Camera dei deputati - Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa) |
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Autore: | RUE - Ufficio SG - Ufficio Rapporti con l'Unione europea |
Titolo: | Conferenza interparlamentare sul patrimonio culturale e sull'identità delle minoranze nazionali tradizionali |
Serie: | Documentazione per le Commissioni - Riunioni interparlamentari Numero: 53 |
Data: | 29/11/2024 |
Organi della Camera: | I Affari costituzionali, VII Cultura, XIV Unione Europea |
XIX LEGISLATURA
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Dossier n. 99
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Servizio studi
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Dossier n. 53
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Ordine del giorno
L’evoluzione del quadro normativo dell’Unione europea
La cultura nei Trattati sull’UE
Programmi di finanziamento e di sostegno per la cultura
Il progressivo emergere della tutela delle minoranze nell'UE: le minoranze "nazionali"
Carta dei diritti fondamentali dell’UE
Il ruolo delle Istituzioni dell’Unione europea per la tutela delle minoranze
Il ruolo dell’Agenzia dell’UE per i diritti fondamentali
Strumenti di programmazione e di indirizzo
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali
La legge n. 482 del 1999 sulle minoranze linguistiche storiche
La tutela delle minoranze nello Statuto speciale del Trentino Alto-Adige
Tutela delle minoranze linguistiche e culturali in Francia e in Spagna
Appendice - Lingue minoritarie nell'UE: dati comparativi (European Parliamentary Research Service)
Il 4 e 5 dicembre 2024 avrà luogo a Budapest una riunione interparlamentare sul tema Patrimonio culturale e identità delle minoranze nazionali tradizionali.
La conferenza rientra fra gli incontri organizzati nell’ambito della dimensione parlamentare della Presidenza ungherese del Consiglio dell’Unione europea nel secondo semestre del 2024. Essa prevede, dopo gli interventi di apertura, una sessione sul tema “patrimonio culturale e identità delle minoranze nazionali tradizionali”, seguita da una tavola rotonda sulle buone pratiche relative ai diritti delle minoranze nazionali in Europa.
All’incontro sono invitati a partecipare fino a quattro componenti per ciascun Parlamento, la cui distribuzione nei parlamenti bicamerali è libera. Poiché, per quanto riguarda la Camera, le materie oggetto della conferenza investono prevalentemente le competenze delle Commissioni I (Affari costituzionali) e VII (Cultura), parteciperanno il Presidente della VII Commissione on. Federico Mollicone e l’on. Pasqualino Penza, in rappresentanza della I Commissione.
Per quanto concerne il Senato è prevista invece la partecipazione delle senatrici Domenica Spinelli e Nicoletta Spelgatti, in rappresentanza della Commissione I (Affari costituzionali, affari della Presidenza del Consiglio e dell'Interno, ordinamento generale dello Stato e della Pubblica Amministrazione, editoria, digitalizzazione).
La cultura assume rilievo nei Trattati sull’Ue sia nell’ambito degli elementi costitutivi e degli obiettivi generali dell’Unione sia quale oggetto di una specifica politica dell’Unione.
Con riguardo al primo profilo, va evidenziato che la pluralità e diversità di popoli, lingue e patrimoni culturali è anzitutto un valore fondante dell’Unione europea come enfatizzato dal motto dell’Unione stessa “In Varietate Concordia” (Unità nella diversità).
Nel preambolo del Trattato sull'Unione europea (TUE) si fa poi esplicito riferimento, per un verso, alla volontà dei Paesi membri di ispirarsi “alle eredità culturali, religiose e umanistiche dell'Europa, da cui si sono sviluppati i valori universali dei diritti inviolabili e inalienabili della persona, della libertà, della democrazia, dell'uguaglianza e dello Stato di diritto”.
Per altro verso, si precisa che essi intendono con il processo di integrazione europea “intensificare la solidarietà tra i loro popoli rispettandone la storia, la cultura e le tradizioni”.
Tra gli obiettivi prioritari dell'UE, viene pertanto ribadito l'impegno dell’Unione a rispettare «la ricchezza della sua diversità culturale e linguistica e [a vigilare] sulla salvaguardia e sullo sviluppo del patrimonio culturale europeo» (articolo 3 TUE).
L'articolo 6 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE) stabilisce che, nel settore della cultura, l'Unione ha competenze "per svolgere azioni intese a sostenere, coordinare o completare l'azione degli Stati membri".
La specifica base giuridica per la politica dell’Ue nel settore si ritrova nell’articolo 167 del medesimo trattato che precisa oggetto, limiti e strumenti per l’azione europea in materia ed assegnando all’Unione il ruolo di favorire la cooperazione tra gli Stati membri sostenendo il miglioramento “della conoscenza e della diffusione della cultura e della storia dei popoli europei”, nonché la “conservazione e salvaguardia del patrimonio culturale” di rilevanza europea. La disposizione ribadisce anzitutto che l'Unione contribuisce al pieno sviluppo delle culture degli Stati membri nel rispetto delle loro diversità nazionali e regionali, evidenziando nel contempo il retaggio culturale comune.
Ribadisce altresì che l’azione dell'Unione è intesa ad incoraggiare la cooperazione tra Stati membri e, se necessario, ad appoggiare e ad integrare l'azione di questi ultimi nei seguenti settori:
- miglioramento della conoscenza e della diffusione della cultura e della storia dei popoli europei;
- conservazione e salvaguardia del patrimonio culturale di importanza europea;
- scambi culturali non commerciali;
- creazione artistica e letteraria, compreso il settore audiovisivo.
A questo scopo l'Unione e gli Stati membri favoriscono la cooperazione con i paesi terzi e le organizzazioni internazionali competenti in materia di cultura, in particolare con il Consiglio d'Europa.
Di particolare rilievo è la previsione del paragrafo 4 dell’articolo 167 secondo cui l'Unione “tiene conto degli aspetti culturali nell'azione che svolge a norma di altre disposizioni dei trattati, in particolare ai fini di rispettare e promuovere la diversità delle sue culture”.
Il paragrafo 5 indica gli strumenti giuridici che possono essere utilizzati dalle istituzioni dell’UE per la realizzazione degli obiettivi sopra richiamati:
- il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando secondo la procedura legislativa ordinaria e previa consultazione del Comitato delle regioni, adottano azioni di incentivazione, ad esclusione di qualsiasi armonizzazione delle disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri;
- il Consiglio, su proposta della Commissione, adotta raccomandazioni.
La natura specifica del patrimonio culturale è riconosciuta dall’articolo 107 del medesimo trattato (TFUE) in cui si afferma che gli aiuti di Stato destinati a promuovere la conservazione del patrimonio culturale sono compatibili con le norme del mercato interno se non alterano le condizioni degli scambi e della concorrenza.
L'articolo 13 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea stabilisce che "le arti e la ricerca scientifica sono libere". Inoltre, secondo l'articolo 22 della Carta, "l'Unione rispetta la diversità culturale, religiosa e linguistica".
- l’Agenda europea per la cultura, adottata il 22 maggio 2018 e attuata dalla risoluzione sul piano di lavoro dell'UE per la cultura (2023-2026) adottata dal Consiglio il 29 novembre 2022; la risoluzione si concentra su quattro priorità diverse, ma complementari: artisti e professionisti della cultura: rafforzare i settori culturali e creativi; cultura per i cittadini: accrescere la partecipazione culturale e il ruolo della cultura nella società; cultura per il pianeta: sfruttare il potere della cultura; cultura per i partenariati co-creativi: rafforzare la dimensione culturale delle relazioni esterne dell’UE;
- il programma Europa creativa, volto a sostenere i settori culturali e creativi, lanciato per la prima volta nel 2014 per un periodo di sette anni e poi nuovamente per gli anni 2021-2027 (il secondo programma garantisce 2,44 miliardi di EUR, pari a un aumento del 36 %), che si prefigge di salvaguardare, sviluppare e promuovere la diversità culturale e linguistica e il patrimonio culturale europei e di rafforzare la competitività e il potenziale economico dei settori culturali e creativi, in particolare quello audiovisivo;
- l’iniziativa dedicata alle capitali europee della cultura, avviata nel 1985 e ora estesa anche ai paesi dell'Associazione europea di libero scambio (EFTA) e dello Spazio economico europeo, una delle iniziative culturali più note e di maggiore successo dell'UE. Ogni anno due città di due diversi paesi dell'UE sono denominate Capitali europee della cultura, selezionate da una giuria di esperti indipendenti sulla base di un programma culturale che deve avere una forte dimensione europea, coinvolgere la popolazione locale di tutte le età e contribuire allo sviluppo a lungo termine della città. Le norme e le condizioni per ottenere la denominazione Capitale europea della cultura, valide fino al 2033 compreso, sono stabilite dalla decisione n. 445/2014/UE;
- il marchio del patrimonio europeo introdotto nel 2005 e istituito formalmente nel 2011 con l’obiettivo di rafforzare il dialogo interculturale e il senso di appartenenza all'UE dei cittadini europei. I siti del marchio del patrimonio europeo sono selezionati per il loro elevato valore simbolico, per il loro ruolo nella storia e nella cultura dell'Europa e dell'UE (dal 2013 il marchio è stato assegnato a 60 siti). Nel 2018 si è tenuto l'Anno europeo del patrimonio culturale volto a sottolineare il ruolo svolto dal patrimonio culturale dell'Europa nella promozione di un sentimento condiviso di storia e identità;
- i vari premi istituiti nel campo del patrimonio culturale, dell'architettura, della letteratura e della musica, il cui obiettivo è quello di riconoscere l'eccellente qualità e il successo delle attività europee in questi settori e di porre l'accento sull'opera di artisti, musicisti, architetti, scrittori e operatori del settore del patrimonio culturale. Essi servono inoltre a valorizzare la ricca diversità culturale dell'Europa, sottolineando l'importanza del dialogo interculturale e delle attività culturali transfrontaliere nell'UE e oltre.
- il nuovo Bauhaus europeo (NEB), avviato il 18 gennaio 2021. La comunicazione della Commissione pubblicata il 15 settembre 2021 descrive il NEB come un progetto creativo e interdisciplinare che costituisce un punto d'incontro tra arte, cultura, scienza e tecnologia per promuovere la creazione di spazi di vita in linea con il Green Deal europeo sostenendo: 1) spazi inclusivi e accessibili che favoriscano il dialogo tra diverse culture, discipline, generi ed età; 2) soluzioni sostenibili che rispettino gli ecosistemi del pianeta. Nel 2023, oltre 100 milioni di EUR di finanziamenti dell'UE erano già stati assegnati a progetti in tutta Europa, da allora i finanziamenti sono aumentati, con ulteriori 106 milioni di EUR di fondi destinati al periodo 2023-2024. Il nuovo Bauhaus europeo conta attualmente oltre 600 organizzazioni partner ufficiali e raggiunge pertanto milioni di cittadini;
- la tutela del patrimonio culturale offerta dalla direttiva 2014/60/UE, con cui l'UE mira a tutelare il patrimonio culturale nazionale conciliando la sua protezione con il principio della libera circolazione dei beni. La direttiva prevede la restituzione materiale dei beni culturali usciti illecitamente dal territorio di uno Stato membro dopo il gennaio 1993 e stabilisce meccanismi di cooperazione e procedure per garantire la restituzione dei beni usciti illecitamente;
- il Quadro d'azione europeo in materia di patrimonio culturale, documento di lavoro pubblicato dalla Commissione a seguito dell'Anno europeo del patrimonio culturale 2018. I cinque pilastri su cui si fonda sono: patrimonio culturale per un’Europa inclusiva: partecipazione e accesso per tutti; patrimonio culturale per un’Europa sostenibile: soluzioni intelligenti per un futuro coeso e sostenibile; patrimonio culturale per un’Europa resiliente: salvaguardia del patrimonio culturale in pericolo; patrimonio culturale per un’Europa innovativa: mobilitazione di conoscenze e attività di ricerca; patrimonio culturale per partenariati globali più forti: rafforzamento della cooperazione internazionale.
