Camera dei deputati - Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento Giustizia
Titolo: Modifica alla disciplina del reato di abuso d’ufficio e del reato di traffico di influenze illecite
Riferimenti: AC N.399/XIX AC N.654/XIX AC N.716/XIX AC N.645/XIX
Serie: Progetti di legge   Numero: 82
Data: 28/03/2023
Organi della Camera: II Giustizia


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Modifica alla disciplina del reato di abuso d’ufficio e del reato di traffico di influenze illecite

28 marzo 2023
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Tutte le proposte di legge in esame intervengono sul reato di abuso d'ufficio di cui all'art. 323 c.p. In particolare, le proposte di legge Rossello AC 399 e Pittalis AC 645 ne dispongono l'abrogazione, mentre la proposta Costa AC 654 ne prevede la depenalizzazione e la trasformazione in illecito amministrativo.

La proposta di legge Pella AC 716 intende invece modificarne la disciplina, limitando l'ambito di applicazione della fattispecie.

La sola proposta Pittalis AC 645 interviene altresì sul reato di traffico di influenze illecite, di cui all'art. 346-bis c.p., anche in tal caso al fine di limitare l'ambito di applicazione della fattispecie.

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A.C. 399 Abrogazione del reato di abuso d'ufficioL'A.C. 399, che si compone di un unico articolo, è volto all'abrogazione del reato di abuso d'ufficioescludendo pertanto la rilevanza penale delle condotte oggi punite dall'articolo 323 c.p..

Ai sensi della disposizione normativa oggetto di abrogazione è punito - salvo che il fatto non costituisca un più grave reato - con la reclusione da 1 a 4 anni, il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio che, nello svolgimento delle funzioni o del servizio, intenzionalmente procura a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero arreca ad altri un danno ingiusto. Integrano la fattispecie di reato le due condotte alternative:

  • violazione di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità;
  • violazione dell'obbligo di astensione in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti.

La pena è aumentata nei casi in cui il vantaggio o il danno abbiano un carattere di rilevante gravità (secondo comma dell'art. 323 c.p.).

L'illecito di cui all'art. 323 costituisce un reato a soggettività limitata, di cui possono essere autori il pubblico ufficiale e l'incaricato di pubblico servizio, cioè chiunque eserciti una pubblica funzione o presti un servizio pubblico nel campo legislativo, giudiziario od amministrativo.
La disposizione incrimina il duplice comportamento del pubblico ufficiale o dell'incaricato di pubblico servizio che, intenzionalmente, procura a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale oppure procura ad altri un danno ingiusto. Perché la condotta sia tipica è richiesto che essa sia compiuta nello svolgimento delle funzioni o del servizio e che presenti un carattere antidoveroso. Come è noto, l 'ambito oggettivo del reato è stato circoscritto a seguito della novella apportata con l' art. 23, D.L. 16.7.2020, n. 76 (decreto c.d. "semplificazioni"), che ha sostituito la formulazione «in violazione di norme di legge o di regolamento» con quella più restrittiva «in violazione di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità».
Elementi costitutivi essenziali della fattispecie sono inoltre il  danno ingiusto per la vittima ovvero l'ingiusto vantaggio patrimoniale per l'autore o per altri.

In via generale, la giurisprudenza ha affermato che per la configurazione del reato di abuso d'ufficio è necessario che sussista un'autonoma e doppia ingiustizia, nel senso che ingiusta deve essere la condotta, in quanto connotata da violazione di legge e dall'assenza di margini di discrezionalità oppure dalla violazione dell'obbligo di astensione, ed ingiusto deve essere il vantaggio patrimoniale procurato, in quanto non spettante in base al diritto oggettivo regolante la materia, o il danno arrecato. Conseguentemente, occorre una duplice distinta valutazione, non potendosi far discendere l'ingiustizia del vantaggio o del danno dall'illegittimità del mezzo utilizzato e, quindi, dall'accertata esistenza dell'illegittimità della sola condotta (Cass. pen. Sez. III, 04/03/2021, n. 8792).

Sotto lo specifico profilo dell'ambito oggettivo del reato, si è ritenuto che ai fini dell'integrazione dell'elemento oggettivo del reato di abuso d'ufficio sia necessario che la condotta sia realizzata attraverso l'esercizio del potere pubblico attribuito al soggetto agente, configurando i comportamenti non correlati all'attività funzionale, o meramente occasionati da essa, una mera violazione del dovere di correttezza, non rilevante ai sensi dell'art. 323 cod. pen. anche se in contrasto di interessi con l'attività istituzionale (Cass. pen. Sez. VI 17/02/2022, n. 14721).

