Camera dei deputati - Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: RUE - Ufficio SG - Ufficio Rapporti con l'Unione europea
Titolo: Riunione interparlamentare della Commissione libertà civili, giustizia e affari interni (LIBE) del PE "La situazione dello Stato di diritto nell'Unione europea" - Bruxelles, 4 dicembre 2023
Serie: Documentazione per le Commissioni - Riunioni interparlamentari   Numero: 36
Data: 30/11/2023
Organi della Camera: XIV Unione Europea, I Affari costituzionali, II Giustizia

        

 

XIX LEGISLATURA

 

Documentazione per le Commissioni

RIUNIONI INTERPARLAMENTARI

 

 

 

Riunione interparlamentare della Commissione libertà civili, giustizia e affari interni (LIBE) del Parlamento europeo

“La situazione dello Stato di diritto nell’Unione europea”

Bruxelles, 4 dicembre 2023

 

 

 

 

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I N D I C E

Ordine del giorno

Introduzione. 1

Sessione I: La situazione dello Stato di diritto nel 2023 - La relazione annuale della Commissione - La risoluzione del Parlamento europeo.. 3

Il principio dello Stato di diritto nell’Unione europea. 3

I principali strumenti di tutela nell’ordinamento europeo. 4

La relazione sullo Stato di diritto. 6

Il progetto di risoluzione del Parlamento europeo sulla relazione sullo Stato di diritto 2023 della Commissione. 9

Il regolamento sulle condizionalità in materia di Stato di diritto - Il procedimento a carico dell’Ungheria. 9

Sessione II - la lotta alla corruzione come pilastro fondamentale della democrazia.. 13

Gli effetti della corruzione nell’UE: dati statistici 13

Politiche dell’UE in materia di corruzione. 16

 


 



Introduzione

 

Il 4° dicembre 2023, presso la sede del Parlamento europeo a Bruxelles, è previsto lo svolgimento della Riunione interparlamentare “La situazione dello Stato di diritto nell’UE che ha assunto cadenza annuale.

Nella lettera di invito il Presidente della Commissione LIBE (Libertà civili, giustizia e affari interni), López Aguilar, ricorda che fin dal 2016 il Parlamento europeo ha sollecitato l’istituzione di uno strumento globale e preventivo in materia di Stato di diritto. Tale indirizzo è stato successivamente rafforzato con la risoluzione del 7 ottobre 2020 sull'istituzione di un meccanismo su democrazia, Stato di diritto e diritti fondamentali dell’UE, basato su un accordo interistituzionale tra il Parlamento, il Consiglio dell’UE e la Commissione.

Si tratta di un ciclo annuale di monitoraggio in merito ai valori dell'Unione indicati dall’articolo 2 del Trattato sull’UE, nel cui contesto ai Parlamenti nazionali è attribuito un ruolo indispensabile per quanto riguarda sia lo svolgimento del pubblico dibattito, sia l’adozione delle rispettive posizioni sugli esiti del meccanismo. Il ciclo include altresì l’organizzazione di dibattiti interparlamentari annuali sui risultati della Relazione annuale presentata dalla Commissione europea in materia di Stato di diritto, documento recante una valutazione dell’UE nel suo complesso e del grado di rispetto del principio nei singoli Stati membri.

Il programma della Riunione interparlamentare di quest’anno si articola in due sessioni dedicate rispettivamente a:

·        uno scambio di vedute sulla situazione dello Stato di diritto nel 2023, sulla base della Relazione annuale della Commissione europea e in vista della risoluzione in materia che il Parlamento europeo dovrebbe adottare nella seconda sessione di febbraio 2024;

·        il contrasto alla corruzione quale pilastro fondamentale della democrazia. 

 

 


 


 

Sessione I: La situazione dello Stato di diritto nel 2023 - La relazione annuale della Commissione - La risoluzione del Parlamento europeo

 

Il principio dello Stato di diritto nell’Unione europea

Lo Stato di diritto, alla base degli ordinamenti costituzionali degli Stati membri dell'UE e del Consiglio d'Europa, affianca la democrazia e i diritti fondamentali come valori fondanti dell'Unione.

In particolare, ai sensi dell’articolo 2 del Trattato sull’Unione europea (TUE), l’UE si fonda sui valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell'uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze. Questi valori sono comuni agli Stati membri in una società caratterizzata dal pluralismo, dalla non discriminazione, dalla tolleranza, dalla giustizia, dalla solidarietà e dalla parità tra donne e uomini.

Il regolamento (UE, Euratom) 2020/2092 (vedi infra) del 16 dicembre 2020 relativo a un regime generale di condizionalità per la protezione del bilancio dell’Unione ha consolidato a livello di Unione europea la nozione di Stato di diritto, includendovi i seguenti principi:

·        legalità, in base alla quale il procedimento legislativo deve essere trasparente, responsabile, democratico e pluralistico;

·        certezza del diritto;

·        divieto di arbitrarietà del potere esecutivo;

·        tutela giurisdizionale effettiva, compreso l’accesso alla giustizia, da parte di organi giurisdizionali indipendenti e imparziali, anche per quanto riguarda i diritti fondamentali;

·        separazione dei poteri;

·        non-discriminazione e uguaglianza di fronte alla legge.

La tutela dello Stato di diritto è ritenuta la precondizione essenziale per il funzionamento dell’ordinamento europeo nel suo complesso, tra l’altro, con riferimento a: l’esercizio dei diritti e delle libertà garantiti dalla Carta europea dei diritti fondamentali; l’attuazione dello Spazio di libertà, sicurezza e giustizia dell’UE; il funzionamento del mercato interno; l’impiego delle dotazioni di bilancio UE in conformità delle corrispondenti norme di utilizzo.

