Camera dei deputati - Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa) |
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Autore: | Servizio Studi - Dipartimento Affari Comunitari |
Titolo: | Legge di delegazione europea 2024 |
Serie: | Progetti di legge Numero: 360 |
Data: | 14/10/2024 |
Servizio Studi
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Dossier n. 372
Servizio Studi
Dipartimento affari comunitari
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Progetti di legge n. 360
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Il presente dossier contiene le schede di lettura riferite ai singoli articoli del disegno di legge recante “Delega al Governo per il recepimento delle direttive europee e l'attuazione di altri atti dell'Unione europea - Legge di delegazione europea 2024” (A.S. 1258), nonché una descrizione delle direttive elencate nell'Allegato A.
Il disegno di legge di delegazione europea 2024 consta di 16 articoli, divisi in tre Capi. L’articolato contiene principi e criteri direttivi specifici per l’esercizio della delega relativa a 4 direttive, nonché per l’adeguamento della normativa nazionale a 13 regolamenti europei e a una direttiva. L’annesso Allegato A ha ad oggetto 15 direttive.
Le leggi europee
La legge di delegazione europea è uno dei due strumenti di adeguamento all’ordinamento dell’Unione europea introdotti dalla legge 24 dicembre 2012, n. 234, che ha attuato una riforma organica delle norme che regolano la partecipazione dell’Italia alla formazione e all’attuazione della normativa e delle politiche dell’Unione europea.
In base all’articolo 29 della legge n. 234 del 2012, infatti, la legge comunitaria annuale (prevista dalla legge n. 11 del 2005) è stata sostituita da due distinti provvedimenti:
- la legge di delegazione europea, il cui contenuto è limitato alle disposizioni di delega necessarie per il recepimento delle direttive e degli altri atti dell’Unione europea (comma 4);
- la legge europea, che contiene norme di diretta attuazione volte a garantire l’adeguamento dell’ordinamento nazionale all’ordinamento europeo, con particolare riguardo ai casi di non corretto recepimento della normativa europea (comma 5).
Il comma 4 dell’articolo 29 prevede che il Presidente del Consiglio dei Ministri o il Ministro per gli affari europei, di concerto con il Ministro degli affari esteri e con gli altri Ministri interessati, presenta alle Camere, previo parere della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, un disegno di legge di delegazione europea, con l’indicazione dell'anno di riferimento.
Il termine per la presentazione è posto entro il 28 febbraio di ogni anno.
Il contenuto del disegno di legge di delegazione europea è stabilito all’articolo 30, comma 2, della legge n. 234 del 2012:
a) disposizioni per il conferimento al Governo di delega legislativa volta esclusivamente all'attuazione delle direttive europee e delle decisioni quadro da recepire nell'ordinamento nazionale, esclusa ogni altra disposizione di delegazione legislativa non direttamente riconducibile al recepimento degli atti legislativi europei;
b) disposizioni per il conferimento al Governo di delega legislativa, diretta a modificare o abrogare disposizioni statali vigenti, limitatamente a quanto indispensabile per garantire la conformità dell'ordinamento nazionale ai pareri motivati indirizzati all'Italia dalla Commissione europea o al dispositivo di sentenze di condanna per inadempimento emesse della Corte di giustizia dell'Unione europea;
c) disposizioni che autorizzano il Governo a recepire le direttive in via regolamentare;
d) delega legislativa al Governo per la disciplina sanzionatoria di violazioni di atti normativi dell'Unione europea;
e) delega legislativa al Governo limitata a quanto necessario per dare attuazione a eventuali disposizioni non direttamente applicabili contenute in regolamenti europei;
f) disposizioni che, nelle materie di competenza legislativa delle regioni e delle province autonome, conferiscono delega al Governo per l'emanazione di decreti legislativi recanti sanzioni penali per la violazione delle disposizioni UE recepite dalle regioni e dalle province autonome;
g) disposizioni che individuano i principi fondamentali nel rispetto dei quali le regioni e le province autonome esercitano la propria competenza normativa per recepire o per assicurare l'applicazione di atti dell'Unione europea nelle materie di cui all'articolo 117, terzo comma, della Costituzione;
h) disposizioni che, nell'ambito del conferimento della delega legislativa per il recepimento o l'attuazione degli atti di cui alle lettere a), b) ed e), autorizzano il Governo a emanare testi unici per il riordino e per l'armonizzazione di normative di settore, nel rispetto delle competenze delle regioni e delle province autonome;
i) delega legislativa al Governo per l'adozione di disposizioni integrative e correttive dei decreti legislativi emanati.
Nell’esercizio delle deleghe legislative conferite, il Governo è tenuto al rispetto dei principi e criteri generali di delega [1] , nonché degli specifici principi e criteri direttivi aggiuntivi eventualmente stabiliti dalla legge di delegazione europea, come previsto all’articolo 32 della legge n. 234 del 2012.
Ai sensi dell’articolo 29, comma 7, il Governo deve inoltre dare conto dell’eventuale omesso inserimento delle direttive il cui termine di recepimento è scaduto o scade nel periodo di riferimento, considerati i tempi previsti per l’esercizio della delega, e fornire dati sullo stato delle procedure di infrazione, l’elenco delle direttive recepite o da recepire in via amministrativa, l’elenco delle direttive recepite con regolamento e l’elenco dei provvedimenti con i quali le singole regioni e province autonome hanno provveduto a recepire direttive nelle materie di loro competenza. Tutte queste informazioni sono contenute nella articolata ed estesa relazione illustrativa che precede il testo del disegno di legge.
Ai sensi dell’articolo 32, comma 1, della legge n. 234 del 2012, il disegno di legge di delegazione stabilisce - con riferimento ad alcuni atti dell’Unione europea - principi e criteri direttivi specifici cui il Governo deve attenersi nell’esercizio della delega, in aggiunta a quelli contenuti nelle direttive da attuare e a quelli generali di delega, richiamati alle lettere da a) a i) del citato comma 1.
In particolare, il disegno di legge in esame introduce principi e criteri direttivi specifici di delega riferiti alle seguenti direttive:
Direttive:
§
(UE) 2023/2225, relativa ai contratti di credito ai consumatori (art. 3);
§
(UE) 2023/2673, relativa ai contratti di servizi finanziari conclusi a distanza (art. 4);
§
(UE) 2023/1544, sull’acquisizione di prove elettroniche nei procedimenti penali (art. 5);
§
(UE) 2024/884 sui rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche, RAEE (art. 6).
Vengono quindi dettate disposizioni relative all’adeguamento o all’attuazione dei seguenti atti:
Regolamenti:
§
(UE) 2023/1543 sugli ordini europei di produzione e conservazione di prove elettroniche nei procedimenti penali e per l’esecuzione di pene detentive a seguito di procedimenti penali (art. 7);
§
(UE) 2023/2631 sulle obbligazioni verdi europee (art. 8);
§
(UE) 2023/2859 sull’istituzione di un punto di accesso unico europeo (art. 9);
§
(UE) 2023/2869, sull’istituzione e il funzionamento di un punto di accesso unico europeo (art. 9);
§
(UE) 2023/2845 sulla disciplina di regolamento, la prestazione di servizi transfrontalieri, la cooperazione in materia di vigilanza, la prestazione di servizi accessori di tipo bancario e i requisiti per i depositari centrali di titoli di paesi terzi (art. 10);
§
(UE) 2023/988 sulla sicurezza generale dei prodotti (art. 11);
§
(UE) 2023/2411 sulla protezione delle indicazioni geografiche per i prodotti artigianali e industriali (art. 12);
§
(UE) 2023/1115 relativo a materie prime e prodotti associati alla deforestazione e al degrado forestale (art 13);
§
(UE) 2023/1542 relativo alle batterie e ai rifiuti di batterie (art. 16).
Regolamenti della Commissione:
§
(UE) 2022/1616 relativo a materiali e oggetti di plastica riciclata destinati a venire a contatto con prodotti alimentari (art 14).
Regolamenti delegati della Commissione:
§
(UE) 2022/1644 che integra il regolamento (UE) 2017/625 con prescrizioni per l'esecuzione dei controlli sull'uso di sostanze farmacologicamente attive (art 15);
§
(UE) 2022/1646 relativo a modalità uniformi di esecuzione dei controlli per l'uso di sostanze farmacologicamente attive, al contenuto specifico dei piani di controllo nazionali pluriennali e alle modalità specifiche per l'elaborazione degli stessi (art 15).
Direttive:
· (UE) 2023/2864 sull’istituzione e il funzionamento di un punto di accesso unico europeo (art. 9).
La successiva Tabella elenca le direttive dell'Unione europea oggetto di attuazione e la relativa scadenza dei termini di recepimento.
Tabella IV - Direttive per termine di recepimento
Termine di recepimento
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Direttive
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9 ottobre 2025
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20 novembre 2025
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19 dicembre 2025
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18 febbraio 2026
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10 gennaio 2026
(10 luglio 2025 per articolo 3)
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Il processo di recepimento degli atti dell’UE
Ai sensi dell’articolo 29, comma 7, della legge n. 234 del 2012, il disegno di legge di delegazione europea deve essere corredato di una relazione illustrativa, aggiornata al 31 dicembre dell'anno precedente, nella quale il Governo, in occasione della presentazione del disegno di legge, dà conto di una serie di informazioni utili alla valutazione del processo di recepimento delle direttive e degli altri atti dell’Unione europea.
Al fine di fornire le informazioni previste dal citato articolo 29 senza soluzione di continuità, la Relazione illustrativa allegata al disegno di legge di delegazione 2024 riporta informazioni, mediante le quali il Governo:
a) dà conto delle motivazioni che lo hanno indotto all'inclusione delle direttive dell'Unione europea in uno degli allegati, con specifico riguardo all'opportunità di sottoporre i relativi schemi di atti normativi di recepimento al parere delle competenti Commissioni parlamentari;
A tale riguardo la suddetta Relazione precisa che nel disegno di legge in esame è presente un solo allegato poiché tutte le direttive europee contenute nel disegno di legge saranno attuate con decreti legislativi sottoposti all’esame delle competenti Commissioni parlamentari per l’espressione del prescritto parere. Si precisa altresì che nel disegno di legge sono state inserite le direttive dell’Unione europea pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea alla data del 27 luglio 2023.
b) riferisce sullo stato di conformità dell'ordinamento interno al diritto dell'Unione europea e sullo stato delle eventuali procedure d'infrazione, dando conto, in particolare, della giurisprudenza della Corte di giustizia dell'Unione europea relativa alle eventuali inadempienze e violazioni da parte della Repubblica italiana di obblighi derivanti dal diritto dell'Unione europea;
Al riguardo, il Governo evidenzia che il numero delle procedure d’infrazione a carico dell’Italia alla data del 14 aprile 2024 ammontava a 63, di cui 49 per violazione del diritto dell’Unione e 14 per mancato recepimento di direttive
[2]
.
Di seguito sono riportati i tre prospetti, contenuti nella relazione illustrativa al disegno di legge, riepilogativi delle procedure di infrazione attive, suddivise per stadio, per materia e per amministrazione. Il numero corrisponde al totale effettivo delle procedure pendenti, depurato da duplicazioni, tenuto conto che alcune procedure sono di competenza condivisa tra più Amministrazioni;
TABELLA 1 - SUDDIVISIONE PROCEDURE DI INFRAZIONE PER STADIO DELLA PROCEDURA (14 aprile 2024)
Messa in mora ex art. 258 TFUE
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25
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Messa in mora complementare ex art. 258 TFUE
|
5
|
Parere motivato ex art. 258 TFUE
|
15
|
Parere motivato complementare ex art. 258 TFUE
|
1
|
Decisione ricorso ex art. 258 TFUE
|
2
|
Ricorso ex art. 258 TFUE
|
1
|
Sentenza ex art. 258 TFUE
|
4
|
Messa in mora ex art. 260 TFUE
|
4
|
Decisione ricorso ex art. 260 TFUE
|
2
|
Sentenza ex art. 260 TFUE
|
4
|
Totale
|
63
|
TABELLA 2 - SUDDIVISIONE PROCEDURE DI INFRAZIONE PER MATERIA (24 aprile 2024)
Ambiente
|
18
|
Affari economici e finanziari
|
6
|
Trasporti
|
7
|
Lavoro e politiche sociali
|
5
|
Concorrenza e aiuti di Stato
|
3
|
Energia
|
4
|
Affari interni
|
4
|
Giustizia
|
4
|
Fiscalità e dogane
|
1
|
Agricoltura
|
2
|
Salute
|
2
|
Appalti
|
1
|
Affari esteri
|
2
|
Libera circolazione delle merci
|
2
|
Libera prestazione dei servizi e stabilimento
|
1
|
Tutela dei consumatori
|
1
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TOTALE
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63
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TABELLA 3 - SUDDIVISIONE PROCEDURE PER AMMINISTRAZIONE
Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica
|
22
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Ministero dell’economia e delle finanze
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8
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Ministero delle infrastrutture e dei trasporti
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9
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Ministero del lavoro e delle politiche sociali
|
6
|
Ministero della giustizia
|
5
|
Ministero della salute
|
2
|
Ministero dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste
|
4
|
Ministero dell’interno
|
3
|
Ministero delle imprese e del made in Italy
|
3
|
Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione
|
2
|
Ministero degli affari esteri
|
1
|
Ministro per le disabilità
|
1
|
Ministro per la protezione civile e le politiche del mare
|
1
|
Ministero dell’università e della ricerca
|
1
|
Totale
|
63
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c) fornisce l'elenco delle direttive dell'Unione europea attuate in via amministrativa al 17 maggio 2024;
d) dà conto delle ragioni dell'omesso inserimento di due direttive dell'Unione europea poiché l’ordinamento nazionale risulta già conforme al dettato normativo europeo;
e) dichiara che fino al 17 maggio 2024 non risultano recepite direttive dell’Unione europea con regolamenti;
f)
fornisce l'elenco delle 6 direttive, pubblicate al 17 maggio 2024, che delegano alla Commissione il potere di adottare atti delegati ex articolo 290 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea;
g)
dichiara che sulla base delle comunicazioni, pervenute dagli enti territoriali per mezzo della Conferenza dei Presidenti delle Regioni e delle Province autonome ed effettuate tenendo conto della tecnica condivisa tra la Segreteria della Conferenza e il Dipartimento per le politiche europee sull’applicazione degli articoli 29, commi 3 e 7, e 40, comma 2, della legge n. 234 del 2012, nessuna Regione, nel corso dell’anno 2023, ha dovuto recepire le direttive dell'Unione europea nelle materie di propria competenza.
La procedura parlamentare di esame delle leggi europee
La fase discendente di esame ed approvazione dei disegni di legge europea e di delegazione europea - con il contestuale esame della Relazione consuntiva sulla partecipazione dell'Italia all'Unione -, rappresentano il momento per compiere, in sede parlamentare, una verifica complessiva dell'adempimento di tutti gli obblighi derivanti dall'appartenenza all'UE da parte dell'Italia.
Sui due atti si svolge un procedimento di esame congiunto in Commissione ed in Assemblea, pur avendo l'uno natura legislativa e l'altro quella di indirizzo e controllo.
Per quanto riguarda il Senato, la procedura vigente per l'esame del disegno di legge di delegazione europea (come della legge europea e delle relazioni annuali sulla partecipazione dell'Italia all'UE) è disciplinata dall’articolo 144-bis del Regolamento interno.
Il suddetto articolo, al comma 1, prevede che tali atti siano assegnati, per l'esame generale in sede referente, alla 4a Commissione "Politiche dell'Unione europea" e, per l'esame delle parti di rispettiva competenza, alle Commissioni competenti per materia.
Queste ultime dispongono di quindici giorni per condurre l'esame che potrà concludersi, nel caso del disegno di legge di delegazione (e del disegno di legge europea), con l'approvazione di una relazione e con la nomina di un relatore. E' prevista inoltre la possibilità di trasmettere relazioni di minoranza.
Nel caso si tratti delle relazioni annuali sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea, l'esame nelle commissioni si concluderà con l'approvazione di un parere.
Trascorsi quindici giorni dall'assegnazione la 4a Commissione potrà in ogni caso procedere all'esame (comma 2). Avrà a disposizione trenta giorni per concluderlo e per trasmettere una relazione generale all'Assemblea. A tale relazione sono allegate altresì le relazioni delle Commissioni (o i pareri nel caso si esamini la relazione sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea).
Per quanto concerne gli emendamenti, fermi restando i principi sanciti dall'articolo 97 R.S. (dichiarazione di improbabilità e inammissibilità), sono inammissibili quelli che riguardano materie estranee al disegno di legge in esame. Il Presidente del Senato, ricorrendo tali condizioni, può dichiarare inammissibili disposizioni del testo proposto dalla Commissione all'Assemblea (comma 4). L'articolo 144-bis prevede poi, al comma 5, che possano essere presentati in Assemblea, anche dal solo proponente, i soli emendamenti respinti nella 4a Commissione. Il Presidente del Senato, tuttavia, potrà ammetterne dei nuovi purché correlati con modifiche proposte dalla Commissione o già approvate in Assemblea.
In base al comma 6, la discussione generale dell'esame del disegno di legge di delegazione europea (e della legge europea) può avvenire congiuntamente con la discussione della relazione annuale sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea, sulla quale è prevista la possibilità di presentare delle proposte di risoluzione. Al termine della votazione sul disegno di legge, l'Assemblea delibera sulle suddette proposte, votando per prima quella accettata dal Governo, alla quale ciascun senatore può proporre emendamenti (comma 7).
Per quanto riguarda la Camera, occorre far riferimento all' articolo 126-ter [3] del Regolamento interno (R.C.) che traccia una procedura speciale.
Più in dettaglio, esso prevede che il disegno di legge comunitaria (ora: europea e di delegazione europea) e la relazione (ora: consuntiva) sulla partecipazione dell'Italia al processo normativo dell'UE siano assegnati, per l'esame generale in sede referente, alla Commissione politiche dell'Unione europea, e, per l'esame delle parti di rispettiva competenza, alle Commissioni competenti per materia.
Ciascuna Commissione è tenuta ad esaminare le parti del disegno di legge di propria competenza entro quindici giorni dall'assegnazione, concludendo con l’approvazione di una relazione e con la nomina di un relatore, che può partecipare alle sedute della Commissione politiche dell'Unione europea. Entro lo stesso termine sono trasmesse le eventuali relazioni di minoranza. Le singole Commissioni approvano anche gli emendamenti al disegno di legge, relativi alle parti di competenza, che vengono inclusi nella relazione. Analogamente, sempre entro quindici giorni, ciascuna Commissione esamina le parti della Relazione annuale che riguardino la propria competenza ed approvano un parere.
Decorso il termine indicato, la Commissione politiche dell'Unione europea, entro i successivi trenta giorni, conclude l'esame del disegno di legge e della relazione, predisponendo per ciascun atto una relazione generale per l'Assemblea, alla quale sono allegate, rispettivamente, le relazioni ed i pareri approvati dalle singole Commissioni.
La Commissione politiche dell’Unione europea svolge l'esame in sede referente del provvedimento e gli emendamenti approvati dalle singole Commissioni si ritengono accolti, salvo che la Commissione politiche dell’Unione europea non li respinga per motivi di compatibilità con la normativa comunitaria, ovvero per esigenze di coordinamento generale.
Criteri particolari riguardano l'ammissibilità degli emendamenti: oltre ai princìpi generali contenuti all'art. 89 R.C. (estraneità all'oggetto della discussione), sono considerati inammissibili gli emendamenti e gli articoli aggiuntivi che riguardino materie estranee all'oggetto proprio delle leggi europee, come definito dalla legislazione vigente. Gli emendamenti dichiarati inammissibili in commissione non possono essere ripresentati in Assemblea.
Terminato l’esame in Commissione, i disegni di legge europea e di delegazione
europea e la Relazione consuntiva sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea, sono trasmessi all'Assemblea, dove ha luogo la discussione generale congiunta, nell’ambito della quale possono essere presentate risoluzioni sulla Relazione annuale, che sono votate dopo la votazione finale sul disegno di legge.
Si ricorda, infine, che sul disegno di legge di delegazione europea (e su quello di legge europea, ove contenga deleghe), si esprime, inoltre, il Comitato per la legislazione, ai sensi dell'art. 16-bis, comma 6- bis, R.C., dal momento che si tratta di una legge contenente norme di delegazione legislativa.
Articolo 1
(Delega al Governo per l'attuazione e il recepimento degli atti normativi dell'Unione europea)
L’articolo 1 reca la delega al Governo per l’adozione dei decreti legislativi di attuazione degli atti normativi dell’Unione europea indicati nell’articolato del provvedimento in esame, nonché per l’attuazione delle direttive elencate nell’allegato A. Disciplina la partecipazione delle Camere al processo di formazione dei decreti legislativi medesimi e la copertura finanziaria delle spese in cui incorrano le amministrazioni pubbliche.
Il comma 1 reca la delega legislativa al Governo per l’adozione dei decreti legislativi di attuazione degli atti normativi dell’Unione europea indicati nell’articolato del provvedimento in esame, nonché per l’attuazione delle direttive elencate nell’allegato A.
L’allegato A elenca 15 direttive da recepire con decreto legislativo.
Per quanto riguarda i termini, le procedure, i princìpi e i criteri direttivi della delega, il comma 1 in esame rinvia alle disposizioni previste dagli articoli 31 e 32 della legge 24 dicembre 2012, n. 234.
L’articolo 31, comma 1, della legge n. 234 del 2012 dispone che il termine per l’esercizio delle deleghe conferite al Governo con la legge di delegazione europea sia di quattro mesi antecedenti il termine di recepimento indicato in ciascuna delle direttive
[4]
. Per le direttive il cui termine così determinato sia già scaduto alla data di entrata in vigore della legge di delegazione europea, o scada nei tre mesi successivi, la delega deve invece essere esercitata entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della legge stessa. In assenza di termine di recepimento, il termine è di dodici mesi dalla data di entrata in vigore della legge di delegazione europea.
L’articolo 31, comma 5, della legge n. 234 del 2012 prevede la possibilità per il Governo di adottare disposizioni integrative e correttive entro 24 mesi dalla data di entrata in vigore di ciascun decreto legislativo. È comunque necessario garantire il rispetto dei princìpi e criteri direttivi fissati in origine dalla legge stessa. Analoga possibilità è disciplinata dal comma 6 al fine di recepire il contenuto di atti delegati dell'Unione europea che modificano o integrano le direttive di origine.
I commi 7 e 8 disciplinano i decreti di recepimento di direttive adottati in materie di competenza legislativa delle regioni e delle province autonome.
Il comma 2 dell’articolo 31 specifica che i decreti legislativi sono adottati su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri o del Ministro per gli affari europei e del Ministro con competenza prevalente nella materia. Questi agiscono di concerto con i Ministri degli affari esteri, della giustizia, dell'economia e delle finanze e con gli altri Ministri interessati. L'amministrazione con competenza istituzionale prevalente predispone una tabella di concordanza tra le disposizioni introdotte e quelle della direttiva da recepire.
L’articolo 32 della legge n. 234 del 2012 detta i seguenti princìpi e criteri direttivi generali di delega:
a)
le amministrazioni direttamente interessate provvedono all'attuazione dei decreti legislativi con le ordinarie strutture, secondo il principio della massima semplificazione dei procedimenti;
b)
ai fini di un migliore coordinamento con le discipline vigenti sono introdotte le occorrenti modificazioni alle discipline stesse, anche attraverso il riassetto e la semplificazione della normativa;
c)
gli atti di recepimento di direttive dell'Unione europea non possono prevedere l'introduzione o il mantenimento di livelli di regolazione superiori a quelli minimi richiesti dalle direttive stesse (c.d. gold plating);
d)
ove necessario, al fine di assicurare l'osservanza delle disposizioni contenute nei decreti legislativi, sono previste sanzioni amministrative e penali per le infrazioni alle disposizioni dei decreti stessi. In ogni caso le sanzioni penali sono previste "solo nei casi in cui le infrazioni ledano o espongano a pericolo interessi costituzionalmente protetti";
e)
al recepimento di direttive o di altri atti che modificano precedenti direttive o di atti già attuati con legge o con decreto legislativo si procede apportando le corrispondenti modificazioni alla legge o al decreto legislativo di attuazione;
f)
nella redazione dei decreti legislativi si tiene conto delle eventuali modificazioni delle direttive comunque intervenute fino al momento dell'esercizio della delega;
g)
quando si verificano sovrapposizioni di competenze tra amministrazioni diverse o comunque siano coinvolte le competenze di più amministrazioni statali, i decreti legislativi individuano le procedure per salvaguardare l'unitarietà dei processi decisionali, l’efficacia e la trasparenza dell’azione amministrativa, nel rispetto dei princìpi di sussidiarietà e delle competenze delle regioni e degli enti territoriali;
h)
le direttive che riguardano le stesse materie o che comportano modifiche degli stessi atti normativi vengono attuate con un unico decreto legislativo, compatibilmente con i diversi termini di recepimento;
i)
è sempre assicurata la parità di trattamento dei cittadini italiani rispetto ai cittadini degli altri Stati membri dell'Unione europea e non può essere previsto in ogni caso un trattamento sfavorevole dei cittadini italiani.
Il comma 2 dell’articolo 1 prevede che gli schemi di decreto legislativo siano sottoposti al parere delle competenti Commissioni parlamentari.
La disposizione segue lo schema procedurale disciplinato in via generale dall’articolo 31, comma 3, della legge 234 del 2012: gli schemi di decreto legislativo, una volta acquisiti gli altri pareri previsti dalla legge, sono trasmessi alle Camere per l’espressione del parere delle Commissioni parlamentari competenti. Decorsi quaranta giorni dalla data di trasmissione, essi sono emanati anche in assenza del parere. Qualora il termine fissato per l’espressione del parere parlamentare scada nei trenta giorni che precedono il termine per l’esercizio della delega o successivamente, il termine è prorogato di tre mesi. Si intende in tal modo permettere al Governo di usufruire in ogni caso di un adeguato periodo di tempo per l’eventuale recepimento, nei decreti legislativi, delle indicazioni emerse in sede parlamentare.
Il comma 9 del medesimo articolo 31 prevede altresì l’ipotesi che il Governo non intenda conformarsi ai pareri espressi dagli organi parlamentari su norme contenenti sanzioni penali. In tal caso ritrasmette i testi alle Camere, con osservazioni ed eventuali modificazioni. I decreti sono emanati anche in mancanza di parere dopo venti giorni dalla data di ritrasmissione.
Il comma 3 dell’articolo in esame dispone che eventuali spese non contemplate dalla legislazione vigente che non riguardano l’attività ordinaria delle amministrazioni statali o regionali possono essere previste nei decreti legislativi attuativi esclusivamente nei limiti necessari per l’adempimento degli obblighi di attuazione dei medesimi provvedimenti.
Se la copertura di tali oneri, o delle minori entrate eventualmente derivanti dall’attuazione delle direttive, non possa essere assicurata con i fondi già assegnati alle competenti amministrazioni, si provvede a carico del Fondo per il recepimento della normativa europea, di cui all’articolo 41-bis della legge n. 234/2012.
Il Fondo per il recepimento della normativa europea è stato istituito dalla legge 29 luglio 2015, n. 115 (Legge europea 2014) attraverso l’introduzione dell'articolo 41-bis della legge 234/2012, al fine di consentire il tempestivo adeguamento dell'ordinamento interno agli obblighi imposti dalla normativa europea, nei soli limiti occorrenti per l'adempimento di tali obblighi e soltanto in quanto non sia possibile farvi fronte con i fondi già assegnati alle competenti amministrazioni dalla legislazione vigente.
Lo stesso comma 3 prevede inoltre che, in caso di incapienza del Fondo per il recepimento della normativa europea, i decreti legislativi attuativi delle direttive dai quali derivano nuovi o maggiori oneri sono emanati solo successivamente all'entrata in vigore dei provvedimenti legislativi che stanziano le occorrenti risorse finanziarie, in conformità all'articolo 17, comma 2, della legge di contabilità e finanza pubblica (legge 31 dicembre 2009, n. 196).
Il comma 2 dell’articolo 17 della legge n. 196/2009 ("Legge di contabilità e finanza pubblica") ha introdotto specifiche disposizioni relative alla copertura degli oneri recati dall’attuazione di deleghe legislative. In particolare, è espressamente sancito il principio in base al quale le leggi di delega comportanti oneri recano i mezzi di copertura finanziaria necessari per l’adozione dei relativi decreti legislativi. Qualora, in sede di conferimento della delega, per la complessità della materia trattata, non sia possibile procedere alla determinazione degli effetti finanziari derivanti dai decreti legislativi, a tale quantificazione si procede al momento dell’adozione dei singoli decreti.
A tal fine, si dispone, in primo luogo, che ciascuno schema di decreto sia corredato di una relazione tecnica che dia conto della neutralità finanziaria del medesimo provvedimento ovvero dei nuovi o maggiori oneri da esso derivanti e dei corrispondenti mezzi di copertura. In secondo luogo, la norma dispone che l’individuazione dei mezzi di copertura deve in ogni caso precedere l’entrata in vigore dei decreti medesimi, subordinando l’emanazione dei decreti legislativi alla previa entrata in vigore degli atti legislativi recanti lo stanziamento delle relative risorse finanziarie.
È altresì previsto il parere delle Commissioni parlamentari competenti anche per i profili finanziari sugli schemi dei decreti legislativi in questione (articolo 31, comma 4, della legge 24 dicembre 2012, n. 234). Tali schemi devono essere corredati di una relazione tecnica; nel caso in cui non intenda conformarsi alle condizioni formulate da tali Commissioni, il Governo ritrasmette al Parlamento i testi, corredati dei necessari elementi integrativi d'informazione, per i pareri definitivi delle medesime Commissioni competenti per i profili finanziari, che devono essere espressi entro venti giorni.
La sopra descritta modalità di copertura delle spese non si applica per i decreti legislativi di recepimento di alcune direttive, per le quali il testo in esame stipula una espressa clausola di invarianza finanziaria. Alcuni articoli del disegno di legge specificano infatti che dal recepimento medesimo non devono derivare “nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica”. Le amministrazioni interessate dovranno invece svolgere le attività previste “con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente”. Si vedano, in questo senso, gli articoli 3, comma 2; 4, comma 2; 5, comma 2; 6, comma 3; 8, comma 3; 9, comma 3; 10, comma 3; 11, comma 3; 14, comma 3; 15, comma 3; 16, comma 4.
Articolo 2
(Delega al Governo per la disciplina sanzionatoria di violazioni di atti normativi dell’Unione europea)
L’articolo 2 conferisce al Governo una delega della durata di diciotto mesi per l'emanazione di disposizioni recanti sanzioni penali o amministrative per le violazioni di obblighi discendenti da precetti europei per le quali non siano già previste sanzioni nell’ordinamento nazionale.
L'articolo 2 conferisce al Governo, ai sensi dell'articolo 33 della legge n. 234 del 2012, una delega della durata di diciotto mesi per l'emanazione di disposizioni recanti sanzioni penali o amministrative per le violazioni di obblighi discendenti da precetti europei non trasfusi in leggi nazionali. Può trattarsi di direttive attuate in via regolamentare o amministrativa, ossia con fonti non primarie inidonee a istituire sanzioni penali, o di regolamenti dell’Unione europea.
Si rammenta che gli atti legislativi dell'Unione europea non introducono né disciplinano, di norma, sanzioni, rimandando invece agli ordinamenti nazionali, in virtù della netta diversità dei sistemi giuridici nazionali. I regolamenti e le direttive lasciano quindi agli Stati membri di regolare le conseguenze della loro inosservanza.
La disposizione in oggetto è analoga a quella contenuta nelle leggi di delegazione europea relative agli anni precedenti. Essa risponde all'esigenza di prevedere con fonte normativa interna di rango primario - atta ad introdurre norme di natura penale o amministrativa nell’ordinamento nazionale - l'eventuale disciplina sanzionatoria necessaria all’attuazione di direttive in via regolamentare o amministrativa. La stessa necessità si ravvisa per eventuali sanzioni da introdurre per violazione di norme contenute in regolamenti dell’Unione europea che, come è noto, non richiedono leggi di recepimento, essendo direttamente applicabili nell’ordinamento nazionale. La finalità dell’articolo è pertanto quella di consentire al Governo, fatte salve le norme penali vigenti, di introdurre sanzioni volte a punire le trasgressioni commesse in violazione dei precetti contenuti nelle disposizioni normative dell’Unione europea, garantendo il rispetto degli atti regolamentari o amministrativi con cui tali disposizioni vengono trasposte nell’ordinamento interno.
L’articolo 33 della legge n. 234 del 2012 individua la delega stessa come contenuto proprio della legge di delegazione europea. Il comma 2 dell’articolo 33 prevede che i decreti legislativi siano adottati, in base all'art. 14 della legge n. 400 del 1988 [5] , su proposta del Presidente del Consiglio o del Ministro per gli affari europei e del Ministro della giustizia, di concerto con i Ministri competenti per materia.
La tipologia e la scelta delle sanzioni deve essere effettuata, oltre che secondo i princìpi e i criteri direttivi generali indicati all’articolo 32, comma 1, lettera d), della legge n. 234 del 2012, secondo quelli specifici eventualmente indicati nella legge di delegazione europea.
La citata lettera d) dell’articolo 32, comma 1, della legge n. 234 del 2012 indica i principi e criteri di delega per l’adozione della disciplina sanzionatoria corrispondente. In particolare, al di fuori dei casi previsti dalle norme penali vigenti, al fine di assicurare l'osservanza delle disposizioni contenute nei decreti legislativi, possono essere previste sanzioni penali, nei limiti, rispettivamente, dell'ammenda fino a 150.000 euro e dell'arresto fino a tre anni, in via alternativa o congiunta, solo nei casi in cui le infrazioni ledano o espongano a pericolo interessi costituzionalmente protetti. In tali casi è prevista la pena dell'ammenda alternativa all'arresto per le infrazioni che espongano a pericolo o danneggino l'interesse protetto; la pena dell'arresto congiunta a quella dell'ammenda per le infrazioni che rechino un danno di particolare gravità. In luogo dell'arresto e dell'ammenda, possono essere anche previste le sanzioni alternative di cui agli articoli 53 e seguenti del decreto legislativo n. 274 del 2000, e la relativa competenza del giudice di pace. Tali sanzioni consistono nell’obbligo di permanenza domiciliare e nel divieto di accesso a luoghi determinati. È altresì prevista la sanzione amministrativa del pagamento di una somma non inferiore a 150 euro e non superiore a 150.000 euro per le infrazioni che ledono o espongono a pericolo interessi diversi da quelli sopra indicati. L’entità delle sanzioni è determinata tenendo conto della diversa potenzialità lesiva dell'interesse protetto che ciascuna infrazione presenta in astratto, di specifiche qualità personali del colpevole, con particolare riguardo a quelle che impongono particolari doveri di prevenzione, controllo o vigilanza, nonché del vantaggio patrimoniale che l'infrazione può recare al colpevole o alla persona o all'ente nel cui interesse egli agisce. Ove necessario per assicurare l'osservanza delle disposizioni contenute nei decreti legislativi, sono previste inoltre le sanzioni amministrative accessorie della sospensione fino a sei mesi e, nei casi più gravi, della privazione definitiva di facoltà e diritti derivanti da provvedimenti dell'amministrazione, nonché sanzioni penali accessorie nei limiti stabiliti dal codice penale. Sempre al medesimo fine è prevista la confisca obbligatoria delle cose utilizzate per commettere l'illecito amministrativo o il reato previsti dai medesimi decreti legislativi, nel rispetto dei limiti stabiliti dall'articolo 240, commi 3 e 4, del codice penale e dall'articolo 20 della legge n. 689 del 1981. Entro i limiti di pena indicati sono previste sanzioni anche accessorie identiche a quelle eventualmente già comminate dalle leggi vigenti per violazioni omogenee e di pari offensività rispetto a quelle previste nei decreti legislativi. Infine, nelle materie di cui all'articolo 117, quarto comma, della Costituzione, le sanzioni amministrative sono determinate dalle regioni.
Sugli schemi di decreto legislativo adottati in virtù della delega conferita dal presente articolo è prevista l’acquisizione del parere delle competenti Commissioni parlamentari.
Articolo 3
(Principi e criteri direttivi per l’esercizio della delega per il recepimento della direttiva (UE) 2023/2225 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 18 ottobre 2023, relativa ai contratti di credito ai consumatori e che abroga la direttiva 2008/48/CE)
L’articolo 3 reca i principi e i criteri direttivi della delega al Governo per il recepimento della direttiva (UE) 2023/2225 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 18 ottobre 2023, relativa ai contratti di credito ai consumatori, cosiddetta Second Consumer Credit Directive, o CCD2.
Tra i principali criteri di delega, sono individuati i seguenti:
- apportare tutte le modificazioni, integrazioni ed abrogazioni alla normativa vigente, ivi compreso il Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia – “TUB” (di cui al D.Lgs. n. 385 del 1993);
- designare la Banca d’Italia e l’Organismo per la gestione degli elenchi degli agenti in attività finanziaria e dei mediatori creditizi (OAM), secondo le rispettive attribuzioni e competenze indicate dal TUB, quali autorità competenti a garantire l'applicazione e il rispetto della direttiva;
- esercitare alcune delle opzioni normative previste dalla direttiva, tenendo conto delle caratteristiche e delle peculiarità del contesto di riferimento e dei benefici e oneri delle opzioni;
- valutare l’introduzione di una disciplina relativa alle dilazioni di pagamento in cui il credito è acquistato da un terzo, anche a casi esclusi dall’applicazione della Direttiva, tenendo conto dell’obiettivo di garantire un elevato grado di protezione dei consumatori, di salvaguardare la competitività del mercato italiano del credito al consumo e avuto riguardo alle peculiarità del contesto nazionale;
- valutare l’esercizio dell’opzione contenuta all’articolo 37, paragrafo 3, della direttiva, relativa alla facoltà degli Stati membri di non applicare i requisiti di abilitazione e registrazione previsti ai fornitori di merci o ai prestatori di servizi che si qualificano come microimprese, piccole e medie imprese qualora esse agiscano come intermediari del credito o creditori a titolo accessorio;
- disporre le opportune modifiche alla disciplina sanzionatoria prevista dal Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia.
L’articolo 3 delega il Governo al recepimento nella normativa nazionale delle disposizioni della direttiva (UE) 2023/2225 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 18 ottobre 2023, relativa ai contratti di credito ai consumatori e che abroga la direttiva 2008/48/CE (cd. Second Consumer Credit Directive, o CCD2).
La seconda direttiva sul credito al consumo (direttiva (UE) 2023/2225)
La richiamata Direttiva (UE) 2023/2225 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 18 ottobre 2023, relativa ai contratti di credito ai consumatori e che abroga la direttiva 2008/48/CEE (Second Consumer Credit Directive, o CCD2) stabilisce le norme dell’Unione europea (Unione) sui contratti di credito ai consumatori.
Come chiarisce al riguardo la Relazione illustrativa che accompagna il provvedimento in esame, la CCD2 ha l’obiettivo di garantire un livello elevato di tutela dei consumatori e favorire lo sviluppo di un mercato unico del credito, promuovendo una crescita consapevole di tale settore e regolando nel dettaglio anche le nuove forme di concessione del credito ai consumatori.
Infatti, dall’adozione della direttiva 2008/48/CE (CCD), la diffusione e l’applicazione delle nuove tecnologie digitali hanno apportato significativi cambiamenti al mercato del credito del consumo, sia sul versante dell’offerta che su quello della domanda, permettendo ad esempio la creazione di nuovi prodotti di credito ai consumatori e lo sviluppo dei canali di offerta online.
In tale contesto, la CCD2 aumenta innanzitutto il livello di armonizzazione delle norme che regolano il credito al consumo, al fine di garantire che tutti i consumatori dell’Unione possano fruire di un livello elevato ed equivalente di tutela dei loro interessi e di creare un mercato interno ben funzionante. Quali principali linee guida, la direttiva CCD2 prevede di: i) estendere la tutela del consumatore ampliando l’ambito di applicazione della CCD; ii) garantire che i mutuatari abbiano un facile accesso a tutte le informazioni e siano informati sul costo totale del credito; iii) stabilire norme pubblicitarie più rigorose per ridurre il credito abusivo ai consumatori sovra-indebitati e misure efficaci contro i prezzi eccessivi; e iv) imporre ai finanziatori procedure di valutazione del merito creditizio, al fine di valutare se i consumatori possono effettivamente rimborsare il loro credito.
Più in dettaglio, l’articolo 3 reca le definizioni rilevanti. In particolare, per “contratto di credito” si intende un contratto con il quale un creditore concede o si impegna a concedere crediti a un consumatore sotto forma di un pagamento differito, di un prestito o di un’altra agevolazione finanziaria simile. Come “consumatore” si definisce una persona fisica che agisce per fini che non rientrano nel quadro della sua attività commerciale, industriale o professionale e per “effetto di legge” la direttiva definisce la situazione in cui una parte acquisisce automaticamente un diritto (o una responsabilità) perché dettata dalla legislazione esistente. Viene inoltre individuata la definizione di “sconfinamento”, ovvero uno scoperto tacitamente accettato in cui un creditore mette a disposizione di un consumatore fondi che superano il saldo del conto corrente del consumatore o la commissione di scoperto concordata.
In sintesi, la direttiva si applica ai contratti di credito in base ai quali i consumatori prendono in prestito denaro per acquistare beni e servizi, escluse determinate categorie di contratti indicate all’articolo 2, par. 2, tra i quali:
· contratti di credito garantiti da un mutuo o da un’altra garanzia comparabile su beni immobili;
· credito superiore a 100 000 euro;
· regimi di crediti datori di lavoro gratuiti o a basso interesse per i lavoratori dipendenti;
· pagamenti differiti a determinate condizioni;
· accordi di noleggio o di leasing che non offrano o richiedono l’acquisto dell’articolo interessato;
Scopo delle esclusioni è consentire agli Stati membri dell’Unione di esentare dalle norme comunitarie determinati accordi, come quelli collegati a carte di debito differite a determinate condizioni.
La direttiva (articolo 5) richiede che le informazioni fornite ai consumatori ai sensi delle norme comunitarie siano fornite gratuitamente e stabilisce che i prestatori di credito ai residenti legali nell’UE non possono discriminare in base alla nazionalità, al luogo di residenza o ad altri fattori come il sesso, la razza o il colore elencati nell’articolo 21 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (articolo 6).
Le norme eurounitarie fissano anzitutto, al capo II, gli specifici obblighi di informazione che devono essere forniti prima dell’accordo.
Le comunicazioni alla clientela devono essere corrette, chiare e non ingannevoli (articolo 7).
Sono previste specifiche prescrizioni in materia di pubblicità (articolo 8). In particolare, le relative pubblicità devono includere l’avvertenza: «Attenzione! Prendere in prestito denaro costa denaro.» o una formulazione equivalente (articolo 8). Si vieta poi la pubblicità ingannevole che: suggerisca che il credito migliorerebbe le situazioni finanziarie dei consumatori; specifichi i contratti o le banche dati di credito in essere che hanno un impatto limitato o nullo su una valutazione di una domanda di credito; indichi falsamente che il credito aumenta le risorse finanziarie, i risparmi o il tenore di vita.
Gli Stati membri possono inoltre vietare la pubblicità che evidenzia la facilità o la velocità di acquisizione del credito; condiziona lo sconto all’accensione di un credito; offre periodi di grazia superiori a tre mesi per i rimborsi.
Inoltre, le informazioni pubblicitarie standard devono essere facilmente leggibili o chiaramente udibili. Esse devono specificare in modo chiaro, conciso e visibile i seguenti elementi:
· il tasso di prestito, compresi gli oneri;
· l’importo totale del credito;
· il tasso annuo effettivo globale (l’allegato III stabilisce le modalità di calcolo);
· la durata del contratto di credito, ove applicabile;
· il totale a carico del consumatore e l’importo delle rate, se del caso;
· contenere un esempio rappresentativo dei vari termini.
Inoltre le informazioni generali (articolo 9) devono essere chiare e comprensibili e disponibili su carta o su un supporto durevole scelto dal consumatore e contenere almeno i seguenti elementi:
· l’identità e i dati di contatto del fornitore di informazioni;
· gli scopi per i quali il credito può essere utilizzato, la durata del contratto e gli eventuali ulteriori costi;
· tassi debitori disponibili ed esempio del costo totale per il consumatore;
· una serie di opzioni di rimborso, le condizioni per il rimborso anticipato e i dettagli sul diritto di recesso;
· l’indicazione di tutti i servizi accessori necessari per ottenere il credito;
· un avvertimento generale sulle possibili conseguenze del mancato rispetto dei termini dell’accordo.
Con riferimento alle informazioni precontrattuali (articolo 10) esse devono:
· essere fornite al cliente «in tempo utile» e contenere spiegazioni adeguate, in modo che possa confrontare le diverse offerte e prendere una decisione informata prima di essere vincolato da un accordo;
· contenere tutti gli elementi del modulo Informazioni europee di base relative al credito ai consumatori di cui all’allegato I, con le informazioni principali sulla prima pagina;
· utilizzare il modulo Informazioni europee relative al credito ai consumatori di cui all’allegato II per i contratti di credito conclusi da organizzazioni che operano a reciproco vantaggio dei loro membri;
· informare i clienti quando viene loro presentata un’offerta personalizzata basata sul trattamento automatizzato dei dati personali.
L’articolo 14 vieta la cosiddetta vendita abbinata, a meno che il contratto di credito non sia disponibile separatamente da altri prodotti o servizi finanziari in offerta. Esso consente poi il raggruppamento, laddove il contratto di credito sia disponibile separatamente, ma non necessariamente agli stessi termini e alle stesse condizioni del contratto abbinato ad altri prodotti o servizi in offerta; consente ai creditori di richiedere al cliente l’apertura o il mantenimento di un conto di pagamento o di risparmio per accumulare capitale o gestire il credito, o di detenere una polizza assicurativa pertinente.
La medesima norma vieta l’uso di dati personali relativi alle malattie oncologiche per la sottoscrizione di una polizza assicurativa entro 15 anni dalla fine del trattamento.
Si richiede ai creditori di informare esplicitamente i consumatori circa la possibilità di ricevere servizi accessori; il consenso del consumatore non sarà desunto dalla conclusione di un contratto di credito o dall’acquisto di servizi accessori presentati attraverso opzioni predefinite (come le caselle pre-selezionate).
Viene poi stabilito un quadro normativo certo fornitura di servizi di consulenza
(articolo 16) e si fa esplicito divieto di concedere crediti senza la richiesta preventiva del consumatore e un consenso esplicito (articolo 15).
Con riferimento alla disciplina della valutazione del merito creditizio, i creditori devono valutare e verificare accuratamente il merito creditizio di un consumatore, esaminando informazioni pertinenti e precise sul suo reddito, sulle spese e su altre circostanze finanziarie ed economiche (articolo 18).
Ai sensi del richiamato articolo, la valutazione del merito creditizio è effettuata sulla base di informazioni pertinenti e accurate sul reddito e sulle spese del consumatore e su altre informazioni sulla situazione economica e finanziaria, che siano necessarie e proporzionate rispetto alla natura, alla durata, al valore e ai rischi del credito per il consumatore. Le informazioni sono ottenute da pertinenti fonti interne o esterne, incluso il consumatore e, ove necessario, sulla base di una consultazione di una banca dati. Viene chiarito che i social network non sono considerati una fonte esterna ai fini della presente direttiva.
In particolare, qualora la valutazione del merito creditizio comporti il ricorso al trattamento automatizzato di dati personali, gli Stati membri assicurano che il consumatore abbia il diritto di chiedere e ottenere dal creditore l’intervento umano, che consiste nel diritto di chiedere ed ottenere dal creditore una spiegazione chiara e comprensibile della valutazione del merito creditizio, compresi la logica e i rischi derivanti dal trattamento automatizzato dei dati personali nonché la rilevanza e gli effetti sulla decisione; di esprimere la propria opinione al creditore; e di chiedere un riesame della valutazione del merito creditizio e della decisione relativa alla concessione del credito da parte del creditore.
I contratti di credito devono contenere informazioni simili a quelle fornite nella fase precontrattuale, ma in maggior dettaglio (articolo 20 e seguenti). In particolare, i creditori devono informare i consumatori in merito a: modifiche ai termini e alle condizioni dell’accordo prima di apportarle e, se del caso, in merito alla necessità di ottenere consenso del consumatore o una spiegazione delle modifiche introdotte per effetto di legge; variazioni dei tassi debitori in tempo utile, prima della loro entrata in vigore; ogni riduzione o cancellazione dello scoperto di conto, almeno 30 giorni prima della data di entrata in vigore della reale riduzione o cancellazione dello scoperto di conto; i dettagli finanziari di qualsiasi sconfinamento previsto dall’accordo.
I consumatori possono recedere da un accordo entro 14 giorni senza indicare alcuna motivazione (articolo 26), possono porre fine a un contratto di credito aperto gratuitamente in qualsiasi momento, a meno che non preveda un periodo di preavviso concordato, che non può superare un mese (articolo 28). Essi hanno il diritto di effettuare un rimborso anticipato in qualsiasi momento, a condizione che il creditore riceva un indennizzo equo e obiettivamente giustificato (articolo 19).
Gli Stati membri applicano misure volte a prevenire gli abusi e a garantire che i consumatori non ricevano tassi debitori eccessivamente elevati (articolo 31). Essi richiedono ai creditori e agli intermediari di agire in modo onesto, equo, trasparente e professionale, tenendo conto dei diritti e degli interessi dei propri clienti (articolo 32). Gli Stati fissano requisiti minimi di competenza e conoscenza per i creditori e il loro personale (articolo 33), promuovono l’educazione finanziaria dei consumatori in materia di gestione responsabile dei prestiti e del debito (articolo 34) ed esigono che i creditori esercitino, se del caso, una ragionevole tolleranza prima di avviare le procedure esecutive (articolo 35).
Inoltre, garantiscono la messa a disposizione di servizi indipendenti di consulenza sul debito per i consumatori in difficoltà con i loro impegni finanziari;
sottopongono i creditori e gli intermediari del credito agli obblighi di ammissione, registrazione e vigilanza, supervisionati da un’autorità indipendente; forniscono ai consumatori l’accesso a procedure adeguate, tempestive ed efficaci di risoluzione extragiudiziale delle controversie; nominano autorità per attuare la direttiva e determinano sanzioni in caso di violazioni (articoli 36 e seguenti).
La direttiva abroga la direttiva 2008/48/CE relativa ai contratti di credito ai consumatori a partire dal 20 novembre 2026.
Gli Stati membri devono recepire la direttiva nel diritto nazionale entro il 20 novembre 2025; le relative norme si applicano a partire dal 20 novembre 2026 (articolo 48).
In particolare, il comma 1 prevede che il Governo - nell’esercizio della delega - osservi, oltre ai criteri direttivi generali sanciti dall’articolo 32 della legge 24 dicembre 2012, n. 234 (per cui si veda la premessa al presente dossier), anche alcuni criteri specifici:
In particolare, la lettera a) del comma 1 delega il Governo ad apportare tutte le modificazioni, integrazioni ed abrogazioni alla normativa vigente ivi inclusi, in particolare, il decreto legislativo 13 agosto 2010, n. 141, il decreto legislativo 1º settembre 1993, n. 385 (Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, TUB), necessarie ad assicurare la corretta applicazione della CCD2 nell’ordinamento nazionale. Viene, altresì, precisato che, nell’esercizio della delega, il Governo tenga conto, ove opportuno, degli orientamenti di vigilanza delle autorità europee e assicuri la coerenza e l’efficacia complessiva del sistema di protezione dei consumatori.
La lettera b) del comma 1 designa la Banca d’Italia e l’Organismo per la gestione degli elenchi degli agenti in attività finanziaria e dei mediatori creditizi (OAM), secondo le rispettive attribuzioni e competenze indicate dal TUB, quali autorità competenti ai sensi dell’articolo 41 della CCD2 (ovvero le autorità abilitate a garantire l'applicazione e il rispetto della direttiva, che devono essere dotate dei poteri di indagine e di controllo, nonché delle risorse adeguate necessarie all'adempimento efficiente ed efficace delle loro funzioni), attribuendo agli stessi soggetti i poteri di indagine e di controllo, previsti dalla medesima direttiva.
La Relazione illustrativa precisa sul punto che l’articolazione delle funzioni tra la Banca d’Italia e l’OAM ricalca e conferma l’impostazione già vigente nell’ordinamento nazionale, a seguito del recepimento della CCD, e declinata nel TUB e nel decreto legislativo n. 141 del 2010.
La successiva lettera c) prevede il ricorso alla disciplina secondaria della Banca d’Italia, ove opportuno e nel rispetto delle competenze alla stessa spettanti, nell’ambito e per le finalità specificamente previste dalla CCD2.
La lettera d) delega il Governo a esercitare, ove ritenuto opportuno, le opzioni normative previste dalla direttiva (UE) 2023/2225, fissando alcuni criteri generali.
In particolare, l’esercizio delle opzioni dovrà tenere conto di:
i) caratteristiche e peculiarità del contesto nazionale di riferimento;
ii) benefici e oneri sottesi alle suddette opzioni;
iii) necessità di garantire un alto livello di protezione e di tutela dei consumatori e di assicurare il buon funzionamento del mercato del credito al consumo italiano.
La lettera e) delega il Governo a valutare l’introduzione di una disciplina relativa alle dilazioni di pagamento in cui il credito è acquistato da un terzo, anche a casi esclusi dall’articolo 2, paragrafo 2, lettera h), della CCD2, tenendo conto dell’obiettivo di garantire un elevato grado di protezione dei consumatori, di salvaguardare la competitività del mercato italiano del credito al consumo e avuto riguardo alle peculiarità del contesto nazionale.
In particolare, il richiamato articolo 2, par. 2, lettera h), della direttiva CC2 esclude l’applicazione della direttiva medesima alle dilazioni di pagamento in forza delle quali:
1) un fornitore di merci o un prestatore di servizi, senza offerta di credito da parte di un terzo, concede al consumatore tempo per pagare le merci da esso fornite o i servizi da esso prestati;
2) il prezzo d’acquisto deve essere pagato senza interessi e senza altre spese, fatta eccezione per spese limitate che il consumatore è tenuto a pagare in caso di ritardi di pagamento imposte in conformità del diritto nazionale; e
3) il pagamento deve essere interamente eseguito entro 50 giorni dalla fornitura delle merci o dalla prestazione dei servizi.
Dal momento che la Direttiva CCD2, come visto supra, reca soprattutto norme a presidio dei consumatori, la scelta del legislatore delegato sembra disporre, nella predetta ipotesi, tutele rafforzate rispetto a quelle previste dalla normativa eurounitaria.
Inoltre, la lettera f) del comma 1 delega ad individuare i soggetti che possono prestare i servizi di consulenza sul debito previsti dall’articolo 36 della CCD2, definendo le caratteristiche, le modalità di prestazione di tali servizi e le eventuali spese limitate a carico dei consumatori, tenendo conto, in particolare, dell’obiettivo di assicurare un servizio indipendente e di elevata qualità.
La successiva lettera g) del comma 1 articola il contenuto della delega con particolare riferimento all’attuazione dell’articolo 37 della CCD2, relativo all’abilitazione, registrazione e vigilanza degli enti non creditizi e degli istituti non di pagamento.
Nel dettaglio, si delega il Governo a valutare l’esercizio dell’opzione contenuta all’articolo 37, paragrafo 3, della direttiva, relativa alla facoltà degli Stati membri di non applicare i requisiti di abilitazione e registrazione previsti ai fornitori di merci o ai prestatori di servizi che si qualificano come microimprese, piccole e medie imprese, come definite nella raccomandazione 2003/361/CE, che agiscono come:
i) intermediari del credito a titolo accessorio; oppure
ii) creditori a titolo accessorio, che concedono un credito sotto forma di dilazione di pagamento per acquistare merci e servizi da essi offerti, qualora il credito sia senza interessi e siano dovute dal consumatore solo spese limitate per i ritardi di pagamento imposte ai sensi del diritto nazionale.
Oltre all’esercizio di tale opzione, la richiamata lettera g) delega il Governo a definire le caratteristiche del sistema di abilitazione, registrazione e vigilanza degli enti non creditizi e degli istituti non di pagamento, anche valutando l’opportunità di attribuire compiti di controllo ad autorità dotate di indipendenza e competenti a esercitare le attività di vigilanza, nonché valutando l’adeguatezza del perimetro dell’attività riservata agli intermediari del credito e delle relative esenzioni, al fine di garantire idonei livelli di professionalità dei soggetti che entrano in contatto con il pubblico, assicurare la coerenza e l’efficacia complessiva del sistema di protezione dei consumatori, l’efficiente funzionamento del mercato e la proporzionalità degli oneri per gli operatori.
La lettera h) del comma 1 dispone che siano adottate, conformemente all’articolo 44 della CCD2, le opportune modifiche alla disciplina delle sanzioni (di cui al Titoli VI-bis e VIII del TUB), in modo da prevedere sanzioni efficaci, dissuasive e proporzionate alla gravità delle violazioni degli obblighi derivanti dalla CCD2 e dalle relative disposizioni nazionali di attuazione, ivi comprese le modalità di riscossione delle sanzioni disposte dall’articolo 128-duodecies, comma 1, lettera a-bis), del TUB.
La richiamata lettera prevede che l’Organismo competente per la gestione degli elenchi degli agenti in attività finanziaria e dei mediatori creditizi, per alcune tipologie di violazioni (mancato pagamento dei contributi o altre somme dovute ai fini dell'iscrizione negli elenchi, inosservanza degli obblighi di aggiornamento professionale, violazione di norme legislative o amministrative che regolano l'attività di agenzia in attività finanziaria o di mediazione creditizia, mancata comunicazione o trasmissione di informazioni o documenti richiesti) commini una sanzione pecuniaria da 500 euro a 5000 euro nei confronti degli iscritti persone fisiche e la sanzione pecuniaria da 1000 euro fino al 10 per cento del fatturato nei confronti degli iscritti persone giuridiche. Se il vantaggio ottenuto dall’autore della violazione come conseguenza della violazione stessa è superiore ai massimali indicati alla presente lettera, le sanzioni pecuniarie sono elevate fino al doppio dell’ammontare del vantaggio ottenuto, purché tale ammontare sia determinabile. Chi con un’azione od omissione viola diverse disposizioni o commette più violazioni della stessa disposizione, soggiace alla sanzione prevista per la violazione più grave, aumentata sino al triplo. I proventi derivanti dalle sanzioni previste dalla presente lettera affluiscono al bilancio dello Stato.
La lettera i) del comma 1 prevede che siano introdotte le opportune disposizioni transitorie, in linea con quanto previsto dalla CCD2.
In particolare, ai sensi dell’articolo 47 della richiamata direttiva, la direttiva 2008/48/CE continua ad applicarsi ai contratti di credito in corso al 20 novembre 2026 fino al loro termine; di conseguenza, come chiarisce la Relazione illustrativa, le disposizioni transitorie devono fissare al 20 novembre 2026 la decorrenza per l’applicazione delle disposizioni nazionali di attuazione della direttiva (UE) 2023/2225, pur prevedendo che la direttiva 2008/48/CE continui ad applicarsi ai contratti di credito in corso al 20 novembre 2026 e fino al loro termine.
