Camera dei deputati - Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa) |
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Autore: | Servizio Studi - Dipartimento Finanze |
Titolo: | Schema di decreto legislativo recante attuazione della riforma fiscale in materia di fiscalità internazionale |
Riferimenti: | SCH.DEC N.90/XIX |
Serie: | Atti del Governo Numero: 90 |
Data: | 08/11/2023 |
Organi della Camera: | VI Finanze |
Schema di decreto legislativo recante attuazione della riforma fiscale in materia di fiscalità internazionale
Atto del Governo n. 90
Ai sensi degli articoli 1, 3, comma 1, lettere c), d), e) e f), e
9, comma 1, lettere g), h) e i), della legge 9 agosto 2023, n. 111
20 novembre 2023
Servizio Studi
Tel. 06 6706-2451 - * studi1@senato.it –@SR_Studi
Dossier n. 183
Servizio Studi
Dipartimento Finanze
Tel. 06 6760-9496 - * st_finanze@camera.it –@CD_finanze
Atti del Governo n. 90
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FI0043.docx
I N D I C E
TITOLO I - DISPOSIZIONI IN MATERIA DI FISCALITÀ INTERNAZIONALE
Capo i - (Disposizioni in materia di determinazione della residenza fiscale)
Articolo 1 (Residenza delle persone fisiche)
Articolo 2 (Residenza delle persone giuridiche)
Capo ii - (Altre disposizioni in materia di fiscalità internazionale)
Articolo 3 (Semplificazione della disciplina delle società estere controllate)
Articolo 5 (Nuovo regime agevolativo a favore dei lavoratori impatriati)
Articolo 6 (Trasferimento in Italia di attività economiche).
Capo i - (Disposizioni generali)
Articolo 10 (Ambito applicativo)
Articolo 12 (Criteri di localizzazione di un’impresa)
Capo ii (Imposta minima integrativa, imposta minima suppletiva e imposta minima nazionale)
Articolo 13 (Applicazione dell’imposta minima integrativa alla controllante capogruppo)
Articolo 14 (Applicazione dell’imposta minima integrativa alle partecipanti intermedie)
Articolo 15 (Applicazione dell’imposta minima integrativa alle partecipanti parzialmente possedute)
Articolo 16 (Attribuzione dell’imposta minima integrativa)
Articolo 17 (Scomputo dell’imposta minima integrativa)
Articolo 18 (Imposta minima nazionale)
Articolo 19 (Applicazione dell’imposta minima suppletiva)
Articolo 20 (Applicazione dell’imposta minima suppletiva nel Paese della controllante capogruppo)
Articolo 21 (Calcolo e imputazione dell’imposta minima suppletiva)
Capo iii - (Determinazione del reddito o perdita rilevante)
Articolo 22 (Procedura di calcolo del reddito o perdita rilevante)
Articolo 23 (Variazioni per il calcolo del reddito o perdita rilevante)
Articolo 24 (Utile derivante dal trasporto marittimo internazionale)
Articolo 25 (Reddito o perdita rilevante della stabile organizzazione)
Articolo 26 (Imputazione del reddito o della perdita rilevante di una entità trasparente)
Capo iv - (Calcolo delle imposte rilevanti rettificate)
Articolo 27 (Imposte rilevanti)
Articolo 28 (Imposte rilevanti rettificate)
Articolo 29 (Modifiche ai valori delle imposte anticipate e delle imposte differite)
Articolo 30 (Scelta relativa alla perdita rilevante)
Articolo 31 (Imputazione delle imposte rilevanti di alcune tipologie di entità)
Capo v - (Calcolo dell’aliquota d’imposizione effettiva e dell’imposizione integrativa)
Articolo 33 (Determinazione dell’aliquota di imposizione effettiva)
Articolo 34 (Calcolo dell’imposizione integrativa)
Articolo 35 (Riduzione da attività economica sostanziale).
Articolo 36 (Imposizione integrativa addizionale)
Articolo 37 (Esclusione de minimis)
Articolo 38 (Imprese partecipate in misura minoritaria).
Articolo 39 (Regimi semplificati)
Capo vi - (Operazioni di riorganizzazione e società holding)
Articolo 41 (Modifiche al perimetro di consolidamento)
Articolo 42 (Trasferimento di attività e passività)
Articolo 43 (Entità a controllo congiunto)
Articolo 44 (Gruppi a controllante multipla)
Capo vii - (Regimi di neutralità fiscale e imposizione delle distribuzioni)
Articolo 45 (Entità trasparente con qualifica di controllante capogruppo)
Articolo 46 (Controllante capogruppo soggetta al regime del dividendo deducibile)
Articolo 47 (Regime di imposizione sull'utile distribuito)
Articolo 49 (Opzione per trattare un’entità di investimento come una entità fiscalmente trasparente)
Articolo 50 (Opzione per il regime della distribuzione imponibile)
Capo viii - (Disposizioni amministrative)
Articolo 51 (Obblighi informativi)
Articolo 53 (Dichiarazione, riscossione, accertamento e sanzioni)
Capo ix - (Disposizioni transitorie e finali)
Articolo 55 (Disciplina transitoria in tema di riduzione da attività economica sostanziale)
Articolo 56 (Fase iniziale di esclusione dall’imposizione integrativa)
Articolo 57 (Differimento dell’imposta minima integrativa e dell’imposta minima suppletiva)
Articolo 58 (Esenzione transitoria per gli obblighi di comunicazione)
Articolo 59 (Prevenzione delle controversie)
TITOLO III – DISPOSIZIONI FINANZIARIE
Lo schema di decreto legislativo AG. 90, contenente lo Schema di decreto legislativo recante attuazione della riforma fiscale in materia di fiscalità internazionale, è composto da 62 articoli è diviso in tre Titoli.
Il Titolo I contiene le disposizioni in materia di fiscalità internazionale e contiene disposizioni in materia di determinazione della residenza fiscale delle persone fisiche e giuridiche (Capo I, articoli 1 e 2) e altre disposizioni in materia di fiscalità internazionale (Capo II articoli da 3 a 7).
Il Titolo II (articoli da 8 a 60) ha ad oggetto il recepimento delle norme in materia di Global minimu tax.
Il Titolo III (articoli 61 e 62) contiene le disposizioni finanziarie e finali.
Nella presente premessa si darà sinteticamente conto dei contenuti del principio di delega in attuazione del quale tale schema di decreto legislativo è stato emanato, delle disposizioni del Titolo I, del contesto internazionale ed europeo a fondamento della disciplina della Global minimum tax disciplinata a livello europeo dalla direttiva (UE) 2022/2523 del Consiglio, del 14 dicembre 2022, il cui recepimento è disciplinato al Titolo II, mentre con riferimento al ai contenuti dei singoli Capi nei quali si articola il recepimento della direttiva, è stata predisposta una breve sintesi introduttiva, con riferimento a ciascun Capo, al fine di consentire la lettura ragionata delle disposizioni ivi ricomprese.
Si darà infine sinteticamente conto delle disposizioni di cui al Titolo III.
L’articolo 3 della legge n. 111 del 2023 reca i princìpi e criteri direttivi di delega per la riforma del sistema fiscale con riferimento agli aspetti internazionali e sovranazionali del sistema tributario.
Nell’esercizio della delega il Governo si attiene ai seguenti principi e criteri direttivi:
· adeguare i principi dell’ordinamento tributario nazionale ai livelli di protezione dei diritti stabiliti dal diritto dell’Unione europea, tenendo anche conto dell’evoluzione della giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea in materia tributaria;
· assicurare la coerenza dell’ordinamento interno con le raccomandazioni OCSE nell’ambito del progetto BEPS (base erosion and profit shifting) contro l’erosione della base imponibile;
· garantire la revisione della disciplina della residenza fiscale delle persone fisiche, delle società e degli enti diversi dalle società come criterio di collegamento personale all’imposizione, al fine di renderla coerente con la migliore prassi internazionale e con le convenzioni sottoscritte dall’Italia per evitare le doppie imposizioni, nonché coordinarla con la disciplina della stabile organizzazione e dei regimi speciali vigenti per i soggetti che trasferiscono la residenza in Italia valutando la possibilità di adeguarne la disciplina all’esecuzione della prestazione lavorativa in modalità agile;
· promuovere l’introduzione di misure volte a conformare il sistema di imposizione sul reddito a una maggiore competitività sul piano internazionale, anche tramite la concessione di incentivi all’investimento o al trasferimento di capitali in Italia per la promozione di attività economiche sul territorio italiano e nel rispetto della disciplina europea sugli aiuti di Stato;
· recepire la direttiva (UE) 2022/2523 del Consiglio, del 14 dicembre 2022, avente ad oggetto la definizione di un livello di imposizione fiscale minimo globale per i gruppi multinazionali di imprese e i gruppi nazionali su larga scala nell’Unione con l’introduzione, tra l’altro, di:
1) un’imposta minima nazionale dovuta in relazione a tutte le imprese, localizzate in Italia, appartenenti a un gruppo multinazionale o nazionale e soggette a una bassa imposizione;
2) un regime sanzionatorio, conforme a quello vigente in materia di imposte sui redditi, per la violazione degli adempimenti riguardanti l’imposizione minima dei gruppi multinazionali e nazionali di imprese e un regime sanzionatorio effettivo e dissuasivo per la violazione dei relativi adempimenti informativi;
· semplificare e razionalizzare il regime delle società estere controllate (controlled foreign companies), rivedendo i criteri di determinazione dell’imponibile assoggettato a tassazione in Italia.
Il Titolo I contenente le disposizioni in materia di fiscalità internazionale, come detto, si articola in due Capi.
Il Capo I definisce, agli articoli 1 e 2, i criteri per determinare la residenza delle persone fisiche e giuridiche. In particolare l’articolo 1 novella le disposizioni che individuano la residenza fiscale delle persone fisiche al fine di ampliare il novero dei contribuenti Irpef. In particolare, si considerano residenti le persone che per la maggior parte del periodo d’imposta, considerando anche le frazioni di giorno, hanno il domicilio o la residenza nel territorio dello Stato ovvero che sono ivi presenti. Inoltre, viene introdotto un nuovo concetto di “domicilio” che si basa sul luogo in cui si sviluppano, in via principale, le relazioni personali e familiari della persona nonché una presunzione di residenza, salvo prova contraria, per le persone iscritte per la maggior parte del periodo di imposta nelle anagrafi della popolazione residente.
L’articolo 2 novella le disposizioni che individuano la residenza fiscale delle persone giuridiche, ai fini del novero dei soggetti all’Ires, imposta sul reddito delle società. Con le modifiche introdotte, si considerano residenti in Italia - oltre alle società e agli enti che per la maggior parte del periodo di imposta hanno nel territorio dello Stato la propria sede legale - anche quelli aventi in Italia la sede di direzione effettiva o la gestione ordinaria in via principale, in luogo di riferirsi al vigente concetto di “sede dell’amministrazione” e di “oggetto principale”.
Le disposizioni del Capo II contengono un intervento di semplificazione in materia di società estere controllate, che contiene la modifica dell’articolo 167 del TUIR al fine di allineare la tassazione dei soggetti sopra indicati al regime dell’ imposizione minima globale di cui al Titolo II (articolo 3), la disciplina quadro per la fruizione di incentivi fiscali compatibili con i principi europei in materia di aiuti di Stato (articolo 4), un nuovo regime incentivante per i lavoratori impatriati (articolo 5), un incentivo fiscale, per lo stabilimento in Italia di produzioni che erano state delocalizzate o che sono comunque svolte all’estero, per un importo pari al 50 per cento del reddito prodotto che non viene computato nella base imponibile dell’imposta sui redditi e dell’IRAP (articolo 6), la decorrenza delle sopra indicate disposizioni (articolo 7).
Per un esame di dettaglio di tali disposizioni si rinvia alle relative schede.
L’accordo OCSE sulla tassazione delle imprese multinazionale a livello globale dell’ottobre 2021.
L’8 ottobre 2021 quasi 140 Paesi del quadro inclusivo dell’OCSE/G20 sull’erosione della base imponibile e il trasferimento degli utili (Base Erosion and Profit Shifting -BEPS) hanno raggiunto un accordo sulla riforma della tassazione internazionale, nonché su un piano di attuazione dettagliato.
La riforma delle norme in materia di tassazione internazionale delle società consiste di due pilastri.
Il primo pilastro riguarda il nuovo sistema di attribuzione dei diritti di imposizione delle maggiori imprese multinazionali alle giurisdizioni in cui sono realizzati gli utili ed intende garantire una più equa distribuzione dei profitti e dei diritti di tassazione fra i Paesi in cui operano le grandi imprese multinazionali, incluse le grandi aziende digitali, ripartendo il diritto di tassazione tra i Paesi in cui esse svolgono attività commerciali e realizzano profitti, indipendentemente dal fatto che vi abbiano o meno una presenza fisica.
Il nuovo regime si applicherà alle grandi imprese multinazionali (escluse quelle che operano nel settore estrattivo e nel settore finanziario regolamentato) aventi un fatturato globale superiore a 20 miliardi di euro e redditività (rapporto utili ante tassazione-ricavi) superiore al 10%. In pratica, il 25% dei profitti oltre il margine del 10% verranno riattribuiti ai Paesi dove le grandi multinazionali vendono i loro prodotti e forniscono i loro servizi, indipendentemente dalla presenza fisica nel territorio, e potranno essere tassati dai paesi stessi. L’elemento fondamentale di questo pilastro sarà una convenzione multilaterale su cui sono in corso i lavori tecnici in sede OCSE/G20[1].
A livello di Unione Europea, in merito al recepimento del primo pilastro, la proposta di decisione COM(2021)570 ha l’obiettivo di introdurre una nuova risorsa propria dell’UE consistente nell’applicazione di un’aliquota uniforme di prelievo del 15% alla quota degli utili residui delle imprese multinazionali riassegnata agli Stati membri (a norma della direttiva sull’attuazione dell’accordo globale sulla ridistribuzione dei diritti di imposizione che la Commissione stessa dovrebbe presentare). La proposta è esaminata secondo la procedura di consultazione. Il Parlamento europeo ha adottato la sua risoluzione sulla proposta lo scorso novembre. Si attende ora l’adozione da parte del Consiglio, che deve avvenire all’unanimità, e la successiva ratifica da parte di tutti gli Stati membri.
Il secondo pilastro comprende norme volte a ridurre le possibilità di erosione della base imponibile e di trasferimento degli utili, attraverso l’imposizione minima effettiva, affinché i maggiori gruppi multinazionali di imprese versino un’aliquota minima di imposta sulle società. A livello giuridico questo pilastro è quello che ha trovato attuazione nella direttiva (UE) 2022/2523, adottata all’unanimità con il voto favorevole di tutti gli Stati membri.
Il secondo pilastro si fonda principalmente su due regole da applicare nel diritto interno (regole GloBE - Global anti-Base Erosion rules):
· la regola dell’inclusione del reddito (Income Inclusion Rule-IIR), in base alla quale la società madre di un gruppo multinazionale è assoggettata a un’imposta complementare in ragione della bassa imposizione cui sono soggette le sue entità costitutive;
· la regola sui profitti a bassa imposizione (undertaxed profit rule- UTPR), con la quale un’entità costitutiva di un gruppo multinazionale di imprese ha un onere fiscale supplementare, pari alla sua quota di imposta integrativa che non è stata applicata nell’ambito dell’IIR per le entità costitutive a bassa imposizione del gruppo.
In merito all’importanza dell’Accordo raggiunto in sede OCSE, la rivista online dell’Agenzia delle entrate, Fiscooggi, sottolinea come la portata storica consista nell’ampia adesione, quasi unanime, dei 140 Paesi che da anni siedono al tavolo dei lavori, provenienti da tradizioni fiscali e sistemi economici profondamente diversi e in competizione tra loro, dagli Stati Uniti all’Europa, a Cina, India, Hong Kong, Singapore, ma anche Australia, Regno Unito, Svizzera, un gran numero di Paesi africani, dell’area caraibica e dell’America latina. L’accordo intende portare alla condivisione di alcune regole comuni in gran parte del mercato globale dove è generato il 90% del PIL mondiale.
Secondo le stime dell’OCSE le entrate fiscali aggiuntive che dovrebbero prodursi grazie al meccanismo dovrebbero ammontare a circa 150 miliardi di dollari ogni anno.
La direttiva (UE) 2022/2523 del Consiglio, del 14 dicembre 2022 in materia di imposizione minima globale di recepimento del secondo pilastro dell’Accordo OCSE e il contenuto del Titolo II dello schema di decreto legislativo
La direttiva (UE) 2022/2523, intesa a garantire un livello di imposizione fiscale minimo globale per i gruppi multinazionali di imprese e i gruppi nazionali su larga scala nell’Unione è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea il 22 dicembre 2022.
Tale direttiva, come anticipato, dà seguito al “secondo pilastro” dell’accordo raggiunto in sede OCSE/G20 su una soluzione a due pilastri per affrontare le sfide fiscali derivanti dalla digitalizzazione dell’economia.
La direttiva ricalca l’accordo sul secondo pilastro e determina pertanto le modalità tramite le quali i principi dell’aliquota fiscale effettiva del 15% saranno applicati nell’UE a qualsiasi grande gruppo, multinazionale (come nell’intesa) ma anche nazionale, presente in uno Stato membro, che abbia un fatturato consolidato di almeno 750 milioni di euro. La direttiva deve essere recepita nelle legislazioni nazionali degli Stati membri entro la fine del 2023. La direttiva poggia sulle due regole, tra loro collegate, volte ad assicurare una tassazione minima effettiva in ogni Paese in cui l’impresa opera (c.d. regole GloBE - Global Anti-Base Erosion rules) previste dall’accordo OCSE (vedi supra).
Nel considerando n. 5 della direttiva quanto sopra esposto viene così sintetizzato: è necessario stabilire norme al fine di istituire un quadro di riferimento efficiente e coerente per un livello di imposizione minimo globale a livello dell’Unione. Tale quadro di riferimento istituisce un sistema di due regole intrecciate, congiuntamente denominate anche «norme GloBE», attraverso le quali si dovrebbe riscuotere un importo integrativo d’imposta (c.d. imposta integrativa) ogniqualvolta l’aliquota effettiva d’imposta di un gruppo multinazionale di imprese in un dato Paese sia inferiore al 15 %. In tali casi la giurisdizione dovrebbe essere considerata a bassa imposizione. Nell’ambito di tale sistema, l’entità controllante di un gruppo multinazionale di imprese localizzata in uno Stato membro dovrebbe avere l’obbligo di applicare l’IIR alla sua quota di imposta integrativa relativa a ogni entità del gruppo a bassa imposizione, sia tale entità localizzata nell’Unione o al di fuori di essa. L’UTPR dovrebbe fungere da sostegno all’IIR attraverso una reimputazione di un eventuale importo residuo dell’imposta integrativa, nei casi in cui le entità controllanti non abbiano potuto riscuotere l’intero importo dell’imposta integrativa relativa alle entità a bassa imposizione attraverso l’IIR.
Tali regole hanno l’effetto di introdurre un’imposta complementare corrispondente al livello minimo, con riferimento a un’aliquota effettiva d’imposta calcolata su una base giurisdizionale e avvalendosi di definizioni comuni riguardo alle imposte contemplate e alla base imponibile, determinata con riferimento all’utile contabile. Esse si applicano alle imprese multinazionali che presentano un fatturato minimo di 750 milioni di euro nei conti finanziari.
L’aliquota d’imposta minima di riferimento, sia per l’IIR, che per l’UTPR, è pari al 15 % ed è volta a contrastare le pratiche fiscali che mirano a trasferire gli utili verso giurisdizioni con livello di tassazione basso.
Le regole GloBE prevedono inoltre un’esclusione de minimis per le giurisdizioni in cui l’impresa multinazionale realizza un fatturato inferiore a 10 milioni di euro e utili inferiori a 1 milione di euro.
Il Titolo II dello schema di decreto legislativo: il recepimento della direttiva UE 2022/2523.
Il Titolo II dello schema di decreto legislativo contiene le norme di recepimento di quanto previsto dalla citata direttiva.
Essa si fonda su un triplice livello di imposizione:
§ un’imposta minima nazionale, che gli Stati hanno la facoltà di introdurre sulla base della direttiva, e che colpisce le imprese di un gruppo multinazionale o nazionale e le entità a controllo congiunto localizzate nel territorio dello Stato italiano assoggettate ad un livello di tassazione effettiva inferiore alla aliquota minima di imposta del 15 per cento;
§ un’imposta minima integrativa (prevista dall’articolo 13) cui è assoggettata la controllante capogruppo di un gruppo multinazionale o nazionale localizzata nel territorio dello Stato italiano che, in un dato esercizio, è soggetta ad una tassazione effettiva inferiore al 15 per cento ovvero che ha detenuto, in qualsiasi momento dell’esercizio, direttamente o indirettamente partecipazioni in imprese a bassa imposizione localizzate in un altro Paese o che sono entità apolidi;
§ un’imposta minima suppletiva (prevista dall’articolo 19) cui sono soggette, in forma tra loro solidale e congiunta, tutte le imprese localizzate nel territorio dello Stato italiano, diverse dalle entità di investimento, nel caso in cui la controllante capogruppo localizzata in un Paese terzo che non applica una imposta minima integrativa equivalente ovvero è una entità esclusa. Tale imposta è di un importo pari all’imposizione integrativa attribuita, per l’esercizio, allo Stato italiano.
La disciplina recepisce tutte le disposizioni concernenti il calcolo sia del reddito rilevante che della tassazione effettiva da prendere in considerazione al fine di valutare se ricorrono i presupposti per l’applicazione dell’imposta nonché per la determinazione dell’aliquota della stessa.
Nel rimandare, per l’esame dei singoli gruppi di disposizioni di recepimento all’introduzione dei singoli Capi del Titolo II e alle schede degli articoli in essi contenuti, in questa sede si rappresenta che, l’Italia ha inteso introdurre (all’articolo 18 dello schema di decreto legislativo) un’imposta minima nazionale che, come indicato dalla relazione tecnica, è l’unica imposta cui vengono prudenzialmente riconosciuti effetti di gettito, in quanto l’imposta minima integrativa (IIR) sarà effettivamente dovuta dalla controllante italiana, solo nel caso in cui le giurisdizioni estere in cui sono localizzate le società controllate non dovessero introdurre un’imposta minima nazionale equivalente.
Allo stesso modo l’imposta minima suppletiva sarebbe applicabile, e produrrebbe quindi gettito, solo alla duplice condizione che il Paese in cui si trovano imprese di un gruppo multinazionale non introduca un’imposta minima nazionale qualificata (Qualified Domestic Minimum Top-Up Tax – QDMTT) e che nel Paese della capogruppo non venga applicata l’imposta minima integrativa (IIR).
Inoltre la scelta italiana di introdurre un’imposta minima nazionale rispettosa dei principi fissati dall’OCSE, fa sì che il gruppo multinazionale possa esercitare, con riferimento alle imprese localizzate in Italia, l’opzione del “porto sicuro” (safe harbour) prevista dall’articolo 34, comma 4, che consente di considerare pari a zero l’imposizione integrativa dovuta dal gruppo (italiano o estero) in relazione alle imprese localizzate in Italia che hanno pagato l’imposta minima nazionale.
In altri termini, si tratta di una importante semplificazione perché, per effetto della suddetta opzione, si evitano i complessi calcoli previsti dalle regole ordinarie per stabilire la eventuale imposizione integrativa ancora dovuta (al netto dell’imposta minima nazionale pagata) per le imprese localizzate in Italia
Il titolo III: le disposizioni finanziarie e finali
Il Titolo III contiene solo gli articoli 61 e 62.
L’articolo 61 istituisce nello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze il Fondo per l’attuazione della delega fiscale la cui copertura è effettuata a valere sulle entrate stimate dell’imposta minima nazionale di cui all’articolo 18, del Titolo II.
L’articolo 62 disciplina l’entrata in vigore.
Articolo 1
(Residenza delle persone fisiche)
L’articolo 1 dello schema intende novellare le disposizioni che individuano la residenza fiscale delle persone fisiche al fine di ampliare il novero dei contribuenti Irpef.
In particolare, si considerano residenti le persone che per la maggior parte del periodo d’imposta, considerando anche le frazioni di giorno, hanno il domicilio o la residenza nel territorio dello Stato ovvero che sono ivi presenti.
Rispetto alla disciplina vigente, di conseguenza:
§ viene introdotto il riferimento alla frazione di giorno;
§ sono residenti anche i soggetti presenti nel territorio dello Stato per la maggior parte del periodo d’imposta, di fatto così ampliando la platea dei contribuenti residenti in Italia.
Inoltre, in luogo del riferimento alle nozioni contenute nel codice civile, viene introdotto un nuovo concetto di “domicilio” che si basa sul luogo in cui si sviluppano, in via principale, le relazioni personali e familiari della persona. Infine, viene introdotta presunzione di residenza, salvo prova contraria, per le persone iscritte per la maggior parte del periodo di imposta nelle anagrafi della popolazione residente.
In particolare, le norme in esame modificano l’articolo 2, comma 2 del Testo Unico delle Imposte sui Redditi – TUIR, di cui al D.P.R. n. 917 del 1986.
Si ricorda che l’articolo 2 del TUIR individua i soggetti passivi dell’imposta sul reddito delle persone fisiche - Irpef, prevedendo (comma 1) che questi sono le persone fisiche residenti e non residenti nel territorio dello Stato.
Per i soggetti residenti nel territorio dello Stato, l’articolo 3, comma 1, del TUIR dispone che l’imposta sul reddito delle persone fisiche trovi applicazione sul reddito complessivo del soggetto, formato da tutti i redditi da questo posseduti. I redditi prodotti dai soggetti residenti, compresi i redditi prodotti all’estero, sono pertanto attratti nella sfera impositiva dell’ordinamento tributario italiano.
Con riferimento ai soggetti non residenti, l’imposta sul reddito delle persone fisiche trova applicazione sui redditi prodotti all’interno del territorio dello Stato. Dunque la residenza fiscale consente tra l’altro di stabilire quali redditi debbano concorrere alla formazione della base imponibile.
Secondo le norme vigenti, ai fini delle imposte sui redditi si considerano residenti le persone che per la maggior parte del periodo di imposta sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente o hanno nel territorio dello Stato il domicilio o la residenza, ai sensi del codice civile.
Per effetto delle modifiche proposte si considerano residenti le persone che per la maggior parte del periodo d’imposta, considerando anche le frazioni di giorno, hanno il domicilio o la residenza nel territorio dello Stato ovvero che sono ivi presenti.
Rispetto alla disciplina vigente, di conseguenza:
§ viene introdotto il riferimento alla frazione di giorno;
§ sono residenti anche i soggetti presenti nel territorio dello Stato per la maggior parte del periodo d’imposta, di fatto così ampliando la platea dei contribuenti Irpef residenti in Italia.
Inoltre, in luogo del riferimento alle nozioni contenute nel codice civile, viene introdotto un nuovo concetto di “domicilio” che si basa sul luogo in cui si sviluppano, in via principale, le relazioni personali e familiari della persona.
Infine, viene introdotta una previsione per cui si presumono residenti, salvo prova contraria, anche le persone iscritte per la maggior parte del periodo di imposta nelle anagrafi della popolazione residente.
La Relazione illustrativa al riguardo chiarisce che la prova dell’assenza dei criteri che determinano la residenza nel territorio dello Stato può essere fornita dal contribuente dimostrando, rispettivamente, di non avere in Italia la residenza, il domicilio e di non essere stato fisicamente presente nel territorio dello Stato. La prova dell’insussistenza del requisito deve essere riferita a un numero di giorni complessivi superiore alla maggior parte del periodo d’imposta, considerando anche le frazioni di giorno nel caso della presenza fisica. Il criterio di iscrizione all’anagrafe della popolazione residente resta quale criterio di collegamento rilevante ai fini della residenza fiscale. Tuttavia, il Governo sottolinea che la modifica intende mitigare, ai fini della residenza, il puro dato formale dell’iscrizione all’anagrafe della popolazione residente che non abbia un reale riscontro fattuale, modificando la presunzione assoluta in favore di una presunzione relativa che permetta al contribuente di fornire prova contraria rispetto a quanto stabilito ex lege.
Articolo 2
(Residenza delle persone giuridiche)
L’articolo 2 dello schema intende novellare le disposizioni che individuano la residenza fiscale delle persone giuridiche, ai fini del novero dei soggetti all’Ires, imposta sul reddito delle società.
Con le modifiche in esame, si considerano residenti in Italia - oltre alle società e agli enti che per la maggior parte del periodo di imposta hanno nel territorio dello Stato la propria sede legale - anche quelli aventi in Italia la sede di direzione effettiva o la gestione ordinaria in via principale, in luogo di riferirsi al vigente concetto di “sede dell’amministrazione” e di “oggetto principale”.
Il vigente articolo 73, comma 3, del TUIR considera residenti ai fini delle imposte sui redditi - dunque soggetti all’Ires, imposta sul reddito delle società - le società e gli enti che, per la maggior parte del periodo di imposta hanno la sede legale o la sede dell’amministrazione o l’oggetto principale nel territorio dello Stato.
Sono poi considerati residenti nel territorio dello Stato gli organismi di investimento collettivo del risparmio istituiti in Italia e, salvo prova contraria, i trust e gli istituti aventi analogo contenuto istituiti in Stati o territori diversi da quelli che assicurano un adeguato scambio di informazioni fiscali (di cui al decreto del Ministro dell’economia e delle finanze emanato ai sensi dell’articolo 168-bis del TUIR) in cui almeno uno dei disponenti ed almeno uno dei beneficiari del trust siano fiscalmente residenti nel territorio dello Stato. Si considerano, inoltre, residenti nel territorio dello Stato i trust istituiti in uno Stato diverso da quelli di cui al decreto del Ministro dell’economia e delle finanze emanato ai sensi dell’articolo 168-bis sopra richiamato, quando, successivamente alla loro costituzione, un soggetto residente nel territorio dello Stato effettui in favore del trust un’attribuzione che importi il trasferimento di proprietà di beni immobili o la costituzione o il trasferimento di diritti reali immobiliari, anche per quote, nonché vincoli di destinazione sugli stessi.
Per effetto delle modifiche in esame (comma 1, lettera a)) si considerano residenti a fini Ires le società e gli enti che per la maggior parte del periodo di imposta hanno nel territorio dello Stato la sede legale o la sede di direzione effettiva o la gestione ordinaria in via principale.
Di conseguenza, il concetto di “sede dell’amministrazione” e quello di “oggetto principale” sono sostituiti da sede di direzione effettiva e di gestione ordinaria in via principale.
Viene fornita una definizione specifica di sede di direzione effettiva, ai sensi della quale si intende la continua e coordinata assunzione delle decisioni strategiche riguardanti la società o l’ente nel suo complesso.
Per gestione ordinaria si intende il continuo e coordinato compimento degli atti della gestione corrente riguardanti la società o l’ente nel suo complesso.
Il Governo rileva, nella relazione illustrativa, che per effetto delle modifiche la residenza di società ed enti viene per contro ricondotta a tre criteri. Mentre il criterio della “sede legale” ha carattere formale e rappresenta un elemento di necessaria continuità con la normativa in vigore anteriormente alla riforma, quelli della “sede di direzione effettiva” e della “gestione ordinaria in via principale sono di natura sostanziale, riguardando rispettivamente il luogo in cui sono assunte le decisioni strategiche e si svolgono concretamente le attività di gestione della società o ente. Essendo i tre criteri alternativi, ciascuno di essi è di per sé in grado di fondare il collegamento personale all’imposizione delle persone giuridiche.
Resta ferma la disciplina vigente per gli organismi di investimento collettivo del risparmio istituiti in Italia, nonché i trust e gli istituti aventi analogo contenuto. Le modifiche proposte aggiornano i riferimenti normativi contenuti nell’articolo 73, comma 3 del TUIR indicando, in luogo dell’articolo 168-bis del TUIR, il decreto del Ministro dell’economia e delle finanze emanato ai sensi dell’articolo 11, comma 4, lettera c), del decreto legislativo 1° aprile 1996, n. 239, che reca l’elenco degli Stati e territori di cui all’articolo 6, comma 1, che consentono un adeguato scambio di informazioni fiscali.
Conseguentemente alle modifiche di cui alla lettera a) che - come si è visto – espungono il riferimento alla sede dell’amministrazione di società ed enti soggetti a Ires, la lettera b) del comma 1 modifica il comma 5-bis dell’articolo 73, al fine di sostituire la locuzione “sede dell’amministrazione di società ed enti che detengono partecipazioni di controllo” con il riferimento alle società ed enti che detengono partecipazioni di controllo ai sensi del codice civile.
Articolo 3
(Semplificazione della disciplina delle società estere controllate)
L’articolo 3 reca disposizioni in materia di trattamento fiscale delle società estere controllate.
Viene in particolare modificata la prima condizione, prevista dall’articolo 167, comma 4, del TUIR per l’applicazione della cosiddetta CFC rule, prevedendo l’imputazione al soggetto residente di tutti i redditi del soggetto controllato non residente localizzato in un Paese a fiscalità privilegiata, qualora quest’ultimo realizzi proventi per oltre un terzo derivanti da passive income (redditi di varia natura, principalmente finanziaria).
In sintesi, la disciplina si applica se i soggetti controllati non residenti sono assoggettati a tassazione effettiva inferiore al 15 per cento, se il bilancio d’esercizio dei soggetti controllati non residenti è oggetto di revisione e certificazione da parte di operatori professionali a ciò autorizzati nello Stato estero di localizzazione. In alternativa, in presenza di bilanci revisionati e certificati delle società controllate estere, i soggetti controllanti possono corrispondere un’imposta sostitutiva delle imposte sui redditi pari al 15 per cento dell’utile contabile netto dell’esercizio.
Nel caso di entità estere controllate prive di bilancio revisionato e certificato, i soggetti controllanti devono verificare che i soggetti controllati non residenti siano assoggettati ad una tassazione effettiva inferiore alla metà di quella a cui sarebbero stati soggetti qualora residenti in Italia.
A tal fine viene modificato l’articolo 167 del Testo Unico delle Imposte sui Redditi – TUIR, di cui al D.P.R. n. 917 del 1986.
In sintesi, l’articolo 167 TUIR prevede l’imputazione al soggetto residente di tutti i redditi del soggetto controllato non residente localizzato in un Paese a fiscalità privilegiata, qualora quest’ultimo realizzi proventi per oltre un terzo derivanti da passive income (redditi di varia natura, principalmente finanziaria).
In sostanza, se un soggetto residente in Italia controlla società o enti esteri a regime privilegiato, il reddito di tali soggetti esteri è tassato in Italia per trasparenza, nell’esercizio in cui è prodotto e indipendentemente dall’effettiva percezione.
La disciplina dell’imputazione dei redditi
delle società controllate non residenti
L’articolo 4 del D. Lgs. 142 del 2018 ha riscritto l’art. 167 Tuir relativo alle società controllate estere o controlled foreign companies (CFC), in attuazione della direttiva 2016/1164/UE (cosiddetta Anti Tax Avoidance Directive - ATAD), che fa parte del pacchetto antielusione (Anti Tax Avoidance Package) varato dalla Commissione Europea per introdurre negli Stati membri un insieme di misure di contrasto alle pratiche di elusione fiscale. Il predetto decreto ha recepito inoltre le norme di modifica alla direttiva ATAD recate dalla Direttiva (UE) 2017/952 del Consiglio del 29 maggio 2017 (cd. ATAD 2), che ha innovato la direttiva 2016/1164 in tema di disallineamenti da ibridi, vale a dire le differenze nella qualificazione giuridica dei pagamenti tra giurisdizioni diverse, che coinvolgono i Paesi terzi.
In sintesi, l’articolo 167 TUIR prevede l’imputazione al soggetto residente di tutti i redditi del soggetto controllato non residente localizzato in un Paese a fiscalità privilegiata, qualora quest’ultimo realizzi proventi per oltre un terzo derivanti da passive income. In sostanza, se un soggetto residente in Italia controlla società o enti esteri a regime privilegiato, il reddito di tali soggetti esteri è tassato in Italia per trasparenza (quindi, nell’esercizio in cui è prodotto, indipendentemente dall’effettiva percezione).
In particolare, il comma l dell’articolo 167 TUIR definisce l’ambito soggettivo della disciplina CFC, prevedendo che essa si applichi nei confronti delle persone fisiche, delle società di persone e della società di capitali, nonché delle stabili organizzazioni nel territorio dello Stato di soggetti non residenti, che controllano soggetti non residenti, a specifiche condizioni. Il comma 2 definisce i requisiti per la sussistenza del controllo, stabilendo che esso si consegue quando: l’impresa, la società o l’ente è controllato da un soggetto residente, direttamente o indirettamente, anche tramite società fiduciaria o interposta persona, ai sensi dell’articolo 2359 del codice civile – dunque anche nel caso di controllo di fatto -; ovvero, la quota di partecipazione agli utili è detenuta per oltre il 50 per cento, direttamente, o indirettamente, mediante una o più società controllate ai sensi dell’articolo 2359 del codice civile o tramite società fiduciaria o interposta persona, da un soggetto residente. Il comma 3 include tra le fattispecie di soggetti controllati non residenti anche le stabili organizzazioni all’estero dei soggetti controllati esteri, nonché le stabili organizzazioni all’estero dei soggetti residenti per le quali è stata effettuata l’opzione per la branch exemption (ai sensi dell’articolo 168-ter del TUIR, che attribuisce la facoltà, alle imprese residenti nel territorio dello Stato, di optare per l’esenzione degli utili e delle perdite attribuibili a tutte le proprie stabili organizzazioni all’estero).
Ai sensi del comma 4, sono elencate le condizioni al ricorrere delle quali si applica la disciplina sulle CFC. In particolare, la disciplina si applica anzitutto (prima condizione, recata nella lettera a) del comma 4) se vi è tassazione effettiva nel Paese di localizzazione del soggetto controllato non residente inferiore alla metà di quella a cui sarebbe stato assoggetto qualora fosse stato residente in Italia. Si effettua il confronto tra tax rate effettivo estero e tax rate virtuale interno - calcolato procedendo alla rideterminazione del reddito in base alle disposizioni fiscali interne applicate all’utile ante imposte risultante dal bilancio. Le norme dispongono l’applicazione della normativa CFC anche alle stabili organizzazioni all’estero di soggetti controllati non residenti, nel caso in cui i relativi utili non siano soggetti ad imposta o siano esenti da imposta nello Stato membro del soggetto controllato non residente. La seconda condizione (lettera b) del comma 4) si presenta qualora vi sia "passive income", ossia quando il soggetto estero controllato consegue oltre un terzo del proprio reddito attraverso le seguenti tipologie di reddito:
· interessi o qualsiasi altro reddito generato da attivi finanziari;
· canoni o qualsiasi altro reddito generato da proprietà intellettuale;
· dividendi e redditi derivanti dalla cessione di partecipazioni;
· redditi da leasing finanziario;
· redditi da attività assicurativa, bancaria e altre attività finanziarie;
· redditi da operazioni di cessione di beni o prestazione di servizi a valore economico aggiunto scarso o nullo con soggetti che, direttamente o indirettamente, controllano il soggetto controllato non residente, ne sono controllati o sono controllati dallo stesso soggetto che controlla il soggetto non residente. Le due condizioni devono ricorrere congiuntamente in capo al soggetto controllato affinché sussistano gli estremi per l’applicazione della CFC rule.
Il comma 5 stabilisce che la CFC non si applica alle situazioni in cui il soggetto controllato non residente svolge un’attività economica sostanziale mediante l’impiego di personale, attrezzature, attivi e locali. Il contribuente può dimostrare la sussistenza di tale esimente anche attraverso la presentazione dell’interpello facoltativo (ai sensi dell’articolo 11, comma l, lettera b), della legge 27 luglio 2000, n. 212).
Il comma 6 prevede che i redditi del soggetto controllato non residente siano imputati al soggetto residente in proporzione alla sua quota di partecipazione agli utili. In caso di partecipazione indiretta la quota di partecipazione agli utili è determinata tenendo conto della demoltiplicazione prodotta sugli utili dalla catena societaria partecipativa.
Ai sensi del comma 7, per la determinazione del reddito del soggetto controllato non residente, da imputare per trasparenza al soggetto residente, si applicano le regole di determinazione del reddito ai fini IRES previste per le imprese residenti, ad eccezione delle disposizioni riguardanti: le società di comodo, le società in perdita sistematica, gli studi di settore, l’aiuto alla crescita economica (ACE) e la rateizzazione delle plusvalenze (di cui all’articolo 86, comma 4, del TUIR). La relazione chiarisce che tali esclusioni sono volte a garantire una maggiore equivalenza della base imponibile del reddito estero, imputato per trasparenza in capo al socio italiano, rispetto allo stesso reddito qualora questo fosse stato prodotto in Italia.
Il successivo comma 8 assoggetta a tassazione separata i redditi da imputare per trasparenza, con aliquota media del soggetto controllante, comunque non inferiore all’aliquota ordinaria IRES (24 per cento), in analogia con quanto già previsto dalla normativa vigente. Si dispone inoltre che sono esclusi da tale regola i redditi provenienti da organismi di investimento collettivo di risparmio non residenti; essi sono assoggettati ad imposta in capo al soggetto controllante residente, se e nella misura in cui gli stessi redditi sarebbero stati assoggettati ad imposizione ove prodotti da organismi di investimento (OICR) residenti.
Il comma 9 sancisce che dall’imposta determinata ai sensi del comma 8 sono ammesse in detrazione le imposte pagate all’estero da soggetto non residente a titolo definitivo. Ai sensi del comma 10 sono esclusi dal reddito del soggetto residente gli utili distribuiti dal soggetto controllato non residente, per un ammontare corrispondente al reddito già imputato per trasparenza ed anche in periodi d’imposta precedenti. Si può effettuare la detrazione delle imposte pagate all’estero sugli utili distribuiti che non concorrono alla formazione del reddito, fino a un ammontare pari alla differenza tra l’imposta calcolata sui redditi imputati per trasparenza e le imposte pagate all’estero dal soggetto non residente a titolo definitivo. La detassazione degli utili distribuiti non opera nei confronti degli OICR non residenti i cui redditi restano interamente imponibili al momento dell’incasso; per equiparare il trattamento a un Fondo residente, al costo fiscale delle quote dell’OICR vanno aggiunte le ritenute subite in Italia.
Il comma 11 prevede che, nelle ipotesi di accertamenti sulla corretta applicazione della norma sulle CFC, l’Agenzia delle entrate prima di procedere ad un avviso di accertamento di imposta o di maggiore imposta, deve concedere al contribuente un termine di 90 giorni per presentare le prove utili a dimostrare che, nel caso di specie, ricorra l’esimente. Si ribadisce inoltre l’obbligo di segnalazione in dichiarazione dei redditi delle partecipazioni per le quali sussistono gli estremi per l’applicazione della disciplina della CFC, nelle ipotesi in cui non è stato presentato interpello all’Agenzia delle entrate, nonché qualora l’interpello sia stato presentato ma si è ottenuta una risposta non favorevole.
Il comma 12 svincola il contribuente dalla prova dell’esimente in sede di controllo, in caso di risposta positiva all’interpello.
Le norme in esame modificano anzitutto (lettera a) del comma 1) l’articolo 167, comma 4, lettera a) TUIR, allo scopo di novellare le condizioni alle quali si applica la cosiddetta regola CFC, ovvero la tassazione per trasparenza.
Come visto supra, la lettera a) del comma 4 attualmente prevede che la disciplina CFC si applichi anzitutto (prima condizione) se vi è tassazione effettiva nel Paese di localizzazione del soggetto controllato non residente inferiore alla metà di quella a cui sarebbe stato assoggetto qualora fosse stato residente in Italia. Per verificare tale condizione sono stati individuati dall’Agenzia delle entrate specifiche indicazioni, secondo il disposto del comma 4, tra cui quello dell’irrilevanza delle variazioni non permanenti della base imponibile. Il Provvedimento dell’Agenzia delle entrate del 27 dicembre 2021 ha individuato i predetti criteri.
Le norme vigenti dispongono l’applicazione della normativa CFC anche alle stabili organizzazioni all’estero di soggetti controllati non residenti, nel caso in cui i relativi utili non siano soggetti ad imposta o siano esenti da imposta nello Stato membro del soggetto controllato non residente.
Con le modifiche in esame, la disciplina si applica se i soggetti controllati non residenti sono assoggettati a tassazione effettiva inferiore al 15 per cento.
La tassazione effettiva dei soggetti controllati non residenti viene definita come pari al rapporto tra la somma delle imposte correnti dovute e delle imposte anticipate e differite iscritte nel proprio bilancio d’esercizio e l’utile ante imposte dell’esercizio risultante dal predetto bilancio.
A tal fine, il bilancio d’esercizio dei soggetti controllati non residenti deve essere oggetto di revisione e certificazione da parte di operatori professionali a ciò autorizzati nello Stato estero di localizzazione dei soggetti controllati non residenti, i cui esiti sono utilizzati dal revisore del soggetto controllante ai fini del giudizio sul bilancio annuale o consolidato.
Le disposizioni in esame ancorano il calcolo dell’aliquota effettiva (effective tax rate – ETR) ai bilanci certificati, nell’ipotesi di società estere in cui il bilancio sia sottoposto a revisione o certificazione nello Stato in cui sono localizzate. Con le modifiche in esame, l’ETR non è inferiore alle soglie previste dalla disciplina della cd. global minimum tax, recepita dallo schema in esame (vedi le schede di lettura degli articoli 8 e ss.gg.), ovvero il 15%.
Si prevede poi che, se la condizione predetta non è verificata, ovvero nel caso di controllate estere prive di bilancio revisionato e certificato, i soggetti controllanti devono verificare che i soggetti controllati non residenti siano assoggettati ad una tassazione effettiva inferiore alla metà di quella a cui sarebbero stati soggetti qualora residenti in Italia, come previsto dalle norme in vigore, che viene determinata secondo le modalità da stabilire con provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate.
Il successivo comma 4-bis, introdotto dalle norme in esame, prevede che ai fini del calcolo di cui al comma 4, lettera a) rileva anche l’imposta minima nazionale equivalente, definita nell’allegato A del decreto in esame che recepisce la direttiva (UE) 2022/2523 del Consiglio, del 14 dicembre 2022, dovuta dal soggetto controllato non residente (per cui si rinvia agli articoli 8 e ss.gg. dello schema in esame). Ai fini del precedente periodo, l’imposta minima nazionale equivalente dovuta nel Paese di localizzazione del soggetto controllato non residente, rileva in misura corrispondente all’imposta minima nazionale equivalente, moltiplicata per il rapporto tra il profitto eccedente relativo al soggetto controllato non residente e la somma di tutti i profitti eccedenti relativi alle imprese ed entità del gruppo soggette all’imposta minima nazionale equivalente calcolata in maniera unitaria con il soggetto controllato non residente.
Al riguardo, il Governo evidenzia che l’introduzione del nuovo comma 4-bis all’articolo 167 del TUR è finalizzata a coordinare le disposizioni del medesimo TUIR in materia di società estere controllate con le disposizioni contenute nel Titolo II. In particolare, si prevede che, ai fini della verifica del requisito della effettiva tassazione nello Stato della controllata estera di cui all’articolo 4, lettera a), dell’articolo 167, deve essere presa in considerazione anche l’imposta minima nazionale equivalente, come definita nell’allegato A del presente decreto legislativo, eventualmente assolta dalla società controllata estera. Poiché l’imposta minima nazionale equivalente si applica su base territoriale, per tutte le società controllate localizzate nel medesimo Stato, ai fini dell’allocazione della quota dell’imposta alla singola società controllata estera si prevede che l’imposta minima nazionale equivalente assolta rilevi in misura corrispondente al prodotto tra tale imposta e il rapporto tra i profitti eccedenti relativi alle imprese ed entità del gruppo soggette all’imposta minima nazionale equivalente calcolata in maniera unitaria con il soggetto controllato non residente.
Il successivo comma 4-ter, introdotto dalle norme in esame, in alternativa a quanto previsto al comma 4, lettera a) consente ai soggetti controllanti, con riferimento ai soggetti controllati non residenti di corrispondere (nel rispetto delle norme della direttiva ATAD e, in particolare, degli articoli 7 e 8 della direttiva (UE) 2016/1164 del Consiglio del 12 luglio 2016) un’imposta sostitutiva delle imposte sui redditi pari al 15 per cento dell’utile contabile netto dell’esercizio calcolato senza tenere in considerazione le imposte che hanno concorso a determinare detto valore, la svalutazione di attivi e gli accantonamenti a fondi rischi. Permanendo il requisito del controllo, l’opzione per l’imposta sostitutiva ha durata per tre esercizi del soggetto controllante ed è irrevocabile. Al termine del triennio l’opzione si intende tacitamente rinnovata per il successivo triennio a meno che non sia revocata, secondo le modalità e i termini previsti per la comunicazione dell’opzione. La disposizione di cui al periodo precedente si applica al termine di ciascun triennio. Si affida a un provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate il compito di stabilire le modalità di comunicazione dell’esercizio e revoca dell’opzione. Nel caso di esercizio dell’opzione, essa è effettuata per tutti i soggetti controllati non residenti che ricevano redditi da passive income per oltre un terzo (redditi indicati al comma 4, lettera b) dell’articolo 167).
Nella Relazione illustrativa, il Governo chiarisce che la disposizione intende introdurre una semplificazione ai fini della determinazione della tassazione effettiva del soggetto controllato estero sia dal lato della base imponibile sia dal lato dell’aliquota impositiva.
In sintesi, l’articolo 7 della direttiva 1164/2016 enumera anzitutto le condizioni alle quali uno Stato membro tratta un’entità o una stabile organizzazione, i cui utili non sono soggetti ad imposta o sono esenti da imposta in tale Stato membro, come una società controllata estera. Nel caso di un’entità, la società è ritenuta una controllata estera: a) se il contribuente, da solo o insieme alle sue imprese associate, detiene una partecipazione diretta o indiretta di oltre il 50 per cento dei diritti di voto o possiede direttamente o indirettamente oltre il 50 per cento del capitale o ha il diritto di ricevere oltre il 50 per cento degli utili di tale entità, e b) l’imposta sulle società realmente versata sui suoi utili dall’entità o dalla stabile organizzazione è inferiore alla differenza tra l’imposta sulle società che sarebbe stata applicata all’entità o alla stabile organizzazione nell’ambito del sistema di imposizione delle società vigente nello Stato membro del contribuente e l’imposta sulle società realmente versata sui suoi utili dall’entità o dalla stabile organizzazione. Non si prende in considerazione, ai fini della lettera b), la stabile organizzazione di una società controllata estera esente da imposta nella giurisdizione della società controllata estera. Sono altresì enumerati (paragrafo 2) gli elementi di reddito inclusi nella base imponibile, ove ricorra il trattamento a titolo di società controllata estera; si tratta a) dei redditi non distribuiti dell’entità o i redditi della stabile organizzazione rientranti in specifiche categorie enumerate dalla norma ovvero b) i redditi non distribuiti di un’entità o di una stabile organizzazione derivanti da costruzioni non genuine, poste in essere essenzialmente allo scopo di ottenere un vantaggio fiscale; una costruzione o una serie di costruzioni è considerata non genuina nella misura in cui l’entità o la stabile organizzazione non possiederebbe gli attivi o non avrebbe assunto i rischi che generano la totalità o una parte dei suoi redditi se non fosse controllata da una società in cui le funzioni significative del personale che sono pertinenti per tali attivi e rischi sono svolte e sono funzionali al fine di generare i redditi della società controllata. Le disposizioni inoltre chiariscono a che condizioni lo Stato può scegliere di non trattare un’entità o una stabile organizzazione come una società controllata estera.
L’articolo 8 prevede che, nel caso di tassazione dei redditi non distribuiti (articolo 7, paragrafo 2, lettera a)), i redditi da includere nella base imponibile del contribuente sono calcolati in conformità delle norme della legge sull’imposta societaria dello Stato membro in cui il contribuente è residente a fini fiscali o è situato. Le perdite dell’entità o della stabile organizzazione non sono incluse nella base imponibile ma possono essere riportate, conformemente al diritto nazionale, e prese in conto nei periodi d’imposta successivi. Nel caso di tassazione di costruzioni non genuine (articolo 7, paragrafo 2, lettera b), i redditi da includere nella base imponibile del contribuente sono limitati agli importi generati dagli attivi e dai rischi collegati alle funzioni significative del personale svolte dalla società controllante. L’attribuzione dei redditi di una società controllata estera è calcolata secondo il principio di libera concorrenza. I redditi da includere nella base imponibile sono calcolati in proporzione alla partecipazione del contribuente nell’entità e sono inclusi nel periodo d’imposta del contribuente nel quale si conclude l’esercizio fiscale dell’entità. Viene disciplinato il trattamento degli utili distribuiti, ove inclusi nel reddito imponibile del contribuente, nonché il trattamento dei proventi derivanti dalla cessione delle partecipazioni. Gli Stati devono consentire la detrazione dell’imposta già versata dal debito d’imposta del contribuente nello Stato in cui risiede a fini fiscali.
L’articolo 4 dello schema contiene una disposizione quadro, ossia una norma di carattere generale che consente di applicare gli incentivi fiscali, compresi quelli già vigenti, in favore dei titolari di reddito di impresa o di lavoro autonomo aventi la sede o la stabile organizzazione in Italia solo se compatibili con la normativa europea in materia di aiuti di Stato e se debitamente autorizzati dalla Commissione.
Come anticipato, la disposizione in esame reca una norma generale, che fissa le condizioni alle quali sono concessi incentivi fiscali ai soggetti titolari di reddito di lavoro autonomo e di impresa aventi la sede o una stabile organizzazione nel territorio dello Stato, nel rispetto dei principi di cui agli articoli 107 e 108 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea.
Il Governo evidenzia che la norma viene emanata in attuazione dell’articolo 9, comma 1, lettere h) ed i) della legge di delega fiscale (n. 111 del 2023) che crea un nuovo quadro giuridico di riferimento per una politica di incentivi fiscali compatibile con la disciplina europea, in particolare con le norme in materia di aiuti di Stato, nell’ottica di assicurare alle imprese la certezza del regime di favore accordato.
In estrema sintesi si ricorda che l’articolo 107 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea – TFUE prevede, salvo deroghe contemplate dai trattati, che siano sono incompatibili con il mercato interno, nella misura in cui incidano sugli scambi tra Stati membri, gli aiuti concessi dagli Stati, ovvero mediante risorse statali, sotto qualsiasi forma che, favorendo talune imprese o talune produzioni, falsino o minaccino di falsare la concorrenza. L’articolo definisce comunque compatibili con il mercato interno:
a) gli aiuti a carattere sociale concessi ai singoli consumatori, a condizione che siano accordati senza discriminazioni determinate dall’origine dei prodotti;
b) gli aiuti destinati a ovviare ai danni arrecati dalle calamità naturali oppure da altri eventi eccezionali;
c) gli aiuti concessi all’economia di determinate regioni della Repubblica federale di Germania che risentono della divisione della Germania, nella misura in cui sono necessari a compensare gli svantaggi economici provocati da tale divisione.
Inoltre l’articolo individua gli aiuti che possono considerarsi compatibili con il mercato interno nelle seguenti categorie:
a) gli aiuti destinati a favorire lo sviluppo economico delle regioni ove il tenore di vita sia anormalmente basso, oppure si abbia una grave forma di sottoccupazione, nonché quello delle regioni ultraperiferiche (di cui all’articolo 349 TFUE), tenuto conto della loro situazione strutturale, economica e sociale;
b) gli aiuti destinati a promuovere la realizzazione di un importante progetto di comune interesse europeo oppure a porre rimedio a un grave turbamento dell’economia di uno Stato membro;
c) gli aiuti destinati ad agevolare lo sviluppo di talune attività o di talune regioni economiche, sempre che non alterino le condizioni degli scambi in misura contraria al comune interesse;
d) gli aiuti destinati a promuovere la cultura e la conservazione del patrimonio, quando non alterino le condizioni degli scambi e della concorrenza nell’Unione in misura contraria all’interesse comune;
e) le altre categorie di aiuti, determinate con decisione del Consiglio, su proposta della Commissione.
