Camera dei deputati - Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa) |
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Autore: | Servizio Studi - Dipartimento Giustizia |
Titolo: | Misure urgenti in materia di divieto di concessione dei benefici penitenziari, nonché in materia di entrata in vigore del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, di obblighi di vaccinazione anti SARS-COV-2 e di prevenzione e contrasto dei raduni illegali |
Serie: | Progetti di legge Numero: 4 |
Data: | 14/11/2022 |
Organi della Camera: | II Giustizia |
Servizio Studi
Ufficio ricerche sulle questioni istituzionali, giustizia e cultura
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Dossier n. 11
Servizio Studi
Dipartimento Giustizia
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Progetti di legge n. 4
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Articolo 1 (Modifiche alla legge 26 luglio 1975, n. 354)
Articolo 2 (Modifiche all’articolo 2 del decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152)
Articolo 3 (Disposizioni transitorie in materia di divieto di concessione dei benefìci penitenziari)
Articolo 4 (Modifiche all’articolo 25 della legge 13 settembre 1982, n. 646)
Articolo 5 (Norme in materia di occupazioni abusive e organizzazione di raduni illegali)
Articolo 6 (Differimento dell'entrata in vigore della c.d. riforma Cartabia)
Articolo 7 (Cessazione dell'obbligo di vaccinazione contro il COVID-19)
Articoli 8 e 9 (Invarianza finanziaria. Entrata in vigore)
Il disegno di legge n. 274 reca la conversione in legge del decreto-legge n. 162 del 2022. Il provvedimento d'urgenza, che consta di 9 articoli, prevede misure urgenti in materia di divieto di concessione dei benefici penitenziari nei confronti dei detenuti o internati che non collaborano con la giustizia, nonché in materia di entrata in vigore del dlgs n. 150/2022, di obblighi di vaccinazione anti SARS-COV-2 e di prevenzione e contrasto dei raduni illegali.
Gli articoli da 1 a 3 del decreto legge in esame intervengono sul tema dell’accesso ai benefici penitenziari e alla liberazione condizionale da parte di detenuti condannati per specifici reati, particolarmente gravi, e ritenuti tali da precludere l'accesso ai benefici stessi in assenza di collaborazione con la giustizia (c.d. reati ostativi, di cui all'art. 4-bis della legge n. 354 del 1975, legge sull'ordinamento penitenziario).
L’articolo 1, più in particolare, è volto a modificare l'ordinamento penitenziario in tema dell’accesso ai benefici penitenziari da parte di detenuti condannati per specifici reati, particolarmente gravi, e ritenuti tali da precludere l’accesso ai benefici stessi in assenza di collaborazione con la giustizia (c.d. reati ostativi, di cui all'art. 4-bis della legge n. 354 del 1975, legge sull'ordinamento penitenziario). A tal fine l’articolo: estende il regime differenziato per l’accesso ai benefici anche ai reati non ostativi, ma che siano caratterizzati da nesso teleologico con tali reati; individua le condizioni per l'accesso ai suddetti benefici, delineando un peculiare regime probatorio e introducendo una nuova disciplina procedimentale per la concessione degli stessi; sposta inoltre dal magistrato di sorveglianza al tribunale di sorveglianza, organo collegiale, la competenza ad autorizzare il lavoro all'esterno e i permessi premio quando si tratti di detenuti condannati per specifici gravi reati.
L’articolo 2 interviene sulla disciplina in materia di liberazione condizionale (comma 2 dell'articolo 2 del D.L. n. 152 del 1991) con riguardo alle condizioni di accesso all’istituto da parte dei condannati all’ergastolo per i c.d. reati ostativi, non collaboranti, di cui al comma 1 dell’articolo 4-bis OP. Sono inoltre apportate modifiche alla disciplina dell’effetto estintivo della liberazione condizionale e delle prescrizioni di libertà vigilata con riguardo ai medesimi soggetti
L’articolo 3 delinea una specifica disciplina transitoria da applicare ai detenuti e internati per fatti commessi anteriormente all’entrata in vigore della riforma.
L'articolo 4 modifica l'art. 25 della legge n. 646 del 1982, al fine di introdurre la possibilità per la Guardia di finanza di procedere ad indagini fiscali nei confronti dei detenuti ai quali sia stato applicato il regime carcerario previsto dall'art. 41-bis OP.
L’articolo 5 introduce nel codice penale, tra i delitti contro l'incolumità pubblica, in un nuovo art. 434-bis c.p., il delitto di invasione di terreni o edifici per raduni pericolosi per l'ordine pubblico, o l'incolumità pubblica o la salute pubblica.
L’articolo 6 rinvia dal 1° novembre 2022 al 30 dicembre 2022 l’entrata in vigore del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, di attuazione della delega per la riforma del processo penale.
L’articolo 7 stabilisce che le norme transitorie sull'obbligo di vaccinazione contro il COVID-19 per i lavoratori che operano nei settori sanitario, sociosanitario e socioassistenziale non trovano più applicazione dal 2 novembre 2022, in luogo del termine finale previgente del 31 dicembre 2022.
L’articolo 8 reca la clausola di invarianza finanziaria.
L'articolo 9 dispone che il decreto-legge entri in vigore il giorno stesso della sua pubblicazione in Gazzetta Ufficiale. Il decreto-legge è dunque vigente dal 31 ottobre 2022.
L’articolo 1 è volto a modificare l'ordinamento penitenziario in tema dell’accesso ai benefici penitenziari da parte di detenuti condannati per specifici reati, particolarmente gravi, e ritenuti tali da precludere l’accesso ai benefici stessi in assenza di collaborazione con la giustizia (c.d. reati ostativi, di cui all'art. 4-bis della legge n. 354 del 1975, legge sull'ordinamento penitenziario). A tal fine l’articolo: estende il regime differenziato per l’accesso ai benefici anche ai reati non ostativi, ma che siano caratterizzati da nesso teleologico con tali reati; individua le condizioni per l'accesso ai suddetti benefici, delineando un peculiare regime probatorio e introducendo una nuova disciplina procedimentale per la concessione degli stessi; sposta inoltre dal magistrato di sorveglianza al tribunale di sorveglianza, organo collegiale, la competenza ad autorizzare il lavoro all'esterno e i permessi premio quando si tratti di detenuti condannati per specifici gravi reati.
Gli articoli da 1 a 4 del decreto legge in esame intervengono sul tema dell’accesso ai benefici penitenziari e alla liberazione condizionale da parte di detenuti condannati per specifici reati, particolarmente gravi, e ritenuti tali da precludere l'accesso ai benefici stessi in assenza di collaborazione con la giustizia (c.d. reati ostativi, di cui all'art. 4-bis della legge n. 354 del 1975, legge sull'ordinamento penitenziario).
L’articolo 4-bis della legge sull’Ordinamento penitenziario
L’articolo 4-bis, come è noto, è stato introdotto nell’ordinamento penitenziario (legge n. 354 del 1975) dal decreto-legge n. 152 del 1991, e immediatamente modificato - dopo le stragi di Capaci e di via D’Amelio - dal decreto-legge n. 306 del 1992. La disposizione ha subito nel tempo ricorrenti modifiche, ed è stata oggetto di numerose sentenze di illegittimità costituzionale (v. infra).
La peculiare ratio di tale disciplina è quella di differenziare il trattamento penitenziario dei condannati per reati di criminalità organizzata o altri gravi delitti, dal trattamento dei condannati “comuni”, subordinando l’accesso alle misure premiali e alternative previste dall’ordinamento penitenziario a determinate condizioni.
I delitti per cui opera la presunzione di pericolosità sociale (c.d. ostativi all’accesso ai benefici)
In particolare, il comma 1 dell'art. 4 bis OP elenca una serie di delitti indicati come ostativi: l'espiazione di una condanna relativa a tali delitti, infatti, non consente la concessione delle misure dell'assegnazione al lavoro all'esterno, dei permessi premio e delle misure alternative alla detenzione previste dal capo VI OP, esclusa la liberazione anticipata. Per effetto dell'art. 2 del citato decreto-legge n. 152 del 1991 il regime restrittivo per l’accesso ai benefici penitenziari, previsto all’art. 4-bis., si estende anche al regime della liberazione condizionale.
L’art. 2 del D.L. n. 152 del 1991 (convertito dalla L. n. 203 del 1991), infatti, per l'ammissione alla liberazione condizionale dei condannati per uno dei delitti di cui alla L. n. 354 del 1975, art. 4-bis, commi 1, 1-ter e 1-quater, impone gli stessi requisiti previsti dal menzionato art. 4-bis per l'accesso ai benefici penitenziari.
Questa condizione giuridica è superabile soltanto in presenza di un’avvenuta collaborazione con la giustizia ai sensi dell’art. 58-ter OP.
L’art. 58-ter OP, infatti, nel definire il comportamento dei collaboranti, accosta sotto la stessa nozione di “collaborazione con la giustizia” due diversi tipi di condotta: essersi adoperati per evitare che l’attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori; aver aiutato concretamente l’autorità giudiziaria nella raccolta di elementi decisivi per la ricostruzione dei fatti e per l’individuazione o la cattura degli autori di reato, inquadrabile nel tipo della collaborazione processuale.
Si tratta, come ha specificato la Corte costituzionale di una «disposizione speciale, di carattere restrittivo, in tema di concessione dei benefici penitenziari a determinate categorie di detenuti o internati, che si presumono socialmente pericolosi unicamente in ragione del titolo di reato per il quale la detenzione o l'internamento sono stati disposti» (sentenza n. 239 del 2014).
I c.d. delitti ostativi, elencati dall’articolo 4-bis, comma 1, sono i seguenti:
– delitti commessi per finalità di terrorismo, anche internazionale, o di eversione dell'ordine democratico mediante il compimento di atti di violenza;
– associazione di tipo mafioso ex art. 416-bis e 416-ter c.p. e delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dallo stesso articolo ovvero al fine di agevolare l'attività di tali associazioni;
– riduzione o mantenimento in schiavitù o in servitù (art. 600, c.p.);
– induzione o sfruttamento della prostituzione minorile (art. 600-bis, comma 1, c.p.);
– produzione e commercio di materiale pornografico minorile (art. 600-ter, commi 1 e 2, c.p.);
– tratta di persone (art. 601, c.p.);
– acquisto e alienazione di schiavi (art. 602 c.p.);
– violenza sessuale di gruppo (art. 609-octies, c.p.);
– sequestro di persona a scopo di estorsione (art. 630 c.p.);
– delitti relativi all’immigrazione clandestina (art. 12 t.u. immigrazione);
– associazione per delinquere finalizzata al contrabbando di tabacchi lavorati esteri (art. 291-quater, T.U. dogane);
– associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope (art. 74, T.U. stupefacenti);
Da ultimo, per effetto della legge n. 3 del 2019 (c.d. legge Spazzacorrotti), al catalogo di reati ostativi sono stati aggiunti taluni delitti contro la pubblica amministrazione: peculato (art. 314 c.p.); concussione (art. 317 c.p.); corruzione per l’esercizio della funzione (art. 318 c.p.); corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio (art. 319 c.p.); corruzione in atti giudiziari (art. 319-ter c.p.); induzione indebita a dare o promettere utilità (art. 319-quater c.p.); corruzione di persona incaricata di un pubblico servizio (art. 320 c.p.); istigazione alla corruzione (art. 322 c.p.); delitti di cui all’art. 322-bis c.p. per le ipotesi di reato di cui sopra ivi richiamate (il richiamo all’art. 322-bis c.p. va riferito ai delitti di concussione, induzione indebita a dare o promettere utilità, corruzione e istigazione alla corruzione di membri delle Corti internazionali o degli organi delle Comunità europee o di assemblee parlamentari internazionali o di organizzazioni internazionali e di funzionari delle Comunità europee e di Stati esteri).