Il medesimo articolo 47 prevede che si applicano a tutti i contratti di credito a durata indeterminata in corso al 20 novembre 2026 alcune norme della direttiva, in particolare quelle relative alle modifiche del tasso debitore e alla concessione di scoperto (di cui agli articoli 23 e 24, 25, paragrafo 1, seconda frase della direttiva e paragrafo 2 del richiamato articolo 25), nonché le norme in tema di contratti di credito a durata indeterminata e la disciplina sulla cessione di diritti (di cui agli articoli 28 e 39 della direttiva (UE) 2023/2225).
Infine, la lettera l) del comma 1 prevede che, nell’esercizio della delega, siano apportate tutte le abrogazioni, modificazioni e integrazioni alla normativa vigente, anche di derivazione europea o di natura secondaria, ivi compreso, se del caso, il codice del consumo di cui al decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206, per assicurare il coordinamento con le disposizioni emanate in attuazione del presente articolo e con le disposizioni del regolamento (UE) 2017/2394, relativo alla cooperazione tra le autorità nazionali responsabili dell'esecuzione della normativa che tutela i consumatori.
Il comma 2 reca la clausola di invarianza finanziaria, prevedendo che dall'attuazione delle norme in esame non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. In particolare, si precisa che le amministrazioni interessate provvedono all’adempimento dei compiti derivanti dall’esercizio della delega con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.
Articolo 4
(Princìpi e criteri direttivi per l’esercizio della delega per il recepimento della direttiva (UE) 2023/2673 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 novembre 2023, che modifica la direttiva 2011/83/UE per quanto riguarda i contratti di servizi finanziari conclusi a distanza e abroga la direttiva 2002/65/CE)
L’articolo 4 fornisce i princìpi e i criteri direttivi specifici che il Governo è tenuto ad osservare nel recepimento della direttiva (UE) 2023/2673, che semplifica la normativa esistente in materia di contratti di servizi finanziari conclusi a distanza, aumentando la protezione dei consumatori e creando condizioni di parità per i servizi finanziari conclusi online, via telefono o mediante altre forme di marketing a distanza.
L’articolo 4, comma 1, stabilisce che nell’esercizio della delega, prevista dall’articolo 1, per il recepimento della direttiva (UE) 2023/2673 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 novembre 2023, che modifica la direttiva 2011/83/UE per quanto riguarda i contratti di servizi finanziari conclusi a distanza e abroga la direttiva 2002/65/CE), il Governo osserva, oltre ai princìpi e criteri direttivi generali di cui all’articolo 32 della legge 24 dicembre 2012, n. 234, anche alcuni princìpi e criteri direttivi specifici. Preliminarmente, si ricorda che, quanto al recepimento della direttiva in oggetto, l’articolo 2 della medesima dispone che gli Stati membri:
§ adottano e pubblicano entro e non oltre il 19 dicembre 2025 le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi e comunicano immediatamente alla Commissione il testo di tali disposizioni;
§ applicano tali disposizioni a decorrere dal 19 giugno 2026.
La direttiva 2002/65/UE, che viene abrogata dalla direttiva (UE) 2023/2673 disciplina la commercializzazione a distanza di servizi finanziari ai consumatori, introducendo una disciplina comune per le vendite al dettaglio di servizi finanziari concluse tra un fornitore e un consumatore tramite mezzi di comunicazione a distanza. L’obiettivo perseguito dalla direttiva consiste nel favorire la diffusione di questi metodi di commercializzazione anche a livello transfrontaliero, in modo da rafforzare l’integrazione del mercato interno, assicurando, nel contempo, la tutela per i consumatori, considerati parti deboli del rapporto contrattuale. L’ambito di applicazione della direttiva riguarda le fasi dell’offerta, della negoziazione e della conclusione del contratto tra il fornitore e il consumatore. A favore di quest’ultimo è prevista, in particolare, una serie di regole di tutela, che riguardano l’obbligo di informativa preventiva, con riferimento sia all’offerta indifferenziata, sia alle specifiche condizioni contrattuali che regolano il rapporto; il diritto di recesso; il diritto per il consumatore, nel caso in cui il recesso sia esercitato, alla restituzione delle somme versate (salvo le spese), senza il pagamento di penali; la prestazione di servizi e le comunicazioni commerciali non richiesti dal consumatore; i mezzi di ricorso giudiziali ed extra-giudiziali che gli Stati membri sono tenuti ad apprestare o a promuovere.
La successiva direttiva 2011/83/UE armonizza le disposizioni relative alla tutela dei consumatori nell’ambito dei contratti di vendita di beni e servizi conclusi tra consumatori e commercianti, al fine di realizzare un effettivo mercato interno tra imprese e consumatori che raggiunga il giusto equilibrio tra un adeguato livello di tutela dei consumatori e la competitività delle imprese.
Nel fare ciò la direttiva modifica e accorpa in un unico strumento orizzontale il quadro normativo di riferimento, composto da quattro direttive: la Direttiva 93/13/CEE del Consiglio concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori; la Direttiva 1999/44/CE del Parlamento europeo e del Consiglio su taluni aspetti della vendita e delle garanzie dei beni di consumo; la Direttiva 85/577/CEE del Consiglio, per la tutela dei consumatori in caso di contratti negoziati fuori dei locali commerciali e la Direttiva 97/7/CE del Parlamento europeo e del Consiglio riguardante la protezione dei consumatori in materia di contratti a distanza.
Tutte le direttive contengono, al loro interno, clausole di armonizzazione minima che hanno permesso agli Stati di mantenere o adottare norme più severe in materia di tutela dei consumatori ma che hanno anche contribuito a creare un panorama normativo caratterizzato da un’estrema frammentazione legislativa. La direttiva 2011/83/UE mira pertanto a rimuovere le incoerenze e colmare le lacune esistenti in materia di diritti dei consumatori in relazione a contratti conclusi con i professionisti, e rafforzare i diritti dei consumatori tentando di dare nuovo impulso alle vendite a distanza transfrontaliere, incluse quelle via internet. L’ambito di applicazione è esteso anche ai contratti per fornitura di acqua, gas, elettricità o teleriscaldamento, anche da parte di pubbliche amministrazioni, ove detti prodotti siano forniti su base contrattuale. Le principali novità introdotte dalla direttiva 2011/83/UE riguardano l'introduzione di una disciplina più dettagliata degli obblighi di informazione al consumatore da parte del commerciante che dovrà fornire alcune informazioni tra cui: il proprio indirizzo; le caratteristiche del prodotto; il prezzo, comprensivo delle spese di spedizione di consegna e postali; le modalità di pagamento; l’esistenza o le condizioni di un servizio postvendita; l’eventuale interoperabilità dei prodotti digitali con hardware e software. Per i contratti a distanza è previsto il diritto di recesso. Ulteriori elementi riguardano l’obbligo per il commerciante a consegnare la merce entro 30 giorni dalla data di conclusione del contratto, scaduti i quali il consumatore può chiedere un nuovo termine di consegna. In caso di mancato rispetto di quest’ultimo il consumatore avrà diritto al rimborso delle somme versate. Inoltre, la direttiva pone a carico del venditore sino al momento della consegna il rischio di perdita o danneggiamento dei beni (cd. passaggio del rischio). Infine, per quanto concerne i mezzi di pagamento, non sarà possibile imporre al consumatore, qualora non utilizzi contante, tariffe superiori a quelle sostenute dal professionista per l’uso degli appositi strumenti (es: commissioni su carte di credito). Analogo limite riguarda la tariffa per comunicazioni telefoniche su linee dedicate messe dal professionista a disposizione del consumatore.
In estrema sintesi si ricorda inoltre che le direttive 2002/65/UE e 2011/83/UE condividono una serie di analogie. Entrambe:
- conferiscono ai consumatori diritti fondamentali dei consumatori, quali il diritto di recesso e il diritto di ottenere informazioni precontrattuali;
- disciplinano i contratti conclusi a distanza e si applicano orizzontalmente, fungendo da legislazione generale.
Tuttavia la direttiva 2011/83/UE esclude attualmente tutti i servizi finanziari dal suo ambito di applicazione. Scopo della direttiva (UE) 2023/2673 è porre fine all'esclusione generale dei servizi finanziari dalla direttiva 2011/83/UE, estendendone l'ambito di applicazione per includervi i servizi finanziari conclusi a distanza. Ciò significa che diversi articoli dell'attuale direttiva 2011/83/UE saranno applicati ai servizi finanziari venduti a distanza. Più in dettaglio, la direttiva abroga la normativa in vigore dal 2002 e introduce nuove disposizioni per i contratti di servizi finanziari conclusi a distanza, sotto forma di capo aggiuntivo alla direttiva sui diritti dei consumatori, che proteggono questi ultimi in tutti i tipi di pratiche commerciali. Viene semplificato il quadro legislativo e alcuni articoli della direttiva sui diritti dei consumatori si applicheranno anche ai servizi finanziari venduti a distanza.
Il testo della direttiva:
· chiarisce l'ambito di applicazione e la funzione di rete di sicurezza per quanto riguarda i servizi finanziari;
· migliora le norme in materia di comunicazione delle informazioni e rende più moderni gli obblighi di informazione precontrattuale (mantenendo la possibilità che gli Stati membri impongano norme nazionali più severe in questo settore);
· stabilisce il diritto dei consumatori di chiedere l'intervento umano su siti che utilizzano strumenti di informazione automatizzati, ad esempio di consulenza (robo-advice) e di aiuto alla clientela (chat box);
· facilita l’esercizio del diritto di recesso dai contratti conclusi a distanza mediante una “funzione di recesso” facilmente reperibile nell'interfaccia del prestatore di servizi;
· introduce una protezione aggiuntiva per i consumatori contro i dark pattern (un’interfaccia utente progettata per indurre gli utenti a compiere azioni non pianificate, come l’acquisto di prodotti che non intendevano acquistare).
Come sopra anticipato, la norma fornisce i princìpi e i criteri direttivi specifici che il Governo è tenuto ad osservare. Nello specifico si tratta di:
a) apportare alla normativa vigente e, in particolare, al codice del consumo (decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206), le modifiche, le integrazioni e le abrogazioni necessarie al corretto e integrale recepimento della richiamata direttiva (UE) 2023/2673;
b) coordinare le disposizioni del codice del consumo con le disposizioni vigenti in materia di assicurazioni e di servizi bancari e finanziari e, in particolare, con le disposizioni, rispettivamente:
1) del codice delle assicurazioni private di cui al decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209, del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385;
2) del testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, nonché con la disciplina in materia di servizi di investimento e di previdenza complementare;
c) confermare l’attribuzione alle autorità di vigilanza dei settori bancario, finanziario, assicurativo e della previdenza complementare, ciascuna per le rispettive competenze, dei poteri di controllo e sanzionatori volti ad assicurare il rispetto delle disposizioni introdotte in attuazione della direttiva (UE) 2023/2673;
d) esercitare, al fine di una maggior tutela per il consumatore, l’opzione di cui all’articolo 16-bis, paragrafo 9, della direttiva 2011/83/UE, del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 ottobre 2011, introdotto dalla direttiva (UE) 2023/2673, che consente di adottare o mantenere disposizioni più rigorose in materia di informazioni precontrattuali, anche in considerazione della diversa tipologia di servizi finanziari offerti;
Il richiamato articolo 16-bis in materia di obblighi di informazione concernenti i contratti a distanza per i servizi finanziari ai consumatori prevede al paragrafo 9 che gli Stati membri possono adottare o mantenere disposizioni più rigorose in materia di informazioni precontrattuali rispetto a quelle di cui al presente articolo, se tali disposizioni sono conformi al diritto dell'Unione.
e) esercitare l’opzione di cui all’articolo 16-quater, paragrafo 2, della direttiva 2011/83/UE, introdotto dalla direttiva (UE) 2023/2673, ai sensi del quale gli Stati membri possono prevedere che i consumatori non siano tenuti a pagare alcun importo allorché recedano da un contratto di assicurazione;
f) esercitare l’opzione di cui all’articolo 16-quinquies, paragrafo 2, della direttiva 2011/83/UE, introdotto dalla direttiva (UE) 2023/2673, ai sensi del quale gli Stati membri possono precisare modalità e portata della comunicazione delle spiegazioni adeguate, adattandole al contesto, al destinatario e alla natura del servizio finanziario offerto;
g) assicurare il coordinamento tra l’articolo 144-bis, in materia di cooperazione tra le autorità nazionali per la tutela dei consumatori, del codice del consumo, di cui al decreto legislativo n. 206 del 2005, e le disposizioni adottate per il recepimento delle direttive (UE) 2023/2225 e 2023/2673, nonché con le disposizioni del regolamento (UE) 2017/2394;
h) apportare tutte le abrogazioni, modificazioni e integrazioni necessarie alle disposizioni:
1) del Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia (decreto legislativo n. 385 del 1993);
2) del Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria (decreto legislativo n. 58 del 1998);
3) del Codice delle assicurazioni private (decreto legislativo n. 209 del 2005);
4) vigenti, anche di derivazione europea o di natura secondaria, al fine di assicurare il coordinamento con le disposizioni emanate in attuazione del presente articolo.
Il comma 2 reca la clausola di invarianza finanziaria, stabilendo che dall'attuazione dell’articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.
Le amministrazioni interessate provvedono all'adempimento dei compiti derivanti dall'esercizio della delega di cui al presente articolo con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.
Articolo 5
(Principi e criteri direttivi per il recepimento della direttiva (UE) 2023/1544 recante norme armonizzate sulla designazione di stabilimenti designati e sulla nomina di rappresentanti legali ai fini dell’acquisizione di prove elettroniche nei procedimenti penali)
L’articolo 5 delega il Governo ad adottare uno o più decreti legislativi, al fine di adeguare la normativa nazionale alle disposizioni della direttiva (UE) 2023/1544 recante norme armonizzate sulla designazione di stabilimenti designati e sulla nomina di rappresentanti legali ai fini dell’acquisizione di prove elettroniche nei procedimenti penali.
Il comma 1 stabilisce che, nell’esercizio della delega, il Governo è tenuto ad osservare, oltre ai principi e criteri direttivi generali di cui all’articolo 32 della legge n. 234 del 2012 (per cui si veda l’articolo 1 del provvedimento in esame, alla cui scheda di lettura si rinvia), i seguenti principi e criteri direttivi specifici:
a) prevedere sanzioni effettive, dissuasive e proporzionate per la violazione delle disposizioni indicate nell’articolo 5 della direttiva (UE) 2023/1544, anche in deroga ai criteri e ai limiti di cui alla legge 24 novembre 1981, n. 689, e all’articolo 32, comma 1, lettera d), della legge 24 dicembre 2012, n. 234;
Si ricorda che l’articolo 32, comma 1, lettera d), della legge n. 234/2012 definisce i limiti delle sanzioni amministrative e penali per le infrazioni alle disposizioni dei decreti legislativi di recepimento delle direttive europee previste dalla legge di delegazione europea. Per le sanzioni penali si dispone, tra le altre cose, che queste possano essere previste nei limiti, rispettivamente, dell’ammenda fino a 150.000 euro e dell’arresto, fino a tre anni, solo nei casi in cui le infrazioni ledano o espongano a pericolo interessi costituzionalmente protetti. In tali casi, prosegue la disposizione, sono previste la pena dell’ammenda alternativa all’arresto per le infrazioni che espongano a pericolo o danneggino l’interesse protetto; la pena dell’arresto congiunta a quella dell’ammenda per le infrazioni che rechino un danno di particolare gravità. Il principio direttivo in commento consente quindi di derogare anche a tali limiti senza introdurne però di nuovi. In proposito, si ricorda che la giurisprudenza costituzionale ha rilevato che il legislatore delegante, in ambito penale, deve adottare principi e criteri direttivi “configurati in modo assai preciso, sia definendo la specie e l’entità massima delle pene, sia dettando il criterio, in sé restrittivo, del ricorso alla sanzione penale solo per la tutela di determinati interessi rilevanti” (sentenza n. 175/2022. Precedenti: sent. n. 174/2021; sent. n. 127/2017; sent. n. 5/2014; sent. n. 49/1999; sent. n. 53/1997). In questo ambito, infatti, il controllo sul rispetto di tali criteri e principi direttivi è “anche strumento di garanzia della riserva di legge e del rispetto del principio di stretta legalità, spettando al Parlamento l’individuazione dei fatti da sottoporre a pena e delle sanzioni loro applicabili”. Al riguardo, si valuti quindi l’opportunità di un approfondimento del criterio di delega in esame.
Ai sensi dell’articolo 5 della recependa direttiva gli Stati membri stabiliscono le norme relative alle sanzioni applicabili in caso di violazione delle disposizioni nazionali adottate ai sensi degli articoli 3 e 4 e sono tenuti ad adottare tutte le misure necessarie per assicurarne l'applicazione. Le sanzioni previste sono effettive, proporzionate e dissuasive.
b) individuare una o più autorità quale autorità centrale, ai fini e per gli effetti dell’articolo 6 della direttiva (UE) 2023/1544;
c) prevedere la competenza del Ministero della giustizia per la comunicazione di cui all’articolo 7, paragrafo 3, della direttiva (UE) 2023/1544;
Ai sensi del par. 3 dell’art. 7 della direttiva gli Stati membri sono tenuti a comunicare alla Commissione il testo delle disposizioni di diritto interno che adottano nel settore disciplinato dalla recependa direttiva;
d) apportare ogni ulteriore opportuna modifica alle norme dell’ordinamento interno, al fine di armonizzare il quadro giuridico nazionale e di favorire il più efficace perseguimento delle finalità della direttiva (UE) 2023/1544, anche attraverso l’abrogazione delle disposizioni con essa incompatibili.
Il comma 2 prevede che dall'attuazione dell’articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. Le amministrazioni interessate provvedono all'adempimento dei compiti derivanti dall'esercizio della delega di cui al presente articolo con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.
La direttiva (UE) 2023/1544 recante norme armonizzate sulla designazione di stabilimenti designati e sulla nomina di rappresentanti legali ai fini dell’acquisizione di prove elettroniche nei procedimenti penali e il regolamento (UE) 2023/1543 (si veda la scheda relativa all’articolo 7 del disegno di legge) del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 luglio 2023, relativo agli ordini europei di produzione e agli ordini europei di conservazione di prove elettroniche nei procedimenti penali e per l’esecuzione di pene detentive a seguito di procedimenti penali si propongono l’obiettivo di rafforzare la lotta alla criminalità e permettere l’utilizzo delle prove raccolte nello spazio Ue anche quando costituite da dati digitali.
La direttiva, che dovrà essere recepita entro il 18 febbraio 2026 (articolo 7), come chiarito nel Considerando n. 2, servirà ad evitare che gli Stati membri cerchino di colmare le lacune esistenti nell’ambito dell’acquisizione di prove elettroniche nei procedimenti penali imponendo obblighi nazionali diversi nei vari Stati perché ciò costituirebbe un ostacolo all’azione penale e anche alla libera prestazione di servizi nel mercato interno. La direttiva, così, contiene norme sulla designazione di stabilimenti designati e sulla nomina di rappresentanti legali di determinati prestatori di servizi che offrono servizi nell’Unione “ai fini della ricezione, dell’ottemperanza e dell’esecuzione di decisioni e ordini emessi dalle autorità competenti degli Stati membri per acquisire prove nei procedimenti penali”, fermo restando la facoltà delle autorità nazionali di rivolgersi ai prestatori di servizi stabiliti sul proprio territorio direttamente (articolo 1). La direttiva si applica ai prestatori di servizi che forniscono:
· comunicazioni elettroniche;
· nomi di dominio Internet e numerazione IP;
· servizi di comunicazione, archiviazione e trattamento.
La direttiva non si applica ai prestatori di servizi che offrono:
· servizi finanziari (ad esempio bancari, creditizi, assicurativi, riassicurativi, pensionistici professionali o personali, titoli, fondi di investimento, servizi di pagamento e consulenza sugli investimenti);
· servizi esclusivamente all’interno del rispettivo Stato membro.
L’articolo 3 stabilisce le regole per individuare gli stabilimenti designati e i rappresentanti legali. Ai sensi del par. 6 dell’articolo 3 i prestatori che offrono i loro servizi nell’Unione devono, entro il 18 agosto 2026, designare o nominare almeno un destinatario, uno stabilimento designato (se hanno sede nell’Unione) o un rappresentante legale (se non vi hanno sede), per garantire che possano ricevere e ottemperare agli ordini loro indirizzati.
L’articolo 4 prevede che gli Stati membri provvedano “affinché ogni prestatore di servizi che è stabilito od offre servizi nel suo territorio notifichi per iscritto all’autorità centrale, designata a norma dell’articolo 6, dello Stato membro in cui il suo stabilimento designato è stabilito o il suo rappresentante legale risiede, i dati di contatto dello stabilimento o del rappresentante legale e ogni eventuale modifica degli stessi”. Spetterà agli Stati individuare le sanzioni applicabili in caso di inottemperanza, che devono essere proporzionate, dissuasive ed effettive (articolo 5) e designare una o più autorità centrali per garantire la corretta applicazione della direttiva (articolo 6).
La Commissione valuterà la direttiva entro il 18 agosto 2029 (articolo 8).
Articolo 6
(Princìpi e criteri direttivi per l’esercizio della delega per il recepimento della direttiva (UE) 2024/884 sui rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche - RAEE)
L’articolo 6 individua i principi e i criteri direttivi specifici da rispettare nell’esercizio della delega per l’attuazione della direttiva (UE) 2024/884 in materia di rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche (RAEE). Viene altresì previsto che i decreti legislativi, emanati sulla base della delega in questione, sono adottati previa acquisizione del parere della Conferenza unificata e non comportano nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.
Il comma 1 dell'articolo in esame prevede che nell’esercizio della delega per l’attuazione della direttiva (UE) 2024/884, il Governo osserva, oltre ai princìpi e criteri direttivi generali di cui all’art. 32 della L. 234/2012, anche i seguenti principi e criteri direttivi specifici:
a) riordinare la disciplina nazionale relativa ai pannelli fotovoltaici a fine vita provenienti dai nuclei domestici e dagli utilizzatori diversi dai nuclei domestici, adeguandola alla direttiva (UE) 2024/884, anche in relazione alle disposizioni sul finanziamento della gestione dei rifiuti originati da pannelli fotovoltaici, di cui all’art. 1, punti 2) e 3), della direttiva medesima;
b) adeguare la disciplina relativa al finanziamento della gestione dei rifiuti originati da AEE (apparecchiature elettriche ed elettroniche) diversi dai pannelli fotovoltaici alle disposizioni di cui all’art. 1, punti 2) e 3), della direttiva (UE) 2024/884, anche in considerazione di quanto disposto dall’art. 14, paragrafo 2, della direttiva quadro sui rifiuti (2008/98/CE);
c) adeguare la normativa nazionale a quanto previsto dall’art. 1, punti 4) e 5), della direttiva (UE) 2024/884, relativi agli obblighi di informazione diretta sia agli utilizzatori, sia agli operatori degli impianti di trattamento;
d) prevedere l’obbligo, nell’ambito della responsabilità estesa del produttore, di sviluppare attività di comunicazione e di informazione sulle modalità di raccolta dei RAEE, originati dai nuclei domestici, al fine di garantire che i costi di gestione non siano trasferiti in misura sproporzionata sui consumatori o sui cittadini.
Si fa notare che i principi e i criteri di delega previsti dalle lettere a)-c) sono sostanzialmente già impliciti nel conferimento della delega, in quanto si limitano a richiedere l’adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni recate dalla direttiva (UE) 2024/884 (v. infra).
Il comma 2 prevede che i decreti legislativi, emanati sulla base della delega prevista dal comma precedente, sono adottati previa acquisizione del parere della Conferenza unificata.
Il comma 3 reca l’usuale clausola di invarianza finanziaria, prevedendo che dall'attuazione del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, nonché che le amministrazioni interessate provvedono all'adempimento dei compiti derivanti dall'esercizio della delega in questione con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.
La ratio delle modifiche operate dalla direttiva (UE) 2024/884
Nella relazione sulla direttiva in questione, trasmessa al Parlamento (Doc. NN 15, n. 72) nell’ambito della fase ascendente (quindi sul testo della proposta COM(2023)63) – e i cui contenuti sono sostanzialmente riprodotti nella relazione illustrativa della legge in esame – viene evidenziato che il sistema di gestione dei RAEE è disciplinato dalla direttiva 2012/19/UE (direttiva RAEE), entrata in vigore il 13 agosto 2012, e che tale direttiva ha mantenuto il campo di applicazione della precedente direttiva sui RAEE (2002/96/CE) “per un periodo transitorio, sino al 14 agosto 2018 e in questo campo vi ha incluso i pannelli fotovoltaici. Successivamente a tale data sono state incluse numerose altre apparecchiature elettriche ed elettroniche (AEE) nel campo di applicazione della direttiva [6] . I soggetti responsabili della gestione dei RAEE sono i produttori di AEE, in applicazione dei principi cardine della politica ambientale dell’Unione Europea (‘chi inquina paga’ e ‘responsabilità estesa del produttore’). Detti soggetti sono tenuti a finanziare la raccolta, il trattamento, il recupero e lo smaltimento dei RAEE con modalità differenziate in base alla loro provenienza (domestico/professionale). Ai sensi degli articoli 12 e 13 della direttiva RAEE, i produttori di AEE sono responsabili anche del finanziamento dei cosiddetti RAEE storici ovvero di quelli immessi sul mercato prima del 13 agosto 2005. Nelle disposizioni dei suddetti artt. 12 e 13 rientrano anche i RAEE da pannelli fotovoltaici immessi sul mercato nel periodo tra il 13 agosto 2005 e il 13 agosto 2012”.
La stessa relazione ricorda che la direttiva in questione si è resa necessaria a seguito della sentenza della Corte di giustizia dell'UE del 25 gennaio 2022 (causa C-181/201) “che ha evidenziato la violazione del principio di certezza del diritto dovuta alla retroattività dell’art. 13, paragrafo 1, della direttiva 2012/19/UE, negli anni in cui (per la precisione dal 13 agosto 2005 al 13 agosto 2012, n.d.r.) le modalità di finanziamento per la gestione dei rifiuti di pannelli fotovoltaici professionali erano state stabilite (anche, n.d.r.) dall’art. 14 della direttiva 2008/98/CE (direttiva quadro rifiuti)”.
L’art. 14 della direttiva 2008/98/CE individua i soggetti che, in applicazione del principio ‘chi inquina paga’, devono sostenere i costi della gestione dei rifiuti (quindi anche di quelli derivanti da pannelli fotovoltaici, essendo gli stessi disciplinati dalla direttiva rifiuti nel periodo antecedente l’emanazione della direttiva 2012/19/UE).
La relazione ricorda inoltre che “dalle considerazioni espresse dalla Corte nella suddetta sentenza, la Commissione ha rilevato implicazioni anche in merito all’articolo 12 della direttiva RAEE nella parte che riguarda il finanziamento dei rifiuti di pannelli fotovoltaici domestici immessi sul mercato anteriormente al 2012, nonché effetti sulle altre apparecchiature entrate nel ‘campo di applicazione aperto’ dal 15 agosto 2018”.
Le modifiche recate dalla direttiva (UE) 2024/884
La relazione succitata evidenzia che “la proposta di modifica della direttiva RAEE riguarda, pertanto, sia l’art. 12 che l’art 13 al fine di specificare, in riferimento alla provenienza del rifiuto rispettivamente domestica e professionale, il momento a partire dal quale i produttori debbano finanziare la gestione dei rifiuti di pannelli fotovoltaici e dei RAEE derivanti da AEE entrate nell'ambito di applicazione della direttiva dal 15 agosto 2018. In base alle modifiche proposte i produttori hanno l’obbligo di finanziare la gestione dei rifiuti di pannelli fotovoltaici derivanti dai pannelli immessi sul mercato a partire dal 13 agosto 2012 e quella dei RAEE generati dalle AAE immesse sul mercato a partire dal 15 agosto 2018”.
Oltre alle disposizioni di modifica agli articoli 12 e 13 della direttiva 2012/19/UE, la direttiva 2024/884 reca modifiche anche all’articolo 14 (sull’informazione agli utilizzatori) e all’articolo 15 (relativo all’informazione degli impianti di trattamento).
In particolare, l’articolo 15 viene integrato con l’aggiunta di una disposizione volta a stabilire che:
- per i pannelli fotovoltaici, l'obbligo di apporvi un marchio che ne indica l’immissione sul mercato successivamente al 13 agosto 2005, si applica solo ai pannelli immessi sul mercato a partire dal 13 agosto 2012;
- per le AEE incluse nel campo di applicazione della direttiva RAEE solo a decorrere dal 15 agosto 2018, l'obbligo di apporvi un marchio che ne indica l’immissione sul mercato successivamente al 13 agosto 2005, si applica solo a quelle immesse sul mercato a partire dal 15 agosto 2018.
Termine di recepimento della direttiva (UE) 2024/884
In base al disposto dell’art. 2 della direttiva in esame, gli Stati membri mettono in vigore le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla presente direttiva entro il 9 ottobre 2025.
La normativa nazionale in materia di RAEE
Le disposizioni nazionali di recepimento della direttiva 2012/19/UE sui RAEE sono state emanate con il decreto legislativo 14 marzo 2014, n. 49.
L’articolo 2 di tale decreto ne delimita l’ambito di applicazione stabilendo che la normativa da esso recata si applica:
a) alle AEE rientranti nelle categorie di cui all'Allegato I ed elencate a titolo esemplificativo all'Allegato II (quindi anche ai pannelli fotovoltaici [7] ), dalla data di entrata in vigore del medesimo decreto legislativo (cioè dal 12 aprile 2014 [8] , vale a dire quasi due anni dopo rispetto alla data del 13 agosto 2012 prevista dall’art. 2 della direttiva 2012/19/UE) sino al 14 agosto 2018;
b) a tutte le AEE, come classificate nelle categorie dell'Allegato III ed elencate a titolo esemplificativo nell'Allegato IV dal 15 agosto 2018.
Il d.lgs. 49/2014, rispetto alla direttiva, reca disposizioni specifiche per i pannelli fotovoltaici. In particolare si segnalano:
- l’articolo 4, comma 1, lett. qq), che reca la definizione di 'rifiuti derivanti dai pannelli fotovoltaici', stabilendo che “sono considerati RAEE provenienti dai nuclei domestici i rifiuti originati da pannelli fotovoltaici installati in impianti di potenza nominale inferiore a 10 KW. (…); tutti i rifiuti derivanti da pannelli fotovoltaici installati in impianti di potenza nominale superiore o uguale a 10 KW sono considerati RAEE professionali”;
- l’articolo 24-bis, che reca un’articolata disciplina del finanziamento della gestione dei RAEE da fotovoltaico, al fine di razionalizzare le disposizioni recate a tal fine sia prima del d.lgs. 49/2014 sia prima della direttiva 2012/19/UE. In particolare tale articolo dispone, tra l’altro, che “il finanziamento della gestione dei RAEE derivanti da AEE di fotovoltaico è a carico dei produttori indipendentemente dalla data di immissione sul mercato di dette apparecchiature e dall'origine domestica o professionale, fatti salvi gli strumenti di garanzia finanziaria attivati dai produttori per la gestione del fine vita dei pannelli fotovoltaici incentivati posti in essere prima della entrata in vigore del presente decreto”.
Articolo 7
(Delega al Governo per l’adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) 2023/1543 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 luglio 2023, relativo agli ordini europei di produzione e agli ordini europei di conservazione di prove elettroniche nei procedimenti penali e per l’esecuzione di pene detentive a seguito di procedimenti penali)
L’articolo 7 delega il Governo ad adottare uno o più decreti legislativi, al fine di adeguare la normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) 2023/1543, relativo agli ordini europei di produzione e di conservazione delle prove elettroniche nei procedimenti penali.
Nello specifico, il comma 1 dell’articolo 7 reca una delega al Governo, da esercitare entro quattro mesi dalla data di entrata in vigore del provvedimento in esame, acquisito il parere del Garante per la protezione dei dati personali, al fine di adeguare la normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) 2023/1543 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 luglio 2023.
Il regolamento (UE) 2023/1543 relativo agli ordini europei di produzione e agli ordini europei di conservazione di prove elettroniche nei procedimenti penali e per l'esecuzione di pene detentive a seguito di procedimenti penali
L’obiettivo principale del regolamento (UE) 2023/1543 consiste nell’implementazione di un sistema che permetta alle autorità giudiziarie di accedere in maniera celere alle prove elettroniche, elemento cruciale per il contrasto delle gravi forme di criminalità e terrorismo. Uno degli aspetti più salienti del quadro normativo proposto è costituito dalla possibilità offerta all'autorità richiedente di accedere direttamente alle prove, contattando il fornitore di servizi indipendentemente dalla sua ubicazione fisica o dal luogo di conservazione dei dati, senza la necessità di intermediazione da parte dell'autorità giudiziaria del paese di esecuzione, determinando quindi un significativo accorciamento dei tempi di acquisizione delle prove medesime.
Ai sensi di quanto previsto dall’articolo 3 del regolamento, per prove elettroniche si intendono “i dati relativi agli abbonati, i dati sul traffico o i dati relativi al contenuto conservati in formato elettronico da o per conto di un prestatore di servizi al momento della ricezione, di un certificato di ordine europeo di produzione (EPOC) o di un certificato di ordine europeo di conservazione (EPOC-PR)”. In altri termini, per prove elettroniche si intendono l’insieme dei dati digitali utilizzati per indagare e perseguire i reati. Tali prove includono: e-mail; SMS o contenuti provenienti dalle applicazioni di messaggistica; contenuti audiovisivi; informazioni sull’account online degli utenti. Questi dati possono essere utilizzati per identificare una persona od ottenere maggiori informazioni sulle sue attività.
La definizione di prove elettroniche, come delineata dalla normativa richiamata, esclude esplicitamente l'intercettazione di conversazioni, sia telefoniche che telematiche, un principio che trova esplicita conferma nel Considerando 19 del regolamento stesso. Il Considerando 19 precisa, infatti, che il regolamento riguarda unicamente l'acquisizione dei dati già conservati dai prestatori di servizi al momento della ricezione di un ordine europeo di produzione o di conservazione. Importante notare che il regolamento non impone un obbligo generale di conservazione dei dati ai prestatori di servizi, né intende promuovere una conservazione generalizzata e indifferenziata dei dati. Inoltre, non autorizza l'intercettazione di dati né l'ottenimento di dati che sono conservati successivamente alla ricezione di un ordine europeo.
L’articolo 3 definisce prestatori di servizi quei soggetti che forniscono servizi di comunicazione elettronica, servizi di domini internet e di numerazioni IP, altri servizi della società dell’informazione che consentono ai loro utenti di comunicare fra loro o rendono possibile la conservazione o il trattamento di dati per conto degli utenti ai quali è fornito il servizio.
Dal punto di vista dell’ambito di applicazione del regolamento in oggetto, dalla lettura combinata del Considerando 26 e del Considerando 21 si evince che esso si applicherà a tutti i prestatori che offrono servizi nell’Unione europea, a prescindere dall’ubicazione della loro sede o stabilimento. Ne deriva, secondo quanto previsto dall’articolo 7, che qualora un prestatore di servizi operante all’interno dell’Unione europea non abbia uno stabilimento nella medesima, dovrà nominare un rappresentante legale per assolvere agli obblighi previsti dal regolamento.
Le tipologie di ordini che l'autorità di emissione può emettere secondo il regolamento sono due:
- ordini di produzione di prove elettroniche (EPOC);
- ordini di conservazione di prove elettroniche (EPOC-PR).
Gli ordini di produzione (EPOC) abilitano le autorità giudiziarie di uno Stato membro a richiedere direttamente l'accesso alle prove elettroniche presso un prestatore di servizi situato o rappresentato in un altro Stato membro. Il fornitore di servizi è tenuto a rispondere entro un massimo di 10 giorni dalla notifica dell'ordine o, in situazioni di emergenza, entro 8 ore.
Gli ordini di conservazione (EPOC-PR), d'altro canto, mirano a prevenire che il prestatore di servizi elimini le prove elettroniche mentre è in corso la gestione dell'ordine di produzione, per un periodo massimo di 60 giorni, prorogabili di ulteriori 30 giorni. Le prove conservate in virtù di tale ordine possono essere acquisite in seguito solo tramite un ordine di produzione.
Le condizioni per l’emissione degli ordini di produzione e di conservazione sono stabilite, rispettivamente, dagli articoli 5 e 6 del regolamento che prevedono un regime differenziato a seconda della tipologia di reato da perseguire e in ogni caso stabilendo che gli ordini possono essere messi solo se un ordine dello stesso tipo avrebbe potuto essere emesso alle stesse condizioni in un caso interno analogo.
L’articolo 4 del regolamento prevede che gli ordini di produzione e di conservazione siano emessi dalle autorità di emissione, ovvero da un organo giurisdizionale, da un magistrato inquirente competente nel caso interessato o da qualsiasi altra autorità competente, che, nel caso di specie, agisca in qualità di autorità inquirente nel procedimento penale e sia competente a disporre l'acquisizione di prove in conformità del diritto nazionale. In tale ultimo caso, l'ordine europeo è convalidato da un giudice, un organo giurisdizionale o un magistrato inquirente nello Stato di emissione.
L'articolo 8, descrive quindi una specifica procedura di notifica per la gestione degli ordini europei di produzione (EPOC) riguardanti dati di traffico e contenuti. Tale procedura prevede una notifica simultanea dell'EPOC sia al prestatore di servizi che all'autorità di esecuzione. Questa procedura "rafforzata", specificatamente delineata per i dati di traffico e i contenuti, sottolinea l'importanza e la sensibilità di tali informazioni e mira a stabilire un regime di accesso più rigoroso rispetto ad altre tipologie di dati. In aggiunta, si specifica che la notifica all'autorità di esecuzione ha un effetto sospensivo sugli obblighi del destinatario.
L'articolo 16, nei paragrafi 4 e 5, stabilisce che il prestatore di servizi può rifiutare l'esecuzione degli ordini EPOC ed EPOC-PR nelle seguenti circostanze:
- l'ordine non è stato emesso o convalidato da un'autorità di emissione;
- il destinatario si trova nell'impossibilità materiale di ottemperare a causa di circostanze che non gli possono essere imputate, o a causa di errori manifesti presenti nell'ordine;
- l'ordine non concerne dati conservati dal prestatore di servizi;
- il servizio non rientra nell'ambito di applicazione del regolamento;
- i dati richiesti sono protetti da immunità o privilegi legali concessi secondo il diritto dello Stato di esecuzione, oppure sono regolati da normative che limitano la responsabilità penale e che tutelano la libertà di stampa o la libertà di espressione in altri media, ostacolando così l'esecuzione o l'applicazione dell'ordine;
- in circostanze eccezionali, dalle informazioni contenute nell'ordine emergono motivi validi per supporre che l'esecuzione dell'ordine possa risultare in una violazione evidente di un diritto fondamentale riconosciuto dall'articolo 6 del Trattato sull'Unione Europea e dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea.
L'autorità di esecuzione, dopo aver valutato qualsiasi informazione fornita dal destinatario dell’ordine e aver consultato l'autorità di emissione, decide quindi se procedere o meno con l'esecuzione. Il medesimo articolo disciplina altresì il procedimento di esecuzione “forzata” che l’autorità di emissione richiede all’autorità di esecuzione in caso di inottemperanza del prestatore di servizio.
La competenza in materia di predisposizione dell’apparato sanzionatorio in caso di inadempimento del prestatore di servizi è rimessa, secondo quanto previsto dall’articolo 15, alla competenza degli Stati membri che possono imporre sanzioni pecuniarie pari fino al 2% del fatturato mondiale annuo del prestatore.
L’articolo 17 tratta invece l’istituto del riesame prevedendo che qualora destinatario sia tenuto ad informare le autorità di emissione e di esecuzione qualora ritenga che l’ottemperanza all’ordine europeo di produzione sia in contrasto con un obbligo previsto dal diritto applicabile di un paese terzo.
Dal punto di vista delle garanzie, l’articolo 18 prevede che qualsiasi persona i cui dati sono stati richiesti tramite ordine europeo di produzione ha diritto ad un ricorso effettivo dinanzi ad un organo giurisdizionale dello Stato di emissione.
Il comma 2 stabilisce che, nell’esercizio della delega di cui al comma 1, il Governo osserva, oltre ai principi e criteri direttivi generali di cui all’articolo 32 della legge n. 234 del 2012 (per cui si veda l’articolo 1 del provvedimento in esame, alla cui scheda di lettura si rinvia), i seguenti principi e criteri direttivi specifici:
a) individuare le autorità competenti e le procedure per l’emissione, la convalida e la trasmissione degli ordini di produzione (EPOC) e degli ordini di conservazione (EPOC-PR);
b)
coordinare le disposizioni nazionali alle previsioni del regolamento al fine di consentire agli organi di polizia giudiziaria di emettere ordini europei di produzione in casi di emergenza;
c)
prevedere che il Ministero della giustizia sia responsabile della trasmissione amministrativa dei certificati di ordini europei di conservazione e di produzione;
d) prevedere, in ogni caso, che copia dei certificati sia trasmessa al Procuratore nazionale antimafia se si riferiscono a procedimenti per i delitti di cui all’articolo 51, commi 3-bis e 3-quater del codice di procedura penale, e al Procuratore generale presso la Corte di appello, se si riferiscono ai procedimenti per i delitti di cui all’articolo 407, comma 2, lettera a), del codice di procedura penale;
e) individuare le autorità giudiziarie competenti a ricevere le notifiche nell’ambito della speciale procedura di notifica di cui all’articolo 8 del regolamento;
f) disciplinare, in applicazione dell’articolo 13 del regolamento, le modalità di informazione della persona i cui dati sono richiesti, definendo altresì i casi in cui l’autorità di emissione può ritardare od omettere detta informazione;
g) prevedere sanzioni amministrative efficaci, dissuasive e proporzionate in caso di inadempimento;
h) individuare le procedure e le autorità competenti per l’irrogazione delle sanzioni, prevedendo per i destinatari della sanzione un ricorso giurisdizionale effettivo;
i) individuare le autorità competenti per le procedure di esecuzione dell’ordine, conformemente a quanto previsto dall’articolo 16 del regolamento;
l) individuare l’organo giurisdizionale competente e le procedure per il riesame delle obiezioni motivate dei destinatari degli ordini, secondo quanto previsto dall’articolo 17 del regolamento;
m) prevedere, in conformità all’articolo 18 del regolamento, mezzi di impugnazione effettivi a tutela della persona i cui dati sono stati richiesti;
n) provvedere all’adozione delle misure necessarie a garantire la piena funzionalità del sistema informatico nazionale per lo scambio di certificati e alla creazione dei punti di accesso al sistema informatico decentrato;
o) prevedere quali siano le lingue dell’Unione accettate per la trasmissione degli ordini, conformemente a quanto previsto dall’articolo 27 del regolamento;
p) prevedere che le autorità competenti trasmettano periodicamente al Ministero della giustizia dati ai fini del monitoraggio previsto dall’articolo 28 del regolamento;
q) prevedere la competenza del Ministero della giustizia per l’elaborazione dei dati di monitoraggio a fini statistici;
r) apportare ogni ulteriore opportuna modifica normativa necessaria ad adeguare l’ordinamento nazionale alle previsioni del regolamento.
Infine, il comma 3, infine, autorizza la spesa di euro 2.145.412 per l’anno 2025 e di euro 225.840 annui a decorrere dall’anno 2026 per l’attuazione di quanto previsto dal comma 2, lettera n); mentre il comma 4, fatto salvo quanto previsto dal comma 3, reca una clausola d’invarianza finanziaria.
Articolo 8
(Delega al Governo per l’adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) 2023/2631 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 novembre 2023, sulle obbligazioni verdi europee e sull’informativa volontaria per le obbligazioni commercializzate come obbligazioni ecosostenibili e per le obbligazioni legate alla sostenibilità)
L’articolo 8 delega il Governo ad adeguare la normativa nazionale al regolamento (UE) 2023/2631 in materia di obbligazioni verdi nazionali, indicando una serie di princìpi e criteri direttivi specifici che dovranno essere seguiti, insieme a quelli generici, nell’esercizio della delega.
Nel dettaglio, il comma 1 delega il Governo ad adottare, entro otto mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi per adeguare la normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) 2023/2631 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 novembre 2023 sulle obbligazioni verdi europee e sull’informativa volontaria per le obbligazioni commercializzate come obbligazioni ecosostenibili e per le obbligazioni legate alla sostenibilità.
Come specificato dal Governo nella relazione illustrativa, le obbligazioni verdi europee (c.d. green bond) rivestono un ruolo di rilevanza nel sistema di finanziamento degli investimenti utili alla transizione verso un’economia a basse emissioni e, in particolare, di quelli in materia di tecnologie e infrastrutture di trasporto e ricerca ecosostenibili, nonché di efficienza energetica. Cionondimeno, il fatto che le iniziative esistenti a favore delle obbligazioni verdi non contengano comuni definizioni di attività economiche ecosostenibili ha finora impedito agli investitori di individuare, con facilità e certezza, obbligazioni verdi di qualità, per finanziare i progetti che contribuiscono al raggiungimento degli obiettivi ambientali stabiliti dall’accordo di Parigi.
Sulla base di tali premesse, il regolamento (UE) 2023/2631 ha previsto l’introduzione di uno standard a livello unionale, in applicazione del quale diventerà possibile garantire che i fondi raccolti tramite le obbligazioni verdi vengano assegnati a progetti coerenti con la Tassonomia e, quindi, realmente sostenibili. L’effettività di tale sistema, finalizzato alla tutela degli investitori e all’integrità del mercato, verrà assicurata dalla previsione sia di un dettagliato sistema di reporting, sia di un’architettura di vigilanza da effettuarsi non solo sugli emittenti di green bond, ma anche sui revisori esterni chiamati a certificare la conformità dei prodotti allo standard. Per quanto attiene al loro impatto sull’ordinamento nazionale, le disposizioni del regolamento comporteranno l’adeguamento della normativa primaria (in primis, del testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria di cui al decreto legislativo n. 58 del 1998) e di quella secondaria (si veda il seguente riquadro per una sintetica illustrazione dei contenuti del regolamento).
Il Regolamento (UE) 2023/2631 del Parlamento europeo e del Consiglio relativo alle obbligazioni verdi europee e alle informazioni facoltative per le obbligazioni commercializzate come sostenibili dal punto di vista ambientale e per le obbligazioni legate alla sostenibilità ha lo scopo di regolamentare l'uso del nome “Obbligazione verde europea” (European Green Bond) o “EuGB” per le obbligazioni ecosostenibili.
Il regolamento stabilisce requisiti uniformi per gli emittenti di obbligazioni che desiderano utilizzare la denominazione di Obbligazione verde europea o EuGB per le loro obbligazioni sostenibili dal punto di vista ambientale, allineati alla tassonomia UE per le attività sostenibili e rese disponibili agli investitori a livello globale.
Tale normativa si basa sul presupposto che le obbligazioni sostenibili dal punto di vista ambientale sono uno dei principali strumenti per il finanziamento di investimenti legati alle tecnologie verdi, all'efficienza energetica e all'uso efficiente delle risorse, nonché alle infrastrutture di trasporto sostenibile e alle infrastrutture di ricerca.
Il regolamento stabilisce un sistema di registrazione e un quadro di vigilanza per i revisori esterni delle obbligazioni verdi europee e prevede alcuni obblighi di comunicazione volontaria per altre obbligazioni sostenibili dal punto di vista ambientale e legate alla sostenibilità emesse nell'UE.
Il nuovo standard intende favorire la coerenza e la comparabilità nel mercato dei obbligazioni verdi europee, a vantaggio sia degli emittenti che degli investitori di obbligazioni verdi.
Requisiti di trasparenza e revisione esterna
Prima di emettere obbligazioni verdi europee, gli emittenti completeranno la scheda informativa EuGB di cui all'Allegato I del Regolamento e si assicureranno che la scheda EuGB compilata sia stata sottoposta a una revisione pre-emissione da parte di un revisore esterno con parere positivo.
Per ogni periodo di 12 mesi fino alla data di piena allocazione dei proventi delle loro obbligazioni verdi europee e, se del caso, fino al completamento del piano CapEx (il piano CapEx, previsto dall’articolo 7 del regolamento, specifica un termine, anteriore alla scadenza delle obbligazioni verdi europee, entro il quale tutte le spese in conto capitale e operative finanziate dalle obbligazioni verdi europee devono essere allineate alla tassonomia), gli emittenti di obbligazioni verdi europee redigeranno una relazione sull'allocazione delle obbligazioni verdi europee utilizzando il modello di cui all'Allegato II del Regolamento.
Gli emittenti di obbligazioni verdi europee saranno tenuti a redigere, dopo l'assegnazione completa dei proventi e almeno una volta durante la vita delle obbligazioni, una relazione d'impatto EuGB sull'impatto ambientale dell'uso dei proventi di tali obbligazioni.
Per poter utilizzare la denominazione di obbligazioni verdi europee o EuGB, l'emittente dovrà pubblicare un prospetto informativo.
Revisori esterni
Per migliorare la trasparenza della metodologia dei revisori esterni, per garantire che i revisori esterni abbiano qualifiche, esperienza professionale e indipendenza adeguate e per ridurre il rischio di potenziali conflitti di interesse, e quindi per assicurare un'adeguata protezione degli investitori, gli emittenti di obbligazioni verdi europee si avvarranno esclusivamente di revisori esterni, anche di Paesi terzi, che siano stati registrati e siano soggetti a una vigilanza continua da parte della Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati (ESMA). Per garantire la loro indipendenza e salvaguardare elevati standard di trasparenza e di condotta etica, i revisori esterni si conformeranno ai requisiti organizzativi e alle regole di condotta per attenuare ed evitare situazioni di conflitto di interesse effettivo o potenziale o per gestire adeguatamente tali conflitti quando sono inevitabili.
Flessibilità nell'utilizzo dei proventi delle obbligazioni verdi europee
In base al regolamento, tutti i proventi delle obbligazioni verdi europee devono essere investiti in attività economiche allineate alla tassonomia dell'UE, a condizione che i settori interessati siano già coperti da tale tassonomia. Per i settori non ancora coperti dalla tassonomia UE e per alcune attività molto specifiche è prevista una franchigia del 15%.
Quando l'emittente destina i proventi di un'obbligazione verde europea, deve descrivere nella scheda informativa dell'obbligazione verde europea le attività interessate e la percentuale stimata dei proventi destinata a finanziare tali attività in totale e anche per singola attività.
Dovrebbe inoltre garantire che tali attività non causino danni significativi a nessuno degli obiettivi ambientali e che siano svolte nel rispetto delle garanzie minime. Tale dimostrazione dovrebbe essere inclusa nella scheda dell'obbligazione verde europea e dovrebbe essere convalidata da un revisore esterno attraverso un parere positivo nella revisione pre-emissione.
La vigilanza
Per quanto riguarda la vigilanza, le autorità nazionali competenti designate dello Stato membro d'origine (in conformità al Regolamento sul prospetto) garantiranno che gli emittenti rispettino gli obblighi previsti dal nuovo standard.
Riesame
Entro il 21 dicembre 2028 e successivamente ogni tre anni, la Commissione, previa consultazione dell'ESMA e della piattaforma sulla finanza sostenibile istituita dal regolamento (UE) 2020/852, presenterà al Parlamento europeo e al Consiglio una relazione sull'applicazione del presente regolamento.
Tale relazione valuterà, tra l'altro: l'adozione dello standard delle obbligazioni verdi europee europei e la sua quota di mercato, sia nell'Unione che a livello globale, in particolare da parte delle piccole e medie imprese; nonché l'impatto del presente regolamento sulla transizione verso un'economia sostenibile, sul divario degli investimenti necessari per raggiungere gli obiettivi climatici dell'Unione e sul riorientamento dei flussi di capitale privato verso investimenti sostenibili.
Il regolamento è in vigore dal 20 dicembre 2023 e si applica dal 21 dicembre 2024 (ad eccezione degli articoli 20, 21, paragrafo 4, 23, paragrafi 6 e 7, 24, paragrafo 2, 26, paragrafo 3, 27, paragrafo 2, 28, paragrafo 3, 29, paragrafo 4, 30, paragrafo 3, 31, paragrafo 4, 33, paragrafo 7, 42, paragrafo 9, 46, paragrafi 6 e 7, 49, paragrafi 1, 2 e 3, 63, paragrafo 10, 66, paragrafo 3, 68, 69 e 70 che sono divenuti applicabili il 20 dicembre 2023 e degli articoli 40, 42, paragrafi da 1 a 8, e 43 che lo diventeranno a decorrere dal 21 giugno 2026).
In chiave sistematica, il regolamento in esame si inserisce nel solco tracciato dal legislatore dell’Unione europea con la “Nuova strategia in materia di finanza sostenibile” e integra la disciplina di trasparenza stabilita con il regolamento (UE) 2020/852 sulla Tassonomia (rispetto a cui viene attuato un necessario allineamento) e la direttiva (UE) 2022/2464 (Corporate Sustainability Reporting Directive - CSRD).
Il comma 2 stabilisce la seguente serie di princìpi e criteri direttivi specifici che il Governo è tenuto a osservare in aggiunta ai princìpi e criteri direttivi generali di cui all’articolo 32 della legge n. 234 del 2012:
a) apportare alla normativa vigente e, in particolare, al testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria (TUF), di cui al decreto legislativo n. 58 del 1998, le modifiche e integrazioni necessarie ad assicurare la corretta e integrale applicazione del regolamento (UE) 2023/2631 e delle pertinenti norme tecniche di regolamentazione e di attuazione, nonché a garantire il coordinamento con le disposizioni settoriali vigenti, comprese quelle relative all’offerta al pubblico di sottoscrizione e di vendita di prodotti finanziari e alle operazioni di cartolarizzazione;
b) attribuire alla Commissione nazionale per le società e la borsa (CONSOB), quale autorità nazionale competente ai sensi dell’articolo 44, paragrafi 1 e 2, del regolamento (UE) 2023/2631, i poteri di vigilanza, di indagine e cautelari previsti dagli articoli 18, paragrafi 4, 45 e 48, del citato regolamento, tenuto conto dei poteri di cui essa già dispone in base alla legislazione vigente;
c) con riferimento alla disciplina delle sanzioni previste dal regolamento (UE) 2023/2631:
1) attribuire alla CONSOB il potere di irrogare le sanzioni e di imporre le altre misure amministrative previste dall’articolo 49 del regolamento (UE) 2023/2631 per le violazioni di cui al paragrafo 1 del medesimo articolo;
2) stabilire l’importo delle sanzioni pecuniarie di cui all’articolo 49 del regolamento (UE) 2023/2631 prevedendo, fermi restando i massimi edittali ivi indicati, minimi edittali comunque non inferiori ad euro 5.000;
3) coordinare, nel rispetto di quanto stabilito dal regolamento (UE) 2023/2631, le disposizioni sanzionatorie introdotte in attuazione del medesimo regolamento con quelle nazionali vigenti;
d) disciplinare forme di coordinamento e di collaborazione, anche mediante lo scambio di informazioni, tra la CONSOB, la Banca d’Italia, l’Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni (IVASS) e la Commissione di vigilanza sui fondi pensione (COVIP), ai fini dello svolgimento dei rispettivi compiti istituzionali, anche ai sensi degli articoli 20 e 21 della legge n. 262 del 2005;
Il citato articolo 20 della legge n. 262 del 2005 stabilisce che la Banca d'Italia, la CONSOB, l'Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni private e di interesse collettivo (ISVAP), la Commissione di vigilanza sui fondi pensione (COVIP) e l'Autorità garante della concorrenza e del mercato, nel rispetto della reciproca indipendenza, individuano forme di coordinamento (prevedendo almeno una riunione all’anno) per l'esercizio delle competenze ad essi attribuite anche attraverso protocolli d'intesa o l'istituzione, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, di comitati di coordinamento.
Il citato articolo 21 della medesima legge prevede che la Banca d'Italia, la CONSOB, l'ISVAP, la COVIP e l'Autorità garante della concorrenza e del mercato collaborano tra loro, anche mediante scambio di informazioni, per agevolare l'esercizio delle rispettive funzioni. Le Autorità non possono reciprocamente opporsi il segreto d'ufficio. Tutti i dati, le informazioni e i documenti comunque comunicati da una ad altra Autorità, anche attraverso l'inserimento in archivi gestiti congiuntamente, restano sottoposti al segreto d'ufficio secondo le disposizioni previste dalla legge per l'Autorità che li ha prodotti o acquisiti per prima.
e) prevedere il ricorso alla disciplina secondaria adottata dalla CONSOB, ove opportuno e nel rispetto delle competenze ad essa spettanti, nell’ambito e per le finalità previste dal regolamento (UE) 2023/2631 e dalla legislazione dell’Unione europea attuativa del medesimo regolamento, anche al fine di stabilire le modalità procedurali della notifica da parte dell’emittente, ai sensi dell’articolo 15, paragrafo 4, del regolamento (UE) 2023/2631.
Il comma 3 reca la clausola di invarianza finanziaria, stabilendo che dall’attuazione del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. Le amministrazioni competenti, infatti, provvedono all’adempimento dei compiti derivanti dall’esercizio della delega di cui al presente articolo con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.
Articolo 9
(Delega al Governo per l’adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) 2023/2859 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2023, che istituisce un punto di accesso unico europeo che fornisce un accesso centralizzato alle informazioni accessibili al pubblico pertinenti per i servizi finanziari, i mercati dei capitali e la sostenibilità, e del regolamento (UE) 2023/2869 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2023, che modifica taluni regolamenti per quanto concerne l’istituzione e il funzionamento del punto di accesso unico europeo, nonché per il recepimento della direttiva (UE) 2023/2864 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2023, che modifica talune direttive per quanto concerne l’istituzione e il funzionamento del punto di accesso unico europeo)
L’articolo 9 delega il Governo ad adeguare la normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) 2023/2859 e del regolamento (UE) 2023/2869, nonché per il recepimento della direttiva (UE) 2023/2864, in materia di punto di accesso unico europeo (European single access point - ESAP), indicando una serie di princìpi e criteri direttivi specifici che dovranno essere seguiti, insieme a quelli generici, nell’esercizio della delega.
Nel dettaglio, il comma 1 delega il Governo ad adottare, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi per adeguare la normativa nazionale alle previsioni contenute nel regolamento (UE) 2023/2859 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2023 (c.d. regolamento istitutivo ESAP), e nel regolamento (UE) 2023/2869 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2023 (c.d. regolamento Omnibus), nonché per il recepimento della direttiva (UE) 2023/2864 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2023 (c.d. direttiva Omnibus).
Come ricordato dal Governo nella relazione illustrativa, il c.d. pacchetto legislativo ESAP, composto dai tre strumenti legislativi sopra citati, è entrato in vigore il 9 gennaio 2024.
Come indicato all’articolo 17 della direttiva Omnibus, gli Stati membri sono tenuti ad adottare e pubblicare entro il 10 gennaio 2026 le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla direttiva medesima, fatta salva la direttiva 2004/109/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 dicembre 2004 (c.d. direttiva Transparency), da adottare e pubblicare prioritariamente entro il 10 luglio 2025.