Il Parlamento ha approvato diverse risoluzioni in cui esprime il suo interesse di lunga data per le potenzialità delle industrie culturali e creative e la prospettiva di svilupparle. In particolare nel 2018 ha chiesto di raddoppiare le risorse per il nuovo programma Europa creativa (2021-2027), a seguito del quale il 14 dicembre 2020 è stato raggiunto un accordo che ha garantito un finanziamento di 2,2 miliardi di EUR per il programma, con un aumento del bilancio attuale del 36%.
Per quanto riguarda gli emendamenti relativi alla proposta della Commissione sul programma Europa creativa 2021-2027, il Parlamento ha proposto che i fondi siano distribuiti ai diversi programmi in percentuale anziché in cifre. Inoltre, il Parlamento è riuscito a includere nel programma un'attenzione particolare al settore musicale e all'inclusione, come la parità di genere. Il regolamento è stato adottato il 20 maggio 2021.
Il 20 ottobre 2021 ha quindi approvato una risoluzione sulla situazione degli artisti e la ripresa culturale nell'UE a seguito della pandemia da COVID-19, in cui si chiedeva uno "statuto europeo dell'artista" destinato a stabilire un quadro comune per le condizioni di lavoro e norme minime per gli artisti e gli operatori culturali in tutti i paesi dell'UE. La successiva risoluzione congiunta della commissione per la cultura e l'istruzione (CULT) e della commissione per l'occupazione e gli affari sociali (EMPL) approvata il 21 novembre 2023 chiede pertanto alla Commissione una proposta legislativa su un quadro dell'UE per la situazione sociale e professionale degli artisti e dei lavoratori nelle ICC.
Il 20 gennaio 2021 il Parlamento ha adottato una risoluzione sulla possibilità di garantire un'eredità politica efficace all'Anno europeo del patrimonio culturale, in cui si invita la Commissione e gli Stati membri a adottare misure più incisive, in particolare, per includere il patrimonio culturale delle minoranze presenti in Europa nelle riflessioni sul patrimonio europeo e a sostenere gli eventi culturali tradizionali europei e paneuropei. Inoltre, alla luce dell'attuale situazione in Ucraina, la commissione CULT ha chiesto uno studio sulla protezione del patrimonio culturale dai conflitti armati.
L'8 marzo 2022 il Parlamento ha approvato una risoluzione sul ruolo della cultura, dell'istruzione, dei media e dello sport nella lotta contro il razzismo, in cui invita i paesi dell'UE ad adottare misure per affrontare le radici strutturali del razzismo e della discriminazione nella cultura, nello sport e nei media.
Quanto al ruolo della cultura nelle relazioni esterne, il 14 dicembre 2022 il Parlamento ha adottato una risoluzione che valuta l'attuazione della nuova agenda europea per la cultura e della strategia dell'UE per le relazioni culturali internazionali. La risoluzione invita, tra l'altro, la Commissione e il SEAE a migliorare il loro coordinamento e ad adoperarsi per una strategia coerente e a lungo termine in materia di relazioni culturali internazionali, sostenuta da finanziamenti sufficienti. La risoluzione ribadisce inoltre la necessità di intensificare la lotta contro il traffico illecito di beni culturali e di restituire le opere e i manufatti culturali ai loro luoghi di origine nell'ambito della strategia di politica esterna degli Stati membri. A seguito di ciò, il 13 febbraio 2024 la commissione CULT ha tenuto uno scambio di opinioni sull'agenda dell'UE per la diplomazia culturale con il SEAE, la direzione generale dell'Istruzione, della gioventù, dello sport e della cultura (DG EAC) ed esperti esterni.
La tutela delle minoranze è venuta in rilievo, a partire dagli anni ‘80 parallelamente alla rivendicazione di autonomia decisionale e gestionale da parte delle comunità territoriali e degli enti che le rappresentano. Ne sono prova le risoluzioni adottate in quegli anni dal Parlamento europeo in cui il tema delle specificità culturali regionali e quello delle minoranze etniche sono trattati in maniera unitaria.
Secondo uno studio richiesto dalla Commissione per le petizioni (PETI) del Parlamento europeo (Linguistic and Cultural Diversity – Minority and Minoritised Languages as Part of European Linguistic and Cultural Diversity, 2023), nell’UE sono presenti 29 Stati-nazione e almeno 158 minoranze nazionali, 24 lingue ufficiali di Stato e almeno 22 lingue minoritarie. Le minoranze nazionali rappresentano solo il 7% della popolazione, ma corrispondono all'89% della diversità culturale e linguistica all'interno dell'UE.
Che il tema della diversità culturale e quello della emersione delle istanze regionali siano collegati è dimostrato proprio dall’articolo 128 del Trattato che istituisce la Comunità europea relativo alla “Cultura”, in base al quale “la Comunità contribuisce al pieno sviluppo delle culture degli Stati membri nel rispetto delle loro diversità nazionali e regionali”
La rivendicazione di un maggiore protagonismo da parte di enti e associazioni rappresentativi dei territori ha portato all’istituzione, ad opera del Trattato di Maastricht, del Comitato delle Regioni. In quanto sede di rappresentanza, nel processo decisionale dell’UE, delle esigenze delle collettività regionali e locali, esso ha finito col divenire il veicolo anche delle istanze delle minoranze, facendo emergere il loro collegamento con la necessità di tutelare e valorizzare la diversità culturale dell’UE.
L’attenzione al tema delle minoranze nazionali nell’agenda dell’Unione europea cresce specialmente in relazione all’allargamento dell’Unione europea. Questo ha comportato la necessità di definire criteri utili a determinare l’ammissibilità dei paesi candidati e tale tendenza è dimostrata dai criteri di Copenaghen e dall’Agenda 2000 della Commissione europea per un’Unione più forte e più ampia.
Il riferimento nelle Conclusioni del Consiglio europeo di Copenaghen del 21-22 giugno 1993 alla necessità che gli Stati candidati alla adesione dovessero raggiungere «una stabilità istituzionale che garantisse […] la protezione delle minoranze» dimostra la crescente sensibilità verso il problema.
Il Trattato di Amsterdam, nel prevedere, all’articolo 6, par. 1 TUE, i principi su cui si fonda l’Unione, non fa ancora alcun esplicito riferimento alle minoranze, ma introduce l’articolo 13 TCE relativo al contrasto alle discriminazioni basate, tra l’altro, sulla razza e l’origine etnica o la religione.
Per quanto concerne il diritto derivato, l’Unione europea ha dato ampia attuazione al principio di non discriminazione affermato dal TUE, attraverso:
· la Direttiva 2000/78/CE del Consiglio del 27 novembre 2000 che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro;
I tre atti non fanno specifico riferimento esplicito alle minoranze, anche se il divieto di discriminazioni basate sulla razza e sull’origine etnica, di cui alla Direttiva 2000/43, e il riferimento alla religione, di cui alla Direttiva 2000/78, garantiscono forme di protezione ai gruppi minoritari presenti negli Stati membri.
A fronte delle lacune in sede normativa per quanto riguarda la tutela esplicita e diretta delle minoranze, non mancano azioni positive a favore delle minoranze, soprattutto linguistiche, realizzate nell’ambito dei programmi c.d. “a gestione diretta”, i cui finanziamenti sono attribuiti dalla Commissione.
Il primo riferimento esplicito alle minoranze è contenuto nella Carta dei diritti di Nizza, proclamata nel dicembre del 2000. In particolare, l’articolo 21, riprendendo l’espressione utilizzata nella Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, recita:
1. È vietata qualsiasi forma di discriminazione fondata, in particolare su [...] la lingua, [...] l’appartenenza ad una minoranza nazionale [...].
2. Nell’ambito d’applicazione dei trattati e fatte salve disposizioni specifiche in essi contenute, è vietata qualsiasi discriminazione in base alla nazionalità.
La disposizione deve essere letta congiuntamente all’articolo 22, in base al quale “L’Unione rispetta la diversità culturale, religiosa e linguistica”.
L’allargamento del 2004 ha fatto emergere, negli Stati di nuova adesione, la sussistenza di discriminazioni nei confronti delle minoranze che potevano costituire un limite all’applicazione del diritto dell’Unione – in particolare perché impedivano ad alcuni gruppi l’acquisizione della cittadinanza europea – evidenziando la necessità di un intervento più incisivo dell’UE nel contrasto alle discriminazioni.
Con il Trattato di Lisbona, entrato in vigore nel 2009, la tutela delle minoranze diventa esplicita e diretta.
Il fondamento normativo in materia di minoranze è rappresentato dall’articolo 2 del Trattato sull’Unione europea (TUE), il quale recita:
“L'Unione si fonda sui valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell'uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze. Questi valori sono comuni agli Stati membri in una società caratterizzata dal pluralismo, dalla non discriminazione, dalla tolleranza, dalla giustizia, dalla solidarietà e dalla parità tra donne e uomini”.
Il rispetto dei diritti delle persone appartenenti a minoranze è pertanto uno dei valori fondanti dell’Unione e, in quanto tale, deve essere condiviso e rispettato da tutti gli Stati membri.
La tutela dei diritti delle minoranze è poi garantita in via diretta attraverso l’adesione dell’Unione europea alla Convezione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e la “costituzionalizzazione” della Carta dei diritti fondamentali dell’UE (Carta di Nizza), entrambe introdotte con il Trattato di Lisbona.
L’articolo 6 del TUE, al paragrafo 1, stabilisce che l’UE “riconosce i diritti, le libertà e i principi sanciti nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea del 7 dicembre 2000, adattata il 12 dicembre 2007 a Strasburgo, che ha lo stesso valore giuridico dei trattati”. Al paragrafo 2, nel disporre l’adesione obbligatoria dell’UE alla Convenzione, si stabilisce che “i diritti fondamentali, garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali e risultanti dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, fanno parte del diritto dell'Unione in quanto principi generali”.
In base poi all’articolo 3, par. 3 TUE, relativo agli obiettivi dell’Unione, “essa rispetta la ricchezza della sua diversità culturale e linguistica”.
L’introduzione di una formulazione esplicita che sancisce la tutela dei diritti delle minoranze, in quanto valore fondante e principio cardine dell’ordinamento europeo, implica che anche tale tutela sia soggetta al meccanismo preventivo e sanzionatorio previsto dal TUE per garantire che i diritti fondamentali, così come gli principi e valori europei di cui all’articolo 2, siano rispettati dagli Stati membri aldilà dei limiti giuridici posti dalle competenze dell’UE. L’articolo 7 del TUE conferisce pertanto all’UE il potere di intervenire in ambiti altrimenti lasciati all’azione esclusiva degli Stati membri, ovvero in situazioni di “rischio” o di “violazione grave e persistente di tali valori”.
Al riguardo, la Commissione europea ha rafforzato la propria azione in materia di difesa dello Stato di diritto attraverso il nuovo Programma di azione introdotto nel 2019 con la comunicazione “Rafforzare lo Stato di diritto nell’Unione – Programma di azione”, col quale il ciclo di valutazione delle situazioni degli Stati membri è fondato su una Relazione annuale sullo Stato di diritto che monitora il loro percorso e che costituisce la base di un dialogo interistituzionale.