I principali strumenti di tutela nell’ordinamento europeo

L’articolo 7 del Trattato sull’UE (TUE)

La procedura ex articolo 7 del TUE sulla protezione dei valori UE prevede due meccanismi: il primo per le misure preventive, se c’è un chiaro rischio di violazione dei valori UE da parte di uno Stato membro; il secondo per le sanzioni, se si ritiene la violazione sia avvenuta.

In entrambi i casi l’iniziativa, nella forma di una proposta motivata, spetta al Parlamento europeo, alla Commissione europea, o a un terzo degli Stati membri, mentre sono il Consiglio e il Consiglio europeo, in fasi diverse, a esercitare i poteri di accertamento per quanto riguarda il rischio di violazione grave o la constatazione dell’avvenuta violazione grave e persistente da parte di uno Stato membro.

Le prime esperienze relative all’avvio della procedura ex art. 7 riguardano i casi relativi alla Polonia e all’Ungheria, i cui procedimenti sono stati instaurati rispettivamente dalla Commissione europea e dal Parlamento europeo. I procedimenti non sono mai stati completati.

Il regime sanzionatorio stabilito dall’articolo 7 TUE arriva a prevedere, in astratto, la sospensione da alcuni dei diritti derivanti dal Trattato, inclusa la sospensione del diritto di voto in seno al Consiglio del rappresentante del Governo dello Stato cui è stata addebitata la violazione dello Stato di diritto.

Sono previste maggioranze diverse a seconda della fase della procedura. Per quanto riguarda il meccanismo preventivo la decisione in seno al Consiglio richiede la maggioranza dei quattro quinti degli Stati membri, mentre in caso di constatazione della violazione è necessaria preventivamente una decisione all’unanimità del Consiglio europeo, naturalmente ad esclusione dello Stato oggetto della procedura, che non prende parte ai voti.

La disciplina relativa ai quorum previsti per l’avanzamento della procedura articolata nei due meccanismi (in particolare, l’unanimità richiesta per poter procedere all’individuazione delle sanzioni) è stata oggetto di approfondito dibattito sulle sue ricadute in termini di efficacia dello strumento, anche in considerazione del fatto che le sole due procedure finora istaurate non hanno registrato progressi oltre la fase istruttoria, nel corso della quale si sono tenute audizioni delle autorità dei rispettivi Stati membri.  Al riguardo, si ricorda che il Parlamento europeo ha ripetutamente invitato il Consiglio dell’UE a portare avanti le procedure ex articolo 7 e che la Commissione europea ha inteso ricercare ulteriori vie, sulla base degli strumenti vigenti, per tutelare più efficacemente il rispetto dello Stato di diritto (vedi infra)

Procedura di infrazione

Il secondo strumento generale di possibile reazione dell’Unione europea al mancato rispetto da parte di uno Stato membro del principio dello Stato di diritto (e dei diritti fondamentali) è rappresentato dalla procedura di infrazione promossa dalla Commissione europea per violazione del diritto dell’UE.

In base agli articoli 258-260 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE) la Commissione individua possibili violazioni del diritto dell’UE sulla base delle proprie indagini o di denunce da parte di cittadini, imprese e altre parti interessate. Se il Paese dell'UE interessato non ha comunicato le misure che recepiscono completamente le disposizioni delle direttive o non rettifica la presunta violazione del diritto dell’UE, la Commissione può avviare una procedura formale di infrazione. In particolare, la Commissione invia una lettera di costituzione in mora con cui richiede ulteriori informazioni al Paese in questione, che dovrà inviare una risposta dettagliata entro un termine preciso, in genere due mesi. Se la Commissione giunge alla conclusione che il Paese è venuto meno ai propri obblighi a norma del diritto dell’UE, può inviare una richiesta formale di conformarsi al diritto dell’Unione, in cui spiega perché ritiene che il paese violi il diritto dell’UE (parere motivato). La Commissione chiede, inoltre, al Paese interessato di comunicarle le misure adottate entro un termine preciso, in genere due mesi. Se il Paese continua a non conformarsi alla legislazione, la Commissione può decidere di deferirlo alla Corte di giustizia. Ove la Corte ritenga che il Paese in questione abbia violato il diritto dell’Unione, le autorità nazionali devono adottare misure per conformarsi alle disposizioni della sentenza della Corte. Se, nonostante la sentenza della Corte di giustizia, il Paese continua a non rettificare la situazione, la Commissione può deferirlo dinanzi alla Corte, chiedendo al giudice dell’UE l’imposizione di sanzioni pecuniarie, che possono consistere in una somma forfettaria e/o in pagamenti giornalieri.

A partire dal 2019 (si veda in particolare la comunicazioneRafforzare lo Stato di diritto Programma di azione) la Commissione europea ha mutato approccio, procedendo a un maggiore impiego strategico delle procedure di infrazione e, in generale, ad un aumento del coinvolgimento dell’azione della Corte di giustizia dell’UE ove i rimedi nazionali non siano in grado di contrastare le violazioni dello Stato di diritto verificatesi negli Stati membri.

Nella prospettiva della Commissione viene altresì valorizzato il ruolo dei giudici nazionali, quale primo livello di monitoraggio sulla tenuta dei valori europei, funzione essenziale in vista del successivo coinvolgimento della Corte di giustizia dell’UE (tramite  il rinvio a tale organismo giurisdizionale delle cosiddette questioni pregiudiziali di interpretazione del diritto dell’UE) laddove si siano verificate violazioni dello Stato di diritto che si traducano anche in pregiudizio per l’attuazione dell’ordinamento europeo.

