria attività in cicli stagionali, i CCNL possono prevedere specifiche modalità di svolgimento del contratto di apprendistato, anche a tempo determinato. I CCNL, inoltre, stabiliscono, in ragione del tipo di qualificazione professionale ai fini contrattuali da conseguire, la durata e le modalità di erogazione della formazione per l'acquisizione delle relative competenze tecnico-professionali e specialistiche, nonché la durata anche minima del periodo di apprendistato, che non può essere superiore a tre anni ovvero cinque per i profili professionali caratterizzanti la figura dell'artigiano individuati dalla contrattazione collettiva di riferimento.

La formazione di tipo professionalizzante, svolta sotto la responsabilità del datore di lavoro, è integrata, nei limiti delle risorse annualmente disponibili, dalla offerta formativa pubblica, interna o esterna alla azienda, finalizzata alla acquisizione di competenze di base e trasversali per un monte complessivo non superiore a centoventi ore per la durata del triennio 

 

Il comma 2 dispone che gli oneri derivanti dal comma 1, valutati in 0,2 milioni di euro nell’anno 2024, in 0,6 milioni di euro nell’anno 2025, in 1,1 milioni di euro nell’anno 2026, in 1,5 milioni di euro nell’anno 2027, in 1,9 milioni di euro nell’anno 2028, in 2,2 milioni di euro per ciascuno degli anni  2029  e 2030, in  2,3 milioni di euro per ciascuno degli anni 2031 e 2032 e in 2,4 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2033, si provvede quanto a 0,1 milioni di euro per l’anno 2025, a 0,2 milioni di euro per l’anno 2026, a 0,3 milioni di euro per l’anno 2027, a 0,4 milioni di euro per l’anno 2028, a 0,5 milioni di euro per l’anno 2029, a  0,6 milioni per l’anno 2030, a 0,5 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2031 mediante le maggiori entrate derivanti dal presente articolo e quanto a 0,2 milioni di euro per l’anno 2024, a 0,5 milioni di euro per l’anno 2025, a  0,9 milioni di euro per l’anno 2026, a  1,2 milioni di euro per l’anno 2027, a  1,5 milioni di euro per l’anno 2028, a 1,7 milioni di euro per l’anno 2029, a 1,6 milioni di euro per l’anno 2030, a 1,8 milioni di euro per ciascuno degli anni 2031 e 2032 e a 1,9 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2033, mediante corrispondente riduzione dell’autorizzazione di spesa di cui all’articolo 6, comma 1, della legge 22 giugno 2000, n. 193[35].

 

La relazione tecnica di accompagnamento all’A.C. 1660 precisa che la legge n. 193/2000, al fine di promuovere l’attività lavorativa da parte dei detenuti, ha già disciplinato un’agevolazione contributiva in favore dei datori di lavoro che impiegano persone detenute o internate, anche ammesse al lavoro esterno, nonché ex degenti di ospedali psichiatrici giudiziari.

Più in dettaglio, l’articolo 1 di tale legge ha modificato l’articolo 4 della legge n. 381/1991, includendo tra le persone svantaggiate che possono essere assunte dalle cooperative sociali, anche gli ex degenti di istituti psichiatrici giudiziari, i detenuti e gli internati negli istituti penitenziari, nonché i condannati e gli internati ammessi alle misure alternative alla detenzione e al lavoro all’esterno. Inoltre, la legge n. 193/2000 introducendo all’articolo 4 della legge n. 381/1991 il comma 3-bis, ha previsto che l’assunzione di tali soggetti comporti una riduzione dell’aliquota contributiva dovuta nella misura stabilita ogni due anni con apposito decreto e che l’agevolazione si applichi anche durante i sei mesi successivi alla cessazione dello stato detentivo. L’articolo 2 della medesima legge n. 193/2000 ha, inoltre, esteso l’agevolazione sopra descritta anche alle aziende pubbliche e private che organizzino attività produttive e di servizi all’interno degli istituti penitenziari impiegando persone detenute e internate.

In attuazione della delega contenuta all’articolo 4, comma 3-bis, della legge n. 381/1991, secondo cui la misura dello sgravio deve essere stabilita ogni due anni con apposito decreto, il decreto interministeriale 9 novembre 2001 ha, pertanto, stabilito la riduzione contributiva nella misura dell’80 per cento dei contributi totali. Successivamente, l’articolo 3-bis, comma 1, del decreto-legge 1° luglio 2013, n. 78, convertito dalla legge 9 agosto 2013, n. 94, ha ampliato la durata del beneficio ai diciotto e ventiquattro mesi susseguenti alla cessazione dello stato detentivo, superando il precedente limite dei sei mesi inserito nella norma originaria. Infine, sempre in attuazione della delega contenuta nell’articolo 4, comma 3-bis, della legge n. 381/1991, è stato adottato il regolamento contenuto nel decreto n. 148/2014, che ha innalzato al 95 per cento la misura della riduzione contributiva spettante a fronte delle retribuzioni corrisposte ai detenuti e internati, agli ex degenti degli ospedali psichiatrici giudiziari e ai condannati ed internati ammessi al lavoro all’esterno.