Anche il Trattato sul funzionamento dell’Unione, all’articolo 19, sancisce la possibilità di intervento da parte del Consiglio, previa approvazione del Parlamento europeo, per combattere le varie forme di discriminazione, tra cui quelle fondate sull’origine etnica.
Nell’ambito del diritto vigente dell’UE, la tutela delle minoranze è considerata una componente della tutela dei diritti umani e, pertanto, tale tutela non è inquadrata in chiave “collettiva” ma “individuale.
Invero, anche in ambito europeo, un certo rilievo dell’aspetto collettivo dei diritti delle minoranze è emerso grazie alla rappresentanza dei loro interessi da parte soprattutto di enti e associazioni attivi nei loro territori di appartenenza. La pressione di tali soggetti, finalizzata a far venire in rilievo l’esigenza di tutela e valorizzazione delle peculiarità delle minoranze e a garantire loro autonomia decisionale e gestionale, ha contribuito all’affermazione di un concetto articolato e complesso di diversità culturale europea in cui sono rappresentate non solo le differenze tra i popoli degli Stati membri, ma anche quelle “intra-statali”, basate sulle specificità regionali e locali.
Tale processo ha contribuito a far risaltare la dimensione anche “collettiva” della tutela delle minoranze, con particolare riguardo alle minoranze nazionali tradizionali.
Accanto ad esse le istituzioni dell’Unione europea, nel rispetto del quadro normativo sopra delineato, attribuiscono grande attenzione anche ai gruppi minoritari “non territorializzati”, la cui rappresentanza, meno strutturata, organizzata e quindi tradizionalmente più debole, diventa sempre più incisiva.
Infatti la formulazione adottata dal legislatore europeo nel Trattato di Lisbona è quella di “minoranze”, più generica ed estensiva, piuttosto che di minoranze nazionali. L’assenza di una definizione unica e puntuale di “minoranze nazionali tradizionali” nel diritto dell’Unione, determina conseguentemente che il loro riconoscimento e la loro tutela siano ricondotti alla disciplina giuridica relativa alla macrocategoria di “minoranze”.
Il Parlamento europeo ha assunto iniziative specificamente dirette alla tutela delle minoranze nazionali.
In particolare, la risoluzione sulla protezione delle minoranze e le politiche contro la discriminazione nell'Europa allargata (2005/2008(INI)), nella quale viene affrontato il tema delle minoranze tradizionali. Con tale Risoluzione sono riconosciute le sfide rappresentate dalle discriminazioni, dall’inadeguata protezione legislativa e dall’insufficiente rappresentanza politica. Inoltre, si individuano standard minimi per la tutela delle minoranze nazionali, così enucleati:
Al punto 7, il Parlamento europeo sottolinea come, per quanto i diritti delle minoranze siano considerati parte integrante dei diritti dell’uomo e di conseguenza debbano essere rispettati da tutti gli Stati facenti parte dell’Unione o che intendono aderirvi (principio sottolineato anche dai criteri di Copenaghen), non esista in vero “un consenso a livello comunitario su chi possa essere considerato come appartenente ad una minoranza”. Per tali ragioni il Parlamento europeo nel punto 7 di tale Risoluzione riprende la definizione di “minoranze nazionali” sviluppata dal Consiglio d’Europa nella raccomandazione 1201 (1993), in base alla quale queste sono identificate come gruppi di persone che condividono determinate caratteristiche, quali:
Infine, con tale risoluzione, il Parlamento europeo riconosce che “le comunità minoritarie nazionali tradizionali abbiano esigenze specifiche diverse da quelle degli altri gruppi minoritari” (punto 46) e che sia necessario prestare “attenzione particolare ai gruppi di persone appartenenti a minoranze linguistiche” (punto 44).
La risoluzione del Parlamento europeo del 13 novembre 2018 riguardante le norme minime per le minoranze nell’UE (2018/2036 (INI)) invita l’UE ad aderire alla Convenzione quadro per la protezione delle minoranze nazionali del Consiglio d’Europa. Si sottolinea come il Parlamento europeo faccia nuovamente propria la definizione sopracitata di “minoranza nazionale” del Consiglio d’Europa, stabilendo al punto 35 che si tratta di “gruppi di persone appartenenti a minoranze che vivono nello stesso territorio e condividono un'identità comune, in alcuni casi per effetto di modifiche delle frontiere e in altri casi quale conseguenza dell'aver vissuto a lungo in un'area, e che sono riuscite così a preservare la propria identità”.
Il documento si articola in paragrafi macro-tematici inerenti agli obiettivi che il Parlamento europeo intende indirizzare alla Commissione europea ed agli Stati membri, quali:
La Risoluzione si conclude con l’invito alla Commissione all’elaborazione di un quadro comune di norme minime per la tutela delle minoranze, che contenga obiettivi misurabili con una rendicontazione periodica e la raccolta di dati e metodologie di monitoraggio per l’analisi di efficienza delle politiche sviluppate (punti 78-79). A tal proposito, viene ribadita l’importanza dell’Agenzia dell’Unione europea per i diritti fondamentali per la predisposizione di pareri sulle modalità di creazione di strumenti per la tutela e la promozione di diritti delle persone appartenenti alle minoranze nazionali, così come sancito dalla sentenza della Corte di Giustizia dell’UE nella causa T-646/13 (punto 38).
Per quanto riguarda la tutela specifica delle lingue minoritarie, il Parlamento europeo ha approvato la Risoluzione sulle lingue europee a rischio di estinzione e la diversità linguistica nell'Unione europea (2013) in cui vengono esortati gli Stati membri a prestare maggiore attenzione alle lingue europee in pericolo e a impegnarsi nella tutela e nella promozione della diversità del patrimonio linguistico e culturale dell'Unione. Inoltre, invita i singoli Stati alla costruzione di “politiche ambiziose e proattive di rilancio in seno alle comunità linguistiche interessate [...] destinando un bilancio sufficiente a tale scopo” (punto 1).
L'importanza culturale rappresentata dalla lingua implica la necessità di tutelare anche quelle “minoritarie”, soprattutto alla luce della progressiva loro diminuzione. Si sottolinea come tendenzialmente le nuove generazioni non apprendano le lingue minoritarie. Conseguentemente, istruzione scolastica, nuclei familiari e infrastrutture linguistiche adeguate (rappresentate ad esempio da dizionari, libri di grammatica e terminologie precise) assumono un ruolo centrale nella salvaguardia della lingua minoritaria.
In tale contesto di evoluzione della politica europea sui diritti fondamentali, con il regolamento CE n. 168/2007 del Consiglio del 15 febbraio 2007 è stata istituita l’Agenzia dell’UE per i diritti fondamentali (FRA).
L’agenzia ha il compito di supportare le istituzioni europee e nazionali nella promozione e nella tutela dei diritti umani; svolge il suo mandato realizzando studi, ricerche, sondaggi su un ventaglio di questioni attinenti ai diritti fondamentali nell’UE. |
Un programma-quadro quinquennale stabilisce i settori di competenza dell’Agenzia e un programma di lavoro annuale fissa le priorità e gli obiettivi per ciascuna annualità. |
Nel perseguire i suoi obiettivi, l’Agenzia raccoglie e analizza dati relativi a un ventaglio di questioni attinenti ai diritti fondamentali nello spazio dell’Unione europea e, sulla base di questi dati, formula pareri. Oltre ai risultati di studi e ricerche, che includono esempi di buone pratiche nella protezione dei diritti umani, l’Agenzia pubblica una relazione annuale sui diritti fondamentali nell’Unione Europea. Inoltre fornisce pareri sulle modalità secondo cui rispettare i diritti fondamentali quando si implementa il diritto dell'UE su richiesta delle istituzioni o su propria iniziativa e può fornire relazioni su avvenimenti urgenti (relazioni sugli avvenimenti). |
L’Agenzia collabora con il Consiglio d’Europa, i meccanismi per la dimensione umana dell’OSCE, l’Alto Commissario per i rifugiati, l’UNESCO, e opera in rete con organizzazioni di società civile, in particolare attraverso la Piattaforma dei diritti fondamentali (FRP), una rete di cooperazione e scambio di informazioni lanciata dalla FRA nel 2008 e aperta a tutti gli attori interessati e qualificati che hanno la propria sede in uno degli Stati membri dell’UE. |
L’Agenzia svolge attività di monitoraggio anche dei diritti di persone appartenenti a minoranze (ai sensi dell’articolo 10 del suo Regolamento istitutivo (CE 168/2006)). In particolare, pubblica annualmente rapporti sui diritti delle minoranze che risiedono all’interno degli Stati membri, adottando raccomandazioni per i governi nazionali e, alle volte, esortazioni volte alla creazione di normative favorevoli alle minoranze. In aggiunta, l’Agenzia sostiene la promozione culturale e linguistica di tali minoranze e l’accessibilità di esse alla giustizia.
Nel luglio del 2013 un comitato di cittadini ha presentato alla Commissione europea la richiesta di registrare la proposta di iniziativa legislativa Minority Safepack, che conta oltre un milione di firme ed è volta a migliorare la protezione delle persone appartenenti alle minoranze e rafforzare la diversità linguistica e culturale nell’Unione.
La proposta viene respinta dalla Commissione, perché ritenuta manifestamente al di fuori della propria competenza. Successivamente al ricorso degli organizzatori della proposta, il Tribunale dell’UE dispone l’annullamento della decisione della Commissione per mancanza di motivazione. Dunque, la Commissione esamina la proposta Minority Safepack e dispone la registrazione di nove atti sugli undici proposti attraverso la decisione 2017/652.
A seguito di questi avvenimenti, la registrazione è oggetto di un nuovo ricorso presentato dalla Romania, che viene respinto dal Tribunale con sentenza del 24 settembre 2019.
L’impugnazione da parte della Romania porta alla sentenza della Corte di Giustizia UE (CGUE) del 20 gennaio 2022, con la quale la Corte respinge i motivi del ricorso, ma pone i fondamenti per l’evoluzione normativa sul tema. In particolare, la Corte ha precisato che gli atti dell’UE, nel rispetto del principio di sussidiarietà e a condizione che poggino su una corretta base giuridica, possono essere diretti al rispetto dei valori dell’Unione, tra cui i diritti delle minoranze o della diversità linguistica e culturale. Dunque, l’istituzione di valori UE non darebbe origine a nuove competenze, ma ne orienterebbe l’esercizio.
Le Istituzioni europee adottano Piani di Azione volti al rispetto dei diritti fondamentali e del rispetto dei valori dell’Unione. Si segnala l’iniziativa Un'Unione dell'uguaglianza: il piano d'azione dell'UE contro il razzismo 2020-2025, adottata di concerto tra la Commissione, il Parlamento, il Consiglio, il Comitato Economico e Sociale Europeo ed il Comitato delle Regioni.
Il Piano di azione è prioritariamente volto alla protezione delle persone appartenenti a minoranze attraverso delle dichiarazioni di principi, ritenendo che la competenza specifica per l’adozione di politiche attive sia di competenza spetti agli Stati, nel rispetto del principio di sussidiarietà.
Tuttavia, malgrado tale impostazione, il Parlamento europeo ha rimarcato la presenza di lacune nei sistemi legislativi nazionali a evidenza di una scarsa armonizzazione e simmetria (punto V della Risoluzione del Parlamento europeo 2036/2018).
In ambito europeo, il riconoscimento e la conseguente protezione giuridica delle minoranze nazionali nascono con la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali del 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, il cui articolo 14 recita: «il godimento dei diritti e delle libertà riconosciuti nella presente Convenzione deve essere assicurato senza nessuna discriminazione, in particolare quelle fondate sul sesso, la razza, il colore, la lingua, la religione, le opinioni politiche o quelle di altro genere, l’origine nazionale o sociale, l’appartenenza a una minoranza nazionale, la ricchezza, la nascita od ogni altra condizione.»