I dialoghi sullo Stato di diritto nell’ambito del Consiglio dell’UE

Nel 2014 il Consiglio ha instaurato i “dialoghi annuali sullo Stato di diritto”, concretamente una serie di riunioni del Consiglio dell’UE Affari generali nelle quali sono approfonditi aspetti generali della materia dello Stato di diritto e dei diritti fondamentali. Nel novembre 2016, taluni Stati membri, tra i quali anche l’Italia, hanno proposto il rafforzamento di tali dialoghi, mediante la trasformazione della discussione in sede di Consiglio in un esercizio periodico di valutazione inter pares tra Stati membri (cd. peer review).

Nel solco di tale iniziativa, con il Consiglio dell’UE affari generali del 17 novembre 2020 i dialoghi semestrali sullo Stato di diritto si sono concentrati di volta in volta sulla situazione specifica di gruppi di 5 Stati membri. In particolare, sono stati approfonditi gli sviluppi dello Stato di diritto nei seguenti Paesi: Belgio, Bulgaria, Repubblica Ceca, Danimarca ed Estonia (17 novembre 2020); Germania, Irlanda, Grecia, Spagna e Francia (20 aprile 2021); Croazia, Italia, Cipro, Lettonia e Lituania (23 novembre 2021); Lussemburgo, Ungheria, Malta, Paesi Bassi e Austria (12 aprile 2022). I Dialoghi sono attualmente introdotti dalla Commissione europea in base alla sua Relazione annuale sullo Stato di diritto, con particolare riguardo ai capitoli per Paese (vedi infra).

Da ultimo, il Consiglio Affari Generali del 18 ottobre 2022 ha discusso i capitoli dell’ultima Relazione sullo Stato di diritto riguardanti la Polonia, il Portogallo, la Romania, la Slovenia e la Svezia. Nel corso della primavera prossima l’Italia dovrebbe essere tra gli Stati membri nuovamente esaminati in tale contesto.

La relazione sullo Stato di diritto

La relazione annuale sullo Stato di diritto è il documento della Commissione europea che fa il punto sulla situazione dello Stato di diritto in ciascuno Stato membro e nell'UE nel suo complesso, individua le sfide emergenti e sostiene le riforme dello Stato di diritto. In sostanza la relazione, dal 2020 avvia un ciclo annuale di monitoraggio e costituisce la base per la discussione e lo scambio di migliori pratiche tra gli Stati membri, a livello sia politico che tecnico, in seno al Parlamento europeo e ai Parlamenti nazionali.

Il documento si basa su una varietà di fonti, comprese interviste e visite specifiche nei singoli Paesi. Oltre alle autorità nazionali, sono coinvolti organismi indipendenti e soggetti interessati, anche della società civile.

La relazione esamina il grado di rispetto del principio valutando la sua declinazione in quattro settori: il sistema giudiziario (tra l’altro riportando le risultanze dell’analisi comparativa dell’efficacia e indipendenza del potere giudiziario effettuata dalla Commissione europea nel "Quadro di valutazione della giustizia", EU Justice scoreboard); il quadro anticorruzione; il pluralismo dei media; altre questioni istituzionali relative al sistema di bilanciamento dei poteri.

La relazione generalmente si articola in due parti:

·        una sezione dedicata alle tendenze trasversali, comprese eventuali vulnerabilità sistemiche, nonché alle best practice più significative;

·        singoli capitoli per ciascuno Stato membro, nei quali si approfondisce la situazione nei quattro settori citati.

A partire dal 2022, la Relazione ha iniziato a includere anche raccomandazioni mirate a ciascuno Stato membro con particolare riguardo agli ambiti in cui la Commissione europea ritiene siano necessari miglioramenti.

La relazione 2023 - Il capitolo sull’Italia

Nella parte generale della relazione la Commissione premette che le discussioni nell'ambito del Consiglio sulla relazione 2022 sono state positive e costruttive, avendo gli Stati membri dato seguito a quasi il 65 per cento delle raccomandazioni specifiche rivolte loro lo scorso anno. Al pari degli anni precedenti la relazione, basata su una stretta collaborazione con gli Stati membri e su una vasta gamma di fonti nazionali, internazionali e di altro tipo, illustra temi e tendenze comuni, problemi specifici ed evoluzioni positive nei quattro ambiti sopracitati. L'obiettivo delle raccomandazioni del 2023 continua a essere quello di aiutare e sostenere gli Stati membri nell'impegno a realizzare le riforme e individuare, sulla base di un costante dialogo, gli ambiti in cui potrebbe essere necessario apportare miglioramenti o dare seguito a recenti cambiamenti o riforme.

 

 

Il capitolo sull’Italia e le raccomandazioni specifiche

Secondo la Commissione europea, l'Italia ha realizzato: 

·        progressi significativi nell'ulteriore miglioramento del livello di digitalizzazione del sistema giudiziario, in particolare nelle sedi penali e nelle procure;

·        progressi significativi nel potenziamento della digitalizzazione e dell'interconnessione dei registri, migliorando in tal modo le operazioni di polizia e l'azione penale contro la corruzione ad alto livello;

·        alcuni progressi nell'adozione di norme complessive sui conflitti di interessi e alcuni progressi nella regolamentazione del lobbismo mediante l'istituzione di un registro operativo delle attività dei rappresentanti di interessi, indicando anche un'impronta legislativa;

·        alcuni progressi nell'affrontare efficacemente la pratica di incanalare le donazioni attraverso fondazioni e associazioni politiche e nell'introduzione di un registro elettronico unico delle informazioni sul finanziamento dei partiti e delle campagne;

·        alcuni progressi nell'introduzione di garanzie legislative e di altro tipo per riformare il regime della diffamazione e la protezione del segreto professionale e delle fonti giornalistiche, tenendo conto delle norme europee in materia di protezione dei giornalisti;

·        alcuni progressi verso la costituzione di un'istituzione nazionale per i diritti umani tenendo conto dei principi di Parigi delle Nazioni Unite.