Il pacchetto legislativo prevede l’istituzione da parte dell’Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati (ESMA) di un punto di accesso unico europeo (ESAP) per le informazioni finanziarie e non finanziarie a livello europeo, realizzando così un’iniziativa cardine del piano d'azione dell'Unione dei mercati dei capitali nel mercato unico europeo.
La disciplina prevede che la piattaforma ESAP entri in funzione a partire dalla metà del 2027.
ESAP ha quale obiettivo principale quello di fornire un accesso a livello UE per le informazioni finanziarie e non finanziarie, principalmente informazioni sulle attività economiche e sui prodotti delle società ed entità previste dall’Allegato della proposta (ossia, in generale e a seconda dei casi, gli emittenti di titoli, le società quotate, i revisori dei conti, i fondi e gestori di fondi, le compagnie di assicurazione, le società, le istituzioni, le CCPs, le imprese di investimento e gli istituti di credito).
Essendo le informazioni essenziali per il processo decisionale da parte degli investitori, l'ESAP intende fornire un accesso efficiente e non discriminatorio alle sopra citate informazioni. Tali informazioni sono inviate dalle società e dagli enti legittimati e raccolte dagli organismi di raccolta su base nazionale, in modo tale da garantire la trasparenza uniforme agli investimenti e contestualmente la riduzione delle asimmetrie informative nel mercato unico europeo. In generale, si tratta prevalentemente delle medesime informazioni già scambiate a livello nazionale secondo diversi obblighi normativi di recepimento di regolamenti e direttive europee. In tal modo ESAP agisce sulla creazione di una solida ed efficace infrastruttura europea, ma non introduce ulteriori e rilevanti obblighi informativi rispetto a quelli già esistenti.
La normativa ESAP intende, altresì, contribuire a integrare maggiormente i servizi finanziari e i mercati dei capitali nel mercato unico, oltre a promuovere lo sviluppo di mercati dei capitali di minori dimensioni, conferendo loro maggiore visibilità e opportunità di allocazione degli investimenti.
Inoltre, la disciplina ESAP intende facilitare l’accesso al capitale da parte delle società non quotate, comprese le PMI, le quali possono rendere disponibili altre informazioni addizionali su base volontaria.
Per quanto attiene al loro impatto sull’ordinamento nazionale, le disposizioni della direttiva e, in generale, del pacchetto legislativo, comporteranno l’adeguamento della normativa primaria (in via prevalente, del testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria di cui al decreto legislativo n. 58 del 1998 e, in misura minore, del testo unico bancario di cui al decreto legislativo n. 385 del 1993, e del codice delle assicurazioni private di cui al decreto legislativo n. 209 del 2005), e della relativa normativa secondaria.
Il Regolamento (UE) 2023/2859 del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un punto di accesso unico europeo che fornisce un accesso centralizzato alle informazioni disponibili al pubblico in materia di servizi finanziari, mercati dei capitali e sostenibilità ha lo scopo di contribuire all'integrazione dei servizi finanziari e dei mercati dei capitali dell'Unione fornendo un facile accesso centralizzato alle informazioni pubbliche sulle entità e sui loro prodotti.
Nel primo considerando del regolamento si sostiene che un accesso facile e strutturato ai dati è importante per consentire ai decisori, agli investitori professionali e al dettaglio, alle organizzazioni non governative, alle organizzazioni della società civile, alle organizzazioni sociali e ambientali, nonché ad altri soggetti interessati dell'economia e della società, di prendere decisioni di investimento solide, informate e responsabili dal punto di vista ambientale e sociale, al servizio del funzionamento efficiente del mercato. Il punto di accesso unico europeo (European single access point - ESAP).
Questo regolamento stabilisce che entro il 10 luglio 2027, l'Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati (European Securities and Markets Authority - ESMA) istituirà e gestirà un ESAP, una piattaforma che renderà più facile per gli investitori accedere alle informazioni pubbliche finanziarie e non finanziarie sulle società e sui prodotti di investimento dell'UE. Saranno escluse le informazioni promozionali. L'ESAP offrirà un accesso gratuito, facile da usare, centralizzato e digitale alle informazioni finanziarie e sulla sostenibilità rese pubbliche dalle aziende europee, comprese le piccole imprese. Ciò faciliterà il processo decisionale di un'ampia gamma di investitori, compresi quelli al dettaglio. L'ESAP non impone alcun nuovo obbligo di divulgazione alle aziende europee. Le informazioni disponibili saranno già pubbliche ai sensi delle direttive e dei regolamenti UE in materia.
Invio volontario di informazioni
A partire dal 10 gennaio 2030, un soggetto può presentare le suddette informazioni all'organismo di raccolta dello Stato membro in cui il soggetto ha la sede legale, al fine di rendere tali informazioni accessibili su ESAP. Ogni Stato membro dovrebbe designare almeno un organismo di raccolta per la raccolta delle informazioni presentate su base volontaria e notificarlo all'ESMA.
Compiti degli organismi di raccolta e responsabilità degli enti
Gli organismi di raccolta dovrebbero:
(i) memorizzare le informazioni inviate dagli enti o generate dagli stessi organismi di raccolta e, se del caso, affidarsi alle procedure e alle infrastrutture esistenti per la memorizzazione delle informazioni;
(ii) verificare che le informazioni siano state inviate utilizzando un formato estraibile.
Le entità devono essere responsabili della completezza e dell'accuratezza delle informazioni nella lingua in cui vengono presentate, nonché dei relativi metadati di accompagnamento che inviano agli organismi di raccolta.
Funzionalità di ESAP
L'ESMA dovrebbe garantire che l'ESAP abbia almeno le seguenti funzionalità:
? un portale web con un'interfaccia facile da usare, che tenga conto delle esigenze di accesso delle persone con disabilità, per fornire accesso alle informazioni sull'ESAP in tutte le lingue ufficiali dell'Unione;
? un’unica interfaccia per programmi applicativi (application programming interface – API) che consente di accedere facilmente alle informazioni su ESAP;
? una funzione di ricerca in tutte le lingue ufficiali dell'Unione;
? un visualizzatore di informazioni;
? un servizio di traduzione automatica delle informazioni recuperate;
? un servizio di download, anche per scaricare grandi quantità di dati;
? un servizio di notifica che informa gli utenti di ogni nuova informazione su ESAP;
? la presentazione delle informazioni presentate su base volontaria in modo tale da poterle distinguere chiaramente da quelle presentate su base obbligatoria.
Sicurezza informatica
L'ESMA dovrebbe mettere in atto una politica di sicurezza informatica efficace e proporzionata per l'ESAP e garantire livelli adeguati di autenticità, disponibilità, integrità e non ripudio delle informazioni rese accessibili sull'ESAP e della protezione dei dati personali. L'ESMA può effettuare revisioni periodiche della politica di sicurezza informatica e della situazione della sicurezza informatica dell'ESAP alla luce dell'evoluzione delle tendenze internazionali e dell'Unione in materia di sicurezza informatica e degli ultimi sviluppi.
Uso e riutilizzo delle informazioni accessibili su ESAP
Né l'ESMA, né gli organismi di raccolta dovrebbero assumersi alcuna responsabilità per l'accesso, l'uso o il riutilizzo delle informazioni presentate dai soggetti agli organismi di raccolta e rese accessibili su ESAP. L'ESMA dovrebbe garantire l'uso e il riutilizzo degli ESAP, cioè che l’accesso alle informazioni in relazione ai servizi finanziari, ai mercati dei capitali e alla sostenibilità informazioni accessibili su ESAP non siano soggetti a condizioni, a meno che tali condizioni non siano oggettive e non discriminatorie e siano giustificate da un obiettivo di interesse pubblico.
I dati personali riutilizzati non devono essere conservati più a lungo del necessario e in ogni caso per non più di cinque anni, salvo diversa indicazione. L'ESMA, in stretta collaborazione con l’Autorità bancaria europea (European Banking Authority – EBA) e l'Autorità europea delle assicurazioni e delle pensioni aziendali o professionali (European Insurance and Occupational Pensions Authority – EIOPA), dovrebbe monitorare il funzionamento dell'ESAP e presentare al Parlamento europeo e al Consiglio una relazione annuale sul funzionamento dell'ESAP.
Il Regolamento (UE) 2023/2859 entrerà in vigore il 16 dicembre 2024.
Il Regolamento (UE) 2023/2869 del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica alcuni regolamenti relativi all'istituzione e al funzionamento del punto di accesso unico europeo ha lo scopo di armonizzare i requisiti di divulgazione delle informazioni pubbliche che dovrebbero essere accessibili attraverso il Punto di accesso unico europeo (ESAP).
In estrema sintesi, per consentire all'ESAP di operare, il presente regolamento modifica una serie di regolamenti nel campo dei servizi finanziari, dei mercati dei capitali e della sostenibilità. Sono state apportate modifiche ai regolamenti in questione, in particolare per quanto riguarda le date in cui le informazioni ESAP devono essere rese disponibili (a partire dal 10 luglio 2026, dal 10 gennaio 2028 o dal 10 gennaio 2030, a seconda dei casi, dopo la data di entrata in vigore del regolamento di modifica). Le modifiche specificano anche i requisiti che le informazioni devono soddisfare.
Il Regolamento (UE) 2023/2869 è in vigore dal 9 gennaio 2024.
La Direttiva (UE) 2023/2864 del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica alcune direttive per quanto riguarda l'istituzione e il funzionamento del punto di accesso unico europeo ha lo scopo di armonizzare i requisiti di divulgazione delle informazioni pubbliche che dovrebbero essere accessibili attraverso il Punto di accesso unico europeo (ESAP).
In estrema sintesi, per consentire il funzionamento dell'ESAP, questa direttiva modifica diverse direttive nel campo dei servizi finanziari, dei mercati dei capitali e della sostenibilità, in particolare per quanto riguarda le date entro le quali le informazioni ESAP devono essere rese disponibili (a partire dal 10 luglio 2026, 10 gennaio 2028 o 10 gennaio 2030, a seconda dei casi, dopo la data di entrata in vigore della direttiva di modifica). Le modifiche specificano anche i requisiti che le informazioni devono soddisfare.
La direttiva è in vigore dal 9 gennaio 2024. Il termine per il recepimento della stessa da parte degli Stati membri è posto al 10 gennaio 2026, ovvero al 10 luglio 2025 per le modifiche poste dall’articolo 3 della direttiva.
Il comma 2 stabilisce la seguente serie di princìpi e criteri direttivi specifici che il Governo è tenuto a osservare in aggiunta ai princìpi e criteri direttivi generali di cui all’articolo 32 della legge n. 234 del 2012:
f) apportare alla normativa vigente e, in particolare, al testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria (TUF), di cui al decreto legislativo n. 58 del 1998, le modifiche e integrazioni necessarie ad assicurare la corretta e integrale applicazione della direttiva (UE) 2023/2864 e l’attuazione del regolamento (UE) 2023/2859 e del regolamento (UE) 2023/2869, e delle pertinenti norme tecniche di regolamentazione e di attuazione, nonché a garantire il coordinamento con le disposizioni vigenti per i settori interessati dalla normativa da attuare;
g) designare gli organismi di raccolta, ai sensi dell’articolo 2 del regolamento (UE) 2023/2859, per lo svolgimento dei compiti previsti dagli articoli 3 e 5 del medesimo regolamento e dalle discipline dell’Unione europea richiamate dalla direttiva (UE) 2023/2864 e dal regolamento (UE) 2023/2869, tenendo conto delle funzioni attualmente spettanti alle diverse autorità competenti nei settori interessati e assicurare che gli stessi organismi dispongano dei poteri e degli strumenti necessari a garantire il rispetto delle disposizioni europee di cui al presente articolo;
h) esercitare, ove ritenuto opportuno, l’opzione normativa in materia di formato elettronico dei dati di cui all’articolo 5, paragrafo 9, del regolamento (UE) 2023/2859, tenendo conto delle caratteristiche e peculiarità del contesto nazionale di riferimento, dei benefici e degli oneri sottesi, della necessità di garantire la competitività del quadro normativo nazionale e la tutela dei destinatari di tali informazioni finanziarie e non finanziarie, nonché l’integrità e la qualità dei servizi offerti dal punto di accesso unico europeo;
i) prevedere, ove opportuno, il ricorso alla disciplina secondaria adottata dalle autorità interessate, secondo le rispettive competenze;
j) disciplinare, ove occorrenti, forme di coordinamento e di collaborazione, anche mediante lo scambio di informazioni, tra il Ministero dell’economia e delle finanze, la CONSOB, la Banca d’Italia, l’IVASS e la COVIP, ai fini dello svolgimento dei rispettivi compiti istituzionali.
Il comma 3 reca la clausola di invarianza finanziaria, stabilendo che dall’attuazione del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. Le amministrazioni competenti, infatti, provvedono all’adempimento dei compiti derivanti dall’esercizio della delega di cui al presente articolo con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.
Articolo 10
(Delega al Governo per l’adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) 2023/2845 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2023, che modifica il regolamento (UE) n. 909/2014, per quanto riguarda la disciplina di regolamento, la prestazione di servizi transfrontalieri, la cooperazione in materia di vigilanza, la prestazione di servizi accessori di tipo bancario e i requisiti per i depositari centrali di titoli di paesi terzi, e che modifica il regolamento (UE) n. 236/2012)
L’ articolo 10 delega il Governo ad adottare uno o più decreti legislativi entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore del provvedimento in esame, per adeguare l’ordinamento nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) 2023/2845, avente ad oggetto la disciplina di regolamento, la prestazione di servizi transfrontalieri, la cooperazione in materia di vigilanza, la prestazione di servizi accessori di tipo bancario e i requisiti per i depositari centrali di titoli di Paesi terzi.
Il comma 1 dell’articolo 10 del conferisce al Governo delega per l’adozione, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore del provvedimento in esame, dei necessari decreti legislativi, per adeguare l’ordinamento nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) 2023/2845 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2023. Il regolamento (UE) 2023/2845 innova i precedenti regolamenti (UE) n. 909/2014 e n. 236/2012.
Il regolamento (UE) n. 2023/2845 e le modifiche introdotte al regolamento (UE) 909/2014
In estrema sintesi, il regolamento (UE) n. 2023/2845, concernente la disciplina di regolamento, la prestazione di servizi transfrontalieri, la cooperazione in materia di vigilanza, la prestazione di servizi accessori di tipo bancario e i requisiti per i depositari centrali di titoli di paesi terzi, in vigore dal 16 gennaio 2024, è composto da 3 articoli. L’articolo 1 introduce modifiche al Regolamento (UE) n. 909/2014 mentre l’articolo 2, introduce un’unica modifica al Regolamento (UE) n. 236/2012.
Gli obiettivi specifici del regolamento per quanto concerne il mercato interno dei servizi CSD (Central securities depository, ossia depositi centrali di titoli), dell'UE sono quelli di ridurre gli oneri amministrativi e i costi di conformità preservando la stabilità finanziaria, ridurre al minimo gli ostacoli al regolamento transfrontaliero, assicurare poteri e informazioni adeguate al monitoraggio dei rischi.
Si ricorda che con depositari centrali in titoli (CSD) si intendono persone giuridiche che gestiscono l'infrastruttura che consente il regolamento titoli, ossia l’esecuzione di operazioni su titoli mediante il trasferimento di contante o titoli, o di entrambi. Il Depositario centrale in titoli (CSD) è la persona giuridica che detiene conti in titoli a nome e per conto dei propri clienti (per lo più istituti finanziari); offre servizi di regolamento e di custodia degli strumenti finanziari; registra le nuove emissioni di titoli nei propri libri contabili.
Il regolamento (UE) 2023/2845 intervenendo nella disciplina di regolamento, nel settore dei servizi bancari, nella cooperazione in materia di vigilanza e nel settore dei sistemi di deposito accentrato - CSD si prefigge lo scopo di garantire ai partecipanti al mercato una migliore prestazione transfrontaliera di servizi nonché una vigilanza più adeguata e bilanciata.
In particolare interviene sul regolamento (UE) n. 909/2014:
- introducendo alcune nuove definizioni nel testo (tra le quali quella di partecipazione qualificata e di regolamento netto differito);
- attribuendo all’ESMA la possibilità di elaborare progetti di norme tecniche di regolamentazione per specificare le misure volte a prevenire i mancati regolamenti;
- novellando l’articolo 7 che disciplina le misure per la gestione dei mancati regolamenti;
- prevedendo un nuovo articolo 7-bis che introduce una procedura di acquisto forzoso obbligatorio – nelle ipotesi in cui individuate dalla Commissione europea con un atto di esecuzione - nel caso che un partecipante inadempiente non abbia consegnato gli strumenti finanziari di cui a tale atto di esecuzione al partecipante destinatario entro un periodo di tempo successivo alla data prevista per il regolamento (“periodo di proroga”);
- identificando le Autorità rilevanti nell'autorizzazione e nella vigilanza dei CSD, come da specifiche disposizioni del regolamento stesso;
- definendo le procedure per:
a) la concessione di autorizzazione a un CSD, in modo che si tenga conto del rispetto degli obblighi previsti dal regolamento al momento dell’inizio delle attività del CSD;
b) la concessione a un CSD, da parte dell’autorità competente dello Stato membro d'origine, di un'autorizzazione a esternalizzare un servizio di base a terzi;
c) qualora un CSD sia soggetto a revoca dell’autorizzazione, garantire il tempestivo e ordinato regolamento e trasferimento delle attività dei clienti e dei partecipanti a un altro CSD;
- modificando le disposizioni riguardanti la vigilanza dei CSD, in particolare per quanto concerne la frequenza e il grado di dettaglio di riesame e di valutazione periodica, i piani per il risanamento e la liquidazione ordinata dei CSD (nuovo articolo 22-bis), la libertà dei CSD di prestare servizi in un altro Stato membro e la cooperazione tra le autorità dello Stato membro d'origine e di quello ospitante e la verifica inter pares;
- riformando le norme in materia di: requisiti organizzativi per i CSD (sono previsti in tale ambito i nuovi articoli 27-bis, 27-ter e 27-quater sulle procedure di notifica alla propria autorità competente di qualsiasi modifica della gestione); requisiti per i servizi CSD; requisiti prudenziali (prevedendo il nuovo articolo 47-bis sul regolamento netto differito);
- intervenendo sulla disciplina di accesso ai CSD di emittenti e altri CSD;
- modificando il Titolo IV sulla prestazione di servizi accessori di tipo bancario ai partecipanti ai CSD, nello specifico per ciò che riguarda le procedure di autorizzazione, i requisiti prudenziali applicabili e la vigilanza.
Si ricorda che il regolamento (UE) n. 909/2014 sul miglioramento del regolamento dei titoli nell’Unione europea e sui depositari centrali di titoli, armonizza le tempistiche e la condotta del regolamento titoli nell’UE e la normativa riguardante i depositari centrali di titoli con l’obiettivo di incrementare la sicurezza e l’efficienza del sistema, in particolare per quanto riguarda le operazioni interne all’Unione, introducendo requisiti uniformi in materia di autorizzazione ed organizzazione, gestione dei rischi e vigilanza.
Per conseguire il suddetto obiettivo con il regolamento (UE) n. 909/2014 sono stati introdotti elementi come una nuova disciplina di regolamento e requisiti prudenziali e di vigilanza potenziati per quanto concerne i sistemi di deposito accentrato-CSD e altri enti che prestano servizi di tipo bancario a sostegno del regolamento titoli, prevedendo un insieme comune di norme commerciali prudenziali, organizzative e di condotta valide in tutta l’Unione.
Come indicato dai considerando del regolamento (UE) n. 2023/2845 il riesame del regolamento (UE) n. 909/2014 è una delle azioni chiave del piano d'azione della Commissione per l'unione dei mercati dei capitali presentato nella comunicazione della Commissione del 24 settembre 2020 dal titolo «Un'unione dei mercati dei capitali per le persone e le imprese: nuovo piano d'azione».
L’unione dei mercati dei capitali mira a creare un mercato unico dei capitali in tutta l'Unione, permettendo il flusso di investimenti e risparmi in tutti gli Stati membri a vantaggio di cittadini, imprese e investitori.
Gli ultimi lavori nel 2023 e all'inizio del 2024 dei ministri delle Finanze degli Stati membri hanno promosso un'iniziativa strategica volta a individuare le priorità fondamentali per rafforzare e migliorare i mercati europei dei capitali, in particolare per ciò che concerne l’architettura di mercato, la tutela e supporto alle imprese e l’alfabetizzazione finanziaria e l’accesso ai mercati dei capitali per i cittadini.
Il regolamento (UE) n. 236 del 2012 e le modifiche introdotte dal Regolamento 2023/2845
Il regolamento (UE) n. 236/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 marzo 2012, relativo alle vendite allo scoperto e a taluni aspetti dei contratti derivati aventi ad oggetto la copertura del rischio di inadempimento dell'emittente (credit default swap) ha introdotto, per ciò che concerne operazioni su titoli di Stato e credit default swap, degli obblighi di segnalazione alle autorità competenti delle posizioni nette corte sopra una certa soglia nonché alcune limitazioni alle vendite allo scoperto di strumenti finanziari e all’acquisto di credit default swap di emittenti sovrani.
A tale proposito si ricorda che le posizioni corte concernono le posizioni in cui procede alla vendita di uno strumento finanziario, soprattutto con riferimento agli strumenti derivati. A tale posizione si fa da riscontro la long position (o posizione lunga) che identifica, invece, la posizione di chi ha acquistato lo strumento medesimo.
Si sottolinea che i credit default swap (CDS) sono contratti classificati come strumenti derivati che permettono di coprirsi dal rischio connesso alla possibile insolvenza di un debitore a fronte del pagamento di un premio periodico.
Il regolamento (UE) 2023/2845 è intervenuto sul regolamento (UE) 236/2012 prevedendo l’aggiunta dell’articolo 15 in materia di procedure di acquisto forzoso. In particolare, vengono definite le procedure la cui messa in atto deve essere garantita da una controparte centrale in uno Stato membro che effettua servizi di compensazione per titoli azionari, quando una persona fisica o giuridica che vende titoli azionari non è in grado di consegnare i titoli per il regolamento entro quattro giorni lavorativi dal giorno in cui il regolamento è dovuto. Si segnala, come indicato dai considerando del regolamento (UE) n. 2023/2845, che le procedure di acquisto forzoso già previste dal regolamento (UE) n. 236/2012 hanno cessato di applicarsi il 1° febbraio 2022, a seguito dell'entrata in vigore del regolamento delegato (UE) 2018/1229 che ha integrato il regolamento (UE) n. 909/2014 per quanto riguarda le norme tecniche di regolamentazione sulla disciplina del regolamento. Tuttavia, le suddette procedure di acquisto forzoso a norma del regolamento (UE) n. 236/2012 avrebbero dovuto continuare ad applicarsi in quanto indipendenti dal regime a norma del regolamento (UE) n. 909/2014; è stato ritenuto pertanto opportuno il loro ripristino.
Il comma 2 dispone che nell’esercizio della predetta delega il Governo osservi i principi e i criteri direttivi generali di cui all’articolo 32 della legge n. 234 del 2012, nonché ulteriori principi e criteri specifici. In particolare:
-
modificare il testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, di cui al decreto legislativo n. 58 del 1998, per dare attuazione al regolamento (UE) 2023/2845 e garantire il coordinamento con le altre disposizioni vigenti dell'ordinamento nazionale per i settori interessati;
-
conferire alla Banca d’Italia e alla CONSOB i poteri di vigilanza previsti dal regolamento (UE) 2023/2845, secondo il riparto di funzioni previsto dal titolo II-bis della parte III del testo unico di cui al decreto legislativo n. 58 del 1998, che contiene la disciplina dei depositari centrali e delle attività di regolamento e di gestione accentrata;
-
designare la CONSOB quale autorità competente a istituire e presiedere il collegio delle autorità di vigilanza, di cui all’articolo 24-bis del regolamento (UE) n. 909/2014, come introdotto dall’articolo 1, del regolamento (UE) 2023/2845, qualora ricorrano le condizioni che ne comportano l’obbligo di costituzione;
L’articolo 24-bis del regolamento (UE) n. 909/2014 concerne l’istituzione del Collegio delle autorità di vigilanza disponendo che l'autorità competente dello Stato membro d'origine istituisce un collegio delle autorità di vigilanza per svolgere i compiti di cui al paragrafo 8 in relazione a un depositario centrale di titoli le cui attività sono considerate di importanza sostanziale per il funzionamento dei mercati dei titoli e la tutela degli investitori in almeno due Stati membri ospitanti.
Si ricorda che Il depositario centrale che opera nel mercato italiano è Monte Titoli spa, fondato nel 1978.
-
attribuire alla CONSOB gli obblighi di comunicazione all’Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati (ESMA) di cui all’articolo 49 del regolamento (UE) n. 909/2014 (che disciplina la libertà di emissione in un sistema di deposito accentrato - CSD autorizzato nell'Unione) come modificato dal regolamento (UE) 2023/2845;
L’articolo 49 del regolamento (UE) n. 909/2014, come modificato dal regolamento (UE) 2023/2845, dispone che l'emittente di titoli ha il diritto di far registrare i suoi titoli ammessi alla negoziazione nei mercati regolamentati o nei sistemi multilaterali di negoziazione o negoziati in sedi di negoziazione in qualsiasi sistema di deposito accentrato (CSD) stabilito in qualsiasi Stato membro. Fatto salvo il diritto dell’emittente sopra indicato, si continua ad applicare il diritto societario o altra normativa analoga dello Stato membro ai cui sensi i titoli sono emessi. Gli Stati membri compilano un elenco delle principali disposizioni pertinenti del diritto societario o di altra normativa analoga di cui al secondo comma. Le autorità competenti comunicano tale elenco all'ESMA entro il 17 gennaio 2025. L'ESMA pubblica l'elenco entro il 17 febbraio 2025. Gli Stati membri aggiornano tale elenco regolarmente e comunque almeno ogni due anni. Essi comunicano all'ESMA l'elenco aggiornato in base a tale periodicità. L'ESMA pubblica l'elenco aggiornato.
Il medesimo articolo 49 prevede inoltre che se un CSD rifiuta di prestare servizi a un emittente, esso comunica per iscritto all'emittente richiedente i motivi del rifiuto. In caso di rifiuto, l'emittente richiedente ha il diritto di presentare un reclamo presso l'autorità competente del CSD che gli ha rifiutato i servizi. L'autorità competente del CSD esamina debitamente il reclamo valutando i motivi del rifiuto forniti dal CSD e fornisce all'emittente una risposta motivata. L'autorità competente del CSD consulta l'autorità competente del luogo di stabilimento dell'emittente richiedente in merito alla sua valutazione del reclamo. Se l'autorità competente del luogo di stabilimento dell'emittente richiedente non è d'accordo con la valutazione, ciascuna delle due autorità competenti può deferire la questione all'ESMA.
-
prevedere che gli strumenti finanziari immessi nel sistema di gestione accentrata possano essere esclusi dal sistema, nel caso di apertura di una procedura di liquidazione giudiziale, di liquidazione controllata o di liquidazione coatta amministrativa a carico dell’emittente, apportando le necessarie modifiche alla legislazione vigente e attribuendo alla CONSOB, d’intesa con la Banca d’Italia, il potere di emanare disposizioni attuative ai sensi dell’articolo 82, comma 2, del testo unico di cui al decreto legislativo n. 58 del 1998, salvaguardando, altresì, la posizione del titolare dello strumento finanziario;
- introdurre le modifiche necessarie nella disciplina della crisi dei depositari centrali di titoli - CSD al fine di assicurare il tempestivo e ordinato trasferimento a un altro depositario centrale delle attività dei clienti, in caso di apertura della procedura di liquidazione coatta amministrativa, e garantire il coordinamento con le norme in materia di crisi delle controparti centrali di cui al testo unico di cui al decreto legislativo n. 58 del 1998;
- apportare le necessarie modifiche di coordinamento al testo unico di cui al decreto legislativo n. 58 del 1998, al fine di renderlo coerente con le disposizioni introdotte dal regolamento (UE) 2023/2845, che ha modificato il regolamento (UE) 909/2014, in materia di disciplina delle sanzioni;
-
prevedere che entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo di adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) 2023/2845, CONSOB d’intesa con Banca d’Italia adotti la disciplina secondaria di cui al presente articolo.
Il comma 3 dell’articolo 10 reca la clausola di invarianza finanziaria.
Articolo 11
(Delega al Governo per l’adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) 2023/988 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 10 maggio 2023, relativo alla sicurezza generale dei prodotti, che modifica il regolamento (UE) n. 1025/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio e la direttiva (UE) 2020/1828 del Parlamento europeo e del Consiglio, e che abroga la direttiva 2001/95/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e la direttiva 87/357/CEE del Consiglio)
L’articolo 11 delega il Governo ad adottare uno o più decreti legislativi per adeguare, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del provvedimento in esame, l’ordinamento nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) 2023/988 relativo alla sicurezza generale dei prodotti, che modifica il regolamento (UE) 1025/2012 e la direttiva (UE) 2020/1828, e che abroga la direttiva 2001/95/CE e la direttiva 87/357/CEE.
Nell’esercizio della delega il Governo è tenuto ad osservare i principi e i criteri direttivi generali previsti dall’articolo 32 della legge n. 234/2012 nonché criteri specifici tra cui: modifiche ed integrazioni al Codice del consumo, la coerenza con il quadro normativo unionale in materia di vigilanza del mercato, l’aggiornamento del sistema sanzionatorio per la violazione di disposizioni in materia di sicurezza, l’individuazione di soggetti responsabili della catena di fornitura nell’ipotesi di prodotti forniti online, la previsione di una disciplina transitoria per assicurare la commerciabilità dei prodotti già immessi sul mercato e la previsione della riassegnazione delle somme incassate attraverso sanzioni da destinare al potenziamento della vigilanza sul mercato.
Infine, è prevista una clausola di invarianza finanziaria, non potendo derivare dall’attuazione dell’articolo nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.
Il regolamento (UE) 2023/988 (qui una sintesi dei contenuti) ha integrato la legislazione unionale in materia di sicurezza generale dei prodotti, con l’obiettivo di migliorare il funzionamento del mercato interno, garantendo un livello elevato di protezione dei consumatori, stabilendo norme essenziali in materia di sicurezza dei prodotti di consumo immessi o messi a disposizione sul mercato.
Tra i regolamenti modificati vi è il regolamento (UE) 1025/2012, che stabilisce norme riguardanti la cooperazione tra le organizzazioni europee di normazione, gli organismi nazionali di normazione, gli Stati membri e la Commissione, nonché l’elaborazione di norme europee per i prodotti e per i servizi, a sostegno della legislazione e delle politiche dell’Unione.
La modifica normativa al regolamento sopra menzionato prevede che se una norma europea elaborata ai sensi del Regolamento (UE) 2023/988 soddisfi sia l’obbligo generale di sicurezza, sia i requisiti specifici di sicurezza (previsti rispettivamente agli articoli 5 e 7 del citato regolamento), sia effettuata la pubblicazione di tale norma da parte della Commissione nella Gazzetta ufficiale dell’Unione Europea. Viene inoltre modificato l’articolo 11 del regolamento (UE) 1025/2012, introducendo la possibilità di effettuare un’obiezione formale da parte di uno stato membro o del Parlamento europeo anche nei casi in cui una norma europea elaborata a sostegno del regolamento (UE) 2023/988 non soddisfi completamente le prescrizioni cui intende riferirsi [9] .
Il regolamento modifica anche la direttiva (UE) 2020/1828, relativa alle azioni rappresentative a tutela degli interessi collettivi dei consumatori. In particolare, viene incluso il regolamento (UE) 2023/988 nell’ambito di applicazione della direttiva, consentendo quindi di intentare azioni rappresentative nei confronti di professionisti anche per violazioni delle disposizioni contenute nel regolamento citato che ledano o possano ledere gli interessi collettivi dei consumatori.
Si ricorda infine che il regolamento (UE) 2023/988 abroga la precedente disciplina in materia di sicurezza generale dei prodotti (direttiva 2001/95/CE) e dei prodotti che imitano i prodotti alimentari (direttiva 87/357/CEE).
In particolare, il comma 1 del presente articolo delega il Governo ad adottare, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi per adeguare la normativa nazionale alla normativa europea.
Il comma 2 prevede che, nell’esercizio della delega di cui al comma 1, il Governo osservi, oltre ai principi e criteri direttivi generali di cui all’articolo 32 della legge n. 234/2012 (cfr. box), anche i seguenti principi e criteri direttivi specifici:
a) apportare le abrogazioni, modificazioni ed integrazioni al codice del consumo, al fine di assicurare il coordinamento con le disposizioni emanate in attuazione del regolamento (UE) 2023/988, ed effettuare il coordinamento delle residue disposizioni anche con riferimento al sistema RAPEX/Safety Gate e al Safety Business Gateway ferme restando le competenze per categoria di prodotti, non coperti dalle norme armonizzate, in capo a ciascuna autorità di vigilanza del mercato, così come individuata dal D.lgs. n. 157/2022 [10] ;
RAPEX è il sistema di informazione rapida dell’Unione per lo scambio di informazioni relative ai prodotti pericolosi. Tale denominazione è stata sostituita con “Safety Gate”, uno strumento che si compone di tre elementi:
- sistema di allarme rapido Safety Gate: sistema di allarme rapido sui prodotti pericolosi non alimentari attraverso il quale le autorità nazionali e la Commissione possono scambiare informazioni su tali prodotti;
- portale Safety Gate: portale web destinato a informare il pubblico e consentirgli di presentare reclami;
- Safety Business Gateway: portale web tramite la quale le imprese possono adempiere l’obbligo di avvisare le autorità e i consumatori riguardo a prodotti pericolosi e incidenti;
b) garantire la coerenza con il quadro normativo dell’Unione europea in materia di vigilanza del mercato e conformità dei prodotti, di cui al D.lgs. n. 157/2022;
c) aggiornare il sistema sanzionatorio per la violazione delle disposizioni in materia di sicurezza generale dei prodotti e integrare le nuove fattispecie sanzionatorie derivanti dall’attuazione del regolamento (UE) 2023/988, attraverso la previsione di sanzioni efficaci, dissuasive e proporzionate alla gravità e alla durata delle relative violazioni, anche in relazione alle diverse fasi della filiera commerciale e ai soggetti coinvolti, ferme restando le competenze in capo a ciascuna autorità di vigilanza del mercato individuate ai sensi del già citato D.lgs. n. 157/2022, nonché garantire la celerità, l’economicità e l’efficacia dell’azione amministrativa anche nei procedimenti sanzionatori;
d) individuare, nelle ipotesi di prodotti forniti online o attraverso altri mezzi di vendite a distanza, i soggetti responsabili della catena di fornitura nei confronti dei quali possono essere irrogate le sanzioni e imposte le altre misure amministrative per le violazioni commesse;
e) prevedere una disciplina transitoria per assicurare la commerciabilità dei prodotti immessi sul mercato prima del 13 dicembre 2024, conformemente alla direttiva 2001/95/CE;
f) prevedere, previo versamento in apposito capitolo di entrata del bilancio dello Stato, la riassegnazione delle somme incassate attraverso l’irrogazione delle nuove sanzioni amministrative pecuniarie previste alla precedente lettera c), da assegnare agli appositi capitoli di spesa delle autorità di vigilanza del mercato ai sensi del D.lgs. n. 157/2022, per essere destinate al potenziamento della vigilanza sul mercato. La riassegnazione per le autorità di vigilanza non amministrazioni centrali avviene in capo all’amministrazione centrale titolare delle attività di indirizzo, vigilanza e controllo, per il successivo trasferimento alle medesime autorità.
Infine, il comma 3 reca la clausola di invarianza finanziaria, prevedendo che dall’attuazione del presente articolo non debbano derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica. Di conseguenza, le amministrazioni interessate provvedono ai relativi adempimenti con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.
Articolo 12
(Delega al Governo per l’adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) 2023/2411, relativo alla protezione delle indicazioni geografiche per i prodotti artigianali e industriali)
L’articolo 12 delega il Governo ad adottare un decreto legislativo per adeguare la normativa nazionale al regolamento 2023/2411, indicando i criteri cui il legislatore dovrà attenersi e la dotazione finanziaria e organica necessaria per la sua attuazione.
I criteri, posti quelli di cui all’articolo 32 della L. n. 234/2012, impongono di designare il Ministero delle imprese e del made in Italy (MIMIT) quale autorità competente per la fase nazionale della procedura di registrazione delle Indicazioni Geografiche. A tal fine, si statuisce che al Ministero siano attribuite le relative funzioni nel rispetto delle indicazioni contenute nel regolamento. Inoltre, al decreto delegato si demanda la definizione di procedure efficienti, prevedibili e rapide, l’adeguamento del sistema sanzionatorio penale e amministrativo prevedendo sanzioni effettive, dissuasive e proporzionate alla gravità della violazione delle disposizioni stesse, la designazione di una o più autorità come responsabili dei controlli, in particolare rispetto ai singoli disciplinari delle IG.
Il comma 3 indica le coperture finanziarie per gli oneri derivanti dall’adeguamento della struttura organizzativa del MIMIT di cui al comma 2, lettera e).
L’articolo 12, comma 1, delega il Governo ad adottare un decreto legislativo per adeguare la normativa nazionale al regolamento (UE) 2023/2411, entro sei mesi dall’entrata in vigore della legge delega.
Il regolamento (UE) 2023/2411 del 18 ottobre 2023 è entrato in vigore il 16 novembre 2023 (qui il comunicato stampa della Commissione che ne sintetizza i contenuti).
Si rammenta come l’Unione europea inizialmente abbia disposto norme specifiche per la protezione delle Indicazioni Geografiche - IG per quanto riguarda vini, bevande spiritose, prodotti alimentari e altri prodotti agricoli, ma non per una protezione delle IG a livello dell’UE per i prodotti artigianali e industriali [11] .
Detto regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio istituisce una protezione a livello dell’UE delle IG per i prodotti artigianali e industriali - come gioielli, prodotti tessili, vetro, porcellana, ecc. In questo modo si intende – quindi – integrare la protezione UE già esistente per le IG nel settore agricolo, adottando un approccio similare anche per la protezione dei prodotti artigianali e industriali al livello dell’Unione europea.
La protezione delle IG per tali prodotti è finalizzata a sostenere gli artigiani e i produttori, specialmente le PMI, e a promuovere e tutelare il loro know-how tradizionale a livello dell’UE, nel rispetto delle norme europee in materia di concorrenza. L’Ufficio dell’Unione europea per la proprietà intellettuale (EUIPO) svolgerà un ruolo importante nell’attuazione del nuovo sistema di protezione, in particolare per quanto riguarda le procedure di registrazione delle IG artigianali e industriali.
In particolare, le norme del regolamento in parola che in questa sede rilevano maggiormente sono gli articoli da 12 a 17, oltre al Titolo IV (articoli 49-62).
L’articolo 12 stabilisce che ogni Stato membro deve designare un’autorità competente per la fase nazionale della procedura di registrazione delle indicazioni geografiche per i prodotti artigianali e industriali, cui competono anche le procedure relative a modifiche del disciplinare di produzione o alla cancellazione della registrazione.
Agli Stati membri si impone la comunicazione alla Commissione e all’EUIPO, entro il primo dicembre 2025, dei nomi e degli indirizzi delle autorità competenti designate.
L’articolo 13 disciplina la presentazione della domanda di registrazione di un’indicazione geografica, indicando anche alcuni elementi che in essa devono essere compresi.
L’articolo 14 concerne l’esame della domanda da parte dell’autorità competente, indicando, mediante rinvio ad altre norme del regolamento (articoli 6, 8, 9, 10 e 11), i requisiti e le informazioni necessarie. Inoltre, il paragrafo 3 specifica i casi in cui l’autorità deve respingere la domanda, e quelli in cui, al contrario, può procedere con la procedura nazionale di opposizione, di cui all’articolo 15.
Quest’ultimo disciplina la procedura nazionale di opposizione, specificando, peraltro, i motivi su cui l’opposizione può basarsi.
L’articolo 16 stabilisce i possibili esiti della procedura di opposizione, ossia una decisione favorevole, con conseguente presentazione della domanda all’EUIPO, ovvero sfavorevole, con rigetto della domanda. Il paragrafo 2 pone obblighi di pubblicità, mentre il paragrafo 3 afferma il diritto di ricorrere, per chi fosse portatore di un interesse legittimo, avverso la decisione adottata.
L’articolo 17 impone agli Stati membri di prevedere procedure amministrative efficienti, prevedibili e rapide. Le informazioni su tali procedure, compresi gli eventuali termini applicabili e la durata complessiva di tali procedure, vanno rese pubbliche.
Infine, il Titolo IV del regolamento riguarda i controlli relativi alle indicazioni geografiche per i prodotti artigianali e industriali, in particolare rispetto ai singoli disciplinari delle IG, e alle autodichiarazioni da parte degli interessati.
Il comma 2 indica i criteri direttivi e i principi cui il Governo, nell’esercizio della delega, deve uniformarsi, posti quelli enunciati in via generale della L. n. 234/2012.
Nello specifico, è stabilito che il decreto delegato deve:
a) individuare il Ministero delle imprese e del made in Italy quale autorità competente per la fase nazionale della procedura di registrazione delle indicazioni geografiche per i prodotti artigianali e industriali, a norma dell’articolo 12 del regolamento. Nel rispetto degli articoli 13, 14, 15 e 16 del regolamento, la norma stabilisce che al Ministero siano assicurate le relative funzioni;
b) definire procedure efficienti, prevedibili e rapide per la presentazione, esame e valutazione delle domande, nel rispetto di quanto statuito dall’articolo 17 del regolamento;
c) adeguare il sistema sanzionatorio penale e amministrativo alle disposizioni del regolamento, prevedendo sanzioni effettive, dissuasive e proporzionate alla gravità della violazione delle disposizioni stesse. La disposizione riprende il testo dell’articolo 61 del regolamento europeo, senza tuttavia indicare criteri specifici cui il legislatore delegato dovrà uniformarsi, per i quali dovrebbe quindi valere quando indicato dall’articolo 32, comma 1, lett. d), della legge n. L. n. 234/2012. In proposito, si valuti di prevedere, tra i principi e criteri di delega, anche un coordinamento con quanto già previsto dal capo III del titolo V della legge n. 206/2023 (c.d. legge sul made in Italy) in tema di lotta alla contraffazione;
d) designare una o più autorità, caratterizzate dai requisiti dell’obiettività e dell’imparzialità, come responsabili dei controlli di cui al titolo IV del regolamento; la norma impone altresì la trasparenza nell’azione;
e) prevedere, per assicurare lo svolgimento delle attività di cui al regolamento 2023/2411, l’adeguamento della struttura organizzativa del Ministero delle imprese e del made in Italy nella misura di un dirigente non generale e di dieci unità di personale, da inquadrare nell’area dei funzionari, con la possibilità di assegnazione temporanea di personale proveniente da altre amministrazioni pubbliche, nelle more della procedura di reclutamento.
Circa gli oneri finanziari derivanti dall’attuazione del comma 2, lettera e), quantificati in euro 964.158 per l’anno 2025, ed euro 664.158 a decorrere dall’anno 2026, il comma 3 stabilisce che si provvede mediante corrispondente riduzione delle proiezioni dello stanziamento del fondo speciale di parte corrente iscritto, ai fini del bilancio triennale 2024-2026, nell’ambito del programma «Fondi di riserva e speciali» della missione «Fondi da ripartire» dello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze per l’anno 2024. Si dispone, allo scopo, di utilizzare, in parte, l’accantonamento relativo al Ministero delle imprese e del made in Italy.
Si ricorda che gli articoli da 42 a 46 della L. n. 206/2023 (c.d. legge sul made in Italy) contengono norme volte a tutelare e proteggere le indicazioni geografiche (IG) per i prodotti artigianali e industriali, anticipando, in una qualche misura, l’intervento di cui al regolamento 2023/2411.
L’articolo 42, in particolare, specifica che, in vista della definizione di un sistema di protezione uniforme a livello europeo basato sulle indicazioni geografiche, demanda alle Regioni la possibilità di effettuare una ricognizione delle produzioni artigianali e industriali tipiche già oggetto di forme di riconoscimento o tutela, ovvero per le quali la reputazione e la qualità sono fortemente legati al territorio locale. Tale ricognizione deve avvenire secondo le modalità e nei termini definiti con accordo in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge in esame. Al momento, la disposizione in parola non ha ricevuto attuazione in sede di Conferenza.
Gli esiti della ricognizione sono trasmessi al Ministero delle imprese e del made in Italy, ai fini della definizione, con decreto adottato previa intesa in sede di Conferenza Stato-regioni, di un regime di protezione, uniformemente valido e applicabile per il riconoscimento e la protezione, a livello nazionale, dei prodotti tipici. Al momento, neanche questa norma ha ricevuto attuazione in sede di Conferenza.
L’articolo 43 consente alle associazioni di produttori operanti in una determinata zona geografica l’adozione di disciplinari di produzione e la presentazione alla regione di una dichiarazione di manifestazione di interesse ai fini della ricognizione dei prodotti artigianali e industriali tipici di cui all’articolo 42.
L’articolo 44 prevede che, a tal fine, dette associazioni possono essere costituite in qualsiasi forma giuridica, purché perseguano, tra gli scopi sociali, la valorizzazione del prodotto oggetto del disciplinare. L’articolo esplicita altresì i compiti di dette associazioni: l’elaborazione del disciplinare, l’esecuzione dei controlli interni, l’esercizio delle azioni legali a tutela dell’indicazione geografica e di qualsiasi altro diritto di proprietà intellettuale direttamente collegato al prodotto, la promozione di iniziative di sostenibilità e il compimento di azioni per migliorare le prestazioni dell’indicazione geografica.
L’articolo 45 indica gli elementi minimi che deve possedere il disciplinare di produzione dei prodotti industriali e artigianali tipici e ne prevede l’obbligo di deposito, da parte delle associazioni dei produttori, presso le Camere di Commercio del territorio di riferimento.
L’articolo 46 prevede il riconoscimento alle associazioni di produttori di un contributo per le spese di consulenza sostenute per la predisposizione del disciplinare di produzione. A tale fine, autorizza la spesa di 3 milioni di euro per il 2024.
Si valuti l’opportunità di inserire, tra i criteri direttivi di cui al comma 2, cui il legislatore delegato dovrà uniformarsi, anche una previsione volta a coordinare la nuova normativa con quella prevista dai suddetti articoli 42-46 della legge n. 206/2023.
Articolo 13
(Delega al Governo per l’adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) 2023/1115 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 31 maggio 2023 (regolamento EUDR), relativo alla messa a disposizione sul mercato dell’Unione e all’esportazione dall’Unione di determinate materie prime e determinati prodotti associati alla deforestazione e al degrado forestale e che abroga il regolamento (UE) n. 995/2010 (regolamento EUTR))
L’articolo 13 delega il Governo ad adottare, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del disegno di legge in esame, uno o più decreti legislativi, al fine di adeguare la normativa nazionale alle disposizioni previste dal regolamento (UE) 2023/1115 (European Deforestation-free products Regulation – EUDR), che mira a ridurre il contributo dell'Unione europea alla deforestazione e al degrado forestale a livello globale, proteggendo così la biodiversità e mitigando i cambiamenti climatici. In particolare, il Governo dovrà prevedere che il Ministero dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste (MASAF) sia designato quale autorità nazionale competente per l’applicazione del regolamento; definire le modalità di cooperazione con le autorità doganali per i controlli da svolgere in fase di importazione e di esportazione; definire i servizi di assistenza tecnica agli operatori e le modalità di affidamento degli stessi anche a soggetti privati; prevedere sanzioni amministrative effettive, proporzionate e dissuasive; prevedere misure provvisorie e azioni correttive per i casi di non conformità; individuare le opportune forme e sedi di coordinamento tra i soggetti istituzionali che devono collaborare ai fini dell’attuazione del regolamento; prevedere l’adeguamento della struttura organizzativa del MASAF; prevedere che, in presenza di casi di non conformità, l’autorità competente possa porre a carico degli operatori o dei commercianti la totalità dei costi sostenuti per l’attività di controllo delle loro attività; individuare una o più autorità competenti ad accertare le violazioni degli obblighi a carico dell’operatore e del commerciante e prevedere misure per proteggere l’identità delle persone fisiche o giuridiche che presentano segnalazioni comprovate o che effettuano indagini.
Il comma 1 delega il Governo ad adottare, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del disegno di legge in esame, nel rispetto delle competenze costituzionali delle regioni e con le procedure di cui all'articolo 31 della legge n. 234 del 2012 (per le quali si rimanda alle schede di lettura degli articoli 1 e 2), uno o più decreti legislativi per l'attuazione del regolamento (UE) 2023/1115 (European Deforestation-free products Regulation – EUDR).
Il regolamento europeo sui prodotti a “deforestazione zero” mira a ridurre il contributo dell'Unione europea alla deforestazione e al degrado forestale a livello globale, proteggendo così la biodiversità e mitigando i cambiamenti climatici. Si applica a prodotti cosiddetti “interessati”, che contengono o sono stati prodotti utilizzando materie prime (“interessate”) come bovini, cacao, caffè, olio di palma, gomma, soia e legno. L’Allegato I del regolamento riporta un elenco delle principali “materie prime interessate” cui sono associati i relativi “prodotti interessati”. Il regolamento definisce “Deforestazione” la conversione di una foresta in terreno agricolo; “Degrado forestale” i cambiamenti negativi nella struttura della foresta; “Foresta primaria” una foresta naturale non significativamente alterata dall'uomo e “Prodotto a deforestazione zero” un prodotto che non contribuisce alla deforestazione o al degrado forestale (a partire dal 2021). Per poter essere immessi sul mercato dell'Unione, i prodotti interessati devono rispettare tre requisiti:
-
essere a deforestazione zero: non devono contribuire alla deforestazione o al degrado forestale (a partire dal 2021);
-
rispettare la legislazione del Paese di produzione: la produzione deve avvenire nel rispetto delle leggi del paese di origine in materia ambientale, diritti umani, ecc.;
-
essere accompagnati da una “dichiarazione di dovuta diligenza”, che attesti la conformità del prodotto ai requisiti del regolamento EUDR.
Il Capo 2 definisce gli obblighi degli operatori e dei commercianti coinvolti nella catena di approvvigionamento di prodotti legati alla deforestazione. L'operatore deve esercitare la dovuta diligenza prima di immettere sul mercato i prodotti o esportarli onde dimostrare che gli stessi sono conformi ai tre requisiti suindicati. A tal fine, l’operatore deve presentare alle autorità competenti una dichiarazione che attesti di aver svolto tutti i controlli necessari, conservare per 5 anni tutta la documentazione relativa alla tracciabilità dei prodotti, informare le autorità competenti in caso di non conformità o di nuove informazioni rilevanti, collaborare con le autorità durante i controlli e fornire informazioni ai successivi operatori della catena. Le piccole e medie imprese (PMI) hanno obblighi semplificati, ma devono comunque dimostrare la conformità dei prodotti. I commercianti (non PMI) hanno gli stessi obblighi degli operatori mentre le PMI devono conservare alcune informazioni sui fornitori e sui clienti. L'operatore, nell’esercizio della diligenza dovuta, è tenuto a mettere in atto un sistema per garantire la conformità dei prodotti e documentarlo; deve valutare il rischio di non conformità dei prodotti, considerando fattori come il Paese di origine, la presenza di foreste, e (ove applicabile) la consultazione dei popoli indigeni, delle comunità locali, ecc.; se il rischio non è nullo o trascurabile, l'operatore deve adottare misure per ridurlo. Le PMI hanno obblighi semplificati rispetto alle grandi imprese, ma devono comunque garantire la tracciabilità dei prodotti e informare le autorità competenti in caso di necessità. Gli Stati membri possono fornire assistenza tecnica e di altro tipo e orientamenti agli operatori per favorire e rendere meno complessa la conformità alla disciplina in esame.
Il Capo 3 del regolamento EUDR definisce i ruoli e le responsabilità degli Stati membri e delle loro autorità competenti nell'applicazione delle norme in esame. Ogni Stato membro deve designare una o più autorità responsabili dell'applicazione del regolamento, le quali devono effettuare controlli regolari sugli operatori e sui commercianti per verificare la conformità dei prodotti, utilizzando criteri di rischio per selezionare gli operatori da controllare, basandosi su fattori come il Paese di origine dei prodotti, la complessità della catena di approvvigionamento e i precedenti di non conformità. Le autorità competenti sono tenute a cooperare tra di loro, con le autorità doganali del proprio Stato membro, con le autorità competenti e con le autorità doganali di altri Stati membri, con la Commissione e, se necessario, con le autorità amministrative di Paesi terzi per garantire la conformità al regolamento, anche per quanto riguarda le verifiche in loco. In caso di non conformità potenziale, riscontrata sulla base di specifici controlli o valutazioni di rischio, le autorità competenti possono adottare misure provvisorie immediate, quali il sequestro o la sospensione della commercializzazione dei prodotti. Nel caso in cui la non conformità venga accertata, le autorità possono imporre misure correttive agli operatori, come il ritiro dei prodotti dal mercato. Gli Stati membri devono prevedere sanzioni efficaci, proporzionate e dissuasive per le violazioni del regolamento e le autorità competenti devono cooperare tra loro e con la Commissione per garantire un'applicazione coerente del regolamento a livello europeo. Gli Stati membri devono fornire alla Commissione informazioni annuali sull'applicazione della disciplina, sulla base delle quali la Commissione pubblicherà un rapporto sintetico a livello europeo per il riesame della disciplina (vedi infra).
Il Capo 4 descrive in dettaglio come vengono controllati i prodotti soggetti al regolamento quando attraversano le frontiere dell'Ue. Il sistema si basa su una combinazione di controlli documentali e fisici, nonché sulla cooperazione tra le diverse autorità coinvolte. L'obiettivo finale è quello di garantire che solo i prodotti conformi al regolamento possano essere immessi sul mercato europeo.
Il Capo 5 istituisce un sistema di valutazione del “rischio-Paese” per stimare il rischio di deforestazione associato alla produzione delle materie prime interessate in specifici contesti.
Il Capo 6 stabilisce un meccanismo per permettere ai cittadini e alle organizzazioni di segnalare eventuali violazioni del regolamento e garantisce l'accesso alla giustizia in caso di contestazioni.
Il Capo 7 istituisce un sistema informatico centralizzato per gestire le informazioni relative all'applicazione del regolamento sulla deforestazione.
Il Capo 8 del regolamento EUDR, infine, prevede una serie di verifiche periodiche per assicurarsi che le norme rimangano efficaci e aggiornate di fronte alle nuove sfide ambientali e alle evoluzioni economiche. Il riesame generale è previsto entro il 30 giugno 2028.
Il comma 2 elenca i princìpi e criteri direttivi specifici che il Governo sarà tenuto a osservare nell’esercizio della delega in esame (in aggiunta ai princìpi e criteri direttivi generali di cui all’articolo 32 della legge n. 234 del 2012, per i quali si rimanda alle schede di lettura degli articoli 1 e 2).
La lettera a) prevede che il Ministero dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste (MASAF) sia designato quale autorità nazionale competente per l’applicazione del regolamento EUDR. Viene inoltre specificato che lo stesso MASAF potrà avvalersi, ai fini dell’adempimento dei relativi obblighi, anche del Comando unità forestali, ambientali e agroalimentari dell’Arma dei carabinieri nonché, per gli aspetti riguardanti le importazioni e le esportazioni delle materie prime e dei prodotti da sottoporre a controllo, della Guardia di finanza.
La lettera b) specifica che il Governo è tenuto a definire le modalità di cooperazione con le autorità doganali per i controlli da svolgere in fase di importazione e di esportazione, secondo quanto previsto dagli articoli 21 e 26, paragrafo 3, del regolamento EUDR.
La lettera c) prevede che nell’esercizio della delega il Governo definisca i servizi di assistenza tecnica previsti dall’articolo 15 del regolamento EUDR e le modalità di affidamento degli stessi anche a soggetti privati con acclarata esperienza in attività di dovuta diligenza per il contenimento dei fenomeni di deforestazione, nonché nelle catene del valore dei prodotti di cui al medesimo regolamento.
Per effetto della lettera d), il Governo è tenuto a prevedere sanzioni amministrative effettive, proporzionate e dissuasive, in deroga ai criteri ed ai limiti previsti dall'articolo 32, comma 1, lettera d), della legge n. 234 del 2012. Le sanzioni, in attuazione dell’articolo 25 del regolamento EUDR, comprendono sanzioni pecuniarie, commisurate al danno ambientale e al valore delle materie prime o dei prodotti interessati, la confisca dei prodotti o dei proventi derivati all’operatore o al commerciante, nonché sanzioni interdittive.
In base alla lettera e), il Governo è tenuto a prevedere misure provvisorie ai sensi dell’articolo 23 del regolamento EUDR (sequestro dei prodotti o sospensione della commercializzazione), per impedire che i prodotti interessati, oggetto di indagine, siano immessi o messi a disposizione sul mercato o esportati. I decreti delegati dovranno inoltre prevedere, nel caso in cui accerti l'esistenza di violazioni sanabili, la possibilità per l'organo di controllo incaricato di trasmettere una diffida all'operatore o al commerciante al fine di consentire l’adozione delle occorrenti misure correttive. Al riguardo, la successiva lettera f) stabilisce proprio che, nell’esercizio della delega, il Governo debba individuare misure correttive adeguate e proporzionate che l’autorità competente può imporre agli operatori per i casi di non conformità, in attuazione dell’articolo 24 del regolamento EUDR. Il Governo è tenuto inoltre a individuare i termini entro i quali gli operatori devono adottare le misure correttive e le modalità di applicazione forzosa dell’azione correttiva, nel caso di omessa adozione da parte degli operatori ovvero di non conformità persistente. Al riguardo, si segnala che l’articolo 24 del regolamento EUDR stabilisce che, nei casi di non conformità, le autorità impongono senza indugio azioni correttive a operatori e commercianti.
La lettera g) specifica che il Governo è tenuto a individuare le opportune forme e sedi di coordinamento tra i soggetti istituzionali che devono collaborare ai fini dell’attuazione del regolamento EUDR. Tale individuazione dovrà avvenire in continuità con la Consulta FLEGT – regolamento legno (Forest Law Enforcement, Governance and Trade), istituita presso il Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica (MASE), ai sensi del regolamento (CE) n. 2173/2005 e del regolamento (UE) n. 995/2010, e i portatori di interesse delle associazioni e delle filiere delle materie prime oggetto del richiamato regolamento.