Nell’ambito dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE) l'Atto finale di Helsinki (1° agosto 1975) conteneva, tra i principi che regolano le relazioni tra gli Stati partecipanti, quello dell'uguaglianza di trattamento e della non discriminazione nei confronti di persone appartenenti a minoranze nazionali.
Successivamente il documento adottato a Helsinki il 10 luglio 1992 dal vertice dei capi di stato e di governo dell’OSCE ha istituito l'Alto Commissario per le minoranze nazionali, il quale può intervenire quando si presentino tensioni concernenti una minoranza, potenzialmente idonee a trasformarsi in un conflitto che possa pregiudicare la pace, la stabilità o le relazioni tra gli Stati partecipanti. All'Alto Commissario spettano i poteri preliminari di valutazione della situazione, concernenti la raccolta di informazioni e la possibilità di visita in loco, previo consenso dello Stato territoriale. Effettuata la valutazione, l'Alto Commissario può intervenire con il «preallarme» (coinvolgimento degli organi decisionali dell’OSCE e, eventualmente, attivazione del meccanismo di emergenza) e con l'«azione preventiva», tramite la quale è lo stesso Alto Commissario a suggerire le soluzioni della crisi che ritiene più opportune, agendo però sempre in stretta collaborazione con gli altri organismi dell’OSCE.
Istituito dal Vertice di Helsinki (dicembre 1992), l'Alto Commissario ha il compito di "individuare e contenere tempestivamente le tensioni collegate ai problemi delle minoranze nazionali suscettibili di degenerare in conflitti nell'area della CSCE" pregiudicando la pace, la stabilità o le relazioni tra i Paesi partecipanti.
L’Alto Commissario ha una duplice missione:
· “Allarme rapido” (early warning): tentare di contenere e ridurre le tensioni che implicano questioni relative a minoranze nazionali. Due “early warnings” sono stati emanati per l’allora ex Repubblica iugoslava di Macedonia nel 1999 e per il Kyrgyzstan nel 2010;
· “Azione rapida preventiva” (early action): allertare l’OSCE ogni qual volta le tensioni rischino di raggiungere livelli ai quali egli non possa contenerle con i mezzi a sua disposizione.
Il mandato consente all'Alto Commissario una notevole autonomia. La decisione di dove e quando impegnarsi è lasciata alla discrezione dell’Alto Commissario che non ha bisogno dell'approvazione del Consiglio Permanente o dello Stato interessato per essere coinvolto. Agisce in modo confidenziale e indipendente da tutte le parti interessate. Come strumento di prevenzione dei conflitti nell'ambito della dimensione politico-militare dell'OSCE, l'Alto Commissario è autorizzato a condurre missioni in loco e di impegnarsi nella diplomazia preventiva.
Fra gli strumenti a disposizione dell’Alto Commissario, particolare importanza rivestono le raccomandazioni che egli può indirizzare ai governi dei paesi membri dell’OSCE sul trattamento delle rispettive minoranze nazionali. Nel corso degli anni sono state adottate nove tra raccomandazioni tematiche e linee guida che evidenziano le migliori pratiche e le lezioni apprese in materia di: diritti all’istruzione delle minoranze nazionali (1996), diritti linguistici delle minoranze nazionali (1998), effettiva partecipazione delle minoranze linguistiche nella vita pubblica (1999), linee guida per l’uso delle lingue minoritarie nelle trasmissioni multimediali (2003), società multietniche (2006), le minoranze nazionali nelle relazioni interstatali (2008), linee guida per l’integrazione di società diverse (2012), l'accesso alla giustizia e le minoranze nazionali (2017) e le minoranze nazionali e i Media nell’era digitale (2019).
L'Ufficio dell’Alto Commissario ha sede all'Aja, dove lavorano circa 30 persone di staff. Le attività del HCNM sono finanziate tramite il bilancio dell’OSCE, approvato ogni anno dagli Stati partecipanti, e da contributi volontari.
In base al Bilancio unificato 2021 approvato il 18 agosto 2021[1], all’Alto Commissario sono destinati 3.504.000 euro.
Il 3 settembre 2024 è scaduto il mandato dell’Alto Commissario Amb. Kairat Adbrakhmanov (Kazakhstan) e gli Stati partecipanti dell’OSCE non hanno ancora raggiunto il consenso per la nomina del successore. Il Ministro degli Affari esteri di Malta, Ian Borg, in qualità di Presidente in esercizio dell’OSCE, per assicurare l’integrità operativa e la continuità dell’OSCE, ha nominato temporaneamente l’Amb. Marek Szczygiel (Polonia), Direttore dell’Ufficio dell’Alto Commissario, affinché assicuri l’attività dell’Ufficio finché non sarà nominato il nuovo Alto Commissario.
Si segnala che dal 2017 al 2020, la posizione di Alto Commissario per le minoranze nazionali è stata ricoperta dall'Ambasciatore italiano Lamberto Zannier (già Segretario Generale dell'OSCE).
Ogni due anni, l’Alto Commissario e il Governo dei Paesi Bassi conferiscono il Premio Max van der Stoel, intitolato al primo Alto Commissario. Il premio di 50mila euro può essere consegnato a una persona, un gruppo o un’istituzione per i risultati straordinari ed eccezionali ottenuti nel migliorare la posizione delle minoranze nazionali negli Stati partecipanti all'OSCE.
Una giuria speciale composta da illustri esperti di fama internazionale e presieduta dall'Alto Commissario sceglie il vincitore del Premio Nel 2024 il Premio è stato conferito a Natur og Ungdom (Norvegia) in riconoscimento dei suoi sforzi per dare voce ai giovani norvegesi nella politica ambientale.
Il Consiglio d’Europa, che riunisce, oltre ai 27 Stati membri dell’Unione europea, altri 19 paesi della regione geografica europea, assegna al patrimonio culturale un ruolo fondamentale nella difesa dei valori democratici e nella costruzione della cittadinanza, nonché nella promozione di processi cruciali di costruzione della comunità, inclusione e gestione della diversità. Tra i principali strumenti e programmi in questo ambito, si segnalano:
· la Convenzione culturale europea, firmata nel 1954, allo scopo di “sviluppare la comprensione reciproca tra i popoli europei e l'apprezzamento reciproco della loro diversità culturale, di salvaguardare la cultura europea, di promuovere i contributi nazionali al patrimonio culturale comune dell'Europa nel rispetto degli stessi valori fondamentali e di incoraggiare in particolare lo studio delle lingue, della storia e della civiltà delle Parti della Convenzione”;
· la Convenzione quadro del Consiglio d'Europa sul valore del patrimonio culturale per la società (CETS n. 199, Convenzione di Faro), aperta alla firma a Faro (Portogallo) il 27 ottobre 2005, è entrata in vigore l'1 giugno 2011. La Convenzione sottolinea gli aspetti importanti del patrimonio culturale in relazione ai diritti umani e alla democrazia. Intende promuovere una comprensione più ampia del patrimonio culturale e della sua relazione con le comunità e la società. La Convenzione di Faro è una "convenzione quadro" che definisce le questioni in gioco, gli obiettivi generali e i possibili campi di intervento. Ogni Stato membro può decidere i mezzi più convenienti per attuare la convenzione in funzione dei suoi quadri giuridici o istituzionali, delle sue pratiche e della sua esperienza specifica. Rispetto ad altre convenzioni, la "convenzione quadro" non crea obblighi specifici di azione. Ad oggi, 25 Stati membri del Consiglio d'Europa hanno ratificato la Convenzione. L’Italia ha ratificato con la Legge 1 ottobre 2020, n. 133;
· il Programma degli itinerari culturali del Consiglio d'Europa, che intendono promuovere i principi che sono alla base del lavoro e dei valori del Consiglio d'Europa: diritti umani, democrazia culturale, diversità culturale, comprensione reciproca e scambi al di là delle frontiere. Gli Itinerari fungono da canali per il dialogo interculturale e promuovono una migliore conoscenza e comprensione della storia europea.
Un altro strumento giuridico di diritto internazionale a tutela delle minoranze nazionali è la Carta europea delle lingue regionali o minoritarie, adottata sotto forma di convenzione nel 1992 dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa. È entrata in vigore il 1° marzo 1998.
All’articolo 1 la Carta definisce come regionali o minoritarie le lingue:
ii. usate tradizionalmente sul territorio di uno Stato dai cittadini di detto Stato che formano un gruppo numericamente inferiore al resto della popolazione dello Stato;
ii. diverse dalla(e) lingua(e) ufficiale(i) di detto Stato.
La Carta mira a tutelare e promuovere le lingue regionali o minoritarie e a incoraggiarne l’uso sia nella vita privata che in quella pubblica. Pone pertanto l’obbligo agli Stati Parti contraenti di garantire e promuovere attivamente l’uso di tali lingue nei settori dell’istruzione, della giustizia, dell’amministrazione, dei media, della cultura, della vita economica e sociale e della cooperazione transfrontaliera.
La portata delle disposizioni della Carta va quindi ben oltre la protezione delle minoranze e la lotta contro la discriminazione, poiché richiede che gli Stati Parti adottino ugualmente misure incisive di promozione delle lingue minoritarie, quale veicolo di cultura, pluralismo, comprensione e tolleranza reciproche in Europa. La Carta completa le garanzie relative al rispetto dei diritti individuali dei loro locutori derivanti dalle disposizioni nazionali e internazionali per la protezione delle minoranze e rafforza ulteriormente l’attuazione dei diritti delle minoranze nella pratica quotidiana.
Un Comitato di esperti si occupa del monitoraggio sul rispetto e sull’attuazione delle disposizioni contenute nella Carta : ogni cinque anni ciascuno Stato parte deve presentare al Segretario Generale un rapporto che illustri le proprie politiche e azioni intraprese nel rispetto degli impegni assunti. Il Comitato organizza gli incontri sia con attori statali che con organizzazioni non governative e redige la relazione di valutazione, contenente raccomandazioni specifiche, che indirizza al Comitato dei Ministri. Infine, il Consiglio d’Europa può decidere di organizzare una tavola rotonda con gli attori interessati per permettere un confronto diretto, volto alla formulazione di misure concrete.
Il Consiglio d’Europa, sin dalla sua istituzione, ha sempre prestato attenzione alla protezione delle minoranze nazionali, non solo come elemento cardine nel sistema di protezione internazionale dei diritti umani, ma anche una componente essenziale per il mantenimento della stabilità, della sicurezza e della pace in Europa. La tematica è diventata prioritaria per l’agenda politica dell’Organizzazione a partire dal collasso del blocco comunista e dalla diffusione, in alcune aree d’Europa, di nuovi nazionalismi e di violenza inter-etnica, ad esempio nella ex Jugoslavia e nell’ex Unione Sovietica.
Il Consiglio d’Europa ha pertanto provveduto progressivamente a istituire al riguardo un quadro giuridico coerente con un efficace meccanismo di monitoraggio, nonché a promuovere forme di dialogo e adeguate attività di cooperazione, coinvolgendo sia gli Stati membri che i gruppi di minoranze interessati.
La già citata Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti umani e delle libertà fondamentali, ed in particolare il suo Protocollo Addizionale n. 12 (entrato in vigore nel 2005) espande la portata delle garanzie contro ogni forma di discriminazione (inclusa l’appartenenza ad una minoranza nazionale) contenute nell’articolo 14 della Convenzione. La stessa Corte europea dei diritti umani si è espressa su numerosi casi che vedevano coinvolti Rom o persone appartenenti ad altre minoranze nazionali. Tali casi non riguardavano soltanto presunte discriminazioni, ma anche altri diritti sanciti nella Convenzione, come il diritto d’associazione ed il rispetto della vita privata.