Su tale base, e tenuto conto di altri sviluppi intervenuti nel periodo di riferimento, oltre a ricordare gli impegni assunti nell'ambito del piano nazionale per la ripresa e la resilienza in relazione ad alcuni aspetti del sistema giudiziario e della disciplina anticorruzione, nella relazione sullo la Commissione europea raccomanda all'Italia di:

·        proseguire l'impegno volto a migliorare ulteriormente il livello di digitalizzazione delle sedi penali e delle procure;

·        adottare norme complessive sui conflitti di interessi e regolamentare il lobbismo istituendo un registro operativo delle attività dei rappresentanti di interessi, indicando anche un'impronta legislativa;

·        affrontare efficacemente e in tempi brevi la pratica di incanalare le donazioni attraverso fondazioni e associazioni politiche e introdurre un registro elettronico unico delle informazioni sul finanziamento dei partiti e delle campagne;

·        proseguire il processo legislativo per riformare e introdurre garanzie riguardo al regime della diffamazione e alla protezione del segreto professionale e delle fonti giornalistiche, tenendo conto delle norme europee in materia di protezione dei giornalisti;

·        proseguire le iniziative per costituire un'istituzione nazionale per i diritti umani tenendo conto dei principi di Parigi delle Nazioni Unite.

Il progetto di risoluzione del Parlamento europeo sulla relazione sullo Stato di diritto 2023 della Commissione

Ogni anno, in seguito alla relazione annuale della Commissione sullo Stato di diritto, il Parlamento europeo adotta una risoluzione con la quale valuta il rapporto della Commissione europea, e indirizza alle Istituzioni europee e agli Stati membri una serie di osservazioni e raccomandazioni.

L’ultima risoluzione di questo genere è stata approvata dall’Assemblea Plenaria del Parlamento europeo lo scorso 30 marzo.

Attualmente la Commissione parlamentare Libertà per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni (LIBE) del Parlamento europeo sta lavorando a  un progetto di risoluzione (relatore: Sophia in 't Veld del gruppo Renew) il cui esame in Plenaria è orientativamente previsto nella seconda sessione di febbraio 2024.

La riunione interparlamentare in esame è volta, tra l’altro a raccogliere input dai delegati dei Parlamenti nazionali, da utilizzare nel prosieguo della discussione sulla prossima risoluzione.

 

Il regolamento sulle condizionalità in materia di Stato di diritto - Il procedimento a carico dell’Ungheria

A partire dal 2021 il regolamento n. 2020/2092 relativo a un regime generale di condizionalità per la protezione del bilancio dell’Unione prevede un meccanismo sanzionatorio qualora siano accertate violazioni dei principi dello Stato di diritto in uno Stato membro che compromettono o rischiano seriamente di compromettere in modo sufficientemente diretto la sana gestione finanziaria del bilancio dell'UE o la tutela degli interessi finanziari dell'UE.

Secondo questo strumento, la Commissione propone al Consiglio misure adeguate e proporzionate nel caso in cui violazioni dello Stato di diritto in un determinato Stato membro minaccino gli interessi finanziari dell'UE. Il Consiglio adotta quindi una decisione definitiva sulla proposta di misure.

In ogni caso, i destinatari finali e i beneficiari dei finanziamenti dell'Unione conservano il diritto di ricevere i pagamenti.

La Commissione ha elaborato una serie di orientamenti (anche sulla base di consultazioni con il Parlamento europeo e gli Stati membri) che dovrebbero guidare l’applicazione del regime sulla condizionalità, compreso il modo in cui sono tutelati i diritti dei destinatari finali e dei beneficiari dei finanziamenti dell'UE.

Tali orientamenti tengono inoltre conto delle sentenze della Corte di giustizia europea nelle cause C-156/21 e C-157/21 pubblicate il 16 febbraio 2022, con le quali ha respinto i ricorsi di Ungheria e Polonia volti ad ottenere l’annullamento del Regolamento in esame

Con la decisione di esecuzione (UE) 2022/2506   del 15 dicembre 2022,  il regime delle condizionalità è stato attivato per la prima volta nei confronti dell'Ungheria, attraverso la sospensione di 6,3 miliardi di euro.

Nello specifico, le misure disposte con la decisione prevedono la sospensione del 55 % degli impegni di bilancio nell'ambito di tre programmi operativi della politica di coesione, come pure il divieto di assumere impegni giuridici con trust di interesse pubblico costituiti sulla base della legge ungherese IX del 2021 e con eventuali enti partecipati da tali trust di interesse pubblico. L'Ungheria dovrebbe informare la Commissione ogni tre mesi in merito all'attuazione delle misure correttive che il Paese si è impegnato a realizzare nella sua seconda risposta alla Commissione.

Il 22 dicembre 2022 la Commissione ha adottato un accordo di partenariato con l'Ungheria, che comprende una tabella di marcia intesa a migliorare la capacità amministrativa dell'Ungheria e ad affrontare sfide quali la trasparenza e la concorrenza negli appalti pubblici, la prevenzione, l'individuazione e la correzione della corruzione, della frode e dei conflitti di interessi, nonché il rafforzamento della capacità dei beneficiari dei fondi della politica di coesione e dei partner; la Commissione ha, altresì, approvato vari programmi operativi, stabilendo nel contempo numerose condizioni abilitanti orizzontali e tematiche. La Commissione ha concluso che l'Ungheria non soddisfa le condizioni abilitanti orizzontali relative alla Carta dei diritti fondamentali per quanto riguarda l'indipendenza del potere giudiziario e le disposizioni di varie leggi che presentano gravi rischi per i diritti delle persone LGBTIQ+, la libertà accademica e il diritto di asilo.