Ai sensi del successivo articolo 108, la Commissione procede con gli Stati membri all’esame permanente dei regimi di aiuti esistenti in questi Stati. Essa propone a questi ultimi le opportune misure richieste dal graduale sviluppo o dal funzionamento del mercato interno. Se la Commissione, dopo aver intimato agli interessati di presentare le loro osservazioni, constati che un aiuto concesso da uno Stato, o mediante fondi statali, non è compatibile con il mercato interno, oppure che tale aiuto è attuato in modo abusivo, decide che lo Stato interessato deve sopprimerlo o modificarlo nel termine da essa fissato.
Qualora lo Stato in causa non si conformi a tale decisione entro il termine stabilito, la Commissione o qualsiasi altro Stato interessato può adire direttamente la Corte di giustizia dell’Unione europea.
A richiesta di uno Stato membro, il Consiglio, deliberando all’unanimità, può decidere che un aiuto, istituito o da istituirsi da parte di questo Stato, deve considerarsi compatibile con il mercato interno, in deroga alle disposizioni generali sugli aiuti di Stato o ai regolamenti emanati in attuazione delle norme del trattato sugli aiuti di Stato, quando circostanze eccezionali giustifichino tale decisione. Qualora la Commissione abbia iniziato, nei riguardi di tale aiuto, tale procedura, la richiesta dello Stato interessato rivolta al Consiglio avrà per effetto di sospendere tale procedura fino a quando il Consiglio non si sia pronunciato al riguardo.
Tuttavia, se il Consiglio non si è pronunciato entro tre mesi dalla data della richiesta, la Commissione delibera.
Si dispone inoltre che alla Commissione sono comunicati, in tempo utile perché presenti le sue osservazioni, i progetti diretti a istituire o modificare aiuti. Se ritiene che un progetto non sia compatibile con il mercato, la Commissione inizia senza indugio la procedura prevista dal paragrafo precedente. Lo Stato membro interessato non può dare esecuzione alle misure progettate prima che tale procedura abbia condotto a una decisione finale. La Commissione può adottare regolamenti concernenti le categorie di aiuti di Stato per le quali il Consiglio ha stabilito che possono essere dispensate dalla predetta procedura.
Le condizioni individuate dalla norma (comma 1) sono le seguenti:
a) previa autorizzazione dalla Commissione europea ai sensi del menzionato articolo 108 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione europea;
b) se previsti nel rispetto delle condizioni di cui al capo I e II, nonché delle condizioni delle specifiche categorie di aiuto di cui al capo III, del Regolamento (UE) n. 651/2014 della Commissione del 17 giugno 2014;
Con riferimento alla descrizione del regime generale degli aiuti di Stato si veda il dossier Aiuti di Stato- Parte generale, curato dal Servizio Studi, dipartimento Attività produttive, della Camera dei deputati.
c) se previsti nel rispetto delle condizioni e dei limiti previsti dal regolamento (UE) 1407/2013 della Commissione, del 18 dicembre 2013, relativo all’applicazione degli articoli 107 e 108 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione europea agli aiuti de minimis, dal regolamento (UE) n. 1408/2013 della Commissione, del 18 dicembre 2013, relativo all’applicazione degli articoli 107 e 108 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione europea agli aiuti de minimis nel settore agricolo e dal regolamento (UE) n. 717/2014 della Commissione, del 27 giugno 2014, relativo all’applicazione degli articoli 107 e 108 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea agli aiuti de minimis nel settore della pesca e dell’acquacoltura.
Il comma 2 dell’articolo in esame estende le norme in esame, e dunque le condizioni per la concessione delle agevolazioni, anche agli incentivi fiscali previsti all’entrata in vigore della presente disposizione.
Con riferimento al regime degli aiuti di Stato nel settore agricolo, della pesca e dell’acquacultura, nonché, in generale, sui diversi regimi di applicazione degli aiuti di Stato, si veda il dossier Gli aiuti di Stato - Parte speciale, curato dal Servizio Studi, dipartimento Attività produttive, della Camera dei deputati.
Articolo 5
(Nuovo regime agevolativo a favore dei lavoratori impatriati)
L’articolo 5 riforma il regime fiscale dei lavoratori cd. impatriati.
Per effetto delle disposizioni in esame si stabilisce la detassazione Irpef del 50 per cento dei redditi di lavoro dipendente e assimilati, nonché i redditi di lavoro autonomo prodotti in Italia da lavoratori che trasferiscono la residenza nel territorio dello Stato entro il limite di 600.000 euro al ricorrere di specifiche condizioni, tra cui l’alta qualificazione dei lavoratori impatriati. le agevolazioni si applicano nel periodo di imposta in cui è avvenuto il trasferimento della residenza fiscale nel territorio dello Stato e nei quattro periodi d’imposta successivi.
Essa è limitata ai cittadini italiani iscritti all’Anagrafe degli italiani residenti all’estero (AIRE) e, ove non siano iscritti alla stessa Anagrafe, a quelli che abbiano avuto la residenza in un altro Stato ai sensi di una convenzione contro le doppie imposizioni sui redditi, per il triennio di permanenza all’estero.
Il nuovo regime si applica a coloro che conseguono la residenza fiscale in Italia a decorrere dal periodo d’imposta 2024.
Rispetto al vigente regime:
§ l’ammontare detassato è abbassato dal 70 al 50 per cento;
§ il regime agevolato si applica solo ai redditi da lavoro dipendente e assimilati, nonché da lavoro autonomo;
§ viene introdotto un limite di reddito pari a 600.000 euro per fruire delle predette agevolazioni;
§ sono stabilite condizioni più stringenti per l’accesso all’agevolazione, tra cui l’elevata qualificazione dei lavoratori e un periodo più lungo di residenza fiscale all’estero nonché di permanenza in Italia dopo il rientro;
§ non è previsto il prolungamento dell’agevolazione in specifiche situazioni familiari o patrimoniali;
§ non viene riproposta la maggiorazione dell’agevolazione (detassazione del 90% del reddito) per i lavoratori impatriati che si trasferiscono nelle regioni del Mezzogiorno.
Il legislatore fiscale negli anni ha introdotto una complessa e stratificata disciplina volta ad attrarre risorse umane in Italia, prevedendo agevolazioni fiscali condizionate al trasferimento della residenza e al rientro dei lavoratori dall’estero (cd. lavoratori impatriati) e il rientro di lavoratori altamente qualificati.
Con riferimento ai lavoratori impatriati, la normativa di riferimento è anzitutto contenuta nel D. lgs n. 147 del 2015, in particolare all’articolo 16.
Nel corso del tempo l’agevolazione è stata modificata e ampliata; in particolare l’ampliamento è avvenuto con le disposizioni del cd. decreto Crescita (n. 34 del 2019) e con la legge di Bilancio 2021 (n. 170 del 2020).
Per una panoramica della normativa si rinvia alla scheda dell’Agenzia delle entrate.
Si segnala in particolare, per una dettagliata descrizione delle misura, anche la Circolare del 28/12/2020 n. 33 dell’Agenzia delle Entrate.
In sintesi, si tratta di un regime di tassazione agevolata temporaneo, riconosciuto ai lavoratori che trasferiscono la residenza in Italia (articolo 16, comma 1, Dlgs n. 147/2015).
Esso si applica se:
§ il lavoratore non è stato residente in Italia nei due periodi d’imposta precedenti il trasferimento e si impegna a risiedervi per almeno due anni;
§ l’attività lavorativa è svolta prevalentemente nel territorio italiano.
Per i contribuenti che si trovano in tali condizioni, nel periodo d’imposta in cui la residenza viene trasferita e nei successivi 4, il reddito di lavoro dipendente (o a esso assimilato) e di lavoro autonomo prodotto in Italia concorre alla formazione del reddito complessivo limitatamente al 30% dell’ammontare ovvero al 10% se la residenza è presa in una delle regioni del Mezzogiorno, ovvero Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sardegna, Sicilia (v. infra).
Il regime agevolato si applica anche ai redditi d’impresa prodotti dai predetti soggetti che avviano un’attività d’impresa in Italia, a partire dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2019. Fanno eccezione gli sportivi professionisti, il cui reddito è detassato sempre nella misura del 50% e sempreché versino un contributo pari allo 0,5% dell’imponibile, destinato al potenziamento dei settori giovanili.
I benefici si applicano per altri cinque periodi d’imposta ai lavoratori con almeno un figlio minorenne o a carico e a quelli che diventano proprietari di almeno un’unità immobiliare residenziale in Italia dopo il trasferimento o nei 12 mesi precedenti. Per il periodo di prolungamento, i redditi agevolati concorrono alla formazione dell’imponibile per il 50% del loro ammontare ovvero per il 10% in caso di lavoratori con almeno tre figli minorenni o a carico.
La legge di bilancio 2021 ha esteso a chi ha trasferito la residenza in Italia prima del 30 aprile 2020 e, al 31 dicembre 2019, beneficia del regime per i “lavoratori impatriati”, la possibilità di fruire dell’allungamento temporale per cinque periodi d’imposta del trattamento agevolato (abbattimento del 50% dei redditi di lavoro dipendente e autonomo prodotti), previo versamento di un importo pari al 10% o al 5% - a seconda dei requisiti posseduti - dei redditi agevolati relativi all’annualità precedente a quella di esercizio dell’opzione. La misura non si applica agli sportivi professionisti.
Il provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate del 3 marzo 2021 ha stabilito che l’opzione per fruire della proroga del regime agevolato è effettuata mediante il versamento, senza possibilità di compensazione, con il modello F24 dell’importo pari al 10% o al 5% dei redditi agevolati relativi all’annualità precedente.
Possono accedere al regime agevolato anche i cittadini italiani non iscritti all’Anagrafe degli italiani residenti all’estero (AIRE) purché, nei due periodi d’imposta precedenti il trasferimento, abbiano risieduto in un altro Stato ai sensi di una convenzione contro le doppie imposizioni sui redditi.
Occorre in questa sede rammentare altresì che l’articolo 44 del decreto-legge n. 78 del 2010 ha introdotto un regime fiscale agevolato e temporaneo in favore dei docenti e ricercatori rientrati in Italia, anch’esso oggetto di modifiche stratificate nel tempo (in particolare con il decreto-legge n. 34 del 2019 e con la legge n. 234 del 2021, legge di bilancio 2022).
L’agevolazione è riconosciuta ai docenti e ai ricercatori che trasferiscono la residenza fiscale in Italia per esercitarvi la propria attività lavorativa Nel periodo d’imposta in cui la residenza viene trasferita e nei successivi 5, gli emolumenti percepiti concorrono alla formazione del reddito di lavoro dipendente o autonomo nella misura del 10% del loro ammontare e sono esclusi dal valore della produzione netta ai fini dell’Irap (riguardo ai lavoratori dipendenti, l’agevolazione Irap spetta ai sostituti d’imposta che erogano le retribuzioni).
Per i docenti e i ricercatori trasferiti in Italia a partire dal 2020, la detassazione è estesa:
§ a 8 periodi d’imposta, in caso di contribuenti con un figlio minorenne o a carico oppure divenuti proprietari di almeno un’unità immobiliare residenziale in Italia dopo il trasferimento o nei 12 mesi precedenti;
§ a 11 periodi d’imposta, in caso di contribuenti con almeno due figli minorenni o a carico;
§ a 13 periodi d’imposta, in caso di contribuenti con almeno tre figli minorenni o a carico.
Può accedere al regime agevolato chi svolge attività di docenza e ricerca in Italia e possiede specifici requisiti: possesso di titolo di studio universitario o a esso equiparato; residenza all’estero non in maniera occasionale; svolgimento all’estero documentata attività di ricerca o docenza per almeno due anni continuativi, presso centri di ricerca pubblici o privati oppure università; acquisizione della residenza fiscale in Italia, da mantenere per tutto il periodo di fruizione dell’agevolazione (in caso di ritrasferimento all’estero, il beneficio viene meno dal periodo d’imposta in cui si perde la residenza fiscale in Italia).
Possono accedere al regime agevolato anche i cittadini italiani non iscritti all’Anagrafe degli italiani residenti all’estero (AIRE) purché, nei due periodi d’imposta precedenti il trasferimento, abbiano risieduto in un altro Stato ai sensi di una convenzione contro le doppie imposizioni sui redditi.
La legge di Bilancio 2022 ha introdotto la possibilità per i docenti e ricercatori di beneficiare, a determinate condizioni, del regime agevolativo loro riservato per ulteriori periodi d’imposta. I docenti e i ricercatori iscritti all’Aire o i cittadini Ue, che hanno trasferito in Italia la residenza prima del 2020 e che, al 31 dicembre 2019, risultavano già beneficiari del regime agevolativo, possono prolungare l’applicazione del regime fino a otto, undici o tredici periodi di imposta complessivi. I contribuenti devono essere diventati proprietari di un’abitazione in Italia successivamente al trasferimento, nei dodici mesi precedenti oppure entro diciotto mesi dalla data di esercizio dell’opzione e/o avere da uno a tre figli minorenni.
In particolare il comma 1 dell’articolo 5 dispone la detassazione Irpef del 50% (più precisamente, la concorrenza alla formazione del reddito complessivo limitatamente al 50 per cento) dei redditi di lavoro dipendente e assimilati, nonché i redditi di lavoro autonomo prodotti in Italia da lavoratori che trasferiscono la residenza nel territorio dello Stato (ai sensi dell’articolo 2 del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, come modificato dall’articolo 1 dello schema in esame, per cui si veda la relativa scheda) entro il limite di 600.000 euro al ricorrere di specifiche condizioni.
§ l’ammontare detassato è abbassato dal 70 al 50 per cento;
§ il regime agevolato, stante la generale disposizione contenuta nell’articolo 5 dello schema sull’attività di impresa trasferita in Italia, si applica solo ai redditi da lavoro dipendente e assimilati, nonché da lavoro autonomo;
§ viene introdotto un limite di reddito pari a 600.000 euro per fruire delle predette agevolazioni.
Le condizioni per l’utilizzo dell’opzione, modificate e maggiormente specificate rispetto al vigente regime, sono le seguenti:
a) i lavoratori non devono essere stati fiscalmente residenti in Italia nei tre periodi d’imposta precedenti il predetto trasferimento, impegnandosi a risiedere fiscalmente nel territorio dello Stato per almeno cinque anni;
b) l’attività lavorativa deve essere svolta nel territorio dello Stato in virtù di un nuovo rapporto di lavoro con un soggetto diverso da quello presso il quale il lavoratore era impiegato all’estero prima del trasferimento nonché da quelli appartenenti al suo stesso gruppo;
c) l’attività lavorativa è prestata per la maggior parte del periodo d’imposta nel territorio dello Stato;
d) i lavoratori sono in possesso dei requisiti di elevata qualificazione o specializzazione come definiti dal decreto legislativo 28 giugno 2012, n. 108 (recante l’attuazione della direttiva 2009/50/CE sulle condizioni di ingresso e soggiorno di cittadini di Paesi terzi che intendano svolgere lavori altamente qualificati) e dal decreto legislativo 9 novembre 2007, n. 206 (recante l’attuazione della direttiva 2005/36/CE relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali, nonché della direttiva 2006/100/CE che adegua determinate direttive sulla libera circolazione delle persone a seguito dell’adesione di Bulgaria e Romania).
Si ricorda che la Circolare 17/E/2017 (par. 3.2) dell’Agenzia delle Entrate ha citato quanto indicato dal decreto legislativo 28 giugno 2012, n. 108, e dal decreto legislativo 9 novembre 2007, n. 206.
Il decreto legislativo 28 giugno 2012, n. 108, il quale, recependo la Direttiva europea n. 2009/50/CE, prevede che il requisito dell’alta specializzazione ricorre nelle ipotesi di:
§ conseguimento di un titolo di istruzione superiore rilasciato da autorità competenti nel Paese dove è stato conseguito che attesti il completamento di un percorso di istruzione superiore di durata almeno triennale e della relativa qualifica professionale superiore, rientrante nei livelli 1 (legislatori, imprenditori e alta dirigenza), 2 (professioni intellettuali, scientifiche e di elevata specializzazione) e 3 (professioni tecniche) della classificazione ISTAT delle professioni CP 2011, attestata dal paese di provenienza e riconosciuta in Italia;
§ possesso dei requisiti previsti dal decreto legislativo 6 novembre 2007, n. 206, limitatamente all’esercizio delle professioni ivi regolamentate.
Ai sensi del comma 2, le agevolazioni si applicano nel periodo di imposta in cui è avvenuto il trasferimento della residenza fiscale nel territorio dello Stato e nei quattro periodi d’imposta successivi.
Non viene riproposto l’allungamento dell’agevolazione previsto per specifiche situazioni relative alla composizione del nucleo familiare, né legate al possesso di immobili sul territorio.
Si decade dall’agevolazione qualora la residenza fiscale in Italia non sia mantenuta per almeno cinque anni consecutivi al trasferimento il lavoratore decade dai benefici; in tal caso, l’Amministrazione finanziaria provvede al recupero di quelli già fruiti, con applicazione dei relativi interessi.
Il comma 3 precisa i destinatari dell’agevolazione, che è limitata ai cittadini italiani iscritti all’Anagrafe degli italiani residenti all’estero (AIRE) per il triennio antecedente al trasferimento (di cui al comma 1, lettera a)) ovvero che abbiano avuto la residenza in un altro Stato ai sensi di una convenzione contro le doppie imposizioni sui redditi.
Il comma 4 dispone che le norme in esame si applicano nel rispetto delle condizioni e dei limiti delle norme sugli aiuti di stato de minimis, sia delle disposizioni generali che delle specifiche norme in tema di agricoltura, pesca e acquacoltura.
Ai sensi del comma 5, le norme in commento si applicano a favore dei soggetti che trasferiscono la residenza fiscale in Italia a decorrere dal periodo d’imposta 2024.
Conseguentemente dall’entrata in vigore delle norme in esame viene abrogata (comma 6) la vigente disciplina dei lavoratori impatriati (articolo 16 del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 147, e articolo 5, commi 2-bis, 2-ter e 2-quater, del decreto-legge 30 aprile 2019, n. 34). Tuttavia, tali disposizioni continuano a trovare applicazione nei confronti dei soggetti che hanno trasferito la loro residenza anagrafica in Italia entro il 31 dicembre 2023 ovvero, per i rapporti di lavoro sportivo, a beneficio di coloro che hanno stipulato il relativo contratto entro la stessa data.
Stante l’abrogazione dell’articolo 16, viene altresì abrogata la maggiorazione dell’agevolazione (prevista dal richiamato articolo, al comma 5-bis) per i lavoratori impatriati che si trasferiscono nelle regioni del Mezzogiorno.
Alla luce della mancata abrogazione delle disposizioni vigenti in materia di rientro di docenti e ricercatori (di cui all’articolo 44 del decreto-legge n. 78 del 2010), unitamente a quanto riferito dal Governo nella relazione illustrativa dello schema in esame, tale disciplina rimane ferma nei termini vigenti.
Si ricorda che il Governo, nel testo della risposta all’interrogazione in Commissione VI Finanze del 24 ottobre 2023 n. 5-01515, ha fornito alcuni dati sui lavoratori dipendenti che hanno usufruito del regime dei lavoratori impatriati secondo la vigente disciplina.
Articolo 6
(Trasferimento in Italia di attività economiche)
L’articolo 6 riduce al 50 per cento le imposte sui redditi e l’Irap gravanti sul reddito di impresa e su quello derivante dall’esercizio di arti e professioni esercitate in forma associata, svolte in un Paese extrauropeo, trasferite nel territorio dello Stato per sei periodi di imposta ovvero dieci se trattasi di grandi imprese.
Sono escluse dall’agevolazione fiscale le attività esercitate nel territorio dello Stato nei 24 mesi antecedenti il loro trasferimento.
L’agevolazione viene meno nel caso di ritrasferimento extraeuropeo dell’attività nei cinque periodi d’imposta successivi alla scadenza del regime di agevolazione.
In particolare l’articolo 6, al comma 1, esenta da Irpef e da Irap il 50% del reddito derivante da attività di impresa e dall’esercizio di arti e professioni esercitate in forma associata, svolte in un Paese estero non appartenente all’Unione europea o allo Spazio economico europeo, trasferite nel territorio dello Stato (più precisamente: tale quota non concorre a formare il reddito imponibile ai fini delle imposte sui redditi e il valore della produzione netta) nel periodo di imposta in corso al momento in cui avviene il trasferimento e nei cinque periodi di imposta successivi.
Il comma 2 esclude dall’agevolazione fiscale le attività esercitate nel territorio dello Stato nei 24 mesi antecedenti il loro trasferimento.
Ai sensi del comma 3, ai fini della determinazione dei redditi agevolabili, il contribuente è tenuto a mantenere separate evidenze contabili idonee a consentire il riscontro della corretta determinazione del reddito e del valore della produzione netta agevolabile.
Al riguardo si valuti l’opportunità di chiarire, eventualmente demandando la relativa specificazione a norme di rango secondario, le modalità con cui i contribuenti sono tenuti a mantenere le separate evidenze contabili necessarie a valersi dell’agevolazione.
Il comma 4 disciplina le ipotesi di decadenza dall’agevolazione, che viene meno nel caso di ritrasferimento estero dell’attività. In particolare, l’agevolazione viene meno se nei cinque periodi d’imposta successivi alla scadenza del regime di agevolazione, ovvero dieci se trattasi di grandi imprese (individuate ai sensi della raccomandazione 2003/361/CE della Commissione del 6 maggio 2023), successivi alla scadenza del regime di agevolazione, il beneficiario trasferisce fuori dal territorio dello Stato, anche parzialmente, le attività oggetto di precedente trasferimento e l’Amministrazione finanziaria recupera nei suoi confronti, con gli interessi, le imposte non pagate durante il regime agevolativo dal quale è decaduto.
Si ricorda che la raccomandazione 2003/361/CE individua i requisiti e le soglie, riferite al numero dei dipendenti e al fatturato, necessarie per individuare le categorie delle microimprese, nonché delle piccole e medie imprese. Stante la lettera della norma in esame, sembra doversi evincere che le “grandi imprese” menzionate dal comma 4 sono quelle diverse da quelle individuate dalla predetta raccomandazione.
La Raccomandazione della Commissione del 6 maggio 2003, n. 2003/361/CE è relativa alla definizione delle microimprese, piccole e medie imprese C(2003) e dispone, in primo luogo, che è impresa ogni entità, a prescindere dalla forma giuridica rivestita, che eserciti un’attività economica.
Definisce poi come PMI, le imprese che occupano meno di 250 persone, il cui fatturato annuo non supera i 50 milioni di euro oppure il cui totale di bilancio annuo non supera i 43 milioni di euro.
In questo ambito:
§ definisce piccola impresa un’impresa che occupa meno di 50 persone e realizza un fatturato annuo o un totale di bilancio annuo non superiori a 10 milioni;
§ definisce micro-impresa un’impresa che occupa meno di 10 persone e realizza un fatturato annuo oppure un totale di bilancio annuo non superiori a 2 milioni.
Il comma 5, con una disposizione di chiusura, subordina l’efficacia delle disposizioni in esame, ai sensi dell’articolo 108, paragrafo 3, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, all’autorizzazione della Commissione europea.
L’articolo 7 individua i termini di decorrenza:
§ delle norme in tema di residenza fiscale delle persone fisiche (articolo 1), prevista a partire dal 1° gennaio 2024;
§ delle disposizioni in tema di residenza fiscale delle persone giuridiche (articolo 2), delle disposizioni in tema di società estere controllate (articolo 3), delle norme quadro sulla concessione degli incentivi fiscali nel rispetto delle disposizioni europee in tema di aiuti di Stato (articolo 4), nonché delle disposizioni in tema di trasferimento in Italia di attività economiche (articolo 6), la cui applicazione è prevista a decorrere dal periodo di imposta successivo a quello di approvazione dello schema in esame, trattandosi di norme potenzialmente riguardanti soggetti passivi il cui esercizio non coincide con l’anno solare.
Per ulteriori informazioni si rinvia alle schede di lettura delle norme suindicate.
Il Capo I del TitoloII schema di decreto legislativo reca le disposizioni generali. In particolare, oltre alle definizioni, per le quali l’articolo 8 rinvia all’Allegato A, sono disciplinati:
- l’oggetto, ovvero le misure comuni per la tassazione effettiva minima dei gruppi multinazionali di imprese e dei gruppi nazionali su larga scala sotto forma di regola di inclusione del reddito e regola sui profitti a bassa imposizione, o attraverso l’applicazione di un’imposta integrativa domestica qualificata (articolo 9);
- l’ambito di applicazione, che viene definito con riferimento alle entità localizzate in uno Stato membro che fanno parte di un gruppo multinazionale di imprese o di un gruppo nazionale su larga scala avente ricavi annui pari o superiori a 750.000.000 euro, ivi compresi i ricavi delle entità escluse, nel bilancio consolidato dell’entità controllante capogruppo in almeno due dei quattro esercizi fiscali immediatamente precedenti l’esercizio fiscale sottoposto a verifica (articolo 10).
- le specifiche esclusioni dall’applicazione della disciplina (articolo 11);
- la localizzazione delle imprese che, conformemente alla direttiva, qualora sia diversa da un’entità fiscalmente trasparente, deve essere localizzata nella giurisdizione ove è considerata residente a fini fiscali, sulla base della sua sede di direzione, della sua sede di costituzione o criteri analoghi, ovvero, nel caso in cui non sia possibile stabilire la localizzazione secondo i criteri sopra esposti, deve essere localizzata nella giurisdizione in cui è stata costituita (articolo 12).
L’articolo 8 rinvia all’allegato A del presente schema per l’applicazione delle definizioni rilevanti.
Al riguardo, la Relazione illustrativa chiarisce che gli articoli 23, 35, 36 e 39 e l’allegato A al decreto legislativo, che ne costituisce parte integrante, recano una lista di definizioni necessarie per la comprensione e l’applicazione delle nuove regole. Con particolare riferimento all’allegato A il Governo fa presente che le definizioni sono riprese sostanzialmente dalla Direttiva e dalle Model Rules OCSE. Tali definizioni rappresentano gli elementi su cui è imperniato l’intero sistema impositivo e sono posti a presidio del suo corretto ed uniforme funzionamento a livello internazionale. Poiché destinate ad essere applicate in relazione a tutti i Paesi in cui i gruppi operano, il Governo rappresenta che queste non possono essere individuate e delineate attraverso semplici richiami a nozioni ed istituti propri dell’ordinamento italiano.
L’articolo 9, all’esplicito scopo di garantire un livello impositivo minimo dei gruppi multinazionali o nazionali di imprese, ai sensi delle regole OCSE e conformemente alle disposizioni della Direttiva 2022/2523 sull’imposizione fiscale minima delle imprese multinazionali, istituisce una imposizione integrativa prelevata attraverso:
a) l’imposta minima integrativa, dovuta da controllanti localizzate in Italia di gruppi multinazionali o nazionali in relazione alle imprese soggette ad una bassa imposizione facenti parte del gruppo;
b) l’imposta minima suppletiva, dovuta da una o più imprese di un gruppo multinazionale localizzate in Italia in relazione alle imprese facenti parte del gruppo soggette ad una bassa imposizione quando non è stata applicata, in tutto o in parte, l’imposta minima integrativa equivalente in altri Paesi;
c) l’imposta minima nazionale, dovuta in relazione alle imprese di un gruppo multinazionale o nazionale soggette ad una bassa imposizione localizzate in Italia.
Si stabilisce che le norme introdotte dal Titolo II dello schema siano interpretate ed applicate secondo le suddette regole OCSE (Tax Challenges Arising from the Digitalisation of the Economy); si affida al Dipartimento finanze del MEF il compito di emanare direttive interpretative e si chiarisce che i concetti e i termini utilizzati nel Titolo in esame siano interpretati coerente con il significato loro attribuito nei principi contabili conformi o autorizzati.
La direttiva (UE) 2022/2523 è volta ad attuare a livello dell’UE la componente relativa all’imposizione minima (secondo pilastro) della riforma in materia di tassazione internazionale dell’OCSE. Il termine di recepimento della direttiva scade il 31 dicembre 2023.
A tale fine il 22 dicembre 2021 la Commissione Europea aveva presentato una proposta di direttiva volta a garantire un’aliquota fiscale minima effettiva per le attività dei grandi gruppi multinazionali. La proposta ricalcava il richiamato Accordo internazionale raggiunto in sede OCSE/G20 (Tax Challenges Arising from the Digitalisation of the Economy – Global AntiBase Erosion Model Rules (Pillar Two)) e determinava le modalità tramite le quali i principi dell’aliquota fiscale effettiva del 15%, c.d. global minimum tax, avrebbero dovuto essere applicati con correttezza e coerenza in tutta l’UE.
Sul punto si ricorda, come anticipato, che l’8 ottobre 2021 quasi 140 Paesi del quadro inclusivo dell’OCSE/G20 sull’erosione della base imponibile e il trasferimento degli utili (Base Erosion and Profit Shifting -BEPS) hanno raggiunto un accordo sulla riforma della tassazione internazionale, nonché su un piano di attuazione dettagliato. La riforma delle norme in materia di tassazione internazionale delle società consiste di due pilastri. Il primo pilastro riguarda il nuovo sistema di attribuzione dei diritti di imposizione delle maggiori imprese multinazionali alle giurisdizioni in cui sono realizzati gli utili.
Il secondo pilastro comprende norme volte a ridurre le possibilità di erosione della base imponibile e di trasferimento degli utili, attraverso l’imposizione minima effettiva, affinché i maggiori gruppi multinazionali di imprese versino un’aliquota minima di imposta sulle società. A livello giuridico questo pilastro è ora sancito nella direttiva dell’UE sopra richiamata, adottata all’unanimità con il voto favorevole di tutti gli Stati membri.
Il secondo pilastro si fonda principalmente su due regole da applicare nel diritto interno (regole GloBE - Global anti-Base Erosion rules):
i) la regola dell’inclusione del reddito (Income Inclusion Rule-IIR), in base alla quale la società madre di un gruppo multinazionale è assoggettata a un’imposta complementare in ragione della bassa imposizione cui sono soggette le sue entità costitutive;
ii) la regola sui profitti a bassa imposizione (undertaxed profit rule- UTPR), con la quale un’entità costitutiva di un gruppo multinazionale di imprese ha un onere fiscale supplementare, pari alla sua quota di imposta integrativa che non è stata applicata nell’ambito dell’IIR per le entità costitutive a bassa imposizione del gruppo.
Nel considerando n. 5 della direttiva quanto sopra esposto viene così sintetizzato: è necessario stabilire norme al fine di istituire un quadro di riferimento efficiente e coerente per un livello di imposizione minimo globale a livello dell’Unione. Tale quadro di riferimento istituisce un sistema di due regole intrecciate, congiuntamente denominate anche «norme GloBE», attraverso le quali si dovrebbe riscuotere un importo integrativo d’imposta (c.d. imposta integrativa) ogniqualvolta l’aliquota effettiva d’imposta di un gruppo multinazionale di imprese in un dato Paese sia inferiore al 15 %. In tali casi la giurisdizione dovrebbe essere considerata a bassa imposizione. Nell’ambito di tale sistema, l’entità controllante di un gruppo multinazionale di imprese localizzata in uno Stato membro dovrebbe avere l’obbligo di applicare l’IIR alla sua quota di imposta integrativa relativa a ogni entità del gruppo a bassa imposizione, sia tale entità localizzata nell’Unione o al di fuori di essa. L’UTPR dovrebbe fungere da sostegno all’IIR attraverso una reimputazione di un eventuale importo residuo dell’imposta integrativa, nei casi in cui le entità controllanti non abbiano potuto riscuotere l’intero importo dell’imposta integrativa relativa alle entità a bassa imposizione attraverso l’IIR.
In merito all’importanza dell’Accordo raggiunto in sede OCSE, la rivista online dell’Agenzia delle entrate, Fiscooggi, sottolinea come la portata storica consista nell’ampia adesione, quasi unanime, dei 140 Paesi che da anni siedono al tavolo dei lavori, provenienti da tradizioni fiscali e sistemi economici profondamente diversi e in competizione tra loro, dagli Stati Uniti all’Europa, a Cina, India, Hong Kong, Singapore, ma anche Australia, Regno Unito, Svizzera, un gran numero di Paesi africani, dell’area caraibica e dell’America latina. L’accordo intende portare alla condivisione di alcune regole comuni in gran parte del mercato globale dove è generato il 90% del PIL mondiale.
Tali regole hanno l’effetto di introdurre un’imposta complementare corrispondente al livello minimo, con riferimento a un’aliquota effettiva d’imposta calcolata su una base giurisdizionale e avvalendosi di definizioni comuni riguardo alle imposte contemplate e alla base imponibile, determinata con riferimento all’utile contabile. Esse si applicano alle imprese multinazionali che presentano un fatturato minimo di 750 milioni di euro nei conti finanziari. L’aliquota d’imposta minima di riferimento, sia per l’IIR, che per l’UTPR, è pari al 15 % ed è volta a contrastare le pratiche fiscali che mirano a trasferire gli utili verso giurisdizioni con livello di tassazione basso. Le regole GloBE prevedono inoltre un’esclusione de minimis per le giurisdizioni in cui l’impresa multinazionale realizza un fatturato inferiore a 10 milioni di euro e utili inferiori a 1 milione di euro.
Nel considerando n. 18 della direttiva, a tale proposito, si legge che i summenzionati gruppi multinazionali di imprese e gruppi nazionali per cui vale l’esenzione de minimis dovrebbero versare un’imposta integrativa anche se la loro aliquota effettiva d’imposta è inferiore all’aliquota minima d’imposta in detta giurisdizione. Secondo le stime dell’OCSE le entrate fiscali aggiuntive che dovrebbero prodursi grazie al meccanismo dovrebbero ammontare a circa 150 miliardi di dollari ogni anno.
Con riferimento al contenuto delle disposizioni della direttiva, il Capo I reca le seguenti disposizioni generali:
§ l’oggetto, ovvero le misure comuni per la tassazione effettiva minima dei gruppi multinazionali di imprese e dei gruppi nazionali su larga scala sotto forma di regola di inclusione del reddito e regola sui profitti a bassa imposizione, o attraverso l’applicazione di un’imposta integrativa domestica qualificata (articolo 1);
§ l’ambito di applicazione, che viene definito con riferimento alle entità localizzate in uno Stato membro che fanno parte di un gruppo multinazionale di imprese o di un gruppo nazionale su larga scala avente ricavi annui pari o superiori a 750.000.000 euro, ivi compresi i ricavi delle entità escluse, nel bilancio consolidato dell’entità controllante capogruppo in almeno due dei quattro esercizi fiscali immediatamente precedenti l’esercizio fiscale sottoposto a verifica (articolo 2). La direttiva reca altresì le specifiche esclusioni;
§ le definizioni (articolo 3);
§ la localizzazione di un’entità costitutiva che, secondo la direttiva, qualora sia diversa da un’entità fiscalmente trasparente, deve essere localizzata nella giurisdizione ove è considerata residente a fini fiscali, sulla base della sua sede di direzione, della sua sede di costituzione o criteri analoghi, ovvero, nel caso in cui non sia possibile stabilire la localizzazione secondo i criteri sopra esposti, deve essere localizzata nella giurisdizione in cui è stata costituita (articolo 4).
Il Capo II definisce le modalità di applicazione della disciplina, ovvero del calcolo, delle regole IIR e UTPR.
Nel considerando n. 12 si rappresenta, a tale proposito, che l’aliquota minima d’imposta del 15% concordata dal quadro inclusivo dell’OCSE/G20 sulla BEPS rispecchia un equilibrio fra le aliquote d’imposta sulle società a livello mondiale. Pertanto, nei casi in cui l’aliquota effettiva d’imposta di un gruppo multinazionale di imprese sia inferiore all’aliquota minima d’imposta in una data giurisdizione, l’imposta integrativa dovrebbe essere imputata alle entità del gruppo multinazionale di imprese che sono soggette a pagare l’imposta secondo l’applicazione dell’IIR e dell’UTPR, al fine di soddisfare l’aliquota effettiva minima concordata a livello globale del 15 %. Nei casi in cui l’aliquota effettiva d’imposta di un gruppo nazionale su larga scala sia inferiore all’aliquota minima d’imposta, l’entità controllante capogruppo dovrebbe applicare l’IIR alle sue entità costitutive a bassa imposizione, al fine di garantire che tale gruppo sia soggetto all’aliquota effettiva minima d’imposta del 15 %. In pratica, gli Stati membri sono tenuti a garantire, in base all’articolo 5, che un’entità controllante capogruppo che è un’entità costitutiva localizzata in uno Stato membro sia assoggettata all’imposta integrativa IIR per l’esercizio fiscale per le sue entità costitutive a bassa imposizione localizzate in un’altra giurisdizione o apolidi. A tale obbligo sono tenuti, altresì, un’entità controllante intermedia nell’Unione (articolo 6), un’entità controllante intermedia localizzata nell’Unione e detenuta da un’entità controllante capogruppo che è un’entità esclusa (articolo 7) e un’entità controllante parzialmente partecipata nell’Unione (articolo 8). L’imposta integrativa IIR dovuta da un’entità controllante per un’entità costitutiva a bassa imposizione è uguale all’imposta integrativa (top-up tax) dell’entità costitutiva a bassa imposizione, calcolata secondo i valori dalla direttiva in commento, moltiplicata per la quota imputabile dell’entità controllante nell’imposta integrativa per l’esercizio fiscale.
La quota imputabile dell’entità controllante nell’imposta integrativa per un’entità costitutiva a bassa imposizione è proporzionale alla partecipazione dell’entità controllante nel reddito qualificante dell’entità costitutiva a bassa imposizione. Tale proporzione è pari al reddito qualificante dell’entità costitutiva a bassa imposizione per l’esercizio fiscale, ridotto dell’importo di tale reddito attribuibile a partecipazioni detenute da altri proprietari, diviso per il reddito qualificante dell’entità costitutiva a bassa imposizione per l’esercizio fiscale (articolo 9). L’IIR si applica dall’alto verso il basso, il che significa che è applicata dall’entità che si trova al vertice della catena di proprietà del gruppo multinazionale di imprese, o in prossimità di esso, che di norma è l’entità controllante capogruppo.
Tuttavia, nel caso in cui l’entità controllante capogruppo non applichi l’IIR, le entità controllanti intermedie situate sotto l’entità controllante capogruppo nella catena di proprietà e localizzate nell’Unione dovrebbero avere l’obbligo, nell’ambito della presente direttiva, di applicare l’IIR fino alla loro quota imputabile dell’imposta integrativa. Ove l’entità controllante intermedia tenuta ad applicare l’IIR non detenga una partecipazione di controllo su un’altra entità controllante intermedia, l’IIR dovrebbe essere applicata dalla prima entità controllante intermedia.
È previsto, all’articolo 10, anche un meccanismo di compensazione dell’IIR nel caso in cui un’entità controllante localizzata in uno Stato membro detenga una partecipazione in un’entità costitutiva a bassa imposizione indirettamente attraverso un’entità controllante intermedia o un’entità controllante parzialmente partecipata assoggettata a un’IIR qualificata per l’esercizio fiscale.
Gli Stati membri possono scegliere, inoltre, anche di applicare un’imposta integrativa domestica, qualificata in base alla quale l’imposta integrativa è calcolata e versata sugli utili in eccesso di tutte le entità costitutive a bassa imposizione localizzate nella loro giurisdizione conformemente alla presente direttiva. In particolare, se uno Stato membro in cui sono localizzate le entità costitutive di un gruppo multinazionale di imprese o di un gruppo nazionale su larga scala sceglie di applicare un’imposta integrativa domestica qualificata, tutte le entità costitutive a bassa imposizione del gruppo multinazionale di imprese o del gruppo nazionale su larga scala in tale Stato membro sono assoggettate a tale imposta integrativa domestica per l’esercizio fiscale (articolo 11).
Gli articoli 12 e 13 disciplinano rispettivamente l’applicazione dell’UTPR all’intero gruppo multinazionale di imprese o nella giurisdizione di un’entità controllante capogruppo. Nello specifico, se l’entità controllante capogruppo di un gruppo multinazionale di imprese è localizzata nella giurisdizione di un paese terzo che non applica un’IIR qualificata o se l’entità controllante capogruppo di un gruppo multinazionale di imprese è un’entità esclusa, gli Stati membri garantiscono che le entità costitutive localizzate nell’Unione siano soggette, nello Stato membro in cui sono localizzate, a un aggiustamento pari all’importo dell’imposta integrativa UTPR imputato a tale Stato membro per l’esercizio fiscale. Tale aggiustamento può assumere la forma di un’imposta integrativa dovuta da tali entità costitutive o di una negazione della deduzione dal reddito imponibile di tali entità costitutive che risulti in un importo di debito d’imposta necessario per riscuotere l’importo dell’imposta integrativa UTPR imputato a tale Stato membro (articolo 12). Mentre se l’entità controllante capogruppo di un gruppo multinazionale di imprese è localizzata nella giurisdizione di un paese terzo a bassa imposizione, gli Stati membri garantiscono che le entità costitutive localizzate nell’Unione siano soggette, nello Stato membro in cui sono localizzate, a un aggiustamento pari all’importo dell’imposta integrativa UTPR imputato a tale Stato membro per l’esercizio fiscale, da realizzarsi con le stesse modalità sopra descritte ovvero attraverso un’imposta negativa o con la negazione della deduzione dal reddito imponibile (articolo 13).
L’UTPR imputa un’imposta integrativa alle giurisdizioni sulla base di una formula di imputazione basata su due fattori: il valore contabile delle attività materiali nella giurisdizione e il numero di dipendenti nella giurisdizione (articolo 14). In particolare, nei casi in cui l’entità controllante capogruppo è situata al di fuori dell’UE in una giurisdizione che non applica un’IIR qualificata, tutte le sue entità costitutive in giurisdizioni con un quadro UTPR adeguato sono soggette all’UTPR. In questo caso, le entità costitutive situate in uno Stato membro si ripartiranno, e dovranno versare nel loro Stato membro, una quota dell’imposta integrativa connessa alle controllate a bassa imposizione del gruppo multinazionale di imprese. Ai fini del calcolo dell’imposta integrativa si tiene in considerazione il reddito o la perdita qualificante. Il reddito o la perdita qualificante di un’entità costitutiva sono calcolati apportando specifici aggiustamenti (di cui agli articoli da 16 a 19) al valore contabile netto del reddito o della perdita dell’entità costitutiva per l’esercizio fiscale, prima di eventuali aggiustamenti di consolidamento per eliminare le operazioni infragruppo, come stabilito in base al principio contabile utilizzato nell’elaborazione del bilancio consolidato dell’entità controllante capogruppo (articolo 15).
Nel Capo III, come sopra anticipato, sono indicate le modalità di determinazione del reddito o della perdita qualificante (articolo 15) nonché gli aggiustamenti intesi a determinare il reddito o la perdita qualificante (articoli da 16 a 19). In particolare, la direttiva stabilisce che il reddito o la perdita qualificante di un’entità costitutiva sono calcolati apportando gli aggiustamenti di cui agli articoli da 16 a 19 al valore contabile netto del reddito o della perdita dell’entità costitutiva per l’esercizio fiscale prima di eventuali aggiustamenti di consolidamento per eliminare le operazioni infragruppo, come stabilito in base al principio contabile utilizzato nell’elaborazione del bilancio consolidato dell’entità controllante capogruppo. L’articolo 17 prevede, inoltre, che il reddito del trasporto marittimo internazionale e il reddito accessorio qualificato del trasporto marittimo internazionale di un’entità costitutiva sono esclusi dal calcolo del reddito o della perdita qualificante, a condizione che l’entità costitutiva dimostri che la gestione strategica o commerciale di tutte le navi interessate è effettivamente esercitata all’interno della giurisdizione in cui l’entità costitutiva è localizzata.
Nel considerando n.17 si rileva che a causa della natura altamente volatile e del ciclo economico lungo del settore del trasporto marittimo, questo è tradizionalmente assoggettato a regimi fiscali alternativi o integrativi negli Stati membri. Per evitare di compromettere le motivazioni strategiche e consentire agli Stati membri di continuare ad applicare un trattamento fiscale specifico al settore del trasporto marittimo in linea con le pratiche internazionali e le norme in materia di aiuti di Stato, il reddito del trasporto marittimo dovrebbe anch’esso essere escluso dal sistema.
Il Capo IV definisce il calcolo delle imposte rilevanti aggiustate di un’entità costitutiva.
In particolare l’articolo 20 stabilisce che le imposte rilevanti di un’entità costitutiva comprendono:
§ le imposte registrate nella contabilità finanziaria di un’entità costitutiva per quanto riguarda il suo reddito o i suoi utili, o la sua quota del reddito o degli utili di un’entità costitutiva in cui possiede una partecipazione;
§ le imposte sugli utili distribuiti, sulle presunte distribuzioni di utili e sulle spese estranee all’attività d’impresa assoggettate a imposizione nell’ambito di un regime di imposizione delle distribuzioni ammissibile; le imposte applicate in luogo di un’imposta sul reddito delle società di applicazione generale;
§ le imposte prelevate con riferimento agli utili non distribuiti e al patrimonio, comprese le imposte su più componenti basate sul reddito e sul patrimonio.
Le imposte rilevanti di un’entità costitutiva non comprendono:
§ l’imposta integrativa maturata da un’entità controllante in base a un’IIR qualificata;
§ l’imposta integrativa maturata da un’entità costitutiva nell’ambito di un’imposta integrativa domestica qualificata; e imposte attribuibili a un aggiustamento effettuato da un’entità costitutiva a seguito dell’applicazione di un’UTPR qualificata;
§ l’imposta di imputazione rimborsabile non qualificata; le imposte versate da una impresa di assicurazioni in relazione ai rendimenti degli assicurati.
Gli articoli 21 e 22 definiscono rispettivamente l’aggiustamento delle imposte rilevanti di un’entità costitutiva per un esercizio fiscale, attraverso l’elencazione delle maggiorazioni e delle riduzioni delle imposte rilevanti nonché l’importo totale degli aggiustamenti relativi alla fiscalità differita. Il successivo articolo 23 prevede, invece, un regime opzionale della perdita qualificante che, in deroga all’articolo 22, riconosce a un’entità costitutiva che presenta la dichiarazione la possibilità di optare per una perdita qualificante per una giurisdizione in base alla quale è determinata un’attività fiscale differita relativa a una perdita qualificante per ciascun esercizio fiscale in cui vi è una perdita netta qualificante in tale giurisdizione. A tal fine l’attività fiscale differita relativa a una perdita qualificante è pari alla perdita netta qualificante per un esercizio fiscale per la giurisdizione moltiplicata per l’aliquota minima d’imposta. La direttiva prevede comunque la possibilità di aggiustamenti successivi alla presentazione della dichiarazione e di variazioni dell’aliquota fiscale (articolo 25).
Nel Capo V sono indicate le specifiche modalità di calcolo dell’aliquota effettiva d’imposta (articolo 26), dell’imposta integrativa (articolo 27) e dell’imposta integrativa aggiuntiva (articolo 29). L’articolo 28 prevede, invece, un’esclusione del reddito in base alla sostanza in funzione dei costi salariali e delle attività materiali.
Tale disposizione è così commentata nel considerando n.14: per garantire un approccio proporzionato, la direttiva dovrebbe tener conto di alcune situazioni specifiche nelle quali i rischi di BEPS sono ridotti. Dovrebbe quindi prevedere un’esclusione del reddito in base alla sostanza fondata sui costi associati ai dipendenti e al valore delle attività materiali in una data giurisdizione.
Come sopra anticipato viene altresì prevista un’esclusione de minimis. L’articolo 30, infatti, stabilisce che in deroga agli articoli da 26 a 29, a scelta dell’entità costitutiva che presenta la dichiarazione, l’imposta integrativa dovuta dalle entità costitutive localizzate in una giurisdizione è pari a zero per un dato esercizio fiscale se, per tale esercizio fiscale:
§ i ricavi qualificanti medi di tutte le entità costitutive localizzate in tale giurisdizione sono inferiori a 10.000.000 di euro;
§ il reddito qualificante medio o la perdita qualificante media di tutte le entità costitutive in detta giurisdizione è una perdita o è inferiore a 1.000.000 di euro. La scelta è effettuata con cadenza annuale.
L’articolo 31 fornisce la definizione di entità costitutive partecipate in via minoritaria e indica le modalità di calcolo della relativa aliquota effettiva d’imposta e dell’imposta integrativa. L’articolo 32 prevede che in deroga agli articoli da 26 a 31, gli Stati membri provvedono affinché, a scelta dell’entità costitutiva che presenta la dichiarazione, l’imposta integrativa dovuta da un gruppo in una giurisdizione sia considerata pari a zero per un esercizio fiscale se il livello effettivo di imposizione delle entità costitutive localizzate in detta giurisdizione soddisfa le condizioni di un accordo internazionale qualificante sui porti sicuri ove per accordo internazionale qualificante sui porti sicuri si intende un insieme di norme e condizioni a cui tutti gli Stati membri hanno acconsentito e che concede ai gruppi che rientrano nell’ambito di applicazione della presente direttiva la possibilità di scegliere di beneficiare di uno o più porti sicuri per una giurisdizione.
Il Capo VI reca norme speciali per la ristrutturazione di imprese e per le strutture di holding. In particolare vengono definite le modalità di raggiungimento della soglia dei ricavi consolidati alle fusioni e alle scissioni di gruppi (articolo 33) stabilendo che:
§ nel caso in cui due o più gruppi si fondano per costituire un unico gruppo in uno degli ultimi quattro esercizi fiscali consecutivi immediatamente precedenti l’esercizio fiscale sottoposto a verifica, si ritiene che la soglia dei ricavi consolidati del gruppo multinazionale di imprese o del gruppo nazionale su larga scala sia raggiunta per un qualsiasi esercizio fiscale che precede la fusione se la somma dei ricavi inclusi nei rispettivi bilanci consolidati per detto esercizio fiscale è pari o superiore a 750.000.000 euro; - se un’entità che non fa parte del gruppo (c.d. entità target) si fonde con un’entità o gruppo (c.d. entità acquirente) nell’esercizio fiscale sottoposto a verifica e l’entità target o l’entità acquirente non dispone di bilanci consolidati negli ultimi quattro esercizi fiscali consecutivi immediatamente precedenti l’esercizio fiscale sottoposto a verifica, si ritiene che la soglia dei ricavi consolidati del gruppo multinazionale di imprese o del gruppo nazionale su larga scala sia raggiunta per tale esercizio se la somma dei ricavi inclusi nei rispettivi bilanci o bilanci consolidati per detto esercizio fiscale è pari o superiore a 750.000.000 euro.
Se un unico gruppo multinazionale di imprese o gruppo nazionale su larga scala rientrante nell’ambito di applicazione della direttiva si scinde in due o più gruppi (ciascuno un gruppo scisso), si ritiene che la soglia dei ricavi consolidati sia raggiunta da un gruppo scisso se:
§ per quanto riguarda il primo esercizio fiscale sottoposto a verifica che termina dopo la scissione, il gruppo scisso ha ricavi annui pari o superiori a 750.000.000 euro in tale esercizio fiscale;
§ per quanto riguarda gli esercizi fiscali dal secondo al quarto che terminano dopo la scissione, il gruppo scisso ha ricavi annui pari o superiori a 750.000.000 euro in almeno due di tali esercizi fiscali.
Vengono calcolate l’aliquota effettiva d’imposta e l’imposta integrativa in caso di entità costitutive che entrano nel gruppo multinazionale di imprese o nel gruppo nazionale su larga scala o ne escono (articolo 34). La norma chiarisce che se un’entità (entità target) diventa o cessa di essere un’entità costitutiva di un gruppo multinazionale di imprese o di un gruppo nazionale su larga scala in conseguenza di un trasferimento diretto o indiretto di partecipazione nell’entità target o se l’entità target diventa l’entità controllante capogruppo di un nuovo gruppo durante un dato esercizio fiscale (c.d. esercizio di acquisizione), l’entità target è considerata parte del gruppo multinazionale di imprese o del gruppo nazionale su larga scala ai fini della presente direttiva, a condizione che una parte delle sue attività, passività, reddito, spese e flussi di 116 cassa sia inclusa voce per voce nel bilancio consolidato dell’entità controllante capogruppo nell’esercizio di acquisizione. Vengono altresì fornite, ai fini dell’applicazione della disciplina in esame, le definizioni di trasferimento di attività e passività (articolo 35), di joint venture (articolo 36), di gruppi multinazionali di imprese a controllante multipla (articolo 37).
Il Capo VII definisce i regimi di neutralità fiscale e di imposizione delle distribuzioni. In sintesi, vengono indicati i casi in cui:
§ il reddito qualificante di un’entità fiscalmente trasparente che è un’entità controllante capogruppo è ridotto, per l’esercizio fiscale, dell’importo del reddito qualificante attribuibile al titolare di una partecipazione (c.d. titolare della partecipazione) nell’entità fiscalmente trasparente (articolo 38);
§ l’entità controllante capogruppo di un gruppo multinazionale di imprese o di un gruppo nazionale su larga scala assoggettata a un regime di dividendi deducibili riduce, fino a un minimo di zero, per l’esercizio fiscale, il proprio reddito qualificante dell’importo distribuito come dividendo deducibile entro 12 mesi dalla fine dell’esercizio fiscale (articolo 39). Sono altresì definiti:
§ i regimi di imposizione delle distribuzioni ammissibili in quanto un’entità costitutiva che presenta la dichiarazione può scegliere, per sé stessa o nei confronti di un’altra entità costitutiva assoggettata a un regime di imposizione delle distribuzioni ammissibile, di includere l’importo determinato come imposta sulla distribuzione presunta nelle imposte rilevanti aggiustate dell’entità costitutiva per l’esercizio fiscale. La scelta è effettuata con cadenza annuale (articolo 40);
§ l’aliquota effettiva d’imposta e dell’imposta integrativa di un’entità d’investimento (articolo 41), prevedendo, tra l’altro, che: o se l’entità costitutiva di un gruppo multinazionale di imprese o di un gruppo nazionale su larga scala è un’entità d’investimento che non è un’entità fiscalmente trasparente e che non ha effettuato una scelta a norma degli articoli 42 e 43, l’aliquota effettiva d’imposta di tale entità d’investimento è calcolata separatamente dall’aliquota effettiva d’imposta della giurisdizione in cui è localizzata; o l’imposta integrativa di un’entità d’investimento è un importo pari alla percentuale di imposta integrativa dell’entità d’investimento moltiplicata per un importo pari alla differenza tra la quota imputabile del gruppo multinazionale di imprese o del gruppo nazionale su larga scala nel reddito qualificante dell’entità d’investimento e l’esclusione del reddito in base alla sostanza calcolata per l’entità d’investimento;
§ la scelta di considerare un’entità d’investimento come un’entità fiscalmente trasparente (articolo 42), in quanto, a scelta dell’entità costitutiva che presenta la dichiarazione, un’entità costitutiva che è un’entità d’investimento o un’entità di investimento assicurativo può essere considerata come un’entità fiscalmente trasparente se l’entità costitutiva proprietaria è assoggettata a imposizione nella giurisdizione in cui è localizzata in base a un valore di mercato equo o a un regime analogo basato sulle variazioni annuali del valore equo delle sue partecipazioni in tale entità e l’aliquota d’imposta applicabile all’entità costitutiva proprietaria su tale reddito è pari o superiore all’aliquota minima d’imposta;
§ la scelta di applicare un metodo di distribuzione imponibile (43), in quanto, a scelta dell’entità costitutiva che presenta la dichiarazione, l’entità costitutiva proprietaria di un’entità d’investimento può applicare un metodo di distribuzione imponibile per quanto riguarda la sua partecipazione nell’entità d’investimento, a condizione che l’entità costitutiva proprietaria non sia un’entità d’investimento e si possa ragionevolmente prevedere che sia assoggettata a imposizione sulle distribuzioni dell’entità d’investimento ad un’aliquota d’imposta pari o superiore all’aliquota minima.