Per i sopra elencati delitti, in caso di assenza di collaborazione con la giustizia vigeva, prima dell’entrata in vigore del decreto legge in esame, la presunzione assoluta di immanenza dei collegamenti: l'assenza di un’utile collaborazione fa presumere l'attualità dei collegamenti e, conseguentemente, l'immanenza della pericolosità sociale, senza che la magistratura di sorveglianza possa valutare il percorso rieducativo intrapreso dal condannato durante l'esecuzione della pena.
Il tema è stato oggetto di intervento da parte della Corte costituzionale che ha indirizzato al legislatore un monito a provvedere ed è stato affrontato, nella XVIII legislatura, dalla Camera con l'approvazione di una proposta di legge che non ha concluso però l'iter parlamentare (A.S. 2574).
Con l'ordinanza n. 97 del 2021, infatti, la Corte costituzionale ha sottolineato l'incompatibilità con la Costituzione delle norme che individuano nella collaborazione l'unica possibile strada, a disposizione del condannato all'ergastolo per un reato ostativo, per accedere alla liberazione condizionale, demandando però al legislatore il compito di operare scelte di politica criminale tali da contemperare le esigenze di prevenzione generale e sicurezza collettiva con il rispetto del principio di rieducazione della pena affermato dall'art. 27, terzo comma, della Costituzione. La Corte ha conseguentemente rinviato al 10 maggio 2022 la nuova discussione delle questioni di legittimità costituzionale sollevate, contestualmente indirizzando al legislatore un monito a provvedere. Nell'udienza del 10 maggio la Corte ha deciso di rinviare ulteriormente la trattazione della questione di legittimità costituzionale all'udienza pubblica dell'8 novembre 2022, affermando che «Permangono inalterate le ragioni che hanno indotto questa Corte a sollecitare l'intervento del legislatore, al quale compete, in prima battuta, una complessiva e ponderata disciplina della materia, alla luce dei rilievi svolti nell'ordinanza n. 97 del 2021 [...] Proprio in considerazione dello stato di avanzamento dell'iter di formazione della legge appare necessario un ulteriore rinvio dell'udienza, per consentire al Parlamento di completare i propri lavori» (cfr. Comunicato stampa della Corte costituzionale).
L’8 novembre 2022, la Corte costituzionale ha nuovamente esaminato, in camera di consiglio, le questioni di legittimità costituzionale, sollevate dalla Corte di Cassazione, sulla disciplina del cosiddetto ergastolo ostativo. In attesa del deposito dell’ordinanza, l’Ufficio comunicazione e stampa fa sapere che la Corte costituzionale ha deciso di restituire gli atti al giudice a quo, a seguito dell’entrata in vigore del decreto-legge 31 ottobre 2022, n. 162. Secondo quanto si legge nel Comunicato “Le nuove disposizioni, infatti, incidono immediatamente e direttamente sulle norme oggetto del giudizio di legittimità costituzionale, trasformando da assoluta in relativa la presunzione di pericolosità che impedisce la concessione dei benefici e delle misure alternative a favore di tutti i condannati (anche all’ergastolo) per reati cosiddetti “ostativi”, che non hanno collaborato con la giustizia. Costoro sono ora ammessi a chiedere i benefici, sebbene in presenza di nuove, stringenti e concomitanti condizioni, diversificate a seconda dei reati che vengono in rilievo. Gli atti vengono dunque restituiti alla Cassazione, cui spetta verificare gli effetti della normativa sopravvenuta sulla rilevanza delle questioni sollevate, nonché procedere a una nuova valutazione della loro non manifesta infondatezza”.
Gli articoli da 1 a 4 del decreto legge in esame riprendono in larghissima parte il testo della proposta di legge approvata nella scorsa legislatura dalla Camera dei Deputati e il cui esame si è interrotto al Senato.
Il comma 1, lettera a), n. 1) dell’articolo 1 novella il comma 1 dell’art. 4-bis, il quale, come si è detto, elenca una serie di delitti indicati come ostativi: l'espiazione di una condanna relativa a tali delitti, infatti, non consente la concessione delle misure dell'assegnazione al lavoro all'esterno, e delle misure alternative alla detenzione, nonché alla liberazione condizionale (in forza del rinvio operato dall'art. 2, DL n. 152/1991). Tale condizione giuridica è superabile soltanto in presenza di collaborazione con la giustizia (ai sensi dell'art. 58-ter OP).
La novella estende il regime differenziato per l’accesso ai benefici penitenziari anche in caso di esecuzione di pene inflitte per delitti diversi da quelli ostativi, quando il giudice della cognizione o dell’esecuzione accertino che tali delitti sono stati commessi per eseguire od occultare uno dei reati ostativi ovvero per conseguire o assicurare al condannato o ad altri il prodotto o il profitto o il prezzo ovvero l’impunità di detti reati.
La riforma riproduce la formulazione dell’aggravante comune della connessione teleologica di cui all’art. 61, primo comma, n. 2) senza peraltro richiamarla. La novella si discosta in parte dal testo approvato dalla Camera nella scorsa legislatura. In tale testo infatti si prevedeva che il regime differenziato per l'accesso ai benefici penitenziari per i condannati per i c.d. delitti ostativi, in caso di esecuzione di pene concorrenti, si sarebbe dovuto applicare anche quando i condannati avessero già espiato la parte di pena relativa ai predetti delitti, ma fosse stata accertata dal giudice della cognizione l'aggravante della connessione teleologica (di cui all'articolo 61, numero 2), c.p.) tra i reati la cui pena è in esecuzione. In tale disposizione l’estensione del regime ostativo veniva operata con riferimento all’ipotesi «di esecuzione di pene concorrenti» che, secondo quanto previsto dall’art. 663 c.p.p., si verifica quando una stessa persona sia stata condannata con più sentenze o decreti penali per reati diversi. La novella introdotta con il decreto legge in esame invece estende l’applicazione della disciplina del regime ostativo anche al caso in cui la condanna per reati ostativi e non ostativi sia stata adottata con un’unica sentenza. Inoltre rispetto alla disposizione contenuta nel testo approvato dalla Camera nella scorsa legislatura, si attribuisce rilevanza anche all’accertamento della connessione qualificata eventualmente compiuto in fase esecutiva
La modifica interviene dunque in relazione ai casi di cumulo (materiale o giuridico), di pene inflitte per diversi titoli di reato, alcuni dei quali soltanto compresi nell’elenco dell’art. 4-bis O.P. La giurisprudenza di legittimità è da tempo costante nel ritenere che, nel caso di cumulo, materiale o giuridico, di pene inflitte per diversi titoli di reato, alcuni dei quali soltanto compresi nell’elenco dell’art. 4-bis ordin. penit., occorre procedere allo scioglimento del cumulo, venendo meno l’impedimento alla fruizione dei benefici penitenziari qualora l’interessato abbia già espiato la parte di pena relativa ai reati ostativi (ex plurimis, con riguardo al cumulo materiale, Corte di cassazione, sezione prima penale, sentenza 18 giugno-20 luglio 2021, n. 28141; Corte di cassazione, sezione prima penale, sentenza 11 dicembre 2020-7 aprile 2021, n. 13041; con riguardo al cumulo giuridico, conseguente, in particolare, all’applicazione della disciplina del reato continuato, Corte di cassazione, sezione prima penale, sentenza 29 novembre-7 dicembre 2016, n. 52182; Corte di cassazione, sezione prima penale, sentenza 31 marzo-26 luglio 2016, n. 32419): con l’ulteriore precisazione che, a questi fini, deve ritenersi scontata per prima la pena più gravosa per il reo, ossia quella riferibile ai reati che non consentirebbero l’accesso ai benefici (tra le altre, Corte di cassazione, sezione prima penale, sentenza n. 28141 del 2021; Corte di cassazione, sezione prima penale, sentenza 28 ottobre 2015-22 febbraio 2016, n. 6817).
Tale indirizzo giurisprudenziale recepisce le indicazioni fornite dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 361 del 1994 (e recentemente ribadito nella sentenza n. 33 del 2022), la quale, dichiarando non fondata nei sensi di cui in motivazione la questione al riguardo sollevata, ha escluso che la disciplina dell’art. 4-bis ordin. penit. abbia creato uno status di detenuto pericoloso destinato a permeare di sé l’intero rapporto esecutivo, a prescindere dallo specifico titolo di condanna concretamente in esecuzione. Nella citata sentenza n. 361 del 1994, la Corte aveva affermato che la disciplina contenuta nell'art. 4-bis OP "va interpretata - in conformità del principio di eguaglianza sancito dall'art. 3 Cost., nel senso che possono essere concesse misure alternative alla detenzione ai condannati per i reati gravi, indicati dalla giurisprudenza, quando essi abbiano espiato per intero la pena per i reati stessi e stiano espiando pene per reati meno gravi non ostativi alla concessione delle misure alternative alla detenzione". La Corte ha pertanto, concluso per la non conformità alla Costituzione di una diversa interpretazione che porti all'esclusione della concessione di misure alternative ai condannati per un reato grave, ostativo all'applicazione delle dette misure, anche quando essi, avendo espiato per intero la pena per il reato grave, stiano eseguendo la pena per reati meno gravi, non ostativi al predetto riconoscimento.
La lettera a), n. 2), modifica la disciplina dettata dal comma 1-bis dell’articolo 4-bis O.P., che attualmente - per i c.d. reati ostativi - consente la concessione di benefici e misure nelle ipotesi in cui sia accertata l’inesigibilità (a causa della limitata partecipazione del condannato al fatto criminoso) o l’impossibilità (per l'accertamento integrale dei fatti) della collaborazione: prima dell’entrata in vigore del decreto legge in esame, in tali casi, non sussistendo margini per un’utile cooperazione con la giustizia, veniva meno la preclusione assoluta stabilita dal comma 1, purché fossero acquisiti elementi tali da escludere l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata.
In merito, recentemente, la Corte costituzionale (sentenza n. 20 del 2022) ha affermato che non è irragionevole l'esistenza di un doppio regime probatorio che differenzi le posizioni delle due figure di detenuti non collaboranti disciplinate attualmente dai commi 1 e 1-bis dell'art. 4-bis OP: per coloro che si siano trovati nell'accertata impossibilità di collaborare – o per i quali la collaborazione risulti, comunque, inesigibile – è sufficiente acquisire elementi che escludano l'attualità dei collegamenti con la criminalità organizzata; per coloro i quali abbiano scelto di non prestare una collaborazione ancora possibile ed esigibile è invece necessaria, sempre al fine di superare il meccanismo ostativo, l'acquisizione di ulteriori elementi, oggetto di onere di specifica allegazione e tali da escludere anche il pericolo di ripristino dei suddetti collegamenti.