Si ricorda infine che in base all’articolo 7 del Regolamento sulle condizionalità, su richiesta dello Stato membro interessato o di propria iniziativa e al più tardi un anno dopo l’adozione delle misure da parte del Consiglio, la Commissione riesamina la situazione nello Stato membro interessato, tenendo conto di tutti gli elementi di prova presentati dallo Stato membro interessato, nonché dell’adeguatezza delle eventuali nuove misure correttive adottate dallo Stato membro interessato.

Se ritiene che le condizioni per l’applicazione delle sanzioni non siano più soddisfatte, la Commissione presenta al Consiglio una proposta di decisione di esecuzione relativa alla revoca delle misure adottate.  Se ritiene che la situazione che ha portato all’adozione delle misure sia stata parzialmente risolta, la Commissione presenta al Consiglio una proposta di decisione di esecuzione relativa all’adeguamento delle misure adottate. Se ritiene che la situazione che ha portato all’adozione delle misure non sia stata risolta, la Commissione indirizza allo Stato membro interessato una decisione motivata e ne informa il Consiglio.

 

 

 

 


 


 

Sessione II - la lotta alla corruzione come pilastro fondamentale della democrazia

 

Gli effetti della corruzione nell’UE: dati statistici

La Commissione europea ritiene che, pur essendo la corruzione per la sua stessa natura difficile da quantificare, stime prudenziali ne indicano un costo per l'economia dell'UE pari ad almeno 120 miliardi di euro l'anno.

Tali stime sono basate sui contributi di istituzioni e organismi specializzati (Camera di Commercio Internazionale, Transparency International, Global Compact delle Nazioni Unite, Forum economico mondiale e la pubblicazione Clean Business is Good Business).

Un'altra stima (The Cost of Non-Europe in the Area of Corruption, studio di RAND Europe, 2016) ha indicato, per l'UE, costi della corruzione oscillanti fra 179 miliardi di euro e 990 miliardi di euro all'anno.


In particolare, lo studio "The Cost of Non-Europe in the area of Organised Crime and Corruption" del Servizio Ricerca del Parlamento europeo (European Parliament research service - EPRS) stima in oltre 6 miliardi di euro all'anno complessivi il costo del rischio di corruzione negli appalti pubblici dell'UE. Tale rischio, misurato attraverso il Corruption risk index (cfr. lo studio EPRS "Intensificare gli sforzi dell'UE per combattere la corruzione – Rapporto sul costo della non Europa"), è variato notevolmente tra il 2016 e il 2021, registrando una diminuzione tra il 2016 e il 2018 e, successivamente, un significativo aumento tra  il 2019 e 2021 (circa il 10%). In tale ultimo studio viene altresì sottolineata una analoga tendenza con riferimento ai contratti che coinvolgono i fondi dell'UE, con un aumento del rischio di corruzione stimato intorno al 12 per cento.

I due grafici seguenti indicano il CRI per gli appalti pubblici e i contratti che riguardano l'uso di fondi UE (Fonte EPRS)



Come riportato anche dalla Relazione sullo Stato di diritto 2023, i risultati dell'indice di percezione della corruzione  mostrano che nove Stati membri sono tra i primi venti Paesi considerati meno corrotti al mondo.

In particolare, quattro Stati membri (Danimarca, Finlandia, Svezia e Paesi Bassi) hanno un punteggio pari o superiore a 80/100 nell'indice e altri cinque (Germania, Irlanda, Estonia, Belgio e Francia) hanno un punteggio superiore a 72/100. La media dell'UE è di 64/100.  Permangono differenze tra gli Stati membri: alcuni hanno migliorato la posizione rispetto agli anni precedenti, mentre altri continuano a registrare punteggi significativamente inferiori alla media. In particolare punteggi inferiori a 50 si osservano in Romania, Bulgaria e Ungheria.

L’indice di rischio di corruzione in Italia è valutato sotto la media UE.

Di seguito una mappa globale del rischio di corruzione (in arancione di varia intensità gli Stati più colpiti) elaborata dal Corruption risk index


 

Infine, dalle indagini Eurobarometro 2023 sulla corruzione risulta che tale fenomeno continua a essere una grave fonte di preoccupazione per cittadini e imprese nell'Unione. Sette europei su dieci (il 70 per cento) ritengono che la corruzione sia diffusa nel loro paese e più di quattro europei su dieci (il 45 per cento) ritengono che il livello di corruzione sia aumentato nel loro paese. Più della metà dei cittadini (il 60 per cento) ritiene che le iniziative del governo per combattere la corruzione non siano efficaci. Inoltre la maggioranza delle imprese europee (il 65 per cento) ritiene che il problema della corruzione sia diffuso nel loro paese e la metà (il 50 per cento) ritiene improbabile che persone o imprese corrotte nel loro paese vengano individuate o denunciate alla polizia o alla procura.

Da ultimo, nell’EU SOCTA 2021, rapporto di Europol recante la valutazione della criminalità grave e organizzata, l’Agenzia di cooperazione di polizia dell’UE rileva che il legame tra corruzione e criminalità organizzata è sempre più al centro dell’attenzione e che le reti criminali in Europa adattano facilmente le loro operazioni criminali all’ambiente criminale oltre a utilizzare progressivamente la corruzione e abusare delle strutture commerciali legali per perseguire le loro attività criminali. Nello specifico, secondo il rapporto due terzi dei criminali ricorrono regolarmente alla corruzione, mentre oltre l'80 per cento delle reti criminali utilizza strutture commerciali legali.

 

Politiche dell’UE in materia di corruzione

Il diritto primario

L’intervento dell’Unione europea nel settore della corruzione si fonda sugli articoli 83, paragrafi 1 e 2, e sull'articolo 82, paragrafo 1, lettera d), del Trattato sul funzionamento dell'UE.

In particolare l'articolo 83, paragrafo 1, include la corruzione tra le sfere di criminalità particolarmente gravi e che presentano una dimensione transnazionale, per i quali Parlamento europeo e Consiglio possono stabilire norme minime relative alla definizione delle fattispecie di reato e delle relative sanzioni, adottando direttive secondo la procedura legislativa ordinaria.