Il Capo VIII reca disposizioni amministrative in merito agli obblighi di dichiarazione (articolo 44), alle scelte che può effettuare l’entità costitutiva che presenta la dichiarazione (articolo 45), nonché alle sanzioni (articolo 46). In particolare, in merito alle sanzioni, si prevede che gli Stati membri stabiliscono le norme relative alle sanzioni applicabili in caso di violazione delle disposizioni nazionali adottate a norma della presente direttiva, comprese quelle riguardanti l’obbligo di un’entità costitutiva di dichiarare e versare la propria quota di imposta integrativa o di avere un onere fiscale supplementare, e adottano tutte le misure necessarie per assicurarne l’applicazione. Le sanzioni previste devono essere effettive, proporzionate e dissuasive.
Il Capo IX detta le norme transitorie sul trattamento fiscale di attività fiscali differite, passività fiscali differite e attività trasferite nel periodo di transizione (articolo 47) e sull’esenzione transitoria per l’esclusione del reddito in base alla sostanza (articolo 48). Su quest’ultimo punto si segnala che le regole GloBE prevedono eccezioni fondate sul criterio della sostanza e basate su una formula che esclude un importo di reddito corrispondente a una percentuale fissa (5%) del valore netto contabile delle attività materiali e del valore della massa salariale. Per i primi dieci anni, una regola transitoria prevede che tale esclusione legata alla sostanza scatti dall’8% del valore contabile delle attività materiali e dal 10% della massa salariale. Per le attività materiali, l’aliquota diminuirà quindi annualmente dello 0,2% per i primi cinque anni e dello 0,4% per il rimanente periodo. Per quanto riguarda la massa salariale, l’aliquota diminuirà annualmente dello 0,2% per i primi cinque anni e dello 0,8% per il rimanente periodo.
Viene altresì disciplinata la fase iniziale dell’esclusione dall’IIR e dall’UTPR dei gruppi multinazionali di imprese e dei gruppi nazionali su larga scala (articolo 49). Come auspicato nel considerando n.14, infatti, si tiene in considerazione il caso specifico dei gruppi multinazionali di imprese che si trovano nella fase iniziale della loro attività internazionale, al fine di non scoraggiare lo sviluppo delle attività transfrontaliere dei gruppi multinazionali di imprese che traggono vantaggio della bassa imposizione nella propria giurisdizione nazionale ove operano in modo predominante. Pertanto, le attività nazionali a basso tasso di imposizione di tali gruppi multinazionali dovrebbero essere escluse dall’applicazione delle regole per un periodo transitorio di cinque anni, a condizione che il gruppo multinazionale di imprese non abbia entità costitutive in più di sei giurisdizioni. Al fine di garantire la parità di trattamento ai gruppi nazionali su larga scala, il reddito derivato dalle attività di tali gruppi dovrebbe anch’esso essere escluso per un periodo transitorio di cinque anni.
La normativa riconosce agli Stati membri anche la possibilità di un’applicazione differita dell’IIR e dell’UTPR (articolo 50). Nello gli Stati membri in cui sono localizzate non più di dodici entità controllanti capogruppo di gruppi che rientrano nell’ambito di applicazione della presente direttiva possono scegliere di non applicare l’IIR e l’UTPR per sei esercizi finanziari consecutivi che iniziano a decorrere dal 31 dicembre 2023. Gli Stati membri che effettuano tale scelta ne informano la Commissione entro il 31 dicembre 2023. Se, tuttavia, l’entità controllante capogruppo di un gruppo multinazionale di imprese è localizzata in uno Stato membro che ha effettuato la scelta dell’applicazione differita, gli Stati membri diversi da quello in cui è localizzata l’entità controllante capogruppo provvedono affinché le entità costitutive di tale gruppo multinazionale siano soggette, nello Stato membro in cui sono localizzate, all’importo dell’imposta integrativa UTPR assegnato a tale Stato membro per gli esercizi finanziari che iniziano a decorrere dal 31 dicembre 2023.
Il Capo X reca le disposizioni finali. Tra queste, si segnala l’articolo 56 che disciplina il recepimento della normativa, stabilendo che gli Stati membri mettono in vigore le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla presente direttiva entro il 31 dicembre 2023. Sono tenuti altresì a comunicare immediatamente alla Commissione il testo di tali norme e applicano le disposizioni in relazione agli esercizi fiscali che iniziano a decorrere dal 31 dicembre 2023. Tuttavia, ad eccezione della norma di cui all’articolo 50, paragrafo 2, essi applicano le disposizioni necessarie per conformarsi agli articoli 12, 13 e 14 in relazione agli esercizi fiscali che iniziano a decorrere dal 31 dicembre 2024.
Al riguardo, occorre segnalare che le norme in esame sono state in pubblica consultazione sul sito del Dipartimento delle Finanze del MEF, con una presentazione di accompagnamento.
Il Governo ha chiarito in tale sede che le regole prevedono l’applicazione di un’imposizione integrativa (c.d. Top-Up Tax) dovuta nel caso in cui l’aliquota effettiva (Effective Tax rate – ETR) calcolata per ciascun Paese secondo le regole comuni sia inferiore al 15 per cento, fino a raggiungere tale livello.
L’ETR è pari al rapporto tra le imposte pagate (con aggiustamenti) e l’utile contabile (con aggiustamenti). Tanto il calcolo dell’aliquota effettiva applicata che dell’imposta integrativa avvengono su base giurisdizionale.
Il meccanismo di funzionamento dell’imposta integrativa poggia su due regole interconnesse:
§ una regola primaria (c.d. Income Inclusion Rule - IIR), applicata a livello della capogruppo (o partecipante) in relazione alle controllate (o partecipate) che subiscono una bassa imposizione;
§ una regola secondaria (Undertaxed Profits Rule - UTPR), che si attiva laddove la regola primaria non sia stata applicata e opera a livello delle imprese del gruppo multinazionale localizzate in Paesi che adottano le regole GloBE con riferimento alle imprese del gruppo che registrano un livello di imposizione effettiva inferiore al 15 per cento.
Si prevede, inoltre, la facoltà di introdurre una disposizione interna (c.d. “Qualified Domestic Minimum Top-Up Tax”) secondo cui la tassazione integrativa è applicata alle imprese del gruppo situate nel Paese in cui si verifica una sotto-imposizione, fino al raggiungimento dell’aliquota minima effettiva del 15 per cento.
Questa facoltà è finalizzata a consentire che l’imposizione integrativa sia riscossa nel Paese in cui si è verificato un basso livello d’imposizione, evitando che tutta l’imposta sia prelevata nel Paese di localizzazione della partecipante diretta o indiretta.
In tal caso, la partecipante che applica l’Income Inclusion Rule è obbligata a tenere conto dell’applicazione di questa imposta nazionale ai fini del calcolo dell’imposizione integrativa dovuta. Il design del sistema prevede la seguente sequenza di applicazione:
§ imposizione integrativa da parte del Paese in cui le imprese del gruppo multinazionale scontano una bassa imposizione, se tale Paese sceglie di introdurre una imposta minima nazionale qualificata (c.d. Qualified Domestic Minimum Top-Up Tax);
§ imposizione integrativa da parte del Paese di localizzazione della partecipante diretta o indiretta, tenendo conto di quanto eventualmente prelevato attraverso una imposta minima nazionale (c.d. Income Inclusion Rule);
§ imposizione integrativa (attraverso diniego del diritto a deduzione o equivalente debito d’imposta addizionale) da parte dei Paesi che adottano le regole GloBE, in cui il gruppo multinazionale è presente con altre imprese, nelle ipotesi in cui l’imposizione integrativa dovuta in relazione alle imprese del gruppo soggette a bassa imposizione non è stata prelevata (o è stata prelevata solo in parte) attraverso la Income Inclusion Rule.
L’allocazione di tale importo di imposizione integrativa avviene sulla base del valore dei fattori di produzione rappresentati da asset materiali e personale (c.d. Undertaxed Profits Rule). Il sistema, infine, contempla due elementi importanti che mitigano considerevolmente l’imposizione integrativa dovuta dai gruppi multinazionali:
§ l’esclusione del reddito derivante dallo svolgimento di un’attività economica sostanziale (c.d. Substance-based Income Exclusion);
§ i crediti d’imposta rimborsabili qualificati (c.d. Qualified refundable tax credit).
Riguardo al primo elemento, occorre tener conto che l’imposizione integrativa dovuta complessivamente da una multinazionale è calcolata per ciascun Paese in cui sono presenti le imprese del gruppo. In particolare, l’ammontare di imposizione integrativa si ottiene applicando il differenziale percentuale positivo tra aliquota minima d’imposta del 15 per cento e l’aliquota effettiva d’imposta (ETR di tutte le entità del gruppo localizzate nel Paese) ad una base imponibile che eccede il profitto ordinario (c.d. Excess Profit). Quest’ultima è pari alla somma algebrica delle basi imponibili di tutte le imprese del gruppo localizzate in quel Paese (c.d. Net Globe Income) meno la remunerazione ordinaria (fissata al 5 per cento a regime) di due fattori produttivi: il valore contabile netto dei beni tangibili non destinati alla vendita e il valore dei salari dei dipendenti (c.d. Substance-based Income Exclusion).
Una disposizione transitoria fissa percentuali di remunerazione significativamente più alte in fase di prima applicazione del Pillar 2 e via via decrescenti per il decennio 2023- 2032 sia per i beni tangibili (dall’8 per cento nel 2023 al 5,4 per cento nel 2032) sia per i salari (dal 10 per cento nel 2023 al 5,8 per cento nel 2032).
In merito al secondo elemento, occorre evidenziare che i crediti d’imposta incidono negativamente sul valore dell’aliquota d’imposizione effettiva (ETR) scontata dal gruppo multinazionale in quanto riducono il numeratore del rapporto (ossia le imposte rilevanti rettificate) e, dunque, aumenta la possibilità che una imposizione integrativa (Top-Up Tax) sia dovuta. Tuttavia, nella redazione delle nuove regole si è voluto evitare che alcuni crediti d’imposta fossero trattati in maniera meno favorevole dei contributi pubblici. Infatti, i contributi incidono sull’ETR aumentando il denominatore del rapporto (ossia il risultato contabile con aggiustamenti) senza incidere sul numeratore e generando un impatto meno negativo sull’ETR rispetto ai crediti d’imposta. Per tale ragione, ai fini del calcolo dell’ETR, sono stati equiparati ai contributi pubblici quei crediti d’imposta concepiti per essere rimborsati in contanti o con strumenti equivalenti al contante entro 4 anni dalla data in cui sono soddisfatte le condizioni per fruire del credito (cd. Qualified refundable tax credit). Tale circostanza se, da un lato, consente agli Stati di assicurare incentivi fiscali alle imprese domestiche facenti parte di un gruppo multinazionale, dall’altro induce a prestare maggiore attenzione ai meccanismi di determinazione e fruizione di tali incentivi (ad es. crediti d’imposta recuperabili in quattro anni rispetto alla previsione di maggiori deduzioni).
In particolare il comma 1, all’esplicito scopo di garantire un livello impositivo minimo dei gruppi multinazionali o nazionali di imprese, secondo l’approccio comune condiviso a livello internazionale in base alle regole OCSE sopra menzionate (Tax Challenges Arising from the Digitalisation of the Economy – Global AntiBase Erosion Model Rules (Pillar Two)) e alle disposizioni della Direttiva 2022/2523, è istituita una imposizione integrativa prelevata attraverso:
a) l’imposta minima integrativa, dovuta da controllanti localizzate in Italia di gruppi multinazionali o nazionali in relazione alle imprese soggette ad una bassa imposizione facenti parte del gruppo. Il meccanismo impositivo è imperniato su un approccio che può essere definito “dall’alto verso il basso” (c.d. top-down) in quanto assegna la priorità nell’applicazione dell’imposta minima integrativa all’impresa collocata in posizione più alta nella catena partecipativa;
b) l’imposta minima suppletiva, dovuta da una o più imprese di un gruppo multinazionale localizzate in Italia in relazione alle imprese facenti parte del gruppo, soggette ad una bassa imposizione, quando non è stata applicata, in tutto o in parte, l’imposta minima integrativa equivalente in altri Paesi. L’imposta minima suppletiva svolge una delicata funzione di salvaguardia del sistema (regola di backstop), applicandosi solo in circostanze specifiche in cui l’imposizione integrativa non viene prelevata attraverso l’imposta minima integrativa;
c) l’imposta minima nazionale, dovuta in relazione alle imprese di un gruppo multinazionale o nazionale soggette ad una bassa imposizione localizzate in Italia.
In sostanza, secondo l’impostazione dello schema in esame, è prevista l’istituzione di un sistema trifasico, analogamente a quanto previsto dalla direttiva; si esercita l’opzione, prevista dall’articolo 11 della Direttiva, di applicare un’imposta minima nazionale (vedi norme successive).
Inoltre, si dispone il versamento dell’imposta minima suppletiva, in luogo di negare la deduzione; infine, con una differenza rispetto alla direttiva, si prevede che le imprese del gruppo site in Italia siano solidalmente e congiuntamente responsabili per il pagamento dell’imposta minima nazionale e dell’imposta minima suppletiva.
Ai sensi del comma 2, si chiarisce che ogni esercizio costituisce un autonomo periodo di imposta.
Il comma 3 prevede che le norme introdotte dal Titolo in esame siano interpretate ed applicate tenendo conto del Commentario alle regole OCSE adottate l’11 marzo 2022 denominato Tax Challenges Arising from the Digitalisation of the Economy – Commentary to the Global Anti Base Erosion Model Rules (Pillar Two), e successive modificazioni, e delle Guide Amministrative previste nell’articolo 8.3 delle suddette regole OCSE.
Il Governo al riguardo chiarisce che la norma assicura l’approccio comune, ossia un’applicazione coerente e uniforme delle regole GloBE in tutti gli Stati membri ed i Paesi terzi, facendo espresso rinvio al Commentario alle regole OCSE e alle Guide Amministrative previste nell’articolo 8.3 delle Model Rules. In altri termini, sia i chiarimenti già pubblicati dal Quadro Inclusivo dell’OCSE/G20, sia quelli che lo saranno in futuro sono da utilizzare come fonte di illustrazione ed interpretazione delle disposizioni recate nel decreto.
Si affida a un decreto del Ministro dell’economia e delle finanze il compito di adottare le disposizioni attuative dei contenuti del Commentario, delle Guide Amministrative e del loro aggiornamento.
Si affida inoltre al Dipartimento delle finanze il compito di emanare apposite direttive interpretative secondo quanto previsto all’articolo 11, comma 1, lettera f) del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 26 giugno 2019, n. 103. Ai sensi della predetta lettera f), il Dipartimento è competente all’emanazione di direttive interpretative della legislazione tributaria, al fine di assicurare la coerenza con gli obiettivi di politica economica e tributaria e il rispetto, da parte degli uffici, delle esigenze di equità, semplicità e omogeneità di trattamento, con particolare riguardo ai principi fissati dallo Statuto dei diritti del contribuente (di cui alla legge 27 luglio 2000, n. 212).
Ai sensi del comma 4, quando non diversamente disposto o quando il contesto non richiede diversamente, i termini ed i concetti contabili utilizzati nel Titolo in esame sono da interpretare in modo coerente con il significato loro attribuito nei principi contabili conformi o autorizzati.
Ai sensi dell’allegato A per principi contabili conformi si intendono i principi contabili internazionali (IFRS o IFRS adottati dall’Unione a norma del regolamento (CE) n. 1606/2002 del Parlamento europeo e del Consiglio del 19 luglio 2002, relativo all’applicazione di principi contabili internazionali e i principi contabili generalmente accettati di Australia, Brasile, Canada, Stati membri dell’Unione europea, Stati membri dello Spazio economico europeo, Hong Kong (Cina), Giappone, Messico, Nuova Zelanda, Repubblica popolare cinese, Repubblica dell’India, Repubblica di Corea, Russia, Singapore, Svizzera, Regno Unito e Stati Uniti d’America.
Per principi contabili autorizzati in relazione a una impresa, si intendono i principi contabili generalmente accettati approvati da un organismo contabile autorizzato nel Paese in cui è localizzata l’impresa; ai fini della presente definizione, per organismo contabile autorizzato si intende l’organismo avente autorità giuridica in un Paese per prescrivere, stabilire o accettare principi contabili a fini di rendicontazione finanziaria.
La Relazione illustrativa al riguardo chiarisce che si tratta di principi contabili utilizzati ai fini dell’applicazione delle regole GloBE.
Ai fini della piena comprensione della presente disposizione occorre richiamare alcune delle definizioni contenute nell’Allegato A, che costituiscono i riferimenti concettuali indispensabili per la lettura del testo normativo. In particolare per “impresa” si intende a) qualsiasi entità che fa parte di un gruppo multinazionale o nazionale; b) qualsiasi stabile organizzazione di una casa madre che fa parte di un gruppo multinazionale di cui alla lettera a) definizione numero 34) dell’allegato A); per “gruppo” si intende: a) un insieme di entità tra loro collegate per effetto di rapporti di proprietà o di controllo che sono incluse nel bilancio consolidato della controllante capogruppo, nonché ogni impresa che ne è esclusa unicamente a causa delle sue dimensioni, del principio di rilevanza o perché detenuta per la vendita; oppure b) una entità che ha una o più stabili organizzazioni, a condizione che non faccia parte di un altro gruppo quale definito alla lettera a) (definizione numero 25 dell’allegato A); per “gruppo multinazionale” si intende qualsiasi gruppo comprendente almeno una entità o una stabile organizzazione che non è localizzata nel Paese della controllante capogruppo (definizione numero 27 dell’allegato A); per “gruppo nazionale” identifica qualsiasi gruppo le cui imprese sono tutte localizzate nel territorio dello Stato italiano (definizione numero 28) dell’allegato A). Infine, con la parola “Paese” (Jurisdiction secondo le regole OCSE) si vuole far riferimento ad uno Stato membro della Ue (in alcuni casi, a seconda del contesto, includendo anche l’Italia) o uno Stato terzo (ossia un Paese diverso da uno Stato membro Ue) o un territorio con autonomia impositiva (definizione numero 40) dell’allegato A).
Articolo 10
(Ambito applicativo)
L’articolo 10 individua l’ambito applicativo della imposizione integrativa disciplinata dal Titolo II in esame. Destinatarie della disciplina sono le imprese in Italia che fanno parte di un gruppo multinazionale o nazionale con ricavi annui pari o superiori a 750 milioni di euro, ivi compresi i ricavi delle entità escluse, risultanti nel bilancio consolidato della controllante capogruppo in almeno due dei quattro esercizi immediatamente precedenti a quello considerato.
In particolare, conformemente a quanto stabilito dall’articolo 2, par. 1 della direttiva (UE) 2022/2523, individua come destinatari della disciplina le imprese in Italia che fanno parte di un gruppo multinazionale o nazionale con ricavi annui pari o superiori a 750 milioni di euro, ivi compresi i ricavi delle entità escluse (di cui all’articolo 11 dello schema), risultanti nel bilancio consolidato della controllante capogruppo in almeno due dei quattro esercizi immediatamente precedenti a quello considerato.
Al riguardo il Governo evidenzia che i ricavi consolidati per l’esercizio in corso (cioè, l’anno con riferimento al quale le regole trovano applicazione) non sono da considerare nel calcolo dei quattro esercizi con la conseguenza che è possibile che per tale esercizio la soglia di fatturato non sia verificata. L’esclusione dei risultati dell’esercizio in corso dal test della soglia dei ricavi assicura che un gruppo sappia, fin dall’inizio dell’esercizio controllato, se sarà soggetto o meno alla nuova disciplina in quell’anno. Inoltre, un test che prende a riferimento due esercizi su quattro ha il pregio di ridurre la volatilità nell’applicazione delle nuove regole. Nella Relazione illustrativa l’esecutivo evidenzia inoltre che il comma 1 assicura che solo le imprese appartenenti a grandi gruppi siano interessate dalle regole contenute nel decreto. La disposizione stabilisce, inoltre, che le entità escluse indicate nel successivo articolo 11, pur non essendo soggette all’imposizione integrativa, devono essere prese in considerazione nel computo dei ricavi per il quadriennio; ii) stabilisce una soglia di ricavi coincidente con quella utilizzata ai fini della Rendicontazione Paese per Paese (CbCR).
Sempre conformemente alla direttiva, il comma 2 chiarisce che, se uno o più dei quattro esercizi predetti ha durata inferiore o superiore a 12 mesi, la soglia dei ricavi è determinata in proporzione alla durata di ciascun esercizio.
Con una disposizione non presente nella direttiva, il comma 3 introduce disposizioni volte a disciplinare il gruppo formato da imprese neocostituite che non dispone di bilanci consolidati relativi ad esercizi precedenti: in tal caso le disposizioni del Titolo in esame si applicano a partire dal terzo esercizio, se raggiunge la soglia di ricavi rilevante nei due esercizi precedenti.
Il comma 4 rinvia alle disposizioni dell’articolo 40 (si veda la relativa scheda di lettura) per il calcolo della soglia di ricavi rilevante ai fini dell’imposta integrativa, per le operazioni ivi indicate.
La relazione illustrativa chiarisce che le disposizioni di cui al comma 3 si riferiscono esclusivamente ad imprese neocostituite che danno vita ad un gruppo e non trovino applicazione nella diversa ipotesi di un nuovo gruppo creato da imprese preesistenti. Il computo della soglia di ricavi rilevante per l’applicazione della nuova disciplina, in tale ultima fattispecie e, più in generale, nelle ipotesi di operazioni di fusione e scissione è affrontata nell’articolo 40 del decreto legislativo, cui espressamente il comma 4 rinvia.
Il comma 5 – come evidenzia il Governo, redatto sulla base della Guida Amministrativa pubblicata dall’OCSE a febbraio 2023 (cfr. AG 22.04.T18 che introduce il nuovo paragrafo 19 della introduzione al Commentario OCSE), affronta l’ipotesi in cui i ricavi risultanti nel bilancio consolidato sono espressi in valuta di presentazione diversa dall’euro. In tal caso la soglia di rilevanza è verificata convertendo i ricavi di ogni esercizio considerato al tasso di cambio medio del mese di dicembre dell’esercizio immediatamente precedente. Il tasso di cambio medio è determinato in base alle quotazioni pubblicate dalla Banca Centrale Europea o, qualora la Banca Centrale Europea non pubblichi il tasso di cambio in euro della valuta di un Paese, dalla Banca Centrale del Paese.
L’articolo 11 individua le cosiddette entità escluse, cui non si applica la disciplina dell’imposta integrativa contenuta nel Titolo II.
Il Governo nella Relazione illustrativa chiarisce che la qualifica di entità esclusa ha alcune conseguenze: in primo luogo, le entità escluse non applicano l’imposta minima integrativa né l’imposta minima suppletiva né l’imposta minima nazionale. Nel caso in cui una entità controllante capogruppo sia una entità esclusa, questa non è tenuta ad applicare l’imposta minima integrativa che sarà invece dovuta dalla prima impresa controllante che si colloca in una posizione inferiore lungo la catena partecipativa che non sia anch’essa una entità esclusa. In secondo luogo, gli elementi delle entità escluse (come utili, perdite, imposte rilevanti, immobilizzazioni materiali e spese per il personale) non sono conteggiati ai fini delle nuove regole, ad eccezione del computo della soglia di ricavi prevista nell’articolo 10. Infine, le entità escluse non hanno l’obbligo amministrativo di presentare la comunicazione rilevante di cui all’articolo 51 dello schema legislativo né i loro dati devono essere riportati in tale comunicazione se non nelle informazioni riguardanti la struttura del gruppo o in altre informazioni concordate nell’ambito del Quadro di implementazione delle regole OCSE (cd. Implementation Framework).
In particolare, ai sensi del comma 1 e conformemente a quanto stabilito dall’articolo 2, par. 3 della direttiva (UE) 2022/2523, L’imposizione integrativa non si applica:
a) all’entità che si qualifica come:
1) entità statale
2) organizzazione internazionale;
3) organizzazione senza scopo di lucro;
4) fondo pensione;
5) fondo di investimento che è una controllante capogruppo o un veicolo di investimento immobiliare che è una controllante capogruppo; ovvero
b) all’entità il cui valore è detenuto per almeno il 95 per cento da una o più entità di cui alla predetta lettera a), direttamente ovvero indirettamente, tenendo conto dell’effetto demoltiplicativo, attraverso uno o più entità escluse, con l’eccezione delle entità di servizi pensionistici, e che alternativamente o congiuntamente:
1) operi esclusivamente o almeno al 90 per cento per detenere attività o investire fondi a beneficio di una o più entità di cui alla lettera a);
2) svolga esclusivamente attività ausiliarie a quelle eseguite da una o più entità di cui alla lettera a);
c) all’entità il cui valore è detenuto per almeno l’85 per cento da una o più entità indicate alla precedente lettera a), direttamente ovvero indirettamente, tenendo conto dell’effetto demoltiplicativo, attraverso una o più entità escluse, con l’eccezione delle entità di servizi pensionistici, a condizione che il suo reddito sia costituito per almeno il 90 per cento da dividendi o da plusvalenze o minusvalenze esclusi dal calcolo del reddito o perdita rilevante (ai sensi dell’articolo 23, comma 2, lettere b) e c) dello schema, alla cui scheda di lettura si rinvia).
Si segnala che l’articolo in esame, alla lettera c), fa riferimento alla condizione della composizione del reddito per escludere una entità dall’imposta integrativa; esso deve essere costituito per il 90 per cento da dividendi, plusvalenze o minusvalenze escluse dal calcolo del reddito o della perdita rilevante. L’articolo 2, par. 3 della direttiva dispone, invece, che condizione per l’esclusione è che “sostanzialmente” tutto il reddito dell’entità sia derivato da dividendi o plusvalenze o minusvalenze esclusi dal calcolo del reddito o della perdita qualificante.
Il comma 2 chiarisce che ai fini delle esclusioni valevoli per le società controllate in via quasi esclusiva da entità escluse (comma 1, lettere b) e c)), le attività dell’entità sono valutate tenendo conto anche di quelle svolte per il tramite di stabili organizzazioni.
Se una entità soddisfa la definizione di entità esclusa in quanto controllata (ai sensi del comma 1, lettere b) e c)) l’imposizione integrativa non si applica alla entità nel suo complesso, incluse le sue stabili organizzazioni.
Si ricorda che l’Allegato A, al quale si rinvia, contiene, tra le altre, la definizione di entità (n. 13), entità statale (n. 19), fondo d’investimento (n. 23), fondo pensione (n. 24), organizzazione internazionale (n. 38), organizzazione senza scopo di lucro (n. 39) e stabile organizzazione (n. 52).
Infine il comma 3 chiarisce che, in deroga al comma 1, l’impresa dichiarante può scegliere - ai sensi dell’articolo 52, comma 1, alla cui scheda di lettura si rinvia - di non considerare come soggetti esclusi quelli controllati ai sensi delle predette lettere b) e c) del comma 1.
Articolo 12
(Criteri di localizzazione di un’impresa)
L’articolo 12 dispone in ordine ai criteri di localizzazione di un’impresa ai fini dell’applicazione dell’imposizione disciplinata dal Titolo II.
In particolare, ai sensi del comma 1 e conformemente a quanto stabilito dall’articolo 4, par. 1 della direttiva (UE) 2022/2523, un’impresa, diversa da una entità fiscalmente trasparente (in cui il reddito è imputato, cioè, ai partecipanti al capitale), si considera localizzata nel Paese dove è residente ai fini delle imposte sui redditi, sulla base del criterio di ubicazione della sede dell’amministrazione (la direttiva fa riferimento alla sede di direzione) del luogo di costituzione o di criteri analoghi.
Qualora, per effetto dell’applicazione di tali disposizioni, l’impresa non risulti localizzata in nessun Paese, essa si considera localizzata dove la stessa è stata costituita.
Conformemente all’articolo 4, par. 2 della direttiva, un’entità trasparente è apolide a meno che non sia una controllante capogruppo di un gruppo multinazionale o nazionale, ovvero sia assoggettata ad imposta minima integrativa, o imposta minima integrativa equivalente (ai sensi degli articoli 13, 14 e 15). In tali casi, l’entità trasparente si considera localizzata, rispettivamente, nel Paese in cui è stata costituita o, con una disposizione non contenuta nella direttiva, dove è assoggettata a tale imposta.
Rispetto alla normativa europea, il comma 2 chiarisce ulteriormente che le entità trasparenti costituite in base alle leggi dello Stato italiano che sono controllanti si considerano localizzate nel territorio dello Stato italiano.
Ai sensi del comma 3, coerentemente all’articolo 4, par. 3 della direttiva, una stabile organizzazione di cui all’allegato A, numero 52, lettera a) (una sede di affari, inclusa una fattispecie assimilata, localizzata in un Paese in cui tale sede o fattispecie è considerata una stabile organizzazione in conformità alle previsioni ivi applicabili di una convenzione per evitare le doppie imposizioni, a condizione che tale Paese le attribuisca fiscalmente il reddito conformemente al modello di convenzione fiscale dell’OCSE in materia di imposte sul reddito e sul patrimonio), si considera localizzata nel Paese in cui è riconosciuta come stabile organizzazione ed è ivi assoggettata ad imposizione in conformità alle previsioni di una convenzione per evitare le doppie imposizioni.
Una stabile organizzazione di cui all’allegato A, numero 52, lettera b) (nel caso in cui non sia applicabile una convenzione per evitare le doppie imposizioni sul reddito, una sede d’affari, inclusa una fattispecie assimilata, con riferimento alla quale la legislazione interna di un Paese assoggetta ad imposizione il reddito netto ad essa attribuibile con modalità similari a quelle applicabili per l’imposizione dei redditi dei propri residenti fiscali), si considera localizzata nel Paese che assoggetta ad imposizione il suo reddito netto in considerazione della sua presenza commerciale.
Una stabile organizzazione di cui all’allegato A, numero 52, lettera c), (nel caso in cui un Paese non abbia un sistema di imposizione sui redditi, una sede d’affari, inclusa una sede d’affari o fattispecie assimilata, ivi ubicata che sarebbe trattata come stabile organizzazione secondo il Modello OCSE, a condizione che tale Paese avrebbe avuto, ai sensi del modello medesimo modello, il diritto di assoggettare ad imposizione detto reddito si considera localizzata nel Paese in cui è ubicata). Una stabile organizzazione di cui all’allegato A, numero 52, lettera d) (una sede d’affari, o una fattispecie assimilata, non ricompresa nelle ipotesi precedenti, attraverso la quale è esercitata un’attività imprenditoriale in un Paese diverso da quello di localizzazione della casa madre a condizione che il Paese di localizzazione di quest’ultima esenti il reddito attribuibile a tali attività) è considerata apolide.
Si ricorda che ai sensi del numero 4) dell’allegato A per “casa madre” si intende un’entità che include nel proprio bilancio il valore dell’utile o perdita contabile netta di una stabile organizzazione.
Il comma 4 (analogamente all’articolo 4, par. 4 della direttiva) chiarisce che, se una impresa si considera localizzata in due Paesi (dual located entity), tra i quali è in vigore una convenzione per evitare le doppie imposizioni sul reddito, la stessa si considera localizzata nel Paese in cui è considerata essere residente ai sensi di tale convenzione. Qualora ai fini di accertare la residenza in base alla convenzione sia necessario un accordo tra le autorità competenti dei due Paesi e tale accordo non è stato raggiunto, si applicano le disposizioni del successivo comma 5; analogamente, si applica il comma qualora in base alla citata convenzione una impresa sia considerata residente in entrambi i Paesi e non risulti applicabile un metodo per evitare la doppia imposizione ivi previsto, si applicano le disposizioni del successivo comma 5.
Ai sensi del richiamato comma 5 (analogo al par. 5 del citato articolo 4) se un’impresa si considera localizzata in due Paesi e tra essi non è in vigore una convenzione per evitare le doppie imposizioni, tale impresa si considera localizzata dove, per il medesimo periodo d’imposta, è dovuto il maggiore importo di imposte rilevanti (di cui all’articolo 27 dello schema, alla cui scheda di lettura si rinvia).
Al fine di determinare l’importo più elevato, non si considerano le imposte rilevanti dovute in virtù di un regime fiscale delle società controllate estere. Nel caso in cui l’importo di imposte rilevanti dovuto in entrambi i Paesi fosse identico o pari a zero, l’impresa si considera localizzata nel Paese in cui è maggiore la riduzione del reddito da attività economica sostanziale (di cui all’articolo 35).
Nel caso in cui l’importo di tale riduzione relativo ad entrambi i Paesi fosse eguale o pari a zero, l’impresa si considera una entità apolide. Se l’impresa è la controllante capogruppo, le disposizioni del precedente periodo non trovano applicazione ed essa si considera localizzata nel Paese in cui la stessa è stata costituita
I commi 6 e 7 sostanzialmente riproducono il contenuto dell’articolo 4, par. 6 e 7 della direttiva: ai sensi del comma 6, se per effetto dell’applicazione dei commi 4 e 5 una controllante si considera localizzata in un Paese che non applica una imposta minima integrativa equivalente, essa si considera localizzata nell’altro Paese a condizione che esso applichi una imposta minima integrativa equivalente e che la stessa possa trovare applicazione ai sensi della pertinente convenzione per evitare le doppie imposizioni. Il comma 7 infine dispone che, se nel corso di un esercizio un’impresa cambia la propria localizzazione, essa si considera localizzata nel Paese individuato per effetto dell’applicazione delle disposizioni del presente articolo alla data di inizio dello stesso.
Il Capo II definisce le modalità di applicazione della disciplina, ovvero del calcolo, dell’imposta minima integrativa, imposta minima suppletiva e imposta minima nazionale.
In base all’articolo 13, la controllante capogruppo localizzata in uno Stato membro che ha detenuto, in qualsiasi momento dell’esercizio, direttamente o indirettamente partecipazioni in imprese a bassa imposizione localizzate in un altro Paese o che sono entità apolidi, per quell’esercizio deve versare l’imposta minima integrativa in misura pari all’importo di imposizione integrativa ad essa attribuita, relativa a tali imprese a bassa imposizione.
A tale obbligo sono tenuti, altresì, le società partecipanti intermedie localizzate nello Stato italiano (articolo 14), e una società parzialmente partecipata nell’Unione (articolo 15).
L’articolo 16 definisce le modalità di attribuzione dell’imposta minima integrativa dovuta da un’entità controllante per un’entità costitutiva a bassa imposizione. L’articolo 17, introduce un meccanismo di compensazione dell’IIR nel caso in cui un’entità controllante localizzata in uno Stato membro detenga una partecipazione in un’entità costitutiva a bassa imposizione indirettamente attraverso un’entità controllante intermedia o un’entità controllante parzialmente partecipata assoggettata a un’IIR qualificata per l’esercizio fiscale. L’articolo 18 disciplina l’imposta minima nazionale, prevedendone le modalità di calcolo.
Gli articoli 19 e 20 disciplinano rispettivamente l’applicazione dell’imposta minima suppletiva (UTPR) all’intero gruppo multinazionale di imprese o nel Paese di un’entità controllante capogruppo. L’articolo 21 definisce infine i criteri di calcolo e di imputazione dell’imposta minima suppletiva imputabile.
Articolo 13
(Applicazione dell’imposta minima integrativa
alla controllante capogruppo)
L’articolo 13 individua le modalità di applicazione dell’imposta minima integrativa alla società controllante capogruppo.
La disposizione in commento intende attuare in particolare l’articolo 5 della direttiva 2022/2523/UE, ai sensi del quale gli Stati membri garantiscono che un’entità controllante capogruppo che è un’entità costitutiva localizzata in uno Stato membro sia assoggettata all’imposta integrativa («imposta integrativa IIR») per l’esercizio fiscale per le sue entità costitutive a bassa imposizione localizzate in un’altra giurisdizione o apolidi. Gli Stati membri garantiscono che, se un’entità costitutiva che è l’entità controllante capogruppo di un gruppo multinazionale di imprese o di un gruppo nazionale su larga scala è localizzata in uno Stato membro che è una giurisdizione a bassa imposizione, essa sia assoggettata all’imposta integrativa IIR per sé stessa e tutte le entità costitutive a bassa imposizione del gruppo localizzate nello stesso Stato membro per l’esercizio fiscale.
In particolare, ai sensi del comma 1 la controllante capogruppo localizzata nel territorio dello Stato italiano che ha detenuto, in qualsiasi momento dell’esercizio, direttamente o indirettamente partecipazioni in imprese a bassa imposizione localizzate in un altro Paese o che sono entità apolidi, per quell’esercizio deve versare l’imposta minima integrativa in misura pari all’importo di imposizione integrativa ad essa attribuita, relativa a tali imprese a bassa imposizione.
Al riguardo la Relazione illustrativa chiarisce che per “controllante capogruppo” (ultimate parent entity secondo le regole OCSE), ai sensi della definizione contenuta nell’allegato A numero 6), si intende l’entità che detiene, direttamente o indirettamente, una partecipazione di controllo in qualsiasi altra entità e che, a sua volta, non è detenuta, direttamente o indirettamente, da un’altra entità con una partecipazione di controllo in essa. Si considera, altresì, controllante capogruppo anche la casa madre di un gruppo composto dalla casa madre stessa e dalla stabile organizzazione o dalle stabili organizzazioni attraverso le quali opera.
Ai sensi del comma 2, la controllante capogruppo di un gruppo multinazionale o nazionale localizzata nel territorio dello Stato italiano che, in un dato esercizio, è un’impresa a bassa imposizione deve versare l’imposta minima integrativa ad essa riferibile e l’importo dell’imposizione integrativa ad essa attribuita relativa alle imprese a bassa imposizione localizzate nel territorio dello Stato italiano detenute in qualsiasi momento di tale esercizio.
Articolo 14
(Applicazione dell’imposta minima integrativa
alle partecipanti intermedie)
L’articolo 14 individua le modalità di applicazione dell’imposta minima integrativa alla società intermedie del gruppo.
La disposizione in commento intende attuare in particolare gli articoli 6 e 7 della direttiva 2022/2523/UE, ai sensi dei quali, rispettivamente:
§ gli Stati membri garantiscono che un’entità controllante intermedia localizzata in uno Stato membro e detenuta da un’entità controllante capogruppo localizzata nella giurisdizione di un paese terzo sia assoggettata all’imposta integrativa per l’esercizio fiscale per le sue entità costitutive a bassa imposizione localizzate in un’altra giurisdizione o apolidi; inoltre, se un’entità controllante intermedia è localizzata in uno Stato membro che è una giurisdizione a bassa imposizione ed è detenuta da un’entità controllante capogruppo localizzata nella giurisdizione di un paese terzo, essa deve essere assoggettata all’imposta integrativa per sé stessa e le sue entità costitutive a bassa imposizione localizzate nello stesso Stato membro per l’esercizio fiscale. Tale disciplina non si applica se: a) l’entità controllante capogruppo è soggetta a imposta integrativa qualificata per tale esercizio fiscale; o b) un’altra entità controllante intermedia è localizzata in una giurisdizione in cui è assoggettata a un’IIR qualificata per tale esercizio fiscale e ha, direttamente o indirettamente, una partecipazione di controllo nell’entità controllante intermedia;
§ gli Stati membri devono garantire che, qualora un’entità controllante intermedia localizzata in uno Stato membro sia detenuta da un’entità controllante capogruppo che è un’entità esclusa, essa sia assoggettata all’imposta integrativa IIR per l’esercizio fiscale per le sue entità costitutive a bassa imposizione localizzate in un’altra giurisdizione o apolidi; gli Stati membri devono altresì garantire che, qualora un’entità controllante intermedia localizzata in uno Stato membro che è una giurisdizione a bassa imposizione sia detenuta da un’entità controllante capogruppo che è un’entità esclusa, essa sia assoggettata all’imposta integrativa per sé stessa e le sue entità costitutive a bassa imposizione localizzate nello stesso Stato membro per l’esercizio fiscale. Tali norme non si applicano se un’altra entità controllante intermedia sia localizzata in una giurisdizione in cui è soggetta a un’IIR qualificata per tale esercizio fiscale e possieda, direttamente o indirettamente, una partecipazione di controllo nell’entità controllante intermedia.
Il comma 1 dell’articolo in esame prevede che una partecipante intermedia localizzata nel territorio dello Stato italiano e detenuta da una controllante capogruppo localizzata in un Paese terzo, che ha detenuto, in qualsiasi momento dell’esercizio, direttamente o indirettamente partecipazioni in imprese a bassa imposizione localizzate in un altro Paese o che sono entità apolidi, deve versare per quell’esercizio l’imposta minima integrativa in misura pari all’importo di imposizione integrativa ad essa attribuita relativa a tali imprese a bassa imposizione.
Una partecipante intermedia è definita nell’allegato A come un’impresa (diversa da una controllante capogruppo, da una partecipante parzialmente posseduta, da una stabile organizzazione, da una entità di investimento o entità assicurativa d’investimento) che detiene, direttamente o indirettamente, una partecipazione (Ownership Interest secondo le regole OCSE) in un’altra impresa dello stesso gruppo multinazionale o nazionale. Le entità di investimento (Investment Entity secondo le regole OCSE), cioè un fondo di investimento o un veicolo di investimento immobiliare e alcune controllate di tali entità come indicato nella definizione di cui all’allegato A sono escluse dalla definizione di partecipante intermedia al fine di preservare la neutralità fiscale di tale entità nei confronti di eventuali detentori di quote di minoranza.
Inoltre, ai sensi del comma 2, una partecipante intermedia localizzata nel territorio dello Stato italiano che, in un dato esercizio, è un’impresa a bassa imposizione ed è direttamente o indirettamente detenuta da una controllante capogruppo localizzata in un Paese terzo deve versare per quell’esercizio sia l’imposta minima integrativa ad essa riferibile, sia l’importo di imposizione integrativa ad essa attribuita relativa ad imprese a bassa imposizione localizzate nel territorio dello Stato italiano detenute in qualsiasi momento di tale esercizio.
Coerentemente all’articolo 6 della direttiva, le disposizioni dei precedenti commi 1 e 2 (comma 3) non trovano applicazione qualora con riferimento al medesimo esercizio:
a) la controllante capogruppo è soggetta ad una imposta minima integrativa equivalente; o
b) una altra partecipante intermedia ovunque localizzata detiene una partecipazione di controllo, diretta o indiretta, nella partecipante intermedia localizzata nel territorio dello Stato italiano ed è soggetta ad una imposta minima integrativa o ad un’imposta minima integrativa equivalente.
Al fine di attuare l’articolo 7 della direttiva, il comma 4 dispone che una partecipante intermedia localizzata nel territorio dello Stato italiano e detenuta da una controllante capogruppo che è una entità esclusa, che ha detenuto, in qualsiasi momento dell’esercizio, direttamente o indirettamente partecipazioni in imprese a bassa imposizione localizzate in un altro Paese o che sono entità apolidi, deve versare per quell’esercizio l’imposta minima integrativa in misura pari all’importo di imposizione integrativa relativa a tali imprese a bassa imposizione.
Inoltre (comma 5) una partecipante intermedia localizzata nel territorio dello Stato italiano che, in un dato esercizio, è un’impresa a bassa imposizione ed è direttamente o indirettamente detenuta da una controllante capogruppo che è una entità esclusa deve versare per quell’esercizio l’imposta minima integrativa ad essa riferibile e l’importo di imposizione integrativa ad essa attribuita relativa ad imprese a bassa imposizione localizzate nel territorio dello Stato italiano detenute in qualsiasi momento di tale esercizio.
Infine, ai sensi del comma 6 le norme precedenti (commi 4 e 5) non trovano applicazione qualora, per tale esercizio, un’altra partecipante intermedia è soggetta ad una imposta minima integrativa, o ad un’imposta minima integrativa equivalente, e detiene, direttamente o indirettamente, una partecipazione di controllo nella partecipante intermedia ivi indicata localizzata nel territorio dello Stato italiano.
Qualora l’applicazione di tale imposta comporti la duplicazione del prelievo la rimozione di tale effetto è prevista all’articolo 17 (si veda la relativa scheda).
Articolo 15
(Applicazione dell’imposta minima integrativa
alle partecipanti parzialmente possedute)
L’articolo 15 individua le modalità di applicazione dell’imposta minima integrativa alle partecipanti parzialmente possedute.
L’articolo 15 intende attuare l’articolo 8 della direttiva (UE) 2022/2023, ai sensi del quale un’entità controllante parzialmente partecipata localizzata in uno Stato membro è assoggettata all’imposta integrativa per l’esercizio fiscale per le sue entità costitutive a bassa imposizione localizzate in un’altra giurisdizione o apolidi. Inoltre, se un’entità controllante parzialmente partecipata è localizzata in uno Stato membro che è una giurisdizione a bassa imposizione, essa è assoggettata all’imposta integrativa IIR per sé stessa e le sue entità costitutive a bassa imposizione localizzate nello stesso Stato membro per l’esercizio fiscale.
Infine, tali norme non si applicano se le partecipazioni dell’entità controllante parzialmente partecipata sono interamente detenute, direttamente o indirettamente, da un’altra entità controllante parzialmente partecipata soggetta a un’IIR qualificata per tale esercizio fiscale.
In particolare, ai sensi del comma 1 una partecipante parzialmente posseduta localizzata nel territorio dello Stato italiano che ha detenuto, in qualsiasi momento dell’esercizio, direttamente o indirettamente partecipazioni in imprese a bassa imposizione localizzate in un altro Paese o che sono entità apolidi, deve versare per quell’esercizio l’imposta minima integrativa; le norme nazionali fissano la misura dell’imposta a un importo pari a quello di imposizione integrativa ad essa attribuita relativa a tali imprese a bassa imposizione.
Con il termine “partecipante parzialmente posseduta” si intende un’impresa (diversa dalla controllante capogruppo, dalla stabile organizzazione, dall’entità d’investimento o dall’entità assicurativa di investimento) i cui diritti agli utili sono detenuti, direttamente o indirettamente, per più del 20 per cento da soggetti terzi (ossia da una o più persone fisiche o da una o più entità che non fanno parte del gruppo multinazionale o nazionale) e che detiene, direttamente o indirettamente, una partecipazione in un’altra impresa dello stesso gruppo multinazionale o nazionale (ai sensi della definizione contenuta nell’allegato A).
Se la partecipante parzialmente posseduta è localizzata nel territorio dello Stato italiano e, in un dato esercizio, è un’impresa a bassa imposizione, deve versare per quell’esercizio l’imposta minima integrativa ad essa riferibile e l’importo di imposizione integrativa ad essa attribuita relativa a imprese a bassa imposizione localizzate nel territorio dello Stato italiano detenute in qualsiasi momento di tale esercizio.
Coerentemente al par. 3 del citato articolo 8, il comma 3 esclude da tali disposizioni il caso in cui, con riferimento al medesimo esercizio, un’altra partecipante parzialmente posseduta ovunque localizzata e soggetta ad una imposta minima integrativa o ad un’imposta minima integrativa equivalente, detiene, direttamente o indirettamente, una partecipazione totalitaria nella partecipante parzialmente posseduta localizzata nel territorio dello Stato.
La Relazione chiarisce che il comma 3 fissa un criterio di priorità nell’ipotesi in cui siano presenti, lungo la stessa catena partecipativa, due o più partecipanti parzialmente possedute tenute ad applicare l’imposta minima integrativa rispetto alla stessa impresa a bassa imposizione. Coerentemente con l’approccio cd. “dall’alto verso il basso” (c.d. top-down), il sistema è congegnato in modo da impedire l’applicazione dell’imposta minima integrativa a una partecipante parzialmente posseduta se questa, a sua volta, è interamente detenuta (direttamente o indirettamente) da un’altra partecipante parzialmente posseduta che è anch’essa tenuta ad applicare l’imposta minima integrativa. Il Governo sottolinea come la disapplicazione della regola del comma 1 è subordinata alla circostanza che la partecipante parzialmente posseduta sia interamente detenuta da un’altra partecipante parzialmente posseduta. Diversamente, infatti, resterebbe fuori dall’ambito di applicazione della regola l’imposizione integrativa attribuibile alle partecipazioni di minoranza di livello inferiore. Di conseguenza, per evitare distorsioni e garantire che venga preso in considerazione l’importo appropriato dell’imposizione integrativa, una partecipante parzialmente posseduta localizzata in Italia deve applicare l’imposta minima integrativa a meno che la stessa non sia interamente detenuta (direttamente o indirettamente) da un’altra partecipante parzialmente posseduta ovunque localizzata che è tenuta ad applicare, per l’esercizio, l’imposta minima integrativa o un’imposta minima integrativa equivalente.
Articolo 16
(Attribuzione dell’imposta minima integrativa)
L’articolo 16 reca le modalità di imputazione dell’imposta minima integrativa.
Si ricorda al riguardo che l’articolo 9 della direttiva (UE) 2022/2023 dispone che L’imposta integrativa IIR dovuta da un’entità controllante per un’entità costitutiva a bassa imposizione è uguale all’imposta integrativa dell’entità costitutiva a bassa imposizione (calcolata a norma dell’articolo 27 della direttiva) moltiplicata per la quota imputabile dell’entità controllante nell’imposta integrativa per l’esercizio fiscale.
La quota imputabile dell’entità controllante nell’imposta integrativa per un’entità costitutiva a bassa imposizione è proporzionale alla partecipazione dell’entità controllante nel reddito qualificante dell’entità costitutiva a bassa imposizione. Tale proporzione è pari al reddito qualificante dell’entità costitutiva a bassa imposizione per l’esercizio fiscale, ridotto dell’importo di tale reddito attribuibile a partecipazioni detenute da altri proprietari, diviso per il reddito qualificante dell’entità costitutiva a bassa imposizione per l’esercizio fiscale.
L’importo del reddito qualificante attribuibile alle partecipazioni in un’entità costitutiva a bassa imposizione detenute da altri proprietari è l’importo che sarebbe stato considerato come attribuibile a tali proprietari in base ai principi del principio contabile conforme utilizzato nel bilancio consolidato dell’entità controllante capogruppo, se il reddito netto dell’entità costitutiva a bassa imposizione fosse uguale al suo reddito qualificante e:
a) l’entità controllante avesse redatto il bilancio consolidato conformemente a tale principio contabile (bilancio consolidato ipotetico);
b) l’entità controllante detenesse una partecipazione di controllo nell’entità costitutiva a bassa imposizione tale per cui tutti i redditi e le spese dell’entità costitutiva a bassa imposizione siano consolidati voce per voce con quelli dell’entità controllante nel bilancio consolidato ipotetico;
c) tutti i redditi qualificanti dell’entità costitutiva a bassa imposizione fossero attribuibili a operazioni con persone che non sono entità del gruppo; e
d) tutte le partecipazioni non detenute direttamente o indirettamente dall’entità controllante fossero detenute da persone diverse dalle entità del gruppo.
Oltre all’importo imputato a un’entità controllante ai sensi delle norme in commento, l’imposta minima integrativa dovuta da un’entità controllante include, per l’esercizio fiscale, conformemente all’articolo 27:
a) l’intero importo dell’imposta integrativa calcolata per tale entità controllante; e
b) l’importo dell’imposta integrativa calcolata per le sue entità costitutive a bassa imposizione localizzate nello stesso Stato membro moltiplicato per la quota imputabile dell’entità controllante nell’imposta integrativa per l’esercizio fiscale.
L’articolo 16, ai fini dell’attuazione dell’articolo 9 della direttiva, al comma 1 individua la formula per l’allocazione dell’imposizione integrativa: si prevede che l’imposta minima integrativa dovuta in un esercizio da una controllante, da una partecipante intermedia o da una partecipante parzialmente posseduta (ai sensi dell’articolo 13, comma 1, dell’articolo 14, commi 1 e 4, dell’articolo 15, comma 1), per un’impresa a bassa imposizione corrisponde all’importo dell’imposizione integrativa ad essa attribuita relativa a tale impresa a bassa imposizione, determinata moltiplicando l’imposizione integrativa ai sensi dell’articolo 34, per la sua quota di attribuzione, come definita al successivo comma 2.
Ai sensi del richiamato comma 2, si definisce la quota di attribuzione alla controllante dell’imposizione integrativa relativa ad un’impresa a bassa imposizione. Essa è pari, in ogni esercizio, al reddito rilevante dell’impresa a bassa imposizione, ridotto dell’importo di tale reddito attribuibile a partecipazioni detenute da altri soggetti non appartenenti al medesimo gruppo, diviso per il reddito rilevante dell’impresa a bassa imposizione.
Il successivo comma 3 definisce l’importo del reddito rilevante (come determinato ai sensi del capo III) attribuibile alle partecipazioni in un’impresa a bassa imposizione detenute da altri soggetti non appartenenti al medesimo gruppo: esso è l’importo che sarebbe stato considerato come attribuibile a tali soggetti, in base a principi contabili conformi, utilizzati nel bilancio consolidato della controllante capogruppo se l’utile netto dell’impresa a bassa imposizione fosse uguale al suo reddito rilevante e alle seguenti condizioni, che devono congiuntamente concorrere:
a) ove la controllante avesse redatto il bilancio consolidato conformemente a tale principio contabile (bilancio consolidato ipotetico);
La relazione illustrativa precisa che la previsione di cui alla lettera a) è necessaria quando ad applicare l’imposta non è la controllante capogruppo. Anche se quest’ultima ha effettivamente redatto un bilancio consolidato, tale bilancio è l’ipotetico bilancio consolidato predisposto dalla controllante ai fini del comma in esame. Si stabilisce un principio contabile uniforme per allocare correttamente il reddito rilevante dell’impresa a bassa imposizione, e di conseguenza l’imposizione integrativa, tra le entità controllanti che applicano l’imposta minima integrativa. La disposizione assicura che tutte le entità controllanti applichino lo stesso principio contabile per determinare la quota di attribuzione (o rapporto di inclusione), in modo tale da non perdere né duplicare l’imposta dovuta in relazione alla stessa impresa a bassa imposizione.
b) ove la controllante detenesse una partecipazione di controllo nell’impresa a bassa imposizione di modo che tutte le componenti positive e negative di reddito dell’impresa a bassa imposizione dovrebbero essere consolidate voce per voce con quelle della controllante nel bilancio consolidato ipotetico.
La relazione illustrativa precisa che questa ipotesi potrebbe non trovare riscontro nella realtà perché l’entità controllante potrebbe detenere solo una partecipazione di minoranza nell’impresa a bassa imposizione, nel qual caso la controllante non sarebbe tenuta a consolidare i propri conti linea per linea con quelli dell’impresa a bassa imposizione. L’ipotesi di cui alla lettera b) intende chiarire che quest’ultima è trattata come se fosse controllata dall’entità partecipante (rectius, “controllante”) che redige questo ipotetico bilancio consolidato anche se tale partecipante (rectius, “controllante”) non detiene una partecipazione di controllo nella impresa a bassa imposizione. In questo modo, tutti i ricavi e i costi dell’impresa a bassa imposizione confluiscono nel bilancio consolidato ipotetico dell’entità controllante, linea per linea, in modo da determinare la quota di reddito attribuibile agli altri soci in base al principio contabile di riferimento. Questa ipotesi si limita al consolidamento solo dei proventi e degli oneri della specifica entità a bassa imposizione in quanto, come chiarito nel paragrafo 34 del Commentario all’articolo 2.2.3 delle Model Rules, è volta a evitare qualsiasi confusione che potrebbe nascere qualora si assumesse che il suo utile sia uguale al suo reddito rilevante.
c) ove tutti i redditi rilevanti dell’impresa a bassa imposizione fossero riferibili a operazioni con soggetti non appartenenti al gruppo;
L’ordinario processo di preparazione del bilancio consolidato prevede l’eliminazione dei proventi e degli oneri attribuibili alle operazioni tra i membri appartenenti allo stesso gruppo. La lettera c) stabilisce, invece, che l’importo da allocare nella ripartizione ipotetica è il totale del reddito rilevante dell’impresa a bassa imposizione indipendentemente dal fatto che una parte o la totalità di tale reddito sia stata conseguita attraverso operazioni con altre entità del gruppo.
d) ove tutte le partecipazioni non detenute direttamente o indirettamente dalla controllante fossero detenute da soggetti non appartenenti al gruppo.