La lettera h) stabilisce criteri e princìpi direttivi per dare attuazione all’articolo 14, paragrafo 4, del regolamento EUDR ai sensi del quale lo Stato membro deve provvedere affinché le autorità competenti abbiano poteri, indipendenza funzionale e risorse adeguati per adempiere agli obblighi previsti dal Capo 3 del regolamento stesso. A tal fine, viene previsto l’adeguamento della struttura organizzativa delle unità individuate quali autorità competenti, attraverso l’istituzione di due uffici di livello dirigenziale non generale, presso il MASAF con il conseguente reclutamento di due dirigenti di livello non generale, trenta funzionari e sei assistenti da inquadrare in base al sistema di classificazione professionale del personale introdotto dal contratto collettivo nazionale di lavoro relativo al personale dell'area del comparto funzioni centrali – Triennio 2019-2021. Agli oneri derivanti dal reclutamento delle risorse necessarie per l’adeguamento della struttura del MASAF, quantificati in 2.501.662 di euro per l’anno 2025 e in 2.201.662 di euro annui a decorrere dall’anno 2026, si provvede, ai sensi del successivo comma 4 dell’articolo in esame mediante corrispondente riduzione del fondo per il recepimento della normativa europea, di cui all'articolo 41-bis della legge n. 234 del 2012.
La lettera i) stabilisce che, nell’esercizio della delega, il Governo è tenuto a prevedere che, in presenza di casi di non conformità, l’autorità competente possa porre a carico degli operatori o dei commercianti la totalità dei costi sostenuti per l’attività di controllo delle loro attività, comprendendo anche i costi per la realizzazione di prove, di magazzinaggio e delle attività di verifica o di analisi dei prodotti interessati risultati non conformi e oggetto di misure correttive, prima della loro immissione in libera pratica, immissione sul mercato o esportazione.
La lettera l) specifica che il Governo è tenuto a individuare una o più autorità competenti ad accertare le violazioni degli obblighi a carico dell’operatore e del commerciante e a ricevere il rapporto, ai sensi della legge n. 689 del 1981, che disciplina il sistema delle sanzioni amministrative. stabilendo le regole generali in base alle quali tali sanzioni possono essere applicate.
La lettera m) prevede che, per effetto delle norme delegate, siano introdotte nell’ordinamento misure per proteggere l’identità delle persone fisiche o giuridiche che presentano segnalazioni comprovate o che effettuano indagini, al fine di verificare il rispetto del regolamento da parte degli operatori o dei commercianti.
La lettera n) stabilisce che, nell’esercizio della delega, il Governo è tenuto a predisporre, per il periodo transitorio previsto dall’articolo 37 del regolamento EUDR, forme di coordinamento tra le disposizioni dei regolamenti (UE) 2023/1115, (UE) n. 995/2010 e (CE) n. 2173/2005, nonché disporre la conservazione del registro nazionale degli operatori che commercializzano legno e prodotti da esso derivati, di cui al decreto del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali 9 febbraio 2021, anche per il periodo successivo all’abrogazione del regolamento (UE) 995/2010.
Al riguardo, si rappresenta che l’articolo 37 del regolamento EUDR abroga il regolamento (UE) n. 995/2010 con effetto a decorrere dal 30 dicembre 2024 e, allo stesso tempo, stabilisce che il medesimo atto legislativo continui ad applicarsi fino al 31 dicembre 2027, al legno e ai prodotti da esso derivati quali definiti all’articolo 2, lettera a), del regolamento (UE) n. 995/2010 che sono stati prodotti prima del 29 giugno 2023 e immessi sul mercato dal 30 dicembre 2024. Tali prodotti devono tuttavia essere conformi all’articolo 3 del regolamento EUDR, che elenca i requisiti per l’immissione sul mercato dei prodotti interessati dalla disciplina.
Il comma 3 dell’articolo 13 prevede che, ai fini dell’esercizio della delega in esame, i relativi decreti legislativi siano adottati previa intesa in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, ai sensi dell'articolo 3 del decreto legislativo n. 281 del 1997.
Il comma 5 stabilisce infine la clausola di invarianza finanziaria applicabile all’attuazione di tutti i criteri suindicati, a eccezione del criterio previsto dalla lettera h) del comma 2, la cui copertura è stabilita, come già rappresentato nell’ambito dell’illustrazione delle relative disposizioni, dal comma 4 (vedi supra).
Articolo 14
(Delega al Governo per l’adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) 2022/1616 della Commissione, relativo ai materiali e agli oggetti di materia plastica riciclata destinati a venire a contatto con i prodotti alimentari e che abroga il regolamento (CE) n. 282/2008 e determinazione delle tariffe previste per le attività di controllo ufficiale di materiali ed oggetti destinati al contatto con gli alimenti (MOCA) di cui al regolamento UE 2017/625)
L’articolo 14 delega il Governo ad adottare, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della legge in esame, uno o più decreti legislativi per l’adeguamento dell’ordinamento nazionale alle disposizioni e ai compiti specifici imposti dal regolamento (UE) 2022/1616 della Commissione, del 15 settembre 2022, relativo ai materiali e agli oggetti di materia plastica riciclata destinati a venire a contatto con i prodotti alimentari e per la determinazione delle tariffe previste per le attività di controllo ufficiale di materiali ed oggetti destinati al contatto con gli alimenti (MOCA) di cui al regolamento UE 2017/625.
In particolare la delega legislativa in commento mira a semplificare le procedure previste, a livello europeo, in materia di autorizzazione degli stabilimenti di riciclo, al fine di migliorare la qualità, l’efficienza e la trasparenza delle procedure legate agli impianti di riciclo, tenuto conto che, con il regolamento (UE) 2022/1616, è stata aggiornata la disciplina preesistente del settore.
A tale proposito è utile ricordare come il regolamento (UE) 2022/1616 prevede la notifica per l’iscrizione al “Registro dell’Unione” e il controllo degli impianti di riciclo. Al fine di dare applicazione al sopra citato regolamento, l’articolo in esame include, tra i criteri direttivi, un intervento legislativo di semplificazione e miglioramento delle modalità di notifica e di controllo degli impianti di riciclo prevedendo, inoltre, delle specifiche sanzioni per il mancato rispetto della normativa in tema di materiali e oggetti di materia plastica riciclata, destinati a venire a contatto con i prodotti alimentari. Si prevede infine un meccanismo di sanzioni per il mancato rispetto della normativa europea vigente, in caso di violazione degli obblighi imposti in materia di riciclo, modificando l’articolo 9 dell’attuale decreto sanzionatorio in materia di materiali e oggetti destinati al contatto con gli alimenti (decreto legislativo n. 29/2017), per adeguarlo in tal senso, prevedendo apposite sanzioni per la violazione delle disposizioni di cui al regolamento in argomento.
Articolo 15
(Delega al Governo per l’adeguamento al regolamento delegato della Commissione (UE) 2022/1644, del 7 luglio 2022, in tema di controlli ufficiali sull'uso di sostanze farmacologicamente attive, autorizzate come medicinali veterinari o come additivi per mangimi e dei loro residui, e al regolamento di esecuzione della Commissione (UE) 2022/1646, del 23 settembre 2022)
L’articolo 15 dispone circa i criteri e i principi di delega per l’adozione, entro 12 mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, dei decreti di adeguamento della normativa nazionale al Regolamento delegato della Commissione (UE) 2022/1644, che integra il Regolamento (UE) 2017/625 del Parlamento europeo e del Consiglio con prescrizioni specifiche per l'esecuzione dei controlli ufficiali nel settore della sicurezza alimentare e dei mangimi, nonché al Regolamento di esecuzione della Commissione (UE) 2022/1646, del 23 settembre 2022, relativo alle modalità pratiche uniformi di esecuzione dei controlli ufficiali, per quanto riguarda l'uso di sostanze farmacologicamente attive autorizzate come medicinali veterinari o come additivi per mangimi, e dei loro residui, e l'uso di sostanze farmacologicamente attive vietate o non autorizzate e dei loro residui, al contenuto specifico dei piani di controllo nazionali pluriennali e alle modalità specifiche per l'elaborazione degli stessi.
Il comma 1 delega il Governo ad adottare, entro 12 mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi per l’adeguamento della normativa nazionale al Regolamento delegato della Commissione (UE) 2022/1644, del 7 luglio 2022
[12]
e al Regolamento di esecuzione della Commissione (UE) 2022/1646, del 23 settembre 2022
[13]
.
Il regolamento delegato (UE) 2022/1644 della Commissione stabilisce le norme per la serie di campioni e la fase di produzione, trasformazione e distribuzione in cui vanno prelevati i campioni per quanto riguardo l’uso di sostanze farmacologiche attive autorizzate come medicinali veterinari o come additivi per mangimi e l’uso di sostanze farmacologicamente attive vietate o non autorizzate, e dei residui.
Tale regolamento integra il Regolamento (UE) 2017/625 del Parlamento europeo e del Consiglio
[14]
, che disciplina l’esecuzione dei controlli ufficiali e delle altre attività effettuati dalle autorità competenti degli Stati membri, al fine di garantire l’applicazione della legislazione europea sugli alimenti e sui mangimi, nonché delle norme sulla salute, sul benessere degli animali, sulla sanità delle piante e sui prodotti fitosanitari nei territori degli Stati membri.
In particolare, il regolamento (UE) 2017/625 mira a stabilire un quadro armonizzato a livello dell’Unione per l’organizzazione di controlli ufficiali e di altre attività ufficiali nell’intera filiera agroalimentare.
A tal fine, è intervenuto ad abrogare alcuni regolamenti e direttive, tra cui la direttiva 96/23/CE, concernente i controlli ufficiali sui residui di sostanza ad azione farmacologica, di loro prodotti di trasformazione, nonché di altre sostanze trasmissibili ai prodotti animali potenzialmente nocivi per la salute umana, a decorrere dal 14 dicembre 2019.
Tuttavia, nello stabilire le misure transitorie da applicare, l’art. 150 del predetto regolamento prevede che le autorità competenti continuino a svolgere i controlli ufficiali necessari secondo quanto previsto dalla direttiva 96/23/CE, fino al 14 dicembre 2022.
Pertanto, il Regolamento delegato (UE) 2022/1644, per cui il presente articolo delega altresì il Governo a adeguare la normativa nazionale, interviene per garantire la continuità delle disposizioni transitorie stabilite dalla predetta direttiva e si applica a decorrere dal 15 dicembre 2022.
Anche il Regolamento di esecuzione (UE) 2022/1646, per il quale il presente articolo delega altresì il Governo ai fini dell’adeguamento della normativa nazionale, è volto ad assicurare la continuità delle norme stabilite dalla direttiva 96/23/CE e si applica a decorrere dal 15 dicembre 2022.
Invero, il regolamento (UE) 2017/625 nel predisporre le misure transitorie, conseguenti all’abrogazione della direttiva 96/23/CE ha stabilito che fino al 14 dicembre 2022 si continuano ad applicare le disposizioni della predetta direttiva, in materia di frequenza minima dei controlli ufficiali e di misure esecutive specifiche da adottare in caso di non conformità.
Il regolamento di esecuzione introduce, pertanto, disposizioni sulle modalità pratiche uniformi di esecuzione volte a specificare le modalità di controlli ufficiali sulle predette sostanze, dettate dal regolamento delegato 2022/1644.
Contenuto del Regolamento delegato (UE) 2022/1644
Il Regolamento delegato (UE) 2022/1644 integra il Regolamento (UE) 2017/625 con prescrizioni specifiche sull’esecuzione dei controlli ufficiali, sull’uso di sostanze farmacologicamente attive autorizzate e non e sui relativi residui, ai fini della predisposizione dei Piani nazionali di controllo pluriennali.
Si ricorda che la disciplina generale relativa ai Piani di controllo nazionale pluriennali è dettata dal regolamento (UE) 2017/625, sopra richiamato. In particolare, tale regolamento stabilisce che gli Stati Membri definiscano un Piano di Controllo Nazionale Pluriennale – PCNP, che descrive il sistema di controlli ufficiali lungo l'intera filiera alimentare, al fine di verificare la corretta applicazione della legislazione europea, per le seguenti aree:
Tale Piano, preparato con il coordinamento del Ministero della salute – Direzione Generale per l’Igiene e la Sicurezza degli Alimenti e la Nutrizione (DGISAN), è valevole in Italia per il quinquennio 2023/2027, essendo stato oggetto di Intesa Stato-Regioni, sancita nella seduta del 22 marzo 2023 (n.55/CSR), che ne ha approvato la struttura e gli obiettivi strategici.
Più nel dettaglio, il Regolamento (UE) 2022/1644 individua, nell’Allegato I, due gruppi di sostanze che i Piani di sorveglianza per la ricerca dei residui o delle sostanze farmacologiche attive devono considerare:
Nell’Allegato II, specifica i criteri per la selezione di combinazioni specifiche di gruppi di sostanze e gruppi di prodotti per valutare il rischio ai fini della predisposizione dei Piani nazionali di controllo.
L’Allegato III detta i criteri per la strategia di campionamento ai fini dei piani nazionali di controllo della produzione basati sul rischio negli Stati membri.
Sono poi individuati i criteri per la selezione di combinazioni specifiche di gruppi di sostanze e di prodotti, nonché i criteri per la strategia di campionamento ai fini della predisposizione dei Piani nazionali di sorveglianza della produzione randomizzati da parte degli Stati membri (All. IV e V).
Infine, sono dettati i criteri per la selezione di combinazioni specifiche di gruppi di sostanze e gruppi di prodotti, nonché la strategia di campionamento da seguire ai fini dei Piani nazionali di controllo delle importazioni da Paesi.
Contenuto del Regolamento di esecuzione (UE) 2022/1646
Il Regolamento di esecuzione (UE) 2022/1646 stabilisce ulteriori criteri per la determinazione del contenuto del Piano di Controllo Nazionale Pluriennale negli Stati Membri.
Tale Regolamento stabilisce, in primo luogo, la frequenza minima di campionamento annuale uniforme nell’ambito dei controlli ufficiali, tenendo conto dei pericoli e dei rischi connessi alle sostanze ad azione farmacologica, di loro prodotti di trasformazione, nonché di altre sostanze trasmissibili ai prodotti animali e che possono essere nocivi per la salute umana.
In secondo luogo, detta le modalità specifiche aggiuntive e contenuti specifici ulteriori rispetto a quelli previsti dal regolamento (UE) 2017/625 per la predisposizione dei Piani di controllo nazionali pluriennali (PCNP) degli Stati membri.
Innanzitutto tali Piani devono prevedere:
a)
un Piano nazionale di controllo della produzione basato sul rischio per le sostanze dei gruppi A e B di cui all’allegato I del regolamento delegato (UE) 2022/1644;
b)
b) un Piano nazionale di sorveglianza della produzione randomizzato per il controllo della produzione negli Stati membri, che garantisce un monitoraggio casuale per un’ampia gamma di sostanze;
c)
c) un Piano nazionale di controllo delle importazioni da Paesi terzi basato sul rischio, relativo agli animali destinati alla produzione di alimenti e i prodotti di origine animale che entrano nell’Unione e sono destinati all’immissione sul mercato dell’Unione attraverso i loro posti di controllo frontalieri e altri punti di ingresso.
I Piani di controllo nazionali basati sul rischio e quelli di sorveglianza randomizzati devono essere trasmessi entro il 31 marzo di ogni anno alla Commissione europea, che li valuta ed esprime osservazioni entro i quattro mesi successivi. La Commissione valuta tali Piani sulla base del presente regolamento e del regolamento delegato (UE) 2022/1644 e comunica la sua valutazione, corredata di osservazioni o raccomandazioni, se necessario, a ciascuno Stato membro entro quattro mesi dal ricevimento dei piani.
Entro il 31 marzo dell’anno successivo gli Stati membri trasmettono alla Commissione versioni aggiornate dei rispettivi piani, indicando in che modo si è tenuto conto delle osservazioni della Commissione. Uno Stato membro motiva la propria posizione qualora decida di non aggiornare i propri piani di controllo sulla base delle osservazioni della Commissione.
Se la Commissione ritiene che i piani compromettano l’efficacia dei controlli ufficiali, le versioni aggiornate dei piani in questione sono presentate prima, su richiesta della Commissione ed entro un termine ragionevole da essa fissato. Entro il 30 giugno di ogni anno gli Stati membri trasmettono all’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA) tutti i dati dell’anno precedente raccolti nell’ambito dei piani di controllo previsti all’interno del PNCP, compresi i risultati conformi dei metodi di screening per i quali non sono state effettuate analisi di conferma. Entro il 31 agosto di ogni anno ogni lo Stato membro deve completare la convalida, il riesame e l’accettazione definitiva dei dati nelle banche dati e piattaforme dell’EFSA.
Il comma 2 detta il seguente criterio specifico di delega, oltre a richiamare quelli generali per l’attuazione del diritto dell’Unione europea
[15]
:
in base alla lett. a): adeguare e raccordare le disposizioni nazionali vigenti in materia di controlli sia sull’uso di sostanze farmacologicamente attive nelle produzioni animali, sia dei residui delle medesime sostanze negli alimenti, alle disposizioni dei regolamenti (UE) 2022/1644 e (UE) 2022/1646, con abrogazione espressa delle norme nazionali incompatibili e mediante coordinamento e riordino di quelle residue.
Il comma 3 stabilisce che dall’attuazione delle presenti disposizioni non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. L’Amministrazione interessata è tenuta a porre in essere gli adempimenti derivanti dall’esercizio della presente delega con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.
Articolo 16
(Delega al Governo per l’adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) 2023/1542 del Parlamento europeo e del Consiglio del 12 luglio 2023 relativo alle batterie e ai rifiuti di batterie, che modifica la direttiva 2008/98/CE e il regolamento (UE) 2019/1020 e abroga la direttiva 2006/66/CE)
L’articolo 16 conferisce al Governo la delega ad adottare, entro quattro mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi per l’adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento europeo 2023/1542, che dispone su batterie e rifiuti di batterie, in base a specifici principi e criteri direttivi per l’esercizio della delega in esame. Viene altresì stabilito che l’adozione dei decreti legislativi sia effettuata previa acquisizione del parere della Conferenza unificata.
Il comma 1 conferisce al Governo la delega ad adottare, entro quattro mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi per l’adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento europeo 2023/1542 sulle batterie e i rifiuti di batterie (vedi box infra).
Il comma 2 individua, in aggiunta ai princìpi e criteri direttivi generali previsti all’articolo 32 della legge 234/2012, anche i seguenti princìpi e criteri direttivi specifici:
· ridefinire gli obiettivi di raccolta, riciclo e recupero dei rifiuti di batterie, sulla base della nuova classificazione prevista dal regolamento (lett. a);
· adeguare lo schema di responsabilità estesa del produttore alle nuove disposizioni previste dal regolamento, disciplinando i sistemi collettivi e individuali di gestione dei rifiuti di pile e batterie, attraverso la definizione di uno statuto tipo e delle modalità di riconoscimento degli stessi (lett. b);
· prevedere forme di garanzia finanziaria per la gestione del fine vita dei prodotti (lett. c);
· regolamentare le attività di gestione del prodotto, prevedendo modalità per il corretto riutilizzo, il cambio di destinazione e la rifabbricazione delle batterie, nonché le attività di gestione dei relativi rifiuti (lett. d);
· prevedere modalità per il conferimento dei rifiuti di batterie, nonché per le relative operazioni di raccolta (lett. e);
· individuare un’autorità competente, responsabile del rispetto degli obblighi di cui al regolamento, e definire le modalità organizzative e di funzionamento della stessa, anche al fine di razionalizzare ed efficientare i sistemi di coordinamento esistenti (lett. f);
· adeguare la disciplina relativa al registro nazionale dei produttori di pile e accumulatori alle disposizioni previste dal regolamento, con particolare riferimento agli obblighi inerenti alla responsabilità estesa del produttore (lett. g);
· individuare gli organismi di valutazione della conformità e la relativa autorità di notifica, secondo quanto previsto dal regolamento, nel rispetto della competenza esclusiva in materia di prevenzione incendi del Ministero dell’interno, per il tramite del Dipartimento dei vigili del fuoco, del soccorso pubblico e della difesa civile (lett. h);
· apportare le modifiche necessarie al D. Lgs. 188/2008 di attuazione della direttiva 2006/66 in materia di smaltimento di pile, accumulatori e relativi rifiuti, in considerazione delle disposizioni in materia di vigilanza del mercato previste al regolamento 2019/1020 e al relativo D. Lgs. 157/2022 (lett. i);
· prevedere misure volte ad assicurare il rispetto degli obblighi in materia di due diligence, per assicurare l’individuazione, la prevenzione e la gestione dei rischi effettivi e potenziali legati all’approvvigionamento, alla lavorazione e all’immissione in commercio delle batterie (lett. l);
· adeguare il sistema sanzionatorio vigente, attraverso la previsione di sanzioni amministrative efficaci, dissuasive e proporzionate alla gravità delle violazioni delle disposizioni del regolamento (lett. m);
· prevedere criteri di aggiudicazione per gli acquisti pubblici verdi di batterie o prodotti in cui sono incorporate batterie, per garantire che gli stessi abbiano un impatto ambientale minimo durante il loro ciclo di vita (lett. n):
· prevedere disposizioni in tema di proventi e tariffe per le attività connesse all’attuazione del regolamento, determinate sulla base del costo effettivo del servizio, nonché dei termini e delle modalità di versamento delle medesime ad appositi capitoli dell’entrata per la successiva riassegnazione (lett. o);
· aggiornare gli allegati al D. Lgs. 157/2022, di adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento 2019/1020, al fine di tenere conto delle competenze in materia di vigilanza del mercato previste dal regolamento (lett. p.).
Il comma 3 prevede l’adozione dei decreti legislativi previa acquisizione del parere della Conferenza unificata.
Il comma 4 prescrive la clausola di invarianza finanziaria, disponendo che dall'attuazione del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, nonché che le amministrazioni interessate provvedono all'adempimento dei compiti derivanti dall'esercizio della delega in questione con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.
Il regolamento UE 2023/1542, entrato in vigore il 17 agosto 2023, con applicazione prevista a decorrere dal 18 febbraio 2024 (salvo che per alcune specifiche norme), modifica la direttiva 2008/98/CE sulla gestione dei rifiuti e il regolamento (UE) 2019/1020 relativo alla vigilanza del mercato e alla conformità dei prodotti, abrogando dal 18 agosto 2025 la direttiva 2006/66/CE sullo smaltimento delle pile usate.
L’obiettivo del regolamento è duplice. Da un lato, esso mira a diminuire le emissioni di anidride carbonica, l’uso di sostanze inquinanti, l’uso e l’importazione di materie prime vergini, incrementando il riciclo delle stesse, nell’ottica dell’economia circolare. Il secondo obiettivo è invece assicurare la sicurezza degli approvvigionamenti di materie prime ed energia, al fine di aumentare l’autonomia e la competitività dell’Unione Europea.
Il regolamento si applica a tutte le batterie (comprese batterie portatili, batterie per i veicoli elettrici, batterie industriali, batterie per l’avviamento, l’illuminazione e l’accensione di macchine e quelle per mezzi di trasporto leggeri).
Esso stabilisce obiettivi di raccolta per i diversi tipi di batterie, da realizzarsi in scadenze tra il 2023 e il 2031, così come obiettivi di recupero delle materie prime, livelli minimi di contenuto riciclato, obiettivi di efficienza per il riciclaggio e il requisito di sostituibilità delle batterie portatili da parte dell’utente finale (o da professionisti indipendenti, per i veicoli di trasporto leggeri).
Il regolamento, inoltre, prescrive requisiti di sicurezza, sostenibilità ed etichettatura, con entrata in vigore, a seconda dei casi, tra il 2025 e il 2027.
Il regolamento include i criteri di prestazione, durabilità e sicurezza che riguardano le restrizioni sulle sostanze pericolose come il mercurio, il cadmio e il piombo, nonché le informazioni obbligatorie sull’impronta di carbonio delle batterie.
Le informazioni e l’etichettatura riguardanti questioni quali i componenti delle batterie e il contenuto riciclato saranno richieste sotto forma di codice QR, mentre per le batterie dei mezzi di trasporto leggeri, industriali e dei veicoli elettrici, sarà necessario un «passaporto delle batterie». I requisiti in materia di etichettatura si applicano a partire dal 2026 e il codice QR dal 2027.
Direttiva (UE) 2023/1791
(del Parlamento europeo e del Consiglio del 13 settembre 2023 sull'efficienza energetica e che modifica il regolamento (UE) 2023/955) (rifusione)
La direttiva (UE) 2023/1791 novella e rifonde la direttiva 2012/27/UE sull’efficienza energetica, già oggetto di numerose precedenti modifiche.
In particolare, la direttiva in esame aumenta l’obiettivo di efficienza energetica al 2030, fissando un obiettivo vincolante di riduzione a livello dell’UE dell'11,7%, rispetto alle proiezioni dello scenario di riferimento dell'UE del 2020. Ciò corrisponde ad una riduzione del 40,5 % del consumo di energia primaria e del 38 % del consumo di energia finale rispetto alle proiezioni dello scenario di riferimento UE 2007 per il 2030. Fissa quindi il consumo energetico complessivo massimo dell’UE entro il 2030 a 992,5 Mtep (milioni di tonnellate equivalenti di petrolio) per l'energia primaria e a 763 Mtep per l'energia finale. Per raggiungere l’obiettivo dell’UE gli Stati membri dovranno fissare dei contributi nazionali indicativi, introducendo, in caso di ritardi, un meccanismo rafforzato per colmare i divari attivato dalla Commissione europea. La direttiva impone inoltre un obiettivo annuale di riduzione del consumo di energia dell’1,9 % per il settore pubblico nel suo insieme rispetto al 2021 ed estende l’obbligo di ristrutturazione annuale degli edifici del 3% a tutti i livelli della pubblica amministrazione. Aumenta poi gli obblighi annuali di risparmio energetico degli Stati membri nell’uso finale per il periodo 2021-2030. Tali obblighi prevedono un risparmio che va dallo 0,8% per il periodo 2021-2030 all’1,9% per il periodo 2028-2030. La direttiva fissa poi ulteriori obblighi per gli Stati membri che dovranno: incentivare le imprese ad essere più efficienti sotto il profilo energetico, imporre ai centri dati di pubblicare informazioni sulla loro prestazione energetica, promuovere piani locali di riscaldamento e raffreddamento nei centri urbani con popolazione superiore ai 45 mila abitanti, promuovere finanziamenti innovativi e prestiti verdi per l’efficienza energetica, applicare misure di miglioramento dell’efficienza energetica presso i clienti vulnerabili. La direttiva rivista pone infatti un'attenzione maggiore all'alleviamento della povertà energetica, di cui, tra l’altro, fornisce una nuova definizione. Modifica inoltre la definizione di teleriscaldamento e teleraffrescamento efficiente al fine di garantire una fornitura di teleriscaldamento e teleraffrescamento completamente decarbonizzata entro il 2050.
Infine, modifica regolamento (UE) 2023/95 che istituisce il Fondo sociale per il clima alla luce della nuova definizione di povertà energetica.
La direttiva in esame modifica, rifondendola, la direttiva 2012/27/UE sull’efficienza energetica in linea con i nuovi obiettivi stabiliti dal Green Deal europeo e dal relativo Piano climatico, nonché dal piano Repower EU.
La direttiva 2012/27/UE sull’efficienza energetica mirava a migliorare l’efficienza energetica del 20% entro il 2020 e del 32,5% entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990 e prevedeva l’obbligo per tutti gli Stati membri dell’Unione di fissare obiettivi nazionali di efficienza energetica per raggiungere tale obiettivo; promuoveva il principio dell’”efficienza energetica al primo posto” in tutta l’Unione attraverso misure comuni che riguardavano ogni fase della catena dell’energia. Nel dicembre 2019 la Commissione europea ha presentato il Green Deal, la strategia di crescita dell’UE volta a raggiungere la neutralità climatica entro il 2050, innalzando l’obiettivo di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra dal 40% ad almeno il 55% entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990. La direttiva in esame fa parte del pacchetto “Pronti per il 55%”, un insieme di norme volte a preparare tutti i settori dell'economia dell'UE agli obiettivi del Green Deal. Il piano Repower EU, adottato a seguito al conflitto russo-ucraino, ha stabilito misure per ridurre la dipendenza energetica dell’UE dalle importazioni di combustibili fossili provenienti dalla Russia, fissando, tra l’altro, nuovi obiettivi di risparmio energetico.
La direttiva in oggetto aumenta gli obiettivi di efficienza energetica dell’UE fissando un obiettivo vincolante di riduzione del consumo di energia primaria e finale a livello dell'UE dell'11,7% entro il 2030, rispetto alle precedenti previsioni. Ciò equivale ad obiettivi di efficienza energetica che prevedono una riduzione del 40,5% per il consumo di energia primaria e del 38% per il consumo di energia finale rispetto allo scenario di riferimento del 2007 utilizzato in precedenza. In termini assoluti, il consumo di energia primaria e di energia finale dell'UE entro il 2030 non dovrà superare, rispettivamente, i 992,5 Mtep e i 763 Mtep (milioni di tonnellate equivalenti di petrolio). Al fine di conseguire l’obiettivo di efficienza energetica dell’Unione, la direttiva impone agli Stati membri dell'UE di fissare contributi nazionali indicativi di efficienza energetica sulla base di una combinazione di criteri oggettivi che riflettono le circostanze nazionali. Se gli Stati membri non raggiungono gli obiettivi dell’UE, viene attivato dalla Commissione europea un meccanismo per colmare i divari (articolo 4).
La direttiva introduce l'obbligo per il settore pubblico (amministrazione, trasporti, istruzione, servizi sanitari, illuminazione stradale, ecc) di svolgere un ruolo esemplare: gli enti pubblici dell'UE sono tenuti a ridurre il loro consumo complessivo di energia finale di almeno l'1,9% l'anno rispetto al 2021 e garantire ogni anno la ristrutturazione di almeno il 3% della superficie coperta totale dei loro edifici riscaldati e/o raffrescati (articoli 5 e 6). Negli appalti pubblici di prodotti, servizi, edifici e lavori gli enti pubblici dovranno tenere sistematicamente conto dei requisiti di efficienza energetica (articolo 7).
La direttiva introduce inoltre per gli Stati membri nuovi obblighi di risparmio energetico nell’uso finale per l’intero periodo di obbligo dal 2021 al 2030, equivalente a un nuovo risparmio annuo di almeno:
• lo 0,8 % del consumo di energia finale nel 2021-2023;
• l’1,3 % nel 2024-2025;
• l’1,5 % nel 2026-2027;
• l’1,9 % nel 2028-2030 (articolo 8).
Gli Stati membri avranno inoltre ulteriori obblighi, quali quello di incentivare le imprese ad essere più efficienti sotto il profilo energetico. In primo luogo, per i grandi consumatori di energia i sistemi di gestione dell'energia saranno la regola; tutte le imprese, comprese le PMI con un consumo energetico annuo superiore a 85 TJ (tetrajoule), dovranno predisporre e applicare un sistema di gestione dell'energia. In caso contrario, saranno sottoposte a un audit energetico (se il loro consumo annuo supera i 10 TJ) (articolo 11).
Gli Stati membri dovranno inoltre imporre ai centri dati di pubblicare informazioni sulla loro prestazione energetica e sostenibilità. La Commissione europea è incaricata di istituire una banca dati dell'UE contenente tali informazioni in forma aggregata (articolo 12).
La direttiva prevede inoltre che gli Stati membri promuovano piani locali di riscaldamento e raffrescamento nei centri urbani con una popolazione superiore a 45 mila abitanti (articolo 25). Rivede la definizione di sistemi di teleriscaldamento efficienti e fissa nuovi requisiti per la completa decarbonizzazione dell'approvvigionamento per tali sistemi entro il 2050 (articolo 26).
Conformemente a quanto disposto dalla direttiva, la Commissione valuta gli attuali partenariati per l'efficienza energetica e, se necessario, ne propone di nuovi per settori specifici a livello dell'UE (articolo 23).
In materia di finanziamento dell'efficienza energetica gli Stati membri saranno tenuti a promuovere regimi di finanziamento innovativi e prestiti verdi per l'efficienza energetica, garantendone l'offerta ampia e non discriminatoria da parte degli istituti finanziari. Dovranno inoltre riferire in merito al volume di tali investimenti (articolo 30).
La direttiva comprende disposizioni in materia di protezione dei consumatori, definisce per la prima volta la povertà energetica a livello dell'UE e introduce misure per ridurla. Le norme rivedute mettono maggiormente in evidenza la riduzione della povertà energetica e la responsabilizzazione dei consumatori, anche con la creazione di sportelli unici per l'assistenza tecnica e finanziaria e di meccanismi extragiudiziali per la risoluzione delle controversie, fissano requisiti più stringenti per gli Stati membri al fine di sensibilizzare e fornire informazioni sull’efficienza energetica (articoli 21 e 22). Inoltre gli Stati dovranno in via prioritaria applicare misure di miglioramento dell'efficienza energetica presso le persone in condizioni di povertà energetica, i clienti vulnerabili, le famiglie a basso reddito e le persone che vivono negli alloggi sociali (articolo 24).
Infine, viene modificato il regolamento (UE) 2023/955 che istituisce il Fondo sociale per il clima, conformemente alla nuova definizione di povertà energetica (articolo 37).
La direttiva dovrà essere recepita entro l’11 ottobre 2025, tranne alcuni articoli specificati (articolo 36).
Direttiva (UE) 2023/2226
(del Consiglio del 17 ottobre 2023 recante modifica della direttiva 2011/16/UE, relativa alla cooperazione amministrativa nel settore fiscale)
La direttiva UE 2023/2226 (c.d. DAC8) modifica la vigente normativa europea in materia di cooperazione amministrativa nel settore fiscale, con particolare riguardo alla comunicazione e allo scambio automatico di informazioni sui proventi delle operazioni in cripto-attività, sugli accordi fiscali anticipati per i soggetti privati più facoltosi (c.d. high-net-worth), nonché sui dividendi su conti non di custodia.
La direttiva UE n. 2023/2226, entrata in vigore il 13 novembre 2023, ha ampliato la portata della cooperazione amministrativa nel settore fiscale, sistema introdotto dal legislatore europeo con la direttiva UE n. 2011/16 (c.d. DAC1), con il precipuo scopo di potenziare il flusso di informazioni tra le autorità competenti degli Stati membri in un’ottica di maggiore trasparenza ai fini della lotta alla frode, all’evasione e all’elusione fiscali.
Il termine di recepimento della direttiva in esame è fissato al 31 dicembre 2025.
La cooperazione amministrativa nel settore fiscale rappresenta il sistema mediante il quale le autorità fiscali nazionali degli Stati membri dell’Unione europea condividono flussi informativi aventi ad oggetto dati rilevanti ai fini fiscali, volto al contrasto dei fenomeni di evasione ed elusione fiscale a livello transnazionale, nonché della pianificazione fiscale aggressiva finalizzata al trasferimento degli utili in giurisdizioni con livello impositivo più favorevole.
Siffatta cooperazione tra gli Stati membri dell’Unione europea svolge un ruolo nevralgico nel processo d’integrazione europea, in quanto estrinsecazione del principio generale di leale collaborazione tra gli Stati membri, nonché tra essi e le istituzioni europee.
Nel settore della fiscalità, tale cooperazione si esplica, da un lato, nello scambio reciproco di informazioni circa la condotta fiscale dei contribuenti, dall’altro, nella mutua assistenza in materia di riscossione delle imposte tra gli Stati membri.
Il sistema della cooperazione amministrativa nel settore fiscale è disciplinato dalla direttiva UE n. 2011/16 (c.d. DAC1), la quale definisce le regole e le procedure per lo scambio di informazioni ai fini fiscali.
La direttiva si applica a tutte le imposte, tranne che: all'IVA, ai dazi doganali o alle accise contemplate da altre normative UE in materia di cooperazione amministrativa fra paesi UE; ai contributi previdenziali obbligatori dovuti al paese UE; diritti quali quelli per certificati e altri documenti rilasciati da autorità pubbliche; tasse di natura contrattuale, quale corrispettivo per pubblici servizi.
La suddetta direttiva è stata più volte oggetto di modifica, da ultimo con la direttiva UE n. 2021/514 (c.d. DAC7), con la finalità di estendere gradualmente l’ambito di applicazione dello scambio di informazioni nel settore fiscale. Essa è stata recepita nell’ordinamento giuridico italiano, principalmente, con il decreto legislativo, 4 marzo 2014, n. 29.
Specificamente, la predetta direttiva prevede tre tipologie di scambi informativi:
a) scambio di informazioni su richiesta, fondato su una richiesta effettuata da uno Stato membro richiedente a un altro Stato membro interpellato che deve trasmettere le informazioni pertinenti in suo possesso o quelle che ottiene da indagini amministrative;
b) scambio automatico che prevede un flusso informativo sistematico e periodico, senza sollecitazione preventiva, tra Stati membri e su un insieme predeterminato di redditi e di capitali. L’autorità competente di ciascuno Stato membro comunica all’autorità competente di qualsiasi altro Strato membro, mediante scambio automatico, tutte le informazioni disponibili riguardanti i residenti di tale altro Stato membro;
c) scambio spontaneo che avviene in via occasionale e spontanea, al ricorrere di specifiche condizioni.
Sono soggette all’obbligo di scambio automatico le informazioni concernenti specifiche categorie di reddito e di capitale (redditi da lavoro, compensi per dirigenti, prodotti di assicurazione sulla vita non contemplati in altri strumenti giuridici dell'Unione europea sullo scambio di informazioni e misure analoghe, pensioni, proprietà e redditi immobiliari) individuate secondo la legislazione dello Stato membro che comunica le informazioni. La comunicazione di tali informazioni ha luogo almeno una volta all’anno, entro i sei mesi successivi al termine dell’anno fiscale dello Stato membro durante il quale le informazioni sono state rese disponibili, attraverso la rete CCN (rete comune di comunicazione, ai sensi degli articoli 1 e 21 della DAC1) e sull’interfaccia sviluppata dall'Unione (CSI).
La direttiva ha previsto che è compito dell'autorità competente designare un ufficio centrale unico di collegamento, responsabile dei contatti con altri paesi UE nel settore della cooperazione amministrativa e che può essere responsabile dei contatti con la Commissione.
Il 17 giugno 2011 la Commissione ha pubblicato sulla Gazzetta ufficiale l'elenco delle autorità nazionali competenti per ciascuno dei paesi UE; Per l'Italia si tratta del Direttore generale delle Finanze.
Con riferimento alle attività di controllo la direttiva prevede che, per procurarsi le informazioni richieste o condurre l'indagine amministrativa richiesta, l'autorità deve procedere come se agisse per conto proprio o su richiesta di un'altra autorità del proprio Paese. In particolare, i paesi UE non possono rifiutare di fornire le informazioni soltanto perché esse sono detenute da una banca o da altri tipi di istituto finanziario. L’autorità interpellata deve confermare il ricevimento della richiesta entro sette giorni lavorativi e quindi fornire le informazioni al più presto e comunque entro sei mesi dalla data di ricevimento della richiesta. Tuttavia, se le informazioni sono già in possesso dell'autorità interpellata, queste devono essere fornite entro due mesi da tale data.
La direttiva ha altresì descritto l'ambito di applicazione e le condizioni dello scambio automatico obbligatorio di informazioni; in particolare, l'autorità competente di ciascuno Stato membro comunica all'autorità competente di qualsiasi altro Stato membro, mediante scambio automatico, le informazioni disponibili sui periodi d'imposta a partire dal 1° gennaio 2014, riguardanti i residenti in quest'ultimo Stato membro, su categorie specifiche di reddito e di capitale.
È inoltre previsto che entro il 1° gennaio 2014 gli Stati membri comunichino alla Commissione europea le categorie di reddito sulle quali dispongono di informazioni, nonché ogni successiva modifica delle stesse. Le categorie di reddito e di capitale sono le seguenti: redditi da lavoro; compensi per dirigenti; prodotti di assicurazione sulla vita non contemplati in altri strumenti giuridici UE sullo scambio di informazioni e altre misure analoghe; pensioni; proprietà e redditi immobiliari.
Per procurarsi le informazioni richieste o condurre l'indagine amministrativa richiesta, l'autorità deve procedere come se agisse per conto proprio o su richiesta di un'altra autorità del proprio paese UE. In particolare, i paesi UE non possono rifiutare di fornire le informazioni soltanto perché esse sono detenute da una banca o da altri tipi di istituto finanziario. L'autorità interpellata deve confermare il ricevimento della richiesta entro sette giorni lavorativi e quindi fornire le informazioni al più presto e comunque entro sei mesi dalla data di ricevimento della richiesta. Tuttavia, se le informazioni sono già in possesso dell'autorità interpellata, queste devono essere fornite entro due mesi da tale data.
La direttiva ha altresì descritto l'ambito di applicazione e le condizioni dello scambio automatico obbligatorio di informazioni; in particolare, l'autorità competente di ciascuno Stato membro comunica all'autorità competente di qualsiasi altro Stato membro, mediante scambio automatico, le informazioni disponibili sui periodi d'imposta a partire dal 1° gennaio 2014, riguardanti i residenti in quest'ultimo Stato membro, su categorie specifiche di reddito e di capitale.
È inoltre previsto che entro il 1° gennaio 2014 gli Stati membri comunichino alla Commissione europea le categorie di reddito sulle quali dispongono di informazioni, nonché ogni successiva modifica delle stesse. Sulla tipologia di redditi, anche alla luce delle modifiche introdotte dalla direttiva in commento, vedi ultra.
Come si evince dai considerando, lo scambio di informazioni tra le autorità fiscali assume fondamentale importanza nella lotta contro evasione ed elusione fiscale a livello transnazionale, nonché con riferimento alla pianificazione fiscale aggressiva.
Tale flusso informativo assume ancor più rilevanza alla luce dello sviluppo del mercato delle cripto-attività negli ultimi anni.
A tal proposito, la diffusione dei mezzi di pagamento e di investimento alternativi, come ad esempio le cripto-attività e la moneta elettronica, innalza il rischio di evasione fiscale, risultando più complesse la rintracciabilità e l’individuazione dei fatti generatori dell’obbligazione tributaria da parte delle amministrazioni fiscali, specialmente in caso di negoziazioni per mezzo di prestatori di servizi o gestori di cripto-attività situati in altro paese oppure tra persone fisiche o enti stabiliti in un’altra giurisdizione. Ne consegue che la natura decentrata delle cripto-attività ha reso difficile per le amministrazioni fiscali degli Stati membri garantire il rispetto degli obblighi fiscali, con conseguente diminuzione del gettito fiscale degli Stati membri.
Tuttavia, le cripto-attività non sono soggette all’obbligo di comunicazione ai sensi della direttiva UE n. 2011/16 (c.d. DAC1), in quanto non costituiscono denaro detenuto in conti di deposito o in attività finanziarie, nonostante la loro intrinseca natura transfrontaliera postuli una intensa cooperazione amministrativa a livello internazionale ai fini di una riscossione efficace delle imposte.
Di conseguenza, stante il crescente ricorso a mezzi alternativi di pagamento e di investimento, non disciplinati dalla direttiva DAC1, si è ritenuto necessario rafforzare l’impianto normativo esistente e, dunque, estendere le norme in materia di comunicazione e scambio di informazioni anche alle cripto-attività e ai loro utenti, con lo scopo di sostenere gli Stati membri nelle sfide poste dalla digitalizzazione dell’economia, fornendo loro degli strumenti efficaci alla lotta ai fenomeni di frode, elusione o non tassazione dei proventi conseguiti dalla cessione o dalla detenzione di cripto-attività.
Pertanto, la direttiva in esame estende, a partire dal 1° gennaio 2026, l’obbligo di comunicazione e di scambio automatico di informazioni tra gli Stati membri anche ai proventi delle operazioni in cripto-attività e moneta elettronica, ai ruling fiscali preventivi conclusi con i soggetti privati più facoltosi, nonché ai dividendi su conti non di custodia.
A tal fine, viene modificata la direttiva UE n. 2011/16 relativa alla cooperazione amministrativa nel settore fiscale.
In sintesi, con il nuovo articolo 8, paragrafo 1, della direttiva UE n. 2011/16 si estende l’obbligo di scambio automatico di informazioni tra Stati membri anche ai redditi da dividendi su conti non di custodia.
Per redditi da dividendi su conti non di custodia si intendono, ai sensi dell’articolo 3 della direttiva medesima, i dividendi o gli altri redditi considerati dividendi nello Stato membro del soggetto pagante che sono versati o accreditati su un conto diverso da un conto di custodia, ossia un conto che detiene una o più attività finanziarie a beneficio di un’altra persona.
Inoltre, si evidenzia che, antecedentemente alla modifica, l’articolo 8, paragrafo 1, assoggettava a scambio obbligatorio tra autorità fiscali di Stati membri diversi le informazioni concernenti le seguenti categorie di reddito e di capitali:
a) redditi da lavoro dipendente;
b) compensi per dirigenti;
c) prodotti di assicurazione sulla vita non contemplati in altri strumenti giuridici dell’Unione sullo scambio di informazioni e altre misure analoghe;
d) pensioni;
e) proprietà e redditi immobiliari;
f) canoni.
Si prevede che anteriormente al 1° gennaio 2026, gli Stati membri notifichino alla Commissione almeno cinque delle categorie sopra elencate (comprensive di quelle introdotte dalle modifiche all’articolo 8 previste dalla direttiva in commento) per le quali l'autorità competente di ciascuno Stato membro comunica all'autorità competente di ogni altro Stato membro, mediante scambio automatico, le informazioni relative ai residenti di tale altro Stato membro. Le informazioni riguardano i periodi d'imposta a partire dal 1°gennaio 2026 o successivi.
Con le modifiche all’articolo 8-bis si include nel sistema di scambio automatico obbligatorio anche le informazioni concernenti i ruling preventivi transfrontalieri e gli accordi preventivi su prezzi di trasferimenti riguardanti individui ad alto patrimonio netto, emanati, modificati o rinnovati dopo il 1° gennaio 2026, laddove ricorra alternativamente una delle seguenti condizioni:
§
l’importo dell’operazione o della serie di operazioni del ruling sia superiore a un milione e mezzo di euro (o a importo equivalente in altra valuta);
§
il ruling determini se una persona è o meno residente a fini fiscali nello Stato membro che emette il ruling stesso.
In merito, la definizione di ruling preventivo transfrontaliero e di accordo preventivo sui prezzi di trasferimento è fornita dall’articolo 3 della direttiva UE n. 2011/16, ossia un accordo, una comunicazione o qualsiasi altro strumento o azione con effetti simili, anche emanato, modificato o rinnovato nel contesto di una verifica fiscale. La relativa procedura, disciplinata dall’articolo 31 del decreto del Presidente della Repubblica, 29 settembre 1973, n. 600, si svolge in contraddittorio tra amministrazione finanziaria e contribuente e mira al raggiungimento di un accordo avente ad oggetto operazioni di carattere transnazionale in determinati ambiti.
Viene, altresì, inserito l’articolo 8-bis quinquies che disciplina lo scambio automatico obbligatorio tra autorità fiscali delle informazioni trasmesse dai prestatori di servizi per le cripto-attività con obbligo di comunicazione.
Si rammenta che la direttiva in esame definisce prestatore di servizi per le cripto-attività con obbligo di comunicazione un prestatore di servizi per le cripto-attività o un gestore di cripto-attività che effettua uno o più servizi per le cripto-attività che consentono agli utenti oggetto di comunicazione di finalizzare una operazione di scambio.
Nello specifico, l’ambito di applicazione soggettivo della suddetta disposizione concerne sia i prestatori di servizi per le cripto-attività regolamentati e autorizzati a norma del Regolamento (UE) n. 2023/1114 sia i gestori di cripto-attività che non lo sono. Entrambi sono denominati prestatori di servizi per le cripto-attività con obbligo di comunicazione, in quanto sono tenuti a effettuare la comunicazione ai sensi della presente direttiva.
L’ambito di applicazione oggettivo, invece, include qualsivoglia operazione di scambio nonché trasferimento di cripto-attività oggetto di comunicazione, incluse le cripto-attività emesse in modo decentrato, gli stablecoin, compresi i token di moneta elettronica, e alcuni token non fungibili (NFT).
Il sistema di scambio informativo obbligatorio dei proventi delle operazioni in cripto-attività consta di tre fasi:
§
procedura di adeguata verifica in materia fiscale, con cui i suddetti prestatori di servizi provvedono alla raccolta e alla verifica delle informazioni sugli utenti di cripto-attività al fine di individuare gli utenti oggetto di comunicazione;
§
trasmissione all’autorità competente delle informazioni raccolte e verificate dal prestatore di servizi;
§
scambio automatico di informazioni tra autorità competenti, con cui le stesse sono comunicate dall’autorità competente dello Stato membro che le ha ricevute all’autorità competente dello Stato membro interessato entro i nove mesi successivi alla fine dell’anno civile a cui si riferiscono gli obblighi di comunicazione applicabili ai prestatori di servizi per le cripto-attività con obbligo di comunicazione.
Si segnala che, ai fini della presente direttiva, per utente di cripto-attività si intende una persona fisica o un’entità cliente di un prestatore di servizi per le cripto-attività con obbligo di comunicazione ai fini dell’esecuzione di operazioni oggetto di comunicazione.
Peraltro, sono soggette all’obbligo di comunicazione a norma della direttiva in commento le cripto-attività utilizzabili ai fini di pagamento o di investimento. Pertanto, i sopracitati prestatori di servizi devono valutare caso per caso se le cripto-attività possano essere utilizzate in tal senso.
A tal proposito, come emerge dai considerando, il corretto funzionamento del mercato interno postula una comunicazione efficiente, semplice e definita. Ne deriva che, essendo gli eventi imponibili riferiti agli investimenti in cripto-attività difficilmente identificabili, i prestatori di servizi per le cripto-attività con obbligo di comunicazione sono ritenuti i soggetti più idonei a garantire il funzionamento del sistema; essi, infatti, sono nella posizione migliore per raccogliere e verificare le necessarie informazioni sui loro utenti.
In materia di utilizzo delle informazioni, l’articolo 16, paragrafo 2, come modificato, consente all’autorità competente alla quale sono pervenute le informazioni di utilizzarle, senza previa autorizzazione, per qualsiasi fine previsto da un atto adottato a norma dell’articolo 125 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea.
In ambito sanzionatorio, l’articolo 25-bis, come novellato, dispone che gli Stati membri a stabilire le norme relative alle sanzioni applicabili in caso di violazione delle disposizioni nazionali adottate a norma della direttiva UE n. 2011/16, concernenti gli articoli da 8-bis bis a 8-bis quinquies (includendo quindi le nuove ipotesi previste da quest’ultima disposizione). Le sanzioni devono essere rispondenti ai principi di effettività, proporzionalità e di deterrenza.
Infine, viene inserito il nuovo articolo 27-quater con cui si richiede a ciascun Stato membro di provvedere affinché il numero di identificazione fiscale (NIF) delle persone fisiche o delle entità segnalate, rilasciato dallo Stato membro di residenza, sia incluso nella comunicazione delle informazioni cui è tenuta l’entità o la persona fisica e sia trasmesso da ciascun Stato membro nei casi previsti dalla suddetta direttiva. Siffatta modifica ha lo scopo di assicurare che il soggetto coinvolto nella singola operazione o destinatario di un reddito specifico sia esattamente identificato.
Il numero di identificazione fiscale (NIF) è essenziale affinché gli Stati membri possano confrontare le informazioni ricevute con i dati presenti nelle banche dati nazionali, ai fini di una migliore individuazione dei contribuenti interessati e di un corretto accertamento delle relative imposte. È, pertanto, importante che gli Stati membri includano il NIF delle persone fisiche e delle entità segnalate nella segnalazione e nella comunicazione di informazioni nel contesto degli scambi relativi a categorie di reddito e di capitale soggette allo scambio automatico obbligatorio di informazioni, conti finanziari, ruling preventivi transfrontalieri e accordi preventivi sui prezzi di trasferimento, rendicontazioni paese per paese, meccanismi transfrontalieri soggetti all’obbligo di notifica, informazioni sui venditori sulle piattaforme digitali e cripto-attività.
Direttiva (UE) 2023/2413
(del Parlamento europeo e del Consiglio, del 18 ottobre 2023, che modifica la direttiva (UE) 2018/2001, il regolamento (UE) 2018/1999 e la direttiva n. 98/70/CE per quanto riguarda la promozione dell’energia da fonti rinnovabili e che abroga la direttiva (UE) 2015/652 del Consiglio)
La direttiva (UE) 2023/2413, c.d. direttiva RED III – all’articolo 1 – modifica la direttiva sulla promozione dell’energia da fonti rinnovabili, direttiva (UE) 2018/2001 (c.d. direttiva RED II), rendendo più ambiziosi, in linea con il Piano RepowerEU, gli obiettivi dell’Unione europea al 2030 in materia di consumo di energia da tali fonti [16] .
La direttiva si propone di raggiungere al 2030 una quota di energia da fonti rinnovabili pari ad almeno il 42,5% del consumo finale lordo di energia (CFL), in luogo dell’originario 32%. Si tratta di un obiettivo complessivo vincolante (c.d. overall target). Quanto al settore dei trasporti, il nuovo obiettivo vincolante per ciascuno Stato membro dell’UE – in capo agli operatori economici (fornitori di combustibili) – è quello di una quota di energia rinnovabile nel CFL nei trasporti pari ad almeno il 29% entro il 2030, in luogo del 14%.
Conseguentemente, la direttiva RED III, all’articolo 2, adegua ai nuovi obiettivi da essa fissati il regolamento europeo sulla governance dell’energia e clima, regolamento (UE) 2018/1999 e, all’articolo 3, adegua la disciplina europea sulla qualità della benzina e del combustibile diesel, direttiva (CE) 98/70. L’articolo 4 reca talune norme transitorie, per l’anno 2023, in ordine a talune disposizioni della direttiva testé citata, soppresse dalla stessa RED III.
L’articolo 5 impone agli Stati membri di far entrare in vigore le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla direttiva entro il 21 maggio 2025; il termine per il recepimento delle norme relative all’individuazione delle zone necessarie per integrare le energie rinnovabili nel sistema elettrico e alla semplificazione delle procedure autorizzative all’installazione di impianti a fonti rinnovabili (specificamente, le norme di cui ai nuovi articoli 15-sexies, 16, 16-ter, da 16-quater a 16-septies inseriti dal medesimo provvedimento nella Direttiva RED II) è posto invece al 1° luglio 2024.
Le misure di recepimento della direttiva e il relativo testo devono essere comunicati alla Commissione europea.
L’articolo 6 abroga, a decorrere dal 1° gennaio 2025, la direttiva (UE) 2015/652 del Consiglio, che stabilisce i metodi di calcolo e gli obblighi di comunicazione in capo agli operatori ai sensi della sopra indicata direttiva 98/70/CE, relativa alla qualità della benzina e del combustibile diesel.
L’articolo 7 dispone in ordine all’entrata in vigore, intervenuta il 20 novembre 2023 (il ventesimo giorno successivo al 31 ottobre 2023, giorno di pubblicazione della direttiva RED III nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea). La direttiva è composta di due allegati.
L’articolo 1, paragrafo 1, n. 1) della direttiva RED III interviene sulle definizioni già contenute nell’articolo 2, paragrafo 2 direttiva RED II. Tra le modifiche più rilevanti, si segnala in questa sede l’inclusione – all’interno della definizione di “energia da fonti rinnovabili” o “energia rinnovabile” - dell’energia osmotica, definita quale “energia generata dalla differenza nella concentrazione salina tra due fluidi, come acqua dolce e salata”.
La definizione di “energia da fonti rinnovabili” o “energia rinnovabile” – come integrata dalle modifiche qui in esame – è quindi attualmente la seguente: “l’energia proveniente da fonti rinnovabili non fossili, vale a dire energia eolica, solare (solare termico e fotovoltaico) e geotermica, energia osmotica, energia dell’ambiente, energia mareomotrice, del moto ondoso e altre forme di energia marina, energia idraulica, energia della biomassa, dei gas di discarica, dei gas residuati dai processi di depurazione e biogas” (la definizione è contenuta nella direttiva RED II, articolo 2, par. 2, punto 1) come modificato dall’articolo 1, par. 1, n. 1, lett. a) e, per ciò che attiene all’energia osmotica, nell’ articolo 2, par. 2, punto 44-ter) della direttiva RED II, inserito dall’articolo 1, par. 1, n. 1, lett. d) della direttiva RED III qui in commento).
Viene poi più esplicitamente introdotta la differenza tra:
· “combustibili rinnovabili”, quali biocarburanti, bioliquidi, combustibili da biomassa e combustibili rinnovabili di origine non biologica (articolo 2, par. 2, punto 22-bis) della direttiva RED II, inserito dall’articolo 1, par. 1, n. 1, lett. f) della direttiva RED III) e
· “combustibili rinnovabili di origine non biologica”, quali i combustibili liquidi e gassosi il cui contenuto energetico proviene da fonti rinnovabili diverse dalla biomassa (articolo 2, par. 2, punto 36) della direttiva RED II, sostituito dall’articolo 1, par. 1, n. 1, lett. f) della direttiva RED III).
L’articolo 1, paragrafo 1, n. 2), lett. a) modifica e integra l’articolo 3, della direttiva RED II, laddove, al paragrafo 1, è indicato l’obiettivo vincolante complessivo dell’Unione per il 2030 in termini di quota di energia da fonti rinnovabili sul consumo finale lordo.
Tale obiettivo, al cui raggiungimento ciascuno Stato membro deve concorrere, è calcolato in termini di quota di energia da fonti rinnovabili nel consumo finale lordo di energia e – in virtù delle modifiche apportate dalla direttiva RED III – deve ora essere almeno pari al 42,5 %, in luogo del 32% originariamente previsto dalla direttiva RED II.
Gli Stati membri si impegnano, poi, collettivamente (obiettivo orientativo dell’UE) a raggiungere il 45 % nel 2030.
Ciascuno Stato membro deve anche stabilire un obiettivo indicativo per le tecnologie innovative per l’energia rinnovabile pari ad almeno il 5% della capacità di energia rinnovabile installata entro il 2030 [17] .
La direttiva RED III stabilisce poi i seguenti obiettivi settoriali e in materia di innovazione per i paesi dell’UE:
L’articolo 1, paragrafo 1, n. 3), modifica l’articolo 7 della direttiva RED II, il quale reca, al paragrafo 1, dispone che il consumo finale lordo (CFL) di energia da FER deve essere calcolato, a livello nazionale, come la somma del CFL: a) di energia elettrica da fonti rinnovabili; b) di energia da rinnovabili per il settore del riscaldamento e del raffrescamento; e c) di energia da rinnovabili nel settore dei trasporti.
La direttiva interviene sul secondo comma del paragrafo, modificando il criterio di conteggio dell’l’idrogeno da fonti rinnovabili ai fini del calcolo della quota di energia da FER su CFL. Rimane confermato invece che, per il calcolo della quota, il gas e l’energia elettrica da rinnovabili sono presi in considerazione una sola volta.
Quanto all’idrogeno (e a tutti i combustibili rinnovabili di origine non biologica, tra i quali appunto il primo vi rientra) si prevede ora - con un nuovo comma 3 del paragrafo 1 dell’articolo 7 della Direttiva RED II - che gli Stati membri possono accettare, mediante uno specifico accordo di cooperazione da notificare alla Commissione UE, di conteggiare tali combustibili ai fini della quota di energia da fonti rinnovabili sul CFL nello Stato membro in cui sono stati prodotti.