Attualmente, dunque, già esiste una previsione normativa riguardante i detenuti e gli internati, che comporta una riduzione delle aliquote contributive sotto forma di sgravio per le assunzioni effettuate, anche in apprendistato. Più in particolare, allo stato attuale possono accedere a questa agevolazione i seguenti soggetti: cooperative sociali di cui alla legge n. 381/1991, che assumono persone detenute e internate negli istituti penitenziari o persone condannate e internate ammesse al lavoro esterno, nonché ex degenti di ospedali psichiatrici giudiziari (art. 4, comma 3-bis, della legge n. 381/1991); aziende pubbliche e private che, organizzando attività di produzione o di servizio all’interno degli istituti penitenziari, impiegano persone detenute e internate (art. 2 della legge n. 193/2000). Ne consegue quindi che ad oggi solo le cooperative sociali possono fruire del beneficio per i lavoratori occupati per attività svolta al di fuori dell’istituto penitenziario. I datori di lavoro privati e le aziende pubbliche, invece, che si trovino ad effettuare assunzioni di condannati ammessi alle misure alternative alla detenzione - come, ad esempio, quella degli arresti domiciliari - non possono accedere al beneficio in trattazione.

Per completezza, si rileva infine che, con specifico riferimento al lavoro svolto all’interno del carcere a favore dell’Amministrazione penitenziaria, l’obbligo contributivo va assolto sulla mercede stabilita ai sensi della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà) e successive disposizioni (DL 29 marzo 1991, n. 103 convertito con legge 1° giugno 1991, n. 166). In particolare, l’art. 22 della legge 26 luglio 1975, n. 354 stabilisce che “le mercedi per ciascuna categoria di lavoranti sono equitativamente stabilite in relazione alla quantità e qualità del lavoro effettivamente prestato, alla organizzazione e al tipo di lavoro del detenuto in misura non inferiore ai due terzi del trattamento economico previsto dai contratti collettivi di lavoro”.

Nella Relazione Tecnica si è pertanto proceduto a valutare l’onere che deriverebbe dall’applicazione di tale norma con riferimento alle sole assunzioni di condannati e di internati ammessi alle misure alternative alla detenzione e di detenuti assegnati al lavoro all'esterno, effettuate da aziende pubbliche e private, per le quali quindi non si applicano i benefici previsti dalla legge n. 193/2000.

 


Articolo 37
(Organizzazione del lavoro dei detenuti)

 

 

L’articolo 37 autorizza il Governo ad apportare modifiche al regolamento di cui al d.P.R. n. 230 del 200 (norme sull'ordinamento penitenziario), in materia di organizzazione del lavoro dei soggetti sottoposti al trattamento penitenziario, sulla base dei criteri esplicitamente indicati.

 

L’articolo in esame autorizza il Governo ad apportare le opportune modifiche al regolamento di cui al D.P.R. n. 230 del 2000 (Regolamento recante norme sull'ordinamento penitenziario e sulle misure privative e limitative della libertà), con regolamento da adottare entro 12 mesi dall’entrata in vigore della presente disposizione.

 

Nello specifico, il governo dovrà modificare le norme che disciplinano l’organizzazione del lavoro dei soggetti sottoposti al trattamento penitenziario, sulla base dei specifici criteri:

 

a)       valorizzare il principio di sussidiarietà orizzontale, attuando iniziative di promozione del lavoro dei soggetti sottoposti al trattamento penitenziario e incoraggiando l’interazione con l’iniziativa economica privata, comprese le organizzazioni non lucrative;

b)       semplificare le relazioni tra le imprese e le strutture carcerarie al fine di favorire l’interazione tra i datori di lavoro privati e la direzione carceraria;

c)        prevedere che l’amministrazione penitenziaria abbia la possibilità di apprestare, in relazione ad attività aventi spiccata valenza sociale, modelli organizzativi di co-gestione, privi di rapporti sinallagmatici;

d)       riconoscere ai fini curriculari e della relativa formazione professionale le prestazioni lavorative svolte dai soggetti detenuti o internati;

e)        favorire l’accoglimento delle commesse di lavoro provenienti da soggetti privati;

f)         valorizzare la collaborazione con gli organismi di vertice di diversi ordini professionali (Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili, Consiglio nazionale dei consulenti del lavoro, Consiglio nazionale forense) nonché con il CNEL e con il Garante nazionale dei detenuti, al fine di diffondere la conoscenza delle iniziative legislative e amministrative volte a incentivare il reinserimento lavorativo dei detenuti.