Il paragrafo 2 dell'articolo 83 afferma la competenza dell'UE a stabilire norme minime relative alla definizione dei reati e delle sanzioni anche nei settori di intervento dell'UE oggetto di misure di armonizzazione, se ciò si rivela indispensabile per garantire l'attuazione efficace di una politica dell'Unione in tali settori.

Infine l'articolo 82, paragrafo 1, lettera d) del TFUE costituisce la base giuridica per misure volte a favorire la cooperazione tra le autorità giudiziarie o autorità omologhe degli Stati membri in relazione a procedimenti penali e all'esecuzione delle decisioni, come l'adozione di norme comuni concernenti la giurisdizione in questioni penali.

Merita da ultimo ricordare l’articolo 325 del citato TFUET, quale base giuridica per contrastare la frode e qualsiasi altra attività illecita in grado di pregiudicare gli interessi finanziari dell’UE, che obbliga la stessa Unione e i suoi Stati membri a proteggere il bilancio europeo.

Il quadro di diritto internazionale

Le norme internazionali in materia di corruzione sono principalmente la  Convenzione delle Nazioni Unite contro la corruzione (UNCAC), la convenzione penale del Consiglio d'Europa sulla corruzione e la convenzione civile del Consiglio d'Europa sulla corruzione, oltre alla convenzione dell'OCSE  sulla lotta alla corruzione di pubblici ufficiali stranieri nelle operazioni economiche internazionali.

In particolare l'UNCAC prescrive agli Stati parte, conformemente ai principi fondamentali dei rispettivi sistemi giuridici, di sviluppare e attuare o mantenere politiche anticorruzione efficaci e coordinate che promuovano la partecipazione della società e riflettano i principi dello Stato di diritto, della corretta gestione degli affari pubblici e della proprietà pubblica, dell'integrità, della trasparenza e della responsabilità. Tuti gli Stati membri hanno ratificato la Convenzione.

Il diritto derivato dell’UE

Il quadro giuridico dell’UE che realizza i principi sopra richiamati è costituito principalmente da:

·        la  Convenzione europea del 1997 relativa alla lotta contro la corruzione nella quale sono coinvolti funzionari delle Comunità europee o degli Stati membri dell'Unione europea;

·        la Decisione quadro 2003/568/GAI del Consiglio, del 22 luglio 2003, relativa alla lotta contro la corruzione nel settore privato;

I due atti citati sono attualmente oggetto di sostituzione con un nuovo quadro giuridico (vedi infra).

·        la Decisione 2008/852/GAI del Consiglio, del 24 ottobre 2008 , relativa a una rete di punti di contatto contro la corruzione.

La lotta alla corruzione è perseguita anche attraverso altri strumenti e procedure dell'UE. In particolare:

·         la direttiva (UE) 2018/1673 sulla lotta al riciclaggio mediante il diritto penale, che configura la corruzione come reato presupposto del riciclaggio;

·         la direttiva (UE) 2017/1371 relativa alla lotta contro la frode e altri reati che ledono gli interessi finanziari dell'Unione, tra cui la corruzione attiva e passiva e l'appropriazione indebita;

·         il semestre europeo per il coordinamento delle politiche economiche e i piani nazionali di ripresa e resilienza. In particolare le raccomandazioni specifiche per Paese, adottate dal Consiglio in esito al semestre, mirano anche a migliorare la capacità di lotta contro la corruzione in diversi Stati membri, con particolare riferimento agli appalti pubblici, all'integrità nella pubblica amministrazione e al contesto imprenditoriale. Le medesime indicazioni si rispecchiano in tappe concrete dei piani nazionali di ripresa e resilienza;

La proposta di direttiva sulla lotta contro la corruzione

Il 3 maggio 2023 la Commissione europea ha presentato una proposta di direttiva volta ad aggiornare il quadro giuridico dell'UE in materia di lotta contro la corruzione.

Per approfondimenti sulla proposta di direttiva si rinvia al dossier di documentazione n. 4 a cura dell’Ufficio Rapporti con l’UE della Camera dei deputati. 

L'intervento legislativo, tuttora all’esame di Parlamento europeo e Consiglio, viene motivato dalla Commissione osservando preliminarmente che la corruzione è attualmente regolata soltanto in modo parziale e frammentario a livello UE, attraverso gli atti giuridici richiamati in precedenza.

A fronte di questo quadro normativo frammentato, sarebbe necessario introdurre una disciplina organica, che riprende anche le norme internazionali vincolanti per l'UE, come quelle contenute nella citata Convenzione delle Nazioni Unite contro la corruzione (UNCAC).

L'obiettivo della Commissione è dunque quello di "garantire che tutte le forme di corruzione siano perseguibili penalmente in tutti gli Stati membri", sia per salvaguardare i valori dell'Unione europea e l'efficacia delle politiche dell'UE, sia per conservare lo Stato di diritto e la fiducia nei governanti e nelle istituzioni pubbliche.

La Commissione europea ricorda al riguardo che dal 2016 al 2021 Eurojust ha registrato 505 casi di corruzione transfrontaliera e una costante crescita nell'arco del quinquennio che confermerebbe il reato come fenomeno transfrontaliero in graduale espansione nell'UE.

 

Per perseguire questi obiettivi, la proposta prevede anzitutto una serie di strumenti in materia di prevenzione quali, tra l’altro, campagne di informazione e sensibilizzazione, misure per la trasparenza e la responsabilità nella pubblica amministrazione e nel processo decisionale pubblico, nonché il libero accesso alle informazioni di interesse pubblico e la verifica della situazione patrimoniale dei funzionari pubblici.