In base alla previsione di cui alla lettera d) anche le altre imprese che detengono una partecipazione nell’impresa a bassa imposizione sono considerate alla stregua di terzi in modo che il reddito rilevante loro riferibile sia trattato come reddito di terzi. Ciò garantisce che solo il reddito rilevante attribuibile alla partecipazione, diretta o indiretta, nella controllata sia computato nel calcolo della quota di attribuzione all’entità controllante.
Il comma 4 chiarisce che nell’esercizio, in aggiunta agli importi attribuiti alla controllante (ai sensi del comma 1), è dovuta dalla controllante (ai sensi dell’articolo 13, comma 2, dell’articolo 14, commi 2 e 5, dell’articolo 15, comma 2):
a) l’imposta minima integrativa pari all’intero importo di imposizione integrativa (ai sensi dell’articolo 34) relativa a tale controllante;
b) l’imposta minima integrativa relativa alle imprese a bassa imposizione, facenti parte del gruppo e localizzate nel territorio dello Stato italiano, corrispondente all’imposizione integrativa ad essa attribuita relativa ad ogni impresa a bassa imposizione, determinata moltiplicando l’imposizione integrativa (ai sensi dell’articolo 34) per la sua quota di attribuzione, come definita nel comma 2.
Articolo 17
(Scomputo dell’imposta minima integrativa)
L’articolo 17 individua i criteri per lo scomputo dell’imposta minima integrativa, previsto ove un’entità controllante localizzata in Italia detiene una partecipazione in un’entità costitutiva a bassa imposizione indirettamente, attraverso un’entità controllante intermedia o un’entità controllante parzialmente partecipata assoggettata a imposta integrativa.
Ai sensi dell’articolo 9 della direttiva (UE) 2022/2023, se un’entità controllante localizzata in uno Stato membro detiene una partecipazione in un’entità costitutiva a bassa imposizione indirettamente, attraverso un’entità controllante intermedia o un’entità controllante parzialmente partecipata assoggettata a un’IIR qualificata per l’esercizio fiscale, l’imposta integrativa è ridotta di un importo pari all’imposta integrativa dovuta dall’entità controllante intermedia o dall’entità controllante parzialmente partecipata, moltiplicata per la quota di partecipazione che la summenzionata entità controllante detiene nell’entità controllante intermedia o nell’entità controllante parzialmente partecipata.
L’articolo 17, ai fini dell’attuazione dell’articolo 10 della direttiva, al comma 1 chiarisce che, se una controllante localizzata nel territorio dello Stato italiano detiene indirettamente una partecipazione in un’impresa a bassa imposizione attraverso una partecipante intermedia che, per l’esercizio, è soggetta ad un’imposta minima integrativa (se localizzata in Italia) o ad un’imposta minima integrativa equivalente(se localizzata in altro Paese) rispetto a tale impresa a bassa imposizione, l’imposizione integrativa attribuita alla controllante relativa a tale impresa a bassa imposizione (ai sensi degli articoli 13, 14, e 15) viene ridotta in misura pari alla porzione di detta imposizione integrativa che è attribuita alla partecipante intermedia.
Analoghe disposizioni sono contenute nel comma 2 per l’ipotesi in cui una controllante localizzata nel territorio dello Stato italiano detiene indirettamente una partecipazione in un’impresa a bassa imposizione attraverso una partecipante parzialmente posseduta che, per l’esercizio, è soggetta ad un’imposta minima integrativa o ad un’imposta minima integrativa equivalente rispetto a tale impresa a bassa imposizione. In tal caso l’imposizione integrativa attribuita alla controllante relativa a tale impresa a bassa imposizione (ai sensi degli articoli 13, 14 e 15) è ridotta in misura pari alla porzione di detta imposizione integrativa che è attribuita alla partecipante parzialmente posseduta.
Tale disposizione consente quindi di evitare la duplicazione del prelievo, facendo in modo che l’imposizione integrativa attribuita ad una controllante si riduca in modo corrispondente quando due controllanti nella stessa catena partecipativa siano tenute ad applicare l’imposta minima integrativa in relazione alla medesima impresa a bassa imposizione.
Articolo 18
(Imposta minima nazionale)
L’articolo 18 istituisce e disciplina l’imposta minima nazionale, dovuta qualora l’aliquota di imposizione effettiva, relativa alle imprese di un gruppo multinazionale o nazionale e alle entità a controllo congiunto localizzate nel territorio dello Stato italiano, è inferiore alla aliquota minima di imposta e pari all’imposizione integrativa relativa a tutte le suddette imprese ed entità.
Più in dettaglio, con l’articolo 18 si esercita la facoltà concessa agli Stati membri dall’articolo 11 della direttiva (UE) 2022/2523, che possono applicare un’imposta integrativa domestica qualificata.
Il richiamato articolo 11 chiarisce che, se uno Stato membro in cui sono localizzate le entità costitutive di un gruppo multinazionale sceglie di applicare un’imposta integrativa domestica qualificata, tutte le entità costitutive a bassa imposizione del gruppo in tale Stato membro sono assoggettate a tale imposta integrativa domestica, per l’esercizio fiscale.
Nell’ambito di un’imposta integrativa domestica qualificata, gli utili domestici in eccesso delle entità costitutive a bassa imposizione possono essere calcolati sulla base di un principio contabile conforme o di un principio contabile autorizzato, approvato dall’apposito organismo contabile, e aggiustato per evitare distorsioni competitive rilevanti, invece che sulla base del principio contabile utilizzato nel bilancio consolidato.
Nel caso in cui un’entità controllante di un gruppo è localizzata in uno Stato membro e le sue entità costitutive, detenute direttamente o indirettamente, localizzate in tale Stato membro o in un’altra giurisdizione sono assoggettate a un’imposta integrativa domestica qualificata per l’esercizio fiscale, l’importo di un’eventuale imposta integrativa - calcolata a norma dell’articolo 27 - dovuta dall’entità controllante - a norma degli articoli da 5 a 8 – viene ridotto dell’importo dell’imposta integrativa domestica qualificata dovuta dall’entità stessa o da tali entità costitutive, fino a concorrenza del suo azzeramento.
Se e l’imposta integrativa domestica qualificata è stata calcolata per un esercizio fiscale in conformità del principio contabile conforme dell’entità controllante capogruppo o dei principi internazionali di rendicontazione finanziaria (IFRS o IFRS adottati dall’Unione a norma del regolamento (CE) n. 1606/2002), non è calcolata alcuna imposta integrativa in conformità dell’articolo 27 per tale esercizio fiscale per le entità costitutive di tale gruppo multinazionale di imprese o gruppo nazionale su larga scala localizzate in tale Stato membro. Le norme richiamate non pregiudicano il calcolo di un’imposta integrativa aggiuntiva (a norma dell’articolo 29) nel caso in cui uno Stato membro non applichi un’imposta integrativa domestica qualificata per la riscossione di eventuali imposte integrative aggiuntive, derivanti dall’articolo 29.
Ove l’importo dell’imposta integrativa domestica qualificata per l’esercizio fiscale non sia stato versato entro i quattro esercizi fiscali successivi all’esercizio fiscale in cui era dovuto, l’importo dell’imposta integrativa domestica qualificata non versato è aggiunto all’imposta integrativa giurisdizionale e non è riscosso dallo Stato membro che ha operato la scelta a norma del medesimo articolo 10.
Gli Stati membri che scelgono di applicare un’imposta integrativa domestica qualificata notificano tale scelta alla Commissione entro i quattro mesi successivi all’adozione delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative nazionali che introducono un’imposta integrativa domestica qualificata. Tale scelta è valida e non può essere revocata per un periodo di tre anni. Al termine di ciascun periodo di tre anni, la scelta è rinnovata automaticamente a meno che lo Stato membro non revochi la sua scelta. L’eventuale revoca della scelta è notificata alla Commissione al più tardi quattro mesi prima del termine del periodo di tre anni.
Il comma 1 dell’articolo 18 chiarisce che, se in un esercizio l’aliquota di imposizione effettiva (determinata ai sensi dell’articolo 33 o dell’articolo 38 o dell’articolo 43, in quanto compatibili; si vedano le relative schede di lettura) relativa alle imprese di un gruppo multinazionale o nazionale e alle entità a controllo congiunto localizzate nel territorio dello Stato italiano è inferiore alla aliquota minima di imposta, è dovuta una imposta minima nazionale pari all’imposizione integrativa, relativa a tutte le suddette imprese ed entità.
Il Governo al riguardo rammenta che la circostanza che sia una imposta “qualificata” fa sì che essa possa essere detratta in Italia, secondo quanto disposto nell’articolo 34, comma 4, dello schema, dall’imposizione integrativa dovuta dal gruppo in relazione alle imprese localizzate in Italia. Il gruppo (multinazionale o nazionale) ha inoltre, proprio per il fatto che l’Italia ha configurato come imposta qualificata l’imposta minima nazionale la facoltà di decidere, con riferimento alle imprese localizzate in Italia, se avvalersi o meno del “porto sicuro”. L’opzione per il “porto sicuro” consente di considerare pari a zero l’imposizione integrativa dovuta dal gruppo (italiano o estero) in relazione alle imprese localizzate in Italia che hanno pagato l’imposta minima nazionale. In altri termini, si tratta di una semplificazione normativa perché, per effetto della suddetta opzione, si evitano i complessi calcoli previsti dalle regole ordinarie per stabilire la eventuale imposizione integrativa ancora dovuta (al netto dell’imposta minima nazionale pagata) per le imprese localizzate in Italia (si veda la scheda relativa all’articolo 34, del decreto legislativo, con particolare riferimento al comma 4 ed il comma 6 del presente articolo).
L’imposta minima nazionale è calcolata indipendentemente dalla quota di partecipazione detenuta nelle imprese localizzate nel territorio dello Stato italiano da parte di qualsiasi controllante del gruppo multinazionale o nazionale.
A tal fine:
a) le norme applicabili sono quelle del Titolo II in commento, incluse quelle dell’articolo 36 (imposizione integrativa addizionale) e dell’articolo 39 (sui regimi semplificati) e le definizioni contenute nell’Allegato A, nel rispetto di quanto indicato nei commi successivi al primo, avuto riguardo ai soli valori relativi alle imprese ed entità a controllo congiunto localizzate nel territorio dello Stato italiano;
b) non si tiene conto, in relazione ai criteri di imputazione delle imposte rilevanti (commi 1, 3, 4, 5 e 6 dell’articolo 31), delle imposte rilevanti dovute in altri Paesi da un’impresa proprietaria e da una casa madre ivi localizzate relativamente ad imprese o entità a controllo congiunto localizzate nel territorio dello Stato italiano;
c) l’imposizione integrativa relativa a tutte le imprese ed entità localizzate nel territorio dello Stato italiano in un esercizio è pari al prodotto tra il profitto eccedente del Paese e l’aliquota di imposizione integrativa, maggiorato dell’imposizione integrativa addizionale relativa al Paese (determinata ai sensi dell’articolo 36).
Il comma 2 indica le modalità di calcolo del profitto eccedente e dell’importo dell’imposta minima nazionale.
In particolare, il profitto eccedente di tutte le imprese e di tutte le entità a controllo congiunto localizzate nel territorio dello Stato italiano e l’importo dell’imposta minima nazionale sono calcolati sulla base dei bilanci o rendiconti redatti in conformità ai principi contabili da queste adottati, in ottemperanza alla normativa fiscale o societaria italiana, oppure sulla base dei bilanci o rendiconti soggetti a revisione contabile esterna qualora questi siano redatti in conformità a tali principi contabili, sebbene la normativa fiscale o societaria italiana non le obblighi ad adottarli.
La Relazione illustrativa al riguardo chiarisce che, nel caso dell’Italia, si tratta dei principi ITA GAAP - Generally Accepted Accounting Principles e IFRS adottati dall’Unione a norma del regolamento (CE) n. 1606/2002 del Parlamento europeo e del Consiglio del 19 luglio 2002.
Ai sensi del successivo comma 3, se una o più imprese o entità a controllo congiunto localizzate nel territorio dello Stato italiano non soddisfano le condizioni sopra menzionate (di cui al comma 2) o redigono il bilancio o rendiconto avendo a riferimento un esercizio differente da quello del bilancio consolidato del gruppo, il profitto eccedente e l’imposta minima nazionale sono calcolati sulla base dei principi contabili adottati nel bilancio consolidato predisposto dalla controllante capogruppo (in conformità all’articolo 22, comma 1, secondo periodo dello schema) o dei principi contabili adottati in conformità all’articolo 22, comma 2, che reca indicazioni valevoli ove non sia ragionevolmente possibile determinare in modo accurato l’utile o perdita contabile netta dell’esercizio dell’impresa secondo principi contabili conformi ovvero principi contabili autorizzati, utilizzati dalla controllante capogruppo ai fini della predisposizione del bilancio consolidato.
Il successivo comma 4 reca disposizioni in tema di valuta utilizzata ai fini del calcolo dell’imposta. In particolare si prevede che, nei casi di redazione del bilancio secondo la normativa fiscale e societaria italiana ovvero in caso di revisione esterna (casi di cui al già commentato comma 2), ove tutte le imprese o le entità a controllo congiunto localizzate nel territorio dello Stato italiano adottano l’euro come valuta funzionale, le disposizioni in commento sono applicate utilizzando importi denominati in euro. Viceversa, se non tutte le imprese o le entità a controllo congiunto localizzate nel territorio dello Stato italiano adottano l’euro come valuta funzionale, l’impresa dichiarante può esercitare un’opzione quinquennale per scegliere di effettuare i calcoli dell’imposta minima nazionale in relazione a tutte le imprese o entità a controllo congiunto localizzate nel territorio dello Stato italiano utilizzando la valuta di presentazione del bilancio consolidato oppure l’euro. Le suddette imprese o entità a controllo congiunto che utilizzano una diversa valuta funzionale rispetto a quella prescelta operano la conversione sulla base delle regole di conversione valutaria previste nel principio contabile adottato ai fini della predisposizione del bilancio consolidato.
Il comma 5 prevede che, ove il profitto eccedente e l’imposta minima nazionale siano calcolati sulla base dei principi contabili adottati nel bilancio consolidato predisposto dalla controllante capogruppo (casi di cui al comma 3) le disposizioni in esame sono applicate utilizzando gli importi denominati nella valuta di presentazione del bilancio consolidato.
Con il comma 6 si prevede che, se l’imposta minima nazionale o l’imposta minima nazionale equivalente è stata calcolata, per l’esercizio, sulla base dei principi contabili conformi adottati dalla controllante capogruppo ovvero dei principi contabili internazionali, l’imposizione integrativa (calcolata ai sensi dell’articolo 34) si assume pari a zero.
Il comma 7 prevede che, ai fini dell’imposta minima nazionale, non si applicano le esclusioni dall’imposizione integrativa (previste nell’articolo 56) per i gruppi multinazionali o nazionali di imprese.
Ai sensi del comma 8 tutte le imprese del gruppo, diverse dalle entità di investimento, e le entità a controllo congiunto localizzate nel territorio dello Stato, sono tra loro solidalmente e congiuntamente responsabili per il pagamento della imposta minima nazionale. Il gruppo multinazionale o nazionale individua l’impresa localizzata in Italia quale responsabile dell’imposta minima nazionale e stabilisce la ripartizione del relativo onere tra le imprese localizzate nel territorio dello Stato italiano.
Ai fini del calcolo dell’imposta (comma 9) non assumono rilevanza fiscale le somme percepite e versate a fronte del riaddebito dell’imposta minima nazionale effettuato tra le imprese e entità a controllo congiunto.
Infine il comma 10 affida il compito di individuare le disposizioni attuative con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore delle norme in esame.
Articolo 19
(Applicazione dell’imposta minima suppletiva)
L’articolo 19 disciplina l’ipotesi in cui la controllante capogruppo è localizzata in un Paese terzo che non applica una imposta minima integrativa equivalente ovvero è una entità esclusa. In tal caso, tutte le imprese localizzate nel territorio dello Stato italiano, diverse dalle entità di investimento, sono tra loro solidalmente e congiuntamente responsabili per il pagamento, a titolo di imposta minima suppletiva, di un importo pari all’imposizione integrativa attribuita, per l’esercizio, allo Stato italiano.
L’articolo 12 della direttiva (UE) 2022/2523 dispone che, se l’entità controllante capogruppo di un gruppo multinazionale di imprese è localizzata nella giurisdizione di un paese terzo che non applica un’IIR qualificata o se l’entità controllante capogruppo di un gruppo multinazionale di imprese è un’entità esclusa, gli Stati membri garantiscono che le entità costitutive localizzate nell’Unione siano soggette, nello Stato membro in cui sono localizzate, a un aggiustamento pari all’importo dell’imposta integrativa UTPR imputato a tale Stato membro per l’esercizio fiscale a norma.
A tal fine, tale aggiustamento può assumere la forma di un’imposta integrativa dovuta da tali entità costitutive o di una negazione della deduzione dal reddito imponibile di tali entità costitutive che risulti in un importo di debito d’imposta necessario per riscuotere l’importo dell’imposta integrativa UTPR imputato a tale Stato membro.
Ove si applichi l’aggiustamento sotto forma di negazione della deduzione dal reddito imponibile, tale aggiustamento si applica per quanto possibile in relazione all’esercizio d’imposta in cui si conclude l’esercizio fiscale per il quale l’importo dell’imposta integrativa UTPR era stato calcolato e imputato a uno Stato membro. L’importo dell’imposta integrativa UTPR che rimanga dovuto per un esercizio fiscale a seguito dell’applicazione di una negazione della deduzione dal reddito imponibile per tale esercizio fiscale è riportato nella misura necessaria ed è soggetto, per ciascun esercizio fiscale successivo, all’aggiustamento a norma del paragrafo 1 fino al versamento dell’importo totale dell’imposta integrativa UTPR imputato a tale Stato membro per l’esercizio fiscale in questione. Le norme dell’articolo 12 della direttiva non si applicano alle entità costitutive che sono entità d’investimento.
Più in dettaglio, il comma 1 dispone in ordine all’ipotesi in cui la controllante capogruppo sia localizzata in un Paese terzo che non applica una imposta minima integrativa equivalente ovvero è una entità esclusa. In tale ipotesi, tutte le imprese localizzate nel territorio dello Stato italiano, diverse dalle entità di investimento, sono tra loro solidalmente e congiuntamente responsabili per il pagamento, a titolo di imposta minima suppletiva, di un importo pari all’imposizione integrativa attribuita, per l’esercizio, allo Stato italiano (ai sensi dell’articolo 21 dello schema, che individua i criteri per detta attribuzione).
Il comma 2 chiarisce che in tal caso spetta al gruppo multinazionale il compito di individuare l’impresa localizzata nel territorio dello Stato italiano tenuta al versamento dell’imposta minima suppletiva; esso può stabilire la ripartizione del relativo onere tra le imprese localizzate nel territorio dello Stato italiano.
Il comma 3 dispone che le somme percepite o versate dalle imprese a fronte del riaddebito dell’imposta minima suppletiva non assumono rilevanza fiscale.
Articolo 20
(Applicazione dell’imposta minima suppletiva
nel Paese della controllante capogruppo)
L’articolo 20 individua le modalità di applicazione dell’imposta minima suppletiva nel Paese della controllante capogruppo. Si prevede in particolare che, se la controllante capogruppo p localizzata in un Paese terzo a bassa imposizione, tutte le imprese del gruppo localizzate nel territorio dello Stato italiano, purché diverse dalle entità di investimento, siano tra loro solidalmente e congiuntamente responsabili per il pagamento, a titolo di imposta minima suppletiva, dell’importo pari all’imposizione integrativa attribuita, per l’esercizio, allo Stato italiano.
Si ricorda al riguardo che l’articolo 13 della direttiva (UE) 2022/2523 prevede che, se l’entità controllante capogruppo di un gruppo multinazionale di imprese è localizzata nella giurisdizione di un paese terzo a bassa imposizione, le entità costitutive localizzate nell’Unione devono essere soggette, nello Stato membro in cui sono localizzate, a un aggiustamento pari all’importo dell’imposta integrativa UTPR imputato a tale Stato membro per l’esercizio fiscale. Tale disposizione non si applica quando l’entità controllante capogruppo in una giurisdizione di un paese terzo a bassa imposizione è assoggettata a un’IIR qualificata per sé stessa e le sue entità costitutive a bassa imposizione localizzate in tale giurisdizione.
L’aggiustamento può assumere la forma di un’imposta integrativa dovuta da tali entità costitutive o di una negazione della deduzione dal reddito imponibile di tali entità costitutive che risulti in un importo di debito d’imposta necessario per riscuotere l’importo dell’imposta integrativa UTPR imputato a tale Stato membro.
Se l’aggiustamento viene applicato sotto forma di negazione della deduzione dal reddito imponibile, esso si applica per quanto possibile in relazione all’esercizio d’imposta in cui si conclude l’esercizio fiscale per il quale l’importo dell’imposta integrativa UTPR era stato calcolato e imputato a uno Stato membro. L’importo dell’imposta integrativa UTPR che rimanga dovuto per un esercizio fiscale a seguito dell’applicazione di una negazione della deduzione dal reddito imponibile per tale esercizio fiscale è riportato nella misura necessaria ed è soggetto, per ciascun esercizio fiscale successivo, all’aggiustamento fino al versamento dell’importo totale dell’imposta integrativa UTPR imputato a tale Stato membro per l’esercizio fiscale in questione. 3. Le entità costitutive che sono entità d’investimento non sono soggette al presente articolo.
Più in dettaglio, il comma 1 dispone che, ove la controllante capogruppo sia localizzata in un Paese terzo a bassa imposizione, tutte le imprese del gruppo localizzate nel territorio dello Stato italiano, diverse dalle entità di investimento, sono tra loro solidalmente e congiuntamente responsabili per il pagamento, a titolo di imposta minima suppletiva, dell’importo pari all’imposizione integrativa attribuita, per l’esercizio, allo Stato italiano.
Coerentemente a quanto disposto dalla direttiva, il comma 2 chiarisce che le disposizioni del comma 1 non trovano applicazione se la controllante capogruppo è soggetta ad una imposta minima integrativa equivalente con riferimento a sé stessa ed alle sue imprese a bassa imposizione localizzate nel suo Paese di localizzazione.
Spetta (comma 3) al gruppo multinazionale il compito di individuare l’impresa localizzata nel territorio dello Stato italiano tenuta al versamento dell’imposta minima suppletiva; esso può stabilire la ripartizione del relativo onere tra le imprese localizzate nel territorio italiano.
Le somme percepite o versate dalle imprese a fronte del riaddebito dell’imposta minima suppletiva non assumono rilevanza fiscale (comma 4).
Articolo 21
(Calcolo e imputazione dell’imposta minima suppletiva)
L’articolo 21 individua le modalità di calcolo e imputazione dell’imposta minima suppletiva attribuita allo Stato italiano.
Essa si determina moltiplicando l’importo complessivo dell’imposta minima suppletiva per la percentuale di sua pertinenza. Le disposizioni le modalità di calcolo della percentuale dell’imposta minima suppletiva imputabile allo Stato italiano calcolata con riferimento ad un dato esercizio e in relazione ad un gruppo multinazionale, le deroghe e, infine, consentono, su opzione dell’impresa dichiarante, e in via temporanea, di calcolare come pari a zero l’imposta minima suppletiva dovuta in relazione al Paese di localizzazione della controllante capogruppo, se tale Paese applica l’imposta sul reddito delle società con un’aliquota nominale pari o superiore al 20 per cento.
Si ricorda al riguardo che l’articolo 14 della direttiva (UE) 2022/2523 stabilisce che l’importo dell’imposta integrativa UTPR imputato a uno Stato membro sia calcolato moltiplicando l’imposta integrativa UTPR totale per la percentuale UTPR dello Stato membro.
In particolare, l’imposta integrativa UTPR totale per un dato esercizio fiscale è pari alla somma dell’imposta integrativa calcolata per ciascuna entità costitutiva a bassa imposizione del gruppo multinazionale di imprese per tale esercizio fiscale, subordinatamente ad alcuni aggiustamenti.
In particolare l’imposta integrativa di un’entità costitutiva a bassa imposizione è pari a zero se, per l’esercizio fiscale, tutte le partecipazioni dell’entità controllante capogruppo in tale entità costitutiva a bassa imposizione sono detenute, direttamente o indirettamente, da una o più entità controllate che sono tenute ad applicare un’IIR qualificata per l’entità costitutiva a bassa imposizione per quell’esercizio fiscale. Ove non si applichi tale ultima disposizione, l’imposta integrativa di un’entità costitutiva a bassa imposizione è ridotta della quota imputabile di imposta integrativa di un’entità controllante dell’entità costitutiva a bassa imposizione imponibile ai sensi dell’IIR qualificata.
Sono individuate le formule di calcolo della percentuale UTPR di uno Stato membro, con riferimento al numero dei dipendenti e al valore totale delle attività materiali delle imprese coinvolte. Le norme individuano altresì le modalità di individuazione del numero di dipendenti e delle attività materiali. Sono inoltre previste specifiche deroghe alla modalità ordinaria di calcolo e alcune ulteriori specificazioni.
Ai sensi del comma 1 l’imposta minima suppletiva attribuita allo Stato italiano si determina moltiplicando l’importo complessivo dell’imposta minima suppletiva (calcolata ai sensi del successivo comma 2) per la percentuale di sua pertinenza (determinata ai sensi del successivo comma 5).
Il comma 2 individua le modalità di calcolo dell’importo complessivo dell’imposta minima suppletiva relativo ad un dato esercizio. Esso è pari alla somma della imposizione integrativa relativa a ciascuna delle imprese del gruppo multinazionale dovuta per il medesimo esercizio (ai sensi dell’articolo 34 dello schema), tenuto conto di quanto previsto dai successivi ai commi 3 e 4.
Il comma 3 chiarisce che l’importo di tale imposta relativa ad un’impresa a bassa imposizione è pari a zero se, nell’esercizio, tutte le partecipazioni della controllante capogruppo in tale impresa sono detenute direttamente o indirettamente per il tramite di una o più controllanti che sono localizzate in Paesi che applicano una imposta minima integrativa equivalente con riferimento a detta impresa a bassa imposizione per il medesimo esercizio.
Inoltre (comma 4), fuori dai predetti casi di detenzione in Paesi che applicano un’imposta integrativa equivalente (casi previsti dal comma 3), l’importo dell’imposta minima suppletiva relativa ad un’impresa a bassa imposizione è ridotto in misura pari all’importo dell’imposizione integrativa dovuta da una controllante che, con riferimento ad essa, applica un’imposta minima integrativa equivalente.
I commi 5 e 6 individuano le modalità di calcolo della percentuale dell’imposta minima suppletiva imputabile allo Stato italiano calcolata con riferimento ad un dato esercizio e in relazione ad un gruppo multinazionale.
Ai sensi del comma 5, detta percentuale è pari al 50 per cento della somma dei seguenti rapporti:
a) numero dei dipendenti impiegati da tutte le imprese del gruppo multinazionale localizzate nello Stato italiano, diviso per il numero dei dipendenti complessivamente impiegati da tutte le imprese del gruppo multinazionale localizzate in Paesi in cui è in vigore una imposta minima suppletiva equivalente;
b) il valore contabile netto dei beni tangibili di tutte le imprese del gruppo multinazionale localizzate nello Stato italiano diviso per il valore contabile netto dei beni tangibili di tutte le imprese del gruppo multinazionale localizzate in Paesi che applicano una imposta minima suppletiva equivalente.
Il comma 6 specifica alcuni criteri per il predetto calcolo. In particolare:
a) il numero dei dipendenti corrisponde al numero di dipendenti equivalenti a tempo pieno, calcolati su basa annua rispetto alle ore medie di un lavoratore a tempo pieno, impiegati da tutte le imprese localizzate nel Paese di pertinenza, comprensivi dei lavoratori che partecipano ordinariamente alle attività operative di queste ultime alle dipendenze di fornitori non appartenenti al gruppo multinazionale;
b) ad una stabile organizzazione sono attribuiti i lavoratori dipendenti il cui costo è contabilizzato nel suo conto economico (in conformità alle disposizioni dell’articolo 25, comma 1 e comma 2, che individua i criteri per il calcolo del reddito o della perdita rilevante per le stabili organizzazioni). I dipendenti che sono attribuiti alla stabile organizzazione non rilevano ai fini del computo dei lavoratori dipendenti relativo al Paese di localizzazione della casa madre;
c) ad una stabile organizzazione sono attribuiti i beni tangibili che sono rilevati nello stato patrimoniale ad essa relativo, in conformità alle disposizioni già citate dell’articolo 25, comma 1 e comma 2. I beni tangibili che sono attribuiti alla stabile organizzazione in conformità al precedente periodo non rilevano ai fini del computo del valore contabile netto dei beni tangibili relativo al Paese di localizzazione della casa madre;
d) i beni tangibili comprendono quelli di tutte le imprese localizzate nel Paese di pertinenza ad eccezione delle disponibilità liquide o attivi equivalenti e delle immobilizzazioni immateriali o finanziarie.
e) il numero dei dipendenti ed il valore contabile netto dei beni tangibili rispettivamente impiegati e detenute da una entità di investimento non sono presi in considerazione;
f) il numero dei dipendenti ed il valore contabile netto dei beni tangibili rispettivamente impiegati e detenute da una entità trasparente sono irrilevanti salvo che essi siano attribuiti ad una stabile organizzazione ovvero, in assenza di una stabile organizzazione, alle imprese localizzate nel suo Paese di costituzione.
Il successivo comma 7 prevede alcune deroghe alle modalità di calcolo della percentuale dell’imposta minima suppletiva attribuita allo Stato italiano. Più precisamente, in deroga a quanto previsto al comma 5, la percentuale dell’imposta minima suppletiva relativa a un gruppo multinazionale, imputabile ad un Paese e riferita ad un determinato esercizio è pari a zero se in detto Paese l’imposta di sua pertinenza relativa ad un esercizio precedente non abbia generato, per il suo intero ammontare, un onere fiscale supplementare esigibile sulle imprese del gruppo ivi localizzate. In tal caso, il numero dei dipendenti ed il valore contabile netto dei beni tangibili delle imprese del gruppo ivi localizzate sono esclusi ai fini del calcolo della menzionata percentuale.
Il comma 8 mantiene invece ferma l’applicazione delle disposizioni di cui al comma 5 in materia di percentuale di calcolo ove, conformemente alle disposizioni di cui al comma 7, in un esercizio, la percentuale di imposta suppletiva relativa a un gruppo multinazionale imputabile a tutti i Paesi in cui sono localizzate le sue imprese è pari a zero.
Il comma 9 consente, su opzione dell’impresa dichiarante, per gli esercizi di durata non superiore a 12 mesi che iniziano entro il 31 dicembre 2025 e terminano prima del 31 dicembre 2026, di calcolare come pari a zero l’imposta minima suppletiva dovuta in relazione al Paese di localizzazione della controllante capogruppo, se tale Paese applica l’imposta sul reddito delle società con un’aliquota nominale pari o superiore al 20 per cento.
Nel Capo III sono indicate le modalità di determinazione del reddito o della perdita rilevante (articolo 22) nonché gli aggiustamenti intesi a determinare il reddito o la perdita rilevante (articoli da 23 a 26). In particolare, lo schema di decreto stabilisce che il reddito o la perdita rilevante sono calcolati apportando gli aggiustamenti di cui agli articoli da 23 a 26. L’articolo 24 prevede, inoltre, una specifica disciplina per l’utile derivante dal trasporto marittimo internazionale e dalle attività accessorie del trasporto marittimo internazionale mentre gli articoli 25 e 26 disciplinano rispettivamente il reddito o perdita rilevante della stabile organizzazione e l’imputazione del reddito o della perdita rilevante di una entità trasparente.
Articolo 22
(Procedura di calcolo del reddito o perdita rilevante)
L’articolo 22 definisce le modalità per procedere al calcolo del reddito o della perdita rilevante. La norma prende in considerazione, altresì, l’ipotesi in cui non sia possibile farlo in base ai principi contabili utilizzati dalla controllante capogruppo e dispone le misure da adottarsi da parte della controllante capogruppo, qualora non sia redatto il bilancio consolidato, o comunque in presenza di una distorsione competitiva rilevante.
Nello specifico, il comma 1 dell’articolo prevede che il reddito o la perdita rilevante di un’impresa si determina apportando all’utile o perdita contabile netta dell’esercizio le variazioni in aumento o in diminuzione conseguenti all’applicazione delle disposizioni contenute negli articoli successivi da 23 a 26. Per determinare tale calcolo, la norma chiarisce che l’utile o perdita contabile netta dell’esercizio corrisponde al risultato contabile netto dell’impresa di detto esercizio, calcolato in conformità ai principi contabili utilizzati dalla controllante capogruppo ai fini del bilancio consolidato, prima delle rettifiche da consolidamento.
Il comma 2 specifica le condizioni necessarie affinché sia possibile determinare l’utile o perdita contabile netta dell’esercizio dell’impresa anche nell’ipotesi in cui non sia possibile farlo in base ai principi contabili utilizzati dalla controllante capogruppo. In tal senso, la norma prevede che qualora non sia ragionevolmente possibile determinare in modo accurato l’utile o perdita contabile netta dell’esercizio dell’impresa secondo principi contabili conformi ovvero principi contabili autorizzati, utilizzati dalla controllante capogruppo ai fini della predisposizione del bilancio consolidato, l’utile o perdita contabile netta dell’impresa nell’esercizio può essere determinata sulla base di altri principi contabili conformi ovvero principi contabili autorizzati a condizione che:
§ il bilancio dell’impresa sia effettivamente predisposto in conformità a tali altri principi contabili;
§ le informazioni riportate nel bilancio siano affidabili;
§ l’uso di tali altri principi non determini differenze permanenti di valore superiore complessivamente ad un milione di euro rispetto ai valori che si sarebbero determinati se l’impresa avesse utilizzato i medesimi principi contabili della controllante capogruppo ai fini della preparazione del bilancio consolidato. Laddove le differenze permanenti risultino di valore superiore in aggregato ad un milione di euro, le operazioni di gestione o l’insieme delle operazioni di gestione che le hanno determinate debbono essere computate conformemente ai principi contabili adottati dalla controllante capogruppo ai fini della preparazione del bilancio consolidato.
Il comma 3 stabilisce che se la controllante capogruppo non redige il bilancio consolidato sulla base dei principi contabili conformi, come indicato nell’allegato A, numero 3), lettera c), è tenuta a rimuovere le distorsioni competitive rilevanti.
Come evidenziato nella relazione illustrativa, si verifica una “distorsione competitiva rilevante” (MaterialCompetitive Distortion secondo le regole OCSE) quando l’applicazione di un principio o di una procedura specifica consentita da un principio contabile generalmente accettato, che non è un principio contabile conforme, comporta una variazione aggregata superiore a 75 milioni di euro in un esercizio rispetto all’importo che sarebbe stato determinato applicando il corrispondente principio o procedura prevista nei principi contabili internazionali (IFRS o IFRS adottati dall’Unione a norma del regolamento (CE) n. 1606/2002). La variazione complessiva si riferisce alla variazione totale riflessa nel bilancio consolidato del gruppo multinazionale o nazionale e tiene, quindi, conto dell’impatto del principio o della procedura su tutte le operazioni interessate di tutte le imprese del gruppo multinazionale o nazionale.
Il comma 4 prevede, altresì, che se la controllante capogruppo non redige il bilancio consolidato ai sensi dell’allegato A numero 3), lettere a), b) e c), il bilancio consolidato di cui alla lettera d) del medesimo numero 3) è quello che sarebbe stato predisposto dalla controllante capogruppo utilizzando i principi contabili conformi ovvero principi contabili autorizzati a condizione, in tale ultimo caso, che siano rimosse eventuali distorsioni competitive rilevanti.
Il comma 5, più in generale, dispone che se l’applicazione di un principio, o di una sua procedura specifica, nell’ambito di un insieme di principi contabili generalmente accettati determina l’emersione di una distorsione competitiva rilevante, tutti i pertinenti fatti di gestione devono essere rilevati in conformità ai principi contabili internazionali.
Articolo 23
(Variazioni per il calcolo del reddito o perdita rilevante)
L’articolo 23 stabilisce le modalità di calcolo attraverso le quali si apportano all’utile o alla perdita contabile netta dell’esercizio le variazioni in aumento o in diminuzione necessarie a determinare il reddito o perdita rilevante di un’impresa.
Il comma 1 della disposizione fornisce le definizioni di alcuni termini utilizzati nei commi successivi dell’articolo, ai fini del calcolo delle variazioni per la determinazione del reddito o perdita rilevante.
Il comma 2 specifica le variazioni che il reddito o la perdita rilevante di un’impresa è pari all’importo del suo utile o perdita contabile netta, rettificato per tener conto delle seguenti variazioni:
§ onere fiscale netto;
Per onere fiscale netto si intende, ai sensi della definizione contenuta al comma 1, a), per un dato esercizio, la somma algebrica dei seguenti addendi: 1) ogni imposta rilevante contabilizzata come onere dell’esercizio e ogni imposta rilevante corrente e differita contabilizzata nella voce “imposte dell’esercizio” o equivalente, compresa ogni imposta rilevante relativa ad elementi di reddito che sono esclusi dal reddito o dalla perdita rilevante; 2) ogni imposta anticipata relativa a perdite, ai fini delle imposte rilevanti, registrata nell’esercizio; 3) ogni imposta minima nazionale o imposta minima nazionale equivalente contabilizzata come onere dell’esercizio; 4) ogni imposta contabilizzata come onere dell’esercizio e che risulta dovuta ai sensi del presente Titolo, della Direttiva o di altre disposizioni normative, anche estere, finalizzate alla implementazione delle regole OCSE; 5) ogni imposta accreditabile non rilevante contabilizzata come onere dell’esercizio.
Per imposta accreditabile non rilevante si intende secondo il numero 30) dell’Allegato A, un’imposta, diversa da un’imposta accreditabile rilevante, maturata o versata da un’impresa, che è: a) rimborsabile al beneficiario effettivo di un dividendo, distribuito da tale impresa in relazione a tale dividendo o utilizzabile come credito dal beneficiario effettivo a fronte di un debito d’imposta, diverso da un debito d’imposta relativo a tale dividendo; o b) rimborsabile alla società che distribuisce un dividendo ad un azionista.
§ dividendi esclusi;
Secondo la lettera b) del comma 1 si intende per “dividendo escluso” il dividendo o altra distribuzione percepita o maturata in relazione a una partecipazione diversa da quella detenuta dal gruppo in un’entità che attribuisce un diritto inferiore al 10 per cento degli utili, del capitale o delle riserve, o dei diritti di voto di tale entità alla data della distribuzione o della cessione (ossia una «partecipazione di portafoglio») e in cui l’impresa che riceve o matura il dividendo o altra distribuzione detiene la proprietà economica da meno di un anno rispetto alla data della distribuzione ovvero, il dividendo o altra distribuzione percepita o maturata in relazione a una partecipazione diversa da quella in un’entità d’investimento o un’entità assicurativa di investimento soggetta all’opzione prevista all’articolo 50.
Come risulta dalla relazione illustrativa la rettifica è sempre negativa in quanto comporta la sottrazione dall’utile o perdita contabile netta dell’importo dei dividendi.
§ plusvalenze o minusvalenze escluse su partecipazioni;
Secondo la lettera c) del comma 1 si tratta degli utili e delle perdite netti contabilizzati da un’impresa e relative a: 1) utili e perdite conseguenti alle variazioni del fair value di una partecipazione diversa da una partecipazione di portafoglio; 2) utili o perdite relative a partecipazioni contabilizzate con il metodo del patrimonio netto; 3) utili e perdite conseguenti all’alienazione di una partecipazione diversa da una partecipazione di portafoglio.
La rettifica è positiva in caso di perdite nette e negativa in caso di utili netti.
§ utile o perdita netta imponibile da rivalutazione;
Secondo la lettera d) del comma 1 tale definizione indica , per un dato esercizio, il valore netto positivo o negativo, aumentato o diminuito dalle relative imposte rilevanti, conseguente all’applicazione di un principio contabile che, con riferimento agli immobili, impianti ed attrezzature: 1) prevede l’effettuazione di aggiustamenti periodici del loro valore contabile per adeguarlo al loro fair value; 2) prevede la registrazione delle variazioni di valore nel prospetto delle altre componenti di conto economico complessivo; 3) non prevede la successiva contabilizzazione a conto economico di un utile o di una perdita già registrata nel prospetto delle altre componenti di conto economico complessivo.
La rettifica, può essere positiva (in caso di utile netto) o negativa (in caso di perdita netta).
§ plusvalenze e minusvalenze da trasferimento di attività e passività escluse ai sensi dell’articolo 42;
In tal caso la rettifica è negativa in caso di utile e positiva in caso di perdita.
§ utili o perdite asimmetrici su cambi esteri;
Secondo la lettera e) del comma 1 la voce “utili o perdite asimmetrici su cambi esteri” indica gli utili o perdite su valute estere maturati o realizzati da un’impresa che ha una valuta fiscale funzionale differente dalla valuta contabile funzionale e che sono: 1) inclusi nella determinazione del reddito imponibile ai fini delle imposte rilevanti di una impresa ma non nel suo utile o perdita contabile netti dell’esercizio e che sono generati dalle fluttuazioni del tasso di cambio tra la valuta contabile funzionale e la valuta fiscale funzionale; 2) inclusi nella determinazione dell’utile o perdita contabile netta dell’esercizio di un’impresa ma non nel suo reddito imponibile ai fini delle imposte rilevanti e che è generata dalle fluttuazioni del tasso di cambio tra la valuta contabile funzionale e la valuta fiscale funzionale; 3) incluse nella determinazione dell’utile o perdita contabile netta dell’esercizio di un’impresa ma non nel suo reddito imponibile ai fini delle imposte rilevanti e che è generata dalle fluttuazioni del tasso di cambio tra una valuta terza e la valuta contabile funzionale; 4) relative alle fluttuazioni del tasso di cambio tra una valuta terza e la valuta fiscale funzionale a prescindere dalla circostanza che il relativo utile o perdita su cambi abbia concorso a formare il reddito imponibile ai fini delle imposte rilevanti di un’impresa. Ai fini dei precedenti numeri da 1) a 4), la valuta fiscale funzionale è la valuta funzionale utilizzata per determinare il reddito imponibile o la perdita dell’impresa ai fini della determinazione di un’imposta rilevante nel Paese in cui la stessa è localizzata; la valuta contabile funzionale è la valuta funzionale utilizzata per determinare l’utile o perdita contabile netta dell’impresa; una valuta terza è una valuta diversa dalla valuta fiscale funzionale e dalla valuta contabile funzionale.
In tal caso la rettifica è (congiuntamente): negativa per l’utile e positiva per la perdita derivante dalla variazione del tasso di cambio tra valuta terza e valuta funzionale contabile, e positiva per l’utile e negativa per la perdita derivante dalla variazione del tasso di cambio tra valuta terza e valuta funzionale fiscale.
§ oneri illeciti e sanzioni non deducibili;
Secondo la lettera f) del comma 1, gli «oneri illeciti e sanzioni non deducibili» indicano le spese e i costi sostenuti da un’impresa di natura illecita di qualsiasi importo o riferibili a sanzioni di importo pari o superiore a cinquantamila euro ovvero ad una somma equivalente denominata nella valuta contabile funzionale, se diversa dall’euro;
§ errori e cambiamenti nei principi contabili;
La lettera g) definisce gli «errori relativi ad esercizi precedenti e cambiamenti di principi contabili» come ogni variazione del patrimonio netto di un’impresa all’inizio dell’esercizio attribuibile a: 1) la correzione di un errore nella determinazione del risultato di un esercizio precedente che ha inciso su ricavi o costi che possono essere inclusi nel calcolo del reddito o perdita rilevante del medesimo periodo, salva l’applicazione dell’articolo 32 nella misura in cui la correzione di un errore abbia comportato una diminuzione significativa delle imposte rilevanti; 2) un cambiamento nei principi contabili o nelle scelte di politiche contabili che ha inciso sulla determinazione del reddito o perdita rilevante;
§ oneri pensionistici maturati.
§
la lettera h) precisa che gli oneri pensionistici maturati indicano la differenza tra l’importo degli oneri pensionistici di competenza che hanno concorso a formare l’utile o perdita contabile netta di un esercizio e l’importo degli oneri pensionistici effettivamente corrisposti ad un fondo pensione nel corso di tale esercizio.
La rettifica è negativa quando l’importo corrisposto è superiore all’importo rilevato in conto economico ed è positiva quando l’importo corrisposto è inferiore all’importo rilevato in conto economico.
Al comma 3 si stabilisce che al fine di determinare il reddito o la perdita rilevante, su opzione esercitata dall’impresa dichiarante, si utilizza il valore fiscale dell’onere per pagamenti basati su azioni in luogo del relativo valore contabile.
L’opzione è esercitata in conformità a quanto previsto all’articolo 52, comma 1 ed è efficace per tutte le imprese localizzate nel medesimo Paese e per cinque esercizi a partire da quello con riferimento al quale è stata esercitata.
Nell’esercizio in cui l’opzione è revocata, limitatamente ai pagamenti basati su azioni non ancora effettuati, concorre alla formazione del reddito o perdita rilevante l’eccedenza positiva dell’importo complessivo del valore fiscale dell’onere per pagamenti basati su azioni che ha concorso alla formazione del reddito o perdita rilevante negli esercizi di vigenza dell’opzione rispetto al corrispondente importo complessivo del valore contabile di tale onere.
Nella relazione illustrativa si chiarisce che il comma 3 prevede una rettifica opzionale quinquennale valida per l’intera giurisdizione che è finalizzata a rimuovere, con riguardo ai pagamenti basati su azioni, l’eventuale differenza permanente tra l’ammontare che assume rilevanza a conto economico in base ai principi contabili utilizzati e il maggior ammontare che, in alcuni Paesi, assume rilevanza ai fini fiscali locali. Questa differenza, se non rimossa, può avere effetti negativi sul calcolo dell’aliquota di imposizione effettiva con possibilità che questa scenda al disotto dell’aliquota minima del 15 per cento.
Il comma 4 prevede che, qualora il diritto al pagamento basato su azioni non venga esercitato, il relativo onere contabile che ha ridotto il reddito o perdita rilevante dell’impresa nei precedenti esercizi concorre alla sua formazione nell’esercizio in cui il diritto si estingue. Nell’esercizio in cui l’opzione di cui al comma 3 è esercitata, limitatamente ai pagamenti basati su azioni non ancora effettuati, concorre alla formazione del reddito o perdita rilevante l’eccedenza positiva dell’importo complessivo del valore contabile dell’onere per pagamenti basati su azioni che ha concorso alla formazione del reddito o perdita rilevante negli esercizi precedenti rispetto al corrispondente importo complessivo del valore fiscale di tale onere che avrebbe assunto rilevanza in caso di esercizio dell’opzione stessa.
Il comma 5 stabilisce che le transazioni intercorse tra imprese debbano essere registrate nel rispetto dei principi di libera concorrenza.
In particolare la norma prevede che le transazioni intercorse tra imprese localizzate in differenti Paesi sono oggetto di rilevazioni contabili speculari e per lo stesso importo e le relative componenti del reddito sono registrate secondo il principio di libera concorrenza ossia prendendo a riferimento le condizioni che sarebbero state pattuite tra soggetti indipendenti operanti in condizioni di libera concorrenza e in circostanze comparabili. Qualora le transazioni intercorse tra imprese che sono localizzate in differenti Paesi non siano state registrate nel rispetto dei criteri espressi nel precedente periodo l’importo del reddito o perdita rilevante dell’esercizio deve essere coerentemente rettificato.
Qualora la perdita derivante dal trasferimento di un elemento dell’attivo patrimoniale tra due imprese localizzate nel medesimo Paese sia registrata per un valore differente da quello conseguente all’applicazione del principio di libera concorrenza, essa, se concorre alla formazione del reddito o perdita rilevante, deve essere ricalcolata utilizzando tale principio di libera concorrenza.
Il comma 6 descrive le modalità in base alle quali concorrono i crediti di imposta alla formazione del reddito rilevante con le seguenti norme:
a) il valore nominale dei crediti d’imposta rimborsabili qualificati di cui all’allegato A, numero 10), concorre alla formazione del reddito o perdita rilevante nell’esercizio in cui matura il diritto al credito;
Per credito d’imposta rimborsabile qualificato si intende un credito d’imposta rimborsabile concepito in modo tale da dover essere pagato in contanti o equivalente a contanti ad un’impresa entro quattro anni dalla data in cui la stessa ha il diritto di ricevere il credito d’imposta rimborsabile ai sensi della legislazione del Paese concedente. Un credito d’imposta rimborsabile qualificato non include alcun ammontare di imposta accreditabile o rimborsabile in virtù di un’imposta accreditabile rilevante o di un’imposta accreditabile non rilevante
b) nel medesimo esercizio il valore nominale dei crediti d’imposta negoziabili di cui all’Allegato A, numero 7), concorrono alla formazione del reddito o perdita rilevante per il titolare originario.
c) in deroga a quanto indicato alle precedenti lettera a) e b), si prevede che con riferimento ai crediti di imposta conseguiti in ragione dell’acquisto o della realizzazione di una immobilizzazione, il valore dei suddetti crediti d’imposta concorre alla formazione del reddito o perdita rilevante nel rispetto di quanto registrato nell’utile o perdita dell’impresa qualora essa adotti una politica contabile che prevede alternativamente che il valore del credito sia portato a riduzione del costo della immobilizzazione cui si riferisce ovvero che il beneficio correlato alla concessione del credito sia imputato a conto economico e sia rinviato per competenza agli esercizi successivi attraverso l’iscrizione di risconti passivi o tecnicalità analoga.
Se il titolare originario trasferisce il credito d’imposta negoziabile entro il quindicesimo mese successivo al termine dell’esercizio con riferimento al quale il credito è stato concesso, il valore nominale del credito che ha concorso alla formazione del reddito o perdita rilevante ai sensi della lettera b) deve essere sostituito con il prezzo di trasferimento del credito.
Se la cessione avviene dopo la suddetta data, la differenza tra il valore nominale del credito residuo ed il suo prezzo di trasferimento concorre a determinare il reddito o perdita rilevante nell’esercizio di trasferimento.
Nel caso in cui la cessione riguardi un credito disciplinato ai sensi della lettera c), la differenza tra il valore nominale del credito ed il suo prezzo di trasferimento concorre a determinare il reddito o perdita rilevante in proporzione alla restante vita utile dell’immobilizzazione.
Per il titolare successivo, i crediti d’imposta negoziabili concorrono alla formazione del reddito o perdita rilevante in misura pari alla differenza tra il valore nominale del credito e il prezzo di acquisto e nella proporzione con cui il credito d’imposta è utilizzato per compensare le imposte rilevanti.
Nel caso in cui il titolare successivo venda un credito d’imposta negoziabile, concorre alla formazione del reddito o perdita rilevante la differenza tra il prezzo di vendita e il valore nominale residuo del credito ridotto della quota di utile relativa alla originaria operazione di acquisto che non ha concorso a determinare il reddito o perdita rilevante in un precedente esercizio.
Se tutto o parte di un credito d’imposta negoziabile disciplinato alla lettera c) scade senza essere stato utilizzato, tale valore concorre alla formazione del reddito o perdita rilevante del titolare originario o del titolare successivo nell’esercizio in cui credito è scaduto.
Se tutto o parte di un credito d’imposta negoziabile, diverso da quello disciplinato alla lettera c), scade senza essere stato utilizzato, il suo valore nominale ridotto in misura pari alla quota di utile relativa all’operazione originaria di acquisto che non ha concorso a determinare il reddito o perdita rilevante in un precedente esercizio, concorre alla formazione del reddito o perdita rilevante del titolare originario o del titolare successivo nell’esercizio in cui il credito è scaduto.
L’ultimo periodo specifica le tipologie di crediti d’imposta che non concorrono alla formazione del reddito o perdita rilevante.
Ad eccezione di quanto previsto all’articolo 28, comma 3, lettera f), ultimo periodo, i crediti d’imposta rimborsabili non qualificati di cui all’Allegato A, numero 9), i crediti d’imposta non negoziabili di cui all’Allegato A, numero 8), e gli altri crediti d’imposta di cui all’Allegato A, numero 2), non concorrono alla formazione del reddito o perdita rilevante.
Secondo l’Allegato A, n. 8) e 9) un credito d’imposta rimborsabile non qualificato è un credito d’imposta che non può essere classificato tra i crediti d’imposta rimborsabili qualificati ma che risulta rimborsabile in tutto o in parte (numero 9) allegato A) mentre un credito d’imposta non negoziabile è un credito d’imposta trasferibile che non soddisfa una o più condizioni per essere definito credito d’imposta negoziabile (numero 8) allegato A).
Al comma 7 si stabilisce che i fini della determinazione del reddito o perdita rilevante, su opzione esercitata dall’impresa dichiarante, sono escluse le componenti positive e negative di reddito relative alle oscillazioni di valore delle attività e passività contabilizzate in base al criterio del fair value o dell’impairment nel bilancio consolidato.
Si ricorda che per fair value (valore giusto di un bene) si intende il corrispettivo al quale un’attività (passività) può essere scambiata (estinta) in una libera transazione tra parti consapevoli e disponibili (il principio contabile internazionale IASB/IFSR 13 definisce il fair value come il prezzo che si percepirebbe per la vendita di un’attività ovvero che si pagherebbe per il trasferimento di una passività in una regolare operazione tra operatori di mercato alla data di valutazione). Mentre per impairment è da intendersi un procedimento di verifica che ha come obiettivo quello di accertare se un’attività ha subito o meno una perdita di valore.
Le corrispondenti componenti positive e negative di reddito relative alle medesime attività e passività rilevano solo nell’esercizio del realizzo.
In caso di esercizio dell’opzione di cui al precedente periodo, il valore iniziale delle attività e passività da assumere ai fini della determinazione del reddito o perdita rilevante è rappresentato dal loro valore contabile registrato alla data più recente tra quella di acquisto dell’attività ovvero di assunzione della passività e quella del primo giorno dell’esercizio con riferimento al quale l’opzione è esercitata.
Il comma 8 chiarisce che l’opzione del comma 7 è esercitata in conformità a quanto previsto all’articolo 52, comma 1, e si applica a tutte le imprese localizzate nel medesimo Paese salvo che l’impresa dichiarante ne limiti l’efficacia ai soli beni tangibili detenuti dalle imprese o alle entità di investimento.
Nell’esercizio in cui l’opzione è revocata, concorre alla formazione del reddito o perdita rilevante la differenza, misurata all’inizio dell’esercizio, tra il fair value delle attività e passività contabilizzato ed il loro valore residuo determinato in base al secondo periodo del comma 7 ovvero dal valore contabile registrato alla data più recente tra quella di acquisto dell’attività ovvero di assunzione della passività e quella del primo giorno dell’esercizio con riferimento al quale l’opzione è esercitata.
Nella relazione illustrativa si precisa che i commi 7 ed 8 prevedono una opzione quinquennale volta a sterilizzare gli utili e le perdite da valutazione a fair value (compreso l’impairment) di tutte le attività e le passività ed a dare rilevanza, invece, ai risultati da realizzo. L’opzione, esercitabile in relazione alle attività e passività delle imprese localizzate in un Paese, può essere limitata ai soli beni tangibili o alle entità di investimento. Nell’anno dell’esercizio dell’opzione, il valore iniziale delle attività e passività oggetto dell’opzione ai fini del calcolo dell’utile o della perdita rilevante è rappresentato dal loro valore contabile registrato alla data più recente tra quella di acquisto dell’attività ovvero di assunzione della passività e quella del primo giorno dell’esercizio con riferimento al quale l’opzione è esercitata. Pertanto, a seguito dell’opzione, un’impresa deve escludere dal calcolo del reddito o perdita rilevante l’utile o perdita da fair value o da svalutazione, rilevati in contabilità, relativi ad attività e passività soggette ad opzione e deve includere l’utile o la perdita determinati secondo il metodo del realizzo. La giustificazione politica di questa previsione è quella di ridurre la volatilità consentendo al contribuente di cristallizzare la plusvalenza ai fini delle regole GloBE alla data effettiva della cessione piuttosto che seguire, di esercizio in esercizio, il valore assunto contabilmente dalle attività e passività.