 

 

Preliminarmente, si ricorda che l’articolo 20 della legge n. 354 del 1975 (c.d. Ordinamento penitenziario), prevede, tra l’altro, che negli istituti penitenziari debbano essere favorite la destinazione dei detenuti al lavoro e la loro partecipazione a corsi di formazione professionale (comma 1). A tal fine, possono essere organizzati e gestiti, all’interno e all’esterno dell'istituto, lavorazioni e servizi attraverso l'impiego di prestazioni lavorative dei detenuti. Possono essere istituite lavorazioni organizzate e gestite direttamente da enti pubblici o privati e corsi di formazione professionale organizzati e svolti da enti pubblici o privati. Viene in particolare specificato che il lavoro penitenziario non ha carattere afflittivo ed è remunerato (comma 2). Inoltre, si prevede che l'organizzazione e i metodi del lavoro penitenziario devono riflettere quelli del lavoro nella società libera al fine di far acquisire ai soggetti una preparazione professionale adeguata alle normali condizioni lavorative per agevolarne il reinserimento sociale (comma 3).

 

Il D.P.R. n. 230 del 2000, in attuazione della citata disposizione, al capo III, prevede diverse norme riguardanti l’organizzazione del lavoro dei detenuti (artt. 47 e ss.).

In particolare, l’articolo 47 (organizzazione del lavoro) prevede che le lavorazioni penitenziarie, sia all'interno sia all'esterno degli istituti penitenziari, possono essere organizzate e gestite:

Ø  dalle direzioni degli istituti, secondo le linee programmatiche determinate dai provveditorati;

Ø  da imprese pubbliche e private e, in particolare, da imprese cooperative sociali, in locali concessi in comodato dalle direzioni.

Inoltre, i rapporti fra la direzione e le imprese sono definiti con convenzioni.

I detenuti che prestano la propria opera in tali lavorazioni, dipendono, quanto al rapporto di lavoro, direttamente dalle imprese che le gestiscono. I datori di lavoro sono tenuti a versare alla direzione dell'istituto la retribuzione dovuta al lavoratore (comma 1).

Le lavorazioni interne dell'istituto sono possibilmente organizzate in locali esterni alle sezioni detentive (comma 2).

Le citate convenzioni, particolarmente quelle con cooperative sociali, possono anche avere ad oggetto servizi interni, come quello di somministrazione del vitto, di pulizia e di manutenzione dei fabbricati (comma 3).

Le amministrazioni penitenziarie devono, di regola, utilizzare le lavorazioni penitenziarie per le forniture di vestiario e corredo, nonché per le forniture di arredi e quant'altro necessario negli istituti (comma 4). La relativa produzione è destinata a soddisfare, nell'ordine, le commesse dell'amministrazione penitenziaria, delle altre amministrazioni statali, di enti pubblici e di privati (comma 5). Sulla distribuzione delle commesse di lavoro delle amministrazioni dello Stato e degli enti pubblici è competente il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, invece le direzioni possono accogliere direttamente le commesse di lavoro provenienti dai privati (comma 6). Può essere convenuto con committente che materie prime e accessorie, attrezzature e personale tecnico siano fornite dal medesimo (comma 7).

Inoltre, è previsto che se le commesse non sono sufficienti in rapporto alla capacità di mano d'opera delle lavorazioni penitenziarie, l'amministrazione può organizzare e gestire lavorazioni dirette alla produzione di determinati beni, che vengono offerti in libera vendita anche a mezzo di imprese pubbliche (comma 8).

Le direzioni degli istituti penitenziari, per favorire la destinazione dei detenuti e degli internati al lavoro, possono anche vendere i prodotti delle lavorazioni penitenziarie a prezzo pari o anche inferiore al loro costo (comma 9).

I posti di lavoro, a disposizione della popolazione detenuta di ciascun istituto, sono fissati in un'apposita tabella predisposta dalla direzione e distinta tra lavorazioni interne, lavorazioni esterne, servizi di istituto (comma 10). Infine è previsto che negli istituti per minorenni è data particolare attenzione all'organizzazione delle attività lavorative per la formazione professionale (comma 11).

Per completezza, si ricorda che l’articolo 42 del medesimo d.P.R. prevede che gli istituti penitenziari favoriscano la partecipazione dei detenuti a corsi di formazione professionale, in base alle esigenze della popolazione detenuta alle richieste del mercato del lavoro, promuovendo accordi con la regione e gli enti locali.

 


Articolo 38
(Clausola di invarianza finanziaria)

 

 

L’articolo 38 reca la clausola di invarianza finanziaria, disponendo che, salvo quanto previsto dagli articoli 17, 21, 22, 23 e 36, dall’attuazione del disegno di legge in esame non devono derivare nuovi o maggiori oneri.