Il nuovo regime obbliga altresì gli Stati membri a dotarsi di organismi specializzati indipendenti nella prevenzione e nella repressione della corruzione, dotati di sufficienti risorse umane, finanziarie e tecniche, nonché di poteri necessari per esercitare le proprie mansioni.

La parte più significativa della disciplina proposta è volta a introdurre norme minime per la definizione di reati e per la fissazione delle rispettive sanzioni per una serie di condotte riconducibili al fenomeno della corruzione in senso lato. In sostanza, la proposta impone agli Stati membri di prendere le misure necessarie affinché siano punibili come reati le fattispecie di corruzione nel settore pubblico e in quello privato, di appropriazione indebita, di traffico di influenze, di abuso di ufficio, di intralcio alla giustizia, di arricchimento mediante reato di corruzione, di istigazione, favoreggiamento, concorso e tentativo correlate a tali reati.

La proposta prevede altresì che i termini di prescrizione soano stabiliti in una durata minima compresa tra otto e quindici anni dal momento in cui è stato commesso il fatto, a seconda della gravità del reato.

Infine, la proposta dispone la cooperazione tra le autorità degli Stati membri, Europol, Eurojust, la Procura europea e la Commissione, nella lotta contro la corruzione, stabilendo forme di sostegno agli Stati membri da parte della Commissione europea nell'adempimento degli obblighi previsti dalla nuova disciplina.

 

Il parere motivato della Camera dei deputati

Si ricorda che sulla proposta, il 26 luglio 2023, l’Assemblea della Camera dei deputati ha confermato il parere motivato adottato il 19 luglio 2023 dalla XIV Commissione (Politiche dell’UE) con il quale è stato contestato il mancato rispetto del principio di sussidiarietà.

Il parere motivato, adottato in esito alla apposita procedura per la verifica di sussidiarietà di cui al Protocollo n. 2 allegato al TUE e al TFUE, ritiene anzitutto che la proposta ecceda la base giuridica costituita dall’articolo 83, paragrafo 1 in quanto

-      l’estensione della disciplina, tale da coprire, tra l’altro, la definizione delle fattispecie di reato, delle pene principali e accessorie, delle attenuanti e aggravanti, della responsabilità delle persone giuridiche, e della prescrizione, unitamente  al grado di dettaglio impiegato nelle singole disposizioni, suscitano forti dubbi anche per quanto riguarda la stessa coerenza alla base giuridica individuata dalla Commissione europea, atteso che proprio l’articolo 83 TFUE legittima le Istituzioni europee alla previsione  di sole norme minime, relative alla definizione dei reati e delle sanzioni;

- nell’ottica della Commissione europea, i delitti di corruzione costituirebbero una grave minaccia per la “democrazia”, la “stabilità e la sicurezza della società”, i “valori universali su cui si fonda l’Unione europea”, lo “Stato di diritto”, l’intervento dell’Unione si renderebbe altresì necessario per salvaguardare la concorrenza, la crescita economica sostenibile, l’efficienza della spesa pubblica. In tal senso non può non rilevarsi l’ampiezza e la genericità dei beni giuridici citati che s’intendono tutelare, e la conseguente incertezza del nesso tra gli obiettivi dichiarati e gli strumenti mediante i quali raggiungerli;

-  nonostante la Commissione europea rilevi un’asserita difformità tra gli Stati membri nella disciplina delle singole incriminazioni prese in considerazione dalla proposta, lo stesso preambolo della proposta indica che, in realtà, nella quasi totalità delle Nazioni dell’UE sono già esaurientemente contemplate le incriminazioni di cui si propone l’introduzione;

- appare fisiologico, se non necessario, che in talune circostanze un determinato fenomeno criminale presenti specificità quanto alla sua definizione penalistica nell’ambito dei singoli ordinamenti nazionali, considerate le inevitabili peculiarità di contesto e di cornice giuridico-costituzionale dei singoli Stati membri;

- l’asserito carattere transnazionale del fenomeno criminale oggetto della disciplina non appare interamente dimostrato quanto meno con particolare riferimento ad alcune fattispecie definite nella proposta, segnatamente il reato di intralcio alla giustizia e quello di abuso di ufficio;

- le diverse argomentazioni utilizzate dalla Commissione europea a giustificazione della proposta sono in misura non trascurabile di natura metagiuridica, non fondandosi su un’analisi rigorosa dei dati relativi alle fattispecie criminali oggetto della proposta e delle relative previsioni legislative nazionali ma su indici di percezione del livello di corruzione o del livello di rischio di corruzione da parte di cittadini o imprese;

- la Convenzione UNCAC – che impone la penalizzazione di un insieme determinato di fattispecie criminali, segnatamente la corruzione di pubblici ufficiali nazionali, la corruzione di pubblici ufficiali stranieri e di funzionari di organizzazioni internazionali pubbliche, la sottrazione, l’appropriazione indebita od altro uso illecito di beni da parte di un pubblico ufficiale, il riciclaggio dei proventi del crimine, l’ostacolo al buon funzionamento della giustizia - prevede un’incriminazione meramente facoltativa per quanto riguarda l’abuso d’ufficio, la corruzione nel settore privato, e l’arricchimento illecito nonché altre fattispecie disciplinate dalla proposta;

- dal momento che la Convenzione UNCAC, incidendo su materie oggetto di competenza concorrente, è stata firmata e ratificata sia dall’UE sia dai suoi Stati membri, la decisione in merito a quali aspetti della medesima Convenzione debbano essere attuati a livello unionale oppure a livello nazionale va dunque operata in ogni caso in coerenza con i tre princìpi fondamentali dei Trattati in materia di riparto ed esercizio delle competenze (attribuzione, sussidiarietà e proporzionalità);