I commi da 9 a 12 disciplinano l’opzione annuale giurisdizionale avente ad oggetto tutti i componenti da realizzo (plusvalenza netta complessiva) di beni immobili ceduti al di fuori del gruppo.
Il comma 9 stabilisce che su opzione dell’impresa dichiarante, le imprese localizzate in un dato Paese possono, rettificando il reddito o perdita rilevante dell’esercizio di validità dell’opzione e dei quattro esercizi precedenti (quinquennio), ripartire la plusvalenza netta complessiva derivante dalla vendita di beni immobili nell’esercizio, ai sensi dei commi 10 e 11, e ricalcolare l’aliquota d’imposizione effettiva e l’imposizione integrativa dei precedenti quattro esercizi secondo quanto previsto nell’articolo 36, comma 1.
La plusvalenza netta complessiva corrisponde al saldo positivo delle plusvalenze e delle minusvalenze da cessione di beni immobili situati nel medesimo Paese di tutte le imprese ivi localizzate per l’esercizio. L’opzione è effettuata ai sensi dell’articolo 52, comma 2 in relazione a tutte le imprese localizzate in un dato Paese e non si applica alle operazioni di cessione tra imprese appartenenti allo stesso gruppo multinazionale o nazionale.
Il comma 10 prevede che la plusvalenza netta complessiva di cui al comma 9 è compensata fino all’importo della minusvalenza netta complessiva di ciascuno dei quattro esercizi precedenti a partire dall’esercizio più risalente.
La minusvalenza netta complessiva corrisponde al saldo negativo delle plusvalenze e delle minusvalenze derivanti dalla cessione di beni immobili situati nel medesimo Paese di tutte le imprese ivi localizzate in ciascun esercizio.
Il comma 11 stabilisce che l’eventuale importo residuo della plusvalenza netta complessiva, non compensato dopo l’applicazione del comma 10, è ripartito uniformemente nel quinquennio ai fini della determinazione del reddito o perdita rilevante di ciascuna impresa localizzata nel Paese.
In ciascuno dei suddetti cinque esercizi, la quota dell’importo residuo è ripartita in proporzione alla plusvalenza netta realizzata dalla singola impresa nell’esercizio di validità dell’opzione di cui al comma 9 rispetto alla plusvalenza netta complessiva realizzata nel medesimo esercizio da tutte le imprese che sono localizzate nel Paese nell’esercizio cui si riferisce la ripartizione.
Se in un esercizio cui si riferisce la ripartizione nessuna impresa che ha concorso a formare la plusvalenza netta complessiva era localizzata nel Paese, la quota dell’importo residuo di pertinenza di quell’esercizio è utilizzata per rettificare in aumento, uniformemente, il reddito o perdita rilevante di ciascuna delle imprese del gruppo localizzate nel Paese in tale esercizio precedente.
Il comma 12 stabilisce che le imposte rilevanti relative alle plusvalenze o minusvalenze nette da cessioni di beni immobili di cui ai commi da 9 a 11, realizzate nell’esercizio di validità dell’opzione dalle imprese localizzate nel Paese, sono escluse dal calcolo delle imposte rilevanti rettificate.
Il comma 13 prevede che ai fini della determinazione del reddito o perdita rilevante, su opzione esercitata dall’impresa dichiarante, si includono le plusvalenze e le minusvalenze su partecipazioni (di cui al comma 2, lettera c)) e si considerano le relative imposte correnti o differite ai sensi dell’articolo 28, comma 4, secondo periodo.
L’opzione è effettuata in relazione alle imprese localizzate in un dato Paese secondo quanto previsto all’articolo 52, comma 1.
Le disposizioni del comma 14, come rilevato nella relazione illustrativa, sono volte a impedire ai gruppi multinazionali di effettuare transazioni volte ad aumentare l’aliquota di imposizione effettiva di una giurisdizione in modo da raggiungere l’aliquota minima, riducendo il reddito o perdita rilevante in tale giurisdizione senza aumentare il reddito imponibile della controparte dell’accordo localizzata in un altro Paese.
In particolare la norma specifica quali sono i costi relativi ad un accordo finanziario infragruppo sostenuti da un’impresa finanziata che non concorrono alla formazione del suo reddito o perdita rilevante.
Tali costi non concorrono qualora:
§ l’impresa finanziata risulti localizzata in un Paese a bassa imposizione o che sarebbe stata tale se non li avesse sostenuti;
§ sia ragionevole attendersi che, nel corso della durata attesa dell’accordo, tali componenti negative saranno incluse nel reddito o perdita rilevante dell’impresa finanziata senza tuttavia comportare un corrispondente incremento del reddito imponibile dell’impresa che ha concesso il finanziamento;
§ il soggetto finanziatore è un’impresa localizzata in un Paese che non si considera a bassa imposizione o che non sarebbe stato tale laddove tale impresa non avesse registrato le componenti positive di reddito relativi all’accordo infragruppo.
§ Il comma 15 prevede che la controllante capogruppo può scegliere, in conformità con le previsioni di cui all’articolo 52, comma 1, per l’applicazione del trattamento contabile consolidato, ai fini della determinazione dell’importo netto del reddito o perdita rilevante delle imprese localizzate nel medesimo Paese e ivi soggette ad un regime di tassazione di gruppo. Tale opzione comporta l’elisione di tutte le componenti positive e negative di reddito generate da operazioni intervenute tra le suddette imprese partecipanti nel Paese al regime di tassazione di gruppo. Nell’esercizio con riferimento al quale l’opzione è stata esercita e nell’esercizio con riferimento al quale essa è revocata, devono essere apportate le opportune modifiche al reddito o perdita rilevante delle imprese interessate al fine di evitare l’insorgere di fenomeni di doppia inclusione ovvero di doppia non inclusione delle componenti reddituali da considerare ai fini della determinazione del reddito o perdita rilevante.
Il comma 16 introduce una norma specifica per il calcolo del reddito o perdita rilevante nel caso di un’impresa di assicurazione.
In particolare la disposizione prevede che una compagnia assicurativa esclude dal calcolo del reddito o perdita rilevante qualsiasi importo addebitato agli assicurati per le imposte versate dalla stessa in relazione ai rendimenti spettanti ai suddetti assicurati. L’accredito o l’addebito a favore del titolare della polizza assicurativa del risultato economico, rispettivamente, positivo o negativo ad essa relativo concorre a formare il reddito o perdita rilevante di una compagnia assicurativa a condizione che detto risultato economico abbia concorso a determinare il suo utile o perdita contabile netta.
Il comma 17 prevede specifiche rettifiche per le imprese bancarie e assicurative che emettono o sottoscrivono determinati strumenti finanziari valevoli per la vigilanza di settore quando le relative distribuzioni sono rilevate contabilmente nel loro patrimonio netto.
La norma stabilisce che ogni importo contabilizzato come riduzione del patrimonio netto di un’impresa che è espressione di distribuzioni corrisposte o dovute in relazione ad uno strumento finanziario emesso da tale impresa conformemente ai requisiti prudenziali di regolamentazione esistenti nel settore bancario o assicurativo, individuato come Additional Tier One Capital o Restricted Tier One Capital, costituisce un costo che concorre alla formazione del suo reddito o perdita rilevante. Specularmente, ogni importo contabilizzato come incremento del patrimonio netto di un’impresa che è espressione di distribuzioni ricevute o spettanti in relazione ad uno strumento finanziario individuato nel periodo precedente costituisce un provento che concorre alla formazione del suo reddito o perdita rilevante.
La Relazione illustrativa ricorda che l’Additional Tier One – AT1 nelle Model Rules viene definito come uno strumento emesso da un’Entità Costituente in conformità ai requisiti di regolamentazione prudenziale applicabili al settore bancario, che è convertibile in capitale o svalutato se si verifica un evento scatenante prestabilito e che presenta altre caratteristiche volte a favorire l’assorbimento delle perdite in caso di crisi finanziaria. Mentre il Restricted Tier One Capital è un debito subordinato convertibile contingente e include un trigger contrattuale per la conversione in azioni in determinati eventi. In alcune giurisdizioni il Restricted Tier One Capital è trattato come patrimonio netto ai fini della contabilità finanziaria, ma le cedole sono deducibili ai fini fiscali. Il trattamento di questo strumento finanziario, in sostanza, crea le medesime differenze permanenti esaminate per il Capitale aggiuntivo di classe 1 di cui occorre tener conto ai fini dell’applicazione delle nuove regole.
Il comma 18 prevede che la correzione di errori e i cambiamenti nei principi contabili, relativi ad elementi che hanno concorso a determinare l’utile o perdita netta contabile di un precedente esercizio, rilevano ai fini della determinazione del reddito o perdita rilevante dell’esercizio in corso quando comportano un aumento delle imposte rilevanti o un loro decremento se è stata esercitata l’opzione prevista nell’articolo 32.
Il decremento delle imposte rilevanti, diverso da quello del periodo precedente, collegato ad errori e cambiamenti nei principi contabili di cui relativi ad un esercizio precedente rileva ai fini della determinazione del reddito o perdita rilevante del medesimo esercizio.
Il comma 19 dispone, infine, che ai fini del calcolo del reddito o perdita rilevante, all’utile o perdita contabile netta devono essere apportate le eventuali ulteriori variazioni in aumento e in diminuzione previste nel Capo VI (Operazioni di riorganizzazione e società holding) e nel Capo VII (Regimi di neutralità fiscale e imposizione delle distribuzioni).
Articolo 24
(Utile derivante dal trasporto marittimo internazionale)
L’articolo 24 stabilisce che l’utile derivante dall’attività di trasporto marittimo internazionale e da attività accessorie allo stesso non concorrono a formare il suo reddito o perdita rilevante. Al contrario, qualora l’utile complessivo delle attività accessorie risulti superiore al 50 per cento di quello derivante dall’attività di trasporto marittimo, nella parte eccedente, concorrerà alla formazione del reddito o perdita rilevante.
Nello specifico, il comma 1 dell’articolo 24 precisa che l’utile derivante dall’attività di trasporto marittimo internazionale e l’utile derivante dalle attività accessorie al trasporto marittimo internazionale conseguiti da un’impresa non concorrono a formare il suo reddito o perdita rilevante a condizione che la sede di direzione effettiva dell’impresa di trasporto marittimo che consegue tali utili sia ubicata nel Paese in cui la stessa impresa è localizzata.
Ai fini dell’applicazione di tale disposizione, la norma specifica che per direzione effettiva si intende il luogo ove sono prese le decisioni strategiche o commerciali riguardanti le navi interessate al traffico internazionale.
Nel considerando n.17 della direttiva (UE) 2022/2523 si rileva che a causa della natura altamente volatile e del ciclo economico lungo del settore del trasporto marittimo, questo è tradizionalmente assoggettato a regimi fiscali alternativi o integrativi negli Stati membri. Per evitare di compromettere le motivazioni strategiche e consentire agli Stati membri di continuare ad applicare un trattamento fiscale specifico al settore del trasporto marittimo in linea con le pratiche internazionali e le norme in materia di aiuti di Stato, il reddito del trasporto marittimo dovrebbe anch’esso essere escluso dal sistema.
Ai fini delle regole GloBE, il termine “traffico internazionale” indica qualsiasi trasporto effettuato da una nave, ad eccezione del caso in cui la nave operi esclusivamente tra luoghi all’interno di un singolo Paese, indipendentemente dal fatto che tale Paese sia lo stesso in cui ha sede l’impresa svolgente tale attività.
Il comma 2 specifica ulteriormente che se la somma algebrica dell’utile o perdita da trasporto marittimo internazionale e da attività accessorie è negativa, tale risultato negativo è escluso ai fini del calcolo del reddito o perdita rilevante.
Il comma 3 prevede che se l’utile complessivo da attività accessorie al trasporto marittimo internazionale, conseguito dalle imprese del gruppo localizzate nel medesimo Paese, è superiore al 50 per cento dell’utile complessivo derivante dall’attività di trasporto marittimo internazionale dalle stesse conseguito, l’eccedenza concorre a formare il reddito o perdita rilevante.
Il comma 4 chiarisce le modalità di imputazione dei costi sostenuti dall’impresa. In particolare, la norma prevede che i costi sostenuti da un’impresa direttamente derivanti dalle sue attività di trasporto marittimo internazionale e dalle attività a questo accessorie sono imputati alle rispettive attività alle quali afferiscono ai fini del calcolo dell’utile netto da trasporto marittimo internazionale e dell’utile netto da attività accessorie al trasporto marittimo internazionale.
I costi sostenuti da un’impresa che sono indirettamente inerenti alle attività indicate nel periodo precedente concorrono rispettivamente a formare l’utile netto da trasporto marittimo internazionale e l’utile netto da attività accessorie al trasporto marittimo internazionale in misura pari al rapporto tra i ricavi ad esse relativi e i ricavi complessivi conseguiti dall’impresa.
Il comma 5 dispone che i costi sostenuti da un’impresa che sono direttamente o indirettamente inerenti all’utile derivante dal trasporto marittimo internazionale e da attività accessorie al trasporto marittimo internazionale non concorrono a formare il reddito o perdita rilevante.
Secondo le definizioni contenute nell’allegato A), ai numeri 53) e 54) l’utile da trasporto marittimo internazionale consiste nell’utile conseguito da una impresa per lo svolgimento delle attività relative al: trasporto nell’ambito del traffico internazionale di persone o merci per mezzo di nave indipendentemente dal fatto che la nave sia di proprietà, noleggiata o altrimenti a disposizione dell’impresa; trasporto nell’ambito del traffico internazionale di persone o merci per mezzo di nave in base a contratti che prevedono la disponibilità di predeterminati spazi (sostanzialmente in regime di noleggio di slot); noleggio di nave adibita al trasporto internazionale di persone o merci, corredata di equipaggio nonché delle attrezzature necessarie per il suo funzionamento; noleggio di una nave adibita al trasporto nell’ambito del traffico internazionale di persone o merci, priva dell’equipaggio e delle attrezzature necessarie per il suo funzionamento, a favore di un’altra impresa del gruppo che esercita trasporto marittimo internazionale (leasing infragruppo di navi a scafo nudo); partecipazione ad una associazione di imprese o ad un’agenzia operativa internazionale per il trasporto di merci o di passeggeri via nave nell’ambito del traffico internazionale; plusvalenze (o minusvalenze) derivanti dalla vendita di navi utilizzate per il trasporto di passeggeri o merci nel traffico internazionale a condizione che la nave ceduta sia stata detenuta dall’impresa per almeno 1 anno e correttamente classificata in bilancio come immobilizzazione materiale.
L’utile da attività accessorie al trasporto marittimo internazionale deriva, invece, dallo svolgimento delle attività connesse all’attività di trasporto persone e merci su nave nell’ambito delle attività internazionali di seguito indicate: attività di noleggio di una nave priva dell’equipaggio e delle attrezzature necessarie per il suo funzionamento a favore di un’altra impresa di trasporto marittimo, non appartenente al gruppo, a condizione che la durata del contratto di noleggio non sia superiore a tre anni; vendita di biglietti emessi da altre imprese di trasporto marittimo, appartenenti o meno al gruppo, in relazione alla tratta interna di un trasporto internazionale; attività di noleggio e stoccaggio a breve termine di container ed incasso di penali collegate alla ritardata riconsegna degli stessi; fornitura di servizi di ingegneria, manutenzione, gestione merci, ristorazione e servizi alla clientela a favore di altre imprese di trasporto marittimo appartenenti o meno al gruppo; investimenti accessori che costituiscono parte integrante dell’attività di trasporto di merci o di passeggeri nell’ambito del traffico internazionale (ad esempio, degli interessi attivi generati da depositi in contanti o altro capitale circolante a breve termine necessario per l’esercizio di tale attività o gli interessi attivi su obbligazioni costituite a titolo di garanzia se richiesto dalla legge per l’esercizio dell’attività).
Articolo 25
(Reddito o perdita rilevante della stabile organizzazione)
L’articolo 25 specifica le modalità di determinazione dell’utile o perdita contabile netta di esercizio per l’impresa di stabile organizzazione ovvero disciplina il meccanismo per l’allocazione del reddito tra la casa madre e la stabile organizzazione.
La norma stabilisce, inoltre, che tale importo non rileva ai fini del calcolo del reddito o della perdita rilevante della casa madre, fatto salvo il caso in cui in cui il Paese di localizzazione della casa madre consideri la perdita rilevante della stabile organizzazione alla stregua di un onere deducibile ai fini della determinazione del reddito imponibile.
Il comma 1 definisce l’utile o perdita netta rilevante della stabile organizzazione.
Nello specifico, si prevede che l’utile o perdita contabile netta di esercizio di un’impresa che risponde alla definizione di stabile organizzazione, di cui all’allegato A, numero 52) lettere a), b) e c), è il risultato emergente dal suo rendiconto sezionale predisposto secondo principi contabili conformi o autorizzati a condizione, in tale ultimo caso, che siano rimosse eventuali distorsioni competitive rilevanti.
Se una stabile organizzazione non predispone un tale rendiconto, l’importo del suo utile o perdita contabile di esercizio è pari a quello che sarebbe stato registrato come tale qualora essa ne fosse stata obbligata ed avesse adottato i principi contabili utilizzati dalla controllante capogruppo per il bilancio consolidato.
Il comma 2 dispone che se l’impresa risponde alla definizione di stabile organizzazione di cui all’allegato A, numero 52) lettere a) e b), il valore del suo utile o perdita contabile netta di esercizio è rettificato per tener conto delle sole componenti reddituali positive e negative ad essa riferibili in base alle disposizioni della convenzione per evitare le doppie imposizioni in essere con il Paese di residenza della casa madre ovvero, in assenza di tale convenzione, in base alle pertinenti disposizioni interne del Paese in cui essa è localizzata, essendo a tali fini del tutto ininfluente l’ammontare delle componenti positive e negative di reddito fiscalmente rilevanti.
Nella Relazione illustrativa, rappresentando le finalità del comma 2 con un esempio pratico, si afferma che occorre distinguere tra le norme fiscali rilevanti ai fini dell’attribuzione del reddito alla stabile organizzazione e le norme fiscali, comprese le regole sulla tempistica, per la determinazione del suo reddito imponibile (che in questo caso non rilevano). Per meglio comprendere il concetto, si fa riferimento ad una casa madre localizzata nello Stato A che opera nello Stato B attraverso una stabile organizzazione riconosciuta tale ai sensi della Convenzione per evitare le doppie imposizioni tra A e B. Si supponga che i profitti attribuiti alla stabile organizzazione siano pari a 100 e derivino dalla percezione di royalties (non ci sono spese). Lo Stato B esenta il 50 per cento delle royalties. In una situazione come quella sopra descritta, sebbene il reddito imponibile nello Stato B sia pari a 50, l’importo da considerare ai fini dell’utile o perdita contabile netta della stabile organizzazione è pari a 100.
Nel caso in cui, invece, l’impresa risponde alla definizione di una stabile organizzazione di cui all’allegato A, numero 52) lettera c), l’importo del suo utile o perdita contabile netta di esercizio è rettificato al fine di tener conto delle sole componenti reddituali positive e negative ad essa attribuibili in base all’articolo 7 del Modello OCSE.
Il comma 3 aggiunge che se l’impresa risponde alla definizione di stabile organizzazione di cui all’allegato A, numero 52) lettera d) il valore del suo utile o perdita contabile netta di esercizio ricomprende unicamente le componenti positive di reddito che, e nella misura in cui, sono esentate nel Paese di localizzazione della casa madre e che sono attribuibili alle attività esercitate al di fuori di tale Paese nonché le componenti negative di reddito che, e nella misura in cui, non sono dedotte nel Paese di localizzazione della casa madre e che sono attribuibili alle suddette attività.
Il comma 4 precisa che l’importo dell’utile o perdita contabile netta di esercizio di una stabile organizzazione, determinato ai sensi dei commi precedenti, non rileva ai fini del calcolo del reddito o della perdita rilevante della casa madre, salvo quanto previsto dal successivo comma 5.
Il comma 5, infatti, prevede che la perdita rilevante di una stabile organizzazione è un onere che concorre esclusivamente alla formazione del reddito o perdita rilevante della casa madre se e nella misura in cui il Paese di localizzazione di quest’ultima considera la perdita rilevante della stabile organizzazione alla stregua di un onere deducibile ai fini della determinazione del reddito imponibile della casa madre e tale perdita non è compensata da componenti positive di reddito che sono imponibili in base alle leggi di tale Paese e del Paese di localizzazione della stabile organizzazione.
Il reddito rilevante conseguito dalla stabile organizzazione successivamente al riconoscimento della sua perdita rilevante ai sensi del precedente periodo e fino a concorrenza della medesima concorre esclusivamente alla formazione del reddito o perdita rilevante della casa madre.
Articolo 26
(Imputazione del reddito o della perdita
rilevante di una entità trasparente)
L’articolo 26 stabilisce le modalità di calcolo dell’importo dell’utile o perdita contabile netta di esercizio di un’impresa che è una entità trasparente.
Il comma 1 dispone che l’importo dell’utile o perdita contabile netta di esercizio di un’impresa che è una entità trasparente è ridotto in misura corrispondente alla partecipazione di pertinenza dei suoi proprietari non appartenenti al gruppo, detenuta direttamente ovvero indirettamente attraverso una o più entità fiscalmente trasparenti ad eccezione delle ipotesi in cui:
§ l’entità trasparente è la controllante capogruppo;
§ l’entità trasparente è detenuta direttamente, ovvero indirettamente attraverso una o più entità fiscalmente trasparenti, dalla controllante capogruppo.
Il comma 2 prevede che l’importo dell’utile o perdita contabile netta di esercizio di un’impresa che è una entità trasparente è ridotto in misura corrispondente alla porzione dello stesso che è imputata ad altre imprese.
Il comma 3 stabilisce che se una entità trasparente esercita, in tutto o in parte, un’attività d’impresa attraverso una stabile organizzazione, l’importo dell’utile o perdita contabile netta di esercizio che residua dopo l’applicazione della disposizione del comma 1 è imputato alla stabile organizzazione in conformità a quanto previsto nell’articolo 25 (alla cui scheda si rimanda).
Il comma 4 prevede che se una entità fiscalmente trasparente non è la controllante capogruppo, l’importo dell’utile o perdita contabile netta di esercizio che residua dopo l’applicazione delle disposizioni riportate ai commi 1 e 3 è allocato alle sue imprese proprietarie in proporzione alle partecipazioni agli utili da queste detenute riparametrate ad unità per tenere conto della porzione dell’utile o della perdita contabile netta di esercizio eventualmente allocata in base alle disposizioni riportate al comma 1.
Il comma 5 precisa che se un’entità trasparente è una entità fiscalmente trasparente che si qualifica come controllante capogruppo ovvero è una entità ibrida inversa, ad essa è allocato l’importo del suo utile o perdita contabile netta di esercizio che residua dopo l’applicazione delle disposizioni riportate ai commi 1 e 3.
Secondo quanto prevede la direttiva n. 2022/2523/UE, per entità fiscalmente trasparente si intende un’entità nella misura in cui è fiscalmente trasparente per quanto riguarda i redditi, le spese, i profitti o le perdite nella giurisdizione in cui è stata costituita a meno che non sia residente a fini fiscali e assoggettata a un’imposta rilevante sul reddito o sul profitto in un’altra giurisdizione; un’entità fiscalmente trasparente è considerata un’entità fiscalmente trasparente per quanto riguarda i redditi, le spese, i profitti o le perdite nella misura in cui è fiscalmente trasparente nella giurisdizione in cui è localizzato il suo proprietario mentre è considerata un’entità ibrida inversa per quanto riguarda i redditi, le spese, i profitti o le perdite nella misura in cui non è fiscalmente trasparente nella giurisdizione in cui è localizzato il suo proprietario.
Inoltre, la direttiva prevede che per «entità fiscalmente trasparente» si intende un’entità i cui redditi, le cui spese, i cui profitti o le cui perdite sono considerati dalla legislazione di una giurisdizione come se fossero conseguiti o sostenuti dal proprietario diretto di tale entità in proporzione al suo interesse in tale entità e, qualora sia detenuta indirettamente tramite una catena di entità fiscalmente trasparenti, una partecipazione in un’entità o una stabile organizzazione che è un’entità costitutiva è considerata come se detenuta tramite una struttura fiscalmente trasparente.
Tale definizione è riportata anche al n. 21) dell’Allegato A allo schema di decreto legislativo all’esame.
Per stabile organizzazione, ai sensi del n. 52) dell’allegato A, si intende una sede di affari, inclusa una fattispecie assimilata, localizzata in un Paese in cui tale sede o fattispecie è considerata una stabile organizzazione in conformità alle previsioni ivi applicabili di una convenzione per evitare le doppie imposizioni, a condizione che tale Paese le attribuisca fiscalmente il reddito conformemente a una disposizione analoga all’articolo 7 del modello di convenzione fiscale dell’OCSE in materia di imposte sul reddito e sul patrimonio; b) nel caso in cui non sia applicabile una convenzione per evitare le doppie imposizioni sul reddito, una sede d’affari, inclusa una fattispecie assimilata, con riferimento alla quale la legislazione interna di un Paese assoggetta ad imposizione il reddito netto ad essa attribuibile con modalità similari a quelle applicabili per l’imposizione dei redditi dei propri residenti fiscali; c) nel caso in cui un Paese non abbia un sistema di imposizione sui redditi, una sede d’affari, inclusa una sede d’affari o fattispecie assimilata, ivi ubicata che sarebbe trattata come stabile organizzazione secondo il Modello OCSE, a condizione che tale Paese avrebbe avuto, ai sensi dell’articolo 7 di tale modello, il diritto di assoggettare ad imposizione detto reddito; o d) una sede d’affari, o una fattispecie assimilata, non ricompresa nelle ipotesi di cui alle lettere da (a) a (c) attraverso la quale è esercitata un’attività imprenditoriale in un Paese diverso da quello di localizzazione della casa madre a condizione che il Paese di localizzazione di quest’ultima esenti il reddito attribuibile a tali attività.
Il comma 6 chiarisce che le disposizioni di cui ai commi 3, 4 e 5 si applicano separatamente in relazione ad ogni partecipazione detenuta in una entità trasparente.
Il Capo IV definisce il calcolo delle imposte rilevanti rettificate.
In particolare l’articolo 27 stabilisce quali sono le imposte rilevanti di un’impresa ai fini del calcolo delle imposte rilevanti rettificate e quali sono le imposte escluse.
Gli articoli 28 e 29 definiscono rispettivamente la rettifica delle imposte rilevanti di un’impresa per un esercizio fiscale, attraverso l’elencazione delle maggiorazioni e delle riduzioni delle imposte rilevanti nonché l’importo totale delle rettifiche relative alla fiscalità anticipata e differita. L’articolo 30 prevede un regime opzionale della perdita rilevante che, in deroga all’articolo 29, riconosce a un’impresa dichiarante la possibilità di scegliere di considerare l’imposta anticipata da perdita rilevante per ogni esercizio con riferimento al quale emerge una perdita netta rilevante in tale Paese. A tal fine l’attività fiscale differita relativa a una perdita rilevante è pari alla perdita netta qualificante per un esercizio fiscale per la giurisdizione moltiplicata per l’aliquota minima d’imposta. L’articolo 31 disciplina l’imputazione delle imposte rilevanti di alcune tipologie di entità. L’articolo 32 disciplina le rettifiche successive alla presentazione della dichiarazione e di variazioni dell’aliquota fiscale.
Articolo 27
(Imposte rilevanti)
L’articolo 27 indica le imposte comprese nel calcolo delle imposte rilevanti di un’impresa, nonché quelle che devono esserne escluse.
Il comma 1 dell’articolo elenca le imposte da considerarsi rilevanti per un’impresa.
Nello specifico le imposte rilevanti di un’impresa comprendono:
a) le imposte contabilizzate in bilancio come imposte sul reddito relativamente alle sue componenti reddituali e ai suoi profitti, nonché alle componenti reddituali e ai profitti di un’altra impresa imputati alla prima in virtù della partecipazione in essa detenuta;
b) le imposte sugli utili distribuiti, sulle distribuzioni presunte e sugli oneri non inerenti, prelevate nell’ambito di un regime di imposizione sull’utile distribuito;
c) le imposte applicate in sostituzione delle imposte di cui alla lettera a);
d) le imposte applicate con riferimento al valore degli utili non distribuiti e del patrimonio netto della società o altra entità nonché quelle applicate su più componenti basate sul reddito e sul patrimonio netto.
Nel considerando 27 della direttiva UE 2022/2523 si rappresenta che è essenziale garantire un’applicazione coerente delle norme della direttiva nei confronti di qualsiasi giurisdizione di un paese terzo che non recepisca le norme dell’accordo globale e non ottenga l’equivalenza delle sue norme interne con un’IIR qualificata. In tale contesto, è necessario elaborare una metodologia comune per l’attribuzione degli importi, che sarebbero considerati come imposte rilevanti nel quadro delle norme dell’accordo globale, alle entità all’interno di un gruppo multinazionale di imprese che sarebbero assoggettate a un’imposta integrativa conformemente alle norme della presente direttiva. A tal fine, come riferimento per l’attribuzione di tali imposte rilevanti, gli Stati membri dovrebbero avvalersi degli orientamenti del quadro di riferimento per l’attuazione delle norme GloBE dell’OCSE.
Nella relazione illustrativa il Governo rappresenta che ai fini della qualificazione di una determinata imposta come imposta rilevante, si prescinde dalle specifiche modalità di applicazione previste dalla legge interna del Paese di riferimento (ad es. attraverso la presentazione di una dichiarazione ovvero l’applicazione di ritenute alla fonte). Analogamente, non assume rilevanza la circostanza che l’imposta sia applicata nel periodo di conseguimento del reddito ovvero all’atto della sua distribuzione (sia esso coincidente o meno con il periodo di maturazione del reddito oggetto di distribuzione). Data la sua funzione, il termine imposte rilevanti deve essere inteso in modo ampio tale da ricomprendere qualsiasi imposta, comunque denominata, applicata su un incremento di reddito netto conseguito da un contribuente in un determinato lasso temporale.
Il comma 2 elenca le imposte da considerarsi non rilevanti per un’impresa.
Sono escluse dalle imposte rilevanti di un’impresa:
a) l’imposta minima integrativa e l’imposta minima integrativa equivalente dovuta da una controllante;
b) l’importo dovuto da un’impresa a titolo di imposta minima nazionale e di imposta minima nazionale equivalente;
c) l’importo dovuto da un’impresa a titolo di imposta minima suppletiva e di imposta minima suppletiva equivalente;
d) l’imposta accreditabile non rilevante;
e) le imposte pagate da una compagnia assicurativa con riferimento ai rendimenti spettanti agli assicurati.
Il comma 3, infine, specifica che le imposte relative alle plusvalenze derivanti da cessioni di immobilizzazioni materiali locali prelevate ai sensi dell’articolo 23, comma 9, nell’esercizio con riferimento al quale la relativa opzione è esercitata non concorrono al calcolo delle imposte rilevanti.
Articolo 28
(Imposte rilevanti rettificate)
L’articolo 28 determina le modalità di calcolo delle imposte rilevanti rettificate di un’impresa in un determinato esercizio e specifica, altresì, che qualora la medesima imposta rilevante rientri contestualmente nell’ambito applicativo di più disposizioni previste nell’articolo, debba essere operata soltanto una rettifica alle imposte rilevanti rettificate rispetto a tale elemento.
Il comma 1 dell’articolo 28 stabilisce che le imposte rilevanti rettificate di un’impresa in un dato esercizio sono pari all’importo delle imposte rilevanti correnti che hanno concorso a determinare l’utile o la perdita contabile netti dell’esercizio, aumentati o diminuiti in misura pari:
§ all’importo netto delle variazioni in aumento ed in diminuzione ai sensi dei commi 2 e 3;
§ all’importo totale netto delle variazioni delle imposte anticipate e differite come calcolato ai sensi dell’articolo 29;
§ all’importo degli incrementi o delle riduzioni delle imposte rilevanti imputate direttamente al patrimonio netto o al prospetto delle altre componenti di conto economico complessivo, relative a componenti positive o negative incluse nel reddito o perdita rilevante e che concorrono alla base imponibile delle imposte rilevanti secondo le regole fiscali locali.
Nello specifico (comma 2), le variazioni in aumento delle imposte rilevanti relative ad un esercizio sono pari alla somma:
a) delle imposte rilevanti che hanno concorso a determinare l’utile o perdita netta contabile dell’esercizio come onere ai fini del computo della voce "utile ante imposte" ovvero di una voce equivalente;
b) delle imposte anticipate sulla perdita rilevante calcolate ai sensi dell’articolo 30, comma 2;
c) delle imposte rilevanti pagate nell’esercizio e relative ad un trattamento fiscale incerto che in precedenza ha dato luogo ad una variazione in diminuzione delle imposte rilevanti ai sensi della lettera d) del comma 3;
d) di ogni ammontare a credito o a rimborso in relazione ad un credito di imposta rimborsabile qualificato che è stato contabilizzato a riduzione delle imposte rilevanti.
Il comma 3 precisa che per quanto attiene alle variazioni in diminuzione delle imposte rilevanti relative ad un esercizio, queste sono pari alla somma:
§ delle imposte correnti relative a componenti reddituali positive che sono state escluse dal calcolo del reddito o perdita rilevante ai sensi del Capo III;
§ di ogni ammontare a credito o a rimborso in relazione ad un credito di imposta rimborsabile non qualificato, ad un credito d’imposta non negoziabile che non è stato contabilizzato a riduzione delle imposte correnti;
§ di ogni ammontare di imposte rilevanti rimborsate o riconosciute a credito a favore di una impresa, diverso da un credito di imposta rimborsabile qualificato e da un credito d’imposta negoziabile, che non è stato contabilizzato in bilancio a riduzione delle imposte correnti;
§ di un importo pari a quello utilizzato per compensare imposte rilevanti dovute nel periodo d’imposta che termina durante tale esercizio, nonché dell’importo ricevuto nel medesimo esercizio a seguito di cessione del credito, in caso di un credito d’imposta non negoziabile detenuto o ceduto dal primo beneficiario che non è stato contabilizzato in bilancio a riduzione delle imposte correnti dell’esercizio;
§ di un importo pari alla differenza tra il valore nominale del credito e il prezzo di acquisto in caso di un credito d’imposta non negoziabile detenuto da un titolare successivo che non è stato contabilizzato in bilancio a riduzione delle imposte correnti dell’esercizio. Tale importo rileva nella proporzione con cui il credito d’imposta è utilizzato per compensare imposte rilevanti di cui all’articolo 27;
§ di un importo pari all’eventuale utile conseguito, in caso di ulteriore cessione del credito non negoziabile da parte di un titolare successivo che non è stato contabilizzato in bilancio a riduzione delle imposte correnti dell’esercizio. Nel caso in cui, il titolare successivo realizzi una perdita in seguito ad una cessione di un credito non negoziabile questa concorre unicamente alla formazione del reddito o perdita rilevante;
§ delle imposte correnti che sono relative ad un trattamento fiscale incerto;
§ delle imposte correnti il cui pagamento non è dovuto entro il terzo anno successivo all’ultimo giorno dell’esercizio.
Il comma 4 precisa che in nessun caso le imposte rilevanti possono essere considerate più di una volta ai fini di quanto previsto dai commi 1, 2 e 3.
Se è stata effettuata l’opzione di cui all’articolo 23, comma 13, non si applica la variazione in diminuzione delle imposte correnti relative a componenti reddituali positive che sono state escluse dal calcolo del reddito o perdita rilevante ai sensi del Capo III, in relazione alle imposte rilevanti riferite alle componenti reddituali che hanno formato oggetto della suddetta scelta.
Il comma 5 prevede che se, in un dato esercizio, in un Paese non vi è un reddito netto rilevante e l’importo delle imposte rilevanti rettificate per tale Paese è negativo e inferiore all’importo delle imposte rilevanti rettificate attese, il valore assoluto della differenza tra le imposte rilevanti rettificate e le imposte rilevanti rettificate attese è considerata una imposta integrativa addizionale dovuta per l’esercizio. Tale imposta integrativa addizionale è attribuita a ciascuna impresa localizzata nel suddetto Paese conformemente all’articolo 36, comma 3. L’importo dell’imposta rilevante rettificata attesa è pari alla perdita netta rilevante moltiplicata per l’aliquota minima di imposta.
Nella Relazione si evidenzia che la disposizione del comma 5 è finalizzata a sterilizzare attraverso un meccanismo semplificato le imposte differite attive che emergono in relazione a differenze permanenti. Questo effetto può verificarsi, ad esempio, laddove le regole fiscali interne del Paese di localizzazione di una impresa consentano di dedurre, ai fini fiscali, una determinata spesa in misura superiore rispetto alla correlata deduzione ammessa a livello contabile e tale differenza non sia destinata a ricomporsi in futuro (ciò può accadere, ad esempio, nel caso di super deduzioni ammesse a livello fiscale). Allo stesso modo, una differenza permanente può emergere laddove le regole fiscali interne del Paese di localizzazione di un’impresa esentino o escludano da imposizione un determinato componente positivo che assume, invece, piena rilevanza nella prospettiva contabile. L’eccesso di perdita pari alla differenza tra l’importo delle imposte rilevanti rettificate e l’importo delle imposte rilevanti rettificate attese rappresenta una imposta integrativa addizionale dovuta per tale esercizio. Questo effetto deriva dalla interazione tra i riflessi contabili della perdita netta rilevante e la loro rilevanza ai fini della determinazione delle imposte rilevanti rettificate.
Il comma 6 stabilisce che in deroga a quanto previsto nel precedente comma 5, un’impresa dichiarante può decidere che il valore assoluto della differenza di cui al comma 5 sia memorizzato quale eccedenza negativa di imposte rilevanti rettificate e che tale eccedenza sia riportata agli esercizi successivi ed utilizzata fino al suo esaurimento secondo quanto previsto nel comma 7 ai fini del computo delle imposte rilevanti rettificate. In tale situazione, il gruppo multinazionale o nazionale di imprese non è soggetto, nell’esercizio con riferimento al quale è effettuata l’opzione e memorizzata l’eccedenza negativa di imposte rilevanti rettificate, all’imposta integrativa addizionale prevista al comma 5.
Il comma 7 specifica che l’opzione di cui al comma 6 va effettuata ai sensi dell’articolo 52, comma 2, con riferimento ad un determinato Paese ed ha validità annuale.
Per tale Paese, una volta effettuata l’opzione per l’esercizio in cui il gruppo multinazionale o nazionale di imprese ha l’eccedenza negativa di imposte rivelanti rettificate, tale eccedenza deve essere utilizzata, fino ad esaurimento della stessa, a riduzione fino a concorrenza delle eventuali imposte rilevanti rettificate positive ai fini del computo delle imposte rilevanti rettificate per quel Paese.
Il comma 8 ad integrazione di quanto previsto al comma 7 dispone che ai fini del comma precedente, nel caso in cui un gruppo multinazionale o nazionale ceda una o più imprese localizzate in un Paese in relazione al quale è stata effettuata l’opzione di cui comma 6, l’eccedenza negativa di imposte rilevanti rettificate rimane attribuita al gruppo cedente che deve tenere memoria del saldo residuo del suddetto riporto. Se residua una eccedenza negativa di imposte rivelanti rettificate ed il gruppo multinazionale o nazionale non abbia più imprese localizzate nel Paese in relazione al quale è stata effettuata l’opzione di cui al comma 6 ed in un esercizio successivo ne acquisisca o ne costituisca delle altre nel medesimo Paese, la predetta eccedenza negativa di imposte rivelanti rettificate residua deve essere utilizzata per quel Paese, a partire da tale esercizio successivo, secondo quanto previsto dal comma 7.
Articolo 29
(Modifiche ai valori delle imposte anticipate e delle imposte differite)
L’articolo 29 disciplina le modalità di calcolo dell’importo totale netto delle variazioni delle imposte anticipate e differite.
Il comma 1 della disposizione fornisce le definizioni di alcuni termini utilizzati nei commi successivi dell’articolo per il calcolo delle imposte anticipate e differite ai fini dell’utile o perdita netta contabile di un’impresa.
Il comma 2 stabilisce che se in un esercizio l’aliquota nominale utilizzata per calcolare le imposte anticipate e differite ai fini dell’utile o perdita netta contabile di un’impresa è pari o inferiore alla aliquota di imposizione minima, l’importo totale netto delle variazioni delle imposte anticipate e differite è pari all’importo netto delle stesse, aumentato e diminuito ai sensi dei successivi commi 3, 4, 5 e 6.
Se l’aliquota nominale utilizzata per calcolare le imposte anticipate e differite ai fini dell’utile o perdita netta contabile di un’impresa è superiore alla aliquota di imposizione minima, l’importo totale netto delle variazioni delle imposte anticipate e differite è pari all’importo netto delle stesse ricalcolato avendo a riferimento l’aliquota di imposizione minima, aumentato e diminuito ai sensi dei successivi commi 3, 4, 5 e 6.
Il comma 3 prevede che l’importo totale netto delle variazioni delle imposte anticipate e differite deve essere aumentato in misura pari:
§ all’importo pagato nel corso dell’esercizio relativo agli accantonamenti disconosciuti e agli accantonamenti irrilevanti;
§ all’importo del recupero delle imposte differite pagato nel corso dell’esercizio.
Il comma 4 disciplina il caso in cui le imposte anticipate relative ad una perdita non siano state contabilizzate. La norma nello specifico prevede che se in un esercizio le imposte anticipate relative ad una perdita non sono state contabilizzate in mancanza dei relativi presupposti contabili, l’importo totale netto delle variazioni delle imposte anticipate e differite deve essere comunque ridotto in misura pari all’importo dell’imposte anticipate che sarebbe stato rilevato assumendone la sussistenza.
Il comma 5 elenca gli importi da non includere ai fini del calcolo dell’importo totale netto delle variazioni delle imposte anticipate e differite.
Non sono da includersi:
§ l’importo netto delle variazioni delle imposte anticipate e differite relative a componenti reddituali che non concorrono alla formazione del reddito o perdita rilevante ai sensi dalle disposizioni del Capo III;
§ l’importo delle imposte anticipate e differite relative agli accantonamenti disconosciuti ed agli accantonamenti irrilevanti;
§ le iscrizioni o cancellazioni, totali o parziali, di imposte anticipate contabilizzate per effetto di modifiche dei loro presupposti di registrazione contabile;
§ l’importo relativo alle modifiche delle imposte anticipate e differite conseguenti alla variazione dell’aliquota di imposizione nominale;
§ l’importo netto delle variazioni delle imposte anticipate e differite contabilizzate in conseguenza del riconoscimento ed utilizzo di crediti di imposta.
Il comma 6 prevede che se in un esercizio l’importo delle imposte anticipate contabilizzato da un’impresa è stato determinato applicando una aliquota di imposizione nominale inferiore all’aliquota minima d’imposta e l’impresa è in grado di dimostrare che tali imposte anticipate sono attribuibili ad una perdita rilevante, detto importo può essere ricalcolato nell’esercizio utilizzando l’aliquota minima d’imposta. Nelle ipotesi in cui l’importo delle imposte anticipate è stato aumentato ai sensi del precedente periodo, l’importo totale netto delle variazioni delle imposte differite e anticipate deve essere ridotto in misura corrispondente.
Il comma 7 dispone che il recupero delle imposte differite relativo ad un esercizio comporta una riduzione di pari importo delle imposte rilevanti relative al quinto esercizio ad esso anteriore con la necessità di dover ricalcolare per tale esercizio l’aliquota di imposizione effettiva e l’importo dell’imposizione integrativa ai sensi dell’articolo 36, comma 1.
Articolo 30
(Scelta relativa alla perdita rilevante)
L’articolo 30 disciplina l’esercizio della possibilità di scelta relativa alla perdita rilevante ovvero della possibilità riconosciuta a un’impresa dichiarante di scegliere di considerare l’imposta anticipata da perdita rilevante per ogni esercizio con riferimento al quale emerge una perdita netta rilevante in un determinato Paese.
In particolare, il comma 1 stabilisce che in alternativa a quanto previsto nell’articolo 29, un’impresa dichiarante può, con riferimento ad un Paese, scegliere di considerare l’imposta anticipata da perdita rilevante per ogni esercizio con riferimento al quale emerge una perdita netta rilevante in tale Paese. A tal fine, l’imposta anticipata è pari alla perdita netta rilevante moltiplicata per l’aliquota minima d’imposta. La scelta di cui al primo periodo non è consentita con riferimento ad un Paese nel quale trova applicazione il regime di imposizione sull’utile distribuito ai sensi dell’articolo 47.
Nella relazione illustrativa il Governo rappresenta che la norma introduce un regime opzionale che consente di dare rilevanza alle perdite nette rilevanti ai fini della determinazione delle imposte rilevanti rettificate, attraverso la rilevazione un’imposta anticipata nozionale pari alla perdita netta rilevante moltiplicata per l’aliquota minima d’imposta. Tale regime opzionale consente di evitare effetti distorsivi attraverso la creazione di una imposta anticipata nozionale, pari alla perdita netta rilevante moltiplicata per l’aliquota minima d’imposta, il cui rilascio ed il conseguente incremento del numeratore dell’aliquota minima di imposizione opera nell’esercizio di utilizzo, ai fini fiscali interni, delle perdite fiscali pregresse. Per effetto del regime in questione, una perdita netta rilevate, generata in un esercizio, compensa un reddito netto rilevate in un esercizio successivo di pari misura. A fronte di un risultato aggregato pari a zero, corrisponderà un’aliquota minima d’imposta pari alla aliquota minima di imposizione.
Il comma 2 chiarisce che l’imposta anticipata relativa ad una perdita rilevante, determinata ai sensi del comma 1 in un esercizio è riportata negli esercizi successivi e ridotta conformemente a quanto previsto al comma 3.
Il comma 3 prevede che in ogni esercizio il saldo iniziale dell’imposta anticipata da perdita rilevante si riduce, fino alla sua concorrenza, in misura pari all’importo del reddito netto rilevante del Paese moltiplicato per l’aliquota minima d’imposta.
La riduzione dell’imposta anticipata da perdita rilevante indicata nel periodo precedente incrementa il valore delle imposte rilevanti rettificate relative al medesimo esercizio.
Il comma 4 stabilisce che nell’esercizio con riferimento al quale la scelta di cui al comma 1 è revocata, il valore iniziale del saldo dell’imposta anticipata da una perdita rilevante si riduce a zero.
Il comma 5 dispone che la scelta di cui al comma 1 può essere esercitata esclusivamente nella prima comunicazione rilevante di cui all’articolo 51 relativa al gruppo multinazionale o al gruppo nazionale che include il Paese per il quale è esercitata la scelta.
Il comma 6 prevede, infine, che se una entità trasparente che è la controllante capogruppo di un gruppo multinazionale o di un gruppo nazionale effettua la scelta di cui al comma 1, il valore dell’imposta anticipata da perdita rilevante deve essere determinato avendo a riferimento la sua perdita rilevante, al netto della riduzione prevista dall’articolo 45, comma 3 (si veda la relativa scheda).
Articolo 31
(Imputazione delle imposte rilevanti di alcune tipologie di entità)
L’articolo 31 disciplina le modalità di imputazione delle imposte rilevanti di alcune tipologie di entità. A tal fine, la norma individua distinte regole di attribuzione delle imposte rilevanti in relazione alle caratteristiche delle differenti imprese del gruppo multinazionale, in particolare riferite a:
§ -stabili organizzazioni;
§ -entità fiscalmente trasparenti;
§ -imprese controllate;
§ -entità ibride;
§ -imprese che distribuiscono utili.
Il comma 1, specifica l’imputazione nel caso di una stabile organizzazione, stabilendo che l’importo delle imposte rilevanti contabilizzate nel bilancio di un’impresa relative al reddito o perdita rilevante di una stabile organizzazione sono imputate a quest’ultima.
Il comma 2, disciplina l’imputazione nel caso di un’entità fiscalmente trasparente. La norma prevede che all’impresa proprietaria è allocato l’importo delle imposte rilevanti contabilizzate nel bilancio di una entità fiscalmente trasparente corrispondente al valore del reddito o perdita rilevante di quest’ultima, imputato all’impresa proprietaria ai sensi dell’articolo 26, comma 4.
Il comma 3 stabilisce che le imposte rilevanti contabilizzate nel bilancio di un’impresa relative alla quota del reddito rilevante di una sua impresa controllata, attribuita in base ad un regime fiscale sulle società controllate estere, sono allocate all’impresa controllata.
Il comma 4 disciplina l’imputazione nel caso di società ibrida. Nello specifico, si prevede che le imposte rilevanti contabilizzate nel bilancio di un’impresa proprietaria relative alla porzione del reddito rilevante, a questa attribuito, di un’altra impresa che è un’entità ibrida, sono allocate alla entità ibrida.
La norma prosegue specificando che per entità ibrida si intende l’entità che non è considerata trasparente ai fini fiscali nel Paese in cui la stessa è localizzata mentre è considerata tale, e nella misura in cui è considerata tale, nel Paese di un’impresa proprietaria.
Il comma 5 stabilisce che le imposte rilevanti contabilizzate nel bilancio di un’impresa proprietaria diretta con riferimento agli utili ad essa distribuiti da un’altra impresa sono allocate a quest’ultima.
Tale allocazione si applica anche alle imposte rilevanti riferite alle remunerazioni percepite dall’impresa proprietaria in virtù di una partecipazione in un’altra impresa e tale partecipazione è considerata tale nel bilancio predisposto in conformità ai principi contabili utilizzati dalla controllante capogruppo ai fini del bilancio consolidato.
Le precedenti disposizioni si applicano anche alle imposte rilevanti dovute da un’impresa proprietaria con riferimento ad una distribuzione virtuale di dividendi se la partecipazione detenuta nell’impresa cui si riferisce la distribuzione virtuale è considerata tale sia ai fini fiscali locali nel Paese che preleva le imposte rilevanti e sia ai fini della predisposizione del bilancio d’esercizio dell’impresa proprietaria.
Il comma 6 dispone che in deroga a quanto riportato ai commi 3 e 4, le imposte rilevanti relative a redditi passivi da allocare ad un’impresa ai sensi dei citati commi concorrono a formare le sue imposte rilevanti rettificate in misura pari al minore tra le imposte rilevanti calcolate sugli stessi ed il risultato della moltiplicazione dell’aliquota della imposizione integrativa relativa al suo Paese di localizzazione, determinata ai sensi dell’articolo 34, comma 2, senza tener conto dell’importo delle imposte rilevanti relative a detti redditi passivi ma tenendo conto delle altre imposte rilevanti allocate ai sensi dei citati commi 3 e 4, e l’importo dei redditi passivi imputati alle sue imprese proprietarie sulla base di un regime fiscale delle società controllate estere o per effetto del regime di trasparenza fiscale.
La eventuale differenza tra l’importo delle imposte rilevanti relative a redditi passivi da allocare ad un’impresa ai sensi dei commi 3 e 4 e quello che ha concorso a determinare il valore delle imposte rilevanti rettificate ai sensi del precedente periodo, non è oggetto di allocazione ai sensi dei commi citati e concorre a determinare le imposte rilevanti rettificate dell’impresa proprietaria o dell’impresa controllante.
Il comma 7 prevede che ai fini dell’applicazione del primo periodo del comma 6, l’imposta sui redditi delle società dovuta ai sensi dell’articolo 167 del D.P.R. del 22 Dicembre 1986 n. 917-TUIR da un’impresa proprietaria localizzata in Italia relativa ai redditi passivi conseguiti da un’impresa controllata estera, è pari alla frazione dell’imposta dovuta corrispondente al rapporto tra il valore lordo delle componenti positive di reddito costituenti i redditi passivi ed il totale delle componenti positive di reddito conseguiti dall’impresa controllata estera.
Si ricorda che il sopra richiamata articolo 167 stabilisce, tra l’altro, che il reddito realizzato dal soggetto controllato non residente è imputato ai soggetti indicati al comma 1 (ovvero le persone fisiche e i soggetti di cui agli articoli 5 e 73, comma 1, lettere a), b) e c), nonché, relativamente alle loro stabili organizzazioni italiane, ai soggetti di cui all’articolo 73, comma 1, lettera d), che controllano soggetti non residenti), nel periodo d’imposta di questi ultimi in corso alla data di chiusura dell’esercizio o periodo di gestione del soggetto controllato non residente, in proporzione alla quota di partecipazione agli utili del soggetto controllato non residente da essi detenuta, direttamente o indirettamente. In caso di partecipazione indiretta per il tramite di soggetti residenti o di stabili organizzazioni nel territorio dello Stato di soggetti non residenti, i redditi sono imputati a questi ultimi soggetti in proporzione alle rispettive quote di partecipazione. I redditi del soggetto controllato non residente sono determinati a seconda delle sue caratteristiche, in base alle disposizioni valevoli ai fini dell’imposta sul reddito delle società per i soggetti di cui all’articolo 73 (fatta eccezione per le disposizioni di cui agli articoli 30 della legge 23 dicembre 1994, n. 724, 2, comma 36-decies, del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, 62-sexies del decreto-legge 30 agosto 1993, n. 331, 1 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, e 86, comma 4, del TUIR). I redditi imputati e determinati sono assoggettati a tassazione separata con l’aliquota media applicata sul reddito del soggetto cui sono imputati e, comunque, non inferiore all’aliquota ordinaria dell’imposta sul reddito delle società. Dall’imposta determinata sono ammesse in detrazione, con le modalità e nei limiti di cui all’articolo 165, le imposte sui redditi pagate all’estero a titolo definitivo dal soggetto non residente. Gli utili distribuiti, in qualsiasi forma, dai soggetti controllati non residenti non concorrono alla formazione del reddito dei soggetti di cui al comma 1 fino a concorrenza dei redditi assoggettati a tassazione, anche nei periodi d’imposta precedenti. La previsione del precedente periodo non si applica con riguardo a un organismo di investimento collettivo del risparmio non residente. In questo caso, tuttavia, le imposte pagate in Italia dai soggetti di cui al comma 1 si aggiungono al costo fiscalmente riconosciuto delle quote del predetto organismo. Le imposte pagate all’estero sugli utili che non concorrono alla formazione del reddito ai sensi del primo periodo sono ammesse in detrazione, con le modalità e nei limiti di cui all’articolo 165, fino a concorrenza dell’imposta determinata, diminuita degli importi ammessi in detrazione.
Il comma 8 stabilisce che se il reddito rilevante di una stabile organizzazione è allocato alla casa madre ai sensi dell’articolo 25, comma 5, le imposte rilevanti ad esso relative dovute nel Paese di localizzazione della stabile organizzazione sono considerate come imposte rilevanti della casa madre per un importo non superiore al valore del reddito rilevante moltiplicato per la più elevata aliquota impositiva sul reddito d’impresa applicabile nel Paese di localizzazione della casa madre.
L’articolo 32 disciplina le modalità con le quali valutare la rilevanza delle modifiche successive alla presentazione della comunicazione, nonché le variazioni della aliquota fiscale.
Il comma 1, specifica che l’incremento netto delle imposte rilevanti di un esercizio precedente rileva ai fini della determinazione del valore delle imposte rilevanti rettificate, dell’aliquota di imposizione effettiva e dell’imposizione integrativa nell’esercizio in cui tale incremento è contabilizzato,
Il comma 2 prevede che la riduzione netta delle imposte rilevanti di un esercizio precedente rileva, ai fini dell’articolo 36, comma 1, per la determinazione delle imposte rilevanti rettificate, dell’aliquota di imposizione effettiva e dell’imposizione integrativa relative a tale esercizio. In deroga al periodo precedente, una riduzione netta di imposte rilevanti di un esercizio precedente rileva secondo quanto stabilito nel comma 1 a seguito di opzione dell’impresa dichiarante.
Tale opzione può essere esercitata, ai sensi dell’articolo 52, comma 2, se la riduzione netta delle imposte rilevanti di un dato Paese relative ad un esercizio precedente, rispetto a quelle registrate nell’esercizio di competenza, è inferiore a un milione di euro.