La novella sopprime l’istituto della impossibilità e/o inesigibilità-irrilevanza della utile collaborazione con la giustizia (comma 1-bis, previgente formulazione) e ridefinisce le condizioni di accesso ai benefici penitenziari e alle misure alternative alla detenzione attraverso la riformulazione integrale del comma 1-bis dell’art. 4-bis o.p. che viene scomposto nei commi 1-bis, 1-bis.1 e 1-bis.2.
In particolare i reati ostativi di cui al comma 1 dell’art. 4 bis sono distinti in due sottocategorie per ciascuna delle quali si prevedono presupposti di accesso ai benefici e misure alternative in parte diversi.
Più precisamente sono ricompresi nel nuovo comma 1-bis i condannati per le seguenti fattispecie:
– delitti commessi per finalità di terrorismo, anche internazionale, o di eversione dell'ordine democratico mediante il compimento di atti di violenza; – art. 416-bis c.p. (associazione di tipo mafioso), nonché i delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dallo stesso articolo ovvero al fine di agevolare l'attività delle associazioni in esso previste (c.d. aggravante di mafiosità); – art. 416-ter c.p. (scambio elettorale politico-mafioso);
– art. 12, commi 1 e 3, d.lgs. 25.07.1998, n. 286 (t.u. immigrazione, plurime condotte di ingresso illegale di stranieri nel territorio dello stato); – art. 291-quater, d.p.r. 23.01.1973, n. 43 (associazione per delinquere finalizzata al contrabbando di tabacchi lavorati esteri);
– art. 74 d.p.r. n. 309/90 (associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti).
Con specifico riguardo a tali reati associativi, il superamento del divieto di ammissione ai benefici in assenza di collaborazione potrà avvenire - anche in caso di collaborazione impossibile e inesigibile - in presenza delle concomitanti condizioni:
– la dimostrazione «(del)l’adempimento delle obbligazioni civili e degli
– obblighi di riparazione pecuniaria conseguenti alla condanna o l’assoluta impossibilita? di tale adempimento»;
– l’allegazione di «elementi specifici, diversi e ulteriori rispetto alla regolare condotta carceraria, alla partecipazione del detenuto al percorso rieducativo e alla mera dichiarazione di dissociazione dall’organizzazione criminale di eventuale appartenenza, che consentano di escludere l’attualità? di collegamenti con la criminalità? organizzata, terroristica o eversiva e con il contesto nel quale il reato è stato commesso, nonché? il pericolo di ripristino di tali collegamenti, anche indiretti o tramite terzi, tenuto conto delle circostanze personali e ambientali, delle ragioni eventualmente dedotte a sostegno della mancata collaborazione»;
– la «revisione critica della condotta criminosa»;
– «la sussistenza di iniziative dell’interessato a favore delle vittime, sia nelle forme risarcitorie che in quelle della giustizia riparativa»
La nuova formulazione del comma 1-bis richiama un passaggio della sentenza. n. 253 del 2019 della Corte costituzionale che, in relazione ai permessi-premio, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 4-bis co. 1 OP nella parte in cui non prevede che possano essere concessi tali permessi anche in assenza di collaborazione con la giustizia «allorché siano stati acquisiti elementi tali da escludere, sia l'attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, sia il pericolo del ripristino di tali collegamenti».
La Corte sottolinea, al riguardo la necessità che il "regime probatorio rafforzato", si estenda all'acquisizione di elementi che escludono non solo la permanenza di collegamenti con la criminalità organizzata "ma altresì il pericolo di un loro ripristino, tenuto conto delle concrete circostanze personali e ambientali". A giudizio della Corte si tratta "di aspetto logicamente collegato al precedente, del quale condivide il carattere necessario alla luce della Costituzione, al fine di evitare che il già richiamato interesse alla prevenzione della commissione di nuovi reati, tutelato dallo stesso art. 4-bis OP, finisca per essere vanificato".
Nella citata sentenza n. 253 del 2019, la Corte sottolinea come gravi sullo stesso condannato che richiede il beneficio "l'onere di fare specifica allegazione di entrambi gli elementi – esclusione sia dell'attualità di collegamenti con la criminalità organizzata che del pericolo di un loro ripristino". Si ricorda al riguardo che la giurisprudenza di legittimità ha recentemente specificato (Cass. pen. Sez. I Sent., 14/07/2021, n. 33743), in tema di concessione del permesso premio a soggetto condannato per delitti ostativi, che è illegittima l'ordinanza del giudice di sorveglianza che dichiari l'inammissibilità dell'istanza per omessa specifica allegazione di elementi di prova idonei a dimostrare la sussistenza dei requisiti sulla base dei quali, dopo la sentenza della Corte Costituzionale n. 253 del 2019, può essere concesso il beneficio (vale a dire l'assenza di collegamenti con la criminalità organizzata e del pericolo del loro ripristino), essendo a tal fine sufficiente l'allegazione di elementi fattuali (quali, ad esempio, l'assenza di procedimenti posteriori alla carcerazione, il mancato sequestro di missive o la partecipazione fattiva all'opera rieducativa) che, anche solo in chiave logica, siano idonei a contrastare la presunzione di perdurante pericolosità prevista dalla legge per negare lo stesso, potendo, eventualmente, il giudice completare l'istruttoria anche d'ufficio. In particolare la Corte di cassazione precisa che "Allegazione specifica, in particolare, significa che gli elementi di fatto prospettati nella domanda devono avere una efficacia "indicativa" anche in chiave logica, di quanto occorre a rapportarsi al tema di prova.
Al riguardo si rileva che, nella citata ordinanza n. 97 del 2021, la Corte costituzionale ha sottolineato che "la presunzione di pericolosità sociale del condannato all'ergastolo che non collabora, per quanto non più assoluta, può risultare superabile non certo in virtù della sola regolare condotta carceraria o della mera partecipazione al percorso rieducativo, e nemmeno in ragione di una soltanto dichiarata dissociazione. A fortiori, per l'accesso alla liberazione condizionale di un ergastolano (non collaborante) per delitti collegati alla criminalità organizzata, e per la connessa valutazione del suo sicuro ravvedimento, sarà quindi necessaria l'acquisizione di altri, congrui e specifici elementi, tali da escludere, sia l'attualità di suoi collegamenti con la criminalità organizzata, sia il rischio del loro futuro ripristino".
Nel nuovo comma 1-bis.1 sono invece ricompresi i condannati per le seguenti residuali fattispecie, non associative:
– artt. 314, comma 1, c.p. (peculato), 317 c.p. (concussione), 318, 319, 319- bis, 319-ter, 319-quater, comma 1, 320, 321, 322, 322-bis c.p. (ipotesi di corruzione);
– art. 600 c.p. (riduzione o mantenimento in schiavitù o servitù);
– art. 600-bis, comma 1, c.p. (induzione, reclutamento, favoreggiamento della prostituzione minorile);
– art. 600-ter, commi 1 e 2, c.p. (pornografia minorile);
– art. 601 c.p. (tratta di persone);
– art. 602 c.p. (acquisto e alienazione di schiavi);
– art. 609-octies c.p. (violenza sessuale di gruppo);
– art. 630 c.p. (sequestro di persona a scopo di estorsione).
Rispetto alla precedente categoria, l’individuazione delle condizioni previste per l’accesso ai benefici penitenziari e misure alternative alla detenzione risulta meno gravosa, in quanto, pur essendo essendo di fatto le stesse di quelle previste dal comma 1-bis, non è prevista la dimostrazione dell’assenza di collegamenti con la criminalità e dell’assenza di un pericolo di loro ripristino, prescrivendosi solo un onere di dimostrazione della interruzione di collegamenti con il “contesto” nel quale il reato è stato commesso.
Infine, il nuovo comma 1-bis.2 si riferisce ai condannati per il delitto di associazione per delinquere (di cui all’art. 416 c.p.) finalizzato alla commissione di uno dei delitti elencati nel comma 1-bis.1, stabilendo per questi la loro inclusione nella categoria dei condannati di cui al comma 1- bis.
La lettera a), n. 3), interviene sul comma 2 dell'articolo 4-bis per introdurvi una nuova disciplina del procedimento per la concessione dei benefici penitenziari per i detenuti non collaboranti condannati per reati c.d. ostativi. In particolare, il giudice di sorveglianza, prima di decidere sull'istanza, ha l'obbligo:
· di chiedere il parere del pubblico ministero presso il giudice che ha emesso la sentenza di primo grado o, se si tratta di condanne per i gravi delitti indicati dall'articolo 51, commi 3-bis e 3-quater c.p.p., del pubblico ministero presso il tribunale del capoluogo del distretto ove ha sede il giudice che ha emesso la sentenza di primo grado e del Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo;
Come è noto, l'articolo 51 comma 3-bis, attribuisce alla procura distrettuale le indagini relative ai seguenti delitti, consumati o tentati: - associazione a delinquere finalizzata a commettere taluno dei delitti di cui agli articoli 600, 601, 601-bis e 602 c.p. (art. 416, sesto comma, c.p.); - associazione a delinquere finalizzata a commettere taluno dei delitti di pedopornografia e di violenza sessuale in danno di minori (art. 416, settimo comma c.p.); - associazione a delinquere finalizzata a commettere taluno dei delitti di cui all'articolo 12, commi 3 e 3-ter, TU immigrazione; - associazione a delinquere finalizzata a commettere un delitto di contraffazione (artt. 473 e 474 c.p.) - tratta di persone e riduzione in schiavitù (artt. 600, 601, 602 c.p.); - associazione a delinquere di tipo mafioso, anche straniera (art. 416-bis), voto di scambio politico-mafioso (art. 416-ter c.p.) e delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dal predetto articolo 416-bis ovvero al fine di agevolare l'attività delle associazioni mafiose; - attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti (art. 452-quaterdecies c.p.); - sequestro di persona a scopo di rapina o di estorsione (art. 630 c.p.); - associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope (art. 74 TU stupefacenti); - associazione per delinquere finalizzata al contrabbando di tabacchi lavorati esteri (art. 291-quater, TU stupefacenti).
Ai sensi del comma 3-quater quando si tratta di procedimenti per i delitti consumati o tentati con finalità di terrorismo le funzioni indicate nel comma 1, lettera a), sono attribuite all'ufficio del pubblico ministero presso il tribunale del capoluogo del distretto nel cui ambito ha sede il giudice competente.
Si ricorda che una disposizione analoga è contenuta nel d.l. n. 28 del 2020, che ha modificato gli artt. 30-bis e 47-ter OP, stabilendo che, prima della concessione di un permesso (art. 30) e della cosiddetta detenzione domiciliare "in surroga" (art. 47-ter, comma 1-ter), oppure della proroga di quest'ultima, l'autorità procedente debba acquisire alcuni pareri: in caso di richiesta proveniente da detenuti per delitti ex art. 51, commi 3-bis e 3-quater, c.p.p., il parere del procuratore distrettuale, da cumulare – in relazione a soggetti sottoposti al regime di cui all'art. 41-bis OP – a quello del Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo.