Inoltre, si interviene sul paragrafo 2 all’articolo 7 – laddove si precisa che il CFL di energia elettrica da fonti rinnovabili è calcolato come quantità di energia elettrica prodotta in uno SM da fonti rinnovabili – per includere in tale calcolo anche l’energia elettrica prodotta da combustibili rinnovabili di origine non biologica, al netto dell’energia elettrica utilizzata per produrre tali combustibili rinnovabili.
Si interviene altresì sul paragrafo 4 dell’articolo 7, relativamente CFL di energia da FER nel settore dei trasporti – il quale viene calcolato come la somma dei biocarburanti, biogas e combustibili rinnovabili di origine non biologica utilizzati nel settore – per includere anche i combustibili rinnovabili forniti ai bunkeraggi marittimi internazionali.
L’articolo 1, paragrafo 1, n. 2), lett. b) ella direttiva RED III sostituisce poi il paragrafo 3 dell’articolo 3 della direttiva RED aggiungendovi anche quattro nuovi paragrafi, da 3-bis a 3-quinquies [18] .
Con tale intervento, viene introdotta una più articolata disciplina finalizzata – come emerge dai considerando n. 9) e 10) – da un lato, a sostenere il conseguimento dell’obiettivo dell’UE delineato nel Piano RepowerEU, di una produzione annua di biometano sostenibile di 35 miliardi di metri cubi entro il 2030 [19] e, dall’altro, ad allineare le politiche in materia di bioenergia al principio dell’economia circolare e dell’uso a cascata della biomassa, oltre che a quello della gerarchia dei rifiuti già enunciato.
Il principio dell’uso a cascata della biomassa mira a dare priorità, ove possibile, all’uso materiale di biomassa rispetto al suo uso di fonte di energia.
Gli Stati membri devono quindi progettare i propri regimi di sostegno per l’energia da biocarburanti, bioliquidi e combustibili da biomassa in modo da garantire che la biomassa legnosa sia utilizzata in base al suo massimo valore aggiunto economico e ambientale nel seguente ordine di priorità:
a) prodotti a base di legno; b) prolungamento del ciclo di vita dei prodotti a base di legno; c) riutilizzo; d) riciclaggio; e) bioenergia; e f) smaltimento.
Si consente comunque agli Stati membri di derogare al principio dell’uso a cascata della biomassa laddove necessario per garantire la sicurezza dell’approvvigionamento energetico e laddove l’industria locale non sia in grado di utilizzare la biomassa forestale per un valore aggiunto economico e ambientale più elevato rispetto alla produzione di energia. La deroga è ammissibile solo per talune materie prime. Annualmente, gli Stati membri devono notificare alla Commissione una sintesi delle deroghe, con i motivi e l’ambito geografico cui si applicano.
Si vieta, infine, agli Stati membri di concedere nuovi aiuti o di rinnovarli a favore degli impianti a biomassa forestale che producono solo energia elettrica, a meno che gli stessi impianti non siano ubicati in una regione identificata nel piano territoriale nazionale per una transizione giusta [20] - dunque in un’area che si trova a uno particolare stadio evolutivo per quanto riguarda la transizione dai combustibili fossili - o nelle regioni ultra periferiche (ex art. 349 TFUE), o a meno che gli impianti non utilizzino la cattura e lo stoccaggio del carbonio.
La direttiva RED III (art. 1, par. 1, nn. da 5) a 7)) modifica e integra la direttiva RED II, con un corpus organico di norme finalizzate alla ulteriore semplificazione delle procedure amministrative per il rilascio delle autorizzazioni alla realizzazione dei progetti in materia di energia rinnovabile e dei progetti riguardanti le relative infrastrutture di rete e di stoccaggio.
In particolare, la direttiva RED III interviene sull’articolo 15 della direttiva RED II, il quale – al paragrafo 1 - sancisce il principio per cui le procedure autorizzative e di certificazione devono essere sono proporzionate e necessarie e debbano contribuire all’attuazione del principio energy efficiency first.
La direttiva RED III (art. 1, par. 1, n. 5)) introduce nell’articolo 15 la previsione (nuovo paragrafo 2-bis) per cui gli Stati membri (SM) promuovono la sperimentazione di tecnologie innovative per le energie rinnovabili (produzione, condivisione e stoccaggio) attraverso progetti pilota in ambiente reale, per un periodo limitato, conformemente al diritto unionale e accompagnata da opportune garanzie per il funzionamento sicuro del sistema energetico ed evitare effetti sproporzionati sul funzionamento del mercato interno, sotto la supervisione di un’autorità competente. Entro il 21 novembre 2025, la Commissione valuta la necessità di misure supplementari per sostenere gli Stati membri nell’attuazione delle procedure di rilascio delle autorizzazioni, anche attraverso lo sviluppo di indicatori chiave.
Individuazione delle zone di accelerazione per l’installazione di impianti a FER
La direttiva RED III (art. 1, par. 1, n. 6)) inserisce quattro nuovi articoli da 15-ter a 15-sexies, nella direttiva RED II, con i quali si prevede che gli Stati membri, entro il 21 maggio 2025, procedano ad una mappatura delle zone (superficie terrestre, sottosuolo, acque interne e marine), per l’installazione degli impianti di produzione di energia rinnovabile e per le relative infrastrutture, quali la rete e gli impianti di stoccaggio, compreso quello termico, necessari al raggiungimento degli obiettivi nazionali 2030 (articolo 15-ter).
Entro il 21 febbraio 2026, le autorità nazionali competenti devono adottare uno o più piani con i quali designano – come sottoinsieme delle zone sopraindicate – le zone di accelerazione per uno o più tipi di energie da fonti rinnovabili. Da tali zone devono essere esclusi taluni siti oggetto di protezione ambientale (Natura 2000, zone designate come di protezione della biodiversità, principali rotte migratorie, etc.) e i Piani stessi devono comunque indicare adeguate misure di mitigazione dell’impatto ambientale. Prima della adozione, i Piani essere oggetto di valutazione ambientale. Entro il 21 maggio 2024, gli Stati membri possono dichiarare zone di accelerazione per le energie rinnovabili zone specifiche che sono già state designate come zone adatte allo sviluppo accelerato di uno o più tipi di tecnologia rinnovabile, purché siano rispettati i requisiti ambientali sopra indicati, ivi inclusa la previa valutazione ambientale strategica (articolo 15-quater). Per l’elaborazione dei piani è prevista la partecipazione pubblica, in specie del pubblico che ne è interessato o potrebbe esserne interessato (articolo 15-quinquies).
A livello nazionale, possono anche essere adottati uno o più piani per designare zone per le infrastrutture dedicate allo sviluppo di progetti di rete o di stoccaggio funzionali a integrare l’energia rinnovabile nel sistema elettrico. Obiettivo di tali zone è sostenere e integrare le zone di accelerazione delle energie rinnovabili. I piani devono essere oggetto di una valutazione ambientale. I progetti che vi rientrano, possono essere, in circostanze giustificate, (singolarmente) esentati dalla valutazione dell’impatto ambientale, e dalle altre valutazioni di incidenza ai sensi della direttiva Habitat (articolo 15-sexies).
Organizzazione e durata della procedura autorizzativa. Interesse pubblico prevalente sugli impianti a FER fino alla neutralità climatica
Importanti novità, sotto questo aspetto, sono contenute nella direttiva RED III, che (art. 1, par. 1 n. 7)) sostituisce l’articolo 16 e inserisce quattro nuovi articoli da 16-bis a 16-septies nella direttiva RED II. Le novità sono essenzialmente connesse alla previsione delle zone di accelerazione. Per i progetti di impianti o infrastrutture o reti situati in tali zone è prevista una procedura autorizzativa velocizzata rispetto a quella relativa agli impianti non ricadenti in tali zone. Sono poi indicate tempistiche autorizzative specifiche per talune tipologie di impianti, a prescindere dove essi sono ricadenti, quali l’installazione di apparecchiature per l’energia solare e di pompe di calore (articolo 16-16-sexies).
Entro il 21 febbraio 2024, fino al conseguimento della neutralità climatica, gli Stati membri devono considerare gli impianti di produzione di energia rinnovabile, la relativa infrastruttura di rete, la rete e gli impianti di stoccaggio, d’interesse pubblico prevalente e d’interesse per la salute e la sicurezza pubblica. In circostanze specifiche e debitamente giustificate, l’applicazione di quanto sopra può essere limitata a determinate parti del loro territorio, a determinati tipi di tecnologia o a progetti con date caratteristiche tecniche, conformemente alle priorità stabilite nel PNIEC. Le limitazioni devono essere comunicate e motivate alla Commissione UE (nuovo articolo 16-septies).
Al riguardo, appare opportuno evidenziare in questa sede che l’AG 187, Schema di D.lgs. di disciplina dei regimi amministrativi per la produzione di energia da fonti rinnovabili, adottato in attuazione della delega di cui all’articolo 26, comma 4 della Legge sulla concorrenza 2022 (L. n. 118/2022), e attualmente all’esame delle commissioni parlamentari competenti per materia ai fini dell’espressione del relativo parere parlamentare, prevede che gli interventi di costruzione, modifica, rifacimento, potenziamento o di esercizio degli impianti di produzione e dei sistemi di accumulo di energia da fonti rinnovabili, delle opere connesse e relative infrastrutture indispensabili, siano considerati di interesse pubblico prevalente ai sensi dell’articolo 16-septies della direttiva RED II, come introdotto dalla Direttiva RED III.
Ciò posto, come rilevato dal Consiglio di Stato (parere n. 01216/2024, par. 8 sull’AG 187), il Governo “non chiarisce il motivo per cui il recepimento dell’articolo 16-septies non comprende la disposizione di tale articolo secondo la quale gli stessi interventi sono considerati, oltre che di interesse pubblico prevalente, anche nell’interesse della salute e della sicurezza pubblica”.
Avvio della procedura autorizzatoria
La procedura di rilascio delle autorizzazioni deve coprire tutte le pertinenti autorizzazioni amministrative [21] .
L’Autorità competente nazionale che riceve la relativa domanda deve confermarne la completezza o chiederne l’integrazione se lacunosa:
· entro 30 giorni dal ricevimento per gli impianti di produzione di energia rinnovabile ubicati nelle zone di accelerazione, ovvero,
· entro 45 giorni per gli impianti ubicati al di fuori delle predette zone.
La data di conferma della completezza della domanda da parte dell’autorità competente segna l’inizio della procedura autorizzatoria.
I ricorsi amministrativi e giurisdizionali avverso le decisioni della P.A. devono essere “soggetti alla procedura amministrativa e giudiziaria più rapida disponibile al livello nazionale, regionale e locale pertinente”.
Entro e non oltre il 21 novembre 2025 gli SM devono far sì che tutte le procedure siano svolte in formato elettronico. Il punto di contatto nazionale (essenzialmente, il responsabile del procedimento, nel nostro ordinamento interno), deve mettere a disposizione e fornire anche online, un manuale delle procedure per agli sviluppatori di impianti di energie rinnovabili (articolo 16 della direttiva RED II, come sostituito dalla direttiva RED III).
Procedura velocizzata di rilascio delle autorizzazioni nelle zone di accelerazione
Nelle zone di accelerazione, la procedura di rilascio delle autorizzazioni non deve durare più di dodici mesi.
Nel caso di progetti off-shore, i tempi sono più lunghi, non più di due anni.
Se giustificato in ragione di circostanze straordinarie, i suddetti termini possono essere prorogati massimo di sei mesi.
In caso di repowering [22] per i nuovi impianti di potenza elettrica inferiore a 150 kW, per gli impianti di stoccaggio co-ubicati (compresi gli impianti elettrici e termali) e per la loro connessione alla rete, la procedura non deve durare più di sei mesi. Il termine è prorogabile di tre mesi, in presenza di circostanze straordinarie, quali ad esempio ragioni di sicurezza. Nel caso di progetti eolici off-shore, la procedura deve durare massimo 12 mesi. Il termine è prorogabile di sei mesi, in presenza di circostanze straordinarie, quali ad esempio ragioni di sicurezza.
Nel caso di mancata risposta da parte delle autorità competenti entro il termine stabilito, gli specifici adempimenti amministrativi intermedi sono considerati approvati (consenso tacito), tranne il caso in cui un determinato progetto sia soggetto a una valutazione dell’impatto ambientale (cfr. subito infra). Le decisioni finali sull’esito della procedura di rilascio delle autorizzazioni sono invece sempre esplicite (non possono essere soggette a consenso tacito). Tutte le decisioni sono rese pubbliche.
Con riferimento alla valutazione ambientale, le domande di installazione di nuovi impianti, compresi quelli che combinano diversi tipi di tecnologia rinnovabile, di repowering, di connessione e di installazione di impianti di stoccaggio alla rete:
· sono esentate dall’obbligo di valutazione specifica dell’impatto ambientale, ivi inclusa la valutazione dell’incidenza che hanno sui siti Natura 2000, purché i Piani di accelerazione che le hanno individuate abbiano stabilito l’applicazione di misure di mitigazione adeguate [23] ;
·
le autorità competenti nazionali provvedono, comunque, ad esaminare le domande al fine di verificare se il progetto possa presentare un rischio elevato di effetti negativi significativi imprevisti, tenuto conto della sensibilità ambientale dell’area in cui il progetto è situato, non individuati nel corso della valutazione ambientale dei piani o se il progetto produca effetti significativi sull’ambiente in un altro SM, anche a seguito di sua richiesta
[24]
. La procedura di esame delle domande per nuovi impianti deve essere ultimata entro 45 giorni dalla presentazione di sufficienti informazioni necessarie a tal fine.
Tuttavia, in caso di domande per impianti di potenza inferiore a 150 kW e per le nuove domande di repowering, la procedura di esame è completata entro 30 giorni (nuovo articolo 16-bis). In caso di repowering, l’esame deve essere limitato all’impatto potenziale derivante dalla modifica o dell’estensione rispetto al progetto originale. Inoltre, in caso di progetti per impianti solari, se il repowering non comporta l’uso di spazio supplementare e rispetta le misure di mitigazione ambientale applicabili stabilite, il progetto è esentato da ogni esame (nuovo articolo 16-quater);
·
a seguito della suddetta procedura di esame, le domande sono automaticamente autorizzate sul piano ambientale senza alcuna decisione esplicita in merito, a meno che - con decisione amministrativa motivata – si attesti la sussistenza di un rischio elevato di effetti ambientali negativi significativi imprevisti, non mitigabili dalle misure già individuate nei Piani o proposte dallo sviluppatore del progetto. Le decisioni sono rese pubbliche. In questo caso la valutazione ambientale
[25]
va fatta e deve concludersi entro sei mesi dalla decisione suddetta, prorogabili di ulteriori sei mesi.
In circostanze giustificate, anche per conseguire gli obiettivi nazionali in materia di energia rinnovabile, gli SM possono esentare i progetti eolici e solari fotovoltaici da tali valutazioni, sempre che l’operatore adotta misure di mitigazione proporzionate, o se non disponibili, misure di compensazione (nuovo articolo 16-bis).
Procedura autorizzativa in zone diverse da quelle di accelerazione
Nelle zone diverse da quelle di accelerazione, la procedura di rilascio delle autorizzazioni non deve durare più di due anni.
Nel caso di progetti off-shore, i tempi massimi sono di tre anni.
In entrambi i casi, le tempistiche sono prorogabili massimo di sei mesi, in ragione di circostanze straordinarie, fra cui la necessità di proroga dei tempi delle valutazioni secondo il diritto ambientale europeo.
Se necessaria, la valutazione ambientale [26] , è effettuata nell’ambito di una procedura unica che combina tutte le valutazioni pertinenti sul progetto.
In caso di repowering [27] , per i nuovi impianti di potenza elettrica inferiore a 150 kW, per gli impianti di stoccaggio co-ubicati, nonché per la loro connessione alla rete, la procedura non deve durare più di dodici mesi, comprese le valutazioni ambientali. Nel caso dei progetti in materia di energia rinnovabile offshore, la procedura autorizzatoria dura massimo due anni.
Ciascuno dei predetti termini è prorogabile di massimo di tre mesi, in presenza di circostanze straordinarie (articolo 16-ter).
Procedura di rilascio delle autorizzazioni per il repowering
Se dal repowering è previsto un aumento della capacità dell’impianto di produzione elettrica rinnovabile non superiore al 15%, salva qualsiasi valutazione ambientale, la procedura autorizzatoria per le connessioni alla rete di trasmissione o di distribuzione non deve durare più di tre mesi dalla presentazione della domanda, a meno che non vi siamo giustificati problemi di sicurezza o una incompatibilità tecnica dei componenti del sistema (articolo 16-quater).
Procedura autorizzativa per l’installazione di apparecchiature per l’energia solare
La procedura autorizzativa per l’installazione di apparecchiature di energia solare e di impianti di stoccaggio co-ubicati – compresi quelli integrati in edifici, in strutture artificiali (ad esclusione delle superfici d’acqua artificiali) il cui scopo primario non sia la produzione o lo stoccaggio di energia solare – non deve durare più di tre mesi. L’installazione delle apparecchiature è esente da valutazione specifica di impatto ambientale. Gli Stati membri possono comunque escludere determinate zone ai fini di proteggere il patrimonio culturale o storico, per interessi della difesa nazionale oppure per motivi di sicurezza.
Per gli impianti solari con capacità pari o inferiore a 100 kW, il procedimento di autorizzazione non deve durare più di un mese. Ciò anche per gli autoconsumatori di energia rinnovabile e le comunità di energia rinnovabile (CER).
Se la soglia di capacità di 100 KW comporta oneri o amministrativi significativi o vincoli per il funzionamento della rete elettrica, si può applicare una soglia di capacità inferiore, purché essa rimanga superiore a 10,8 kW.
In caso di mancata risposta da parte delle autorità competenti entro il termine stabilito, l’autorizzazione è considerata concessa, a condizione che la capacità delle apparecchiature per l’energia solare non superi la capacità esistente della connessione alla rete di distribuzione (articolo 16-quinquies).
Procedura autorizzativa per l’installazione di pompe di calore
Per l’installazione di pompe di calore la procedura autorizzativa non può superare un mese, se l’impianto ha una potenza inferiore a 50 MW. Nel caso di pompe di calore geotermiche, il termine è di tre mesi.
Le connessioni alla rete di trasmissione o di distribuzione devono essere autorizzate entro due settimane dalla notifica all’ente competente per:
a) le pompe di calore con potenza pari o inferiore a 12 kW; e
b) le pompe di calore installate da un autoconsumatore di energia rinnovabile con potenza pari o inferiore a 50 kW, a condizione che la capacità dell’impianto di autoconsumo sia almeno il 60% della capacità della pompa di calore.
Il termine di due settimane deve essere rispettato a meno che non vi siano giustificati problemi di sicurezza, e che non siano necessari ulteriori lavori per le connessioni o a meno che non sussista un’incompatibilità tecnica.
Gli Stati membri possono escludere determinate zone o strutture per proteggere il patrimonio culturale o storico, per interessi della difesa nazionale oppure per motivi di sicurezza (articolo 16-sexies).
Di seguito, una Tabella riepilogativa, con i relativi richiami normativi alla direttiva RED II, come modificata dalla direttiva RED III:
PROCEDURE AUTORIZZATIVE
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DURATA MASSIMA
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In zone di accelerazione
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Al di fuori di zone di accelerazione
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Conferma della presentazione della domanda o richiesta di integrazione (senza indebito ritardo).
NB: la data di conferma della completezza della domanda da parte dell’autorità competente segna l’inizio della procedura autorizzatoria.
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30 giorni |
45 giorni |
Durata della procedura
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12 mesi |
24 mesi |
Durata della procedura per progetti Off-Shore
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24 mesi |
36 mesi (art. 16-ter, par. 1, RED II)
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Durata della procedura per progetti di revisione della potenza |
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In caso di nuovi impianti di potenza <150kw, Impianti di stoccaggio co-ubicati, e relativa connessione alla rete
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6 mesi |
12 mesi (art. 16-ter, par. 2, co. 2, RED II)
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In caso di impianti off-shore
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24 mesi |
In caso di eolico off-shore
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12 mesi |
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In caso di aumento della capacità non > 15% (fatta salva VIA), per connessioni
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3 mesi |
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Durata della procedura per impianti solari e di stoccaggio co-ubicati (se lo scopo primario delle strutture artificiali di ubicazione non sia la produzione di energia solare o lo stoccaggio)
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3 mesi |
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nel caso di impianto solare con capacità = o < a 100 kW |
1 mese |
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Durata della procedura per pompe di calore
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con potenza <50 kW
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1 mese |
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pompe geotermiche
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3 mesi |
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connessioni alla rete per pompe di calore con potenza = o < 12kW
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2 settimane |
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connessioni alla rete per pompe di calore installate da autoconsumatore di energia rinnovabile con potenza = o < 50kW, se l’impianto di produzione di energia elettrica da FER dell’autoconsumatore ha potenza almeno del 60 % della capacità della pompa
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Le norme sul consumo di energia da fonti rinnovabili nel settore edilizio, già contenute nei parr. da 4 a 7 dell’articolo 15 della direttiva RED II vengono soppresse dalla direttiva RED III e sostituite con un nuovo articolo 15-bis, inserito dall’articolo 1, par. 1, n. 6) ai sensi del quale gli SM, nel PNIEC, devono indicare una quota nazionale indicativa di energia rinnovabile [28] nel consumo di energia finale nel settore edile al 2030 coerente con l’obiettivo indicativo unionale al medesimo anno di almeno il 49% di energia da FER. Per raggiungere il target, gli Stati devono imporre l’uso di livelli minimi di energia rinnovabile negli edifici nuovi e in quelli esistenti sottoposti a ristrutturazioni importanti o ad ammodernamento del sistema di riscaldamento, laddove ciò sia fattibile economicamente e tecnicamente, anche con l’impiego di un teleriscaldamento e tele raffrescamento efficienti.
In questo contesto, gli edifici pubblici devono svolgere un ruolo esemplare. Gli Stati possono anche consentire che i relativi tetti o i tetti degli edifici a proprietà pubblico-privata siano utilizzati da terzi per impianti a FER. Gli Stati, inoltre, devono promuovere l’uso di sistemi di riscaldamento e raffrescamento da rinnovabili e possono promuovere tecnologie innovative come i sistemi elettrificati intelligenti anche integrati dalla gestione intelligente del consumo di energia negli edifici. A tali fini, utilizzano incentivi, l’uso di etichettature energetiche, gli attestati di prestazione energetica (APE) e altre certificazioni adeguate a livello UE.
Gli Stati devono inoltre garantire una informazione e consulenza appropriata agli utenti.
L’articolo 1, paragrafo 1, n. 2), lett. c) inserisce un nuovo paragrafo 4-bis nell’articolo 3 della direttiva RED II, il quale impone agli Stati membri un quadro – che può comprendere regimi di sostegno e misure che facilitano il ricorso ad accordi di compravendita di energie rinnovabili – che consenta una diffusione dell’energia elettrica da FER a un livello coerente con il contributo nazionale al raggiungimento del target unionale. Il quadro deve affrontare gli ostacoli che ancora si frappongono a tale sviluppo, inclusi quelli relativi alle procedure di rilascio delle autorizzazioni, e allo sviluppo delle necessarie infrastrutture di trasmissione, distribuzione e stoccaggio, incluso lo stoccaggio dell’energia co-ubicato. Gli Stati membri possono includere una sintesi delle politiche e delle misure del quadro, rispettivamente, nel Piano integrato per l’energia e il clima (PNIEC) e nelle relazioni intermedie nazionali integrate sull’energia e il clima [29] .
Al fine di promuovere l’adozione di accordi di compravendita di energia rinnovabile a lungo termine, l’articolo 1, paragrafo 1, n. 5) della direttiva RED III interviene anche sull’articolo 15 della direttiva RED II, demandando agli SM di: valutare modalità per ridurre i rischi finanziari associati a tali accordi, utilizzando, in particolare, garanzie di credito; assicurare che gli accordi non siano soggetti a procedure o oneri sproporzionati o discriminatori e che le relative garanzie di origine possano essere trasferite all’acquirente dell’energia rinnovabile nell’ambito dell’accordo di acquisto.
Le politiche e le misure nazionali per promuovere la diffusione degli accordi devono essere indicati nel PNIEC, nonché nelle relazioni intermedie nazionali integrate ove anche vi deve essere una indicazione della produzione di energia rinnovabile sostenuta dagli accordi. Alla Commissione europea è dato il compito di analizzare gli ostacoli esistenti, anche per gli accordi transfrontalieri, e di formulare i propri orientamenti e proposte.
L’articolo 1, paragrafo 1, n. 4), integra l’articolo 9 della direttiva RED II (con un nuovo paragrafo 1-bis)), prevedendo obbligatorio per gli Stati membri concordare – tra due o più di essi – entro il 31 dicembre 2030, un quadro di cooperazione su progetti comuni per la produzione di energia rinnovabile, che preveda:
a) entro il 31 dicembre 2030 l’istituzione concordata di almeno due progetti comuni;
b) entro il 31 dicembre 2033, gli Stati membri con un consumo annuo di energia elettrica superiore a 100 TWh si adoperano per concordare l’istituzione di un terzo progetto comune.
Gli Stati membri devono notificare alla Commissione europea gli accordi di cooperazione, compresa la data in cui si prevede che i progetti comuni diventino operativi.
Quanto alla di energia rinnovabile offshore, i progetti dovranno essere coerenti con le esigenze individuate nei piani strategici di sviluppo della rete integrata offshore ad alto livello per ciascun bacino marittimo [30] e nel Piano decennale di sviluppo della rete elettrica. In virtù di una ulteriore integrazione all’articolo 9 della Direttiva RED II (nuovo paragrafo 7-bis), gli SM devono ridurre la complessità e la trasparenza della procedura di rilascio delle autorizzazioni, e possono includere le comunità di energia rinnovabile nei progetti comuni, in materia di energia rinnovabile offshore.
L’articolo 1, paragrafo 1, n. 8) della direttiva RED III interviene sull’articolo 18 della direttiva RED II, relativamente alla formazione degli operatori, disponendo che gli installatori e progettisti di qualsiasi tipo di sistema di riscaldamento e raffrescamento nell’edilizia, nell’industria e nell’agricoltura e gli installatori di sistemi solari fotovoltaici, compreso lo stoccaggio energetico, nonché per gli installatori dei punti di ricarica abbiano a disposizione sistemi di certificazione nazionali o sistemi equivalenti di qualificazione. Tali sistemi si basano sui criteri indicati nell’allegato IV della direttiva RED II come sostituito dall’Allegato 1, punto 4 dalla stessa direttiva RED III.
Ogni SM deve riconoscere le certificazioni rilasciate dagli altri SM conformemente ai criteri di cui al citato Allegato.
Garanzie di origine dell’energia da fonti rinnovabili
L’articolo 1, paragrafo 1, n. 9) interviene sull’articolo 19 della direttiva RED II, relativo alla disciplina della garanzia d’origine dell’energia rinnovabile, per estenderla anche combustibili rinnovabili gassosi di origine non biologica, come l’idrogeno.
Inoltre, viene fissato al 31 dicembre 2025, la data entro la quale la Commissione adotta una relazione in cui siano valutate le opzioni per istituire un marchio di qualità ecologica per tutta l’Unione con l’obiettivo di promuovere l’uso di energia rinnovabile generata da nuovi impianti. I fornitori utilizzano le informazioni contenute nelle garanzie di origine per dimostrare la conformità ai requisiti di tale marchio.
Si demanda infine alla Commissione il controllo sul funzionamento del sistema delle garanzie di origine e, entro il 30 giugno 2025, la valutazione dell’equilibrio tra la domanda e l’offerta di garanzie di origine sul mercato e, in caso di squilibri, l’individuazione dei fattori che incidono sull’offerta e sulla domanda.
L’articolo 1, paragrafo 1, n. 10) modifica l’articolo 20 della direttiva RED II, relativamente allo sviluppo delle infrastrutture per le reti di teleriscaldamento e tele raffrescamento al fine di orientarlo verso lo sfruttamento efficiente e flessibile di una gamma più ampia di fonti di calore e freddo rinnovabili. È pertanto esteso l’elenco delle fonti energetiche rinnovabili che le reti di teleriscaldamento e tele raffrescamento dovrebbero accogliere in misura crescente, quali energia solare termica e fotovoltaica, pompe di calore alimentate da energia elettrica rinnovabile con utilizzo di energia dell’ambiente ed energia geotermica, come pure altre tecnologie per l’energia geotermica, biomassa, biogas, bioliquidi e calore e freddo di scarto, ove possibile, in combinazione con lo stoccaggio di energia termica nonché sistemi di gestione della domanda e impianti di conversione dell’energia elettrica in calore.
In origine, l’articolo 20 faceva unicamente riferimento alle fonti energetiche dell’energia solare, dell’energia dell’ambiente e geotermica nonché da calore e freddo di scarto.
La direttiva RED III, articolo 1, par.1, n. 11) introduce – con un nuovo articolo 20-bis nella direttiva RED II – specifiche norme finalizzate a imporre:
· ai gestori del sistema di trasmissione e ai gestori del sistema di distribuzione se questi dispongono di dati sul loro territorio, di mettere a disposizione, in formato digitale, le informazioni sulla quota di energia elettrica da rinnovabile e sul tenore di emissioni di gas serra dell’energia elettrica nel modo più accurato possibile (a intervalli pari alla frequenza di regolamentazione del mercato, ma non superiori all’ora);
· ai produttori di batterie industriali e per uso domestico e ai costruttori di veicoli elettrici di consentire ai proprietari e agli utenti delle batterie stesse, nonché a terzi che agiscono per conto dei primi, di accedere gratuitamente, in tempo reale, alle informazioni sulla capacità, lo stato di salute, lo stato di carica e il setpoint di potenza della batteria.
Inoltre, deve essere garantito che i punti di ricarica di potenza standard, nuovi e sostituiti, non accessibili al pubblico installati sul territorio possano garantire funzionalità di ricarica intelligente.
Direttiva (UE) 2023/2668
(del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 novembre 2023, che modifica la direttiva 2009/148/CE sulla protezione dei lavoratori contro i rischi connessi con un’esposizione all’amianto durante il lavoro)
La direttiva (UE) 2023/2668 inserisce una serie di novelle nella direttiva 2009/148/CE
[31]
, relativa alla protezione dei lavoratori contro i rischi connessi ad un’esposizione all’amianto durante il lavoro. L’aggiornamento è stato operato sulla base dell'esperienza acquisita e dell'evoluzione tecnologica; si è inteso ridefinire un livello uniforme di prescrizioni minime, volte a garantire un migliore standard di salute e sicurezza e a ridurre le differenze nella protezione dei lavoratori tra gli Stati membri dell’Unione europea. Le novelle riguardano, tra gli altri profili, i limiti massimi di esposizione dei lavoratori all’amianto e le relative modalità di misurazione, gli elementi informativi della notifica preventiva, relativa alle attività nelle quali i lavoratori sono, o possono essere, esposti all’amianto, la procedura di individuazione – prima dell’esecuzione di lavori relativi a locali – dell’eventuale presenza di materiali a potenziale contenuto di amianto, la formazione dei lavoratori esposti o potenzialmente esposti all’amianto.
L'articolo 1 della direttiva (UE) 2023/2668 inserisce, come detto, una serie di novelle nella direttiva 2009/148/CE. Le novelle sono volte, in sintesi, a:
1)
qualificare esplicitamente l'amianto come sostanza cancerogena (articolo 1, primo comma, punto 2), del testo in esame, che modifica l'articolo 2 della citata direttiva 2009/148/CE). Si specifica inoltre (articolo 1, primo comma, punto 1), della nuova direttiva, la quale modifica l'articolo 1 della direttiva 2009/148/CE) che, qualora siano più favorevoli, si applicano le disposizioni della direttiva 2004/37/CE del Parlamento europeo e del Consiglio
[32]
sulla protezione dei lavoratori contro i rischi derivanti da un’esposizione ad agenti cancerogeni, mutageni o a sostanze tossiche per la riproduzione durante il lavoro
[33]
;
2)
specificare, nell’ambito della disciplina della valutazione del rischio per qualsiasi attività che possa comportare esposizione alla polvere proveniente da amianto o da materiali contenenti amianto, che è riconosciuta priorità alla rimozione dell'amianto o di materiali contenenti amianto, rispetto ad altre forme di manipolazione dell'amianto (articolo 1, primo comma, punto 3), della nuova direttiva, che modifica l’articolo 3 della direttiva 2009/148/CE);
3)
limitare l’ambito delle deroghe già previste per i casi di esposizioni dei lavoratori sporadiche e di debole intensità (casi nei quali risulti chiaramente che il valore limite di esposizione non sarà superato nell’aria dell’ambiente di lavoro e nei quali siano rispettate le specifiche condizioni stabilite al fine delle deroghe medesime). In base alla novella (di cui al citato articolo 1, primo comma, punto 3)), la deroga concerne soltanto la procedura di notifica antecedente ai lavori e non anche le disposizioni sull’accertamento dello stato di salute dei lavoratori
[34]
;
4)
porre talune integrazioni riguardo all’ambito degli elementi informativi oggetto della suddetta notifica preventiva (relativa alle attività nelle quali i lavoratori sono, o possono essere, esposti durante il lavoro alla polvere proveniente dall'amianto o da materiali contenenti amianto), nonché una specificazione sulla conservazione del documento medesimo da parte delle autorità competenti (articolo 1, primo comma, punto 4), della nuova direttiva, che modifica l’articolo 4 della direttiva 2009/148/CE);
5)
assicurare che in ogni caso l'esposizione dei lavoratori alla polvere prodotta dall'amianto (o da materiali contenenti amianto) nel luogo di lavoro sia ridotta "al più basso valore tecnicamente possibile" (novella di cui all’articolo 1, primo comma, punto 5), relativa all'articolo 6 della direttiva 2009/148/CE). Si inserisce così una specificazione rispetto ai princìpi, che restano vigenti, della riduzione al minimo e del rispetto del valore limite. Vengono inoltre ridefinite le specifiche misure atte a raggiungere tale risultato;
6)
modificare la disciplina sull’obbligo di effettuazione di misurazioni delle fibre di amianto nell’aria del luogo di lavoro esposto (novella di cui all’articolo 1, primo comma, punto 6), relativa all'articolo 7 della direttiva 2009/148/CE). Si sostituisce la previsione della misurazione mediante microscopia ottica con la previsione della misurazione mediante microscopia elettronica
[35]
(con riferimento a quest’ultima viene confermato il principio di salvezza dei metodi alternativi equivalenti). Inoltre, a decorrere dal 21 dicembre 2029, nella misurazione sono prese in considerazione anche le fibre di amianto di larghezza inferiore a 0,2 micrometri – prima della suddetta data, la rilevazione concerne esclusivamente, come previsto anche dall’originaria direttiva 2009/148/CE, le fibre che abbiano una lunghezza superiore a cinque micrometri e una larghezza inferiore a tre micrometri e il cui rapporto lunghezza/larghezza sia superiore a 3:1 –
[36]
;
7)
ridurre i limiti massimi di esposizione dei lavoratori all’amianto, rispetto al limite già posto di 0,1 fibre per cm3, fermo restando il calcolo in base a una media ponderata nel tempo (TWA) di 8 ore. In particolare, in base alla novella (articolo 1, primo comma, punto 7), che modifica l'articolo 8 della direttiva 2009/148/CE), i datori di lavoro provvedono affinché nessun lavoratore sia esposto a una concentrazione di amianto in sospensione nell'aria superiore a 0,01 fibre/cm3, con l’inclusione nel computo, a decorrere dalla suddetta data del 21 dicembre 2029, delle fibre di amianto di larghezza inferiore a 0,2 micrometri o, in alternativa a tale inclusione, e a decorrere dalla medesima data, a 0,002 fibre/cm3 (riguardo alle altre fibre oggetto di rilevazione, cfr. supra)
[37]
. Si ricorda che, ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva 2009/148/CE, gli Stati membri possono applicare o introdurre disposizioni che garantiscono una maggiore protezione dei lavoratori (rispetto alla disciplina in oggetto)
[38]
.
Le novelle, inoltre, ridefiniscono le specifiche misure che il datore di lavoro deve adottare per alcune attività, per le quali sia prevedibile il superamento del valore limite (novella di cui all’articolo 1, primo comma, punto 10), relativa all'articolo 12 della direttiva 2009/148/CE) – ferma restando l’applicazione delle disposizioni stabilite per il caso di effettivo superamento
[39]
–;
8)
estendere la disciplina posta per la suddetta fattispecie di superamento dei valori fissati ai casi in cui vi sia “motivo di ritenere che siano stati disturbati materiali contenenti amianto non identificati prima dei lavori in modo tale da sprigionare polvere di amianto” (novella di cui all’articolo 1, primo comma, punto 8), che modifica l'articolo 10 della direttiva 2009/148/CE);
9)
garantire che sia adottata ogni misura necessaria per l'individuazione – prima dell’esecuzione di lavori relativi a locali costruiti prima dell’entrata in vigore del divieto di utilizzo dell’amianto – dell’eventuale presenza di materiali a potenziale contenuto di amianto. Rispetto alla formulazione già vigente, la novella fa riferimento, al fine di tali verifiche preliminari, alla consultazione di ogni fonte di informazione, compresi i pubblici registri, e richiede, qualora le informazioni non siano disponibili, il ricorso ad un operatore qualificato (novella di cui all’articolo 1, primo comma, punto 9), che modifica l'articolo 11 della direttiva 2009/148/CE);
10)
ridefinire i requisiti minimi della formazione per tutti i lavoratori esposti o potenzialmente esposti ad amianto (cfr. l’articolo 1, primo comma, punto 12), e l’allegato della nuova direttiva, i quali, rispettivamente, modificano l'articolo 14 della direttiva 2009/148/CE e inseriscono in quest’ultima l’allegato I-bis). Resta fermo che la formazione è fornita dal datore di lavoro a intervalli regolari e senza alcun onere a carico dei lavoratori;
11)
riformulare, con l’inserimento di alcune specificazioni, la disciplina sui presupposti per il rilascio dell’autorizzazione alle imprese che intendono operare nel campo dei lavori di demolizione o rimozione dell’amianto (novella di cui all’articolo 1, primo comma, punto 13), che novella l’articolo 15 della direttiva 2009/148/CE);
12)
estendere l’ambito delle malattie professionali correlate all’amianto per le quali ogni Stato membro deve assicurare l’iscrizione dei relativi casi in un registro (novelle di cui all’articolo 1, primo comma, punto 17) e punto 19), i quali, rispettivamente, modificano l'articolo 19 e l’allegato I della direttiva 2009/148/CE);
Ai sensi dell’articolo 2 della direttiva (UE) 2023/2668 in esame, il termine di recepimento della stessa è posto al 21 dicembre 2025; come detto, per il recepimento di alcune novelle, relative alla misurazione della concentrazione nell’aria di fibre di amianto e ai limiti massimi della concentrazione medesima, è posto il termine successivo del 21 dicembre 2029. Resta fermo che, come già ricordato, ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva 2009/148/CE, gli Stati membri possono applicare o introdurre disposizioni che garantiscono una maggiore protezione dei lavoratori (rispetto alla disciplina in oggetto).
La direttiva deriva dalla proposta della Commissione europea COM(2022) 489 del settembre 2022.
Presso il Senato della Repubblica, la proposta [40] è stata oggetto di esame presso la 4a Commissione permanente (Politiche dell’Unione europea), la quale il 24 gennaio 2023 ha espresso un orientamento favorevole circa il rispetto dei princìpi di sussidiarietà e proporzionalità, senza l’adozione formale di una risoluzione.
Direttiva (UE) 2024/505
(del Parlamento europeo e del Consiglio, del 7 febbraio 2024, che modifica la direttiva 2005/36/CE per quanto riguarda il riconoscimento delle qualifiche professionali degli infermieri responsabili dell’assistenza generale, che hanno completato la formazione in Romania)
Con la direttiva UE 2024/505 del Parlamento europeo e del Consiglio del 7 febbraio 2024 si è inteso modificare la precedente direttiva 2005/36/CE – recepita a suo tempo con atto normativo interno di cui al D.Lgs. 206/2007
[41]
– ai fini del riconoscimento delle qualifiche professionali degli infermieri responsabili dell’assistenza generale che hanno completato la formazione in Romania. La direttiva 2024/505 in esame è entrata in vigore il 23 febbraio 2024.
In base alla precedente direttiva del 2005, sono stati attribuiti ai richiamati soggetti alcuni diritti acquisiti relativi al riconoscimento di determinati titoli rilasciati in Romania, elencati all’articolo 33-bis, il cui numero e la cui tipologia sono stati successivamente ampliati con la più recente direttiva del 2024.
La richiamata Direttiva 2005/36/CE disciplina il riconoscimento delle qualifiche professionali tra gli Stati membri dell’Unione europea nel caso che un cittadino UE voglia esercitare la professione per la quale è qualificato in un paese diverso da quello in cui ha ottenuto il relativo titolo abilitativo e si applica a quelle professioni regolamentate che non sono disciplinate da direttive specifiche.
Il riconoscimento accordato dalla direttiva trova applicazione, con modalità diverse, sia nel caso in cui il cittadino comunitario voglia esercitare temporaneamente la professione in un altro Stato membro, sia se intenda trasferirsi in modo permanente (regime di stabilimento). In quest’ultimo caso vi sono procedure di riconoscimento che richiedono controlli maggiori e più lunghi.
I casi specifici oggetto della direttiva riguardano in particolare le professioni per le quali vengono armonizzate, a livello europeo, le condizioni minime di formazione, per cui devono essere garantiti contenuti minimi del titolo di formazione posseduto (allegato V).
L’integrazione del dispositivo dell’articolo 33-bis apportata dalla nuova direttiva del 2024 sulla materia del riconoscimento delle qualifiche per gli infermieri con formazione completata in Romania è dovuta al fatto, come emerge dai consideranda, che un certo numero di Stati membri ospitanti, in base ai propri ordinamenti interni, hanno riconosciuto con interpretazione estensiva le qualifiche professionali degli infermieri responsabili dell’assistenza generale - che avevano completato tale formazione con inizio prima della data di adesione della Romania all’Unione - e le cui qualifiche, pertanto, non soddisfacevano i requisiti per beneficiare del riconoscimento a norma dell’articolo 33-bis della precedente direttiva 2005/36/CE ai fini dell’accesso alla stessa professione in tale Stato membro.
Tali Stati membri ospitanti hanno infatti applicato a tal fine le norme in materia di riconoscimento previste dal Trattato sul funzionamento dell’Unione europea e la pertinente giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea oppure il regime generale di cui agli articoli da 10 a 14 della medesima direttiva del 2005.
Tale regime generale è stato applicato sulla base del presupposto che gli infermieri che avevano completato la formazione in Romania potevano beneficiare di tale regime generale allo stesso modo degli infermieri responsabili dell’assistenza generale che non avevano completato la formazione in Romania e le cui qualifiche non soddisfacevano i requisiti di cui all’articolo 33 di tale direttiva, cui precedentemente si era fatto riferimento all’articolo 10, lettera b), della stessa direttiva
[42]
.
Pertanto, al fine di tutelare tali diritti acquisiti e di salvaguardare le legittime aspettative degli infermieri che ne avevano beneficiato, gli Stati membri sono stati chiamati a provvedere affinché rimanga valido ogni riconoscimento delle qualifiche professionali di infermieri che abbiano completato la formazione in Romania e le cui qualifiche non soddisfano i requisiti delle diverse versioni dell’articolo 33-bis della direttiva 2005/36/CE, applicabili fino all’entrata in vigore della nuova direttiva del 2024 (23 febbraio 2024).
Il termine di recepimento delle disposizioni comunitarie in esame è fissato dalla medesima direttiva al 4 marzo 2025.
Direttiva (UE) 2024/825
(del Parlamento europeo e del Consiglio, del 28 febbraio 2024, che modifica le direttive 2005/29/CE e 2011/83/UE per quanto riguarda la responsabilizzazione dei consumatori per la transizione verde mediante il miglioramento della tutela dalle pratiche sleali e dell’informazione)
La direttiva (UE) 2024/825 apporta modifiche alle direttive in materia di tutela dei consumatori (direttiva (CE) 2005/29 e direttiva (UE) 2011/83), col fine di contribuire al corretto funzionamento del mercato interno, di perseguire un maggior livello di protezione dei consumatori e dell’ambiente, e di compiere progressi nella transizione verde.
Come affermato dal considerando n. 1 della direttiva, è essenziale che i consumatori possano prendere decisioni di acquisto informate e contribuire in tal modo a modelli di consumo più sostenibili.
Ciò presuppone che gli operatori economici forniscano informazioni chiare, pertinenti e affidabili.
Pertanto, nella normativa dell’Unione europea in materia di tutela dei consumatori vengono introdotte norme specifiche volte a contrastare le pratiche commerciali sleali che ingannano i consumatori e impediscono loro di compiere scelte di consumo sostenibili, quali le pratiche associate all’obsolescenza precoce dei beni, le asserzioni ambientali ingannevoli («greenwashing»), le informazioni ingannevoli sulle caratteristiche sociali dei prodotti o delle imprese degli operatori economici o i marchi di sostenibilità non trasparenti e non credibili.
Inoltre, vengono introdotti degli strumenti specifici a tali fini, denominati avviso armonizzato e etichetta armonizzata,
Nello specifico, l’articolo 1 opera modifiche alla direttiva 2005/29, il cui articolo 2 viene integrato con alcune definizioni, operando un rimando, per la nozione di “beni”, all’articolo 2, punto 5, della direttiva (UE) 2019/771 (qualsiasi bene mobile materiale, l’acqua, il gas e l’elettricità quando sono messi in vendita in un volume delimitato o in quantità determinata; qualsiasi bene mobile materiale che incorpora o è interconnesso con un contenuto digitale o un servizio digitale in modo tale che la mancanza di detto contenuto digitale o servizio digitale impedirebbe lo svolgimento delle funzioni del bene c.d. «beni con elementi digitali»).
Inoltre, vengono definite le nozioni di:
·
asserzione ambientale, ossia qualsiasi messaggio o rappresentazione avente carattere non obbligatorio a norma del diritto dell’Unione o nazionale, nel contesto di una comunicazione commerciale, in qualsiasi forma, compresi testi e rappresentazioni figurative, grafiche o simboliche, che asserisce o implica che un dato prodotto, categoria di prodotto, marca o operatore economico ha un impatto positivo o nullo sull’ambiente oppure è meno dannoso per l’ambiente rispetto ad altri prodotti, categorie di prodotto, marche o operatori economici oppure ha migliorato il proprio impatto nel corso del tempo;
·
asserzione ambientale generica, da intendersi come qualsiasi asserzione ambientale, formulata per iscritto o in forma orale, anche attraverso media audiovisivi, che non rientra in un marchio di sostenibilità, e la cui specificazione non è fornita in termini chiari ed evidenti tramite lo stesso mezzo di comunicazione;
·
marchio di sostenibilità, cioè qualsiasi marchio di fiducia, marchio di qualità o equivalente, pubblico o privato, avente carattere volontario, che ha come fine la distinzione e la promozione di un prodotto, un processo o un’impresa con riferimento alle sue caratteristiche ambientali o sociali oppure a entrambe, esclusi i marchi obbligatori richiesti a norma del diritto dell’Unione o nazionale;
·
sistema di certificazione, definito come un sistema di verifica, da parte di terzi, che certifica la conformità di un prodotto, un processo o un’impresa a determinati requisiti, che consente l’uso di un corrispondente marchio di sostenibilità e le cui condizioni, compresi i requisiti, sono accessibili al pubblico e soddisfano dei criteri specifici (che siano eque e non discriminatore, elaborate in consultazione con esperti del campo, che vi sia una procedimentalizzazione dei casi di non conformità, e posta la predisposizione di sistemi di monitoraggio);
·
eccellenza riconosciuta delle prestazioni ambientali, da intendersi come conformi al regolamento (CE) n. 66/2010, o a un sistema nazionale o regionale di assegnazione di marchi di qualità ecologica (di tipo I in conformità della norma EN ISO 14024) ufficialmente riconosciuto negli Stati membri, oppure conformi alle migliori prestazioni ambientali ai sensi delle norme di diritto dell’Unione;
·
durabilità, come definita dall’articolo 2, punto 13, della Dir. 2019/771, ossia la capacità dei beni di mantenere le loro funzioni e prestazioni richieste attraverso un uso normale;
·
aggiornamento del software, inteso come un aggiornamento necessario per la conformità alla direttiva 2019/770 e alla direttiva 2019/771 i beni comprendenti elementi digitali, contenuti digitali e servizi digitali, comprendendo nella nozione anche un aggiornamento di sicurezza, oppure un aggiornamento delle funzionalità;
·
materiali di consumo, ossia il componente di un bene che giunge ad esaurimento con frequenza e che deve essere sostituito o reintegrato affinché il bene funzioni come previsto;
·
funzionalità, come definita dall’articolo 2, punto 9, della direttiva 2019/771, ossia la capacità del bene di svolgere tutte le sue funzioni in considerazione del suo scopo.
Lo stesso articolo 1, paragrafo 2), incide sull’articolo 6, che definisce le azioni ingannevoli, sostituendo la lett. b) del paragrafo 1.
Pertanto, vengono in rilievo quali pratiche ingannevoli quelle che possono ingannare il consumatore medio circa le caratteristiche principali del prodotto, quali la sua disponibilità, i vantaggi, i rischi, l’esecuzione, la composizione, le caratteristiche ambientali o sociali, gli accessori, gli aspetti relativi alla circolarità, quali la durabilità, la riparabilità o la riciclabilità, l’assistenza post-vendita al consumatore e il trattamento dei reclami, il metodo e la data di fabbricazione o della prestazione, la consegna, l’idoneità allo scopo, gli usi, la quantità, la descrizione, l’origine geografica o commerciale o i risultati che si possono attendere dal suo uso, o i risultati e le caratteristiche fondamentali di prove e controlli effettuati sul prodotto. Più precisamente, la nuova formulazione aggiunge al novero le caratteristiche ambientali o sociali e gli aspetti relativi alla circolarità, quali la durabilità, la riparabilità o la riciclabilità.
In aggiunta, il paragrafo 2 dello stesso articolo 6 della direttiva 2005/29 è integrato da due ulteriori lettere, che riconducono nel novero delle condotte ingannevoli la formulazione di un’asserzione ambientale relativa a prestazioni ambientali future senza includere impegni chiari, oggettivi, pubblicamente disponibili e verificabili, e la pubblicizzazione come vantaggi per i consumatori di elementi irrilevanti non derivanti dalle caratteristiche del prodotto o dell’impresa.
L’articolo 7 della menzionata direttiva viene integrato, inserendo tra le omissioni ingannevoli la fattispecie che si verifica ove l’operatore economico fornisce un servizio di raffronto fra prodotti, e comunica al consumatore informazioni sulle caratteristiche ambientali o sociali o sugli aspetti relativi alla circolarità (durabilità, riparabilità, riciclabilità) dei prodotti o dei loro fornitori. Rilevano le informazioni sul metodo di raffronto, sui prodotti raffrontati e sui fornitori di tali prodotti, così come quelle sulle misure predisposte per tenere aggiornate le informazioni.
L’articolo 2 della direttiva 2024/825 modifica parti della direttiva 2011/83, ed in particolare l’articolo 2, inserendo alcune definizioni:
·
garanzia commerciale di durabilità, ossia la garanzia commerciale di durabilità del produttore di cui all’articolo 17 della direttiva 2019/771, in base alla quale il produttore è responsabile direttamente nei confronti del consumatore per la riparazione o la sostituzione dei beni nell’arco di tutto il periodo di durata della garanzia qualora i beni non mantengano la propria durabilità;
·
durabilità, quale definita all’articolo 2, punto 13, della direttiva 2019/771 (v. sopra);
·
produttore, quale definito all’articolo 2, punto 4, della direttiva 2019/771, ossia il fabbricante di un bene, l’importatore di un bene nel territorio dell’Unione o qualsiasi altra persona che si presenta come produttore apponendo sul bene il suo nome, marchio o altro segno distintivo;
·
indice di riparabilità, che esprime l’idoneità di un bene ad essere riparato sulla base di requisiti armonizzati stabiliti a livello dell’Unione;
·
aggiornamento del software, ossia aggiornamento gratuito per conformità alle direttive 2019/770 e 2019/771 i beni comprendenti elementi digitali, contenuti digitali e servizi digitali (v. sopra).
Il paragrafo 2 dell’articolo 2 riforma l’articolo 5 della direttiva 2011/83, sostituendo la lettera e), per cui è stabilito che, in materia di contratti diversi da quelli a distanza, o negoziati fuori dei locali commerciali, che un promemoria dell’esistenza della garanzia legale di conformità, per i beni e dei suoi elementi principali, compresa la durata minima di due anni, ai sensi della direttiva (UE) 2019/771, sia visibile, utilizzando l’avviso armonizzato di cui all’articolo 22-bis della direttiva riformata (a norma dell’articolo 2, paragrafo 5, della direttiva in esame).
Inoltre, lo stesso articolo 5 è integrato dalle lettere e-bis), e-ter), e-quater), e-quinquies), secondo cui, se il produttore offre al consumatore una garanzia commerciale di durabilità senza costi aggiuntivi, che copre il bene nel suo complesso ed ha una durata superiore a due anni, e mette tali informazioni a disposizione dell’operatore economico, mediante l’etichetta armonizzata di cui all’articolo 22-bis, l’informazione sul punto deve essere resa in modo visibile. Allo stesso modo, dev’essere fornito un promemoria dell’esistenza della garanzia legale di conformità per il contenuto digitale e i servizi digitali; ove applicabili, l’esistenza e le condizioni dei servizi postvendita e delle garanzie commerciali; per i beni comprendenti elementi digitali, per i contenuti digitali e per i servizi digitali, se il produttore o il fornitore mette a disposizione dell’operatore economico informazioni riguardanti il periodo minimo, indicato mediante un termine o con riferimento a una data, durante cui il produttore o il fornitore fornisce aggiornamenti del software, devono essere fornite.
Sono, peraltro, aggiunte le lettere i) e j), che stabiliscono l’obbligo, per il professionista, di fornire o l’indice di riparabilità dei beni oppure, ove non applicabile, informazioni concernenti la disponibilità, il costo stimato e la procedura di ordinazione dei pezzi di ricambio (necessari per mantenere la conformità dei beni), informazioni sulla disponibilità di istruzioni per la riparazione e la manutenzione ed informazioni sulle restrizioni alla riparazione, a condizione che il produttore metta tali informazioni a disposizione dell’operatore economico.
La norma in esame opera delle modifiche anche al regime degli obblighi di informazione per i contratti a distanza o negoziati fuori dai locali commerciali, disciplinato dall’articolo 6 della direttiva 2011/83.
In particolare, alla lettera g) del paragrafo 1 è aggiunta l’espressione, riferita agli obblighi informativi riguardanti la consegna, “incluse ove disponibili opzioni di consegna rispettose dell’ambiente”, mentre con la riforma della lettera l) è stabilito che deve essere fornito un promemoria dell’esistenza della garanzia legale di conformità per i beni e dei suoi elementi principali, compresa della durata minima pari a due anni, in modo visibile, utilizzando l’avviso all’articolo 22-bis.
Inoltre, sono aggiunte le lettere l-bis), l-ter), l-quater), secondo cui, se il produttore offre al consumatore una garanzia commerciale di durabilità senza costi aggiuntivi, che copre il bene nel suo complesso ed ha una durata superiore a due anni, e mette tali informazioni a disposizione dell’operatore economico, le stesse devono essere fornite, anche utilizzando l’etichetta armonizzata di cui all’articolo 22-bis.
Peraltro, dev’essere fornito un promemoria dell’esistenza della garanzia ex lege di conformità per contenuti e servizi digitali, mentre per i per i beni comprendenti elementi digitali, per i contenuti digitali e per i servizi digitali, se il produttore o il fornitore mette a disposizione dell’operatore economico informazioni concernenti il periodo minimo, indicato mediante un termine o con riferimento a una data, durante cui il produttore o il fornitore fornisce aggiornamenti del software, devono essere fornite.
Anche nella disciplina in esame viene aggiunta, mediante l’inserimento delle lettere u) e v), l’obbligo di fornire l’indice di riparabilità dei beni e, ove non applicabile, informazioni concernenti la disponibilità, il costo stimato e la procedura di ordinazione dei pezzi di ricambio (necessari per mantenere la conformità dei beni), informazioni sulla disponibilità di istruzioni per la riparazione e la manutenzione ed informazioni sulle restrizioni alla riparazione, a condizione che il produttore metta tali informazioni a disposizione dell’operatore economico.
L’articolo 8, paragrafo 2, è modificato nel senso che, in caso di contratto a distanza concluso con mezzi elettronici, si impone all’operatore economico di comunicare alcune informazioni, tra le quali è aggiunta quella concernente la garanzia richiamata dall’articolo 6, paragrafo 1, lettera l-bis).
Il paragrafo 5 dell’articolo 2 della direttiva 2024/825, in aggiunta, inserisce all’interno del Capo V della direttiva 2011/83 un articolo 22-bis, che disciplina l’avviso armonizzato e l’etichetta armonizzata.
Nell’ottica di assicurare un’adeguata informazione e comprensione dei propri diritti per i consumatori in tutta l’Unione, le informazioni circa l’esistenza della garanzia legale di conformità per i beni e dei suoi elementi principali, della durata minima pari a due anni (articolo 5, paragrafo 1, lettera e) e articolo 6, paragrafo 1, lettera l)) sono fornite mediante l’utilizzo dell’avviso armonizzato, mentre l’etichetta armonizzata deve presentare le informazioni riguardanti una garanzia commerciale di durabilità senza costi aggiuntivi, posta dal produttore, che copre il bene nel suo complesso ed ha una durata superiore a due anni, se tali informazioni sono messe a disposizione dell’operatore economico da parte del produttore (articolo 5, paragrafo 1, lettera e-bis) e articolo 6, paragrafo 1, lettera l-bis)).
Peraltro, a norma del paragrafo 3 dell’articolo 22bis che si sta introducendo, si afferma che l’avviso armonizzato deve contenere i principali elementi della garanzia legale di conformità, compresa la durata minima di due anni prevista dalla direttiva 2019/771, e un riferimento generale alla possibilità che la durata della garanzia legale di conformità sia più lunga, a norma del diritto nazionale.
Si stabilisce, al paragrafo 5, che l’avviso armonizzato e l’etichetta armonizzata siano facilmente riconoscibili e comprensibili per i consumatori e di facile utilizzo e riproduzione per gli operatori economici.
Il paragrafo 6 dell’articolo 2 della direttiva 2024/825 inserisce un articolo 27bis alla direttiva 2011/83, che si riferisce alla procedura di comitato cui fa riferimento il paragrafo 6 dell’articolo 22bis sull’adozione degli atti di esecuzione necessari per quest’ultima norma.
A norma dell’articolo 4 della direttiva, il termine per il recepimento è posto in data 27 marzo 2026, mentre l’applicazione delle disposizioni si avrà a decorrere dal 27 settembre 2026.