Nella relazione illustrativa si chiarisce che gli eventi che possono determinare una variazione dell’aliquota di imposizione effettiva di un esercizio a seguito della presentazione della relativa comunicazione rilevante possono essere di diversa natura. A titolo esemplificativo, possono condurre all’applicazione dell’articolo in commento, le verifiche fiscali operate dalle autorità fiscali del Paese di riferimento o la modifica del contenuto delle dichiarazioni fiscali presentate dall’impresa che conduce ad una più precisa determinazione degli importi rispetto alla rilevazione originaria. Le variazioni in aumento comportano, di norma, un incremento delle imposte rilevanti, mentre le variazioni in diminuzione, di norma, si sostanziano in un rimborso o nella riduzione delle imposte rilevanti. La regola in commento si fonda sulla considerazione che ove il calcolo delle imposte rilevanti (e della fiscalità differita) per l’esercizio di riferimento fosse stato correttamente effettuato e riflesso nella comunicazione rilevante, l’impresa avrebbe determinato con precisione l’aliquota di imposizione effettiva e ciò avrebbe condotto alla individuazione del corretto ammontare dell’imposta integrativa.
Il comma 3 precisa che se in un esercizio si determina una variazione del valore netto delle imposte anticipate e differite contabilizzata da un’impresa in conseguenza della diminuzione dell’aliquota d’imposizione al di sotto dell’aliquota minima d’imposta, tale riduzione rileva, ai sensi dell’articolo 28, in relazione all’esercizio con riferimento al quale sono state contabilizzate le imposte oggetto di riduzione.
A seguito di opzione esercitata dall’impresa dichiarante ai sensi dell’articolo 52, comma 2, le disposizioni del precedente periodo non trovano applicazione qualora la variazione delle imposte rilevanti, per un dato Paese, è inferiore a un milione di euro rispetto a quelle contabilizzate nell’esercizio di competenza.
Il comma 4 dispone che se in un esercizio le imposte anticipate e differite relative ad un Paese sono state contabilizzate utilizzando una aliquota d’imposizione inferiore all’aliquota minima d’imposta e l’aliquota d’imposta in quel Paese è successivamente incrementata, la variazione del valore netto delle imposte anticipate e differite, calcolata avendo a riferimento una aliquota non superiore all’aliquota minima d’imposta, rileva, ai sensi dell’articolo 28, esclusivamente nell’esercizio in cui le stesse sono pagate.
Il comma 5 stabilisce che se un importo superiore a un milione di euro di imposte correnti che sono state contabilizzate da un’impresa con riferimento ad un esercizio e che hanno concorso a determinare il relativo valore delle imposte rilevanti rettificate non è pagato alle autorità competenti entro il terzo anno successivo all’ultimo giorno dell’esercizio, l’aliquota di imposizione effettiva e l’imposizione integrativa relative all’esercizio di contabilizzazione sono ricalcolati ai sensi dell’articolo 36, comma 1, escludendo l’importo non pagato dal relativo valore delle imposte rilevanti rettificate.
Nel Capo V sono indicate le specifiche modalità di calcolo dell’aliquota d’imposizione effettiva (articolo 33), dell’imposta integrativa (articolo 34) e dell’imposta integrativa aggiuntiva (articolo 36). L’articolo 35 prevede, invece, un’esclusione del reddito in base alla sostanza in funzione dei costi salariali e delle attività materiali.
Tale disposizione ultima, che recepisce la corrispondente disposizione della direttiva, è chiarita, nella sua portata da quanto indicato nel considerando n.14 della direttiva medesima. Si prevede infatti che per garantire un approccio proporzionato, si dovrebbe tener conto di alcune situazioni specifiche nelle quali i rischi di BEPS sono ridotti, prevedendosi un’esclusione del reddito in base alla sostanza fondata sui costi associati ai dipendenti e al valore delle attività materiali in un dato Paese.
Viene altresì prevista un’esclusione de minimis: l’articolo 37, infatti, stabilisce che in deroga agli articoli da 33 a 36, a scelta dell’impresa dichiarante, l’imposta integrativa dovuta dalle imprese localizzate in un Paese è pari a zero per un dato esercizio fiscale se, per tale esercizio fiscale i ricavi rilevanti medi di tutte le imprese localizzate in tale Paese sono inferiori a 10.000.000 di euro ed il reddito rilevante medio di tutte le imprese in detto Paese è inferiore a 1.000.000 di euro. L’articolo 38 fornisce la definizione di imprese partecipate in misura minoritaria e indica le modalità di calcolo della relativa aliquota d’imposizione effettiva e dell’imposta integrativa. L’articolo 39 prevede che in deroga agli articoli da 33 a 38, a scelta dell’impresa dichiarante, l’imposta integrativa dovuta da un gruppo in un determinato Paese sia considerata pari a zero per un esercizio fiscale se il livello effettivo di imposizione delle imprese localizzate in detto Paese rispetta le condizioni previste da un Accordo internazionale sui regimi semplificati (accordo internazionale qualificante sui porti sicuri).
Articolo 33
(Determinazione dell’aliquota di imposizione effettiva)
L’articolo 33 definisce i criteri di determinazione dell’aliquota di imposizione effettiva di un gruppo multinazionale o nazionale di imprese.
Come precisato dalla Relazione illustrativa, tale calcolo è determinante per stabilire se, in un determinato esercizio, il gruppo multinazionale o nazionale di imprese è soggetto a un livello di imposizione minima.
In particolare, il comma 1 stabilisce che l’aliquota di imposizione effettiva di un gruppo multinazionale o nazionale di imprese deve essere calcolata separatamente per ogni esercizio e per ogni Paese di localizzazione, a condizione che nel Paese vi sia un reddito netto rilevante. L’aliquota di imposizione effettiva è pari al rapporto tra le imposte rilevanti rettificate del Paese e il reddito netto rilevante del Paese e, salvo quanto previsto all’articolo 34, comma 2, detto rapporto può essere negativo o positivo.
Il comma 2 specifica che per imposte rilevanti rettificate del Paese s’intende l’importo positivo o negativo risultante dalla somma algebrica delle imposte rilevanti rettificate di tutte le imprese localizzate in quel Paese determinate ai sensi del Capo IV.
Il comma 3 statuisce che il reddito netto rilevante o la perdita netta rilevante del Paese per un dato esercizio sono dati dalla differenza tra il reddito rilevante di tutte le imprese localizzate nel Paese e la perdita rilevante di tutte le imprese localizzate nel medesimo Paese determinati ai sensi del Capo III.
La Relazione illustrativa specifica che il riferimento alle imprese del gruppo localizzate nel Paese per il quale si vuole calcolare l’aliquota di imposizione effettiva, contenuto nei commi 2 e 3, senza alcuna indicazione sulla misura della partecipazione, implica che sono considerati ai fini del calcolo dell’aliquota di imposizione effettiva anche le imposte e il reddito attribuibili alle partecipazioni detenute da soggetti che non appartengono al gruppo nazionale e multinazionale.
Ai sensi del comma 4, le imposte rilevanti rettificate nonché il reddito o perdita rilevante di imprese che sono entità di investimento ovvero entità assicurative di investimento non rilevano ai fini dell’aliquota di imposizione effettiva di un gruppo e del reddito netto rilevante, determinati ai sensi dei commi da 1 a 3.
Il comma 5 prevede che l’aliquota di imposizione effettiva di ciascuna impresa apolide è calcolata, per ogni esercizio, separatamente dall’aliquota di imposizione effettiva di ogni altra impresa.
La disposizione in questione recepisce i contenuti dell’articolo 26 della direttiva (UE) 2022/2523.
Articolo 34
(Calcolo dell’imposizione integrativa)
L’articolo 34 detta i criteri di determinazione dell’imposizione integrativa dovuta con riguardo alle imprese del gruppo multinazionale o nazionale localizzate in un Paese e per l’allocazione dell’imposta integrativa tra dette imprese.
Come precisato dalla Relazione illustrativa, ai fini del calcolo dell’imposizione integrativa, occorre preliminarmente determinare l’aliquota di imposizione integrativa (differenziale percentuale positivo tra aliquota minima d’imposta del 15 per cento e l’aliquota effettiva d’imposta di tutte le entità del gruppo localizzate nel Paese) da applicare ad una base imponibile che eccede il profitto ordinario (c.d. Excess Profit) calcolata per le imprese del gruppo localizzate nel Paese.
Il comma 1 stabilisce che se in un esercizio l’aliquota di imposizione effettiva di un Paese è inferiore all’aliquota minima d’imposta, il gruppo multinazionale o nazionale calcola l’imposizione integrativa e la ripartisce, ai sensi dei commi 6 e 7, per ogni impresa ivi localizzata con un reddito rilevante che ha concorso alla determinazione del reddito netto del Paese. L’importo dell’imposizione integrativa è determinato per singolo Paese.
Il comma 2 dispone che l’aliquota di imposizione integrativa di un Paese, relativa ad un esercizio, è data dalla differenza tra l’aliquota minima di imposta del 15 per cento e l’aliquota d’imposizione effettiva di cui all’articolo 33. Dunque, nel caso in cui, in relazione alle imprese localizzate in un Paese, l’aliquota di imposizione effettiva sia uguale o superiore al 15 per cento, il gruppo non dovrà alcuna imposizione integrativa
Il medesimo comma 2 precisa che quando in un esercizio il gruppo multinazionale o nazionale di imprese ha, in relazione ad un Paese, un reddito netto rilevante e un importo negativo di imposte rilevanti rettificate, l’aliquota d’imposizione effettiva di cui all’articolo 33 è assunta pari a zero. In tal caso l’importo negativo di imposte rilevanti rettificate dell’esercizio deve essere riportato in avanti nei successivi esercizi e deve essere utilizzato, fino ad esaurimento dello stesso, a riduzione fino a concorrenza delle imposte rilevanti rettificate positive ai fini del computo delle imposte rilevanti rettificate per quel Paese.
Il comma 3 disciplina l’attribuzione dell’importo negativo di imposte rilevanti rettificate, di cui al precedente comma, nel caso in cui una o più imprese localizzate nel Paese siano cedute. In particolare, si stabilisce che nel caso in cui un gruppo multinazionale o nazionale ceda una o più imprese localizzate nel Paese, l’importo negativo di imposte rilevanti rettificate di cui al comma 2 rimane attribuito al gruppo cedente che deve tenere memoria del saldo residuo del suddetto riporto. Se residua un importo negativo di imposte rilevanti rettificate di cui al comma 2 e il gruppo multinazionale o nazionale non ha più imprese localizzate nel Paese ma, in un esercizio successivo, ne acquisisce o ne costituisce delle altre nel medesimo Paese, il suddetto importo negativo di imposte rilevanti rettificate residuo deve essere utilizzato per quel Paese, a partire da tale esercizio successivo, secondo quanto previsto nell’ultima periodo del comma 2.
Il comma 4 contiene la formula per il calcolo dell’imposizione integrativa dovuta per Paese. La norma statuisce che in un esercizio l’imposizione integrativa dovuta per un Paese è pari al prodotto tra il profitto eccedente del Paese e l’aliquota di imposizione integrativa, maggiorato dell’imposizione integrativa addizionale relativa al Paese, determinata ai sensi dell’articolo 36, e ridotto dell’importo della imposta minima nazionale, determinata ai sensi dell’articolo 18, o della imposta minima nazionale equivalente fino a concorrenza del suo azzeramento. Affinché l’imposizione integrativa sia ridotta dall’imposta minima nazionale o dall’imposta minima nazionale equivalente quest’ultime devono considerarsi dovute. A tal fine l’imposta minima nazionale o l’imposta minima nazionale equivalente non si considera dovuta quando:
a) il gruppo ne contesta direttamente o indirettamente la legittimità nell’ambito di una procedura giudiziale o amministrativa, sulla base di ragioni di legittimità dell’imposta quali quelle di ordine costituzionale ovvero derivanti da obblighi internazionali del Paese;
oppure
b) l’autorità fiscale del Paese ha stabilito che la propria imposta minima nazionale non sia prelevabile o accertabile in base a ragioni di legittimità costituzionale ovvero derivanti da obblighi internazionali del Paese.
Ai sensi del comma 5, in deroga al comma 4, su opzione dell’impresa dichiarante, l’imposizione integrativa dovuta per un Paese è pari a zero se l’imposta minima nazionale o l’imposta minima nazionale equivalente ivi dovuta rispetta le condizioni previste da un Accordo internazionale sui regimi semplificati sottoscritto da tale Paese.
Come precisato dalla Relazione illustrativa, l’imposizione integrativa addizionale è un ammontare di imposta che si aggiunge all’imposizione integrativa di un determinato esercizio, che si imputa anche ai ricalcoli dell’imposizione integrativa relativa ad esercizi precedenti. Nel caso in cui si applichi un’imposta minima nazionale (QDMTT secondo le regole OCSE contenute nelle Guide Amministrative pubblicate a febbraio e luglio 2023 dall’OCSE), l’imposta integrativa addizionale deve essere scomputata dall’ammontare dell’imposizione integrativa. Ove l’ammontare di imposizione minima nazionale (che sia qualificata) applicata in un Paese sia superiore all’ammontare di imposizione integrativa dovuta dal gruppo in tale Paese, l’ammontare di imposta in eccesso non riduce l’ammontare di imposizione integrativa dovuta nel Paese sotto lo zero, né può essere richiesta a rimborso o utilizzata come credito d’imposta rispetto a future somme dovute a titolo di imposizione integrativa.
Il comma 6 definisce il calcolo del profitto eccedente del Paese, che costituisce la base imponibile dell’imposizione integrativa da calcolare in relazione a ciascun Paese. In particolare, il profitto eccedente di cui al comma 4, relativo ad un esercizio, corrisponde all’eventuale importo positivo dato dalla differenza tra il reddito netto rilevante per il Paese, calcolato ai sensi dell’articolo 33, comma 3, e la riduzione del reddito da attività economica sostanziale, determinata ai sensi dell’articolo 35 in relazione al medesimo Paese.
Il comma 7 individua il criterio di imputazione a ciascuna impresa localizzata in un Paese dell’imposizione integrativa relativa a un esercizio. Nel dettaglio, salvo quanto previsto nell’articolo 36, comma 3, in un esercizio l’imposizione integrativa relativa ad ogni impresa con un reddito rilevante localizzata in un Paese è pari all’importo determinato ai sensi del comma 4 primo periodo moltiplicato per il rapporto tra il suo reddito rilevante e la somma dei redditi rilevanti di tutte le imprese localizzate nel medesimo Paese.
Il comma 8 disciplina l’ipotesi in cui si calcola l’imposizione integrativa addizionale ai sensi dell’articolo 36, comma 1, in relazione a un esercizio in cui non è dovuta l’imposizione integrativa in un Paese e non esiste un reddito netto rilevante per il Paese in tale esercizio. In tal caso, l’imposizione integrativa è ripartita secondo il criterio del comma 6 avendo a riferimento i redditi rilevanti delle imprese conseguiti negli esercizi per i quali si è resa necessaria l’applicazione dell’articolo 36, comma 1.
Il comma 9 dispone che l’imposizione integrativa dovuta da una entità apolide è determinata, per ogni esercizio, separatamente rispetto a quella dovuta da tutte le altre imprese.
Il comma 10 introduce una norma di chiusura che disciplina il caso in cui in un altro Paese in cui siano localizzate imprese del gruppo multinazionale sia dovuto un importo a titolo di imposta minima nazionale equivalente e, tale importo, non sia corrisposto entro il quarto esercizio successivo a quello in cui esso risulta dovuto. In tale ipotesi, la somma non pagata è computata in aumento dell’imposta minima integrativa dovuta, ai sensi del comma 4, dalla controllante localizzata nel territorio dello Stato italiano.
La disposizione in questione recepisce i contenuti dell’articolo 27 della direttiva (UE) 2022/2523.
Articolo 35
(Riduzione da attività economica sostanziale)
L’articolo 35 contiene la disciplina della riduzione del reddito rilevante (ossia, la base imponibile su cui applicare l’aliquota di imposizione integrativa) che è possibile escludere dalla tassazione integrativa in quanto derivante dallo svolgimento, nel Paese, di un’attività economica sostanziale.
Come precisato dalla Relazione illustrativa, tale riduzione si calcola considerando la remunerazione ordinaria di due fattori produttivi: il valore contabile netto dei beni tangibili non destinati alla vendita, all’investimento o alla locazione (“immobilizzazioni materiali ammissibili”) e il valore dei salari dei dipendenti (“spese salariali ammissibili”). L’uso delle “immobilizzazioni materiali ammissibili” e delle “spese salariali ammissibili” come indicatori di attività sostanziali deriva dalla considerazione che tali fattori sono meno mobili e quindi meno esposti al rischio di manovre elusive. Per effetto dell’esclusione di tale ammontare fisso relativo alle attività sostanziali, la tassazione integrativa riguarda esclusivamente il profitto eccedente. La riduzione da attività economica sostanziale riguarda solamente quei gruppi multinazionali o nazionali che svolgono la loro attività in Paesi a bassa imposizione che sono tassati al di sotto dell’aliquota minima d’imposta.
La norma, al comma 1, detta le definizioni essenziali ai fini dell’applicazione delle disposizioni dell’articolo in questione (dipendenti ammissibili, spese salariali ammissibili e immobilizzazioni materiali ammissibili).
Il comma 2 stabilisce che il reddito netto rilevante per un dato Paese è ridotto, ai fini del calcolo dell’imposizione integrativa, di un importo pari alla somma della riduzione per spese salariali di cui al comma 3 del presente articolo e della riduzione per immobilizzazioni materiali di cui al comma 4 del presente articolo, entrambe calcolate in relazione a ciascuna impresa localizzata nel Paese.
Il periodo precedente non si applica se l’impresa dichiarante di un gruppo multinazionale o nazionale sceglie, ai sensi dell’articolo 52, comma 2, di non avvalersi per l’esercizio della riduzione del reddito basata sullo svolgimento di una attività economica sostanziale.
Il comma 3 statuisce che la riduzione basata sulle spese salariali di un’impresa localizzata in un Paese è pari al 5 per cento delle sue spese salariali ammissibili per i dipendenti ammissibili che esercitano attività per il gruppo multinazionale o nazionale in detto Paese, fatta eccezione per le spese salariali ammissibili:
a) capitalizzate e incluse nel valore contabile delle immobilizzazioni materiali ammissibili;
b) imputabili a un reddito escluso a norma dell’articolo 24.
Ai sensi del comma 1 per «dipendenti ammissibili» si intendono i dipendenti impiegati a tempo pieno o a tempo parziale di un’impresa e i prestatori di lavoro indipendenti che partecipano alle attività operative ordinarie del gruppo multinazionale o nazionale sotto la direzione e il controllo dello stesso e per «spese salariali ammissibili» si intendono le spese per indennità dei dipendenti, inclusi stipendi, salari e altre spese sostenute a beneficio personale diretto e distinto ai dipendenti, quali assicurazione sanitaria e contributi pensionistici, imposte sulle spese salariali e sull’occupazione nonché contributi di previdenza sociale a carico del datore di lavoro.
Il comma 4 afferma che la riduzione basata sulle immobilizzazioni materiali di un’impresa localizzata in un Paese è pari al 5 per cento del valore contabile delle immobilizzazioni materiali ammissibili localizzate nel Paese, fatta eccezione per:
a) il valore contabile degli immobili, compresi terreni ed edifici, posseduti per la vendita, la locazione o l’investimento;
b) il valore contabile delle immobilizzazioni materiali utilizzate per generare utile da trasporto marittimo internazionale e utile da attività accessorie al trasporto marittimo internazionale di un’impresa di cui all’articolo 24.
Ai sensi del comma 1 per «immobilizzazioni materiali ammissibili» si intendono gli immobili, gli impianti e le attrezzature localizzate nel Paese; le risorse naturali localizzate nel Paese; il diritto del locatario o del locatore di utilizzare beni tangibili localizzati nel Paese e la licenza o l’accordo analogo da parte dell’amministrazione pubblica per l’uso di beni immobili o lo sfruttamento di risorse naturali che comportano un investimento significativo in beni tangibili.
Il comma 5 stabilisce che ai fini del comma 4, il valore contabile delle immobilizzazioni materiali ammissibili corrisponde alla media del valore contabile delle immobilizzazioni materiali ammissibili all’inizio e alla fine dell’esercizio, quale registrato ai fini della predisposizione del bilancio consolidato della controllante capogruppo, eventualmente ridotto di svalutazioni, ammortamenti, perdite per riduzioni di valore accumulate ed eventualmente incrementato dell’importo imputabile alla capitalizzazione delle spese salariali.
Il comma 6 disciplina il trattamento della riduzione per spese salariali ammissibili e per immobilizzazioni materiali ammissibili nel caso di stabile organizzazione. In particolare, le spese salariali ammissibili e le immobilizzazioni materiali ammissibili di un’impresa che è una stabile organizzazione sono quelle incluse nella relativa contabilità separata (ai sensi dell’articolo 25, commi 1 e 2), a condizione che le spese salariali ammissibili e le immobilizzazioni materiali ammissibili siano localizzate nello stesso Paese in cui è localizzata la stabile organizzazione.
Le spese salariali ammissibili e le immobilizzazioni materiali ammissibili di una stabile organizzazione non sono prese in considerazione per le spese salariali ammissibili e le immobilizzazioni materiali ammissibili della casa madre.
Nel caso in cui il reddito di una stabile organizzazione sia stato escluso, in tutto o in parte, ai sensi dell’articolo 26, comma 1, e dell’articolo 45, comma 5, le spese salariali ammissibili e le immobilizzazioni materiali ammissibili di tale stabile organizzazione sono escluse nella stessa proporzione dal calcolo di cui al presente articolo per il gruppo multinazionale o nazionale.
Il comma 7 illustra in che modo le spese salariali ammissibili e le immobilizzazioni materiali ammissibili incluse nel bilancio di un’entità trasparente, che non sono attribuite ai sensi del precedente comma, debbano essere allocate tra le imprese di un gruppo multinazionale o nazionale.
La lettera a) disciplina il caso in cui l’entità trasparente, diversa dalla controllante capogruppo, è una struttura fiscalmente trasparente.
In questa ipotesi, le spese salariali ammissibili e le immobilizzazioni materiali ammissibili sono attribuite alle imprese proprietarie dell’entità trasparente in proporzione alla partecipazione agli utili da queste detenute (stessa proporzione indicata nell’articolo 26, comma 4), a condizione che i dipendenti ammissibili e le immobilizzazioni materiali ammissibili siano localizzati nel Paese delle imprese proprietarie.
La lettera b) disciplina il caso in cui l’entità trasparente è la controllante capogruppo.
In tale ipotesi, le spese salariali ammissibili e le immobilizzazioni materiali ammissibili sono ridotte in proporzione al reddito escluso dal calcolo del reddito rilevante dell’entità trasparente ai sensi dell’articolo 45, commi 1 e 2, a condizione che i dipendenti ammissibili e le immobilizzazioni materiali ammissibili siano localizzati nel Paese delle imprese proprietarie.
Il comma 8 dispone che tutte le spese salariali ammissibili e le immobilizzazioni materiali ammissibili dell’entità trasparente, non attribuite ai sensi dei precedenti commi, sono escluse dal calcolo della riduzione del reddito basata sullo svolgimento di una attività economica sostanziale del gruppo multinazionale o nazionale di imprese.
Ai sensi del comma 9, la riduzione del reddito basata sullo svolgimento di una attività economica sostanziale in relazione ad un’impresa apolide è calcolata, per ciascun esercizio, separatamente dalla riduzione del reddito basata sullo svolgimento di una attività economica sostanziale di tutte le altre imprese del gruppo.
Il comma 10 esclude dall’applicazione della riduzione da attività economica sostanziale le spese salariali e le immobilizzazioni materiali delle imprese che sono entità di investimento in tale Paese.
La disposizione in questione recepisce i contenuti dell’articolo 28 della direttiva (UE) 2022/2523.
Articolo 36
(Imposizione integrativa addizionale)
L’articolo 36 contiene previsioni in materia di rettifica delle imposte rilevanti o del reddito o perdita rilevante che comporti il ricalcolo dell’aliquota di imposizione effettiva e dell’imposizione integrativa del gruppo multinazionale o nazionale per un esercizio precedente.
In particolare, il comma 1 individua, in primo luogo, le ipotesi in cui è necessario o è permesso effettuare il ricalcolo delle imposte rilevanti o del reddito o della perdita rilevante e stabilisce che, in tali circostanze, l’aliquota di imposizione effettiva e l’imposizione integrativa sono ricalcolate conformemente a quanto previsto agli articoli 33, 34 e 35. Si prevede, inoltre, che l’eventuale importo di imposizione integrativa addizionale che risulta dal ricalcolo in precedenza menzionato è considerato come imposizione integrativa addizionale ai sensi del precedente articolo 34, comma 4, per l’esercizio in cui è effettuato il ricalcolo.
La Relazione illustrativa specifica che tale disposizione consente di evitare la complessità e l’onere che deriverebbe dall’effettuazione di rettifiche per l’esercizio o per gli esercizi cui tali ricalcoli fanno riferimento. Tale disposizione non riguarda le rettifiche derivanti da errori nel calcolo delle imposte rilevanti o nel reddito o perdita rilevante o da aggiustamenti al reddito o alla perdita rilevante derivanti da un esame dell’applicazione dell’imposta minima integrativa o dell’imposta minima suppletiva da parte di un’impresa.
Il comma 2 disciplina il caso in cui, in relazione a un determinato esercizio, non vi sia un reddito netto rilevante ma vi sia un’imposizione integrativa addizionale per effetto delle rettifiche di cui al precedente comma. In tale ipotesi, il reddito rilevante di ciascuna impresa è aumentato di un importo corrispondente all’imposizione integrativa a essa imputata ai sensi del precedente articolo 34, commi 6 e 7, divisa per l’aliquota minima d’imposta. A tal fine, non si considera la perdita rilevante determinata per l’esercizio.
Come precisato dalla Relazione illustrativa, la regola assicura che, nel momento in cui - per effetto di un ricalcolo - sia dovuta un’imposizione integrativa addizionale in un determinato esercizio, in assenza di un reddito netto rilevante, sia comunque possibile utilizzare il meccanismo di calcolo della quota dell’imposizione integrativa dovuta dalle controllanti previsto dall’articolo 16, comma 2, del decreto.
Il comma 3 statuisce che se sussiste un’imposizione integrativa addizionale (ai sensi dell’articolo 28, comma 5) il reddito rilevante di ciascuna impresa localizzata nel Paese, ai fini del comma 2 dell’articolo 16, è pari all’imposta integrativa attribuita a tale impresa divisa per l’aliquota minima d’imposta. L’attribuzione di tale imposizione integrativa addizionale è effettuata su base proporzionale a ciascuna di tali imprese, utilizzando il valore risultante dal prodotto tra il reddito o perdita rilevante e l’aliquota minima d’imposta, ridotto delle imposte rilevanti rettificate. Dunque secondo la formula (reddito/perdita rilevante * aliquota minima d’imposta) - imposte rilevanti rettificate.
L’imposizione integrativa addizionale è attribuita unicamente alle imprese che registrano un importo di imposte rilevanti rettificate inferiore a zero e inferiore al reddito o perdita rilevante di tali imprese moltiplicato per l’aliquota minima d’imposta.
Il comma 4 stabilisce che se a un’impresa è attribuita un’imposizione integrativa addizionale ai sensi del presente articolo e dell’articolo 34, commi 6 e 7, tale impresa è considerata un’impresa a bassa imposizione ai fini del Capo II.
La disposizione in questione recepisce i contenuti dell’articolo 29 della direttiva (UE) 2022/2523.
Articolo 37
(Esclusione de minimis)
L’articolo 37 detta previsioni in materia di esclusione dall’applicazione dell’imposizione integrativa dovuta alle imprese localizzate in un Paese per un dato esercizio (“Esclusione de minimis”)
La Relazione illustrativa chiarisce che tale disposizione mira a evitare le complessità che derivano dal calcolo dell’aliquota di imposizione effettiva in casi in cui l’ammontare di imposizione integrativa non sembra giustificare gli oneri amministrativi posti a carico dei contribuenti.
In particolare, il comma 1 stabilisce che l’esclusione de minimis si applica alle imprese a bassa imposizione di un gruppo localizzate in un Paese quando i ricavi rilevanti medi aggregati e il reddito rilevante medio di tutte queste imprese sono inferiori, rispettivamente, a 10 milioni di euro e 1 milione di euro. L’effetto di tale esclusione è che l’imposta integrativa dovuta dalle imprese localizzate in un Paese è pari a zero per un determinato esercizio.
L’esclusione de minimis si applica in deroga agli articoli da 33 a 36 e all’articolo 38. Ciò significa che non è necessario che il gruppo calcoli l’aliquota di imposizione effettiva delle imprese localizzate nel Paese né che calcoli l’ammontare di imposizione integrativa che sarebbe stata dovuta in assenza di tale disposizione. L’esclusione opera su base opzionale e ha durata annuale (in base al rinvio operato all’articolo 52, comma 2).
Il comma 2 prevede che i ricavi rilevanti medi e il reddito rilevante medio corrispondono alla media, rispettivamente, dei ricavi rilevanti e del reddito o perdita rilevante delle imprese localizzate nel Paese per l’esercizio e i due esercizi precedenti. Se nel primo o nel secondo esercizio precedente, o in entrambi, in un Paese le imprese ivi localizzate sono senza ricavi rilevanti o con un reddito rilevante pari a zero, tale esercizio o tali esercizi sono esclusi dal calcolo dei ricavi rilevanti medi o del reddito rilevante medio di detto Paese.
Come spiega la Relazione illustrativa, l’utilizzo di una media basata sul triennio ha lo scopo di semplificare l’applicazione delle disposizioni da parte dei contribuenti e il controllo da parte dell’amministrazione. Poiché l’applicazione di un valore medio potrebbe dare adito a risultati incoerenti (ad esempio, laddove nel triennio sia considerato anche un esercizio senza ricavi rilevanti o con un reddito rilevante pari a zero), la seconda parte del comma prevede che alcuni esercizi siano esclusi dal calcolo dei ricavi rilevanti medi o del reddito rilevante medio. Difatti, se nel primo o nel secondo esercizio precedente, o in entrambi, in un Paese le imprese ivi localizzate sono senza ricavi rilevanti o con un reddito rilevante pari a zero, tale esercizio o tali esercizi sono esclusi dal calcolo dei ricavi rilevanti medi o del reddito rilevante medio di detto Paese.
Il calcolo dei ricavi rilevanti medi e del reddito rilevante medio si basa sul presupposto che gli esercizi abbiano la stessa durata. Se un esercizio è più breve, la media deve essere calcolata rettificando i corrispondenti calcoli dei ricavi e del reddito in proporzione al periodo coperto dall’esercizio corto nell’anno solare, in modo da ottenere ricavi o reddito rilevante ai fini del calcolo di cui al presente comma.
Il comma 3 dispone che i ricavi rilevanti delle imprese localizzate in un Paese per un dato esercizio corrispondono alla somma di tutti i ricavi delle imprese localizzate in detto Paese, ridotti o aumentati degli eventuali aggiustamenti effettuati ai sensi del capo III.
Il comma 4 stabilisce che il reddito o perdita rilevante delle imprese localizzate in un Paese per un dato esercizio corrisponde al reddito netto o alla perdita netta rilevante di detto Paese calcolati ai sensi dell’articolo 33, comma 3.
Il comma 5 prevede che l’esclusione de minimis non è applicabile alle imprese apolidi e alle entità d’investimento. I ricavi e il reddito o perdita rilevante di tali entità non sono considerati ai fini del calcolo dell’esclusione de minimis.
La disposizione in questione recepisce i contenuti dell’articolo 30 della direttiva (UE) 2022/2523.
Articolo 38
(Imprese partecipate in misura minoritaria)
L’articolo 38 specifica i criteri di calcolo delle aliquote di imposizione effettiva e integrativa delle imprese di un sottogruppo di minoranza e delle imprese partecipate in misura minoritaria che non siano membri di un sottogruppo di minoranza.
In particolare il comma 1 contiene preliminarmente un elenco di definizioni in particolare quelle di impresa partecipata in misura minoritaria, impresa partecipante di minoranza, sottogruppo di minoranza, impresa partecipata di minoranza,
Il comma 2 dispone che, con riferimento alle imprese di un sottogruppo di minoranza, il calcolo dell’aliquota d’imposizione effettiva e della imposizione integrativa per un Paese, ai sensi delle disposizioni dei Capi da III a VII, deve essere effettuato trattando tale sottogruppo di minoranza come se fosse un gruppo distinto.
Ai sensi del comma 1, per "sottogruppo di minoranza” si intende un’impresa partecipante di minoranza e le imprese partecipate di minoranza nei cui confronti la prima detiene una partecipazione di controllo;
Il comma 3 stabilisce che le imposte rilevanti rettificate ed il reddito o perdita rilevante delle imprese costituenti un sottogruppo di minoranza sono irrilevanti ai fini del calcolo, ai sensi dell’articolo 33, commi 1 e 3, dell’aliquota di imposizione effettiva e del reddito netto rilevante del gruppo in relazione a un Paese.
La Relazione illustrativa riporta il seguente esempio:
la controllante capogruppo Y detiene il 20 per cento delle partecipazioni della società A, che detiene il 90 per cento della società B1 e B2 (localizzate nel Paese B). Il rimanente 10 per cento delle partecipazioni della società B1 e della società B2 è detenuto direttamente dalla controllante capogruppo Y. Tutte le entità sono imprese di un gruppo. La società A è una impresa partecipante di minoranza, mentre la società B1 e la società B2 sono imprese partecipate di minoranza. In questa situazione, l’aliquota di imposizione effettiva del Paese B in relazione alle società B1 e B2 è calcolata separatamente rispetto al calcolo dell’imposizione effettiva di qualsiasi altra impresa del gruppo localizzata nel Paese B.
Il comma 4 statuisce che l’aliquota di imposizione effettiva e l’imposizione integrativa di un’impresa partecipata in misura minoritaria che non è membro di un sottogruppo di minoranza sono calcolate ai sensi delle disposizioni dei Capi da III a VII avendo a riferimento i pertinenti valori dell’impresa singolarmente considerata.
Ai sensi del comma 1 per "impresa partecipata di minoranza" si intende un’impresa partecipata in misura minoritaria la cui partecipazione di controllo è detenuta, direttamente o indirettamente, da una impresa partecipante di minoranza. Sempre ai sensi del medesimo comma 1 per “impresa partecipante di minoranza" si intende un’impresa partecipata in misura minoritaria che detiene, direttamente o indirettamente, una partecipazione di controllo in un’altra impresa partecipata in misura minoritaria ad eccezione del caso in cui la partecipazione di controllo nella prima impresa è detenuta, a sua volta, direttamente o indirettamente da un’impresa partecipata in misura minoritaria.
La Relazione illustrativa chiarisce che non tutte le imprese in cui una quota è detenuta da un’impresa partecipante di minoranza sono considerate imprese partecipate di minoranza e membri di un sottogruppo di minoranza. Esse devono anche rispettare la definizione di impresa partecipata in misura minoritaria (vedi infra) e potrebbero quindi rientrare nella ordinaria nozione di impresa (quando, ad esempio, la controllante capogruppo ne detiene direttamente parte della quota).
A titolo esemplificativo, la Relazione riporta un esempio: una controllante capogruppo Y detiene una partecipazione del 60 per cento nella società B (i.e. 30 per cento direttamente e il rimanente 30 per cento indirettamente attraverso la società A che è una impresa partecipante di minoranza che detiene una partecipazione di controllo - 70 per cento - nella società B). In tal caso, la società B non soddisfa i requisiti per essere un’impresa partecipata di minoranza perché la controllante capogruppo Y detiene (direttamente ed indirettamente) più del 30 per cento delle sue partecipazioni.
A sua volta, per "impresa partecipata in misura minoritaria" si intende un’impresa nella quale la controllante capogruppo detiene, direttamente o indirettamente, una partecipazione pari o inferiore al 30 per cento e che risulta inclusa nel suo bilancio consolidato utilizzando la tecnica di consolidamento linea per linea.
La Relazione illustrativa spiega come per le imprese partecipate in misura minoritaria siano necessarie regole speciali, in quanto una controllante capogruppo potrebbe avere più imprese partecipate in misura minoritaria che svolgono la loro attività nello stesso Paese, ma che hanno differenti partecipanti che non sono entità del gruppo. Considerare il reddito e le imposte di queste imprese partecipate in misura minoritaria ai fini del calcolo dell’aliquota di imposizione effettiva delle imprese localizzate in un determinato Paese potrebbe comportare che una quota dell’imposizione integrativa applicata nel Paese sia attribuita ad imprese che non appartengono al gruppo.
La disposizione è volta a limitare tali effetti distorsivi collegati all’assoggettamento di una impresa di minoranza alle regole GloBE e trova applicazione anche in relazione alle stabili organizzazioni se una casa madre e la stabile organizzazione rientrano nella definizione di impresa partecipata in via minoritaria.
Il comma 5 chiarisce che le imposte rilevanti rettificate ed il reddito o perdita rilevante delle imprese di cui al comma 4 sono irrilevanti ai fini del calcolo dell’aliquota di imposizione effettiva e del reddito netto rilevante del gruppo in relazione ad un Paese. Le disposizioni del comma 4 e quelle riportate nel precedente periodo non si applicano alle imprese partecipate in misura minoritaria che sono entità di investimento.
Il comma 6 prevede che le disposizioni di cui ai commi 4 e 5 non hanno effetto ai fini dell’esclusione de minimis di cui al precedente articolo 37, con la conseguenza che sia le imprese partecipanti a un “sottogruppo di minoranza” e sia le altre imprese concorrono congiuntamente alla verifica del superamento delle soglie ivi riportate.
Il comma 7 fa salva l’applicazione dell’articolo 26, commi 3 e 4, del decreto quando un’impresa partecipante di minoranza è un’entità trasparente e dell’articolo 15 con riferimento alle partecipazioni detenute da una partecipante parzialmente posseduta in un’impresa partecipata in misura minoritaria.
Come chiarito dalla Relazione illustrativa, ciò implica che la partecipante parzialmente posseduta non è esentata dall’applicare l’imposta minima integrativa con riferimento alle imprese partecipanti ad un “sottogruppo di minoranza”. La partecipante di minoranza non è considerata un’impresa controllante capogruppo con riferimento al sottogruppo di minoranza, con la conseguenza che la controllante capogruppo non è esentata dall’applicare la imposta minima integrativa con riferimento alle imprese partecipanti ad un “sottogruppo di minoranza”.
La disposizione in questione recepisce i contenuti dell’articolo 31 della direttiva (UE) 2022/2523.
Articolo 39
(Regimi semplificati)
L’articolo 39 specifica le condizioni al ricorrere delle quali l’imposizione integrativa dovuta da un gruppo in un esercizio si presume pari a zero in conformità a un Accordo Internazionale sui regimi semplificati.
La norma, inoltre, demanda ad apposito decreto del Ministro dell’economia e delle finanze l’emanazione di disposizioni attuative dei citati regimi semplificati, in conformità alle regole OCSE e alla Direttiva 2022/2523 del 14 dicembre 2022.
La Relazione illustrativa specifica che la disposizione ha lo scopo di alleviare i gruppi dagli oneri derivanti dall’applicazione delle disposizioni del presente Titolo in situazioni per le quali non vi è il rischio di una tassazione effettiva inferiore al 15 per cento. Le misure di semplificazione possono riguardare, a titolo esemplificativo, il calcolo dell’aliquota di imposizione effettiva, del reddito o della perdita rilevante ai fini dell’imposta minima integrativa o dell’imposta minima suppletiva e dell’imposta minima nazionale nonché l’adempimento degli obblighi dichiarativi e di comunicazione.
Il comma 1 definisce gli effetti dei regimi semplificati, la cui applicazione fa sì che l’imposizione integrativa dovuta da un gruppo in un esercizio in relazione a un determinato Paese si presuma pari a zero se il livello di imposizione effettiva delle sue imprese ivi localizzate rispetta le condizioni previste da un Accordo Internazionale sui regimi semplificati.
Il comma 2 dispone che, ai fini del precedente comma, un Accordo Internazionale sui regimi semplificati indica un insieme di regole e di condizioni concordate a livello internazionale da tutti gli Stati Membri dell’Unione europea che consentono ai gruppi di beneficiare di uno o più dei regimi di semplificazione ivi previsti e disciplinati.
Queste condizioni sono soddisfatte dalle regole pubblicate, a tal fine, dal Quadro Inclusivo sul BEPS dell’OCSE/G20 cui partecipano gli Stati Membri dell’Unione europea. A questo riguardo, si ricorda che l’articolo 8.2.1 delle Model Rules prevede che qualsiasi regime c.d. “Safe Harbour” sarà sviluppato nell’ambito GloBE Implementation Framework e specificherà le condizioni che un gruppo multinazionale (e nazionale) dovrà soddisfare per poter avvalersi dei criteri di semplificazione (o “porti sicuri”). Queste condizioni saranno concepite per limitare sia i costi di compliance per i gruppi multinazionali sia gli oneri amministrativi per le autorità fiscali e si baseranno su soglie fissate in misura tale da circoscrivere l’utilizzo dei criteri semplificati solo alle imprese di gruppi multinazionali (e nazionali) con ETR giurisdizionali superiori all’aliquota minima.
Il comma 3 statuisce che le disposizioni attuative dei regimi semplificati di cui al comma 1 sono adottate, in conformità alle regole OCSE e alla direttiva, con apposito decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente Titolo. Il decreto del Ministro dell’economia e delle finanze adotta anche disposizioni di attuazione di analoghi regimi semplificati destinati ai gruppi nazionali di imprese soggetti all’imposta minima nazionale ed è aggiornato per tenere conto di eventuali modifiche o integrazioni dell’Accordo Internazionale sui regimi semplificati.
La disposizione in questione recepisce i contenuti dell’articolo 32 della direttiva (UE) 2022/2523 che disciplina il cosidetto Safe harbour (Porto sicuro). Tale norma consente in deroga agli articoli da 26 a 31 (corrispondenti agli articoli da 33 a 38 dello schema di decreto legislativo), agli Stati membri di concedere all’entità costitutiva che presenta la dichiarazione, che l’imposta integrativa dovuta da un gruppo in una giurisdizione sia considerata pari a zero per un esercizio fiscale se il livello effettivo di imposizione delle entità costitutive localizzate in detta giurisdizione soddisfa le condizioni di un accordo internazionale qualificante sui porti sicuri. Per «accordo internazionale qualificante sui porti sicuri» si intende un insieme di norme e condizioni a cui tutti gli Stati membri hanno acconsentito e che concede ai gruppi che rientrano nell’ambito di applicazione della direttiva la possibilità di scegliere di beneficiare di uno o più porti sicuri per una giurisdizione.
Il Capo VI reca norme speciali per la riorganizzazione di imprese e per le società holding.
In particolare vengono definite le modalità di calcolo della soglia rilevante di ricavi in caso di fusioni e scissioni di gruppi multinazionali e nazionali (articolo 40) stabilendo i principi applicabili, nel caso in cui due o più gruppi si fondano per costituire un unico gruppo, per il calcolo della soglia dei ricavi consolidati ai fini dell’applicazione della tassazione di cui al presente decreto legislativo. Sono altresì stabiliti i principi per valutare alcune fattispecie particolari.
L’articolo 41 disciplina le ipotesi di modifiche al perimetro di consolidamento indicando le condizioni alle quali un’impresa che diventa o cessa di essere parte di un gruppo o diventa l’entità controllante capogruppo di un nuovo gruppo durante un dato esercizio fiscale (c.d. esercizio di acquisizione), possa essere considerata parte del gruppo multinazionale di imprese o del gruppo nazionale su larga scala, individuando in tali casi le modalità di calcolo dell’aliquota d’imposta integrativa e suppletiva. Vengono altresì definite la disciplina di trasferimento di attività e passività, con particolare riguardo alla valutazione delle medesime ai fini della determinazione del reddito e della perdita rilevante per l’impresa acquirente (articolo 42), il calcolo dell’imposta minima integrativa per le entità a controllo congiunto (articolo 43), nonché alcune disposizioni specifiche applicabili ai gruppi a controllante multipla ai fini del calcolo e dell’ applicazione dell’imposta minima integrativa e suppletiva, anche con riferimento al bilancio consolidato di tali soggetti (articolo 44).
Articolo 40
(Calcolo della soglia rilevante di ricavi in caso di fusioni
e scissioni di gruppi multinazionali e nazionali)
L’articolo 40 definisce le modalità di calcolo della soglia rilevante di ricavi in caso di fusioni e scissioni di gruppi multinazionali e nazionali, distinguendo diverse ipotesi: fusione di due o più gruppi in un unico gruppo; fusione di un’entità non appartenente a un gruppo con un’altra entità (appartenente o meno a un gruppo); scissione di un gruppo multinazionale o nazionale in uno o più gruppi beneficiari neocostituiti.
In particolare, il comma 1 indica primariamente le definizioni rilevanti ai fini della presente disposizione.
I commi da 2 a 5 forniscono regole per il calcolo della soglia dei ricavi, di cui all’articolo 2, al ricorrere di una fusione in uno degli ultimi quattro esercizi, consecutivi e immediatamente precedenti rispetto a quello considerato.
Il comma 2 prevede che se due o più gruppi si sono fusi costituendo un unico gruppo in uno degli ultimi quattro esercizi consecutivi immediatamente precedenti a quello considerato, la soglia di ricavi di cui all’articolo 9 negli esercizi anteriori alla fusione e rientranti nei quattro esercizi anteriori a quello considerato, è verificata sommando i ricavi registrati nel bilancio consolidato di ciascuno di essi.
Secondo l’articolo 1, lettera a) per fusione si intende fusione, un'operazione per effetto della quale tutte o almeno il 90 per cento delle entità appartenenti a due o più differenti gruppi multinazionali o nazionali sono poste sotto un unico controllo con l'effetto di formare un unico gruppo, ovvero una entità che non era parte di alcun gruppo diventa parte di un gruppo multinazionale o nazionale, ovvero si verifica l'unificazione di due o più entità in un solo gruppo multinazionale o nazionale.
La soglia di ricavi è indicata all’articolo 10, comma 1, dello schema di decreto legislativo che precisa che le disposizioni del presente Titolo si applichino alle imprese localizzate in Italia che fanno parte di un gruppo multinazionale o nazionale con ricavi annui pari o superiori a 750 milioni di euro, ivi compresi i ricavi delle entità escluse di cui all’articolo 11, risultanti nel bilancio consolidato della controllante capogruppo in almeno due dei quattro esercizi immediatamente precedenti a quello considerato”.
Il comma 3 stabilisce che se in un esercizio un’entità che non appartiene ad un gruppo si fonde con un’altra entità appartenente o meno a un gruppo e una di esse o entrambe non erano incluse in un bilancio consolidato relativo a ciascuno dei quattro esercizi ad esso anteriori, la soglia dei ricavi di cui all’articolo 9, relativa a ciascun esercizio, è verificata sommando i ricavi da esse contabilizzati nei propri bilanci, singoli o consolidati, relativo a ciascuno dei quattro esercizi anteriori a quello considerato.
Si valuti l’opportunità di rettificare, ai commi 2 e 3, il riferimento all’articolo 9 sostituendolo con quello all’articolo 10 dello schema di decreto legislativo.
Il comma 4 dispone che nell’ipotesi di cui al comma 2, se non vi è corrispondenza tra il periodo temporale cui fanno riferimento i bilanci consolidati dei due o più gruppi partecipanti alla fusione, i valori dei ricavi di cui all’articolo 10 sono quelli ricompresi nei bilanci consolidati relativi ad esercizi che terminano con ovvero entro l’esercizio cui si riferisce il bilancio consolidato del gruppo risultante dalla fusione.
Il comma 5 prevede che nelle ipotesi di cui al comma 3, se non vi è corrispondenza tra il periodo temporale cui fanno riferimento il bilancio singolo ed il bilancio consolidato delle imprese partecipanti alla fusione, i valori dei ricavi di cui all’articolo 9 sono quelli ricompresi nel bilancio singolo e nel bilancio consolidato relativi ad esercizi che terminano con ovvero entro l'esercizio cui si riferisce il bilancio consolidato successivo all’operazione di fusione o acquisizione.
Si valuti l’opportunità di rettificare, ai commi 2, 3 e 5, il riferimento all’articolo 9 sostituendolo con quello all’articolo 10 dello schema di decreto legislativo.
Il comma 6 dispone che se in un esercizio un gruppo multinazionale o nazionale, rientrante nell’ambito di applicazione del presente Titolo, si scinde in uno o più gruppi beneficiari neocostituiti:
a) con riferimento all'esercizio nel corso del quale l’operazione di scissione è avvenuta, il requisito dimensionale richiesto all’articolo 3 relativo ad un gruppo beneficiario e ad un gruppo scisso si considera verificato se è raggiunta la soglia dei ricavi indicati nel suddetto articolo 10, riproporzionata avendo a riferimento la sua durata;
Si valuti l’opportunità di correggere, al comma 6, lettera a) il riferimento all’articolo 3 sostituendolo con quello all’articolo 10.
b) con riferimento ai tre esercizi successivi a quello di cui alla lettera a), il requisito dimensionale richiesto all’articolo 10, relativo ad un gruppo beneficiario o ad un gruppo scisso, si considera verificato nel secondo esercizio, compreso quello di cui alla lettera a), in cui è raggiunta la soglia dei ricavi indicati nel suddetto articolo 10.
Secondo quanto indicato al comma 1, per scissione si intende un’operazione per effetto della quale le entità di un gruppo multinazionale o nazionale si separano in due o più gruppi distinti che non sono più consolidati dalla medesima controllante capogruppo; per gruppo beneficiario, un gruppo che origina dalla scissione di un gruppo multinazionale o nazionale e per gruppo scisso, il gruppo che residua a seguito della scissione di un gruppo multinazionale o nazionale e da cui origina uno o più gruppi beneficiari.
La disposizione in questione recepisce i contenuti dell’articolo 33 della direttiva (UE) 2022/2523.
Articolo 41
(Modifiche al perimetro di consolidamento)
L’articolo 41 detta previsioni in materia di modifiche al perimetro di consolidamento, specificando a quali condizioni un’«entità target» che entri nel gruppo multinazionale o nazionale ovvero ne esca sia considerata parte del gruppo stesso.
In particolare, il comma 1 stabilisce che se un’entità («entità target») diventa o cessa di essere un’impresa di un gruppo multinazionale o nazionale in conseguenza di un trasferimento diretto o indiretto della partecipazione nella stessa o se l'entità target diventa una controllante capogruppo di un nuovo gruppo durante un dato esercizio («esercizio di acquisizione»), essa è considerata parte di un gruppo multinazionale o nazionale, a condizione che una parte delle sue attività, passività, reddito, spese e flussi di cassa sia inclusa - voce per voce - nel bilancio consolidato della controllante capogruppo nell’esercizio di acquisizione. L’aliquota d’imposizione effettiva e l'imposizione integrativa dell'entità target sono calcolate a sensi dei commi da 2 a 8.
I commi successivi contengono, a tale scopo, una serie di regole più specifiche.
Il comma 2 dispone che nell’esercizio di acquisizione il gruppo multinazionale o nazionale tiene conto solo del valore dell’utile o della perdita contabile netta e delle imposte rilevanti rettificate dell’entità target che sono inclusi nel bilancio consolidato dell'entità controllante capogruppo.
Il comma 3 prevede che nell’esercizio di acquisizione, e in ciascun esercizio successivo, il reddito o la perdita rilevante e le imposte rilevanti rettificate dell’entità target sono basati sul proprio valore contabile delle attività e passività precedente al trasferimento.
Il comma 4 stabilisce che nell'esercizio di acquisizione il calcolo delle spese salariali ammissibili dell’entità target di cui all'articolo 35, comma 3, tiene conto solo dei costi che figurano nel bilancio consolidato della controllante capogruppo.
Si ricorda che la riduzione basata sulle spese salariali di un’impresa localizzata in un Paese, ai sensi dell’articolo 35 comma 3, è pari al 5 per cento delle sue spese salariali ammissibili per i dipendenti ammissibili che esercitano attività per il gruppo multinazionale o nazionale in detto Paese, fatta eccezione per le spese salariali ammissibili capitalizzate e incluse nel valore contabile delle immobilizzazioni materiali ammissibili o imputabili a un reddito escluso a norma dell'articolo 24 (ossia l’utile derivante dall’attività di trasporto marittimo internazionale e da attività accessorie allo stesso).
Il comma 5 statuisce che il calcolo del valore contabile delle immobilizzazioni materiali ammissibili dell’entità target di cui all'articolo 35, comma 4, è rettificato in proporzione al periodo di tempo durante il quale l'entità target fa parte del gruppo multinazionale o nazionale durante l'esercizio di acquisizione.
Si ricorda che la riduzione basata sulle immobilizzazioni materiali di un’impresa localizzata in un Paese, ai sensi dell’articolo 35 comma 4, è pari al 5 per cento del valore contabile delle immobilizzazioni materiali ammissibili localizzate nel Paese, fatta eccezione per il valore contabile degli immobili, compresi terreni ed edifici, posseduti per la vendita, la locazione o l'investimento e per il valore contabile delle immobilizzazioni materiali utilizzate per generare un reddito escluso a norma dell'articolo 24.
Il comma 6 dispone che, fatta eccezione per l’imposta anticipata relativa a una perdita rilevante di cui all’articolo 30, le imposte anticipate e differite di un’entità target che sono trasferite fra gruppi multinazionali o nazionali sono prese in considerazione dal gruppo acquirente nello stesso modo e nella stessa misura in cui sarebbero state prese se detto gruppo avesse controllato l’entità target al momento in cui sono sorte tali imposte anticipate e differite.
Il comma 7 contiene una disposizione di coordinamento con le modifiche ai valori delle imposte differite, di cui all’articolo 29. In particolare, la norma prevede che le imposte differite dell’entità target precedentemente incluse nell’importo totale netto delle variazioni delle imposte anticipate e differite sono considerate riversate e pagate, ai fini dell'articolo 29, comma 7, dal gruppo multinazionale o nazionale cedente e considerate iscritte dal gruppo multinazionale o nazionale acquirente nell’esercizio di acquisizione. In deroga all’articolo 29, comma 7, le imposte rilevanti sono ridotte, dal gruppo multinazionale o nazionale acquirente, nell'esercizio in cui si verifica il recupero delle imposte differite.
L’articolo 29, comma 7, dispone che il recupero delle imposte differite relativo ad un esercizio comporta una riduzione di pari importo delle imposte rilevanti relative al quinto esercizio ad esso anteriore con la necessità di dover ricalcolare per tale esercizio l’aliquota di imposizione effettiva e l’importo dell’imposizione integrativa ai sensi dell’articolo 36, comma 1, che, a sua volta, dispone che, nell’ipotesi di rettifica o ricalcolo delle imposte rilevanti o del reddito o della perdita rilevante prevede che l’aliquota di imposizione effettiva e l’imposizione integrativa siano ricalcolate conformemente a quanto previsto agli articoli 33, 34 e 35 (si vedano le relative schede). Si prevede, inoltre, che l’eventuale importo di imposizione integrativa addizionale che risulta dal ricalcolo in precedenza menzionato è considerato come imposizione integrativa addizionale ai sensi del precedente articolo 34, comma 4, per l’esercizio in cui è effettuato il ricalcolo.
Ai sensi del comma 8, se l'entità target è una controllante e fa parte di due o più gruppi multinazionali o nazionali durante l'esercizio di acquisizione, questa calcola separatamente l’importo dell’imposizione integrativa da essa dovuta in relazione alle imprese a bassa imposizione per ciascun gruppo multinazionale o nazionale.
Il comma 9 dispone che, in deroga ai commi da 1 a 8, l'acquisizione o la cessione di una partecipazione di controllo in un’entità target è considerata un trasferimento di attività e passività qualora il Paese ove la stessa è localizzata o, nel caso di un’entità fiscalmente trasparente, il Paese dove sono localizzate le attività, consideri l'acquisizione o la cessione di detta partecipazione di controllo allo stesso modo o in maniera simile a un’acquisizione o a una cessione di attività e passività e applichi al venditore un’imposta rilevante basata sulla differenza fra il valore fiscale e il corrispettivo pattuito in cambio della partecipazione di controllo o il fair value delle attività e passività.
La disposizione in questione recepisce i contenuti dell’articolo 34 della direttiva (UE) 2022/2523.