 

Si ricorda che l’articolo 27, modificando il D.Lgs. n. 81 del 2015, in materia di apprendistato, estende la possibilità di assumere in apprendistato professionalizzante anche i condannati e gli internati ammessi alle misure alternative alla detenzione e i detenuti assegnati al lavoro all'esterno. Il comma 1 comporta oneri valutati in 0,2 milioni di euro nell’anno 2024, in 0,6 milioni di euro nell’anno 2025, in 1,1 milioni di euro nell’anno 2026, in 1,5 milioni di euro nell’anno 2027, in 1,9 milioni di euro nell’anno 2028, in 2,2 milioni di euro per ciascuno degli anni 2029 e 2030, in 2,3 milioni di euro per ciascuno degli anni 2031 e 2032 e in 2,4 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2033. Il comma 2 provvede alla relativa copertura. Per un’analisi della norma si rinvia alla scheda di lettura.

 

Con la clausola di invarianza finanziaria si prevede che, salvo quanto previsto dagli articoli 17, 21, 22, 23 e 36, dall’attuazione delle restanti norme del provvedimento in esame non devono derivare nuovi e maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

Le amministrazioni pubbliche interessate provvedono all’attuazione delle norme in esame con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.

 

 

 



[1]     Ai fini della tutela penale al Presidente della Repubblica è equiparato il Sommo Pontefice, ai sensi dell’art. 8 del Trattato lateranense.

[2]     Lo stesso codice, all’articolo 68, dispone che la disciplina ivi contenuta - relativa ai raggruppamenti temporanei e consorzi ordinari di operatori economici - trova applicazione, in quanto compatibile, per la partecipazione alle procedure delle aggregazioni tra le imprese aderenti al contratto di rete. Queste ultime, nel caso in cui abbiano tutti i requisiti del consorzio stabile, sono ad esso equiparate ai fini della qualificazione SOA, condizione necessaria, ai sensi dell’art. 100, comma 4, ai fini dell’ammissione alle procedure di aggiudicazione di appalti di lavori di importo pari o superiore a 150.000 euro

[3]     I gruppi interforze sono costituiti presso le prefetture-uffici territoriali del Governo e di essi fanno parte rappresentanti della Polizia di Stato, dell’Arma dei carabinieri, della Guardia di finanza e della Direzione investigativa antimafia (cfr. d.m 21 marzo 2017, 14 marzo 2023 e 2 ottobre 2023).

[4]     Scelti, in virtù del rinvio all’art. 35, comma 2-bis, nella sezione di esperti in gestione aziendale dell’albo nazionale degli amministratori giudiziari.

[5]     La norma fa riferimento ai soggetti privati sottoscrittori delle intese di cui all’art. 83-bis, che consentono il rilascio della documentazione antimafia anche a soggetti privati.

[6]     Si tratta dei delitti di associazione a delinquere finalizzata alla commissione di delitti concernenti schiavitù, tratta, traffico di organi, prostituzione minorile, pedopornografia, violenza sessuale, immigrazione clandestina, contraffazione, associazione di tipo mafioso, scambio elettorale politico-mafioso, il traffico illecito di rifiuti; il sequestro di persona a scopo di estorsione; i delitti commessi avvalendosi del vincolo associativo di tipo mafioso; i delitti commessi al fine di agevolare l’attività dell’associazione di tipo mafioso; l’associazione finalizzata al traffico di stupefacenti; l’associazione finalizzata al contrabbando di tabacchi; la contraffazione di indicazioni geografiche o denominazioni di origine di prodotti agroalimentari.

[7]     Gli strumenti oggetto del divieto devono essere stati impiegati per la realizzazione e divulgazione delle condotte che hanno determinato l’avviso orale. Inoltre, il destinatario dell’avviso orale deve essere stato condannato, anche con sentenza non definitiva, per uno o più delitti contro la persona o contro il patrimonio, ovvero inerenti alle armi o sostanze stupefacenti, sono proposti dal questore.

[8]     La materia delle misure di prevenzione è attualmente disciplinata dal codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione di cui al d. lgs. 159/2011, il cui art. 120 ha conseguentemente abrogato la legge 575/1965,

[9]     Il comma 3-bis dell’art. 51 c.p.p. richiama l’associazione a delinquere finalizzata alla commissione di delitti concernenti schiavitù, tratta, traffico di organi, prostituzione minorile, pedopornografia, violenza sessuale, immigrazione clandestina, contraffazione, associazione di tipo mafioso, scambio elettorale politico-mafioso, il traffico illecito di rifiuti; il sequestro di persona a scopo di estorsione; i delitti commessi avvalendosi del vincolo associativo di tipo mafioso; i delitti commessi al fine di agevolare l’attività dell’associazione di tipo mafioso; l’associazione finalizzata al traffico di stupefacenti; l’associazione finalizzata al contrabbando di tabacchi.

