Camera dei deputati - Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa) |
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Autore: | Servizio Studi - Dipartimento Finanze |
Titolo: | Delega al Governo per la riforma fiscale |
Riferimenti: | AC N.1038/XIX AC N.75/XIX |
Serie: | Progetti di legge Numero: 96/3 |
Data: | 01/08/2023 |
Organi della Camera: | VI Finanze, Assemblea |
Delega al Governo per la riforma fiscale
A.S. 797-A
1° agosto 2023
Servizio Studi
Ufficio per le ricerche nei settori economico e finanziario
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Dossier n. 80/3
Servizio Studi
Dipartimento Finanze
Tel. 06 6760-9496 - * - st_finanze@camera.it - @CD_finanze
Progetti di legge n. 96/3
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Sintesi delle disposizioni dell’A.S. 797-A
Articolo 1 (Delega al Governo per la revisione del sistema fiscale e i relativi tempi di attuazione)
Articolo 2 (Principi generali del diritto tributario nazionale)
Articolo 3 (Principi generali del diritto tributario dell'Unione europea e internazionale)
Articolo 4 (Revisione dello statuto dei diritti del contribuente)
Articolo 7 (Princìpi e criteri direttivi per la revisione dell’imposta sul valore aggiunto)
Articolo 9 (Altre disposizioni)
Articolo 11 (Revisione della disciplina doganale)
Articolo 12 (Accisa e altre imposte sulla produzione e sui consumi)
Articolo 13 (Tributi regionali)
Articolo 16 (Procedimenti dell’Amministrazione finanziaria e adempimenti dei contribuenti)
Articolo 17 (Procedimenti accertativi, di adesione e compliance)
Articolo 18 (Procedimenti di riscossione e di rimborso)
Articolo 19 (Procedimenti del contenzioso)
Articolo 21 (Testi unici e codificazione della materia tributaria)
Articolo 22 (Disposizioni finanziarie)
Articolo 23 (Clausola di salvaguardia)
Il disegno di legge A.S. 797-A recante «Delega al Governo per la riforma fiscale», di iniziativa governativa e collegato alla legge di bilancio per l'anno 2023-2025, è stato presentato in data 23 marzo 2023, approvato in prima lettura dalla Camera dei deputati (si vedano i lavori preparatori del disegno di legge AC 1038) e trasmesso al Senato il 12 luglio 2023.
Il disegno di legge, come modificato in sede referente dalla 6ª Commissione del Senato, consta di 23 articoli, distribuiti in cinque titoli.
I princìpi generali e la riforma dello statuto del contribuente (artt. 1-4)
Il Titolo I contiene i principi generali e i tempi di esercizio della delega (artt. 1-3) nonché i principi e i criteri direttivi per la riforma dello statuto del contribuente, con particolare riguardo alla disciplina dell’interpello (art. 4).
L'articolo 1, in particolare, delega il Governo ad adottare, entro 24 mesi dalla data di entrata in vigore della legge, uno o più decreti legislativi recanti la revisione del sistema tributario, indicando i principi e criteri direttivi generali e specifici cui deve attenersi la stessa (comma 1), disciplinando le modalità e i termini di esame parlamentare degli schemi di decreto legislativo (commi 2-3) e il meccanismo di slittamento del termine di delega (comma 4), stabilendo le modalità di coordinamento con la normativa vigente e di individuazione delle norme da abrogare (commi 5) e fissando i termini per l'adozione degli eventuali decreti legislativi correttivi (comma 6).
L'articolo 2 individua i seguenti principi generali cui il Governo deve attenersi nell'esercizio della delega: stimolo della crescita economica e alla natalità, prevenzione e riduzione dell'evasione e dell'elusione fiscale attraverso l'aumento dell'efficienza della struttura dei tributi e la riduzione del carico fiscale, razionalizzazione e semplificazione del sistema tributario e revisione degli adempimenti dichiarativi e di versamento per i contribuenti. Si prevede anche un trattamento particolare per gli atti di trasferimento o di destinazione di beni e diritti in favore di persone con disabilità e l'applicazione dei principi e criteri direttivi generali di cui alla legge sul federalismo fiscale.
Nel corso dell'esame presso la Camera dei deputati sono state introdotte alcune specificazioni (come ad esempio un esplicito riferimento al principio di progressività) e precisazioni (ossia i soggetti cui deve essere prioritariamente indirizzato il beneficio fiscale).
Con una modifica apportata in sede referente al Senato, si attribuisce al Governo, nella predisposizione dei decreti delegati il compito di assicurare la piena applicazione dei principi di autonomia finanziaria degli enti territoriali di cui alla legge sul federalismo fiscale (legge 5 maggio 2009, n. 42), al decreto legislativo n. 68 del 2011, recante disposizioni in materia di autonomia di entrata delle regioni a statuto ordinario e delle province, e agli statuti di autonomia per le Regioni a statuto speciale e le Province autonome.
L'articolo 3 reca i princìpi e criteri direttivi di delega per la riforma del sistema fiscale con riferimento agli aspetti internazionali e sovranazionali del sistema tributario, con particolare riferimento all'adeguamento dell'ordinamento tributario nazionale agli standard di protezione dei diritti stabiliti dal diritto dell'Unione europea, alle raccomandazioni OCSE nell'ambito del progetto BEPS (base erosion and profit shifting) contro l'erosione della base imponibile, alla migliore prassi internazionale e alle convenzioni sottoscritte dall'Italia per evitare le doppie imposizioni. Più in dettaglio, la norma individua come ambito di intervento la revisione della disciplina della residenza fiscale delle persone fisiche, delle società e degli enti diversi dalle società come criterio di collegamento personale all'imposizione e come obiettivo quello di promuovere l'introduzione di misure volte a conformare il sistema di imposizione sul reddito a una maggiore competitività sul piano internazionale. Si prevede inoltre il coordinamento di tale disciplina con quella relativa alla stabile organizzazione e quella dei regimi speciali vigenti per i soggetti che trasferiscono la residenza in Italia, anche valutando la possibilità di adeguarla all'esecuzione della prestazione lavorativa in modalità agile (inciso aggiunto nel corso dell'esame dalla Camera).
Sempre per effetto delle modifiche apportate dalla Camera è stato previsto di recepire la direttiva (UE) 2022/2523 del Consiglio, del 14 dicembre 2022, avente ad oggetto la definizione di un livello di imposizione fiscale minimo globale per i gruppi multinazionali di imprese e i gruppi nazionali su larga scala nell'Unione; si prevede poi di semplificare e razionalizzare il regime delle società estere controllate (controlled foreign companies), rivedendo i criteri di determinazione dell'imponibile assoggettato a tassazione in Italia.
L'articolo 4 stabilisce che il Governo, nell'esercizio della delega per la revisione del sistema fiscale, osservi una serie di principi e criteri direttivi per la revisione dello Statuto dei diritti del contribuente tra i quali, oltre al rafforzamento dell'obbligo di motivazione degli atti impositivi, e alla valorizzazione dei principi di legittimo affidamento e di certezza del diritto, rilevano specialmente i principi introdotti in materia di interpelli.
A seguito di una modifica introdotta dalla Camera dei deputati le norme dello Statuto dei diritti del contribuente sono qualificate come princìpi generali dell'ordinamento e criteri di interpretazione adeguatrice della legislazione tributaria.
Nel corso dell'esame presso la Camera sono stati inoltre introdotti due principi di delega: il primo diretto a istituire disciplinare l'istituto della consulenza giuridica, distinguendolo dall'interpello e prevedendone presupposti, procedure ed effetti, assicurando che non ne derivino nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica; il secondo volto a prevedere l'istituzione e la definizione dei compiti del Garante nazionale del contribuente con la contestuale soppressione del Garante del contribuente, operante presso ogni direzione delle entrate regionale e delle province autonome.
I princìpi di riforma concernenti i singoli tributi (artt. 5-15)
Il Titolo II, concernente i tributi, rappresenta la parte più ampia della delega ed è articolato in tre capi. Il Capo I concerne le imposte sui redditi, l’Iva e l’IRAP (artt. 5-8) ed un articolo nel quale confluiscono ulteriori disposizioni sulla materia (art. 9). Il Capo II (artt. 10-12) concerne tutte le altre imposte indirette. Il Capo III riguarda i tributi regionali e locali (artt. 13 e 14), mentre il Capo IV contiene un unico articolo concernente la disciplina dei giochi (art. 15).
L'articolo 5 contiene i principi e i criteri direttivi in materia di IRPEF.
In termini generali si dispone la revisione e la graduale riduzione dell'Irpef, nel rispetto del principio di progressività e tendenzialmente e gradualmente diretto al raggiungimento di un'aliquota unica. Nel riordino delle agevolazioni si deve tenere conto delle relative finalità, con particolare riguardo ad alcuni elementi (tra cui la composizione del nucleo familiare, la tutela del bene casa e della salute, dell'istruzione). Si prevede inoltre il graduale perseguimento della equità orizzontale attraverso, tra l'altro: l'applicazione della stessa area di esenzione fiscale e dello stesso carico impositivo Irpef indipendentemente dalla natura del reddito prodotto; la possibilità del contribuente di dedurre i contributi previdenziali obbligatori. Con le modifiche approvate dalla Camera dei deputati, è stata limitata l'applicazione della cd. flat tax incrementale, originariamente prevista in via generalizzata dal testo del disegno di legge presentato dal Governo, alle retribuzioni corrisposte a titolo di straordinario che eccedono una determinata soglia e sui redditi da lavoro dipendente e assimilati se riferibili alla percezione della tredicesima mensilità ed è stata altresì prevista l'introduzione della medesima tassazione flat, in misura agevolata anche sui premi di produttività.
Specifici principi sono previsti per i redditi agrari con l'obiettivo di favorire ed agevolare l'aggiornamento delle classi e qualità di coltura prevedendo, tra l'altro, un regime di favore per i redditi ottenuti da soggetti titolari di pensione o di redditi modesti che svolgano attività agricole.
Per quanto concerne i redditi dei fabbricati, il disegno di legge indica la possibilità di estendere il regime della cedolare secca agli immobili adibiti ad uso diverso da quello abitativo, qualora, è stato precisato nel corso dell’esame presso la Camera, il conduttore sia un esercente, una attività d'impresa, o di arti e professioni.
Diversi principi e criteri direttivi concernono i redditi di natura finanziaria rispetto ai quali si prevede la creazione di un'unica categoria reddituale (superando quindi la distinzione tra rediti da capitale e redditi diversi), determinando il valore di tali redditi sulla base del principio di cassa e assicurando una più ampia possibilità di compensazione tra componenti positivi e negativi (è stato precisato nel corso dell’esame alla Camera che ciò deve avvenire nel rispetto dell'obiettivo di contenere gli spazi di elusione e di erosione dell'imposta). Viene inoltre prevista l'ipotesi di tassazione sostitutiva di imposte sui redditi e relative addizionali applicabile ai redditi finanziari, e iniziative agevolative e di semplificazione con riferimento ai rendimenti finanziari delle forme previdenziali complementari e per gli enti previdenziali privati.
Con riferimento ai redditi da lavoro dipendente e assimilati, i principi e criteri direttivi prevedono revisione e la semplificazione delle disposizioni riguardanti le somme e i valori esclusi dall'imponibile salvaguardando specifiche finalità.
Per quanto riguarda il lavoro autonomo, nell'ottica di semplificazione e razionalizzazione, si prevede in particolare: il concorso alla formazione del reddito di tutte le somme e i valori in genere, a qualunque titolo conseguiti; l'allineamento del trattamento fiscale degli immobili strumentali, nonché di quelli a uso promiscuo; la riduzione delle ritenute operate sui compensi, nel caso in cui ci si avvalga di dipendenti e collaboratori; la neutralità fiscale delle operazioni di aggregazione e riorganizzazione degli studi professionali.
Per quanto riguarda i redditi d'impresa, il disegno di legge prevede un regime opzionale di tassazione per le imprese in contabilità ordinaria, per favorire la neutralità tra i diversi sistemi di tassazione, mediante l'assimilazione al regime dell'imposta sul reddito delle società e l'assoggettamento ad aliquota proporzionale allineata a quella ordinaria dell'Ires. Sono infine contemplati specifici interventi sui cd. redditi diversi.
L'articolo 5 è stato oggetto di diverse modifiche nel corso dell’esame presso la Camera dei deputati: è stato specificato che, nella revisione e riduzione dell'Irpef, tenuto conto della composizione del nucleo familiare, occorre prendere in considerazione, in particolare, i nuclei familiari in cui sia presente una persona con disabilità; per quanto riguarda la tutela del bene costituito dalla casa, è stato specificato che tale tutela avviene con riferimento: alla casa in proprietà o in locazione; al miglioramento di efficienza energetica e riduzione del rischio sismico cui è stato aggiunto l'obiettivo della rigenerazione urbana e rifunzionalizzazione edilizia, valutando anche le esigenze di tutela, manutenzione e conservazione dei beni culturali; è stato previsto che nella medesima revisione dell'imposta sul reddito delle persone fisiche l'esecutivo abbia riguardo a misure volte a favorire la propensione a stipulare assicurazioni con oggetto il rischio di eventi calamitosi, nonché volte a favorire lo stabile inserimento nel mercato del lavoro dei giovani che non hanno compiuto il trentesimo anno di età. È stato chiarito che i redditi di natura finanziaria, nell'impianto di delega, devono essere inclusi nel reddito complessivo. Inoltre, nell'esercizio della delega il Governo è chiamato a valutare l'introduzione, per un periodo limitato di tempo, di misure idonee a favorire i trasferimenti di residenza nei comuni periferici e ultraperiferici, come individuati dalla Strategia nazionale per le aree interne.
E' stato infine introdotto un principio di delega, con particolare riguardo alle modalità di versamento dell'IRPEF dovuta dai lavoratori autonomi, dagli imprenditori individuali e dai contribuenti a cui si applicano gli indici sintetici di affidabilità fiscale, diretto a prevedere una migliore distribuzione del carico fiscale nel tempo, anche mediante la progressiva introduzione della periodicità mensile dei versamenti degli acconti e dei saldi e un'eventuale riduzione della ritenuta d’acconto ed è stato precisato, con riguardo alla tassazione dei collezionisti di opere d'arte, l'esonero dei medesimi da ogni forma dichiarativa di carattere patrimoniale.
L'articolo 6 reca i princìpi e i criteri direttivi per la revisione del sistema di imposizione sui redditi delle società e degli enti. In sintesi, a seguito delle modifiche introdotte dalla Camera, si prevede, oltre alla semplificazione dell'allineamento tra valori civilistici e fiscali, un doppio regime agevolato rispetto all'Ires ordinaria: accanto all'aliquota ordinaria (attualmente pari al 24%) infatti, in sostituzione del principio di delega originariamente previsto alla lettera a), si prevedono due regimi di vantaggio complementari. Il primo prevede la riduzione dell'aliquota dell'IRES nel caso in cui sia impiegata in investimenti, con particolare riferimento a quelli qualificati, in nuove assunzioni o in schemi stabili di partecipazione dei dipendenti agli utili, una somma corrispondente, in tutto o in parte, al reddito entro i due periodi d'imposta successivi alla sua produzione. La riduzione non si applica al reddito corrispondente agli utili che, nel predetto biennio, sono distribuiti o destinati a finalità estranee all'esercizio dell'attività d'impresa; per le imprese che non beneficiano della riduzione come appena descritta, viene introdotta la possibilità di fruire di eventuali incentivi fiscali riguardanti gli investimenti qualificati, anche attraverso il potenziamento dell'ammortamento, nonché di misure finalizzate all'effettuazione di nuove assunzioni, anche attraverso la possibile maggiorazione della deducibilità dei costi relativi alle medesime. Sono inoltre introdotti specifici principi e criteri direttivi relativi a specifici aspetti contabili (dalla valutazione degli interessi passivi, della disciplina dei conferimenti di azienda, dal regime di compensazione delle perdite fiscali, all'introduzione di un regime speciale, in caso di passaggio dei beni dall'attività commerciale a quella non commerciale e viceversa).
L'articolo 7 reca i princìpi e criteri direttivi specifici per la revisione dell'Iva prevedendo una ridefinizione dei presupposti dell'imposta in modo da renderli più aderenti alla normativa dell'Unione europea, la revisione della disciplina delle operazioni esenti la razionalizzazione del numero e della misura delle aliquote Iva, la revisione della disciplina della detrazione ed alcuni interventi più settoriali (con riferimento al gruppo Iva, terzo settore, importazione di opere d'arte).
L'articolo 8 stabilisce principi e criteri direttivi specifici volti a realizzare il graduale superamento dell'imposta regionale sulle attività produttive, indicando le priorità di attuazione dell'intervento.
L'articolo 9 disciplina diversi ambiti specifici attinenti all'imposizione sui redditi, tra i quali si colloca innanzi tutto la razionalizzazione e la semplificazione dei criteri di determinazione del reddito d'impresa prevedendo inoltre la razionalizzazione degli incentivi alle imprese e della fiscalità di vantaggio; sono stabiliti principi e criteri direttivi con riferimento ai redditi delle imprese che accedono agli istituti disciplinati dal codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza, alle società "di comodo", nonché con riferimento ai regimi agevolativi per gli enti del Terzo settore e alle misure fiscali per gli enti sportivi.
Nel corso dell'esame presso la Camera dei deputati sono stati introdotti tre ulteriori principi di delega: il primo diretto a semplificare e razionalizzare la disciplina della liquidazione ordinaria delle imprese individuali e delle società commerciali; il secondo volto a prevedere al fine di garantire il rafforzamento del processo di avvicinamento dei valori fiscali a quelli civilistici la semplificazione e la razionalizzare la disciplina del codice civile in materia di bilancio, con particolare riguardo alle imprese di minori dimensioni e la previsione della possibilità per i soggetti che adottano i princìpi contabili internazionali IAS/IFRS per il bilancio consolidato, la facoltà di applicarli anche al bilancio di esercizio, salve alcune eccezioni; il terzo volto a favorire lo sviluppo economico del Mezzogiorno e la riduzione del divario territoriale, valutando la semplificazione del sistema di agevolazioni fiscali nei riguardi delle imprese.
Nel corso dell'esame presso la Camera dei deputati è stato infine aggiunto un nuovo principio di delega primo diretto ad introdurre la disciplina fiscale relativa alla scissione societaria parziale. Un ulteriore principio di delega introdotto dalla Camera prevede l'adozione di misure volte a favorire la permanenza in Italia di studenti ivi formati, anche mediante la razionalizzazione degli incentivi per il rientro in Italia di persone ivi formate e occupate all'estero.
L'articolo 10, modificato nel corso dell'esame presso la Camera, specifica i princìpi e i criteri direttivi specifici relativi ai tributi indiretti diversi dall'Iva, con particolare riferimento all'imposta di registro, imposta sulle successioni e donazioni e imposta di bollo.
In particolare, tra gli altri, interventi si prevede di razionalizzare la disciplina dei singoli tributi, anche mediante l'accorpamento o la soppressione di fattispecie imponibili, ovvero mediante la revisione della base imponibile o della misura dell'imposta applicabile nonché di prevedere il sistema di autoliquidazione per l'imposta sulle successioni e per l'imposta di registro.
Nel corso dell'esame alla Camera è stato introdotto uno specifico principio di delega diretto al riordino delle tasse automobilistiche valutando l'eventuale progressivo superamento dell'addizionale erariale sulla tassa automobilistica per le autovetture e gli autoveicoli destinati al trasporto promiscuo di persone e cose, aventi potenza superiore a 185 chilowatt (cosiddetto superbollo);
L'articolo 11 reca i principi e i criteri direttivi specifici a cui il Governo è tenuto ad attenersi per la revisione della disciplina doganale, attraverso il riassetto del quadro normativo in materia doganale, il completamento della telematizzazione delle procedure e degli istituti doganali, il potenziamento dello Sportello unico doganale e dei controlli ed il riordino delle procedure di liquidazione, accertamento, revisione dell'accertamento e riscossione. Si prevede infine la revisione dell'istituto della controversia doganale.
L'articolo 12 reca i princìpi e criteri direttivi per l'attuazione della delega con riferimento alle accise e alle altre imposte indirette sulla produzione e sui consumi. Si prevedono vari principi e criteri direttivi tra i quali la rimodulazione delle aliquote di accisa sui prodotti energetici e sull'energia elettrica e sul teleriscaldamento in modo da tener conto dell'impatto ambientale di ciascun prodotto, la promozione della produzione di energia elettrica, di gas metano o di gas naturale o di altri gas ottenuti da biomasse o altre risorse rinnovabili e la rimodulazione della tassazione sui prodotti energetici impiegati per la produzione di energia elettrica per incentivare l'uso di quelli più compatibili con l'ambiente intervenendo inoltre sulle agevolazioni in materia di accisa sui prodotti energetici, con particolare riferimento ai sussidi ambientalmente dannosi. Specifici principi concernono gli adempimenti relativi ai prodotti alcolici e la revisione della disciplina di applicazione dell'imposta di consumo sugli oli lubrificanti.
Nel corso dell'esame presso la Camera dei deputati è stato introdotto un principio di delega concernente il divieto di vendita a distanza, transfrontaliera o con approvvigionamento transfrontaliero ai consumatori che acquistano nel territorio dello Stato dei prodotti da inalazione contenenti nicotina o preparati allo scopo di consentire l'assorbimento di questa sostanza senza inalazione o combustione. È stato previsto, inoltre, che la consegna dei predetti prodotti in ogni caso avvenga esclusivamente presso una rivendita autorizzata di tabacchi scelta dal consumatore al momento dell'acquisto ovvero presso i soggetti autorizzati alla vendita e per l'approvvigionamento dei prodotti da inalazione senza combustione costituiti da sostanze liquide. Nel corso dell’esame in sede referente al Senato tali ultimi principi sono stati abrogati.
L’articolo 13, introdotto in sede referente al Senato, reca i principi e i criteri direttivi per l’attuazione della delega con riferimento ai tributi regionali. In particolare, si prevede una revisione delle norme del federalismo fiscale regionale (decreto legislativo 6 maggio 2011, n. 68) che rimoduli i meccanismi di intervento, ricorrendo a fonti di finanziamento alternative; attribuisca alle regioni a statuto ordinario le somme a titolo di compartecipazione regionale all’Iva sulla base di specifici criteri, che assicurano l’attuazione del principio di territorialità delle entrate. Tale principio va applicato anche al recupero dell’evasione fiscale; nelle more della ridefinizione della compartecipazione regionale all’Iva, l’aliquota destinata al finanziamento della sanità sia individuata secondo le disposizioni vigenti con D.P.C.M.
Nell’ottica di razionalizzare i tributi regionali, si prevede inoltre di modificare, abrogare ed eventualmente trasformare alcuni tributi propri derivati in tributi propri regionali, ovvero dotati di maggiore autonomia; di semplificare adempimenti e procedimenti tributari, anche attraverso l’eventuale attribuzione alle regioni della facoltà di disciplinarli con proprie leggi.
L’articolo 14, introdotto al Senato, stabilisce principi e criteri direttivi specifici volti a realizzare una revisione del sistema fiscale degli enti locali attraverso un consolidamento dell’autonomia finanziaria; la piena attuazione del federalismo fiscale (anche attraverso meccanismi di compartecipazione a tributi erariali nonché di perequazione territoriale); una razionalizzazione dei tributi e una modernizzazione del sistema di rilevazione dei dati volta a ridurre i fenomeni di evasione ed elusione fiscale; una semplificazione degli adempimenti dichiarativi nonché la revisione del sistema della riscossione delle entrate (anche in riferimento alla vigilanza sui soggetti abilitati ad effettuare l'attività di accertamento; forme di cooperazione che privilegiano l'adempimento spontaneo degli obblighi tributari. La disposizione riconosce, infine, alle province e alle città metropolitane tributi propri e una compartecipazione a un tributo erariale di carattere generale, destinati ad assicurare lo svolgimento delle proprie funzioni fondamentali.
L'articolo 15, contenente i principi e i criteri direttivi in materia di giochi, conferma innanzitutto il modello organizzativo del sistema dei giochi basato sul regime concessorio e autorizzatorio. Reca inoltre i princìpi e criteri direttivi per il riordino delle disposizioni vigenti in materia di giochi pubblici, con specifico riguardo, tra l'altro, alla tutela dei soggetti maggiormente vulnerabili e alla prevenzione dei fenomeni di disturbi da gioco d'azzardo, alla dislocazione territoriale degli esercizi, ai requisiti soggettivi e di onorabilità dei soggetti concessionari e dei loro partner commerciali, alla crisi del rapporto concessorio, alla riserva statale nella organizzazione ed esercizio dei giochi, al prelievo erariale, alla partecipazione degli enti locali al procedimento di autorizzazione e di pianificazione, alle regole di rilascio delle licenze, alla disciplina dei controlli e dell'accertamento dei tributi, alla qualificazione e alla responsabilità degli organismi di certificazione degli apparecchi da intrattenimento. Nel corso dell'esame presso la Camera dei deputati sono stati introdotti due principi di delega: il primo volto a prevedere l'impiego di forme di comunicazione del gioco legale coerenti con l'esigenza di tutela dei soggetti più vulnerabili; il secondo contenente la previsione dell'accesso, da parte dei soggetti pubblici e privati che svolgono attività di prevenzione e cura della patologia da gioco d'azzardo, ai dati concernenti la diffusione territoriale, la raccolta, la spesa e la tassazione dei giochi autorizzati di qualsiasi tipologia e classificazione.
I principi di riforma concernenti i procedimenti tributari e il contenzioso (artt. 14-18)
Il Titolo III attiene alla disciplina delle procedure di definizione dell’imponibile, accertamento, riscossione e contenzioso (capo I, artt. 16-19) e le sanzioni (Capo II, art. 20).
L’articolo 16, modificato nel corso dell’esame al Senato, contiene i principi e i criteri direttivi generali relativi alla revisione generale degli adempimenti tributari, anche relativamente ai tributi degli enti territoriali individuando, al comma 1, undici principi e criteri direttivi concernenti l’introduzione di misure per la semplificazione degli obblighi dichiarativi e di versamento (lettere a), b), e), f), g), m); interventi diretti a favorire l’accesso ai servizi dell’amministrazione finanziaria (lettere , h), i) e l)); misure dirette a rafforzare la posizione dei cittadini nel rapporto con l’amministrazione finanziaria (lettera c), d), p), r)) ed interventi concernenti l’amministrazione finanziaria (n), o), q), s)). Il comma 2 esclude che i principi sopra elencati concernano le accise e le altre imposte indirette sulla produzione e sui consumi e individua due principi concernenti specificamente il riordino della disciplina delle cauzioni in materia di accisa e la revisione delle procedure amministrative per la gestione della rete di vendita dei prodotti del tabacco.
L’articolo 17, modificato nel corso dell’esame in sede referente al Senato, indica principi e criteri direttivi specifici per la revisione dell’attività di accertamento. Le norme di delega prevedono misure di semplificazione del procedimento accertativo e un’applicazione generalizzata del procedimento del contraddittorio. In particolare, la disposizione delega al Governo il compito di disciplinare il diritto al contraddittorio in modo omogeneo, quali che siano le modalità di svolgimento del controllo, concedendo anche al contribuente un termine non inferiore a 60 giorni per le eventuali osservazioni. Al legislatore delegato è, altresì, demandato il compito di obbligare l’ente impositore a motivare espressamente sulle osservazioni formulate dal contribuente.
Viene previsto, inoltre, il riordino delle norme in materia di analisi delle posizioni di rischio fiscale e l’utilizzo sempre maggiore delle tecnologie digitali (anche supportate dall’intelligenza artificiale).
Il legislatore delegato è tenuto a realizzare un potenziamento e una semplificazione del regime dell’adempimento collaborativo (anche attraverso maggiori meccanismi premiali e la riduzione della soglia di ingresso al regime), nonché a introdurre per i soggetti di minori dimensioni la possibilità di accedere a un concordato preventivo biennale. Con alcune norme introdotte al Senato vengono altresì riconosciuti dei vantaggi fiscali nei confronti dei contribuenti il cui sistema integrato di rilevazione, misurazione, gestione e controllo del rischio fiscale è certificato da professionisti qualificati.
Altre norme sono rivolte ad assicurare una maggiore certezza del diritto tributario anche attraverso la diminuzione degli aggravi degli oneri amministrativi previsti per il contribuente.
L’articolo 18 reca i principi e i criteri direttivi specifici per una revisione del sistema nazionale della riscossione che assicuri una maggiore efficacia, imparzialità ed efficienza.
Tra le principali misure che il legislatore delegato dovrà assumere si segnalano: una pianificazione annuale delle procedure di recupero da concordare con Ministero dell’economia e delle finanze-MEF; il discarico automatico, al 31 dicembre del quinto anno successivo a quello dell’affidamento, delle quote non riscosse; la salvaguardia del diritto di credito, mediante il tempestivo tentativo di notifica della cartella di pagamento, non oltre il nono mese successivo a quello di affidamento del carico; la revisione della disciplina della responsabilità dell’agente della riscossione; la determinazione dei criteri di individuazione delle quote automaticamente discaricate in ciascun anno da sottoporre al controllo.
La riforma dovrà prevedere, inoltre, l’incremento dell’utilizzo delle più evolute tecnologie e l’interoperabilità dei sistemi, la modifica delle condizioni di accesso ai piani di rateazione, il progressivo superamento dello strumento del ruolo e della cartella di pagamento.
La delega dovrà altresì essere esercitata per superare l’attuale separazione tra l’Agenzia delle entrate, titolare della funzione della riscossione, e l’Agenzia delle entrate-Riscossione, soggetto che svolge le attività di riscossione.
L’articolo 19, modificato in sede referente al Senato, reca i princìpi e i criteri direttivi a cui il Governo è chiamato ad attenersi nell’esercitare la delega conferita per la revisione della disciplina e dell’organizzazione dei processi tributari.
Con l’articolo 20, modificato in sede referente al Senato, si impegna il Governo ad osservare una serie di princìpi e criteri direttivi specifici per la revisione del sistema sanzionatorio tributario, amministrativo e penale, in materia di imposte sui redditi, di imposta sul valore aggiunto di altri tributi erariali indiretti e di tributi degli enti territoriali.
Riordino e codificazione della normativa tributaria e profili finanziari (artt. 19-20)
Il Titolo IV contiene i principi e i criteri direttivi relativi al riordino della normativa tributaria e alla codificazione (art. 21).
L'articolo 21 reca la delega per la codificazione della normativa fiscale e detta i princìpi e i criteri direttivi che il Governo è chiamato a seguire per un riordino organico delle disposizioni che regolano il sistema fiscale mediante la redazione di testi unici e di un vero e proprio codice tributario.
Il Titolo V contiene le disposizioni finanziarie e finali (art. 22) e la clausola di salvaguardia (art. 23).
L'articolo 22 reca le disposizioni riguardanti gli oneri derivanti dalle norme di delega e le relative coperture finanziarie. Anche sulla base di quanto indicato dalla relazione tecnica, le norme di delega non comportano oneri immediati per la finanza pubblica. Viceversa la realizzazione della riforma attraverso gli specifici decreti legislativi che il Governo intenderà adottare, qualora comporti dei costi per la finanza pubblica, dovrà trovare copertura secondo modalità specificamente indicate dalla norma medesima.
L’articolo 23, introdotto nel corso dell'esame in sede referente al Senato, prevede che le disposizioni recate dal provvedimento in esame sono applicabili nelle regioni a statuto speciale e nelle province autonome di Trento e di Bolzano compatibilmente con i rispettivi statuti e le relative norme di attuazione (comma 1). In sede di attuazione della delega di cui all’articolo 1, il Governo, nel caso di perdita di gettito delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome, promuove intese nel rispetto dei principi in materia di copertura finanziaria delle leggi (comma 2).
Le iniziative dirette alla predisposizione di una riforma fiscale nelle legislature precedenti
Nel corso delle ultime due legislature sono state intraprese alcune iniziative di riforma del sistema fiscale.
In particolare nel corso della XVII legislatura la legge 11 marzo 2014, n. 23 ha conferito una delega al Governo per la realizzazione di un sistema fiscale più equo, trasparente e orientato alla crescita.
In attuazione della predetta delega sono stati adottati provvedimenti concernenti, tra l’altro: semplificazioni fiscali e dichiarazione dei redditi precompilata; tassazione dei tabacchi lavorati; composizione, attribuzioni e funzionamento delle Commissioni censuarie; fatturazione elettronica e trasmissione telematica delle operazioni Iva; norme sulla certezza del diritto nei rapporti tra fisco e contribuente; misure per la crescita e l’internazionalizzazione delle imprese; una revisione della disciplina degli interpelli e del contenzioso tributario; una revisione della disciplina dell’organizzazione delle agenzie fiscali; una revisione del sistema sanzionatorio; misure per la semplificazione e razionalizzazione delle norme in materia di riscossione; stima e monitoraggio dell’evasione fiscale e monitoraggio e riordino delle disposizioni in materia di erosione fiscale. Il 27 giugno 2015 è scaduto il termine per l’attuazione della delega. Sono dunque rimaste inattuate o parzialmente attuate, tra le altre, le norme concernenti la revisione del catasto dei fabbricati, fatta salva la riforma delle commissioni censuarie; la revisione della riscossione degli enti locali e dell’imposizione sui redditi di impresa; la razionalizzazione dell’Iva e di altre imposte indirette, la revisione della disciplina dei giochi pubblici e il rilancio del settore ippico; la revisione della fiscalità energetica e ambientale.
Nel corso della XVIII Legislatura è stato approvato dal Governo un disegno di legge di delega per la riforma del sistema fiscale il 5 ottobre 2021 (anche a esito dei lavori delle Commissioni Finanze di Camera e Senato, che hanno condotto congiuntamente una articolata indagine conoscitiva). Il disegno di legge è stato trasmesso alla Camera dei deputati il 29 ottobre 2021, che ne ha concluso l’esame il 22 giugno 2022 trasmettendolo al Senato (A.S. 2651). Tuttavia, a seguito della conclusione anticipata della legislatura, il disegno di legge non ha concluso il suo iter. Alcune delle misure auspicate nelle conclusioni dell’indagine conoscitiva e riportate come principi di delega sono state attuate in via legislativa, in particolare con la legge di bilancio 2022 (ad esempio la revisione delle aliquote Irpef, il parziale superamento dell’Irap nonché un parziale maggiore integrazione tra l’Agenzia delle entrate e l’Agenzia delle entrate-Riscossione).
Articolo 1
(Delega al Governo per la revisione del sistema fiscale
e i relativi tempi di attuazione)
L’articolo 1, modificato nel corso dell’esame parlamentare, delega il Governo ad adottare, entro 24 mesi dalla data di entrata in vigore della legge, uno o più decreti legislativi recanti la revisione del sistema tributario, indicando i principi e criteri direttivi generali e specifici cui deve attenersi la stessa (comma 1), disciplinando le modalità e i termini di esame parlamentare degli schemi di decreto legislativo e le modalità di coinvolgimento delle autonomie regionali e locali (commi 2-3) e il meccanismo di slittamento del termine di delega (comma 4), stabilendo le modalità di coordinamento con la normativa vigente e di individuazione delle norme da abrogare (commi 5) e fissando i termini per l’adozione degli eventuali decreti legislativi correttivi (comma 6).
In particolare il comma 1, modificato nel corso dell’esame alla Camera, stabilisce che i decreti legislativi, adottati su proposta del Ministro dell’economia e delle finanze, e, per quanto di competenza, del Ministro per gli affari regionali e per le autonomie, di concerto con i Ministri competenti per materia, si conformino ai princìpi costituzionali (sull’interpretazione da parte della Corte costituzionale dei principi di cui all’articolo 53 si veda infra) nonché al diritto dell'Unione europea e internazionale e siano adottati sulla base dei principi e i criteri direttivi generali di cui agli articoli 2 e 3, e dei princìpi e criteri direttivi specifici di cui agli articoli da 4 a 18 – a seguito di modifiche apportate dalla Camera.
I commi 2 e 3 disciplinano l’esame parlamentare degli schemi di decreto legislativo e le modalità di trasmissione degli stessi alle regioni e agli enti locali.
Con riferimento al ruolo di Regioni ed enti locali si dispone innanzi tutto che gli schemi siano trasmessi per l'espressione dell’intesa ai sensi dell'articolo 3 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, alla Conferenza unificata (come previsto da un emendamento approvato in Senato. Il testo originario del disegno di legge faceva riferimento esclusivamente ad un parere), ove tali schemi siano suscettibili di produrre effetti nei confronti delle Regioni e degli enti locali. Qualora, a seguito dei pareri parlamentari, il Governo non osservi le prescrizioni dell'Intesa in Conferenza unificata, ha l'obbligo di relazione alla medesima (anche tale inciso è stato introdotto nel corso dell’esame in Senato).
Per quanto riguarda la trasmissione al Parlamento si prevede che le Commissioni competenti per la materia e per i profili finanziari (come precisato durante l’esame alla Camera) esaminino gli schemi nel termine di trenta giorni (è da intendersi che i 30 giorni decorrano dalla data di assegnazione alle Commissioni competenti per l’esame).
Gli schemi in questione devono essere corredati di relazione tecnica redatta - come precisato in sede di esame alla Camera - ai sensi dell’articolo 17, commi 2 e 3, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, che indica altresì gli effetti che ne derivano sul gettito, anche per i tributi degli enti territoriali e per la relativa distribuzione territoriale, e sulla pressione tributaria a legislazione vigente, nonché della relazione sull'analisi dell'impatto della regolamentazione.
Si stabilisce altresì che, nel caso di schemi suscettibili di produrre effetti nei confronti delle Regioni e degli enti locali, la trasmissione ha luogo dopo l’espressione dell’intesa da parte della Conferenza unificata e, comunque, entro trenta giorni.
Le Commissioni possono richiedere una proroga di ulteriori 20 giorni, in ragione della complessità della materia da trattare o per il numero dei decreti legislativi. Decorsi tali termini il decreto può essere adottato. Qualora il Governo non intenda conformarsi ai pareri parlamentari, i testi sono nuovamente trasmessi alle Camere con le osservazioni del Governo stesso ed eventuali modificazioni, corredate dai necessari elementi integrativi di informazione e motivazione.
Il termine per la conclusione di questo secondo esame parlamentare è di 10 giorni dalla trasmissione dei testi medesimi e, anche in tal caso, decorso questo termine il Governo può adottare i decreti.
Il comma 4 disciplina il meccanismo di “scorrimento” dei termini di delega previsti dai commi 1 (24 mesi dall’entrata in vigore della legge in commento, per l’emanazione dei decreti legislativi attuativi) e 6 (24 mesi con riferimento all’emanazione di decreti legislativi correttivi, decorrente dall’entrata in vigore dell’ultimo dei decreti legislativi di cui al comma 1, ovvero dalla scadenza dei termini di cui ai commi 1 e 4). Si prevede che qualora i termini per l'espressione dei pareri parlamentari di cui ai commi 2 e 3 scadano nei trenta giorni che precedono la scadenza dei termini di delega sopra indicati, ovvero successivamente, questi ultimi sono prorogati di novanta giorni.