Si è, inoltre, ritenuto come a seguito della novella di cui al DL 76/2020 non sia più configurabile il delitto di abuso d'ufficio quando la condotta del pubblico ufficiale costituisca espressione di discrezionalità amministrativa (Cass. pen. Sez. VI 08/01/2021, n. 442) ed è stato sottolineato come la nuova formulazione dell'art. 323 c.p. pretenda che la condotta produttiva di responsabilità penale del pubblico funzionario sia connotata, nel concreto svolgimento delle funzioni o del servizio, dalla violazione di regole cogenti per l'azione amministrativa, che per un verso siano fissate dalla legge e per altro verso siano specificamente disegnate in termini completi e puntuali e come da ciò derivi un ambito applicativo ben più ristretto rispetto a quello definito con la previgente definizione della modalità di condotta punibile, che sottrae al giudice sia l'apprezzamento dell'inosservanza di principi generali o di fonti normative di tipo regolamentare, sia il sindacato del mero cattivo uso della discrezionalità amministrativa, sempreché l'esercizio del potere discrezionale non trasmodi tuttavia in una vera e propria distorsione funzionale dai fini pubblici - c.d. sviamento di potere o violazione dei limiti esterni della discrezionalità - laddove risultino perseguiti, nel concreto svolgimento delle funzioni o del servizio, interessi oggettivamente difformi e collidenti con quelli per i quali soltanto il potere discrezionale è attribuito, oppure si sostanzi nell'alternativa modalità della condotta, rimasta penalmente rilevante, dell'inosservanza dell'obbligo di astensione in situazione di conflitto di interessi (Cass. pen. Sez. VI 08/01/2021, n. 442). E' stato al riguardo affermato come la novella abbia determinato una parziale abolitio criminis in relazione alle condotte commesse prima dell'entrata in vigore della riforma, realizzate mediante violazione di norme regolamentari o di norme di legge generali e astratte, dalle quali non siano ricavabili regole di condotta specifiche ed espresse o che lascino residuare margini di discrezionalità (Cass. pen. Sez. VI 08/01/2021, n. 442).

Nello stesso senso, si è esclusa l'applicazione della nuova formulazione dell'art. 323 c.p. nel caso di atti amministrativi connotati da un margine di discrezionalità tecnica, che sono esclusi dalla sfera del penalmente rilevante. Nella discrezionalità tecnica, la scelta dell'amministrazione si compie, infatti, attraverso un complesso giudizio valutativo condotto alla stregua di regole tecniche: il caso classico è quello dei giudizi delle commissioni sul merito della produzione scientifica di un candidato ad una selezione pubblica (Cass. pen. Sez. VI 15/04/2021, n. 14214).

Con riferimento alla violazione dell'art. 97 Cost., non si registra una giurisprudenza univoca: da un lato, si è escluso che integri il reato la sola violazione dei principi di imparzialità e buon andamento di cui all'art. 97 Cost. (Cass. pen. Sez. VI 19/07/2022, n. 28402; Cass. pen. Sez. VI 06/04/2022, n. 13139); dall'altro, si è affermato che la novella non ha determinato l'abolitio criminis delle condotte realizzate mediante violazione dell'art. 97 Cost., nella parte in cui è vietata l'attuazione di intenti discriminatori o ritorsivi, quale connotato dell'imparzialità nell'esercizio delle pubbliche funzioni, trattandosi di principio costituzionale di portata immediatamente precettiva, che non necessita di alcun adattamento o specificazione (Cass. pen. Sez. I 18/01/2022, n. 2080).

Sotto il profilo delle norme interposte, si è ritenuto che la violazione di norme regolamentari può rilevare ai fini dell'integrazione del reato nel caso in cui esse, operando quali norme interposte, si risolvano nella specificazione tecnica di un precetto comportamentale già compiutamente definito nella norma primaria e purché questa sia conforme ai canoni della tipicità e tassatività propri del precetto penale (Cass. pen. Sez. VI 08/09/2021, n. 33240).

In linea generale, si è affermato che il reato di abuso d'ufficio è configurabile non solamente nei casi in cui la violazione abbia ad oggetto una specifica regola di condotta connessa all'esercizio di un potere già in origine previsto da una norma come del tutto vincolato, ma anche nei casi riguardanti l'inosservanza di una regola di condotta collegata allo svolgimento di un potere che, astrattamente previsto dalla legge come discrezionale, sia divenuto in concreto vincolato per le scelte fatte dal pubblico agente prima dell'adozione dell'atto (o del comportamento) in cui si sostanzia l'illecito (Cass. pen. Sez. I 17/03/2021, n. 10335; Cass. pen. Sez. VI 01/03/2021, n. 8057).

Per  una ricostruzione dell'evoluzione normativa e giurisprudenziale del reato di abuso d'ufficio v.  sentenza della Corte costituzionale 8/2022.

A.C. 645 Abrogazione del reato di abuso d'ufficio e modifica del reato di traffico di influenze illecite Anche l'A.C. 645 interviene sul codice penale, abrogando  il reato di abuso d'ufficio di cui all'art. 323 c.p. (articolo 1 ).

Inoltre, la proposta (articolo 2)  modifica la disciplina del reato di "Traffico di influenze illecite" di cui all'articolo 346-bis c.p., che attualmente punisce con la reclusione da un anno a quattro anni e sei mesi chiunque, fuori dei casi di concorso in delitti di corruzione, sfruttanto o vantando relazioni esistenti o asserite con un pubblico ufficiale o un incricato di pubblico servizio, indebitamente fa dare o promettere, a sè o ad altri, denaro o altra utilità:

  •  quale prezzo della mediazione illecita verso il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio (in tale ipotesi, l'erogazione indebita costituisce il corrispettivo della mediazione illecita presso il pubblico agente )
  • o per remunerare il pubblico ufficiale o incaricato di servizio pubblico in relazione all'esercizio delle sue funzioni o dei suoi poteri (in questa ipotesi la corresponsione illecita è effettuata all'intermediario affinchè questi, a sua volta, remuneri il soggetto pubblico in relazione all'esercizio delle sue funzioni o poteri).

Si ricorda che il   reato di traffico di influenze illecite  di cui all'art. 346-bis c.p. è stato inserito nel codice dalla c.d. Legge Severino (legge n. 190 del 2012). La norma nella sua formulazione originaria prevedeva il fatto di chi, fuori dei casi di concorso nei reati di corruzione per un atto contrario ai doveri d'ufficio (art. 319 c.p.) e di corruzione in atti giudiziari (art. 319 ter c.p.), «sfruttando relazioni esistenti con un pubblico ufficiale o con un incaricato di pubblico servizio, indebitamente fa dare o promettere, a sé o ad altri, denaro o altro vantaggio patrimoniale, come prezzo della propria mediazione illecita verso il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio, ovvero per remunerarlo, in relazione al compimento di un atto contrario ai doveri d'ufficio o all'omissione o al ritardo di un atto del suo ufficio». 
A seguito della  legge n. 3 del  2019   (c.d. legge spazzacorrotti), la base di tipicità del reato è stata rimodellata estensivamente in una triplice direzione:
- si è provveduto   all'abrogazione del reato di millantato credito  sulla scia delle previsioni sovranazionali che sollecitavano la punizione della compravendita di influenza;
- è stato eliminato il requisito della finalizzazione dell'attività di mediazione illecita dell'intermediario al compimento di un atto contrario ai doveri di ufficio o all'omissione o al ritardo di un atto d'ufficio, da parte del funzionario pubblico. Per l'integrazione del reato non è dunque più necessario che la mediazione sia indirizzata all'atto contrario ai doveri: la presenza di tale finalità rileva invece oggi come circostanza aggravante (art. 346 bis, comma 4 c.p.); nell'ipotesi base, invece, la remunerazione pattuita dalle parti può riguardare anche il mero esercizio delle funzioni o dei poteri di un pubblico agente.
- è venuta meno la natura necessariamente "patrimoniale" del vantaggio dato o promesso al mediatore, per cui ora la disposizione individua il corrispettivo ricevuto dal venditore di influenza con il generico termine "utilità";
- il raggio operativo dell'incriminazione è stato ampliato agli accordi finalizzati ad influenzare un pubblico ufficiale straniero o altro soggetto menzionato nell'art. 322 bis c.p., (traffico di influenze c.d. internazionale).
La giurisprudenza di legittimità ha specificato che , quanto alla offensività ed alla lesione del bene giuridico, che l'art. 346 bis c.p., " incrimina attualmente condotte prodromiche a più gravi fatti, secondo la tecnica della anticipazione della tutela; una tutela avanzata dei beni della legalità e della imparzialità della pubblica amministrazione rispetto ad una tipo criminoso obiettivamente non omogeneo".(Cass. pen., Sez. VI, Sent. 13 gennaio 2022 , n. 1182). La Corte di Cassazione ha affermato inoltre che con l'art. 346- bis c.p. il legislatore «ha inteso punire, in via preventiva e anticipata, il fenomeno della corruzione, sottoponendo a sanzione penale tutte quelle condotte, in precedenza irrilevanti, prodromiche rispetto ai reati di corruzione, consistenti in accordi aventi ad oggetto le illecite influenze su un pubblico agente che uno dei contraenti (il trafficante) promette di esercitare in favore dell'altro (il privato interessato all'atto) dietro compenso (per sé o altri o per remunerare il pubblico agente)». La norma, continua la Corte, «non chiarisce quale sia la influenza illecita che deve tipizzare la mediazione e non è possibile, allo stato della normativa vigente, far riferimento ai presupposti e alle procedure di una mediazione legittima con la pubblica amministrazione (c.d. lobbying), attualmente non ancora regolamentata». La Corte riconosce che il contenuto indeterminato della norma comporta il rischio di «attrarre nella sfera penale – a discapito del principio di legalità – le più svariate forme di relazioni con la pubblica amministrazione, connotate anche solo da opacità o scarsa trasparenza, ovvero quel "sottobosco" di contatti informali o di aderenze difficilmente catalogabili in termini oggettivi e spesso neppure patologici, quanto all'interesse perseguito» In conclusione la Corte di Cassazione ritiene che «l'unica lettura della norma che soddisfa il principio di legalità è quella che fa leva sulla particolare finalità perseguita attraverso la mediazione: la mediazione è illecita quando è finalizzata alla commissione di un "fatto di reato" idoneo a produrre vantaggi per il privato committente» (Cassazione Penale, Sez. VI, 9 novembre 2021  n. 40518).
Come specificato dalla Corte di Cassazione (da ultimo v. Cass. pen., Sez. VI, Sent. 13 gennaio 2022 , n. 1182), la  formulazione dell'art. 346  bis  c.p. prevede due modalità alternative e distinte di realizzazione della condotta tipica: da un lato, il farsi dare o promettere indebitamente denaro o altro vantaggio patrimoniale, come prezzo della propria mediazione illecita  verso il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio ( mediazione onerosa ); dall'altro lato, il farsi dare o promettere indebitamente denaro o altro vantaggio patrimoniale per remunerare  il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio ( mediazione gratuita ). Secondo la ricostruzione giurisprudenziale, tale quadro di riferimento si distingue ulteriormente, con varie possibili combinazioni, in ragione della duplicità delle condotte dell'intermediario, consistenti nello sfruttare ovvero vantare relazioni, esistenti o asserite, con il pubblico ufficiale. Si tratta di condotte (sfruttamento, vanteria) che possono riguardare: a) un rapporto tra mediatore e pubblico agente ed una capacità di influenza del primo che possono effettivamente esistere già al momento in cui la condotta è commessa e di cui il "compratore" può essere già a conoscenza; b) un rapporto che non esiste al momento in cuì il "l'influenza" viene venduta ma che il "compratore" sa del potere del "venditore" di realizzalo, di concretizzarlo, di renderlo effettivo - grazie ad una capacità di influenza potenziale (dovuta ad es. al suo prestigio sociale o posizione professionale riconosciuta nell'ambiente di riferimento); c) un rapporto che esiste e che tuttavia è magnificato dal "mediatore", ampliato, fatto apparire più intenso di quanto lo sia in concreto; d) un rapporto che non solo non esiste al momento in cui la condotta è compiuta ma che il "venditore" sa che non potrà nemmeno realizzarsi in futuro e che il "compratore" ritiene invece esistente o realizzabile per effetto di una condotta decettiva del mediatore (un traffico di influenze impossibile/putativo).Il rapporto tra mediatore e pubblico agente e la capacità di influenza del primo sul secondo possono essere inesistenti, esistenti - anche solo in potenza- e, posto che siano esistenti, assumere diverse gradazioni e modulazioni a seguito delle asserzioni del "mediatore -venditore". Come specifica la Corte " In tale contesto, la modalità comportamentale consistente nella dazione/promessa del privato committente al "trafficante di influenza" affinchè questi provveda a remunerare il pubblico agente (c.d. mediazione gratuita) è quella di più agevole discernimento sul piano strutturale. L'accordo illecito nella specie assume, infatti, una finalità prospetticamente corruttiva e si colloca in uno stadio anticipato rispetto alle fattispecie previste dagli artt. 318 ss. c.p." Con riguardo invece all'ipotesi della c.d. mediazione onerosa la corte specifica che «non può essere oggetto di incriminazione il contratto di per sé, sia esso di mediazione in senso stretto o di altro tipo, atteso che, se così fosse, la tensione della fattispecie rispetto ai principi fondanti di materialità del fatto, di tipicità, di frammentarietà, di offensività sarebbe evidente». Né può assumere decisivo rilievo, ai fini della connotazione di illiceità, la mera circostanza che «il contratto tra committente e venditore presenti profili di illegittimità negoziale, tenuto conto peraltro che il riferimento alla mediazione, contenuto nell'art. 346-bis cod. pen., non deve essere inteso come esclusivamente riferito al contratto tipico di mediazione disciplinato dagli artt. 1754 e ss. cod. civ., ma, più in generale, a quel sistema di rapporti, che, pur non essendo riconducibili tecnicamente al contratto in questione, si caratterizzano nondimeno per la presenza di "procacciatori d'affari" ovvero per mere "relazioni informali" fondate su opacità diffuse, da scarsa trasparenza, da aderenze difficilmente classificabili». Al riguardo la corte conclude che: «la mediazione onerosa è illecita in ragione della proiezione "esterna" del rapporto dei contraenti, dell'obiettivo finale dell'influenza compravenduta, nel senso che la mediazione è illecita se è volta alla commissione di un illecito penale - di un reato - idoneo a produrre vantaggi al committente» (C ass. pen., Sez. VI, Sent. 13 gennaio 2022 , n. 1182).

 

 Le novelle sono volte a circoscrivere l'ambito di applicazione della fattispecie:

 - reintroducendo la natura necessariamente patrimoniale del vantaggio dato o promesso al mediatore;

 - specificando che nell'ipotesi della c.d. mediazione gratuita (corresponsione illecita effettuata all'intermediario affinché questi, a sua volta, remuneri il soggetto pubblico in relazione all'esercizio delle sue funzioni o poteri) l'attività di mediazione deve essere finalizzata all'esercizio illecito da parte del pubblico ufficiale delle sue funzioni e dei suoi poteri.

Al riguardo, si ricorda che l'art. 346-bis, quarto comma, prevede una specifica ipotesi aggravata del reato, se il fatto è commesso in relazione all'esecizio di funzioni giudiziarie o al compimento di "atti contrari ai doveri d'ufficio o all'omissione o al ritardo di un atto d'ufficio". Si valuti l'opportunità di un coordinamento tra la novella in esame e l'aggravante di cui al quarto comma.

Si ricorda infatti che ai sensi dell'art. 346-bis, alla stessa pena della reclusione da 1 anno a 4 anni e sei mesi, soggiace chi dà o promette denaro o altra utilità (secondo comma).
 La pena è aumentata (terzo comma):
  • se chi si fa dare o promettere denaro o altra utilità è pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio (terzo comma);
  • se il fatto è commesso in relazione all'esecizio di funzioni giudiziarie o al compimento di atti contrari ai doveri d'ufficio o all'omissione o al ritardo di un atto d'ufficio (quarto comma).
La pena è diminuita se il fatto è di  particolare tenuità 

Codice penale

AC 716

art. 346-bis c.p.

Traffico di influenze illecite

Chiunque, fuori dei casi di concorso nei reati di cui agli articoli 318, 319, 319-ter e nei reati di corruzione di cui all'articolo 322-bis, sfruttando o vantando relazioni esistenti o asserite con un pubblico ufficiale o un incaricato di un pubblico servizio o uno degli altri soggetti di cui all'articolo 322-bis, indebitamente fa dare o promettere, a sé o ad altri, denaro o altra utilità, come prezzo della propria mediazione illecita verso un pubblico ufficiale o un incaricato di un pubblico servizio o uno degli altri soggetti di cui all'articolo 322-bis, ovvero per remunerarlo in relazione all'esercizio delle sue funzioni o dei suoi poteri, è punito con la pena della reclusione da un anno a quattro anni e sei mesi.

Chiunque, fuori dei casi di concorso nei reati di cui agli articoli 318, 319, 319-ter e nei reati di corruzione di cui all'articolo 322-bis, sfruttando o vantando relazioni esistenti o asserite con un pubblico ufficiale o un incaricato di un pubblico servizio o uno degli altri soggetti di cui all'articolo 322-bis, indebitamente fa dare o promettere, a sé o ad altri, denaro o altra utilità patrimoniale, come prezzo della propria mediazione illecita verso un pubblico ufficiale o un incaricato di un pubblico servizio o uno degli altri soggetti di cui all'articolo 322-bis, ovvero per remunerarlo in relazione all'esercizio illecito delle sue funzioni o dei suoi poteri, è punito con la pena della reclusione da un anno a quattro anni e sei mesi.

La stessa pena si applica a chi indebitamente dà o promette denaro o altra utilità

La stessa pena si applica a chi indebitamente dà o promette denaro o altra utilità patrimoniale

La pena è aumentata se il soggetto che indebitamente fa dare o promettere, a sé o ad altri, denaro o altra utilità riveste la qualifica di pubblico ufficiale o di incaricato di un pubblico servizio

La pena è aumentata se il soggetto che indebitamente fa dare o promettere, a sé o ad altri, denaro o altra utilità patrimoniale riveste la qualifica di pubblico ufficiale o di incaricato di un pubblico servizio

Le pene sono altresì aumentate se i fatti sono commessi in relazione all'esercizio di attività giudiziarie o per remunerare il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio o uno degli altri soggetti di cui all'articolo 322-bis in relazione al compimento di un atto contrario ai doveri d'ufficio o all'omissione o al ritardo di un atto del suo ufficio

Le pene sono altresì aumentate se i fatti sono commessi in relazione all'esercizio di attività giudiziarie o per remunerare il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio o uno degli altri soggetti di cui all'articolo 322-bis in relazione al compimento di un atto contrario ai doveri d'ufficio o all'omissione o al ritardo di un atto del suo ufficio

Se i fatti sono di particolare tenuità, la pena è diminuita.

Se i fatti sono di particolare tenuità, la pena è diminuita.

 

A.C. 654 Depenalizzazione del reato di abuso d'ufficioL'A.C. 654 Costa prevede invece la depenalizzazione del reato di abuso d'ufficio e la sua trasformazione in illecito amministrativo, punito con sanzione amministrativa pecuniaria.

Più nel dettaglio, la proposta di legge, all'art. 1, introduce un nuovo articolo (art. 54-bis) nel testo unico del pubblico impiego (d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165), nel quale viene pressoché integralmente trasposto il dettato dell'art. 323 c.p. ai fini dell'individuazione delle condotte che configurano l'illecito amministrativo (violazione di specifiche regole di condotta ovvero omissione dall'astensione) e degli esiti prodotti da tali condotte (ingiusto vantaggio patrimoniale per sé o per altri o un danno ingiusto nei confronti altrui). Di conseguenza, la pena della reclusione da 1 a 4 anni prevista dal vigente reato viene sostituita da una sanzione pecuniaria da 1.000 a 15.000 euro, per la quale si prevede altresì un aumento nei casi in cui il vantaggio o il danno scaturiti dall'illecito siano particolarmente rilevanti (così come nei medesimi casi è attualmente previsto un aumento della pena detentiva).

Il nuovo articolo prevede inoltre che spetti all'Autorità anticorruzione (ANAC) l'applicazione della suddetta sanzione pecuniaria, al termine di un procedimento in cui vi sia la garanzia del contraddittorio tra le parti.

Diverse norme hanno nel corso del tempo conferito all'ANAC poteri sanzionatori con riguardo a specifici ambiti, quali ad esempio quello di vigilanza degli appalti pubblici (ex art. 213 del d.lgs. n. 50/2016), quello di trasparenza per i   titolari di incarichi politici, di amministrazione, di direzione o di governo e per i titolari di incarichi dirigenziali (ex art. 47 del d.lgs. 33/2013), ancora quello riguardante l'adozione dei piani triennali di prevenzione della corruzione (ex art. 19, co. 5, del d.l. 90/2014). In tali casi, l'ANAC adotta regolamenti propri per disciplinare il procedimento sanzionatorio,  sulla base dei principi generali fissati dalla legge n. 689 del 1981.

L'articolo 2, conseguentemente, abroga il reato di abuso d'ufficio recato dall'articolo 323 c.p.

A.C. 716 : Modifiche alla disciplina del reato di abuso d'ufficioL'A.C. 716 Pellacomposto da un unico articolo, interviene sulla disciplina dell'abuso d'ufficio per modificare alcuni elementi della fattispecie penale, restringendone l'ambito applicativo.

In particolare, nell'ambito delle condotte penalmente rilevanti (v. sopra), con riguardo alla violazione dell'obbligo di astensione nei casi in cui esso è richiesto (ovvero in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti), si specifica che tale condotta debba essere connotata dalla consapevolezza.

Inoltre la proposta incide sugli elementi costitutivi essenziali della fattispecie:

  • sopprimendo il riferimento all'ingiusto vantaggio patrimoniale per l'autore o per altri, procurato dal pubblico ufficiale o dall'incaricato di pubblico servizio 
  • specificando che il danno ingiusto deve essere una conseguenza diretta della condotta tenuta dall'agente.

Sia la nozione di danno che la nozione di vantaggio sono intese dalla giurisprudenza in modo assai ampio: la nozione di danno comprende sia il danno patrimoniale che extrapatrimoniale (C., Sez. VI, 19.5.2004, n. 28389; C., Sez. VI, 24.2.2000; C., Sez. VI, 6.11.1998). La nozione di danno viene così a coincidere con ogni aggressione ingiusta della sfera della personalità (C., Sez. VI, 15.1.2004, n. 4945, concernente la revoca di ogni incarico ad una dipendente come ritorsione per aver testimoniato contro il P.U.). Per C., Sez. VI, 22.9.-22.11.2016, n. 49538 il danno ingiusto può essere costituito anche dalla lesione delle prerogative parlamentari, configurabile nell'ipotesi di acquisizione di tabulati di comunicazioni relativi ad utenze riferibili a deputati o senatori, senza l'autorizzazione della Camera di appartenenza, ovvero mediante l'elaborazione di tali dati; chiarisce C., Sez. VI, 18.7-31.10.2019, n. 44598 che la nozione di danno ingiusto non ricomprende le sole situazioni giuridiche attive a contenuto patrimoniale ed i corrispondenti diritti soggettivi, ma è riferita anche agli interessi legittimi, in particolare quelli di tipo pretensivo, suscettibili di essere lesi dal diniego o dalla ritardata assunzione di un provvedimento amministrativo. Anche la nozione di vantaggio (C., Sez. VI, 4.4.2000), legalmente circoscritta alla sfera patrimoniale, viene intesa per lo più alla luce della nozione giuridica di patrimonio (C., Sez. V, 5.11.2001) e perciò comprensiva di tutte le situazioni soggettive di vantaggio facenti capo ai "beneficiari" della condotta abusiva (C., Sez. VI, 27.10.2009, n. 43302; C., Sez. VI, 29.1.1998). Per esempio, è stato affermato che il vantaggio non si risolve necessariamente nella acquisizione di beni materiali, comprendendo qualsiasi accrescimento della situazione giuridico soggettiva (C., Sez. VI, 6.5.2008, n. 35856; C., Sez. VI, 14.6.2007, n. 37531; C., Sez. VI, 22.10.2003, n. 49554 in tema di rilascio di provvedimenti autorizzativi nel campo dell'edilizia; C., Sez. VI, 29.10.2003, n. 44759 in tema di illegittima assunzione di un pubblico impiegato. Da ultimo v. C., Sez. III, 13.12.2017-29.1.2018, n. 4140: in tema di abuso d'ufficio, il requisito del vantaggio patrimoniale va riferito al complesso dei rapporti giuridici a carattere patrimoniale e sussiste non solo quando la condotta procuri beni materiali o altro, a favore di colui nel cui interesse l'atto è stato posto in essere ma anche quando la stessa arrechi un accrescimento della situazione giuridica soggettiva).
Il vantaggio, a sua volta, risulta perfezionato al sorgere del diritto di credito, con la coessenziale collocazione della consumazione al momento dell'accrescimento del patrimonio giuridicamente inteso, cioè in una fase anticipata rispetto all'effettivo vantaggio economico (C., Sez. V, 28.4.2000; C., Sez. VI, 24.10.1997).
L'ingiusto vantaggio rilevante ai fini della integrazione del reato di cui all'art. 323 è costituito dalla situazione giuridica attiva attribuita al beneficiario che ha il suo titolo, la sua causa nella condotta illecita del pubblico ufficiale, non nella legge (intesa in senso lato). La natura patrimoniale del vantaggio deriva dalla suscettibilità della situazione giuridica attiva ad essere valutata economicamente, a prescindere dalla natura dell'interesse della parte che se ne giova (che può essere anche di natura morale). Ne consegue, dunque, che il diritto ad edificare costituisce certamente una situazione giuridica attiva suscettibile di essere valutata economicamente, a prescindere dalla sua effettiva attuazione (C., Sez. III, 6.7-13.9.2017, n. 41609).
Quanto al requisito del danno o del vantaggio "ingiusto" esso non può formalisticamente coincidere con il riflesso della condotta posta in violazione di legge, pena la vanificazione di un elemento costitutivo della fattispecie, posto che il predicato dell'ingiustizia esige una lettura in chiave sostanziale, dovendo denotare la contrarietà del danno o del vantaggio ad un interesse reale della pubblica amministrazione (Cass. pen. Sez. VI, 11/07/2022, n. 26625; Cass. pen. Sez. VI, 31/05/2022, n. 26625).
Il vantaggio patrimoniale, considerato tra gli elementi essenziali della fattispecie, deve determinare di per sé un beneficio economicamente apprezzabile, nel senso che deve avere un connotato di intrinseca patrimonialità oppure deve derivare dalla creazione di una condizione più favorevole sotto il profilo economico, non potendosi considerare sufficiente il determinarsi di una situazione valutabile economicamente solo in maniera indiretta o potenziale (Cass. pen. Sez. III 13/05/2022, n. 18985).

E' infine soppresso il riferimento all'intenzionalità della condotta.

 

Come più volte sottolineato dalla Corte di cassazione, in tema di abuso d'ufficio, l'elemento soggettivo è integrato dalla coscienza e volontà della condotta e dalla intenzionalità dell'evento, nel senso che il vantaggio patrimoniale od il danno ingiusto devono costituire l'obiettivo perseguito dall'agente pubblico e non soltanto genericamente incluso nella sua sfera di volontà (tra le tante, Sez. VI, n. 12974 del 08/01/2020).
Per quanto concerne l' intenzionalità del dolo,secondo la giurisprudenza di legittimità è da escludersi la configurabilità del reato, per difetto dell'elemento soggettivo, non solo se si è in presenza di dolo eventuale (accettazione del rischio del verificarsi dell'evento), ma anche in presenza del dolo diretto (rappresentazione dell'evento come verificabile con elevato grado di probabilità o addirittura con certezza, ma non come obiettivo perseguito), essendo, invece, richiesto il dolo intenzionale, inteso come rappresentazione e volizione dell'evento di danno (altrui) o di vantaggio patrimoniale (proprio o altrui), quale conseguenza diretta ed immediata della condotta dell'agente ed obiettivo primario da costui perseguito (Cass. pen. Sez. VI 05-05-2004, n. 21091). L'intenzionalità del dolo di vantaggio o di danno altrui è dunque esclusa, pur in presenza di un concorrente scopo in tal senso, allorquando il perseguimento del pubblico interesse comunque costituisca l'obiettivo principale dell'agente (Cass. pen. Sez. VI, 03/01/2023, n. 42). D'altra parte, il perseguimento del fine pubblico dell'agente non vale ad escludere il dolo dell'abuso d'ufficio sotto il profilo dell'intenzionalità allorchè rappresenti un mero pretesto con il quale venga mascherato l'obiettivo reale della condotta (Cass. pen. Sez. III, 13/05/2011, n. 18895; Sez. VI, 17-06-2010, n. 23421).  La prova del dolo intenzionale, che qualifica la fattispecie criminosa, può essere desunta anche da una serie di indici fattuali, tra i quali assume specifico rilievo la violazione del dovere di astensione gravante sui pubblici ufficiali e sugli incaricati di pubblico servizio, non rilevando la compresenza di una finalità pubblicistica, salvo che il perseguimento dell'interesse pubblico costituisca l'obiettivo esclusivo o primario dell'agente (Cass. pen. Sez. V 28/12/2020, n. 37517; Cass. pen. Sez. feriale 16/09/2022, n. 34390). Inoltre la Cassazione ha precisato come i n tema di abuso d'ufficio, l'intenzionalità del dolo non è esclusa dalla compresenza di una finalità pubblicistica nella condotta del pubblico ufficiale, dovendosi ritenere necessario, perché venga meno la configurabilità dell'elemento soggettivo, che il perseguimento del pubblico interesse costituisca l'obiettivo principale dell'agente, con conseguente degradazione del dolo di danno o di vantaggio da dolo di tipo intenzionale a mero dolo diretto od eventuale. Pertanto, l'elemento del dolo intenzionale dell'abuso di ufficio non va inteso quale dolo esclusivo ed unico dell'azione potendo concorrere la volontà di arrecare un ingiusto profitto al privato con la realizzazione del pubblico interesse dovendo però il primo costituire l'obiettivo principale dell'azione (Cass. pe. II sez., 25 maggio 2021 n. 20789).

A seguito delle novelle apportate dalla proposta in esame, le condotte della violazione di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge  dalle quali non residuino margini di discrezionalità e della violazione (consapevole)  dell'obbligo di astensione (in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti) saranno penalmente perseguibili, solo in quanto arrechino ad altri un danno ingiusto, con l'ulteriore specificazione che tale danno debba essere una conseguenza diretta della condotta tenuta dall'agente.

Conseguentemente, l'aumento di pena previsto dal secondo comma dell'art. 323 c.p. nei casi di rilevante gravità viene mantenuto soltanto con riferimento al danno ingiusto direttamente arrecato ad altri.

 

Codice penale

A.C. 716

Art. 323

(Abuso d'ufficio)

Salvo che il fatto non costituisca un più grave reato, il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio che, nello svolgimento delle funzioni o del servizio, in violazione di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità, ovvero omettendo di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti, intenzionalmente procura a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero arreca ad altri un danno ingiusto è punito con la reclusione da uno a quattro anni.

Salvo che il fatto costituisca più grave reato, il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio che, nello svolgimento delle funzioni o del servizio, in violazione di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità, ovvero consapevolmente omettendo di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti, arreca direttamente ad altri un danno ingiusto è punito con la reclusione da uno a quattro anni.

La pena è aumentata nei casi in cui il vantaggio o il danno hanno un carattere di rilevante gravità.

La pena è aumentata nei casi in cui il danno direttamente causato ha un carattere di rilevante gravità.