[10]   Il dispositivo della sentenza dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 2-quinquies, comma 1, lettera a), del decreto-legge 2 ottobre 2008, n. 151 (Misure urgenti in materia di prevenzione e accertamento di reati, di contrasto alla criminalità organizzata e all’immigrazione clandestina), inserito dalla legge di conversione 28 novembre 2008, n. 186, e successivamente modificato dall’art. 2, comma 21, della legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica), limitatamente alle parole «parente o affine entro il quarto grado».

[11]   Il comma 3-bis dell’art. 51 c.p.p. richiama l’associazione a delinquere finalizzata alla commissione di delitti concernenti schiavitù, tratta, traffico di organi, prostituzione minorile, pedopornografia, violenza sessuale, immigrazione clandestina, contraffazione, associazione di tipo mafioso, scambio elettorale politico-mafioso, il traffico illecito di rifiuti; il sequestro di persona a scopo di estorsione; i delitti commessi avvalendosi del vincolo associativo di tipo mafioso; i delitti commessi al fine di agevolare l’attività dell’associazione di tipo mafioso; l’associazione finalizzata al traffico di stupefacenti; l’associazione finalizzata al contrabbando di tabacchi. Il comma 3-quater richiama i delitti per finalità di terrorismo.

[12]   Il d. lgs. 119/1993 reca la disciplina del cambiamento delle generalità di coloro che collaborano con la giustizia. In particolare, l’art. 5 prevede che i pubblici ufficiali, gli incaricati di pubblico servizio ed i dipendenti degli uffici della pubblica amministrazione sono esonerati da responsabilità penale, civile e disciplinare relativamente alla formazione di atti, provvedimenti, compresi anche i titoli autorizzatori o abilitativi, alle trascrizioni, iscrizioni, o annotazione di atti, nonché al rilascio di estratti e certificati previsti dal provvedimento.

[13]   Il comma 3-bis dell’art. 51 c.p.p., concernente i delitti di competenza del procuratore distrettuale, richiama l’associazione a delinquere finalizzata alla commissione di delitti concernenti schiavitù, tratta, traffico di organi, prostituzione minorile, pedopornografia, violenza sessuale, immigrazione clandestina, contraffazione, associazione di tipo mafioso, scambio elettorale politico-mafioso, il traffico illecito di rifiuti; il sequestro di persona a scopo di estorsione; i delitti commessi avvalendosi del vincolo associativo di tipo mafioso; i delitti commessi al fine di agevolare l’attività dell’associazione di tipo mafioso; l’associazione finalizzata al traffico di stupefacenti; l’associazione finalizzata al contrabbando di tabacchi. Il comma 3-quater richiama i delitti per finalità di terrorismo.

 

[14]   Sono esclusi dall'ambito di applicazione della direttiva:

a)     gli articoli pirotecnici destinati ad essere usati a fini non commerciali, conformemente alla normativa nazionale, dalle forze armate, dalle forze di pubblica sicurezza o dai vigili del fuoco;

b)    l'equipaggiamento che rientra nell'ambito di applicazione della direttiva 96/98/CE;

c)     gli articoli pirotecnici da impiegarsi nell'industria aeronautica e spaziale;

d)    le capsule a percussione da usarsi specificamente nei giocattoli che rientrano nell'ambito di applicazione della direttiva 2009/48/CE;

e)     gli esplosivi che rientrano nell'ambito di applicazione della direttiva 93/15/CEE;

f)     le munizioni;

g)    i fuochi d'artificio prodotti da un fabbricante per uso proprio e per i quali lo Stato membro nel quale il fabbricante è stabilito abbia approvato l'uso esclusivamente sul suo territorio, e che rimangano sul territorio di tale Stato membro

[15]   È la parte di una procedura di valutazione della conformità con cui un organismo notificato esamina il progetto tecnico di un articolo pirotecnico, verificando e certificando che il progetto tecnico di tale articolo pirotecnico rispetta le prescrizioni della direttiva 2013/29/UE a esso applicabili.

[16]   La direttiva di esecuzione 2014/58/UE istituisce un sistema per la tracciabilità degli articoli pirotecnici

[17]   Ai sensi dell’articolo 1 del D.lgs., sono esclusi sono esclusi dall’applicazione dello stesso Decreto legislativo:

      a) agli articoli pirotecnici ad uso non commerciale, conformemente alla normativa vigente, dalle Forze armate, dalle Forze di polizia e dai vigili del fuoco;

      b) l'equipaggiamento che rientra nel campo d'applicazione del D.P.R. 407/1999 sull’equipaggiamento marittimo;

      c) gli articoli pirotecnici da impiegarsi nell'industria aeronautica e spaziale;

      d) le capsule a percussione da utilizzarsi specificamente nei giocattoli (D.lgs. n. 54/2011 di attuazione della direttiva 2009/48/CE sulla sicurezza dei giocattoli);

      e) agli esplosivi per uso civile (D.lgs. n. 7/1997 e ss. mod. e int.);

      f) le munizioni;

      g) i fuochi artificiali riconosciuti e classificati ex TULPS (art. 53), muniti di etichetta, prodotti dal fabbricante per uso proprio e che siano destinati ad essere utilizzati, sul territorio nazionale, direttamente dal fabbricante medesimo per spettacoli eseguiti da lui direttamente o da dipendenti della sua azienda;

      h) agli articoli pirotecnici esposti in fiere campionarie, mostre e dimostrazioni per la commercializzazione degli stessi, oppure fabbricati ai fini di ricerca, sviluppo e prova a condizione che sugli stessi sia riportato chiaramente, mediante un'evidente indicazione grafica, la denominazione e la data della fiera campionaria, della mostra o della dimostrazione, nonché la non conformità e la non disponibilità alla vendita o ai fini diversi della ricerca, sviluppo e prova. Gli articoli esposti in fiere campionarie, mostre e dimostrazioni devono, in ogni caso, essere riconosciuti e classificati ai sensi dell’art. 53 TULPS, se destinati ad essere utilizzati in tali contesti a scopo dimostrativo;

      i) alle campionature di articoli pirotecnici nuovi destinati ad essere movimentate o trasferite in ambito UE per la sottoposizione a prova degli organismi notificati, a condizione che sugli stessi sia indicata la loro non conformità e non disponibilità alla vendita e che ne sia data formale comunicazione al prefetto competente per territorio prima della loro fabbricazione.

[18]   I comuni capoluogo di città metropolitana siciliani sono Catania, Messina e Palermo.

[19]   Si vedano per la relativa disciplina, in particolare, gli articoli 261, 262, 263, 264 e 265 del Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali di cui al decreto legislativo n. 267 del 2000.

[20]    Si prevede "un'approfondita analisi del fenomeno", "una puntuale ricognizione di tutti gli esercizi e le rivendite presenti sul territorio", "una verifica del possesso delle certificazioni su igiene, agibilità " e si sconsiglia l'apertura di tali esercizi commerciali nelle vicinanze di "luoghi sensibili" come scuole, ospedali, parchi giochi e così via".  Inoltre, si ribadisce, come fra l'altro già previsto a legislazione vigente che i servizi di "osservazione" possano effettuare "apposite analisi sui prodotti acquistati negli esercizi in esame", "finalizzate a scongiurare" la vendita di prodotti illegali

[21]   In merito ai suddetti procedimenti si segnala che sono pendenti dinnanzi alla VI sez. del Consiglio di Stato i ricorsi in appello avverso alle sentenze del Tar Lazio citate.

[22]   Elenco delle specie di piante officinali coltivate nonché criteri di raccolta e prima trasformazione delle specie di piante officinali spontanee.

[23] Il predetto articolo è stato inserito nel c.p. dall’art. 1 del DL 8/2007 (conv. con modificaz. dalla L. 41/2007) al fine di introdurre la fattispecie di delitto di lesioni personali gravi o gravissime a un pubblico ufficiale in servizio di ordine pubblico in occasione di manifestazioni sportive. Successivamente, l’art. 4, comma 1, L. 113/2020 ha introdotto l’ulteriore fattispecie delle lesioni gravi o gravissime a personale esercente una professione sanitaria o socio-sanitaria; tale fattispecie è stata estesa anche alle lesioni semplici dall’art. 16, c. 1, lett. b del DL 34/2023 (conv. con modificaz. dalla L. 56/2023).

[24]   Ai sensi del paragrafo 1 dell’articolo 35 del regolamento UE 679 del 2016, “Quando un tipo di trattamento, allorché prevede in particolare l’uso di nuove tecnologie, considerati la natura, l’oggetto, il contesto e le finalità del trattamento, può presentare un rischio elevato per i diritti e le libertà delle persone fisiche, il titolare del trattamento effettua, prima di procedere al trattamento, una valutazione dell’impatto dei trattamenti previsti sulla protezione dei dati personali. Una singola valutazione può esaminare un insieme di trattamenti simili che presentano rischi elevati analoghi”.

[25]   A norma del comma 1 dell’articolo 3 i trattamenti dei dati personali si intendono effettuati per finalità di polizia quando sono direttamente correlati all’esercizio dei compiti di polizia di prevenzione dei reati, di tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica, nonché di polizia giudiziaria, svolti, ai sensi del codice di procedura penale, per la prevenzione e repressione dei reati. Al secondo comma dello stesso articolo è inoltre specificato che è compatibile con le finalità di polizia l’ulteriore trattamento svolto per finalità storiche, scientifiche e, previa trasformazione in forma anonima, per finalità statistiche, anche per le esigenze di analisi dei fenomeni criminali e dei risultati dell’azione di contrasto al crimine, nonché dell'attività di tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica.