- appare difficilmente giustificabile la sovrapposizione tra fenomenologie criminali radicalmente dissimili che potrebbe alimentare il rischio di realizzare squilibri non trascurabili in termini di proporzionalità del sistema; 

- ne discende che l’intervento normativo a livello unionale, obbligando alla criminalizzazione di una serie eterogenea di fattispecie di reato, valutate in maniera diversa a livello internazionale, corre il rischio di porre su uno stesso piano veri e propri obblighi convenzionali insieme a semplici raccomandazioni

- in particolare, la disciplina della prescrizione, che per diversi reati prevede l’allungamento significativo dei termini di prescrizione, potrebbe determinare ulteriori squilibri di sistema, ed appare persino contraddittoria con altre politiche dell’Unione europea, quali quelle tendenti a condizionare l’ottenimento dei fondi europei alla riduzione dei tempi dei processi penali e, più in generale, all’efficientamento della giustizia;

- con riferimento al regime delle pene accessorie, ed in particolare alla sanzione dell’impedimento alla candidatura della persona perseguita per reati di corruzione, appare non privo di fondamento l’argomento in base al quale potrebbe risultare non conforme al principio di attribuzione (ed in ogni caso al principio di sussidiarietà) l’opzione della Commissione europea di estendere l’esercizio della competenza legislativa dell’UE in diritto penale fino a incidere sulle disposizioni che regolano lo svolgimento del processo democratico nelle elezioni nazionali.

 

Il parere motivato osserva poi che in ogni caso che, anche laddove si volesse ritenere che la disciplina di fattispecie criminose ulteriori rispetto alla corruzione in senso stretto sia riconducibile all’articolo 83 del TFUE, la proposta risulterebbe palesemente in contrasto con il principio di sussidiarietà e con quella di proporzionalità. Ciò in quanto essa detta, senza che sia dimostrata la necessità ed il valore aggiunto dell’intervento a livello unionale, una disciplina pervasiva che incide profondamente su normative, quali quelle contenute nei codici penali e di procedura penale, che tengono conto delle specificità dei sistemi, dei dati statistici e delle culture giuridiche, economiche e sociali, nonché dell’ordinamento costituzionale e delle Pubbliche amministrazioni di ciascuno Stato membro. Peraltro, le norme di armonizzazione non si limitano alla definizione dei reati e delle relative sanzioni ma investono in modo ultroneo anche la disciplina dei termini di prescrizione nonché le circostanze aggravanti ed attenuanti.

 

Considerazioni in larga parte analoghe a quelle formulate nel parere motivato sono contenute nella relazione trasmessa sulla proposta dal Ministero della giustizia, ai sensi dell’articolo 6 della legge 234 del 2012.

Con riferimento al principio di attribuzione la relazione infatti osserva che l'art. 83, par. 1, del TFUE costituisce una base giuridica adeguata "con riferimento al reato di corruzione”, mentre "può dubitarsi di questa conclusione nella misura in cui essa disciplina reati ulteriori rispetto a quello di corruzione in senso stretto, peraltro privi del carattere di transnazionalità - cosi come sotto altri profili della disciplina medesima (ad esempio in materia di immunità) - relativamente ai quali non si rintraccia agevolmente la competenza dell'UE ad adottare norme di armonizzazione".

 Analogamente la relazione ritiene che "la proposta rispetta il principio di sussidiarietà con riguardo al delitto di corruzione in quanto l'accertata transnazionalità del fenomeno corruttivo renderebbe insoddisfacente l'adozione di misure a livello esclusivamente nazionale, o anche a livello di Unione ma in assenza di coordinamento e cooperazione".

Invece la relazione rileva che "si può dubitare del pieno rispetto del principio di sussidiarietà con riguardo ad altre fattispecie definite nella proposta, diverse dalla corruzione nel settore pubblico". In particolare, la relazione osserva che "con specifico riguardo all'abuso di ufficio, pure contemplato nella proposta della Commissione, esso è oggetto solo di una raccomandazione nella Convenzione UNCAC e che non si rinviene nella proposta un'adeguata motivazione circa la stretta necessità della sua inclusione tra i reati per i quali è obbligatoria per gli Stati l'introduzione di misure legislative incriminatrici". Infine, secondo il Governo, "con riguardo al sistema delle pene accessorie (in particolare, la sanzione dell'impedimento alla candidatura della persona perseguita per reati di corruzione ), appare non privo di fondamento l'argomento in base al quale potrebbe risultare non conforme al principio di sussidiarietà - e probabilmente neanche al principio di attribuzione - l'opzione della Commissione europea di estendere l'esercizio della competenza legislativa dell'UE in diritto penale fino a incidere sulle disposizioni che regolano lo svolgimento del processo democratico nelle elezioni nazionali".

La rete europea contro la corruzione

Il 3 maggio 2023 la Commissione e l'Alto rappresentante hanno adottato una comunicazione congiunta sulla corruzione recante le azioni in corso dell'UE per combattere la corruzione e un piano per ulteriori iniziative. Il piano ha avviato la creazione di una rete europea contro la corruzione, con il compito di individuare le tendenze generali e di promuovere la collaborazione nel settore della prevenzione e del contrasto.

A partire dal 2015, la Commissione ha istituito i seminari per la condivisione di esperienze in materia di lotta alla corruzione, intesi come forum per gli operatori anticorruzione degli Stati membri. L’esperienza è stata sostanzialmente estesa e approfondita attraverso la rete dell’UE contro la corruzione, quale network che riunisce autorità nazionali, professionisti, società civile, organizzazioni internazionali, agenzie dell’UE e servizi competenti della Commissione europea.

Il network si è riunito per la prima volta a Bruxelles il 20 settembre 2023, discutendo in particolare del fenomeno della corruzione nei porti marittimi, dell’impiego della tecnologia per la prevenzione e repressione, e di sensibilizzazione e formazione.