· di acquisire informazioni dalla direzione dell'istituto dove l'istante è detenuto;
· di disporre nei confronti del medesimo, degli appartenenti al suo nucleo familiare e delle persone ad esso collegate, accertamenti in ordine alle condizioni reddituali e patrimoniali, al tenore di vita, alle attività economiche eventualmente svolte e alla pendenza o definitività di misure di prevenzione personali o patrimoniali.
Si segnala che, nella citata sentenza n. 253 del 2019, la Corte costituzionale ha sottolineato come l'acquisizione di informazioni, a partire da quelle di natura economico-patrimoniale "non solo è criterio già rinvenibile nell'ordinamento (sentenze n. 40 del 2019 e n. 222 del 2018) – nel caso di specie, nella stessa disposizione di cui è questione di legittimità costituzionale (sentenza n. 236 del 2016) – ma è soprattutto criterio costituzionalmente necessario (sentenza n. 242 del 2019) per sostituire in parte qua la presunzione assoluta caducata, alla stregua dell'esigenza di prevenzione della «commissione di nuovi reati» (sentenze n. 211 del 2018 e n. 177 del 2009) sottesa ad ogni previsione di limiti all'ottenimento di benefici penitenziari (sentenza n. 174 del 2018)".
Con riguardo alla tempistica la riforma prevede che i pareri, con eventuali istanze istruttorie, e le informazioni e gli esiti degli accertamenti siano resi entro 30 giorni dalla richiesta, prorogabili di ulteriori 30 giorni in ragione della complessità degli accertamenti e che decorso tale termine, il giudice debba decidere anche in assenza dei pareri e delle informazioni richiesti.
La riforma prevede inoltre, nel caso in cui dall’istruttoria svolta emergano indizi dell’attuale sussistenza di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica e eversiva o con il contesto nel quale il reato è stato commesso, ovvero del pericolo di ripristino di tali collegamenti, l'onere per il condannato di fornire, entro un congruo termine, idonei elementi di prova contraria.
In relazione all'onere in capo al condannato di fornire elementi di prova, si ricorda che la Corte, nella più volte citata sentenza n. 253 del 2019, ha sottolineato che se le informazioni pervenute dal comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica depongono in senso negativo "incombe sullo stesso detenuto non il solo onere di allegazione degli elementi a favore, ma anche quello di fornire veri e propri elementi di prova a sostegno".
Nel provvedimento con cui decide sull'istanza di concessione dei benefici il giudice dovrà indicare specificamente le ragioni dell'accoglimento o del rigetto dell'istanza medesima, avuto altresì riguardo ai pareri acquisiti.
La riforma subordina inoltre la concessione dei benefici ai detenuti soggetti al regime carcerario speciale previsto dall'art. 41-bis dell’ordinamento penitenziario, alla previa revoca di tale regime.
Con riguardo al regime detentivo speciale di cui all’art. 41-bis O.P., tale disposizione, come è noto, prevede che quando ricorrano gravi motivi di ordine e di sicurezza pubblica, anche a richiesta del Ministro dell'interno, il Ministro della giustizia ha altresì la facoltà di sospendere, in tutto o in parte, nei confronti dei detenuti o internati per taluno dei delitti di cui al primo periodo del comma 1 dell'articolo 4-bis o comunque per un delitto che sia stato commesso avvalendosi delle condizioni o al fine di agevolare l’associazione di tipo mafioso, in relazione ai quali vi siano elementi tali da far ritenere la sussistenza di collegamenti con un'associazione criminale, terroristica o eversiva, l'applicazione delle regole di trattamento e degli istituti previsti dalla presente legge che possano porsi in concreto contrasto con le esigenze di ordine e di sicurezza.
Il provvedimento di sospensione è adottato con decreto motivato del Ministro della giustizia, anche su richiesta del Ministro dell'interno, sentito l'ufficio del pubblico ministero che procede alle indagini preliminari ovvero quello presso il giudice procedente e acquisita ogni altra necessaria informazione presso la Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo, gli organi di polizia centrali e quelli specializzati nell'azione di contrasto alla criminalità organizzata, terroristica o eversiva, nell'ambito delle rispettive competenze. Il provvedimento medesimo ha durata pari a quattro anni ed è prorogabile nelle stesse forme per successivi periodi, ciascuno pari a due anni. La proroga è disposta quando risulta che la capacità di mantenere collegamenti con l'associazione criminale, terroristica o eversiva non è venuta meno, tenuto conto di specifiche condizioni. Il mero decorso del tempo non costituisce, di per sé, elemento sufficiente per escludere la capacità di mantenere i collegamenti con l'associazione o dimostrare il venir meno dell'operatività della stessa.
La lettera a), n. 5), introduce – nell’art. 4-bis O.P. - il nuovo comma 2-ter, volto a specificare che il pubblico ministero presso il tribunale del capoluogo del distretto ove è stata pronunciata la sentenza di primo grado può svolgere le funzioni di pubblico ministero nelle udienze del tribunale di sorveglianza che abbiano ad oggetto la concessione dei benefìci nei confronti di condannati per i gravi reati di cui all’articolo 51 co. 3 bis e co. 3 quater c.p.p (vedi sopra).
La lettera a), n. 6), è volta - in conseguenza dell’introduzione della nuova disciplina sul procedimento per la concessione dei benefici - ad abrogare il comma 3-bis dell'articolo 4-bis O.P., concernente l'impossibilità di concedere benefici penitenziari ai condannati per delitti dolosi quando il Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo o il Procuratore distrettuale comunica l'attualità di collegamenti con la criminalità organizzata.
La lettera b) e la lettera c) incidono, rispettivamente, sulla disciplina del lavoro all’esterno (art. 21 OP) e dei permessi premio (art. 30-ter OP) per attribuire alla competenza del tribunale di sorveglianza - in luogo dell'attuale competenza del magistrato di sorveglianza - l'autorizzazione ai predetti benefici quando si tratti di condannati per delitti:
· commessi con finalità di terrorismo anche internazionale;
· di eversione dell'ordine democratico mediante il compimento di atti di violenza;
· di associazione mafiosa cui all'art. 416-bis c.p. o commessi avvalendosi delle condizioni previste da tale articolo ovvero al fine di agevolare le associazioni mafiose.
Si tratta, dunque, di alcuni dei delitti compresi nel più ampio elenco di cui al più volte citato comma 1 dell'articolo 4-bis OP.
Si ricorda che la disciplina del lavoro all'esterno è contenuta nell'art. 21 della legge sull'ordinamento penitenziario il quale specifica che i detenuti e gli internati possono essere assegnati al lavoro all'esterno in condizioni idonee a garantire le finalità del trattamento rieducativo. Tuttavia, se si tratta di persona condannata alla pena della reclusione per uno dei delitti indicati nei commi 1, 1-ter e 1-quater dell'art. 4-bis, l'assegnazione al lavoro all'esterno può essere disposta dopo l'espiazione di almeno un terzo della pena e, comunque, di non oltre cinque anni. Nei confronti dei condannati all'ergastolo l'assegnazione può avvenire dopo l'espiazione di almeno dieci anni.
Si ricorda inoltre che la disciplina dei permessi premio è contenuta nell'art. 30-ter O.P. che prevede che essi possano essere concessi dal magistrato di sorveglianza, sentito il direttore dell'istituto, ai condannati che hanno tenuto regolare condotta e che non risultano socialmente pericolose. La durata dei permessi premio non può essere superiore ogni volta a quindici giorni non può superare complessivamente quarantacinque giorni in ciascun anno di espiazione. La concessione dei permessi nei confronti dei condannati alla reclusione per taluno dei delitti indicati nei commi 1, 1-ter e 1-quater dell'art. 4-bis, è ammessa dopo l'espiazione di almeno metà della pena e, comunque, di non oltre dieci anni; nei confronti dei condannati all'ergastolo, dopo l'espiazione di almeno dieci anni. Per ciascun condannato o internato il provvedimento di ammissione al lavoro all'esterno diviene esecutivo dopo l'approvazione del magistrato di sorveglianza.
Come più volte ricordato, con la sentenza n. 253 del 2019 la Corte Costituzionale ha dichiarato costituzionalmente illegittimo - per violazione degli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost. - l'art. 4-bis, comma 1, OP, nella parte in cui non prevede che, ai detenuti per i delitti elencati nel comma 1 di tale articolo, possano essere concessi permessi premio anche in assenza di collaborazione con la giustizia allorché siano stati acquisiti elementi tali da escludere, sia l'attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, sia il pericolo del ripristino di tali collegamenti.
Per ciò che riguarda la competenza a decidere sulla concessione dei benefici previsti dall'articolo 4-bis dell'O.P., va premesso che attualmente la ripartizione della competenza per materia tra tribunale di sorveglianza e magistrato di sorveglianza è disciplinata dagli articoli 69 e 70 dell'O.P. In estrema sintesi il magistrato di sorveglianza è, in linea di massima, competente sulla concessione dei permessi premio e sull'approvazione del provvedimento del direttore dell'istituto di assegnazione al lavoro esterno, con reclamo al tribunale di sorveglianza. Tutti gli altri benefici previsti dall'O.P. sono invece attribuiti al tribunale di sorveglianza.
La competenza del tribunale di sorveglianza, in sede di reclamo, opererà solo in relazione ai provvedimenti assunti dal magistrato di sorveglianza (lett. c), n. 2).
Articolo 2
(Modifiche all’articolo 2 del decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152)
L’articolo 2 interviene sulla disciplina in materia di liberazione condizionale (comma 2 dell'articolo 2 del D.L. n. 152 del 1991) con riguardo alle condizioni di accesso all’istituto da parte dei condannati all’ergastolo per i c.d. reati ostativi, non collaboranti, di cui al comma 1 dell’articolo 4-bis OP. Sono inoltre apportate modifiche alla disciplina dell’effetto estintivo della liberazione condizionale e delle prescrizioni di libertà vigilata con riguardo ai medesimi soggetti.
In particolare, l’articolo 2 interviene sul decreto-legge n. 152 del 1991 (Provvedimenti urgenti in tema di lotta alla criminalità organizzata e di trasparenza e buon andamento dell'attività amministrativa) per modificarne l’articolo 2, in base al quale la disciplina restrittiva per l’accesso ai benefici penitenziari, prevista all’art. 4-bis OP, si estende anche al regime della liberazione condizionale.
Come è noto, in base a quanto previsto nell'art. 176 c.p., il condannato a pena detentiva che, durante il tempo di esecuzione della pena, abbia tenuto un comportamento tale da far ritenere sicuro il suo ravvedimento, può essere ammesso alla liberazione condizionale, se ha scontato almeno trenta mesi e comunque almeno metà della pena inflittagli, qualora il rimanente della pena non superi i cinque anni. Se si tratta di recidivo deve avere scontato almeno quattro anni di pena e non meno di tre quarti della pena inflittagli. L'art. 176 c.p. prevede che il condannato all'ergastolo possa essere ammesso alla liberazione condizionale quando abbia scontato almeno 26 anni di pena. In ogni caso la concessione della liberazione condizionale è subordinata all'adempimento delle obbligazioni civili derivanti dal reato salvo che il condannato dimostri di trovarsi nell'impossibilità di adempierle. Disposizioni specifiche sono previste per la revoca della liberazione condizionale e sull'estinzione della pena dall'art. 177 c.p.
La disciplina restrittiva per l'accesso ai benefici penitenziari, prevista all'art. 4-bis OP, si estende, per effetto dell'art. 2 del d.l. n. 152 del 1991, anche al regime della liberazione condizionale. Infatti il comma 1 dell'articolo 2 afferma che i condannati per delitti indicati nel citato art. 4-bis possono essere ammessi alla liberazione condizionale solo se ricorrono i presupposti che lo stesso articolo prevede, a seconda delle fattispecie delittuose, per la concessione degli altri benefici penitenziari. Prima dell’entrata in vigore del decreto legge in esame, la richiesta di accedere alla liberazione condizionale, se presentata da condannati per i delitti compresi nel comma 1 dell'art. 4-bis, poteva essere valutata nel merito solo laddove essi avessero collaborato con la giustizia, oppure nei casi di accertata impossibilità o inesigibilità della collaborazione medesima. Sul punto si è espressa la Corte costituzionale con l'ordinanza n. 97 del 2021 (vedi infra).
Rispetto al quadro normativo previgente, il decreto legge, in primo luogo (lettera a) interviene sul comma 1 del citato articolo 2, per ribadire che l’accesso alla liberazione condizionale è subordinato al ricorrere delle condizioni previste dall'art. 4-bis OP e che si applicano le norme procedurali per la concessione dei benefici contenute in tale articolo. La modifica ha carattere di coordinamento: i presupposti e la procedura per l'applicazione dell'istituto della liberazione condizionale sono dunque quelli dettati dall'art. 4-bis O.P.
Con la lettera b) sono invece apportate diverse modifiche alla disciplina in materia di liberazione condizionale (comma 2 dell'articolo 2 del D.L. n. 152 del 1991) quanto alle condizioni di accesso all’istituto per i condannati all'ergastolo per i c.d. reati ostativi, non collaboranti, di cui al comma 1 dell’articolo 4-bis.
Per i predetti soggetti:
· la richiesta della liberazione condizionale potrà essere presentata dopo che abbiano scontato 30 anni di pena (per i condannati all'ergastolo per un reato non ostativo, e per i collaboranti, rimane il requisito dei 26 anni);
· occorrono 10 anni dalla data del provvedimento di liberazione condizionale per estinguere la pena dell'ergastolo e revocare le misure di sicurezza personali ordinate dal giudice (per i condannati all'ergastolo per un reato non ostativo, e per i collaboranti, occorrono 5 anni);
· la libertà vigilata - sempre disposta per i condannati ammessi alla liberazione condizionale - è accompagnata al divieto di incontrare o mantenere comunque contatti con:
o
i soggetti condannati per i gravi reati di cui all’articolo 51, commi 3-bis e 3-quater,c.p.p. (vedi scheda relativa all’art. 1);
o i soggetti sottoposti a misura di prevenzione di cui alle lettere a), b), d), e), f) e g) dell’articolo 4 del d.lgs. n. 159 del 2011 (c.d. Codice delle leggi antimafia);
Si ricorda che l’art. 4 del Codice delle leggi antimafia (D. lgs. n. 159 del 2011) contiene l’elenco dei soggetti destinatari delle misure di prevenzione personali applicate dall'autorità giudiziaria. i soggetti condannati per reati previsti dalle predette lettere.
La giurisprudenza costituzionale sull’accesso alla liberazione condizionale per detenuti “non collaboranti”
Nell’ ordinanza n. 97 del 2021 la Corte ha affrontato la questione del c.d. ergastolo ostativo, ossia della preclusione all’accesso al beneficio della liberazione condizionale per il condannato all'ergastolo per delitti di contesto mafioso, che non collabori utilmente con la giustizia.
La Corte era chiamata a giudicare della legittimità della disciplina contenuta negli artt. 4-bis, comma 1, e 58-ter dell’ordinamento penitenziario, nonché dell'art. 2 del D.L. n. 152 del 1991, per effetto del quale il regime restrittivo per l’accesso ai benefici penitenziari si estende anche alla liberazione condizionale.
In particolare, le norme portate all’esame della Consulta stabiliscono che i condannati all’ergastolo per reati di contesto mafioso, se non collaborano utilmente con la giustizia non possono essere ammessi al beneficio della cd. liberazione condizionale, che consiste in un periodo di libertà vigilata, a conclusione del quale, solo in caso di comportamento corretto, consegue l’estinzione della pena e la definitiva restituzione alla libertà. Possono invece accedere a tale beneficio, dopo aver scontato almeno 26 anni di carcere, tutti gli altri condannati alla pena perpetua, compresi quelli per delitti connessi all’attività di associazioni mafiose, i quali abbiano collaborato utilmente con la giustizia.
L’ordinanza di rimessione censurava le norme sopra indicate in quanto introducono, a carico del condannato per tali reati “ostativi”, che non collabora utilmente con la giustizia, una presunzione di mancata rescissione dei legami con la criminalità organizzata. In virtù di tale presunzione, assoluta - in quanto non superabile se non per effetto della stessa collaborazione - il complesso normativo oggetto di esame comporta che le richieste del detenuto di accedere alla liberazione condizionale siano dichiarate inammissibili, senza poter essere oggetto di un vaglio in concreto da parte del giudice di sorveglianza.
La Corte, dopo aver ricordato la propria giurisprudenza (sentenze n. 253 del 2019 e n. 306 del 1993) e l’importanza della collaborazione, che mantiene il proprio valore positivo, riconosciuto dalla legislazione premiale vigente, ha sottolineato l’incompatibilità con la Costituzione delle norme che individuano nella collaborazione stessa «l’unica possibile strada, a disposizione del condannato all’ergastolo, per accedere alla liberazione condizionale», in contrasto con la funzione rieducativa della pena, ai sensi dell’art. 27, terzo comma, della Costituzione.
Allo stesso tempo la Corte ha posto l’accento sul carattere “apicale” della normativa sottoposta al suo giudizio nel quadro del contrasto alle organizzazioni criminali. L’equilibrio complessivo di tale normativa, secondo la Corte, verrebbe messo a rischio da un intervento meramente demolitorio, con grave pregiudizio per le esigenze di prevenzione generale e di sicurezza collettiva a fronte del «pervasivo e radicato fenomeno della criminalità mafiosa». Si tratta di scelte di politica criminale che appartengono, ad avviso della Corte, alla discrezionalità legislativa, in quanto destinate a fronteggiare la perdurante presunzione di pericolosità ma non costituzionalmente vincolate nei contenuti, e che eccedono perciò i poteri della Corte stessa.
Nel ribadire che l’intervento di modifica di questi aspetti deve essere, in prima battuta, oggetto di una più complessiva, ponderata e coordinata valutazione legislativa, la Corte ha concluso che «esigenze di collaborazione istituzionale» impongono di disporre il rinvio del giudizio e di fissare una nuova discussione delle questioni di legittimità costituzionale in esame, alla data del 10 maggio 2022, dando così al Parlamento «un congruo tempo per affrontare la materia».
Con l’ordinanza n. 122 del 2022, la Corte costituzionale ha rinviato ulteriormente all’udienza pubblica dell’8 novembre 2022 la trattazione delle questioni di legittimità costituzionale degli artt. 4-bis, co. 1, 58-ter, ord. penit. e dell’art. 2, D.L. 13 maggio 1991, n. 152.
La Corte ribadisce che, sul punto, permangono inalterate le ragioni che l’avevano indotta a sollecitare l’intervento del legislatore, al quale compete una complessiva, ponderata e coordinata disciplina della materia. Nel disporre il rinvio, la Consulta ha tenuto conto che, nel frattempo, era stato approvato dalla Camera il disegno di legge C. 1951-A, recante «Modifiche alla legge 26 luglio 1975, n. 354, al decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 1991, n. 203, e alla legge 13 settembre 1982, n. 646, in materia di divieto di concessione dei benefici penitenziari nei confronti dei detenuti o internati che non collaborano con la giustizia» e che questo disegno di legge era stato trasmesso al Senato.
Nella seduta dell’8 novembre la Corte costituzionale ha nuovamente esaminato, in camera di consiglio, le questioni di legittimità costituzionale, sollevate dalla Corte di Cassazione, sulla disciplina del cosiddetto ergastolo ostativo. In attesa del deposito dell’ordinanza, l’Ufficio comunicazione e stampa fa sapere che la Corte costituzionale ha deciso di restituire gli atti al giudice a quo, a seguito dell’entrata in vigore del decreto-legge 31 ottobre 2022, n. 162 (vedi scheda relativa all’articolo 1).
La giurisprudenza della Corte costituzionale richiama ampiamente i principi già elaborati dalla Corte EDU in materia di “ergastolo ostativo”
A partire dalla sentenza della Grande camera 12 febbraio 2008, Kafkaris contro Cipro fino alla recente, sentenza Viola contro Italia del 2019, la Corte di Strasburgo ha affermato che la compatibilità delle previsioni di una pena perpetua con la CEDU, ed in particolare con l’art. 3 della stessa, che fa divieto di sottoporre chiunque «a tortura» od a «pene o trattamenti inumani o degradanti», è subordinata al ricorrere di determinate e specifiche condizioni.
La Corte EDU ha infatti chiarito che l’astratta comminatoria della pena perpetua non è un fatto in sé lesivo della dignità della persona, e quindi non costituisce un trattamento degradante (oltre che eventualmente inumano), a condizione però che siano previsti in astratto, e che risultino realisticamente applicabili in concreto, strumenti giuridici utili a interrompere la detenzione e a reimmettere i condannati meritevoli nella società.
E’ dunque necessaria, a giudizio della Corte, la “riducibilità”, de iure e de facto, della pena dell’ergastolo, che può articolarsi in ulteriori corollari, a partire da quello che considera possibile imporre soglie minime di esecuzione effettiva della pena, prima di poter accedere alla scarcerazione (si vedano tra le altre, la sentenza 9 luglio 2013, Vinter contro Regno Unito, e le decisioni 4 settembre 2014, Trabelsi contro Belgio; 26 aprile 2016, Murray contro Paesi Bassi; 4 ottobre 2016, T.P. e A.T. contro Ungheria).
In riferimento alla figura dell'ergastolo ostativo, proprio dell'ordinamento italiano, la Corte EDU ha di recente escluso la compatibilità con la Convenzione EDU della disciplina nazionale che subordina l’accesso alla liberazione condizionale da parte del condannato all’ergastolo per gli specifici delitti dell’art. 4-bis alla sola condizione della collaborazione con la giustizia. Con la sentenza Viola c. Italia, con riguardo alla preclusione alla liberazione condizionale di un condannato – non collaborante - per uno dei delitti di cui all’art. 4-bis OP, la Corte Europea ha individuato il tema centrale nel valutare se le finalità di politica criminale perseguite per mezzo della previsione della necessità della collaborazione (fuori dei, casi, ovviamente, della impossibilità o inesigibilità della stessa) costituisca un sacrificio eccessivo delle prospettive di liberazione del condannato all'ergastolo e della possibilità che questi chieda il riesame della pena.
A tal proposito ha osservato che la mancanza di collaborazione non può sempre essere ricondotta ad una scelta libera e volontaria o, comunque, al fatto che siano mantenuti i legami con il gruppo criminale di appartenenza. Ed ha rilevato che non può escludersi che, nonostante la collaborazione con la giustizia, non vi sia dissociazione effettiva dall'ambiente criminale, perché la scelta di collaborare ben può essere soltanto opportunistica, compiuta in vista del conseguimento dei vantaggi che ne derivano.
Se la collaborazione viene intesa come l'unica forma possibile di manifestazione della rottura dei legami criminali - ha proseguito la Corte Edu - si trascura la considerazione di quegli elementi che fanno apprezzare l'acquisizione di progressi trattamentali del condannato all'ergastolo nel suo percorso di reinserimento sociale e si omette di valutare che la dissociazione dall'ambiente criminale ben può essere altrimenti desunta.
La presunzione assoluta di pericolosità insita nella mancanza di collaborazione è dunque d'ostacolo alla possibilità di riscatto del condannato che, qualunque cosa faccia durante la detenzione carceraria, si trova assoggettato a una pena immutabile e non passibile di controlli, privato di un giudice che possa valutare il suo percorso di risocializzazione.
La conclusione della Corte di Strasburgo è stata duplice: l'ergastolo ostativo non può essere definito pena perpetua effettivamente riducibile ai sensi dell'art. 3 della Convenzione; la situazione esaminata rivela "un problema strutturale", legato alla presunzione assoluta di pericolosità fondata sull'assenza di collaborazione, meritevole di una iniziativa riformatrice in modo che sia garantita la possibilità di un riesame della pena.
Articolo 3
(Disposizioni transitorie in materia di divieto di concessione dei benefìci penitenziari)
L’articolo 3 prevede una disciplina transitoria da applicare ai condannati non collaboranti per reati “ostativi” commessi anteriormente all’entrata in vigore della riforma, con riguardo alle specifiche disposizioni che rendono più gravoso il regime di accesso ai benefici penitenziari e alla liberazione condizionale.
Il comma 1 dispone in merito al regime transitorio della disposizione introdotta dall’articolo 1, comma 1, lettera a) (vedi scheda relativa all’art. 1) la quale estende il regime differenziato per l’accesso ai benefici penitenziari anche in caso di esecuzione di pene inflitte per delitti diversi da quelli ostativi, quando il giudice della cognizione o dell’esecuzione accertino che tali delitti sono stati commessi per eseguire od occultare uno dei reati ostativi ovvero per conseguire o assicurare al condannato o ad altri il prodotto o il profitto o il prezzo ovvero l’impunità di detti reati.
Trattandosi di una modifica di natura peggiorativa, in quanto estende il novero dei delitti “ostativi”, il decreto legge in esame ne limita l’applicazione prevedendo che la stessa non si applichi quando il delitto “non ostativo” sia stato commesso prima della data di entrata in vigore del decreto stesso.
Il comma 2 introduce le norme transitorie conseguenti alla nuova disciplina (art. 1 del decreto in esame) delle condizioni di accesso ai benefici penitenziari e alla soppressione delle disposizioni relative alle ipotesi di collaborazione impossibile (tale in ragione della limitata partecipazione al fatto criminoso, ovvero dell’integrale accertamento dei fatti e delle responsabilità) o irrilevante (tale allorché al detenuto o internato sia stata applicata una delle circostanze attenuanti previste dall’art. 62 n. 6 c.p., dall’art. 114 c.p. ovvero dall’art. 116 co. 2 c.p.).
Prima dell’entrata in vigore del decreto legge in esame, il comma 1-bis, dell’art. 4-bis, per i reati “ostativi” prevedeva il superamento del divieto di ammissione ai benefici - purché fossero stati acquisiti elementi tali da escludere l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva - altresì nelle due ipotesi di c.d. collaborazione impossibile o irrilevante e cioè nei casi:
· di impossibilità di un’utile collaborazione con la giustizia determinata dalla limitata partecipazione al fatto criminoso, accertata nella sentenza di condanna, ovvero dall'integrale accertamento dei fatti e delle responsabilità, operato con sentenza irrevocabile;
· in cui, anche se la collaborazione che viene offerta risulti oggettivamente irrilevante, nei confronti dei medesimi detenuti sia stata applicata la circostanza attenuante dell’avvenuto risarcimento del danno (art. 62, numero 6, c.p.), oppure quella della minima partecipazione al fatto (art.114 c.p.) ovvero se il reato è più grave di quello voluto (art. 116, secondo comma, c.p.)
Il nuovo regime delle condizioni di accesso ai benefici, alle misure alternative e alla liberazione condizionale risulta, per i soggetti condannati per reati ostativi che rientrano nelle situazioni di collaborazione impossibile o irrilevante, più gravoso di quello previsto dalla normativa antecedente al decreto. Tali situazioni non hanno infatti rilievo nella nuova disciplina, mentre nel previgente dell’art. 4 bis comma 1-bis erano equiparate alla collaborazione: il decreto legge - sopprimendo le previgenti disposizioni- dispone che il giudice proceda al vaglio delle condizioni previste dai nuovi commi 1 bis e 1bis.1 per l’accesso ai benefici anche in situazioni in cui la collaborazione risulterebbe impossibile o irrilevante
Il comma 2 dispone quindi che ai condannati che, prima della data di entrata in vigore della riforma, abbiano commesso i reati ostativi di cui al comma 1 dell’articolo 4-bis O.P., nei casi di collaborazione impossibile o irrilevante (v. sopra):
· le misure alternative alla detenzione e la liberazione condizionale possono essere concesse, secondo la procedura che agli stessi si applicava prima dell’entrata in vigore del decreto legge (comma 2 dell'articolo 4-bis O.P)., purché siano acquisiti elementi tali da escludere l'attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva;
· ai condannati alla pena dell’ergastolo non si applicano né la disposizione che prevede il termine di 30 anni invece di 26 per l’accesso alla liberazione condizionale, né quella in base alla quale occorrono 10 anni invece di 5 per estinguere la pena dell'ergastolo e revocare le misure di sicurezza personali ordinate dal giudice; in ogni caso invece si applica la nuova disposizione secondo la quale la libertà vigilata comporta sempre per il condannato il divieto di incontrare o mantenere comunque contatti con soggetti condannati per i gravi specifici reati o sottoposti a misura di prevenzione.
In merito, si ricorda che la Corte costituzionale, con la sentenza n. 32 del 2020 ha dichiarato costituzionalmente illegittima l’efficacia retroattiva dell’estensione dei limiti di accesso a varie misure alternative stabiliti dall’art. 4-bis ord. pen. (compreso l’effetto indiretto rappresentato dal divieto di sospensione dell’ordine di esecuzione previsto dall’art. 656, comma 9, c.p.p.) con riguardo ai condannati per reati contro la pubblica amministrazione commessi prima dell’entrata in vigore della legge n. 3/2019. La Corte ha specificato che «di regola, le pene detentive devono essere eseguite in base alla legge in vigore al momento della loro esecuzione, salvo però che tale legge comporti, rispetto al quadro normativo vigente al momento del fatto, una trasformazione della natura della pena e della sua incidenza sulla libertà personale. In questa ipotesi, infatti, l'applicazione retroattiva è incompatibile con l'art. 25, secondo comma, Cost., anche per l'intuitiva evidenza degli effetti distorsivi prodotti dal mutamento del quadro normativo sull'esecuzione della pena rispetto alle scelte difensive degli imputati, esposti a conseguenze sanzionatorie affatto impreviste e imprevedibili, i cui effetti sono però irrevocabili. Se l'art. 25, secondo comma, Cost. non si oppone a un'applicazione retroattiva delle modifiche derivanti dalla disposizione censurata alla disciplina dei meri benefici penitenziari, e in particolare dei permessi premio e del lavoro all'esterno, in quanto il rendere più gravose le condizioni al loro accesso non determina una trasformazione della natura della pena da eseguire, la conclusione opposta si impone, invece, in relazione agli effetti prodotti sul regime di accesso alle misure alternative alla detenzione, e in particolare all'affidamento in prova al servizio sociale, alla detenzione domiciliare nelle sue varie forme e alla semilibertà, poiché trattasi di misure di natura sostanziale che incidono sulla qualità e quantità della pena. La medesima conclusione si impone - in forza del rinvio "mobile" di cui all'art. 2 del d.l. n. 152 del 1991 - per la liberazione condizionale, istituto funzionalmente analogo alle misure alternative alla detenzione, anch'esso finalizzato al graduale reinserimento del condannato nella società».
Articolo 4
(Modifiche all’articolo 25 della legge 13 settembre 1982, n. 646)
L’articolo 4 estende la platea dei soggetti nei confronti dei quali la Guardia di finanza ha la facoltà di procedere ad indagini fiscali e patrimoniali, ricomprendendovi tutti i detenuti ai quali sia stato applicato il regime carcerario previsto dall’art. 41-bis OP.
L’articolo 4 interviene sull’art. 25 della legge n. 646 del 1982, che contiene la disciplina relativa alla possibilità per il nucleo di polizia economico-finanziaria del Corpo della guardia di finanza di procedere alla verifica della posizione fiscale, economica e patrimoniale delle persone nei cui confronti:
- sia stata emanata sentenza di condanna anche non definitiva per taluno dei reati previsti dall'articolo 51, comma 3-bis, c.p.p.;
Come è noto, l'articolo 51 comma 3-bis, attribuisce alla procura distrettuale le indagini relative a specifici gravi delitti (per la disamina dei quali si rinvia alla scheda relativa all’articolo 1).
- sia stata emanata sentenza di condanna, anche non definitiva, per il delitto di trasferimento fraudolento di valori (art. 512 bis c.p.);
- sia stata disposta, con provvedimento anche non definitivo, una misura di prevenzione ai sensi della legge 31 maggio 1965, n. 575 (Disposizioni contro le organizzazioni criminali di tipo mafioso, anche straniere).
L’articolo 25 della legge n. 646 del 1982 specifica che la verifica del nucleo di polizia economico-finanziaria del Corpo della guardia di finanza è effettuata ai fini dell'accertamento di illeciti valutari e societari e comunque in materia economica e finanziaria, anche allo scopo di verificare l'osservanza della disciplina dei divieti autorizzatori, concessori o abilitativi di cui all'articolo 10 della legge n. 575 del 1965.
La novella è volta ad estendere la platea dei soggetti nei cui confronti possono svolgersi le verifiche della Guardia di finanza, ricomprendendovi tutti i detenuti ai quali sia stato applicato il regime carcerario previsto dall’art. 41-bis OP (lett.a)..
Si segnala che la disposizione in commento, che non concerne specificamente il tema dell’accesso ai benefici penitenziari per i condannati per reati ostativi, riproduce il testo di una disposizione contenuta nella più volte citata proposta di legge approvata dalla Camera dei deputati (AS 2754).
Per consentire alla Guardia di finanza di procedere con le verifiche, la disposizione in commento prevede che una copia del decreto del Ministro della Giustizia, che dispone l’applicazione del regime carcerario previsto dall’art. 41-bis O.P., sia trasmessa al nucleo di polizia economico-finanziaria competente per le verifiche (lett. b).