Articolo 42
(Trasferimento di attività e passività)
L’articolo 42 contiene previsioni in materia di trasferimento di attività e passività, anche laddove questo intervenga nell’ambito di una riorganizzazione.
In particolare, il comma 1 indica primariamente le definizioni rilevanti ai fini della presente disposizione. Si tratta in particolare di quelle di riorganizzazione e di utile o perdita non qualificante.
Il comma 2 introduce una regola generale che si applica qualora non ricorra una riorganizzazione prevedendo:
a) da un lato, che l’impresa trasferente includa, nel proprio reddito o perdita rilevante, l'utile o perdita derivante dal trasferimento;
b) dall’altro, che l’impresa acquirente determini il proprio reddito o perdita rilevante avendo a riferimento il valore contabile delle attività e passività ricevute, determinato in base ai principi contabili adottati nel bilancio consolidato della propria controllante capogruppo.
Ai sensi del comma 1 si intende per riorganizzazione una operazione di trasformazione o di trasferimento di attività e passività a condizione che: 1) il corrispettivo dell’operazione sia costituito, in tutto o in via maggioritaria, da una partecipazione emessa dall’impresa acquirente o da una entità ad essa connessa, o, nel caso di una liquidazione, sia annullata la partecipazione nell’entità liquidata. In assenza di corrispettivo, rientrano tra le operazioni di riorganizzazione i trasferimenti di attività e passività a fronte dei quali non vi è una emissione di partecipazioni in quanto tale emissione sarebbe priva di significato economico; 2) l'utile o perdita dell’operazione non concorre, in tutto o in parte, a formare il reddito imponibile della entità trasferente ai fini delle imposte del Paese in cui questa è localizzata; 3) il Paese di localizzazione della entità acquirente impone a quest'ultima di subentrare nella posizione della entità trasferente in ordine al valore degli elementi della attività e passività trasferite ai fini delle imposte rilevanti, tenendo conto dell’eventuale utile o perdita non qualificante.
Il comma 3 prevede che, in deroga a quanto previsto al comma 2, se il trasferimento di attività e passività avviene nell’ambito di una riorganizzazione, l’utile o la perdita contabile da trasferimento realizzati dall’impresa trasferente non concorrono a formare il suo reddito o perdita rilevante e l’impresa acquirente determina il proprio reddito o perdita rilevante avendo a riferimento il valore contabile che le stesse attività e passività avevano in capo all’impresa trasferente al momento del trasferimento.
Il comma 4, derogando a sua volta ai due commi precedenti, statuisce che qualora il trasferimento di attività e passività avvenga nell’ambito di una riorganizzazione che determina per l'entità trasferente l’emersione di un utile o perdita non qualificante:
a) l’impresa trasferente include nel calcolo del proprio reddito o perdita rilevante un importo pari all’utile o perdita da trasferimento nei limiti dell’utile o perdita non qualificante;
Ai sensi del comma 1 per utile o perdita non qualificante si intende l’importo minore tra l'utile o la perdita dell’impresa cedente sorti in relazione a una riorganizzazione e assoggettati a imposizione nel luogo di localizzazione dell'impresa cedente e l'utile o la perdita contabile che sorge in relazione alla riorganizzazione.
b) l’impresa acquirente determina il proprio reddito o perdita rilevante dopo l’acquisizione avendo a riferimento il valore contabile che le stesse attività e passività avevano in capo all’entità trasferente al momento del trasferimento, rettificato coerentemente con le norme fiscali locali dell’impresa acquirente per tener conto dell’utile o perdita non qualificante.
Ai sensi del comma 5, su opzione dell’impresa dichiarante, se un’impresa è tenuta o autorizzata ad allineare ai fini fiscali, nel Paese in cui è localizzata, il valore delle sue attività e passività al corrispondente fair value, essa può:
a) includere nel calcolo del reddito o perdita rilevante un importo dell’utile o della perdita per ciascuna delle sue attività e passività:
1) pari alla differenza, rispettivamente positiva o negativa, tra il fair value dell'attività o passività immediatamente dopo la data dell'evento che ha innescato l'aggiustamento fiscale «evento attivatore» e il valore contabile delle attività o passività immediatamente prima dell’evento attivatore; e
2) diminuita (o aumentata) dell'eventuale utile o perdita non qualificante sorta in relazione all'evento attivatore;
b) avvalersi del fair value delle attività o passività immediatamente dopo l'evento attivatore per determinare il reddito o la perdita rilevante negli esercizi che terminano dopo l'evento attivatore;
c) può, a sua discrezione, far concorrere integralmente il valore complessivo netto calcolato ai sensi della lettera a) ai fini del calcolo del reddito o perdita rilevante dell'esercizio nel corso del quale si è verificato l'evento attivatore ovvero far concorrere tale valore in quote costanti nell'esercizio stesso e nei successivi ma non oltre il quarto.
Il comma 6, con una disposizione di chiusura, prevede che, se in un esercizio compreso nel quinquennio di cui alla lettera c) del comma 5, un’impresa cessa di essere parte del gruppo multinazionale o nazionale, il valore complessivo netto calcolato ai sensi della lettera a) del comma 5 che non ha ancora concorso a determinare il reddito o perdita rilevante nei precedenti esercizi concorre integralmente a formare il reddito rilevante di tale esercizio.
La disposizione in questione recepisce i contenuti dell’articolo 35 della direttiva (UE) 2022/2523.
Articolo 43
(Entità a controllo congiunto)
L’articolo 43 detta previsioni in materia di imposta minima integrativa che una controllante applica alla controllata laddove questa sia un’entità a controllo congiunto (joint venture).
Per “entità a controllo congiunto” si intende un’entità i cui risultati economici, patrimoniali e finanziari sono contabilizzati con il metodo del patrimonio netto nel bilancio consolidato della controllante capogruppo a condizione che quest'ultima detenga in essa, direttamente o indirettamente, una partecipazione pari o superiore al 50 per cento.
Non rientrano nella definizione di entità a controllo congiunto: 1) la controllante capogruppo di un gruppo multinazionale o nazionale che applica la Direttiva o le regole OCSE; 2) una entità esclusa di cui all’articolo 11 del decreto; 3) una entità la cui partecipazione è detenuta direttamente da una entità esclusa appartenente ad un gruppo multinazionale o nazionale e che: i) opera esclusivamente o quasi esclusivamente per detenere attività o investire fondi a beneficio dei suoi investitori; o ii) esercita attività che sono accessorie a quelle esercitate da una entità esclusa; o iii) il suo reddito è escluso dal calcolo del reddito o perdita rilevante ai sensi dell’articolo 23, comma 2, lettere b) e c); 4) una entità che è detenuta da un gruppo multinazionale o nazionale composto esclusivamente da entità escluse; 5) una entità sussidiaria a controllo congiunto.
Per "entità sussidiaria a controllo congiunto” si intende, invece, un’entità le cui attività, passività, componenti positivi e negativi di reddito e flussi finanziari sono contabilizzati linea per linea nel bilancio consolidato di una entità a controllo congiunto sulla base di principi contabili conformi (ovvero che lo sarebbero in base ai principi contabili conformi, qualora essa fosse stata obbligata a predisporre il bilancio consolidato). La stabile organizzazione di un’entità a controllo congiunto o di un’entità sussidiaria a controllo congiunto è considerata una distinta entità sussidiaria a controllo congiunto. Infine, per "gruppo a controllo congiunto" (si veda la definizione numero 26) dell’allegato A) si intende l’entità a controllo congiunto e le sue entità sussidiarie a controllo congiunto.
In particolare, il comma 1 stabilisce che una controllante che detiene, direttamente o indirettamente, una partecipazione in un’entità a controllo congiunto o in un’entità sussidiaria a controllo congiunto applica, con riferimento a ciascuna di tali entità, l’imposta minima integrativa in misura pari all’importo di imposizione integrativa ad essa attribuita secondo gli articoli da 13 a 17.
Il comma 2 dispone che il calcolo dell’imposizione integrativa, secondo le disposizioni dei Capi da III a VII, relativa ad ogni entità a controllo congiunto è effettuato separatamente e, in caso di gruppo a controllo congiunto, trattando l’entità a controllo congiunto e le sue entità sussidiarie a controllo congiunto come un distinto gruppo multinazionale o nazionale di imprese e l’entità a controllo congiunto come la controllante capogruppo.
Ai sensi del comma 3, l’imposizione integrativa dovuta con riferimento ad una entità a controllo congiunto o ad un gruppo a controllo congiunto è ridotta in misura pari all’importo di imposizione integrativa attribuibile ad ogni controllante ai sensi dei commi 2 e 3 relativa all’entità a controllo congiunto o ad ogni entità appartenente al gruppo a controllo congiunto. L’eventuale imposizione integrativa calcolata con riferimento ad una entità a controllo congiunto o ad un gruppo a controllo congiunto che residua dopo l'applicazione del precedente periodo deve essere aggiunta all’'importo complessivo dell’imposta minima suppletiva ai sensi dell'articolo 21, comma 2.
La disposizione in questione recepisce i contenuti dell’articolo 36 della direttiva (UE) 2022/2523.
Articolo 44
(Gruppi a controllante multipla)
L’articolo 44 detta disposizioni applicabili alle entità e imprese appartenenti a un gruppo multinazionale di imprese o a un gruppo a controllante multipla, specificando che le entità costitutive di ciascun gruppo sono considerate membri di un unico gruppo multinazionale di imprese o gruppo a controllante multipla.
In particolare, il comma 1 indica primariamente le definizioni rilevanti ai fini della presente disposizione. Si tratta in particolare di quelle di gruppo a controllante multipla, struttura vincolata e accordo tra gruppi quotati.
a) gruppo a controllante multipla, che indica due o più gruppi multinazionali o nazionali di imprese le cui controllanti capogruppo sottoscrivono un accordo che è una struttura vincolata o un accordo tra gruppi quotati che include almeno una entità o una stabile organizzazione di tale nuovo gruppo che è localizzata in un Paese differente da quello di localizzazione delle altre entità dello stesso;
b) "struttura vincolata" indica un accordo sottoscritto tra due o più controllanti capogruppo appartenenti a gruppi distinti in forza del quale:
1) una partecipazione non inferiore al 50 per cento nelle controllanti capogruppo è vincolata, attraverso particolari forme di titolarità o di restrizioni alla circolazione ovvero di altri termini e condizioni, in modo tale da non poter essere trasferita o compravenduta se non congiuntamente e, se quotata in un mercato di capitali, la relativa quotazione avviene in forma unitaria;
2) una delle controllanti capogruppo predispone un bilancio consolidato, sottoposto a revisione legale, in cui le attività, le passività, le componenti positive e negative di reddito ed i flussi finanziari di tutte le entità appartenenti ai gruppi interessati sono presentati congiuntamente come un unico gruppo;
c) accordo tra gruppi quotati, che indica un accordo sottoscritto tra due o più controllanti capogruppo appartenenti a gruppi distinti in forza del quale:
1) conducono le rispettive attività imprenditoriali in maniera unitaria esclusivamente su base contrattuale e non attraverso la loro soggezione ad un comune controllo;
2) ogni controllante capogruppo eroga dividendi o proventi da liquidazione a favore dei rispettivi proprietari in base ad accordi contrattuali che prevedono delle percentuali di ripartizione fisse;
3) le attività delle singole controllanti capogruppo sono gestite come se fossero articolazioni della medesima realtà economica in virtù di specifici accordi pur rimanendo quest'ultime imprese giuridicamente autonome;
4) le partecipazioni delle singole controllanti capogruppo parte dell'accordo sono quotate, scambiate o trasferite in modo autonomo in differenti mercati di capitali;
5) le controllanti capogruppo predispongono il bilancio consolidato, sottoposto a revisione legale, nel quale sono riportate, come se fossero parte di un unico gruppo, le attività, le passività, le componenti positive e negative di reddito ed i flussi finanziari di tutte le imprese interessate.
Il comma 2 statuisce che le entità e le imprese appartenenti ad ogni gruppo a controllante multipla, di cui alla lettera a) del comma 1, sono trattate come imprese appartenenti ad un gruppo a controllante multipla.
Si segnala che la corrispondente disposizione della direttiva (articolo 37 comma 2) così dispone: “Se le entità e le entità costitutive di due o più gruppi formano parte di un gruppo multinazionale di imprese o di un gruppo nazionale su larga scala a controllante multipla, le entità e le entità costitutive di ciascun gruppo sono considerate membri di un unico gruppo multinazionale di imprese o gruppo nazionale su larga scala a controllante multipla”.
Si valuti l’opportunità, alla luce del testo della direttiva ed ai fini di una più agevole comprensione del testo della norma, di sostituire l’espressione “imprese appartenenti ad un gruppo a controllante multipla” con “imprese appartenenti ad un unico gruppo a controllante multipla”.
Ai sensi del comma 1, si definiscono come gruppo a controllante multipla due o più gruppi multinazionali o nazionali di imprese le cui controllanti capogruppo sottoscrivono un accordo che è una struttura vincolata o un accordo tra gruppi quotati che include almeno una entità o una stabile organizzazione di tale nuovo gruppo che è localizzata in un Paese differente da quello di localizzazione delle altre entità dello stesso.
La corrispondente definizione contenuta all’articolo 37 della Direttiva (UE) 2022/2523 è quella di «gruppo multinazionale di imprese o gruppo nazionale su larga scala a controllante multipla» definisce la fattispecie in cui due o più gruppi in cui le entità controllanti capogruppo concludono un accordo che istituisce una struttura interconnessa o un accordo di doppia quotazione (dual-listed arrangement) che include almeno un'entità o stabile organizzazione del gruppo complessivo localizzata in una giurisdizione diversa rispetto alla localizzazione delle altre entità del gruppo complessivo.
Il comma 3 dispone che una entità, diversa da una entità esclusa, è considerata un’impresa se le sue attività, passività, le componenti positive e negative di reddito ed i flussi finanziari sono consolidati voce per voce nel bilancio consolidato del gruppo a controllante multipla ovvero se, pur non essendo consolidate, la partecipazione di controllo è detenuta da una o più entità appartenente a tale gruppo.
Il comma 4 prevede che il bilancio consolidato del gruppo a controllante multipla è rappresentato dal bilancio consolidato indicato al numero 2) della lettera b) ovvero al numero 5) della lettera c) del comma 1, predisposto in base a principi contabili conformi. I principi contabili utilizzati per la predisposizione del bilancio consolidato di cui al precedente periodo sono considerati i principi contabili adottati dalla controllante capogruppo ai fini dell’applicazione del presente Titolo ai gruppi a controllante multipla.
Il comma 5 stabilisce che le controllanti capogruppo dei gruppi distinti che compongono il gruppo a controllante multipla sono le controllanti capogruppo del gruppo a controllante multipla. Ai fini dell'applicazione del presente Titolo, ogni riferimento ad una controllante capogruppo deve intendersi effettuato, ove necessario, a tutte le controllanti capogruppo del gruppo a controllante multipla.
Ai sensi del comma 6, le controllanti di un gruppo a controllante multipla localizzate nel territorio dello Stato italiano, inclusa ogni controllante capogruppo, applicano l’imposta minima integrativa secondo le disposizioni degli articoli da 13 a 17 in misura pari all’importo dell’imposizione integrativa ad esse attribuita relativa alle imprese a bassa imposizione.
Il comma 7 prevede che le imprese appartenenti ad un gruppo a controllante multipla localizzate nel territorio dello Stato italiano applicano l’imposta minima suppletiva ai sensi degli articoli da 19 a 21 tenendo conto dell’imposizione integrativa di ciascuna impresa a bassa imposizione che fa parte del suddetto gruppo.
Il comma 8 prevede che le controllanti capogruppo di un gruppo a controllante multipla devono presentare la comunicazione rilevante ai sensi dell'articolo 51, comma 2, salvo che sia stata nominata una unica impresa dichiarante designata, ai sensi dell’articolo 51, comma 3, lettera b). La comunicazione deve contenere le informazioni rilevanti riguardanti ciascun gruppo che compone il gruppo a controllante multipla.
La disposizione in questione recepisce i contenuti dell’articolo 37 della direttiva (UE) 2022/2523.
Il Capo VII definisce i regimi di neutralità fiscale e di imposizione applicabile ai casi di tassazione in sede di distribuzione di utili.
In sintesi, vengono indicati i casi in cui il reddito rilevante di un’entità fiscalmente trasparente con qualifica di controllante capogruppo è ridotto, per l’esercizio fiscale, dell’importo del reddito rilevante attribuibile al titolare di una partecipazione nell’entità fiscalmente trasparente (articolo 45). Viene disciplinato il regime speciale per le imprese controllanti capogruppo del dividendo deducibile (articolo 46) in forma sostanzialmente analoga a quello di cui all’articolo 45, ad eccezione del trattamento delle perdite rilevanti, in quanto queste non sono attribuite per trasparenza ai soci ma concorrono alla formazione del reddito e della perdita rilevante dello Stato in cui l’impresa controllante capogruppo è localizzata.
È poi previsto un regime speciale di imposizione sull’utile distribuito con regole speciali opzionali per rendere compatibili le disposizioni relative all’imposizione minima globale con quei regimi impositivi, in vigore in alcuni Paesi, che assoggettano ad imposizione gli utili realizzati da un’impresa solo al momento della loro distribuzione attraverso la creazione di un conto annuale delle distribuzioni presunte (articolo 47).
Viene infine definito il trattamento, ai fini delle imposte previste dalla presente disciplina, delle entità d’investimento fornendo la regola generale secondo cui l’aliquota d’imposizione effettiva e il livello di imposizione integrativa per le entità di investimento sono calcolati separatamente dalle altre imprese del gruppo residenti nel medesimo Paese (articolo 48) ed individuando anche due regimi alternativi opzionali relativi alle medesime entità di investimento, ossia l’opzione per trattare un’entità di investimento come un’entità fiscalmente trasparente (articolo 49) e quello per il regime della distribuzione imponibile (articolo 50).
Articolo 45
(Entità trasparente con qualifica di controllante capogruppo)
L’articolo 45 disciplina, ai fini dell’applicazione dell’imposta, l’ipotesi in cui una società capogruppo controllante sia una entità fiscalmente trasparente definendo le condizioni in forza delle quali il reddito rilevante della società può essere ridotto (in quanto tassato in capo ai soci o al partecipante della stessa) e prevedendo altresì le condizioni in forza delle quali la perdita rilevante per la società controllante capogruppo deve essere ridotta qualora i partecipanti alla stessa possano utilizzare la perdita nel computo del loro reddito imponibile. La disposizione disciplina consequenzialmente la riduzione delle imposte per la controllante qualificata come entità trasparente e definisce in conclusione anche l’ambito di applicazione della norma.
In particolare l’articolo 45 comma 1, prevede che il reddito rilevante di una entità trasparente che assume la qualifica di controllante capogruppo è ridotto, in un esercizio, in misura pari alla quota dello stesso che è attribuibile a ciascuno dei suoi partecipanti a condizione che:
§ con riferimento a tale quota, il titolare della partecipazione sia soggetto ad imposizione in un periodo d’imposta che termina entro i dodici mesi successivi a quello in cui termina l'esercizio in esame,
e
· il titolare della partecipazione sia assoggettato ad imposizione con un’aliquota nominale pari o superiore alla aliquota minima d’imposta;
ovvero
· l'importo complessivo delle imposte rilevanti rettificate della controllante capogruppo e delle imposte dovute, su tale reddito, dal titolare della partecipazione sia pari o superiore all’importo corrispondente al prodotto tra la suddetta quota di reddito e l'aliquota minima d’imposta.
Le entità fiscalmente trasparenti
Secondo quanto prevede la direttiva n. 2022/2523/UE, per entità trasparente si intende un'entità nella misura in cui è fiscalmente trasparente per quanto riguarda i redditi, le spese, i profitti o le perdite nella giurisdizione in cui è stata costituita a meno che non sia residente a fini fiscali e assoggettata a un'imposta rilevante sul reddito o sul profitto in un'altra giurisdizione;
un'entità trasparente è considerata un'entità fiscalmente trasparente per quanto riguarda i redditi, le spese, i profitti o le perdite nella misura in cui è fiscalmente trasparente nella giurisdizione in cui è localizzato il suo proprietario mentre è considerata un'entità ibrida inversa per quanto riguarda i redditi, le spese, i profitti o le perdite nella misura in cui non è fiscalmente trasparente nella giurisdizione in cui è localizzato il suo proprietario;
Inoltre la direttiva prevede che per «entità fiscalmente trasparente» si intende un'entità i cui redditi, le cui spese, i cui profitti o le cui perdite sono considerati dalla legislazione di una giurisdizione come se fossero conseguiti o sostenuti dal proprietario diretto di tale entità in proporzione al suo interesse in tale entità e, qualora sia detenuta indirettamente tramite una catena di entità fiscalmente trasparenti, una partecipazione in un'entità o una stabile organizzazione che è un'entità costitutiva è considerata come se detenuta tramite una struttura fiscalmente trasparente.
Un'entità costitutiva che non è residente ai fini fiscali e non è assoggettata a un'imposta rilevante o a un'imposta integrativa domestica qualificata in base alla sua sede di direzione, alla sua sede di costituzione o a criteri analoghi è considerata come un'entità fiscalmente trasparente e un'entità fiscalmente trasparente per quanto riguarda i redditi, le spese, i profitti o le perdite, nella misura in cui i suoi proprietari sono localizzati in una giurisdizione che considera l'entità come fiscalmente trasparente; non ha una sede di attività nella giurisdizione in cui è stata costituita; e i redditi, le spese, i profitti o le perdite non sono imputabili a una stabile organizzazione.
Per entità controllante capogruppo, secondo la direttiva si intende un'entità che detiene, direttamente o indirettamente, una partecipazione di controllo in qualsiasi altra entità e che non è detenuta, direttamente o indirettamente, da un'altra entità con una partecipazione di controllo in essa; oppure l'entità principale di un gruppo (ossia di un'entità che ha una o più stabili organizzazioni, a condizione che non faccia parte di un altro gruppo).
L’allegato A riprende tale definizione (n. 21).
Per entità ibrida inversa il medesimo n. 21 dell’Allegato A intende un entità trasparente per la quale i componenti positivi e negativi di reddito, gli utili o le perdite non sono considerati trasparenti ai fini fiscali nel Paese in cui è localizzato il soggetto partecipante.
I regimi di trasparenza fiscale hanno normalmente come obiettivo quello di ottenere un unico livello di tassazione in capo ai soci dell’entità trasparente. In assenza di disposizioni specifiche, il livello di imposizione effettiva per la controllante capogruppo, che è anche una entità trasparente, sarebbe nullo o molto basso e, di conseguenza, tale entità sarebbe soggetta ad imposizione integrativa nonostante i suoi redditi siano tassati in capo ai soci. La disposizione in oggetto è diretta ad evitare tale situazione riducendo, al ricorrere di determinate condizioni, il reddito rilevante dell’entità capogruppo soggetta ad un regime di trasparenza fiscale in misura pari alla quota dello stesso che è attribuibile ai titolari delle partecipazioni.
Il comma 2 della disposizione prevede che in aggiunta a quanto previsto al comma 1, il reddito rilevante di una entità fiscalmente trasparente che è la controllante capogruppo sia ridotto in misura pari alla quota dello stesso che è attribuibile al suo partecipante a condizione che quest’ultimo sia:
· una persona fisica che è residente ai fini fiscali nel medesimo Paese di localizzazione della controllante capogruppo e detenga in essa una partecipazione il cui diritto agli utili e ai beni sia pari o inferiore al 5 per cento;
oppure
· una entità statale, una organizzazione internazionale, una organizzazione senza scopo di lucro o un fondo pensione, residente nel Paese di localizzazione della controllante capogruppo e detenga in essa una partecipazione il cui diritto agli utili e ai beni sia pari o inferiore al 5 per cento.
Il comma precisa inoltre che il Paese di residenza coincide con il Paese in cui il soggetto è costituito ed amministrato.
Il comma 3 disciplina la perdita rilevante di un’entità trasparente che è la controllante capogruppo, precisando che questa deve essere ridotta, in un esercizio, in misura pari alla quota della stessa che è attribuibile al suo partecipante se e nella misura in cui quest’ultimo abbia il diritto ad utilizzare la perdita dell’entità trasparente nel calcolo del suo reddito imponibile.
Il comma 4 dispone che le imposte rilevanti di una entità trasparente che è la controllante capogruppo si riducono in misura corrispondente alla riduzione del reddito rilevante determinata ai sensi dei commi 1 e 2.
Tale previsione, secondo quanto riportato nella relazione illustrativa, intende garantire che le imposte rilevanti connesse a determinati redditi rilevanti siano allocate alla stessa impresa al fine di assicurare un corretto calcolo del livello di imposizione effettiva.
Il comma 5 prevede infine che le disposizioni dei precedenti commi si applichino alla stabile organizzazione attraverso la quale una entità trasparente che è la controllante capogruppo esercita in tutto o in parte la propria attività commerciale e alla stabile organizzazione attraverso la quale una entità fiscalmente trasparente esercita in tutto o in parte la propria attività commerciale a condizione che la partecipazione in detta entità sia direttamente detenuta dalla controllante capogruppo ovvero indirettamente detenuta attraverso una struttura fiscalmente trasparente.
Secondo il n. 52) dell’Allegato A si intende per «stabile organizzazione»:
a) una sede di affari, inclusa una fattispecie assimilata, localizzata in un Paese in cui tale sede o fattispecie è considerata una stabile organizzazione in conformità alle previsioni ivi applicabili di una convenzione per evitare le doppie imposizioni, a condizione che tale Paese le attribuisca fiscalmente il reddito conformemente a una disposizione analoga all’articolo 7 del modello di convenzione fiscale dell’OCSE in materia di imposte sul reddito e sul patrimonio; b) nel caso in cui non sia applicabile una convenzione per evitare le doppie imposizioni sul reddito, una sede d’affari, inclusa una fattispecie assimilata, con riferimento alla quale la legislazione interna di un Paese assoggetta ad imposizione il reddito netto ad essa attribuibile con modalità similari a quelle applicabili per l’imposizione dei redditi dei propri residenti fiscali; c) nel caso in cui un Paese non abbia un sistema di imposizione sui redditi, una sede d’affari, inclusa una sede d’affari o fattispecie assimilata, ivi ubicata che sarebbe trattata come stabile organizzazione secondo il Modello OCSE, a condizione che tale Paese avrebbe avuto, ai sensi dell’articolo 7 di tale modello, il diritto di assoggettare ad imposizione detto reddito; o d) una sede d’affari, o una fattispecie assimilata, non ricompresa nelle ipotesi di cui alle lettere da (a) a (c) attraverso la quale è esercitata un'attività imprenditoriale in un Paese diverso da quello di localizzazione della casa madre a condizione che il Paese di localizzazione di quest'ultima esenti il reddito attribuibile a tali attività.
L’articolo in commento recepisce l’articolo 38 della direttiva, senza sostanziali differenze.
Articolo 46
(Controllante capogruppo soggetta al regime
del dividendo deducibile)
L’articolo 46 disciplina, ai fini del computo dell’imposta, il regime fiscale del “dividendo deducibile”, indicando le definizioni pertinenti alla disciplina introdotta, precisandone l’ambito applicativo, le modalità d’imputazione del reddito rilevante e della riduzione di reddito rilevante per la società capogruppo e gli impatti sull’entità dell’imposta da corrispondere ad esito delle operazioni citate.
In particolare il comma 1 indica primariamente le definizioni rilevanti ai fini della presente disposizione. Si tratta in particolare di quelle di:
a) "regime del dividendo deducibile” qualificato come un regime fiscale finalizzato a realizzare un unico livello di imposizione sul reddito in capo ai proprietari di una entità ottenuto attraverso la deduzione degli utili ad essi distribuiti dalla base imponibile dell’entità.
Si ricorda che per “entità”, ai sensi del n. 13) dell’Allegato A dello schema di decreto legislativo, si intende qualsiasi persona giuridica o qualsiasi soggetto, diverso da una persona fisica, che predispone proprie scritture contabili. Questo termine non include lo Stato o una sua suddivisione politica o amministrativa centrale, locale o ente che svolge funzioni statali.
A tale regime è assimilato il regime fiscale che esenta il reddito delle cooperative;
b) “dividendo deducibile” che indica, con riferimento ad un’impresa che è soggetta al regime sopra descritto:
1) una distribuzione di utili a favore di un suo proprietario che è deducibile ai fini della determinazione della base imponibile dell’impresa nel suo Paese di localizzazione;
2) i ristorni o distribuzione di utili a favore di soci delle cooperative;
c) “cooperativa” che indica una entità che acquista o vende beni o servizi per conto dei suoi soci e che nel proprio Paese di localizzazione è soggetta ad un regime fiscale volto a garantire la neutralità fiscale dei beni o servizi da essa acquistati o venduti per conto dei suoi soci;
d) “cooperativa di consumo” indica una cooperativa che acquista beni e servizi sul mercato e li rivende ai propri soci.
Il comma 2 prevede che il reddito rilevante della controllante capogruppo che è soggetta ad un regime del dividendo deducibile è ridotto, con riferimento all’esercizio di riferimento, fino alla sua concorrenza, in misura corrispondente ai dividendi deducibili da essa distribuiti nei dodici mesi successivi al termine dell'esercizio di riferimento a condizione che:
· i dividendi siano assoggettati ad imposizione in capo al loro percettore in un periodo d’imposta che termina entro i dodici mesi successivi all’esercizio di riferimento
e:
· l’aliquota di imposizione sia pari o superiore all’aliquota minima d’imposta;
ovvero:
· l'importo complessivo delle imposte rilevanti rettificate della controllante capogruppo e delle imposte dovute dai percettori dei dividendi deducibili sia pari o superiore al prodotto tra il reddito rilevante della controllante capogruppo al lordo del dividendo deducibile distribuito e l'aliquota minima d’imposta;
ovvero ancora:
· il percettore del dividendo sia una persona fisica ed il dividendo percepito rappresenti una distribuzione di utili o un ristorno a favore dei propri soci effettuata da una cooperativa di consumo.
Tale normativa fiscale mira ad ottenere un unico livello di tassazione in capo ai soci di una entità, prevedendo il “dividendo deducibile” ossia la deduzione dalla base imponibile delle distribuzioni effettuate ai soci.
Il comma 6 precisa che, a tali fini, una distribuzione di utili o i ristorni a favore dei propri soci effettuati da una cooperativa di consumo deve considerarsi soggetta ad imposta in capo ad essi se e nella misura in cui tale distribuzione o ristorno riduce il valore degli oneri deducibili ai fini della determinazione del loro reddito imponibile.
La relazione illustrativa chiarisce che poiché i ristorni e le distribuzioni di una cooperativa di consumo assumono, nella maggior parte dei casi, la forma di uno sconto sul bene o servizio acquistato, il comma in esame, ai fini dell’applicazione del comma 2, una presunzione che consente di considerare tali distribuzioni assoggettate ad imposizione nella misura in cui abbiano comportato la riduzione di un costo deducibile in capo al percettore diverso da una persona fisica.
Il comma 3 disciplina l’imputazione della riduzione del reddito rilevante prevedendo che essa si applica ai dividendi distribuiti entro i dodici mesi successivi al termine dell’esercizio di riferimento anche quando il percettore è:
· una persona fisica fiscalmente residente nel Paese di localizzazione della controllante capogruppo e detiene in essa una partecipazione il cui diritto agli utili e ai beni sia pari o inferiore al 5 per cento;
ovvero:
· residente nel Paese di localizzazione della controllante capogruppo ed è una entità statale, una organizzazione internazionale, una organizzazione senza scopo di lucro o un fondo pensione diverso da una entità di servizi pensionistici. Si precisa che, esclusivamente ai fini di quanto appena detto, il Paese di residenza coincide con il Paese in cui il soggetto è costituito ed amministrato.
Rispetto al regime di cui all’articolo 45 la disposizione esclude le entità di servizi pensionistici e non prevede una soglia massima di percentuale di partecipazione che i soggetti elencati possono detenere in una controllante capogruppo soggetta al regime del dividendo deducibile.
Il comma 4 dispone che la controllante capogruppo riduce le imposte rilevanti, diverse dalle imposte rilevanti la cui base imponibile è stata ridotta per effetto dei dividendi distribuiti, in misura proporzionale al rapporto tra dividendo deducibile distribuito e l’utile dell’esercizio e riduce il reddito rilevante del medesimo importo.
Il comma 5 dispone che se la controllante capogruppo detiene una partecipazione in un’impresa soggetta al regime del dividendo deducibile, direttamente o attraverso una catena di altre imprese soggette al medesimo regime, le disposizioni di cui ai commi 2, 3 e 4 si applicano ad ogni impresa localizzata nel Paese di localizzazione della controllante capogruppo soggetta al regime del dividendo deducibile se e nella misura in cui il reddito rilevante di quest'ultima sia distribuito a favore di percettori che soddisfano i requisiti dei commi 2 e 3.
L’articolo in commento recepisce l’articolo 39 della direttiva, senza sostanziali differenze.
Articolo 47
(Regime di imposizione sull'utile distribuito)
L’articolo 47 disciplina il regime di imposizione sull’utile distribuito, ossia un regime opzionale che consente di includere l’importo dell’imposta sulle distribuzioni presunte nelle imposte rilevanti rettificate dell’impresa per un esercizio. La disposizione indica le modalità di calcolo di tale imposta.
La relazione illustrativa chiarisce che tale disposizione “contiene delle regole speciali, applicabili a seguito di un’opzione esercitata dall’impresa dichiarante, per rendere compatibili le disposizioni del presente Titolo con quei regimi impositivi, in vigore in alcune giurisdizioni, che assoggettano ad imposizione gli utili realizzati da un’impresa solo al momento della loro distribuzione”.
In assenza di tali disposizioni, le imprese che in un dato esercizio non distribuiscono utili avrebbero una aliquota di imposizione effettiva nulla o molto bassa. Inoltre, il differimento dell’assoggettamento ad imposizione negli esercizi in cui tali utili sono distribuiti fa venire meno la relazione temporale tra gli utili maturati in un anno e le relative imposte rilevanti, che rappresenta un principio fondamentale per la verifica del livello di imposizione effettiva in un dato esercizio.
In particolare il comma 1 dell’articolo contiene, alle lettere a) e b), le definizioni di imposta sulle distribuzioni presunte, conto annuale dell’imposta sulle distribuzioni presunte e conto dell’imposta delle perdite riportabili, dei quali sono dettagliate le caratteristiche.
Si ricorda inoltre, che ai sensi del numero 50) dell’Allegato A per «regime di imposizione sull’utile distribuito» s’intende un regime di imposizione sul reddito delle società che: a) applica l'imposta sul reddito sugli utili solo quando tali utili sono distribuiti o si ritiene siano distribuiti agli azionisti o quando la società sostiene determinate spese estranee all’esercizio della sua attività d'impresa; b) applica un’imposta ad un'aliquota pari o superiore all'aliquota minima d'imposta; e c) era in vigore il 1° luglio 2021 o prima di tale data;
Il comma 2 prevede che l’impresa dichiarante può scegliere, per sé stessa o altra impresa soggetta al regime di imposizione dell’utile distribuito, di includere l’importo dell’imposta sulle distribuzioni presunte, determinato secondo quanto stabilito al comma 1, nelle imposte rilevanti rettificate dell’impresa per un esercizio.
Tale opzione ha validità per un esercizio e si applica a tutte le imprese, soggette ad analogo regime, localizzate nel medesimo Paese. Come specificamente previsto dall’articolo 52, comma 2, l’opzione si rinnova automaticamente salvo che l’impresa dichiarante ne revochi l'efficacia entro il termine dell'esercizio.
Il comma 1 del presente articolo precisa che l'ammontare della "imposta sulle distribuzioni presunte" indica il minore tra: l'importo necessario per aumentare l'aliquota d’imposizione effettiva, calcolata ai sensi dell'articolo 34, comma 2 (si veda la scheda del citato articolo), fino all'aliquota minima d’imposta in relazione ad un Paese in un esercizio e l'importo dell'imposta che sarebbe stata dovuta se le imprese localizzate nel Paese avessero distribuito, nel corso del suddetto esercizio, il loro intero utile assoggettato al regime opzionale di cui al presente articolo.
Una volta esercitata tale opzione deve essere acceso dal soggetto optante il “conto annuale dell'imposta sulle distribuzioni presunte”.
Secondo la definizione di cui al comma 1, il "conto annuale dell'imposta sulle distribuzioni presunte" indica un conto annuale acceso con riferimento a ciascun esercizio di validità dell'opzione di cui al comma 2 e finalizzato alla misurazione ed al monitoraggio dell'imposta sulle distribuzioni presunte il cui saldo iniziale, pari a zero, è aumentato dell’imposta sulle distribuzioni presunte. Con applicazione a partire dal meno recente dei conti annuali dell'imposta sulle distribuzioni presunte ed al termine di ognuno degli esercizi successivi al primo esercizio di istituzione, il valore del saldo iniziale rispetto a quell'esercizio precedente è ridotto fino alla sua concorrenza: in via prioritaria, in misura pari alle imposte pagate nell'esercizio dalle imprese in relazione a distribuzioni effettive o presunte (numero 1); successivamente, in misura pari all'importo della perdita netta rilevante moltiplicato per l'aliquota minima d’imposta (numero 2) e infine in misura pari all'importo del conto dell’imposta delle perdite riportabili relativo all’esercizio (numero 3).
Il comma 3 prevede che, se per ogni esercizio di validità dell’opzione di cui al comma 2, l’importo di cui al numero 2) della lettera b) del comma 1 (ossia l’importo della perdita netta rilevante moltiplicato per l’aliquota minima d’imposta) è superiore al saldo del conto annuale dell'imposta sulle distribuzioni presunte dopo l'applicazione delle disposizioni di cui alla lettera a) del medesimo comma (ossia una volta applicati i criteri di calcolo dell’ammontare dell’imposta sulle distribuzioni presunte), deve essere istituito il conto dell'imposta delle perdite riportabili il cui valore è pari a tale eccedenza.
Il conto dell’imposta delle perdite riportabili riduce il valore del conto annuale dell'imposta sulle distribuzioni presunte ai sensi del numero 3) della lettera b), del comma 1 e, a sua volta, si riduce in misura pari a tale utilizzo.
La direttiva non prevede la redazione di un secondo conto ma si limita a prevedere che i valori delle perdite riportabili siano previsti sull’unico conto di registrazione. La sostanza della disciplina è comunque analoga.
Il comma 4 precisa che il valore positivo del saldo del conto annuale dell'imposta sulle distribuzioni presunte, misurato all'ultimo giorno del quarto esercizio successivo a quello con riferimento al quale esso è stato istituito, riduce il valore delle imposte rilevanti rettificate relative al quarto esercizio anteriore. In tal caso, il valore dell'aliquota d’imposizione effettiva e l’importo di imposizione integrativa sono ricalcolati ai sensi dell'articolo 36, comma 1 (alla scheda del quale si rinvia per approfondimenti).
Come sottolineato dalla relazione illustrativa, tale disposizione è tesa a salvaguardare l’integrità delle disposizioni del presente decreto, riconoscendo delle imposte virtuali ai fini del calcolo del livello di imposizione effettiva a condizione che le distribuzioni siano effettuate entro un periodo di quattro anni. Laddove questo non si verifichi, deve essere ricalcolata l’aliquota di imposizione effettiva e l’importo dell’imposizione integrativa addizionale ai sensi dell’articolo 36, comma 1, del decreto.
Il comma 5 chiarisce che le imposte pagate nel corso di un esercizio con riferimento alle distribuzioni effettive o presunte non concorrono a formare il valore delle imposte rilevanti rettificate per quell’esercizio nella misura in cui riducono il conto annuale dell'imposta sulle distribuzioni presunte ai sensi del numero 1) della lettera b) del comma 1 (vedi supra).
Se un’impresa con riferimento alla quale si applica l’opzione di cui al comma 2 cessa di appartenere al gruppo multinazionale o nazionale o le sue attività sono trasferite ad un soggetto non appartenente al medesimo gruppo e non localizzato nel medesimo Paese, i saldi dei conti annuali dell'imposta sulle distribuzioni presunte accesi nei precedenti esercizi e misurati al termine di ciascuno di essi riducono, ai sensi dell'articolo 36, comma 1, il valore, per i corrispondenti esercizi, delle imposte rilevanti rettificate e l'eventuale importo dell’imposizione integrativa addizionale dovuto in conseguenza a tale ricalcolo deve essere allocato ai sensi del comma 7 al fine di determinare l'imposizione integrativa dovuta ai sensi dell'articolo 34 (comma 6).
In conseguenza di tale previsione, il comma 7 stabilisce che l'imposizione integrativa addizionale dovuta con riferimento al Paese di localizzazione dell’impresa di cui al comma 6 è pari all’importo complessivo dell’imposizione integrativa addizionale di cui al comma 6 moltiplicato per il rapporto tra il reddito rilevante della suddetta impresa localizzata in un Paese calcolato in base alle disposizioni del Capo III per ciascun esercizio con riferimento al quale sussiste un saldo dei conti annuali dell’imposta sulle distribuzioni presunte e il reddito netto rilevante del Paese determinato ai sensi dell'articolo 33, comma 3, (alla cui scheda si rinvia per approfondimenti) per ciascun esercizio con riferimento al quale sussiste un saldo dei conti annuali dell’imposta sulle distribuzioni presunte.
L’articolo in questione recepisce quanto previsto all’articolo 40 della direttiva.
L’articolo 48 ha ad oggetto la definizione del regime ordinario per il calcolo dell’aliquota d’imposizione effettiva e dell’imposizione integrativa per le entità di investimento e per le entità assicurative d’investimento, individuando i criteri in base ai quali essa deve essere presa in considerazione e precisando che essa è calcolata separatamente da quella del paese di localizzazione.
In particolare il comma 1 dispone che l’aliquota di imposizione effettiva di un’impresa che è una entità di investimento, diversa da una entità fiscalmente trasparente o da un’impresa cui si applica il regime di cui agli articoli 49 e 50, è calcolata separatamente rispetto all’aliquota di imposizione effettiva relativa al Paese in cui la stessa è localizzata.
Il principio sopra indicato deroga alla regola generale, fissata all’articolo 33 del decreto, secondo cui il calcolo del livello di imposizione effettiva avviene attraverso l’aggregazione e compensazione degli utili e delle perdite rilevanti (e delle relative imposte rilevanti) di tutte le imprese localizzate in una giurisdizione. Peraltro il comma 3 del citato articolo 33 prevede che le imposte rilevanti rettificate, nonché il reddito o perdita delle entità di investimento, non sono presi in considerazione nel calcolo del livello di imposizione effettiva del gruppo multinazionale o nazionale in un Paese.
Le entità di investimento sono sottoposte, come si rileva dal regime previsto del presente articolo e dai successivi articoli 49 e 50, sono quindi soggette a regole speciali per il calcolo dell’aliquota d’imposizione effettiva e dell’imposizione integrativa, con la doppia finalità di riconoscere le specificità di questo tipo di entità (investire fondi per conto dei propri azionisti, tenendo conto che alcuni di questi sono soggetti esterni al gruppo multinazionale o nazionale) e di avvicinare il trattamento ai fini dell’imposta minima globale (global minimum tax) con quello operato ai fini delle imposte locali nella maggior parte delle giurisdizioni.
Si ricorda che per entità d’investimento si intende, secondo la direttiva 2523 del 2022: a) un fondo d'investimento o un veicolo di investimento immobiliare; b) un'entità detenuta per almeno il 95 %, direttamente da un'entità di cui alla lettera a) o mediante una catena di tali entità e che opera esclusivamente o quasi esclusivamente per detenere attività o investire fondi a loro vantaggio; o c) un'entità il cui valore è di proprietà per almeno l'85 % di un'entità di cui alla lettera a), a condizione che sostanzialmente tutto il suo reddito derivi da dividendi o plusvalenze o minusvalenze che sono esclusi dal calcolo del reddito o della perdita qualificante ai fini della presente direttiva. A sua volta ai sensi della direttiva per «fondo d'investimento» si intende un'entità o uno strumento giuridico che soddisfa tutte le seguenti condizioni: a) è concepito per aggregare attività finanziarie o non finanziarie di un insieme di investitori, alcuni dei quali non collegati tra loro; b) investe conformemente a una politica di investimento definita; c) consente agli investitori di ridurre i costi di transazione, di ricerca e di analisi o di ripartire collettivamente il rischio; d) è concepito principalmente per generare redditi o utili da investimenti o proteggere da eventi o risultati particolari o generali; e) i suoi investitori hanno diritto a un rendimento sulle attività del fondo o sul reddito derivante da tali attività, sulla base del conferimento effettuato; f) il fondo, o la sua gestione, è assoggettato al regime di regolamentazione dei fondi d'investimento, inclusa un'appropriata regolamentazione in materia di antiriciclaggio e protezione degli investitori, nella giurisdizione in cui è stabilito o gestito; e g) è gestito da un gestore di fondi d'investimento professionale che agisce per conto degli investitori.
Per «veicolo di investimento immobiliare» si intende un’entità ad ampia diffusione presso il pubblico che detiene prevalentemente beni immobili e che è assoggettata a un unico livello di imposizione, in capo ad essa o in capo ai titolari di sue partecipazioni, con al massimo un anno di differimento.
Tali definizioni sono sostanzialmente riproposte nell’Allegato A dell’Atto del Governo in discussione e precisamente al n. 17) e al n. 56). La definizione di Fondo d’investimento è invece prevista al n. 23 dell’Allegato A.
Si ricorda che le entità d’investimento che sono controllanti capogruppo, non sono soggette a tale disciplina in quanto entità espressamente escluse ai sensi dell’articolo 11, comma 1, lettera a), numero 5) dello schema.
La relazione illustrativa precisa inoltre che nel caso un’entità di investimento sia in parte un’entità fiscalmente trasparente e in parte un’entità ibrida inversa, la regola di cui al comma 1 si applica limitatamente alla quota di reddito che, nella giurisdizione dove è localizzato il titolare della partecipazione, non è fiscalmente trattato secondo il regime della trasparenza, come chiarito anche dal Commentario OCSE all’articolo 7.4.1, par. 81.
In ragione dell’assoggettamento ad un regime di calcolo autonomo del reddito e della perdita rilevante, dell’imposizione rilevante nonché di tutti gli aggiustamenti necessari a definire l’imposta integrativa applicabile, specifiche disposizioni sono stabilite ai commi da 2 a 7.
Nello specifico il comma 2 stabilisce che l’aliquota di imposizione effettiva di un’entità di investimento è pari al rapporto tra le imposte rilevanti rettificate di cui al comma 3 e la quota del suo reddito o perdita rilevante attribuibile al gruppo multinazionale o nazionale di appartenenza, calcolata ai sensi del comma 5.
Nella ipotesi in cui più entità di investimento siano localizzate nel medesimo Paese, l’aliquota di imposizione effettiva ad esse relativa è pari al rapporto tra la somma delle loro imposte rilevanti rettificate e la somma delle quote dei loro redditi o perdite rilevanti attribuibili al gruppo multinazionale o nazionale di appartenenza.
Il comma 3 precisa che le imposte rilevanti rettificate di un’entità di investimento sono pari alla somma delle imposte rilevanti rettificate relative alla quota del suo reddito rilevante attribuibile al gruppo multinazionale o nazionale di appartenenza e delle imposte rilevanti attribuibili all’entità di investimento ai sensi dell’articolo 31 (si veda supra). Le imposte rilevanti rettificate dell’entità di investimento non includono le imposte rilevanti relative alla porzione del suo reddito non attribuibile al gruppo multinazionale o nazionale di appartenenza.
Con riferimento al calcolo dell’imposizione integrativa, il comma 4 prevede che essa è pari all’aliquota di imposizione integrativa ad essa relativa moltiplicata per un importo pari alla differenza tra la quota del suo reddito rilevante attribuibile al gruppo multinazionale o nazionale di appartenenza e la riduzione da attività economica sostanziale ad essa relativa.
L’aliquota di imposizione integrativa di un’entità di investimento è pari all’importo, se positivo, della differenza tra l’aliquota minima d’imposta e l’aliquota d’imposizione effettiva di tale entità di investimento.
Anche in questo caso, qualora nel medesimo Paese siano localizzate più entità di investimento, l’imposizione integrativa è calcolata aggregando le quote del reddito o perdita rilevante delle entità d’investimento ivi localizzate attribuibili al loro gruppo multinazionale o nazionale di appartenenza e gli importi delle riduzioni da attività economica sostanziale ad esse riferibili.
Ai fini di questo comma, il comma 6 prevede che la riduzione da attività economica sostanziale relativa ad una entità di investimento è determinata ai sensi dell'articolo 35, commi da 1 a 7 (si veda l’apposita scheda). Le immobilizzazioni materiali ammissibili e le spese salariali ammissibili dell’entità di investimento rilevano in misura corrispondente al rapporto tra il suo reddito rilevante attribuibile al gruppo multinazionale o nazionale di appartenenza e il totale del reddito rilevante dell’entità stessa.
Il comma 5 prevede che la quota del reddito o perdita rilevante di una entità di investimento attribuibile al gruppo multinazionale o nazionale di appartenenza, ai sensi della presente disposizione, è pari al prodotto tra il suo reddito o perdita rilevante e la quota di attribuzione di cui all’articolo 16 ad essa relativo attribuibile alla sua controllante capogruppo, calcolato senza tenere in considerazione le partecipazioni che sono oggetto di opzione ai sensi degli articoli 49 o 50 (si vedano le relative schede descrittive).
Il comma 7 prevede infine che le disposizioni del presente articolo si applicano anche in relazione alle entità assicurative d’investimento.
La direttiva 2523 del 2022 non prevede una definizione generale di entità assicurativa d’investimento, per la quale si fa specificamente riferimento all’Allegato previsto dall’articolo 8. Tuttavia l’articolo 42 della direttiva (recepita dall’articolo 49) definisce come «entità di investimento assicurativo» un’entità che soddisferebbe le definizioni di fondo di investimento o di veicolo di investimento immobiliare se non fosse stata costituita in relazione a passività derivanti da un contratto di assicurazione o di rendita e se non fosse interamente di proprietà di un’entità assoggettata a regolamentazione nella giurisdizione in cui è localizzata come impresa di assicurazioni.
L’articolo in commento recepisce il contenuto dell’articolo 41 della direttiva 2523 del 2022.
Con specifico riguardo a quanto previsto dal comma 7 si segnala che la corrispondente disposizione della direttiva (articolo 41) non prevede espressamente l’estensione di tale disciplina alle entità di investimento assicurativo.
Articolo 49
(Opzione per trattare un’entità di investimento
come una entità fiscalmente trasparente)
L’articolo 49, individua un’alternativa al regime previsto dall’articolo 48 per le entità di investimento, prevedendo le condizioni al sussistere delle quali, su opzione dell’impresa dichiarante, un’entità d’investimento o un’entità assicurativa di investimento appartenenti ad un gruppo possono essere considerate come un’entità fiscalmente trasparente, disciplinando la durata dell’opzione e l’effetto della revoca della stessa.
Il comma 1 prevede una modalità alternativa al regime previsto dall’articolo 48 consentendo che su opzione dell’impresa dichiarante, un’entità d'investimento o un’entità assicurativa di investimento appartenente al gruppo siano considerate come un’entità fiscalmente trasparente se l’impresa proprietaria è assoggettata a imposizione nel Paese in cui è localizzata in base al criterio dei prezzi correnti di mercato o a un regime analogo basato sulle variazioni annuali del fair value delle sue partecipazioni in tale entità e l’aliquota d’imposta applicabile all’impresa proprietaria su tale reddito è pari o superiore all’aliquota minima d'imposta del 15%.
Il principio contabile internazionale IASB/IFSR 13 definisce il fair value come il prezzo che si percepirebbe per la vendita di un’attività ovvero che si pagherebbe per il trasferimento di una passività in una regolare operazione tra operatori di mercato alla data di valutazione.
L’opzione sopra indicata, secondo quanto previsto dal comma 3, è effettuata ai sensi dell’articolo 52, comma 1 che prevede che essa abbia validità per un periodo di cinque esercizi consecutivi a partire dall'esercizio con riferimento al quale l’opzione è effettuata. L’opzione si rinnova automaticamente salvo che l’impresa dichiarante ne revochi l'efficacia. Se l’opzione è revocata, qualsiasi utile o perdita derivante dalla dismissione di un'attività o di una passività detenuta dall'entità d’investimento o da un’entità assicurativa di investimento si determina sulla base del metodo dei prezzi correnti (fair value) dell'attività o della passività individuato il primo giorno dell'esercizio cui la revoca si riferisce.
Il comma 2 dispone che un’impresa che detiene indirettamente una partecipazione in un’entità d'investimento o in un’entità assicurativa di investimento attraverso una partecipazione diretta in un’altra entità d'investimento o un’altra entità assicurativa di investimento è considerata assoggettata ad imposizione in base al criterio dei prezzi correnti di mercato o a un regime analogo con riguardo alla sua partecipazione indiretta nella prima entità d’investimento o entità assicurativa di investimento se è assoggettata al criterio dei prezzi correnti di mercato o a un regime analogo per quanto riguarda la sua partecipazione diretta nella seconda entità d’investimento o entità assicurativa di investimento.
L’articolo in questione recepisce l’articolo 49 della direttiva. Tale articolo, ai fini dell’applicazione della disciplina del presente articolo definisce le “entità di investimento assicurativo”.
Si veda, sul punto, anche la scheda riguardante l’articolo 41.
La finalità di quest’opzione, come chiarito anche nel Commentario all’articolo 7.5.1, paragrafo 94, delle Model Rules dell’OCSE[2], consiste nell’allineare il trattamento ai fini dell’imposizione minima globale al trattamento impositivo nazionale, facendo coincidere, in particolare, le tempistiche e la localizzazione del reddito e della relativa imposizione ai fini fiscali interni e ai fini delle regole sulla tassazione minima globale.
Articolo 50
(Opzione per il regime della distribuzione imponibile)
L’articolo 50 disciplina un ulteriore regime opzionale alternativo a quello di cui all’articolo 48 per le entità d’investimento, che si aggiunge a quello indicato dall’articolo 49 ossia il regime della distribuzione imponibile, indicando le condizioni per l’esercizio dell’opzione, le caratteristiche del regime, il trattamento giuridico del reddito netto rilevante non distribuito e l’ambito di applicazione della disposizione.
In particolare il comma 1 contiene le definizioni rilevanti ai fini del presente articolo di “esercizio di verifica”, “periodo di verifica” e “distribuzioni presunte”.
Il comma 2 definisce le tre condizioni per l’applicazione del regime opzionale prevedendo che, su opzione dell’impresa dichiarante, l'impresa proprietaria di un’entità d'investimento può applicare il regime della distribuzione imponibile in relazione alla sua partecipazione nell'entità d’investimento, a condizione che:
§ sia l’impresa proprietaria che l’entità d'investimento siano complessivamente assoggettate a imposizione sul reddito rispettivamente distribuito e conseguito dall'entità d'investimento;
§ che l’aliquota d’imposta sia pari o superiore all'aliquota minima d’imposta del 15%.
§ che l’impresa proprietaria non sia, a sua volta, un’entità d’investimento.
Si ricorda che ai sensi del n. 17 dell’allegato A per entità d’investimento si intende a) un fondo d'investimento o un veicolo di investimento immobiliare; b) un'entità il cui capitale è detenuto per almeno il 95 per cento, direttamente da un'entità di cui alla lettera a) o attraverso una o più di esse e che detiene esclusivamente o quasi esclusivamente attività o investe fondi a beneficio dei suoi investitori; c) un’entità il cui valore è detenuto per almeno l'85 per cento da un'entità di cui alla lettera a), a condizione che il suo reddito sia sostanzialmente costituito da dividendi o plusvalenze o minusvalenze esclusi dal calcolo del reddito o perdita rilevante ai sensi dell’articolo 23, comma 2, lettere b) e c).