[26]   Di attuazione della direttiva 2013/33/UE recante norme relative all'accoglienza dei richiedenti protezione internazionale, nonché della direttiva 2013/32/UE, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale.

[27]   Per una recente casistica si veda tribunale di Torre Annunziata 22 marzo 2023, n. 785, secondo cui integra il delitto di sostituzione di persona qualsiasi condotta ingannevole tesa a far attribuire al soggetto agente, da parte del soggetto passivo, un falso nome o un falso stato o false qualità personali cui la legge attribuisce specifici effetti giuridici, richiedendosi, sotto il profilo dell'elemento soggettivo del reato, il dolo specifico, consistente nel fine di procurare a sé o ad altri un vantaggio patrimoniale o non patrimoniale o anche di recare ad altri un danno. Vedi similmente Corte d’appello di Trento, 6 maggio 2024, n. 58.

[28]   L’art. 14 della legge n. 108/1996 ha istituito il "Fondo di solidarietà per le vittime dell'usura" presso l'ufficio del Commissario straordinario del Governo per il coordinamento delle iniziative anti-racket, ora confluito nel “Fondo di rotazione per la solidarietà alle vittime dei reati di tipo mafioso, delle richieste estorsive e dell’usura” che ha unificato alcuni fondi preesistenti. Il beneficio economico previsto dal medesimo art. 14 consiste nell’erogazione di mutui senza interesse di durata non superiore al decennio a favore di soggetti che esercitano attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o comunque economica, ovvero una libera arte o professione, i quali dichiarino di essere vittime del delitto di usura e risultino parti offese nel relativo procedimento penale.

[29] Ai sensi dell’art. 67 del codice antimafia le persone alle quali siano state applicate dall’autorità giudiziaria le misure di prevenzione di cui al libro I, capo I, titolo II (sorveglianza speciale di pubblica sicurezza; divieto di soggiorno in uno o più comuni; obbligo di soggiorno nel comune di residenza o dimora abituale) non possono ottenere licenze o autorizzazioni di polizia o di commercio, concessioni di beni, opere o servizi pubblici, appalti pubblici, qualunque altra concessione, autorizzazione o abilitazione all’esercizio di attività imprenditoriali, contributi, finanziamenti, mutui agevolati o altre erogazioni da parte dello Stato o di enti pubblici, licenze in materia di armi ed esplosivi. L’applicazione definitiva della misura di prevenzione comporta la decadenza di diritto dalle predette licenze, autorizzazioni, concessioni, abilitazioni ed erogazioni nonché il divieto di concludere contratti pubblici (commi 1 e 2). I predetti divieti e decadenze operano, su disposizione del tribunale, anche per le persone conviventi con il destinatario della misura di prevenzione nonché per le imprese, associazioni, società e consorzi di cui il destinatario sia amministratore anche di fatto (comma 4). Le misure di prevenzione citate sono applicate dal tribunale, su proposta del procuratore nazionale antimafia, del procuratore distrettuale o del questore, e hanno durata non inferiore a uno né superiore a cinque anni. Contro la decisione del tribunale il procuratore della Repubblica, il procuratore generale presso la corte d’appello, l’imputato e il suo difensore possono proporre ricorso alla corte d’appello.

[30]   In base al rinvio all’art. 2399, primo comma, c.c., non può essere nominato esperto: a) l'interdetto, l'inabilitato, il fallito, o chi è stato condannato ad una pena che importa l'interdizione, anche temporanea, dai pubblici uffici o l'incapacità ad esercitare uffici direttivi; b) il coniuge, i parenti e gli affini entro il quarto grado degli amministratori della società, gli amministratori, il coniuge, i parenti e gli affini entro il quarto grado degli amministratori delle società da questa controllate, delle società che la controllano e di quelle sottoposte a comune controllo; c) coloro che sono legati alla società o alle società da questa controllate o alle società che la controllano o a quelle sottoposte a comune controllo da un rapporto di lavoro o da un rapporto continuativo di consulenza o di prestazione d'opera retribuita, ovvero da altri rapporti di natura patrimoniale che ne compromettano l'indipendenza.

[31]   Ai sensi dell’art. 1710 c.c., il mandatario è tenuto a eseguire il mandato con la diligenza del buon padre di famigli.

[32]   Gli altri reati menzionati dal sopra citato comma 1-ter sono: omicidio (art. 575 c.p.); atti sessuali con minore ultraquattordicenne in cambio di denaro (art. 600-bis, secondo comma, c.p.); diffusione  o pubblicizzazione di materiale pedopornografico o divulgazione di notizie o informazioni finalizzate all'adescamento o allo sfruttamento sessuale di minori (art. 600-ter, terzo comma); turismo sessuale minorile (art. 600-quinquies c.p.); rapina aggravata (art. 628, terzo comma); estorsione aggravata (art. 629, secondo comma c.p.); contrabbando aggravato di tabacchi (art. 291-ter, T.U. dogane); produzione, traffico e detenzione illecita di stupefacenti (art. 73 del T.U. stupefacenti), limitatamente alle ipotesi aggravate (art. 80 del T.U. stupefacenti); associazione a delinquere (art. 416 c.p. primo e terzo comma, quindi limitatamente a capi e promotori) finalizzata alla commissione dei delitti di contraffazione (art. 473 e 474 c.p.); associazione a delinquere (art. 416 c.p.) finalizzata alla commissione di delitti contro la personalità individuale (artt. da 600 a 604 c.p.), associazione a delinquere (art. 416 c.p.) finalizzata alla commissione di violenza sessuale (art. 609-bis), di atti sessuali con minorenne (art. 609-quater c.p.) o di violenza sessuale di gruppo (art. 609-octies c.p.); associazione a delinquere (art. 416 c.p.) finalizzata alla commissione del reato di favoreggiamento all’ingresso di immigrati clandestini (art. 12, comma 3, T.U. immigrazione, nonché nel caso concorso di aggravanti di cui al comma 3-bis e di traffico finalizzato alla prostituzione, di cui al comma 3-ter).

 

[33]   L’art. 8 del decreto interministeriale n. 148 del 2014 stabilisce che le aliquote previdenziali e assistenziali dovute sulla base della retribuzione corrisposta ai detenuti o internati, agli ex degenti degli ospedali psichiatrici giudiziari e ai condannati ed internati ammessi al lavoro all'esterno siano ridotte del 95 per cento.

[34]   Ai sensi dell'articolo 21 della legge 26 luglio 1975, n. 354: “1. I detenuti e gli internati possono essere assegnati al lavoro all'esterno in condizioni idonee a garantire l'attuazione positiva degli scopi previsti dall'art. 15. Tuttavia, se si tratta di persona condannata alla pena della reclusione per uno dei delitti indicati nei commi 1, 1-ter e 1-quater dell'art. 4-bis, l'assegnazione al lavoro all'esterno può essere disposta dopo l'espiazione di almeno un terzo della pena e, comunque, di non oltre cinque anni. Nei confronti dei condannati all'ergastolo l'assegnazione può avvenire dopo l'espiazione di almeno dieci anni.

2. I detenuti e gli internati assegnati al lavoro all'esterno sono avviati a prestare la loro opera senza scorta, salvo che essa sia ritenuta necessaria per motivi di sicurezza. Gli imputati sono ammessi al lavoro all'esterno previa autorizzazione della competente autorità giudiziaria.

3. Quando si tratta di imprese private, il lavoro deve svolgersi sotto il diretto controllo della direzione dell'istituto a cui il detenuto o l'internato è assegnato, la quale può avvalersi a tal fine del personale dipendente e del servizio sociale.

4. Per ciascun condannato o internato il provvedimento di ammissione al lavoro all'esterno diviene esecutivo dopo l'approvazione del magistrato di sorveglianza.

4-bis. Le disposizioni di cui ai commi precedenti e la disposizione di cui al secondo periodo del comma 13 dell'articolo 20 si applicano anche ai detenuti ed agli internati ammessi a frequentare corsi di formazione professionale all'esterno degli istituti penitenziari.

4-ter. I detenuti e gli internati possono essere assegnati a prestare la propria attività a titolo volontario e gratuito a sostegno delle famiglie delle vittime dei reati da loro commessi. L'attività è in ogni caso svolta con modalità che non pregiudichino le esigenze di lavoro, di studio, di famiglia e di salute dei detenuti e degli internati. Sono esclusi dalle previsioni del presente comma i detenuti e gli internati per il delitto di cui all'articolo 416-bis del codice penale e per i delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dallo stesso articolo ovvero al fine di agevolare l'attività delle associazioni in esso previste. Si applicano, in quanto compatibili, le modalità previste nell'articolo 54 del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274.”

[35]   Ai sensi dell’articolo 6, comma 1, della legge 22 giugno 2000, n. 193: “All'onere derivante dalla attuazione della presente legge, determinato nel limite massimo di lire 9.000 milioni annue a decorrere dal 2000, si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2000-2002, nell'àmbito dell'unità previsionale di base di parte corrente «Fondo speciale» dello stato di previsione del Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica per l'anno finanziario 2000, parzialmente utilizzando, per lire 4.000 milioni, l'accantonamento relativo al Ministero della giustizia, e per lire 5.000 milioni l'accantonamento relativo al Ministero del lavoro e della previdenza sociale.”

Per la rideterminazione dell'autorizzazione di spesa di cui al presente comma, vedasi l'art. 10, comma 7-bis, D.L. 28 giugno 2013, n. 76, convertito, con modificazioni, dalla L. 9 agosto 2013, n. 99, e, successivamente, l'art. 1, comma 308, L. 29 dicembre 2022, n. 197.