Articolo 5
(Norme in materia di occupazioni abusive e organizzazione di raduni illegali)
L’articolo 5 introduce nel codice penale, all’articolo 434-bis, il nuovo delitto di “Invasione di terreni o edifici per raduni pericolosi per l’ordine pubblico o l’incolumità pubblica o la salute pubblica”, in base al quale sono puniti, con la pena della reclusione da tre a sei anni e con la multa da euro 1.000 a euro 10.000, coloro che organizzano o promuovono l’invasione e, con una pena ridotta, i meri partecipanti. E' prevista inoltre la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere l’invasione, nonché di quelle utilizzate nei casi medesimi per realizzare le finalità dell’occupazione.
Più nel dettaglio l'articolo 5 introduce nel codice penale, tra i delitti contro l'incolumità pubblica (disciplinati dal Libro II Titolo VI del codice penale), l'articolo 434-bis, il quale disciplina il reato di invasione di terreni o edifici per raduni pericolosi per l'ordine pubblico, o l'incolumità pubblica o la salute pubblica.
Il primo comma dell'articolo 434-bis c.p. definisce gli elementi che concretizzano la nuova fattispecie, precisando che essa consiste nell’invasione arbitraria di terreni o edifici altrui, pubblici o privati, commessa da un numero di persone superiore a cinquanta, allo scopo di organizzare un raduno, quando dallo stesso può derivare un pericolo per l’ordine pubblico o l’incolumità pubblica o la salute pubblica.
Il nuovo delitto si configura come un reato di pericolo astratto, connotato da una anticipazione dello stadio di tutela, essendo la fattispecie incentrata sull'invasione commessa allo scopo di organizzare un raduno potenzialmente pericoloso.
Si rileva peraltro che non risultano tipizzate nel dettaglio le modalità di offesa ai beni giuridici dell’ordine pubblico, dell’incolumità e della salute pubblica.
Secondo quanto precisato nella relazione illustrativa, il nuovo reato mira a "rafforzare il sistema di prevenzione e di contrasto del fenomeno dei grandi raduni musicali, organizzati clandestinamente (c.d. rave party)". Si osserva tuttavia che il tenore letterale della disposizione non appare riferibile alla sola fattispecie richiamata nella relazione.
Si valuti l’opportunità di verificare la coerenza della formulazione con le finalità indicate nella relazione.
La condotta descritta nel primo comma del nuovo articolo 434-bis c.p. richiama quella descritta nell'articolo 633 c.p. inserendovi ulteriori elementi, quali il dolo specifico "di organizzare un raduno" dal quale possa derivare, come detto, un pericolo per l'ordine pubblico, l'incolumità o la salute pubblica e il numero di più di cinquanta persone necessario per integrare la soglia dell'invasione penalmente rilevante. L'articolo 633 c.p. - occorre ricordare disciplina il reato di invasione di terreni o edifici. Sistematicamente il reato è collocato nel Titolo XIII, Libro II, del codice penale tra i delitti contro il patrimonio. Ai sensi dell'articolo 633 c.p. chiunque invade arbitrariamente- ovvero senza legittimo titolo di accesso - terreni o edifici altrui, pubblici o privati, al fine di occuparli o di trarne altrimenti profitto, è punito, a querela della persona offesa, con la reclusione da uno a tre anni e con la multa da euro 103 a euro 1.032. Si applica, peraltro, la pena della reclusione da due a quattro anni e della multa da euro 206 a euro 2.064 e si procede d’ufficio se il fatto è commesso da più di cinque persone o se il fatto è commesso da persona palesemente armata. Infine, se il fatto è commesso da due o più persone, la pena per i promotori o gli organizzatori è aumentata.
Con riguardo alla condotta la nozione di "invasione" è necessario rilevare come essa, oltre a dover essere connotata da una durata apprezzabile nel tempo, non richieda modalità esecutive violente, ma si sostanzi nel mero comportamento arbitrario, tipico di chi si introduce nell'altrui proprietà contra ius, in quanto privo del diritto di accesso (Cass., sez II, Sentenza n. 53005 del 2016). La condotta di "invasione" si realizza nel momento in cui il soggetto si introduce nell'edificio o sul fondo; poiché è richiesto il fine di «occuparli» o di «trarne altrimenti profitto», la fattispecie non sarà integrata dalla semplice «introduzione» o in un «accesso» arbitrario sul fondo o nell'edificio altrui bensì da una condotta idonea a turbare il pacifico godimento del bene da parte del titolare. La nota dell'"arbitrarietà" è finalizzata, a ben vedere, a escludere la penale rilevanza delle condotte di invasione direttamente autorizzate dall'ordinamento, dalle autorità competenti o dall'avente diritto; l'eventuale violenza alla persona o alle cose può quindi integrare gli estremi di altro reato concorrente, quale la violenza privata o il danneggiamento. Soggetti attivi del reato possono essere tutti coloro che non hanno titolo all'introduzione nell'edificio o sul terreno; tra costoro, secondo un costante orientamento, può essere compreso anche il proprietario dell'immobile purché al momento del fatto si trovi privo del possesso o comunque del godimento del bene: tale conseguenza si ricava dell'interpretazione del termine "altrui" riferito agli immobili oggetto di invasione, il quale individuerebbe il soggetto passivo nel titolare di qualsiasi diritto di godimento sull'immobile.
Con specifico riguardo ai rave party la Cassazione penale sez. II, 28/06/2016, n.43120 ha affermato che non concorre nell'invasione chi partecipa ad un rave in un capannone perché invitato. Secondo la Corte, l'aggravante prevista dall'art. 633, secondo comma, c.p. esige che le più persone concorrenti agiscano riunite, nel senso che esse siano simultaneamente presenti sul luogo del delitto e che unitamente impieghino la loro azione per la consumazione del delitto stesso (nella specie, relativa alla contestazione del reato di invasione all'imputato, che aveva fatto accesso ad un capannone per organizzare un rave party, approntando le luci e i suoi, dove escludersi che avessero concorso nel reato le centinaia di persone che avevano partecipato alla festa "rave" avendone avuto notizia tramite volantinaggio).
E' appena il caso di ricordare con riguardo alle occupazioni studentesche come la Cass. pen. Sez. II, con la sentenza n. 22/02/2000, n. 1044, abbia ritenuto non applicabile l'art. 633 c.p, perchè tale norma ha lo scopo di punire solo l'arbitraria invasione di edifici pubblici e non qualsiasi occupazione illegittima, come l'occupazione degli studenti. Secondo la Suprema Corte è radicalmente erroneo l'orientamento giurisprudenziale secondo cui l'iniziale diritto degli studenti di accedere all'edificio scolastico si tramuta in condotta illecita quando questi si rifiutino di ottemperare all'intimazione di sgombero del preside o dell'autorità di polizia, perché equiparando il concetto di "ingresso arbitrario" con quello di "permanenza" non consentita viola il principio di determinatezza e di legalità dal momento che recepisce il meccanismo della vietata analogia in malam partem. L'edificio scolastico, inoltre, pur appartenendo allo Stato, non costituisce una realtà estranea agli studenti, che non sono semplici frequentatori, ma soggetti attivi della comunità scolastica e pertanto non si ritiene che sia configurabile un loro limitato diritto di accesso all'edificio scolastico nelle sole ore in cui è prevista l'attività didattica in senso stretto.
Con riguardo alla organizzazione di rave party nella veranda privata di una abitazione disabitata la condotta dell'organizzatore è stata ritenuta in un caso rilevante ai fini della integrazione del reato di violazione di domicilio ex art. 614 c.p. "atteso che le particolari condizioni del luogo, vale a dire, l'esistenza di un manufatto, rappresentato dalla struttura della veranda, il rapporto di pertinenzialità con un'abitazione e l'esistenza di cancelli, rendevano immediatamente percepibile l'altruità del luogo, nonostante la sua libera accessibilità dalla spiaggia" (Cassazione penale sez. V, 14/09/2022, n.37881).
Si ricorda inoltre che l’art. 68 T.U.L.P.S. prevede, inoltre, che senza licenza del Questore non si possono dare in luogo pubblico o aperto o esposto, al pubblico, accademie, feste da ballo, corse di cavalli, nè altri simili spettacoli o trattenimenti, e non si possono aprire o esercitare circoli, scuole di ballo e sale pubbliche di audizione. Per eventi fino ad un massimo di 200 partecipanti e che si svolgono entro le ore 24 del giorno di inizio, la licenza è sostituita dalla segnalazione certificata di inizio attività di cui all'articolo 19 della legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni, presentata allo sportello unico per le attività produttive o ufficio analogo.
Con specifico riguardo al fenomeno dei c.d. rave party si ricorda che la Corte di Cassazione, richiamando anche la giurisprudenza della Corte costituzionale (sentenza n. 56 del 1970 con la quale è stata dichiarata la illegittimità costituzionale dell'art. 68 T.U.L.P.S., in quanto, unitamente all''art. 666 c.p., violativi dell'art. 17 della Costituzione, nella parte in cui si riferivano a trattenimenti non indetti nell'esercizio di attività imprenditoriale) ha escluso che questi raduni possano essere sottoposti alla preventiva autorizzazione della autorità di pubblica sicurezza. Nel caso in questione un soggetto era stato condannato dal Tribunale di Pisa per avere organizzato, in concorso con altre persone non identificate, senza alcuna autorizzazione, un «rave party» in luogo pubblico, in violazione dell'art. 68 T.U.L.P.S. essendo stato colto al mattino nell'atto di caricare su un furgone, dal medesimo noleggiato, apparecchi audio impiegati per la diffusione sonora; ricorreva in Cassazione, sostenendo il difetto dell'imprenditorialità della condotta e la mancata apertura al pubblico del terreno, ove si era svolta la festa privata cui egli aveva partecipato. La Corte quindi con la Sentenza n. 36228 del 21 luglio 2017 ha accolto il ricorso e annullato la sentenza di condanna perché il fatto non sussiste. Secondo la ricostruzione della Corte sotto un profilo giuridico/fattuale, i rave party sono delle riunioni in luoghi pubblici o aperti al pubblico e, salvo prova contraria, non aventi finalità imprenditoriali e/o di lucro e, per questo sottoposti alle garanzie di libertà previste dall'art. 17 della Costituzione.
Il secondo comma dell’articolo 434-bis c.p. punisce chiunque organizzi o promuova l’invasione - nei termini definiti dal comma primo- con la pena della reclusione da tre a sei anni e con la multa da euro 1.000 a euro 10.000. Per la mera partecipazione all’invasione è prevista una diminuzione di pena, fino a un terzo (terzo comma).
Il nuovo reato, strutturato come delitto doloso, appare peraltro tratteggiato sul modello dei reati associativi nella parte in cui sul piano sanzionatorio distingue le condotte, da un lato, di organizzazione e promozione di invasione finalizzata a raduni pericolosi, punita con la reclusione da tre a sei anni e con la multa da 1.000 a 10.000 euro e, dall'altro, di partecipazione, punita con la pena suddetta diminuita fino a un terzo. Con "organizzatore" sembra doversi intendere chi programma la logistica dell’evento, o individua il luogo del raduno, o chi contatta persone e/o predispone mezzi per l’invasione arbitraria o per la futura fruizione dei luoghi occupati. Sicuramente più problematica appare la tipizzazione della condotta di promozione, che si rivela proprio in ragione degli strumenti - peraltro espressamente richiamati nella relazione - utilizzati per tale attività (social network e chat) estremamente ampia (dalla condivisione di un post su un profilo social all'invio di un messaggio in una chat di whatsapp). Con partecipazione sembra infine doversi intendere il prendere parte all'invasione con la finalità di raduno pericoloso, senza aver avuto ruoli organizzativi o di promozione. Relativamente a quest'ultima condotta occorre rilevare come nei reati nei quali si differenziano le condotte degli organizzatori da quelle dei partecipanti (si pensi ai già ricordati reati associativi) le cornici edittali appaiono più differenziate. Il reato in esame è procedibile d'ufficio, non è quindi necessaria la querela del proprietario del terreno o dell’edificio occupati, come invece previsto dall’art. 633 del Codice Penale (invasione di terreni o edifici), salvo che l’occupazione avvenga ad opera di più di cinque persone. Inoltre tenuto conto dei limiti edittali previsti per il reato in esame è consentito almeno per gli organizzatori il ricorso - ex articolo 266 c.p.p. - allo strumento delle intercettazioni, nonché l'applicazione della custodia cautelare in carcere. La collocazione sistematica del nuovo reato nel Titolo VI del Libro II c.p. intitolato ai delitti contro l'incolumità pubblica consente inoltre l'arresto obbligatorio in flagranza (art. 380, comma 2, lett. c) c.p.p.).
Il quarto comma dell’articolo 434-bis c.p. dispone che venga sempre ordinata la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere l’invasione, nonché di quelle utilizzate nei casi medesimi per realizzare le finalità dell’occupazione.
Si segnala che la disposizione fa riferimento al primo comma dell'articolo 434-bis, nel quale tuttavia non viene menzionato nessun reato, ma solo la definizione di “invasione” penalmente rilevante.
Il comma 2 dell’articolo 5 del decreto-legge, mediante la modifica dell'articolo 4 del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159 (codice antimafia), consente l'applicazione delle misure di prevenzione personali ai soggetti indiziati del delitto di cui all'articolo 434-bis c.p.
L'articolo 4 del codice antimafia individua i soggetti destinatari delle misure di prevenzione personali applicate dall'autorità giudiziaria: si tratta delle misure di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza e dell'obbligo di soggiorno nel comune di residenza o di dimora abituale. Occorre rilevare che, in forza del rinvio all'articolo 4 contenuto nell'articolo 16 del Codice antimafia possono trovare applicazione con riguardo ai soggetti indiziati del nuovo delitto anche le misure di prevenzione patrimoniali (sequestro e confisca anche per equivalente).
Il comma 3 dell'articolo 5 del decreto in conversione stabilisce che esse trovino applicazione a decorrere dal giorno successivo a quello della pubblicazione del decreto nella Gazzetta Ufficiale.
Articolo 6
(Differimento dell'entrata in vigore della c.d. riforma Cartabia)
L’articolo 6 rinvia dal 1° novembre 2022 al 30 dicembre 2022 l’entrata in vigore del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, di attuazione della delega per la riforma del processo penale.
Più nel dettaglio l'articolo 6 del decreto-legge in conversione aggiunge al decreto legislativo n. 150 del 2022 un nuovo articolo, l'articolo 99-bis, rubricato "Entrata in vigore" che prevede che il decreto legislativo n. 150 del 2022 entri in vigore il 30 dicembre 2022.
Come evidenzia la relazione illustrativa, la tecnica normativa utilizzata è quella della novella al testo del d.lgs. n. 150/2022, al fine di collocare l’intera disciplina in un unico corpus normativo e agevolarne la lettura e l’applicazione. La scelta di un rinvio dell’entrata in vigore, piuttosto che di una applicabilità o efficacia delle disposizioni è imposta dalla necessità di assicurare la corretta e certa operatività anche delle disposizioni transitorie contenute nel Titolo VI del decreto legislativo, che assumono proprio nell’entrata in vigore del decreto il punto di riferimento per l’applicazione differenziata di vecchi e nuovi istituti.
Per effetto del decreto-legge l’entrata in vigore della riforma penale, prevista per il 1 novembre del 2022, è differita al 30 dicembre del 2022.
Sulle ragioni del rinvio la relazione illustrativa precisa: "L’intervento si giustifica per la riscontrata necessità di approntare misure attuative adeguate a garantire un ottimale impatto della riforma sull'organizzazione degli uffici. Il differimento consentirà, inoltre, una analisi delle nuove disposizioni normative, agevolando l'individuazione di prassi applicative uniformi ed utili a valorizzare i molti aspetti innovativi della riforma". "In ogni caso, - aggiunge sempre la relazione illustrativa - il rinvio dell’entrata in vigore è contenuto entro la data del 30 dicembre 2022, in quanto si tratta di un lasso di tempo certamente sufficiente ai fini indicati e che permette di mantenere gli impegni assunti in relazione al PNRR".
E' opportuno ricordare che la riforma del processo penale
[1]
, incentrata sull'obiettivo della riduzione del tempo del giudizio, è inserita dal PNRR tra le c.d. riforme orizzontali, o di contesto, che consistono in innovazioni strutturali dell'ordinamento, tali da interessare, in modo trasversale, tutti i settori di intervento del Piano.
In particolare, il PNRR prevede i seguenti traguardi:
- che l'approvazione definitiva della legge delega (M1C1–30) debba intervenire entro il quarto trimestre (T4) del 2021 (obiettivo raggiunto con la legge n. 134 del 2021);
- che i decreti delegati (M1C1-36) debbano essere emanati entro il quarto trimestre (T4) del 2022;
- che la riforma del processo penale (M1C1-37), con l'adozione di tutti i regolamenti e delle disposizioni attuative necessarie, acquisti efficacia entro il secondo trimestre (T2) del 2023.
A partire dal 2026 si dovranno quindi raggiungere gli obiettivi di riduzione della durata dei procedimenti penali (M1C1-46). In particolare, per il mese di giugno del 2026 è richiesta la riduzione del 25% dei tempi di trattazione di tutti i procedimenti penali rispetto al 2019.
Articolo 7
(Cessazione dell'obbligo di vaccinazione contro il COVID-19)
L’articolo 7 stabilisce [2] che le norme transitorie sull'obbligo di vaccinazione contro il COVID-19 [3] per i lavoratori che operano nei settori sanitario, sociosanitario e socioassistenziale non trovano più applicazione dal 2 novembre 2022, in luogo del termine finale previgente del 31 dicembre 2022.
Più in particolare, le categorie interessate - le uniche per le quali l'obbligo in esame trovava ancora applicazione - sono costituite da:
-
gli esercenti una professione sanitaria. Si ricorda che l’ambito delle professioni sanitarie comprende i soggetti iscritti agli albi professionali degli ordini
[4]
: dei medici-chirurghi e degli odontoiatri; dei veterinari; dei farmacisti; dei biologi; dei fisici e dei chimici; delle professioni infermieristiche; della professione di ostetrica; dei tecnici sanitari di radiologia medica e delle professioni sanitarie tecniche, della riabilitazione e della prevenzione; degli psicologi;
-
gli operatori di interesse sanitario che svolgano la loro attività nelle strutture sanitarie, sociosanitarie e socio-assistenziali, pubbliche e private, nelle farmacie o parafarmacie e negli studi professionali
[5]
;
-
i lavoratori, anche esterni, operanti a qualsiasi titolo in strutture di ospitalità e di lungodegenza, residenze sanitarie assistite (RSA), hospice, strutture riabilitative, strutture residenziali per anziani e strutture socio-assistenziali, strutture semiresidenziali o strutture che a qualsiasi titolo ospitino persone in situazione di fragilità;
-
il personale che svolge la propria attività lavorativa, a qualsiasi titolo, nelle strutture sanitarie e sociosanitarie, ad eccezione dei lavoratori titolari di contratti esterni e ferma restando l'inclusione anche di questi ultimi soggetti qualora si ricada nelle fattispecie specifiche sopra menzionate;
-
gli studenti dei corsi di laurea impegnati nello svolgimento di tirocini pratico-valutativi, intesi al conseguimento dell'abilitazione all'esercizio delle professioni sanitarie.
Si ricorda che l’inadempimento dell’obbligo per le categorie in esame ha determinato la sospensione dall’esercizio della professione, il divieto di svolgimento dell’attività lavorativa (ovvero, per gli studenti suddetti, il divieto di accesso alle strutture in cui si svolgono i tirocini pratico-valutativi), oltre all’irrogazione di una sanzione amministrativa pecuniaria pari a cento euro [6] .
Si ricorda altresì che le norme transitorie sull'obbligo di vaccinazione contro il COVID-19 hanno previsto - oltre che il differimento per i casi di infezione e guarigione dalla medesima malattia - l'esclusione dall'obbligo per i soggetti aventi una controindicazione clinica alla vaccinazione in oggetto.
Articoli 8 e 9
(Invarianza finanziaria. Entrata in vigore)
L’articolo 8 reca la clausola di invarianza finanziaria.
L'articolo 9 dispone che il decreto-legge entri in vigore il giorno stesso della sua pubblicazione in Gazzetta Ufficiale. Il decreto-legge è dunque vigente dal 31 ottobre 2022.
[1] Per un commento più analitico del contenuto della riforma si rinvia al Dossier del Servizio studi sul decreto legislativo n. 150. E' opportuno segnalare che il Dipartimento per gli Affari di Giustizia del Ministero della Giustizia ha emanato tre circolari relative ad alcune delle novità apportare dalla Riforma Cartabia in materia di: Udienza di comparizione predibattimentale a seguito di citazione diretta (circ. n. 212208 del 20 ottobre 2022); Processo in assenza (circ. n. 213319 del 21 ottobre 2022); Indagini preliminari (circ. n. 216881 del 26 ottobre 2022).
[2] Il presente articolo 7 reca novelle agli articoli 4, 4-bis e 4-ter del D.L. 1° aprile 2021, n. 44, convertito, con modificazioni, dalla L. 28 maggio 2021, n. 76, e successive modificazioni.
[3] L’obbligo comprendeva anche l’assunzione della dose di richiamo.
[4]
Riguardo agli ordini, cfr. l’articolo 1, comma 1, del D.Lgs.C.P.S. 13 settembre 1946, n. 233, e successive modificazioni, nonché, per l'ordine degli psicologi, l’articolo 01 della L. 18 febbraio 1989, n. 56.
[5] Si ricorda che il richiamato articolo 1, comma 2, della L. 1° febbraio 2006, n. 43, attribuisce alla competenza delle regioni l’individuazione dei profili (e dei relativi requisiti di formazione) degli operatori di interesse sanitario non riconducibili alle professioni sanitarie disciplinate a livello nazionale.
[6] Cfr., a quest’ultimo riguardo, l’articolo 4-sexies, comma 2, del citato D.L. n. 44 del 2021.