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Direttiva (UE) 2024/790
(del Parlamento europeo e del Consiglio, del 28 febbraio 2024, che modifica la direttiva 2014/65/UE, relativa ai mercati degli strumenti finanziari)
La direttiva UE 2024/790, entrata in vigore il 28 marzo 2024, è rivolta a conseguire l’eliminazione degli ostacoli che hanno impedito l’affermarsi di sistemi consolidati di pubblicazione dei dati di mercato relativi a differenti classi di strumenti finanziari a livello dell'UE, nonché a migliorare la trasparenza dei mercati degli strumenti finanziari.
Preliminarmente si ricorda che il Regolamento (UE) n. 600/2014 del 15 maggio 2014 sui mercati degli strumenti finanziari (cd. MIFIR) e la Direttiva MIFID 2 (Direttiva 2014/65/UE del 15.5.2014, sui mercati degli strumenti finanziari) hanno sostanzialmente innovato il quadro normativo dell’Unione in tema di mercati di strumenti finanziari precedentemente incentrato sulla direttiva 2004/39/CE (cd. MIFID 1).
In particolare, a seguito della crisi finanziaria del 2008, si è reso necessario un rafforzamento della trasparenza ai fini del miglioramento del funzionamento del mercato interno degli strumenti finanziari mediante una nuova cornice normativa che regolamentasse gli obblighi applicabili alle imprese di investimento, ai mercati regolamentati e fornitori di servizi di reporting dei dati di mercato. La Commissione europea nella sua comunicazione del 19 gennaio 20211 ha confermato l’intenzione di migliorare, semplificare e armonizzare ulteriormente, con una specifica proposta legislativa, la trasparenza dei mercati dei capitali dell’Unione, nel contesto della revisione del quadro della MiFID 2 e del MiFIR (MiFID/MiFIR). Inoltre, anche nel contesto generale di rafforzamento del ruolo internazionale dell'euro, la riforma prevede la progettazione e l'attuazione di un sistema consolidato di pubblicazione dei dati di mercato relativi a differenti classi di strumenti finanziari, questo in particolare, per le emissioni di obbligazioni societarie e con l'obiettivo di aumentare la liquidità della negoziazione secondaria di strumenti di debito denominati in euro.
La maggior parte delle misure legislative destinate ad attuare il pacchetto di revisione normativa sono contenute nel regolamento (UE) 2024/791 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 28 febbraio 2024, che modifica il regolamento (UE) n. 600/2014-MiFIR per quanto riguarda il miglioramento della trasparenza dei dati di mercato, l’eliminazione degli ostacoli all’emergere di sistemi consolidati di pubblicazione, l’ottimizzazione degli obblighi di negoziazione e il divieto di ricevere pagamenti per il flusso degli ordini.
In modo complementare, la presente direttiva introduce delle modifiche incidentali alla direttiva MiFID 2, necessarie a garantire la coerenza complessiva della riforma (nei considerando della direttiva si rileva: dato che la direttiva 2014/65/UE contiene anch’essa disposizioni concernenti il sistema consolidato di pubblicazione e la trasparenza, le modifiche del regolamento (UE) n. 600/2014 dovrebbero rispecchiarsi nella direttiva 2014/65/UE).
La Direttiva MiFID II
La Direttiva 2004/39/CE, in materia di mercati degli strumenti finanziari, alla quale ci si riferisce comunemente con l'acronimo MiFID (Market in Financial Instruments Directive), è stata in parte rifusa nella Direttiva 2014/65/UE e in parte sostituita dal Regolamento (UE) n. 600/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio. La Direttiva 2014/65/UE, denominata MiFID II, ed il Regolamento n. 600/2014, noto come MiFIR, sono stati redatti con lo scopo di normare un mercato sempre più complesso, caratterizzato da un notevole incremento degli strumenti finanziari e dei sistemi di trading ad alta frequenza, attraverso i quali ha luogo una quota rilevante delle transazioni sui mercati telematici più evoluti.
Si intende aumentare la trasparenza delle negoziazioni e la tutela degli investitori, attraverso una maggiore responsabilizzazione degli intermediari, una più approfondita consapevolezza degli investitori (grazie alla disponibilità di informazioni più dettagliate e più frequenti) ed un rafforzamento dei poteri - sia ex-ante che ex post - delle Autorità di vigilanza. In particolare, per la prima volta sono contenute misure specifiche in tema di prodotti finanziari, come quelle finalizzate a ridurre il rischio che i prodotti finanziari emessi e/o collocati non siano adeguati al cliente finale. Si prevede inoltre che le Autorità nazionali, l’ESMA e l’EBA (per i depositi strutturati) possono proibire o restringere la negoziazione e il collocamento di alcuni strumenti finanziari o depositi strutturati e le attività o pratiche finanziarie potenzialmente riduttive della protezione degli investitori, della stabilità finanziaria o dell’ordinato funzionamento dei mercati.
Già in base alle disposizioni della MiFID, l’impresa di investimento erogante servizi di consulenza o di gestione del portafoglio è tenuta ad acquisire informazioni in merito alle conoscenze ed esperienze del cliente in materia di investimenti e ai suoi obiettivi di investimento.
Con la MiFID II tale norma viene integrata, sia perché nel definire gli strumenti finanziari adeguati al cliente si fa esplicito riferimento alla necessità di individuare la capacità dello stesso di fronteggiare eventuali perdite e la sua predisposizione al rischio, sia in quanto, nel caso in cui l’impresa raccomandi una pluralità di prodotti o servizi, la valutazione di adeguatezza deve avvenire in relazione all’intero pacchetto.
Inoltre l'impresa, quando effettua consulenza agli investimenti, prima che la transazione sia conclusa, deve condividere con il cliente le motivazioni che hanno portato a ritenere che l'operazione di investimento consigliata sia realmente rispondente alle sue aspettative. Si ampliano poi gli obblighi di comunicazione alla clientela su costi e oneri connessi ai servizi di investimento o accessori che devono includere anche il costo della consulenza (se rilevante), il costo dello strumento finanziario raccomandato o venduto al cliente e le modalità con cui il cliente può remunerare il servizio di investimento ricevuto.
Le informazioni circa tutte le voci di costo devono essere presentate in forma aggregata, per consentire al cliente di conoscere il costo complessivo ed il suo impatto sul rendimento atteso dall'investimento
Le norme adottate congiuntamente nel regolamento e nella direttiva in esame istituiscono sistemi consolidati di pubblicazione a livello dell'UE o flussi di dati centralizzati per diversi tipi di attività, riunendo i dati di mercato forniti dalle piattaforme su cui gli strumenti finanziari sono negoziati nell'UE.
I sistemi consolidati di pubblicazione avranno l'obiettivo di pubblicare le informazioni il più possibile in tempo reale. Di conseguenza, gli investitori avranno accesso a informazioni aggiornate sulle operazioni per tutta l'UE.
In tal modo sarà più facile, sia per gli investitori professionali che per quelli al dettaglio, accedere a informazioni chiave quali prezzo degli strumenti e volume, data e ora delle operazioni.
Le nuove norme impongono anche un divieto generale sul pagamento per il flusso di ordini, una pratica attraverso la quale i broker ricevono pagamenti per la trasmissione degli ordini dei clienti a determinate piattaforme di negoziazione. Gli Stati membri in cui già esisteva la pratica del pagamento per il flusso di ordini possono esentare dal divieto le imprese di investimento soggette alla loro giurisdizione, a condizione che il pagamento per il flusso di ordini sia consentito solo ai clienti ubicati in tale Stato membro. Tuttavia, tale pratica dovrà essere gradualmente eliminata al 30 giugno 2026.
Nello specifico della direttiva, l'articolo 1, in numerosi punti prevede la soppressione o la sostituzione di disposizioni della MiFID II che diventeranno superflue a seguito delle modifiche proposte per il MiFIR nel contesto del presente pacchetto.
Tra le modifiche più rilevanti si segnalano:
i) l’articolo 1, numero 1), che sopprime la previsione dell’articolo 1, paragrafo 7, della direttiva 2014/65/UE che impone ai sistemi e ai meccanismi che consentono l’interazione tra interessi multipli di acquisto e di vendita di terzi relativi a strumenti finanziari (sistemi multilaterali) di operare in conformità dei requisiti relativi ai mercati regolamentati, ai sistemi multilaterali di negoziazione (multilateral trading facilities–MTF) o ai sistemi organizzati di negoziazione (organised trading facilities–OTF);
Nei considerando si osserva che la prassi di mercato, come evidenziato dall’Autorità europea di vigilanza (Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati) (ESMA) istituita dal regolamento (UE) n. 1095/2010 del Parlamento europeo e del Consiglio, nella sua relazione finale del 23 marzo 2021 sul funzionamento dei sistemi organizzati di negoziazione, ha dimostrato che il principio dell’attività multilaterale di negoziazione che richiede un’autorizzazione non è stato rispettato nell’Unione, il che ha portato a condizioni di disparità tra i sistemi multilaterali autorizzati come mercato regolamentato, un MFT o un OTF e i sistemi multilaterali che non sono autorizzati in quanto tali.
Inoltre tale situazione ha creato incertezza del diritto per taluni partecipanti al mercato per quanto concerne le aspettative in materia di regolamentazione per tali sistemi multilaterali. Al fine di fornire chiarezza ai partecipanti al mercato, salvaguardare la parità di condizioni, migliorare il funzionamento del mercato interno e garantire un’applicazione uniforme del requisito secondo cui i sistemi ibridi svolgono attività di negoziazione multilaterale soltanto se sono autorizzati come mercato regolamentato, MTF o OTF, il contenuto dell’articolo 1, paragrafo 7, della direttiva 2014/65/UE dovrebbe essere trasferito dalla direttiva 2014/65/UE al regolamento (UE) n. 600/2014. In vista dell’eliminazione dei sistemi multilaterali dall’ambito di applicazione dell’articolo 1, paragrafo 7, della direttiva 2014/65/UE e della loro inclusione nell’ambito di applicazione del regolamento (UE) n. 600/2014, viene rilevata l’opportunità di trasferire la definizione di "sistema multilaterale" in tale regolamento.
ii) l’articolo 1, numero 2), che sostituisce il punto ii) dell’articolo 2, paragrafo 1, lettera d), prevedendo che la direttiva non si applica alle persone che negoziano per conto proprio in strumenti finanziari diversi dagli strumenti derivati su merci o dalle quote di emissione o relativi strumenti derivati e che non prestano altri servizi di investimento o non esercitano altre attività di investimento in strumenti finanziari diversi dagli strumenti derivati su merci, dalle quote di emissione o relativi derivati, salvo ove tali persone siano membri o partecipanti di un mercato regolamentato o di un sistema multilaterale di negoziazione (multilateral trading facility – MTF), ad eccezione di entità non finanziarie che eseguono operazioni in una sede di negoziazione, laddove tali operazioni siano parte di gestione della liquidità o siano oggettivamente misurabili in base alla capacità di ridurre i rischi direttamente connessi alle attività commerciali o alle attività di finanziamento della tesoreria di dette entità non finanziarie o dei loro gruppi;
Nei considerando si osserva che l’articolo 2, paragrafo 1, lettera d), punto ii), della direttiva 2014/65/UE esonera le persone che negoziano per conto proprio dall’obbligo di essere autorizzate come impresa di investimento o ente creditizio, fatto salvo il caso in cui tali persone siano membri o partecipanti di un mercato regolamentato o di un MTF, oppure dispongano di accesso elettronico diretto a una sede di negoziazione. Le entità non finanziarie che sono membri o partecipanti di un mercato regolamentato o di un MFT ai fini dell’esecuzione di operazioni relative alla gestione della liquidità o al fine di ridurre i rischi direttamente connessi all’attività commerciale o all’attività di finanziamento della tesoreria, non dovrebbero essere tenute ad essere autorizzate come imprese di investimento, in quanto tale requisito sarebbe sproporzionato. Con riguardo all’accesso elettronico diretto a una sede di negoziazione, l’articolo 17, paragrafo 5, e l’articolo 48, paragrafo 7, della direttiva 2014/65/UE richiedono che i fornitori di accesso elettronico diretto siano imprese di investimento o enti creditizi autorizzati. Le imprese di investimento o gli enti creditizi che forniscono accesso elettronico diretto sono competenti per garantire che i loro clienti rispettino i requisiti di cui all’articolo 17, paragrafo 5, e all’articolo 48, paragrafo 7, della direttiva 2014/65/UE. Tale funzione di "guardiani" è efficace e rende superflua la necessità per i clienti del fornitore di accesso elettronico diretto, comprese le persone che negoziano per conto proprio, di diventare soggette all’applicazione della direttiva 2014/65/UE. Inoltre, l’eliminazione di tale requisito contribuirebbe a creare condizioni di parità tra le persone stabilite nell’Unione, da un lato, e le persone stabilite in un paese terzo, dall’altro, che accedono alle sedi dell’Unione attraverso un accesso elettronico diretto, per il quale la direttiva 2014/65/UE non richiede un’autorizzazione.
iii) l'articolo 1, numero 3), cambia alcune definizioni, stabilendo che un sistema multilaterale è un sistema multilaterale come definito all’articolo 2, paragrafo 1, punto 11), del regolamento (UE) n.600/2014 e che l’internalizzatore sistematico è un’impresa di investimento che in modo organizzato, frequente e sistematico negozia per conto proprio in strumenti di capitale eseguendo gli ordini del cliente al di fuori di un mercato regolamentato, di un sistema multilaterale di negoziazione o di un sistema organizzato di negoziazione senza gestire un sistema multilaterale, ovvero che opta per lo status di internalizzatore sistematico;
iv)
l'articolo 1, numero 4), modifica in più parti l’articolo 27 della direttiva 2014/65/UE che prevede l’obbligo di eseguire gli ordini alle condizioni più favorevoli per il cliente. In particolare, la norma sopprime l’obbligo per le sedi di esecuzione di pubblicare relazioni con un elenco di dettagli relativi all’obbligo di eseguire ordini alle condizioni più favorevoli per i clienti (esecuzione alle condizioni migliori) e dispone che l’ESMA deve elaborare progetti di norme tecniche di regolamentazione sui criteri di cui tenere conto per stabilire e valutare l’efficacia della strategia di esecuzione degli ordini a norma dell’articolo 27, paragrafi 5 e 7, della direttiva 2014/65/UE, tenendo in considerazione la differenza tra clienti al dettaglio e professionali. In più viene riconosciuto alla Commissione il potere di adottare norme tecniche di regolamentazione sviluppate dall’ESMA per quanto concerne i criteri da prendere in considerazione per stabilire e valutare l’efficacia della strategia di esecuzione degli ordini, i principi che i mercati regolamentati devono prendere in considerazione al momento di istituire i loro meccanismi per fermare o limitare le negoziazioni e le informazioni che i mercati regolamentati sono tenuti a comunicare sulle circostanze che determinano l’interruzione o la limitazione delle negoziazioni, compresi i parametri per sospendere le negoziazioni che i mercati regolamentati sono tenuti a comunicare alle autorità competenti. La Commissione dovrebbe adottare tali norme tecniche di regolamentazione mediante atti delegati a norma dell’articolo 290 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea e conformemente agli articoli da 10 a 14 del regolamento (UE) n. 1095/2010.
Nei considerando si specifica che l’articolo 27, paragrafi 3, e 6, della direttiva 2014/65/UE prevede l’obbligo per le sedi di esecuzione di pubblicare relazioni con un elenco di dettagli relativi all’obbligo di eseguire ordini alle condizioni più favorevoli per i clienti (esecuzione alle condizioni migliori). Dalle prove e dal riscontro forniti dai portatori di interessi è emerso che tali relazioni vengono lette raramente e non consentono agli investitori o agli altri utenti di tali relazioni di effettuare raffronti significativi sulla base delle informazioni fornite in tali documenti. Di conseguenza la direttiva (UE) 2021/338 del Parlamento europeo e del Consiglio ha sospeso l’obbligo di comunicazione di cui all’articolo 27, paragrafo 3, della direttiva 2014/65/UE per due anni affinché tale obbligo possa essere riesaminato. Il regolamento (UE) 2024/791 modifica il regolamento (UE) n. 600/2014 al fine di rimuovere gli ostacoli che hanno impedito l’emergere di un sistema consolidato di pubblicazione. I dati che tale sistema dovrebbe diffondere sono i migliori prezzi di acquisto e di vendita europei, le informazioni post-negoziazione concernenti le operazioni in azioni e in fondi indicizzati quotati, nonché le informazioni post-negoziazione concernenti tutte le operazioni in obbligazioni e derivati negoziati fuori listino (over-the-counter – OTC). Tali informazioni possono essere utilizzate per dimostrare l’esecuzione alle condizioni migliori. L’obbligo di comunicazione di cui all’articolo 27, paragrafo 3, della direttiva 2014/65/UE non sarà pertanto più pertinente e dovrebbe essere soppresso. L’articolo 27 della direttiva 2014/65/UE contiene inoltre disposizioni più generali relative all’esecuzione alle condizioni migliori. Tuttavia, le diverse interpretazioni di tale articolo da parte delle autorità nazionali competenti hanno portato a un’applicazione con approcci divergenti dei requisiti di esecuzione alle condizioni migliori e della vigilanza sulle prassi di mercato. Tale divergenza è particolarmente evidente nei diversi modi in cui le prassi relative alla ricezione di pagamenti per il flusso degli ordini sono regolamentate in tutta l’Unione. Il regolamento (UE) 2024/791 che modifica il regolamento (UE) n. 600/2014 vieta alle imprese di investimento di ricevere tali pagamenti in tutta l’Unione. Tuttavia, i riscontri delle autorità di regolamentazione e delle parti interessate hanno dimostrato che anche i requisiti di esecuzione alle condizioni migliori per i clienti professionali potrebbero beneficiare di ulteriori chiarimenti. Pertanto, l’ESMA dovrebbe elaborare progetti di norme tecniche di regolamentazione sui criteri di cui tenere conto per stabilire e valutare l’efficacia della strategia di esecuzione degli ordini a norma dell’articolo 27, paragrafi 5 e 7, della direttiva 2014/65/UE, tenendo in considerazione la differenza tra clienti al dettaglio e professionali.
L'articolo 1, numero 5), prevede che gli Stati membri prescrivono che le imprese di investimento e i gestori del mercato che gestiscono un sistema multilaterale di negoziazione o un sistema organizzato di negoziazione pongano in atto dispositivi destinati ad assicurare il soddisfacimento da parte loro dei requisiti in materia di qualità dei dati a norma dell’articolo 22 ter del regolamento (UE) n. 600/2014;
L'articolo 1, numero 6), impone agli Stati membri di obbligare i mercati regolamentati a porre in atto dispositivi destinati ad assicurare il soddisfacimento delle norme in materia di qualità dei dati ora emanate nel MiFIR;
L'articolo 1, numero 7), modifica in più parti l’articolo 48 della direttiva 2014/65/UE prevedendo che gli Stati membri prescrivano che i mercati regolamentati siano in grado di sospendere o limitare temporaneamente le negoziazioni in situazioni di emergenza o qualora si registri un’oscillazione significativa nel prezzo di uno strumento finanziario in tale mercato o in un mercato correlato in un breve lasso di tempo e, in casi eccezionali, possano sopprimere, modificare o correggere qualsiasi transazione. Gli Stati membri prescrivono ai mercati regolamentati di garantire che i parametri per la sospensione o la limitazione delle negoziazioni siano adeguatamente calibrati in modo tale da tenere conto della liquidità delle diverse classi e sottoclassi di attività, della natura del modello di mercato e delle categorie di utenti, e da evitare perturbazioni significative del corretto funzionamento delle negoziazioni. Gli Stati membri prescrivono che i mercati regolamentati comunichino pubblicamente sul proprio sito web le informazioni relative alle circostanze che portano alla sospensione o la limitazione delle negoziazioni e ai principi per stabilire i principali parametri tecnici utilizzati a tal fine. Qualora un mercato regolamentato non sospenda o limiti le negoziazioni ai sensi del primo comma nonostante una significativa variazione dei prezzi che incide su uno strumento finanziario o su strumenti finanziari correlati abbia determinato condizioni di negoziazione anormali su uno o più mercati, gli Stati membri provvedono a che le autorità competenti siano in grado di adottare misure adeguate per ristabilire il normale funzionamento dei mercati, anche utilizzando i poteri di vigilanza.
L'articolo 1, numero 8), contiene una norma di dettaglio riguardante la misura dei tick di negoziazione (ossia del livello minimo di variazione in aumento o in diminuzione che può subire uno strumento finanziario in un mercato di negoziazione) per le azioni e i titoli negoziati fuori dal mercato unico;
L'articolo 1, numero 9), sopprime la disposizione in tema di obbligo sincronizzazione degli orologi per tutte le piattaforme di negoziazione (ormai anacronistica).
L'articolo 1, numero 10), modifica l’articolo 57 (limiti di posizione in strumenti derivati su merci e controlli sulla gestione delle posizioni in strumenti derivati su merci e strumenti derivati sulle quote di emissione) stabilendo che gli Stati membri garantiscono che un’impresa di investimento o un gestore del mercato che gestisce una sede di negoziazione che negozia derivati su merci o derivati sulle quote di emissione applichi controlli sulla gestione delle posizioni, in particolare che la sede di negoziazione abbia la facoltà di ottenere dalle persone informazioni, compresa tutta la documentazione pertinente, circa l’entità e la finalità di una posizione o esposizione assunta, informazioni sui titolari effettivi o sottostanti, eventuali misure concertate ed eventuali attività o passività collegate nel mercato sottostante, comprese, se del caso, le posizioni detenute in derivati su quote di emissioni o le posizioni detenute in derivati su merci aventi lo stesso sottostante e le stesse caratteristiche in altre sedi di negoziazione e in contratti EEOTC tramite i membri e i partecipanti.
L'articolo 1, numero 11), modifica l’articolo 58 (Notifica dei titolari di posizioni in base alle categorie), disponendo che gli Stati membri si assicurano che le imprese di investimento o i gestori del mercato che gestiscono una sede di negoziazione che negoziano derivati su merci o derivati su quote di emissioni rendono pubbliche:
i. per le sedi di negoziazione dove sono negoziate le opzioni, due relazioni settimanali, una delle quali senza opzioni, indicanti le posizioni aggregate detenute dalle differenti categorie di persone per i differenti derivati su merci o derivati su quote di emissioni negoziati nelle loro sedi di negoziazione, specificando il numero delle posizioni lunghe e corte per tali categorie, le modifiche intervenute rispetto alla relazione precedente, la percentuale del totale delle posizioni aperte rappresentata per ciascuna categoria e il numero di persone che detengono una posizione in ciascuna categoria in conformità del paragrafo 4;
ii. per le sedi di negoziazione in cui le opzioni non sono negoziate, una relazione settimanale sugli elementi di cui al punto i.
Inoltre, gli Stati membri garantiscono che un’impresa di investimento o un gestore del mercato che gestisce una sede di negoziazione che negozia derivati su merci o derivati su quote di emissione comunichi le relazioni sopra citate, all’autorità competente e all’ESMA. L’ESMA procede alla pubblicazione centralizzata delle informazioni contenute in tali relazioni. Gli Stati membri garantiscono, altresì, che le imprese di investimento che negoziano derivati su merci o derivati su quote di emissioni al di fuori di una sede di negoziazione forniscano, almeno su base giornaliera, all’autorità competente centrale di cui all’articolo 57, paragrafo 6, o – qualora non esista un’autorità competente centrale – all’autorità competente della sede di negoziazione in cui i derivati su merci o derivati su quote di emissioni sono negoziati una scomposizione completa delle loro posizioni assunte in contratti OTC economicamente equivalenti, nonché di quelle dei loro clienti, e dei clienti di detti clienti, fino a raggiungere il cliente finale, ai sensi dell’articolo 26 del regolamento (UE) n. 600/2014 e, se del caso, dell’articolo 8 del regolamento (UE) n. 1227/2011. Infine, si prevede che le persone che detengono posizioni in un uno strumento derivato su merci ovvero in uno strumento derivato di quote di emissioni sono classificate dall’impresa di investimento o dal gestore del mercato che gestisce la sede di negoziazione in base alla natura della loro attività principale, tenendo conto di eventuali autorizzazioni applicabili, come nel caso di strumenti derivati delle quote di emissione, gli operatori per i quali sussiste l’obbligo di conformarsi alle disposizioni della direttiva 2003/87/CE.
L'articolo 1, numero 12), adegua le disposizioni in tema di sanzioni alle modifiche adottate con la presente direttiva.
L'articolo 1, numero 13) contiene infine integra il contenuto delle relazioni che la Commissione presenta al Parlamento europeo e al Consiglio in merito alla direttiva 2014/65/UE.
L’articolo 2 disciplina i termini di recepimento delle norme, stabilendo che gli Stati membri mettono in vigore le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla presente direttiva entro il 29 settembre 2025 e ne informano immediatamente la Commissione.
Le disposizioni adottate dagli Stati membri contengono un riferimento alla presente direttiva o sono corredate di tale riferimento all’atto della pubblicazione ufficiale. Le modalità del riferimento sono stabilite dagli Stati membri che comunicano alla Commissione il testo delle disposizioni principali di diritto interno che adottano nel settore disciplinato dalla direttiva.
Direttiva (UE) 2024/927
(del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 marzo 2024, che modifica le direttive 2011/61/UE e 2009/65/CE per quanto riguarda gli accordi di delega, la gestione del rischio di liquidità, le segnalazioni a fini di vigilanza, la fornitura dei servizi di custodia e di depositario e la concessione di prestiti da parte di fondi di investimento alternativi)
La direttiva (UE) 2024/927 prevede modifiche alla direttiva 2011/61/UE sui gestori di fondi di investimento alternativi (GEFIA) e alla direttiva 2009/65/CE su taluni organismi d'investimento collettivo in valori mobiliari (OICVM) funzionali ad armonizzare le previsioni normative contenute nelle suddette direttive e a definire un sistema di norme trasparente che renda il mercato dei capitali efficiente ed efficacemente vigilato.
La direttiva (UE) 2024/927, entrata in vigore il 15 aprile 2024, prevede modifiche alla direttiva 2011/61/UE sui gestori di fondi di investimento alternativi (GEFIA) e alla direttiva 2009/65/CE su taluni organismi d'investimento collettivo in valori mobiliari (OICVM).
I GEFIA (Gestori di Fondi di Investimento Alternativi) sono entità che gestiscono fondi di investimento alternativi (FIA) come hedge fund, fondi di private equity, fondi immobiliari e altri tipi di fondi non tradizionali.
I GEFIA sono regolati dalla direttiva 2011/61/UE, nota come direttiva sui Gestori di Fondi di Investimento Alternativi (AIFMD - Alternative Investment Fund Managers Directive), che stabilisce norme per l’autorizzazione, la gestione, la trasparenza e la supervisione di questi gestori. L’obiettivo principale della normativa è migliorare la protezione degli investitori e la stabilità dei mercati finanziari.
Da un punto di vista economico i FIA sono strumenti di diversificazione del portafoglio di investimento rispetto agli strumenti di investimento finanziario tradizionale (azioni, obbligazioni, Fondi comuni) in quanto esiste una scarsa correlazione tra il valore di tali strumenti e l’andamento dei mercati tradizionali. Ciò significa, in altri termini, che l’investitore che investe in FIA può ottenere dei rendimenti anche quando si verifichino ribassi di valore sui mercati tradizionali. In generale i FIA presentano una volatilità maggiore, un più basso livello di liquidità e, di conseguenza rendimenti (o perdite) più significativi rispetto agli strumenti tradizionali (non sono quindi generalmente indicati quali strumenti destinati investitori risk adverse).
Gli OICVM (Organismi di Investimento Collettivo del Risparmio in Valori Mobiliari) sono invece i fondi di investimento collettivo regolati dalla direttiva 2009/65/CE che raccolgono capitali da una pluralità di investitori e li investono in un portafoglio diversificato di valori mobiliari, come azioni, obbligazioni e altri strumenti finanziari. Gli OICVM, noti anche come UCITS (Undertakings for collective investment in transferable securities), sono regolati a livello normativo al fine di incrementare la sicurezza e la stabilità dei mercati e facilitare la distribuzione transfrontaliera dei fondi all'interno dell'UE. Questi fondi devono rispettare rigorosi requisiti di diversificazione, liquidità e trasparenza, garantendo così un elevato livello di tutela per gli investitori.
Si ricorda che la direttiva 2011/61/UE è stata adottata nel 2011 per far fronte alla crisi finanziaria globale, al fine di definire una risposta efficiente alla possibilità che le attività dei gestori di fondi di investimento alternativi potessero amplificare rischi sistemici.
Nel procedere al riesame della direttiva 2011/61/UE, ai sensi dell’articolo 69 della stessa, la Commissione ha valutato come alcune delle questioni trattate potessero interessare anche l’ambito degli OICVM, ritenendo opportuna pertanto un’armonizzazione delle disposizioni della direttiva sui GEFIA e di quella sugli OICVM.
Il suddetto processo di riesame ha permesso alla Commissione di stabilire la necessità di:
- un’armonizzazione delle norme riguardanti i gestori di fondi di investimento alternativi (GEFIA) che gestiscono fondi di investimento alternativi (FIA) che concedono prestiti;
- chiarire le norme applicabili ai gestori di fondi di investimento alternativi che delegano le loro funzioni a terzi;
- garantire la parità di trattamento dei soggetti che forniscono servizi di custodia;
- migliorare l’accesso transfrontaliero ai servizi di depositario;
- migliorare la raccolta dei dati di mercato trasmessi alle autorità di vigilanza e agevolare l’utilizzo di strumenti di gestione della liquidità.
Il perseguimento di questi obiettivi ha determinato l’intervento a modifica della direttiva 2011/61/UE.
Le principali modifiche alla direttiva 2011/61/UE
Tra le modifiche più rilevanti alla direttiva n. 2011/61/UE si segnalano:
§ l’articolo 1, numero 2) che dispone che gli Stati membri possano autorizzare un GEFIA esterno, autorizzato conformemente alla direttiva, a fornire come servizio qualsiasi altra funzione o attività già svolta dal GEFIA in relazione a un FIA da lui gestito, o in relazione ai servizi che fornisce, purché eventuali conflitti di interesse vengano gestiti in modo adeguato;
§
l’articolo 1, numero 3) che interviene sull’articolo 7 riguardante le informazioni che i GEFIA che presentano domanda di autorizzazione forniscono alle autorità competenti del proprio Stato membro, tra cui:
o
informazioni sulle persone che conducono di fatto l’attività del GEFIA;
o
una descrizione del ruolo, del titolo e del livello di responsabilità di tali persone;
o
una descrizione delle linee di riporto e delle responsabilità di tali persone all’interno e all’esterno del GEFIA;
o
informazioni sull’identità degli azionisti o dei soci del GEFIA, diretti o indiretti, persone fisiche o giuridiche, che detengono partecipazioni qualificate, nonché gli importi delle partecipazioni;
o
un programma di attività che delinei la struttura organizzativa del GEFIA, ivi comprese informazioni sul modo in cui il GEFIA intende conformarsi agli obblighi cui è tenuto;
Nei considerando della direttiva è indicato come per garantire l’applicazione uniforme degli obblighi di cui alla direttiva 2011/61/UE relativi alle risorse umane necessarie ai GEFIA, è opportuno chiarire che al momento della domanda di autorizzazione un GEFIA dovrebbe fornire alle autorità competenti informazioni sulle risorse umane e tecniche che impiegherà per svolgere le sue funzioni e, se del caso, per controllare i suoi delegati.
§
l’articolo 1, numero 5) sui requisiti generali inerenti l’operatività dei GEFIA, che prevede che al fine di garantire che i GEFIA trattino in modo equo tutti gli investitori dei FIA, l’Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati (AESFEM), entro il 16 ottobre 2025 presenti al Parlamento europeo, al Consiglio e alla Commissione una relazione motivata sui costi addebitati dai GEFIA agli investitori dei FIA che gestiscono, nella quale siano evidenziate le ragioni di eventuali differenze esistenti, comprese le differenze derivanti dalla natura del FIA interessato. Le autorità competenti forniscono pertanto all'AESFEM una tantum i dati sui costi a carico degli investitori per consentire la produzione della relazione;
§ l’articolo 1, numero 7) che modifica l’articolo 15 per quanto riguarda il presidio del rischio da parte dei GEFIA nelle attività di concessione di prestiti, ivi compreso un riesame almeno annuale dei processi, delle procedure e delle politiche, anche nel caso di gestione di FIA che svolgono attività di concessione di prestiti, incluso quando tali FIA assumono esposizioni sui prestiti tramite terzi;
Nei considerando è riportata specificamente la necessità di stabilire norme comuni a livello dell'Unione Europea per creare un mercato interno efficiente nella concessione di prestiti da parte dei Fondi di Investimento Alternativi. Punti chiave in tal senso sono la definizione di norme comuni che possano assicurare una protezione uniforme degli investitori nell’UE e favorire l’espansione trasparente delle attività di concessione di finanziamenti, il contenimento del rischio sistemico derivante dal crescente mercato del credito privato sia a livello micro che macroeconomico, la definizione di quadri normativi nazionali che possano contenere norme più restrittive in materia di prodotti.
§ l’articolo 1, numero 8) che prevede che il GEFIA, nell’ambito della gestione della liquidità dei FIA da esso gestiti, assicuri che i FIA concedenti prestiti siano di tipo chiuso oppure di tipo aperto purché il GEFIA possa dimostrare alle autorità competenti dello Stato membro di origine che il sistema di gestione del rischio di liquidità del FIA sia compatibile con la strategia di investimento e la politica di rimborso del FIA.
Come indicato nei considerando i prestiti a lungo termine e illiquidi possono causare disallineamenti di liquidità se i FIA permettono il riscatto frequente delle quote o azioni da parte degli investitori, pertanto per attenuare i rischi legati alla trasformazione delle scadenze è opportuno che i FIA concedenti prestiti adottino una forma chiusa. Tuttavia i FIA potrebbero operare in forma aperta a condizione che soddisfino determinati requisiti, tra cui l’adozione di un sistema di gestione della liquidità che minimizzi i disallineamenti di liquidità, offra garanzie di trattamento equo degli investitori e sia sottoposto al monitoraggio da parte delle autorità competenti dello Stato membro di origine del Gestore di Fondi di Investimento Alternativi. È indicato a tal fine come per garantire criteri coerenti che permettano alle autorità competenti di stabilire se un FIA concedente prestiti possa mantenere una forma aperta, l'AESFEM dovrebbe elaborare progetti di norme tecniche di regolamentazione.
§ l’articolo 1, numero 9) che modifica l’articolo 20, stabilendo l’obbligo per i GEFIA che intendano delegare a terzi il compito di eseguire per loro conto funzioni di cui all'allegato I o di fornire servizi di cui all'articolo 6, paragrafo 4 (gestione dei portafogli di investimento, compresi quelli detenuti dai fondi pensione ed enti pensionistici aziendali o professionali, servizi ausiliari tra cui custodia e amministrazione di azioni o quote di organismi di investimento collettivo) di informare le autorità competenti del loro Stato membro d'origine prima della decorrenza degli effetti degli accordi di delega. È onere del GEFIA dimostrare l’adeguatezza del delegato nello svolgimento delle funzioni attribuite e la propria capacità di monitoraggio e controllo dell’attività delegata, di cui resta comunque responsabile;
§ l’articolo 1, numero 10), in merito a quanto disposto dall’articolo 21 sulla necessità che per un FIA UE il depositario sia stabilito nello Stato membro d’origine del FIA, nel quale è prevista una deroga per la quale a determinate condizioni lo Stato membro di origine di un FIA UE possa autorizzare le sue autorità competenti a permettere che un ente creditizio avente la sede legale nell'Unione, stabilito in un altro Stato membro e autorizzato conformemente alla direttiva 2006/48/CE, sia nominato depositario. Nella disposizione sono altresì modificate le condizioni alle quali è soggetta la nomina di un depositario stabilito in un Paese terzo e quelle concernenti la possibilità per il depositario di delegare a terzi le proprie funzioni;
Nei considerando della direttiva si osserva come può determinarsi un aumento dei costi per i GEFIA e una riduzione dell'efficienza del mercato dei FIA a causa della mancanza di un'offerta competitiva di servizi di depositario in alcuni mercati concentrati. Si rende pertanto necessario prevedere che gli Stati membri possano autorizzare le autorità competenti a permettere, alle condizioni previste dalla direttiva in esame, la nomina di un depositario stabilito in un altro Stato membro valutando le peculiarità di ogni singolo caso anche in funzione delle strategie di investimento dei FIA e intensificando la vigilanza in tali eventualità.
§ l’articolo 1, numero 12) che definisce gli obblighi di segnalazione alle autorità competenti, prevedendo che i GEFIA debbano fornire le informazioni e i codici identificativi necessari alle attività di vigilanza su ogni FIA gestito, al fine del monitoraggio degli strumenti negoziati, dei mercati interessati e del profilo di rischio riconducibile a ciascun FIA. Viene stabilito inoltre che il GEFIA, per ogni FIA UE gestito e per ogni FIA che commercializza nell’Unione, fornisca informazioni sugli accordi di delega riguardanti le funzioni di gestione del portafoglio o di gestione del rischio. Ulteriori obblighi di informazione possono essere imposti dalle autorità competenti in circostanze eccezionali, su richiesta dell’AESFEM e previa consultazione del Comitato europeo per il rischio sistemico (CERS);
§ l’articolo 1, numeri 14), 15), 16) che stabilisce alcune condizioni per la commercializzazione di FIA non UE, con o senza passaporto, da parte di GEFIA UE, e per l’ottenimento dell’autorizzazione a gestire FIA UE da parte di GEFIA non UE. Tra le condizioni richieste vi sono, ad esempio, che il Paese terzo nel quale il GEFIA o il FIA sono stabiliti non sia catalogato come Paese terzo ad alto rischio ai sensi dell'articolo 9, paragrafo 2, della direttiva (UE) 2015/849 o che il Paese terzo abbia firmato con lo Stato membro di riferimento e con ogni altro Stato membro in cui si intendono operare sui mercati un accordo che rispetti pienamente le norme di cui all'articolo 26 del modello di convenzione fiscale dell'OCSE in materia di imposte sul reddito e sul patrimonio e assicuri un efficace scambio di informazioni in materia fiscale, compresi eventuali accordi fiscali multilaterali; tale Paese terzo non deve altresì figurare nell'allegato I delle conclusioni del Consiglio sulla lista UE riveduta delle giurisdizioni non cooperative a fini fiscali. Le stesse condizioni sono previste per quanto concerne la commercializzazione nell'Unione, con passaporto, di FIA non UE gestiti da un GEFIA non UE e la commercializzazione negli Stati membri, senza un passaporto, di FIA gestiti da un GEFIA non UE ai sensi dell’articolo 1, numeri 17) e 18);
§ l’articolo 1, numero 22) che definisce gli obblighi di cooperazione tra le autorità competenti degli Stati membri finalizzati alla vigilanza e all’intervento in caso di attività contrarie alle prescrizioni normative commesse dai GEFIA. Viene definito in tal senso il coinvolgimento dell’AESFEM e del CERS e il processo di intervento volto a tutelare gli investitori, il funzionamento e l’integrità del mercato e la stabilità del sistema finanziario.
Come indicato nei considerando della direttiva, al fine di incrementare la sicurezza e l’efficacia dei mercati le autorità competenti dello Stato membro ospitante un GEFIA devono avere la possibilità di promuovere, mediante richiesta motivata, presso le autorità competenti dello Stato membro di origine del GEFIA un’azione di vigilanza. Per le medesime suindicate ragioni è previsto il coinvolgimento dell’AESFEM nei casi caratterizzati da implicazioni transfrontaliere affinché possa fornire alle autorità competenti coinvolte una comprensione migliore e contribuire per il futuro con le sue analisi alla prevenzione di casi simili.
La direttiva 2011/61/UE (c.d. AIFMD - Alternative Investment Fund Managers Directive) ha introdotto le norme in materia di autorizzazione, funzionamento e trasparenza dei gestori di fondi di investimento alternativi (GEFIA) che gestiscono e/o commercializzano fondi di investimento alternativi (FIA) all’interno dell’Unione europea, in coerenza con l’obiettivo di creare un mercato unico europeo dei GEFIA.
Ai fini della presente direttiva, per GEFIA si intendono le persone giuridiche che esercitano abitualmente l’attività di gestione di uno o più FIA.
Tra i fondi di investimento alternativi (FIA) si annoverano i fondi speculativi (hedge funds), i fondi di private equity, di venture capital, i fondi immobiliari, di materie prime, infrastrutturali e altri tipi di fondi istituzionali, i quali non richiedono una specifica autorizzazione ai sensi della direttiva 2009/65/CE (UCITS IV), contenente una disciplina armonizzata per taluni organismi d’investimento collettivo in valori mobiliari (OICVM).
I GEFIA, gestendo numerose attività investite nell’Unione europea, sono in grado di esercitare una influenza rilevante sui mercati e sulle società in cui investono.
Tuttavia, la crisi finanziaria del 2011 ha fatto emergere le potenziali criticità delle attività dei GEFIA, le quali possono anche contribuire alla diffusione e all’amplificazione di rischi in tutto il sistema finanziario, non efficientemente gestibili a causa di risposte nazionali non coordinate relativamente agli obblighi dei gestori medesimi. Di talché, è emersa l’esigenza di adottare meccanismi chiari, finalizzati a una efficiente e coordinata vigilanza, domestica ed europea, tramite comportamenti collaborativi e condivisione delle informazioni.
La presente direttiva è stata adottata proprio per far fronte alla problematica suddetta, al fine di fornire un approccio uniforme ai rischi connessi e al loro impatto sugli investitori e sui mercati nell’Unione europea. Nello specifico, essa ha disposto:
a) l’istituzione di un quadro normativo europeo sicuro e armonizzato in materia di controllo e vigilanza dei rischi che gli investitori, le controparti, gli altri operatori dei mercati finanziari, nonché la stabilità finanziaria, possono correre a causa dei GEFIA;
b) l’autorizzazione alla fornitura di servizi e alla commercializzazione dei fondi nel mercato interno, subordinatamente al rispetto di obblighi precisi e rigorosi.
La direttiva in commento reca una disciplina concernente esclusivamente i GEFIA e non, invece, i FIA, i quali continuano ad essere regolati dalla normativa domestica, stante la loro profonda eterogeneità nei diversi Stati membri che ne rende ardua l’armonizzazione. Si è ritenuto opportuno, infatti, normare esclusivamente i GEFIA, delineando una disciplina comune in materia di autorizzazione e prescrivendo i requisiti necessari che tali soggetti sono tenuti a possedere nell’ambito della prestazione delle attività per le quali sono autorizzati.
In merito, la direttiva si applica a:
a) i GEFIA aventi sede legale in uno Stato membro (GEFIA UE) che gestiscono FIA UE o non UE, indipendentemente dalla loro commercializzazione nell’Unione;
b) i GEFIA aventi sede legale in un paese terzo (GEFIA non UE) che gestiscono FIA UE, indipendentemente dalla loro commercializzazione nell’Unione;
c) i GEFIA non UE che commercializzano nell’Unione FIA UE o non UE.
Rientrano nell’ambito di applicazione della direttiva i soggetti che:
a) esercitano abitualmente l’attività di gestione di FIA, sia di tipo aperto sia di tipo chiuso, a prescindere dalla loro forma giuridica o dal fatto che siano o meno quotati;
b) raccolgono capitale da una pluralità di investitori allo scopo di investirlo a vantaggio di tali investitori in base a una determinata politica d’investimento.
La condotta negli affari e l’organizzazione dei GEFIA hanno sempre rappresentato i principali fattori di rischio per la stabilità e l’efficienza del mercato, nonché per gli investitori. Specificamente, molti fondi di investimento alternativi comportano un elevato livello di rischio, come la perdita totale o quasi del capitale investito. Si è inteso, pertanto, limitare la commercializzazione dei fondi di investimento alternativi agli investitori in grado di comprendere e di sopportare i rischi derivanti da siffatta tipologia di investimento.
L’obiettivo viene perseguito mediante la previsione del c.d. passaporto del gestore di cui all’articolo 33 della direttiva in commento, ossia il beneficio della commercializzazione transfrontaliera che consente al gestore di fondi alternativi, autorizzato da uno Stato membro, di commercializzare, limitatamente ai soli investitori professionali, le quote dei propri fondi anche negli altri Stati membri, previa notifica alle rispettive autorità di vigilanza, senza la necessità di una ulteriore autorizzazione da parte delle autorità di detti paesi.
Invero, un GEFIA UE può gestire e/o commercializzare FIA UE presso investitori professionali nell’Unione europea, a condizione che sia autorizzato ai sensi della presente direttiva.
Nello specifico, i GEFIA sono tenuti a presentare apposita domanda di autorizzazione presso le autorità competenti del loro Stato membro d’origine (sede legale del GEFIA), fornendo tutte le informazioni richieste dalla direttiva. L’autorizzazione, valida per tutti gli Stati membri, non esonera i GEFIA dall’obbligo di soddisfare in qualsiasi momento le condizioni di autorizzazione previste dalla direttiva.
In tal modo, per ridurre la frammentazione del mercato europeo, è stato attuata una procedura più snella in luogo di quella previgente che richiedeva, ai fini dello svolgimento dell’attività da parte del gestore, l’autorizzazione di ciascuna autorità di vigilanza nazionale.
Il regime di vigilanza per i gestori di fondi alternativi comprende, oltre all’autorizzazione iniziale, il continuo rispetto da parte dei medesimi dei requisiti di capitale e organizzativi (relativi al sistema di controllo dei rischi, al regime dell’esternalizzazione di attività), delle regole di condotta (in materia, ad esempio, di prevenzione dei conflitti di interesse) e di estesi obblighi informativi nei confronti delle autorità di vigilanza.
Secondo quanto disposto dalla direttiva in esame, gli Stati membri designano le autorità competenti preposte alle funzioni di vigilanza a cui sono conferiti i poteri a tal fine necessari. Le stesse provvedono, altresì, alla reciproca trasmissione delle informazioni richieste ai fini dell’esercizio delle funzioni loro assegnate.
A tal proposito, all’Agenzia europea di vigilanza (AESFEM), istituita dal Regolamento (UE) n. 1095/2010, spetta una funzione generale di coordinamento, al fine di promuovere la convergenza tra le singole autorità di vigilanza nazionali.
La direttiva prevede, inoltre, un regime di esenzione (c.d. de minimis exemption) per i piccoli gestori. In merito, i gestori di portafogli di fondi di investimento alternativi con attività il cui valore totale non superi la soglia di cento milioni di euro o, nel caso di gestori di fondi che non ricorrono alla leva finanziaria e che non concedono agli investitori diritti di rimborso per un periodo di cinque anni, di cinquecento milioni di euro sono esentati dalle disposizioni della presente direttiva. Con riguardo a questi ultimi, la soglia è più elevata in ragione della minore probabilità di rischi sistemici derivanti dalle loro attività. Ad ogni modo, GEFIA esentati devono adempiere all’obbligo di registrazione nel proprio Stato membro d’origine, salve le norme più rigorose eventualmente adottate dagli Stati membri. Essi, peraltro, laddove non optino per il riconoscimento e l’integrale applicazione delle disposizioni della direttiva, non beneficiano di nessuno diritto dalla stessa previsto.
Le principali modifiche alla direttiva 2009/65/UE
Per quanto riguarda gli organismi d’investimento collettivo in valori mobiliari, le modifiche alla direttiva 2009/65/CE sono state ritenute funzionali a un regime di delega robusto, a un trattamento paritario dei soggetti che esercitano funzioni di custodia, a un sistema di raccolta delle segnalazioni a fini di vigilanza più efficiente che permetta di eliminare le duplicazioni e gli obblighi ridondanti, e a un’armonizzazione delle disposizioni sull’uso degli strumenti di gestione della liquidità.
Tra le modifiche più rilevanti alla direttiva n. 2009/65/CE si segnalano:
§ l’articolo 1, numero 2) che interviene sulle tipologie di servizi che le società di gestione autorizzate all’attività di gestione di OICVM possono prestare, tra cui la ricezione e trasmissione di ordini riguardanti strumenti finanziari e qualsiasi altra funzione o attività già svolta dalla società di gestione in relazione a un OICVM che essa stessa gestisce, o in relazione ai servizi che, a condizione che eventuali conflitti di interesse creati dalla fornitura di tale funzione o attività ad altre parti siano gestiti in modo adeguato;
§ l’articolo 1, numero 3) che modifica l’articolo 7 per quanto riguarda i requisiti che le società di gestione devono soddisfare per essere autorizzate dalle autorità competenti. Vengono trattati i requisiti di onorabilità e di esperienza delle persone che dirigono la società di gestione, il programma delle attività e la sua struttura organizzativa, le informazioni sul modo in cui la società di gestione intende conformarsi agli obblighi derivanti dalla direttiva, le informazioni che devono essere fornite in merito alle attività delegate a terzi;
nei considerando si evidenzia che per garantire un'applicazione uniforme dei requisiti di sostanza per le società di gestione degli Organismi di Investimento Collettivo in Valori Mobiliari (OICVM), è necessario che le società di gestione forniscano alle autorità competenti informazioni sulle risorse umane e tecniche impiegate nello svolgimento delle proprie attività, includendo anche i dettagli relativi al controllo sui propri delegati.
§ l’articolo 1, numeri 4) e 5), che riguardano le condizioni che devono essere rispettate dalle società di gestione per poter delegare l’esercizio di funzioni o la fornitura di servizi (punto 4) a terzi affinché siano soddisfatti gli obblighi informativi e di vigilanza, tutelati clienti e investitori, rispettate le previsioni normative e attribuite le responsabilità. Sono altresì definite le regole di condotta che la società deve osservare in ogni momento (punto 5) per garantire gli interessi degli OICVM e l’integrità del mercato, tenendo conto degli eventuali conflitti di interesse. A tal fine è previsto che l’AESFEM entro il 16 ottobre 2025 produca una relazione valutativa dei costi addebitati agli investitori dagli OICVM e dalle società di gestione analizzando l'entità di tali costi e le ragioni delle differenze tra di essi, comprese le differenze derivanti dalla natura dell'OICVM interessato;
Nei considerando è indicato come in specifici mercati geografici o in particolari classi di attività la delega consente una gestione efficiente dei portafogli di investimento e il reperimento delle competenze necessarie: risulta fondamentale pertanto, per ottenere un quadro affidabile delle attività di delega nell'Unione, che le autorità di vigilanza abbiano accesso a informazioni aggiornate sui principali elementi degli accordi di delega tra cui informazioni sui delegati, elenco e descrizione delle attività delegate, importo e percentuale delle attività delegate, le modalità con cui i delegati sono sorvegliati, monitorati e controllati, eventuali accordi di subdelega e date di inizio e di scadenza degli accordi.
§ l’articolo 1, numero 6), che prevede che gli Stati membri assicurino che siano disponibili per gli OICVM strumenti di gestione della liquidità idonei in funzione della strategia di investimento, del profilo di liquidità e della politica di rimborso. Un OICVM deve selezionare almeno due strumenti di gestione della liquidità secondo le prescrizioni della direttiva con la possibilità, in deroga, di sceglierne solamente uno purché autorizzato in tal senso come fondo comune monetario, in conformità al regolamento (UE) 2017/1131 del Parlamento europeo e del Consiglio sui fondi comuni monetari. Entro il 16 aprile 2025 l’AESFEM pubblicherà le linee guida necessarie per l’individuazione e la calibrazione degli strumenti di gestione della liquidità utilizzati dagli OICVM per mitigare i rischi, di liquidità e finanziari, per la cui gestione gli è attribuita la responsabilità primaria;
§ l’articolo 1, numero 7), che aggiunge l’articolo 20-bis nel quale si prevede l’obbligo per la società di gestione di fornire alle autorità competenti, ai fini del monitoraggio, informazioni sui mercati e sugli strumenti in cui negozia per conto degli OICVM che gestisce, nonché altre informazioni tra cui:
o le modalità di gestione della liquidità dell’OICVM e il suo profilo di rischio;
o informazioni sugli accordi di delega e subdelega riguardanti le funzioni di gestione del portafoglio o di gestione del rischio con descrizione delle relative attività e le procedure previste per il monitoraggio dell’attività delegata.
È inoltre previsto che le autorità competenti dello Stato membro d'origine dell'OICVM possano richiedere alle società di gestione informazioni aggiuntive e che mettano a disposizione delle altre autorità competenti interessate, dell'AESFEM, dell'Autorità Bancaria Europe (ABE), dell'Autorità europea di vigilanza, del Comitato europeo per il rischio sistemico (CERS) e del SEBC le informazioni raccolte;
Come indicato dai considerando, qualora il mantenimento di regimi normativi diversi non fosse giustificato, le società di gestione degli OICVM dovrebbero essere comparate con quelle per i GEFIA per quanto concerne le condizioni e i requisiti per la delega delle funzioni di gestione, le norme inerenti i soggetti che esercitano le funzioni di custodia, gli obblighi in materia di monitoraggio e segnalazione e il quadro normativo e tecnico per quanto riguarda gli strumenti di gestione della liquidità. In tal senso procedono le modifiche alle direttiva 2009/65/CE.
§ l’articolo 1, numero 13), che tratta gli obblighi dell’OICVM nel riacquistare o nel rimborsare quote su richiesta del detentore di quote. In particolare, si prevedono delle deroghe ai suddetti vincoli, in circostanze eccezionali, nell’interesse dei detentori di quote come la possibilità per l’OICVM di sospendere la sottoscrizione, il riacquisto e il rimborso delle proprie quote o di attivare o disattivare strumenti di gestione della liquidità e conti side pocket secondo quanto disposto dalla direttiva.
Come riportato dall’allegato IV della direttiva 13 marzo 2024 n. 2024/927, punto 9, “per conti side pocket si intende la separazione di talune attività, le cui caratteristiche economiche o giuridiche sono cambiate in modo significativo o sono diventate incerte a causa di circostanze eccezionali, dalle altre attività del fondo”. L’attivazione o la disattivazione di strumenti di gestione della liquidità per le circostanze richiamate dalla normativa devono essere comunicate dall’OICVM, senza ritardo, alle autorità competenti del suo Stato membro d'origine. Quest’ultime, inoltre, possono in circostanze eccezionali e nell'interesse degli investitori imporre all’OICVM la suddetta attivazione o disattivazione.
La Commissione ha altresì stimato come l’armonizzazione delle norme a livello comunitario abbia prodotto meccanismi più efficienti a tutela degli investitori e abbia favorito una più profonda integrazione del mercato, rendendo necessaria una maggiore convergenza delle politiche nazionali.
Come indicato dai considerando della direttiva, un sistema di norme trasparente che renda il mercato dei capitali efficiente ed efficacemente vigilato è importante per il conseguimento degli obiettivi dell’Unione. Risulta opportuno che la crescita del settore dei FIA e degli OICVM risulti coerente con le finalità dell’Unione, venendo guidata affinché sia di supporto a una crescita sostenibile.
Nell’Unione dei mercati dei capitali, dove il capitale può muoversi a beneficio di consumatori, investitori e imprese, indipendentemente dalla loro ubicazione, un mercato competitivo dei fondi di investimento può rappresentare un metodo alternativo di finanziamento per le PMI e le imprese europee, sostenendo così il mercato del lavoro, lo sviluppo economico, e l'innovazione.
Come disposto dall’articolo 3, gli Stati membri devono adottare le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per recepire la direttiva entro il termine del 16 aprile 2026.
La direttiva 2009/65/CE
La direttiva 2009/65/CE concerne il coordinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative in materia di taluni organismi d’investimento collettivo in valori mobiliari (OICVM). Le modifiche proposte hanno due obiettivi: a) l’introduzione di nuove libertà per migliorare l’efficienza e l’integrazione del mercato interno degli OICVM e b) ottimizzare il funzionamento delle disposizioni previgenti riguardanti la commercializzazione transfrontaliera degli OICVM e gli obblighi in materia di informativa.
Nello specifico la direttiva ha previsto nuove regole sulle fusioni nazionali e transfrontaliere, nuove regole per le strutture master/feeder, nuove regole sulle informazioni essenziali per gli investitori, semplificazioni e miglioramenti delle regole in materia di notifica e, infine, rafforzamento della cooperazione tra le autorità di vigilanza.
In particolare per quel che concerne le nuove regole sulle fusioni, la direttiva ha introdotto possibilità di beneficiare di maggiori economie di scala introducendo nella direttiva OICVM un quadro giuridico riguardante sia le fusioni nazionali che quelle transfrontaliere. Sono quindi stati introdotti diversi tipi di fusione, in funzione delle regole e pratiche nazionali vigenti, compresi quelli previsti negli Stati membri di common law. Tali fusioni, sono previste per tutti gli OICVM, indipendentemente dalla loro forma giuridica, a seguito di un'autorizzazione preliminare richiesta alle autorità competenti dell'OICVM oggetto di fusione entro 30 giorni, valutando l'impatto della fusione sugli investitori. Se la fusione coinvolge più OICVM di diversi Stati membri, la direttiva prevede che tutte le autorità competenti collaborino strettamente. È, poi, prevista la redazione di un progetto comune di condizioni di fusione con disposizioni obbligatorie per ogni OICVM e che un revisore indipendente convalidi i criteri di valutazione delle attività e passività e il rapporto di cambio. Per quel che concerne i detentori delle quote, la direttiva prevede l'obbligo per l'OICVM oggetto di fusione di fornire informazioni adeguate e accurate ai detentori delle quote. Le informazioni devono essere dettagliate e nella lingua appropriata per gli investitori di Stati membri dove l'OICVM è autorizzato alla commercializzazione. Infine, la direttiva richiede l’approvazione dei detentori di quote richiesta solo se prevista dalla legislazione nazionale, con un massimale del 75% dei voti.
Le nuove regole rispetto alle strutture master/feeder, tale introduzione nella direttiva OICVM è stata ideata per migliorare l'efficienza delle politiche di investimento. In una struttura master-feeder, un OICVM feeder investe almeno l'85% delle sue attività in un OICVM master, con il restante 15% riservato a attività liquide. Gli OICVM feeder non possono investire in più di un OICVM master e non possono detenere altre attività oltre quelle previste dalla direttiva. Un OICVM master, che ha almeno un OICVM feeder come investitore, non può essere a sua volta un OICVM feeder né investire in un OICVM feeder. La politica di investimento di un OICVM feeder è previsto che venga approvata dalle autorità competenti del suo Stato membro, senza condizioni o documenti aggiuntivi. Ai sensi della direttiva l'OICVM feeder e l'OICVM master sottoscrivono un accordo vincolante per adempiere ai loro obblighi, e se hanno depositari o revisori diversi, questi devono concludere un accordo per lo scambio di informazioni. È altresì stabilito che il prospetto e le informazioni essenziali per gli investitori di un OICVM feeder siano tenuti ad indicare chiaramente che l'OICVM è un feeder di un determinato OICVM master, spiegando le specificità di questo tipo di investimento a due livelli e informando i detentori di quote in anticipo (diritto al riacquisto o al rimborso delle quote senza spese entro 30 giorni).
In particolare rispetto alle nuove regole sulle informazioni essenziali per gli investitori, sono state introdotte con l’obiettivo di semplificare le informazioni fornite agli investitori potenziali di OICVM, permettendo loro di prendere decisioni informate. La direttiva sostituisce il prospetto semplificato con "informazioni essenziali per gli investitori" per ridurre i costi e assicurare l'uniformità nel mercato interno. Sono quindi state stabilite le regole per le informazioni da fornire agli investitori su loro richiesta, inclusi prospetti, relazioni annuali e semestrali. È previsto che le informazioni nelle comunicazioni di marketing siano corrette, chiare, non fuorvianti e coerenti con le informazioni obbligatorie della direttiva OICVM. È stato poi imposto alle società di investimento o di gestione di redigere un documento breve con le informazioni essenziali per gli investitori, valido in tutti gli Stati membri nel quale fossero iscritte oltre alle caratteristiche essenziali dell'investimento, anche dove ottenere ulteriori informazioni.
Rispetto alle semplificazioni e ai miglioramenti delle regole in materia di notifica la direttiva ha semplificato la procedura di notifica per gli OICVM che desiderano commercializzare le proprie quote in altri Stati membri, riducendo tempi e costi. È stata introdotta una procedura più efficiente, basata sulla comunicazione diretta tra le autorità regolamentari, con un contenuto armonizzato per la notifica e un flusso automatico di documenti tra le autorità competenti dei paesi di origine e ospitanti. La direttiva ha altresì chiarito le responsabilità delle autorità competenti, stabilendo che lo Stato membro ospitante non può contestare l'autorizzazione rilasciata dallo Stato membro di origine. È stato previsto un miglioramento della comunicazione e della cooperazione tra le autorità competenti con trasmissione elettronica delle informazioni sugli OICVM. Gli OICVM devono informare direttamente le autorità del paese ospitante di qualsiasi modifica nelle modalità di commercializzazione, utilizzando la lingua locale per le comunicazioni agli investitori.
La direttiva ha, inoltre, previsto un rafforzamento della cooperazione tra le autorità di vigilanza includendo misure per rafforzare la cooperazione tra le autorità di vigilanza, offrendo strumenti aggiuntivi per svolgere efficacemente le loro funzioni.
Direttiva (UE) 2024/1174
(del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 aprile 2024, che modifica la direttiva 2014/59/UE e il regolamento (UE) n. 806/2014 per quanto riguarda taluni aspetti del requisito minimo di fondi propri e passività ammissibili)
La direttiva (UE) 2024/1174 fa parte del pacchetto di riforma del quadro normativo in materia di gestione delle crisi bancarie e sistemi di tutela dei depositi (c.d. “crisis management and deposit insurance framework”, CMDI) presentato dalla Commissione europea nell’aprile 2023 e finalizzato a rafforzare ulteriormente le regole a tutela dei risparmiatori e della stabilità del mercato in caso di risoluzione bancaria, con particolare attenzione ai soggetti di medie e piccole dimensioni. Si è voluto disciplinare il caso specifico delle entità soggette a liquidazione come parte di strutture di catene partecipative (daisy chain).
Il pacchetto CMDI è teso a consentire un'uscita ordinata dal mercato per le banche in fallimento, di qualsiasi dimensione e modello aziendale, compresi gli operatori più piccoli. Oltre che dalla direttiva in commento, il pacchetto era composto da altre tre proposte, nessuna delle quali è stata ancora approvata
[43]
:
1)
la proposta di modifica del regolamento sul meccanismo di risoluzione unico per quanto riguarda le misure di intervento precoce, le condizioni per la risoluzione e il finanziamento dell'azione di risoluzione (COM(2023)226). Il Parlamento europeo ha adottato la propria posizione in occasione della sessione plenaria dell’aprile 2024;
2)
due proposte di modifica della direttiva sul risanamento e la risoluzione delle crisi bancarie (COM(2023)227 e COM(2023) 228). In occasione della sessione plenaria dell’aprile 2024 Il Parlamento europeo ha adottato la propria posizione su ognuna delle proposte in argomento (documenti del Consiglio 10669/24 e 10670/24).
Il 14 giugno 2024 il Consiglio ha adottato il mandato per la negoziazione con il Parlamento europeo (documenti 11140/24, 11141/24 e 11146/24).
Il testo in esame apporta modifiche alla direttiva 2014/59/UE (direttiva sul risanamento e la risoluzione delle banche, BRRD) e al regolamento (UE) n. 806/2014 (regolamento sul meccanismo di risoluzione unico, SRMR) relativamente a alcuni aspetti del requisito minimo di fondi propri e delle passività ammissibili (minimum requirement for own funds and eligible liabilities, MREL).
La BRRD impone alle banche e agli altri enti creditizi stabiliti nell'UE di soddisfare tale requisito minimo ("MREL") al fine di garantire un'applicazione efficace e credibile dello strumento del bail-in in caso di crisi. Il mancato rispetto del MREL può incidere negativamente sulla capacità di assorbimento delle perdite e di ricapitalizzazione degli enti e, in ultima analisi, sull'efficacia complessiva della risoluzione.
In estrema sintesi, gli elementi di novità introdotti sono relativi a:
1)
definizione di entità in liquidazione (articolo 2, nuovo par. 83-bis della direttiva 2014/59/UE; articolo 3, par. 1, punto 24-bis bis del regolamento (UE) n. 806/2014). Viene chiarita la definizione di "entità di liquidazione", concentrandosi sulla fase di pianificazione della risoluzione. Un'"entità soggetta a liquidazione" è definita come una persona giuridica stabilita nell'UE per la quale il piano di risoluzione di gruppo (o, per le entità che non fanno parte di un gruppo, il piano di risoluzione) prevede che l'entità medesima debba essere liquidata con procedura ordinaria di insolvenza. Rientrano nella definizione anche le entità - all'interno di un gruppo soggetto a risoluzione diversa da un'entità di risoluzione - rispetto alle quali il piano di risoluzione di gruppo non prevede l'esercizio di poteri di svalutazione e conversione;
2)
applicazione del requisito minimo. Si prevede la valutazione se sia giustificato determinare il MREL su base individuale per entità soggette a liquidazione per un importo superiore a quello sufficiente ad assorbire le perdite. Nella valutazione si dovrebbe tenere conto, in particolare, di qualsiasi possibile impatto sulla stabilità finanziaria e sul rischio di contagio per il sistema finanziario, anche per quanto riguarda la capacità di finanziamento dei sistemi di garanzia dei depositi. L’articolo 45-quater, par. 2-bis, novellato della direttiva 2014/59/UE e l’articolo 12-quinquies, par. 2-bis, del regolamento (UE) n. 806/2014 elencano gli elementi con i quali l’entità soggetta a liquidazione dovrà soddisfare il requisito (fondi propri, passività).
È altresì possibile determinare il MREL su base consolidata per una controllata qualora siano soddisfatte determinate condizioni, tra cui: la sussistenza di un rapporto diretto tra l’entità soggetta a risoluzione e la società da essa derivante (“figlia”) e non si determini una sensibile incidenza negativa: sulla credibilità e la fattibilità della strategia di risoluzione di gruppo; sulla capacità della controllata di rispettare il proprio requisito di fondi propri dopo l'esercizio dei poteri di svalutazione e conversione; sull'adeguatezza del meccanismo interno di trasferimento delle perdite e ricapitalizzazione, inclusa la svalutazione o la conversione degli strumenti di capitale pertinenti e delle passività ammissibili della controllata interessata o di altre entità nel gruppo di risoluzione (articolo 45-septies della direttiva 2014/59/UE novellato e articolo 12-octies del regolamento (UE) n. 806/2014 novellato). I nuovi par 2-bis dell’articolo 45-septies della direttiva 2014/59/UE e dell’articolo 12-octies del regolamento (UE) n. 806/2014 elencano le passività incluse nel MREL su base consolidata; i par 2-ter ne determinano il limite ammissibile;
3)
applicazione trasparente del MREL. In virtù del par. 4 dell’articolo 45-decies della direttiva 2014/59/UE novellato, l’obbligo di segnalare alle autorità competenti e di risoluzione i livelli di passività ammissibili e passività sottoponibili a bail-in, nonché la composizione di tali passività, si applica alle entità soggette a liquidazione per le quali l’autorità di risoluzione stabilisce che il MREL dovrebbe essere superiore all’importo sufficiente per assorbire le perdite. Tali informazioni dovranno essere divulgate al pubblico, insieme al livello del MREL, su base regolare. In omaggio al principio di proporzionalità, peraltro, l’autorità di risoluzione dovrebbe garantire che tali obblighi non vadano oltre quanto necessario per monitorare la conformità al MREL (punto n. 12 delle Premesse);
4)
data di applicazione. L’articolo 4, par. 2, c. 2, del documento in esame ha stabilito una data di applicazione anticipata (13 maggio 2024) per le modifiche alle norme del regolamento (UE) n. 806/2014 relative all’MREL interno consolidato. Si vuole così segnalare a gruppi bancari e autorità di risoluzione la possibile necessità di misure che coprano il periodo compreso tra il 1° gennaio 2024 (scadenza generale per la conformità al MREL) e la data di applicazione delle misure nazionali che recepiscono le disposizioni della presente direttiva modificativa (par. 13 delle Premesse).
Il termine di recepimento è fissato al 13 novembre 2024.
La direttiva deriva dalla proposta della Commissione europea COM(2023) 229.
Direttiva 2024/1226
(del Parlamento europeo e del Consiglio, del 24 aprile 2024, relativa alla definizione dei reati e delle sanzioni per la violazione delle misure restrittive dell'Unione e che modifica la direttiva (UE) 2018/1673)
La direttiva (UE) 2024/1226 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 24 aprile 2024, è relativa alla definizione dei reati e delle sanzioni per la violazione delle misure restrittive dell'Unione e modifica la direttiva (UE) 2018/1673 sulla lotta al riciclaggio mediante il diritto penale.
Il termine per il recepimento della direttiva è fissato al 20 maggio 2025.
La direttiva prevede norme minime in materia di reati e sanzioni per la violazione delle misure restrittive adottate dall’UE (cd. “sanzioni”).
Come ricordato nei Consideranda (n. 2), tali misure – quali il congelamento dei beni, i divieti di ingresso e transito, le misure economiche e finanziarie settoriali e gli embarghi sulle armi – costituiscono uno strumento essenziale per la promozione degli obiettivi della politica estera e di sicurezza comune (PESC) previsti dall’art. 21 del Trattato sull’Unione europea (la salvaguardia dei valori, della sicurezza, dell'indipendenza e dell'integrità dell'Unione, il consolidamento e il sostegno della democrazia, dello Stato di diritto, dei diritti umani e dei principi del diritto internazionale e il mantenimento della pace, la prevenzione dei conflitti e il rafforzamento della sicurezza internazionale in conformità agli obiettivi e ai principi della Carta delle Nazioni Unite).
Per le misure restrittive attualmente in vigore si veda la “mappa delle sanzioni”, territoriali e tematiche, pubblicata dall’UE.
In particolare, la direttiva in commento prevede che gli Stati membri provvedano affinché costituiscano reato – punito con sanzioni penali effettive, proporzionate e dissuasive e, in particolare, con la reclusione (art. 5, par. 1 e 2) - le seguenti fattispecie dolose (salva la previsione di cui all’art. 3, par. 3, che prevede una condotta colposa, vedi infra) di violazione di misure restrittive (ivi compresi l’istigazione, il favoreggiamento, il concorso e il tentativo):
Ø messa a disposizione (diretta o indiretta) o a vantaggio di una persona, entità od organismo designato di fondi o risorse economiche (art. 3, par. 1, lett. a); per tali condotte gli Stati membri devono prevedere una pena massima pari ad almeno 5 anni di reclusione qualora coinvolgano fondi o risorse di valore pari ad almeno 100.000 euro (art. 5, par. 3, lett. b);
Ø omissione del congelamento di fondi di una persona, entità od organismo designato o ad essi riconducibili [44] (art. 3, par. 1, lett. b); per tali condotte gli Stati membri devono prevedere una pena massima pari ad almeno 5 anni di reclusione qualora coinvolgano fondi o risorse di valore pari ad almeno 100.000 euro (art. 5, par. 3, lett. b);
Ø consentire a persone fisiche designate l’ingresso o il transito nel territorio di uno Stato membro in violazione di una misura restrittiva (art. 3, par. 1, lett. c); per tali condotte gli Stati membri devono prevedere una pena massima pari ad almeno 5 anni di reclusione (art. 5, par. 3, lett. c);
Ø concludere o portare avanti operazioni (compresi appalti pubblici e concessioni) con uno Stato terzo, o con organismi o entità a esso riconducibili, qualora tali operazioni siano oggetto di misure restrittive (art. 3, par. 1, lett. d); per tali condotte gli Stati membri devono prevedere una pena massima pari ad almeno 5 anni di reclusione qualora coinvolgano beni, servizi, operazioni o attività di valore pari ad almeno 100.000 euro (art. 5, par. 3, lett. d);
Ø commercio, importazione, esportazione, vendita, acquisto, trasferimento, transito o trasporto di beni oggetto di misure restrittive, nonché fornitura di servizi di intermediazione, assistenza tecnica o comunque connessi a tali beni; per tali condotte gli Stati membri devono prevedere una pena massima pari ad almeno 5 anni di reclusione qualora coinvolgano beni, servizi, operazioni o attività di valore pari ad almeno 100.000 euro (tale soglia non si applica qualora la condotta abbia ad oggetto attrezzature militari o dual use di cui agli allegati I e IV del Regolamento (UE) 2021/821) (art. 5, par. 3, lett. d ed e); qualora la condotta abbia ad oggetto attrezzature militari o dual use di cui agli allegati I e IV del Regolamento (UE) 2021/821 essa deve essere considerata reato anche qualora sia commessa con grave negligenza (art. 3, par. 1, lett. e; par. 3);
Ø prestazione di servizi finanziari e altri servizi in violazione di misure restrittive (art. 3, par. 1, lett. f e g); per tali condotte gli Stati membri devono prevedere una pena massima pari ad almeno 5 anni di reclusione qualora coinvolgano beni, servizi, operazioni o attività di valore pari ad almeno 100.000 euro (art. 5, par. 3, lett. d);
Ø elusione delle misure restrittive (art. 3, par. 1, lett. h); per le condotte elusive, qualora coinvolgano beni, servizi, operazioni o attività di valore pari ad almeno 100.000 euro di maggiore gravità, gli Stati membri devono prevedere una pena massima pari ad almeno 1 anno o 5 anni di reclusione, a seconda della gravità delle condotte (art. 5, par. 3, lett b);
Ø violazione delle condizioni previste dalle autorizzazioni ad attività il cui svolgimento senza autorizzazione sia vietato dalle misure restrittive (art. 3, par. 1, lett. i); per tali condotte gli Stati membri devono prevedere una pena massima pari ad almeno 5 anni di reclusione qualora coinvolgano beni, servizi, operazioni o attività di valore pari ad almeno 100.000 euro (art. 5, par. 3, lett. d);
Gli Stati membri possono prevedere la non punibilità di condotte relative a operazioni di valore inferiore 10.000 euro (la punibilità non può tuttavia essere esclusa qualora la soglia di 10.000 euro sia raggiunta con più condotte che siano connesse e commesse dallo stesso autore) (art. 3, par. 2).
Sono comunque salvaguardati il segreto dei professionisti legali e le attività di assistenza umanitaria (art. 3, par. 4 e 5).
Gli Stati membri adottano le misure necessarie affinché alle persone fisiche possano essere applicate sanzioni accessorie (penali o non penali), quali sanzioni pecuniarie, ritiro di permessi o autorizzazioni all’esercizio delle attività nell’ambito delle quali è stato commesso il reato, interdizione dall’esercizio nell’ambito di una persona giuridica di funzioni dello stesso tipo di quelle che hanno dato luogo al reato, divieti temporanei di candidarsi a cariche pubbliche, nonché, qualora vi sia un pubblico interesse da valutare caso per caso, la pubblicazione, parziale o integrale, della decisione giudiziaria, compresi, ma solo in casi eccezionali debitamente giustificati, i dati personali dei condannati (art. 5, par. 5).
La direttiva prevede, inoltre, che gli Stati membri adottino misure in materia di responsabilità delle persone giuridiche, quando i fatti siano stati commessi a loro vantaggio da soggetti aventi una posizione di preminenza in seno alla persona giuridica, in virtù di poteri di rappresentanza, decisione o controllo o quando siano stati resi possibili da condotte omissive da parte dei predetti soggetti (art. 6).
A carico delle persone giuridiche devono essere previste sanzioni pecuniarie (penali o non penali), il cui importo sia proporzionato alla gravità della condotta e alla situazione della persona giuridica [45] ,e possono essere previste sanzioni accessorie quali esclusione da benefici, aiuti o finanziamenti pubblici, misure interdittive, ritiro di permessi e autorizzazioni, sorveglianza giudiziaria, scioglimento con decisione giudiziaria, chiusura dei locali, nonché, laddove vi sia un pubblico interesse e fatte salve le norme sulla tutela della vita privata e la protezione dei dati personali, la pubblicazione, parziale o integrale, della decisione (art. 7).
La direttiva prevede, inoltre, che gli Stati membri adottino le misure necessarie, conformemente al diritto nazionale [46] , perché possano essere considerate una o più delle circostanze aggravanti e attenuanti indicate (artt. 8 e 9).
In particolare, sono indicate le seguenti circostanze aggravanti: la commissione del reato nell’ambito di un’organizzazione criminale [47] ; con l’uso di documenti falsi o contraffatti; nell’esercizio di una funzione pubblica; il conseguimento (effettivo o anche solo previsto) di benefici economici rilevanti; la distruzione di prove o l’intimidazione di testimoni, la recidiva specifica.
Viceversa, sono indicate quali circostanze attenuanti le condotte di collaborazione dell’imputato con le autorità competenti (art. 9).
Gli Stati membri devono adottare misure per il congelamento e la confisca dei beni strumentali e dei proventi del reato nonché dei fondi e delle risorse oggetto della violazione delle misure restrittive (art. 10).
Quanto ai termini di prescrizione del reato, essi devono essere tali da consentire di contrastare efficacemente i reati e comunque non inferiore a 5 anni per i reati per i quali sia prevista una pena massima di almeno 5 anni di reclusione [48] (art. 11, parr. 1 e 2).
Si ricorda che ai sensi dell’art. 157, primo comma, c.p. la prescrizione estingue il reato decorso il tempo corrispondente al massimo della pena edittale e, comunque, un tempo non inferiore a 6 anni.
Quanto alla prescrizione della pena, gli Stati membri devono prevedere un termine di almeno 5 anni dalla data della condanna con sentenza passata in giudicato, che consenta l’esecuzione della pena della reclusione superiore a un anno o di una pena detentiva nel caso di reato punibile con una pena massima di almeno 5 anni di reclusione.
Si ricorda che ai sensi dell’art. 172, primo comma, c.p. la pena della reclusione si estingue col decorso di un tempo pari al doppio della pena inflitta e, in ogni caso, non superiore a 30 anni e non inferiore a 10 anni.
La giurisdizione dello Stato membro deve essere prevista, oltre che per i reati commessi nel territorio dello Stato medesimo (ivi compresi navi e aeromobili immatricolati nello Stato o con bandiera dello Stato), anche per i reati commessi all’estero dal cittadino (art 12, par. 1).
Può, inoltre, essere estesa, dandone informazione alla Commissione, al reato commesso all’estero dal residente abituale o da un funzionario dello Stato (non cittadini) o a vantaggio di una persona giuridica che ha sede o esercita interamente la propria attività nel territorio dello Stato (art. 12, par. 2).
Si ricorda che ai sensi dell’art. 7 c.p. è punito secondo la legge italiana il reato commesso all’estero, dal cittadino o dallo straniero, nei casi di delitti contro la personalità dello Stato, di contraffazione del sigillo dello Stato, di falsità in monete, nei casi di delitti commessi dai pubblici ufficiali al servizio dello Stato con abuso dei poteri o violazione dei doveri, nonché nei casi per i quali speciali disposizioni di legge o convenzioni internazionali stabiliscano l’applicabilità della legge penale italiana (si veda ad es. art. 604 c.p. per i delitti relativi a prostituzione minorile, pornografia minorile, tratta e schiavitù, violenza sessuale).
Ulteriori ipotesi di punibilità secondo la legge italiana a determinate condizioni (ad es. bene giuridico offeso, pena edittale, presenza dell’autore nel territorio dello Stato, richiesta del Ministro della giustizia) sono disciplinate dagli artt. 8 ss. c.p.
Si prevede che la direttiva 2019/1937 riguardante la protezione delle persone che segnalano violazioni del diritto dell’Unione (cd. “whistleblowing”) debba essere resa applicabile anche alla violazione delle misure restrittive (art. 14).
È prevista la designazione da parte di ciascuno Stato membro, fatta salva l’indipendenza della magistratura, di un organismo di coordinamento e cooperazione fra le autorità competenti dello Stato medesimo, al fine di promuovere il coordinamento fra l’attività di contrasto in ambito penale e quella in ambito amministrativo, lo scambio di informazioni e la consultazione (art. 15).
La direttiva prevede che gli Stati membri, nel caso di reati transfrontalieri, valutino la trasmissione di informazioni, nonché, fatte salve le norme in materia di cooperazione transfrontaliera e di assistenza giudiziaria in materia penale, la cooperazione fra gli Stati membri, la Commissione, Europol, Eurojust e la Procura europea (art. 16).
Si prevede, inoltre, a carico degli Stati membri l’obbligo di predisporre un sistema di rilevazione statistica in forma anonima, nonché un obbligo di trasmissione annuale alla Commissione di dati statistici, la cui revisione consolidata deve essere pubblicata ogni tre anni (art. 17).
La direttiva in commento, infine, modifica la direttiva (UE) 2018/1673 sulla lotta al riciclaggio mediante il diritto penale, al fine di includere, fra le attività criminose contemplate, la violazione delle misure restrittive.
Direttiva (UE) 2024/1203
(del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 aprile 2024, sulla tutela penale dell’ambiente, che sostituisce le direttive 2008/99/CE e 2009/123/CE)
La direttiva (UE) 2024/1203 in esame sostituisce le direttive 2008/99/CE sulla tutela penale dell’ambiente e 2009/123/CE sulle misure di diritto penale contro l’inquinamento delle navi, recepite nell’ordinamento italiano con il decreto legislativo 7 luglio 2011, n. 121.
Essa individua le condotte che, compiute intenzionalmente oppure per grave negligenza, costituiscono reato, riprendendo ed integrando quanto disposto dalle citate direttive 2008/99/CE e 2009/123/CE. La nuova disciplina, inoltre, reca modifiche alle disposizioni in materia di sanzioni, introducendo specifiche indicazioni sui livelli massimi di pena per talune fattispecie di reato, nonché la previsione di sanzioni supplementari. Ulteriori aspetti innovativi riguardano, tra l’altro, le circostanze aggravanti e attenuanti, i termini di prescrizione, le misure di prevenzione e la predisposizione, da parte degli Stati membri, di una strategia nazionale in materia di lotta contro i reati ambientali.
L’articolo 1 individua l’oggetto della direttiva, ossia stabilire norme minime per la definizione dei reati e delle sanzioni, nonché per le misure di prevenzione e contrasto della criminalità ambientale.
L’articolo 2 contiene le definizioni, già presenti nella direttiva 2008/99/CE, di «persona giuridica» e «habitat all'interno di un sito protetto», nonché di «ecosistema», quale complesso dinamico di comunità di piante, animali, funghi e microrganismi e del loro ambiente non vivente che, mediante la loro interazione, formano un’unità funzionale. Per l’interpretazione degli altri termini utilizzati nella direttiva l’articolo rinvia agli atti legislativi dell'Unione europea che contribuiscono al perseguimento di uno degli obiettivi della politica dell'Unione in materia ambientale.
L’articolo 3 dispone circa le condotte che violano atti legislativi dell’Unione o le disposizioni nazionali di attuazione, distinguendo tra le condotte che configurano un reato quando sono compiute intenzionalmente da quelle che configurano un reato quando sono poste in essere quanto meno per grave negligenza. A tal fine, il par. 2 riprende ed integra l’elenco, già contenuto nella direttiva 2008/99/CE, delle attività illecite che, provocando o potendo provocare il decesso o lesioni gravi alle persone o rilevanti danni ambientali, costituiscono reato, se poste in essere intenzionalmente.
Il nuovo elenco riprende, con varie modifiche, talune attività già comprese nell’elenco della direttiva 2008/99/CE, quando tali attività provochino danni alle persone o all’ambiente. Si tratta delle seguenti attività: diffusione di sostanze o di radiazioni ionizzanti, nonché di “materie” o di “energia” - secondo l’integrazione apportata dalla direttiva in esame - nell’ambiente; gestione di rifiuti o altre sostanze pericolose, distinguendo - nel testo della presente direttiva del 2024 - i casi riferibili a rifiuti pericolosi e non; controllo dei siti di smaltimento in seguito alla loro chiusura; spedizione illegale di rifiuti effettuata in quantità non trascurabile; produzione, uso e smaltimento di materiali nucleari o di altre sostanze radioattive; produzione, commercializzazione e uso di sostanze dannose per l’ozono; violazione di norme a tutela di specie animali o vegetali selvatiche o di habitat protetti.
Sono inoltre ripresi dalla direttiva 2009/123/CE (che a sua volta modifica la direttiva n. 2005/35/CE) i reati relativi allo scarico di sostanze inquinanti effettuati dalle navi, salve le eccezioni già previste dalla direttiva richiamata.
La direttiva (UE) 2024/1203 in esame prevede, in aggiunta, le seguenti condotte: violazione di restrizioni o divieti relativi all’immissione sul mercato di determinate sostanze inquinanti; violazioni inerenti ad operazioni con mercurio o sue miscele e composti; realizzazione di lavori non autorizzati di costruzione o interventi, sull’ambiente o sul paesaggio, che possono provocare danni rilevanti all’ambiente; operazioni di riciclaggio delle navi non effettuate negli impianti di riciclaggio inclusi nell’elenco europeo; installazione, esercizio o smantellamento di un impianto in cui sono immagazzinate o utilizzate sostanze pericolose; estrazione di acque superficiali o sotterranee in grado di provocare danni rilevanti allo stato o al potenziale ecologico dei corpi idrici; commercializzazione di determinate materie prime e determinati prodotti associati alla deforestazione e al degrado forestale; violazione delle restrizioni relative all’introduzione o la diffusione di specie esotiche invasive nel territorio dell’Unione; produzione, commercializzazione, uso e rilascio di gas fluorurati a effetto serra.
Il par. 3 dell’articolo 3 stabilisce che gli Stati membri provvedano affinché le condotte sopra elencate costituiscano “reati qualificati” quando tali condotte provochino: a) la distruzione di un ecosistema di dimensioni o di valore ambientale considerevoli o di un habitat all'interno di un sito protetto o danni diffusi e rilevanti, irreversibili o duraturi, a tale ecosistema o habitat; b) danni diffusi e rilevanti, irreversibili o duraturi alla qualità dell'aria, del suolo o delle acque.
Il par. 4 specifica quali condotte debbano essere considerati reati anche se poste in essere per grave negligenza. Inoltre, nel valutare la rilevanza del danno o del danno probabile al fine dell’azione penale, si dovrà tenere conto di una serie di elementi quali le condizioni originarie dell’ambiente colpito, la durata, la gravità, la diffusione e la reversibilità del danno, l’eventuale violazione di una norma autorizzatoria, dell’eventuale entità trascurabile del danno, dello stato di conservazione della specie animale o vegetale oggetto del danno e del costo di ripristino dei danni ambientali.
L’articolo 4 riprende il corrispondente articolo della direttiva 2008/99/CE, sulla punibilità penale del favoreggiamento e dell’istigazione a commettere i reati ambientali, prevedendo in aggiunta anche il concorso e, per determinati reati, il tentativo di reato.
L’articolo 5 riprende il corrispondente articolo della direttiva 2008/99/CE, che impone agli Stati membri di stabilire sanzioni penali effettive, proporzionate e dissuasive, aggiungendo specifiche indicazioni sui livelli massimi di pena, pari a 10, 8, 5 o 3 anni applicabili in relazione ai diversi tipi di reato. La direttiva in esame, inoltre, aggiunge un elenco di possibili sanzioni supplementari, comprendenti l’obbligo di ripristino ambientale in caso di danno reversibile, o di risarcimento in caso di danno irreversibile, nonché sanzioni pecuniarie proporzionate alla gravità della condotta.
L’articolo 6 riprende testualmente quanto stabilito dalla direttiva 2008/99/CE sulla responsabilità delle persone giuridiche per i reati ambientali. Si aggiunge (articolo 7) un elenco di sanzioni che gli Stati membri sono chiamati a prevedere per le persone giuridiche, tra cui: sanzioni pecuniarie, l’esclusione da aiuti o finanziamenti pubblici, l’interdizione all’esercizio dell’attività commerciale, l’assoggettamento a sorveglianza giudiziaria e lo scioglimento del soggetto giuridico. Sono indicati, altresì, livelli massimi delle sanzioni pecuniarie, in misura fissa o in termini di percentuale del fatturato mondiale totale della persona giuridica (5 o 3 per cento a seconda del tipo di reato).
Seguono disposizioni non direttamente confrontabili con la disciplina contenuta nella direttiva 2008/99/CE.
Gli articoli 8 e 9 recano un elenco delle circostanze che devono essere considerate, rispettivamente, quali aggravanti o attenuanti in riferimento a determinati reati.
L’articolo 10 stabilisce che gli Stati membri adottino misure volte a consentire il tracciamento, l’identificazione, il congelamento e la confisca dei proventi derivati dalla commissione dei reati ambientali e dei beni strumentali utilizzati a tal fine.
L’articolo 11 prevede che gli Stati adottino misure volte a stabilire termini di prescrizione che consentano di condurre le indagini, l’azione penale, svolgere il processo e adottare la decisione giudiziaria, indicando a tal fine il periodo massimo di prescrizione, in relazione a specifiche categorie di pena.
L’articolo 12 fissa i parametri per stabilire la competenza giurisdizionale di uno Stato membro, in relazione al luogo del reato o del danno nonché alla cittadinanza o residenza abituale dell’autore del reato. Inoltre lo Stato membro può estendere la propria giurisdizione, dopo aver informato la Commissione europea, a reati commessi al di fuori del proprio territorio, nei seguenti casi: l'autore del reato risiede abitualmente nel proprio territorio; il reato è commesso a vantaggio di una persona giuridica che ha sede nel proprio territorio; il reato è commesso contro un proprio cittadino o residente abituale; il reato ha comportato un rischio grave per l'ambiente nel proprio territorio.
L’articolo 13 dispone circa gli strumenti investigativi, che dovranno essere efficaci e proporzionati e, se del caso, includere strumenti investigativi speciali, come quelli utilizzati per contrastare la criminalità organizzata o per altri reati gravi.
L’articolo 14 prevede che gli Stati membri adottino misure in materia di protezione delle persone che segnalano i reati ambientali, fatta salva la direttiva (UE) 2019/1937 riguardante la protezione delle persone che segnalano violazioni del diritto dell'Unione.
L’articolo 15 prevede che gli Stati membri assicurino adeguati diritti procedurali nei procedimenti relativi a reati ambientali, qualora tali diritti processuali per il pubblico interessato esistano nello Stato membro nei procedimenti relativi ad altri reati, ad esempio in qualità di parte civile. Si dovrà inoltre prevedere che le informazioni sull'avanzamento dei procedimenti siano condivise con il pubblico interessato, qualora ciò avvenga nei procedimenti riguardanti altri reati.
Gli articoli da 16 a 18 recano disposizioni concernenti le campagne di informazione e sensibilizzazione in materia di reati ambientali ai fini della loro prevenzione, l’adeguamento delle risorse umane e finanziarie delle competenti autorità nazionali, la formazione del personale dell’appartato giudiziario.
L’articolo 19 reca disposizioni inerenti alle forme di cooperazione e coordinamento tra le autorità di uno Stato membro, mentre l’articolo 20 riguarda le forme di cooperazione tra Stati membri e Commissione e altri organi e organismi dell’Unione.
Gli articoli 21 e 22 prevedono che gli Stati membri adottino e pubblichino una Strategia nazionale di lotta contro i reati ambientali e che provvedano a monitorare l’efficacia della lotta ai reati ambientali attraverso la raccolta di dati statistici, pubblicati periodicamente e trasmessi annualmente alla Commissione. L’articolo 23 attribuisce alla Commissione alcuni compiti relativi alla standardizzazione e alla comparabilità di tali dati statistici. L’articolo 24 disciplina la procedura di comitato. L’articolo 25 pone in capo alla Commissione la predisposizione di una relazione sull’attuazione della direttiva in esame da parte degli Stati membri e della valutazione d’impatto. Si prevede esplicitamente che la Commissione valuti periodicamente l’opportunità di rivedere l’elenco dei reati ambientali stabilito dalla presente direttiva.
Gli articoli 26 e 27 recano disposizioni, rispettivamente, sulla sostituzione della direttiva 2008/99/e della direttiva 2009/123/CE.
L’articolo 28 stabilisce che gli Stati membri debbano recepire la direttiva entro il 21 maggio 2026. L’articolo 29 stabilisce che la direttiva entri in vigore il ventesimo giorno successivo alla pubblicazione nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea. Essa è dunque vigente dal 20 maggio 2024. Ai sensi dell’articolo 30 gli Stati membri sono destinatari delle disposizioni della direttiva medesima.
Direttiva (UE) 2024/1233
(del Parlamento europeo e del Consiglio, del 24 aprile 2024, relativa a una procedura unica di domanda per il rilascio di un permesso unico che consente ai cittadini di Paesi terzi di soggiornare e lavorare nel territorio di uno Stato membro e a un insieme comune di diritti per i lavoratori di Paesi terzi che soggiornano regolarmente in uno Stato membro) (rifusione)
La direttiva (UE) 2024/1233 procede alla rifusione della direttiva 2011/98/UE, relativa a una procedura unica di domanda per il rilascio di un permesso unico che consente ai cittadini di Paesi terzi di soggiornare e lavorare nel territorio di uno Stato membro nonché a un insieme comune di diritti per i lavoratori di Paesi terzi che soggiornano regolarmente in uno Stato membro
[49]
. Si ricorda che nell’ordinamento dell’Unione europea, la rifusione consiste nell’adozione di un nuovo atto, che sostituisce il provvedimento precedente ed opera alcune modifiche alla disciplina già posta da quest’ultimo. La citata direttiva oggetto di sostituzione ha definito sia la disciplina procedurale per il rilascio di un permesso unico di soggiorno per motivi di lavoro sia un quadro di diritti, relativi, in parte, ai soli titolari del suddetto permesso unico e, in altra parte, anche ai titolari di un permesso di soggiorno rilasciato a fini diversi dall'attività lavorativa e che consenta di lavorare nello Stato in questione. Le modifiche principali operate dalla direttiva sostitutiva
[50]
consistono nella ridefinizione di alcuni profili della procedura amministrativa relativa al permesso unico, nel riconoscimento del diritto di cambiare datore di lavoro durante il periodo di validità del permesso suddetto, nella limitazione della revocabilità del permesso unico a causa di disoccupazione sopravvenuta, nell’introduzione di norme relative – con riferimento ai lavoratori stranieri e ai relativi datori di lavoro – alle attività di monitoraggio, di valutazione e di ispezione, alle sanzioni, all’agevolazione delle denunce e dei mezzi di ricorso. Le disposizioni relative alla parità di trattamento dei lavoratori stranieri costituiscono invece una sostanziale conferma di quelle già poste dalla citata direttiva del 2011.
Nel Capo I della nuova direttiva (articoli da 1 a 3) sono delineati oggetto, definizioni e ambito di applicazione della stessa.
Nell’ambito di tale Capo, le modifiche alla direttiva 2011/98/UE riguardano l’inserimento di riferimenti a direttive sopravvenute, quali la direttiva 2014/66/UE, sulle condizioni di ingresso e soggiorno dei cittadini di Paesi terzi nell'ambito di trasferimenti intra-societari (articolo 3, paragrafo 2, lettera d)), e la direttiva 2014/36/UE, sulle condizioni di ingresso e di soggiorno dei cittadini di Paesi terzi per motivi di impiego in qualità di lavoratori stagionali (articolo 3, paragrafo 2, lettera e)); le fattispecie oggetto di queste due direttive, così come le altre indicate nell’articolo 3, paragrafo 2, della direttiva in esame, restano escluse dall’ambito di quest’ultima.
Il Capo II della nuova direttiva disciplina la procedura unica di domanda e il suddetto permesso unico. L’articolo 4 conferma il principio che “la domanda di rilascio, modifica o rinnovo di un permesso unico è presentata mediante una procedura unica di domanda”. Anche il nuovo testo demanda allo Stato membro di definire se la domanda possa essere presentata dal lavoratore straniero interessato o dal datore di lavoro interessato o da uno dei due soggetti. La nuova direttiva specifica che la domanda da parte del lavoratore, se contemplata dall’ordinamento dello Stato membro, deve essere considerata legittima – oltre che in caso di presentazione dall’estero – anche qualora il soggetto la presenti quando già soggiorni nel territorio nazionale sulla base di un permesso di soggiorno valido (resta fermo, come già previsto nella direttiva 2011/98/UE, che l’ordinamento dello Stato membro può ritenere legittima anche la domanda presentata dal lavoratore durante un soggiorno regolare non basato su un permesso di soggiorno).
Secondo l’articolo 4, paragrafo 3, della direttiva 2011/84/UE, la procedura unica di domanda non pregiudica la procedura di rilascio del visto eventualmente richiesto per il primo ingresso. L’articolo 4, paragrafo 4, della nuova direttiva ha sostituito tale formulazione (che non è apparsa del tutto chiara, almeno sotto il profilo letterale), affermando che, qualora uno Stato membro rilasci permessi unici solo sulla base della presenza del lavoratore nel proprio territorio, lo Stato membro interessato deve rilasciare il visto per l’ingresso (sempre che siano soddisfatti i relativi requisiti stabiliti dal diritto dell'Unione o nazionale).
L'articolo 5 della nuova direttiva conferma la previsione che gli Stati membri designino un’autorità competente a ricevere la domanda e a rilasciare il permesso unico. In base alla direttiva 2011/98/UE, l’autorità competente era tenuta ad adottare una decisione sulla domanda completa non appena possibile e in ogni caso entro quattro mesi dalla data di presentazione della domanda; in circostanze eccezionali, dovute alla complessità dell’esame della domanda, tale termine poteva essere prorogato. La nuova direttiva dispone che l’autorità competente adotti una decisione sulla domanda di permesso unico non appena possibile e, in ogni caso, entro 90 giorni dalla data di presentazione della domanda completa – tale termine si applica anche qualora l’ordinamento dello Stato membro preveda, al fine dell’eventuale rilascio di un permesso unico, la verifica della situazione del mercato del lavoro –; anche il nuovo termine può essere prorogato nelle suddette circostanze eccezionali (articolo 8, paragrafo 3); la proroga viene ora ammessa entro un limite di 30 giorni. Resta fermo il principio che, in caso di mancato rispetto del termine, “le eventuali conseguenze sono determinate dal diritto nazionale” (articolo 5 citato).
Gli articoli 6 e 7 della nuova direttiva disciplinano, rispettivamente: i requisiti del modello per il permesso unico e le informazioni su quest’ultimo che devono o possono essere rese al momento del rilascio del medesimo; le informazioni che devono o possono essere rese ai soggetti interessati, relative a un permesso di soggiorno per fini diversi dall'attività lavorativa, al momento del rilascio di quest’ultimo. Questi due articoli non recano modifiche rispetto alla corrispondente disciplina già posta dalla direttiva 2011/98/UE. In materia di informazioni, cfr. anche le parti della presente scheda relative all’articolo 9 e all’articolo 16 della nuova direttiva.
I paragrafi 1 e 2 dell’articolo 8 della nuova direttiva confermano che le reiezioni della domanda di rilascio, modifica o rinnovo del permesso unico e le revoche di quest’ultimo devono: essere motivate e notificate per iscritto; indicare l’organo giurisdizionale o l'autorità amministrativa presso cui l'interessato può presentare ricorso, nonché i termini entro cui quest’ultimo deve essere presentato. In merito, inoltre, la nuova disciplina:
- inserisce il principio che tali decisioni devono tener conto delle specifiche circostanze del caso e rispettare il principio di proporzionalità, conformemente al diritto nazionale e dell’Unione (articolo 8, paragrafo 2, citato);
- sopprime la previsione (di cui all’articolo 8, paragrafo 3, della direttiva 2011/98/UE) di possibile inammissibilità della domanda per ragioni legate ai volumi di ingresso di cittadini di Paesi terzi a fini lavorativi. Riguardo a tale soppressione, si segnala, tuttavia, che l’articolo 1, paragrafo 2, della medesima direttiva afferma che quest’ultima non incide sul diritto degli Stati membri di determinare il volume di ingresso di cittadini di Paesi terzi (per motivi di lavoro) conformemente all’articolo 79, paragrafo 5, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE)
[51]
e che il considerando n. 7 (della stessa direttiva) osserva che le “disposizioni della presente direttiva non dovrebbero pregiudicare la competenza degli Stati membri a stabilire i requisiti per il rilascio di un permesso unico a scopo lavorativo. La presente direttiva non dovrebbe incidere sul diritto degli Stati membri conformemente all'articolo 79, paragrafo 5, del trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE). Su questa base, gli Stati membri dovrebbero poter giudicare inammissibile o respingere una domanda di permesso unico”.
L’articolo 9 della nuova direttiva impone agli Stati membri di provvedere affinché al cittadino del Paese terzo
[52]
e al futuro datore di lavoro siano facilmente accessibili e siano fornite su richiesta, in materia di permesso unico:
·
informazioni adeguate su tutti i documenti giustificativi previsti per una domanda. Tale previsione è analoga a quella già posta dall’articolo 9 della citata direttiva del 2011 (il quale, tuttavia, non richiede una facile accessibilità indipendente dalla domanda);
·
informazioni sulle condizioni di ingresso e soggiorno, compresi i diritti, gli obblighi e le garanzie procedurali, dei cittadini di Paesi terzi e dei loro familiari, nonché informazioni sulle organizzazioni dei lavoratori conformemente al diritto nazionale. Tale previsione non è contemplata dal corrispondente articolo della suddetta direttiva del 2011. Riguardo al confronto tra nuova e vecchia direttiva per quanto riguarda le informazioni al pubblico, cfr. la parte della presente scheda relativa all’articolo 16 della nuova direttiva.
L'articolo 10 della nuova direttiva consente agli Stati membri di imporre il pagamento di diritti per il trattamento delle domande, nell’ambito dell’istituto del permesso unico; l’importo di tali diritti non deve essere sproporzionato né eccessivo; rispetto al testo della citata direttiva del 2011, la rifusione specifica che, se a pagare i diritti per il trattamento delle domande è il datore di lavoro, questi non è autorizzato a recuperarli dal cittadino di Paese terzo.
Il paragrafo 1 del successivo articolo 11 stabilisce i diritti derivanti dal rilascio del permesso unico; si prevede, confermando le disposizioni già stabilite dalla citata direttiva del 2011, che il titolare del permesso unico abbia diritto ‘quanto meno’ a:
·
entrare e soggiornare nel territorio dello Stato membro che ha rilasciato il permesso unico;
·
accedere liberamente all’intero territorio dello Stato membro che ha rilasciato il permesso unico;
·
svolgere la specifica attività lavorativa autorizzata;
·
essere informato dei diritti conferitigli.
I successivi paragrafi da 2 a 6 recano disposizioni non previste dalla citata direttiva del 2011.
In particolare, in base ai paragrafi da 2 a 4 e 6, il permesso unico conferisce ai cittadini di Paesi terzi il diritto di cambiare datore di lavoro durante il periodo di validità del permesso stesso. Al riguardo, il paragrafo 3 prevede che gli Stati membri possano:
·
esigere la notifica alle autorità competenti di tale cambiamento;
·
prevedere che il cambiamento di datore di lavoro sia subordinato a una verifica della situazione del mercato del lavoro (sempre che l’ordinamento dello Stato membro interessato contempli la fase di verifica della situazione del mercato del lavoro per le domande di permesso unico) nonché prevedere un periodo minimo (in ogni caso non superiore a sei mesi) durante il quale il titolare del permesso unico sia tenuto a lavorare per il primo datore di lavoro. In queste due fattispecie, il diritto al cambiamento del datore di lavoro può, al fine delle verifiche, essere sospeso per il periodo massimo di cui al presente paragrafo 3 (prorogabile in via eccezionale ai sensi del precedente articolo 8, paragrafo 4).
Il paragrafo 4 stabilisce che la condizione di disoccupazione non costituisce di per sé motivo di revoca di un permesso unico, a condizione che:
·
il periodo totale di disoccupazione non superi i tre mesi (durante il periodo di validità del permesso unico), oppure i sei mesi qualora il soggetto sia titolare del permesso unico da più di due anni. Lo Stato membro può prevedere limiti più ampi rispetto ai suddetti termini di tre e sei mesi (mentre una particolare fattispecie di allungamento dei termini è posta in via tassativa dal paragrafo 6);
·
l’inizio e l’eventuale fine del periodo di disoccupazione siano notificati alle autorità competenti conformemente alle procedure nazionali dello Stato membro interessato.
Ulteriori disposizioni sono stabilite nei paragrafi 4 e 5, con riferimento ad alcune fattispecie di iter amministrativo in materia di permesso unico.
Il Capo III della nuova direttiva reca le disposizioni relative alla parità di trattamento.
In base all’articolo 12, i titolari del suddetto permesso unico, nonché i titolari di un permesso di soggiorno rilasciato a fini diversi dall'attività lavorativa e che consenta di lavorare nello Stato in questione, beneficiano della parità di trattamento con i cittadini dello Stato membro in cui soggiornano ‘almeno’ per quanto concerne gli ambiti ivi previsti. La disciplina posta dall’articolo 12 corrisponde sostanzialmente, con alcune precisazioni o aggiornamenti di termini, a quella posta dall’articolo 12 della citata direttiva del 2011.
In particolare, i soggetti summenzionati hanno diritto (fatte salve le possibili limitazioni previste dalle medesime norme in esame
[53]
) alla parità di trattamento per quanto riguarda:
a)
le condizioni di impiego e di lavoro, fra cui quelle riguardanti la retribuzione, il licenziamento, gli orari di lavoro, i congedi e le ferie e la parità di trattamento di uomini e donne, nonché la salute e la sicurezza sul luogo di lavoro;
b)
il diritto di scioperare e di intraprendere azioni sindacali, in conformità al diritto e alla prassi nazionali dello Stato membro, nonché la libertà di associazione, adesione e partecipazione a organizzazioni rappresentative di lavoratori o di datori di lavoro o a qualunque organizzazione professionale di categoria (ivi compresi i diritti e i vantaggi che derivano dall’esercizio di tali libertà, fra cui il diritto di negoziare e di concludere contratti collettivi), fatte salve le disposizioni nazionali in materia di ordine pubblico e pubblica sicurezza;
c)
l’istruzione e la formazione professionale;
d)
il riconoscimento di diplomi, certificati e altre qualifiche professionali secondo le procedure nazionali applicabili;
e)
i settori della sicurezza sociale definiti nel regolamento (CE) n. 883/2004;
f)
le agevolazioni fiscali, purché il lavoratore sia considerato come avente il domicilio fiscale nello Stato membro interessato;
g)
l’accesso a beni e servizi a disposizione del pubblico e all’erogazione degli stessi, incluse le procedure per ottenere l’accesso all’edilizia residenziale pubblica e privata, fatta salva la libertà contrattuale conformemente al diritto dell’Unione e nazionale;
h)
i servizi di consulenza e le informazioni forniti dai centri per l’impiego.
Gli Stati membri possono tuttavia limitare la parità di trattamento nei casi di seguito descritti.
Per quanto concerne il diritto all’istruzione e alla formazione professionale, gli Stati membri possono:
·
restringerne l’applicazione ai lavoratori di Paesi terzi
[54]
che svolgono o hanno svolto un’attività lavorativa e sono registrati come disoccupati;
·
escludere i lavoratori di Paesi terzi che sono stati ammessi nel territorio nazionale ai sensi della direttiva (UE) 2016/801;
·
escludere le borse di studio e i prestiti concessi a fini di studio e di mantenimento o altri tipi di borse e prestiti;
·
stabilire requisiti specifici, fra cui il possesso di conoscenze linguistiche e il pagamento di tasse scolastiche, per quanto riguarda l’accesso all’università, all’istruzione e formazione post-secondaria e all’istruzione e formazione professionale che non sia direttamente collegata all’attività lavorativa specifica.
Gli Stati membri possono limitare i diritti conferiti ai lavoratori di Paesi terzi nei settori della sicurezza sociale (definiti nel sopra citato regolamento (CE) n. 883/2004), senza tuttavia restringerli per i lavoratori di Paesi terzi che svolgono o hanno svolto un’attività lavorativa per un periodo minimo di sei mesi e sono registrati come disoccupati. Gli Stati membri possono inoltre decidere che tali diritti, per quanto concerne le prestazioni familiari, non si applichino ai cittadini di Paesi terzi che siano stati autorizzati a lavorare per un periodo non superiore a sei mesi, che siano stati ammessi a scopo di studio o a cui sia consentito lavorare in forza di un visto
[55]
.
Per quanto concerne le agevolazioni fiscali, gli Stati membri possono limitare l’applicazione relativa ai familiari del lavoratore di Paese terzo, limitandola ai casi in cui i medesimi familiari abbiano il domicilio o la residenza abituale nel territorio dello Stato membro interessato.
In ordine al diritto di accesso a beni e servizi, gli Stati membri possono:
·
limitarne l’applicazione ai casi in cui il soggetto svolga un’attività lavorativa;
·
limitare l’accesso all’edilizia, a eccezione della locazione della residenza privata, nei limiti previsti dal diritto nazionale.
Gli articoli 13 e 14 della nuova direttiva recano disposizioni non presenti nella citata direttiva del 2011. Le norme introdotte dai due articoli concernono – con riferimento ai lavoratori stranieri rientranti nell’ambito di applicazione del precedente articolo 12 e ai relativi datori di lavoro –: le attività di monitoraggio, di valutazione e di ispezione, nonché le sanzioni (articolo 13); le misure di agevolazione delle denunce e dei mezzi di ricorso (articolo 14).
In particolare, l’articolo 13 stabilisce che gli Stati membri debbano prevedere sia misure – quali il monitoraggio, la valutazione e, ove opportuno, le ispezioni – volte a impedire eventuali abusi da parte dei datori di lavoro sia sanzioni – effettive, proporzionate e dissuasive – nei confronti dei datori che non abbiano rispettato gli obblighi di cui alla direttiva in oggetto e le disposizioni nazionali sulla parità di trattamento, adottate ai sensi dell’articolo 12 della medesima direttiva. Particolare riferimento è fatto al controllo sui settori identificati, a livello nazionale, “come ad alto rischio di violazioni dei diritti dei lavoratori” (articolo 13, paragrafo 1).
In base ai paragrafi 1 e 2 dell’articolo 14, gli Stati membri devono provvedere affinché siano disponibili meccanismi efficaci che consentano ai lavoratori di Paesi terzi di presentare denuncia contro i propri datori di lavoro. Tali denunce possono essere presentate sia direttamente sia tramite terzi che, conformemente ai criteri stabiliti dal diritto nazionale, abbiano un interesse legittimo a garantire il rispetto della direttiva in esame (e delle relative norme di recepimento); l’ordinamento dello Stato membro può consentire anche la presentazione della denuncia tramite le autorità pubbliche competenti.
Inoltre, in base al successivo paragrafo 3, gli Stati membri devono provvedere affinché i lavoratori di Paesi terzi abbiano parità di accesso, rispetto ai cittadini dello Stato membro in cui soggiornano: a) alle misure di protezione contro il licenziamento, o altro trattamento sfavorevole da parte del datore di lavoro, quale reazione a un reclamo interno all’impresa; o b) a tutti i procedimenti giudiziari intesi a garantire il rispetto della direttiva in esame e delle disposizioni nazionali adottate ai sensi della medesima.
L’articolo 15 conferma le clausole già previste dall’articolo 13 della citata direttiva del 2011, le quali fanno salve le disposizioni più favorevoli che sono o saranno previste da atti dell’Unione europea o di singoli Stati membri o da accordi internazionali.
L’articolo 16 sancisce, per gli Stati membri, obblighi più dettagliati (rispetto alla citata direttiva del 2011) per quanto riguarda le informazioni al pubblico. Queste ultime devono concernere – oltre che le condizioni di ingresso e soggiorno a fini lavorativi (come già previsto dalla suddetta direttiva del 2011) – tutti i documenti giustificativi richiesti per la domanda di un permesso unico nonché, in generale, le condizioni di ingresso e soggiorno – compresi i diritti, gli obblighi e le garanzie procedurali – dei cittadini di Paesi terzi e dei loro familiari.
Il termine per il recepimento – da parte degli Stati membri – delle modifiche normative rispetto alla citata direttiva 2011/98/UE – modifiche poste dalle disposizioni della nuova direttiva richiamate dall’articolo 18 della stessa [56] – è posto al 21 maggio 2026. Resta fermo che anche le altre disposizioni della nuova direttiva – richiamate dal successivo articolo 20 – si applicano a decorrere dal 22 maggio 2026. A decorrere da quest’ultima data, ai sensi dell’articolo 19, la direttiva 2011/98/UE è abrogata [57] .
Si ricorda che la direttiva deriva dalla proposta della Commissione europea COM(2022) 655, del 27 aprile 2022.
Direttiva (UE) 2024/1265
(del Consiglio, del 29 aprile 2024, recante modifica della direttiva 2011/85/UE relativa ai requisiti per i quadri di bilancio degli Stati membri)
La direttiva (UE) 2024/1265 fa parte del pacchetto di riforma del Patto di stabilità e crescita (cd. “governance economica” dell’Unione europea) [58] . Il pacchetto è composto da tre atti giuridici che hanno apportato profonde modifiche alla disciplina dei cd. "bracci” preventivo e correttivo del Patto di stabilità e ai requisiti per i quadri di bilancio degli Stati membri.
Gli altri elementi del pacchetto sono:
1)
il regolamento (UE) 2024/1263 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2024, relativo al coordinamento efficace delle politiche economiche e alla sorveglianza di bilancio multilaterale;
2)
il regolamento (UE) 2024/1264 del Consiglio, del 29 aprile 2024, recante modifica del regolamento (CE) n. 1467/97 per l'accelerazione e il chiarimento delle modalità di attuazione della procedura per i disavanzi eccessivi.
Finalità della riforma è stata quella di coniugare sostenibilità del debito e crescita, attraverso riforme e investimenti, differenziando gli Stati membri in considerazione delle loro sfide di debito pubblico e consentendo traiettorie di bilancio specifiche per Paese. Sono stati altresì perseguiti il rafforzamento della titolarità nazionale, la semplificazione e trasparenza delle regole, una maggiore attenzione al medio termine, insieme a un’applicazione più efficace. Le modifiche hanno avuto luogo a trattati vigenti, lasciando quindi invariati i parametri di riferimento del 3% per il rapporto tra il disavanzo e il PIL e del 60% per il rapporto tra il debito pubblico e il PIL. Se ne riassumono brevemente di seguito le linee guida principali:
1) tutti gli Stati membri dovranno presentare un piano strutturale nazionale di bilancio a medio termine (durata 4 o 5 anni, a seconda della durata regolare della legislatura nazionale), impegnandosi a seguire una traiettoria di bilancio nonché a realizzare investimenti pubblici e riforme che garantiscano una riduzione duratura e graduale del debito e una crescita sostenibile e inclusiva [59] . Tale piano andrà a sostituire i programmi di stabilità (e di convergenza per gli Stati membri che non fanno parte dell’area euro) ed i programmi nazionali di riforma;
2) la traiettoria sarà definita in termini di spesa primaria netta, unico indicatore operativo anche per la successiva sorveglianza. La “spesa netta” sarà costituita dalla spesa pubblica al netto della spesa per interessi, delle misure discrezionali sulle entrate, delle spese relative ai programmi dell’Unione interamente coperte dalle entrate dei fondi UE, del cofinanziamento di programmi UE, degli elementi ciclici di spesa per indennità di disoccupazione, nonché delle misure una tantum e delle altre misure temporanee;
3) la durata del periodo di aggiustamento può essere prorogata di tre anni a fronte dell’impegno a realizzare riforme e investimenti in grado – tra gli altri requisiti – di affrontare le priorità comuni dell’Unione (transizione verde e digitale equa; resilienza sociale e economica, compreso il pilastro europeo dei diritti sociali; sicurezza energetica; rafforzamento delle capacità di difesa). Gli investimenti previsti nei PNRR saranno presi in considerazione per estendere il periodo; i piani di bilancio saranno valutati dalla Commissione e approvati dal Consiglio. Il monitoraggio sull’attuazione, nel contesto del semestre europeo, sarà effettuato sulla base di una relazione annuale presentata da ciascuno Stato.
4) la revisione del piano dopo la sua approvazione e prima della fine del periodo di aggiustamento sarà consentita in caso di “circostanze oggettive” che ne impediscano l’attuazione o, su richiesta, dopo l’insediamento di un nuovo Governo;
5) una duplice possibilità di ricorso a clausole di salvaguardia è prevista per scostamenti dagli obiettivi di spesa: a livello di Unione in caso di grave recessione economica nell’area dell’euro o nell’UE nel suo insieme; a livello nazionale al verificarsi di circostanze eccezionali, al di fuori del controllo dello Stato membro, con forte impatto sulle finanze pubbliche;
6) creazione di un conto di controllo per tenere traccia delle deviazioni dai percorsi di spesa netta concordati.
Il testo in esame modifica la direttiva 2011/85/UE
[60]
, che stabilisce regole dettagliate sulle caratteristiche dei quadri di bilancio degli Stati membri, necessarie perché sia garantita l’osservanza dell’obbligo di evitare disavanzi pubblici eccessivi. Si rafforza la titolarità nazionale, con un ruolo più importante e nuovi compiti per gli enti di bilancio indipendenti (in Italia, l’Ufficio parlamentare di bilancio), e si promuove un orientamento a medio termine. Le principali modifiche alla direttiva in vigore mirano a:
1)
semplificare la normativa vigente: con riferimento ai sistemi nazionali di contabilità pubblica, il nuovo articolo 3 elimina la presentazione dei dati mensili sulla contabilità di cassa. Gli Stati membri e la Commissione (Eurostat) dovranno pubblicare invece dati trimestrali;
2)
introdurre disposizioni di chiarimento. Il nuovo articolo 4, par. 6, fa specifico riferimento a organismi indipendenti responsabili della “valutazione ex post periodica, obiettiva e completa” delle previsioni macroeconomiche e di bilancio, al fine di migliorarne la qualità;
3)
rafforzare la titolarità nazionale. Il nuovo articolo 8-bis disciplina gli enti di bilancio indipendenti (uno o più in ogni Stato membro) incaricati di monitorare le finanze pubbliche. Ai sensi dei par. 1 e 2 questi sono istituiti mediante leggi, regolamenti o disposizioni amministrative nazionali vincolanti. In particolare, essi:
-
sono composti da membri designati e nominati sulla base della loro esperienza e competenza in materia di finanza pubblica, macroeconomia o gestione di bilancio, e tramite procedure trasparenti (par. 3);
-
non seguono istruzioni delle autorità di bilancio dello Stato membro interessato o di altri organismi pubblici o privati (par. 4, lett. a);
-
possono comunicare pubblicamente in maniera tempestiva le proprie valutazioni e i propri pareri (par. 4, lett. b);
-
sono dotati di risorse proprie stabili e adeguate per svolgere il loro mandato in maniera efficace (par. 4, lett. c);
-
hanno ampio e tempestivo accesso alle informazioni necessarie per adempiere il proprio mandato (par. 4, lett. d);
-
sono soggetti a periodiche valutazioni esterne da parte di valutatori indipendenti (par. 4, lett. e).
Svolgono le mansioni seguenti (par. 5):
-
elaborazione, valutazione e approvazione di previsioni macroeconomiche e di bilancio annuali e pluriennali (lett. a);
-
controllo dell’osservanza delle regole di bilancio numeriche specifiche per Paese (lett. b) e del quadro di bilancio dell’Unione ai sensi dei nuovi regolamenti sul braccio preventivo e sul braccio correttivo (lett. c);
-
valutazione di omogeneità, coerenza e efficacia del quadro di bilancio nazionale (lett. d);
-
partecipazione su invito a discussioni e audizioni periodiche in seno al Parlamento nazionale (lett. e).
Se le autorità di bilancio dello Stato interessato non si conformano alle valutazioni formulate, dovranno giustificare pubblicamente la propria decisione entro un periodo di due mesi (par. 6);
4)
promuovere un orientamento a medio termine. L’articolo 4 specifica che la programmazione di bilancio “annuale e pluriennale” si basa su previsioni macroeconomiche e di bilancio realistiche, che utilizzano le informazioni più aggiornate. L’articolo 10 aggiunge che la legislazione di bilancio annuale deve essere “conforme agli obiettivi di bilancio nazionali a medio termine”. L’articolo 11 garantisce peraltro la possibilità, in caso di insediamento di un nuovo Governo, di aggiornare il programma di bilancio a medio termine per rifletterne le nuove priorità politiche. In tal caso “lo Stato membro indica le differenze tra il nuovo programma di bilancio a medio termine e quello precedente”;
5)
migliorare la qualità delle finanze pubbliche, con disposizioni volte a promuovere la responsabilità e ad accrescere la trasparenza dei rischi rispetto ai cambiamenti climatici. In particolare, l’articolo 9, paragrafo 2, lettera d), prevede – “nella misura del possibile” - una valutazione dei rischi derivanti dai cambiamenti climatici e delle implicazioni delle politiche climatiche per le finanze pubbliche. Analogamente, l’articolo 14, par 3, impone agli Stati membri di pubblicare, nella misura del possibile, dati riguardanti le passività potenziali legate alle calamità e al clima, nonché i costi di bilancio sostenuti a causa di calamità naturali e shock connessi al clima.
6)
promuovere, in generale, la trasparenza delle finanze dell’amministrazione pubblica, anche con la richiesta di “norme e procedure contabili coerenti da parte delle amministrazioni pubbliche” (articolo 12).
Il termine di recepimento è fissato al 31 dicembre 2025. Entro la medesima data, e successivamente ogni cinque anni, la Commissione è incaricata di presentare relazioni in merito a:
1)
la situazione della contabilità pubblica dell’amministrazione pubblica nell’Unione (articolo 16-bis, par. 1, lett. a);
2)
capacità e compiti delle istituzioni di bilancio indipendenti (articolo 16-bis, par. 1, lett. b).
Un riesame dell'efficacia della direttiva nel suo insieme, invece, è previsto (articolo 16-bis, par. 2) sempre ad opera della Commissione entro il 31 dicembre 2030 e, di seguito, con cadenza quinquennale.
La direttiva deriva dalla proposta della Commissione europea COM(2023) 242 dell’aprile 2023. Questa, assieme agli altri due elementi del pacchetto di riforma della governance, è stata esaminata sia dalla 5a Commissione permanente del Senato (Programmazione economica, bilancio), che ha adottato una risoluzione in data 7 dicembre 2023 (Doc XVIII, n. 9), sia dalla V Commissione bilancio della Camera dei deputati, che ha approvato un documento finale il 6 dicembre 2023, dopo aver ricevuto il parere favorevole, con osservazioni, della Commissione politiche dell’UE. La Commissione europea ha risposto al Senato in data 6 marzo 2024 ed alla Camera in data 22 marzo 2024.
Le Commissioni congiunte 5a del Senato della Repubblica e V della Camera dei deputati hanno condotto un’indagine conoscitiva sulle prospettive di riforma delle procedure di programmazione economica e finanziaria e di bilancio in relazione alla riforma della governance economica europea. In tale contesto sono state effettuate numerose audizioni di esperti. Il 25 settembre 2024 è stato approvato sia al Senato sia alla Camera dei deputati un documento conclusivo in cui si è effettuata una riflessione approfondita sulle proposte per la riforma delle procedure nazionali di programmazione economica e finanziaria e di bilancio.
Direttiva (UE) 2024/1260
(del Parlamento europeo e del Consiglio, del 24 aprile 2024, riguardante il recupero e la confisca dei beni)
La direttiva (UE) 2024/1260 stabilisce norme minime riguardanti il reperimento, l'identificazione, il congelamento, la confisca e la gestione di beni nell’ambito di procedimenti in materia penale.
Il provvedimento mira a rendere più efficace ed efficiente l’intervento dei singoli Stati membri e la cooperazione transfrontaliera nel contrasto alla criminalità organizzata, attraverso un rafforzamento delle misure funzionali a neutralizzare il profitto economico connesso allo svolgimento di attività criminali.
Come sottolineato nei Considerando, la direttiva si propone di dotare le autorità competenti “dei mezzi necessari” per sottrarre alla criminalità organizzata i proventi di attività criminali, la cui disponibilità rappresenta “una minaccia significativa per l’integrità dell’economia e della società, che erode lo Stato di diritto e i diritti fondamentali”. Ulteriore obiettivo riguarda la possibilità di riutilizzare a fini sociali i beni confiscati, anche nella prospettiva di compensare le vittime e riparare i danni prodotti alla società dalle attività criminose.
A tali scopi, la Direttiva, il cui termine per il recepimento è fissato al 23 novembre 2026, aggiorna il quadro giuridico esistente in materia di recupero e confisca dei proventi illeciti, sostituendo integralmente [61] l'azione comune 98/699/GAI [62] , le decisioni quadro 2001/500/GAI [63] e 2005/212/GAI [64] , la decisione 2007/845/GAI [65] e la direttiva 2014/42/UE [66] .
Ne discende la riunione, all’interno di un unico atto [67] , di misure precedentemente disciplinate in una pluralità di strumenti normativi distinti, in un’ottica di razionalizzazione ed implementazione delle stesse con riferimento all’intero percorso di asset recovery. In particolare, la direttiva contiene nuove disposizioni sulla tracciabilità, l’identificazione, il congelamento, la confisca e la gestione dei beni di provenienza illecita, nonché previsioni intese a specificare il ruolo che assumono gli uffici nazionali per il recupero dei beni e gli uffici per la gestione dei beni, con lo scopo di migliorare la cooperazione tra tutte le autorità coinvolte.
Carattere di novità riveste altresì il novero dei reati ricompresi nell’ambito di applicazione della direttiva, con l’inclusione tra gli altri, dei reati di violazione di misure restrittive dell’Unione europea introdotti dalla Direttiva (UE) 2024/1226 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 24 aprile 2024.
Più in dettaglio, la direttiva si compone di 38 articoli, suddivisi in 8 capi.
Il Capo I (artt. da 1 a 3) contiene le disposizioni generali che definiscono l’oggetto e l’ambito di applicazione della direttiva, con delimitazione ai reati in materia di:
Ø
criminalità organizzata (decisione quadro 2008/841/GAI);
Ø
terrorismo (direttiva 2017/541);
Ø
tratta di esseri umani (direttiva 2011/36);
Ø
abuso e sfruttamento sessuale dei minori e pornografia minorile (direttiva 2011/93);
Ø
traffico illecito di sostanze stupefacenti (decisione quadro 2004/757/GAI);
Ø
corruzione nella quale sono coinvolti funzionari delle Comunità europee o degli Stati membri dell'Unione europea (convenzione sulla base dell'articolo K.3, paragrafo 2, lettera c), del trattato sull'Unione europea) nonché corruzione nel settore privato (decisione quadro 2003/568/GAI);
Ø
riciclaggio (direttiva 2018/1673);
Ø
frodi e falsificazioni di mezzi di pagamento diversi dai contanti (direttiva 2019/713), nonché dell'euro e di altre monete (direttiva 2014/62);
Ø
attacchi contro i sistemi di informazione (direttiva 2013/40);
Ø
fabbricazione e traffico illeciti di armi da fuoco, loro parti e componenti e munizioni (protocollo addizionale alla convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità organizzata transnazionale);
Ø
frodi lesivi degli interessi finanziari dell’Unione europea (direttiva 2017/1371);
Ø
tutela dell’ambiente (direttiva 2008/99) e inquinamento provocato dalle navi (direttiva 2005/35);
Ø
abusi di mercato (direttiva 2014/57);
Ø
violazione di misure restrittive dell’Unione europea (direttiva 2024/1226).
Le disposizioni della direttiva sono, inoltre, destinate a trovare applicazione ai reati, punibili con una pena o misura di sicurezza privative della libertà non inferiore a quattro anni, commessi nel quadro di un'organizzazione criminale; nonché, ove espressamente previsto, a qualsiasi reato definito in altri atti giuridici dell'Unione europea.
Limitatamente alle disposizioni concernenti il reperimento e l'identificazione di beni strumentali, proventi o altri beni, si prevede, infine, l’applicabilità a tutti i reati, quali definiti nel diritto nazionale, punibili con una pena o misura di sicurezza privative della libertà di almeno un anno.
L’art. 3 contiene una serie di definizioni tra le quali particolare rilievo rivestono le nozioni di provento del reato e di beni che possono costituire oggetto di congelamento e confisca. A tale riguardo, la direttiva adotta delle formulazioni ampie, intendendo:
§
«provento», ogni vantaggio economico derivato, direttamente o indirettamente, da reati, consistente in qualsiasi bene e comprendente ogni successivo reinvestimento o trasformazione di proventi diretti e qualsiasi vantaggio economicamente valutabile;
§
«bene», un bene di qualsiasi natura, materiale o immateriale, mobile o immobile, comprese le cripto-attività, nonché atti giuridici o strumenti in qualsiasi forma, che attestano un titolo o un diritto su tale bene;
§
«beni strumentali», qualsiasi bene utilizzato o destinato ad essere utilizzato, in qualsiasi modo, in tutto o in parte, per commettere un reato.
Il Capo II (artt. da 4 a 10) prevede misure volte a facilitare la cooperazione di polizia nelle attività di reperimento e identificazione di beni strumentali, proventi e degli altri beni che sono o possono divenire oggetto di un provvedimento di congelamento o confisca. A tal fine, un ruolo centrale viene attribuito agli Uffici nazionali per il recupero dei beni (Asset Recovery Office - cd. A.R.O), la cui istituzione in ciascuno Stato membro era stata già prevista dalla Decisione 2007/845/GAI del Consiglio, del 6 dicembre 2007.
A partire dal 2011 è stato istituito l’Ufficio Nazionale italiano per il Recupero dei Beni (A.R.O. Italia) presso il Servizio per la Cooperazione Internazionale di Polizia, strutturalmente incardinato presso il Ministero dell’Interno – Direzione Centrale della Polizia Criminale (D.C.P.C.), e, più in particolare, presso la terza divisione, che si occupa di reati contro il patrimonio, riciclaggio e reati finanziari in genere. L’attività dell’Ufficio si affianca a quella svolta dall’Agenzia Nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei Beni Sequestrati e Confiscati alla criminalità organizzata (A.N.B.S.C.), istituita con il decreto-legge 4 febbraio 2010, n. 4, convertito in legge 31 marzo 2010, n. 50. Si tratta, nello specifico, di un ente con personalità giuridica di diritto pubblico vigilato dal Ministro dell'interno e chiamato a gestire, in collaborazione con l'Autorità giudiziaria, l'intero processo finalizzato alla destinazione dei beni immobili, mobili ed aziendali sequestrati e poi confiscati in via definitiva, con lo scopo di restituirli alle comunità e ai territori attraverso il loro impiego per scopi sociali o istituzionali.
Oltre a ribadire l’obbligo, a carico di ciascuno Stato membro, di dotarsi di simili strutture operative, la direttiva prevede un potenziamento dei compiti ad esse assegnati. Particolare attenzione è, in questa prospettiva, riservata all’esigenza di incrementare l’attività di scambio di informazioni tra gli Uffici dei singoli Stati membri, nonché con la Procura europea (EPPO).
L’articolo 6 elenca le informazioni - di carattere fiscale, mobiliare e immobiliare, anagrafico, commerciale, previdenziale e bancario - che gli Stati membri devono rendere accessibili agli Uffici per il recupero dei beni, con le modalità e le cautele prescritte dai successivi articoli 7 (Condizioni per l’accesso alle informazioni da parte degli uffici per il recupero dei beni) e 8 (Controllo dell’accesso e delle consultazioni effettuati dagli uffici per il recupero dei beni).
Gli articoli 9 e 10 contengono, inoltre, alcune disposizioni di dettaglio concernenti lo scambio di informazioni tra Uffici per il recupero dei beni, che deve avvenire attraverso un’applicazione di rete, denominata SIENA (Secure Information Exchange Network Application), gestita direttamente da Europol (v. Regolamento 2016/794/UE del Parlamento europeo e del Consiglio), ed idonea a garantire un canale di comunicazione sicuro per inviare richieste di informazioni, comunicare informazioni a seguito di tali richieste o comunicare informazioni di propria iniziativa.
SIENA costituisce una rete protetta per lo scambio di informazioni e di intelligence operative e strategiche che mette in contatto ufficiali di collegamento, analisti ed esperti di Europol, di Stati membri e di terze parti con le quali Europol ha accordi di cooperazione o accordi di lavoro. Nel 2021, tramite SIENA sono stati aperti 123 mila nuovi casi (aumento del 38% rispetto al 2020); sono stati scambiati 1,54 milioni di messaggi operativi (aumento del 22% rispetto al 2020); si sono collegate 2.400 autorità nazionali competenti di 51 paesi e 14 organizzazioni/agenzie internazionali.
Il Capo III (artt. 11-19) si apre con una disposizione che regola il provvedimento di congelamento. Si tratta di una misura, corrispondente al sequestro preventivo dell’ordinamento italiano, tesa ad ottenere un temporaneo congelamento dei beni suscettibili di successiva confisca, prodromico all’adozione di quest’ultima.
In particolare, l’art. 11 stabilisce che i provvedimenti di congelamento devono essere emessi da un'autorità competente e devono essere adeguatamente motivati. Tuttavia, si prevede – in modo innovativo rispetto alla disciplina precedente – la possibilità di intraprendere “azioni immediate” volte a conservare i beni fino all’emissione del provvedimento di congelamento, compresa l’adozione diretta, da parte degli Uffici per il recupero dei beni, di misure di congelamento urgenti e temporanee (di durata non superiore a 7 giorni).
Agli artt. 12-16 sono invece previste varie forme di confisca, inquadrabili in quattro distinti modelli:
§ una confisca “ordinaria” (art. 12), già prevista dall’art. 4, par. 1 della direttiva UE/42/2014, che si configura quale confisca – diretta e per equivalente – di beni strumentali e di proventi di reato disposta a seguito di una condanna definitiva, sul modello della misura di sicurezza di cui all’art. 240 c.p. Tale forma di confisca può essere eseguita anche nei confronti dei terzi (art. 13), a cui l'indagato o l'imputato abbiano trasferito il bene. Il limite dell’opponibilità ai terzi è rappresentato dal fatto che tale tipo di confisca è possibile esclusivamente qualora sia stato accertato che il soggetto sapeva o avrebbe dovuto sapere che il trasferimento o l'acquisizione aveva lo scopo di evitare la confisca. In ogni caso, il provvedimento non deve incidere sui diritti dei terzi in buona fede;
§ una confisca “estesa” (art. 14), già prevista dall’art. 5 della direttiva UE/42/2014, assimilabile alla confisca “allargata” oggi disciplinata dall’art. 240-bis c.p., disposta a seguito della condanna sulla base della presunzione della sospetta provenienza illecita di determinati beni; presunzione a sua volta fondata sul dato della sproporzione del patrimonio del condannato rispetto al reddito lecito;
§ una confisca non basata sulla condanna, già prevista dall’art. 4, par. 2 della direttiva UE/42/2014 e rinnovata dalla direttiva in commento (art. 15), che consente di ablare i beni strumentali e i proventi derivanti da un reato laddove un procedimento penale sia stato avviato, ma non sia stato possibile farlo proseguire in ragione di una serie di circostanze tassativamente individuate e oggetto di ampliamento ad opera della direttiva. Alla malattia e alla fuga dell’indagato o imputato vengono, infatti, affiancati anche il decesso del soggetto e la prescrizione del reato maturata dopo l’avvio del procedimento penale (laddove il termine previsto dalla legislazione nazionale sia inferiore a 15 anni). Tuttavia, l’operatività di tale forma di confisca è limitata ai soli casi in cui, in mancanza delle predette circostanze, il procedimento penale “avrebbe potuto portare ad una condanna” per reati idonei a produrre direttamente o indirettamente, un vantaggio economico considerevole.
§ una confisca di patrimonio ingiustificato collegato a condotte criminose (art. 16). Si tratta di una nuova forma di confisca senza condanna, applicabile in via residuale rispetto alle altre misure ablatorie previste dalla direttiva, laddove ricorrano le seguenti condizioni: i beni siano stati individuati nell’ambito di un’indagine penale; l’organo giurisdizionale nazionale sia convinto che tali beni derivino da condotte criminose commesse nel “quadro” di un’organizzazione criminale; si tratti di condotte in grado di produrre, direttamente o indirettamente, “un vantaggio economico considerevole”; il reato per il quale si procede sia punibile con una pena privativa della libertà non inferiore a 4 anni e rientri nell’ambito di applicazione della direttiva.
L’articolo 17, impegna gli Stati ad adottare tutte le misure necessarie per consentire il reperimento e l'identificazione dei beni da congelare e confiscare, prevedendo anche la possibilità di concludere accordi reciproci di ripartizione dei costi con altri Stati membri per l'esecuzione dei provvedimenti di congelamento e di confisca.
Ai sensi degli articoli 18 e 19, gli Stati membri devono garantire il rispetto dei diritti di risarcimento e restituzione vantati dalle vittime nei confronti della persona destinataria di una misura di confisca prevista dalla direttiva. Viene altresì “incoraggiata” l’adozione di misure volte a consentire la possibilità di utilizzare i beni confiscati per scopi pubblici o sociali, con la previsione della facoltà di destinare “i beni strumentali, i proventi o i beni confiscati in relazione ai reati di cui alla direttiva (UE) 2024/1226 per contribuire ai meccanismi a sostegno di paesi terzi colpiti da situazioni per rispondere alle quali sono state adottate misure restrittive dell'Unione, in particolare in caso di guerra di aggressione”.
Il Capo IV (artt. da 20 a 22) contiene una serie di disposizioni volte a rendere più efficiente la gestione dei beni congelati e confiscati e a ridurre al minimo i relativi costi. In questa prospettiva, gli Stati membri sono chiamati ad istituire o designare un Ufficio per la gestione dei beni congelati o confiscati e a prevedere strumenti di pianificazione, nonché una procedura che consenta di procedere alla vendita dei beni in un momento antecedente alla confisca definitiva.
Il Capo V (artt. 23 e 24) è, invece, dedicato alle garanzie che gli Stati membri dovrebbero fornire ai soggetti protagonisti del procedimento di asset recovery. Particolare attenzione viene riservata all’obbligo di informare tempestivamente l’interessato dei provvedimenti di congelamento, di confisca e di vendita, al fine di garantire l’esercizio da parte di quest’ultimo del diritto di difesa e ad un ricorso effettivo.
La disciplina del congelamento e della confisca viene, infine, completata dalle disposizioni contenute nel Capo VI (articoli dal 25 al 28) e nel Capo VII (articoli dal 29 al 31) che provvedono ad inserire le misure previste dalla direttiva all’interno di un quadro strategico volto ad una complessiva implementazione, a livello interno ed europeo, del processo di asset recovery e alla realizzazione di una efficace rete di cooperazione per il recupero e la confisca dei beni.
In quest’ambito, viene imposto agli Stati membri di adottare – e aggiornare ogni 5 anni – una strategia nazionale in materia di recupero dei beni, di cui vengono indicati i contenuti minimi e obbligatori, oltreché di mettere a disposizione degli Uffici per il recupero e per la gestione dei beni le risorse (di personale, finanziarie, tecniche e tecnologiche) necessarie. Si prevede altresì l'istituzione di un registro centralizzato, contenente le informazioni relative ai beni congelati, confiscati e oggetto di gestione e aperto a tutte le autorità coinvolte nelle attività regolate dalla direttiva.
La direttiva si chiude con il Capo VIII (artt. da 32 a 38) ove sono contenute le disposizioni finali.
In particolare, tale Capo prevede l’obbligo di notifica alla Commissione delle autorità designate e dei punti di contatto competenti per l’attuazione delle disposizioni recate dalla direttiva (art. 32). Viene poi fissato il termine di recepimento della direttiva al 23 novembre 2026 (art. 33), prevedendo altresì che la Commissione presenti al Parlamento europeo e al Consiglio una relazione sullo stato di attuazione della direttiva medesima (art. 34). Gli articoli 35 e 36, da un lato, fanno salvi gli effetti della direttiva (UE) 2019/1153, che consente alle autorità designate dagli Stati membri tra le loro autorità competenti per la prevenzione, l'accertamento, l'indagine o il perseguimento di reati, di accedere e consultare le informazioni relative ai conti bancari e, dall’altro, prevedono espressamente l’integrale sostituzione dell'azione comune 98/699/GAI, delle decisioni quadro 2001/500/GAI e 2005/212/GAI, della decisione 2007/845/GAI e della direttiva 2014/42/UE, ad opera della direttiva in esame.
Infine, gli articoli 37 e 38 prevedono, rispettivamente, l’entrata in vigore e i destinatari della direttiva.
Direttiva delegata (UE) 2024/1262
(della Commissione, del 13 marzo 2024, che modifica la direttiva 2010/63/UE del Parlamento europeo e del Consiglio per quanto riguarda i requisiti per gli stabilimenti e per la cura e la sistemazione degli animali utilizzati a fini scientifici e per quanto riguarda i metodi di soppressione degli animali)
La direttiva delegata (UE) 2024/1262, adottata dalla Commissione europea il 13 marzo 2024, modifica la direttiva 2010/63/UE sulla protezione degli animali utilizzati a fini scientifici, al fine di adeguarne alcune norme alle attuali conoscenze scientifiche. In particolare, le novelle concernono: l’allegato III, che è relativo ai requisiti per gli stabilimenti e per la cura e la sistemazione degli animali in oggetto e nel quale, tra le altre modifiche, si inseriscono i requisiti relativi a talune specie sinora ivi non contemplate specificamente (pesci zebra e alcuni passeriformi) nonché i requisiti relativi alla classe dei cefalopodi (sinora non contemplata dall’allegato); l’allegato IV, il quale riguarda, per molte specie animali, nell’ambito della disciplina in oggetto, i divieti e le limitazioni nei metodi di soppressione e nel quale le novelle inseriscono, con esclusivo riferimento ai pesci zebra, l’ipotermia quale pratica consentita, introducono il divieto di utilizzo di gas inerti per i roditori, definiscono le pratiche di soppressione vietate per i cefalopodi, ammettendo esclusivamente il metodo dell’overdose di anestetico, e pongono il principio che i metodi di conferma della morte (individuati dal medesimo allegato) devono essere appropriati alla specie da sopprimere.
Il termine per il recepimento della presente direttiva (UE) 2024/1262 è posto al 4 dicembre 2025, mentre il termine per l’applicazione della stessa decorre dal 4 dicembre 2026.
La direttiva delegata (UE) 2024/1262, adottata dalla Commissione europea il 13 marzo 2024, consta di quattro articoli e di un allegato.
L’articolo 1 e il relativo allegato recano modifiche agli allegati III e IV della citata direttiva 2010/63/UE.
La direttiva 2010/63/UE reca norme relative alla protezione degli animali utilizzati a fini scientifici. Ai sensi dell’articolo 50, la Commissione europea può adottare atti delegati volti a modificare gli allegati della direttiva al fine di adeguarli al progresso tecnico o scientifico, tenendo conto anche dell’esperienza maturata nell’attuazione della stessa direttiva.
Come accennato, l’allegato III della citata direttiva 2010/63/UE definisce i requisiti per gli stabilimenti e per la cura e la sistemazione degli animali destinati all’utilizzo a fini scientifici (o educativi).
Si rileva, in primo luogo, che la direttiva delegata in esame inserisce in tale allegato:
- i requisiti relativi a talune specie sinora ivi non contemplate specificamente (tali requisiti vengono posti in termini specifici e ad integrazione delle disposizioni dell’allegato riguardanti la medesima specie in quanto rientrante in categoria più ampia); tali specie sono le seguenti: storni (tabella 8.8), passeri domestici (tabella 8.9) e cinciallegre e cinciarelle (tabella 8.10); pesci zebra (paragrafo 11.6);
- le disposizioni riguardanti la classe dei cefalopodi (paragrafo 12).
Riguardo a tali inserimenti, i considerando del preambolo della direttiva delegata rilevano che, dopo l’adozione della direttiva 2010/63/UE, sono state acquisite nuove conoscenze scientifiche sui requisiti in materia di benessere delle suddette specie (se tenute in cattività).
La direttiva delegata inserisce nell’allegato III anche altre modifiche e integrazioni. In particolare: nel paragrafo 2 della sezione A, si introduce la disposizione che, per gli animali acquatici, le apparecchiature che causano rumore o vibrazioni, come generatori o sistemi di filtraggio, non devono nuocere al benessere degli animali; nel medesimo paragrafo 2, si inserisce l’obbligo di predisposizione di piani di emergenza – efficaci al fine di garantire la salute e il benessere degli animali – relativi all’ipotesi che vengano a mancare elementi essenziali dell'allevamento; nel paragrafo 8 della sezione B, relativo agli uccelli, viene inserito un secondo comma, nel quale si specifica che, per gli alloggiamenti di uccelli prelevati allo stato selvatico, il requisito sullo spazio minimo disponibile, individuato ai sensi del medesimo allegato, si applica qualora gli uccelli siano tenuti per periodi superiori a 24 ore, mentre negli altri casi si devono adottare misure per ridurre al minimo i rischi per il benessere degli animali; nel paragrafo 11 della sezione B, oltre al suddetto inserimento di disposizioni specifiche relative ai pesci zebra, si modificano quelle poste con riferimento in generale ai pesci e relative a: fornitura e qualità dell'acqua; ossigeno, composti azotati, biossido di carbonio, pH e salinità; temperatura e illuminazione; alimentazione e manipolazione.
Come accennato, l’allegato IV della direttiva 2010/63/UE [68] definisce, per molte specie animali, nell’ambito della disciplina in oggetto, i divieti e le limitazioni nei metodi di soppressione; i metodi consentiti sono distinti a seconda delle specie e devono essere rispettati salvo deroghe ed eccezioni [69] . L’individuazione dei metodi consentiti è accompagnata dai relativi requisiti e criteri per l’applicazione.
Novellando tale allegato, la direttiva delegata in esame, come detto, inserisce, con esclusivo riferimento ai pesci zebra, l’ipotermia quale pratica consentita [70] , introduce il divieto di utilizzo di gas inerti per i roditori e definisce le pratiche di soppressione vietate per i cefalopodi, ammettendo esclusivamente il metodo dell’overdose di anestetico.
Un’ulteriore novella inserita dalla direttiva delegata in esame nell’allegato IV specifica che i metodi di conferma della morte (individuati dal medesimo allegato) devono essere appropriati alla specie da sopprimere.
In merito alle novelle operate nell’allegato IV, il preambolo della medesima direttiva delegata rileva che, come risulta dalle deroghe concesse dalle autorità nazionali competenti
[71]
, diversi Stati membri considerano l'ipotermia, sulla base delle attuali prove scientifiche, un metodo adeguato di soppressione dei pesci zebra e che l’introduzione di tale metodo nella disciplina evita (per i singoli Stati) “inutili oneri amministrativi”, inerenti alle procedure di deroga. Il medesimo preambolo rileva che, dopo l’adozione della direttiva 2010/63/UE, “sono emerse nuove prove scientifiche sulla non opportunità di utilizzare gas inerti (argon e azoto) per la soppressione dei roditori”.
L’articolo 2 della direttiva delegata in esame stabilisce gli obblighi per gli Stati membri di recepire le disposizioni della medesima entro il 4 dicembre 2025 e di applicarle a decorrere dal 4 dicembre 2026. I successivi articoli 3 e 4 recano le norme finali.
[1] Per maggiori dettagli sui criteri generali di delega (art. 32, legge n. 234/2012), si veda la scheda relativa all'articolo 1.
[2] Per una lista delle procedure di infrazione pendenti nei confronti dell’Italia si rinvia alla banca dati Eurinfra, pubblicata e costantemente aggiornata sul sito Internet del Dipartimento per gli affari europei della presidenza del Consiglio dei ministri. Si segnala inoltre che è attualmente all’esame della Camera dei deputati il disegno di legge di conversione del decreto-legge 16 settembre 2024, n. 131, recante disposizioni urgenti per l'attuazione di obblighi derivanti da atti dell'Unione europea e da procedure di infrazione e pre-infrazione pendenti nei confronti dello Stato italiano (A.C. 2038).
[3] Nella vigente formulazione la norma regolamentare mantiene il riferimento alla legge comunitaria e alla relazione annuale, precedentemente previsti dalla legge n. 11 del 2005. Per effetto dello sdoppiamento dello strumento legislativo recato dalla legge n. 234 del 2012, tale disciplina si intende applicabile all'esame della legge europea e della legge di delegazione europea. La disciplina speciale prevista all'art. 126-ter, inoltre, si intende riferita solamente all'esame della Relazione consuntiva. A tal riguardo, la Giunta per il Regolamento della Camera con due pareri adottati il 6 ottobre 2009 ed il 14 luglio 2010, ha ritenuto, in via interpretativa, che: la relazione programmatica, che il Governo presenta entro il 31 dicembre di ciascun anno, è oggetto di esame congiunto con il programma legislativo delle Istituzioni europee, secondo la procedura già delineata dalla Giunta medesima il 9 febbraio 2000; la relazione a consuntivo, che il Governo presenta assieme al disegno di legge comunitaria, è invece oggetto di esame congiunto con il disegno di legge comunitaria, secondo il disposto regolamentare vigente.
[4] Il termine è stato esteso da due a quattro mesi dall’articolo 29 della legge n. 115 del 2015 (legge europea 2014).
[5] L'articolo 14 della legge n. 400/1988 ("Disciplina dell'attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri") contiene la disciplina di riferimento per i decreti legislativi. Questi sono emanati dal Presidente della Repubblica (comma 1) entro il termine fissato dalla legge di delegazione (comma 2). Se la delega legislativa si riferisce ad una pluralità di oggetti distinti suscettibili di separata disciplina, il Governo può esercitarla mediante più atti successivi per uno o più degli oggetti predetti; il Governo informa inoltre periodicamente le Camere sui criteri che segue nell'organizzazione dell'esercizio della delega (comma 3). Si evidenzia la norma di cui al comma 4, secondo il quale "qualora il termine previsto per l'esercizio della delega ecceda i due anni, il Governo è tenuto a richiedere il parere delle Camere sugli schemi dei decreti delegati. Il parere è espresso dalle Commissioni permanenti delle due Camere competenti per materia entro sessanta giorni, indicando specificamente le eventuali disposizioni non ritenute corrispondenti alle direttive della legge di delegazione. Il Governo, nei trenta giorni successivi, esaminato il parere, ritrasmette, con le sue osservazioni e con eventuali modificazioni, i testi alle Commissioni per il parere definitivo che deve essere espresso entro trenta giorni".
[6] L’articolo 2 della direttiva 2012/19/UE (che non è oggetto di modifica) individua il campo di applicazione della direttiva, stabilendo che la stessa si applica alle apparecchiature elettriche ed elettroniche (AEE) nel modo seguente:
a) dal 13 agosto 2012 al 14 agosto 2018 (periodo transitorio), alle condizioni indicate nel medesimo articolo, alle AEE che rientrano nelle categorie dell'allegato I. L'allegato II contiene un elenco indicativo di AEE che rientrano nelle categorie dell'allegato I.
Si fa notare che, ai sensi del punto 4 dell’allegato I, fra le AEE in questione rientrano anche i pannelli fotovoltaici.
b) dal 15 agosto 2018, alle condizioni indicate nel medesimo articolo, a tutte le AEE. Tutte le AEE sono classificate nelle categorie dell'allegato III. L'allegato IV contiene un elenco non esaustivo di AEE che rientrano nelle categorie dell'allegato III (ambito di applicazione aperto).
[7] L’allegato I del d.lgs. 49/2014 riproduce fedelmente i corrispondenti allegati della direttiva 2012/19/UE. In particolare il punto 4 dell’allegato I include nell’ambito di applicazione “Apparecchiature di consumo e pannelli fotovoltaici”.
[9] Tale ipotesi era precedentemente prevista solamente per le norme armonizzate, ovvero una categoria specifica delle norme europee elaborata da un Organismo di Normazione Europeo (OEN) su richiesta della Commissione europea.
[10] Il D.lgs. n. 157/2022 reca norme di adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) 2019/1020, nonché di semplificazione e riordino del relativo sistema di vigilanza del mercato. Come specificato dalla relazione illustrativa del Governo, si vuole assicurare e confermare la competenza esclusiva delle autorità di vigilanza del mercato ai sensi del decreto summenzionato, anche con riferimento ai prodotti non soggetti a marcatura CE.
[11]
La politica di qualità dell’Unione europea protegge le denominazioni di prodotti agroalimentari specifici per promuoverne le caratteristiche uniche legate all’origine geografica e alle competenze tradizionali. Il sistema delle indicazioni geografiche dell’UE protegge i nomi di prodotti provenienti da regioni specifiche e che possiedono qualità specifiche o godono di una reputazione legata al territorio di produzione. Le denominazioni dei prodotti possono quindi beneficiare di una "indicazione geografica" (IG) se hanno un legame specifico con il luogo di produzione. Il riconoscimento "IG" è finalizzato a permettere ai consumatori di identificare i prodotti che derivano da contesti di particolare qualità e a consentire ai produttori di essere maggiormente riconoscibili. I prodotti che sono in fase di esame o che hanno ottenuto il riconoscimento "IG" sono elencati nei registri dei prodotti di qualità. I registri comprendono anche informazioni sui disciplinari di produzione e le indicazioni geografiche per ciascun prodotto. Riconosciute come proprietà intellettuale, le indicazioni geografiche svolgono un ruolo sempre più importante nei negoziati commerciali tra l’UE e altri Paesi. Altri regimi di qualità dell’UE mettono in evidenza il processo di produzione tradizionale (Specialità tradizionale garantita - STG) o prodotti fabbricati in aree naturali difficili come la montagna o le isole.
Le indicazioni geografiche stabiliscono diritti di proprietà intellettuale per prodotti specifici, le cui qualità sono specificamente legate alla zona di produzione. Le indicazioni geografiche comprendono:
§
DOP - Denominazione di origine protetta (prodotti alimentari e vini);
§
IGP - Indicazione geografica protetta (prodotti alimentari e vini);
§
IG - Indicazione geografica (bevande spiritose e vini aromatizzati).
Le differenze fra DOP e IGP sono dovute principalmente alla quantità di materie prime del prodotto che devono provenire dalla zona o alla misura in cui il processo di produzione deve aver luogo nella regione specifica. L’IG è specifica per le bevande spiritose e i vini aromatizzati. Nell’ambito del sistema dell’UE in materia di diritti di proprietà intellettuale, i nomi di prodotti registrati come IG sono giuridicamente protetti contro le imitazioni e gli abusi all’interno dell’UE e nei Paesi terzi in cui è stato firmato un accordo di protezione specifico. Per tutti i regimi di qualità, le autorità nazionali competenti di ciascuno Stato membro adottano le misure necessarie per proteggere le denominazioni registrate nel loro territorio. Inoltre sono tenute a prevenire e bloccare la produzione o la commercializzazione illegale di prodotti che utilizzano tale denominazione.
[12]
REGOLAMENTO DELEGATO (UE) 2022/1644 DELLA COMMISSIONE del 7 luglio 2022 che integra il regolamento (UE) 2017/625 del Parlamento europeo e del Consiglio con prescrizioni specifiche per l’esecuzione dei controlli ufficiali sull’uso di sostanze farmacologicamente attive autorizzate come medicinali veterinari o come additivi per mangimi, e dei loro residui, e sull’uso di sostanze farmacologicamente attive vietate o non autorizzate e dei loro residui.
[13]
REGOLAMENTO DI ESECUZIONE (UE) 2022/1646 DELLA COMMISSIONE del 23 settembre 2022 relativo alle modalità pratiche uniformi di esecuzione dei controlli ufficiali per quanto riguarda l’uso di sostanze farmacologicamente attive autorizzate come medicinali veterinari o come additivi per mangimi, e dei loro residui, e l’uso di sostanze farmacologicamente attive vietate o non autorizzate e dei loro residui, al contenuto specifico dei piani di controllo nazionali pluriennali e alle modalità specifiche per l’elaborazione degli stessi.
[14]
REGOLAMENTO (UE) 2017/625 DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO del 15 marzo 2017 relativo ai controlli ufficiali e alle altre attività ufficiali effettuati per garantire l’applicazione della legislazione sugli alimenti e sui mangimi, delle norme sulla salute e sul benessere degli animali, sulla sanità delle piante nonché sui prodotti fitosanitari, recante modifica dei regolamenti (CE) n. 999/ 2001, (CE) n. 396/2005, (CE) n. 1069/2009, (CE) n. 1107/2009, (UE) n. 1151/2012, (UE) n. 652/2014, (UE) 2016/429 e (UE) 2016/2031 del Parlamento europeo e del Consiglio, dei regolamenti (CE) n. 1/ 2005 e (CE) n. 1099/2009 del Consiglio e delle direttive 98/58/CE, 1999/74/CE, 2007/43/CE, 2008/119/ CE e 2008/120/CE del Consiglio, e che abroga i regolamenti (CE) n. 854/2004 e (CE) n. 882/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio, le direttive 89/608/CEE, 89/662/CEE, 90/425/CEE, 91/496/CEE, 96/23/CE, 96/93/CE e 97/78/CE del Consiglio e la decisione 92/438/CEE del Consiglio (regolamento sui controlli ufficiali).
. [15] Tali criteri generali sono dettati, si ricorda, dall’articolo 32 della legge 24 dicembre 2012, n. 234 che sancisce il rafforzamento della partecipazione dell’Italia al processo normativo europeo, al fine di migliorare la capacità di rispettare le norme dell’Unione adottate nel nostro Paese (tra cui massima semplificazione dei procedimenti, introduzione e mantenimento di livelli di regolazione non superiori a quelli minimi richiesti dalle direttive stesse, rispetto dei principi di sussidiarietà, differenziazione, adeguatezza e leale collaborazione con le competenze degli enti territoriali ecc.).
[16] La direttiva RED III, qui in esame, fa parte del pacchetto legislativo “Pronti per il 55% - Fit for 55”, che adatta la legislazione UE esistente in materia di clima ed energia per raggiungere il nuovo obiettivo dell’UE di una riduzione minima del 55% delle emissioni di gas serra entro il 2030. Gli obiettivi unionali circa il consumo di energia da FER sul consumo finale lordo di energia, inizialmente fissati al 40% dal Fit for 55, sono stati ulteriormente innalzati nell’ambito del Piano REPowerEU, volto a ridurre la dipendenza dell’Europa dalle importazioni di combustibili fossili dalla Russia in seguito alla guerra contro l’Ucraina. Cfr. considerando n. 5) della direttiva RED III.
[17] Il considerando n. 7) evidenzia che tale obiettivo indicativo è ad integrazione degli obiettivi nazionali e di finanziamento delle FER, ed è finalizzato a garantire la costante leadership dell’Unione nella ricerca e nello sviluppo di energia rinnovabile da tecnologie innovative.
[18] Il paragrafo 3 dell’articolo 3 della direttiva RED II – prima dell’intervento qui in commento – relativamente all’energia prodotta da rifiuti, imponeva agli Stati membri di provvedere affinché le proprie politiche nazionali e i regimi di sostegno alle FER tenessero in debita considerazione la gerarchia dei rifiuti (cioè i principi generali dell’UE nella gestione dei rifiuti) di cui all’articolo 4 della Direttiva (CE)2008/98 e vietava agli stessi Stati il sostegno per l’energia rinnovabile prodotta mediante l’incenerimento di rifiuti in caso di mancato rispetto degli obblighi in materia di raccolta differenziata stabiliti in tale direttiva.
[19] L’obiettivo è stabilito nel documento di lavoro dei servizi della Commissione del 18 maggio 2022, che accompagna il Piano REPowerEU, dal titolo Attuare il piano d’azione REPowerEU: fabbisogno di investimenti, acceleratore dell’idrogeno e obiettivi per il biometano, sostenendo in tal modo la sicurezza dell’approvvigionamento e le ambizioni climatiche dell’Unione.
[20] Il Fondo per la transizione giusta (JTF) è uno degli strumenti della politica di coesione 2021-2027 e ha lo scopo di fornire sostegno ai territori che devono far fronte a gravi sfide socio-economiche derivanti dalla transizione verso la neutralità climatica, obiettivo assunto nell’ambito del Green Deal Europeo. Il JTF è stato istituito con regolamento (UE) 2021/1056, come da ultimo modificato dall’articolo 11 del regolamento (UE) 2024/795, c.d. regolamento STEP .Ai sensi dell’articolo 11 del regolamento, gli Stati membri redigono, insieme alle autorità locali e regionali dei territori interessati, uno o più piani territoriali per una transizione giusta. Nell’allegato D Della Relazione Per Paese pubblicato nell’ambito del Semestre europeo 2020, la Commissione UE ha individuato, per l’Italia, le aree della Provincia di Taranto e del Sulcis Iglesiente come territori più duramente colpiti dalla transizione. Nel Programma nazionale JTF dell’Italia – la cui Autorità di gestione è in capo all’Agenzia per la coesione territoriale – gli investimenti sono concentrati, quindi, in queste due aree del Paese. Per ogni area è stato definito un relativo piano territoriale, coerente con il Piano integrato per l’energia e il clima (PNIEC) (attualmente in corso di aggiornamento).
[21] Procedure autorizzative a costruire, a revisionare la potenza e a esercire impianti di produzione di energia rinnovabile, compresi quelli che combinano diverse fonti rinnovabili, le pompe di calore e gli impianti di stoccaggio dell’energia co-ubicati, tra cui gli impianti elettrici e termici, nonché i mezzi necessari per la connessione di tali impianti, pompe di calore e impianti di stoccaggio alla rete, e l’integrazione dell’energia rinnovabile nelle reti di riscaldamento e raffrescamento, comprese le autorizzazioni per la connessione alla rete e, ove necessario, le valutazioni ambientali
[22] Revisione di potenza.
[23] Per garantire il rispetto degli obblighi della direttiva Habitat e della direttiva sulla conservazione degli uccelli selvatici, per evitare il deterioramento e conseguire un buono stato ecologico o un buon potenziale ecologico. La valutazione specifica ambientale invece si applica ai progetti che possono avere effetti significativi sull’ambiente a livello transnazionale.
[24] Si richiama, a tal fine, l’art. 7 della direttiva 2011/92/UE.
[25] A norma della direttiva 2011/92/UE e, se del caso, a norma della direttiva 92/43/CEE, c.d. direttiva Habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche.
[26] A norma della direttiva 2011/92/UE e, se del caso, a norma della direttiva 92/43/CEE, c.d. direttiva Habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche.
[27] Revisione di potenza.
[28] Prodotta in loco o nelle vicinanze nonché di energia rinnovabile proveniente dalla rete.
[29] Per l’Italia, il PNIEC è attualmente in corso di aggiornamento. L’articolo 14 del regolamento sulla governance dell’energia, regolamento (UE) 2018/1999, prevede, al par. 2, che il procedimento di aggiornamento si concluda entro giugno 2024. Si rinvia per ciò che attiene alle politiche per lo sviluppo dell’energia elettrica da fonte rinnovabile, a pag. 171 e ss. della proposta di aggiornamento del PNIEC (disponibile qui), inviata alla Commissione a luglio 2023. Sugli accordi a lungo termine di compravendita di energia elettrica da FER, si rinvia anche a pag. 202 e ss.
Si segnala che la Commissione UE – a dicembre 2023 – ha adottato una raccomandazione C (2023) 9607 final sulla proposta italiana volta ad indicare al Governo una serie di modifiche ed integrazioni al Documento già presentato (i rilievi della Commissione sono disponibili qui). Si rinvia anche al documento di lavoro dei Servizi della Commissione europea, Valutazione della bozza aggiornata del Piano nazionale per l’energia e il clima dell’Italia (SWD(2023) 917)).
[30] Ex art. 14, par. 2 regolamento (UE) 2022/869, recante gli orientamenti per le infrastrutture energetiche transeuropee. Nella comunicazione del 19 novembre 2020, dal titolo «Strategia dell’UE per sfruttare il potenziale delle energie rinnovabili offshore per un futuro climaticamente neutro», la Commissione europea ha introdotto un obiettivo ambizioso di 300 GW di energia eolica offshore e di 40 GW di energia oceanica in tutti i bacini marittimi dell’Unione entro il 2050. Il regolamento (UE) 2022/869 del Parlamento europeo e del Consiglio impone agli Stati membri di concludere accordi non vincolanti per collaborare su obiettivi per la produzione di energia rinnovabile offshore da impiegare in ciascun bacino marittimo entro il 2050, con fasi intermedie nel 2030 e nel 2040. La pubblicazione di informazioni sui volumi di energia rinnovabile offshore che gli Stati membri intendono realizzare tramite gare d’appalto, prevista dalla Direttiva RED III, accresce la trasparenza e la prevedibilità per gli investitori e sostiene il conseguimento degli obiettivi di produzione di energia rinnovabile offshore.
[31] Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio, del 30 novembre 2009.
[32] Direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004.
[33] Si segnala anche che, ai sensi del nuovo articolo 18-quater della direttiva 2009/148/CE (introdotto dall’articolo 1, primo comma, punto 15), del testo in esame), la Commissione europea è incaricata di valutare se vi sia la necessità di aggiornare l'elenco dei silicati fibrosi.
[34] Due novelle di coordinamento rispetto a tale intervento restrittivo sono poste dal punto 14) e dal punto 16), lettera a), del suddetto articolo 1, primo comma.
[35] Il considerando n. 18) della premessa della nuova direttiva specifica che la misurazione delle fibre di amianto nell’aria mediante la microscopia elettronica “rappresenterebbe un miglioramento significativo ai fini del monitoraggio (…) in quanto consentirà la misurazione delle fibre più sottili”.
[36] Riguardo alla valutazione della concentrazione di fibre di amianto, cfr. anche infra.
[37] Il considerando n. 14) della premessa della nuova direttiva osserva che l’opportunità di fissare valori limite diversi, a seconda della dimensione delle fibre presa in considerazione, deriva dalla circostanza che le tecnologie attualmente disponibili non consentono la misurazione a concentrazioni molto basse qualora vengano conteggiate le fibre sottili. È pertanto necessario scegliere se conteggiare le fibre sottili o se applicare un basso valore limite di concentrazione.
Il precedente considerando n. 7) osserva che l'amianto è una sostanza cancerogena “priva di soglia”, per la quale non è scientificamente possibile individuare livelli sotto ai quali l'esposizione non produrrebbe effetti nocivi. Si può invece ricavare un rapporto esposizione/rischio che consenta di stabilire un limite di esposizione professionale.
[38] Si segnala altresì che la Commissione europea è incaricata di valutare entro il 31 dicembre 2028 la fattibilità di un ulteriore abbassamento dei valori limite (novella di cui all’articolo 1, primo comma, punto 18), che inserisce l'articolo 22-bis nella direttiva 2009/148/CE).
[39] Riguardo agli estremi di tali disposizioni, cfr. infra.
[40] Il contenuto della proposta è stato illustrato nella documentazione, predisposta dai Servizi di documentazione del Senato della Repubblica, “Elementi di valutazione sui progetti di atti legislativi dell'UE”, n. 5, dicembre 2022.
[41]
Attuazione della direttiva 2005/36/CE relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali, nonché' della direttiva 2006/100/CE che adegua determinate direttive sulla libera circolazione delle persone a seguito dell'adesione di Bulgaria e Romania
[42] Interpretazione estensiva del riconoscimento per medici chirurgo con formazione di base, medici chirurghi specialisti, infermieri responsabili dell'assistenza generale, dentisti, dentisti specialisti, veterinari, ostetriche, farmacisti e architetti.
[43] Il sito Internet del Consiglio dell’Unione riferisce del resto che la presentazione quale strumento giuridico autonomo della proposta sulle catene partecipative è stata intenzionale, così da consentire ai co-legislatori di accelerarne l'adozione rispetto al resto delle proposte modificative contenute nel pacchetto CMDI.
[44] Per “persona, entità od organismo designati” si intende una persona fisica o giuridica, un’entità o un organismo oggetto di misure restrittive (art. 1, n. 2).
[45] Analogamente a quanto previsto per le persone fisiche, la direttiva, in relazione alle fattispecie di maggiore gravità, stabilisce la soglia al di sotto della quale gli Stati membri non possono collocare il limite massimo della sanzione.
[46] Si rileva come l’art. 8 (Circostanze aggravanti) usi l’espressione “conformemente al diritto nazionale”, mentre l’art. 9 (Circostanze attenuanti) usa l’espressione “conformemente alle disposizioni pertinenti del diritto nazionale”.
[47] Per la definizione di organizzazione criminale si fa riferimento alla decisione quadro 2008/841/GAI relativa alla lotta contro la criminalità organizzata.
[48] In deroga a tale previsione può essere previsto un termine inferiore a 5 anni, a condizione che possa essere interrotto o sospeso.
[49] L’ambito dei cittadini (o lavoratori) di Paesi terzi ricomprende, ai fini in oggetto, anche gli apolidi.
[50] Come riferito nella relazione introduttiva alla proposta COM(2022) 655, da cui origina la nuova direttiva in oggetto, nel corso dell’applicazione della direttiva 2011/98/UE la Commissione europea ha ricevuto varie denunce in merito alla sua attuazione da parte degli Stati membri (relative in particolare al mancato rispetto dei termini, posti dalla direttiva, per il rilascio del permesso unico, oppure a problemi concernenti la sicurezza sociale). Ad alcune denunce hanno fatto seguito procedure di infrazione. La suddetta relazione introduttiva ricorda che la valutazione della direttiva 2011/98/UE nel quadro del vaglio di adeguatezza sulla migrazione legale, adottato nel 2019, e la relazione sull'attuazione (della medesima direttiva), adottata anch'essa nel 2019, hanno individuato una serie di lacune, incoerenze e problemi operativi inerenti alla direttiva o all'applicazione della stessa da parte degli Stati membri.
[51] In termini analoghi, la suddetta direttiva 2011/98/UE “fa salva la competenza degli Stati membri per quanto riguarda l’ingresso di cittadini di paesi terzi nei rispettivi mercati del lavoro”. Si ricorda che il citato articolo 79, paragrafo 5, del TFUE sancisce “il diritto degli Stati membri di determinare il volume di ingresso nel loro territorio dei cittadini di Paesi terzi, provenienti da Paesi terzi, allo scopo di cercarvi un lavoro dipendente o autonomo”.
[52] Come detto, tale locuzione, ai vari fini in oggetto, ricomprende anche gli apolidi.
[53] Riguardo a tali limitazioni, cfr. infra.
[54] Come detto, tale locuzione, ai vari fini in oggetto, ricomprende anche gli apolidi.
[55] Il considerando n. 35 della nuova direttiva in esame ricorda che la Corte di giustizia dell’Unione europea ha ritenuto, nella sentenza del 25 novembre 2020 – causa C?302/19, Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS)/WS –, che uno Stato membro non possa rifiutare o ridurre il beneficio di una prestazione di sicurezza sociale al titolare di un permesso unico per il fatto che i suoi familiari o taluni di essi risiedano non nel suo territorio, bensì in un Paese terzo, quando invece riconosca tale beneficio ai propri cittadini indipendentemente dal luogo in cui i loro familiari risiedano. In tale ottica, il considerando n. 34 non ripropone gli ultimi due periodi contenuti nel considerando n. 24 della direttiva 2011/98/UE; secondo i periodi non riproposti, la direttiva non dovrebbe “conferire diritti in relazione a situazioni che esulano dall’ambito di applicazione del diritto dell’Unione, ad esempio in relazione a familiari soggiornanti in un Paese terzo”, ma “dovrebbe conferire diritti soltanto in relazione ai familiari che raggiungono lavoratori di un Paese terzo per soggiornare in uno Stato membro sulla base del ricongiungimento familiare ovvero ai familiari che già soggiornano regolarmente in tale Stato membro”.
[56] Si tratta delle disposizioni contenute nell’articolo 2, punto 2), nell’articolo 3, paragrafi 2 e 5, nell’articolo 4, paragrafi 1, 2 e 4, nell’articolo 5, paragrafi 2, 3 e 4, nell’articolo 6, paragrafo 1, nell’articolo 7, paragrafo 1, nell’articolo 8, paragrafi 2, 3 e 4, negli articoli 9 e 10, nell’articolo 11, paragrafo 1, lettera d), nell’articolo 11, paragrafi da 2 a 6, nell’articolo 12, paragrafo 1, lettere a), b), g) e h), nell’articolo 12, paragrafo 2, lettera d), punto ii), negli articoli 13, 14, 16 e 17.
[57] L’Allegato II della nuova direttiva reca una tavola di concordanza tra le disposizioni di essa e quelle della direttiva 2011/98/UE.
[58]
Le proposte di riforma della revisione della governance economica sono state illustrate in dettaglio nel Dossier, curato congiuntamente dai servizi di documentazione del Senato e della Camera, “Le proposte legislative della Commissione europea per la riforma della governance economica dell'UE”, Dossier n. 40/DE, luglio 2023. Del successivo andamento dei negoziati in seno alle istituzioni europee si è dato conto, tra l’altro, nella documentazione per l’incontro interparlamentare “Settimana parlamentare europea 2024 - Bruxelles, 12-13 febbraio 2024”, Dossier n. 68/DE, febbraio 2024.
[59] Il Piano italiano (documento CCXXXII, n. 1) è stato trasmesso alle Camere il 28 settembre 2024. Ha un orizzonte quinquennale e copre il periodo 2025-2029. L’aggiustamento della finanza pubblica è distribuito su sette anni a fronte di un impegno a proseguire il percorso di riforme e investimenti iniziato con il Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR). Le Commissioni bilancio della Camera (V) e del Senato (5a) hanno tenuto congiuntamente audizioni. La 5a Commissione permanente del Senato nella seduta n. 291 del 9 ottobre 2024 ha conferito mandato al relatore a riferire favorevolmente all'Assemblea, ove nella stessa giornata è stata approvata la risoluzione n. 6-00110 (Liris ed altri). Presso la Camera dei deputati la V Commissione permanente ha concluso l’esame del documento l’8 ottobre 2024 deliberando di conferire alla relatrice il mandato a riferire favorevolmente all'Assemblea, che il giorno successivo ha approvato la risoluzione n. 6-00132 (Lucaselli ed altri).
[60] I servizi di documentazione del Senato della Repubblica hanno curato un testo a fronte che giustappone, ai fini di un più agile confronto, la proposta originaria di direttiva pubblicata dalla Commissione europea e il testo, approvato in sede di trilogo, dai legislatori dell’Unione: Dossier n. 80/DE, marzo 2024. Testi a fronte analoghi sono stati pubblicati per le altre proposte legislative facenti parte del pacchetto sulla governance economica: Dossier n. Dossier n. 77/DE, n. 78/DE e n. 79/DE, marzo 2024.
[61] A norma degli articoli 1 e 2 del protocollo n. 22 sulla posizione della Danimarca, allegato al TUE e al TFUE, la Danimarca non partecipa all'adozione della presente direttiva, non è da essa vincolata né è soggetta alla sua applicazione.
[62] Azione comune 98/699/GAI, del 3 dicembre 1998, sul riciclaggio di denaro e sull'individuazione, il rintracciamento, il congelamento o sequestro e la confisca degli strumenti e dei proventi di reato adottata dal Consiglio in base all'articolo K.3 del trattato sull'Unione europea.
[63] Decisione quadro 2001/500/GAI del Consiglio, del 26 giugno 2001, concernente il riciclaggio di denaro, l'individuazione, il rintracciamento, il congelamento o sequestro e la confisca degli strumenti e dei proventi di reato.
[64] Decisione quadro 2005/212/GAI del Consiglio, del 24 febbraio 2005, relativa alla confisca di beni, strumenti e proventi di reato.
[65] Decisione 2007/845/GAI del Consiglio, del 6 dicembre 2007, concernente la cooperazione tra gli uffici degli Stati membri per il recupero dei beni nel settore del reperimento e dell’identificazione dei proventi di reato o altri beni connessi.
[66] Direttiva 2014/42/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 3 aprile 2014, relativa al congelamento e alla confisca dei beni strumentali e dei proventi da reato nell'Unione europea.
[67] Si segnala, tuttavia, che rimarrà in vigore il regolamento 2018/1805/UE, caratterizzato dall’obiettivo più ampio di imporre il mutuo riconoscimento – ben oltre le ipotesi di sequestro e confisca oggetto di armonizzazione – in relazione a qualunque provvedimento di ablazione patrimoniale, comunque denominato, purché adottato in seno ad un procedimento in materia penale.
[68] A tale allegato fa riferimento l’articolo 6 della medesima direttiva.
In base al principio di cui al paragrafo 1 del suddetto articolo 6, gli Stati membri assicurano che la soppressione degli animali sia operata cagionando “il minimo di dolore, sofferenza e angoscia possibile”.
[69] Riguardo alle deroghe, cfr. infra.
[70] L’ipotermia viene ammessa (con esclusivo riferimento ai pesci zebra) secondo i requisiti previsti dalla novella in esame.
[71] Le deroghe, relative all’uso di un altro metodo di soppressione, possono essere concesse dalle autorità nazionali competenti; ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 4, della citata direttiva 2010/63/UE, la deroga può essere concessa a condizione che il metodo sia considerato, in base a prove scientifiche, almeno altrettanto umanitario o a condizione che, in base ad elementi scientifici, risulta impossibile raggiungere lo scopo della procedura ricorrendo a un metodo di soppressione descritto nel summenzionato allegato IV. In base all’articolo 54, paragrafo 3, della medesima direttiva, gli Stati membri trasmettono alla Commissione europea, con cadenza annuale, informazioni particolareggiate sulle deroghe concesse.