Il trattato multilaterale più comprensivo in materia è la Convenzione quadro per la protezione delle minoranze nazionali (ETS 157). Adottata dal Comitato dei Ministri nel 1994, dopo vari anni di intense discussioni, è entrata in vigore nel 1998. Attualmente conta 38 Stati parte (sui 46 che compongono il Consiglio d’Europa). L’Italia l’ha ratificata con la Legge 28 agosto 1997, n. 302.
La Convenzione è il primo strumento multilaterale giuridicamente vincolante che si occupa della protezione delle minoranze nazionali in generale. Il suo obiettivo è quello di proteggere l'esistenza delle minoranze nazionali nei rispettivi territori degli Stati parte. La Convenzione cerca di promuovere la piena ed effettiva uguaglianza delle minoranze nazionali creando condizioni adeguate che consentano loro di preservare e sviluppare la propria cultura e di mantenere la propria identità.
La Convenzione tratta numerosi aspetti essenziali per un’effettiva promozione e protezione dei diritti delle persone appartenenti a minoranze nazionali, raggruppabili in cinque “aree” principali:
· diritti di base, relativi alla non-discriminazione e alla protezione dell’identità culturale, linguistica, religiosa delle persone appartenenti a tali comunità (artt. 4-6);
· questioni collegate ai diritti linguistici e, in particolare, all’uso della lingua in situazioni pubbliche e private, nel settore educativo, mediatico, nella cultura e nelle relazioni ufficiali (artt. 10 e 11);
· diritti nella sfera educativa (artt. 12-14);
· diritti relativi alla effettiva partecipazione nella sfera decisionale, a tutti i livelli dell’amministrazione (art. 15);
· questioni relative alla cooperazione trans-frontaliera finalizzata alla promozione dei diritti sanciti nella Convenzione (art.18).
La Convenzione non contiene alcuna definizione di “minoranza nazionale”. La dottrina prevalente in materia, che risale alla Lega delle Nazioni, stabilisce che l’esistenza di una minoranza è una questione di fatto, non di diritto. Tale impostazione è stata confermata dal Comitato delle Nazioni Unite sui diritti umani nel Commento generale all’articolo 27 (diritti delle minoranze) del Patto internazionale sui diritti civili e politici (CCPR/C/21/Rev.1/Add.5, General Comment No. 23, 08/04/94, para. 5.2). Dunque, alla luce degli articoli 2 e 3 della Convenzione quadro, nonché dell’esistenza di specifici parametri e criteri oggettivi di appartenenza individuati dal Comitato delle Nazioni Unite sui diritti umani (essenzialmente lingua, cultura e/o religione condivise), la dottrina è orientata ad applicare tale interpretazione prevalente anche alla Convenzione quadro del Consiglio d’Europa.
La maggior parte delle previsioni riguardanti i diritti delle persone appartenenti a minoranze contenute nella Convenzione quadro sono di natura programmatica: in questo modo, gli Stati hanno un significativo margine di discrezionalità nell’implementare gli obiettivi indicati, a cui normalmente ricorrono attraverso la legislazione nazionale e le politiche governative. La Convenzione prevede un meccanismo di monitoraggio (artt. 24-26) che dà al Comitato dei Ministri (composto dai Ministri per gli Affari Esteri dei 46 Paesi membri), il compito di monitorarne l’implementazione, con l’assistenza di un Comitato consultivo, composto da un minimo di 12 a un massimo di 18 esperti indipendenti.
Sulla tutela del patrimonio culturale l’APCE ha adottato recentemente la Racc. 2277 (2024) e la Ris. 2549 (2024) su Patrimonio culturale e cambiamento climatico.
Richiamando i principi della Convenzione quadro del Consiglio d'Europa sul valore del patrimonio culturale per la società (Convenzione di Faro), e considerando che tutte le forme di patrimonio culturale - tangibile e intangibile - sono oggi direttamente e indirettamente minacciate dal cambiamento climatico, i testi adottati chiedono risposte politiche adeguate a livello nazionale, regionale, locale ed europeo. La maggior parte dei metodi e dei processi attuali dovranno essere modificati per cambiare i comportamenti istituzionali, creare nuove partnership e modelli di business, adattare i processi di pianificazione nelle città e nelle aree rurali, garantire una gestione efficiente delle risorse e dell'energia, investire nella ricerca e combinare soluzioni high tech e low tech, innovare e imparare dalle soluzioni sostenibili tradizionali offerte dal patrimonio culturale.
In precedenza l’APCE aveva adottato la Racc. 2148 (2019) e la Ris. 2269 (2019) su Salvaguardia e valorizzazione del patrimonio culturale immateriale in Europa, con le quali, richiamando la Convenzione dell'UNESCO per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale e la Convenzione di Faro, formulava raccomandazioni sulla progettazione e l'attuazione delle politiche a livello nazionale e locale e sollecitava una maggiore coerenza d'azione tra il Consiglio d'Europa, l'UNESCO e l'Unione europea in questo settore.
Sulla tutela delle minoranze nazionali, escludendo i rapporti su situazioni specifiche di alcuni paesi membri, l’APCE ha adottato recentemente la Racc. 2198 (2021) e la Ris. 2368 (2021) su Preservare le minoranze nazionali in Europa.
I testi adottati ribadiscono l'importanza della Convenzione quadro per la protezione delle minoranze nazionali (ETS n. 157) come strumento cruciale per i diritti umani e invitano gli Stati membri ad adottare una serie di misure per garantire che i suoi standard siano effettivamente applicati in tutta Europa e che il meccanismo stesso della Convenzione rimanga forte.
Secondo l’Assemblea, il rispetto per la diversità linguistica, etnica e culturale, basato sul riconoscimento dei diritti fondamentali all'uguaglianza e alla dignità umana, è una pietra miliare del sistema di protezione dei diritti umani in Europa e cruciale per preservare le nostre democrazie pluralistiche e inclusive. A suo avviso, una serie di sfide sta mettendo a rischio la capacità di proteggere i diritti delle persone appartenenti a minoranze nazionali in Europa. Tra queste, la diminuzione del sostegno all'agenda dei diritti umani, le tensioni intra- e interstatali, e a volte i conflitti, in cui le minoranze vengono dipinte come una minaccia per la sicurezza, e l'aumento di discorsi nazionalisti estremi e di odio che stigmatizzano la diversità. Problemi o divisioni sociali, economiche o politiche più ampie possono aggravare questi problemi.
Le persone appartenenti a minoranze nazionali devono poter partecipare in modo significativo alla vita culturale, sociale ed economica e agli affari pubblici del Paese in cui vivono. Tuttavia, sia le minoranze nazionali stesse che le società nel loro complesso sono diverse e in costante cambiamento. Questo crea la necessità di un dialogo continuo tra le autorità e le minoranze.
L’articolo 3 della Costituzione sancisce il principio di eguaglianza di tutti i cittadini senza distinzioni (tra l'altro) di lingua.
L'articolo 6 della Carta costituzionale prevede specificamente, quale ulteriore principio fondamentale, la tutela delle minoranze linguistiche, da attuare attraverso appositi provvedimenti normativi.
La legge 15 dicembre 1999, n. 482, Norme in materia di tutela delle minoranze linguistiche storiche, introduce nell'ordinamento, "in attuazione dell'articolo 6 della Costituzione e in armonia con i princìpi generali stabiliti dagli organismi europei ed internazionali" (art. 2), una disciplina organica di tutela delle lingue e delle culture minoritarie storicamente presenti in Italia, e più specificamente delle popolazioni albanesi, catalane, germaniche, greche, slovene e croate e di quelle parlanti il francese, il francoprovenzale, il friulano, il ladino, l'occitano e il sardo.
La legge sancisce preliminarmente il carattere ufficiale della lingua italiana quale lingua della Repubblica e la valorizzazione del patrimonio linguistico e culturale della lingua italiana (art. 1).
La competenza a definire gli ambiti territoriali (anche subcomunali) di applicazione delle norme di tutela è attribuita a ciascun consiglio provinciale; il procedimento è attivabile da parte di almeno il 15 per cento dei cittadini iscritti nelle liste elettorali e residenti nei comuni interessati, oppure da un terzo dei consiglieri comunali dei comuni espressione della medesima minoranza, i quali esprimono in ogni caso il loro parere sulla proposta di delimitazione. Nel caso in cui non si siano verificate tali condizioni, il procedimento può iniziare a seguito della pronuncia favorevole delle popolazioni interessate, con referendum (art. 3).
Una serie di norme è finalizzata a promuovere l'apprendimento delle lingue minoritarie. Nelle scuole dell'infanzia, primarie e secondarie di primo grado è previsto, accanto all'uso della lingua italiana, l'uso della lingua della minoranza come strumento di insegnamento.
Nelle stesse scuole, le istituzioni scolastiche determinano, tenendo conto anche delle richieste delle famiglie degli alunni, le modalità di svolgimento delle attività di insegnamento della lingua e delle tradizioni culturali delle comunità locali, adottano iniziative per lo studio delle lingue e delle tradizioni culturali delle minoranze tutelate e promuovono la formazione e l'aggiornamento degli insegnanti in tal senso. L'insegnamento della lingua della minoranza viene impartito su richiesta espressa rivolta alle istituzioni scolastiche dai genitori interessati (art. 4).
Le università, nell'ambito della loro autonomia organizzativa e delle proprie risorse, possono istituire corsi di lingua e cultura delle minoranze e agevolare la ricerca scientifica e le attività culturali e formative in materia (art. 6). Per la realizzazione di progetti per lo studio delle lingue e delle tradizioni culturali delle minoranze promossi dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca l'art. 5 stanzia 2 miliardi di lire (1,03 milioni di euro) annui.
Ai membri dei consigli comunali (e delle comunità montane, delle province e delle regioni, dei quali facciano parte comuni nei quali è riconosciuta la lingua della minoranza, che complessivamente costituiscano almeno il 15 per cento della popolazione interessata) e degli altri organi collegiali dell'amministrazione, è riconosciuto il diritto di utilizzare la lingua tutelata nell'attività degli organi stessi, ferma restando la possibilità, su richiesta dei membri dei suddetti organi che dichiarino di non conoscere la lingua della minoranza, della immediata traduzione in lingua italiana (art. 7).
Viene prevista inoltre, previa delibera del consiglio comunale e con spese gravanti sul bilancio del comune stesso, la pubblicazione nella lingua tutelata degli atti ufficiali dello Stato, delle regioni, degli enti locali e degli enti pubblici non territoriali, fermo restando il valore legale esclusivo degli atti nel testo redatto in italiano (art. 8).
È consentito l'uso orale e scritto della lingua tutelata negli uffici della pubblica amministrazione (con esclusione delle forze armate e delle forze di polizia) aventi sede nei comuni rientranti nell'ambito territoriale di applicazione delle norme di tutela nonché nei procedimenti davanti al giudice di pace (art. 9).
Le amministrazioni statali che impiegano personale che permetta al pubblico di utilizzare la lingua tutelata nei rapporti con i propri uffici, beneficiano di specifici contributi dello Stato. Per corrispondere tali contributi viene istituito (art. 9, co. 2), presso il Dipartimento per gli affari regionali della Presidenza del Consiglio, un Fondo nazionale per la tutela delle minoranze linguistiche, con una dotazione annua di 9,8 miliardi di lire (5,06 milioni di euro).