A sua volta per Fondo di investimento si intende un'entità o uno strumento giuridico che soddisfa tutte le seguenti condizioni: a) è concepito per aggregare attività finanziarie o non finanziarie di una pluralità di investitori, alcuni dei quali non collegati tra loro; b) investe tali attività conformemente a una politica di investimento definita; c) consente agli investitori di ridurre i costi di transazione, di ricerca e di analisi o di ripartire collettivamente il rischio; d) è costituito principalmente per generare redditi o utili da investimenti o proteggere da eventi o risultati particolari o generali; e) i suoi investitori hanno diritto a un rendimento sulle attività del fondo o sul reddito derivante da tali attività, sulla base del conferimento effettuato; f) il fondo, o il suo gestore, è assoggettato al regime di regolamentazione dei fondi d'investimento, inclusa un'appropriata regolamentazione in materia di antiriciclaggio e protezione degli investitori, nel Paese in cui è stabilito o gestito; g) è gestito da un gestore di fondi d'investimento professionale che agisce per conto degli investitori.
L’opzione è effettuata ai sensi dell'articolo 52, comma 1 ed ha efficacia per cinque esercizi (comma 9).
L’articolo 52, comma 1, oltre a prevedere la durata quinquennale dell’opzione precisa che l’opzione si rinnova automaticamente salvo che l’impresa dichiarante ne revochi l'efficacia e che in tal caso, la revoca ha una efficacia quinquennale a partire dall'esercizio con riferimento al quale la revoca è effettuata.
In caso di revoca dell’opzione, la quota dell'impresa proprietaria nel reddito netto rilevante non distribuito dell’entità d'investimento per l’esercizio di verifica, individuato con riferimento all’ultimo giorno dell’esercizio precedente l’esercizio di efficacia della revoca, si considera reddito rilevante dell’entità di investimento per l’esercizio in cui ha efficacia la revoca. L’importo del reddito rilevante moltiplicato per l’aliquota minima d'imposta è considerato imposizione integrativa dell’impresa a bassa imposizione per l'esercizio di efficacia della revoca ai fini del Capo II.
Il comma 3 chiarisce le caratteristiche e gli effetti derivanti dall’adozione del regime della distribuzione imponibile.
In relazione ad esso le distribuzioni e le distribuzioni presunte del reddito rilevante di un’entità d'investimento sono incluse nel reddito rilevante dell’impresa proprietaria che ha effettivamente percepito la distribuzione o virtualmente percepito la distribuzione presunta, a condizione che quest'ultima non sia un’entità d'investimento.
L'importo delle imposte rilevanti sostenute dall’entità d’investimento che può essere utilizzato come credito a fronte dell'imposta dovuta dall’impresa proprietaria a seguito delle distribuzioni e delle distribuzioni presunte intervenute a suo favore da parte dell'entità d’investimento è incluso nel reddito rilevante e nelle imposte rilevanti rettificate dell'impresa proprietaria che ha percepito la distribuzione o virtualmente percepito la distribuzione presunta (comma 3, secondo periodo).
In tal modo si evita un effetto di duplicazione nel conteggio di tali imposte, che altrimenti opererebbero ai fini dell’ETR sia come deduzione dal reddito rilevante sia come imposte rilevanti.
Secondo le definizioni di cui al comma 1 del presente articolo le "distribuzioni presunte" identificano il reddito di una entità di investimento relativo ad un esercizio che, sebbene da essa non effettivamente distribuito, secondo la normativa fiscale nazionale concorre per quell'esercizio a formare il reddito imponibile della sua impresa proprietaria.
Il comma 4 dispone che il reddito o la perdita rilevante di un’entità d’investimento e le imposte rilevanti rettificate attribuibili a tale reddito per l’esercizio sono esclusi dal calcolo dell'aliquota d’imposizione effettiva, ad eccezione dell’importo delle imposte rilevanti di cui al secondo periodo del comma 3.
Non rilevano quindi, secondo quanto indicato anche nella relazione illustrativa ai fini di questo comma le imposte rilevanti pagate dall’entità di investimento che possono essere utilizzate come credito in rapporto alle imposte dovute dall’impresa proprietaria sulla distribuzione.
Il comma 5 prevede che la quota dell’impresa proprietaria nel reddito netto rilevante non distribuito dell'entità d'investimento generato nell’esercizio di verifica, è considerata reddito rilevante di tale entità d'investimento per l'esercizio. L'importo pari a tale reddito rilevante moltiplicato per l’aliquota minima d’imposta (del 15%) è considerato come imposizione integrativa di un’impresa a bassa imposizione per l’esercizio ai fini del Capo II che disciplina l’imposta minima integrativa, l’imposta minima suppletiva e l’imposta nazionale.
Secondo le definizioni di cui al comma 1 del presente articolo l’“esercizio di verifica” identifica il terzo esercizio precedente l'esercizio di riferimento.
Il comma 6 stabilisce che il reddito netto rilevante non distribuito di un’entità d'investimento relativo all’esercizio di verifica corrisponde all’importo del reddito rilevante di tale entità d’investimento per tale esercizio, ridotto fino a un minimo di zero:
§ delle imposte rilevanti dell’entità d’investimento;
§ delle distribuzioni e delle distribuzioni presunte ai soci che non sono entità d’investimento intervenute nel periodo di verifica (cioè nel corso del triennio precedente l’esercizio di riferimento);
§ della perdita rilevante che si è generata durante il periodo di verifica;
§ dell’importo residuo della perdita rilevante che non è già stata utilizzata per ridurre il reddito netto rilevante non distribuito di tale entità d’investimento per un precedente esercizio di verifica.
Il comma 7 chiarisce però che il reddito netto rilevante non distribuito di un’entità d’investimento non è ridotto delle distribuzioni o delle distribuzioni presunte che hanno già ridotto il reddito netto rilevante non distribuito di tale entità d'investimento per un precedente esercizio di verifica. Il reddito netto rilevante non distribuito di un’entità d'investimento non è ridotto inoltre dell'importo della perdita rilevante che ha già ridotto il reddito netto rilevante non distribuito di tale entità d'investimento per un precedente esercizio di verifica.
Ciò consente di evitare una duplicazione di conteggio.
Il comma 8 definisce, ai fini del presente articolo, cosa si intenda per distribuzione presunta chiarendo che è quella considerata tale in base alla legislazione relativa alle imposte rilevanti applicabili nel Paese dell’impresa proprietaria e sussiste in ogni caso quando una partecipazione diretta o indiretta nell'entità d'investimento è trasferita a un’entità che non appartiene al gruppo multinazionale o nazionale di imprese. In tal caso essa è pari alla quota del reddito netto rilevante non distribuito attribuibile a tale partecipazione alla data del trasferimento, determinata indipendentemente dalla distribuzione presunta.
Il comma 10 prevede che le disposizioni di tale articolo si applichino anche in relazione alle entità assicurative d’investimento come definite nell’allegato A. Tale estensione non è espressamente contenuta nel corrispondente articolo della direttiva (articolo 43).
Per «entità assicurativa di investimento», ai sensi del punto 15) dell’Allegato A s’intende una entità che soddisferebbe la definizione di fondo di investimento di cui al numero 23) o di veicolo di investimento immobiliare di cui al numero 56), se non fosse costituita in relazione a passività derivanti da un contratto assicurativo o di rendita e non fosse interamente posseduta da una o più imprese assicurative dello stesso gruppo soggette a regolamentazione nel Paese in cui sono localizzate.
Si ricorda che per veicolo d’investimento immobiliare, secondo la definizione di cui al n. 56) dell’Allegato A, si intende un’entità i cui attivi sono prevalentemente costituiti da beni immobili ed i cui titoli di partecipazione al capitale o al patrimonio sono ampiamente diffusi tra il pubblico laddove le modalità di imposizione del reddito da essa prodotto in un determinato periodo di imposta comportano, entro il periodo di imposta successivo, un unico livello di imposizione a livello dell’entità ovvero a livello dei suoi partecipanti al capitale ed al patrimonio.
L’articolo in questione recepisce i contenuti dell’articolo 43 della direttiva.
Il Capo VIII reca le disposizioni amministrative.
In particolare sono contenute le disposizioni relative agli obblighi informativi (articolo 51), al regime delle opzioni che possono essere esercitate dall’impresa dichiarante (articolo 52), nonché alla disciplina applicabile alla dichiarazione annuale relativa all’imposizione integrativa, alla riscossione, all’accertamento nonché al regime sanzionatorio previsto per gli obblighi fissati in attuazione della direttiva europea (articolo 53).
In particolare, in merito agli obblighi informativi l’articolo 51 disciplina i contenuti della “comunicazione rilevante” individuando il soggetto tenuto all’obbligo di presentazione della stessa ed il relativo contenuto.
Articolo 51
(Obblighi informativi)
L’articolo 51 disciplina i contenuti, le modalità e i termini di effettuazione della “comunicazione rilevante” individuando anche i soggetti tenuti ad effettuarla ed alcuni regimi derogatori, in forza dei quali la comunicazione medesima è effettuata da un soggetto diverso da quello che sarebbe tenuto a farla secondo il regime generale.
Il comma 1 contiene le definizioni rilevanti ai fini del presente articolo (Accordo qualificato tra autorità competenti, comunicazione rilevante e impresa locale designata).
Il comma 2 stabilisce per ogni impresa localizzata nel territorio dello Stato italiano o che è un’entità trasparente costituita secondo le leggi dello Stato l’obbligo di presentare la comunicazione rilevante.
Si prevede tuttavia che, in deroga a quanto appena indicato, la comunicazione rilevante di un’impresa può essere presentata dall’impresa locale designata.
Secondo la definizione di cui al comma 1 l’impresa locale designata è l’impresa localizzata nel territorio dello Stato italiano designata dalle altre imprese del gruppo multinazionale o nazionale ivi localizzate a presentare per loro conto la comunicazione rilevante.
Il comma 3 introduce una ulteriore coppia di deroghe all’obbligo di presentare la comunicazione rilevante: si prevede infatti che un’impresa localizzata nel territorio dello Stato italiano non sia tenuta a presentare la comunicazione rilevante ad essa relativa se tale adempimento è effettuato dalla controllante capogruppo localizzata in un Paese che, con riferimento all’esercizio oggetto della comunicazione, ha in essere un Accordo qualificato tra autorità competenti con lo Stato italiano ovvero dall’impresa designata localizzata in un Paese che, con riferimento all’esercizio oggetto di comunicazione, ha in essere un Accordo qualificato tra autorità competenti con lo Stato italiano.
Secondo la definizione di cui al comma 1, l’“Accordo qualificato tra autorità competenti” identifica un accordo bilaterale o multilaterale in essere tra due o più autorità fiscali al fine di consentire lo scambio automatico delle informazioni relative alle comunicazioni rilevanti. La relazione illustrativa precisa che le “autorità competenti” sono le rappresentanti autorizzate di quei Paesi che sono parti di un Trattato fiscale, di un Accordo per lo scambio di informazioni fiscali o di una Convenzione sull'assistenza amministrativa reciproca in materia fiscale tra Paesi, incluso lo scambio automatico di tali informazioni.
Nei casi in cui la comunicazione rilevante è fatta da un soggetto diverso da un’impresa localizzata nel territorio dello Stato italiano o da un’entità trasparente costituita secondo le leggi dello Stato secondo quanto previsto dai commi 2 e 3, ogni impresa localizzata nel territorio dello Stato italiano comunica all'Agenzia delle entrate i dati identificativi rispettivamente della impresa locale designata e della controllante capogruppo o dell’impresa designata ed il relativo Paese di localizzazione (comma 4).
Il comma 5 individua il contenuto della comunicazione rilevante relativamente al gruppo multinazionale o nazionale.
La relazione illustrativa segnala come la comunicazione rilevante è basata su un modello (template) standardizzato (Global Information Return secondo le regole OCSE) che fornisce ad un'amministrazione fiscale le informazioni che sono necessarie per valutare la correttezza dell’imposta dovuta dalle imprese del gruppo multinazionale e la relativa attribuzione.
Si prevede in particolare che siano indicati i dati identificativi delle imprese, compreso il loro codice di identificazione fiscale, il loro Paese di localizzazione e la loro qualificazione (lettera a); le informazioni sulla struttura societaria del gruppo multinazionale o nazionale di appartenenza, comprese le partecipazioni di controllo che un’impresa detiene in un'altra impresa (lettera b); le informazioni necessarie al fine di calcolare l’aliquota di imposizione effettiva di ogni Paese nel quale è ubicata almeno un’impresa e l'importo della imposizione integrativa relativa a ciascuna impresa (lettera c, n. 1); l'importo della imposizione integrativa relativa ad ogni membro di un gruppo a controllo congiunto (lettera c, n. 2); l'allocazione dell’importo dell’imposta minima integrativa e della imposta minima suppletiva in relazione a ciascun Paese (lettera c, n. 3); l'elenco delle scelte previste dal decreto che sono state esercitate e revocate nell'esercizio a cui si riferisce la comunicazione rilevante nonché l'elenco delle scelte previste dal decreto che sono in essere per tale esercizio (lettera d).
Il comma 6 individua alcune ipotesi di deroga rispetto al comma 5.
Nella specie il comma in commento disciplina l’ipotesi nella quale un’impresa localizzata nel territorio dello Stato italiano la cui controllante capogruppo è localizzata in uno Stato terzo che applica disposizioni che sono state valutate equivalenti alle disposizioni della direttiva, secondo quanto previsto all’articolo 52 della medesima, la stessa impresa ovvero l’impresa locale designata presenta una comunicazione rilevante contenente le informazioni necessarie ai fini dell'applicazione delle disposizioni dell'articolo 8 (lettera a), nonché tutte le informazioni necessarie ai fini dell'applicazione delle disposizioni dell’articolo 20, in materia di applicazione dell’imposta minima suppletiva nel Paese della controllante capogruppo (lettera b), nonché tutte le informazioni necessarie ai fini dell'applicazione dell'imposta minima nazionale (lettera c).
Anche alla luce del contenuto del corrispondente articolo della direttiva si valuti l’opportunità, alla lettera a) alinea, di far riferimento all’articolo 15 posto che l’attuale formulazione -che fa riferimento all’articolo 8 dello schema di decreto legislativo- non appare corretta, considerato che tale articolo disciplina le definizioni.
In dettaglio con riferimento alle informazioni relative all’applicazione dell’articolo 8 (rectius 15), si prevede che debbano essere fornite: 1) l’identificazione di tutte le imprese nelle quali una entità partecipante parzialmente posseduta localizzata nel territorio dello Stato italiano detiene, ovvero ha detenuto nel corso dell'esercizio, direttamente o indirettamente, partecipazioni nelle imprese del gruppo multinazionale o nazionale; 2) una descrizione della struttura societaria contenente i rapporti partecipativi che la entità partecipante parzialmente posseduta di cui al precedente numero 1) ha detenuto o detiene nelle imprese; 3) tutte le informazioni che sono necessarie per calcolare l'aliquota di imposizione effettiva e l’imposta minima integrativa dovuta in relazione ai Paesi di localizzazione delle imprese di cui al numero 1); 4) tutte le informazioni rilevanti ai fini della corretta e puntuale applicazione delle disposizioni di cui agli articoli 16, 17 o 18.
Con riferimento all’applicazione dell’articolo 20 si prevede che debbano essere comunicate: 1) l’identificazione di tutte le imprese localizzate nel medesimo Paese di localizzazione della controllante capogruppo; 2) una descrizione della struttura societaria contenente i rapporti partecipativi che la controllante capogruppo di cui al precedente numero 1) ha detenuto o detiene nelle imprese ivi indicate; 3) tutte le informazioni che sono necessarie per calcolare l'aliquota di imposizione effettiva e l’imposta minima suppletiva in relazione al Paese di localizzazione della controllante capogruppo di cui al numero 1); 4) tutte le informazioni rilevanti ai fini della corretta e puntuale allocazione della imposta minima suppletiva ai sensi dell'articolo 21.
Come evidenziato anche nella relazione illustrativa, si tratta di informazioni più dettagliate per la corretta applicazione delle regole OCSE rispetto a quelle del comma 5 alla luce del fatto che la capogruppo non è soggetta agli obblighi previsti dalla Direttiva ma è comunque soggetta a regole locali considerate equivalenti.
Il comma 7 precisa i termini per la presentazione della comunicazione rilevante nonché delle comunicazioni di esercizio o revoca delle opzioni riguardanti le imprese localizzate nel territorio dello Stato, prevedendo che siano tutte presentate entro il quindicesimo mese successivo all'ultimo giorno dell'esercizio con riferimento al quale la comunicazione rilevante si riferisce.
Si ricorda che l’articolo 58 del decreto legislativo prevede, in deroga al termine sopra indicato, che la comunicazione rilevante e le altre comunicazioni rilevanti sono presentate entro 18 mesi successivamente al termine finale dell'esercizio transitorio di cui all’articolo 54 del decreto legislativo (si vedano le schede relative alle due disposizioni).
Il comma 8 rimette ad un decreto ministeriale la definizione di modalità, elementi e condizioni, coerentemente con la direttiva e con le regole OCSE, per la trasmissione della predetta comunicazione rilevante all'Agenzia delle entrate. Tale decreto, che dovrà essere pubblicato in Gazzetta Ufficiale, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore delle norme nazionali in materia di imposizione fiscale globale, disciplinata dal presente schema di decreto legislativo.
Il comma 9 prevede infine le sanzioni in caso di omessa presentazione della comunicazione rilevante o di ritardo nella sua presentazione pari o superiore a tre mesi, nonché in relazione alla comunicazione prevista al comma 4.
In tal caso si applica una sanzione amministrativa di 100 mila euro; in caso di ritardo inferiore a tre mesi o di invio dei dati incompleti o non veritieri si applica la sanzione amministrativa pecuniaria da 10.000 euro a 50.000 euro.
Le sanzioni non possono comunque superare complessivamente un milione di euro per tutte le imprese del gruppo multinazionale o nazionale localizzate nel territorio dello Stato italiano per le violazioni degli obblighi informativi riguardanti ciascun esercizio oggetto di comunicazione rilevante.
Per i primi tre esercizi di applicazione delle disposizioni attuative delle norme in materia di imposizione minima globale, le sanzioni amministrative pecuniarie sono ridotte del 50 per cento.
Nel considerando 25 della direttiva si richiamano gli stati membri all’applicazione di sanzioni dissuasive con specifico riferimento all’adempimento degli obblighi informativi. Si precisa infatti che “Al fine di garantire la corretta applicazione delle norme di cui alla presente direttiva, gli Stati membri dovrebbero applicare sanzioni adeguate, in particolare nei confronti delle entità che non rispettano i loro obblighi di presentare una dichiarazione sulle imposte integrative e di versare la rispettiva quota di imposta integrativa. Nel determinare tali sanzioni, gli Stati membri dovrebbero tenere conto in particolare della necessità di affrontare il rischio che un gruppo multinazionale di imprese non dichiari le informazioni necessarie per l'applicazione dell'UTPR. Per far fronte a tale rischio, gli Stati membri dovrebbero stabilire sanzioni dissuasive.”
Si rileva che il comma 9 contiene una disposizione di favore non espressamente contenuta nella direttiva.
L’articolo in questione recepisce i contenuti dell’articolo 44 della direttiva. Le sanzioni previste al comma 9 sono invece disciplinate in ottemperanza al principio di cui all’articolo 46 della direttiva.
L’articolo 52 disciplina la durata, le modalità e l’obbligo di comunicazione all’autorità fiscale del Paese di localizzazione dell’impresa dichiarante delle opzioni previste dalla normativa di recepimento della disciplina in materia di imposizione minima legale.
In particolare il comma 1 si riferisce alle opzioni di cui agli articoli:
11, comma 3, che consente all’impresa dichiarante di non considerare come soggetti esclusi quelli indicati alle lettere b) e c) del comma 1 dell’articolo 11 (si veda la relativa scheda);
23, comma 3, che consente all’impresa dichiarante, di scegliere di utilizzare il valore fiscale dell’onere per pagamenti basati su azioni in luogo del relativo valore contabile al fine di determinare il reddito o la perdita rilevante;
23, comma 7, che consente all’impresa dichiarante di escludere le componenti positive e negative di reddito relative alle oscillazioni di valore delle attività e passività contabilizzate in base al criterio del fair value o dell’impairment nel bilancio consolidato ai fini della determinazione del reddito o perdita rilevante;
23, comma 13, che consente all’impresa dichiarante di includere le plusvalenze e le minusvalenze escluse su partecipazioni e prevedere che alle relative imposte correnti o differite non si applichi la variazione in diminuzione in relazione alle imposte rilevanti riferite alle componenti reddituali che hanno formato oggetto della suddetta scelta;
23, comma 15, che consente all’impresa controllante capogruppo l'applicazione del trattamento contabile consolidato, ai fini della determinazione dell’importo netto del reddito o perdita rilevante delle imprese localizzate nel medesimo Paese e ivi soggette ad un regime di tassazione di gruppo;
49, concernente l’opzione per trattare un’entità di investimento come una entità fiscalmente trasparente;
50, che disciplina l’opzione per il regime della distribuzione imponibile.
Tali opzioni sono valide per un periodo di cinque esercizi consecutivi a partire dall'esercizio con riferimento al quale l’opzione è effettuata.
L'opzione si rinnova automaticamente salvo che l’impresa dichiarante ne revochi l'efficacia (secondo quanto previsto all’articolo 49). In tal caso, anche la revoca ha una efficacia quinquennale a partire dall'esercizio con riferimento al quale la revoca è effettuata.
Per approfondimenti si rinvia alle schede relative agli articoli sopra citati.
Il comma 2 disciplina le opzioni di cui agli articoli:
23, comma 9, che consente alle imprese localizzate in un dato Paese, di ripartire la plusvalenza netta complessiva derivante dalla vendita di beni immobili nell’esercizio, rettificando il reddito o perdita rilevante dell’esercizio di validità dell’opzione e dei quattro esercizi precedenti (quinquennio), e di ricalcolare l’aliquota d’imposizione effettiva e l’imposizione integrativa dei precedenti quattro esercizi secondo le modalità previste per tali operazioni;
28, comma 6, che consente all’impresa dichiarante che il valore assoluto della differenza di cui al comma 5 della citata disposizione sia memorizzato quale eccedenza negativa di imposte rilevanti rettificate e che tale eccedenza sia riportata agli esercizi successivi ed utilizzata fino al suo esaurimento.
29, comma 1, lettera b), che consente all’impresa dichiarante di scegliere per la non inclusione nell'importo totale netto delle variazioni delle imposte anticipate e differite relative al medesimo esercizio degli “accantonamenti irrilevanti” come definiti dall’articolo stesso;
32, commi 2, che consente all’impresa dichiarante di optare, a determinate condizioni affinché la riduzione netta delle imposte rilevanti di un esercizio precedente rilevi, ai fini dell'imposta integrativa addizionale, per la determinazione delle imposte rilevanti rettificate, dell’aliquota di imposizione effettiva e dell’imposizione integrativa relative a tale esercizio;
32, comma 3, che consente all’impresa dichiarante, a determinate condizioni, di escludere che rilevi in relazione all’esercizio con riferimento al quale sono state contabilizzate le imposte oggetto di riduzione, al fine del calcolo dell’imposta rilevante rettificata, la variazione del valore netto delle imposte anticipate e differite contabilizzata da un’impresa in conseguenza della diminuzione dell’aliquota d’imposizione al di sotto dell’aliquota minima d’imposta;
35, comma 2, che consente all’impresa dichiarante di un gruppo multinazionale o nazionale di non avvalersi per l'esercizio della riduzione del reddito basata sullo svolgimento di una attività economica sostanziale di cui al medesimo comma;
37, comma 1 che consente all’impresa dichiarante di azzerare l'imposizione integrativa dovuta dalle imprese localizzate in un Paese per un dato esercizio a determinate condizioni;
47, comma 2, che consente all’’impresa dichiarante di scegliere, per sé stessa o altra impresa soggetta al regime di imposizione dell’utile distribuito, di includere l'importo dell’imposta sulle distribuzioni presunte, nelle imposte rilevanti rettificate dell’impresa per un esercizio.
Tali opzioni hanno validità annuale e si rinnovano automaticamente salvo che l’impresa dichiarante ne revochi l'efficacia entro il termine dell'esercizio.
Per approfondimenti si rinvia alle schede relative agli articoli sopra citati.
Il comma 3 dispone infine che alcune opzioni devono essere comunicate all’autorità fiscale del Paese di localizzazione dell’impresa dichiarante. Si tratta di quelle di cui ai commi 1 e 2 ad eccezione dell’opzione di cui all’articolo 28, comma 6 e all’articolo 32, comma 3.
L’articolo in questione recepisce i contenuti dell’articolo 45 della direttiva, con alcune differenze, in quanto le opzioni di cui agli articoli 23 comma 13, 28, comma 6, e 32, comma 3, non sono espressamente menzionati nella corrispondente elencazione di cui all’articolo 45 della direttiva.
Articolo 53
(Dichiarazione, riscossione, accertamento e sanzioni)
L’articolo 53 disciplina la dichiarazione, la riscossione, l’accertamento e le sanzioni relative all’imposta minima globale, come recepita nel nostro ordinamento a norma del titolo II dello schema di decreto legislativo in esame.
Il comma 1 prevede che la dichiarazione annuale relativa all’imposizione integrativa dovuta a titolo di imposta minima integrativa, di imposta minima suppletiva e di imposta minima nazionale è presentata entro il termine previsto per la comunicazione rilevante di cui agli articoli 51, comma 7, e 58, ossia entro il quindicesimo mese successivo all'ultimo giorno dell'esercizio con riferimento al quale la comunicazione rilevante si riferisce (ai sensi dell’articolo 51, comma 7) e, ai sensi dell’articolo 58 entro il diciottesimo mese successivo al termine finale dell’esercizio transitorio di cui all’articolo 54 (si veda la relativa scheda).
Quanto alle modalità di versamento il comma 2 prevede che le imposte sono versate in due rate: il 90 per cento dell’importo dovuto entro l’undicesimo mese successivo all'ultimo giorno dell'esercizio al quale le imposte si riferiscono.
Per i soggetti con esercizio coincidente con l’anno solare, il primo versamento per l’imposizione integrativa dovuta in relazione al 2024 dovrà quindi essere effettuato entro l’ultimo giorno di novembre 2025.
Il versamento dell’importo residuo è effettuato entro l’ultimo giorno del mese successivo al termine previsto nel comma 1 per la dichiarazione annuale relativa a tale esercizio.
Per i soggetti con esercizio coincidente con l’anno solare, la seconda rata dell’imposta dovuta per il 2024 dovrà essere versata entro luglio 2026.
Il comma 3 attribuisce ad un decreto del Ministro dell'economia e delle finanze da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale il compito di definire le modalità per gli adempimenti previsti al comma 1.
Il comma 4 rinvia alle disposizioni in materia di imposte sui redditi in quanto con riferimento all’applicazione delle norme in materia di accertamento, sanzioni, riscossione e contenzioso.
Il comma 5 stabilisce infine che per i primi tre esercizi di applicazione delle disposizioni del presente Titolo non si fa luogo ad irrogazione delle sanzioni ad eccezione che per i casi di dolo o colpa grave.
L’articolo contiene alcune disposizioni di rinvio ad aspetti di disciplina del diritto nazionale e recepisce il principio di cui all’articolo 46 della direttiva in materia di sanzioni.
L’articolo 46 della direttiva dispone che gli Stati membri stabiliscono le norme relative alle sanzioni applicabili in caso di violazione delle disposizioni nazionali adottate a norma della direttiva, comprese quelle riguardanti l'obbligo di un'entità costitutiva di dichiarare e versare la propria quota di imposta integrativa o di avere un onere fiscale supplementare, e adottano tutte le misure necessarie per assicurarne l'applicazione. Le sanzioni previste devono essere effettive, proporzionate e dissuasive.
Si rileva che il comma 5 contiene una disposizione di favore non espressamente contenuta nella direttiva, che esclude per un periodo di tre anni la sanzione nei casi di colpa lieve.
Il Capo IX reca le disposizioni transitorie e finali.
In particolare vengono introdotte le disposizioni relative al trattamento fiscale delle imposte anticipate, delle imposte differite e delle immobilizzazioni trasferite nel periodo di transizione (articolo 54) e alla disciplina transitoria in tema di riduzione da attività economica sostanziale (articolo 55). Su quest’ultimo punto si segnala che, in conformità alle regole GloBE, che prevede l’esclusione un importo di reddito corrispondente a una percentuale fissa (5%) del valore netto contabile delle immobilizzazioni materiali ammissibili e delle spese salariali ammissibili è introdotta una regola transitoria che prevede percentuali superiori per i primi dieci anni di applicazione della disciplina sull’imposizione minima globale. Sono inoltre disciplinati la fase iniziale di esclusione, pare a cinque anni, dall’imposizione integrativa per fase iniziale dell'attività internazionale del gruppo multinazionale e nazionale di imprese (articolo 56), il differimento dell’imposta minima integrativa e dell’imposta minima suppletiva (articolo 57), l’esenzione transitoria per gli obblighi di comunicazione (articolo 58), un meccanismo diretto a prevenire le controversie riguardanti l’applicazione delle disposizioni riguardanti l’imposizione minima globale (articolo 59) e la decorrenza dell’applicazione delle disposizioni relative all’imposizione minima globale, di recepimento della 2022/2523 del Consiglio, del 14 dicembre 2022.
L’articolo 54 contiene la disciplina delle imposte anticipate, delle imposte differite e delle immobilizzazioni trasferite, con riferimento al periodo transitorio.
Il comma 1 definisce cosa indichi il termine esercizio transitorio, con riguardo a questa specifica disposizione.
Esso indica, in relazione ad un Paese, il primo esercizio con riferimento al quale un gruppo multinazionale o nazionale di imprese è soggetto:
· alle disposizioni di recepimento delle norme in materia di imposizione minima globale;
· ovvero alle disposizioni interne di trasposizione della Direttiva negli Stati membri europei;
· ovvero alle disposizioni di recepimento delle regole OCSE in Stati terzi.
Il comma 2 stabilisce, ai fini del calcolo dell'aliquota d’imposizione effettiva di un Paese nell'esercizio transitorio e negli esercizi ad esso successivi, che il gruppo multinazionale o nazionale di imprese deve tenere in considerazione le imposte anticipate e le imposte differite iscritte all’inizio dell’esercizio transitorio nel bilancio e negli equivalenti rendiconti patrimoniali e finanziari delle imprese ivi localizzate.
Si tiene altresì conto anche delle imposte anticipate non iscritte in bilancio in mancanza dei relativi presupposti contabili.
Si rileva che l’articolo 47 della direttiva, al paragrafo 2, ammette esclusivamente tutte le attività fiscali differite e passività fiscali differite riflesse o indicate nella contabilità finanziaria di tutte le entità costitutive di una giurisdizione per l'esercizio di transizione.
In relazione alle imposte anticipate e differite di cui ai periodi precedenti non trovano applicazione le disposizioni di cui all’articolo 29, commi 5 e 7.
I commi 5 e 7 dell’articolo 29 disciplinano rispettivamente le poste da escludere dal calcolo dell’importo totale netto delle variazioni delle imposte anticipate e differite e la riduzione delle imposte rilevanti a seguito del recupero delle imposte differite relativo ad un esercizio,
Si ricorda che, secondo il principio contabile OIC 25, le attività per imposte anticipate rappresentano l’ammontare delle imposte sul reddito recuperabili negli esercizi futuri riferibili alle differenze temporanee deducibili o al riporto a nuovo di perdite fiscali. Secondo il medesimo principio contabile le imposte differite sono imposte che, pur essendo di competenza dell’esercizio, sono dovute in esercizi futuri. Infatti, le imposte dovute nell’esercizio risultano inferiori alle imposte di competenza rilevate in bilancio e, dunque, la società iscrive una passività per imposte differite, per le imposte che saranno pagate negli esercizi successivi.
Il comma 3, ai fini previsti dal precedente comma 2, stabilisce che le imposte anticipate e le imposte differite rilevano in misura pari al minore tra il loro valore calcolato applicando l’aliquota minima d’imposta ed il loro valore calcolato applicando la pertinente aliquota nominale di imposizione in vigore nel Paese.
Tuttavia, le imposte anticipate che sono state calcolate applicando una aliquota di imposizione inferiore all’aliquota minima d’imposta sono ricalcolate applicando l’aliquota minima di imposta se e nella misura in cui esse si riferiscono ad una perdita rilevante.
Sono irrilevanti le iscrizioni o cancellazioni, totali o parziali, contabilizzate a conto economico di imposte anticipate per effetto di modifiche dei loro presupposti di registrazione contabile.
Il comma 4 stabilisce che le imposte anticipate che originano da elementi reddituali che non concorrono alla formazione del reddito o perdita rilevante non rilevano ai fini del comma 2 se esse originano da transazioni poste in essere successivamente alla data del 30 novembre 2021.
Nella relazione illustrativa si ricorda come tale disposizione preveda una limitazione per garantire la coerenza e l’integrità delle regole GloBE al fine di prevenire l’insorgere, prima dell’applicazione delle disposizioni del presente Titolo ma successivamente alla data del 30 novembre 2021, di fiscalità differita attiva che non avrebbe avuto rilevanza a regime. Ciò potrebbe verificarsi, ad esempio, quando un’impresa genera una perdita fiscale relativamente a un elemento che non è preso in considerazione nel calcolo del reddito rilevante (ad esempio, la deduzione degli ammortamenti in eccesso rispetto al costo di un’immobilizzazione). In assenza della limitazione prevista nel comma 4, questo elemento sarebbe incluso nell’economia delle regole GloBE e, nell’esercizio in cui le imposte anticipate si riversano nella contabilità dell’impresa, ridurrebbe il valore delle imposte rilevanti rettificate. Questa circostanza, secondo quanto riportato nella relazione illustrativa, mina l’integrità delle regole GloBE atteso che l’utilizzo di una imposta anticipata relativa ad un componente che è estraneo ad esse (i.e. al denominatore dell’ETR) altererebbe il valore delle imposte rilevanti rettificate (i.e. il numeratore dell’ETR). Il comma in esame non ha implicazioni fiscali retroattive, ma piuttosto stabilisce come alcuni elementi della fiscalità differita sono considerati negli esercizi fiscali in cui si applicano le norme del presente Titolo.
Infine il comma 5 disciplina i trasferimenti di immobilizzazioni posti in essere tra imprese in data successiva al 30 novembre 2021 ma anteriore all’inizio dell'esercizio transitorio.
In tal caso il loro valore rilevante corrisponde al loro valore contabile in capo alla entità trasferente alla data del trasferimento.
Tale valore è aumentato o diminuito a seguito di ammortamenti, svalutazioni, rivalutazioni o capitalizzazioni intercorse dalla data del trasferimento sino all'ultimo giorno antecedente il periodo transitorio.
Sono irrilevanti, ai fini di quanto stabilito dal periodo precedente, i maggiori ammortamenti derivanti da valutazioni con il criterio del fair value.
Le plusvalenze e le minusvalenze in caso di ulteriore cessione sono calcolate, ai fini del reddito o perdita rilevante, sulla base del valore indicato ai sensi di quanto sopra descritto.
Eventuali valori di imposte differite e di imposte anticipate registrate dalle suddette imprese in conseguenza del trasferimento sono ricalcolati avendo a riferimento il valore contabile che le immobilizzazioni trasferite avevano in capo alla entità trasferente alla data del trasferimento.
Come riportato nella relazione illustrativa, la Guida Amministrativa pubblicata dall’OCSE a febbraio 2023 (cfr. A.G. 22.04.T16) ha chiarito che con il termine “trasferimenti” si intende indentificare qualsiasi operazione, anche interna alla medesima impresa ovvero al medesimo Paese, il cui effetto è quello di determinare un incremento del valore contabile dei beni senza che tale incremento sia stato assoggettato ad una congrua imposizione (vale a dire nessuna imposizione o un’imposizione con aliquota inferiore al 15 per cento). Analogamente, il termine “trasferimenti” riguarda anche situazioni in cui il valore contabile della immobilizzazione non è modificato ma è modificato (i.e. aumentato) il suo valore fiscale (senza una congrua imposizione sul maggior valore) con la conseguente iscrizione di imposte anticipate. L’ambito di applicazione di questo comma riguarda i trasferimenti di beni (transfer of asset secondo le regole OCSE) intervenuti dopo il 30 novembre 2021 ma prima dell’esercizio transitorio di un gruppo multinazionale o nazionale. Per essere rilevante, il “trasferimento” deve avvenire tra imprese che sarebbero state considerate imprese associate (i.e. imprese appartenenti al medesimo gruppo multinazionale o nazionale) qualora al momento del trasferimento fossero state in vigore le regole GloBE; tuttavia, il comma 5 non è rilevante se riguarda “trasferimenti” (ad esempio, a seguito di fusioni e scissioni) tra imprese che divengono imprese associate per effetto delle operazioni medesime. Ai sensi del comma in esame, il valore del bene trasferito deve essere pari al suo valore contabile rilevato in capo al dante causa, per evitare che maggiori costi (es. gli ammortamenti di un’immobilizzazione) registrati negli esercizi di applicazione delle regole GloBE riducano il reddito o perdita rilevante dell’avente causa senza che il corrispondente maggior valore (es. la plusvalenza) conseguente al “trasferimento” abbia concorso a formare il reddito o perdita rilevante del dante causa (atteso che tale transazione è intervenuta in un esercizio anteriore all’applicazione delle regole del presente Titolo). Ne consegue che non sussistendo alcuna variazione, ai fini delle regole GloBE, nel valore del bene, gli elementi relativi alla fiscalità (attiva e passiva) differita dovranno essere ricalcolati assumendo l’inesistenza di tale transazione. La neutralizzazione delle imposte differite attive deve essere applicata anche all’ipotesi di “trasferimento” in cui, a parità di valore contabile della immobilizzazione, si verifica un incremento del suo valore fiscale con la conseguente iscrizione di imposte anticipate. In deroga a quanto previsto nel precedente periodo, le impose anticipate non debbono essere stornate se l’incremento del valore è stato assoggettato ad imposizione ad una aliquota pari o superiore al 15 per cento. Il comma 5 non si applica alle giacenze di magazzino, in virtù della natura routinaria delle vendite di magazzino infragruppo e al periodo tipicamente breve di detenzione prima della vendita al di fuori del gruppo.
L’articolo in questione recepisce le disposizioni dell’articolo 47 della direttiva.
Articolo 55
(Disciplina transitoria in tema di riduzione
da attività economica sostanziale)
L’articolo 55 contiene la disciplina transitoria in tema di riduzione da attività economica sostanziale.
In particolare si prevede che ai fini dell'applicazione delle disposizioni dell'articolo 35, commi 3 e 4, in materia di riduzione del reddito netto rilevante ai fini del calcolo dell’imposta integrativa, l’aliquota del 5 per cento è sostituita da quella indicata nell’allegato B, riportata in corrispondenza di ciascuno degli esercizi che iniziano nell'anno solare ivi indicato.
Si ricorda che l’articolo prevede la riduzione del reddito netto rilevante per un dato Paese ai fini del calcolo dell'imposizione integrativa, di un importo pari alla somma della riduzione per spese salariali di cui al comma 3 e della riduzione per immobilizzazioni materiali di cui al comma 4 del medesimo articolo, entrambe calcolate in relazione a ciascuna impresa localizzata nel Paese.
Il comma 3 dispone che la riduzione basata sulle spese salariali di un’impresa localizzata in un Paese è pari al 5 per cento delle sue spese salariali ammissibili per i dipendenti ammissibili che esercitano attività per il gruppo multinazionale o nazionale in detto Paese, fatta eccezione per le spese salariali ammissibili capitalizzate e incluse nel valore contabile delle immobilizzazioni materiali ammissibili e quelle imputabili a un reddito escluso a norma dell'articolo 24 (si veda la relativa scheda).
Il comma 4 prevede che la riduzione basata sulle immobilizzazioni materiali di un’impresa localizzata in un Paese è pari al 5 per cento del valore contabile delle immobilizzazioni materiali ammissibili localizzate nel Paese, fatta eccezione per il valore contabile degli immobili, compresi terreni ed edifici, posseduti per la vendita, la locazione o l'investimento e il valore contabile delle immobilizzazioni materiali utilizzate per generare un reddito escluso a norma dell'articolo 24 (si veda la relativa scheda).
L’Allegato B contiene le aliquote sostitutive previste e corrispondenti alla disciplina della direttiva europea. Si tratta in particolare dei seguenti valori:
per la riduzione basata sulle spese salariali, l'aliquota del 5 per cento è sostituita dalle seguenti:
a) nel 2023 è pari al 10 per cento;
b) nel 2024 è pari al 9,8 per cento;
c) nel 2025 è pari al 9,6 per cento;
d) nel 2026 è pari al 9,4 per cento;
e) nel 2027 è pari al 9,2 per cento;
f) nel 2028 è pari al 9,0 per cento;
g) nel 2029 è pari al 8,2 per cento;
h) nel 2030 è pari al 7,4 per cento;
i) nel 2031 è pari al 6,6 per cento;
l) nel 2032 è pari al 5,8 per cento.
Per la riduzione basata sulle immobilizzazioni materiali, l'aliquota del 5 per cento è sostituita dalle seguenti:
a) nel 2023 è pari al 8 per cento;
b) nel 2024 è pari al 7,8 per cento;
c) nel 2025 è pari al 7,6 per cento;
d) nel 2026 è pari al 7,4 per cento;
e) nel 2027 è pari al 7,2 per cento;
f) nel 2028 è pari al 7,0 per cento;
g) nel 2029 è pari al 6,6 per cento;
h) nel 2030 è pari al 6,2 per cento;
i) nel 2031 è pari al 5,8 per cento;
l) nel 2032 è pari al 5,4 per cento.
L’articolo 55 e la tabella B recepiscono i contenuti dell’articolo 48 della direttiva.
Articolo 56
(Fase iniziale di esclusione dall’imposizione integrativa)
L’articolo 56 disciplina la fase iniziale di esclusione dall’imposizione integrativa, prevedendo in particolare a quali condizioni essa è pari a zero nella fase iniziale dell’attività internazionale del gruppo multinazionale di imprese.
In particolare il comma 1 disciplina i casi nei quali l'imposizione integrativa è ridotta a zero. Si prevede che ciò avvenga:
a) nei primi cinque anni della fase iniziale dell'attività internazionale del gruppo multinazionale di imprese, indipendentemente dai requisiti di cui al Capo V (in materia di definizione dell’aliquota effettiva e dell’imposizione integrativa);
b) nei primi cinque anni a decorrere dal primo giorno dell'esercizio in cui il gruppo nazionale rientra per la prima volta nell'ambito di applicazione della disciplina in materia di imposizione minima globale.
I soggetti passivi dell’imposizione sono l’entità controllante capogruppo localizzata nel territorio dello Stato italiano ai sensi dell’articolo 13, comma 2, o da una partecipante intermedia localizzata nel territorio dello Stato italiano ai sensi dell'articolo 14, comma 5, quando la controllante capogruppo è un’entità esclusa.
Il comma 2 precisa che se la controllante capogruppo di un gruppo multinazionale di imprese è localizzata in uno Stato terzo, l'imposizione integrativa dovuta da un’impresa localizzata nel territorio dello Stato italiano ai sensi dell'articolo 21, comma 2, è ridotta a zero nei primi cinque anni della fase iniziale dell'attività internazionale del gruppo multinazionale di imprese, anche in tal caso indipendentemente dai requisiti di cui al Capo V.
Il comma 3 prevede le condizioni al ricorrere delle quali un gruppo multinazionale di imprese è considerato nella fase iniziale della sua attività internazionale. Ciò avviene se per un esercizio:
§ ha imprese in non più di sei Paesi;
§ la somma del valore contabile netto dei beni tangibili di tutte le imprese appartenenti al gruppo localizzate in tutti i Paesi diversi dal Paese di riferimento (ossia il Paese in cui le imprese del gruppo multinazionale detengono il valore totale dei beni tangibili più elevato nell'esercizio in cui il gruppo multinazionale rientra per la prima volta nell'ambito di applicazione della disciplina in materia di imposizione minima globale) non supera 50 milioni di euro.
o Il valore totale dei beni tangibili in un Paese corrisponde alla somma dei valori contabili netti di tutti i beni tangibili di tutte le imprese del gruppo multinazionale che sono localizzate in tale Paese.
Il comma 4 precisa che la decorrenza del periodo di cinque anni indicato dalle disposizioni dei commi 1 e 2.
In particolare il periodo di cinque anni di cui al comma 1, lettera a), e al comma 2, decorre dall'inizio dell'esercizio in cui il gruppo multinazionale di imprese rientra per la prima volta nell'ambito di applicazione della disciplina in materia di imposizione minima globale.
Per i gruppi multinazionali di imprese che soddisfano le condizioni di cui all’articolo 10, comma 1, al momento dell’entrata in vigore della disciplina in materia di imposizione minima globale, il periodo di cinque anni di cui al comma 1, lettera a), decorre dal 31 dicembre 2023.
Per i gruppi multinazionali di imprese che soddisfano le condizioni di cui all’articolo 10, comma 1, al momento dell’entrata in vigore del presente della disciplina in materia di imposizione minima globale, il periodo di cinque anni di cui al comma 2 decorre dal 31 dicembre 2024.
L’articolo 10, comma 1, dispone che le disposizioni in materia di imposizione minima globale si applicano alle imprese localizzate in Italia che fanno parte di un gruppo multinazionale o nazionale con ricavi annui pari o superiori a 750 milioni di euro, ivi compresi i ricavi delle entità escluse di cui all’articolo 11, risultanti nel bilancio consolidato della controllante capogruppo in almeno due dei quattro esercizi immediatamente precedenti a quello considerato.
Per i gruppi nazionali di imprese che soddisfano le condizioni di cui all’articolo 3, comma 1, al momento dell’entrata in vigore della disciplina in materia di imposizione minima globale, il periodo di cinque anni di cui al comma 1, lettera b), decorre dal 31 dicembre 2023.
Si valuti l’opportunità di correggere il riferimento all’articolo 3, comma 1, che concerne la disciplina delle società estere controllate, con il riferimento all’articolo 10, comma 1.
Ai sensi del comma 5, l'entità localizzata nel territorio dello Stato, designata a presentare la comunicazione di cui all'articolo 51 (si veda l’apposita scheda), informa l'Agenzia delle entrate in merito alla data di inizio della fase iniziale della attività internazionale del gruppo al quale appartiene.
Si ricorda che, secondo quanto previsto dall’articolo 18, comma 7, l’Italia non applica tali regimi di deroga ai fini dell’applicazione dell’imposta minima nazionale. Pertanto i soggetti di cui al presente articolo risultano soggetti alla medesima.
L’articolo 56 recepisce i contenuti dell’articolo 49 della direttiva.
Articolo 57
(Differimento dell’imposta minima integrativa
e dell’imposta minima suppletiva)
L’articolo 57 disciplina l’applicazione delle imposte minima integrativa equivalente e minima suppletiva equivalente nell’ipotesi in cui l'entità controllante capogruppo di un gruppo multinazionale di imprese è localizzata in uno Stato membro che ha scelto di differirne l’applicazione.
In particolare il comma 1 dispone che nell’ipotesi nella quale l'entità controllante capogruppo di un gruppo multinazionale di imprese abbia scelto di differire l’applicazione dell’imposta minima integrativa equivalente e dell’imposta minima suppletiva equivalente - come consentito dalla direttiva europea 2022/2523/UE - per sei esercizi finanziari consecutivi che iniziano a decorrere dal 31 dicembre 2023, le imprese di tale gruppo multinazionale localizzate nel territorio dello Stato italiano sono soggette all'importo dell'imposta minima suppletiva assegnato all’Italia, ai sensi dell'articolo 21, per gli esercizi che decorrono a partire dal 31 dicembre 2023.
Si ricorda che la direttiva consente tale deroga agli Stati membri in cui sono localizzate non più di dodici entità controllanti capogruppo di gruppi che rientrano nell'ambito di applicazione della direttiva medesima.
Il comma 2 disciplina l’ipotesi nella quale l'entità controllante capogruppo di cui al comma 1 nomina un’entità designata localizzata nel territorio dello Stato. In tal caso tale ultima impresa presenta la comunicazione sulle imposte integrative conformemente alle disposizioni di cui all'articolo 51, comma 5, sulla base delle informazioni necessarie fornite dalle imprese localizzate nello Stato membro che ha effettuato la scelta di differire l’applicazione dell’imposta minima integrativa equivalente e dell’imposta minima suppletiva equivalente.
Il comma 3 prevede che la percentuale dell’imposta minima suppletiva equivalente imputabile allo Stato membro che ha effettuato la scelta di cui sopra ricordata è considerata pari a zero per l'esercizio ai fini dell’articolo 21, comma 5.
La reazione tecnica segnala come la disposizione in esame consenta all’Italia di utilizzare l’imposta minima suppletiva per proteggere la base imponibile nazionale delle imprese localizzate nel territorio dello Stato dalle opportunità di pianificazione fiscale che potrebbero sorgere a seguito dell’esercizio della facoltà sopra descritta da parte del Paese di localizzazione delle controllanti capogruppo situate al di fuori del territorio dello Stato.
L’articolo 57 recepisce i contenuti dell’articolo 50 della direttiva.
Articolo 58
(Esenzione transitoria per gli obblighi di comunicazione)
L’articolo 58 contiene un differimento temporaneo relativamente all’applicazione degli obblighi di comunicazione fissati dall’articolo 51.
In particolare il comma 1 dispone che la comunicazione rilevante e le altre comunicazioni di cui all'articolo 51 sono presentate entro il diciottesimo mese successivo al termine finale dell'esercizio transitorio di cui all’articolo 54.
Si ricorda che, ai sensi dell’articolo 54, che disciplina le imposte anticipate, le imposte differite e le immobilizzazioni trasferite, l’esercizio transitorio indica in relazione ad un Paese, il primo esercizio con riferimento al quale un gruppo multinazionale o nazionale di imprese è soggetto:
· alle disposizioni in materia di tassazione minima globale ovvero
· alle disposizioni interne di trasposizione della Direttiva negli Stati membri europei ovvero
· alle disposizioni di recepimento delle regole OCSE in Stati terzi.
L’articolo 51, alla cui scheda descrittiva si rinvia per approfondimenti, contiene una serie di obblighi informativi, tra cui il più significativo è quello di effettuare la cosiddetta comunicazione rilevante (contenente i dati essenziali diretti ad identificare il regime d’imposta e di calcolare l’imposta dovuta). Secondo il regime generale la comunicazione rilevante e quelle relative alle revoche delle opzioni previste dalla disciplina in commento, sono presentate entro il quindicesimo mese successivo all’ultimo giorno dell'esercizio con riferimento al quale la comunicazione rilevante si riferisce.
L’articolo 58 recepisce i contenuti dell’articolo 51 della direttiva.
Articolo 59
(Prevenzione delle controversie)
L’articolo 59 disciplina le condizioni affinché, a fronte di una richiesta da parte di un’impresa cui si applicano le regole concernenti le disposizioni attuative della direttiva europea sull’imposizione minima globale, recepita dal presente schema, possano essere attivate procedure di composizione amichevole nelle ipotesi di dubbi o incertezze relativi all’interpretazione e all’attuazione delle disposizioni in questione in modo da evitare il ricorso al contenzioso.
In particolare il comma 1 dispone che le autorità competenti italiane, a fronte della richiesta dell’impresa o dell’entità cui si applicano le disposizioni in materia di imposizione minima globale, deve innanzi tutto verificare la fondatezza tecnica della medesima.
Qualora ciò si verifichi le autorità italiane attivano la procedura amichevole ai sensi delle Convenzioni contro le doppie imposizioni in quanto applicabili.
La finalità dell’applicazione della procedura amichevole è quella di cercare di risolvere, a condizioni di reciprocità e di comune accordo con le autorità omologhe di altri Stati interessati, le questioni di interpretazione o applicazione delle disposizioni di recepimento della direttiva, in conformità con la direttiva stessa e le regole OCSE e di eliminare, laddove consentito anche alle autorità omologhe di altri Stati, conseguenti casi di doppia imposizione anche non previsti dalla Convenzione.
Il comma 2 disciplina l’ipotesi in cui non vi sia, tra gli Stati coinvolti una Convenzione contro le doppie imposizioni applicabile ovvero se tale Convenzione non preveda la procedura amichevole.
In tal caso la procedura si svolge sempre a condizioni di reciprocità e sempre su richiesta di un'impresa o entità interessata, dopo che le autorità italiane abbiano preliminarmente verificato la fondatezza tecnica della richiesta.
In ottemperanza ai principi che orientano l'azione amministrativa, le autorità competenti italiane sono tenute a consultarsi con le autorità omologhe di altri Stati.
Anche in questa ipotesi lo scopo della disposizione è quello di cercare di risolvere le difficoltà o i dubbi inerenti all'interpretazione o all'applicazione delle misure delle disposizioni di recepimento della direttiva, della direttiva medesima ovvero delle regole OCSE e di eliminare, laddove consentito anche alle autorità omologhe di altri Stati, i conseguenti casi di doppia imposizione.
Il comma 3 prevede che, con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze sono emanate le disposizioni applicative delle procedure previste al comma 1.
Andrebbe valutata l’opportunità di estendere la possibilità di definire con il medesimo decreto del Ministro dell'economia e delle finanze anche le disposizioni applicative di cui al comma 2.
L’articolo 60 disciplina la decorrenza delle disposizioni riguardanti l’attuazione della direttiva dell’Unione europea in materia di imposizione minima globale, disciplinata dal Titolo II (articoli da 8 a 60) dello schema di decreto legislativo.
In particolare la disposizione precisa che le disposizioni del Titolo II si applichino agli esercizi che decorrono a partire dal 31 dicembre 2023.
Si prevede tuttavia che le disposizioni degli articoli 19 (applicazione dell’imposta minima suppletiva), 20 (Applicazione dell’imposta minima suppletiva nel Paese della controllante capogruppo) e 21 (Calcolo e imputazione dell’imposta minima suppletiva), si applichino dagli esercizi che decorrono a partire dal 31 dicembre 2024.
Viene fatto salvo inoltre il contenuto dell’articolo 57, comma 1, che dispone che se l'entità controllante capogruppo di un gruppo multinazionale di imprese è localizzata in uno Stato membro che ha scelto di differire l’applicazione dell’imposta minima integrativa equivalente e dell’imposta minima suppletiva equivalente, secondo quanto previsto nell’articolo 50 della direttiva, che consente agli Stati membri di non applicare tali imposte per sei esercizi finanziari consecutivi che iniziano a decorrere dal 31 dicembre 2023, le imprese di tale gruppo multinazionale localizzate nel territorio dello Stato italiano sono soggette all'importo dell’imposta minima suppletiva assegnato all’Italia, ai sensi dell'articolo 21, per gli esercizi che decorrono a partire dal 31 dicembre 2023.
Articolo 61
(Disposizioni finanziarie)
L’articolo 61 istituisce, al comma 1, un Fondo destinato alla copertura degli interventi di attuazione della delega fiscale di cui alla legge n. 111 del 2023, contiene la copertura finanziaria degli oneri derivanti dalla nuova disciplina in materia di Semplificazione della disciplina delle società estere controllate prevista dall’articolo 3 dello schema di decreto legislativo, e delle disposizioni di cui al comma 1.
In particolare il comma 1 istituisce nello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze un fondo per l’attuazione della delega fiscale con una dotazione di 373,9 milioni di euro per l’anno 2025, 423,7 milioni di euro per l’anno 2026, 428,3 milioni di euro per l’anno 2027, 433,1 milioni di euro per l’anno 2028, 438 milioni di euro per l’anno 2029, 450,1 milioni di euro per l’anno 2030, 463,5 milioni di euro per l’anno 2031, 7,7 milioni di euro per l’anno 2032 e 492,2 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2033.
In particolare la disposizione, al comma 2, quantifica gli oneri derivanti dalla disciplina prevista dall’articolo 3 in a 7,4 milioni di euro nel 2025 e a 4,2 milioni di euro a decorrere dal 2026, prevedendo che essi siano coperti, unitamente alle risorse destinate al Fondo di cui al comma 1, a valere sulle maggiori entrate derivanti dall’articolo 18, concernente la disciplina della imposta minima nazionale.
Articolo 62
(Entrata in vigore)
L’articolo 62 disciplina l’entrata in vigore.
In particolare si prevede che il decreto entri in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana.