Camera dei deputati - Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa) |
|
---|---|
Autore: | Servizio Studi - Dipartimento Istituzioni |
Titolo: | Legislazione e politiche di genere |
Serie: | Documentazione e ricerche Numero: 17 |
Data: | 06/03/2024 |
Organi della Camera: | I Affari costituzionali |
|
Camera dei deputati |
XIX LEGISLATURA |
|
|
|
Documentazione e ricerche |
Legislazione e politiche di genere
|
|
|
|
|
|
|
|
n. 17 Seconda edizione |
|
|
|
marzo 2024 |
Il dossier è stato coordinato dal Servizio Studi: |
Dipartimento Istituzioni con la collaborazione dei Dipartimenti competenti ( 066760-9475 – * st_istituzioni@camera.it @CD_istituzioni
|
Ha collaborato: Segreteria Generale – Ufficio Rapporti con l’Unione europea ( 066760-2145 – * cdrue@camera.it
|
|
|
La documentazione dei servizi e degli uffici della Camera è destinata alle esigenze di documentazione interna per l'attività degli organi parlamentari e dei parlamentari. La Camera dei deputati declina ogni responsabilità per la loro eventuale utilizzazione o riproduzione per fini non consentiti dalla legge. I contenuti originali possono essere riprodotti, nel rispetto della legge, a condizione che sia citata la fonte. |
File: ID0004.docx |
INDICE
L’enforcement delle politiche di genere: il Pnrr e la Strategia nazionale
§ I principi dell’ordinamento italiano
§ Le politiche di genere nel PNRR
§ La Strategia nazionale per la parità di genere
§ Il bilancio di genere e la sperimentazione sull’analisi di impatto
§ Gli organismi pubblici nazionali a tutela delle pari opportunità
Politiche dell’UE in materia di parità di genere
§ L’uguaglianza di genere nel diritto primario dell’UE
§ L’uguaglianza di genere nel diritto derivato
§ L’adesione dell'UE alla Convenzione di Istanbul
§ La proposta di direttiva sulla violenza contro le donne
§ Risorse finanziarie in materia di politiche per l’equilibrio di genere
§ Attività del Parlamento europeo
§ Dati sulla parità tra donne e uomini nell'UE
La promozione delle donne nella vita politica e istituzionale
§ La rappresentanza di genere nella legislazione elettorale
§ Italia: le donne nelle istituzioni
Le pari opportunità nelle pubbliche amministrazioni
§ Il Fondo per le pari opportunità
§ Le donne ai vertici delle pubbliche amministrazioni
Politiche fiscali e impatto di genere
§ Le politiche fiscali nel bilancio di genere
§ Quota di laureate in discipline STEM
§ La presenza femminile nel sistema universitario italiano
§ Donne negli atenei statali e non statali
§ La parità di genere nel PNRR: certificazione e clausola di priorità
§ Misure di conciliazione vita-lavoro
§ Parità salariale e misure di sostegno al reddito
§ Misure per favorire l’ingresso e la permanenza delle donne nel mondo del lavoro
Politiche sociali e sanitarie in tema di pari opportunità
Strumenti di sostegno all’imprenditoria femminile
§ Dati e tendenze dell’imprenditorialità femminile in Italia
§ PNRR
§ Fondo impresa femminile e comitato impresa donna
§ Credito agevolato per l’autoimprenditorialità
§ Imprenditoria femminile in agricoltura
Equilibrio di genere nelle società
§ La legge 12 luglio 2011, n. 120
§ Gender balance nel settore bancario
§ I principali interventi legislativi in materia di violenza contro le donne
§ La Commissione bicamerale d’inchiesta sul femminicidio e la violenza di genere
Focus: la giurisprudenza costituzionale
§ La giurisprudenza costituzionale sull’accesso delle donne agli uffici e alle cariche pubbliche
§ Altri elementi di giurisprudenza costituzionale sulle questioni di pari opportunità
Come nelle precedenti edizioni, nel presente dossier sono raccolte le principali misure approvate dal Parlamento italiano nelle ultime legislature con l’obiettivo di favorire le pari opportunità di genere. Insieme, si ricostruisce anche l’azione legislativa dell’Unione europea in materia.
Si tratta di disposizioni che riguardano diversi ambiti di intervento: la promozione delle donne nella vita politica e istituzionale e le pari opportunità nelle pubbliche amministrazioni; le politiche fiscali, quelle relative al mercato del lavoro e all’istruzione; la conciliazione tra tempi di vita e tempi di lavoro e il supporto alla genitorialità; la salute, lo stile di vita e la sicurezza; il contrasto alla violenza di genere. Sono inoltre evidenziati gli interventi previsti nel Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) diretti alla riduzione dei divari di genere nei diversi settori.
Quello del Legislatore italiano nel settore è infatti un impegno di lungo periodo.
Il dossier ricorda i presupposti costituzionali di questa azione che si radica, infatti – oltre che nel principio di eguaglianza di cui all’articolo 3 – nell’articolo 51, come riformulato dalla legge costituzionale n. 1 del 2003, in base al quale la Repubblica promuove le pari opportunità tra donne e uomini. Uno specifico approfondimento è dedicato alla principale giurisprudenza in materia della Corte costituzionale.
Rispetto alla precedente edizione del dossier (marzo 2023) merita segnalare le seguenti novità legislative volte alla riduzione del divario di genere, novità che saranno oggetto di approfondimento nel dossier:
ü la legge n. 168 del 2023 che ha apportato modifiche ai codici penale, di procedura penale, delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione e ad alcune leggi speciali in materia di prevenzione e contrasto alla violenza sulle donne; tra le altre cose, si prevede l’estensione dell’ammonimento d’ufficio del questore anche a fatti riconducibili ai reati di violenza privata, di minaccia aggravata, di atti persecutori, di diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti (cd. revenge porn); l’estensione dell’applicabilità di misure di prevenzione personale (quali la sorveglianza speciale anche attraverso l’uso del braccialetto elettronico e il contestuale divieto di avvicinarsi a determinati luoghi) agli indiziati di reati quali le lesioni gravi, la deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso, violenza sessuale; l’arresto in “flagranza differita” (ovvero l’arresto eseguito sulla base di documentazione videofotografica o di altra documentazione ottenuta da dispositivi di comunicazione informatica o telematica e comunque entro le 48 ore dal fatto) nei casi di violazione dei provvedimenti di allontanamento dalla casa familiare e di divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa; in materia penale è intervenuta anche la legge n. 122 del 2023 che mira a rendere più stringente l’obbligo introdotto per i delitti di violenza domestica o di genere dalla legge n. 69 del 2019 (cd. codice rosso), di assumere informazioni dalla persona offesa nel termine di tre giorni; la legge prevede infatti che, nel caso in cui il pubblico ministero assegnatario delle indagini non proceda nel termine dei tre giorni all’ascolto della persona offesa, il procuratore della Repubblica possa revocargli l’assegnazione del procedimento procedendo, direttamente o attraverso l’assegnazione ad un altro magistrato dell’ufficio, all’assunzione di informazioni dalla persona offesa;
ü l’accordo raggiunto il 6 febbraio 2024 tra Parlamento europeo e Consiglio sulla proposta di direttiva sulla lotta alla violenza contro le donne e alla violenza domestica; la proposta di direttiva stabilisce norme minime, lasciando agli Stati membri la possibilità di disciplinare la materia in misura più rigorosa; la proposta di direttiva, tra le altre cose, richiede che siano configurati come reati la mutilazione genitale femminile, il matrimonio forzato, la condivisione non consensuale di materiale intimo o manipolato, lo stalking online, le molestie online, l’istigazione all’odio e alla violenza online; la proposta di direttiva richiede inoltre che gli Stati membri puniscano tali reati con sanzioni penali effettive, proporzionate e dissuasive;
ü la riclassificazione delle spese del bilancio dello Stato con riferimento alla spesa che promuove la parità di genere, secondo la previsione della riforma 1.13 del PNRR;e dell’articolo 51-bis del decreto-legge n. 13 del 2023 (DL PNRR-ter), che appunto stabilisce che a decorrere dall’anno 2023 il Ministro dell’economia trasmetta alle Camere, entro trenta giorni dalla presentazione del disegno di legge di bilancio, appositi allegati conoscitivi nei quali, per il triennio di riferimento del disegno di legge di bilancio è data evidenza delle spese relative alla promozione della parità di genere attraverso le politiche pubbliche; la disposizione, che si affianca al bilancio di genere già previsto, in sede di Rendiconto, è stata attuata con la trasmissione alle Camere il 30 novembre 2023 di un apposito allegato al disegno di legge di bilancio per il triennio 2024- 2026;
ü gli interventi operati in sede di legge di bilancio per il 2024 (legge n. 213 del 2023) sul fondo per le pari opportunità che prevedono, tra le altre cose, un finanziamento permanente, pari a 10 milioni di euro per ciascuno degli anni 2024-2026 e a 6 milioni di euro a decorrere dal 2027 in favore del cd. reddito di libertà per le donne vittime di violenza; l’incremento da 1 a 4 milioni di euro della quota del fondo riservata all’istituzione e al potenziamento dei centri di riabilitazione per il recupero degli uomini autori di violenza di genere; il rifinanziamento, pari a 5 milioni di euro per ciascuno degli anni 2024-2026, delle risorse del fondo destinate alla realizzazione di centri antiviolenza nei confronti delle donne; l’incremento di 3 milioni di euro dal 2024 delle risorse del fondo al fine di rafforzare la prevenzione della violenza nei confronti delle donne e delle violenza domestica, in particolare attraverso iniziative formative;
ü la proroga anche per il 2024, operata sempre con l’annuale legge di bilancio, della cd. opzione donna, cioè la possibilità di accedere a tale trattamento pensionistico anticipato alle lavoratrici che maturino entro il 31 dicembre 2023 un’anzianità contributiva pari almeno a 35 anni, un’età anagrafica di almeno 61 anni (ridotta di un anno per ogni figlio e nel limite massimo di due anni) e siano in possesso di determinati requisiti.
Questa azione legislativa si colloca in un quadro che rimane comunque caratterizzato da consistenti elementi di divario di genere, accompagnati da alcuni segnali di miglioramento. In proposito, il dossier riporta i principali dati statistici in materia. Rispetto a dati riportati nella precedente edizione del marzo 2023 merita tra le altre cose segnalare:
ü l’indice 2023 sull’uguaglianza di genere dell’Unione europea, elaborato dall’Istituto europeo per la parità di genere (EIGE) quale strumento di misurazione dell’equilibrio dei sessi con riferimento a una serie di parametri (l’indice utilizza una scala da 1 a 100 dove 1 rappresenta la disuguaglianza totale e 100 l’uguaglianza totale); nell’indice 2023 gli Stati membri dell’UE hanno ottenuto un risultato medio di 70,2 punti su 100, con un progresso rispetto dall’anno precedente del 2,33% che costituisce il più alto incremento annuale mai raggiunto dall’indice; nell’indice 2023 l’Italia si è collocata al 13° posto tra gli Stati membri UE, era al 14° nell’indice 2022;
ü i dati EUROSTAT sull’occupazione femminile riferiti al quarto trimestre 2022; questi dati vedono l’Italia come lo Stato membro dell’UE con il più basso tasso di occupazione delle donne tra i 20 e i 64 anni (55 per cento contro il 69,3 per cento); in base ai dati Istat, nella stessa fascia di età, al terzo trimestre 2023, il tasso di occupazione femminile risulta essere pari al 56,1 per cento;
ü l’analisi criminologica sulla violenza di genere, pubblicata dal Ministero dell’interno nel gennaio 2024, che pone a raffronto i dati del quadriennio 2020-2024; il rapporto contiene statistiche sugli omicidi volontari, sui reati introdotti dalla legge n. 69 del 2019, cd. codice rosso e sui cd. reati spia, ovvero quei delitti, quali atti persecutori, maltrattamenti contro familiari e conviventi, violenze sessuali, che, essendo espressione di violenza fisica, sessuale, psicologica o economica, diretta contro una donna in quanto tale sono indicatori di violenza di genere; i dati rilevano un tendenziale incremento per tutte le fattispecie in esame fino all’anno 2022 (ad esclusione del reato di atti persecutori che rimane tendenzialmente stabile tra il 2021 e il 2022) a fronte di un trend decrescente nel 2023; l’incidenza delle vittime di sesso femminile si mantiene pressoché costante, attestandosi intorno al 74 per cento per gli atti persecutori e all’81 per cento per i maltrattamenti contro familiari e conviventi, mentre presenta valori oscillanti tra il 91 e il 93 per cento per le violenze sessuali.
La tutela delle pari opportunità trova un fondamento a livello costituzionale nel principio di uguaglianza, sancito dall’articolo 3, sia da un punto di vista formale, come uguaglianza davanti alla legge, che da un punto di vista sostanziale, come compito della Repubblica di rimuovere gli ostacoli che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza, impediscono la realizzazione di condizioni di effettiva parità.
L’articolo 51, primo comma, prevede altresì che tutti i cittadini dell’uno o dell’altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge. A seguito della modifica approvata nel 2003 (L. Cost. n. 1/2003) si prevede inoltre che la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini.
Si è in tal modo segnato un passaggio dalla dimensione statica della parità di trattamento uomo-donna alla prospettiva dinamica delle pari opportunità, nell’ottica del raggiungimento di un’uguaglianza sostanziale, come già riconosciuta dall’art. 3. La disposizione non si rivolge unicamente al legislatore ma profila un’attività di carattere promozionale ad ampio raggio: il riferimento alla “Repubblica” e l’uso del termine “provvedimenti” significa che la promozione delle pari opportunità coinvolge l’insieme dei pubblici poteri.
Ulteriori statuizioni si rinvengono nell’articolo 37 Cost., che dispone che la donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni spettanti al lavoratore. Vi si stabilisce, inoltre, che le condizioni di lavoro devono essere tali da consentire alla donna l’adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale e adeguata protezione.
L’articolo 117, settimo comma, Cost., come modificato dalla legge costituzionale n. 3 del 2001, prevede inoltre che le leggi regionali rimuovono ogni ostacolo che impedisce la piena parità degli uomini e delle donne nella vita sociale, culturale ed economica e promuovono la parità di accesso tra donne e uomini alle cariche elettive.
Oltre alle norme costituzionali, le politiche per le pari opportunità si sono arricchite nel tempo di varie norme volte a combattere le discriminazioni ed a promuovere una piena attuazione del principio di uguaglianza, soprattutto in attuazione della disciplina europea. Con la finalità di una complessiva razionalizzazione del panorama legislativo, alla luce dell’eterogeneità degli interventi legislativi che si erano susseguiti nel tempo, è stato adottato il Codice delle pari opportunità tra uomo e donna (D.Lgs. 11 aprile 2006, n. 198) che raccoglie la normativa statale vigente sull’uguaglianza di genere nei settori della vita politica, sociale ed economica.
Il Codice si divide in quattro libri: il primo contiene disposizioni generali per la promozione delle pari opportunità tra uomo e donna, mentre nei libri successivi trovano spazio le disposizioni volte alla promozione delle pari opportunità nei rapporti etico-sociali, nei rapporti economici e nei rapporti civili e politici.
Tale fonte è stata oggetto di successive modificazioni, le più numerose recate dal D.Lgs. 25 gennaio 2010 n. 5, che ha dato attuazione alla direttiva 2006/54/CE relativa al principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego (c.d. rifusione). Successivamente, in attuazione della delega di cui all’articolo 1, co. 9, lett. l), della legge n. 183/2014, il D.Lgs. 14 settembre 2015, n. 151 (Titolo II, Capo II) ha operato un’ulteriore correzione del Codice al fine di semplificare e razionalizzare le disposizioni relative agli organismi che si occupano di pari opportunità. Da ultimo, sono state introdotte ulteriori modifiche con la legge di bilancio 2018 (art. 1, co. 218, legge n. 205 del 2017) al fine di ampliare la tutela relativa alle molestie ricevute da entrambi i sessi sul luogo di lavoro, nonché con la legge 5 novembre 2021, n. 162, che ha rivisto alcune disposizioni del Codice, con particolare riguardo alle pari opportunità in ambito lavorativo.
Il Codice ha ad oggetto le misure volte ad «eliminare ogni discriminazione basata sul sesso, che abbia come conseguenza o come scopo di compromettere o di impedire il riconoscimento, il godimento o l'esercizio dei diritti umani e delle libertà fondamentali in campo politico, economico, sociale, culturale e civile o in ogni altro campo» (art. 1, comma 1).
L’art. 1 del Codice delle pari opportunità prevede che:
§ la parità di trattamento e di opportunità tra donne e uomini deve essere assicurata in tutti i campi, compresi quelli dell'occupazione, del lavoro e della retribuzione (comma 2).
§ il principio della parità non osta al mantenimento o all'adozione di misure che prevedano vantaggi specifici a favore del sesso sottorappresentato (comma 3);
§ l'obiettivo della parità di trattamento e di opportunità tra donne e uomini deve essere tenuto presente nella formulazione e attuazione, a tutti i livelli e ad opera di tutti gli attori, di leggi, regolamenti, atti amministrativi, politiche e attività (comma 4).
L’ultima disposizione introduce nel nostro ordinamento il principio del gender mainstreaming, ampiamente diffuso a livello di Unione europea e in diversi Stati europei, in base al quale le politiche pubbliche devono tener conto della dimensione di genere, in modo tale che prima dell’adozione delle decisioni sia valutato il diverso impatto delle misure sulle donne e sugli uomini.
In Italia, il gender mainstreaming ha trovato una prima applicazione con l’avvio, a partire dal 2016, della sperimentazione per la redazione del bilancio di genere, in attuazione dell’articolo 38-septies della legge n. 196 del 2009, introdotto dal decreto legislativo n. 90 del 2016 (sul quale si rinvia, infra, allo specifico paragrafo dedicato al tema).
L’art. 20 del codice prevede la presentazione al Parlamento, almeno ogni due anni, di una relazione dalla consigliera o dal consigliere nazionale di parità (fino al 2021 l’obbligo era in capo al Ministro del lavoro e delle politiche sociali), contenente i risultati del monitoraggio sull'applicazione della legislazione in materia di parità e pari opportunità nel lavoro e sulla valutazione degli effetti delle disposizioni del codice. La relazione era in precedenza prevista dall’art. 4, comma 6, del D.Lgs. n. 196/2000.
All'interno del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza la parità di genere rappresenta una delle tre priorità trasversali in termini di inclusione sociale, unitamente a Giovani e Mezzogiorno.
Concretamente ciascuna delle 6 Missioni contiene alcune linee di intervento che possono favorire la parità di genere e di cui si tratterà più diffusamente nei capitoli settoriali che seguono.
In sintesi, le misure previste dal Piano sono in primo luogo rivolte a promuovere una maggiore partecipazione femminile al mercato del lavoro, attraverso:
§ interventi diretti di sostegno all'occupazione e all'imprenditorialità femminile;
§ interventi indiretti o abilitanti, rivolti in particolare al potenziamento dei servizi educativi per i bambini e di alcuni servizi sociali, che secondo le stime del PNRR potrebbero incoraggiare un aumento dell'occupazione femminile.
Altri interventi finanziati o programmati con il PNRR si prefiggono l'obiettivo diretto o indiretto di ridurre le asimmetrie che ostacolano la parità di genere sin dall'età scolastica, sia di potenziare il welfare per garantire l'effettivo equilibrio tra vita professionale e vita privata. In tale ambito sono pertanto previsti interventi tesi a:
- garantire l’accesso delle donne alle competenze STEM, linguistiche e digitali, soprattutto tra le studentesse delle scuole superiori, per migliorare l’occupazione femminile;
- rafforzare le strutture assistenziali di prossimità per le comunità caratterizzate da percorsi di prevenzione, diagnosi e cura.
Infine, il Piano prevede, nell'ambito delle attività di monitoraggio, una particolare attenzione alla valutazione degli effetti di riforme e investimenti in termini di promozione delle pari opportunità di genere, così come di quelle generazionali.
In proposito, tra i compiti assegnati alla Cabina di regia per il PNRR vi è quello di trasmettere alle Camere, con cadenza semestrale, una relazione sullo stato di attuazione del Piano recante, tra l'altro, ogni elemento utile a valutare lo stato di avanzamento degli interventi, il loro impatto e l'efficacia rispetto agli obiettivi perseguiti, con anche specifico riguardo alle politiche di sostegno alla parità di genere e alla partecipazione delle donne al mercato del lavoro.
Per approfondimenti sulle singole azioni previste nel Piano dell’Italia con ricadute stimate in termini di genere, nonché allo stato di attuazione, si rinvia alla apposita sezione del tema web dedicato a tale priorità traversale.
Per contrastare le molteplici dimensioni della discriminazione verso le donne, che la pandemia ha contribuito ad evidenziare, nel PNRR il Governo ha annunciato l'adozione di una Strategia nazionale per la parità di genere 2021-2026, ovverosia un documento programmatico che, in coerenza con la Strategia per la parità di genere 2020-2025 adottata dalla Commissione europea a marzo 2020 (su cui, si v. infra), definisca un sistema di azioni politiche integrate nell’ambito delle quali sono adottate iniziative concrete, definite e misurabili.
Attraverso la Strategia il Governo si è impegnato si è impegnato a raggiungere entro il 2026 l'incremento di cinque punti nella classifica dell'Indice sull'uguaglianza di genere elaborato dall'Istituto europeo per l'uguaglianza di genere (EIGE), che attualmente vede l'Italia al 14esimo posto nella classifica dei Paesi UE-27.
All'impegno preso in sede di PNRR ha fatto seguito la presentazione in Consiglio dei ministri (5 agosto 2021) di una Strategia nazionale per la parità di genere 2021/2026, predisposta dal Ministero delle pari opportunità, all’esito di un processo di consultazione che ha coinvolto amministrazioni centrali, Regioni, Enti Territoriali, parti sociali e principali realtà associative attive nella promozione della parità di genere.
La Strategia, partendo da alcuni dati di analisi, si concentra sulle seguenti cinque priorità strategiche: lavoro, reddito, competenze, tempo, potere[1].
Il documento per ciascuna delle priorità definisce gli interventi da adottare (incluse le misure di natura trasversale), nonché i relativi indicatori (volti a misurare i principali aspetti del fenomeno della disparità di genere) e target (l'obiettivo specifico e misurabile da raggiungere). Gli indicatori e target sono funzionali a guidare l'azione di governo e monitorare l'efficacia degli interventi poste in essere.
Le misure previste dalla Strategia sono attuate dalle Amministrazioni centrali, dalle Regioni e dagli Enti locali, sulla base delle competenze istituzionali, tenuto conto del settore di riferimento e della natura dell'intervento. È previsto il coinvolgimento della Conferenza delle Regioni, dell'Unione delle Province e dei Comuni. È altresì prevista un’azione di monitoraggio della strategia, previa selezione di appositi indicatori e relativi target.
Come già annunciato, l’obiettivo di lungo periodo che si propone la Strategia è di guadagnare 5 punti nella classifica del Gender Equality Index dell’EIGE nei prossimi 5 anni, per raggiungere un posizionamento migliore rispetto alla media europea entro il 2026, con l’obiettivo di rientrare tra i primi 10 paesi europei in 10 anni. Dal 2020, la classifica generale dell’Italia è migliorata di una posizione, portandosi dal 14° al 13° posto nell’UE.
In merito si segnala che nel corso degli ultimi tre anni l'Italia ha acquistato un punteggio migliore nella classifica EIGE, salendo al 13°posto tra i Paesi dell'UE.
Infatti, nell'indice sull'uguaglianza di genere 2020, l'Italia aveva ottenuto un punteggio di 63,5 su 100, inferiore alla media dell'UE di 4,4, punti. Mentre nell’indice sull'uguaglianza di genere 2023, l'Italia vanta un punteggio di 68,2 su 100, inferiore di 2 punti al punteggio dell’UE nel suo complesso (pari a 70,2). I principali fattori trainanti di questo aumento sono stati i miglioramenti nei domini del tempo (+ 8,1 punti) e del potere (+ 5,8 punti).
Si consideri che i punteggi dell'Italia sono inferiori a quelli della media UE in tutti i settori, ad eccezione di quello della salute. Le disuguaglianze di genere sono più marcate nei settori della conoscenza (60,8 punti), del potere (62,7 punti) - dove tuttavia si registrano i maggiori progressi – e del lavoro (65 punti).
L'Italia ha il punteggio più basso di tutti gli Stati membri dell'UE nel settore del lavoro (65). Il suo punteggio più alto è invece nel settore della salute (89,2 punti).
Gli obiettivi specifici e misurabili da raggiungere nell’ambito delle cinque priorità strategiche sono riepilogati nella tabella che segue.
Target previsti dalla Strategia nazionale per la parità di genere 2021-2026 |
Lavoro |
§ ridurre la differenza tra il tasso di occupazione femminile e maschile a meno di 24 punti percentuali (nel 2019 è di circa 27 p.p.) |
§ ridurre la differenza tra il tasso di occupazione femminile per le donne con figli e senza figli a meno di 10 punti percentuali (rispetto agli attuali 12) |
§ incrementare la percentuale di imprese “femminili” rispetto al totale delle imprese attive dall’attuale 22% al 30% |
Reddito |
§ ridurre il gender pay gap nel settore privato dal 17 al 10 % |
§ ridurre il gender pay gap per i lavoratori laureati dal 22 al di sotto del 15 % |
Competenze |
§ incrementare la percentuale di studentesse di 5 superiore che non raggiunge i livelli minimi di competenze in matematica dal 50 a meno del 35% |
§ incrementare la percentuale di studentesse che si iscrivono ai corsi di laurea in discipline STEM dal 27 al 35% |
§ incrementare la percentuale di professori ordinari donna rispetto al totale dal 25 al 40% |
§ incrementare la percentuale di donne con competenze digitali “sopra la media” dal 19 al 35% |
Tempo |
§ incrementare la percentuale di padri che usufruiscono dei congedi di paternità dal 21 a più del 50% |
§ incrementare la disponibilità di posti in asili nido esisteneti sul totale dei bambini aventi diritto dal 25 a più del 50 % di copertura a livello nazionale (e almeno il 33% di copertura in tutte le regioni) |
Potere |
§ incrementare la quota di donne nei Cda delle aziende quotate dal 38,8 a più del 45% |
§ incrementare la quota di donne in posizioni apicali e di direzione, sul totale di tali posizioni, dal 24 a più del 35% |
§ incrementare la quota di donne nei consigli regionali dal 21 al 40% a livello medio nazionale |
§ applicare in tutte le regioni leggi elettorali regionali che includano principi di parità di genere sia nelle liste elettorali sia nell’espressione del voto secondo quanto definito dalla L. n. 165 del 2004 |
Le principali misure previste per il raggiungimento dei target-obiettivo sono riepilogate nella seguente tabella:
Misure previste dalla Strategia nazionale per la parità di genere 2021-2026 |
Misure di natura trasversale |
Promozione del gender mainstreaming e del bilancio di genere |
Introduzione della valutazione dell’impatto di genere di ogni iniziativa legislativa |
Considerazione dei fattori bloccanti dell'implementazione della parità di genere |
Sostegno delle fragilità (disabilità, disagio sociale ed economico, presenza di situazioni di violenza, sfruttamento lavorativo e caporalato) nella programmazione delle misure |
Promozione dei principi e degli strumenti del Gender Responsive Public Procurement (GRPP) |
Potenziamento delle statistiche ufficiali, per il rafforzamento della produzione di indicatori disaggregati per genere, |
Promozione di un linguaggio che favorisca il dialogo ed il superamento di espressioni o manifestazioni sessiste |
Istituzione di un “Patto Culturale” tra il mondo istituzionale e tra questo e la società civile per garantire un’azione collettiva di promozione della parità di genere |
Rafforzamento della promozione di role model per la parità di genere e per il superamento degli stereotipi di genere |
Promozione della Medicina-Genere specifica |
Lavoro |
Defiscalizzazione o incentivi per imprese che assumono donne |
Potenziamento, soprattutto nelle regioni del Sud, di alcuni incentivi |
Incentivo al rientro al lavoro dopo la maternità |
Riduzione dell’uscita dal mercato del lavoro delle neo-mamme |
Riduzione dell'uscita dal mercato del lavoro di lavoratrici a tempo determinato |
Incentivi alla creazione di aziende femminili |
Erogazione di credito agevolato a supporto di espansione e sollievo delle imprese femminili |
Revisione del supporto alle imprenditrici mamme |
Introduzione di flessibilità aggiuntiva per lo smart working dei genitori con figli a carico in base a criterio di età |
Uso efficace del Part-time e riduzione del part time involontario |
Governance e monitoraggio della diversity e della gender parity in azienda e nella PA |
Definizione di norme per l'adozione di una Policy di Genere nelle società pubbliche e private e la divulgazione delle informazioni relative alla gender parity |
Introduzione di un sistema nazionale di certificazione della parità di genere, differenziato in base alle dimensioni/fatturato delle aziende |
Reddito |
Definizione del gender pay gap a norma di legge per definire con chiarezza le situazioni di illegalità o irregolarità |
Adozione di sistemi di misurazione di equal pay a livello aziendale |
Definizione delle linee guida per le aziende per l’adozione di una Policy di Genere |
Supporto a madri lavoratrici e padri lavoratori |
Analisi dei fattori penalizzanti per le donne e creazione di prodotti di credito/micro-credito per donne a basso reddito/vittime di violenza/madri single o divorziate |
Riduzione del Pension Gap dovuto alla maternità |
Competenze |
Promozione trasversale del principio di parità di genere in ogni ordine e grado di istruzione e formazione nonché introduzione di nozioni di gender mainstreaming nell'attività didattica |
Revisione dei requisiti dei libri di testo e dei materiali formativi per incentivare gli editori a garantire visibilità alle donne |
Promozione di interventi a contrasto della dispersione scolastica e della povertà educativa e formativa |
Introduzione di corsi di potenziamento nelle discipline STEM |
Utilizzo degli spazi scolastici per "centri estivi" tematici in area STEM |
Rafforzamento dei programmi curricolari di matematica in termini di ore e qualità dell'insegnamento |
Finanziamento di Borse di studio pubbliche a favore di studentesse delle facoltà STEM |
Potenziamento dei servizi di orientamento scolastico individuale per promuovere l’accesso agli studi delle materie STEM |
Revisione delle attività ministeriali e scolastiche per l'orientamento di studentesse e studenti delle scuole superiori al mondo dell'università e del lavoro |
Promozione e orientamento per il conseguimento delle qualifiche professionali |
Definizione di un numero di posti riservati alle studentesse nelle facoltà STEM con test di ammissione specialmente negli atenei a bassissima presenza femminile |
Supporto a studentesse-madri all'università |
Introduzione di quote di genere nei comitati di valutazione del personale docente universitario, nonché valutazione secondo criteri gender neutral per la performance accademica |
Revisione del meccanismo di allocazione dei fondi del Ministero dell’Università e della Ricerca alle università per considerare la differenza di genere nel corpo insegnante e/o nelle istituzioni accademiche |
Potenziamento dei corsi di informatica curricolari e finanziamento di corsi extracurricolari nelle scuole dell'obbligo per promuovere l'alfabetizzazione digitale scolastica |
Defiscalizzazione o incentivi per aziende private volti all’erogazione di corsi di alfabetizzazione digitale e informatica post-scolastica per il target femminile |
Organizzazione da parte degli enti pubblici di corsi pubblici e gratuiti di alfabetizzazione digitale e informatica post-scolastica |
Formazione obbligatoria per insegnanti sulle tematiche di gender mainstreaming e stereotipi di genere, specialmente nelle materie STEM e ad alta segregazione |
Tempo |
Misure per favorire la condivisione delle responsabilità genitoriali |
Adozione di misure ad hoc per la promozione del congedo di paternità |
Attuazione del piano asili nido, parte del Piano Ripresa e resilienza italiano, al fine di garantire una maggiore offerta di servizi per i bambini da 0 a 3 anni di età |
Potenziamento dei Poli 0-6 e servizi integrativi |
Obbligo o sistema di incentivi per grandi aziende con stabilimenti/uffici di realizzare asili nido aziendali o simili |
Defiscalizzazione del welfare aziendale ove legato a erogazione di servizi o fondi per asili nido |
Rafforzamento della possibilità di frazionare le ultime settimane di congedo genitoriale per favorire il rientro a lavoro |
Revisione del regime di defiscalizzazione per i costi sostenuti per servizi di cura di figli piccoli (e.g., baby-sitter), genitori anziani (E.g., badanti) o disabili (e.g., educatori) |
Promozione dell’assistenza e la cura dell'infanzia, degli anziani, dei degenti e della persona tramite detassazione di beni necessari |
Conversione delle indennità a favore di soggetti fragili (e.g., Indennità di accompagnamento) in ore di servizi garantiti |
Estensione dell’orario e del periodo scolastico sia tramite lezioni curricolari o con istituzione di servizi scolastici estivi |
Sostenere l’ampliamento del tempo pieno scolastico con particolare riferimento alle regioni del Mezzogiorno |
Potere |
Innalzamento dell'attuale quota prevista dalla legge Golfo-Mosca, con possibile estensione ad altre aziende |
Introduzione di obbligo di trasparenza e pubblicazione delle short-list di selezione (i.e., liste dei candidati considerati per la fase finale della selezione) per i livelli dirigenziali apicali nonché delle pipeline per le aziende quotate |
Intervento su legge della par condicio per garantire equo tempo in televisione alle candidate ed ai candidati durante la campagna elettorale |
Attuazione delle vigenti disposizioni di legge in materia di parità di genere nelle leggi elettorali regionali |
Introduzione di quote di genere negli organi collegiali direttivi della pubblica amministrazione e degli enti pubblici e affini |
Per rafforzare la governance della Strategia 2021-2026, la legge di bilancio 2022 (articolo 1, commi 139-148, L. n. 234/2021), oltre a ricondurre nell’ambito della legge l'adozione di un Piano strategico nazionale per la parità di genere, ha previsto l'istituzione presso il Dipartimento per le pari opportunità di una Cabina di regia interistituzionale e di un Osservatorio nazionale per l'integrazione delle politiche per la parità di genere.
Ai sensi delle richiamate norme il Piano strategico nazionale per la parità di genere con i seguenti obiettivi:
§ individuare buone pratiche per combattere gli stereotipi di genere;
§ colmare il divario di genere nel mercato del lavoro;
§ raggiungere la parità nella partecipazione ai diversi settori economici;
§ affrontare il problema del divario retributivo e pensionistico;
§ conseguire l'equilibrio di genere nel processo decisionale.
Il finanziamento del Piano prevede, a decorrere dall'anno 2022, un incremento di 5 milioni di euro del Fondo per le politiche relative ai diritti e alle pari opportunità.
Per l'elaborazione e l'adozione del Piano, è prevista l'istituzione presso il Dipartimento per le pari opportunità di una Cabina di regia interistituzionale e di un Osservatorio nazionale per l'integrazione delle politiche per la parità di genere.
La Cabina di regia è stata istituita con successivo decreto 27 gennaio 2022 ha funzioni di raccordo tra le diverse amministrazioni coinvolte e tra i diversi livelli di governo al fine di coordinare le azioni a livello centrale e territoriale. Tra i compiti, spetta alla Cabina di regia effettuare la ricognizione periodica sullo stato di attuazione delle misure, degli interventi previsti nel Piano strategico nazionale per la parità di genere, nonché garantire la programmazione delle risorse destinate al finanziamento del Piano.
La Cabina di regia è presieduta dal Presidente del Consiglio dei ministri o dall'Autorità politica delegata alle pari opportunità ed è composta da 20 Ministri e 3 designati dalla Conferenza unificata.
L'Osservatorio Nazionale per l'integrazione delle politiche di genere, istituito con decreto 22 febbraio 2022 è organismo tecnico di supporto alla Cabina di regia, con funzioni di monitoraggio, analisi, studio e proposta dei possibili strumenti per la definizione e l'attuazione del Piano strategico nazionale, valutandone l'impatto al fine di migliorarne l'efficacia e integrarne gli strumenti.
La sperimentazione per la redazione del bilancio di genere è stata avviata nel nostro ordinamento in attuazione dell'articolo 38-septies della legge n. 196 del 2009, introdotto dal decreto legislativo n. 90 del 2016. Tale disposizione ha infatti previsto la definizione, in sede di rendicontazione, di un bilancio di genere, volto a dare evidenza del diverso impatto delle politiche di bilancio sulle donne e sugli uomini, in termini di denaro, servizi, tempo e lavoro non retribuito.
Successivamente, con il decreto legislativo del 12 settembre 2018, n. 116, la funzione del bilancio di genere è stata rafforzata, ponendo l’accento sull’opportunità che tale strumento sia utilizzato come base informativa per promuovere la parità di genere tramite le politiche pubbliche - attraverso una maggiore trasparenza della destinazione delle risorse e attraverso un'analisi degli effetti delle suddette politiche in base al genere - ridefinendo e ricollocando conseguentemente le risorse e tenendo conto dell’andamento degli indicatori di benessere equo e sostenibile (BES) inseriti nel Documento di Economia e Finanza (DEF).
L’articolo 10 del decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150 ha altresì disposto che la Relazione annuale sulla performance evidenzi a consuntivo i risultati organizzativi e individuali raggiunti rispetto ai singoli obiettivi programmati ed alle risorse, con rilevazione degli eventuali scostamenti, e il bilancio di genere realizzato.
Criteri e metodologie per il bilancio di genere
I criteri e la metodologia generale per il bilancio di genere sono indicati dal decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 16 giugno 2017[2].
Il decreto ha, a tal fine, disposto che il Ministero dell'economia e delle finanze (MEF) - Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato collabori con l'ISTAT e con il Dipartimento delle pari opportunità della Presidenza del Consiglio dei ministri, al fine di individuare gli indicatori utili al monitoraggio dell'impatto sul genere delle politiche statali, assicurando l'inclusione delle relative statistiche di base, distinte per genere, nel Piano statistico nazionale.
In attuazione di tale previsione normativa il Governo ha presentato negli ultimi anni – a partire dal bilancio 2016 e, da ultimo, per il 2022 - un bilancio di genere “a consuntivo”, accompagnato da periodiche Relazioni al Parlamento che danno conto dell’istruttoria svolta e dei criteri seguiti (qui i link della documentazione).
Il bilancio di genere segue dunque la metodologia indicata dal DPCM 16 giugno 2017. Finalità è quella di offrire una rappresentazione delle spese del bilancio dello Stato “riclassificate” contabilmente in chiave di genere alla luce di una valutazione del loro diverso impatto su uomini e donne, una serie di indicatori statistici per monitorare le azioni intraprese per incidere sulle disuguaglianze di genere e la loro associazione alla struttura del bilancio, nonché un’analisi dell’impatto sul genere delle principali misure di politica tributaria. Le analisi mirano, nel bilancio di genere, sia al lato delle spese che delle entrate del bilancio ricorrendo esplicitamente ad indicatori statistici per evidenziare i divari di genere. Costituisce parte integrante della Relazione la rassegna delle disposizioni volte alla riduzione di divari di genere adottate in Italia dal secondo dopoguerra ad oggi.
L'ISTAT collabora con la Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento delle pari opportunità e con il Ministero dell'economia e delle finanze - Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato, al fine dell'individuazione di indicatori utili al monitoraggio dell'impatto sul genere delle politiche statali. Le modalità e i criteri con cui i singoli Centri di Responsabilità delle Amministrazioni centrali dello Stato devono procedere alla riclassificazione delle spese secondo una prospettiva di genere e trasmetterla al Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato sono stabilite in apposite linee guida (per il bilancio di genere relativo al Rendiconto dello Stato 2022, cfr. la Circolare n. 22 del 16 maggio 2023, ed il relativo Allegato 1 - Linee guida per la classificazione delle spese).
Fino al bilancio consuntivo 2021 le modalità di classificazione delle spese erano tre:
1) “dirette a ridurre le disuguaglianze di genere” (codice 1), relative alle misure direttamente riconducibili o mirate a ridurre le diseguaglianze di genere o a favorire le pari opportunità;
2) “sensibili” al genere (codice 2), relative a misure che hanno o potrebbero avere un impatto, anche indiretto, sulle diseguaglianze tra uomini e donne;
3) “neutrali” al genere (codice 0), relative alle misure che non hanno impatti diretti o indiretti sul genere.
A partire dalla citata circolare annuale per il 2022 è stata introdotta una quarta modalità al fine di qualificare azioni il cui impatto sui divari di genere non è noto:
4) “da approfondire” (codice 0*), relative alle misure che per alcune loro caratteristiche (natura della spesa e/o potenziali beneficiari) potrebbero essere classificate come sensibili previ ulteriori approfondimenti per verificare possibili impatti diretti o indiretti sulle diseguaglianze di genere.
Un’ulteriore evoluzione è rappresentata dalla riclassificazione delle spese del bilancio generale dello Stato con riferimento alla spesa che promuove la parità di genere, nonché alla spesa ambientale, secondo le previsioni della Riforma 1.13 del PNRR (milestone M1C1-110). Tale classificazione deve essere coerente con i criteri alla base della definizione degli obiettivi di sviluppo sostenibile e con gli obiettivi dell’Agenda 2030.
La riforma è stata implementata, sotto il profilo normativo, con l’articolo 51-bis, del D.L. 24 febbraio 2023, n.13 (DL PNRR-ter) che appunto prevede l’introduzione nella disciplina contabile nazionale della riforma in esame, stabilendo che a decorrere dall’anno 2023 (legge di bilancio per il triennio 2024-2026), il Ministro dell’Economia e delle Finanze trasmette alle Camere, entro 30 giorni dalla presentazione del disegno di legge di bilancio, appositi allegati conoscitivi nei quali, per il triennio di riferimento del disegno di legge di bilancio, è data evidenza delle spese: a) relative alla promozione della parità di genere attraverso le politiche pubbliche; b) aventi natura ambientale, riguardanti attività di protezione, conservazione, ripristino gestione e utilizzo sostenibile delle risorse e del patrimonio naturale.
Le due note metodologiche relative alla spesa ambientale e alla spesa che promuove la parità di genere sono state trasmesse alle Camere in data 30 novembre 2023 e sono state pubblicate sul sito istituzionale della Ragioneria Generale dello Stato, nelle sezioni pertinenti. I due allegati conoscitivi costituiscono l’Allegato-bis al disegno di legge del bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2024 e bilancio pluriennale per il triennio 2024-2026 (S. 926).
Nella IV Relazione al Parlamento sullo stato di attuazione del PNRR del 26 febbraio 2024, il Governo sottolinea che nelle Note metodologiche di accompagnamento, in entrambi i bilanci tematici, riassunte in un unico documento, è stato chiarito che, trattandosi della prima applicazione della normativa nazionale, la metodologia adottata potrà essere modificata e aggiornata in futuro con l’obiettivo di migliorare gli aspetti di coerenza con gli obiettivi di sviluppo sostenibile e i Target dell’Agenda 2030. In particolare, per la riclassificazione delle spese che promuovono la parità di genere, in questo primo esercizio di applicazione del lavoro di riclassificazione, coerente con gli obiettivi di sviluppo sostenibile e l’Agenda 2030, è stato previsto di considerare l’approccio dei 5 Pilastri (Persone, Pianeta, Pace, Prosperità, Partnership), ossia i cinque concetti chiave (le 5P), che si sviluppano per sub-obiettivi (21) e target (90). Successivamente, si valuterà la possibilità di adozione dei 17 obiettivi di sviluppo sostenibile e i loro 169 sub-obiettivi come fatto per la riclassificazione delle spese ambientali. È stata completata l’attività di associazione dei 5 Pilastri, dei sub-obiettivi e dei 90 target alle spese del bilancio per tutti i ministeri e, per la rappresentazione finale, i 90 target sono stati raggruppati nei 5 pilastri per esigenze di rappresentazione, evitando una eccessiva parcellizzazione dei dati ripartiti sulle 90 voci allo scopo di verificare la fattibilità di questo approccio.
In sede di discussione del bilancio 2020 della Camera dei deputati nella seduta del 30 luglio 2020 è stato accolto l’ordine del giorno 9/Doc.VIII, n. 6/18 Spadoni e altri in cui si è chiesto di “valutare l'opportunità di prevedere in via sperimentale e selettiva nell'ambito dei dossier di documentazione predisposti dal Servizio Studi, sui progetti di legge in esame presso le Commissioni permanenti, la redazione di un paragrafo dedicato all'analisi di impatto di genere”.
Al fine di dare attuazione dell’ordine del giorno, che attiene dunque alla fase ex ante dei testi normativi, relativa all’istruttoria legislativa svolta dalle Commissioni parlamentari nell’ambito dell’esame in sede referente ai sensi dell’art. 79 del Regolamento della Camera, il Servizio Studi ha proceduto alla messa a punto di uno specifico paragrafo dedicato all’Analisi di impatto di genere con riguardo alle proposte di legge di iniziativa parlamentare di cui le Commissioni parlamentari hanno avviato l’esame a partire dall’8 marzo 2021. Dell’avvio di tale attività è stato dato conto anche sul sito internet della Camera e tramite i canali istituzionali dei network on line.
In tale analisi si è proceduto tenendo conto dei criteri e della metodologia utilizzati dai principali organismi internazionali e dagli istituiti di statistica nonché della metodologia seguita dal MEF-Ragioneria generale dello Stato per la redazione del bilancio di genere e della relazione al Parlamento dal 2016.
A tal fine, è stata avviata un'interlocuzione con la Ragioneria generale dello Stato al fine di acquisire e scambiare esperienze e metodologie in parte già sperimentate nella redazione del bilancio di genere e con l’ISTAT al fine di promuovere uno scambio di esperienze ed attività di formazione nonché con i soggetti specializzati nella analisi di impatto presso gli uffici della Commissione europea e del Parlamento europeo.
Tale analisi è svolta in questa prima fase in via sperimentale, sentito il Comitato di vigilanza sull’attività di documentazione operante presso la Camera dei deputati, in attesa di definire più puntualmente le modalità da seguire e gli indicatori di riferimento e di completare lo svolgimento di attività di formazione del personale del Servizio Studi sul tema.
Nei dossier di documentazione pubblicati dall’8 marzo 2021 ad oggi il Servizio Studi ha dunque proceduto alla redazione del paragrafo dedicato all’Analisi di impatto di genere per le proposte di legge all’esame delle Commissioni suscettibili di approfondimento sotto tale profilo. In tale ambito, è stata posta particolare attenzione ai dati statistici riguardanti il settore di intervento della proposta e si è tenuto conto della classificazione operata nell’ambito del bilancio di genere e del contesto normativo e sociale di riferimento. Sono stati quindi evidenziati i profili suscettibili di analisi e approfondimento nell’ambito dell’istruttoria legislativa – che può ricomprendere lo svolgimento di audizioni di esperti del settore e la richiesta di elementi informativi al Governo e ai soggetti specializzati - che le Commissioni parlamentari sono chiamate a svolgere nel corso dell’esame in sede referente.
Dossier del Servizio Studi della Camera con analisi di impatto di genere
I dossier contenenti l’analisi di impatto di genere, ad un anno dall’avvio della sperimentazione (8 marzo 2021) sono relativi ai seguenti progetti di legge:
· 8 marzo 2021: Delega al Governo per la disciplina dell'agricoltura multifunzionale e promozione dell'imprenditoria e del lavoro femminile nel settore agricolo – A.C. 2049
· 29 marzo 2021: Disposizioni concernenti i giudizi di idoneità all'avanzamento degli ufficiali e il conferimento di encomi ed elogi - A.C. 2715
· 30 marzo 2021: Modifiche alla legge 7 aprile 2014, n. 56, concernenti l'ordinamento della città metropolitana di Roma, capitale della Repubblica - A.C. 2893
· 31 marzo 2021: Introduzione sperimentale del metodo del budget di salute per la realizzazione di progetti terapeutici riabilitativi individualizzati – seconda edizione - AC 1752
· 14 aprile 2021: Disposizioni in materia di circolazione dei monopattini a propulsione prevalentemente elettrica - AC 2675
· 3 maggio 2021: Disposizioni in materia di espropriazione di immobili in stato di degrado o di abbandono per il loro recupero e adeguamento alle norme di prevenzione del rischio sismico – AC 770
· 12 maggio 2021: Disposizioni per la tutela e la valorizzazione dell’agricoltura contadina – AA.CC. TU 1825-1968-2905-A (Elementi per l’esame in Assemblea)
· 26 maggio 2021: Prevenzione e repressione della diffusione illecita di contenuti tutelati dalla normativa sul diritto d'autore mediante le reti di comunicazione elettronica - A.C. 2188, A.C. 1357, A.C. 2679
· 15 giugno 2021: Disposizioni in materia di utilizzo dei defibrillatori semiautomatici e automatici in ambiente extraospedaliero - A.C. T.U. 181 ed abb.- B
· 6 luglio 2021: Modifiche al codice delle pari opportunità di cui al decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198, e altre disposizioni in materia di pari opportunità tra uomo e donna in ambito lavorativo - AC 522 e abb. - A
· 16 luglio 2021: Disposizioni concernenti la conservazione del posto di lavoro e i permessi retribuiti per esami e cure mediche in favore dei lavoratori affetti da malattie oncologiche, invalidanti e croniche - AC. 2098, AC. 2392, AC. 2247, AC. 2540 e AC. 2478
· 21 settembre 2021: Disposizioni per consentire la libertà di scelta nell'accesso dei lavoratori al trattamento pensionistico - AC 389, AC. 714, AC 759, AC 900, AC 1163, AC 1164, AC 1170, AC 2855 e AC 2904
· 20 ottobre 2021: Modifiche al testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali in materia di circoscrizioni di decentramento comunale - AC 1430 e AC 2404
· 20 ottobre 2021: Rilascio del permesso di soggiorno alle vittime del reato di costrizione o induzione al matrimonio - AC 3200
· 4 novembre 2021: Disposizioni per la promozione e il sostegno delle attività teatrali negli istituti penitenziari – AC 2933
· 25 novembre 2021: Disciplina del tirocinio curricolare per l'orientamento e la formazione dei giovani - A.C. 1063 e A.C. 2202
· 10 febbraio 2022: Disposizioni per l'inserimento lavorativo per le donne vittime di violenze di genere - AA.CC. 1458, 1791, 1891
· 14 febbraio 2022: Disposizioni in materia di lavoro agile e di lavoro a distanza - AA.CC. 2282, 2417, 2667, 2685, 2817, 2908, 3027 e 3150
· 1° marzo 2022: Disposizioni in materia di statistiche in tema di violenza di genere – A.C. 2805
· 9 marzo 2022: Disciplina del contratto di apprendistato - A.C. 2902
· 18 marzo 2022: Associazioni a carattere sindacale delle Forze armate - A.C. 875-B (Elementi per l’esame in Assemblea)
· 1° aprile 2022: Rilascio del permesso di soggiorno alle vittime del reato di costrizione o induzione al matrimonio – A.C. 3200 (Elementi per l’esame in Assemblea)
· 17 gennaio 2023: Promozione e sviluppo delle start-up e delle piccole e medie imprese innovative mediante agevolazioni fiscali e incentivi agli investimenti - A.C. 107
· 13 marzo 2023: Disposizioni per la promozione e lo sviluppo dell’imprenditoria giovanile nel settore agricolo - A.C. 752
· 20 marzo 2023: Istituzione della Settimana nazionale delle discipline scientifiche, tecnologiche, ingegneristiche e matematiche - A.C. 854
· 24 marzo 2023: Modifiche al codice della protezione civile (D.Lgs. 1/2018) e altre norme in materia di gestione delle emergenze di rilievo nazionale - A.C. 589
· 18 aprile 2023: Disposizioni in materia di giusta retribuzione e salario minimo - A.C. 141 e abb. e successive edizioni
· 8 maggio 2023: Disposizioni per la tutela e la valorizzazione dell'agricoltura contadina - A.C. 165
· 22 maggio 2023: Poteri del procuratore della Repubblica in materia di assunzione di informazioni dalle vittime di violenza domestica e di genere - A.C. 1135
· 24 maggio 2023: Disposizioni per la prevenzione delle discriminazioni e la tutela dei diritti delle persone che sono state affette da malattie oncologiche - A.A.C.C. 249, 413, 690 e 885 e successive edizioni
· 24 maggio 2023: Interventi per il settore ittico - A.C. 747 e A.C. 856
· 17 luglio 2023: Equiparazione del regime fiscale dell'imposta municipale propria e dell'imposta di registro relativamente a immobili posseduti in Italia da cittadini iscritti nell'AIRE – A.C. 956
· 18 luglio 2023: Poteri del procuratore della Repubblica in materia di assunzione di informazioni delle vittime di violenza domestica e di genere – A.C. 1135-A
· 12 settembre 2023: Disposizioni per il riconoscimento della figura dell'agricoltore custode dell'ambiente e del territorio – A.C. 1304 e A.C. 1123
· 20 settembre 2023: Disciplina dell'attività di guida professionale di pesca – A.C. 1029
· 10 ottobre 2023: Disposizioni per favorire l'inserimento lavorativo delle donne vittime di violenza di genere e delle vittime di violenza con deformazione o sfregio permanente del viso – A.C. 408 e abb.
· 30 ottobre 2023: Disposizioni in materia di idoneità fisica al servizio nelle Forze armate per i soggetti affetti da celiachia e da intolleranze alimentari – A.C. 1243
· 31 ottobre 2023: Istituzione del premio di "Maestro dell'arte della cucina italiana" – A.C. 1419
· 23 gennaio 2024: Promozione e sviluppo delle start-up e delle piccole e medie imprese innovative mediante agevolazioni fiscali e incentivi agli investimenti – A.C. 107
· 23 gennaio 2024: Disposizioni per la promozione e la valorizzazione dei prodotti e delle attività dei produttori di birra artigianale – A.C. 788 e A.C.1649
· 5 febbraio 2024: Disposizioni per il riconoscimento della figura dell'agricoltore custode dell'ambiente e del territorio – A.C. 1304 e A.C. 1123
· 13 febbraio 2024: Disposizioni per il riconoscimento e il sostegno dell'attività di cura e assistenza svolta dal caregiver familiare – A.C. 114 e abb.
Sempre con riguardo alla promozione del gender mainstreaming negli atti normativi si ricorda infine che nel corso della discussione sulla legge di bilancio 2021 è stato accolto uno specifico ordine del giorno (9/2790-bis-AR/301 D'Uva, Spadoni, Palmisano, Ascari) in cui si impegna il Governo a valutare l’opportunità di prevedere, in particolare, che nell’ambito dell'AIR e della VIR, il cui contenuto è attualmente definito dal DPCM n. 169 del 2017, “sia introdotta una specifica voce relativa all'analisi di impatto di genere sugli atti di iniziativa normativa del Governo”. Finora non è stato dato seguito all’ordine del giorno.
Nel 1996 all’atto della formazione del Governo è stato nominato per la prima volta un Ministro per le pari opportunità, ministro senza portafoglio, al quale sono stati conferiti compiti di proposta, coordinamento e attuazione delle politiche governative in materia.
Da allora nei governi è stato sempre previsto un Ministro per le pari opportunità, con l’eccezione di:
- Governo Monti, nel quale la delega per le pari opportunità è stata affidata al Ministro del lavoro e delle politiche sociali;
- Governo Renzi, nel quale la delega per le pari opportunità è stata affidata al Ministro per le Riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento;
- Governo Gentiloni e Governo Conte I, nel quale la delega per le pari opportunità è stata affidata ad un Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio.
Nell’attuale Governo Meloni, è stato nominato una Ministra per la famiglia, la natalità e le pari opportunità, nella persona dell’on. Eugenia Maria Roccella.
Nel 1997 è stato istituito presso la Presidenza del Consiglio il Dipartimento per le pari opportunità: sorto come struttura di supporto per l’attività del Ministro e con compiti di promozione e coordinamento delle politiche di parità, ha ampliato progressivamente le proprie competenze anche nel campo della lotta alla discriminazione razziale e ad altre forme di discriminazione.
Le funzioni del Dipartimento riguardano, in particolare, la promozione ed il coordinamento delle politiche dei diritti della persona, delle pari opportunità, della parità di trattamento e di rimozione di ogni forma e causa di discriminazione, di prevenzione e contrasto della violenza sessuale e di genere e degli atti persecutori, della tratta e dello sfruttamento degli esseri umani, nonché delle mutilazioni genitali femminili e delle altre pratiche dannose.
In tali settori, il Dipartimento provvede: all’indirizzo, al coordinamento ed al monitoraggio della utilizzazione dei fondi nazionali ed europei; agli adempimenti riguardanti l’acquisizione e l’organizzazione delle informazioni e la promozione e il coordinamento delle attività conoscitive, di verifica, controllo, formazione e informazione; alla cura dei rapporti con le amministrazioni e gli organismi operanti in Italia e all’estero; all’adozione delle iniziative necessarie ad assicurare la rappresentanza del Governo negli organismi nazionali e internazionali. L’organizzazione del Dipartimento è stata da ultimo rinnovata con il D.P.C.M. 8 aprile 2019.
Nell’ambito del Dipartimento, in attuazione delle previsioni contenute nella legge di bilancio 2022 (articolo 1, commi 139-148, L. n. 234/2021, su cui si v. supra), si è insediato l’Osservatorio nazionale per l'integrazione delle politiche per la parità di genere (istituito con decreto 22 febbraio 2022), presieduto dal Presidente del Consiglio dei ministri o dall'Autorità politica delegata alle pari opportunità. All’Osservatorio e al Comitato tecnico-scientifico, istituito all’interno del medesimo e composto da esperte ed esperti di elevata professionalità, è affidato, tra gli altri, il compito di monitorare l’attuazione della Strategia nazionale sulla parità di genere, adottata per la prima volta in Italia nel 2021, valutandone l’impatto al fine di migliorarne l’efficacia e integrarne gli strumenti.
Oltre a ciò, l'Osservatorio svolge funzioni di supporto al Dipartimento ai fini della predisposizione del Piano strategico nazionale per la parità di genere, nonché dell'aggiornamento di quello vigente:
a) assicurando lo sviluppo delle funzioni di analisi e studio della condizione e delle problematiche in tema di pari opportunità e di parità di genere, anche attraverso la realizzazione di un rapporto biennale finalizzato ad aggiornare le conoscenze sulle principali dinamiche demografiche, sociologiche, economiche in Italia;
b) promuovendo iniziative ed incontri seminariali per favorire la conoscenza dei risultati delle ricerche e indagini e la diffusione delle buone pratiche attraverso lo scambio di esperienze;
c) coordinando le proprie attività di ricerca, studio e documentazione con quelle relative al Piano strategico nazionale contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica.
Per la promozione delle pari opportunità nel mondo del lavoro presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, dal 1991 opera il Comitato nazionale per l’attuazione dei principi di parità di trattamento ed uguaglianza di opportunità tra lavoratori e lavoratrici (Comitato nazionale di parità), organo consultivo del Ministro con compiti di studio e di promozione in materia di parità nel settore della formazione professionale e del lavoro (art. 8, D.Lgs. n. 198/2006, come modificato da D.Lgs. n. 151 del 2015).
Il Comitato promuove nell'ambito della competenza statale, la rimozione delle discriminazioni e di ogni altro ostacolo che limiti di fatto l'uguaglianza tra uomo e donna nell'accesso al lavoro, nella promozione e nella formazione professionale, nelle condizioni di lavoro compresa la retribuzione, nonché in relazione alle forme pensionistiche complementari collettive di cui al decreto legislativo 5 dicembre 2005, n. 252.
È presieduto dal Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali o da un Sottosegretario delegato ed è composto da: rappresentanti delle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro; da componenti delle associazioni di rappresentanza, assistenza e tutela del movimento cooperativo; da rappresentanti designati dalle associazioni e dai movimenti femminili operanti nel campo della parità; dalla Consigliera Nazionale di Parità; da esperti in materie giuridiche, economiche e sociologiche con competenze in materie di lavoro e politiche di genere; da rappresentanti di vari Ministeri, il Ministero del Lavoro, Dipartimento delle pari opportunità.
I componenti durano in carica tre anni e sono nominati dal Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali.
L'attuale Comitato è stato ricostituito in data 26 luglio 2019.
A livello nazionale, regionale e della città metropolitana e dell'ente di area vasta di cui alla legge 7 aprile 2014, n. 56 sono inoltre nominati una consigliera o un consigliere di parità, cui sono attribuiti una serie di interventi volti al rispetto del principio di non discriminazione e della promozione di pari opportunità per lavoratori e lavoratrici (artt. 15 e ss. D.Lgs. n. 198/2006).
In particolare la Consigliera Nazionale di Parità si occupa della trattazione dei casi di discriminazione di genere sul lavoro di rilevanza nazionale e della promozione di pari opportunità per lavoratori e lavoratrici, anche attraverso la collaborazione con gli organismi di rilevanza nazionale competenti in materia di politiche attive del lavoro, di formazione e di conciliazione.
La Consigliera Nazionale di Parità coordina la Conferenza Nazionale delle Consigliere e dei Consiglieri di Parità, che comprende tutte le consigliere e i consiglieri (regionali, delle città metropolitane e degli enti di area vasta) con il compito di rafforzare le funzioni delle consigliere e dei consiglieri di parità, di accrescere l'efficacia della loro azione, di consentire lo scambio di informazioni, esperienze e buone prassi.
Infine, la legge di bilancio 2021 (articolo 1, commi 104 e 106 L. n. 178/2020) ha previsto l’istituzione di un Comitato Impresa Donna presso il Ministero dello sviluppo economico, a cui è attribuita la funzione di:
a) contribuire ad attualizzare le linee di indirizzo per l’utilizzo delle risorse del Fondo;
b) condurre analisi economiche, statistiche e giuridiche relative alla questione di genere nell’impresa;
c) formulare raccomandazioni relative allo stato della legislazione e dell’azione amministrativa, nazionale e regionale, in materia di imprenditorialità femminile e sui temi della presenza femminile nell’impresa e nell’economia;
d) contribuire alla redazione della Relazione annuale che il Ministro presenta ogni anno al Parlamento sull'attività svolta e sulle possibili misure da adottare per risolvere i problemi relativi alla partecipazione della popolazione femminile alla vita economica e imprenditoriale del Paese.
In proposito si rinvia, infra, al capitolo dedicato al sostegno all’imprenditoria femminile.
L'articolo 2 del Trattato sull’Unione europea (TUE) enuncia, tra i valori sui quali si fonda l’Unione, l'uguaglianza, statuendo che questi valori sono comuni agli Stati membri in una società caratterizzata, tra le altre cose, dalla non discriminazione, e dalla parità tra donne e uomini.
Il successivo articolo 3, paragrafo 3, ribadisce, tra gli obiettivi perseguiti dall’Unione, la lotta contro le discriminazioni e la promozione della parità tra uomini e donne.
Tali valori e obiettivi sono altresì sanciti dall'articolo 21 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.
In coerenza con le disposizioni sinora richiamate, l'articolo 8 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE) include tra gli obiettivi trasversali a tutte le politiche dell’Unione quello di eliminare le ineguaglianze e di promuovere la parità tra uomini e donne in tutte le sue attività (concetto noto anche come gender mainstreaming - integrazione della dimensione di genere).
L'articolo 19 del TFUE attribuisce all’Unione una competenza generale ad adottare provvedimenti legislativi per combattere tutte le forme di discriminazione, incluse quelle fondate sul sesso.
A questo scopo il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando secondo la procedura legislativa ordinaria, adottano misure che assicurino l'applicazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento tra uomini e donne in materia di occupazione e impiego, ivi compreso il principio della parità delle retribuzioni.
Allo scopo di assicurare l'effettiva e completa parità tra uomini e donne nella vita lavorativa, il principio della parità di trattamento non osta a che uno Stato membro mantenga o adotti misure che prevedano vantaggi specifici diretti a facilitare l'esercizio di un'attività professionale da parte del sesso sottorappresentato ovvero a evitare o compensare svantaggi nelle carriere professionali. Viene dunque contemplata in tal modo l’azione positiva.
In attuazione delle disposizioni dei Trattati sopra richiamate sono stati adottati atti legislativi “quadro” di portata generale:
· la direttiva del 2006 riguardante l'attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego; la direttiva definisce le nozioni di discriminazione diretta e indiretta, di molestie e di molestie sessuali; inoltre, essa incoraggia i datori di lavoro ad adottare misure preventive per combattere le molestie sessuali, prevede le sanzioni per i casi di discriminazione e prevede l'istituzione all'interno degli Stati membri di organismi incaricati di promuovere la parità di trattamento tra uomini e donne;
· la direttiva del 2010 che stabilisce gli obiettivi relativi all'applicazione del principio della parità di trattamento fra gli uomini e le donne che esercitano un'attività autonoma, ivi comprese le attività nel settore agricolo, e relativa altresì alla tutela della maternità.
Nel 2004 è stata approvata la direttiva che dà attuazione al principio della parità di trattamento tra uomini e donne per quanto riguarda l'accesso a beni e servizi e la loro fornitura. Si applica a tutte le persone che forniscono beni e servizi che sono a disposizione del pubblico, compresi gli organismi pubblici, e che sono offerti al di fuori dell'area della vita privata e familiare e delle transazioni effettuate in questo ambito.
Le tre direttive sopra richiamate sono attualmente oggetto di modifica ad opera di due proposte presentate dalla Commissione europea il 7 dicembre 2022 per potenziare gli organismi di parità.
Una prima proposta di direttiva è limitata all’ambito occupazionale, compreso il lavoro autonomo, e una seconda proposta di direttiva è riferita:
· alla parità di trattamento fra le persone indipendentemente dalla razza e dall'origine etnica;
· alla parità di trattamento fra le persone in materia di occupazione e impiego, indipendentemente da religione o convinzioni personali, disabilità, età od orientamento sessuale;
· alla parità di trattamento fra donne e uomini in materia di sicurezza sociale e per quanto riguarda l'accesso a beni e servizi e la loro fornitura.
Sulla prima proposta di direttiva il 12 dicembre 2023, il Consiglio e il Parlamento europeo hanno raggiunto un accordo provvisorio confermato dai rappresentanti degli Stati membri dell'UE
Sulla seconda proposta, il Consiglio ha concordato lo scorso 20 febbraio il testo definitivo, trasmettendolo al Parlamento europeo per la sola approvazione (con apposita procedura). La plenaria del Parlamento europeo dovrebbe pronunciarsi nella seduta del prossimo 10 aprile.
Entrambe le proposte intendono rafforzare gli organismi per la parità, in termini di indipendenza, risorse e poteri, affinché possano garantire più efficacemente la parità di trattamento e le pari opportunità tra donne e uomini. A tale scopo viene, tra le altre cose, loro riconosciuta un’ampia legittimazione ad agire in giudizio per garantire il rispetto dei principi sopra indicati.
Nell’ambito del cosiddetto Pilastro europeo dei diritti sociali, il 13 giugno 2019 l’UE ha adottato la direttiva relativa all'equilibrio tra attività professionale e vita familiare per i genitori e i prestatori di assistenza.
Il nuovo regime mira ad aumentare la partecipazione delle donne al mercato del lavoro e la fruizione di congedi per motivi familiari e di modalità di lavoro flessibili; offre altresì ai lavoratori possibilità di vedersi accordare un congedo per occuparsi di familiari che necessitano di sostegno.
Secondo la nuova direttiva, i padri possono fruire, in occasione della nascita di un figlio, di almeno dieci giorni lavorativi retribuiti allo stesso livello di quello attualmente fissato nell'UE per i congedi di maternità. Per usufruire del congedo di paternità, non è necessaria alcuna anzianità di servizio; la retribuzione del congedo di paternità è tuttavia subordinata a un'anzianità di servizio di sei mesi. Gli Stati membri con sistemi di congedo parentale più favorevoli possono mantenere le disposizioni nazionali vigenti.
È inoltre previsto un diritto individuale a quattro mesi di congedo parentale, di cui due retribuiti e non trasferibili tra i genitori. Il livello della retribuzione e il limite di età del bambino è fissato dagli Stati membri.
Infine i prestatori di assistenza (lavoratori che aiutano i familiari bisognosi di assistenza o di sostegno a causa di un grave motivo di salute) possono usufruire di cinque giorni lavorativi all'anno. Gli Stati membri possono utilizzare un periodo di riferimento diverso, approvare il congedo caso per caso e introdurre criteri aggiuntivi per l'esercizio di tale diritto. Da ultimo, si rafforza il diritto per tutti i genitori e i prestatori di assistenza di richiedere modalità di lavoro flessibili.
Con la direttiva riguardante il miglioramento dell’equilibrio di genere fra gli amministratori delle società quotate e relative misure, pubblicata nel novembre 2022, si stabilisce che, entro il 2026, le società quotate debbano garantire che i membri del sesso sottorappresentato detengano almeno il 40% dei posti di amministratore senza incarichi esecutivi. Gli Stati membri possono scegliere di applicare le norme agli amministratori con e senza incarichi esecutivi. In questi paesi, l'obiettivo sarebbe quello di avere membri del sesso sottorappresentato che detengano almeno il 33% di tutti i posti di amministratore.
Nelle società quotate in cui tali obiettivi non sono conseguiti, dovrà essere adeguato il processo di selezione per la nomina dei membri del consiglio di amministrazione. Le procedure di selezione e di nomina dovranno essere eque e trasparenti, fondate su una valutazione comparativa dei diversi candidati effettuata sulla base di criteri chiari e formulati in modo neutro. Le qualifiche e il merito rimarranno i requisiti fondamentali.
La nuova direttiva prevede:
Le società devono fornire, su base annuale, informazioni sulla rappresentanza di genere nei loro consigli e sulle misure che stanno adottando per conseguire l'obiettivo del 33% o del 40%. Ogni anno gli Stati membri pubblicheranno un elenco delle società che hanno raggiunto gli obiettivi della direttiva.
Nel maggio 2023 è stata pubblicata la direttiva sulla trasparenza salariale e la parità retributiva tra uomini e donne, che era stata proposta dalla Commissione europea nel 2021.
La direttiva stabilisce prescrizioni minime per rafforzare l'applicazione del principio della parità retributiva tra uomini e donne e il divieto di discriminazione per motivi di genere, senza peraltro impedire ai datori di lavoro di retribuire in modo diverso chi svolge lo stesso lavoro (o un lavoro di pari valore) sulla base di criteri oggettivi, neutri sotto il profilo del genere (punto n. 10 delle Premesse). Per il conseguimento delle suddette finalità, sono fissati standard di trasparenza in materia di retribuzioni e garanzie di accesso a determinati strumenti di tutela giurisdizionale in favore dei lavoratori.
Nel giugno 2023 si è concluso, con due decisioni del Consiglio (decisione (UE) 2023/1075 e decisione (UE) 2023/1076), il processo di adesione dell'Unione europea alla Convenzione di Istanbul per la prevenzione e la lotta alla violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica.
La Convenzione, adottata dal Consiglio d'Europa l'11 maggio 2011 ed entrata in vigore a seguito del raggiungimento del prescritto numero di dieci ratifiche il 1° agosto 2014, è pertanto entrata in vigore nell’Unione europea il 1° ottobre 2023.
L’Italia è stata tra i primi paesi europei a ratificare la Convenzione con la legge 27 giugno 2013, n. 77.
La Convenzione rappresenta il primo strumento internazionale giuridicamente vincolante volto a creare un quadro normativo completo a tutela delle donne contro qualsiasi forma di violenza.
Particolarmente rilevante è il riconoscimento espresso della violenza contro le donne quale violazione dei diritti umani, oltre che come forma di discriminazione contro le donne (art. 3 della Convenzione). La Convenzione stabilisce inoltre un chiaro legame tra l’obiettivo della parità tra i sessi e quello dell’eliminazione della violenza nei confronti delle donne.
La Presidente Ursula von der Leyen, nel suo programma ha incluso l’adesione dell’UE alla Convenzione di Istanbul sulla lotta contro la violenza domestica tra le priorità fondamentali della Commissione.
Il 6 febbraio 2024 il Parlamento europeo e il Consiglio hanno raggiunto, nell’ambito della procedura legislativa ordinaria, un accordo sulla proposta di direttiva presentata dalla Commissione europea nel marzo 2022 sulla lotta alla violenza contro le donne e alla violenza domestica.
Tale proposta è volta a integrare gli obiettivi stabiliti dalla Convenzione di Istanbul nell'ambito delle competenze dell'UE, integrando l'acquis dell'Unione e la legislazione nazionale degli Stati membri. A tal fine introduce disposizioni specificamente indirizzate a combattere la violenza contro le donne e la violenza domestica, tematiche fino ad ora non trattate da nessun atto legislativo dell'Unione.
In questa prospettiva, stabilisce norme minime, lasciando agli Stati membri la possibilità di disciplinare la materia in misura più rigorosa, tenendo conto delle rispettive specificità.
Secondo i dati rielaborati dal Consiglio, ogni giorno almeno 2 donne nell’UE vengono uccise da un partner o da un familiare. Ciononostante, solo il 22% delle vittime di violenza da parte di un partner sporge denuncia e oltre l’80% delle vittime di violenza non cerca aiuto professionale.
La nuova direttiva anzitutto configura e definisce nell'UE i seguenti reati:
Gli Stati membri dovranno garantire che tali reati siano punibili con sanzioni penali effettive, proporzionate e dissuasive, fatta salva la facoltà di adottare o mantenere norme di diritto penale più rigorose relative alla definizione dei reati e delle sanzioni nel settore della violenza contro le donne.
Gli Stati membri dovranno altresì garantire che il reato di mutilazione genitale femminile sia punito con una pena detentiva massima di almeno 5 anni, il matrimonio forzato con una detenzione di almeno 3 anni, e i restanti reati con almeno 1 anno.
Sono previste anche circostanze aggravanti quali la reiterazione della violenza contro le donne, la commissione di atti di violenza contro persone vulnerabili o minori e il ricorso a livelli di violenza di estrema gravità.
La nuova direttiva intende assicurare un accesso più facile alla giustizia per le vittime e impone agli Stati membri di fornire un livello adeguato di protezione e assistenza specialistica. Essi dovranno ad esempio garantire che le vittime possano sporgere denuncia attraverso canali accessibili e di facile utilizzo, anche online.
Alle vittime minori dovrà essere loro prestata assistenza da parte di professionisti appositamente formati.
Se nelle violenze è implicato il titolare della responsabilità genitoriale, la denuncia non dovrà essere subordinata al consenso di questa persona e le autorità dovranno innanzitutto adottare misure a tutela dell'incolumità del minore prima che tale persona sia informata della denuncia.
Quando una vittima entra in contatto con un'autorità, questa dovrà valutare il rischio rappresentato dall'autore del reato, o indagato e le autorità dovranno prevedere adeguate misure di protezione delle vittime, quali misure urgenti di allontanamento, ordinanze restrittive od ordini di protezione.
A tutela della vita privata della vittima e per prevenire nuove violenze, ai fini dei procedimenti penali le prove relative al comportamento sessuale passato della vittima siano ammesse solo se pertinenti e necessarie.
La vittima ha il diritto di chiedere all'autore del reato il risarcimento integrale dei danni derivanti dai reati di violenza subiti, se del caso anche nel corso di un procedimento penale.
I servizi di assistenza, come i centri anti-stupro, dovranno essere a disposizione delle vittime per offrire consulenza e sostegno, fornire informazioni sull'accesso alla consulenza legale e assisterle nella ricerca di case rifugio e cure mediche.
Gli Stati membri dovranno inoltre mettere a disposizione delle vittime una linea di assistenza telefonica nazionale gratuita e operativa 24/7.
Infine, i paesi dell'UE dovranno adottare misure adeguate - ad esempio campagne di sensibilizzazione mirate - per prevenire la violenza contro le donne e la violenza domestica aumentando la consapevolezza e la comprensione da parte dell’opinione pubblica delle manifestazioni e delle cause profonde di tutte le forme di violenza contro le donne e di violenza domestica, contrastando gli stereotipi di genere dannosi e promuovendo la parità di genere.
Il 5 marzo 2020 è stata presentata la Strategia per la parità di genere 2020-2025, recante una serie di azioni ritenute fondamentali per il raggiungimento dei tradizionali obiettivi in materia di equilibrio di genere: stop alla violenza e agli stereotipi di genere; parità di partecipazione e di opportunità nel mercato del lavoro; parità retributiva; equilibrio di genere a livello decisionale e politico.
L'attuazione della strategia procederà attraverso l’adozione di misure mirate volte a conseguire la parità di genere, combinate a una maggiore integrazione della dimensione di genere.
La strategia prevede, tra l’altro:
· l’ampliamento del novero dei reati in cui è possibile introdurre un'armonizzazione in tutt'Europa, estendendola a forme specifiche di violenza contro le donne, tra cui le molestie sessuali, gli abusi a danno delle donne e le mutilazioni genitali femminili (si veda supra);
· il potenziamento della presenza delle donne nei settori caratterizzati da carenze di competenze, in particolare il settore tecnologico e quello dell'intelligenza artificiale;
· il rafforzamento dell’impegno per l’attuazione delle norme dell'UE sull'equilibrio tra vita professionale e vita privata.
Il 24 giugno 2020 la Commissione ha presentato la prima strategia per i diritti delle vittime per il periodo 2020-2025, che contempla una serie di azioni a livello europeo e nazionale nel quadro degli interventi per il rafforzamento dei diritti delle vittime di reato e la collaborazione a sostegno dei diritti delle vittime.
Il 25 novembre 2020, inoltre, la Commissione europea e l’Alto Rappresentante per la politica estera e di sicurezza comune dell’UE hanno presentato il Piano d’azione dell’Unione europea sulla parità di genere – Un’agenda ambiziosa per la parità di genere e l’emancipazione femminile nell’azione esterna dell’UE (EU Gender Action Plan - GAP III). Il piano prevede iniziative, per il periodo 2021-2025, volte ad accrescere l'impegno dell'UE per la parità di genere, in quanto priorità trasversale dell'azione esterna, nonché a promuovere un impegno strategico dell'UE a livello multilaterale, regionale e nazionale. Il Piano è volto ad accrescere il contributo dell’UE per il raggiungimento dell’obiettivo di sviluppo sostenibile n. 5 nell’ambito dell’Agenda 2030, relativo al raggiungimento dell’uguaglianza di genere e dell’empowerment di tutte le donne e le ragazze.
Il Consiglio dell’UE, nella riunione del 2 dicembre 2020, ha adottato conclusioni nelle quali invita la Commissione e gli Stati membri, tra l’altro, ad intensificare gli sforzi per ridurre il divario retributivo di genere e il divario di genere nell'assistenza e a combattere gli stereotipi di genere.
Il quadro finanziario pluriennale (QFP) 2021-2027 prevede l'integrazione della dimensione di genere nel bilancio, più specificamente nei vari strumenti di finanziamento e di garanzia di bilancio dell'UE, tra cui il Fondo sociale europeo Plus, il Fondo europeo di sviluppo regionale, il Fondo di coesione e il programma InvestEU.
L'uguaglianza di genere e le pari opportunità per tutti sono tenuti in considerazione nella preparazione e attuazione dei piani per la ripresa e la resilienza, che sono presentati dagli Stati membri al fine di beneficiare delle risorse del Dispositivo per la ripresa e la resilienza (che rappresenta il più importante programma nell’ambito dello strumento europeo per la ripresa Next generation EU con una dotazione finanziaria di 672,5 miliardi di euro, di cui circa 209 miliardi per l’Italia).
Secondo quanto prevede il regolamento istitutivo del dispositivo, i piani devono esplicitare le modalità con cui le misure dovrebbero contribuire alla parità di genere e alle pari opportunità per tutti, come pure all'integrazione di tali obiettivi, in linea con i principi 2 e 3 del pilastro europeo dei diritti sociali, nonché con l'obiettivo di sviluppo sostenibile dell'ONU 5 e, ove pertinente, la strategia nazionale per la parità di genere.
Tra le più recenti attività del Parlamento europeo in materia si segnala l’approvazione di alcune risoluzioni. Tra queste:
- una risoluzione del 3 ottobre 2023 sulla garanzia di trasporti europei che rispondano alle necessità delle donne in cui si chiedono iniziative per garantire la sicurezza e l’incolumità delle donne sui mezzi di trasporto, nonché l’occupazione femminile nel settore;
- una risoluzione del 1° giugno 2023 sulle molestie sessuali nell’UE sulla diffusione di tale fenomeno negli Stati membri ed anche nelle istituzioni dell’UE;
- una risoluzione del 10 marzo 2022, sul terzo piano d'azione dell'Unione europea sulla parità di genere, incentrata su sette ambiti di intervento: l’eliminazione di tutte le forme di violenza di genere, la tutela dei diritti sessuali e riproduttivi delle donne e il loro accesso all'assistenza sanitaria; la promozione dell'uguaglianza in ambito socioeconomico e dell'autonomia di donne e ragazze;
- una risoluzione del 5 luglio 2022 sulla povertà femminile in Europa con cui, tra l’altro, si invitano l'UE e gli Stati membri a proteggere le donne che vivono in condizioni di povertà energetica nonché a stabilire migliori politiche di equilibrio tra vita professionale e vita privata e misure adeguate per garantire la partecipazione delle donne al mercato del lavoro (prevedendo ad esempio un migliore congedo di maternità, periodi di congedo di paternità significativamente più lunghi, un congedo parentale retribuito e non trasferibile, orari di lavoro flessibili, strutture di assistenza all'infanzia in loco, servizi di assistenza e politiche di lavoro a distanza). Nella risoluzione si osserva infine che il peggioramento della situazione sociale ed economica causato dalla pandemia di COVID-19 ha amplificato le forme di abuso e violenza nei confronti delle donne.
In base all’Indice 2023 sull’uguaglianza di genere nell’UE, strumento di misurazione dell’equilibrio tra i sessi elaborato dall’Istituto europeo per la parità di genere (EIGE) in una serie di domini chiave, gli Stati membri hanno ottenuto un risultato medio di 70,2 punti su 100, con un progresso rispetto all’anno precedente del 2,33% che costituisce il più alto incremento annuale mai raggiunto dall’indice.
L'Indice utilizza una scala da 1 a 100, dove 1 rappresenta la disuguaglianza totale e 100 l'uguaglianza totale. I punteggi si basano sul divario tra donne e uomini e sui livelli di rendimento in sei settori principali: lavoro, denaro, conoscenza, tempo, potere e salute.
Per la prima volta in 10 anni, con il contributo delle quote rosa in 8 Stati membri, il numero di donne nei parlamenti e nei consigli di amministrazione ha raggiunto quota 33%.
Tuttavia, in altri ambiti, ad esempio nelle attività di assistenza non retribuita e di cura, il divario perdura e se si assiste ad una sua riduzione ciò non si deve a ad un maggiore impegno degli uomini in tali mansioni, bensì al fatto che le donne ne svolgono di meno grazie al progresso delle tecnologie applicate all’assistenza e all’aumento del tasso di occupazione femminile.
Nonostante i progressi nel mercato del lavoro, questo appare ancora soggetto a segregazione di genere quanto lo era 10 anni fa. Se da una parte la partecipazione femminile aumenta nei settori delle scienze, delle tecnologie, dell’ingegneria e della matematica, dall’altra la percentuale di uomini che lavorano nel campo dell’istruzione, della salute e del benessere rimane invariata.
In particolare, le donne non sono sufficientemente coinvolte nel processo di riqualificazione professionale innescato dalla duplice transizione, digitale e verde, che richiede nuove competenze.
I punteggi per paese, illustrati dal grafico che segue, continuano a presentare un quadro eterogeneo. Tra i paesi con i migliori risultati figurano la Svezia, la Danimarca e i Paesi Bassi, sebbene i loro progressi verso la parità di genere siano in una fase di stallo, mentre altri come la Finlandia e la Francia registrano un calo. Al contrario, paesi come Italia, Portogallo, e Malta, che si attestano ancora su un punteggio inferiore alla media dell’UE, hanno registrato ampi miglioramenti negli ultimi 10 anni.
Fonte: EIGE
L'Italia si colloca al 13° posto nell'UE con 68,2 punti su 100 ed un punteggio complessivo di 2 punti inferiore alla media dell'UE.
Tuttavia, il punteggio dell'Italia è aumentato di 14,9 punti, dal 2010 ad oggi, migliorando di otto posizioni la sua collocazione rispetto agli altri paesi dell’UE e registrando il miglioramento più significativo tra tutti gli Stati membri. Dal 2020 il punteggio dell'Italia è aumentato di 3,2 punti.
Indice sull’uguaglianza di genere 2023 - Il dato italiano
Fonte: EIGE
Nell'ambito degli interventi di promozione dei diritti e delle libertà fondamentali, particolare attenzione è stata posta negli ultimi anni agli interventi volti a dare attuazione all'art. 51 della Costituzione, sulla parità di accesso tra donne e uomini alle cariche elettive, incidendo sui sistemi elettorali presenti nei diversi livelli istituzionali.
Ai sensi dell'articolo 51, primo comma, della Costituzione, tutti i cittadini dell'uno o dell'altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge. A seguito di una modifica del 2003 (L. Cost. n. 1/2003) è stato aggiunto un periodo secondo cui la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini.
L'articolo 117, settimo comma, Cost. (introdotto dalla L. Cost. n. 3/2001) prevede inoltre che "Le leggi regionali rimuovono ogni ostacolo che impedisce la piena parità degli uomini e delle donne nella vita sociale, culturale ed economica e promuovono la parità di accesso tra donne e uomini alle cariche elettive." Analogo principio è stato introdotto negli statuti delle regioni ad autonomia speciale dalla legge costituzionale n. 2 del 2001.
Nelle ultime legislature, infatti, sono state introdotte gradualmente misure normative volte a promuovere l'equilibrio di genere all'interno delle assemblee elettive europee, nazionali, regionali e locali (la L. n. 215/2012 per le elezioni comunali; la L. n. 56/2014 per le elezioni - di secondo grado - dei consigli metropolitani e provinciali; la L. n. 65/2014 per le elezioni del Parlamento europeo; la L. n. 20/2016 per le elezioni dei consigli regionali; la L. n. 165/2017 per le elezioni del Parlamento). Misure promozionali delle pari opportunità sono state inserite anche nei più recenti provvedimenti riguardanti la disciplina dei partiti politici.
Dalla modifica costituzionale dell'articolo 51 discendono anche le norme della legge finanziaria 2008, che, disponendo in tema di organizzazione del Governo nazionale, stabiliscono che la sua composizione deve essere coerente con il principio costituzionale delle pari opportunità nell'accesso agli uffici pubblici e alle cariche elettive (art. 1, commi 376-377, L. 244/2007).
Nelle elezioni dei membri del Parlamento europeo spettanti all'Italia del maggio 2019 hanno trovato applicazione per la prima volta le previsioni a regime introdotte dalla legge 22 aprile 2014, n. 65 per rafforzare la rappresentanza di genere. Tale legge prevede, in particolare:
Nel caso in cui risulti violata la disposizione sulla presenza paritaria di candidati nelle liste, l'ufficio elettorale procede dunque alla cancellazione dei candidati del sesso sovrarappresentato, partendo dall'ultimo, fino ad assicurare l'equilibrio richiesto. Se, all'esito della cancellazione, nella lista rimane un numero di candidati inferiore al minimo prescritto dalla legge, la lista è ricusata e non può conseguentemente partecipare alle elezioni.
Nel caso in cui risulti violata la disposizione sull'alternanza di genere tra i primi due candidati, l'ufficio elettorale modifica la lista, collocando dopo il primo candidato quello successivo di genere diverso.
Il sistema elettorale del Parlamento, definito dalla L. n. 165 del 2017, che prevede sia collegi uninominali da assegnare con formula maggioritaria, sia collegi plurinominali da assegnare con metodo proporzionale (sistema ‘misto'), detta alcune specifiche disposizioni in favore della rappresentanza di genere per le elezioni della Camera e del Senato.
In primo luogo, a pena di inammissibilità, nella successione interna delle liste nei collegi plurinominali, sia della Camera sia del Senato, i candidati devono essere collocati secondo un ordine alternato di genere (quindi 1-1).
Al contempo, è previsto che nel complesso delle candidature presentate da ogni lista o coalizione di liste nei collegi uninominali nessuno dei due generi - alla Camera a livello nazionale e al Senato a livello regionale - possa essere rappresentato in misura superiore al 60 per cento, con arrotondamento all'unità più prossima.
Inoltre, nel complesso delle liste nei collegi plurinominali nessuno dei due generi può essere rappresentato nella posizione di capolista in misura superiore al 60 per cento, con arrotondamento all'unità più prossima. Anche tale prescrizione si applica alla Camera a livello nazionale e al Senato a livello regionale. Il calcolo delle suddette quote è effettuato, secondo quanto specificato nelle Istruzioni per la presentazione e l'ammissione delle candidature a cura del Ministero dell'interno, riferendosi al numero delle candidature e non a quello delle persone fisiche.
Alla Camera l'Ufficio centrale nazionale assicura il rispetto di tali prescrizioni in sede di verifica dei requisiti delle liste (art. 22 T.U. Camera) comunicando eventuali irregolarità agli Uffici circoscrizionali al fine di apportare eventuali modifiche nella composizione delle liste, assumendo a tal fine rilevanza, anche l'elenco dei candidati supplenti. Al Senato, essendo tali prescrizioni stabilite a livello regionale, spetta all'Ufficio elettorale regionale assicurare il rispetto delle medesime.
Per un focus sull’applicazione della legge elettorale in termini di genere, si rinvia al dossier della collana “Documentazione e ricerche” su La partecipazione delle donne alla vita politica e istituzionale.
Per quanto riguarda la legislazione di contorno, il decreto-legge sull'abolizione del finanziamento pubblico diretto ai partiti (D.L. n. 149/2013, conv. dalla L. n. 13/2014) prescrive, ai fini dell'iscrizione nel registro dei partiti, una serie di requisiti per lo statuto dei partiti, tra i quali rientra l'indicazione delle modalità per promuovere, attraverso azioni positive, l'obiettivo della parità tra i sessi negli organismi collegiali e per le cariche elettive. L'articolo 9 del medesimo decreto disciplina inoltre espressamente la parità di accesso alle cariche elettive, sancendo il principio in base al quale i partiti politici promuovono tale parità.
La legge 15 febbraio 2016, n. 20 introduce, tra i principi fondamentali in base ai quali le Regioni a statuto ordinario sono tenute a disciplinare con legge il sistema elettorale regionale, l'adozione di specifiche misure per la promozione delle pari opportunità tra donne e uomini nell'accesso alle cariche elettive.
A tal fine, è stata modificata la legge n. 165/2004, che - in attuazione dell’articolo 122, primo comma, della Costituzione - stabilisce i principi fondamentali cui le regioni devono attenersi nella disciplina del proprio sistema elettorale.
A seguito delle modifiche introdotte, la legge nazionale non si limita a prevedere tra i principi, come stabilito nel testo originario, la "promozione della parità tra uomini e donne nell'accesso alle cariche elettive attraverso la predisposizione di misure che permettano di incentivare l'accesso del genere sottorappresentato alle cariche elettive", ma indica anche le specifiche misure adottabili, declinandole sulla base dei diversi sistemi elettorali per la scelta della rappresentanza dei consigli regionali.
Al riguardo, la legge prevede tre ipotesi:
L'entrata in vigore della legge del 2016 ha indotto le regioni, la cui legislazione elettorale non soddisfaceva gli elementi richiesti, ad introdurre le modifiche necessarie per adeguarsi alla normativa di principio.
In relazione al mancato adeguamento della legislazione elettorale è intervenuto successivamente il decreto-legge n. 86 del 2020, al fine di stabilire che il mancato recepimento nella legislazione regionale in materia di sistemi di elezione regionali dei principi fondamentali posti dall’articolo 4 della legge n. 165 del 2004 integra la fattispecie di mancato rispetto di norme di cui all'articolo 120 della Costituzione (che disciplina l'esercizio dei poteri sostitutivi) e, contestualmente, costituisce presupposto per l'assunzione delle misure sostitutive ivi contemplate.
Contestualmente il medesimo decreto (art. 1, co. 2-3) ha attivato il potere sostitutivo dello Stato nei confronti della regione Puglia a causa del mancato adeguamento della legislazione elettorale ai principi della L. n. 165/2014, per le elezioni del Consiglio regionale del 20 e 21 settembre 2020.
Per un quadro di sintesi delle disposizioni vigenti per ciascuna regione, si rinvia al dossier della collana “Documentazione e ricerche” su La partecipazione delle donne alla vita politica e istituzionale.
La disciplina della parità di genere nelle elezioni comunali è stata introdotta dalla legge 23 novembre 2012, n. 215, prevedendo per i consigli comunali una differenziazione di regime, graduando i vincoli e le sanzioni per la loro violazione, in ragione di tre diverse dimensioni dei comuni.
Nei comuni con popolazione compresa tra 5.000 e 15.000 abitanti e in quelli con popolazione superiore a 15.000 abitanti[3] la legge contempla una duplice misura volta ad assicurare il riequilibrio di genere:
Ø la previsione della c.d. quota di lista, in base al quale nelle liste dei candidati nessuno dei due sessi può essere rappresentato in misura superiore a due terzi (art. 71, co. 3-bis, secondo periodo e art. 73, co. 1, ultimo periodo, TUEL, come novellati da L. n. 215/2012);
Ø l’introduzione della c.d. doppia preferenza di genere, che consente all’elettore di esprimere due preferenze purché riguardanti candidati di sesso diverso, pena l’annullamento della seconda preferenza (art. 71, co. 5 e art. 73, co. 3, TUEL, come novellati da L. n. 215/2012).
In caso di violazione delle disposizioni sulla quota di lista, inoltre, è previsto un meccanismo sanzionatorio differenziato in relazione alle dimensioni del comune.
In particolare, nei comuni con popolazione superiore a 15.000 abitanti, la Commissione elettorale, in caso di mancato rispetto della quota, riduce la lista, cancellando i candidati del genere più rappresentato, partendo dall'ultimo, fino ad assicurare il rispetto della quota; la lista che, dopo le cancellazioni, contiene un numero di candidati inferiore al minimo prescritto dalla legge è ricusata e, dunque, decade.
Nei comuni con popolazione compresa fra 5.000 e 15.000 abitanti, la Commissione elettorale, in caso di mancato rispetto della quota, procede anche in tal caso alla cancellazione dei candidati del genere sovrarappresentato partendo dall’ultimo; la riduzione della lista non può però determinare un numero di candidati inferiore al minimo prescritto dalla legge. Per tali comuni, pertanto, si prevede la riduzione, ma non la decadenza della lista (art. 30, primo comma. lett. d-bis) ed e), d.P.R. n. 570 del 1960, come mod. da art. 2, co. 2, lett. a), n. 1), L. n. 215/2012).
Diversamente, nei comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti non è prevista né la quota di lista, né la doppia preferenza di genere, ma è disposto unicamente che “nelle liste dei candidati è assicurata la rappresentanza di entrambi i sessi” (art. 71, co. 3-bis, primo periodo, TUEL, introdotto dall’art. 2, co. 1, lett. c), n. 1), legge n. 215 del 2012). Tale disposizione è stata dichiarata incostituzionale con la sentenza 10 marzo 2022, n. 62 della Corte costituzionale, nella parte in cui non prevede l’esclusione delle liste elettorali che non assicurino la presenza di candidati di entrambi i sessi.
Secondo la Consulta le citate disposizioni si pongono in contrasto con gli articoli 3, secondo comma e 51, primo comma della Costituzione, in quanto inadeguate a promuovere le pari opportunità tra donne e uomini per l’accesso alle cariche elettive. Al contempo, la Corte ha ritenuto che l’esclusione delle liste che non assicurano la rappresentanza di entrambi i sessi costituisca una soluzione costituzionalmente adeguata a porvi rimedio. La Corte ha infine ricordato al legislatore che resta ferma la possibilità di individuare, nell’ambito della propria discrezionalità, altra soluzione congrua purché rispettosa dei principi costituzionali.
Per quanta riguarda gli esecutivi, la legge n. 215/2012 prevede inoltre che il sindaco nomina la giunta nel rispetto del principio di pari opportunità tra donne e uomini, garantendo la presenza di entrambi i sessi. Uguale disposizione è inserita nell'ordinamento di Roma capitale, per quanto riguarda la nomina della Giunta capitolina. Anche la legge n. 56/2014 è intervenuta su questo punto introducendo una disposizione più incisiva: nelle giunte comunali, nessuno dei due sessi può essere rappresentato in misura inferiore al 40 per cento, con arrotondamento aritmetico; sono esclusi dall'ambito di applicazione della norma i comuni con popolazione fino a 3.000 abitanti.
La legge n. 215/2012 ha inoltre modificato la norma che disciplina il contenuto degli statuti comunali e provinciali con riferimento alle pari opportunità. In particolare, è previsto che gli statuti stabiliscono norme per "garantire" - e non più semplicemente "promuovere" – la presenza di entrambi i sessi nelle giunte e negli organi collegiali non elettivi del comune e della provincia, nonché degli enti, aziende ed istituzioni da essi dipendenti.
Anche per i consigli metropolitani ed i consigli provinciali, come riformati dalla legge 7 aprile 2014, n. 56, vigono alcune disposizioni volte a promuovere la rappresentanza di genere. In particolare, la legge stabilisce che nelle liste nessuno dei due sessi può essere rappresentato in misura superiore al 60 per cento, con arrotondamento all'unità superiore per i candidati del sesso meno rappresentato, a pena di inammissibilità. Tale disposizione ha trovato applicazione a decorrere dal 2018 (art. 1, commi 27-28 e commi 71-72).
Non è prevista la possibilità della doppia preferenza di genere, in quanto ritenuta incompatibile con il sistema del voto ponderato.
I dati relativi alla presenza femminile negli organi costituzionali italiani hanno sempre mostrato una presenza contenuta nei numeri e molto limitata quanto alle posizioni di vertice.
In tale contesto, i risultati delle elezioni politiche del 2013 hanno presentato un segnale di inversione di tendenza: infatti, la media complessiva della presenza femminile nel Parlamento italiano, storicamente molto al di sotto della soglia del 30%, considerato valore minimo affinché la rappresentanza di genere sia efficace, è salita dal 19,5 della XVI legislatura al 30,1 per cento dei parlamentari eletti nella XVII legislatura. Tale tendenza si è rafforzata con le elezioni del 2018, in cui per la prima volta sono state sperimentate le misure previste dalla legge elettorale n. 165 del 2017 per promuovere la parità di genere nella rappresentanza politica (si v. supra). Nel 2018, infatti, sono state elette in Parlamento 334 donne, pari a circa il 35 per cento (di cui 225 alla Camera e 109 al Senato).
Nella XIX legislatura, la prima con la riduzione del numero dei parlamentari, la rappresentanza femminile è in lieve flessione, con un calo che si registra in entrambe le Camere: le donne elette in Parlamento sono circa il 33 per cento del totale (di cui 129 alla Camera e 69 al Senato). Questo risultato ci pone in linea con la media dei Paesi UE-27, che risulta pari al 33 per cento.
Di seguito, due grafici mostrano l'andamento storico della presenza delle donne in ciascun ramo del Parlamento[4].
Le donne componenti della Consulta Nazionale sono state 14; della Consulta faceva parte un numero variabile di membri (circa 400) alcuni di diritto, altri di nomina governativa, su designazione partitica e di altre organizzazioni. Le donne elette all'Assemblea Costituente, composta da 556 membri, sono state 21 (3,8 per cento).
Nella XII legislatura (la prima con il sistema elettorale maggioritario e con il sistema delle quote dichiarato poi illegittimo dalla Corte costituzionale) le donne elette alla Camera dei deputati sono state 95, di cui 43 elette con la quota maggioritaria e 52 con quella proporzionale, mentre nella XIII legislatura (senza l'applicazione del sistema delle quote) le donne elette alla Camera dei deputati sono scese a 70 (rispettivamente 42 e 28). Al Senato sono state elette nella XIII legislatura 26 donne. Nella XIV legislatura le donne elette alla Camera sono state 73. Al Senato le donne elette sono state 25. Le donne elette alla Camera nella XV legislatura sono state 108 (17,1 per cento) e le donne senatrici 44 (13,6 per cento). Nella XVI legislatura sono state elette alla Camera dei deputati 133 donne, al Senato 58. Nella XVII legislatura sono state elette alla Camera dei deputati 198 donne (31,4 per cento), al Senato 92 donne (28,8 per cento). Nella XVIII legislatura la percentuale di donne elette alla Camera risulta pari al 35,7% (225 su 630), in crescita rispetto alla precedente legislatura (+4,3%), la quale, a sua volta, aveva fatto registrare un incremento di circa il 10 per cento rispetto alla XVI legislatura; sono 109 le donne elette al Senato della Repubblica (34,9 per cento).
Nella XIX legislatura sono state elette: alla Camera, 129 donne (pari al 32,2 per cento) e, al Senato, 69 donne (34,5 per cento).
Tra i senatori a vita, quattro volte, nel 1982, nel 2001, nel 2013 e nel 2018, è stata nominata una donna: Camilla Ravera, Rita Levi Montalcini, Elena Cattaneo e Liliana Segre.
Quanto alle posizioni di vertice, per la prima volta nel 2022 in Italia è stata nominata una donna Presidente del Consiglio, mentre nessuna donna ha mai rivestito la carica di Capo dello Stato. Attualmente, nell'Unione europea, la carica di Primo ministro o Presidente del Consiglio è ricoperta da donne in 6 Stati, oltre l’Italia (Danimarca, Estonia, Francia, Finlandia, Lettonia e Lituania). Nel 2019, alla Presidenza della Commissione europea è stata eletta per la prima volta una donna.
La carica di Presidente della Camera è stata declinata al femminile nelle legislature VIII, IX e X, con l'elezione di Nilde Iotti, nella XII legislatura con l'elezione di Irene Pivetti e nella XVII con l'elezione di Laura Boldrini. Anche al Senato, per la prima volta nella XVIII legislatura, con l'elezione di Maria Elisabetta Alberti Casellati si è insediata una donna alla Presidenza del Senato.
Il grafico che segue individua le donne che, a partire dalla VII legislatura, sono state elette Presidenti di Commissioni permanenti.
I dati fino alla XVII legislatura sono tratti dal dossier "Parità vo cercando 1948-2018. Le donne italiane in settanta anni di elezioni", a cura dell'Ufficio valutazione impatto del Senato.
Nella XIX legislatura alla Camera, nessuna delle quattordici Commissioni permanenti è attualmente presieduta da una donna; al Senato la presidenza è assegnata ad una donna in due Commissioni su dieci (Commissione giustizia e Commissione esteri).
Dalla I alla XVII legislatura l'Italia ha avuto 64 governi e 28 Presidenti del Consiglio dei ministri.
Sulla base dei dati elaborati dall'Ufficio valutazione impatto del Senato, l'analisi degli incarichi di ministra, viceministra (la carica di viceministro è stata introdotta dalla legge n. 81 del 2001) o sottosegretaria conferiti in ciascun governo evidenzia che tredici governi sono stati composti esclusivamente da uomini. Solo dal 1983, con il governo Fanfani V, la presenza di donne è diventata costante. Su oltre 1.500 incarichi di ministro assegnati nei 64 governi della Repubblica, le donne ne hanno ottenuti 78 (più 2 interim). Di questi, 38 incarichi sono stati di ministro senza portafoglio. Alle donne sono stati affidati incarichi prevalentemente nei settori sociali, della sanità e dell'istruzione: ben 48 dicasteri su 80 (inclusi i 2 interim).
Di seguito si riporta un grafico con l'andamento storico delle nomine dalla I alla XVII legislatura, tratto dal dossier "Parità vo cercando 1948-2018. Le donne italiane in settanta anni di elezioni" (Documento di analisi n. 13).
Con riguardo alle ultime legislature, si ricorda che nella XVIII legislatura, si sono succeduti tre governi. Nel Governo Conte I (giugno 2018 - settembre 2019) sono state nominate 6 donne a guida di un ministero, di cui quattro senza portafoglio (Pubblica Amministrazione, Affari regionali e autonomie, Sud, Disabilità e famiglia, Difesa e Salute), su un totale di 19 ministri (31,6%). Le nomine dei sottosegretari hanno riguardato 5 donne su 47 (pari al 10,6%). Nella compagine del Governo Conte II (settembre 2019 – febbraio 2021) le ministre sono state 8 (Interno; Politiche agricole; Infrastrutture e trasporti; Lavoro e politiche sociali; Istruzione; Innovazione tecnologica e digitalizzazione; Pubblica amministrazione; Pari opportunità e famiglia) su un totale di 23 ministri (34,7%) e le sottosegretarie 14 su 42 (33%). Nel Governo Draghi (febbraio 2021 – ottobre 2022) si registra la partecipazione di 8 donne (34,7%) nella compagine dei 23 ministri (Interno; Giustizia; Università e ricerca; Affari regionali e autonomie; Sud e coesione territoriale; Politiche giovanili; Pari opportunità e famiglia; Disabilità). Le cariche di viceministro e sottosegretario ricoperte da donne sono 18 (43,9%) su un totale di 41.
Nell'attuale Governo Meloni, il primo nella storia repubblicana ad essere guidato da un Presidente del Consiglio donna, si registra la partecipazione di 6 donne (25%) nella compagine dei 24 ministri (Lavoro e Politiche sociali; Università e ricerca; Turismo; Riforme istituzionali e semplificazione normativa; Famiglia, Natalità, Pari opportunità; Disabilità). Le cariche di viceministro e sottosegretario ricoperte da donne sono 11 (28,9%) su un totale di 38.
In ambito UE-27, la media della donne al Governo è del 33,4%, con risultati molto diversi tra gli Stati. La presenza di donne nella compagine governativa va oltre la parità in Finlandia (63,2%), Paesi Bassi (55%), Belgio (53,3%), Spagna (52,2%), Francia e Portogallo (50%). Seguono la Svezia (45,8%), la Germania (41,2%), Lituania (40%) ed Estonia (38,5%). Nella composizione della Commissione europea la presenza femminile è pari al 48,1%: 12 donne e 14 uomini come commissari e, a partire dal 2019, per la prima volta la Commissione europea è presieduta da una donna (Ursula von der Leyen).
Per quanto riguarda la composizione della Corte costituzionale, nel 2019 è stata eletta per la prima volta come sua Presidente una donna, nella persona della giudice Marta Cartabia. Successivamente, è stata presidente della Corte anche Silvana Sciarra. Nella attuale composizione, dei quindici giudici costituzionali tre sono donne: Antonella Sciarrone Alibrandi, nominata nel 2023; Emanuela Navarretta e Maria Rosaria San Giorgio, nominate nel 2020. Nella storia della Consulta ci sono state altre cinque giudici donne: Fernanda Contri, giudice della Corte dal 1996 al 2005, Maria Rita Saulle, giudice dal 2005 al 2011, Marta Cartabia, giudice dal 2011 al 2020, Silvana Sciarra e Daria De Petris, entrambe giudici dal 2014 al 2023.
Per quanto riguarda la presenza femminile nel Parlamento europeo (PE) nelle prime cinque legislature le donne italiane elette risultavano sempre in percentuali inferiori al 15%. Come si rileva dal grafico successivo, con l'introduzione delle quote di lista nel sistema elettorale nelle elezioni del 2004, il numero delle donne italiane elette al Parlamento europeo è aumentato della metà, passando da 10 donne nella V legislatura (1999-2004) a 15 nella VI (2004-2009). In termini percentuali, la componente femminile è passata, nella VI legislatura, dall'11,5 per cento al 19,2 per cento ed è salita ulteriormente nella VII legislatura (2009-2014), dove le donne elette al Parlamento europeo sono risultate 16 su 72 seggi spettanti all'Italia (pari al 22,2%).
A partire dalle elezioni del 2014 è stata introdotta ed applicata dapprima la doppia preferenza di genere e dal 2019 la c.d. 'tripla preferenza di genere', in base alla quale, nel caso in cui l'elettore decida di esprimere tre preferenze, queste devono riguardare candidati di sesso diverso, pena l'annullamento della seconda e della terza preferenza. All'esito delle consultazioni elettorali, nel 2014 il numero delle donne italiane elette al PE risulta quasi raddoppiato, passando a 29 su 73 seggi spettanti all'Italia, pari al 39,7%. Il dato è ulteriormente migliorato con i risultati delle elezioni del 2019, in cui le donne italiane elette sono state 30, pari al 41,1% dei seggi spettanti all'Italia (in linea con la media delle donne al Parlamento europeo).
Anche il numero delle donne che ricoprono alte cariche nel Parlamento europeo è in crescita, seppur non in modo stabile. Nella legislatura corrente, è stata eletta per la terza volta una donna alla carica di Presidente del Parlamento (Roberta Metsola nel 2022). Inoltre 6 dei 14 vice-presidenti, 3 dei 5 questori e 7 dei 24 presidenti di Commissione e Sottocommissione sono donne.
Per quanto riguarda gli organi delle regioni, la presenza femminile nelle assemblee regionali italiane si attesta in media intorno al 23% a fronte della media registrata a livello UE, pari al 35,7%. Più alto il dato negli esecutivi regionali, dove le donne sono pari al 25,7%.
Per quanto concerne la carica di Presidente della regione, alla sola regione Umbria nella quale la carica è ricoperta da una donna, si è aggiunta ora la regione Sardegna, a seguito delle elezioni del 25 febbraio 2024.
La successiva tabella riporta la consistenza numerica e percentuale delle donne elette nei consigli e delle donne componenti delle giunte delle regioni e delle province autonome.
Nel numero dei consiglieri sono stati computati anche i membri di diritto (come il Presidente della regione); così anche nel numero dei componenti della giunta è compreso il Presidente della regione (fonte: elaborazione di dati tratti da siti web delle regioni e delle province).
(*) Nella Regione Sardegna, a seguito delle elezioni del 25 febbraio 2024, non si è ancora insediato il nuovo Consiglio, né è stata costituita la Giunta; i dati sono perciò riferiti gli organi in carica a tale data.
Negli enti locali, a seguito delle riforme tese a incentivare la parità di genere (si v., supra), la rappresentanza femminile risulta in crescita sotto il profilo diacronico, ma evidenzia in ogni caso una sottorappresentazione delle donne. In termini percentuali, la presenza femminile è cresciuta soprattutto a livello comunale, mentre l’incremento è più contenuto in ambito provinciale e metropolitano.
Considerata la media del triennio 2021-2023, la rappresentanza delle donne è pari a circa il 34% nelle assemblee dei comuni italiani (fonte: rielaborazione di dati 2021-2023 Anagrafe degli amministratori locali - Ministro dell'interno). Il dato medio di presenza femminile nelle stesse assemblee rilevato in ambito UE risulta pari al 34,5%. Più visibile la presenza delle donne nelle giunte comunali, in quanto la percentuale di donne che riveste la carica di assessore è pari a circa il 41 per cento.
Le donne sindache dal 14,9 per cento del 2021 si fermano al 15,3 per cento nel 2023.
Nella Relazione al Parlamento sul Bilancio di genere 2021 si evidenzia un trade-off tra l’incidenza della componente femminile degli eletti e il relativo livello di istruzione: le donne in carica negli organi politici degli enti territoriali italiani, pur essendo numericamente assai inferiori rispetto ai loro colleghi maschi, possiedono in generale titoli di studio più elevati.
Negli organi provinciali e metropolitani, la presenza delle donne è molto modesta (28,8 per cento è la presenza media nei consigli nel 2023), soprattutto tra gli eletti alla carica di presidente della provincia o di sindaco metropolitano (7,7 per cento di donne nel 2023), come mostra il grafico che segue.
Nelle autorità amministrative indipendenti, infine, su un totale di 38 componenti di diritto, 13 sono donne (pari al 34,2%). Due delle nove Autorità considerate è attualmente presieduta da una donna. In una autorità si registra una maggioranza di componenti donne.
Le autorità considerate sono quelle di cui all'art. 22 del D.L. 90/2014 (conv. L. 114/2014), che ha dettato alcune misure per la razionalizzazione delle autorità indipendenti: l'Autorità garante della concorrenza e del mercato, la Commissione nazionale per le società e la borsa, l'Autorità di regolazione dei trasporti, l'Autorità di regolazione per Energia Reti e Ambiente, l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, il Garante per la protezione dei dati personali, l'Autorità nazionale anticorruzione, la Commissione di vigilanza sui fondi pensione e la Commissione di garanzia dell'attuazione della legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali.
Si ricorda, infine, che è ricoperto da una donna il ruolo di Autorità garante per l'infanzia e l'adolescenza.
Tutti i dati relativi ai Paesi europei e alle medie UE, sono tratti dal Database dell'EIGE relativo alla sezione: Women and men in decision making.
Dal punto di vista normativo, grande è l’attenzione del legislatore al tema delle pari opportunità nell’accesso all’impiego alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, nonché nello svolgimento del rapporto di lavoro.
Il decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, reca, tra le finalità della disciplina dell'organizzazione degli uffici e dei rapporti di impiego, la realizzazione della migliore utilizzazione delle risorse umane nelle pubbliche amministrazioni curando la formazione e lo sviluppo professionale dei dipendenti e garantendo pari opportunità alle lavoratrici ed ai lavoratori, nonché l'assenza di qualunque forma di discriminazione e di violenza morale o psichica (art. 1, comma 1).
In particolare, i criteri di conferimento degli incarichi dirigenziali tengono conto delle condizioni di pari opportunità (art. 19, commi 4-bis e 5-ter).
Le amministrazioni pubbliche sono tenute a curare la formazione e l'aggiornamento del personale, ivi compreso quello con qualifiche dirigenziali, garantendo altresì l'adeguamento dei programmi formativi, al fine di contribuire allo sviluppo della cultura di genere della pubblica amministrazione (art. 7, comma 4).
Le pubbliche amministrazioni, al fine di garantire pari opportunità tra uomini e donne:
§ conformano le procedure di reclutamento del personale al rispetto delle pari opportunità tra lavoratrici e lavoratori (art. 35, co. 3);
§ riservano alle donne, salva motivata impossibilità, almeno un terzo dei posti di componente delle commissioni di concorso (art. 57, co. 1, lett. a));
§ adottano propri atti regolamentari per assicurare pari opportunità fra uomini e donne sul lavoro, conformemente alle direttive impartite dalla Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento della funzione pubblica (art. 57, co. 1, lett. b));
§ garantiscono la partecipazione delle proprie dipendenti ai corsi di formazione e di aggiornamento professionale in rapporto proporzionale alla loro presenza nelle amministrazioni, adottando modalità organizzative atte a favorirne la partecipazione, consentendo la conciliazione fra vita professionale e vita familiare (art. 57, co. 1, lett. c));
§ possono finanziare programmi di azioni positive e l’attività dei Comitati unici di garanzia (CUG) per la valorizzazione del benessere di chi lavora e contro le discriminazioni, nell'ambito delle proprie disponibilità di bilancio (art. 57, co. 1, lett. d)).
Nel Codice delle pari opportunità (adottato con D.Lgs. n. 198/2006), all’art. 31, comma 1, è sancito il divieto di discriminazioni nell’accesso agli impieghi pubblici, con una formulazione molto ampia, in base alla quale «la donna può accedere a tutte le cariche, professioni ed impieghi pubblici, nei vari ruoli, carriere e categorie, senza limitazioni di mansioni e di svolgimento della carriera, salvi i requisiti stabiliti dalla legge».
In concreto, per garantire le pari opportunità è necessario che la selezione non dia luogo a discriminazione, neanche indiretta: quest’ultima si ha, secondo l’art. 25, co. 2, del citato Codice, «quando una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento apparentemente neutri mettono o possono mettere i lavoratori di un determinato sesso in una posizione di particolare svantaggio rispetto ai lavoratori dell’altro sesso», a meno che essi non «riguardino requisiti essenziali allo svolgimento dell’attività lavorativa, purché l’obiettivo sia legittimo e i mezzi impiegati per il suo conseguimento siano appropriati e necessari».
Il Codice dispone altresì che, in occasione tanto di assunzioni quanto di promozioni, a fronte di analoga qualificazione e preparazione professionale tra candidati di sesso diverso, l'eventuale scelta del candidato di sesso maschile è accompagnata da un'esplicita ed adeguata motivazione.
Al fine di garantire un equilibrio di genere nelle pubbliche amministrazioni, il D.P.R. 487/1994 recante il Regolamento sull'accesso agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni e sulle modalità di svolgimento dei concorsi, come recentemente modificato dal D.P.R. 82/2023, prevede, al nuovo art. 6, che il bando di concorso indica, per ciascuna delle qualifiche messe a concorso, la percentuale di rappresentatività dei generi nell'amministrazione che lo bandisce, calcolata alla data del 31 dicembre dell'anno precedente. Qualora il differenziale tra i generi sia superiore al 30 per cento, si applica il titolo di preferenza in favore del genere meno rappresentato.
La promozione delle pari opportunità è inoltre uno degli obiettivi del decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150, in materia di produttività del lavoro pubblico. Il Sistema di misurazione e valutazione della performance organizzativa concerne infatti, tra l’altro, il raggiungimento degli obiettivi di promozione delle pari opportunità (art. 8). Nella valutazione della performance individuale non sono considerati i periodi di congedo di maternità, di paternità e parentale (art. 9, co. 3). Gli organismi indipendenti di valutazione della performance, di cui ogni amministrazione deve dotarsi, provvedono inoltre alla verifica dei risultati e delle buone pratiche di promozione delle pari opportunità (art. 14).
Il Codice per le pari opportunità prevede l’obbligo per le pubbliche amministrazioni di adottare piani di azioni positive (art. 48).
In particolare, le amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, le province, i comuni e gli altri enti pubblici non economici, sentite le organizzazioni sindacali e gli organismi preposti alla tutela delle pari opportunità, predispongono piani di azioni positive, definite come “misure alla rimozione degli ostacoli che di fatto impediscono la realizzazione di pari opportunità dirette a favorire l’occupazione femminile e realizzare l’uguaglianza sostanziale tra uomini e donne nel lavoro”.
Detti piani, fra l'altro, al fine di promuovere l'inserimento delle donne nei settori e nei livelli professionali nei quali esse sono sottorappresentate, favoriscono il riequilibrio della presenza femminile nelle attività e nelle posizioni gerarchiche ove sussiste un divario fra generi non inferiore a due terzi.
I piani hanno durata triennale. In base al Codice, in caso di mancato adempimento, le pubbliche amministrazioni non possono procedere all’assunzione di personale.
Il monitoraggio e la verifica sulla sua attuazione sono affidati prioritariamente al Comitato unico di garanzia per le pari opportunità.
In recepimento di direttive comunitarie, il legislatore ha stabilito (art. 21, L. 183/2010) che le pubbliche amministrazioni costituiscano al proprio interno il Comitato unico di garanzia per le pari opportunità, la valorizzazione del benessere di chi lavora e contro le discriminazioni (CUG), che ha assunto tutte le funzioni che la legge e i contratti collettivi previgenti attribuivano ai Comitati per le pari opportunità e ai Comitati paritetici sul fenomeno del mobbing.
Nell’ambito dell’amministrazione di appartenenza, il CUG esercita prevalentemente compiti propositivi, consultivi e di verifica sui risultati delle attività intraprese e opera in collaborazione con la consigliera o il consigliere nazionale di parità (art. 57, co. 01-05, D.Lgs. n. 165 del 2001).
La direttiva del 4 marzo 2011 del Ministro per la Pubblica Amministrazione e per l’Innovazione e del Ministro per le pari opportunità, contiene una serie di indicazioni riguardanti composizione, funzioni e metodologie di lavoro dei Comitati. Ulteriori indicazioni sono state fornite dalla direttiva n. 2 del 26 giugno 2019 al fine di rafforzare il ruolo dei CUG all’interno delle amministrazioni.
Nel portale CUG sono raccolti e consultabili i Piani Triennali di Azioni Positive delle Amministrazioni iscritte al portale e la Relazione di analisi e verifica delle informazioni relative allo stato di attuazione delle disposizioni in materia di pari opportunità, compilate dai CUG.
Le direttive ministeriali
La Presidenza del Consiglio – Dipartimenti della funzione pubblica e delle pari opportunità – ha adottato il 23 maggio 2007 una prima direttiva recante misure per attuare parità e pari opportunità tra uomini e donne nelle amministrazioni pubbliche, che ha fornito indicazioni per una piena attuazione del principio di pari opportunità.
In ragione degli indirizzi comunitari nel frattempo intervenuti e delle disposizioni nazionali entrate in vigore successivamente al 2007, le indicazioni operative per le pubbliche amministrazioni sono state riviste e aggiornate con la direttiva n. 2 del 26 giugno 2019, che ha sostituito integralmente la precedente.
Con riferimento all’ambito di applicazione, la direttiva si pone l’obiettivo di:
§ promuovere e diffondere la piena attuazione delle disposizioni vigenti;
§ aumentare la presenza delle donne in posizioni apicali;
§ sviluppare una cultura organizzativa di qualità tesa a promuovere il rispetto della dignità delle persone all’interno delle PA.
Le politiche di reclutamento e gestione del personale devono rimuovere i fattori che ostacolano le pari opportunità e promuovere la presenza equilibrata delle lavoratrici e dei lavoratori nelle posizioni apicali. Occorre, in particolare, evitare penalizzazioni nell'assegnazione degli incarichi, siano essi riferiti alle posizioni organizzative, alla preposizione agli uffici di livello dirigenziale o ad attività rientranti nei compiti e doveri d'ufficio, e nella corresponsione dei relativi emolumenti. A questo scopo le amministrazioni pubbliche, fra l’altro, devono:
§ rispettare la normativa vigente in materia di composizione delle commissioni di concorso, con l’osservanza delle disposizioni in materia di equilibrio di genere;
§ osservare il principio di pari opportunità nelle procedure di reclutamento (art. 35, comma 3, lett. c), del D.Lgs. n. 165 del 2001) per il personale a tempo determinato e indeterminato;
§ curare che i criteri di conferimento degli incarichi dirigenziali tengano conto del principio di pari opportunità;
§ monitorare gli incarichi conferiti sia al personale dirigenziale che a quello non dirigenziale, le indennità e le posizioni organizzative al fine di individuare eventuali differenziali retributivi tra donne e uomini e promuovere le conseguenti azioni correttive;
§ adottare iniziative per favorire il riequilibrio della presenza femminile nelle attività e nelle posizioni gerarchiche ove sussista un divario fra generi non inferiore a due terzi.
Per quanto riguarda l'organizzazione del lavoro, la direttiva rileva la necessità che essa sia progettata e strutturata con modalità che favoriscano, per i lavoratori e per le lavoratrici, la conciliazione tra tempi di lavoro e tempi di vita. A questo scopo le amministrazioni pubbliche devono:
§ attuare tutte le disposizioni normative e contrattuali in materia di lavoro flessibile e conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, attribuendo criteri di priorità per la fruizione delle relative misure;
§ garantire la piena attuazione della normativa vigente in materia di congedi parentali;
§ favorire il reinserimento del personale assente dal lavoro per lunghi periodi (maternità, congedi parentali ecc.) mediante il miglioramento dell’informazione fra amministrazione e lavoratori in congedo e la predisposizione di percorsi formativi che, attraverso orari e modalità flessibili, garantiscano la massima partecipazione di donne e uomini con carichi di cura;
§ promuovere progetti finalizzati alla mappatura delle competenze professionali.
Con riferimento alla formazione e cultura organizzativa delle amministrazioni, la direttiva sottolinea che deve essere orientata alla valorizzazione del contributo di donne e uomini e superare gli stereotipi. A questo scopo le amministrazioni pubbliche devono:
garantire la partecipazione dei propri dipendenti ai corsi di formazione e di aggiornamento professionale in rapporto proporzionale tale da garantire pari opportunità;
curare che la formazione e l'aggiornamento del personale, ivi compreso quello con qualifica dirigenziale anche apicale, contribuiscano allo sviluppo della "cultura di genere" innanzi tutto attraverso la diffusione della conoscenza della normativa a tutela delle pari opportunità, sui congedi parentali e sul contrasto alla violenza, inserendo moduli a ciò strumentali in tutti i programmi formativi;
avviare azioni di sensibilizzazione e formazione della dirigenza sulle tematiche delle pari opportunità;
produrre tutte le statistiche sul personale ripartite per genere. La ripartizione per genere non deve interessare solo alcune voci, ma tutte le variabili considerate (comprese quelle relative ai trattamenti economici e al tempo di permanenza nelle varie posizioni professionali) devono essere declinate su tre componenti: uomini, donne e totale;
utilizzare in tutti i documenti di lavoro un linguaggio non discriminatorio;
promuovere analisi di bilancio che mettano in evidenza quanta parte e quali voci del bilancio di una amministrazione siano (in modo diretto o indiretto) indirizzate alle donne, quanta parte agli uomini e quanta parte a entrambi. Si auspica pertanto che i bilanci di genere diventino pratica consolidata nelle attività di rendicontazione sociale delle amministrazioni.
Inoltre, le amministrazioni devono promuovere la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, eventualmente adottando anche apposite “Carte della conciliazione”, attraverso:
la valorizzazione delle politiche territoriali;
l’istituzione e l’organizzazione, anche attraverso accordi con altre amministrazioni pubbliche, di servizi di supporto alla genitorialità, aperti durante i periodi di chiusura scolastica;
la sperimentazione di sistemi di certificazione di genere; tali sistemi rappresentano uno strumento manageriale adottato su base volontaria dalle organizzazioni che intendono certificare il costante impegno profuso nell’ambito della valorizzazione delle risorse umane in un’ottica di genere e per il bilanciamento della vita lavorativa con la vita personale e familiare.
In relazione al monitoraggio e all’attuazione della direttiva, si prevede che entro il 1° marzo di ogni anno, l’amministrazione trasmette al CUG, secondo il format messo a disposizione dalla Presidenza del Consiglio dei ministri, le seguenti informazioni:
l’analisi quantitativa del personale suddiviso per genere e per appartenenza alle aree funzionali e alla dirigenza, distinta per fascia dirigenziale di appartenenza e per tipologia di incarico conferito ai sensi dell’articolo 19 del d.lgs. n. 165 del 2001;
l’indicazione aggregata distinta per genere delle retribuzioni medie, evidenziando le eventuali differenze tra i generi;
la descrizione delle azioni realizzate nell’anno precedente con l’evidenziazione, per ciascuna di esse, dei capitoli di spesa e dell’ammontare delle risorse impiegate;
l’indicazione dei risultati raggiunti con le azioni positive intraprese al fine di prevenire e rimuovere ogni forma di discriminazione, con l’indicazione dell’incidenza in termini di genere sul personale;
la descrizione delle azioni da realizzare negli anni successivi con l’evidenziazione, per ciascuna di esse, dei capitoli di spesa e dell’ammontare delle risorse da impegnare;
il bilancio di genere dell’amministrazione.
Tali informazioni confluiranno integralmente in allegato alla relazione che il CUG predispone entro il 30 marzo e saranno oggetto di analisi e verifica da parte del Comitato.
Entro il 30 marzo di ciascun anno la relazione dei CUG è indirizzata al Dipartimento della funzione pubblica e al Dipartimento per le pari opportunità, che elaborano un rapporto periodico di sintesi che deve essere pubblicato e distribuito a tutte le amministrazioni interessate.
In questo contesto normativo si colloca l’impegno assunto nel PNRR di rafforzare l’equilibrio di genere nell’organizzazione e nella gestione del rapporto di lavoro alle dipendenze delle PA. A tale impegno hanno fatto seguito specifiche novità normative.
Innanzitutto, il decreto legge n. 80/2021:
§ contiene disposizioni volte a garantire il rispetto del principio della parità di genere nella composizione delle commissioni esaminatrici delle procedure di selezione e reclutamento disciplinate dal decreto (articolo 1, comma 12);
§ prevede che «il piano di reclutamento di personale a tempo determinato, il conferimento di incarichi di collaborazione da parte delle P.A., le assunzioni, mediante contratto di apprendistato, le mobilità e le progressioni di carriera, nonché tutte le altre modalità di assunzione, escluse quelle per concorso, di cui al presente decreto sono attuati assicurando criteri orientati al raggiungimento di un’effettiva parità di genere (articolo 17-quater);
§ stabilisce che le amministrazioni debbano assicurare la parità di genere quando invitano i candidati ai colloqui selettivi nell’attribuzione di incarichi a esperti e professionisti ai fini dell’attuazione dei progetti del PNRR (articolo 1, comma 8);
§ introduce il Piano Integrato di Attività e Organizzazione (PIAO), un documento unico di programmazione e governance delle singole amministrazioni, che supera la frammentazione degli strumenti di programmazione fino ad allora in uso, accorpando, tra gli altri, il Piano delle Azioni Positive (articolo 6). Il PIAO, tra gli altri contenuti, deve infatti individuare modalità ed azioni per la piena parità di genere, anche con riguardo alla composizione delle commissioni esaminatrici dei concorsi.
Inoltre, al fine di assicurare la parità di genere anche negli appalti, il PNRR ha previsto altresì che tra i requisiti necessari dell’offerta in risposta ad un bando vi sia l’assunzione dell’obbligo da parte dell’offerente di assicurare all’occupazione femminile una quota pari almeno al 30 per cento delle assunzioni necessarie per l’esecuzione del contratto.
Stante tale previsione – attuata con l’art. 47 del D.L. n. 77 del 2021 – il nuovo Codice degli appalti (D.Lgs. 36/2023) prevede:
- una riduzione fino ad un massimo del 20 per cento della garanzia provvisoria (la apposita garanzia fideiussoria della quale deve essere corredata l'offerta) per gli operatori economici in possesso della medesima certificazione di genere;
- un maggior punteggio da attribuire alle imprese per l'adozione di politiche tese al raggiungimento della parità di genere comprovata dal possesso della relativa certificazione;
- l’esclusione dalla gara in caso di mancata presentazione del Rapporto biennale sulla situazione del personale.
Infine, nell’ambito della riforma del pubblico impiego, il decreto-legge 30 aprile 2022, n. 36 (c.d. decreto PNRR 2) ha introdotto una disposizione a regime in base alla quale (articolo 5), al fine di dare effettiva applicazione al principio della parità di genere nell’organizzazione e gestione del rapporto di lavoro, le amministrazioni adottano misure che attribuiscano vantaggi specifici ovvero evitino o compensino svantaggi nelle carriere al genere meno rappresentato.
Al fine di fornire più precise indicazioni su tali misure e su tali criteri il Dipartimento della funzione pubblica, di concerto con il Dipartimento delle pari opportunità ha adottato specifiche linee guida con provvedimento del 6 ottobre 2022 (c.d. Gender Gap).
Tale documento fornisce raccomandazioni e suggerimenti operativi per la misurazione del fenomeno della parità di genere, per assicurare una più ampia partecipazione femminile nelle procedure di reclutamento e selezione, per accrescere la cultura manageriale di genere, nonché per regolamentare l’organizzazione del lavoro in chiave non discriminatoria.
Con l’intento di promuovere le politiche relative ai diritti e alle pari opportunità, l’articolo 19, comma 3, del D.L. n. 223/2006 ha istituito, presso la Presidenza del Consiglio, un Fondo per le politiche relative ai diritti e alle pari opportunità[5], dotandolo di 3 milioni di euro per l’anno 2006 e di 10 milioni di euro a decorrere dall’anno 2007. Tale autorizzazione è stata successivamente incrementata sulla base di singole disposizioni nell'ambito delle manovre finanziarie, come evidenziato nella tabella e nel grafico sottostanti.
in milioni di euro
Cap. 2108/MEF |
||
|
Previsioni iniziali |
Previsioni definitive |
2006 |
3,0 |
3,0 |
2007 |
50,0 |
50,0 |
2008 |
64,4 |
64,4 |
2009 |
30,0 |
32,8 |
2010 |
4,3 |
4,2 |
2011 |
18,1 |
15,2 |
2012 |
11,0 |
10,8 |
2013 |
11,4 |
31,3 |
2014 |
32,1 |
34 |
2015 |
32,3 |
32 |
2016 |
30,9 |
30,9 |
2017 |
70,1 |
69,5 |
2018 |
69,2 |
69,2 |
2019 |
62,3 |
62,2 |
2020 |
60,2 |
72,1 |
2021 |
66,9 |
66,9 |
2022 |
93,4 |
85,4 |
2023 |
86,8 |
|
2024 |
116,4 |
|
La Tabella illustra gli stanziamenti – iniziali e definitivi - del Fondo. Per gli esercizi 2023 e 2024 sono presi in considerazione solo i dati relativi alle previsioni iniziali.
La dotazione del Fondo è stata oggetto di una serie di interventi legislativi che si sono susseguiti nel corso degli anni e che ne hanno ampliato le finalizzazioni in quota parte.
In particolare, già a partire dal 2007, la dotazione del Fondo è stata finalizzata parzialmente in favore delle politiche di prevenzione e contrasto della violenza sessuale e di genere.
Il Fondo per le politiche di pari opportunità nella legislazione finanziaria
La legge finanziaria 2007 (L. n. 296/2006, art. 1, comma 1261), ha incrementato il Fondo di 40 milioni di euro per ciascuno degli anni 2007, 2008 e 2009. La disposizione ha inoltre stabilito che una quota parte dell’incremento fosse destinata al Fondo nazionale contro la violenza sessuale e di genere, successivamente istituito presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento per i Diritti e le Pari Opportunità.
La legge finanziaria 2008 (L. n. 244/2007) ha rideterminato lo stanziamento per il Fondo in 44,4 milioni per il 2008, a 44,4 milioni per il 2009 e a 4,9 milioni per il 2010, nonché ha istituito, per il solo anno 2008, un fondo con una dotazione di 20 milioni di euro, destinato ad un Piano contro la violenza alle donne, le cui risorse sono confluite nel citato cap. 2108 dello stato di previsione del Ministero dell’economia. Pertanto, la legge di bilancio 2008 (legge n. 245/2007) esponeva sul capitolo 2108 uno stanziamento pari a 64,4 milioni per il 2008.
La legge finanziaria 2009 (L. n. 203/2008) ha rideterminato lo stanziamento del Fondo nella misura di circa 30,0 milioni nel 2009, di 3,3 milioni nel 2010 e di 2,5 milioni nel 2011. Inoltre l’articolo 10, comma 5 del D.L. n. 39/2009 destinava 3 milioni di euro del Fondo pari opportunità per l’anno 2009 al sostegno alla ricostruzione di centri di accoglienza per le donne e le madri in situazioni di difficoltà nelle zone dell’aquilano colpite dal sisma dell’aprile 2009.
Nel corso dell’esercizio 2009, l’articolo 13, comma 3 del D.L. n. 11/2009[6] (legge n. 38/2009), ha autorizzato la spesa di 1 milione di euro a decorrere dal 2009 per l’istituzione presso la Presidenza del Consiglio - Dipartimento pari opportunità del numero verde per le vittime degli atti persecutori mediante l’utilizzo del Fondo pari opportunità. L’articolo 6, comma 2 del medesimo D.L. n. 11/2009 (legge n. 38/2009) ha disposto un rifinanziamento del Fondo di 3 milioni di euro per il 2009 al sostegno e alla diffusione sul territorio dei progetti di assistenza alle vittime di violenza sessuale e di genere (articolo 1, comma 1261, legge n. 296/2006).
La legge finanziaria 2010 (L. n. 191/2009) ha rideterminato lo stanziamento in 4,3 milioni per il 2010, per il 2011 in 2,4 milioni e per il 2012 in 2,4 milioni.
La legge di stabilità 2011 (L. n. 220/2010) ha ridefinito le risorse del Fondo in circa 18,1 milioni per ciascuno degli anni 2011, 2012 e 2013.
La legge di stabilità 2012 (L. n. 183/2011) ha rideterminato le risorse del Fondo in circa 10,5 milioni per il 2012, in 11,6 milioni per il 2013 e in 12,8 milioni per il 2014.
La legge di stabilità 2013 (L. n. 228/2012) ha rideterminato lo stanziamento del Fondo in 10,8 milioni per il 2013, in 11,6 milioni per il 2014 e in 11,7 milioni per il 2013.
Importanti misure sono state adottate con il D.L. 93/2013 (conv. L. n. 119/2013) che:
ü ha disposto un incremento del predetto Fondo di 10 milioni di euro, limitatamente all'anno 2013, vincolati al finanziamento del piano contro la violenza di genere (art. 5, comma 4). Per gli anni 2014, 2015, e 2016 ha provveduto la legge di stabilità 2014, aumentando ulteriormente il Fondo di 10 milioni per ciascuno di questi anni, con vincolo di destinazione al piano medesimo (art. 1, comma 217, L. n. 147/2013). Per il triennio 2017-2019 è intervenuta la legge di bilancio 2017, che ha aumentato di 5 milioni di euro per ciascun anno del triennio la dotazione finanziaria del Fondo sempre in favore del Piano (art. 1, co. 359, L. n. 232/2016). Per il triennio 2019-2022 la legge di bilancio 2020 ha incrementato la dotazione del Fondo di 4 milioni di euro per ciascun anno del triennio per la realizzazione del piano (L. n. 160 del 2019);
ü ha incrementato il Fondo di 10 milioni di euro per il 2013, di 7 milioni per il 2014 e di 10 milioni annui a decorrere dal 2015 per il potenziamento delle forme di assistenza e di sostegno alle donne vittime di violenza e ai loro figli attraverso il rafforzamento della rete dei servizi territoriali, dei centri antiviolenza e dei servizi di assistenza alle donne vittime di violenza (art. 5-bis, co. 2).
Successivamente, le leggi di bilancio 2017 (L. n. 232 del 2016) e 2018 (L. n. 205 del 2017) hanno disposto, con interventi di sezione seconda, un rifinanziamento del Fondo per le politiche di pari opportunità di circa 40 milioni di euro annui aggiuntivi fino al 2020.
La legge di bilancio 2017 (art. 1, co. 358) aveva altresì stabilito la possibilità di destinare risorse aggiuntive in favore delle politiche di pari opportunità, nel limite massimo di 20 milioni di euro per il 2017, a valere sulle risorse dei pertinenti programmi operativi cofinanziati dai fondi strutturali 2014/2020. Tale disposizione era prevista per il solo 2017.
La legge di bilancio 2019 (L. n. 145 del 2018) ha operato con interventi di sezione seconda un definanziamento del Fondo di 1,75 milioni di euro nel 2019, nonché di 1,78 mln nel 2020 e 1,79 nel 2021, facendo risultare le previsioni del bilancio integrato pari a 62,3 milioni di euro per il 2019.
La legge di bilancio 2020 (L. n. 160 del 2019), da un lato, ha operato, con interventi di sezione seconda, un definanziamento di 1,28 milioni di euro nel 2020, nonché di 1,44 mln nel 2021 e 2,2 nel 2022 delle previsioni a legislazione vigente. Al contempo, la dotazione del Fondo è stata incrementata di 0,1 milioni di euro per l’anno 2020 per l’attuazione delle nuove disposizioni sul numero telefonico nazionale anti violenza e anti stalking (art. 1, co. 352), nonché di 4 milioni di euro, per ciascuno degli anni del triennio 2019-2022, al fine di finanziare il Piano d’azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere (art. 1, co. 353).
Tra gli interventi legislativi approvati nel corso degli ultimi anni, che prevedono una specifica destinazione delle risorse del Fondo, si ricorda in particolare che:
ü il decreto legge n. 34 del 2020, il c.d. decreto legge rilancio, ha incrementato la dotazione del Fondo di 4 milioni di euro a decorrere dal 2020 (art. 105-quater)[7] al fine di finanziare politiche per la prevenzione e il contrasto della violenza per motivi legati all'orientamento sessuale e all'identità di genere e per il sostegno delle vittime. Nei limiti delle risorse stanziate, è istituito un programma per la realizzazione in tutto il territorio nazionale di centri contro le discriminazioni motivate da orientamento sessuale e identità di genere, che garantiscono adeguata assistenza legale, sanitaria, psicologica, di mediazione sociale e ove necessario adeguate condizioni di alloggio e di vitto alle vittime, nonché a soggetti che si trovino in condizione di vulnerabilità legata all'orientamento sessuale o all'identità di genere in ragione del contesto sociale e familiare di riferimento;
ü con un’ulteriore disposizione (art. 105-bis), il medesimo D.L. n. 34 del 2020 ha integrato il Fondo con 3 milioni di euro per il 2020, finalizzando le risorse incrementali a contenere i gravi effetti economici derivanti dal COVID-19 sulle donne in condizione di maggiore vulnerabilità e a favorire, attraverso l’indipendenza economica, percorsi di autonomia e di emancipazione delle donne vittime di violenza in condizione di povertà. Per la medesima finalità la legge di bilancio 2021 (L. n. 178 del 2020) ha destinato 2 mln di euro per ciascuno degli anni 2021 e 2022 (art. 1, comma 28);
- il decreto legge n. 104 del 2020 (articolo 26-bis), ha incrementato la dotazione del Fondo di un ulteriore milione di euro a decorrere dal 2020, destinando tale incremento esclusivamente all’istituzione e al potenziamento dei centri di riabilitazione per uomini maltrattanti.
La legge di bilancio 2022 (L. n. 234 del 2021) ha incrementato il Fondo:
ü di 5 milioni di euro a decorrere dal 2022 per il finanziamento del Piano strategico di genere (art. 1, co. 139-148);
ü di 5 milioni di euro a decorrere dal 2022 per il finanziamento del Piano strategico nazionale contro la violenza di genere (art. 1, co. 149-150);
ü di 2 milioni di euro per il 2022, per misure di recupero degli uomini autori di violenze (art. 1, co. 661-667);
ü di 5 milioni di euro per l'anno 2022, destinando tali risorse ai centri antiviolenza e alle case rifugio (art. 1, co. 668);
- di 5 milioni di euro per il 2022 per l’istituzione e il potenziamento dei centri di riabilitazione per uomini maltrattanti (art. 1, co. 669) e di ulteriori 5 milioni per il 2022 al fine di favorire, attraverso l'indipendenza economica, percorsi di autonomia e di emancipazione delle donne vittime di violenza in condizione di povertà (art. 1, co. 670).
Il Fondo è stato ulteriormente rifinanziato, per il 2023, di circa 13 milioni di euro con la legge di bilancio 2023 (L. n. 199 del 2022), destinati alle diverse finalità. In particolare, la legge:
ü ha incrementato – portandole da 5 a 15 milioni di euro annui a decorrere dal 2023 - le risorse del fondo al fine di potenziare le azioni previste dal Piano strategico nazionale contro la violenza sulle donne (art. 1, co. 338);
ü ha stanziato 2 milioni di euro per il 2023 e 7 milioni di euro annui dal 2024 per l’attuazione del Piano nazionale d'azione contro la tratta e il grave sfruttamento degli esseri umani (co. 339);
ü ha incrementato il Fondo rispettivamente di 4 milioni di euro per il 2023 e di 6 milioni di euro annui dal 2024 - da destinare al potenziamento dell’assistenza e del sostegno alle donne vittime di violenza – e di 1,85 milioni di euro per il 2023 da destinare al c.d. reddito di libertà delle donne vittime di violenza (co. 340 e 341).
Da ultimo, con la manovra finanziaria per il 2024 (legge n. 213/2023) si prevede un rifinanziamento del Fondo per complessivi 22 milioni di euro, così destinati:
ü un finanziamento permanente, pari a 10 milioni di euro per ciascuno degli anni 2024-2026 e a 6 milioni annui a decorrere dal 2027, in favore del c.d. reddito di libertà per le donne vittime di violenza (art. 1, co. 187);
ü l’incremento da 1 a 4 milioni di euro per ciascuno degli anni 2024-2026 della quota del Fondo riservata all'istituzione e al potenziamento dei centri di riabilitazione per il recupero degli uomini autori di violenza di genere (art. 1, co. 188);
ü il rifinanziamento – pari a 5 milioni di euro per ciascuno degli anni 2024-2026 – delle risorse del Fondo destinate alla realizzazione di centri contro la violenza nei confronti delle donne (art. 1, co. 189);
ü l’incremento di 3 milioni di euro dal 2024 delle risorse del Fondo al fine di rafforzare la prevenzione della violenza nei confronti delle donne e della violenza domestica, in particolare attraversi iniziative formative (art. 1, co. 190).
All’esito di tali più recenti interventi le previsioni di spesa per la promozione e la garanzia delle pari opportunità risultano pari a 116,4 milioni di euro per il 2024, 115,2 milioni per il 2025 e 115,2 milioni di euro per il 2026.
Occorre infine segnalare che negli ultimi anni si nota una tendenza del legislatore a moltiplicare gli strumenti diretti di finanziamento delle politiche di genere, mediante la creazione di nuovi Fondi gestiti da diverse amministrazioni.
Senza pretesa di esaustività si ricordano:
- il Fondo a sostegno dell'impresa femminile, con una dotazione di 20 milioni di euro per ciascuno degli anni 2021 e 2022, destinato al fine di promuovere e sostenere l'avvio e il rafforzamento dell'imprenditoria femminile (art. 1, co. 97, L. n. 178 del 2020);
- il Fondo per il sostegno della parità salariale di genere, con una dotazione di 2 milioni di euro per l'anno 2022 e di 52 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2023 (art. 1, co. 276, L. n. 178 del 2020);
- il Fondo contro le discriminazioni e la violenza di genere, con una dotazione di 2.000.000 di euro annui per ciascuno degli anni 2021, 2022 e 2023 (art. 1, co. 1134, L. n. 178 del 2020);
- il Fondo per le attività di formazione propedeutiche all'ottenimento della certificazione della parità di genere, con una dotazione di 3 milioni di euro per l'anno 2022 (art. 1, comma 660, L. n. 234 del 2021);
- il Fondo per il professionismo negli sport femminili (art. 12-bis, D.L. n. 104 del 2020, confluito in art. 39, D.Lgs. n. 36/2021) al fine di promuovere il professionismo nello sport femminile ed estendere alle atlete le condizioni di tutela previste dalla normativa;
- il Fondo per la formazione personale delle casalinghe e dei casalinghi, con una dotazione di 3 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2020, finalizzato alla promozione di attività di formazione, svolte da enti pubblici e privati, di coloro che svolgono attività nell'ambito domestico, in via prioritaria delle donne (art. 22, D.L. n. 104 del 2020);
- il Fondo per la creazione di case rifugio per donne vittime di violenza, con una dotazione di 20 milioni di euro per ciascuno degli anni 2024-2026, destinati alla realizzazione e all’acquisto di immobili da adibire a case rifugio (art. 1, co. 194, L. n. 213 del 2023).
I divari di genere del personale delle amministrazioni centrali possono essere monitorati annualmente tramite il “Conto annuale della Ragioneria dello Stato”, che espone i dati sulla consistenza (oltre che sui costi) del personale delle P.A.
Gli ultimi dati (pubblicati nel 2023) si riferiscono al 2021 e da essi emerge che i dipendenti pubblici in Italia sono circa 3 milioni e 240 mila. Le donne sono il 58% del totale e mediamente le lavoratrici pubbliche sono più scolarizzate dei dipendenti di sesso maschile: tra i laureati in particolare le donne sono il 60 per cento.
Nonostante la presenza femminile maggioritaria, che pur non omogenea si va affermando in diversi comparti del settore pubblico, le lavoratrici donne hanno più difficoltà rispetto ai loro colleghi a vedersi riconoscere posizioni di vertice, seppur in modo diverso a seconda del settore di riferimento. Persiste inoltre un significativo gender gap in rilevanti istituzioni i cui componenti sono nominati o eletti da organi politici, cioè dal Governo, dal Parlamento in seduta comune, dalle Camere o dai loro Presidenti (autorità indipendenti, enti pubblici, ecc.)[8].
È il problema del c.d. soffitto di cristallo (glass ceiling), ossia la deficitaria presenza delle donne nei ruoli dirigenziali e di vertice, che anche nel settore pubblico, come emerge nei paragrafi che seguono.
Dal confronto dei dati relativi alla composizione di genere, negli ultimi anni è senz’altro emerso un processo di «discreta ‘femminilizzazione’ della dirigenza pubblica». Infatti, le donne dirigenti nell’ambito delle pubbliche amministrazioni statali (Ministeri e Presidenza del Consiglio) sono passate dal 39% nel 2008 al 48,3% del personale dirigente nel 2021.
L’incremento nell’incidenza femminile tra i dirigenti è dipeso da due fattori in particolare: da un lato è da collegare ai pensionamenti intervenuti tra il 2008 e il 2021 che hanno riguardato in maniera predominante gli uomini e che hanno anche determinato una riduzione nella numerosità complessiva dei dirigenti. Dall’altro, nel periodo considerato è aumentata comunque la quota delle donne tra gli assunti[9].
Passando dal contesto evolutivo ai dati del Conto annuale relativi alla dirigenza generale e apicale dello Stato centrale (2021), si registra che nei Ministeri, escludendo i dirigenti delle professionalità sanitarie, su un totale di 2.304 dirigenti, le donne sono 1.061 (46%). Nelle agenzie fiscali la presenza femminile nella dirigenza si attesta al 33,7%; negli enti pubblici statali non economici al 40,6%; presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri la percentuale sale al 48,1%. Infine, nell’ambito delle autorità indipendenti, le dirigenti donne rappresentano il 40% del totale.
Personale dirigente per tipologia di amministrazione statale e composizione di genere |
|||
Uomini |
Donne |
||
Ministeri |
1.243 |
1.061 |
|
Agenzie fiscali |
370 |
188 |
|
Enti pubblici non economici |
450 |
308 |
|
Presidenza del Consiglio dei ministri |
138 |
128 |
|
Autorità indipendenti |
150 |
100 |
|
Fonte: elaborazione su dati Rgs - Conto annuale 2021 |
Nell’ambito della dirigenza apicale di Ministeri e Presidenza del Consiglio (dirigenti di prima fascia), le donne rappresentano il 37,2 per cento del totale.
Solo il Ministero della Difesa è a maggioranza femminile (77,8%), mentre per tutti gli altri dicasteri, nonché per la Presidenza del Consiglio, la presenza femminile nelle posizioni apicali è minoritaria, se non addirittura assente, come mostrato dalla figura che segue.
Composizione dirigenti di I fascia, per genere e amministrazione (Ministeri e Presidenza del Consiglio di ministri). Anno 2021 – Relazione bilancio di genere 2022
Appartengono alla carriera prefettizia 967 unità di personale (dati Conto annuale 2021). Nel complesso le dipendenti donne sono più numerose, circa il 57,2 per cento del totale (554 contro 413 uomini); le percentuali si mantengono alte nel grado di viceprefetto e viceprefetto aggiunto (le donne sono rispettivamente circa il 63% e il 57% del totale).
La situazione è diversa quando si considera il grado di prefetto: in questo caso è predominante la componente maschile mentre le donne sono 57 su 156 (pari al 36,5%).
Ai vertici della carriera diplomatica[10] la presenza femminile resta inferiore rispetto a quella registrata nelle altre aree professionali interne all’amministrazione degli affari esteri. Le donne rappresentano infatti il 24,5% dei diplomatici in carriera, seppur occorre segnalare che si registra un tendenziale aumento nel medio-lungo periodo[11].
Come mostrano i dati disaggregati, nel 2022 nei gradi apicali della diplomazia italiana si registra la presenza di 6 ambasciatrici di grado, nella perdurante prevalenza della componente maschile (storicamente riconducibile alla data di ingresso nella carriera diplomatica delle donne, che hanno avuto accesso a tale concorso solo a partire dal 1967). Negli altri gradi della carriera diplomatica sono 28 le Ministre Plenipotenziarie, 61 le Consigliere d’Ambasciata, 53 le Consigliere di Legazione e 108 le Segretarie di Legazione, per un totale di 256 donne su 1.046 funzionari appartenenti alla carriera diplomatica.
Le donne hanno accesso alla magistratura ordinaria dal 1965. Risale a tale anno infatti il primo concorso che - in attuazione della legge n. 66 del 1963, che ha introdotto l’accesso delle donne a tutte le cariche ed impieghi pubblici – vede vincitrici 27 donne, pari al 6% del totale dei vincitori.
Da allora, la percentuale di donne vincitrici del concorso è costantemente cresciuta fino ad arrivare, per la prima volta nel 1987, a superare la percentuale degli uomini. Questo trend ha determinato, a partire dal 2015, la preminenza nei ruoli della magistratura ordinaria delle donne sugli uomini.
Al 6 marzo 2023, su un totale di 9.534 magistrati ordinari si registra la presenza di 5.321 donne, pari al 55,8% del totale.
Magistratura ordinaria
|
Feb-23 |
Feb-22 |
Feb-21 |
Feb-20 |
Feb-19 |
donne |
5.321 |
5.283 |
5.217 |
5.308 |
5.061 |
uomini |
4.213 |
4.293 |
4.335 |
4.479 |
4.482 |
totale |
9.534 |
9.576 |
9.552 |
9.787 |
9.543 |
Fonte: CSM, Ufficio statistico. Dati elaborati dal Servizio Studi
Le percentuali crescenti di presenza delle donne in magistratura non hanno finora trovato riscontro nell’assegnazione degli incarichi direttivi e semidirettivi, rispetto ai quali è ancora prevalente il genere maschile: sono uomini il 70,7% dei magistrati che esercitano funzioni direttive (con un dato tuttavia in calo rispetto al 72,6% del 2022) e quasi il 54% dei magistrati che esercitano funzioni semidirettive (in lieve calo rispetto al 55% del 2022).
Fonte: CSM, Ufficio statistico
Anche nelle assegnazioni degli incarichi, tuttavia, la tendenza in atto soprattutto negli ultimi anni, evidenziata nelle tabelle seguenti, dimostra che il divario tra uomini e donne si sta riducendo.
Funzioni direttive
Funzioni semidirettive
Per approfondimenti sulla distribuzione per genere del personale di magistratura si rinvia alle pubblicazioni dell’Ufficio statistico del Consiglio Superiore della Magistratura.
Tuttavia, un importante segnale è stato dato dal plenum del CSM che, nella seduta del 1° marzo 2023, ha nominato all’unanimità la prima donna alla carica di Primo Presidente della Corte di cassazione nella persona della giudice Margherita Cassano. La nomina a tale ruolo implica che per la prima volta una donna, in qualità di membro di diritto del Consiglio Superiore della magistratura[12], sarà componente del Comitato di presidenza del CSM, ovvero dell'organo che si occupa dell'organizzazione e del funzionamento del collegio e che è composto dai membri di diritto e dal vicepresidente.
Per quanto riguarda più in generale i membri del CSM, la componente femminile ha sempre rappresentato una esigua minoranza sia tra i membri laici che tra i membri togati del Consiglio.
Nella consiliatura appena insediatasi (2023-2027) a seguito delle elezioni avvenute dopo la riforma (legge n. 71 del 2022) che ha riportato a 30 i membri elettivi (di cui 20 appartenenti alla magistratura e 10 eletti dal Parlamento) del CSM, le donne elette risultano essere 9: 5 “togate” e 4 “laiche”.
In precedenza, nelle consiliature successive alla riforma del 2002, in cui i componenti elettivi del Consiglio erano 24 (16 togati scelti dai magistrati e 8 eletti dal Parlamento), le donne elette erano state:
- 2 nel 2002 (una togata e una laica),
- 6 nel 2006 (4 togate e 2 laiche),
- 2 nel 2010 (entrambe togate, il Parlamento non ha eletto alcuna donna),
- 3 nel 2014 (una togata e 2 laiche),
- 6 nel 2018 (tutte togate, il Parlamento non elesse alcuna donna). In quest’ultima consiliatura (2018-2022), peraltro, a seguito di elezioni suppletive tenutesi ad aprile 2021 per le dimissioni di un membro togato, era stato raggiunto il numero record di donne componenti il CSM: con l’elezione di una donna magistrato salivano per la prima volta a 7 le donne presenti nel Consiglio superiore della magistratura.
In Italia il servizio militare femminile, avviato nell'anno 2000 a seguito dell'entrata in vigore della legge n. 380/1999, costituisce uno dei grandi cambiamenti che hanno segnato il profondo processo di trasformazione del mondo militare dell'ultimo ventennio.
Da allora, le Forze armate italiane hanno ammesso le donne in tutte le categorie e a tutti i ruoli, di comando e di base, attraverso l’arruolamento di Allieve Ufficiali nei corsi regolari delle Accademie, di Allieve Sottufficiali nei corsi delle Scuole per Sottufficiali, di Ufficiali a nomina diretta reclutate con bandi di concorso per laureati, di militari di truppa in ferma prefissata. Sul piano formale l’assenza di preclusioni di incarichi e di impieghi oltre che di ruolo o di categorie, rende il modello di reclutamento italiano tra i più avanzati del mondo per quanto riguarda le pari opportunità (si veda, in proposito, il Doc. XXXVI, n. 2, Relazione sullo stato della disciplina militare e sullo stato dell'organizzazione delle Forze armate - anno 2022).
Al 31 dicembre 2022, le Forze Armate e l'Arma dei Carabinieri, incluse le capitanerie di porto, hanno registrato la presenza di 20.652 unità di personale femminile, confermando il trend in crescita rispetto alle 15.995 unità presenti alla fine del 2018, alle 17.707 a fine 2019, alle 17.945 unità a fine 2020 e alle 19.138 unità a fine 2021.
Le unità sono così ripartite:
- 2.181 Ufficiali;
- 3.513 Sottufficiali;
- 13.799 Graduati e Militari di truppa;
- 1.159 Allievi di accademie e scuole militari.
La tabella seguente mostra la ripartizione del personale femminile al 31 dicembre 2022 per Forza armata e per categoria.
Tabella 1 – Personale femminile al 31 dicembre 2022
*C.E.M.M.= Corpo degli equipaggi militari marittimi
Fonte: Rielaborazione Servizio Studi – Dipartimento Difesa – su dati tratti dalla Relazione sullo stato della disciplina militare e sullo stato dell'organizzazione delle Forze armate (anno 2022) – Doc. XXXVI n. 2.
Grafico 1 – Percentuale di personale femminile per Corpo al 31/12/2022
Legenda:
CP = Capitanerie di Porto; EI = Esercito Italiano; CEMM = Corpo degli equipaggi militari marittimi;
CC = Arma dei Carabinieri; AM = Aeronautica Militare.
Fonte: Rielaborazione Servizio Studi – Dipartimento Difesa – su dati tratti dalla Relazione sullo stato della disciplina militare e sullo stato dell'organizzazione delle Forze armate (anno 2022) – Doc. XXXVI n. 2.
Grafico 2 – Composizione del personale femminile per grado (anno 2022)
Fonte: Rielaborazione Servizio Studi – Dipartimento Difesa – su dati tratti dalla Relazione sullo stato della disciplina militare e sullo stato dell'organizzazione delle Forze armate (anno 2022) –Doc. XXXVI n. 2.
Per quanto riguarda il reclutamento, non esistono percorsi differenziati di selezione se non per quanto riguarda le prestazioni richieste per agilità, forza e resistenza che prevedono, in alcuni concorsi, parametri diversi tra uomini e donne, alla stregua di quanto avviene per la valutazione delle prestazioni sportive degli atleti.
La tabella seguente espone il personale femminile reclutato nel corso dell'anno 2022.
Tabella 2 – Personale femminile reclutato nel 2022
(*) i dati potrebbero comprendere personale reclutato con domande presentate nel 2021.
(**) dato non definitivo – procedure concorsuali in atto.
Fonte: Rielaborazione Servizio Studi – Dipartimento Difesa – su dati tratti dalla Relazione sullo stato della disciplina militare e sullo stato dell'organizzazione delle Forze armate (anno 2021) –Doc. XXXVI n. 1.
Nel campo della formazione e dell'addestramento della componente femminile non sussistono particolari differenziazioni tra uomini e donne, in quanto tutto il personale frequenta i medesimi corsi presso gli istituti militari e le scuole di addestramento. Particolari forme di tutela sono previste per il personale femminile che durante i corsi di formazione e di specializzazione risulti in stato di gravidanza e per il personale frequentatore di corsi di formazione di base con figli fino al dodicesimo anno di età.
Relativamente alla progressione di carriera nella Relazione sullo stato della disciplina militare e sullo stato dell'organizzazione delle Forze armate (anno 2022) si evidenzia che, secondo una proiezione teorica, le prime Ufficiali donne saranno valutate per l'avanzamento al grado di Colonnello tra circa 2 anni. L'Arma dei Carabinieri ha già Ufficiali donna nei gradi di Generale di Brigata e Colonnello provenienti dal Corpo Forestale e dalla Polizia di Stato.
Per quanto riguarda l'impiego, il personale militare femminile, svolge incarichi, sia sul tenitorio nazionale, sia in tutti i principali teatri operativi, nei diversi ruoli/corpi e specialità, senza particolari differenziazioni rispetto alla componente maschile. Nessuna differenziazione di genere è prevista per la scelta del personale da impiegare presso gli organismi internazionali in Italia e all'estero: la selezione operata viene fatta sulla base dei requisiti individuali e professionali posseduti.
Con riferimento alle professionalità operative personale femminile è impiegato come piloti di aerei e di elicotteri, come equipaggi di carri armati, sottomarini, nel controllo del territorio e come responsabili di importanti porti lungo le coste del Paese.
Nelle missioni all'estero, in particolare, la Difesa italiana sta continuando a favorire le candidature di personale militare femminile per la copertura di posizioni quali Ufficiali di Staff e Osservatori militari all'interno delle missioni a guida ONU, in virtù della sua adesione al progetto delle Nazioni Unite di incrementare il numero di donne schierate nei teatri operativi. Lo spirito di iniziative come quella promossa dalle Nazioni Unite è da ricercare nel fatto che le donne militari, in alcuni contesti operativi in cui la popolazione femminile locale è particolarmente esposta a violazioni dei diritti umani, rappresentano uno strumento di fondamentale importanza per lo sviluppo della missione.
Nel 2022 sono state impiegate
- 53 unità di personale femminile nella missione UNIFIL in Libano;
- 45 unità nel dispositivo aeronavale nazionale apprestato per la sorveglianza e la sicurezza dei confini nazionali nell'area del Mediterraneo centrale, denominato Mare Sicuro (ora rinominato Mediterraneo Sicuro);
- 10 unità nella missione UE antipirateria denominata Atalanta;
- 9 unità nella missione NATO Joint Enterprise nei Balcani;
- 8 unità nella missione UE EUNAVFOR MED Irini;
- 7 unità di personale femminile nella Coalizione internazionale di contrasto alla minaccia terroristica del Daesh;
- 6 unità nell'ambito del potenziamento della presenza della NATO in Lettonia;
- 6 unità nell'ambito del potenziamento dell'Air Policing della NATO per la sorveglianza dello spazio aereo dell'Alleanza;
- 5 unità nella missione UE EUTM SOMALIA;
- 5 unità nell'operazione NATO denominata Sea Guardian;
- 3 unità di personale femminile nella missione bilaterale di supporto nella Repubblica del Niger – MISIN;
- 3 unità presso la base militare nazionale nella Repubblica di Gibuti;
- 2 unità nella missione UN United Nations Peacekeeping Force in Cyprus (UNFICYP);
- 1 unità nella missione UE EUFOR ALTHEA in Bosnia-Erzegovina.
Inoltre, nell'ambito dei dispositivi aeronavali nazionali per attività di presenza, sorveglianza e sicurezza nel Golfo di Guinea, nello Stretto di Hormuz, nonché del dispositivo NATO per la sorveglianza navale nell'area sud dell'Alleanza, la presenza femminile ha inciso per circa l'8%, in linea con i ruoli previsti per il personale imbarcato sulle unità navali, senza limitazioni di impiego.
Per un approfondimento si veda la Relazione analitica presentata al Parlamento nel maggio 2023 (Doc. XXVI n. 1).
Unico caso di impiego differenziato sulla base del genere di appartenenza è rappresentato dai Female Engagement Team (FET), nuclei specializzati formati da personale militare femminile specializzate nell'interagire con la popolazione locale femminile dei territori dove operano, al fine di accrescere il consenso della comunità locale verso il personale militare e creare un ambiente di cooperazione ottimale per il raggiungimento degli obiettivi della missione (cfr. pagina 56 della Relazione sullo stato della disciplina militare e sullo stato dell'organizzazione delle Forze armate, anno 2022).
La Relazione sottolinea che, nonostante che Forze Armate italiane perseguano, sin dall’arruolamento, l’obiettivo della più completa integrazione del personale femminile, la presenza delle donne è tuttavia ancora contenuta sia in termini numerici, sia in funzione del grado ricoperto. Le donne in uniforme, infatti, sono in media meno dell’8% di tutto il personale, rispetto alla media dei Paesi NATO del 12%.
Occorre dunque perseverare per il raggiungimento di un’equa rappresentanza di genere, sebbene la sfida più importante per l’integrazione della componente femminile nelle Forze Armate sia rappresentata dalla conciliazione tra la vita lavorativa e quella privata. Al riguardo, nel rispetto delle prerogative del comparto della Difesa e delle esigenze organizzative e del personale, le Forze Armate sostengono il personale (sia maschile che femminile) nei compiti di cura genitoriale, anche incentivando la realizzazione di asili nido e ludoteche, all’interno dei sedimi militari. Inoltre, per supportare il processo di integrazione e ulteriormente valorizzare la prospettiva di genere nell’organizzazione militare, il Capo di Stato Maggiore della Difesa (SMD) si avvale del Consiglio Interforze sulla Prospettiva di Genere, istituito ai sensi del D. Lgs. n. 7/2014, quale organo consultivo sulle materie di pari opportunità, divieto di discriminazione, integrazione del personale maschile e femminile delle Forze Armate e dell’Arma dei Carabinieri, contrasto alle devianze comportamentali connesse al genere (mobbing, stalking, molestie, ecc.) e tutela della famiglia e della genitorialità. Il citato Consiglio, costituito garantendo la presenza bilanciata di entrambi i generi, da personale delle Forze Armate e dell’Arma dei Carabinieri, al fine di integrare le visioni e le esigenze dettate dalle specificità operative di ciascuna componente, esprime pareri in merito all’attività di comunicazione dello Stato Maggiore della Difesa sui particolari temi di pertinenza e per l’organizzazione di eventi volti a diffondere la cultura di genere, confrontandosi con i paritetici organismi nazionali e internazionali al fine di fornire al Capo di SMD suggerimenti sulle iniziative da adottare per il miglioramento dell’organizzazione militare.
La Relazione evidenzia inoltre che, nell’ambito del I Reparto dello SMD, dal 2012, è presente la Sezione “Politiche di Genere” quale articolazione deputata al monitoraggio dell’integrazione della prospettiva di genere, nell’organizzazione militare.
Lo Stato Maggiore della Difesa organizza, infine, specifici percorsi di formazione per Gender Advisor dedicati a Ufficiali e per Gender Matter Focal Point rivolti ai Sottufficiali, con l’obiettivo di qualificare consulenti esperti, pronti a supportare la leadership nella gestione delle risorse umane, favorendo il processo di integrazione, il rispetto delle pari opportunità e prevenendo comportamenti scorretti nei rapporti interpersonali tra uomini e donne.
La Relazione sul Bilancio di genere per l’esercizio finanziario 2022 dedica una specifica analisi all’impatto sul genere delle principali misure di politica tributaria.
L’analisi si avvale, nello specifico, del modello di microsimulazione tax benefit (inclusivo di contributi, Irpef, addizionali, assegni) del Dipartimento delle finanze.
Il diverso impatto esercitato dai sistemi fiscali e dalle decisioni di politica fiscale su uomini e donne rappresenta infatti una parte fondamentale per la valutazione delle politiche di bilancio in una prospettiva di genere, sia nel caso in cui ci siamo specifiche norme destinate a un genere in particolare, sia in presenza di interventi universalistici.
L’impatto dell’imposizione fiscale è condizionato, tra l’altro, da numerosi fattori, in particolare dall’asimmetria nella ripartizione del lavoro retribuito e non tra uomini e donne: gli uomini sono più presenti sul mercato del lavoro e, in media, guadagnano di più e detengono maggiori ricchezze; le donne dedicano invece più tempo al lavoro non retribuito e sono sotto-rappresentate tra i proprietari di società e tra gli investitori.
In linea generale, il sistema fiscale può avere impatti di genere diretti – o espliciti: uomini e donne sono trattati differentemente a causa di disposizioni specifiche di legge - e indiretti o impliciti quando, anche in assenza di una disparità normativa, i comportamenti economici e sociali indotti dall’imposizione tendono ad avere implicazioni diverse per uomini e donne.
Nella citata relazione 2022 l’analisi viene condotta anzitutto sulle dichiarazioni dei redditi, qualificate come fonti informative utili per analizzare il c.d. gender gap.
Per quanto attiene alle frequenze dei contribuenti, in cui le donne costituiscono quasi la metà del totale (sono infatti il 47,8 per cento del totale dei contribuenti IRPEF), il reddito dichiarato dalle donne è pari a solo il 38 per cento. Tale evidenza conferma, sostanzialmente, i dati relativi alla disparità di genere riscontrabili in altre dimensioni socioeconomiche del nostro Paese; tali disparità sembrano rimanere costanti nel corso del tempo nonostante gli shock esterni occorsi nell’ultimo biennio: dal 2019 il reddito complessivo degli uomini è aumentato del 3,2 per cento e quello delle donne del 2,9 per cento.
Il Dipartimento delle finanze evidenzia altresì disparità di distribuzione del reddito per genere: le donne tendono a concentrarsi nella fascia bassa delle classi. Il 50 per cento delle donne si colloca nelle classi di reddito fino a 15.000 euro, mentre circa il 60 per cento degli uomini dichiara redditi nelle classi tra 15.000 e 50.000 euro. Inoltre, nella fascia di reddito 0-15.000 euro le donne superano in numerosità e in ammontare dichiarato gli uomini, rispecchiando le statistiche sulle condizioni del mercato del lavoro che vedono le donne occupate prevalentemente con contratti con maggiore flessibilità oraria, percependo retribuzioni mediamente più basse.
Anche in termini di imposta netta, la differenza di genere risulta evidente. Per quanto concerne la distribuzione dell’imposta netta per classi di reddito e per sesso per l’anno di imposta 2021 si fa presente che il totale dell’imposta netta nel 2021 era pari a 171 miliardi circa ed è stata dichiarata per il 67 per cento dagli uomini. Questo dato risulta maggiore della percentuale del reddito complessivo dichiarato dagli uomini (62 per cento) anche a seguito dell’effetto della progressività del sistema vista la distribuzione dei redditi maschili traslata verso l’alto. Il 48 per cento dell’imposta dichiarata dagli uomini proviene da soggetti che dichiarano più di 50.000 euro di reddito complessivo, tale percentuale è invece molto più bassa per le donne, per cui solo il 30 per cento dell’imposta è attribuibile a donne in questa classe di reddito.
L’imposta netta media pro-capite Irpef è pari a 5.452 euro, per le donne è 4.013 euro mentre per gli uomini risulta di circa 6.614 euro. Anche in questo caso gli uomini sono concentrati nella parte alta della distribuzione, dichiarando quindi un ammontare di imposta netta più alto.
Con riferimento invece alle tipologie di reddito, la Relazione rileva un sostanziale equilibrio nelle distribuzioni del numero dei contribuenti rispetto al sesso nel caso di reddito da lavoro dipendente e da pensione; tuttavia, per quanto concerne l’ammontare di tali redditi, i dati mostrano che gli uomini dichiarano quasi il doppio di quanto dichiarato dalle donne in caso di lavoro dipendente mentre si osserva una minore differenza per i pensionati. Per i redditi da pensione, le donne superano gli uomini in termini frequenza (circa il 52 per cento del totale), ma, per quanto riguarda l’ammontare, rappresentano il 42,4 per cento del reddito da pensione totale. Analizzando il reddito da lavoro autonomo, le donne rappresentano circa il 29 per cento in termini di frequenza e costituiscono il 24 per cento in termini di ammontare.
La Relazione, operando una disaggregazione per area geografica, rileva un sostanziale equilibrio della frequenza di uomini e donne in base al reddito complessivo al Nord e nell’Italia centrale (con una differenza tra i due sessi di circa 3 punti percentuali), mentre al Sud e nelle Isole la quota di contribuenti di sesso maschile supera quella femminile di circa 9 punti percentuali. Per quanto riguarda l’ammontare del reddito dichiarato, il peso tra i due sessi sul totale è simile in tutte le zone del paese, con la quota degli uomini che supera di poco il 60 per cento.
Per quanto riguarda l’imposta netta, i contribuenti di sesso maschile superano quelli di sesso femminile sia per la frequenza sia per l’ammontare. Se consideriamo la frequenza, le donne rappresentano il 45 per cento circa dei contribuenti al Nord e al Centro e circa il 42 per cento al Sud e nelle Isole; in termini di ammontare le donne costituiscono poco meno del 32 per cento al Nord, il 34 per cento al Centro, il 33,8 per cento al Sud e il 35 per cento nell’Italia insulare. La distribuzione geografica dei contribuenti e dei redditi dichiarati, quindi, conferma quanto emerge anche considerando la situazione sull’occupazione dove si rileva un divario di genere più accentuato nel meridione e nelle isole rispetto alle altre zone del Paese.
Secondo quanto riportato nella Relazione, gli interventi rivolti alla riduzione delle differenze di genere possono avere diversi effetti sul bilancio dello Stato. Possono prevedere l'erogazione di una spesa oppure non avere alcun effetto finanziario, poiché sono rivolti unicamente alla regolamentazione di un determinato settore. Inoltre, in alcuni casi, producono minori entrate tramite l’introduzione di un’agevolazione fiscale.
Le agevolazioni fiscali ancora vigenti e finalizzate direttamente a minimizzare le differenze di genere intervengono principalmente nell’ambito della conciliazione tra la vita privata e la vita professionale.
I dati aggiornati alle dichiarazioni relative all’anno d’imposta 2021 risultano sostanzialmente in linea rispetto al 2020, anno in cui si rileva, però, la netta diminuzione del ricorso alle agevolazioni previste per le spese per la frequenza degli asili nido, che non mostrano segni di recupero nel 2021. A partire dal 2019, le spese per la frequenza di asili nido mostrano un calo generalizzato annuale sia in relazione alle frequenze sia agli importi della spesa, confermando l’andamento del 2018; dal 2020 al 2021 tali spese si riducono del 6 per cento, senza variazioni sostanziali con riferimento alle percentuali di genere. Le spese per addetti all’assistenza personale (+2 per cento nel 2021 rispetto al 2020) e i contributi per addetti ai servizi domestici e familiari (+19,5 per cento nel 2021 rispetto al 2020) sono utilizzate maggiormente da donne, sia in termini di frequenze che di ammontare. Al contrario, le spese per la frequenza di asili nido risultano essere utilizzate prevalentemente da soggetti di genere maschile.
Nella Relazione si rileva che questi risultati vanno considerati anche alla luce del minor tasso di occupazione femminile che, per definizione, riduce la possibilità per le donne di fruire delle detrazioni e delle deduzioni oltreché di sostenere le relative spese.
Nello specifico, la Relazione sul bilancio di genere conduce una specifica analisi sulla normativa riguardante il cd. rientro dei cervelli. Si tratta della disciplina approvata con la legge n. 238 del 2010 e consistente nella parziale detassazione dei redditi di lavoro dipendente, di lavoro autonomo o d’impresa in favore dei cittadini dell’Unione europea che abbiano risieduto continuativamente per almeno ventiquattro mesi in Italia, e che abbiano studiato, lavorato o conseguito una specializzazione post lauream all’estero decidendo poi di rientrare in Italia.
Con un elemento di novità rispetto alla precedente Relazione, nel bilancio di genere 2022 si tiene conto anche delle agevolazioni per i c.d. “impatriati”, di cui al d. lgs. N. 147 del 2015 (e la cui disciplina è stata ridisegnata ultimamente dal D. Lgs. 27 dicembre 2023 n. 209).
Sulla base degli ultimi dati disponibili (anno d’imposta 2021), il totale dei soggetti che hanno beneficiato delle agevolazioni sono 22.707, di cui il 32 per cento donne.
Il reddito da lavoro dipendente medio dichiarato dai beneficiari è di circa 117 mila euro (considerando sia uomini sia donne), un livello più elevato rispetto al reddito medio da lavoro dipendente dichiarato dai contribuenti italiani, confermando che la misura ha effettivamente attratto il rientro di lavoratori particolarmente qualificati. Il reddito medio dichiarato dalle donne, pur se inferiore a quello dichiarato dagli uomini (65.591 euro contro 142.481 euro) è comunque più elevato del reddito medio da lavoro dipendente e assimilati delle contribuenti donne (17.956 euro). Confrontando i dati con il periodo d’imposta 2020, la Relazione osserva un trend leggermente in aumento nella quota dei soggetti di genere femminile che utilizzano questa misura (32 per cento nel 2021 e 31 per cento nel 2018) e in diminuzione dei redditi medi delle donne (65.591 euro nel 2021 rispetto a 80.540 euro nel 2018).
Si conferma dunque che, sebbene sia stata finalizzata all’obiettivo di incentivare il rientro in Italia di lavoratori qualificati, senza lo scopo diretto di incidere sulle differenze di genere, l’insieme di misure sembrerebbero essere andate a beneficio delle donne in misura proporzionalmente superiore. Infatti, analizzando le beneficiarie delle misure del rientro dei cervelli, si riscontra che circa il 35,8 per cento di queste dichiara un reddito complessivo maggiore di 55.000 euro. Tale percentuale risulta decisamente più elevata considerando l’universo delle lavoratrici in Italia, in cui solo il 2,8 per cento di queste dichiara più di 55.000 euro, di fatti evidenziando come la misura agevolativa influisca indirettamente nella distribuzione del reddito femminile, aumentando il numero delle donne presenti nella parte alta della distribuzione del reddito.
Il Report Istat sui livelli di istruzione e ritorni occupazionali, riferito al 2021, ci ricorda che il diploma è considerato il livello di formazione indispensabile per una partecipazione al mercato del lavoro che abbia potenziale di crescita. La quota di popolazione tra i 25 e i 64 anni in possesso di almeno un titolo di studio secondario superiore è, quindi, il principale indicatore del livello di istruzione di un Paese.
In Italia, nel 2021, il 62,7% dei 25-64enni ha almeno un titolo di studio secondario superiore (-0,2 punti rispetto al 2020), contro il 79,3% della media Ue27 (+0,3 punti rispetto al 2020), l’84,8% della Germania e l’82,2% della Francia.
Nella stessa fascia di età, anche la percentuale di chi ha un titolo di studio terziario (20,0%) è più bassa della media europea (33,4%) ed è circa la metà di quella registrata in Francia e Spagna (40,7% in entrambi i Paesi).
Il livello di istruzione delle donne rimane più elevato di quello maschile: il 65,3% delle donne italiane, tra i 25 e i 64 anni, ha almeno un diploma (60,1% tra gli uomini) e le laureate arrivano al 23,1% (16,8% tra gli uomini), differenze ben più marcate di quelle osservate nella media Ue27.
Il vantaggio femminile nell’istruzione non si traduce però in un vantaggio in ambito lavorativo. Il tasso di occupazione femminile è molto più basso di quello maschile (55,7% contro il 75,8%), ma il divario di genere si riduce al crescere del livello di istruzione (31,7 punti per i titoli bassi, 20,3 per i medi e 7,3 punti per gli alti). All’aumentare dei livelli di istruzione, i tassi di occupazione femminili crescono più marcatamente di quelli maschili: 19 punti tra laureate e diplomate (6 punti tra gli uomini) e 25,5 punti tra diplomate e donne con al massimo la licenza media inferiore (14,1 tra gli uomini).
In Italia, una giovane su tre nella fascia di età 30-34 anni (33,3%) e solo un giovane su cinque nella medesima fascia d’età (20,4%) possiede un titolo terziario (ossia un titolo di studio post scuola secondaria di secondo grado): ne deriva che il divario con l’Europa è maggiore per gli uomini (le medie Ue sono pari al 47,0% e 36,3% rispettivamente). Il divario diventa ancora più marcato tra i giovani adulti di cittadinanza straniera: la quota di laureati è pari all’11,0% in Italia e al 36,8% nella media Ue. Anche il divario territoriale a sfavore del Mezzogiorno è molto marcato: è laureato un giovane su cinque (20,7%), contro tre giovani su dieci nel Centro e nel Nord (30,0% e 30,4%).
Tra le giovani i l tasso di occupazione delle laureate resta significativamente inferiore a quello maschile (78,3% contro 85,7% dei laureati), sebbene il vantaggio occupazionale della laurea rispetto al diploma per le giovani adulte sia più elevato di quello delle donne più mature.
Tra le giovani che hanno abbandonato gli studi il tasso di occupazione è molto più basso di quello dei coetanei maschi (20,8% contro 41,9%). Nel 2021, il divario di genere sale a 21,1 punti (da 14,3 nel 2018), a causa della più marcata riduzione del tasso di occupazione degli ELET (Early Leavers from Education and Training)
durante la pandemia e della mancata ripresa nel 2021. Il vantaggio femminile osservato rispetto agli abbandoni scolastici precoci si annulla, dunque, per effetto della maggiore difficoltà delle donne a inserirsi nel mondo del lavoro e si traduce spesso in forme di esclusione sociale.
La quota di lauree STEM tra le donne laureate – sempre secondo il rapporto ISTAT riferito al 2021 - è la metà di quella che si riscontra tra gli uomini laureati.
Nel 2021, infatti, il 24% dei giovani adulti (25-34enni) con un titolo terziario ha una laurea nelle aree disciplinari scientifiche e tecnologiche, le cosiddette lauree STEM (Science, Technology, Engineering and Mathematics). La quota sale al 33,7% tra gli uomini (un laureato su tre) e scende al 17,6% tra le donne (una laureata su sei), evidenziando un importante divario di genere. Differenze territoriali per i laureati in discipline STEM sono evidenti per la componente maschile: la quota varia dal 30,8% del Mezzogiorno al 36,4% del Nord.
L’indirizzo di studio universitario sembra determinare importanti differenze nei tassi di occupazione dei laureati. Nel 2021, il tasso di occupazione tra i 25-64enni laureati nell’area Umanistica e dei servizi è pari al 75,9%, sale all’81,7% per i laureati in area Socio-economica e giuridica, si attesta all’85,3% per le STEM e raggiunge il massimo valore (88,5%) tra i laureati nell’area Medico-sanitaria e farmaceutica.
I divari occupazionali di genere risultano più forti in alcune aree disciplinari di laurea.
L’ISTAT rileva che lo svantaggio delle donne rispetto agli uomini nei ritorni occupazionali è più ampio nelle discipline Socioeconomiche e giuridiche e raggiunge il massimo nelle lauree STEM. Tale risultato non dipende dalla bassa quota di donne laureate nelle aree disciplinari STEM a maggiore occupabilità (informatica, ingegneria e architettura). Il forte divario si osserva infatti anche a parità di macro area STEM: il tasso di occupazione femminile nell’area “scienze e matematica” è inferiore a quello maschile di otto punti e nell’area “informatica, ingegneria e architettura” si arriva a circa nove punti.
Queste differenze si riducono leggermente tra i più giovani, di 25-44 anni (sei e sette punti rispettivamente). Ciò conferma come le disuguaglianze di genere (e gli stereotipi) debbano essere combattute sia nelle scelte degli indirizzi di studio, sia nel mercato del lavoro.
Le opportunità occupazionali risentono del tessuto produttivo che caratterizza l’area geografica di residenza. La bassa concentrazione industriale e di impresa del Mezzogiorno determina una bassa domanda di lavoro verso skills economici, tecnici e scientifici. Le differenze territoriali nei tassi di occupazione dei laureati si riducono solo per le lauree medico-farmaceutiche.
Si ricorda, inoltre, che la Risoluzione del Parlamento europeo del 10 giugno 2021 sulla promozione della parità tra donne e uomini in materia di istruzione e occupazione nel campo della scienza, della tecnologia, dell'ingegneria e della matematica (STEM) ribadisce l’importanza di eliminare tutti gli ostacoli, in particolare gli ostacoli socioculturali, psicologici e pedagogici che limitano gli interessi, le preferenze e le scelte delle donne e delle ragazze (compresi gli stereotipi di genere, la discriminazione di genere e una combinazione di fattori biologici e sociali, in particolare la sovrapposizione della maternità con gli anni più decisivi per la carriera di una donna), incoraggiando gli Stati membri a promuovere, nei loro piani d'azione o strategie nazionali o regionali in materia di genere, la partecipazione delle donne e delle ragazze agli studi e alle carriere STEM, offrendo incentivi adeguati. La linea di investimento del PNRR su Nuove competenze e nuovi linguaggi (Missione 4, Componente 1 – Investimento 3.1) intende pertanto rafforzare l’azione delle scuole per garantire pari opportunità e uguaglianza di genere, in termini didattici e di orientamento, rispetto alle materie STEM (scienza, tecnologia, ingegneria e matematica), alla computer science e alle competenze multilinguistiche, per tutti i cicli scolastici, con focus specifico sulle studentesse e con un pieno approccio interdisciplinare. Inoltre il piano mira a rafforzare l’internazionalizzazione del sistema scolastico e le competenze multilinguistiche di studenti e insegnanti attraverso l’ampliamento dei programmi di consulenza e informazione su Erasmus+. Nel 2025 si prevede il rilascio di certificazione delle competenze e l’adozione di linee guida STEM nelle scuole. Alla linea di intervento sono dedicati complessivamente 1,1 miliardi di euro di sovvenzioni.
In relazione a quanto sopra, si sottolinea che l'art. 1, commi 548 -554, della legge n. 197 del 2022 (legge di bilancio 2023), in attuazione del PNRR, Missione 4 «Istruzione e ricerca» – Componente 1 «Potenziamento dell'offerta dei servizi di istruzione: dagli asili nido alle Università», introduce una serie di misure volte a promuovere e potenziare le competenze e le discipline STEM in tutti i livelli del sistema educativo di istruzione e formazione, con particolare attenzione a favorire il riequilibrio di genere.
Si ricorda che nel Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) sono delineate alcune azioni trasversali che si ritengono suscettibili di rilevanza ai fini di una riduzione dei divari di genere sia con riferimento all'aspetto occupazionale, sia in senso più ampio, con riferimento alle condizioni sociali e culturali.
Tra queste, si segnalano, in particolare, nell'ambito della Missione 4:
§ l'attuazione di specifiche misure nell'ambito della ricerca di base, come gli investimenti a valere sul Fondo per il PNR (Programma nazionale per la ricerca) e i PRIN (Progetti di ricerca di rilevante interesse nazionale) ovvero l'allargamento dei partenariati di ricerca, che dovrebbero prevedere azioni mirate a determinare l'aumento delle ricercatrici (M4C2-Investimenti 1.1 e 1.3);
§ il potenziamento dei servizi di asili nido e per la prima infanzia, delle scuole per l'infanzia e del tempo pieno a scuola, che secondo il PNRR possono arrecare benefici in termini di conciliazione vita-lavoro ed aumentare il tasso di occupazione femminile (M4C1-Investimenti 1.1 e 1.2);
§ la promozione – come appena visto - dell'accesso da parte delle donne all'acquisizione di competenze STEM, linguistiche e digitali, in virtù del quale il Governo stima un possibile incremento dell'occupazione femminile in tali settori (M4C1-Investimento 3.1).
Per un approfondimento sull’attuazione delle misure previste dal PNRR, si rinvia, rispettivamente, all’apposita sezione relativa al settore dell’istruzione e a quella relativa ai settori dell’università e della ricerca del Portale della documentazione della Camera dei deputati.
Si veda anche la sezione sulle pari opportunità del sito del Ministero dell’istruzione e del merito.
Il Focus del Ministero dell’istruzione “Le carriere femminili in ambito accademico”, del marzo 2022, rileva come in Italia la presenza femminile diminuisca nel passaggio dalla formazione universitaria alla carriera accademica e diventi sempre più esigua con il progredire della posizione; questo non è diverso da quanto si osserva mediamente nei Paesi europei come evidenziato dal rapporto triennale “She Figures 2021” della Commissione Europea.
In particolare, nel Focus si analizza, con riferimento all’anno 2020, il sistema universitario italiano (studenti, personale docente e non docente) presentando alcune sintesi dei dati che evidenziano la presenza di fenomeni di segregazione orizzontale, dovuta alle scelte dei percorsi di studio sin dall’immatricolazione (tra discipline STEM e non STEM, in particolare per la “persistenza di stereotipi culturali”), e di segregazione verticale legata alla carriera, con un’attenzione particolare alle aree STEM e al contesto europeo.
Di seguito alcuni dei principali risultati emersi evidenziati nel Focus:
• nei percorsi di laurea di primo e secondo livello le donne rappresentano stabilmente oltre la metà della popolazione studentesca universitaria italiana, mentre si registra un calo nei corsi di dottorato;
§ complessivamente circa il 31% delle matricole sceglie corsi di studio universitari delle aree STEM e in questi ambiti le donne sono meno rappresentate degli uomini (39,5% donne; 60,5% uomini), sebbene il trend risulti in leggero aumento;
§ sebbene siano ancora poche le studentesse che scelgono le “scienze dure”, l’Italia vanta una percentuale di donne che hanno conseguito il dottorato di ricerca in area STEM superiore di 5 punti percentuali alla media europea;
§ nell’ambito della carriera accademica, alla segregazione orizzontale si aggiunge quella verticale; si osserva comunque nel tempo un aumento della percentuale delle donne, sia nei livelli più alti della professione, sia nelle aree STEM;
§ il personale tecnico-amministrativo (PTA), composto in maggioranza da donne, presenta analogamente al personale docente una segregazione sia di tipo orizzontale che verticale.
Nello specifico, nel 2020, in Italia nei percorsi di laurea di primo e secondo livello, le donne sono il 56,3% degli iscritti ai corsi di laurea ed il 56,9% del totale dei laureati; la loro presenza diminuisce al 48% tra gli iscritti ai corsi di dottorato ed al 49,4% tra i dottori di ricerca (Graf. 1). Il dato relativo ai corsi di dottorato è in lieve diminuzione rispetto a quanto osservato nell’anno precedente.
Nel successivo passaggio dalla formazione universitaria alla carriera accademica la presenza femminile continua a diminuire al progredire della scala gerarchica: nel 2020, la percentuale di donne si attesta al 48,5% tra i titolari di assegni di ricerca (Grade D), al 46,4% tra i ricercatori universitari (Grade C), al 40,4% tra i professori associati (Grade B) e al 25,4% tra i professori ordinari (Grade A; Graf. 1).
Nel sottostante Grafico 1, sulla base di quanto proposto nella citata pubblicazione triennale “She Figures” della Commissione Europea, viene presentato il confronto di questi dati del sistema universitario italiano negli anni 2005 e 2020, utile ad evidenziare alcuni fenomeni ben noti nell’ambito degli studi sul gender equality, ovvero:
§ la segregazione verticale della carriera delle donne in ambito accademico, rappresentata dall’andamento a forbice del grafico: poche donne raggiungono i vertici apicali della carriera accademica;
§ il glass ceiling (soffitto di cristallo), la barriera invisibile che impedisce alle donne di accedere alle posizioni apicali per ostacoli spesso difficili da individuare;
§ il cosiddetto leaky pipeline, ovvero la progressiva uscita delle donne dal percorso delle carriere accademiche una volta concluso il periodo di formazione universitaria.
Confronto tra le carriere femminili e maschili in ambito accademico, solo per le aree STEM per gli anni 2005 e 2020 dal Focus del Ministero dell’istruzione “Le carriere femminili in ambito accademico” del marzo 2022.
Il corrispondente grafico del rapporto She Figures 2021 mostra un andamento analogo a livello europeo (cfr. SF2021_Figure 6.1) sia nei percorsi di formazione che in quelli della carriera, dove in particolare la percentuale di donne nel 2018 passa dal 47% al Grade C (ricercatori universitari) al 26% al Grade A (professori ordinari).
In premessa si ricorda che, nel rispetto delle Direttiva della Presidenza del Consiglio dei Ministri n. 2/2019[13] e in linea con la Comunicazione COM n. 152 del 5 marzo 2020 della Commissione Europea[14], le Università sono tenute a predisporre - in continuità con il processo di redazione del Bilancio di Genere -,il Piano delle Azioni Positive (PAP) finalizzato alla programmazione di azioni tendenti a rimuovere gli ostacoli alla piena ed effettiva parità tra uomini e donne. Uno fra gli obiettivi del PAP è l’adozione del Gender Equality Plan (GEP)[15], che identifica la strategia dei singoli Atenei per l’uguaglianza di genere e costituisce il requisito di accesso richiesto dalla Commissione Europea per la partecipazione a tutti bandi Horizon Europe per la ricerca e l’innovazione con scadenza 2022. Si segnala, inoltre, il documento Indicazioni per azioni positive del MIUR sui temi di genere nell’Università e nella Ricerca (del 2018), che illustra l’esistenza di una discriminazione di genere nel mondo professionale e del lavoro che può essere di tipo orizzontale, verticale e territoriale, perché la presenza femminile in determinati ambiti lavorativi o una maggiore presenza di donne in ruoli apicali varia anche rispetto alla nazione o alla regione (qui il relativo comunicato stampa).
Il Focus “Il personale docente e non docente nel sistema universitario italiano - a.a 2021/2022” dell’Ustat, di settembre 2022, rileva che, nell’anno accademico 2021/2022, la distribuzione per genere nel personale docente e nei ricercatori mostra una prevalenza degli uomini (58,8%) rispetto alle donne (41,2%) con delle differenze tra le varie qualifiche. Il Grafico 5 evidenzia infatti che la quota delle donne diminuisce al progredire della carriera: sono circa il 49% tra i titolari di assegni di ricerca, il 46,4% tra i ricercatori, il 41,3% tra i professori associati ed il 26,4% tra i professori ordinari.
La distribuzione per genere e classe di età (Graf. 6) evidenzia una sotto rappresentazione delle donne in tutte le classi: non solo in quelle relative ad età più elevate, dove la minore presenza femminile si potrebbe spiegare con un minor
numero di laureate rispetto ai laureati di pari età, ma anche - sebbene in modo meno marcato - nei gruppi di età più “giovani”, tipiche dei nuovi ingressi in ambito accademico, nonostante da diversi anni si osservi una prevalenza di laureate sul totale di coloro che conseguono il titolo.
Con riguardo, poi, alla distribuzione per genere del personale tecnico-amministrativo degli atenei statali e non statali, il Focus rileva che le donne costituiscono il 60,5% del personale tecnico-amministrativo e che tale prevalenza si osserva sia tra i tecnico-amministrativi con contratto a tempo indeterminato (60,1%) sia tra tutti i tecnico-amministrativi con contratto a tempo determinato (68,3%). Inoltre, le donne rappresentano oltre la metà delle unità di personale tecnico-amministrativo in quasi tutte le aree funzionali, fanno eccezione l’area della Dirigenza amministrativa (41,7%), l’area Tecnica, Tecnico-scientifica ed Elaborazione dati (39,3%) e quella relativa ai Servizi generali e tecnici (37,6%; Graf. 4).
Sullo stesso tema, si segnala anche quanto registrato dal già citato Focus del Ministero dell’istruzione nell’ambito della carriera accademica di marzo 2022, dove, alla segregazione orizzontale si aggiunge quella verticale anche se si osserva comunque nel tempo un aumento della percentuale delle donne, sia nei livelli più alti della professione, sia nelle aree STEM.
La distribuzione per genere e area di studio evidenzia che gli ambiti disciplinari non sono neutri rispetto alle scelte effettuate da uomini e donne (Graf. 3)
Nell’anno accademico 2020/2021, su 1.793.210 iscritti ai corsi di laurea, le studentesse rappresentano più della metà della popolazione studentesca, sia complessivamente (56,3%), sia nella maggior parte degli ambiti. Si registra un picco nell’area “Humanities and the Arts” (78,3%), tradizionalmente scelta dalle studentesse, mentre la loro presenza diminuisce negli ambiti di carattere più scientifico o tecnico raggiungendo i livelli più bassi nell’area “Agricultural and veterinary sciences” (48,2%) e soprattutto nell’area “Engineering and technology” (27,2%). Analoghe osservazioni si possono fare relativamente alla distribuzione delle laureate per settore di studi. Nel 2020 il 56,9% dei 344.850 laureati è costituito da donne e, anche in questo caso, agli estremi della distribuzione troviamo da una parte l’area “Humanities and the Arts” (79,6%) e dall’altra l’area “Engineering and technology” (30,0%; Graf. 3).
Dal Focus del Ministero dell’istruzione “Le carriere femminili in ambito accademico” del marzo 2022.
Si veda anche l’apposita sezione del sito Ministero dell’università e della ricerca dedicata ai dati per bilancio di genere 2021.
La situazione dell’occupazione femminile nel nostro Paese registra una serie di profili critici.
Con riferimento al contesto europeo, nel IV trimestre 2022 in Italia il tasso di occupazione delle donne tra i 20 e i 64 anni è risultato essere quello più basso tra gli Stati dell’Unione europea, essendo di circa 14 punti percentuali al di sotto della media UE (55 per cento contro il 69,3 per cento)[16].
In base ai dati Istat (I.Stat), nella stessa fascia di età, al terzo trimestre 2023, il tasso di occupazione femminile risulta essere pari al 56,1 per cento.
A ciò deve aggiungersi che una donna su cinque fuoriesce dal mercato del lavoro a seguito della maternità. Tale ultimo aspetto riveste una particolare rilevanza in quanto indice della difficoltà per le donne di conciliare esigenze di vita con l’attività lavorativa. La decisione di lasciare il lavoro è, infatti, determinata per oltre la metà, il 52 per cento, da esigenze di conciliazione e per il 19 per cento da considerazioni economiche. In generale, il divario lavorativo tra uomini e donne è pari al 17,5 per cento, divario che aumenta in presenza di figli ed arriva al 34 per cento in presenza di un figlio minore nella fascia di età 25-54 anni[17].
Dal punto di vista delle caratteristiche del lavoro svolto, la bassa partecipazione al lavoro delle donne è determinata da diversi fattori, come l’occupazione ridotta, in larga parte precaria, in settori a bassa remuneratività o poco strategici e una netta prevalenza del part time, che riguarda poco meno del 49 per cento delle donne occupate (contro il 26,2 per cento degli uomini)[18].
L’occupazione femminile è caratterizzata anche da un accentuato divario retributivo di genere.
Per quanto concerne la differenza di retribuzione, secondo gli ultimi dati Eurostat, il gap retributivo medio (ossia la differenza nella retribuzione oraria lorda tra uomini e donne) è pari al 5 per cento (al di sotto della media europea che è del 13 per cento)[19], mentre quello complessivo (ossia la differenza tra il salario annuale medio percepito da donne e uomini) è pari al 43 per cento (al di sopra della media europea, che è invece pari al 36,2 per cento)[20].
Secondo i dati dell’Osservatorio sui lavoratori dipendenti del settore privato dell’INPS, nel 2022 la retribuzione media annua è costantemente più alta per il genere maschile, con una differenza di 7.922 euro (26.227 euro per gli uomini contro 18.305 euro per le donne). Con riferimento a tale settore privato, si segnala
che la Strategia nazionale per la parità di genere 2021-2026 ha tra gli obiettivi quello di ridurre il gender pay gap nel settore privato dal 17 al 10 per cento. Un altro report dell’INPS, “Un’analisi dei divari di genere nel mercato del lavoro”, riferisce che le retribuzioni annue percepite dalle donne sono inferiori a quelle percepite dagli uomini in media di circa il 40 per cento nel settore privato e di circa il 16 per cento nel settore pubblico.
Di seguito sono illustrate le principali misure adottate dal legislatore nazionale al fine di favorire la parità di genere nel mondo del lavoro.
Si collocano in tale ambito, oltre l’attuazione di quanto previsto nel PNRR in special modo in materia di certificazione della parità di genere, la previsione di esoneri contributivi in favore dei datori di lavoro che assumono donne, anche in particolari condizioni di svantaggio, e la realizzazione di azioni positive finalizzate a promuovere la conciliazione dei tempi di vita con quelli di lavoro e la permanenza delle donne nel mercato del lavoro
Si segnalano, infine, taluni istituti pensionistici diretti ad ovviare ai rischi strettamente connessi alle disuguaglianze tra donne e uomini che esistono nel mercato del lavoro e nell'occupazione, dovute, in particolar modo, alla carriera lavorativa discontinua che riguarda maggiormente le donne rispetto agli uomini, con una conseguente minore copertura previdenziale contributiva.
Tra le strategie nazionali assume rilevanza, in particolare, quanto previsto nel PNRR, all’interno del quale la parità di genere rappresenta una delle tre priorità trasversali in termini di inclusione sociale, unitamente a quelle riguardanti l’occupazione giovanile ed il Mezzogiorno.
Il Piano prevede delle misure specifiche in favore della parità di genere, in prevalenza rivolte a promuovere una maggiore partecipazione femminile al mercato del lavoro, attraverso:
Altri interventi finanziati o programmati con il PNRR si prefiggono l’obiettivo diretto o indiretto di ridurre le asimmetrie che ostacolano la parità di genere sin dall’età scolastica, sia di potenziare il welfare per garantire l’effettivo equilibrio tra vita professionale e vita privata.
Tra gli interventi diretti, merita ricordare in questa sede gli investimenti – di cui si dirà più avanti - per la definizione di un Sistema di certificazione della parità di genere.
Nel Piano sono altresì delineate alcune azioni trasversali che si ritengono suscettibili di rilevanza ai fini di una riduzione dei divari di genere sia con riferimento all’aspetto occupazionale, sia in senso più ampio, con riferimento alle condizioni sociali e culturali. Tra queste:
Certificazione della parità di genere
Nell'ambito della Missione 5, componente 1, del Piano, l'investimento 1.3 è dedicato all’attivazione di un Sistema nazionale di certificazione della parità di genere, con l'obiettivo di incentivare le imprese ad adottare policy adeguate a ridurre il divario di genere in tutte le aree che presentano maggiori criticità, come le opportunità di carriera, la parità salariale a parità di mansioni, le politiche di gestione delle differenze di genere e la tutela della maternità.
Tale certificazione – con validità triennale e soggetta a monitoraggio annuale - è stata istituita a decorrere dal 1° gennaio 2022[21].
Successivamente, sono state delineate le linee guida per la concessione della certificazione in oggetto da parte delle imprese, che richiamano esplicitamente i parametri minimi stabiliti dalla prassi di riferimento Uni/PdR 125:2022, delineata nel marzo 2022.
Al possesso di tale certificazione è altresì collegata la concessione di un apposito sgravio contributivo nella misura dell’1 per cento dal versamento dei complessivi contributi previdenziali a carico del datore di lavoro (fermo restando il limite massimo di 50.000 euro annui e l’eventuale riduzione che può essere disposta in taluni casi), nonché l’attribuzione di un punteggio premiale per la valutazione, da parte di autorità titolari di fondi europei nazionali e regionali, di proposte progettuali ai fini della concessione di aiuti di Stato a cofinanziamento degli investimenti sostenuti e può costituire un criterio premiale nell’affidamento di appalti pubblici.
Clausola di priorità
Una delle azioni previste dal PNRR per incrementare la parità di genere e generazionale nel mercato del lavoro è costituita dalla cosiddetta clausola di priorità. Il Piano prevede, infatti, che tra i requisiti necessari dell’offerta in risposta ad un bando vi sia l’assunzione dell’obbligo da parte dell’offerente di assicurare all’occupazione femminile una quota pari almeno al 30 per cento delle assunzioni necessarie per l’esecuzione del contratto.
Stante tale previsione – attuata con l’art. 47 del D.L. n. 77 del 2021 – il nuovo Codice degli appalti (D. Lgs. 36/2023) prevede:
Di seguito una panoramica delle misure attualmente vigenti volte a facilitare la conciliazione dei tempi di vita con i tempi di lavoro, tra le quali assumono particolare rilievo quelle poste a tutela della maternità e della paternità e per l'assistenza dei soggetti con disabilità, alla luce delle modifiche introdotte dal D.Lgs. n. 105 del 2022 (di attuazione della direttiva (UE) 2019/1158) in tema di equilibrio tra attività professionale e vita familiare nonché quelle che introducono misure economiche a sostegno della maternità.
Altre disposizioni riguardano più strettamente il mondo del lavoro. Tra queste si segnalano, in particolare, quelle in tema di lavoro agile e di trasformazione del contratto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale.
Congedi
In materia di congedi, si segnalano, in particolare:
a) per quanto riguarda il congedo di paternità:
· la configurazione come congedo alternativo del congedo di paternità che spetta al padre per tutta la durata del congedo di maternità o per la parte residua che sarebbe spettata alla lavoratrice, in caso di morte o di grave infermità della madre ovvero di abbandono, nonché in caso di affidamento esclusivo del bambino al padre;
· la configurazione di un congedo di paternità obbligatorio e autonomo rispetto a quello alternativo, fruibile dal padre lavoratore nell'arco temporale che va dai due mesi precedenti ai cinque mesi successivi al parto (sia in caso di nascita che di morte perinatale del bambino), della durata di 10 giorni (20 nel caso di parti plurimi), interamente retribuito;
b) per quanto riguarda il congedo e l'indennità di maternità:
· il riconoscimento alle lavoratrici della facoltà di astenersi dal lavoro esclusivamente dopo il parto, entro i cinque mesi successivi allo stesso, a condizione che il medico competente attesti che tale opzione non porti pregiudizio alla salute della donna e del bambino;
c) per quanto concerne il congedo parentale:
· l'estensione dal sesto al dodicesimo anno di vita del bambino della corresponsione dell'indennizzo già previsto e pari al 30% della retribuzione (per i dipendenti pubblici, in base ai relativi contratti collettivi, tale indennità è generalmente pari, per i primi trenta giorni, al cento per cento della retribuzione) che spetta per ciascuna delle seguenti fattispecie:
- per tre mesi, non trasferibili, a ciascun genitore lavoratore;
- per un ulteriore periodo di tre mesi, alternativo tra i due genitori e dunque per un solo genitore;
- per nove mesi di congedo, qualora vi sia un solo genitore;
- per tutti i periodi di congedo fruibili dal soggetto, qualora il reddito individuale dell'interessato sia inferiore a 2,5 volte l'importo del trattamento minimo di pensione o qualora si rientri nelle fattispecie di prolungamento del congedo relativo ad un minore disabile (nel qual caso i genitori di figlio disabile minore di 12 anni possono usufruire di un ulteriore periodo di astensione dal lavoro che si aggiunge al congedo parentale ordinario e che, insieme a questo, non può superare i tre anni).
· l'incremento dal 30 all'80 per cento dell'indennità per le madri e i padri lavoratrici e lavoratori dipendenti, in alternativa tra loro, nel limite massimo di un mese da usufruire entro il sesto anno di vita del figlio con riferimento alle lavoratrici che terminano il periodo di congedo di maternità o di paternità successivamente al 31 dicembre 2022. Successivamente, la legge di bilancio 2024 ha portato tale indennità dal 30 al 60 per cento (80 per il solo 2024) per un ulteriore mese, aggiuntivo rispetto a quello suddetto, con riferimento alle lavoratrici e ai lavoratori che terminano il periodo di congedo di maternità o di paternità successivamente al 31 dicembre 2023;
· l'aumento del congedo da dieci a undici mesi per l'ipotesi in cui vi sia un solo genitore. Resta fermo che, nell'ambito del limite complessivo di dieci mesi per entrambi i genitori, la durata massima del congedo per la madre lavoratrice e per il padre lavoratore è pari, rispettivamente, a sei e a sette mesi;
d) per quanto riguarda i permessi conseguenti ad una disabilità:
· l'equiparazione del convivente di fatto e della parte di un'unione civile al coniuge ai fini della possibilità di fruire del congedo fino a due anni riconosciuto dalla normativa in favore del convivente di soggetto disabile;
· l'introduzione di una specifica disciplina di tutela contro le discriminazioni a danno dei lavoratori che usufruiscano o facciano domanda di fruizione dei benefici previsti in relazione alla condizione di disabilità propria o di coloro ai quali viene prestata assistenza;
· la possibilità che i permessi giornalieri retribuiti previsti dalla normativa vigente per assistere persone disabili siano fruiti, con riferimento alla stessa persona assistita, non solo dai genitori, come previsto in precedenza, ma in generale da più soggetti aventi diritto, fermo restando il limite complessivo di tre giorni al mese (computato con riferimento a tutti coloro che assistono tale persona);
· la revisione dei criteri di priorità nelle richieste di esecuzione del lavoro in modalità agile, che attualmente concerne anche:
- i dipendenti che fruiscono delle due ore di permesso giornaliero fino al terzo anno di vita del figlio disabile o dei permessi previsti dalla normativa vigente per l'assistenza ad una persona con disabilità;
- i dipendenti aventi almeno un figlio di qualsiasi età in condizione di disabilità grave;
- i dipendenti che rientrano nella nozione di caregiver familiare.
Con particolare riferimento al congedo obbligatorio di paternità – che è passata da 1 giorno nel 2013 a 10 giorni dal 2023 – l’INPS, nel report “Conciliazione vita lavorativa e familiare: l'uso del congedo di paternità e dei congedi parentali”, evidenzia che la sua fruizione è progressivamente aumentata, di pari passo con l’incremento della sua durata (si è passati da 1 giorno nel 2013 a 10 giorni dal 2023), come indicato nel seguente grafico:
Fonte: INPS – “Conciliazione vita lavorativa e familiare”
Lavoro agile
In linea generale, come esplicitato dalla normativa in materia di lavoro agile (articolo 18, L. n. 81/2017), la promozione e l'implementazione delle forme di lavoro agile all'interno dei rapporti di lavoro subordinato possono comportare una riduzione delle disuguaglianze di genere, essendo dirette, tra l'altro, ad agevolare la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro.
Ai sensi della richiamata normativa, i datori di lavoro, pubblici e privati, possono stipulare accordi, a termine o a tempo indeterminato (salva facoltà di recesso con preavviso di almeno trenta giorni), con i lavoratori per lo svolgimento dell'attività lavorativa in modalità agile. In tali casi, la prestazione lavorativa viene eseguita in parte all'interno di locali aziendali e in parte all'esterno, entro i soli limiti di durata massima dell'orario di lavoro giornaliero e settimanale, derivante dalla legge e dalla contrattazione collettiva.
Il datore è tenuto a dare priorità alle richieste di esecuzione del lavoro in modalità agile rivolte[22]:
Si ricorda, inoltre, che, fino al 31 marzo 2024, il diritto al lavoro agile è riconosciuto ai genitori lavoratori dipendenti del settore privato che hanno almeno un figlio minore di anni 14.
Trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale
Tra le misure volte a favorire la conciliazione vita-lavoro rientra anche il diritto alla trasformazione del rapporto di lavoro a tempo pieno in lavoro a tempo parziale.
Tale diritto è riconosciuto ai lavoratori affetti da patologie oncologiche nonché da gravi patologie cronico-degenerative ingravescenti, per i quali residui una ridotta capacità lavorativa.
Inoltre, la priorità nella trasformazione del contratto di lavoro a tempo parziale è attualmente riconosciuta:
Anche la lavoratrice che usufruisce del congedo per violenza di genere ha diritto alla trasformazione del rapporto di lavoro a tempo pieno in lavoro a tempo parziale, verticale od orizzontale, ove disponibili in organico. Il rapporto di lavoro a tempo parziale deve essere nuovamente trasformato, a richiesta della lavoratrice, in rapporto di lavoro a tempo pieno.
Analoga trasformazione, inoltre, può essere richiesta anche dai genitori in luogo della fruizione del congedo parentale.
Passaggio di personale tra amministrazioni
Tra le misure volte a favorire la conciliazione tra vita e lavoro vanno annoverate anche quelle in tema di passaggio di personale tra amministrazioni diverse.
In particolare, il genitore, dipendente di amministrazioni pubbliche, con figli minori fino a tre anni di età può chiedere di essere assegnato (a determinate condizioni) ad una sede presente nella stessa provincia o regione nella quale lavora l'altro genitore. L'eventuale dissenso deve essere motivato.
Anche la dipendente vittima di violenza di genere, inserita in specifici percorsi di protezione debitamente certificati, può chiedere il trasferimento ad altra amministrazione pubblica presente in un comune diverso da quello di residenza, previa comunicazione all'amministrazione di appartenenza che, entro quindici giorni, dispone il trasferimento presso l'amministrazione indicata dalla dipendente, ove vi siano posti vacanti corrispondenti alla sua qualifica professionale.
Codice di autodisciplina in favore della maternità
La Ministra per la famiglia, la natalità e le pari opportunità ha varato, nel marzo 2023, il Codice per le imprese in favore della maternità, quale strumento di autodisciplina volto ad affiancare le misure previste dalla normativa vigente per favorire l’ingresso e la permanenza delle donne nel mondo del lavoro, con l’obiettivo di ridurre il fenomeno delle dimissioni per maternità e di creare una collaborazione sul tema della maternità tra aziende e dipendenti.
Tale Codice, a cui le imprese possono aderire liberamente, propone i seguenti ambiti di comportamento aziendale:
Ø favore per la continuità di carriera delle madri, attraverso le seguenti azioni:
- una continua informazione sulla evoluzione dell’impresa e dell’area
- professionale della lavoratrice durante i periodi di astensione;
- una formazione mirata e un sostegno al benessere psico-fisico nella fase di rientro al lavoro;
- la considerazione della maternità nei percorsi di carriera che richiedono necessità logistiche;
- analisi relative al divario retributivo di genere che neutralizzino i periodi di astensione.
Ø iniziative di prevenzione e cura dei bisogni di salute, attraverso:
- campagne di prevenzione e vaccinazione;
- screening periodici e pacchetti check-up dedicati alla maternità;
- attenzione alla medicina di genere;
- assistenza sanitaria integrativa (contrattuale e non).
Ø adattamento dei tempi e modi di lavoro, attraverso:
- la possibilità di congedi e aspettative più lunghi, in caso di maternità o paternità, rispetto alla legge e al CCNL integrate economicamente tra l’80 e il 100 per cento;
- la flessibilità di orario d’ingresso e di uscita;
- il passaggio a part-time verticale e orizzontale;
- l’utilizzo del corretto lavoro da remoto, ovvero la transizione dal vincolo spazio-temporale agli obiettivi della prestazione;
- la disponibilità di asili nido (o la previsione di un loro rimborso);
- la copertura delle spese per la prima infanzia, l’educazione e la assistenza domestica.
Analogamente agli altri Paesi UE, anche l’Italia deve adeguarsi alle previsioni della direttiva UE 2023/970 - che deve essere recepita entro il 7 giugno 2026 -, che stabilisce prescrizioni minime per rafforzare l’applicazione del principio della parità retributiva per uno stesso lavoro tra uomini e donne e il divieto di discriminazione in materia di occupazione e impiego per motivi di genere.
Con riferimento alle misure già adottate a livello nazionale in materia, uno degli strumenti atti a favorire la parità salariale tra uomini e donne è rappresentato dalla redazione da parte delle imprese del rapporto biennale sulla situazione del personale che riporta, tra l’altro, le eventuali differenze retributive.
Attualmente l’obbligo di redazione del suddetto rapporto concerne le aziende (pubbliche e private) che impiegano più di 50 dipendenti (in luogo degli oltre 100 previsti prima della L. 162/2021). Inoltre, le aziende, anche di piccole dimensioni (con almeno 15 dipendenti), che partecipano alle gare di appalto relative agli investimenti pubblici finanziati, in tutto o in parte, con le risorse previste dal PNRR (o che risultano affidatarie dei relativi contratti) l’obbligo di consegnare, a pena di esclusione, una relazione sulla situazione del personale maschile e femminile.
Sempre al fine di favorire la parità salariale, la legge di bilancio per il 2021 ha istituito il Fondo per il sostegno della parità salariale di genere, per interventi finalizzati al sostegno e al riconoscimento del valore sociale ed economico della parità salariale di genere e delle pari opportunità sui luoghi di lavoro.
Al fine di dare effettiva applicazione al principio della parità di genere nell’organizzazione e gestione del rapporto di lavoro, con il D.L. 36/2022 è stato, inoltre, attribuito alle amministrazioni pubbliche il compito di adottare misure che attribuiscano vantaggi specifici ovvero evitino o compensino svantaggi nelle carriere al genere meno rappresentato. In attuazione di tale previsione, il Dipartimento della funzione pubblica ha adottato, il 6 ottobre 2022, le Linee guida sulla parità di genere nell'organizzazione e gestione del rapporto di lavoro con le P.A.
Per quanto concerne le misure di sostegno al reddito, si segnala che la legge di bilancio 2024 ha introdotto, per il triennio 2024-2026, un esonero totale della quota di contribuzione a carico delle lavoratrici dipendenti, a tempo indeterminato, madri di tre o più figli, fino al mese di compimento del diciottesimo anno di età da parte del figlio più piccolo.
Limitatamente al 2024, lo stesso esonero è riconosciuto anche alle lavoratrici dipendenti, sempre a tempo indeterminato, madri di due figli, fino al compimento del decimo anno di età da parte del figlio più piccolo
Incentivo assunzioni donne
La L. 92/2012 ha riconosciuto ai datori di lavoro privati, anche non imprenditori, ivi compresi i datori di lavoro del settore agricolo, un incentivo per le assunzioni di donne che si trovano in condizioni svantaggiate, intendendosi per tali le donne:
§ con almeno 50 anni di età e disoccupate da oltre 12 mesi;
§ di qualsiasi età, residenti in regioni ammissibili ai finanziamenti nell'ambito dei fondi strutturali dell'Unione europea, prive di un impiego regolarmente retribuito da almeno sei mesi (cfr. la Carta degli aiuti a finalità regionale 2014-2020, come modificata con decisione C (2016) final del 23 settembre 2016);
§ di qualsiasi età che svolgono professioni o attività lavorative in settori economici caratterizzati da un'accentuata disparità di genere, con un tasso di disparità uomo-donna che superi di almeno il 25 per cento la disparità media uomo-donna, e prive di un impiego regolarmente retribuito da almeno sei mesi (cfr DM del 16 novembre 2022);
§ di qualsiasi età, ovunque residenti e prive di un impiego regolarmente retribuito da almeno ventiquattro mesi.
Per tali assunzioni è riconosciuta la riduzione del 50 per cento dei contributi a carico del datore di lavoro per la durata di dodici mesi (diciotto se la suddetta assunzione è a tempo indeterminato o se vi è una trasformazione del contratto da tempo determinato a indeterminato).
Fonte: INPS - Focus trimestrale sulle agevolazioni contributive per le assunzioni e le variazioni contrattuali
* I dati riguardano gli esoneri previsti dalla L.92/2012, L.178/2020 e L.197/2022
Secondo quanto riportato nel Bilancio di genere 2023, il 23 per cento delle donne viene assunta tramite incentivo o sgravio fiscale o agevolazione fiscale, principalmente tramite il contratto di apprendistato, la Decontribuzione sud e il suddetto esonero donne della legge n. 92 del 2012.
Si segnala, inoltre, un’ulteriore agevolazione introdotta in attuazione di quanto disposto dalla legge di delega fiscale n. 111 del 2023. L'art. 4 del D.Lgs. 216/2023 ha introdotto un'agevolazione fiscale per le nuove assunzioni di personale: in particolare, per il periodo d'imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2023, prevede una maggiorazione del costo ammesso in deduzione per i titolari di reddito d'impresa e per gli esercenti arti e professioni in presenza di nuove assunzioni a tempo indeterminato. Tale maggiorazione viene ulteriormente incrementata laddove le suddette nuove assunzioni riguardino particolari categorie di soggetti, tra cui:
§ donne di qualsiasi età con almeno due figli di età minore di diciotto anni o prive di un impiego regolarmente retribuito da almeno sei mesi residenti in regioni ammissibili ai finanziamenti nell'ambito dei fondi strutturali UE;
§ donne vittime di violenza, inserite in percorsi di protezione debitamente certificati.
§
Infine, la legge di bilancio 2024 (art. 1, c. 191-193, L. 213/2023) ha previsto il riconoscimento di uno sgravio contributivo totale in favore dei datori di lavoro privati, che, nel triennio 2024-2026, assumono donne disoccupate vittime di violenza, beneficiarie del reddito di libertà. Tale sgravio è riconosciuto nel limite massimo di importo di 8.000 euro annui e per la durata di 24 mesi, se l'assunzione è a tempo indeterminato, di 12 mesi, se è a termine, e di 18 mesi, se il relativo contratto è trasformato da tempo determinato a tempo indeterminato.
Tutela della lavoratrice in caso di dimissioni e in caso di molestie
Il testo unico a tutela della maternità e paternità (D.Lgs. 151/2001) dispone che, in caso di dimissioni volontarie presentate durante il periodo per cui è vietato il licenziamento (durante la gravidanza e sino al compimento di un anno di vita o fino ad un anno dall'ingresso del minore nel nucleo familiare) la lavoratrice ha diritto alle indennità previste da disposizioni di legge e contrattuali per il caso di licenziamento. Inoltre, per rafforzare la tutela contro dimissioni indotte o pressioni, la risoluzione consensuale del rapporto o la richiesta di dimissioni presentate dalla lavoratrice, durante il periodo di gravidanza, e dalla lavoratrice o dal lavoratore durante i primi tre anni di vita del bambino o nei primi tre anni di accoglienza del minore adottato o in affidamento, devono essere convalidate dal servizio ispettivo del Ministero del lavoro e delle politiche sociali competente per territorio. La convalida opera come condizione sospensiva dell'efficacia della risoluzione del rapporto di lavoro.
Il Codice delle pari opportunità (articolo 26 del D.Lgs. 198/2006, come modificato dalla legge di stabilità 2018) dispone il divieto di demansionamento, licenziamento, trasferimento o sottoposizione ad altra misura organizzativa con effetti negativi sulle condizioni di lavoro per le lavoratrici ed i lavoratori che agiscano in giudizio per la dichiarazione delle discriminazioni per molestie o molestie sessuali, poste in essere in violazione dei relativi divieti in materia contenuti nello stesso Codice. Stabilisce, inoltre, la nullità del licenziamento ritorsivo o discriminatorio del soggetto denunciante, nonché del mutamento di mansioni e di qualsiasi altra misura ritorsiva o discriminatoria adottata nei confronti del denunciante. Le richiamate tutele non sono comunque garantite qualora sia accertata (anche con sentenza di primo grado) l'infondatezza della denuncia o la responsabilità penale del denunciante per calunnia o diffamazione.
Inoltre, il medesimo Codice pone a carico del datore di lavoro l’obbligo di assicurare condizioni di lavoro tali da garantire l'integrità fisica e morale e la dignità dei lavoratori.
Di seguito una panoramica dei principali istituti di pensionamento anticipato previsti dalla normativa vigente per le donne, anche al fine di ridurre il divario pensionistico di genere.
Si ricorda, infatti, che secondo quanto riportato nel Bilancio di genere 2023, nel 2022 il divario pensionistico di genere in Italia è stato pari al 30,1 per cento, in diminuzione rispetto a quanto registrato nel 2021 quando era pari a 31,3 per cento, ma superiore alla media UE-27 stimata al 26 per cento nel medesimo 2022.
Inoltre, l’INPS, nel report “Il divario di genere nei redditi pensionistici”, evidenzia che le donne prevalgono nelle tipologie di importo più basso e ricevono un assegno pensionistico mediamente più basso a parità di tipologia (a causa della discontinuità della carriera lavorativa che produce i propri effetti anche sulla contribuzione a fini pensionistici).
Nell’ambito dell'istituto dell'APE sociale (previsto fino al 31 dicembre 2024), che consiste in una indennità a favore di soggetti che si trovino in particolari condizioni e corrisposta fino al conseguimento dei requisiti pensionistici, è prevista una riduzione per le donne di 12 mesi per ciascun figlio, nel limite massimo di 2 anni (cd. APE sociale donna).
Secondo quanto riportato nel Bilancio di genere 2023, nel 2022 le donne beneficiarie dell’APE sociale sono state 8,7 mila, per un’indennità lorda di circa 39 mila euro annui
La legge di bilancio 2024 ha prorogato anche per il 2024 l'istituto del pensionamento anticipato Opzione donna, come ridisegnato dalla legge di bilancio 2023.
Tale istituto riconosce la possibilità di accedere a tale trattamento pensionistico anticipato alle lavoratrici che maturino entro il 31 dicembre 2023 un'anzianità contributiva pari almeno a 35 anni, un'età anagrafica di almeno 61 anni (ridotta di un anno per ogni figlio e nel limite massimo di 2 anni) e siano in possesso di particolari requisiti. Nel caso di lavoratrici licenziate o dipendenti da imprese per le quali è attivo un tavolo di confronto per la gestione della crisi aziendale, il requisito anagrafico è ridotto a 59 anni. Al predetto requisito anagrafico, richiesto per l'accesso al pensionamento in esame, non si applicano gli adeguamenti alla speranza di vita prevista dalla normativa vigente.
L'accesso anticipato al trattamento pensionistico, calcolato secondo le regole del sistema contributivo, è riconosciuto, in particolare, alle lavoratrici che siano in possesso, alternativamente, di uno dei seguenti requisiti:
§ assistano da almeno sei mesi il coniuge o un parente di primo grado convivente con handicap grave, ovvero un parente o un affine di secondo grado convivente qualora i genitori o il coniuge della persona con handicap in situazione di gravità abbiano compiuto 70 anni oppure siano anch'essi affetti da patologie invalidanti o siano deceduti o mancanti. Come specificato dalla Circ. INPS n. 25 del 2023, i sei mesi di assistenza - che si considera soddisfatta dalla convivenza - devono essere continuativi;
§ abbiano una riduzione della capacità lavorativa uguale o superiore al 74% (accertata dalle competenti commissioni per il riconoscimento dell'invalidità civile);
§ siano lavoratrici licenziate o dipendenti da imprese per le quali è attivo un tavolo di confronto per la gestione della crisi aziendale. In questo caso il requisito anagrafico è ridotto a 59 anni.
Resta fermo che le lavoratrici che già entro il 31 dicembre 2021 avevano maturato un'anzianità contributiva di almeno trentacinque anni e un'età di almeno 58 anni per le lavoratrici dipendenti o 59 anni nel caso di lavoratrici autonome possano comunque accedere al trattamento pensionistico anticipato "opzione donna", come disciplinato antecedentemente alla legge di bilancio 2023, che ha modificato la disciplina originaria.
Il diritto al trattamento pensionistico è conseguito trascorsi un numero di mesi (cosiddetta finestra) dalla data di maturazione dei requisiti pari a diciotto per le lavoratrici autonome e dodici per le lavoratrici dipendenti.
Ai fini dell'accesso al trattamento pensionistico da parte delle lavoratrici dei comparti scuola e AFAM, la cessazione dal servizio e la decorrenza del relativo trattamento pensionistico hanno effetto dalla data di inizio del nuovo anno scolastico o accademico. La domanda di cessazione del servizio può essere presentata entro il 28 febbraio 2024, con effetti dall'inizio dell'anno scolastico o accademico successivo.
Secondo quanto riportato nel Bilancio di genere 2023, il numero di domande accettate al regime sperimentale “Opzione donna” era pari a 21,4 mila nel 2022 (17,3 mila nella gestione privata e circa 4 mila in quella pubblica), considerando insieme sia le domande per le pensioni con i requisiti al 31 dicembre 2015 che con i requisiti al 31 dicembre 2022
Il tema delle pari opportunità ha una valenza sociale valorizzata, in primo luogo, nelle politiche per la natalità e per la famiglia, come evidenziato, tra l’altro, dalle finalità della riforma approvata con il c.d. Family act (Legge n. 32 del 7 aprile 2022 (Deleghe al Governo per il sostegno e la valorizzazione della famiglia), che, tra gli altri obiettivi, include espressamente quello di favorire la conciliazione della vita familiare con il lavoro di entrambi i genitori e sostenere, in particolare, il lavoro femminile.
Riguardo al primo aspetto va ricordato, infatti, che il calo della natalità ha presentato un trend costante in Italia nel corso degli ultimi decenni, correlato alla riduzione del tasso di fecondità, vale a dire del numero medio dei figli per donna, causato dall’aumento dell'età media alla nascita del primo figlio, con il conseguente fenomeno della contrazione dei secondi figli e della diminuzione drastica dei terzi figli e oltre. Sono sensibilmente aumentate le donne senza figli: 1 su 4 per le nate nel 1980, vale a dire circa il doppio rispetto alla generazione del 1950 (l’11,1% delle donne in età riproduttiva).
Nell’ultimo rapporto ISTAT presentato a luglio 2023 (dati 2022) emerge come fin dalla metà degli anni Settanta il numero medio di figli per donna sia tendenzialmente sceso sotto la soglia di 2,1 unità, valore in grado di garantire appena l’equilibrio nel ricambio generazionale. La diminuzione del tasso di fecondità si è protratta fino al minimo storico di 1,19 figli per donna registrato nel 1995, con la conseguenza di una erosione del contingente dei potenziali genitori: se negli anni di picco del c.d. baby boom, intorno al 1964, nascevano oltre 1 milione di bambini, fino alla metà degli anni Settanta i contingenti di nati si sono mantenuti sopra le 800 mila unità, mentre nel 1995 le nascite continuavano a scendere fino alla soglia delle 526 mila unità, un effettivo dimezzamento dei contingenti dei figli della generazione nata da genitori del periodo del baby boom.
Il tasso di fecondità è tornato ad aumentare nel 2010, arrivando al massimo relativo di 1,44 figli per donna, sostenuto in gran parte dalle nascite con almeno un genitore straniero (un quinto del totale dei 562 mila nati del 2010). Successivamente, anche a causa degli effetti economici e sociali della crisi del 2008 e poi del 2011-2012, è iniziata una nuova fase di rapida diminuzione delle nascite e del numero medio di figli per donna, arrivando nel 2022 a toccare per la prima volta una soglia sotto le 400.000 (393.333 unità, 6.900 in meno rispetto al 2021, -1,7%).
Le politiche per la natalità potrebbero pertanto avere un impatto sulla riduzione dei divari di genere in quanto dirette a favorire la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro delle donne.
Gli interventi al riguardo incidono principalmente su due fronti:
A. le prestazioni monetarie per la cura e l’assistenza alla prima infanzia, grazie all’erogazione, dal mese di marzo 2022, dell'assegno unico e universale (AUU)[23], misura riformata che ha razionalizzato e unificato gli strumenti di sostegno alla natalità e alle famiglie. In tale prospettiva, la misura intende contribuire alla ripresa della natalità ed al sostegno dell’occupazione, con particolare riguardo a quella femminile[24].
L’assegno è parametrato ai diversi livelli ISEE (inferiore o pari a 15.000 euro) e alle diverse tipologie di nucleo familiare, con un valore massimo di 175 euro al mese – con possibili maggiorazioni[25] - per ciascun figlio minorenne nelle famiglie con ISEE, fino a raggiungere un valore minimo e costante (pari a 50 euro) in corrispondenza di ISEE pari o superiore a 40.000 euro. I diversi istituti abrogati - che determinavano una evidente frammentazione delle politiche – sono: il Premio alla nascita (Bonus mamma domani), l’Assegno di natalità (Bonus bebè), il Fondo di sostegno alla natalità, gli Assegni al Nucleo Familiare (ANF) e le detrazioni per i figli a carico al di sotto dei 21 anni. Rimane invece in vigore l’assegno di maternità dei Comuni e il Bonus nido, misura introdotta dalla legge di bilancio 2017 (art. 1, comma 355, legge n. 232 del 2016), per il pagamento delle rette per la frequenza di asili nido pubblici e privati autorizzati e di forme di assistenza domiciliare in favore di bambini con meno di tre anni affetti da gravi patologie croniche.
La legge di bilancio 2020 (art. 1, commi 343 e 344, della legge n. 160 del 2019) ha rimodulato e incrementato il Bonus nido in base a soglie ISEE differenziate:
§ è pari a 1.500 euro per i nuclei familiari con ISEE minorenni superiore a 40.000 euro;
§ è incrementato di 1.000 euro per i nuclei familiari con un ISEE minorenni da 25.001 euro a 40.000 euro (raggiungendo l'importo di 2.500 euro);
§ è incrementato di ulteriori 1.500 euro per i nuclei familiari con un valore ISEE minorenni fino a 25.000 euro, (raggiungendo così l'importo di 3.000 euro).
B. il potenziamento del numero di posti disponibili negli asili nido e nei servizi educativi per l’infanzia, come previsto dalla Missione 4, componente 1 del PNRR, con 4,6 miliardi di euro sovvenzioni per il piano di investimenti per la fascia 0-6 anni, finalizzato ad incrementare l'offerta di strutture per l'infanzia (nuove ed esistenti) ed i posti disponibili. Le sovvenzioni sono dirette a specifici piani per la costruzione e riqualificazione degli asili nido con l’obiettivo di incoraggiare la partecipazione delle donne al mercato del lavoro dati gli effetti sulla conciliazione della vita familiare e professionale. Allo stato, sono stati realizzati 150.480 nuovi posti per servizi educativi e di cura della prima infanzia (l’obiettivo a fine 2025, ora rimodulato, era di almeno 264.480 nuovi posti).
Si segnala che la legge di bilancio 2022 (commi 172 e 173 della legge n. 234 del 2021) ha incrementato la quota del Fondo di solidarietà comunale (FSC) destinato a potenziare il numero di posti disponibili negli asili nido e nei servizi educativi per l’infanzia, e ha fissato un livello minimo garantito (33% su base locale entro il 2027, considerando anche il servizio privato) che ciascun comune o bacino territoriale è tenuto a garantire per i bambini compresi nella fascia di età da 3 a 36 mesi. Dal 2022 l'obiettivo di servizio, per fascia demografica del comune o del bacino territoriale di appartenenza, è fissato con decreto ministeriale, dando priorità ai bacini territoriali più svantaggiati, tenendo conto di una soglia massima del 28,88%, valida sino a quando anche tutti i comuni svantaggiati non avranno raggiunto un pari livello di prestazioni[26].
In base agli ultimi dati ISTAT di consuntivo (v. Offerta di nidi e servizi integrativi per la prima infanzia), per l’anno educativo 2021/2022), sono attivi 13.518 nidi e servizi integrativi per la prima infanzia e sono autorizzati oltre 350mila posti (48,8% dei quali a titolarità pubblica). Vi è una tendenziale riduzione della differenza tra bambini utenti e posti disponibili nei nidi, anche in conseguenza del costante calo delle nascite, pur rimanendo insoddisfatte le richieste di iscrizione soprattutto al Mezzogiorno (66,4% nel pubblico, 48,7% nel privato). Per l’anno educativo di riferimento, la frequenza si avvicina al target europeo fissato per il 2010 (33%), benchè resti ampia la distanza rispetto al target per il 2030 (45%).
Più in generale, le politiche per la famiglia configurate dalla citata legge n. 32/2022 (c.d. Family act), nel corso del 2022, intervengono su ambiti diversi, quali:
§ il sostegno all'occupazione femminile, estendendo la disciplina dei congedi parentali anche ai lavoratori autonomi e stabilendo un periodo minimo (non inferiore ai due mesi) di congedo parentale non cedibile all'altro genitore. Con riferimento ai congedi di paternità, si intende stabilire il princìpio che tale diritto sia concesso a prescindere dallo stato civile o di famiglia del padre lavoratore, non sia subordinato a una determinata anzianità lavorativa e di servizio e che sia garantito a parità di condizioni anche per i lavoratori delle pubbliche amministrazioni. Inoltre, nei primi mesi dalla nascita del figlio, si prevede per il padre un periodo di congedo obbligatorio non inferiore a dieci giorni lavorativi.
Sono state introdotte ulteriori modalità di lavoro flessibile, estendendo la possibilità di fruire, previo preavviso, di un permesso retribuito di durata non inferiore alle cinque ore per anno, per consentire ai genitori lavoratori di partecipare ai colloqui scolastici. Al fine di sostenere l'applicazione delle modalità flessibili di lavoro, sono stati introdotti incentivi per i datori di lavoro nel caso in cui si applichino le clausole previste in materia nei contratti nazionali;
§ con riferimento alle misure per la conciliazione dei tempi vita e lavoro, in base all'ISEE del nucleo familiare, si è introdotta una percentuale di detraibilità ovvero di deducibilità delle spese sostenute dal contribuente per addetti ai servizi domestici e all'assistenza di familiari, nonché una modulazione graduale della retribuzione percepita dal lavoratore nei giorni di assenza dal lavoro nel caso di malattia dei figli.
§ Al fine di riconoscere l’importanza del valore sociale delle attività educative e di apprendimento formale e non formale dei figli, è stato previsto il riconoscimento di agevolazioni fiscali, esenzioni, deduzioni dalla base imponibile o detrazioni dall'imposta sul reddito, delle spese sostenute per istruzione dalle famiglie. L’obiettivo è quello di una razionalizzazione del sistema dei benefìci fiscali relativi ai figli a carico, introducendo anche nuove agevolazioni inerenti alle spese per la crescita, per il mantenimento e per l'educazione formale (acquisto dei libri scolastici, di beni e servizi informatici per i figli a carico che non beneficiano di altre forme di sostegno) e l'educazione non formale dei figli (iscrizione/abbonamento ad associazioni sportive, palestre, piscine nonche? alla frequenza di corsi di lingua straniera, di arte e di musica; biglietti di ingresso a rappresentazioni teatrali e cinematografiche, musei, mostre ed eventi culturali, monumenti, gallerie, aree archeologiche e parchi naturali).
§ Si intende intervenire per garantire in tutto il territorio nazionale, in forma progressiva ed uniforme, l'istituzione ed il sostegno dei servizi socio-educativi e dei servizi educativi per l'infanzia e al fine di assicurare alle famiglie parità nelle condizioni di accesso e pari opportunità. Allo scopo, si prevedono contributi destinati a coprire, anche per l'intero ammontare, il costo delle rette relative alla frequenza dei servizi educativi per l’infanzia e, per i figli affetti da patologie fisiche e non fisiche, comprese la diagnosi e la cura di disturbi specifici dell'apprendimento, specifiche misure di sostegno, fino al completamento della scuola secondaria di secondo grado.
In ambito sociale, le politiche di sostegno ai caregivers possono avere un impatto su parità di genere e pari opportunità, in quanto sono prevalentemente le donne ad assumersi il compito delle attività di cura familiari e di assistenza alla disabilità e alla non autosufficienza.
A livello di indicatori di eguaglianza di genere calcolati dall’EIGE, l’Istituto europeo per l’uguaglianza di genere, su dati EUROSTAT, con riferimento alla distribuzione del tempo dedicato alla cura, al lavoro domestico e alle attività sociali, sono stati registrati divari di genere riguardanti, in particolare:
- le attività di cura, relative al coinvolgimento di donne e uomini nella cura e nell’istruzione dei propri figli o nipoti, degli anziani e dei disabili, misurato come percentuale della popolazione tra i 18 e i 74 anni. In Italia, tale percentuale riguarda il 34% delle donne, a fronte del 25% degli uomini, in linea con la media europea. L’indice per la sottocategoria della percentuale di donne e uomini coinvolti nelle attività di cucina e dei lavori domestici, invece, sale notevolmente: questa percentuale è, rispettivamente, del 72% e del 34%, a fronte di una media europea del 63% e del 36% (qui il link).
- numero di donne e uomini impegnati in attività sociali: l’indicatore misura i divari di genere nell’impegno delle donne e degli uomini in attività sportive, culturali o ricreative fuori casa (rispettivamente del 28% e 34%), combinato con il loro impegno in attività di volontariato e di beneficenza (rispettivamente dell’11% e del 13%), in linea con la media europea.
Come risulta inoltre dalla seguente tabella ISTAT (dati consolidati 2019) il totale dei caregivers familiari che ha fornito cure ed assistenza almeno una volta alla settimana a membri della propria famiglia ammonta, complessivamente, a oltre 7 milioni di persone, in prevalenza appartenenti alla popolazione femminile[27] (donne: 4,1 milioni, circa il 60% del totale dei 7 milioni di caregiver, contro i 2,9 milioni di uomini), su un totale di circa 8 milioni di caregivers (coloro che dichiarano di aver fornito assistenza, non necessariamente ad un familiare).
Si definiscono caregiver familiari, i soggetti individuati dalla legge di Bilancio 2018 (legge 27 dicembre 2017, n. 205, comma 255) che definisce caregiver la persona che assiste e si prende cura del coniuge, di una delle parti dell’unione civile tra persone dello stesso sesso o del convivente di fatto[28]; familiare o affine entro il secondo grado; un familiare entro il terzo grado, nei casi individuati dall’art. 33, comma 3, della L. 104/1992[29], che, a causa di malattia, infermità o disabilità, anche croniche o degenerative, sia non autosufficiente e in grado di prendersi cura di sé; sia riconosciuto invalido in quanto bisognoso di assistenza globale e continua di lunga durata continuativa ai sensi dell’articolo 3, comma 3, della L. 104/1992[30], sia titolare di indennità di accompagnamento[31].
Se si considera la popolazione residente in Italia nel 2019, circa 59,6 milioni di italiani, i caregivers familiari di genere femminile rappresentano una popolazione di circa il 6,9 per cento.
Inoltre, in base a dati Epicentro - Istituto Superiore di Sanità (qui il link)[32], risulta che il 65% dei carigiver familiari sono donne di età compresa tra i 45 e i 55 anni, che spesso svolgono anche un lavoro fuori casa o che sono state costrette ad abbandonarlo (nel 60% dei casi) per potersi dedicare a tempo pieno alla cura dei familiari.
Si segnala al riguardo che alla Camera sono state incardinate diverse proposte di legge di iniziativa parlamentare (A.C. 114 ed abb.) finalizzate ad introdurre una disciplina per il riconoscimento della figura del caregiver familiare ed il sostegno dell'attività di cura ed assistenza delle persone più fragili svolta dalla stessa, dato anche l'alto valore sociale ed economico dell'attività prestata che si configura come vantaggiosa per l'intera collettività. Le proposte intervengono nella disciplina vigente in modo parzialmente difforme, alcune di esse introducendo peraltro anche deleghe al Governo per garantire la piena integrazione del caregiver nell'ordinamento giuridico.
Si sottolinea inoltre, che, in termini di risorse finanziarie, il Fondo per il sostegno del ruolo di cura e di assistenza del caregiver familiare di cui alla sopra richiamata legge di Bilancio 2018 (Legge n. 205/2017, comma 254) la cui dotazione strutturale a regime era pari a 25,8 milioni di euro e ripartita in base ad un piano regionale, a decorrere dal 2024 è stata convogliata nel Fondo unico per l’inclusione delle persone con disabilità nello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze, per il successivo trasferimento al bilancio autonomo della Presidenza del Consiglio dei ministri, ai sensi della legge di bilancio per il 2024 (legge n. 213 del 2023, comma 212).
Con riferimento ai dati sulla disabilità, rileva conoscere che in Italia, in base ai dati ISTAT (anno 2021)[33] sono oltre 3 milioni i soggetti con limitazioni gravi e oltre 9,7 milioni quelli con limitazioni non gravi.
Il rafforzamento dell'assistenza sociale rivolta alla cura dei soggetti fragili, tra cui malati cronici e persone disabili, e la contemporanea riprogettazione e potenziamento dei servizi pubblici di cura rivolti agli anziani non autosufficienti, disegnano una assistenza sul territorio con ricadute molto importanti per l'occupazione femminile, poiché, da un lato alleggeriscono le donne dall'impegno di cura familiare, del quale sono prevalentemente responsabili, dall'altro creano nuove possibilità di impiego in un settore tradizionalmente occupato dalle donne.
Si segnala che all’esame parlamentare vi sono due provvedimenti attuativi di leggi delega, volti a realizzare due distinte riforme previste dal PNRR:
- lo schema di decreto legislativo (AG. 121) per l’attuazione di politiche in favore delle persone anziane, adottato in base alle deleghe legislative previste dalla legge 23 marzo 2023 n. 33[34].
Questa legge ha delineato una riforma articolata e complessiva, volta ad attuare alcune norme della legge di bilancio 2022 (L. n. 234/2021, art. 1, commi 159-171) e, con specifico riferimento alla categoria degli anziani non autosufficienti, a realizzare gli obiettivi del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR), Missione 5, "Inclusione e Coesione", Componente 2 "Infrastrutture sociali, famiglie, comunità e Terzo settore", intesa a rafforzare il ruolo dei servizi sociali territoriali per la definizione di modelli personalizzati per la cura delle famiglie, delle persone di minore età, degli anziani, così come delle persone con disabilità. Ulteriori interventi prevedono investimenti infrastrutturali, finalizzati alla prevenzione dell'istituzionalizzazione attraverso la riconversione delle RSA o il reperimento di soluzioni alloggiative alternative per situazioni di povertà estrema.
In base ai dati ISTAT[35], al 1° gennaio 2023, le persone con più di 65 anni sono 14,2 milioni, vale a dire il 24,1% (quasi un quarto) della popolazione totale. L'età media della popolazione è salita da 45,7 anni all'inizio del 2020 e 46,5 anni all'inizio del 2023. All’aumento consistente degli anziani, per effetto di alti livelli di longevità[36] per entrambi i sessi, corrisponde una stima della speranza di vita alla nascita indicata in 80,5 anni per gli uomini e di 84,8 anni per le donne[37].
Considerato l’invecchiamento della popolazione, la legge di bilancio 2022 (legge n. 234 del 2021, commi 159-171) ha fornito la prima definizione dei livelli essenziali delle prestazioni sociali (LEPS) per la non autosufficienza[38] mediante la qualificazione dell'offerta integrata sociosanitaria territoriale, con il passaggio graduale dai trasferimenti monetari all'erogazione di servizi diretti o indiretti, e la costituzione di sistemi di servizi integrati presso le Case della comunità previste dalla Missione 6 (salute) del PNRR, per il potenziamento dei servizi domiciliari e della telemedicina, ed il rafforzamento dell'assistenza sanitaria intermedia/territoriale e delle sue strutture.
In ragione di tali servizi, il Servizio sanitario nazionale e gli ATS (ambiti territoriali sociali) sono chiamati a garantire alle persone in condizioni di non autosufficienza l'accesso ai servizi sociali e ai servizi sociosanitari attraverso punti unici di accesso (PUA)[39]. Per la realizzazione di Case della comunità è previsto un investimento di 2 miliardi di euro di prestiti, finalizzato all’attivazione di 1.350 Case della Comunità, case della salute tecnologicamente attrezzate - successivamente rimodulate in 1.038 strutture a causa dell’aumento dei costi stimati dovuti all’inflazione -, vale a dire strutture socio-sanitarie quali punto di riferimento continuativo per la popolazione, indipendentemente dal quadro clinico dell’utenza (malati cronici, persone non autosufficienti che necessitano di assistenza a lungo termine, persone affette da disabilità, disagio mentale, povertà), per l'attivazione, lo sviluppo e l'aggregazione di servizi di assistenza primaria e multiprofessionale. All’interno della Casa della Comunità sono previsti: un punto unico di accesso alle prestazioni sanitarie per le valutazioni multidimensionali (servizi socio -sanitari); servizi sociali e assistenziali rivolti prioritariamente alle persone anziane e fragili; servizi dedicati alla tutela della donna, del bambino e dei nuclei familiari (Consultori). Il personale è costituito da team multidisciplinari di professionisti della salute (MMG, PLS, medici specialistici e infermieri di comunità identificati come la figura chiave della struttura), oltre che da assistenti sociali.
- lo schema di decreto legislativo (AG. 122), terzo provvedimento attuativo predisposto in attuazione della disciplina di delega di cui alla L. 22 dicembre 2021, n. 227, per la revisione ed il riordino delle disposizioni vigenti in materia di disabilità. Questo schema, tuttora all’esame parlamentare, concerne la disciplina della condizione di disabilità e della relativa normativa di settore, della valutazione di base, della valutazione multidimensionale ai fini della elaborazione ed attuazione del progetto di vita individuale, personalizzato e partecipato.
I precedenti due decreti già adottati riguardano:
· la riqualificazione dei servizi pubblici per l'inclusione e l'accessibilità (D. Lgs. 13 dicembre 2023, n. 222);
· l’istituzione dell'Autorità Garante nazionale dei diritti delle persone con disabilità (A.G. n. 101), il cui testo definitivo è in attesa di pubblicazione.
Con riferimento alle politiche sanitarie, si pone l’attenzione sulle differenze di genere in termini di appropriatezza, efficacia ed equità delle cure e degli interventi di prevenzione, che influenzano la qualità e la sostenibilità del Servizio Sanitario Nazionale, migliorandone i risultati e diminuendone i costi.
Riguardo agli indici di eguaglianza di genere calcolati a livello europeo[40], il dominio della salute è quello in cui l’Italia registra i punteggi più alti. Il punteggio era di 88,4 punti nel 2020 (12° posto su 27 Paesi) cresciuto a 89,2 nel 2023.
Tale indice misura l'uguaglianza di genere in tre aspetti legati alla salute (qui le statistiche su dati EUROSTAT per l’Italia, anche rispetto ai valori medi UE, a consuntivo 2020) :
- lo stato di salute, che analizza le seguenti differenze con indicatore complessivo di 94,6 punti:
o aspettativa di vita di donne e uomini: 85 anni per le donne e 81 per gli uomini nel 2023, a confronto di una media UE, rispettivamente di 83 e 77 anni;
o salute auto-percepita, calcolata in percentuale sulla popolazione sopra i 16 anni: in Italia 71% per le donne e 76% per gli uomini, a confronto con una media UE, rispettivamente, del 67% e del 72%;
o anni di vita in buona salute (chiamata anche aspettativa di vita senza disabilità): 69 anni per le donne e 68 anni per gli uomini (media UE, rispettivamente, 64 e 63 anni);
- il comportamento sanitario, con indicatore complessivo di 76,1 punti, che considera una serie di fattori di comportamento sanitario basati sulle raccomandazioni dell'OMS in materia di buona prevenzione oppure di abitudini nocive, quali:
o consumo di frutta e verdura e attività fisica: percentuale sulla popolazione con più di 15 anni, 25% donne e 30% uomini (media UE, rispettivamente, 38% e 43%);
o fumo e consumo di alcol: percentuale sulla popolazione con più di 15 anni, 80% donne e 69% uomini (media UE, rispettivamente 73% e 56%).
- l'accesso ai servizi sanitari, con indicatore complessivo di 98,6 punti, misurato in base alla percentuale di persone che dichiarano di avere esigenze mediche e/o odontoiatriche non soddisfatte (in percentuale sulla popolazione con più di 16 anni, solo il 3% donne e il 2% uomini, a fronte di una media UE, rispettivamente, del 5% e del 4%.
La parità di genere è diventata negli anni un obiettivo delle politiche pubbliche anche in tema di sanità, grazie al riconoscimento di differenze oltre che di somiglianze biologiche tra donne e uomini, promuovendo la ricerca per approfondire i fattori attraverso cui le differenze legate al sesso/genere agiscono sull’insorgenza e il decorso delle diverse malattie in tutte le fasi della vita dell’individuo, nonché sulla risposta alle terapie.
Tali aspetti rientrano nella cosiddetta medicina di genere, la cui applicazione ha avuto l’avvio grazie all'articolo 3, della legge n. 3/2018[41] che ha riordinato vari settori di interesse sanitario, tra i quali la sperimentazione clinica.
Tra le differenze più significative, occorre considerare l’impatto dei farmaci, in quanto le donne, anche per la loro longevità, fanno maggior consumo di medicinali. Il problema correlato più rilevante è l'impatto delle reazioni avverse, che sono più numerose e più frequenti nelle donne e sulle quali i diversi farmaci son stati anche meno studiati, soprattutto per quanto riguarda il dosaggio. In particolare con riferimento ai vaccini, le donne hanno la tendenza a sviluppare risposte immunitarie innate ed acquisite, anche umorali, più intense rispetto agli uomini. Questo si riflette in una diversa risposta ai vaccini nei due sessi: nelle donne si raggiungono titoli di anticorpi protettivi in risposta ai vaccini significativamente più elevati che negli uomini, con maggiore probabilità di manifestare, con più frequenza, reazioni avverse.
Dal punto di vista farmaceutico, questo concetto è stato ufficialmente recepito dalle grandi agenzie regolatorie, l'FDA americana e l'EMA europea, che oggi prescrivono l'obbligatorietà di condurre studi clinici che includano sostanziali percentuali di donne affinché un farmaco possa essere immesso sul mercato. In Italia, l’Agenzia italiana del Farmaco (AIFA) ha istituito nel 2011 il “Gruppo di Lavoro su farmaci e genere”. con la finalità di contrastare la c.d. “cecità di genere”, causa della mancanza di ricerche, analisi e pubblicazioni di dati disaggregati rispetto al sesso, richiedendo per questo alle aziende farmaceutiche di sviluppare disegni di ricerca orientati al genere e di elaborare i dati ottenuti considerando la variabile sesso.
Riguardo l’appropriatezza d'uso, considerato che la patogenesi delle stesse malattie nelle donne può essere diversa rispetto all'uomo, i farmaci presentano una diversa efficacia tra uomo e donna, come ad esempio nel caso delle statine prescritte comunemente per regolare i livelli di colesterolo nel sangue.
In molti casi, inoltre, determinate malattie colpiscono più la donna, oppure si manifestano e hanno un decorso diverso, rispetto alle stesse malattie nell'uomo, come, ad esempio, per le malattie cardiovascolari per le quali, cessata la protezione ormonale dopo la menopausa, oltre i 60 anni, si registra un forte aumento dei casi nella popolazione femminile. Esse infatti rappresentano la principale causa di morte in Italia, con il 34,8 del totale dei decessi[42] (31,7% nei maschi e 37,7% nelle femmine).
Ulteriori ambiti in cui la medicina di genere presenta un impatto significativo sono:
- malattie tumorali: con riferimento alla prevalenza, il Piano oncologico nazionale 2023-2027 riporta una stima di 3,6 milioni nel 2020 (il 5,7% della popolazione) di persone che in Italia hanno ricevuto una pregressa diagnosi di tumore (2,5 milioni nel 2006), di cui 1,9 milioni femmine e 1,7 milioni maschi. Con riferimento alle aspettative di sopravvivenza ad una diagnosi tumorale, l’aumento è stato particolarmente marcato per coloro che vivono da oltre 10 o 15 anni dalla diagnosi.
Nel 2020, circa 2,4 milioni, il 65% del totale e il 3,8% della popolazione, hanno avuto una diagnosi da più di 5 anni, mentre 1,4 milioni di persone, pari al 39% del totale, hanno ricevuto la diagnosi da oltre 10 anni. Tra le persone che vivono dopo una diagnosi di tumore, il 53 per cento sono donne, cioè il 6 per cento della intera popolazione femminile italiana e il 47 per cento uomini, vale a dire il 5,6 per cento della popolazione maschile.
Al riguardo, si segnala che, da ultimo, la legge di Bilancio per il 2023 (L. n. 197/2022, comma 531) ha autorizzato una spesa di 250.000 euro per il 2023 e di 500 mila euro per ciascuno degli anni 2024 e 2025 a favore degli IRCCS - Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico della “Rete oncologica” del Ministero della salute per lo sviluppo di nuove tecnologie antitumorali CAR-T e di 5 milioni per ciascuno degli anni dal 2023 al 2026 a favore degli IRCCS della “Rete cardiovascolare” del Ministero della salute, impegnati nei programmi di prevenzione primaria cardiovascolare, in attuazione della linea progettuale prevista nell’ambito del PNRR Investimento 2.1 Missione 6 – C2, “Valorizzazione e potenziamento della ricerca biomedica del SSN”.
Con riferimento alla lotta ai tumori, il D.L. n. 198/2022 (Proroga termini legislativi, articolo 4, commi 9-bis e 9-quater) ha previsto l’istituzione per gli anni 2023-2024, nello stato di previsione del Ministero della Salute, di un fondo denominato Fondo per l'implementazione del Piano oncologico Nazionale 2023-2027 – PON, con una dotazione pari a 10 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2023 al 2027 destinato al potenziamento delle strategie e delle azioni per la prevenzione, la diagnosi, la cura e l'assistenza al malato oncologico, in base alle specifiche esigenze regionali e, in particolare, al raggiungimento della piena operatività delle reti oncologiche regionali, al potenziamento dell'assistenza domiciliare integrata con l'ospedale ed i servizi territoriali, nonché ad attività di formazione degli operatori sanitari e di monitoraggio delle azioni poste in essere[43].
- malattie neurologiche, quali Alzheimer, sclerosi multipla e depressione maggiore colpiscono più frequentemente le donne.
Al riguardo, da ultimo, la legge di Bilancio 2024 (L. n. 213/2023, comma 247) ha disposto un incremento della dotazione del Fondo per l’Alzheimer e le demenze per il triennio 2024-2026 pari a 4,9 milioni di euro per il 2024 e a 15 milioni di euro per ciascuno degli anni 2025 e 2026. Il Fondo, istitutito dalla legge di Bilancio 2021 (L. 178/2020, comma 330) ha previsto una dotazione di 5 milioni di euro fino al 2023. La spesa è finalizzata a migliorare la protezione sociale delle persone affette da demenza e a garantire la diagnosi precoce e la presa in carico tempestiva delle persone affette da malattia di Alzheimer.
- malattie dell’osso, tra cui l’osteoporosi, patologia percepita come caratteristica del sesso femminile legata alla carenza di estrogeni che si verifica in età postmenopausa. Si stima che colpisca circa 5 milioni di persone in Italia, di cui l’80% donne in postmenopausa. Secondo i dati ISTAT 2021, il 7,8% della popolazione italiana (il 13,2% delle femmine e il 2,1% dei maschi) dichiara di essere affetto da osteoporosi, con prevalenza che aumenta progressivamente con l’avanzare dell’età, in particolare nelle donne dopo i 55 anni, fino a raggiungere il 30,5% oltre i 74 anni (il 44,9% delle femmine e solo il 9,2% dei maschi).
- screening diagnostici riferiti non solo a tumori, ma anche al diabete (di tipo 1 e gestazionale) e alla celiachia[44], oltre che a disturbi dell’alimentazione, grazie a tassi di adesione più alti nelle donne, consente una maggiore capacità di prevenzione e riduzione della probabilità che insorga la malattia.
Si segnala in proposito che il comma 530, art. 1, della legge di Bilancio 2023 (L. n. 197/2022) ha istituito nello stato di previsione del Ministero della salute un fondo con una dotazione pari a 500.000 euro per l’anno 2023 e 1 milione di euro per ciascuno degli anni 2024 e 2025, allo scopo di finanziare futuri interventi normativi per la realizzazione di un programma pluriennale di screening su base nazionale nella popolazione pediatrica per l'individuazione degli anticorpi del diabete di tipo 1 e della celiachia.
- malattie psichiatriche, in quanto l’esposizione maggiore delle donne a eventi e situazioni di vita fortemente logoranti, contribuisce all’insorgere di patologie psichiatriche, come ad ultimo riportato nel Conto del Bilancio dello Stato 2022 (Bilancio di genere), i servizi psichiatrici, in genere facenti parte della rete extra-ospedaliera, sono stati più utilizzati dalla popolazione femminile.
La legge di bilancio 2023 (L. n. 197 del 2022, comma 538), novellando l’articolo 1-quater, comma 3, del D.L. 30 dicembre 2021, n. 228 di proroga di termini legislativi (L. n. 15/2022) che aveva introdotto la misura, ha disposto la corresponsione del “bonus psicologo”, in precedenza previsto limitatamente all'anno 2022, anche per l'anno 2023 e per gli anni 2024 e seguenti, elevando al contempo il limite massimo pro capite del contributo alla cifra più alta di 1.500 euro a persona - rispetto al limite massimo di 600 euro a persona previsto per il 2022 – e disponendo un limite complessivo di spesa di 5 milioni di euro per il 2023 e 8 milioni a decorrere dal 2024. Si sottolinea che nel 2022 la misura era stata finanziata per complessivi 25 milioni di euro. Da ultimo, l’articolo 4, comma 8-quater del D.L. n. 215/2023 (Proroga termini legislativi) ha disposto, anche per il 2024, l’incremento di 5 milioni delle risorse destinate alla misura, portandole a complessivi 13 milioni di euro per tale anno[45].
- endometriosi, sindrome dell’ovaio policistico e alla fibromialgia.
Con riferimento all’endometriosi[46], le stime riportate dal Ministero della salute[47] evidenziano un totale di donne con diagnosi conclamata di circa 3 milioni, (il 10-15% di quelle in età riproduttiva).
Tale patologia interessa circa il 30-50% delle donne infertili o che hanno difficolta a concepire, con un picco tra i 25 e i 35 anni. Essendo le diagnosi di difficile formulazione, arrivano spesso dopo un percorso di ricerca lungo e dispendioso, con gravi ripercussioni psicologiche per la donna.
La legge di Bilancio per il 2021 (legge n. 178 del 2020, comma 498) ha autorizzato la spesa di 1 milione di euro per ciascuno degli anni 2021, 2022 e 2023 per il sostegno allo studio, alla ricerca e alla valutazione dell'incidenza dell'endometriosi nel territorio nazionale.
Con riferimento alla fibriomalgia[48], si segnala che la legge di bilancio 2022 (art. 1, comma 972, della legge n. 234 del 2021) ha invece istituito, nello stato di previsione del Ministero della salute, un Fondo per lo studio, la diagnosi e la cura della fibromialgia, malattia che colpisce in prevalenza le donne, con una dotazione di 5 milioni di euro per il 2022.
Sotto il profilo delle agevolazioni fiscali, la legge di bilancio 2022 (articolo 1, comma 13 della legge n. 234 del 2021) e la legge di bilancio 2023 (articolo 1, comma 72 della legge n. 197 del 2022) avevano progressivamente ridotto l'Iva sui prodotti per l'igiene intima femminile, fino al 5% su tutti i prodotti per la protezione dell’igiene intima femminile, ivi compresi i tamponi e gli assorbenti non compostabili o lavabili. La legge di bilancio 2023 aveva altresì assoggettato alla medesima aliquota ridotta al 5% anche alcuni prodotti per l’infanzia (tra cui il latte in polvere, le preparazioni alimentari per l'alimentazione dei lattanti o dei bambini, i pannolini e i seggiolini da installare negli autoveicoli).
La legge di Bilancio 2024 (legge n. 213/2023, comma 45) ha riportato tale aliquota al precedente livello del 10 per cento, a decorrere dal 2024. Inoltre, i seggiolini per bambini da installare negli autoveicoli scontano ora un’aliquota del 22 per cento.
Il panorama imprenditoriale femminile è caratterizzato da peculiarità e fragilità che il legislatore ha cercato di affrontare, implementando, negli ultimi anni, gli strumenti di sostegno alla creazione e allo sviluppo di imprese a prevalente o totale partecipazione di donne. Gli interventi hanno riguardato il sostegno al credito e ma anche il sostegno finanziario diretto, assieme all’avvio di azioni per la diffusione della cultura imprenditoriale tra la popolazione femminile, affidate ad organismi pubblici a ciò preposti. Presso il Ministero delle imprese e del made in Italy è stato costituito il Comitato Impresa Donna tra le cui attribuzioni rientra quella di formulare raccomandazioni relative allo stato della legislazione e dell’azione amministrativa, nazionale e regionale, in materia di imprenditorialità femminile e sui temi della presenza femminile nell’impresa e nell’economia.
Le risorse del PNRR costituiscono allo stato la forma principale di sostegno finanziario (Investimento 1.2 «Creazione di imprese femminili», Missione 5 «Inclusione e coesione», Componente 1 «Politiche per l’occupazione).
Nell’arco di quasi un decennio, tra il 2014 e il 2022, il numero di imprese femminili è aumentato di 34.635 unità. In termini percentuali, l’incremento è stato del 2,7 percento circa.
Nell’anno 2014, le imprese femminili erano 1.302.054 e costituivano l’21,6 percento circa del totale delle imprese (pari a circa 6 milioni), mentre, nell’anno 2022, le imprese femminili sono state pari a 1.336.689 e hanno costituito il 22,2 percento del totale delle imprese (il cui numero è rimasto pressoché invariato rispetto all’anno 2014).
Tra i tre settori economici a maggiore coinvolgimento femminile, taluni hanno subiscono una riduzione.
In particolare, registra una riduzione la presenza imprenditoriale femminile nel commercio al dettaglio (G47) (- 12,6 percento) e nel settore delle coltivazioni agricole e la produzione di prodotti animali (A01) (- 8 percento).
La ristorazione (I56) e servizi alla persona (S96) registrano invece entrambi un incremento (rispettivamente del +5,1 percento e del + 11,8 percento).
In particolare, le imprese femminili esercenti l’attività di commercio al dettaglio sono state 254.176 nell’anno 2022 (il 19 percento del totale delle imprese femminili), rispetto alle 290.777 dell’anno 2014 (il 22,3 percento del totale). Le imprese femminili esercenti l’attività di coltivazioni agricole sono 199.697 nell’anno 2022 (il 14,9 percento del totale delle imprese femminili), rispetto alle 217.031 dell’anno 2014 (in cui erano il 16,7 percento).
Le imprese femminili esercenti l’attività di servizi per la persona (S96) sono 124.384 nell’anno 2022 (il 9,3 percento del totale delle imprese femminili), rispetto alle 111.210 dell’anno 2014 (in cui erano l’8,5 percento).
Le imprese femminili nei servizi di ristorazione (I56) sono state pari 110.806 nell’anno 2022 (l’8,3 percento del totale delle imprese femminili) e rispetto alle 105.376 dell’anno 2014 (l’8,1 percento).
I dati sopra riportati, che si ripropongono in modo più analitico nella Tabella che segue, sono del Centro studi delle Camere di commercio – Guglielmo Tagliacarne.
Tabella 1. Imprese registrate femminili e non, ripartite per settori d’attività economica (classificazione ATECO) e imprese totali anni 2014 e 2022
ANNO 2014 |
ANNO 2022 |
|||||
|
Impresa femminile |
Totale |
Impresa femminile |
Totale |
||
No |
Si |
No |
Si |
|||
A 01 Coltivazioni agricole e produzione di prodotti animali, c... |
525.843 |
217.031 |
742.874 |
497.535 |
199.697 |
697.232 |
A 02 Silvicoltura ed utilizzo di aree forestali |
9.651 |
1.415 |
11.066 |
10.271 |
1.412 |
11.683 |
A 03 Pesca e acquacoltura |
10.772 |
1.544 |
12.316 |
10.938 |
1.761 |
12.699 |
B 05 Estrazione di carbone (esclusa torba) |
17 |
1 |
18 |
11 |
0 |
11 |
B 06 Estraz.di petrolio greggio e di gas naturale |
58 |
10 |
68 |
49 |
3 |
52 |
B 07 Estrazione di minerali metalliferi |
54 |
2 |
56 |
44 |
1 |
45 |
B 08 Altre attività di estrazione di minerali da cave e miniere |
3.874 |
421 |
4.295 |
3.167 |
362 |
3.529 |
B 09 Attività dei servizi di supporto all’estrazione |
67 |
7 |
74 |
103 |
7 |
110 |
C 10 Industrie alimentari |
50.841 |
14.182 |
65.023 |
49.605 |
15.320 |
64.925 |
C 11 Industria delle bevande |
3.576 |
512 |
4.088 |
3.951 |
560 |
4.511 |
C 12 Industria del tabacco |
78 |
9 |
87 |
48 |
5 |
53 |
C 13 Industrie tessili |
14.219 |
6.088 |
20.307 |
11.566 |
5.049 |
16.615 |
C 14 Confezione di articoli di abbigliamento; confezione di ar... |
32.081 |
23.783 |
55.864 |
27.414 |
21.755 |
49.169 |
C 15 Fabbricazione di articoli in pelle e simili |
19.439 |
6.437 |
25.876 |
16.079 |
5.703 |
21.782 |
C 16 Industria del legno e dei prodotti in legno e sughero (es... |
37.534 |
2.884 |
40.418 |
29.282 |
2.610 |
31.892 |
C 17 Fabbricazione di carta e di prodotti di carta |
4.566 |
1.007 |
5.573 |
3.847 |
902 |
4.749 |
C 18 Stampa e riproduzione di supporti registrati |
18.236 |
3.659 |
21.895 |
14.840 |
3.309 |
18.149 |
C 19 Fabbricazione di coke e prodotti derivanti dalla raffinaz... |
506 |
55 |
561 |
423 |
52 |
475 |
C 20 Fabbricazione di prodotti chimici |
6.696 |
993 |
7.689 |
6.025 |
1.030 |
7.055 |
C 21 Fabbricazione di prodotti farmaceutici di base e di prepa... |
862 |
102 |
964 |
761 |
88 |
849 |
C 22 Fabbricazione di articoli in gomma e materie plastiche |
12.140 |
2.281 |
14.421 |
11.024 |
2.136 |
13.160 |
C 23 Fabbricazione di altri prodotti della lavorazione di miner.. |
26.150 |
4.292 |
30.442 |
21.873 |
3.921 |
25.794 |
C 24 Metallurgia |
4.367 |
472 |
4.839 |
3.672 |
431 |
4.103 |
C 25 Fabbricazione di prodotti in metallo (esclusi macchinari ... |
102.996 |
9.731 |
112.727 |
91.554 |
10.023 |
101.577 |
C 26 Fabbricazione di computer e prodotti di elettronica e ott... |
11.657 |
1.478 |
13.135 |
8.713 |
1.138 |
9.851 |
C 27 Fabbricazione di apparecchiature elettriche ed apparecchi... |
13.502 |
2.233 |
15.735 |
10.459 |
1.815 |
12.274 |
C 28 Fabbricazione di macchinari ed apparecchiature nca |
32.202 |
3.132 |
35.334 |
25.685 |
2.837 |
28.522 |
C 29 Fabbricazione di autoveicoli, rimorchi e semirimorchi |
3.712 |
500 |
4.212 |
3.366 |
474 |
3.840 |
C 30 Fabbricazione di altri mezzi di trasporto |
6.520 |
705 |
7.225 |
5.581 |
690 |
6.271 |
C 31 Fabbricazione di mobili |
25.285 |
2.921 |
28.206 |
21.181 |
2.579 |
23.760 |
C 32 Altre industrie manifatturiere |
35.563 |
7.442 |
43.005 |
30.910 |
6.919 |
37.829 |
C 33 Riparazione, manutenzione ed installazione di macchine ed... |
28.275 |
2.086 |
30.361 |
35.828 |
2.984 |
38.812 |
D 35 Fornitura di energia elettrica, gas, vapore e aria condiz... |
9.721 |
932 |
10.653 |
12.300 |
1.415 |
13.715 |
E 36 Raccolta, trattamento e fornitura di acqua |
824 |
74 |
898 |
744 |
71 |
815 |
E 37 Gestione delle reti fognarie |
1.175 |
140 |
1.315 |
1.305 |
171 |
1.476 |
E 38 Attività di raccolta, trattamento e smaltimento dei rifiu... |
6.835 |
1.011 |
7.846 |
7.128 |
1.102 |
8.230 |
E 39 Attività di risanamento e altri servizi di gestione dei r... |
1.028 |
155 |
1.183 |
913 |
132 |
1.045 |
F 41 Costruzione di edifici |
296.940 |
30.128 |
327.068 |
267.667 |
30.743 |
298.410 |
F 42 Ingegneria civile |
11.663 |
1.362 |
13.025 |
11.614 |
1.558 |
13.172 |
F 43 Lavori di costruzione specializzati |
501.779 |
19.872 |
521.651 |
502.878 |
23.692 |
526.570 |
G 45 Commercio all’ingrosso e al dettaglio e riparazione di au... |
151.716 |
11.258 |
162.974 |
157.954 |
13.784 |
171.738 |
G 46 Commercio all’ingrosso (escluso quello di autoveicoli e d... |
444.331 |
69.549 |
513.880 |
408.064 |
71.999 |
480.063 |
G 47 Commercio al dettaglio (escluso quello di autoveicoli e d... |
581.108 |
290.777 |
871.885 |
537.205 |
254.176 |
791.381 |
H 49 Trasporto terrestre e mediante condotte |
123.961 |
10.892 |
134.853 |
108.873 |
11.822 |
120.695 |
H 50 Trasporto marittimo e per vie d’acqua |
2.310 |
119 |
2.429 |
2.822 |
198 |
3.020 |
H 51 Trasporto aereo |
325 |
20 |
345 |
251 |
16 |
267 |
H 52 Magazzinaggio e attività di supporto ai trasporti |
26.299 |
4.274 |
30.573 |
28.983 |
4.812 |
33.795 |
H 53 Servizi postali e attività di corriere |
3.315 |
1.001 |
4.316 |
3.922 |
1.177 |
5.099 |
I 55 Alloggio |
33.412 |
16.241 |
49.653 |
42.857 |
23.013 |
65.870 |
I 56 Attività dei servizi di ristorazione |
263.065 |
105.376 |
368.441 |
281.729 |
110.806 |
392.535 |
J 58 Attività editoriali |
10.578 |
2.218 |
12.796 |
9.070 |
2.045 |
11.115 |
J 59 Attività di produzione cinematografica, di video e di pro... |
10.336 |
1.486 |
11.822 |
10.723 |
1.848 |
12.571 |
J 60 Attività di programmazione e trasmissione |
2.152 |
316 |
2.468 |
1.800 |
315 |
2.115 |
J 61 Telecomunicazioni |
9.165 |
2.151 |
11.316 |
7.309 |
1.448 |
8.757 |
J 62 Produzione di software, consulenza informatica e attività... |
40.902 |
4.358 |
45.260 |
49.562 |
5.616 |
55.178 |
J 63 Attività dei servizi d’informazione e altri servizi infor... |
32.501 |
13.178 |
45.679 |
35.687 |
15.860 |
51.547 |
K 64 Attività di servizi finanziari (escluse le assicurazioni ... |
14.091 |
1.432 |
15.523 |
22.821 |
2.841 |
25.662 |
K 65 Assicurazioni, riassicurazioni e fondi pensione (escluse ... |
872 |
108 |
980 |
549 |
74 |
623 |
K 66 Attività ausiliarie dei servizi finanziari e delle attivi... |
79.740 |
24.086 |
103.826 |
81.897 |
26.615 |
108.512 |
L 68 Attivita’ immobiliari |
226.320 |
56.705 |
283.025 |
235.825 |
65.471 |
301.296 |
M 69 Attività legali e contabilità |
8.955 |
2.334 |
11.289 |
10.454 |
2.987 |
13.441 |
M 70 Attività di direzione aziendale e di consulenza gestional... |
45.450 |
9.209 |
54.659 |
65.418 |
15.804 |
81.222 |
M 71 Attività degli studi di architettura e d’ingegneria; coll... |
22.893 |
2.846 |
25.739 |
24.659 |
3.195 |
27.854 |
M 72 Ricerca scientifica e sviluppo |
4.204 |
703 |
4.907 |
6.494 |
1.100 |
7.594 |
M 73 Pubblicità e ricerche di mercato |
29.452 |
7.602 |
37.054 |
30.405 |
8.793 |
39.198 |
M 74 Altre attività professionali, scientifiche e tecniche |
50.041 |
12.143 |
62.184 |
53.434 |
14.873 |
68.307 |
M 75 Servizi veterinari |
330 |
157 |
487 |
700 |
283 |
983 |
N 77 Attività di noleggio e leasing operativo |
16.872 |
3.692 |
20.564 |
19.900 |
4.319 |
24.219 |
N 78 Attività di ricerca, selezione, fornitura di personale |
835 |
261 |
1.096 |
869 |
226 |
1.095 |
N 79 Attività dei servizi delle agenzie di viaggio, dei tour o... |
11.006 |
6.607 |
17.613 |
11.338 |
6.964 |
18.302 |
N 80 Servizi di vigilanza e investigazione |
3.162 |
435 |
3.597 |
3.314 |
485 |
3.799 |
N 81 Attività di servizi per edifici e paesaggio |
46.097 |
19.550 |
65.647 |
58.537 |
23.019 |
81.556 |
N 82 Attività di supporto per le funzioni d’ufficio e altri se... |
50.655 |
16.304 |
66.959 |
64.851 |
22.548 |
87.399 |
O 84 Amministrazione pubblica e difesa; assicurazione sociale ... |
121 |
16 |
137 |
115 |
11 |
126 |
P 85 Istruzione |
19.522 |
8.188 |
27.710 |
23.505 |
10.524 |
34.029 |
Q 86 Assistenza sanitaria |
14.529 |
5.049 |
19.578 |
18.790 |
6.345 |
25.135 |
Q 87 Servizi di assistenza sociale residenziale |
3.131 |
2.108 |
5.239 |
4.684 |
3.450 |
8.134 |
Q 88 Assistenza sociale non residenziale |
5.382 |
7.145 |
12.527 |
6.037 |
7.679 |
13.716 |
R 90 Attività creative, artistiche e di intrattenimento |
11.971 |
4.670 |
16.641 |
12.941 |
5.506 |
18.447 |
R 91 Attività di biblioteche, archivi, musei ed altre attività... |
1.020 |
364 |
1.384 |
1.146 |
477 |
1.623 |
R 92 Attività riguardanti le lotterie, le scommesse, le case d... |
4.215 |
1.287 |
5.502 |
6.454 |
1.796 |
8.250 |
R 93 Attività sportive, di intrattenimento e di divertimento |
36.315 |
10.362 |
46.677 |
41.369 |
11.267 |
52.636 |
S 94 Attività di organizzazioni associative |
1.511 |
294 |
1.805 |
2.464 |
541 |
3.005 |
S 95 Riparazione di computer e di beni per uso personale e per... |
37.013 |
4.376 |
41.389 |
32.675 |
5.225 |
37.900 |
S 96 Altre attività di servizi per la persona |
78.284 |
111.210 |
189.494 |
84.206 |
124.384 |
208.590 |
T 97 Attività di famiglie e convivenze come datori di lavoro p... |
10 |
4 |
14 |
20 |
7 |
27 |
T 98 Produzione di beni e servizi indifferenziati per uso prop... |
3 |
5 |
8 |
6 |
4 |
10 |
U 99 Organizzazioni ed organismi extraterritoriali |
6 |
1 |
7 |
8 |
1 |
9 |
X Imprese non classificate |
308.345 |
78.498 |
386.843 |
309.537 |
86.483 |
396.020 |
TOTALE |
4.739.133 |
1.302.054 |
6.041.187 |
4.682.587 |
1.336.689 |
6.019.276 |
Fonte: Centro studi delle Camere di commercio – Guglielmo Tagliacarne
Quanto all’aspetto dimensionale delle imprese, ISTAT, nel Rapporto annuale 2023 sulla situazione del Paese (pagg. 180 e ss), evidenzia che le imprese femminili si caratterizzano per una prevalenza di ditte individuali (64,1 per cento a fronte del 58,8 di quelle maschili nell’anno 2020), un minor numero medio di addetti (solo il 2,9 per cento ha 10 o più addetti, contro il 5,1 di quelle maschili nello stesso anno di rilevazione), e per un’età di impresa più bassa.
Su piano dell’attività di impresa innovativa a prevalente o tale partecipazione femminile, le startup innovative a prevalenza femminile, secondo gli ultimi dati diffusi dal Ministero delle imprese e del made in Italy relativi all’anno 2022[49], rappresentano il 13,2% del totale delle startup innovative - a fronte del 12,3% registrato nel 2021 - attestandosi a 1.888.
Tabella 2. Prevalenza femminile nelle Startup innovative
anni 2021-2022
Nel confronto internazionale, i dati sulla posizione italiana – secondo il Global Gender Gap Index 2023 ranking del WEF (pag. 11) - non sono particolarmente confortanti: l’Italia, a livello mondiale (su 146 paesi) è 79esima (rispetto all’anno 2022 in cui era 63esima). In termini di partecipazione ed opportunità economiche è in posizione 104, facendo registrare un lieve miglioramento rispetto all’anno 2022 (in cui era in posizione 110).
Fonte: Global Gender Gap Report. WEF, 2023.
La necessità di affrontare il gap tra impegno imprenditoriale femminile e impegno imprenditoriale maschile è stata evidenziata in più raccomandazioni specifiche formulate in sede europea nei confronti del nostro Paese.
Già nelle Country Specific Recommendations 2019 del Consiglio dell’UE si rilevava (raccomandazione n. 2), la necessità di sostenere la partecipazione delle donne al mercato del lavoro attraverso una strategia globale. Nelle Country-Specific Recommendations 2020 si evidenziava come fondamentale per il futuro, al fine di promuovere una ripresa sostenibile e inclusiva, l’integrazione nel mercato del lavoro delle donne e dei giovani inattivi (considerando n. 18).
Il Piano nazionale italiano di ripresa e resilienza, in coerenza con gli indirizzi espressi nei confronti del nostro Paese dalle Istituzioni europee in sede di ciclo di governance economica, pone come priorità trasversale la parità di genere, prevedendo, tra gli investimenti finalizzati alla sua implementazione, uno specifico investimento «Creazione di imprese femminili» dotato di 400 milioni di euro (Investimento.1.2 nella Missione 5 «Inclusione e coesione», Componente 1«Politiche per l’occupazione»).
Accanto a norme di sostegno finanziario, sono state introdotte, per ciò che attiene alla fase attuativa degli investimenti del PNRR nel suo complesso e del Piano nazionale complementare PNC, norme “di metodo”, volte a garantire la partecipazione femminile e il rispetto del lavoro femminile anche in sede di appalti di lavori pubblici. Così, l’articolo 47, comma 4 del D.L. n. 77/2021 impone alle stazioni appaltanti di prevedere, nei bandi di gara, negli avvisi e negli inviti, specifiche clausole dirette all’inserimento, come requisiti necessari e come ulteriori requisiti premiali dell’offerta, criteri orientati a promuovere l’imprenditoria giovanile, l’inclusione lavorativa delle persone disabili, la parità di genere e l’assunzione di giovani, con età inferiore a trentasei anni, e donne.
Poste queste premesse, si illustreranno di seguito le principali specifiche misure vigenti a sostegno delle donne, con uno specifico approfondimento al sostegno proveniente dal PNRR[50].
Nell’ambito del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) è previsto, nella Missione 5 “Inclusione e coesione”, Componente 1 “Politiche per l’occupazione”, l’Investimento 1.2 “Creazione di imprese femminili”, che si prefigge l’obiettivo di innalzare i livelli di partecipazione delle donne nel mercato del lavoro, attraverso una strategia integrata di investimenti di carattere finanziario e di servizi di supporto.
Dal punto di vista strumentale, il PNRR prevede, al fine di sostenere gli investimenti per l’imprenditoria femminile, l’utilizzo del Fondo a sostegno dell’impresa femminile, cd. “Fondo impresa donna”, già istituito dalla Legge di bilancio 2021 (articolo 1, comma 97, della legge 30 dicembre 2020, n. 178 e relativo decreto interministeriale attuativo del 30 settembre 2021), nonché il rafforzamento delle seguenti misure già esistenti, non esclusivamente rivolte all’imprenditoria femminile, che saranno illustrate nei paragrafi successivi:
a) la misura per l’autoimprenditorialità giovanile e femminile (mutui a tasso zero + relativo contributo a fondo perduto) attualmente denominata «ON - Oltre Nuove imprese a tasso zero», istituita dal Titolo I, Capo 0I, del D.lgs. n. 185/2000 come implementato dalla Legge di bilancio 2020 (L. n. 160/2019) e dal D.M. 4 dicembre 2020;
b) la misura, denominata «Smart&Start Italia», per la nascita e lo sviluppo di start-up innovative disciplinata dal D.M. 24 settembre 2014 e successive modifiche e integrazioni.
Le risorse PNRR complessivamente assegnate, con D.M. 6 agosto 2021, per la realizzazione dell’Investimento 1.2 ammontano a 400 milioni di euro e sono state ripartite tra le sopra indicate misure con il successivo decreto interministeriale del 24 novembre 2021. Il decreto ha destinato il 40 per cento delle risorse PNRR al Mezzogiorno, ripartendo le risorse nel modo seguente:
Questo riparto è stato successivamente rimodulato, con decreto interministeriale 3 ottobre 2023, il quale, sulla base dei “tiraggi” dei diversi interventi, ha decurtato 90 milioni (dei 100 assegnati) alla misura Smart&Start destinando tale importo al Fondo impresa donna, che quindi viene ad avere un finanziamento PNRR di 250 milioni. L’importo aggiuntivo di 90 milioni a favore del Fondo impresa donna è stato destinato, per 82 milioni, alle misure per la creazione di imprese femminili, e, per 8 milioni, alle misure per il consolidamento delle imprese femminili.
L’investimento prevede i seguenti traguardi e obiettivi, due dei quali sono stati raggiunti entro le tempistiche indicate:
Il Fondo impresa donna (o Fondo impresa femminile), è stato istituito con la legge di bilancio 2021 (legge 30 dicembre 2020, n. 178, articolo 1, commi 97-103) per promuovere e sostenere l’avvio e il rafforzamento delle imprese femminili, programmi ed iniziative per la diffusione della cultura dell’imprenditorialità tra la popolazione femminile, inclusi programmi di formazione e orientamento anche verso percorsi di studio STEM e verso professioni tipiche dell’economia digitale.
Ai sensi di legge, il Fondo finanzia:
a) interventi per l’avvio dell’attività, gli investimenti e il rafforzamento della struttura finanziaria e patrimoniale delle imprese femminili, con specifica attenzione ai settori dell’alta tecnologia;
b) programmi e iniziative per la diffusione della cultura imprenditoriale tra la popolazione femminile;
c) programmi di formazione e orientamento verso materie e professioni in cui la presenza femminile deve essere adeguata alle indicazioni di livello dell’Unione europea e nazionale.
Le attività devono incentrarsi sulla collaborazione con le regioni e gli enti locali, con le associazioni di categoria, con il sistema delle camere di commercio e con i comitati per l’imprenditoria femminile, anche attraverso forme di cofinanziamento tra i rispettivi programmi in materia.
Il Decreto interministeriale 30 settembre 2021 ha disciplinato l’ambito di applicazione e le finalità del Fondo,
Beneficiarie degli interventi del fondo sono quattro tipologie di imprese femminili:
Quanto alle tipologie di agevolazioni concedibili, il Decreto interministeriale 30 settembre 2021 , sulla base di quanto previsto dalla legge istitutiva, prevede:
Per un’analisi più approfondita, si rinvia al sito istituzionale del MIMIT.
Il decreto interministeriale 30 settembre 2021 ha provveduto altresì ad un riparto delle risorse inizialmente stanziate dalla normativa istitutiva, pari a 20 milioni di euro per ciascuno degli anni 2021 e 2022, destinando 8,2 milioni agli interventi per la nascita di imprese femminili di cui al Capo II del citato D.M. attuativo del Fondo, e 25,6 milioni agli interventi per il rafforzamento delle imprese femminili di cui al Capo III, nonché 6,2 milioni agli interventi di promozione di cui al Capo V, assegnando una quota parte della dotazione finanziaria destinata ai Capi II e III, pari al 4%, all’esecuzione della Convenzione tra MIMIT e INVITALIA, soggetto gestore.
Tale dotazione, come si è detto nel precedente paragrafo, cui si rinvia, è stata successivamente integrata in modo consistente dalle risorse PNRR (Investimento 1.2 «Creazione di imprese femminili», nell’ambito della Missione 5 «Inclusione e coesione», Componente 1 «Politiche per l’occupazione»).
In particolare, sulla base del decreto interministeriale del 24 novembre 2021 e del successivo decreto interministeriale 3 ottobre 2023, le risorse PNRR assegnate al Fondo sono state destinate:
Ulteriori 40 milioni sono stati destinati alle misure di accompagnamento, monitoraggio e campagne di comunicazione, pure previste dal Capo V del D.M. attuativo del Fondo, di cui 1,2 milioni al Dipartimento per le Pari Opportunità.
La recente legge di bilancio 2024 (L. n. 213/2023, Sez. II) ha peraltro operato una riprogrammazione dalla dotazione del Fondo (iscritta, a bilancio statale, sul cap. 7342/pg.18 dello stato di previsione della spesa del MIMIT), posticipando all’anno 2027 l’importo di 19,5 milioni, prima stanziato sul triennio 2024-2026 (in particolare, 4,5 nell’anno 2024, 5 milioni nell’anno 2025 e 10 milioni nell’anno 2026 sono stati spostati all’anno 2027).
La legge di bilancio 2021 ha previsto che il Ministro delle imprese e del made in Italy presenti annualmente alle Camere una relazione sull’attività svolta e sulle possibili misure da adottare per risolvere i problemi relativi alla partecipazione della popolazione femminile alla vita economica e imprenditoriale del Paese. A tal fine, ha disposto la costituzione del Comitato impresa donna, di cui il Ministro si avvale per l’esercizio delle attività sopra indicate.
Il decreto interministeriale 27 luglio 2021 ha disciplinato la composizione e le modalità di nomina del Comitato impresa donna, i cui componenti sono stati nominati l’8 marzo 2022. I componenti durano in carica tre anni e non sono rinnovabili. La Relazione non risulta ancora presentata.
L’accesso al credito per le piccole e medie imprese a totale o prevalente partecipazione femminile è sostenuto anche attraverso il riconoscimento di mutui a tasso zero e l’accesso agevolato alla Sezione speciale del Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese – Sezione Pari Opportunità.
Il Capo 01 del Titolo I del D.lgs. n. 185/2000 - introdotto dal D.L. n. 145/2013 (Legge n. 9/2014) e ss. mod. e int. - contiene misure dirette a sostenere, attraverso condizioni agevolate di accesso al credito, la creazione di micro e piccole imprese a prevalente o totale partecipazione giovanile o femminile, in tutto il territorio nazionale. La misura è divenuta operativa nell’anno 2015, con l’adozione della disciplina attuativa di rango secondario (D.M. 8 luglio 2015, n. 140). Successivi interventi ne hanno implementato ed ampliato la portata: in particolare, si segnala la riforma operata con l’articolo 29 del D.L. n. 34/2019 (L. n. 58/2019) e le modifiche apportate dall’articolo 41, comma 3-ter al D.L. n. 23/2020 (L. n. 40/2020).
I giovani imprenditori possono beneficiare mutui agevolati a tasso zero di durata massima di dieci anni (anziché 8 come previsto prima del D.L. n. 34/2019) e di importo non superiore al 75% della spesa ammissibile nei limiti consentiti dalla disciplina sugli aiuti di Stato di importanza minore. La percentuale di copertura è innalzata al 90% (grazie all’intervento contenuto nel D.L. n. 34/2019) nel caso di imprese costituite da oltre 36 mesi e da meno di 60, e nel caso di imprese agricole anche di nuova costituzione (secondo quanto inserito dall’articolo 41, comma 4-ter, del D.L. n. 23/2020), ai sensi e nei limiti dell’art. 17 della disciplina sugli aiuti di stato di cui al Regolamento generale di esenzione per categoria (GBER).
La legge di bilancio 2020 ha aggiunto la possibilità di integrare i finanziamenti agevolati con una quota a fondo perduto, concessa con procedura a sportello, in misura non superiore al 20 per cento delle spese ammissibili. (L. n. 160/2019 art. 1, comma 90, lett. d) e D.M. attuativo 4 dicembre 2020).
La misura, gestita da INVITALIA, ha così assunto il nome di “ON-Oltre nuove imprese a tasso zero“.
A valere sulla misura, possono essere finanziate le iniziative che prevedono investimenti non superiori a 1,5 milioni di euro, ovvero – in virtù della novella apportata alla normativa dal decreto-legge n. 34/2019 - 3 milioni di euro per le imprese costituite da almeno trentasei mesi e da non oltre sessanta.
Le iniziative di investimento devono riguardare la produzione di beni nei settori dell’industria, dell’artigianato, della trasformazione dei prodotti agricoli ovvero all’erogazione di servizi in qualsiasi settore, incluso il commercio e il turismo, nonché le iniziative relative agli ulteriori settori di particolare rilevanza per lo sviluppo dell’imprenditoria giovanile (individuate dal decreto interministeriale attuativo).
I beneficiari sono le imprese:
Possono chiedere le agevolazioni anche le persone fisiche che intendono costituire un’impresa purché, entro 45 giorni dalla comunicazione di ammissione alle agevolazioni, facciano pervenire la documentazione necessaria a comprovare l’avvenuta costituzione dell’impresa e il possesso dei requisiti richiesti per l’accesso alle agevolazioni. L’inclusione delle imprese agricole di nuova costituzione è stato inserito con il decreto-legge n. 23/2020 (art. 41, comma 4-ter).
La concessione delle agevolazioni sotto forma di contributo a fondo perduto è finanziata a valere sugli importi autorizzati dalla Legge di bilancio 2020, la quale ha stanziato 10 milioni per ciascuno degli anni dal 2020 al 2023 e ha disposto che le risorse dedicate al contributo stesso possano essere incrementate con quelle della programmazione nazionale e comunitaria, nonché con quelle eventualmente stanziate a livello regionale, sulla base di convenzioni tra MIMIT e regione interessata. Per l’erogazione dei contributi a fondo perduto è stato altresì consentito l’utilizzo delle risorse eventualmente disponibili sul conto aperto presso la tesoreria dello Stato per la gestione delle stesse agevolazioni, quantificate da INVITALIA al 31 dicembre di ciascun anno dal 2019 al 2022.
Il finanziamento agevolato è invece finanziato a valere sulle disponibilità dell’apposito Fondo rotativo fuori bilancio intestato a INVITALIA, derivanti dai rientri dei mutui concessi. Le disponibilità possono essere incrementate da eventuali ulteriori risorse derivanti dalla programmazione nazionale e comunitaria (articolo 4-bis del D.lgs. n. 185/2000).
La misura –rivolta, come detto, sia alle imprese femminili che giovanili - è stata rifinanziata per 50 milioni per ciascun anno del triennio 2022-2024 con la legge di bilancio 2022 (L. n. 234/2021, Sez. II).
Con riferimento alle sole imprese a prevalente o totale partecipazione femminile, è stata rifinanziata:
L’intervento è gestito da INVITALIA (cfr. pagina web “ON-Oltre Nuove imprese a tasso zero“).
Il Fondo di garanzia per le PMI costituisce uno dei principali strumenti finalizzati a facilitare l’accesso al credito delle piccole e medie imprese, garantendone la liquidità attraverso un sostegno in garanzia per la contrazione di finanziamenti. Con l’intervento del Fondo, l’impresa non ha un contributo in denaro, ma ha la concreta possibilità di ottenere finanziamenti senza garanzie aggiuntive (e quindi senza costi di fidejussioni o polizze assicurative) sugli importi garantiti dal Fondo stesso.
La Sezione Speciale “Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento per le Pari Opportunità” (cd. Sezione Speciale “imprenditoria femminile”) è stata istituita ai sensi del decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico, 26 gennaio 2012 e dell’Atto di Convenzione del 14 marzo 2013 tra la Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento per le Pari opportunità, il Ministero dello sviluppo economico e il Ministero dell’economia e delle finanze. L’atto di convenzione è stato successivamente integrato da un Atto aggiuntivo, sottoscritto in data 2 dicembre 2014 e approvato con decreto della Presidenza del Consiglio - Dipartimento per le Pari Opportunità, del Ministero dello sviluppo economico e del Ministero dell’economia e finanze del 20 aprile 2015. La Sezione speciale è destinata alla concessione dell’intervento in garanzia a favore delle imprese femminili e delle donne professioniste.
La Sezione interviene nella forma di garanzia diretta, di controgaranzia/riassicurazione e di cogaranzia del Fondo stesso, a copertura di operazioni finanziarie finalizzate all’attività di impresa.
Le imprese femminili beneficiarie dell’intervento in garanzia (ai sensi di quanto stabilito dall’art. 53, comma 1, lett. a) D.lgs. n. 198/2006) sono le micro, piccole e medie imprese con le seguenti caratteristiche:
In favore delle imprese Start up femminili è riservata una quota pari al 50 per cento della dotazione della Sezione speciale “Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento per le Pari opportunità”. Tale riserva può subire modifiche in aumento o in diminuzione sulla base di opportune valutazioni della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Sono start up femminili, ai sensi della Convenzione, le PMI aventi i requisiti sopra indicati che sono state costituite o hanno iniziato la propria attività da meno di tre anni rispetto alla data di presentazione della richiesta di ammissione alla garanzia del Fondo, come risultanti dalle ultime due dichiarazioni fiscali presentate dall’impresa.
La circolare n. 11/2015 del Mediocredito Centrale, che ha reso operativa l’estensione degli interventi della Sezione speciale alle donne professioniste, definisce tale categoria. Le donne professioniste sono quelle iscritte agli ordini professionali o aderenti alle associazioni professionali iscritte nell’elenco tenuto dal Ministero dello sviluppo economico ai sensi della L. n. 4/2013 e in possesso dell’attestazione rilasciata ai sensi della medesima legge.
Alle imprese femminili e alle donne professioniste sono riservate condizioni speciali vantaggiose per la concessione dell’intervento in garanzia del Fondo, e, in particolare:
Per quanto non esplicitamente previsto dalla specifica regolamentazione della Sezione Speciale per le Pari Opportunità, vale la normativa ordinaria del Fondo contenuta nelle Disposizioni operative in vigore.
Si rinvia al sito del Fondo centrale di garanzia per le PMI e, in particolare, al link dedicato alla Sezione “Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento per le Pari Opportunità”.
Secondo quanto riportato dall’Annuario dell’Agricoltura italiana 2022 del CREA, pubblicato lo scorso mese di dicembre 2023, analizzando la composizione di genere della classe imprenditoriale nell’anno 2022, è possibile evidenziare un contributo della componente femminile pari al 31% circa. Tale dato è rimasto costante rispetto all’anno precedente e, più in generale, rispetto all’ultimo decennio.
Come evidenziato nella tabella sottostante (Tab. 3), la presenza di donne tra i titolari di imprese agricole registra la percentuale maggiore nel settore dell’agricoltura della silvicoltura e della pesca (30,6%) e la percentuale minore in quello manifatturiero (23,3 %).
Con riferimento agli ambiti più specifici dei macrosettori sopra menzionati, quello alimentare e delle bevande presenta il 28% circa del ruolo di titolari di impresa (nonché di soci e amministratori di società) ricoperto da donne (dato superiore alla media della industria manifatturiera, nella quale la presenza femminile, come prima evidenziato, si attesta al 23%). L’industria alimentare mostra una presenza femminile più elevata, pari al 29,2%, rispetto a quella delle bevande che si ferma al 19,2%; mentre il settore che detiene la maggiore presenza di occupazione femminile è quello della ristorazione nel quale oltre la metà dei dipendenti appartiene al genere femminile (51,7%).
In merito allo sviluppo e al consolidamento delle aziende agricole condotte da donne, il legislatore italiano è intervenuto, in particolare, con la concessione di mutui a tasso zero o agevolati per investimenti nel settore agricolo.
Le misure agevolative di cui al Titolo I, Capo III del D.Lgs. n. 185/2000 già riservate alla giovane imprenditorialità agricola (dai 18 ai 40 anni) sono state estese alle imprese condotte da donne, a prescindere dall’età, dal D.L. n. 73/2021 (art. 68, comma 9). La legge di bilancio 2022 ha poi precisato che l’estensione dei benefici opera anche per le imprese composte, per oltre la metà delle quote di partecipazione, da donne [art.1, co. 523, lett. b), L. n. 234/2021].
La legge di bilancio 2020 ha istituito nello stato di previsione del Ministero dell’agricoltura, della sovranità alimentari e delle foreste (MASAF) il Fondo rotativo per favorire lo sviluppo dell’imprenditoria femminile in agricoltura con una dotazione finanziaria iniziale di 15 milioni di euro per il 2020 (articolo 1, commi 504-506, L. n. 160/2019) rifinanziato successivamente con ulteriori risorse (L. n. 234/2021, articolo 1 comma 524) pari a 5 milioni di euro per il 2022. Tale misura è stata attuata con il Decreto 20 luglio 2022 con il quale sono statI individuati i requisiti soggettivi per poter accedere alle agevolazioni (art. 2) che consistono nella concessione di mutui agevolati, a un tasso pari a zero, della durata massima di dieci anni comprensiva del periodo di preammortamento e di importo non superiore al sessanta per cento della spesa ammissibile, nonche' nell’erogazione di un contributo a fondo perduto fino al trentacinque per cento della spesa ammissibile (art.3).
SI ricorda, infine, che a favore dell'imprenditoria giovanile e femminile - di cui al titolo I, capo III, del decreto legislativo 21 aprile 2000, n. 185, - la legge di bilancio 2023 (articolo 1, comma 301, legge n. 197 del 2022) ha previsto uno stanziamento di 20 milioni di euro per l’anno 2023.
Con la legge 12 luglio 2011, n. 120 (cd. legge Golfo – Mosca) sono state apportate significative modifiche al testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria – TUF (di cui al D.Lgs. n. 58 del 1998) allo scopo di tutelare la parità di genere nell'accesso agli organi di amministrazione e di controllo delle società quotate in mercati regolamentati e nelle società pubbliche. La legge, preso atto della situazione di cronico squilibrio nella rappresentanza dei generi nelle posizioni di vertice delle predette imprese, ha perseguito lo scopo di riequilibrare a favore delle donne l'accesso agli organi apicali.
In origine era previsto un doppio binario normativo, e cioè:
· per le società quotate in borsa, la disciplina in materia di equilibrio di genere veniva recata puntualmente dalle disposizioni di rango primario;
· per le società a controllo pubblico, fermi restando applicabili i principi di legge, la disciplina di dettaglio era affidata ad un apposito regolamento, con la finalità di garantire una disciplina uniforme per tutte le società interessate. Tale regolamentazione è contenuta nel D.P.R. 30 novembre 2012, n. 251.
L'articolo 1 della legge n. 120 del 2011 (che ha introdotto il comma 1-ter all'articolo 147-ter del testo unico dell'intermediazione finanziaria – TUF, di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58) ha imposto agli statuti delle società quotate di prevedere un riparto degli amministratori da eleggere che sia effettuato in base a un criterio tale da assicurare l'equilibrio tra i generi, dovendo il genere meno rappresentato ottenere almeno una quota fissa degli amministratori, in origine pari a un terzo degli amministratori eletti, elevata poi a due quinti dalla legge di bilancio 2020.
È stata prevista un'articolata procedura per l'ipotesi di mancato rispetto dei predetti criteri di equilibrio dei generi. In particolare, la Consob diffida la società inottemperante affinché si adegui entro il termine massimo di quattro mesi. L'inottemperanza alla diffida comporta l'applicazione di una sanzione pecuniaria amministrativa (da 100.000 euro a 1 milione di euro) e la fissazione di un ulteriore termine di tre mesi per adempiere. Solo all'inosservanza di tale ultima diffida consegue la decadenza dei membri del consiglio di amministrazione. Le norme affidano allo statuto societario la disciplina delle modalità di formazione delle liste e dei casi di sostituzione in corso di mandato, al fine di garantire l'equilibrio dei generi.
Le disposizioni in materia di equilibrio di genere sono state rese applicabili (attraverso l’inserimento, all'articolo 147-quater del TUF, del comma 1-bis che rinvia all’articolo 147-ter) anche al consiglio di gestione, ove costituito da almeno tre membri. Anche per il collegio sindacale si prevede che l’atto costitutivo della società disciplini il riparto dei membri (introdotto comma 1-bis dell'articolo 148 TUF) secondo i già commentati criteri di tutela del genere meno rappresentato. Anche in tale ipotesi si prevede l'attivazione di apposita procedura di diffida da parte della Consob in caso di inottemperanza, con eventuale applicazione di una sanzione pecuniaria (da 20.000 a 200.000 euro) e, in ultima istanza, la decadenza dei membri del collegio sindacale della società inottemperante.
Le norme sulla parità di genere negli organi apicali delle società quotate (articolo 2 della legge n. 120) hanno trovato applicazione dal primo rinnovo degli organi societari interessati successivo al 12 agosto 2012 (ovvero un anno dall'entrata in vigore delle norme stesse). Sono state previste disposizioni transitorie per il primo mandato degli organi eletti secondo le nuove prescrizioni, al fine di renderne graduale l'applicazione: almeno un quinto degli organi amministrativi e di controllo societario dovevano essere riservati al genere meno rappresentato.
Le norme della legge n. 120 del 2011 sono destinate ad avere un’efficacia temporanea. Per le società quotate (articolo 147-ter del TUF) il criterio di riparto degli organi apicali volto a tutelare la parità di genere era previsto, in origine, come operativo per tre mandati consecutivi (articolo 147-ter, comma 1-bis; articolo 148, comma 1-bis).
Tuttavia l’efficacia delle disposizioni della legge 120 è stata prorogata con due interventi normativi molto ravvicinati.
In prima battuta, l’articolo 58-sexies del decreto-legge n. 124 del 2019 ha prorogato da tre a sei i mandati in cui trovano applicazione, per gli organi apicali delle società quotate, le disposizioni in tema di tutela del genere meno rappresentato.
Successivamente è intervenuta la legge di bilancio 2020 (articolo 1, commi 302-305 della legge n. 160 del 2019) che:
- ha prorogato da tre a sei i mandati in cui trovano applicazione, per gli organi apicali delle società quotate, le disposizioni in tema di tutela del genere meno rappresentato previste dalla legge n. 120 del 2011 sostanzialmente assorbendo e superando la disposizione del citato articolo 58-sexies;
- ha modificato il criterio di riparto degli amministratori e dei membri dell'organo di controllo, volto ad assicurare l'equilibrio tra i generi, in particolare disponendo che il genere meno rappresentato debba ottenere almeno due quinti degli amministratori eletti (40 per cento), in luogo della quota di almeno un terzo (33 per cento circa) disposta dalle norme previgenti.
La medesima legge di bilancio (successivo comma 304) ha stabilito che il criterio di riparto di almeno due quinti venga applicato a decorrere dal primo rinnovo degli organi di amministrazione e controllo delle società quotate successivo al 1° gennaio 2020 (data di entrata in vigore della legge di bilancio). Resta fermo, per il primo rinnovo successivo alla data di inizio delle negoziazioni, il criterio di riparto di almeno un quinto previsto dall'articolo 2 della legge Golfo-Mosca.
Infine, il provvedimento ha disposto (comma 305) che la Consob comunichi annualmente gli esiti delle verifiche sull'attuazione delle norme in esame al Dipartimento delle pari opportunità presso la Presidenza del consiglio, per il quale viene stanziato un contributo straordinario di 100.000 euro per gli anni dal 2020 al 2022.
L'estensione a sei mandati era una prescrizione contenuta anche in alcune proposte di legge, assegnate alle competenti Commissioni permanenti di Camera e Senato (A.S. 1095, A.S. 1028, A.C. 1481) intese a prorogare nel tempo l'operatività delle norme introdotte dalla legge Golfo-Mosca. La 6a Commissione finanze del Senato ha avviato l'esame degli A.S. 1095 e 1028. Tali iniziative sono state sostanzialmente superate per effetto dell’approvazione della legge di bilancio 2020.
La Consob ha pubblicato una Comunicazione con la quale ha fornito al mercato finanziario chiarimenti interpretativi su come debba essere applicata agli organi sociali composti da tre membri la nuova disciplina sulle quote di genere, introdotta dalle modifiche agli articoli 147-ter e 148 del Testo unico della finanza, apportate dalla legge di bilancio per il 2020. Inoltre la Consob ha approvato, con delibera n. 21359/2020, le modifiche all'art. 144-undecies.1 del Regolamento Emittenti che definisce i criteri applicativi delle nuove quote di genere introdotte con la legge di bilancio 2020. Si veda al riguardo anche l’approfondimento di Assonime.
Alla luce dell’articolo 6 della legge n. 162 del 2021, si applicano anche alle società - costituite in Italia - non quotate, controllate da pubbliche amministrazioni, le disposizioni in tema di equilibrio di genere nell’organo di amministrazione delle società quotate.
Le norme sull’equilibrio di genere nell’ambito delle società a controllo pubblico hanno avuto un iter complesso e stratificato nel tempo, che di seguito si riporta.
In origine, le disposizioni della legge Golfo-Mosca, per espresso rinvio (articolo 3) avrebbero dovuto ab initio trovare applicazione anche alle società a controllo pubblico non quotate, con il rinvio a un regolamento per la definizione di termini e modalità di attuazione delle prescrizioni in tema di equilibrio dei generi negli organi di amministrazione e controllo delle società pubbliche.
Sul punto è intervenuto in prima battuta il D.P.R. n. 251 del 2012, che ha imposto agli statuti delle società pubbliche non quotate di prevedere modalità di nomina degli organi di amministrazione e di controllo, se a composizione collegiale, secondo modalità tali da garantire che il genere meno rappresentato ottenga almeno un terzo dei componenti di ciascun organo, affidando agli statuti il compito di disciplinare la formazione delle liste in applicazione del criterio di riparto tra generi, prevedendo modalità di elezione e di estrazione dei singoli componenti idonee a garantire il rispetto delle previsioni di legge. Anche in tale ipotesi, per il primo mandato degli organi apicali la quota riservata al genere meno rappresentato era fissata in misura pari ad almeno un quinto del numero dei componenti dell'organo. La vigilanza sul rispetto delle disposizioni in materia di parità di genere è stata affidata al Presidente del Consiglio dei Ministri o al Ministro delegato per le pari opportunità, con presentazione al Parlamento di apposita relazione triennale.
A tal fine, le società sono state obbligate a comunicare la composizione degli organi sociali entro quindici giorni dalla data di nomina degli stessi o dalla data di sostituzione, ove avvenuta. L'organo di amministrazione e quello di controllo sono stati tenuti a comunicare altresì la mancanza di equilibrio tra i generi, anche in corso di mandato.
Ai sensi del richiamato D.P.R., in caso di mancato rispetto della quota di un terzo nella composizione degli organi sociali, era prevista la diffida alla società a ripristinare l'equilibrio tra i generi entro sessanta giorni. In caso di inottemperanza alla diffida, il Presidente del Consiglio dei Ministri o il Ministro delegato per le pari opportunità era tenuto a fissare un nuovo termine di sessanta giorni per adempiere, con l'avvertimento che, decorso inutilmente detto termine, ove la società non avesse provveduto, i componenti dell'organo sociale interessato sarebbero decaduti con ricostituzione dell'organo nei modi e nei termini previsti dalla legge e dallo statuto. Rispetto, dunque, alla disciplina delle società private, non era prevista alcuna sanzione pecuniaria. Anche la disciplina del richiamato D.P.R. n. 251 è stata introdotta con un’efficacia limitata nel tempo: l’articolo 3 del provvedimento prevedeva infatti che il rispetto della composizione degli organi sociali fosse assicurata per tre mandati consecutivi a partire dal primo rinnovo successivo al 12 febbraio 2013 (data di entrata in vigore del D.P.R.).
Successivamente sul tema è intervenuto il Testo Unico sulle società a controllo pubblico (D. Lgs. n. 175 del 2016) che all’articolo 11, comma 4, ha disposto, con una disciplina destinata a operare a regime, che nella scelta degli amministratori di tali società le amministrazioni devono assicurare il rispetto del principio di equilibrio di genere, almeno nella misura di un terzo, da computare sul numero complessivo delle designazioni o nomine effettuate in corso d'anno. Ove la società abbia un organo amministrativo collegiale, lo statuto prevede che la scelta degli amministratori da eleggere sia effettuata nel rispetto dei criteri stabiliti dalla legge 12 luglio 2011, n. 120.
Il D.P.R. n. 251 del 2012 ha esplicitamente previsto che la parità di genere sia tutelata sia negli organi di amministrazione, sia in quelli di controllo delle società pubbliche, ancorché in via temporanea, mentre il TU sulle società a partecipazione pubblica prevede invece che il rispetto dell’equilibrio di genere, applicabile a regime, riguardi esclusivamente gli organi di amministrazione e non anche quelli di controllo; inoltre, a regime, inoltre, non sono previste specifiche conseguenze sanzionatorie per il mancato rispetto dell’equilibrio di genere.
Come anticipato, da ultimo sulla disciplina delle società a controllo pubblico è intervenuto il già richiamato supra articolo 6 della legge n. 162 del 2021. Esso prevede che si applichino anche alle società - costituite in Italia - non quotate, controllate da pubbliche amministrazioni, le disposizioni in tema di equilibrio di genere nell’organo di amministrazione delle società quotate (di cui al comma 1-ter dell'articolo 147-ter già menzionato supra: riserva di due quinti degli amministratori al genere meno rappresentato; applicazione della riserva per sei mandati consecutivi; procedura di diffida e decadenza in caso di mancata ottemperanza).
La disposizione ha demandato a un regolamento (che avrebbe dovuto essere adottato entro il 3 febbraio 2021 ma che non risulta emanato) le modifiche opportune al D.P.R. 30 novembre 2012, n. 251.
Di conseguenza la disciplina degli organi di amministrazione di società pubbliche e private è stata equiparata, non così per gli organi di controllo per cui valgono le considerazioni di cui supra.
Con specifico riguardo alla disciplina applicabile al settore bancario, le Disposizioni di vigilanza sul governo societario, contenute nella Circolare n. 285 della Banca d’Italia (Circolare n. 285 del 17 dicembre 2013, Parte Prima, Titolo IV, Capitolo 1) richiedono a tutte le banche di assicurare che la composizione dell’organo con funzione di supervisione strategica e dell’organo con funzione di gestione sia adeguatamente diversificata, anche in termini di genere. In particolare, in linea con quanto previsto dalla normativa europea (Direttiva 2013/36/UE- Capital Requirements Directive - CRD) e dagli Orientamenti dell’Autorità Bancaria Europea sulla valutazione dell’idoneità dei membri dell’organo di gestione e del personale che riveste ruoli chiave (EBA/GL/2017/12), le disposizioni della Banca d’Italia ravvisano nel gender balance un ulteriore presidio volto ad assicurare la più generale diversity nella composizione degli organi, che deve riguardare anche aspetti ulteriori come le competenze, l’età o la provenienza geografica dei componenti; ciò nel presupposto che l’interazione di esponenti con profili differenti tra loro contribuisca ad assicurare pluralità di approcci e prospettive nell’analisi dei problemi e nell’assunzione delle decisioni nonché maggiore dibattito critico nel board contrastando così il rischio di comportamenti di mero allineamento a posizioni prevalenti, interne o esterne alla banca (fenomeno noto come ‘mentalità di gruppo’ o groupthinking). Le stesse Disposizioni, sempre in linea con gli indirizzi europei, richiedono al comitato nomine (da istituire obbligatoriamente nelle banche di maggiori dimensioni o complessità operativa) di fissare un obiettivo (gender target) in termini di quota di genere meno rappresentato e predisporre un piano per accrescere questa quota sino al target fissato. Le banche sono anche tenute a fornire informazioni al pubblico sulla composizione degli organi, almeno per età, genere e durata di permanenza in carica, nonché sull’obiettivo di genere sopra richiamato, sul piano e sulla sua attuazione.
Più in dettaglio, con l’aggiornamento delle disposizioni di vigilanza del 30 giugno 2021, è stata introdotta la prescrizione di una quota di genere minima, pari al 33% sia nei consigli di amministrazione che nei collegi sindacali. L’adeguamento a tali prescrizioni deve avvenire non oltre il primo rinnovo integrale dell’organo, effettuato dopo il 1° gennaio 2022, e comunque entro il 30 giugno 2024, fatto salvo quanto specificamente prescritto per le banche di minori dimensioni o complessità operativa: per tali istituti, l’adeguamento alla quota di genere è assicurato nella misura di almeno il 20% dei componenti dell’organo non oltre il primo rinnovo integrale dell’organo, effettuato dopo il 1° gennaio 2022, e comunque entro il 30 giugno 2024; per i rinnovi successivi, e comunque non oltre il 30 giugno 2027, anche a queste banche si applica la quota del 33%.
Nel 2019 è stata adottata dall’ABI la Carta “Donne in banca: valorizzare le diversità di genere”, che si inserisce nell’ambito delle attività promosse dal settore bancario sui temi dell’inclusione, della parità e della valorizzazione delle identità.
La scelta in merito alle modalità di attuazione degli impegni previsti è rimessa alla determinazione di ciascun aderente e viene rendicontata dai sottoscrittori nell’ambito della Dichiarazione non finanziaria o di altra reportistica pubblica.
I firmatari della Carta, nel dettaglio, si sono impegnati a firmatari si sono impegnati a: a) promuovere costantemente un ambiente di lavoro inclusivo e aperto ai valori della diversità, anche di genere; b) rafforzare modalità di selezione e sviluppo idonee a promuovere le pari opportunità di genere in tutta l’organizzazione aziendale, anche al fine di far emergere le candidature femminili qualificate nel caso in cui siano carenti; c) diffondere la piena ed effettiva partecipazione femminile con particolare riferimento alle posizioni più elevate, in un ambito aziendale orientato ad ogni livello alle pari opportunità di ruolo e parità di trattamento; d) Impegnarsi a promuovere la parità di genere anche al di fuori della banca e a beneficio delle comunità di riferimento; e) Realizzare opportune iniziative per indirizzare e valorizzare le proprie politiche aziendali in materia di parità di genere - anche attraverso testimonianze e attività di sensibilizzazione sulle motivazioni e sui benefici attesi – sotto la responsabilità di figure di alto livello.
A livello europeo, la principale novità è rappresentata dalle prescrizioni della direttiva (UE) 2022/2381 sul miglioramento dell’equilibrio di genere fra gli amministratori delle società quotate.
La direttiva si colloca nel solco di precedenti iniziative delle istituzioni unionali: il Parlamento europeo, nella sua risoluzione del 6 luglio 2011 sulle donne e la direzione delle imprese, ha incoraggiato le imprese a raggiungere entro il 2015 la soglia critica del 30% di donne negli organi di gestione ed entro il 2020 quella del 40 %, e ha chiesto alla Commissione di proporre entro il 2012, nel caso in cui le misure adottate dalle imprese e dagli Stati membri fossero risultate inadeguate, un intervento legislativo (quote incluse). Il Parlamento europeo ha ribadito tale richiesta d’intervento legislativo nelle successive risoluzioni del 13 marzo 2012 e del 21 gennaio 2021. Nella comunicazione del 5 marzo 2020 intitolata «Un’Unione dell’uguaglianza: la strategia per la parità di genere 2020-2025» la Commissione ha sottolineato che le istituzioni, gli organi e gli organismi dell’Unione dovrebbero garantire l’equilibrio di genere nelle posizioni dirigenziali. Nella comunicazione del 5 aprile 2022 intitolata «Una nuova strategia per le risorse umane», la Commissione si è impegnata a garantire al suo interno la piena parità di genere a tutti i livelli dirigenziali entro il 2024.
La direttiva (UE) 2022/2381 dispone che gli Stati membri devono provvedere affinché le società quotate siano soggette al conseguimento di uno dei seguenti obiettivi, entro il 30 giugno 2026:
- gli appartenenti al sesso sottorappresentato devono occupare almeno il 40% dei posti di amministratore senza incarichi esecutivi (ovvero che non si occupano della gestione quotidiana della società, ma che svolgono una funzione di sorveglianza);
- gli appartenenti al sesso sottorappresentato devono occupare almeno il 33% del totale dei posti di amministratore, con e senza incarichi esecutivi.
Le società esentate dall’obbligo (piccole, medie e micro imprese) devono invece fissare obiettivi individuali di miglioramento dell’equilibrio di genere tra gli amministratori aventi incarichi esecutivi.
Le norme UE inoltre intendono introdurre requisiti minimi per le società quotate prive di una rappresentanza di genere equilibrata, relativi alla selezione di candidati per la nomina o l’elezione degli amministratori: essa deve avvenire sulla base di un processo di selezione trasparente e chiaramente definito e di una valutazione comparativa oggettiva delle loro qualifiche in termini di idoneità, competenza e rendimento professionale.
Al momento della selezione dei candidati per la nomina o l’elezione a posizioni di amministratore, la direttiva prescrive agli Stati membri di provvedere affinché, nella scelta tra candidati ugualmente qualificati in termini di idoneità, competenza e rendimento professionale, sia data priorità al candidato del sesso sottorappresentato, a meno che, in casi eccezionali, motivi di maggiore rilevanza giuridica, quali il perseguimento di altre politiche in materia di diversità, invocati nell’ambito di una valutazione obiettiva che tenga conto della situazione specifica di un candidato dell’altro sesso e che sia basata su criteri non discriminatori, non facciano propendere per il candidato dell’altro sesso.
Viene mantenuta la facoltà per gli Stati membri di introdurre o mantenere disposizioni più favorevoli di quelle previste dalla direttiva per garantire una rappresentanza più equilibrata di donne e uomini nelle società quotate registrate sul loro territorio nazionale.
Gli Stati devono recepire la direttiva entro il 28 dicembre 2024.
La legge di delegazione europea 2022-2023 n.15 del 2024 reca la direttiva sopra descritta nell’allegato A, ove sono elencate le direttive da recepire senza la necessità di introdurre ulteriori criteri e principi direttivi rispetto a quelli già recati dagli articoli 31 e 32 della legge n. 234 del 2012.
A cura del Sevizio Biblioteca - Ufficio per la legislazione straniera
In diversi paesi europei sono state introdotte norme per la tutela di genere presso gli organi apicali delle società quotate.
In Belgio, dal 2011 nelle società quotate vi deve essere una rappresentanza in consiglio pari ad almeno un terzo degli amministratori per entrambi i sessi (Loi du 28 juillet 2011 modifiant la loi du 21 mars 1991 portant réforme de certaines entreprises publiques économiques, etc.). Le società quotate di grandi dimensioni si sono adeguate a questo intervento normativo a partire dal 2017, mentre le società di minori dimensioni hanno dovuto recepire la normativa a partire dal 2019. In caso di mancato rispetto degli equilibri di genere introdotti dalla normativa, le sanzioni possono prevedere il mancato pagamento dei compensi degli amministratori e l’obbligo di prevedere che, fino al raggiungimento dei requisiti richiesti, i nuovi consiglieri nominati appartengano necessariamente al genere meno rappresentato.
In Francia, la normativa (Code de commerce, artt. L. 225-18-1 e L. 225-53) richiede che i consigli di amministrazione assicurino la presenza del 40% di consiglieri donna nelle società che superano determinati minimi dimensionali per tre esercizi consecutivi (250 dipendenti e un fatturato di 50 milioni di euro). In questi casi è espressamente previsto che, per i consigli con numero pari o inferiore a 8 membri, la differenza tra il numero dei consiglieri donna e uomo non può essere superiore a 2. Il codice commerciale richiede inoltre al Consiglio di amministrazione e al suo amministratore delegato di assicurare che nella selezione dei vicedirettori generali, che assistono l’amministratore delegato, sia sempre assicurata la parità di genere tra i candidati vagliati per tale incarico, mentre non è stabilito alcun obbligo di risultato in tal senso.
La Germania, con la Legge sulla partecipazione paritaria di donne e uomini nelle posizioni dirigenziali del settore pubblico e privato (Gesetz für die gleichberechtigte Teilhabe von Frauen und Männern an Führungspositionen in der Privatwirtschaft und im öffentlichen Dienst) del 24 aprile 2015, ha introdotto una quota obbligatoria, pari al 30%, per donne e uomini che compongo il Consiglio di sorveglianza (Aufsichtsrat) delle società quotate soggette alla disciplina della cogestione. La quota era stata introdotta per entrambi i generi soltanto nell’organo di sorveglianza e soltanto nelle società di maggiori dimensioni, tenute ad assicurare nel medesimo organo anche una rappresentanza qualificata di consiglieri eletti in rappresentanza dei lavoratori. La normativa è stata successivamente integrata e modificata dalla Legge del 7 agosto 2021 (Gesetz zur Ergänzung und Änderung der Regelungen für die gleichberechtigte Teilhabe von Frauen an Führungspositionen in der Privatwirtschaft und im öffentlichen Dienst), recante regole vincolanti per assicurare un’adeguata rappresentanza femminile anche negli organi gestionali delle imprese. Con le nuove disposizioni, in vigore dal 12 agosto 2021, è stata introdotta una quota di genere obbligatoria, in base alla quale le società per azioni quotate in borsa con più di tre membri nel Consiglio di gestione (Vorstand) sono tenute a nominare almeno una donna e almeno un uomo. Nel caso in cui una società non dovesse rispettare il sistema delle quote di genere, la nomina sarà ritenuta nulla e la posizione rimarrà vacante. Anche le aziende che non rientrano nel requisito della “partecipazione minima”, ma che sono quotate o soggette alla cogestione, dovranno in futuro motivare l’assenza di donne in posizioni apicali per non incorrere in sanzioni. Inoltre, la quota di genere obbligatoria del 30% nei Consigli di sorveglianza, già prevista dalla legge del 2015, è stata estesa anche alle società in cui lo Stato federale detiene una partecipazione di maggioranza.
In Olanda, il 1° gennaio 2022 è entrata in vigore la Legge del 29 settembre 2021, recante modifiche al Libro II del Codice civile (artt. 142b, 166 e 276 del Burgerlijk Wetboek – Boek 2, nel testo aggiornato 1° gennaio 2024), al fine di equilibrare il rapporto tra uomini e donne nel Consiglio di amministrazione e nel Consiglio di sorveglianza delle grandi società per azioni pubbliche e private (Wet van 29 september 2021 tot wijziging van Boek 2 van het Burgerlijk Wetboek in verband met het evenwichtiger maken van de verhouding tussen het aantal mannen en vrouwen in het bestuur en de raad van commissarissen van grote naamloze en besloten vennootschappen). La c.d. legge sulla diversità (Diversiteitswet) ha imposto due principali misure per migliorare la diversità di genere negli organi di amministrazione delle società olandesi. La prima misura consiste nell’introduzione di una quota per la nomina dei membri del Consiglio di sorveglianza delle società, in modo che uomini e donne ricoprano parimenti almeno un terzo dei seggi. La nomina di un consigliere che non concorra al raggiungimento della quota è nulla, ma non pregiudica la validità delle deliberazioni dell’organo, anche qualora il nuovo membro abbia partecipato al processo decisionale.
La seconda misura si applica alle “grandi imprese”, cioè alle società per azioni pubbliche e private che presentano, in almeno due esercizi consecutivi, almeno due delle tre seguenti caratteristiche: valore delle attività, secondo il bilancio, superiore a 20 milioni di euro; fatturato netto superiore a 40 milioni di euro in un anno finanziario; numero medio di dipendenti pari o superiore a 250. Queste grandi aziende sono tenute a fissare obiettivi (streefcijfers) adeguati e ambiziosi per migliorare la diversità di genere e rendere più equilibrato il rapporto tra il numero di uomini e di donne in seno agli organi societari (Consiglio di amministrazione e Consiglio di sorveglianza), nonché nelle categorie di dipendenti in posizioni dirigenziali determinate dalla società.
Le grandi aziende devono elaborare un piano d’azione (plan van aanpak) finalizzato al raggiungimento degli obietti prefissati e indicare, nella relazione annuale al Consiglio di amministrazione, le motivazioni per cui alcuni obiettivi non siano stati realizzati. Tutte queste informazioni relative agli obiettivi e ai progressi compiuti sono contenute anche nella relazione separata che le società hanno l’obbligo di presentare, tramite l’apposito portale web, al Consiglio economico e sociale (Sociaal Economische Raad - SER) ogni anno, entro dieci mesi dalla fine dell’esercizio finanziario. Una società appartenente a un gruppo non è tenuta a rispettare tali obblighi a condizione che gli obblighi in questione vengano però adempiuti dalla società capogruppo.
È previsto che nel 2027, trascorsi cinque anni dall’entrata in vigore del Diversiteitswet, si procederà ad una valutazione complessiva della legge, che cesserà di essere applicata dopo otto anni. Spetterà quindi al Governo e al Parlamento olandesi decidere, entro questo periodo di tempo, se prorogare o modificare le disposizioni sulla composizione equilibrata degli organi societari.
Il Regno Unito non ha adottato alcuna quota di genere a livello normativo: l’impulso a sviluppare best practice in tale ambito è stato infatti innescato da alcuni rapporti di natura governativa ed è stato successivamente sviluppato in sede autodisciplinare.
In Spagna, ai sensi della Ley Orgánica 3/2007, de 22 de marzo, para la igualdad efectiva de mujeres y hombres, le società commerciali che non possono pubblicare il bilancio in forma abbreviata devono cercare di includere nel proprio consiglio di amministrazione un numero di donne che consenta di ottenere una presenza equilibrata tra donne e uomini nell’arco di otto anni dalla sua entrata in vigore (art. 75). Con disposizione interpretativa, la medesima legge intende per “composizione equilibrata” la situazione in cui nessun genere sia rappresentato per più del 60% e per meno del 40% (Disposición adicional primera). Al contempo, l’indicazione della quota è stata trasposta nel Código de buen gobierno de las sociedades cotizadas (Vd. III.3.2.1 Tamaño, diversidad y política de selección de consejeros, Principio 10), che ha introdotto la misura del 30% di donne entro il 2020, aumentata al 40% entro il 2022. L’art. 529-bis della Ley de Sociedades de Capital prevede che il consiglio di amministrazione delle società quotate assicuri che i procedimenti di selezione dei propri componenti favoriscano la diversità rispetto a questioni quali età, genere, disabilità o formazione ed esperienza professionale e non comportino discriminazioni, ma facilitino, in particolare, la selezione di consiglieri in un numero che permetta di raggiungere una presenza equilibrata di donne e uomini.
Infine, la direttiva (UE) 2022/2381 sul miglioramento dell’equilibrio di genere fra gli amministratori delle società quotate (cd. direttiva “Women on Boards”), che dovrà essere recepita dagli Stati membri entro il 28 dicembre 2024, si applica anche ai consigli di amministrazione delle società registrate in uno degli Stati dello Spazio economico europeo (SEE), quali la Norvegia, che già dal 2004 ha imposto alle aziende pubbliche di avere almeno il 40 per cento di donne nei propri consigli di amministrazione e nel 2008 ha esteso tale regola alle maggiori società quotate in borsa. Nello specifico, la legge sulle società per azioni (Lov om allmennaksjeselskaper) prevede (Sezione 6-11a) il requisito della rappresentanza di genere fissato per un numero specifico di consiglieri in funzione della dimensione del consiglio. Se il consiglio è composto da due o tre membri, entrambi i sessi devono essere rappresentati. Se il consiglio è composto da quattro o cinque membri, ogni genere deve essere rappresentato da almeno due. Se il consiglio è composto da sei a otto membri, ogni genere deve essere rappresentato da almeno tre. Se il consiglio ha nove membri, ogni genere deve essere rappresentato da almeno quattro e, se il consiglio ha più membri, ogni genere deve essere rappresentato da almeno il 40 per cento. Qualora non vengano rispettati i parametri di parità, le aziende rischiano elevate sanzioni o addirittura la chiusura. La percentuale di donne nei consigli di amministrazione delle aziende private norvegesi è attualmente al 20 per cento, ovvero cinque punti percentuali in più rispetto a due decenni fa. Il Governo norvegese punta ora ad estendere l’obbligo di parità a circa 20.000 aziende entro il 2028 e per questo ha introdotto parametri più stringenti: le aziende che registrano un fatturato annuo di almeno 100 milioni di corone (circa 8,7 milioni di euro) dal 2024 dovranno garantire una quota femminile del 40% nel Consiglio di amministrazione della società.
Per quanto riguarda le società quotate italiane, il Rapporto di corporate governance 2022 della Consob rileva che a fine 2022 la presenza femminile negli organi sociali degli emittenti quotati italiani ha raggiunto il massimo storico osservato sul mercato italiano (43% degli incarichi), per effetto delle norme volte a riservare una quota dell’organo sociale al genere meno rappresentato (per effetto delle norme sopra illustrate: legge n. 120 del 2011 e legge n. 160 del 2019).
In linea con gli anni passati, le donne sono in maggioranza consiglieri indipendenti (73%) e raramente ricoprono il ruolo di amministratore delegato o di presidente dell’organo amministrativo (in 17 e 32 casi, rispettivamente). L’interlocking femminile, inoltre, sebbene sia ancora più marcato di quello maschile, continua a ridursi rispetto al massimo raggiunto nel 2019, quando riguardava il 34,9% delle donne, portandosi al 28,6% a fine 2022
La maggior parte delle società (180, pari al 96,8% della capitalizzazione di mercato) ha applicato la quota di genere dei due quinti. In tali società, le donne sono in media 4 e rappresentano il 43,6% del board. La quota di genere di un quinto del board, prevista per il primo rinnovo successivo alla quotazione, è stata applicata da 14 emittenti, con una presenza in media di oltre 3 donne, pari al 37,1% del CdA. La presenza femminile si attesta su livelli simili anche in 13 società di recente quotazione, che non hanno ancora effettuato alcun rinnovo dell’organo di amministrazione secondo le citate norme (in media 3 donne, pari al 36,3% del board.
In media nei board siedono 4 donne, con una presenza femminile più elevata tra le società a medio-alta capitalizzazione e nel settore finanziario. In linea con le tendenze osservate negli anni precedenti, a fine 2022, le donne ricoprono il ruolo di amministratore delegato in 17 società di piccole dimensioni (rappresentative del 2,1% della capitalizzazione di mercato) e presiedono l’organo amministrativo di 32 emittenti di più elevate dimensioni (rappresentativi del 27,4% della capitalizzazione complessiva); entrambi i dati mostrano un lieve incremento rispetto all’anno precedente (+1 amministratore delegato, +2 presidenti). Circa tre donne su quattro si qualificano come consiglieri indipendenti e una donna su dieci è stata nominata dai soci di minoranza in applicazione del voto di lista (86 amministratrici, nominate in 68 società ad elevata capitalizzazione, rappresentative del 76% del valore complessivo di mercato). Infine, i dati confermano che le donne sono titolari di più di un incarico di amministrazione con maggior frequenza rispetto agli uomini: tale situazione riguarda il 28,6% delle donne, rispetto al 21% dell’intera popolazione degli amministratori. Il dato dell’interlocking femminile mostra tuttavia una continua flessione negli anni recenti, dopo il massimo pari al 34,9% raggiunto nel 2019
Il rapporto Italy Board Index 2023 (SpencerStuart), effettuato su un campione di riferimento diverso (le prime 100 società italiane quotate) afferma anch’esso come l’intervento legislativo abbia avviato una tendenza strutturale e creato i presupposti per raggiungere il risultato di una maggiore diversità di genere a livello di CdA.
Si chiarisce che nel campione rappresentato le donne sono il 42% dei consiglieri, in aumento di circa 1 punto percentuale rispetto all’anno precedente. Sono 397 le donne consigliere con un totale di 463 incarichi, con un rapporto incarichi/donne pari a 1,17 (ogni consigliere donna siede in media in 1,17 consigli di amministrazione), lievemente superiore a quello degli uomini (1,08). Guardando alle 170 nuove nomine nel 2022, 84 (corrispondente al 49%) è rappresentato da donne. Delle consigliere di nuova nomina, 21 risultano elette per la prima volta negli ultimi 5 anni in un consiglio di amministrazione di una società quotata (pari al 25% delle consigliere elette). dei 145 consiglieri cessati nel 2022, 54 sono donne e rappresentano il 37%. In tutte le 100 società analizzate c’è almeno una donna in consiglio di amministrazione. Inoltre 86 società sono allineate con le disposizioni vigenti, avendo già in consiglio una quota pari o superiore al 40% del genere meno rappresentato (generalmente quello femminile).
Le donne al vertice che ricoprono ruoli esecutivi sono in tutto solo 23 (contro le 26 nel 2020) ovvero rappresentano l’11% delle cariche esecutive ricoperte. Le donne presidenti sono 17 (contro le 15 nel 2020), di cui 2 con ruolo esecutivo. Per quanto riguarda il ruolo di amministratore delegato, la percentuale è scesa al 5,4% rispetto al già basso 8,5% riscontrato lo scorso anno. In controtendenza la significativa progressione di crescita delle donne nel ruolo di Lead Independent Director (anche Senior Independent Director).
Fonte: Italy Board Index 2023 (SpencerStuart)
Analizzando i background professionali dei consiglieri per genere, emergono alcune differenze. Il background manageriale è quello complessivamente più diffuso, ma mentre per gli uomini rappresenta più di metà del campione, nelle donne si attesta al 44%, dato comunque superiore all’anno precedente, in cui era pari al 34%. Sensibilmente più diffusa fra le consigliere donne un’esperienza da professionista o nel mondo accademico, rispettivamente 29% e 16%, rispettivamente circa 15 e 9 punti percentuali in più rispetto ai consiglieri uomini. Negli uomini una importante fetta di consiglieri ha esperienza imprenditoriale, circa il 22%, rispetto al 9% delle consigliere donne.
Con il Protocollo d’intesa sottoscritto nel novembre 2018 dal Dipartimento della Presidenza del Consiglio dei ministri per le Pari Opportunità, dalla Consob e dalla Banca d’Italia, è stato istituito un Osservatorio interistituzionale per promuovere congiuntamente iniziative volte all’attuazione nel concreto della partecipazione femminile nei board delle società, con la finalità di verificare nel tempo gli effetti dell’applicazione della legge n. 120 del 2011.
L'Osservatorio è operativo dal primo gennaio 2019 e nasce come centro di raccolta dati, analisi e ricerche nel campo della parità di genere alla luce dell’applicazione della legge n. 120 del 2011. Consob e Banca d’Italia si impegnano a fornire al Dipartimento per le Pari Opportunità i dati raccolti attraverso le proprie attività di monitoraggio. Il patrimonio informativo è inteso come base comune di riferimento a fini di ricerca per individuare, tra l’altro, le aree critiche su cui eventualmente formulare proposte di intervento. Il protocollo resterà in vigore per cinque anni da gennaio 2019. Il primo rapporto è stato pubblicato nel 2021.
Con riferimento alle società pubbliche non quotate è stato istituito, con decreto del Ministro delle pari opportunità del 12 febbraio 2013, un apposito gruppo di lavoro.
Nel mese di gennaio 2020 è stata inviata al Parlamento la Relazione triennale sullo stato di applicazione delle norme in tema di parità di genere nelle società a controllo pubblico, relativa al periodo dal 12 febbraio 2016 al 12 febbraio 2019.
La normativa italiana in materia di violenza sulle donne è stata sottoposta, nell’ultimo decennio, ad una radicale trasformazione, volta a renderla maggiormente conforme ai principi e agli strumenti individuati nella Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e sulla lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, fatta a Istanbul l’11 maggio 2011 (ratificata in Italia con la legge 27 giugno 2013, n. 77), che rappresenta il primo strumento internazionale giuridicamente vincolante per la protezione delle donne contro qualsiasi forma di violenza, definendo una strategia organica per combattere la violenza. Tale strategia si basa su un approccio integrato al tema della violenza sulle donne che vede, a fianco di misure di natura penale e processuale, con l’introduzione di fattispecie di reato che non erano contemplate nell’ordinamento italiano e di misure procedurali specifiche, anche strumenti di carattere preventivo e azioni di supporto, quali l’istituzione di percorsi agevolati per le donne che vogliono sottrarsi alla violenza domestica e il riconoscimento di specifici indennizzi.
Il primo intervento in tal senso è stato operato dal decreto-legge n. 93 del 2013, adottato a pochi mesi di distanza dalla ratifica della Convenzione, che ha apportato rilevanti modifiche in ambito penale e processuale ed ha previsto l’adozione periodica di Piani d'azione contro la violenza di genere.
Successivamente, la legge n. 69 del 2019 ha compiuto interventi ancora più incisivi, che vanno dall’introduzione di nuovi delitti, all’inasprimento delle pene per i reati già esistenti, che tipicamente vedono le donne come vittime, alla creazione di una corsia preferenziale per consentire, da un lato, un più rapido esplicarsi dell’azione penale e, dall’altro, la tempestiva adozione di misure di tutela per le vittime.
Nell’attuale legislatura ha visto la luce una Commissione bicamerale d’inchiesta e una legge (n. 168 del 2023) che ha notevolmente inciso sugli istituti introdotti dal Codice rosso di cui alla citata legge n. 69 del 2019.
La Convenzione di Istanbul
La Convenzione sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica - meglio nota come Convenzione di Istanbul – costituisce il punto più avanzato degli interventi a tutela delle donne in ambito internazionale.
Come si è visto, ciò è dovuto principalmente alla sua natura di strumento giuridicamente vincolante, che impegna gli Stati aderenti al rispetto degli obblighi in essa previsti. In particolare, la Convenzione comprende un elenco dettagliato dei reati di genere che i paesi firmatari si impegnano a contrastare: si tratta di violenza psicologica, atti persecutori e stalking, violenza fisica, violenza sessuale, matrimonio forzato, mutilazioni genitali femminili, aborto forzato e sterilizzazione forzata, molestie sessuali. Qualora gli ordinamenti giuridici non prevedessero tali fattispecie di reato, gli Stati sarebbero quindi obbligati ad introdurli (come accaduto per l’Italia, che ha provveduto, per alcuni delitti non previsti, con la legge n. 69 del 2019).
Dal punto di vista dei principi enunciati, è particolarmente rilevante che la Convenzione abbia per la prima volta definito la violenza contro le donne come violazione dei diritti umani, oltre che come forma di discriminazione contro le donne (art. 3 della Convenzione), stabilendo inoltre un chiaro parallelismo tra l'obiettivo della parità tra i sessi e quello dell'eliminazione della violenza nei confronti delle donne.
Gli obiettivi della Convenzione sono elencati nel dettaglio dall'articolo 1: proteggere le donne da ogni forma di violenza e prevenire, perseguire ed eliminare la violenza contro le donne e la violenza domestica; contribuire ad eliminare ogni forma di discriminazione contro le donne e promuovere la concreta parità tra i sessi, attraverso il rafforzamento della loro autonomia e autodeterminazione; predisporre un quadro globale di politiche e misure di protezione e assistenza a favore di tutte le vittime di violenza contro le donne e di violenza domestica; promuovere la cooperazione internazionale al fine di eliminare la violenza contro le donne e la violenza domestica; sostenere e assistere le organizzazioni e autorità incaricate dell'applicazione della legge in modo che possano collaborare efficacemente, al fine di adottare un approccio integrato per l'eliminazione della violenza contro le donne e la violenza domestica.
È importante sottolineare come la Convenzione, nell'ambito del contrasto alla violenza domestica, protegge non solo le donne, ma anche altri soggetti vittime di tale violenza, come bambini ed anziani, ai quali si applicano le medesime norme di tutela.
Un aspetto significativo della Convenzione è l’elaborazione di una strategia globale e integrata attraverso la quale combattere la violenza contro le donne e la violenza domestica. Tale strategia poggia su quattro pilastri: prevenire (che riguarda l’aspetto culturale del problema ed è volto all’eradicazione degli atteggiamenti culturali e degli stereotipi lesivi della dignità delle donne); proteggere (garantendo i bisogni e la sicurezza delle vittime, con misure di sostegno medico, psicologico e materiale); perseguire (rafforzando l’impianto penale per determinati delitti che colpiscono prevalentemente le donne ed eliminando riferimenti a tradizioni e culture che possano in qualche modo essere usate come giustificazione alla violenza); adottare politiche integrate (aspetto che coinvolge la responsabilità delle istituzioni nel fornire un quadro di misure adeguate all’obiettivo di eliminare la violenza contro le donne).
A pochi mesi di distanza dalla ratifica della Convenzione di Istanbul, nella XVII legislatura il Parlamento ha convertito in legge il decreto-legge 14 agosto 2013, n. 93, volto tra l’altro a prevenire e reprimere la violenza domestica e di genere.
Oltre a prevedere l’obbligo per il Governo di adottare un Piano d’azione contro la violenza di genere, il decreto-legge è intervenuto sul codice penale,
ü introducendo un'aggravante comune per i delitti contro la vita e l'incolumità individuale, contro la libertà personale nonché per i maltrattamenti in famiglia, da applicare se i fatti sono commessi in danno o in presenza di minori o di una donna in gravidanza;
ü rimodulando le aggravanti per i delitti di violenza sessuale per prevedere specifiche circostanze relative alla commissione dei delitti nei confronti di familiari;
ü modificando il reato di atti persecutori (art. 612-bis, c.d. stalking), con particolare riferimento al regime della querela di parte e all’aggravante per fatto commesso attraverso strumenti informatici o telematici.
Il decreto-legge ha inoltre modificato alcune previsioni del codice di procedura penale, intervenendo sulla disciplina delle intercettazioni (consentite anche nelle indagini per stalking), sulle misure dell’allontanamento - anche d'urgenza - dalla casa familiare e dell'arresto obbligatorio in flagranza dell'autore delle violenze, sugli obblighi di comunicazione da parte dell'autorità giudiziaria alla persona offesa dai reati di stalking e maltrattamenti in ambito familiare nonché sulle modalità protette di assunzione della prova e della testimonianza di minori e di adulti particolarmente vulnerabili. Inoltre, con una modifica delle disposizioni di attuazione del codice di procedura, il decreto-legge ha inserito i reati di maltrattamenti in famiglia, violenza sessuale e stalking tra quelli che hanno priorità assoluta nella formazione dei ruoli d'udienza.
Sempre a tutela delle vittime dei reati di violenza domestica e di genere, la riforma del 2013: ha introdotto la misura di prevenzione dell'ammonimento del questore anche per condotte di violenza domestica, sulla falsariga di quanto già previsto per il reato di stalking; ha esteso alle vittime dei reati di stalking, maltrattamenti in famiglia e mutilazioni genitali femminili l'ammissione al gratuito patrocinio anche in deroga ai limiti di reddito; ha riconosciuto agli stranieri vittime di violenza domestica la possibilità di ottenere uno specifico permesso di soggiorno ed ha infine stabilito che la relazione annuale al Parlamento sull'attività delle forze di polizia e sullo stato dell'ordine e della sicurezza pubblica debba contenere un'analisi criminologica della violenza di genere.
Sotto il profilo del sostegno economico, con l’articolo 11 della legge 7 luglio 2016, n. 122 (Legge europea 2015-2016) è stata adottato, in attuazione alla direttiva 2004/80/CE, un sistema di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti, al fine di garantire loro un indennizzo equo ed adeguato.
Con la citata legge n. 122, peraltro poi modificata dalla legge europea 2017 (legge n. 167 del 2017), il legislatore ha riconosciuto il diritto all'indennizzo «alla vittima di un reato doloso commesso con violenza alla persona e comunque del reato di cui all'articolo 603-bis del codice penale [caporalato], ad eccezione dei reati di cui agli articoli 581 [percosse] e 582 [lesioni personali], salvo che ricorrano le circostanze aggravanti previste dall'articolo 583 del codice penale».
L'indennizzo è elargito per la rifusione delle spese mediche e assistenziali; per i reati di omicidio, violenza sessuale, lesione personale gravissima e deformazione dell'aspetto mediante lesioni permanenti al viso l'indennizzo è comunque elargito, anche in assenza di spese mediche e assistenziali.
In caso di morte della vittima in conseguenza del reato, l'indennizzo è corrisposto in favore del coniuge superstite (cui è equiparata la parte di un'unione civile tra persone dello stesso sesso o il convivente di fatto che ha avuto prole dalla vittima o che ha convissuto con questa nei tre anni precedenti alla data di commissione del delitto) e dei figli; in mancanza del coniuge e dei figli, l'indennizzo spetta ai genitori e, in mancanza dei genitori, ai fratelli e alle sorelle conviventi e a carico al momento della commissione del delitto.
La determinazione degli importi dell'indennizzo riconoscibile alle vittime dei reati intenzionali violenti è stata effettuata Con decreto del Ministero dell'interno del 22 novembre 2019, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 23 gennaio 2020, n. 18, e sono i seguenti:
Reato |
Importo indennizzo |
Omicidio |
50.000 euro |
Omicidio commesso dal coniuge, anche separato o divorziato, o da persona che è o è stata legata da relazione affettiva alla persona offesa |
60.000 euro (esclusivamente in favore dei figli della vittima) |
Violenza sessuale, salvo che ricorra la circostanza attenuante del caso di minore gravità prevista dall'art. 609-bis, terzo comma, c.p. |
25.000 euro |
Lesioni personali gravissime di cui all'art. 583, comma 2, c.p. Deformazione dell'aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso di cui all'art. 583-quinquies c.p. |
25.000 euro |
Le somme sopraindicate possono essere incrementate fino a ulteriori 10.000 euro per le spese mediche e assistenziali documentate.
Per ogni altro delitto, l'indennizzo è erogato solo per la rifusione delle spese mediche e assistenziali documentate, fino a un massimo di 15.000 euro.
Ma l’intervento più rilevante ed estensivo nella lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica è stato certamente quello attuato dalla legge 19 luglio 2019, n. 69, approvata dal Parlamento nella XVIII legislatura, che, mutuando l’approccio integrato adottato dalla Convenzione di Istanbul, si pone come obiettivi la prevenzione, la punizione e la protezione delle vittime dei reati di violenza di genere. La legge è conosciuta dall’opinione pubblica con l’espressione “Codice rosso”, per sottolineare uno specifico percorso di tutela, anche processuale, delle vittime di reati violenti, con particolare riferimento ai reati di violenza sessuale e domestica. Si segnala che molte delle misure introdotte dalla legge n. 69 sono stati recentemente modificati dalla legge n. 168 del 2023 (v. par. dedicato, infra).
In particolare, la legge n. 69 del 2019 ha introdotto nel codice penale quattro nuovi delitti:
ü il delitto di deformazione dell'aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso (nuovo art. 583-quinquies c.p.), punito con la reclusione da 8 a 14 anni ovvero con l’ergastolo quando ne consegua la morte della vittima. Tale delitto rientra nel catalogo dei reati intenzionali violenti che danno diritto all'indennizzo da parte dello Stato (v. supra);
ü il delitto di diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti senza il consenso delle persone rappresentate (c.d. Revenge porn, inserito all'art. 612-ter c.p. dopo il delitto di stalking), punito con la reclusione da 1 a 6 anni e la multa da 5.000 a 15.000 euro; la pena si applica anche a chi, avendo ricevuto o comunque acquisito le immagini o i video, li diffonde a sua volta al fine di recare nocumento agli interessati. La fattispecie è aggravata se i fatti sono commessi nell'ambito di una relazione affettiva, anche cessata, o con l'impiego di strumenti informatici;
ü il delitto di costrizione o induzione al matrimonio (art. 558-bis c.p.), punito con la reclusione da 1 a 5 anni. La fattispecie è aggravata quando il reato è commesso in danno di minori e si procede anche quando il fatto è commesso all'estero da, o in danno, di un cittadino italiano o di uno straniero residente in Italia;
ü il delitto di violazione dei provvedimenti di allontanamento dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa (art. 387-bis), punito con la reclusione da 6 mesi a 3 anni.
Ulteriori interventi sul codice penale hanno comportato:
ü l’inasprimento delle pene per i delitti di maltrattamenti contro familiari e conviventi (art. 572 c.p.) atti persecutori (art. 612-bis c.p.) e violenza sessuale (artt. 609-bis e ss. c.p.);
ü la rimodulazione e l’inasprimento delle aggravanti quando la violenza sessuale è commessa in danno di minore;
ü l’introduzione di una circostanza aggravante speciale (pena aumentata fino alla metà) quando il delitto di maltrattamenti è commesso in presenza o in danno di minore, di donna in stato di gravidanza o di persona con disabilità, ovvero se il fatto è commesso con armi; considerare sempre il minore che assiste ai maltrattamenti come persona offesa dal reato;
ü l’inserimento del delitto di maltrattamenti contro familiari e conviventi nell'elenco dei delitti che consentono nei confronti degli indiziati l'applicazione di misure di prevenzione, tra le quali è inserita la misura del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona da proteggere;
ü l'estensione del campo di applicazione delle aggravanti dell'omicidio aggravato dalle relazioni personali
ü la previsione di un'aggravante per il delitto di atti sessuali con minorenne (art. 609-quater c.p.), con pena aumentata fino a un terzo quando gli atti siano commessi con minori di anni 14 in cambio di denaro o di qualsiasi altra utilità, anche solo promessi. Tale delitto diviene inoltre procedibile d'ufficio;
ü la possibilità di ottenere la sospensione condizionale della pena per i delitti di violenza domestica e di genere solo a seguito della partecipazione a specifici percorsi di recupero.
In ambito procedurale, l’impianto della legge mira a velocizzare l'instaurazione del procedimento penale per i delitti di violenza domestica e di genere, conseguentemente accelerando l'eventuale adozione di provvedimenti di protezione delle vittime (c.d. Codice rosso), attraverso una serie di obblighi gravanti sulla polizia giudiziaria, che deve immediatamente riferire al pubblico ministero, anche in forma orale, cui seguirà senza ritardo una comunicazione scritta, circa le notizie di reato relative a delitti di violenza domestica e di genere e compiere senza ritardo gli atti di indagine delegati dal p.m., e sul pubblico ministero, che è tenuto ad assumere informazioni dalla persona offesa o da chi ha denunciato i fatti di reato entro 3 giorni dall'iscrizione della notizia di reato, se non sussistono imprescindibili esigenze di tutela di minori o di riservatezza delle indagini, anche nell'interesse della persona offesa.
Altre rilevanti disposizioni concernono:
ü l'obbligo di trasmissione al giudice civile - se sono in corso procedimenti civili di separazione dei coniugi o cause relative all'affidamento di minori o relative alla responsabilità genitoriale - dei provvedimenti adottati nei confronti di una delle parti, relativi ai delitti di violenza domestica o di genere;
ü l’uso più estensivo delle procedure di controllo mediante mezzi elettronici o altri strumenti tecnici (c.d. braccialetto elettronico);
ü stringenti obblighi di comunicazione alla persona offesa da un reato di violenza domestica o di genere e al suo difensore relativi all'adozione di provvedimenti di scarcerazione, di cessazione della misura di sicurezza detentiva, di evasione.
ü l'attivazione di specifici corsi di formazione per il personale della Polizia di Stato, dell'Arma dei Carabinieri e della Polizia penitenziaria che esercita funzioni di pubblica sicurezza e di polizia giudiziaria in relazione alla prevenzione e al perseguimento dei reati di violenza domestica e di genere;
ü l'applicazione dei benefici penitenziari per i condannati per il delitto di deformazione dell'aspetto mediante lesioni permanenti al viso solo sulla base dei risultati dell'osservazione scientifica della personalità condotta collegialmente per almeno un anno;
ü la possibilità, per i condannati per i delitti di violenza domestica e di genere, di sottoporsi a un trattamento psicologico con finalità di recupero e di sostegno suscettibile di valutazione ai fini della concessione dei benefici penitenziari.
Per approfondimenti sulla legge n. 69 del 2019 si segnala la pubblicazione dal titolo Il Punto: La violenza contro le donne, in cui Il Ministero dell'interno ha reso noti i dati sull’incidenza dei nuovi reati dalla data di entrata in vigore della legge al 30 settembre 2023, riportati nella tabella seguente:
Bilancio dall’entrata in vigore della legge 69/2013 |
9 agosto 2019 30 settembre 2023 |
|
Delitti commessi |
Incidenza % vittime di genere femminile |
|
Violazione dei provvedimenti di allontanamento dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa (art. 387 bis C.P.) |
9.010 |
82% |
Costrizione o induzione al matrimonio (art. 558 bis C.P.) |
69 |
88% |
Deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso (art. 583 quinquies C.P.) |
346 |
23% |
Diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti (art. 612 ter C.P.) |
4.821 |
69% |
Anche la legge 27 settembre 2021, n. 134 (legge delega per la riforma del processo penale), contiene alcune novelle al codice penale e al codice di procedura penale, immediatamente precettive. Tra queste si segnalano in questa sede le disposizioni per il rafforzamento degli istituti di tutela della vittima del reato.
In particolare, l'articolo 2, commi 11-13, integra le disposizioni a tutela delle vittime di violenza domestica e di genere introdotte con legge n. 69 del 2019 (c.d. Codice rosso), estendendone la portata applicativa anche alle vittime dei suddetti reati in forma tentata e alle vittime di tentato omicidio.
Con le novelle introdotte, si applicheranno dunque anche alle fattispecie di tentato omicidio ed ai delitti di violenza domestica e di genere in forma tentata le seguenti disposizioni, tutte introdotte nell'ordinamento dalla legge n. 69 del 2019:
- la previsione (di cui all'art. 90-ter, comma 1-bis c.p.p.) in base alla quale le comunicazioni relative ai provvedimenti di scarcerazione e di cessazione della misura di sicurezza detentiva, nonché dell'evasione dell'imputato sono sempre effettuate alla persona offesa e al suo difensore, ove nominato;
- la previsione (art. 362, comma 1-ter c.p.p.) in base alla quale il pubblico ministero assume informazioni dalla persona offesa e da chi ha presentato denuncia, querela o istanza, entro il termine di tre giorni dall'iscrizione della notizia di reato, salvo che sussistano imprescindibili esigenze di tutela di minori di anni diciotto o della riservatezza delle indagini, anche nell'interesse della persona offesa;
- la previsione (art. 370, comma 2 bis c.p.p.) in base alla quale la polizia giudiziaria procede senza ritardo al compimento degli atti delegati dal pubblico ministero;
- la previsione (art. 659, comma 2 bis c.p.p.) in base alla quale quando a seguito di un provvedimento del giudice di sorveglianza deve essere disposta la scarcerazione del condannato, il pubblico ministero che cura l'esecuzione ne dà immediata comunicazione, a mezzo della polizia giudiziaria, alla persona offesa e, ove nominato, al suo difensore;
- la previsione (di cui all'art. 64-bis, disp. att .c.p.p) in base alla quale ai fini della decisione dei procedimenti di separazione personale dei coniugi o delle cause relative ai figli minori di età o all'esercizio della potestà genitoriale, copia delle ordinanze che applicano misure cautelari personali o ne dispongono la sostituzione o la revoca, dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari, del provvedimento con il quale è disposta l'archiviazione e della sentenza emessi nei confronti di una delle parti in relazione a determinati reati è trasmessa senza ritardo al giudice civile procedente;
- la previsione (di cui all'art. 165 c.p.) relativa agli obblighi per il condannato in base alla quale nei casi di condanna per determinati delitti, la sospensione condizionale della pena è comunque subordinata alla partecipazione a specifici percorsi di recupero presso enti o associazioni che si occupano di prevenzione, assistenza psicologica e recupero di soggetti condannati per i medesimi reati.
Un'ulteriore disposizione (articolo 2, comma 15) è volta ad inserire tra i delitti per i quali è previsto l'arresto obbligatorio in flagranza quello di violazione dei provvedimenti di allontanamento dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa.
Nel corso della presente legislatura sono stati approvati alcuni importanti provvedimenti in materia di contrasto alla violenza di genere.
In particolare, un ampio intervento in materia è stato realizzato dal disegno di legge di iniziativa governati, divenuto legge 24 novembre 2023, n. 168, che ha apportato incisive modifiche ai codici penale, di procedura penale, delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione (d.lgs. n. 159/2011) e ad alcune leggi speciali al fine di rendere maggiormente efficace l’impianto delle misure di prevenzione e contrasto alla violenza sulle donne.
Dal punto di vista della prevenzione, si è agito sul rafforzamento di alcune misure:
ü estendendo l'applicabilità dell'ammonimento d’ufficio del questore anche a fatti riconducibili ai reati - consumati o tentati - di violenza privata (art. 610 c.p.), di minaccia aggravata (art. 612, secondo comma, c.p.), di atti persecutori (art. 612- bis c.p.), di diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti, il c.d. revenge porn (art. 612-ter c.p.), di violazione di domicilio (art. 614 c.p.) e di danneggiamento (art. 635 c.p.); per i medesimi reati, nonché per i reati per i quali l’ammonimento era già previsto (percosse, art. 581 c.p., e lesioni personali, art. 582 c.p.), sono previsti altresì un aumento di pena se il fatto è commesso da soggetto già ammonito e la procedibilità d'ufficio qualora si tratti di reato procedibile a querela se commesso – in un ambito di violenza domestica - da soggetto già ammonito [le medesime tutele sono previste anche per l’ammonimento per il reato di atti persecutori ex art. 8 del dl 11/2009]; è infine prevista l’adozione, da parte del prefetto, di misure di vigilanza dinamica, nel caso di rischio di commissione di reati riguardanti la violenza di genere o domestica (articolo 1);
ü estendendo l'applicabilità delle misure di prevenzione personali - attualmente applicabili ai soggetti indiziati dei delitti di atti persecutori (art. 612-bis c.p.) e di maltrattamenti contro familiari e conviventi (art. 572 c.p.) - anche ai soggetti indiziati dei reati – consumati o tentati - di omicidio (art.575 c.p.), lesioni gravi (art. 583 laddove aggravate dal legame familiare o affettivo ex art. 577, primo comma, n. 1) e secondo comma, c.p.), deformazione dell'aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso (art. 583-quinquies c.p.), violenza sessuale (art. 609-bis c.p.). In tali casi è altresì previsto che si applichi la sorveglianza speciale, anche attraverso l’uso del braccialetto elettronico (previo consenso dell’interessato e verifica della fattibilità tecnica) e il contestuale divieto di avvicinarsi a determinati luoghi, frequentati abitualmente dalle persone cui occorre prestare protezione, e di mantenere una determinata distanza, non inferiore a cinquecento metri, da tali luoghi e da tali persone, adottabile anche come provvedimento d’urgenza che comporta, qualora violato, la reclusione da 1 a 5 anni (articolo 2);
ü imponendo l’applicazione della custodia cautelare in carcere nel caso di manomissione dei mezzi elettronici o degli strumenti tecnici di controllo disposti con gli arresti domiciliari o con le misure coercitive di cui agli artt. 282-bis (obbligo di allontanamento dalla casa familiare) o 282-ter (divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa); per entrambe le misure citate diviene obbligatorio l’utilizzo del braccialetto elettronico (articolo 12);
ü derogando alla regola in base alla quale non può applicarsi la misura della custodia cautelare in carcere se il giudice ritiene che, all'esito del giudizio, la pena detentiva irrogata non sarà superiore a tre anni in caso di commissione dei reati di violazione dei provvedimenti di allontanamento dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa (art. 387-bis) e lesioni personali aggravate (articolo 13);
ü aumentando a tre anni e sei mesi di reclusione la pena massima prevista dall'articolo 387-bis c.p. per la violazione dei provvedimenti di allontanamento dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa e ampliando il perimetro del reato alla violazione degli ordini di protezione contro gli abusi familiari emessi dal giudice in sede civile (articolo 9);
ü introducendo l'arresto in flagranza differita (ovvero l’arresto eseguito sulla base di documentazione video fotografica o di altra documentazione ottenuta da dispositivi di comunicazione informatica o telematica e comunque entro le 48 ore dal fatto) nei casi di violazione dei provvedimenti di allontanamento dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa, di maltrattamenti contro familiari e conviventi, nonché di atti persecutori (articolo 10);
ü consentendo al pubblico ministero di disporre, con decreto motivato, l'allontanamento urgente dalla casa familiare con il divieto di avvicinarsi ai luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa, nei confronti della persona gravemente indiziata di taluno dei delitti di violazione dei provvedimenti di allontanamento dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa (art. 387-bis c.p.), maltrattamenti contro familiari e conviventi (art. 572 c.p.), lesioni (art. 582 c.p.), limitatamente ad alcune ipotesi aggravate e atti persecutori (art. 612-bis c.p.) o di altro delitto, consumato o tentato, commesso con minaccia o violenza alla persona per il quale la legge stabilisce la pena dell'ergastolo o della reclusione superiore nel massimo a tre anni, ove sussistano fondati motivi per ritenere che le condotte criminose possano essere reiterate ponendo in grave ed attuale pericolo la vita o l'integrità fisica della persona offesa, e non sia possibile, per la situazione di urgenza, attendere il provvedimento del giudice (articolo 11).
Per quanto riguarda le disposizioni più strettamente di natura procedurale/processuale si è provveduto:
ü ad ampliare il catalogo dei delitti ai quali viene riconosciuta la priorità nella formazione dei ruoli di udienza e nella trattazione dei processi: ai delitti di maltrattamenti contro familiari e conviventi, violenza sessuale e atti persecutori, cui l'ordinamento già assicura la priorità assoluta, si aggiungono i delitti di violazione dei provvedimenti di allontanamento dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa, costrizione o induzione al matrimonio, lesioni personali aggravate, deformazione dell'aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso, interruzione di gravidanza non consensuale, diffusione illecita di immagini o di video sessualmente espliciti, stato di incapacità procurato mediante violenza laddove ricorrano le circostanze aggravanti ad effetto speciale (articolo 3); la stessa priorità è assicurata anche alla richiesta di misura cautelare personale e alla decisione sulla stessa nei casi di delitti di maltrattamenti contro familiari e conviventi, violenza sessuale e atti persecutori (articolo 4);
ü a favorire la specializzazione dei magistrati, attraverso l’individuazione, da parte procuratore della Repubblica, in caso di delega, dei magistrati incaricati di curare gli affari in materia di violenza di genere e domestica (articolo 5);
ü ad introdurre termini stringenti per la valutazione delle esigenze cautelari, disponendo che il PM, nei procedimenti relativi a delitti di violenza domestica e di genere valuti, entro 30 giorni, la sussistenza dei presupposti per l’applicazione di una misura cautelare e che il giudice provveda entro 20 giorni dal deposito della relativa istanza (articolo 7); sul rispetto di tali termini il procuratore generale presso la corte d'appello deve inviare una relazione almeno semestrale al procuratore generale presso la corte di Cassazione (articolo 8);
ü ad estendere gli obblighi informativi nei confronti della persona offesa dal reato, disponendo che sia data immediata comunicazione alle vittime di violenza domestica o di genere circa i provvedimenti di scarcerazione e di cessazione della misura di sicurezza detentiva, dell'evasione dell'imputato in stato di custodia cautelare o del condannato, nonché della volontaria sottrazione dell'internato all'esecuzione della misura di sicurezza detentiva. La revoca, l’estinzione o la sostituzione delle misure coercitive, sono inoltre comunicati, nei casi specificamente previsti, all'autorità di pubblica sicurezza e al prefetto per l’eventuale adozione, rispettivamente, di misure di prevenzione o misure di vigilanza dinamica a tutela della persona offesa (articolo 14);
ü a subordinare la concessione della sospensione condizionale della pena irrogata a seguito di condanna per delitti, consumati o tentati, di violenza domestica e di genere al superamento, con esito favorevole, del percorso di recupero. Il provvedimento che determina il venir meno delle misure cautelari precedentemente disposte, a seguito della sospensione condizionale della pena, deve essere comunicato all'autorità di pubblica sicurezza per l'eventuale applicazione di una misura di prevenzione. Qualsiasi violazione della misura di prevenzione eventualmente applicata o degli obblighi connessi allo svolgimento del percorso di recupero deve essere comunicata al PM ai fini della revoca della sospensione condizionale (articolo 15).
Sul versante degli aiuti economici alle vittime, è stata modificata la disciplina dell’indennizzo di cui alla legge n. 122 del 2016, semplificando la procedura per la presentazione della relativa domanda, aumentandone il termine da 60 a 120 giorni e introducendo la possibilità di ottenere, da parte della vittima di taluni reati in materia di violenza di genere oppure degli aventi diritto in caso di morte della vittima, una provvisionale, ossia una somma di denaro liquidata dal giudice, come anticipo sull'importo integrale che le spetterà in via definitiva (articoli 16 e 17).
Ampio spazio è dato anche alle attività di formazione, sia attraverso la predisposizione di apposite linee guida per la formazione degli operatori che entrano in contatto con le donne vittime di violenza sia attraverso l’inserimento di specifiche iniziative formative in materia di violenza contro le donne e violenza domestica nelle linee programmatiche che il Ministro della giustizia propone alla Scuola superiore della magistratura (articolo 6).
È inoltre prevista, entro 6 mesi dall'entrata in vigore della legge, l’emanazione di un decreto interministeriale che disciplini i requisiti per il riconoscimento e l'accreditamento degli enti e delle associazioni abilitati ad effettuare corsi di recupero degli autori di reati di violenza sulle donne e di violenza domestica, nonché le linee guida cui tali enti e associazioni devono attenersi (articolo 18).
Un’altra legge approvata nell’attuale legislatura che incide sugli aspetti procedurali del Codice rosso è la legge 8 settembre 2023, n. 122, che mira a rendere più stringente l'obbligo, introdotto per i delitti di violenza domestica o di genere dalla legge n. 69 del 2019 (comma 1-ter dell’art. 362 c.p.p.), gravante sul pubblico ministero, di assumere informazioni dalla persona offesa nel termine di tre giorni dall'acquisizione della notizia di reato. La legge prevede che, nel caso in cui il p.m. assegnatario delle indagini non proceda nel termine dei tre giorni all'ascolto della persona offesa, il procuratore della Repubblica possa revocargli l'assegnazione del procedimento, procedendo direttamente, o attraverso l'assegnazione ad un altro magistrato dell'ufficio, all'assunzione di informazioni dalla persona offesa (salvo che non emerga la necessità di tutelare i minori o la riservatezza delle indagini). La legge prevede, inoltre, che il procuratore generale presso la corte di appello acquisisca con cadenza trimestrale dalle procure della Repubblica del distretto i dati sul rispetto del termine fissato dall'articolo 362, comma 1-ter c.p.p., e invii al procuratore generale presso la Corte di cassazione una relazione almeno semestrale.
In attuazione dell’art. 5 del decreto-legge n. 93 del 2013, il Governo adotta piani straordinari per contrastare la violenza contro le donne. La disciplina del Piano è stata in parte recentemente modificata dall’art. 1, comma 149, della legge di bilancio 2022 (legge n. 234/2021), che ne ha innanzitutto mutato la denominazione da Piano d'azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere a Piano strategico nazionale contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica. Tale denominazione ricalca la terminologia utilizzata nella Convenzione di Istanbul; inoltre il Piano perde la qualifica di “straordinario” per diventare uno strumento “strategico” nel contrasto alla violenza sulle donne.
Ulteriori modifiche apportate dalla legge di bilancio riguardano:
- l'elaborazione del Piano da parte del Presidente del Consiglio dei Ministri o dell'Autorità politica delegata per le pari opportunità (non più dal Ministro per le pari opportunità), con cadenza almeno triennale (non più biennale) e previo parere (anziché previa intesa) in sede di Conferenza unificata;
- l'istituzione di una Cabina di regia interistituzionale e di un Osservatorio sul fenomeno della violenza nei confronti delle donne e sulla violenza domestica presso il Dipartimento per le pari opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri;
- la soppressione dell'obbligo di trasmissione annuale alle Camere di una relazione sull'attuazione del Piano da parte del Ministro delegato per le pari opportunità.
L’ultimo piano adottato è il Piano strategico nazionale sulla violenza maschile contro le donne per il biennio 2021-2023.
La struttura del Piano si articola in 4 Assi tematiche (prevenzione, protezione e sostegno, perseguire e punire, assistenza e promozione) secondo le linee indicate dalla Convenzione di Istanbul, a ciascuna delle quali si ricollegano specifiche priorità.
Quanto alla prevenzione, le priorità sono: l’aumento del livello di consapevolezza nella pubblica opinione e nel sistema educativo e formativo sulle cause e le conseguenze della violenza maschile sulle donne; il coinvolgimento del settore privato (social, piattaforme, mass media) sul ruolo di stereotipi e sessismo, anche in relazione alla cyberviolenza e alla diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti; la promozione dell’empowerment femminile; l’attivazione di azioni di emersione e contrasto della violenza contro donne vittime di discriminazione multipla; il rafforzamento per la prevenzione della recidiva per uomini autori di violenza; la formazione delle figure professionali che, a vario titolo, interagiscono con le donne vittime e con i minori nel percorso di prevenzione, sostegno e reinserimento; il raccordo delle misure normative anche nell’ambito della prevenzione della vittimizzazione secondaria.
Sul versante della protezione e del sostegno alle vittime, la priorità sono: la presa in carico delle donne vittime di violenza e dei minori vittime di violenza assistita; l’attivazione di percorsi di empowerment economico finanziario, lavorativo e autonomia abitativa; il monitoraggio ed il miglioramento dell’efficacia dei “Percorsi rivolti alle donne che subiscono violenza” attivi presso le aziende sanitarie e ospedaliere; il potenziamento della Linea telefonica nazionale gratuita antiviolenza 1522; la tutela e il sostegno psicosociale delle/dei minori vittime di violenza assistita; l’implementazione di soluzioni operative per garantire l’accesso ai servizi di prevenzione, sostegno e reinserimento, in particolare per le donne vittime di discriminazione multipla (migranti, richiedenti asilo e rifugiate).
Riguardo all’asse perseguire e punire, le priorità sono: garantire procedure e strumenti per la tutela delle donne vittime di violenza che consentano una efficace e rapida valutazione e gestione del rischio di letalità, di reiterazione e di recidiva; definire un modello condiviso di approccio, gestione e valutazione del rischio all’interno del reparto sicurezza; migliorare l’efficacia dei procedimenti giudiziari nell’applicazione di misure cautelari e della sospensione condizionale della pena; definire linee guida per l’analisi ed il monitoraggio qualitativo e quantitativo degli interventi svolti nell’ambito dei programmi per uomini maltrattanti.
Infine, nel campo dell’assistenza e della promozione, le priorità sono: l’implementazione del sistema informativo integrato per la raccolta e l’analisi dei dati sul fenomeno; l’implementazione di un sistema di monitoraggio e valutazione a livello nazionale degli interventi, delle politiche, delle attività e delle risorse; la predisposizione di linee guida, in accordo con le regioni, per uniformare a livello nazionale gli standard qualitativi e quantitativi dei servizi erogati dai centri antiviolenza, dalle reti territoriali e dal sistema socio sanitario; la costruzione di luoghi stabili di confronto e programmazione per gli organismi politici, le istituzioni e le strutture amministrative; la comunicazione e degli strumenti normativi e degli interventi operativi in sostegno alle donne vittime di violenza maschile.
Per quanto riguarda le risorse finanziarie a sostegno degli interventi previsti dal Piano, si ricorda che la legge di bilancio per l’anno 2023 (legge n. 197 del 2022) ha previsto un incremento di 15 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2023 delle risorse del Fondo per le politiche relative ai diritti e alle pari opportunità, finalizzato proprio al potenziamento delle azioni previste dal Piano strategico nazionale contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica (art. 1, comma 338).
A seguito dell’approvazione della legge di bilancio per l’anno 2024 (legge n. 213 del 2023), le risorse trasferite dal Ministero dell'economia e delle finanze al Fondo per le pari opportunità istituito presso la Presidenza del Consiglio e destinate al Piano contro la violenza sulle donne (cap. 496 del bilancio della Presidenza del Consiglio) ammontano a 60,5 milioni di euro, per ciascuno degli anni 2024, 2025 e 2026.
Stanziamenti per il Piano nel bilancio di previsione della Presidenza del Consiglio
(in mln di euro)
anno |
2024 |
2025 |
2026 |
stanziamento |
60,5 |
60,5 |
60,5 |
Nella nota preliminare di accompagnamento del bilancio 2024 della Presidenza del Consiglio dei ministri si legge che le risorse disponibili per l’anno in corso (euro 60.500.000) saranno destinate a:
- iniziative connesse al Piano strategico nazionale contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica 2021-2023 e al nuovo Piano strategico 2024-2026;
- iniziative per la prevenzione e il contrasto della violenza, la protezione delle vittime e il sostegno alle donne nel percorso di fuoriuscita dalla violenza;
- affidamento per la gestione del numero di pubblica utilità 1522;
- a favore delle Regioni nell’ambito della ripartizione delle risorse del “Fondo per le politiche relative ai diritti e alle pari opportunità” annualità 2024, di cui all’articolo 5-bis, comma 1, del decreto-legge 14 agosto 2013, n. 93, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 ottobre 2013, n. 119;
- ripartizione delle risorse stanziate in attuazione dell’articolo 105-bis del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34 (Reddito di libertà); - attuazione dell’articolo 26-bis del decreto-legge 14 agosto 2020, n. 104, convertito, con modificazioni, dalla legge 13 ottobre 2020, n. 126 (istituzione e potenziamento dei centri per uomini autori di violenza);
- iniziative di comunicazione e sensibilizzazione per la prevenzione della violenza maschile sulle donne.
Con specifico riguardo all’annuale ripartizione, a favore delle Regioni e delle Province autonome di Trento e Bolzano, delle risorse del Fondo per le pari opportunità, prevista dall'articolo 5-bis del decreto-legge n. 93 del 2013, al fine di finanziare le forme di assistenza e di sostegno alle donne vittime di violenza e ai loro figli, attraverso modalità omogenee di rafforzamento della rete dei servizi territoriali, dei Centri antiviolenza e dei servizi di assistenza (Case rifugio) alle donne vittime di violenza, si segnala che, da ultimo, il D.M 16 novembre 2023 ha decretato la ripartizione di 40 milioni di euro (10 milioni di euro in più rispetto all’anno precedente e 20 milioni in più rispetto al 2021) in base ai seguenti criteri:
a) 20 milioni per il finanziamento dei centri antiviolenza pubblici e privati già esistenti in ogni regione;
b) 20 milioni per il finanziamento delle case-rifugio pubbliche e private già esistenti in ogni regione.
Lo stato di utilizzo delle risorse stanziate per potenziare le forme di assistenza e di sostegno alle donne vittime di violenza e ai loro figli attraverso il rafforzamento della rete dei servizi territoriali e dei centri antiviolenza è oggetto di una Relazione che il Governo presenta annualmente al Parlamento (cfr. Doc. CXXIX n.1, già Doc. CCLIII della XVIII legislatura): l'ultima relazione, aggiornata al 30 marzo 2023, è stata presentata il 14 settembre 2023.
Ulteriori stanziamenti effettuati dalla legge di bilancio 2024 per interventi riconducibili al contrasto alla violenza di genere riguardano:
- un finanziamento permanente, pari a 10 milioni di euro per ciascuno degli anni 2024-2026 e a 6 milioni annui a decorrere dal 2027, in favore del cosiddetto reddito di libertà per le donne vittime di violenza (art. 1, comma 187);
- un incremento, nella misura di 4 milioni di euro per ciascuno degli anni 2024-2026, dello stanziamento relativo all'istituzione e al potenziamento dei centri di riabilitazione per il recupero degli uomini autori di violenza di genere (art. 1, comma 188);
- un incremento pari a 5 milioni di euro per ciascuno degli anni 2024-2026 delle risorse per la realizzazione di centri contro la violenza nei confronti delle donne (art. 1, comma 189);
- un aumento di 3 milioni di euro annui, a decorrere dal 2024 dello stanziamento del Fondo per le politiche relative ai diritti e alle pari opportunità per il rafforzamento della prevenzione della violenza nei confronti delle donne e domestica al fine di rendere a carattere continuo e permanente le iniziative formative in materia di contrasto della violenza sulle donne e della violenza domestica previste dall'articolo 6 della legge n. 168 del 2023, nonché di garantire la formazione di tutte le professionalità che entrano in contatto con fatti di violenza di genere o con atti persecutori (art. 1, comma 190);
- l’istituzione del Fondo per la creazione di case rifugio per donne vittime di violenza, con una dotazione di 20 milioni di euro per ciascuno degli anni 2024-2026 (art. 1, comma 194).
A seguito dell’approvazione della legge 9 febbraio 2023, n. 12, nella legislatura corrente si è per la prima volta insediata una Commissione bicamerale d’inchiesta sul femminicidio, nonché su ogni forma di violenza di genere; analoghe Commissioni d’inchiesta erano state infatti istituite, tanto nella XVII quanto nella XVIII legislatura, presso il Senato[51].
La Commissione bicamerale si è costituita nella seduta del 26 luglio 2023; è composta da 18 senatori e 18 deputati e, secondo quanto stabilito dalla legge istitutiva, ha il compito di:
- svolgere indagini sulle reali dimensioni e cause del femminicidio e, più in generale, di ogni forma di violenza di genere;
- monitorare la concreta attuazione della Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, nonché di ogni altro accordo sovranazionale e internazionale in materia e della legislazione nazionale ispirata agli stessi principi, con particolare riguardo al decreto-legge n. 93 del 2013 e alla legge n. 69 del 2019 (c.d. "Codice rosso");
- accertare le possibili incongruità e carenze della normativa vigente in materia rispetto allo scopo di tutelare la vittima della violenza e gli eventuali minori coinvolti, al fine di una sua eventuale revisione (con specifico riferimento alla normativa penale concernente le molestie sessuali perpetrate in luoghi di lavoro), come pure proseguire l'analisi degli episodi di femminicidio, verificatisi a partire dal 2016, per accertare se siano riscontrabili condizioni o comportamenti ricorrenti, valutabili sul piano statistico, allo scopo di orientare l'azione di prevenzione;
- accertare il livello di attenzione e la capacità di intervento delle autorità e delle amministrazioni pubbliche competenti a svolgere attività di prevenzione e di assistenza;
- verificare, come raccomandato dall'OMS, la realizzazione di progetti educativi nelle scuole;
- proporre soluzioni di carattere legislativo e amministrativo per realizzare adeguata prevenzione e contrasto ad ogni forma di violenza di genere nonché per tutelare la vittima della violenza e gli eventuali minori coinvolti; valutare inoltre la necessità di redigere testi unici, al fine di implementare la coerenza e la completezza della regolamentazione in materia di violenza sulle donne;
- monitorare il lavoro svolto dai centri antiviolenza operanti sul territorio, ivi compresi i centri di riabilitazione per uomini maltrattanti, e l'effettiva applicazione da parte delle Regioni del Piano antiviolenza e delle linee guida nazionali per le aziende sanitarie e ospedaliere in tema di soccorso e assistenza socio-sanitaria alle vittime di violenza;
- verificare l'effettiva destinazione delle risorse stanziate dal decreto-legge n. 93 del 2013 e dalle leggi di stabilità e di bilancio alle strutture che si occupano di violenza di genere e fare in modo che siano assicurati finanziamenti certi e stabili al fine di evitarne la chiusura.
Nei primi mesi dalla sua istituzione, la Commissione ha svolto numerose audizioni, non solo di soggetti istituzionali (tra cui i Ministri della giustizia, dell'istruzione e del merito e per la famiglia, la natalità e le pari opportunità), ma anche di rappresentanti di enti ed associazioni in prima linea nella lotta contro la violenza di genere.
La raccolta dei dati rappresenta un fondamentale strumento per conoscere e indagare a fondo le dinamiche del fenomeno della violenza domestica e di genere.
Fino a pochi anni fa, nelle statistiche giudiziarie il genere della persona offesa dal reato non veniva censito in quanto ritenuto non rilevante (nel nostro ordinamento penale l’unico reato connotato da una specificità di genere è il delitto di mutilazioni genitali femminili).
Nell'ottica del potenziamento e del coordinamento nella raccolta dei dati statistici si pone la legge n. 53 del 2022, con cui il Parlamento ha disciplinato la raccolta di dati e informazioni sulla violenza di genere esercitata contro le donne, al fine di monitorare il fenomeno ed elaborare politiche che consentano di prevenirlo e contrastarlo.
A tal fine, la legge:
- introduce l'obbligo per gli uffici, gli enti, gli organismi e i soggetti pubblici e privati che partecipano all'informazione statistica ufficiale di fornire i dati e le notizie per le rilevazioni previste dal programma statistico nazionale, nonché di rilevare, elaborare e diffondere i dati relativi alle persone disaggregati per uomini e donne;
- introduce l'obbligo per tutte le strutture sanitarie pubbliche e in particolare le unità operative di pronto soccorso di fornire i dati e le notizie relativi alla violenza contro le donne;
- istituisce un sistema integrato tra i Ministeri dell'interno e della giustizia per la rilevazione dei dati riguardanti la commissione di reati ascrivibili al fenomeno della violenza contro le donne, con particolare riguardo a quei dati che consentono di ricostruire la relazione esistente tra l'autore e la vittima del reato;
- prevede che alle rilevazioni concernenti specifici reati siano apportate le opportune modifiche affinché vengano registrati i dati riguardanti la relazione tra l'autore e la vittima del reato, la loro età e genere e le circostanze del reato, attraverso l'emanazione di due appositi decreti del Ministro della giustizia;
- perfeziona, arricchendole di ulteriori dati informativi, le rilevazioni annuali condotte da Istat sulle prestazioni e i servizi offerti rispettivamente dai Centri antiviolenza e dalle case rifugio.
Un’accurata analisi dei delitti riconducibili al fenomeno della violenza maschile contro le donne viene svolta periodicamente dal Dipartimento della Pubblica sicurezza del Ministero dell'interno, che sul sito web pubblica report settimanali e semestrali di monitoraggio dei più diffusi reati contro le donne.
L’analisi criminologica della violenza di genere al momento più aggiornata è quella pubblicata a gennaio 2024, che pone a raffronto i dati del quadriennio 2020-2023. Il rapporto contiene statistiche sugli omicidi volontari, sui reati introdotti dalla legge sul codice rosso e sui c.d. reati spia della violenza di genere ovvero quei delitti che, essendo espressione di violenza fisica, sessuale, psicologica o economica, diretta contro una donna in quanto tale, sono indicatori di violenza di genere (atti persecutori, di cui all’art. 612-bis c.p., maltrattamenti contro familiari e conviventi, di cui all’art art. 572 c.p. e violenze sessuali, di cui agli artt. 609-bis, 609-ter e 609-octies c.p.).
I dati rilevano un tendenziale incremento per tutte le fattispecie in esame fino all'anno 2022 (ad esclusione del reato di atti persecutori che rimane sostanzialmente stabile tra il 2021 ed il 2022) a fronte di un trend decrescente nel 2023; l'incidenza delle vittime di sesso femminile sul totale delle vittime si mantiene pressoché costante, attestandosi intorno al 74% per gli atti persecutori e all’81% per i maltrattamenti contro familiari e conviventi, mentre presenta valori oscillanti tra il 91 e il 93% per le violenze sessuali.
Con riferimento alle fattispecie introdotte dalla legge n. 69 (codice rosso), la situazione si presenta invece più variegata. L'incidenza delle vittime di sesso femminile sul totale rimane preponderante per i reati di costrizione o induzione al matrimonio (ma con un'oscillazione molto forte dal 57% del 2020 al 96% del 2021 e del 2023), diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti (scesa da un picco del 76% del 2020 al 61% del 2023) e violazione dei provvedimenti di allontanamento dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento (sempre oltre l'80%, ad eccezione del 79% del 2020), mentre è minoritaria per il delitto di deformazione dell'aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso (in cui non ha mai superato il 26%, con un minimo del 15% nel 2023).
In termini percentuali, nel 2023 si segnala un significativo aumento di casi relativi al reato di costrizione o induzione al matrimonio (+ 86%), mentre in termini assoluti il reato più frequente si conferma quello relativo alla violazione dei provvedimenti di allontanamento dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa, seppure in lieve diminuzione rispetto all’anno precedente (- 4%).
Per quanto riguarda gli omicidi di donne, l'analisi pone a raffronto i dati del quinquennio 2019-2023. Si evidenzia che a partire dal 2019 il numero delle donne vittime di omicidio volontario è costantemente aumentato, con un’inversione di tendenza nell’ultimo anno (in cui il numero di vittime femminili resta comunque più alto rispetto sia al 2019 che al 2020). Inoltre, a partire dal 2021, il trend di crescita risulta essere minore rispetto a quello che registra il dato generale degli omicidi volontari (con l'effetto di una diminuzione dell'incidenza delle vittime di sesso femminile negli ultimi 3 anni rispetto al dato del 2020, malgrado l'aumento in termini assoluti dai 119 eventi del 2020 ai 128 del 2022, pari a oltre il 7,5% in più).
Esaminando più in dettaglio i dati degli omicidi commessi in ambito familiare/affettivo (ovvero i c.d. femminicidi), si rileva che dopo un notevole incremento registrato a partire dal 2019, che ha portato a superare i 100 casi annui nei tre anni successivi (fino al picco di 106 omicidi del 2021), anche in questo ambito il 2023 ha visto una significativa riduzione del numero di casi che ha riportato il dato quasi al livello del 2019 seppure non in termini di incidenza di donne vittime sul dato totale (circa 61% nel 2019 a fronte del 66% nel 2023). Più in generale, l’incidenza delle donne vittime ha subito un marcato aumento nel 2022, arrivando a rappresentare oltre il 72% del totale delle vittime di quell’anno (in cui vi era stata una sensibile diminuzione del numero generale delle vittime di tale tipologia di omicidi), mentre nei due anni precedenti tale percentuale si era fermata a circa il 69%.
In particolare, nella sottocategoria degli omicidi commessi da partner o ex partner, il dato che viene alla luce è quello dell’assoluta preponderanza delle vittime di sesso femminile, con percentuali ben oltre il 90% nel 2020 e nel 2023; nel 2021, anno in cui maggiore è stato il numero di donne vittime (71), l’incidenza si è invece attestata all’88%.
Oltre all’analisi criminologica curata dal Dipartimento della Pubblica sicurezza del Ministero dell'interno, è disponibile un portale internet, realizzato dall'Istituto nazionale di statistica e dal Dipartimento delle Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio, che fornisce un quadro informativo integrato sulla violenza contro le donne in Italia.
L’articolo 3 della Costituzione sancisce il principio di eguaglianza senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. Alla Repubblica è affidato il compito di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.
Al contempo, norma fondamentale in tema di partecipazione alla vita politica è l'articolo 51, primo comma, della Costituzione, secondo il quale “tutti i cittadini dell'uno o dell'altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge”.
A seguito di una modifica del 2003 (L. Cost. n. 1/2003), dovuta anche ad un orientamento espresso dalla Corte costituzionale in una sentenza del 1995 (v. infra) è stato aggiunto un periodo all’art. 51 Cost. in base al quale “A tal fine, la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini”.
Si è in tal modo segnato un passaggio dalla dimensione statica della parità di trattamento uomo-donna alla prospettiva dinamica delle pari opportunità, con la finalità di raggiungimento di un'uguaglianza sostanziale come già riconosciuta dall'art. 3 e secondo lo spirito della Convenzione ONU per la eliminazione di ogni forma di discriminazione contro le donne (CEDAW) del 1979 nonché della Dichiarazione di Pechino del 1995, atti che mirano al raggiungimento di una parità de facto.
A livello sovranazionale, la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea - che con il trattato di Lisbona ha assunto valore vincolante per il nostro ordinamento - prevede che la parità tra uomini e donne deve essere assicurata in tutti i campi e che il principio della parità non osta al mantenimento o all'adozione di misure che prevedano vantaggi specifici a favore del sesso sottorappresentato (art. 23 inserito nel Capo III relativo all'uguaglianza).
L'articolo 117, settimo comma, Cost. (introdotto dalla L. Cost. n. 3/2001) prevede inoltre che "Le leggi regionali rimuovono ogni ostacolo che impedisce la piena parità degli uomini e delle donne nella vita sociale, culturale ed economica e promuovono la parità di accesso tra donne e uomini alle cariche elettive." Analogo principio è stato introdotto negli statuti delle regioni ad autonomia differenziata dalla legge costituzionale n. 2 del 2001.
Secondo un primo orientamento della Corte costituzionale risalente alla metà degli anni Novanta, espresso nella sentenza n. 422 del 12 settembre 1995, la previsione di quote di genere in campo elettorale si pone in contrasto con il principio di uguaglianza, sancito dagli articoli 3 e 51 della Costituzione.
La Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale delle norme contenute nelle leggi per le elezioni politiche, regionali ed amministrative che stabilivano una riserva di quote per l'uno e per l'altro sesso nelle liste dei candidati[52]. Diversamente è stata valutata la disposizione contenuta nella legge elettorale del Senato, in quanto – ha argomentato la Corte – quest’ultima ha carattere essenzialmente programmatico, limitandosi a sancire il principio dell’equilibrio della rappresentanza tra donne e uomini.
Nella motivazione della sentenza, la Corte ha affermato che l’art. 3, primo comma e l’art. 51, primo comma Cost. (ante riforma del 2003) «garantiscono l’assoluta eguaglianza tra i due sessi nella possibilità di accedere alle cariche pubbliche elettive, nel senso che l’appartenenza all’uno o all’altro sesso non può mai essere assunta come requisito di eleggibilità: ne consegue che altrettanto deve affermarsi per quanto riguarda la ‘candidabilità’». Infatti, la possibilità di essere candidato “non è che la condizione pregiudiziale e necessaria per poter essere eletto e beneficiare quindi in concreto del diritto di elettorato passivo” sancito dall’art. 51 Cost. Secondo la Corte, viene pertanto a porsi in contrasto con i citati parametri costituzionali “la norma di legge che impone nella presentazione delle candidature alle cariche pubbliche elettive qualsiasi forma di quote in ragione del sesso dei candidati”.
In conseguenza della pronuncia della Corte costituzionale le norme sopra richiamate volte alla tutela della rappresentanza femminile decaddero.
Dopo la sentenza della Corte costituzionale del 1995 si pose la questione della necessità di modificare la Costituzione in modo da consentire interventi normativi sulle leggi elettorali tali da incentivare la presenza delle donne negli organismi rappresentativi elettivi.
Successivamente, il quadro costituzionale è mutato, anche in conseguenza della posizione espressa dalla Corte, fino a giungere alla modifica dell’art. 51 Cost.
La riforma costituzionale del Titolo V del 2001 ha riaffermato il principio della parità di accesso alle cariche elettive in ambito regionale e la legge costituzionale n. 1 del 2003 ha riconosciuto espressamente la promozione, con appositi provvedimenti, delle pari opportunità tra uomini e donne nella vita pubblica.
La prima sentenza della Corte sulle c.d. quote rosa interveniva a due anni da un’altra pronuncia importante (sentenza n. 109 del 1993) con la quale la Corte aveva riconosciuto la legittimità costituzionale delle azioni positive in favore delle donne, in particolare nel campo del sostegno all’imprenditoria femminile.
Secondo il ragionamento condotto dalla Corte in tale occasione, le incentivazioni finanziarie disposte dalla L. n. 215 del 1992 a favore di imprese a prevalente partecipazione femminile o condotte da donne, mirando a compensare (ovvero ad attenuare) lo squilibrio storicamente esistente a danno del sesso femminile nel campo dell'imprenditoria, rientrano fra le "azioni positive" finalizzate alla realizzazione dell'eguaglianza effettiva tra uomini e donne; perciò, trattandosi di una disciplina positivamente differenziata in vista dell'attuazione uniforme, su tutto il territorio nazionale, di un valore costituzionale primario, l'indiretta incidenza di essa sulle politiche di incentivazione promosse dalle regioni nei settori materiali di loro competenza, non può costituire motivo di illegittimità costituzionale, ma esige, piuttosto, la previsione di adeguati strumenti di cooperazione fra lo Stato e le regioni (o le province autonome).
Dopo la sentenza del 1995, la Corte costituzionale ha avuto modo di pronunciarsi nuovamente sul tema delle pari opportunità nell’accesso alle cariche elettive con la sentenza n. 49 del 13 febbraio 2003, pronunciata dopo le riforme costituzionali del 2001 relative agli ordinamenti regionali ma prima della modifica dell'articolo 51.
Innovando notevolmente il proprio orientamento, la Corte ha ritenuto legittime le modifiche alla normativa per l’elezione dei consigli regionali approvate dalla regione Valle d’Aosta che stabiliscono che ogni lista di candidati all'elezione del Consiglio regionale deve prevedere la presenza di candidati di entrambi i sessi e che vengano dichiarate non valide dall'ufficio elettorale regionale le liste presentate che non corrispondano alle condizioni stabilite. La stessa Corte ha evidenziato che tale normativa deve essere valutata alla luce di un quadro costituzionale di riferimento che si è evoluto rispetto a quello in vigore all’epoca della pronuncia n. 422/1995.
Le disposizioni censurate, secondo il ragionamento svolto dalla Corte, “stabiliscono un vincolo non già all'esercizio del voto o all'esplicazione dei diritti dei cittadini eleggibili, ma alla formazione delle libere scelte dei partiti e dei gruppi che formano e presentano le liste elettorali, precludendo loro (solo) la possibilità di presentare liste formate da candidati tutti dello stesso sesso. Tale vincolo negativo opera soltanto nella fase anteriore alla vera e propria competizione elettorale, e non incide su di essa. La scelta degli elettori tra le liste e fra i candidati, e l'elezione di questi, non sono in alcun modo condizionate dal sesso dei candidati”.
Ribadito che il vincolo resta limitato al momento della formazione delle liste, e non incide in alcun modo sui diritti dei cittadini, sulla libertà di voto degli elettori e sulla parità di chances delle liste e dei candidati e delle candidate nella competizione elettorale, né sul carattere unitario della rappresentanza elettiva, la Corte ha ritenuto che la “misura disposta dalla regione Valle D’Aosta può senz’altro ritenersi una legittima espressione sul piano legislativo dell'intento di realizzare la finalità promozionale espressamente sancita dallo statuto speciale in vista dell'obiettivo di equilibrio della rappresentanza”. Infine, la Corte ha affermato che la finalità di conseguire una “parità effettiva” fra uomini e donne anche nell’accesso alla rappresentanza elettiva è “positivamente apprezzabile dal punto di vista costituzionale” e che tale esigenza è espressamente riconosciuta anche nel contesto normativo dell’Unione europea ed internazionale.
Nella successiva ordinanza n. 39 del 2005, la Corte costituzionale affronta una questione sollevata dal Consiglio di Stato riguardante l'obbligo legislativamente previsto di inserire almeno un terzo di donne nelle Commissioni di concorso, quindi una vera quota di risultato sia pure prevista per un organo amministrativo. Il Consiglio di Stato richiama proprio la sentenza del 1995 a sostegno delle proprie argomentazioni nel senso dell'incostituzionalità della disposizione che prevedeva l'obbligo della presenza femminile. La Corte costituzionale ritiene peraltro che il richiamo alla sentenza del 1995 non è sufficiente alla luce della modifica dell'articolo 51 intervenuta nel 2003 e dichiara pertanto la questione manifestamente inammissibile per carenza di motivazione.
Nel solco tracciato dalla pronuncia del 2003 si inserisce la sentenza n. 62 del 2022, con la quale la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della normativa in materia di elezioni comunali, nella parte in cui non prevede l’esclusione delle liste elettorali che non assicurino la rappresentanza di entrambi i sessi anche nei comuni con popolazione inferiore ai 5.000 abitanti.
Pur ribadendo l’ampiezza della discrezionalità di cui il legislatore gode nella materia elettorale e, quindi, anche in sede di scelta delle concrete modalità attraverso le quali promuovere la parità di accesso alle cariche elettive, la Corte ha ritenuto manifestamente irragionevole la circostanza per la quale, in tali comuni, l’obbligo di garantire la presenza di entrambi i sessi nelle liste elettorali non risulta presidiato da alcuna sanzione per l’ipotesi di violazione.
Per ricondurre il sistema al rispetto del dettato costituzionale, la Corte indica quale rimedio – facendo proprie le prospettazioni del rimettente Consiglio di Stato – l’estensione al caso in esame della sanzione, già prevista nei comuni con popolazione superiore ai 15.000 abitanti, dell’esclusione dalla competizione elettorale delle liste non conformi. Si tratta, tuttavia, sottolinea la Corte, di una soluzione non obbligata, che, pertanto, lascia impregiudicata “la possibilità per il legislatore di individuare, nell’ambito della propria discrezionalità, altra – e in ipotesi più congrua – soluzione, purché rispettosa dei principi costituzionali […], nonché l’armonizzazione del sistema, anche considerando il caso dei comuni con popolazione da 5.000 a 15.000 abitanti, nei quali la riduzione della lista non può andare oltre il numero minimo di candidati prescritto”.
La pronuncia più rilevante sul tema delle misure positive per promuovere le pari opportunità nell’accesso alle cariche elettive è rappresentata dalla sentenza n. 4 del 2010, con cui la Corte, richiamando il principio di uguaglianza inteso in senso sostanziale, ha dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale sollevata dal Governo relativa all'introduzione della ‘doppia preferenza di genere' da parte della legge elettorale della Campania, in considerazione del carattere promozionale e della finalità di riequilibrio di genere della misura.
La L.R. Campania n. 4/2009, è la prima legge regionale ad introdurre la c.d. “preferenza di genere” nelle elezioni regionali, che poi verrà utilizzata ampiamente anche nelle altre regioni e per le elezioni dei membri italiani del Parlamento europeo, sulla base delle previsioni della legge n. 65 del 2014. Con tale espressione ci si riferisce alla possibilità per l’elettore di esprimere uno o due voti di preferenza e che, nel caso, di espressione di due preferenze, una deve riguardare un candidato di genere maschile ed una un candidato di genere femminile della stessa lista, pena l’annullamento della seconda preferenza (art. 4, co. 3).
Con la sentenza 14 gennaio 2010, n. 4, la Corte ha dichiarato che tale innovativa previsione non viola la Costituzione. Piuttosto, la finalità della nuova regola elettorale è dichiaratamente quella di ottenere un riequilibrio della rappresentanza politica dei due sessi all’interno del Consiglio regionale, in linea con i principi ispiratori del riformato art. 51, primo comma, Cost., e dell’art. 117, settimo comma, Cost., nel testo modificato dalla l. cost. 18 ottobre 2001, n. 3 (entrambi espressione del principio di uguaglianza sostanziale, di cui all’art. 3, secondo comma, Cost.).
È vero che la giurisprudenza costituzionale esclude che possano essere legittimamente introdotte nell’ordinamento misure che «non si propongano di “rimuovere” gli ostacoli che impediscono alle donne di raggiungere determinati risultati, bensì di attribuire loro direttamente quei risultati medesimi» (sent. n. 422 del 1995). Tenendo ferma questa fondamentale statuizione, la Corte, in epoca precedente alla riforma dell’art. 51 Cost., ha precisato che i vincoli imposti dalla legge per conseguire l’equilibrio dei generi nella rappresentanza politica non devono incidere sulla «parità di chances delle liste e dei candidati e delle candidate nella competizione elettorale» (sent. n. 49 del 2003).
Sulla scorta di questi precedenti, la Corte ha motivato la sentenza di rigetto della questione di legittimità costituzionale basandosi sui seguenti argomenti:
· la disposizione campana, per la sua formulazione, non prefigura il risultato elettorale, ossia non altera la composizione dell’assemblea elettiva rispetto a quello che sarebbe il risultato di una scelta compiuta dagli elettori in assenza della regola contenuta nella norma medesima né attribuisce ai candidati dell’uno o dell’altro sesso maggiori opportunità di successo elettorale rispetto agli altri. In altri termini, la «nuova regola rende maggiormente possibile il riequilibrio, ma non lo impone. Si tratta, quindi, di una misura promozionale, ma non coattiva»;
Infatti, «l’espressione della doppia preferenza è meramente facoltativa per l’elettore, il quale ben può esprimerne una sola, indirizzando la sua scelta verso un candidato dell’uno o dell’altro sesso. Solo se decide di avvalersi della possibilità di esprimere una seconda preferenza, la scelta dovrà cadere su un candidato della stessa lista, ma di sesso diverso da quello del candidato oggetto della prima preferenza. Nel caso di espressione di due preferenze per candidati dello stesso sesso, l’invalidità colpisce soltanto la seconda preferenza, ferma restando pertanto la prima scelta dell’elettore»[53];
· i diritti fondamentali di elettorato attivo e passivo rimangono inalterati. Il primo perché l’elettore può decidere di non avvalersi della possibilità di esprimere la seconda preferenza, che gli viene data in aggiunta al regime della preferenza unica, e scegliere indifferentemente un candidato di genere maschile o femminile. Il secondo perché la regola della differenza di genere per la seconda preferenza non offre possibilità maggiori ai candidati dell’uno o dell’altro sesso di essere eletti, posto il reciproco e paritario condizionamento tra i due generi nell’ipotesi di espressione di preferenza duplice».
Merita segnalare anche la sentenza n. 81 del 2012 con la quale la Corte ha esaminato un conflitto di attribuzione fra enti proposto dalla Regione Campania, avente ad oggetto la sentenza del Consiglio di Stato, sezione V, n. 4502 del 27 luglio 2011, che aveva annullato l’atto del Presidente della Giunta regionale di nomina di un assessore. Secondo quanto previsto infatti nella norma statutaria il Presidente della Giunta nella nomina degli assessori è tenuto ad assicurare “il pieno rispetto del principio di una equilibrata presenza di donne e uomini”, principio che il giudice amministrativo non riteneva soddisfatto con la nomina di undici assessori uomini e di una sola donna nell’esecutivo campano.
La Corte costituzionale dichiara inammissibile il conflitto, ma non manca di cogliere l’occasione per entrare nel merito della questione della equilibrata presenza di genere all’interno delle Giunte, sostenendo che la discrezionalità politica incontra un limite nell’esistenza di un vincolo giuridico derivante dal quadro normativo, costituzionale e legislativo, attualmente vigente in materia di equilibrio di genere anche con riferimento alla nomina dei componenti di una Giunta. La sentenza infatti riconosce indirettamente la natura prescrittiva delle norme poste in tema di parità di genere dallo Statuto Campano, “in armonia” con l’art. 51, primo comma, e 117, settimo comma, della Costituzione, e la loro natura di vincolo per il vertice dell’esecutivo.
Le possibilità di discriminazione delle donne in politica, nell’accesso alle cariche pubbliche, sono solo una delle manifestazioni di una serie di discriminazioni che hanno interessato le donne in diversi settori delle attività lavorative, sia nel settore pubblico che in quello privato, legate a stereotipi sulle professioni appannaggio dell’uno e dell’altro sesso.
La Corte costituzionale si è soffermata innanzitutto sulle c.d. discriminazioni dirette, cioè quelle previsioni di legge che pongono trattamenti esplicitamente differenti tra un genere e l’altro, affermate in molti casi da normative risalenti al periodo precedente l’entrata in vigore della Costituzione ed il suo articolo 51.
Tra queste, si può ricordare, per importanza, la sentenza n. 33 del 1960, con la quale venne dichiarata l’illegittimità della norma (articolo 7 della legge 17 luglio 1919, n. 1176) che escludeva le donne da tutti gli uffici pubblici che implicano poteri pubblici giurisdizionali o l’esercizio di diritti e di potestà politiche, o che attengono alla difesa militare dello Stato (tra i quali, ad es., l’ufficio di prefetto e di magistrato), norma che fu considerata in aperto contrasto col principio di eguaglianza sancito nell'art. 3 e riaffermato, per quanto riguarda l'accesso agli uffici pubblici, nell'art. 51 della Costituzione.
Con la sentenza n. 33 del 1960, la Corte in particolare ebbe modo di chiarire che la diversità di sesso, in sé e per sé considerata, non può essere mai ragione di discriminazione legislativa. L'art. 51 della Costituzione, con l'inciso "secondo i requisiti stabiliti dalla legge", non sta a significare che il legislatore ordinario possa, senza limiti alla sua discrezionalità, dettare norme attinenti al requisito del sesso, ma vuol dire soltanto che il legislatore può assumere, in casi determinati e senza infrangere il principio fondamentale dell'eguaglianza, l'appartenenza all'uno o all'altro sesso come requisito attitudinario, che faccia presumere, senza bisogno di ulteriori prove, gli appartenenti ad un sesso forniti della idoneità, che manca o esiste in misura minore negli appartenenti all'altro sesso, a ricoprire un ufficio pubblico determinato.
Non sono mancate pronunce “a rovescio”, nelle quali la Corte ha stigmatizzato l’esclusione degli uomini dall’esercizio di determinate professioni, come quella di insegnante nella scuola materna.
Con la sentenza n. 173 del 1983, la Corte dichiara illegittime per violazione dell'art. 3 della Costituzione le norme degli artt. 39 del r.d. 5 febbraio 1928, n. 577, 41 dello stesso decreto (come modificato dall'art. 1 della legge 3 aprile 1958, n. 470) e degli artt. 6 del citato r.d. n. 1286 del 1933 e 9 della legge 18 marzo 1968, n. 444, che escludevano gli allievi maschi dalla frequenza delle scuole magistrali del grado preparatorio e i candidati privatisti maschi dai relativi esami di abilitazione, e contemplavano, per la scuola materna soltanto insegnanti donne - norme all’epoca ancora applicabili a casi, come quello di specie, anteriori alla legge n. 903 del 1977 sulla parità fra uomo e donna in materia di lavoro. In materia di scuola materna non si può certo presumere che gli uomini non siano idonei ad insegnarvi. La presenza di una componente maschile nel corpo insegnante può anzi arricchire la scuola materna del contributo di più varie risorse educative e di una maggiore apertura di tutta l'attività didattica alla realtà sociale.
In altri casi, la giurisprudenza della Corte ha individuato e sanzionato le ipotesi di discriminazione indiretta, laddove un trattamento giuridico apparentemente uniforme presenta una ricaduta diversa su un gruppo sociale ristretto o su un genere. In proposito, merita ricordare la sentenza n. 163 del 1993 con cui la Corte ha dichiarato l'illegittimità costituzionale – per contrasto con l’articolo 3, che sancisce il principio di uguaglianza, e con gli articoli 37 e 51, che stabiliscono il principio di parità di trattamento tra uomini e donne nei rapporti di lavoro e nell’accesso ai pubblici uffici, della Costituzione - dell'art. 4, n. 2, della legge della Provincia autonoma di Trento 15 febbraio 1980, n. 3, nella parte in cui prevedeva, tra i requisiti per l'accesso alle carriere direttive e di concetto del ruolo tecnico del servizio antincendi della Provincia di Trento, il possesso di una statura fisica minima (1,65 m) indifferenziata per uomini e donne.
La Corte costituzionale, nella sentenza n. 163 del 1993, ha ritenuto che «l'adozione di un trattamento giuridico uniforme - cioè la previsione di un requisito fisico per l'accesso al posto di lavoro, che è identico per gli uomini e per le donne, - è causa di una "discriminazione indiretta" a sfavore delle persone di sesso femminile, poiché svantaggia queste ultime in modo proporzionalmente maggiore rispetto agli uomini, in considerazione di una differenza fisica statisticamente riscontrabile e obiettivamente dipendente dal sesso.»
La Corte, rafforza il principio secondo cui, fermo restando il particolare ruolo sociale della donna connesso ai valori della maternità e della famiglia, dall'insieme dei principi posti dall'art. 3, commi primo e secondo, Cost., e - in sede di specificazione applicativa - dagli artt. 37 e 51 Cost., deriva il divieto (significativamente enunciato anche dalla direttiva CEE n. 76/207 del 9 febbraio 1976) volto ad impedire qualsiasi discriminazione, diretta o indiretta, basata sul sesso in relazione alle condizioni di accesso nel posto di lavoro e, in particolare, nei pubblici uffici (si cfr. S. nn. 210/1986, 137/1986, 123/1969).
Con riguardo a pronunce più recenti, si ricorda la sentenza n. 213 del 2023 che ha dichiarato costituzionalmente illegittime, per violazione degli artt. 3, 31 e 37 Cost., le disposizioni dell’ordinamento del personale della Polizia penitenziaria che non prevedono che le vincitrici del concorso per vice ispettori – che abbiano ottenuto l’idoneità al servizio a seguito della partecipazione al primo corso di formazione successivo all’assenza dal lavoro per maternità – siano immesse in ruolo con la medesima decorrenza, ai fini giuridici, attribuita agli altri vincitori del medesimo concorso. La Corte ha sottolineato che la posticipazione dell’immissione in ruolo per le vincitrici del concorso a vice ispettore, assenti al corso di formazione a causa della maternità, determina il ritardo nella progressione in carriera e la definitiva perdita di chances, considerando che il ritardo, come nel caso di specie, potrebbe anche protrarsi per molto tempo. La piena realizzazione del diritto fondamentale alla parità di trattamento tra uomini e donne non risulta pertanto adeguatamente garantita dal solo riconoscimento del diritto a partecipare a un corso di formazione organizzato in una data successiva e incerta.
L’attenzione della Corte costituzionale su altre specifiche questioni legate alla condizione femminile, emersa più di recente, riguarda due filoni principali: il primo attiene alla maternità e alla piena affermazione dell’uguaglianza tra uomo e donna all’interno della famiglia ed un secondo che riguarda il tema della violenza sulle donne.
Di seguito si sintetizzano alcune delle principali pronunce.
Sulla parità all’interno della famiglia la Corte, prima della riforma del 1975, nel concordare con “l'opinione che considerava il sistema del Codice civile non aderente in ogni sua parte allo spirito informatore della sopravvenuta Costituzione repubblicana, la quale ha tenuto conto della trasformazione verificatasi nella posizione della donna nella moderna società”, ha ripetutamente richiamato l'attenzione del legislatore sull'esigenza di un “sollecito adeguamento del sistema al nuovo ordine sociale” (v. sentenze n. 101 del 1965, nn. 49 e 71 del 1966, n. 144 del 1967). Non ritenne tuttavia possibile farne decadere singole disposizioni, “per l'incertezza che ne sarebbe derivata, data l'intima connessione che le lega fra loro e ne fa un tutto unitario”.
Al contempo, la Corte ha dato alcuni contributi significativi su questioni puntuali.
Si può ricordare, in particolare, la sentenza della Corte costituzionale n. 126 del 1968 - con cui è stata dichiarata l'illegittimità dell'art. 559 c.p., che prevedeva il reato per il solo adulterio femminile, ritenuto in contrasto con gli artt. 3 e 29 della Costituzione, il quale proclama l'uguaglianza morale e giuridica dei coniugi - e la successiva sentenza n. 147 del 1969, con cui è stata tra l'altro dichiarata l'illegittimità dell'art. 560 c. p., che invece prevedeva la fattispecie dell’adulterio del marito, denominato "concubinato", con diverse e più attenuate condizioni di punibilità. In tale occasione, la Corte ha riconosciuto che si tratta di una deroga al principio di eguaglianza dei coniugi non essenziale per la garanzia dell'unità familiare, ma risolventesi, piuttosto, per il marito, in un privilegio; e questo, come tutti i privilegi, viola il principio di parità.
La distinzione della disciplina penale originava dal fatto che, mentre per quanto concerneva la possibilità dell'adulterio della moglie era considerato sufficiente il determinarsi di un solo rapporto sessuale illecito, diverso trattamento era stabilito per il marito. La punibilità dei rapporti sessuali extramatrimoniali di quest'ultimo veniva infatti a delinearsi solo nel momento in cui essi concretassero una vera e propria relazione stabile, sfociante nel cosiddetto concubinato.
Sulla norma la Corte era già intervenuta con la sentenza n. 64 del 1961, con la quale non si ravvisava alcuna violazione del principio di eguaglianza, giustificando il diverso trattamento adeguato alla valutazione dell’ambiente sociale, che reputava questa diversa punizione a garanzia dell’unità familiare.
In materia di cittadinanza, con la sentenza n. 87 del 1975 la Corte Costituzionale dichiarò l'illegittimità costituzionale della allora vigente legge sulla cittadinanza italiana (L. n. 555 del 1912) nella parte che prevedeva esclusivamente nei riguardi della donna che si mariti con uno straniero la cui cittadinanza le si comunichi a seguito del matrimonio, la perdita della cittadinanza italiana, indipendentemente dalla volontà della donna stessa.
Fra i punti fondamenti della sentenza, la Corte riconosce che una siffatta norma si ispirasse all’idea che la donna sia in uno stato di evidente inferiorità, privandola automaticamente, per il solo fatto di matrimonio, dei diritti di cittadina italiana: una siffatta concezione viene ritenuta illegittima per violazione degli artt. 3 e 29 Cost.
Con la successiva sentenza n. 30 del 1983 la Corte ha eliminato dall’ordinamento la disposizione relativa all’acquisto della cittadinanza per nascita da solo padre cittadino, nella parte in cui non prevedeva che sia cittadino per nascita anche il figlio di madre cittadina. Ciò in quanto l'attribuzione a titolo originario della sola cittadinanza paterna lede la posizione giuridica della madre e non è necessaria a garantire l'unità familiare, risolvendosi in “superstite espressione di una inaccettabile diversità di posizione giuridica e morale dei coniugi”.
Nella seconda metà degli anni Ottanta vi è uno sviluppo ulteriore, che è quello della emersione del valore della genitorialità, cioè della fungibilità dei ruoli tra madre e padre, entro certi limiti. A questo percorso la Corte costituzionale ha dato un importante contributo, stabilendo nella sua giurisprudenza l’estensione anche ai padri di tanti istituti di tutela sociale che erano stati introdotti dalla legislazione avviata negli anni Settanta esclusivamente per le madri lavoratrici.
Tra le prime pronunce costituzionali si ricorda la sentenza n. 179 del 1993, che dichiarava costituzionalmente illegittima, l'art. 7 della legge 9 dicembre 1977, n. 903, nella parte in cui non estendeva, in via generale ed in ogni ipotesi, al padre lavoratore, in alternativa alla madre lavoratrice consenziente, il diritto ai riposi giornalieri previsti per l'assistenza al figlio nel suo primo anno di vita.
La Corte motiva il proprio orientamento in quanto conforme ai principi costituzionali espressi anche nella legislazione vigente - quali quello della tutela della maternità (l. n. 1204 del 1971), dell'autonomo interesse del minore (l. n. 176 del 1991), della parità tra i coniugi e tra uomini e donne in materia di lavoro (l. n. 903 del 1977) - e alla evoluzione normativa e giurisprudenziale che ha sostenuto al diritto-dovere all'assistenza del figlio da parte di entrambi i coniugi, e, soprattutto, al superamento della concezione di una rigida distinzione dei ruoli fra di essi.
Già dal 1987 la Corte si era mossa in questa direzione, determinando l’estensione al padre lavoratore del diritto all'astensione obbligatoria ed ai riposi giornalieri, ove l'assistenza della madre sia divenuta impossibile per decesso o grave infermità (sentenza n. 1/1987).
Con successive sentenze sono state estesi ulteriori istituti sulla base dei medesimi presupposti:
- sul riconoscimento al padre lavoratore, in alternativa alla madre lavoratrice, del diritto all'astensione obbligatoria in caso di affidamento provvisorio, v. la sentenza n. 341/1991;
- sul riconoscimento del diritto del padre di percepire in alternativa alla madre l'indennità di maternità, v. la sentenza 385/2005.
Tra le pronunce più recenti sull’uguaglianza di genere all’interno della famiglia si ricorda la sentenza n. 286 del 2016 sull’attribuzione del cognome materno, con la quale la Corte è intervenuta, dopo essere stata investita ripetutamente sulla questione[54], dichiarando l’illegittimità costituzionale delle norme che prevedevano l’attribuzione del solo cognome paterno e consentendo la possibilità di aggiungere anche il cognome materno (sotto la spinta della Corte europea dei diritti dell’uomo che aveva indicato la strada più corretta sia per tutelare l’uguaglianza dei coniugi, sia per tutelare l’identità dei figli). In tale occasione la Corte, pur riaffermando la necessità di ristabilire il principio della parità dei genitori, ha preso atto che, in via temporanea, «in attesa di un indifferibile intervento legislativo, destinato a disciplinare organicamente la materia, secondo criteri finalmente consoni al principio di parità», "sopravvive" la generale previsione dell'attribuzione del cognome paterno, destinata a operare in mancanza di accordo espresso dei genitori. Successivamente, con l'ordinanza n. 18 del 2021 la Corte costituzionale ha sollevato dinanzi a sé la questione di legittimità costituzionale dell'art. 262, primo comma, del codice civile nella parte in cui, in mancanza di accordo dei genitori, impone l'acquisizione alla nascita del cognome paterno, anziché dei cognomi di entrambi.
L'ordinanza di autorimessione, e dunque la risposta a questo dubbio di costituzionalità, è per la Corte pregiudiziale per poter poi affrontare la questione di legittimità posta dal Tribunale di Bolzano, che ha chiesto alla Consulta di dichiarare incostituzionale l'art. 262 c.c. laddove non prevede, in caso di accordo tra i genitori, la possibilità di trasmettere al figlio il cognome materno invece di quello paterno.
A sostegno della decisione di autorimessione della questione di legittimità, la Corte ha infatti osservato che, qualora venisse accolta la prospettazione del Tribunale di Bolzano, in tutti i casi in cui manchi l'accordo dovrebbe essere ribadita la regola che impone l'acquisizione del solo cognome paterno. E poiché si tratta dei casi verosimilmente più frequenti, verrebbe ad essere così riconfermata la prevalenza del patronimico, la cui incompatibilità con il valore fondamentale dell'uguaglianza è stata riconosciuta, ormai da tempo, dalla stessa Corte, che ha più volte invitato il legislatore a intervenire.
Si ricorda che un tentativo di riformare la disciplina dell'attribuzione del cognome ai figli è stato effettuato in XVII legislatura con l'approvazione alla Camera di un progetto di legge che non ha poi concluso l'iter al Senato.
Da ultimo, la Corte è tornata sul tema con la sentenza n. 131 del 2022, con la quale ha dichiarato costituzionalmente illegittime le previsioni normative che attribuiscono al figlio riconosciuto da entrambi i genitori, al figlio nato nel matrimonio e all’adottato il cognome paterno, anziché i cognomi di entrambi i genitori, nell’ordine dai medesimi concordato, fatta sempre salva l’ipotesi di un accordo per l’attribuzione del cognome di uno solo di essi.
Difatti, “[l]a selezione, fra i dati preesistenti all’attribuzione del cognome, della sola linea parentale paterna, oscura unilateralmente il rapporto genitoriale con la madre. A fronte del riconoscimento contemporaneo del figlio, il segno dell’unione fra i due genitori si traduce nell’invisibilità della donna. L’automatismo imposto reca il sigillo di una diseguaglianza fra i genitori, che si riverbera e si imprime sull’identità del figlio, così determinando la contestuale violazione degli artt. 2 e 3 Cost.” ed è il “retaggio di una concezione patriarcale della famiglia (sentenze n. 286 del 2016 e n. 61 del 2006)”.
Nella pronuncia, la Corte formula, al proposito, un duplice invito al legislatore, chiamato a “impedire che l’attribuzione del cognome di entrambi i genitori comporti, nel succedersi delle generazioni, un meccanismo moltiplicatore che sarebbe lesivo della funzione identitaria del cognome” e, al contempo, a “valutare l’interesse del figlio a non vedersi attribuito – con il sacrificio di un profilo che attiene anch’esso alla sua identità familiare – un cognome diverso rispetto a quello di fratelli e sorelle”.
Un ulteriore filone di sentenze ha messo al centro della giurisprudenza costituzionale la salute e la dignità delle donne.
Al riguardo, si possono richiamare:
§ la sentenza n. 49 del 1971 che, prendendo atto del mutato sentimento della coscienza comune e tenuto anche conto del progressivo allargarsi della educazione sanitaria, dichiarava l’illegittimità costituzionale dell’art. 553 del codice penale che puniva, prevedendo un’autonoma fattispecie di reato, l'incitamento o la propaganda di pratiche contro la procreazione;
§ la sentenza n. 27 del 1975, che ha depenalizzato il c.d. aborto terapeutico stabilendo che non poteva esistere “equivalenza fra il diritto non solo alla vita ma anche alla salute proprio di chi è già persona, come la madre, e la salvaguardia dell'embrione che persona deve ancora diventare”. La sentenza della Corte è stata tutta incentrata sulla garanzia di un'adeguata tutela della salute della donna gestante, laddove l’ulteriore gestazione implichi danno o pericolo grave alla salute della madre;
§ la sentenza n. 27 del 2009, prima di una serie di pronunce sulla L. 40 del 2004 concernente la procreazione medicalmente assistita: la sentenza in particolare sottolinea il contrasto della scelta di un numero prestabilito di embrioni destinati all’impianto con l'art. 32 Cost., per il pregiudizio recato alla salute della donna;
§ la sentenza n. 272 del 2017, con la quale la Corte ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 263 c.c., sollevata nella parte in cui non prevede che l’impugnazione, per difetto di veridicità, del riconoscimento del figlio minore (nato da madre surrogata all’estero) possa essere accolta solo quando sia rispondente all’interesse dello stesso. In tale contesto la Corte ha ripetutamente stigmatizzato la maternità surrogata definendola una “pratica vietata dalla legge, che offende in modo intollerabile la dignità della donna e mina nel profondo le relazioni umane” ed ha ribadito “[l]’elevato grado di disvalore che il nostro ordinamento riconnette alla surrogazione di maternità, vietata da apposita disposizione penale”;
§ la sentenza n. 79 del 2022, relativa all’istituto dell’adozione in casi particolari (L. n. 184 del 1983) con specifico riferimento all’ipotesi di coppie, composte da individui anche del medesimo sesso, all’interno delle quali uno dei due partner intenda adottare il figlio biologico dell’altro, spesso nato a seguito di ricorso a pratiche di PMA all’estero o di maternità surrogata. La Corte ribadisce, sul punto, il proprio orientamento, con il quale, da un lato, esclude “che il «desiderio di genitorialità», attraverso il ricorso alla procreazione medicalmente assistita «lasciata alla libera autodeterminazione degli interessati», possa legittimare un presunto «diritto alla genitorialità comprensivo non solo dell’an e del quando, ma anche del quomodo» (sentenza n. 221 del 2019)” e, dall’altro, conferma “le ragioni del divieto di surrogazione di maternità, che «offende in modo intollerabile la dignità della donna e mina nel profondo le relazioni umane» (sentenza n. 272 del 2017 e, da ultimo, sentenza n. 33 del 2021), assecondando un’inaccettabile mercificazione del corpo, spesso a scapito delle donne maggiormente vulnerabili sul piano economico e sociale”[55];
§ la sentenza n. 202 del 2022, in materia di copertura assicurativa contro gli infortuni domestici, nella quale il riconoscimento della piena equiparazione del lavoro prestato in ambito domestico-familiare alle forme di lavoro svolte fuori casa rappresenta un ulteriore elemento di affermazione della dignità della donna.
Un tema delicato che la Corte ha avuto modo di affrontare riguarda inoltre il rapporto tra il carcere e le detenute madri, tra i soggetti più deboli in un istituto pensato prevalentemente al maschile, anche per ragioni di ordine quantitativo.
Sono stati molti gli interventi su tale tematica, quale la sentenza n. 239 del 2014 che, facendo leva sul bilanciamento tra le esigenze punitive dello Stato, anch’esse di livello costituzionale, e le esigenze del migliore interesse del minore, ha dichiarato la illegittimità costituzionale della norma (articolo 4-bis, comma 1, della legge n. 354 del 1975 che includeva tra i benefici penitenziari che potevano essere oggetto di divieto anche la detenzione domiciliare speciale per detenute madri di prole di anni inferiore a dieci di cui all'articolo 47-quinquies della medesima legge n. 354 del 1975.
Nella sentenza n. 350 del 2003 viene affrontata specificamente la condizione di un figlio portatore di handicap, estendendo la possibilità della concessione della detenzione domiciliare anche nei confronti della madre condannata e, nei casi previsti del padre condannato, conviventi con un figlio portatore di 'handicap' totalmente invalidante, a fronte di una normativa che stabiliva tale beneficio in caso di figli di età non superiore a dieci anni.
Infine, il tema della prostituzione è affrontato dalla Corte da ultimo in una recente sentenza del 2019, centrata sulla dignità della donna, conclusa con una pronuncia di non fondatezza. Le questioni sollevate erano rivolte alla configurazione come illecito penale del reclutamento e del favoreggiamento della prostituzione, anche quando si tratti di prostituzione liberamente e volontariamente esercitata.
In tale pronuncia la Corte evidenzia in particolare come risulti “inconfutabile che, anche nell’attuale momento storico, quando pure non si sia al cospetto di vere e proprie forme di prostituzione forzata, la scelta di ‘vendere sesso’ trova alla sua radice, nella larghissima maggioranza dei casi, fattori che condizionano e limitano la libertà di autodeterminazione dell’individuo, riducendo, talora drasticamente, il ventaglio delle sue opzioni esistenziali. Può trattarsi non soltanto di fattori di ordine economico, ma anche di situazioni di disagio sul piano affettivo o delle relazioni familiari e sociali, capaci di indebolire la naturale riluttanza verso una ‘scelta di vita’ quale quella di offrire prestazioni sessuali contro mercede”.
La Corte non accoglie quindi la tesi in base alla quale la prostituzione volontaria rappresenterebbe una «modalità autoaffermativa della persona umana», ribadendo invece che le residue forme di compressione delle possibilità di sviluppo dell’attività di prostituzione è strumentale al perseguimento della tutela dei diritti fondamentali delle persone vulnerabili e della dignità umana (sentenza n. 141 del 2019).
Nella (sentenza n. 1 del 2022) prende in esame una disposizione che mantiene ferma la distinzione tra gli educatori di sesso maschile e femminile nell’ambito della dotazione organica delle strutture convittuali destinate separatamente agli alunni convittori e alle alunne convittrici.
La ratio della disposizione in scrutinio, secondo il rimettente, si rivelerebbe anacronistica e sproporzionata nel perseguire lo scopo di creare le condizioni idonee per uno svolgimento delle attività educative in modo paritario, confidenziale e libero da ogni soggezione per gli allievi e le allieve accolti nelle rispettive istituzioni convittuali.
Secondo la Corte, con tale disposizione il legislatore avrebbe inteso configurare un sistema educativo conforme al sistema delle strutture convittuali, “nel quale la distinzione tra educatori ed educatrici è speculare e funzionale alla separazione tra gli allievi convittori e le allieve convittrici”.
Ne consegue che “l’ablazione della norma censurata – che tale differenziazione assicura con riferimento a coloro che svolgono la funzione educativa – inciderebbe sulla funzionalità dell’assetto così congegnato, generando, di conseguenza, disarmonie nel sistema complessivamente considerato”.
In conclusione, pur dichiarando inammissibili le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal giudice a quo in riferimento agli artt. 3 e 51 Cost., la Corte evidenzia come “la verifica della perdurante rispondenza della finalità presidiata dalla disposizione in esame agli orientamenti e ai valori radicati nella coscienza sociale richiederebbe una rimeditazione della disciplina delle istituzioni educative nella sua globalità, che spetta alla discrezionalità del legislatore. Ad esso solo compete di rimodulare il sistema normativo in esame, apprezzando, «quale interprete della volontà della collettività» (sentenza n. 84 del 2016), la persistente opportunità del filtro selettivo prescritto dalla disposizione in scrutinio attraverso una rivalutazione delle ragioni che sorreggono la distinta configurazione delle istituzioni convittuali per allieve e per allievi”.
Appare interessante richiamare, altresì, un breve passaggio contenuto nella sentenza n. 2 del 2022, in materia di reati commessi da minorenni.
Nel ricordare gli elementi di specialità che connotano il rito e la fase esecutiva della condanna, entrambi improntati alle preminenti finalità di recupero e tutela della personalità del minore, la Corte offre particolare risalto alla previsione della diversificazione di genere nella composizione dell’organo giudicante, sottolineando che “l’art. 50-bis, comma 2, del r.d. n. 12 del 1941, esigendo che i componenti onorari siano «un uomo e una donna», garantisce che «nelle sue decisioni il collegio possa sempre avvalersi del peculiare contributo di esperienza e di sensibilità proprie del sesso di appartenenza» (ordinanza n. 172 del 2001)”.
[1] Nella Strategia nazionale per la parità di genere 2021-2026, a differenza della Strategia europea sulla parità di genere 2020-2025, non viene affrontato l’ambito della violenza di genere sul quale è focalizzato un altro documento programmatico, ossia Il Piano strategico nazionale sulla violenza maschile contro le donne.
[2] “Metodologia generale del bilancio di genere ai fini della rendicontazione, tenuto conto anche delle esperienze già maturate nei bilanci degli Enti territoriali”.
[3] Le disposizioni per l'elezione dei consigli dei comuni con popolazione superiore a 15.000 abitanti volte a garantire la parità di accesso di donne e uomini alle cariche elettive si applicano anche alle elezioni dei consigli circoscrizionali, secondo le disposizioni dei relativi statuti comunali.
[4] Il grafico mostra la percentuale di donne elette al Parlamento suddivise tra Camera e Senato nelle legislature che vanno dalla I (1948) alla XIX (2022). La quota è stata calcolata considerando per ciascuna serie il totale di eletti nella rispettiva aula. Sono considerati i dati a inizio legislatura quindi non sono comprese le cessazioni e i subentri. In tutte le legislature sono inclusi i senatori e senatrici a vita.
[5] Le risorse sono allocate – a bilancio statale - nel capitolo 2108 (Programma 17.4, Promozione dei diritti e delle pari opportunità) dello stato di previsione del Ministero dell’economia, rubricato “Somme da corrispondere alla Presidenza del Consiglio dei Ministri per le politiche delle pari opportunità”, per essere successivamente trasferite al bilancio della Presidenza del Consiglio, dove sono ripartite tra i diversi interventi. Sul bilancio della Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Fondo è iscritto sul programma “coordinamento delle politiche relative ai diritti e le pari opportunità”, Centro di responsabilità 8 “Diritti e pari opportunità”, capitolo 815.
[6] D.L. 23 febbraio 2009 n. 11 Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonché in tema di atti persecutori.
[7] Lo stanziamento previsto dal D.L. 34 del 2020 solo per il 2020 è stato stabilizzato, confermandone l'importo di 4 milioni a decorrere dall'anno 2020, per effetto delle previsioni dell'art. 38-bis, comma 1, lett. a), D.L. 14 agosto 2020, n. 104, convertito, con modificazioni, dalla L. 13 ottobre 2020, n. 126.
[8] Proprio su queste tematiche, nel corso della XVIII legislatura è stato istituito presso il dipartimento per le Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio un gruppo di studio sul riequilibrio della rappresentanza di genere nei procedimenti di nomina che, partendo dai dati incoraggianti che emergono per i settori in cui l’intervento del legislatore statale e anche regionale ha regolamentato la partecipazione con norme di riequilibrio, propone di estendere l’intervento a livello normativo ad altri settori (finora esclusi), andando ad incidere sui procedimenti di nomina, in modo tale da tutelare, ad un tempo, l'eguaglianza di genere, la trasparenza dei procedimenti e il buon andamento della pubblica amministrazione. In particolare, il documento finale del gruppo, presentato a dicembre 2021, si soffermava su alcune proposte di intervento nei seguenti settori: a) enti pubblici, autorità amministrative indipendenti e organi di garanzia; b) società partecipate; c) enti disciplinati a livello regionale e locale.
[9] Si cfr. sul punto la Relazione al Parlamento sul Bilancio di genere per l’esercizio finanziario 2022.
[10] Si v. Ministero Affari esteri, Annuario statistico 2023.
[11] Gli ultimi dati disponibili sono riferiti all’anno 2022 e la percentuale risulta in crescita negli ultimi anni e, segnatamente, di mezzo punto percentuale rispetto al 2021, che a suo volta registrava un punto percentuale in più rispetto al 2020.
[12] Si ricorda che in base all’art. 104 della Costituzione sono membri di diritto del Consiglio Superiore della Magistratura il Presidente della Repubblica, che lo presiede, il Primo Presidente e il Procuratore generale della Corte di cassazione.
[13] Misure per promuovere le pari opportunità e rafforzare il ruolo dei Comitati Unici di Garanzia nelle amministrazioni pubbliche.
[14] Un'Unione dell'uguaglianza: la strategia per la parità di genere 2020-2025.
[15] Il GEP è un piano strategico finalizzato a: condurre valutazioni d’impatto/audit di procedure e pratiche per identificare i pregiudizi (bias) di genere; identificare e implementare delle strategie innovative volte a correggere pregiudizi di genere; definire obiettivi e processi di monitoraggio dei progressi tramite degli indicatori.
[17] Cfr. “Rapporto plus 2022” INAPP
[19] Cfr. Comunicato stampa della Commissione europea del 14 novembre 2023.
[20] Cfr. Eurostat Statistiche e Earnings.
[21] Ex art. 46-bis del D.Lgs. 196/2008 (Codice delle pari opportunità), inserito dalla L. 162/2021.
[22] Articolo 33, co. 6-bis, L. 104/1992 e articolo 18, co. 3-bis, L. 81/2017.
[23] Istituito dal D. Lgs. 21 dicembre 2021, n. 230, in attuazione della delega conferita al Governo ai sensi della legge 1 aprile 2021, n. 46). È riconosciuto per ciascun figlio minorenne a carico, a decorrere dal settimo mese di gravidanza. Per i figli successivi al secondo all'importo dell'assegno viene applicata una maggiorazione. Per ciascun figlio maggiorenne a carico, fino al compimento del ventunesimo anno di età, con possibilità di corresponsione dell'importo direttamente al figlio, su sua richiesta, al fine di favorirne l'autonomia (assegno mensile, di importo inferiore a quello riconosciuto per i minorenni). L'assegno ai maggiorenni è concesso solo nel caso in cui il figlio frequenti un percorso di formazione scolastica o professionale, un corso di laurea, svolga un tirocinio ovvero un'attività lavorativa limitata con reddito complessivo inferiore a un determinato importo annuale, sia registrato come disoccupato e in cerca di lavoro presso un centro per l'impiego o un'agenzia per il lavoro o svolga il servizio civile universale. È previsto inoltre il riconoscimento dell'assegno mensile:
§ di importo maggiorato a favore delle madri di età inferiore a 21 anni;
§ di importo maggiorato in misura non inferiore al 30% e non superiore al 50% per ciascun figlio con disabilità, con maggiorazione graduata secondo le classificazioni della condizione di disabilità;
§ senza maggiorazione, anche dopo il compimento del ventunesimo anno di età, qualora il figlio con disabilità risulti ancora a carico.
[24] L’assegno, per sua natura a carattere universale, interessa anche gli incapienti, i disoccupati di lungo periodo e le famiglie di lavoratori autonomi, nonché alcune categorie precedentemente escluse (quali gli stagionali).
[25] Per ciascun figlio successivo al secondo: maggiorazione d'importo variabile compresa tra 85 e 15 euro mensili (a seconda dei livelli ISEE);
§ per ciascun figlio minorenne con disabilità: maggiorazione fissa differenziata sulla base della condizione di disabilità come definita ai fini ISEE, da applicare agli importi dell'assegno per i figli minorenni o per i figli successivi al secondo, pari a 105 euro mensili in caso di non autosufficienza, a 95 euro mensili in caso di disabilità grave e a 85 euro mensili in caso di disabilità media;
§ per le madri di età inferiore a 21 anni: maggiorazione fissa pari a 20 euro mensili per ciascun figlio;
§ per i nuclei familiari in cui entrambi i genitori siano titolari di reddito da lavoro: maggiorazione variabile per ciascun figlio minore (30 euro mensili in misura piena in corrispondenza di un ISEE inferiore o pari a 15.000 euro che si riducono gradualmente fino ad annullarsi in corrispondenza di un ISEE pari a 40.000 euro).
È altresì prevista una maggiorazione fissa pari a 50 euro mensili per ciascun figlio con disabilità dai 18 ai 21 anni e una maggiorazione forfettaria pari a 100 euro mensili per i nuclei familiari con quattro o più figli.
[26] Si cfr. da ultimo la nota MEF del 17 novembre 2023 “Obiettivi di servizio asili nido e modalità di monitoraggio per la definizione del livello dei servizi offerto per il 2024)
[27] Condizioni di salute e ricorso ai servizi sanitari in Italia e nell'Unione Europea - Indagine EHIS 2019 – tavola 6.1.1 (13 gennaio 2022). Il dato è calcolato sul totale delle persone adulte (>15 anni) che hanno fornito tale tipo di assistenza a persone (anche familiari) con problemi dovuti all’invecchiamento, a patologie croniche o infermità.
[28] La legge n. 76 del 2016, che regolamenta le unioni civili tra persone dello stesso sesso e le convivenze di fatto – anche tra coppie omosessuali - definisce unione civile quella tra persone dello stesso sesso, considerata "formazione sociale" ai sensi degli artt. 2 e 3 della Costituzione; essa è costituita da due persone maggiorenni dello stesso sesso, mediante dichiarazione di fronte all'ufficiale di stato civile e alla presenza di due testimoni. Quanto alla convivenza di fatto, in base alla legge n. 76 del 2016 questa può riguardare tanto coppie eterosessuali quanto coppie omosessuali. Sono considerati conviventi di fatto due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale e coabitanti ed aventi dimora abituale nello stesso comune. Sono estesi ai conviventi di fatto alcune prerogative spettanti ai coniugi (in buona parte sono così codificati alcuni orientamenti giurisprudenziali).
[29] Per quanto qui interessa, pertanto, si tratta dell’assistenza consentita al lavoratore dipendente, pubblico o privato, per parenti o affini entro il terzo grado con handicap grave, purché non ricoverati a tempo pieno, qualora i genitori o il coniuge di questi abbiano compiuto i 65 anni d’età oppure siano a loro volta affetti da patologie invalidanti o deceduti o mancanti; in tali casi è consentito al lavoratore un permesso di tre giorni al mese retribuiti e coperti da contribuzione figurativa, anche in maniera continuativa.
[30] Vale a dire handicap grave, in termini di riduzione dell'autonomia personale, correlata all'età, in modo da rendere necessario un intervento assistenziale permanente, continuativo e globale nella sfera individuale o in quella di relazione. Le situazioni riconosciute di gravità determinano priorità nei programmi e negli interventi dei servizi pubblici.
[31] La legge n. 18/1980 disciplina l’indennità di accompagnamento quale sostegno economico a carico di risorse statali erogate dall’Inps in 12 mensilità, indipendentemente dal reddito del beneficiario e in regime di esenzione fiscale. Esso è corrisposto a persone per le quali viene accertato uno stato di totale invalidità o incapacità di deambulare senza l’aiuto di un accompagnatore. L’accertamento mediante certificazione dell’invalidità del 100% non occorre per i minorenni e per gli ultrasessantacinquenni per i quali basta anche la sola difficoltà nel deambulare da soli e la necessità di assistenza continua in quanto incapaci di svolgere da soli i comuni atti della vita quotidiana.
[32] Sulla base di dati ISTAT 2016 e Osservatorio ONDA 2018.
[33] ISTAT Indicatori su disabilità e fragilità del dicembre 2023, anni di riferimento 2020-2022.
[34] Deleghe al Governo in materia di politiche in favore delle persone anziane, in vigore dal 31 marzo 2023.
[36] In proposito, i livelli di sopravvivenza della popolazione, nel 2022, risultano ancora inferiori a quelli del periodo pre-pandemico, con una perdita di oltre 7 mesi in termini di anni mediamente vissuti rispetto al 2019. L'impatto della crisi sul sistema sanitario, e la conseguente difficoltà nella programmazione di visite e controlli medici sono stati più accentuati per le donne, in quanto più inclini degli uomini a fare prevenzione.
[37] Cresce anche il numero di persone ultraottantenni, che arrivano a 4 milioni 529 mila e rappresentano il 7,7% dei residenti, mentre da inizio millennio il numero di ultracentenari è triplicato. A fronte di tale aumento, diminuiscono gli individui in età attiva, tra i 15 e i 64 anni, che scendono a 37 milioni 339 mila (il 63,4%).
[38] Si segnala che nel dicembre 2022 è stato pubblicato il D.P.C.M. 3 ottobre 2022 di adozione del Piano nazionale per la non autosufficienza, relativo al triennio 2022-2024 (PNNA 2022-2024) e riparto del Fondo per le non autosufficienze per il triennio 2022-2024, in cui si prevede, in attuazione del LEPS, che a livello nazionale debbano essere garantiti agli anziani non autosufficienti o con ridotta autonomia a) servizi domiciliari; b) servizi di sollievo; c)servizi sociali di supporto.
[39] Le risorse complessivamente afferenti al Fondo per le non autosufficienze (FNA), nel triennio 2022-2024 sono pari a 822 milioni di euro nel 2022, 865,3 milioni di euro nel 2023 e 913,6 milioni di euro nel 2024. Per ciò che attiene i progetti di vita indipendente, anche per il triennio previsto dal Piano sono assegnate risorse pari a 14,6 milioni di euro per ciascuna annualità. L'implementazione dei PUA è prevista dall'articolo 1, comma 163 della legge n. 234 del 2021 (legge di bilancio per il 2022), e a tal fine sono dedicati 20 milioni per il 2022 e 50 milioni di euro per ciascun anno del biennio 2023-2024, da destinare alle assunzioni di personale con professionalità sociale presso gli Ambiti territoriali sociali. Qui un approfondimento Livelli essenziali delle prestazioni sociali per la non autosufficienza.
[40] Si V. European Institute for Gender Equality (EIGE), Gender Equality Index per l’Italia (qui il link).
[41] Delega al Governo in materia di sperimentazione clinica di medicinali nonche' disposizioni per il riordino delle professioni sanitarie e per la dirigenza sanitaria del Ministero della salute.
[42] Fonte: Ministero della salute, Salute della donna (v. link). In particolare, secondo i dati Istat 2018, la cardiopatia ischemica è responsabile del 9,9% di tutte le morti (10,8% nei maschi e 9% nelle femmine), mentre gli accidenti cerebrovascolari dell'8,8% (7,3% nei maschi e 10,1% nelle femmine).
[43] In proposito, il comma 539, articolo 1, della citata legge di Bilancio 2023, ha incrementato di 200.000 euro, per ciascuno degli anni 2023, 2024 e 2025, lo stanziamento del Fondo per i test Next generation sequencing presso lo stato di previsione del Ministero della salute, per il potenziamento dei test di profilazione genomica. La finalità espressa è il potenziamento dei test di profilazione genomica del colangiocarcinoma, vale a dire il secondo tumore primitivo più comune del fegato, che si sviluppa nelle cellule dei dotti biliari (i colangiociti) tra il fegato e l’intestino.
[44] Si stima che tale malattia cronica colpisca circa l’1% della popolazione, vale a dire intorno ai 240mila, di cui oltre 72mila maschi (30%) e ben 168mila femmine (70%).
[45] Si sottolinea che l’articolo 22-bis del D.L. 18 ottobre 2023, n. 145 (L. n. 191/2023) recante misure urgenti in materia economica e fiscale aveva disposto per il solo 2023 l’incremento di 5 milioni delle risorse previste per la misura, portandole a complessivi 10 milioni di euro per tale anno. Si noti che essendo entrata in vigore la disposizione di incremento delle risorse il 17 dicembre 2023, con la conversione ad opera della L. n. 191/2023, il decreto di riparto alle Regioni D.M. Salute del 24 novembre 2023 non ha registrato l’incremento, nonostante la pubblicazione avvenuta successivamente a gennaio 2024
[46] Tale patologia, inserita nell'allegato 8 (malattie croniche e invalidanti) del DPCM 12 gennaio 2017 che definisce i LEA - livelli essenziali di assistenza negli stadi clinici più avanzati ("moderato o III grado" e "grave o IV grado") con esenzione di esami e prestazioni specialistiche di controllo, anche strumentali, comporta un accumulo anomalo di tessuto endometriale nell'utero, sotto l'influenza ormonale può determinare la formazione di noduli, lesioni ed escrescenze che provocano sintomatologie diverse tra cui dolore pelvico cronico, accompagnata da stanchezza cronica nelle pazienti, e varie complicazioni che possono interessare l'apparato riproduttivo, compromettendo il potenziale attecchimento degli embrioni, generando infertilità e, nei casi più gravi, la funzionalità degli organi vitali situati in distretti pelvici, sedi addominali ed extra-addominali. Il dolore nelle pazienti si manifesta principalmente nel periodo mestruale, premestruale e dell'ovulazione e può essere accompagnato da stanchezza cronica e dalle complicazioni menzionate.
[48] La sindrome fibromialgica, che in Italia interessa circa due milioni di persone, in maggioranza donne (che rappresentano circa il 90% dei malati), è una forma di dolore muscoloscheletrico diffuso, accompagnato da affaticamento (astenia), facile esauribilità muscolare, sonno disturbato e alterazioni neurocognitive (difficoltà a mantenere la concentrazione, difficoltà nella memoria a breve termine). Spesso i pazienti riferiscono anche cefalea muscolotensiva, e una serie di altri disturbi legati al sistema nervoso autonomo (crampi, occhi secchi, minzione alterata, disturbi gastrointestinali). La sua diagnosi rimane essenzialmente clinica in quanto non è attualmente disponibile un biomarcatore diagnostico, specialmente nelle fasi precoci della malattia.
[49] MIMIT, Relazione annuale sullo stato di attuazione della normativa a sostegno delle startup e delle PMI innovative - 2023, gennaio 2024.
[50] Alle agevolazioni specificamente dirette alle imprese femminili, possono applicarsi, entro i limiti di cumulabilità derivanti dalla disciplina europea in materia di aiuti di Stato, ulteriori forme incentivanti generalmente previste per le imprese, quali, ad esempio, quelle a sostegno delle start up innovative o a sostegno delle imprese dislocate nelle aree del Mezzogiorno. In questo capitolo si darà conto delle misure ad hoc per le imprese femminili.
[51] Entrambe le Commissioni hanno svolto indagini sui molteplici aspetti della violenza contro le donne, i cui risultati sono illustrati in maniera approfondita nelle relazioni finali del 6 febbraio 2018 e del 6 settembre 2022. Nella XVIII legislatura, la Commissione ha inoltre pubblicato numerose relazioni su specifici argomenti, toccando temi come l’educazione scolastica, la salute femminile, le mutilazioni genitali, i percorsi trattamentali per uomini autori di violenza, il finanziamento dei centri antiviolenza, la violenza domestica nel periodo Covid.
[52] Si tratta dell’art. 5, comma 2 e art. 7, comma 1 della L. 81/1993 e art. 2 della L. 415/1993 (elezioni amministrative) e dell’art. 4, comma 2, n. 2 del D.P.R. 361/1957, come modificato dall'art. 1 della L: 277/1993 (elezioni della Camera); art. 1, comma 6, della L. 43/1995 (elezioni delle regioni a statuto ordinario). Parimenti, furono dichiarate illegittime disposizioni analoghe previste per le elezioni comunali in alcune regioni a statuto speciale e segnatamente Trentino-Alto Adige, Friuli-Venezia Giulia e Valle d'Aosta.
[53] Proprio poiché si tratta di una mera facoltà di cui gli elettori potrebbero giovarsi oppure no, «sarebbe astrattamente possibile, in seguito alle scelte degli elettori, una composizione del Consiglio regionale maggiormente equilibrata rispetto al passato, sotto il profilo della presenza di donne e uomini al suo interno, ma anche il permanere del vecchio squilibrio, ove gli elettori si limitassero ad esprimere una sola preferenza».
[54] Già con l'ordinanza n. 61 del 2006 la Corte aveva affermato che «l'attuale sistema di attribuzione del cognome è retaggio di una concezione patriarcale della famiglia, la quale affonda le proprie radici nel diritto di famiglia romanistico, e di una tramontata potestà maritale, non più coerente con i principi dell'ordinamento e con il valore costituzionale dell'uguaglianza tra uomo e donna».
[55] La Corte non manca, tuttavia, di sottolineare la centralità che dev’essere in ogni caso riconosciuta all’interesse del minore, tanto a mantenere le relazioni affettive già di fatto instaurate e consolidate con il partner del genitore biologico (sent. n. 79 del 2022), quanto a conservare lo status filiationis già acquisito in tutti i casi in cui si riscontri una divergenza tra identità genetica e identità legale (sent. n. 272 del 2017). Entrambi gli aspetti concorrono, infatti, a comporre l’identità stessa del minore, con la conseguenza che il giudice è chiamato a tenere conto, nelle sue valutazioni, di elementi complessi e ulteriori rispetto alla mera esigenza di verità della filiazione, quali la durata dei rapporti personali instauratisi e quindi la condizione identitaria già acquisita in via di fatto dal minore, le modalità del concepimento e della gestazione e la presenza di strumenti legali che consentano la costituzione di un legame giuridico con il genitore contestato.