Da ultimo, con d.P.C.m. del 30 marzo 2023 sono stati determinati i criteri per la ripartizione dei fondi, relativi agli esercizi finanziari 2023-2025, previsti dagli articoli 9 e 15 della legge n. 482 del 1999 per la tutela delle minoranze linguistiche.
I comuni possono adottare toponimi conformi alle tradizioni e agli usi locali, mantenendo comunque i toponimi ufficiali (art. 10).
È riconosciuto agli interessati il diritto di ripristinare nella lingua originaria i cognomi o i nomi "italianizzati" prima della entrata in vigore della legge, su espressa richiesta, debitamente documentata, da rivolgere al sindaco del comune di residenza, il quale la inoltra al prefetto che provvede con proprio decreto (art. 11).
Nella convenzione tra il Ministero dello sviluppo economico e la RAI, e nel relativo contratto di servizio, sono previste specifiche condizioni per promuovere e diffondere le lingue e le culture tutelate attraverso i mezzi di comunicazione di massa. Le regioni possono inoltre stipulare convenzioni con la RAI e accordi con le emittenti locali per realizzare, nell'ambito della programmazione radiotelevisiva regionale, trasmissioni destinate alle minoranze linguistiche (art. 12).
Le regioni, le province e i comuni possono disporre, sulla base delle proprie risorse finanziarie, provvidenze per l'editoria, per gli organi di stampa e per le emittenti radiotelevisive private che utilizzino le lingue tutelate; gli stessi soggetti possono inoltre corrispondere finanziamenti alle associazioni che si prefiggono l'obiettivo di salvaguardare le minoranze linguistiche (art. 14).
Per le spese sostenute dagli enti locali per gli interventi in favore delle minoranze, la legge autorizza uno stanziamento annuo di 8,7 miliardi di lire (4,49 milioni di euro), da ripartirsi con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, previa verifica dei rendiconti presentati dai comuni, nei quali devono essere indicati i motivi dell'intervento e giustificata la congruità della spesa (art. 15).
Le regioni e le province possono istituire, con propri fondi, organismi per la tutela delle tradizioni linguistiche e culturali o specifiche sezioni autonome di analoghe istituzioni locali già esistenti (art. 16).
Le regioni a statuto ordinario, nelle materie di loro competenza, devono conformare la propria legislazione ai princìpi stabiliti dalla legge, mantenendo le eventuali disposizioni regionali che prevedono condizioni più favorevoli per le minoranze (art. 13).
Le regioni a statuto speciale disciplinano con norme di attuazione dei propri statuti l'applicazione delle disposizioni più favorevoli previste dalla legge. Sono comunque fatte salve le norme di tutela già presenti nei rispettivi ordinamenti regionali (art. 18, co. 1).
L'art. 23 della L. 38/2001 (recante norme a tutela della minoranza linguistica slovena) ha introdotto nella legge l'art. 18-bis, il quale estende ai fenomeni di intolleranza e di violenza nei confronti degli appartenenti alle minoranze linguistiche le misure penali e processuali che l'art. 3 della L. 654/1975 ed il D.L. 122/1993 recano al fine di prevenire e contrastare gli atti di discriminazione razziale, etnica o religiosa.
La legge prevede infine che la Repubblica italiana possa promuovere, in condizioni di reciprocità con gli Stati stranieri, lo sviluppo delle lingue e delle culture minoritarie tutelate che sono diffuse all'estero, qualora i cittadini delle relative comunità abbiano mantenuto l'identità socio-culturale e linguistica d'origine. D'altro canto, viene parimenti disposta la promozione di intese con altri Stati, per garantire condizioni favorevoli per 3 le comunità di lingua italiana presenti sul loro territorio e per diffondere all'estero la lingua e la cultura italiane (art. 19). Sullo stato di attuazione di tali adempimenti il Governo riferisce annualmente al Parlamento. L'ultima relazione trasmessa si riferisce all'anno 2023 (XIX legislatura, Doc. LXXX-bis, n. 2).
In attuazione della legge n. 482 è stato adottato il "Regolamento di attuazione della L. 15 dicembre 1999, n. 482, recante norme di tutela delle minoranze linguistiche storiche", di cui al decreto del Presidente della Repubblica 2 maggio 2001, n. 345.
Si segnala che, nel corso della legislatura corrente, è stata presentata alla Camera dei deputati una proposta di legge costituzionale (A.C. 6) avente ad oggetto la modifica dell’articolo 135 della Costituzione. A norma di tale proposta, uno dei giudici costituzionali “nominati dal Parlamento in seduta comune deve essere espressione delle minoranze linguistiche della Repubblica”.
Nella Regione Trentino Alto-Adige sono presenti alcune minoranze linguistiche. In particolare, nella Provincia di Bolzano sono insediate le minoranze tedesca (la cui consistenza numerica è superiore alla popolazione italiana) e ladina; nella Provincia di Trento sono invece presenti le minoranze ladina, mochena e cimbra.
Saranno richiamate le tutele previste in via generale dallo Statuto della Regione e, nel prosieguo, verranno individuati alcuni istituti specifici relativi alla Provincia di Trento e alla Provincia di Bolzano.
L’articolo 2 dello Statuto speciale del Trentino Alto-Adige prevede che nella Regione “è riconosciuta parità di diritti ai cittadini, qualunque sia il gruppo linguistico al quale appartengono, e sono salvaguardate le rispettive caratteristiche etniche e culturali”. Le leggi regionali o provinciali possono essere impugnate davanti la Corte costituzionale per violazione della Costituzione o dello Statuto o del principio di parità tra i gruppi linguistici (articolo 97, Statuto). Si segnala, inoltre, quanto previsto dall’articolo 99 dello Statuto, a norma del quale “nella regione la lingua tedesca è parificata a quella italiana che è la lingua ufficiale dello Stato. La lingua italiana fa testo negli atti aventi carattere legislativo e nei casi nei quali dal presente Statuto è prevista la redazione bilingue”.
Per effetto del terzo comma dell’articolo 36 dello Statuto, la composizione della Giunta regionale deve adeguarsi alla consistenza dei gruppi linguistici quali sono rappresentati nel Consiglio della Regione. I vice Presidenti appartengono uno al gruppo linguistico italiano e l’altro al gruppo linguistico tedesco. Al gruppo linguistico ladino è garantita la rappresentanza nella Giunta regionale anche in deroga alla rappresentanza proporzionale.
Con riferimento alla Provincia di Trento, il terzo comma dell’articolo 15 dello Statuto dispone che essa “assicura la destinazione di stanziamenti in misura idonea a promuovere la tutela e lo sviluppo culturale, sociale ed economico della popolazione ladina e di quelle mochena e cimbra residenti nel proprio territorio, tenendo conto della loro entità e dei loro specifici bisogni”. Dal punto di vista elettorale si segnala che il terzo comma dell’articolo 48 prevede che “un seggio del Consiglio provinciale di Trento è assegnato al territorio coincidente con quello dei comuni di Moena, Soraga, Vigo di Fassa, Pozza di Fassa, Mazzin, Campitello di Fassa e Canazei, ove è insediato il gruppo linguistico ladino-dolomitico di Fassa”.
L’articolo 102 dello Statuto prevede delle tutele specifiche per le popolazioni ladina, mochena e cimbra. In particolare, tali popolazioni “hanno diritto alla valorizzazione delle proprie iniziative ed attività culturali, di stampa e ricreative, nonché al rispetto della toponomastica e delle tradizioni delle popolazioni stesse”. Lo stesso articolo prevede inoltre che “nelle scuole dei comuni della provincia di Trento ove è parlato il ladino, il mocheno o il cimbro è garantito l'insegnamento della lingua e della cultura ladina o tedesca”. È inoltre previsto l’istituzione di un ente sovracomunale, il Comun General de Fascia, cui “la regione e la provincia di Trento possono attribuire, trasferire o delegare funzioni amministrative, compiti o attività proprie, rilevanti per la valorizzazione della minoranza linguistica ladina”.
Si segnala, infine, la possibilità di impugnare gli atti amministrativi degli enti ed organi della pubblica amministrazione aventi sede nella regione, ritenuti lesivi del principio di parità tra i cittadini di lingua italiana, ladina, mochena e cimbra, residenti nella provincia di Trento, dinanzi al Tribunale regionale di giustizia amministrativa di Trento da parte dei consiglieri regionali o provinciali e, in caso di provvedimenti dei comuni, anche da parte dei consiglieri comunali dei comuni delle località ladine, mochene o cimbre, qualora la lesione sia riconosciuta da un quinto del consiglio comunale (articolo 92, 2° comma, Statuto).
Relativamente, invece, alla Provincia di Bolzano, la tutela offerta alle minoranze linguistiche è probabilmente maggiore. In particolare, il secondo comma dell’articolo 50 dello Statuto prevede che la composizione della Giunta provinciale di Bolzano debba adeguarsi alla consistenza dei gruppi linguistici quali sono rappresentati nel Consiglio della Provincia. A livello comunale è previsto che nella Provincia di Bolzano ciascun gruppo linguistico ha diritto di essere rappresentato nella Giunta municipale, se nel Consiglio comunale vi siano almeno due consiglieri appartenenti al gruppo stesso (articolo 61, 2° comma, Statuto).
È opportuno precisare che gli atti amministrativi degli enti ed organi della pubblica amministrazione aventi sede nella regione, ritenuti lesivi del principio di parità dei cittadini in quanto appartenenti ad un gruppo linguistico, possono essere impugnati dinanzi alla autonoma sezione di Bolzano[2] del Tribunale regionale di giustizia amministrativa, da parte dei consiglieri regionali o provinciali e, in caso di provvedimenti dei comuni nella provincia di Bolzano, anche da parte dei consiglieri dei comuni di tale provincia, qualora la lesione sia stata riconosciuta dalla maggioranza del gruppo linguistico consiliare che si ritiene leso (articolo 92, Statuto).
Si segnala che nell’ordinamento degli enti pubblici sono presenti alcune norme volte a garantire la rappresentanza proporzionale dei gruppi linguistici. In particolare, la proporzionale si applica ai ruoli del personale di uffici statali in Provincia di Bolzano (con l’eccezione delle carriere direttive dell'Amministrazione civile dell'interno, del personale della pubblica sicurezza e di quello amministrativo del Ministero della difesa). A norma del 3° comma dell’articolo 89 i posti dei ruoli “sono riservati a cittadini appartenenti a ciascuno dei tre gruppi linguistici, in rapporto alla consistenza dei gruppi stessi, quale risulta dalle dichiarazioni di appartenenza rese nel censimento ufficiale della popolazione”.
Con riferimento al sistema scolastico, sono istituite scuole di lingua tedesca e di lingua italiana, ma in ognuna di tali scuole è assicurato l’insegnamento anche dell’altra lingua. Il secondo comma dell’articolo 19 prevede che “la lingua ladina è usata nelle scuole materne ed è insegnata nelle scuole elementari delle località ladine. Tale lingua è altresì usata quale strumento di insegnamento nelle scuole di ogni ordine e grado delle località stesse. In tali scuole l'insegnamento è impartito, su base paritetica di ore e di esito finale, in italiano e tedesco”.
In relazione alla rappresentanza di minoranze linguistiche in istituzioni o organismi della PA si segnala che, in attuazione dell’articolo 93 dello Statuto, del Consiglio di Stato, supremo organo della magistratura amministrativa, devono far parte due Consiglieri appartenenti al gruppo di lingua tedesca della provincia.
Ai sensi dell’articolo 14 DPR 426/1984 la nomina è disposta con decreto del Presidente della Repubblica su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, con l’assenso del Consiglio provinciale di Bolzano. Per la nomina è richiesto altresì il parere del Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa. Costituisce requisito per la nomina la conoscenza della lingua italiana e di quella tedesca.
Al riguardo, si ricorda infatti che l'articolo 20-ter del DPR n. 752 del 1976 (Norme di attuazione dello statuto speciale della regione Trentino-Alto Adige in materia di proporzionale negli uffici statali siti nella provincia di Bolzano e di conoscenza delle due lingue nel pubblico impiego) prevede, al comma 1, che "Qualora intenda beneficiare, nei casi previsti, degli effetti giuridici derivanti dall'appartenenza o dall'aggregazione al gruppo linguistico, ogni cittadino residente nella provincia, di età superiore agli anni diciotto e non interdetto per infermità di mente, ha facoltà di rendere in ogni momento una dichiarazione individuale nominativa di appartenenza ad uno dei tre gruppi linguistici italiano, tedesco e ladino. Coloro che ritengono di non appartenere ad alcuno di tali gruppi, lo dichiarano e rendono soltanto dichiarazione nominativa di aggregazione ad uno di essi".
Per completezza, si segnala che anche la legge elettorale del Consiglio provinciale di Bolzano prevede che con la lista dei candidati sia presentato il certificato di appartenenza o di aggregazione a un gruppo linguistico ex articolo 20-ter, DPR 752/1976, ovvero, in mancanza, una dichiarazione di appartenenza o di aggregazione al gruppo linguistico ai fini e agli effetti del mandato elettorale (articolo 17 della legge provinciale n. 14 del 2017).
Il regolamento del Consiglio regionale del Trentino Alto-Adige prevede poi, all'articolo 13, che i consiglieri rendano personalmente per iscritto alla Presidenza la dichiarazione di appartenenza a un gruppo linguistico, oltre che a un gruppo politico. Per il collegio elettorale di Bolzano fa fede la dichiarazione rilasciata al momento della candidatura. L'iscrizione a un gruppo linguistico è irrevocabile per la durata della legislatura.
La lingua francese ha acquisito uno statuto costituzionale nel 1992, quando è stato inserito un nuovo (primo) comma all’art. 2 della Costituzione, fino ad allora dedicato ai simboli della nazione (bandiera, inno, motto e principi): “La lingua della Repubblica è il francese”. La modifica costituzionale è stata poi attuata dalla Loi n. 94-665 du 4 août 1994 relative à l’emploi de la langue française recante disposizioni specifiche volte ad assicurare la preminenza della lingua francese in diversi ambiti della vita pubblica.
Nel 2008, con l’art. 40 della Loi constitutionnelle n. 2008-724 du 23 juillet 2008 de modernisation des institutions de la Ve République è stata poi inserita nella Costituzione una nuova disposizione, in base alla quale si afferma che “Le lingue regionali appartengono al patrimonio della Francia”. Inizialmente proposta come nuovo comma dell’art. 1, tale disposizione è stata alla fine collocata nel Titolo XII dedicato alle collettività territoriali, creando il nuovo art. 75-1.
I primi tentativi di dare attuazione al nuovo statuto riconosciuto alle lingue regionali da parte del Parlamento francese sono stati alcuni interventi puntuali e mirati soprattutto all’ambito scolastico: Loi du 8 juillet 2013 d’orientation et de programmation pour la refondation de l’école de la République; Loi du 7 août 2015 portant nouvelle organisation territoriale de la République; Loi du 26 juillet 2019 pour une école de la confiance.
L’art. L312-10 del Code de l’éducation prevede che l’insegnamento delle lingue e delle culture regionali, che fanno parte del patrimonio francese come stabilito dalla Costituzione, è favorito in via prioritaria nelle regioni in cui sono utilizzate. Il loro insegnamento può essere impartito durante l’intero percorso scolastico secondo le modalità definite da un’intesa tra lo Stato e gli enti locali. Il Consiglio superiore dell’istruzione (Conseil supérieur de l’éducation) è consultato, conformemente alle competenze che gli sono attribuite dall’art. 231-1 del Code de l’éducation, in merito ai mezzi e ai modi per promuovere lo studio delle lingue e delle culture regionali nelle regioni in cui tali lingue sono utilizzate. L’insegnamento facoltativo della lingua e della cultura regionale è offerto in una delle due forme seguenti:
1. insegnamento della lingua e della cultura regionale;
2. educazione bilingue in francese e nella lingua regionale.
Le famiglie sono informate delle varie opzioni di apprendimento delle lingue e delle culture regionali.
L’art. L312-11 del Code de l’éducation prevede invece che, fatte salve le disposizioni dell’art. L. 121-3, gli insegnanti delle scuole primarie e secondarie sono autorizzati a utilizzare le lingue regionali, a condizione che ne traggano beneficio per il loro insegnamento. Possono anche attingere a elementi della cultura regionale per promuovere l’acquisizione del nucleo comune di conoscenze, competenze e cultura e dei programmi scolastici.
Ai sensi dell’art. L312-11-1 del Code de l’éducation. la lingua corsa (langue corse) è una materia insegnata nell’ambito del normale orario delle scuole materne ed elementari in Corsica. Inoltre, fatta salva tale disposizione, nell’ambito di accordi tra lo Stato e le regioni, la collettività corsa, la collettività europea dell’Alsazia o le collettività territoriali disciplinate dall’art. 73 della Costituzione, la lingua regionale è una materia insegnata nell’ambito dell’orario normale delle scuole materne ed elementari, medie e superiori di tutti o parte dei territori interessati, con l’obiettivo di offrire l’insegnamento della lingua regionale a tutti gli alunni (art. L312-11-2).
Allo scopo di garantire la continuità dei percorsi linguistici, la Legge sulla nuova organizzazione territoriale della Repubblica (Loi n. 2015-991 du 7 août 2015 portant nouvelle organisation territoriale de la République) ha modificato l’art. L. 212-8 del Code de l’éducation per facilitare l’iscrizione degli alunni residenti in un comune le cui scuole non offrono l’insegnamento regionale della lingua in una scuola di un altro comune che fornisce tale istruzione. L’insegnamento delle lingue e delle culture regionali promuove la considerazione della continuità tra l'ambiente familiare e sociale e il sistema educativo, contribuendo all’integrazione della persona nel tessuto sociale locale. A tal fine, l’art. 34 della Legge n. 2019-791 del 26 luglio 2019 per una scuola di fiducia consente, attraverso la modifica dell’art. L. 442-5-1 del Code de l’éducation, la scolarizzazione dei bambini delle scuole primarie private nell’ambito di un contratto di associazione che fornisce l’insegnamento linguistico regionale quando il comune di residenza non dispone di una scuola che offra un insegnamento delle lingue regionali. Il successivo art. 38 della Legge n. 2019-791 rafforza il quadro giuridico per la sperimentazione pedagogica modificando l’art. L. 314-2 del Code de l’éducation, che specifica che tale sperimentazione può riguardare l’insegnamento in una lingua straniera o regionale moderna. La relazione allegata alla Loi n. 2013-595 du 8 juillet 2013 d’orientation et de programmation pour la refondation de l’école de la République riconosce i vantaggi e i benefici dell’apprendimento precoce delle lingue regionali moderne e incoraggia l’utilizzo di opere e risorse educative nella lingua regionale a partire dalla scuola primaria. Tale legge ha inoltre modificato l’art. L. 216-1 del Code de l’éducation per specificare che le attività educative, sportive e culturali complementari organizzate dagli enti locali nelle scuole durante il loro orario di apertura possono riguardare la conoscenza delle lingue e delle culture regionali[3].
La questione relativa alla tutela delle lingue regionali continua ad essere di grande attualità, a partire dalla mancata ratifica, da parte della Francia, della Carta europea delle lingue minoritarie[4] che il Governo francese ha soltanto firmato il 7 maggio 1999. La Carta ha come obiettivo la protezione delle lingue regionali o minoritarie, intese come “patrimoni”, purché tali lingue siano “storiche”, cioè di antico insediamento in un determinato territorio, e riconosciute in quanto per l’appunto lingue e non dialetti. La firma della Francia è intervenuta dopo ben tre rapporti ministeriali (Poignant, Carcassonne, Cerquiglini), ma un mese dopo, a causa delle forti reazioni in ambito politico, fu la Corte costituzionale a bloccarne la ratifica, per lo scoglio rappresentato dall’art. 2 della Costituzione modificato, come si è detto all’inizio, proprio nel 1992. Si continua a temere, inoltre, che il riconoscimento delle lingue regionali appartenenti alle comunità linguistiche storicamente più attive nella Francia metropolitana (le comunità bretone, occitana, còrsa) possa recare danno all’unità nazionale.
Il dibattito politico si è riacceso, in particolare, con l’approvazione, l’8 aprile 2021, della Loi n. 2021-641 du 21 mai 2021 relative à la protection patrimoniale des langues régionales et à leur promotion, la quale rappresenta un tentativo di attuazione organica dell’art. 75-1 della Costituzione, soltanto in parte riuscito, considerato il progressivo ridimensionamento subito della legge, avvenuto sia in sede parlamentare sia in sede di controllo di costituzionalità. La proposta, presentata da Paul Molac e altri deputati del gruppo di minoranza Libertés et territoires, e inizialmente sostenuta anche dal gruppo di maggioranza La République en marche, era originariamente organizzata in tre settori: la protezione patrimoniale delle lingue regionali, l’insegnamento e i servizi pubblici. Nella prima parte della proposta di legge si prevedeva il riconoscimento delle lingue regionali come parte del patrimonio culturale immateriale e si assicurava ai beni materiali di particolare rilevanza per la promozione di queste lingue una protezione rinforzata. L’ultima parte conteneva essenzialmente nuove norme per legittimare la traduzione in lingua regionale dei segnali stradali e l’utilizzo dei segni diacritici non comuni per la lingua francese negli atti dello stato civile. Le disposizioni contenute in queste parti sono state grosso modo confermate in sede parlamentare, mentre, fin da subito, la parte più controversa è stata quella centrale, dedicata alla scuola, nell’ambito della quale tra l’altro si valorizzavano l’insegnamento della lingua regionale nel normale orario scolastico, le pratiche di insegnamento immersivo nella scuola pubblica e il finanziamento delle scuole private impegnate nell’insegnamento delle lingue regionali. Una parte delle disposizioni contenute in questa parte sono state eliminate già nel corso del dibattito parlamentare. In particolare, è stata eliminata la possibilità per le collettività territoriali di finanziare gli investimenti delle scuole private impegnate nell’insegnamento delle lingue regionali; al contrario, è stata mantenuta la disposizione (art. 6) che prevede la partecipazione alle spese di scolarizzazione presso le stesse scuole private, per gli studenti che desiderano studiare una lingua regionale e che non incontrano tale opportunità nel proprio comune di residenza, da parte del comune stesso.
Un ulteriore ridimensionamento della portata della Legge 2021-641 è avvenuto con l’intervento del Conseil constitutionnel (Décision n° 2021-818 DC du 21 mai 2021), che nel suo giudizio di “Non conformité partielle ha, tra quelle oggetto di ricorso, confermato la disposizione di cui all’art. 6 della legge (sopra citata), ritenendolo non contrario all’art. 2 della Costituzione, in quanto la necessità di sostenere le spese di scolarizzazione relative all’insegnamento di una lingua regionale, non comporterebbe né l’imposizione dell’utilizzo di una lingua diversa dal francese da parte di enti pubblici o enti privati che esercitano funzioni pubbliche, né l’affermazione di un diritto dei singoli ad utilizzare una lingua diversa dal francese con le amministrazioni pubbliche.
Il Conseil constitutionnel è poi giunto a dichiarare l’illegittimità costituzionale degli artt. 4 e 9 della legge 2021-641. Nello specifico, l’art. 4 prevedeva in particolare la possibilità dell’insegnamento immersivo in lingua regionale presso le scuole pubbliche, cioè non soltanto l’insegnamento di una lingua regionale, ma l’utilizzo della stessa come lingua principale di insegnamento per altre discipline. Tale tipologia di offerta formativa, secondo i giudici costituzionali, rappresenta una violazione dell’art. 2 della Costituzione, perché determinerebbe l’utilizzo prioritario di una lingua diversa dal francese da parte di enti pubblici o enti privati che esercitano funzioni pubbliche. L’art. 9 conteneva invece l’autorizzazione all’utilizzo dei segni diacritici (utilizzati in particolare nelle lingue bretone e basca) non comuni per la lingua francese negli atti dello stato civile. Tale disposizione è stata dichiarata incostituzionale da parte del Conseil, in quanto garantirebbe ai singoli un diritto all’utilizzo di una lingua diversa dal francese nei rapporti con le amministrazioni pubbliche.
Si segnala, infine, che dal 2001 la Delegazione generale per la lingua francese e per le lingue di Francia, annessa al Ministero della cultura, ha l’incarico di supervisionare la promozione, la protezione e la vitalità della lingua francese così come delle “lingue di Francia”. Tale espressione designa una parte di lingue regionali, ma anche le lingue emerse dai processi migratori (o lingue non- territoriali), come i dialetti arabi, l’armeno occidentale e l’yiddish.
Il quadro giuridico sulla tutela delle minoranze in Spagna è basato su principi costituzionali e normative specifiche che riflettono l’impegno del Paese per la protezione dei diritti delle minoranze linguistiche, culturali, religiose ed etniche.
La Costituzione spagnola del 1978 rappresenta la base giuridica per la tutela delle minoranze. Stabilita l’indissolubile unità della nazione, l’art. 2[5] riconosce e garantisce il diritto all’autonomia delle nazionalità e delle regioni (derecho a la autonomía de las nacionalidades y regiones) che compongono la Spagna, promuovendo un sistema decentralizzato che tutela le identità locali. Di seguito, l’art. 3[6] stabilisce che il castigliano è la lingua ufficiale dello Stato; riconosce le altre lingue delle Comunità autonome come parte del patrimonio culturale spagnolo, garantendone la protezione e la promozione.
Le minoranze linguistiche godono quindi di un’ampia tutela nell’ordinamento spagnolo. Le lingue regionali come il catalano, il basco, il galiziano e il valenciano sono ufficiali nelle rispettive Comunità autonome, in coesistenza con il castigliano. In conformità al comma 2 del già citato art. 2 della Costituzione, gli Statuti di autonomia delle Comunità autonome recano disposizioni specifiche per la promozione e l’uso delle lingue locali nel campo dell’istruzione, della pubblica amministrazione e dei media.
Lo Statuto di Autonomia della Catalogna (Ley Orgánica 6/2006, de 19 de julio, de reforma del Estatuto de Autonomía de Cataluña) approvato nel 1979 e successivamente modificato nel 2006, attribuisce al catalano uno status privilegiato come parte integrante dell’identità e della cultura catalane.
L’art. 6 stabilisce che il catalano è la lingua ufficiale della Catalogna che si usa di preferenza nelle pubbliche amministrazioni e nei media pubblici, ed è anche utilizzata come lingua veicolare nel settore dell’istruzione, in cui comunque si garantisce l’insegnamento del castigliano. Considerato che quest’ultima è la lingua ufficiale dello Stato spagnolo, si riconosce a tutti i catalani il diritto di usare le due lingue ufficiali e il diritto e il dovere di conoscerle; i poteri pubblici devono garantire l’accesso a tale conoscenza. Non può esservi discriminazione basata sull’uso dell’una o dell’altra lingua e gli atti giuridici posti in essere in una delle due lingue ufficiali hanno, per quanto riguarda la lingua, piena validità ed efficacia (art. 32). Le istituzioni catalane devono garantire che il catalano sia usato come lingua preferenziale nelle loro attività. Ciò si riflette nell’amministrazione, nella giustizia e in altri ambiti pubblici.
Lo Statuto della Catalogna riconosce (art. 6, comma 5), inoltre, la lingua occitana chiamata aranese, propria della Val d’Aran, come lingua ufficiale insieme al catalano e al castigliano in quel territorio. Anche l’aranese è oggetto di tutela e promozione alla stregua del catalano (art. 50, comma 1).
Disposizioni analoghe con riferimento all’antica lingua dell’euskera sono contenute nello Statuto di Autonomia dei Paesi Baschi (Ley Orgánica 3/1979, de 18 de diciembre, Estatuto de Autonomía del País Vasco), entrato in vigore nel gennaio 1980. Nello specifico, l’art. 6 stabilisce che il basco ha, come lo spagnolo, il carattere di lingua ufficiale nei Paesi Baschi, e tutti i suoi abitanti hanno il diritto di conoscere e usare entrambe le lingue. Le istituzioni comuni della Comunità Autonoma, tenendo conto della diversità socio-linguistica dei Paesi Baschi, garantiranno l’uso di entrambe le lingue nel rispetto del principio che nessuno può essere discriminato a causa della lingua. Lo Statuto riconosce, inoltre, l’importanza di istituzioni come l’Accademia Reale della Lingua basca (Euskaltzaindia), fondata nel 1918, la cui missione è la protezione e la promozione dell’euskera.
La tutela del galiziano nello Statuto di Autonomia della Galizia (Ley Orgánica 1/1981, de 6 de abril, de Estatuto de Autonomía para Galicia), approvato nel 1981, è un elemento fondamentale per la salvaguardia dell’identità culturale e linguistica della regione. Oltre alle disposizioni di promozione, tutela e protezione della lingua, lo Statuto prevede all’art. 32 l’istituzione di un Fondo culturale galiziano (Fondo Cultural Gallego) e del Consiglio della cultura galiziana (Consejo de la Cultura Gallega), responsabile della difesa e della promozione dei valori culturali del popolo galiziano. In attuazione dell’art. 32 dello Statuto, la Comunità autonoma ha approvato la Ley 8/1983, de 8 de julio, del Consejo de la Cultura Gallega, in vigore dal 21 agosto 1984, che disciplina nel dettaglio la composizione, i poteri e il funzionamento del Consiglio. Si segnala, inoltre, che nel 2016 è stata approvata la Legge sul patrimonio culturale della Galizia (Ley 5/2016, de 4 de mayo, del patrimonio cultural de Galicia), il cui scopo, dichiarato nell’art. 1, comma 1, consiste nel proteggere, conservare, incrementare, diffondere e promuovere il patrimonio culturale della Galizia in affinché serva ai cittadini come strumento di coesione sociale, sviluppo sostenibile e fondamento dell’identità culturale del popolo galiziano e sia valorizzato e trasmesso alle generazioni future.
Lo Statuto di Autonomia della Comunità Valenciana (Ley Orgánica 5/1982, de 1 de julio, de Estatuto de Autonomía de la Comunidad Valenciana), approvato nel 1982, riconosce il valenciano come parte fondamentale del patrimonio culturale e linguistico della regione, affiancandolo al castigliano come lingua ufficiale. Lo Statuto prevede che sia insegnato nelle scuole e che gli studenti acquisiscano competenze in entrambe le lingue ufficiali. Il valenciano è utilizzato come lingua veicolare in molte istituzioni scolastiche, in conformità con le politiche linguistiche regionali. L’art. 41 istituisce l’Accademia Valenciana della lingua (Acadèmia Valenciana de la Llengua), le cui funzioni possono essere raggruppate in due aree principali: da un lato, determinare la regolamentazione ufficiale del valenciano e le forme linguistiche corrette di toponomastica e antroponimia della Comunità Valenciana e, dall’altro, realizzare azioni volte a promuovere l’uso sociale della del valenciano. La composizione, l’organizzazione e le competenze dell’Accademia sono disciplinate dalla Ley 7/1998, de 16 de septiembre, de Creación de la Academia Valenciana de la Lengua.
Lo Statuto prevede anche, nell’ambito della tutela di una particolare minoranza di disabili, l’insegnamento, la protezione e il rispetto della lingua dei segni dei sordi (art. 13).
Per quanto concerne, infine, la tutela delle minoranze etniche a livello nazionale, va fatta menzione dell’Istituto della Cultura Gitana, che promuove iniziative culturali e sociali per valorizzare l’identità della comunità Rom. Previsto dal Regio Decreto 190/2023 (Real Decreto 190/2023, de 21 de marzo, por el que se aprueban los Estatutos de la Fundación F.S.P. Instituto de Cultura Gitana), è una fondazione del settore pubblico statale istituita in virtù di un Accordo del Consiglio dei ministri del 2007 e iscritta nel Registro delle Fondazioni del Ministero della cultura. La sua attività è stata legata fin dalla sua creazione alla promozione e al raggiungimento degli obiettivi fondativi che sono, tra gli altri, la proposta di azioni culturali volte a realizzare una convivenza armoniosa tra i diversi gruppi e culture che compongono la società spagnola, tutelando i valori delle pari opportunità, della parità di trattamento, dell’uguaglianza di genere e della non discriminazione della popolazione Rom. È compito permanente di questa fondazione pubblica lavorare per lo sviluppo e la promozione della storia, della cultura e della lingua gitana in tutte le sue manifestazioni, promuovendone e diffondendone la conoscenza attraverso studi, ricerche e pubblicazioni, nonché attraverso l’organizzazione di eventi accademici e culturali.
[1] Dal 2021 l’OSCE non è riuscita a raggiungere il consenso necessario per l’approvazione del bilancio.
[2] La sezione è composta da otto magistrati: quattro appartenenti al gruppo linguistico italiano e quattro al gruppo linguistico tedesco. La metà dei componenti la sezione è nominata dal Consiglio provinciale di Bolzano.
[3] Si veda al riguardo anche la Circulaire du 14-12-2021.
[4] La Carta europea delle lingue regionali o minoritarie è la Convenzione europea per la tutela e la promozione delle lingue utilizzate da minoranze tradizionali. Insieme alla Convenzione quadro per la protezione delle minoranze nazionali, rappresenta l’impegno del Consiglio d’Europa a favore della protezione di tali minoranze. La Carta, aperta alla firma il 5 maggio 1992, è entrata in vigore internazionale il 1° marzo 1998, dopo il deposito della quinta ratifica. Ad oggi ne fanno parte 25 Stati, tra cui non figurano né la Francia né l’Italia (che l’ha sottoscritta il 27 giugno 2000), che permangono quindi nello status di Stati firmatari. La Spagna, invece, dopo aver immediatamente firmato la Convenzione il 5 maggio 1992, l’ha ratificata il 9 aprile 2001.
[5] Art. 2: “La Costituzione si basa sulla indissolubile unità della Nazione spagnola, patria comune e indivisibile di tutti gli spagnoli, e riconosce e garantisce il diritto alla autonomia delle nazionalità e regioni che la compongono e la solidarietà fra tutte le medesime” (versione in lingua italiana, aggiornata alle ultime modifiche del 27 settembre 2011, pubblicata in rete dall’Agencia Estatal Boletín Oficial del Estado).
[6] Art. 3: “1. Il castigliano è la lingua ufficiale dello Stato. Tutti gli spagnoli hanno il dovere di conoscerla e il diritto di usarla. 2. Le ulteriori lingue spagnole saranno altresì ufficiali nell’ambito delle rispettive Comunità Autonome conformemente ai propri Statuti. 3. La ricchezza del pluralismo linguistico in Spagna è un patrimonio culturale che sarà oggetto di speciale rispetto e protezione”.