Il comma 5 precisa le modalità secondo le quali i decreti legislativi dovranno essere costruiti tecnicamente: si prevede che le modifiche in essi contenute debbano integrarsi nei testi normativi che disciplinano le singole materie, modificandone o integrandone il contenuto ed abrogando espressamente le norme incompatibili e garantendo il coordinamento formale e sostanziale tra i decreti legislativi adottati ai sensi della presente legge e le altre leggi dello Stato.
Il comma 6, infine, prevede che entro 24 mesi dall’entrata in vigore dell’ultimo dei decreti legislativi previsti dalle disposizioni della legge in commento ovvero dalla scadenza del termine di cui ai commi 1 e 4, nel rispetto dei principi e criteri direttivi indicati nella legge e secondo le modalità procedurali quivi previste, il Governo sia delegato ad adottare uno o più decreti legislativi contenenti disposizioni correttive o integrative dei decreti legislativi emanati.
Articolo 2
(Principi generali del diritto tributario nazionale)
L’articolo 2, modificato nel corso dell’esame parlamentare, individua i principi generali, riferiti nella rubrica della disposizione all’ordinamento tributario nazionale, cui il Governo deve attenersi nell’esercizio della delega: stimolo della crescita economica e alla natalità attraverso l'aumento dell'efficienza della struttura dei tributi e la riduzione del carico fiscale (lettera a), prevenzione, contrasto (riferimento aggiunto nel corso dell’esame alla Camera) e riduzione dell’evasione e dell’elusione fiscale (lettera b), razionalizzazione e semplificazione del sistema tributario (lettera d) e revisione degli adempimenti dichiarativi e di versamento per i contribuenti (lettera e) attribuendo al Governo la possibilità di predisporre tavoli tecnici con le associazioni di categoria e dei professionisti per la predisposizione dei decreti legislativi in attuazione dei principi di cui alle lettere d) ed e). Si prevedono inoltre e un trattamento particolare per gli atti di trasferimento o di destinazione di beni e diritti in favore di persone con disabilità (lettera f)) e la piena applicazione dei principi di autonomia finanziaria degli enti territoriali di cui alla legge sul federalismo fiscale (lettera g)). Tale ultimo principio è stato oggetto di novella nel corso dell’esame al Senato.
Nel corso dell’esame alla Camera è stato inserito, alla lettera a), un riferimento al rispetto dei principi di progressività e di equità del sistema tributario e sono state indicate alcune categorie di soggetti a beneficio dei quali devono prioritariamente essere indirizzate le misure dirette all'aumento dell'efficienza della struttura dei tributi e alla riduzione del carico fiscale. È stato introdotto, alla lettera b), un esplicito riferimento al contrasto (oltre che alla riduzione, già presente ne testo) dell’evasione fiscale.
È stato infine introdotto un nuovo principio di delega (comma 1, lettera c), che prevede che possano essere destinati alla compensazione della riduzione della pressione fiscale le risorse, accertate come permanenti derivanti dal miglioramento dell'adempimento spontaneo degli obblighi tributari ed è stato integrato il novero dei soggetti cui il Governo può chiamare ai fini della costituzione dei tavoli tecnici relativi alla formulazione dei decreti delegati.
In particolare la lettera a), a seguito delle modifiche introdotte dalla Camera, individua come principio generale della delega fermi restando i princìpi della progressività e dell'equità del sistema tributario quello di stimolare la crescita economica e la natalità attraverso l'aumento dell'efficienza della struttura dei tributi e la riduzione del carico fiscale, soprattutto al fine di sostenere le famiglie, in particolare quelle in cui sia presente una persona con disabilità, i giovani che non hanno compiuto il trentesimo anno di età, i lavoratori e le imprese.
La lettera b) individua come obiettivo la prevenzione, il contrasto e la riduzione di evasione ed elusione fiscale individuando alcune linee di intervento fondamentali:
· la piena utilizzazione dei dati che affluiscono al sistema informativo dell'anagrafe tributaria;
· il potenziamento dell'analisi del rischio;
· il ricorso alle tecnologie digitali e alle soluzioni di intelligenza artificiale, nel rispetto della disciplina eurounitaria sulla tutela dei dati personali;
· il rafforzamento del regime di adempimento collaborativo;
· l'aggiornamento e l'introduzione di istituti, anche premiali, volti a favorire forme di collaborazione tra l'Amministrazione finanziaria e i contribuenti;
· il pieno utilizzo dei dati resi disponibili dalla fatturazione elettronica e dalla trasmissione telematica dei corrispettivi;
· la piena realizzazione dell’intertoperabilità delle banche dati, sempre nel rispetto della disciplina eurounitaria sulla tutela dei dati personali.
La lettera c), introdotta dalla Camera, prevede che possano essere destinati alla compensazione della riduzione della pressione fiscale le risorse, accertate come permanenti derivanti dal miglioramento dell'adempimento spontaneo degli obblighi tributari.
La lettera d) prevede come principio al quale deve attenersi il Governo nell’esercizio della delega quello della razionalizzazione e della semplificazione del sistema tributario, anche con riferimento:
1. a un utilizzo efficiente dei dati ottenuti attraverso lo scambio di informazioni;
2. all'individuazione e all'eliminazione di micro-tributi che presentano un rapporto tra costi elevati a fronte di un gettito trascurabile per lo Stato (adottando le opportune misure compensative, anziché indicando le relative compensazioni di gettito, secondo quanto previsto un emendamento approvato nel corso dell’esame alla Camera);
3. alla normativa fiscale degli enti del terzo settore e di quelli non commerciali assicurando il coordinamento con le altre disposizioni dell'ordinamento tributario nel rispetto dei principi di mutualità, sussidiarietà e solidarietà;
la lettera e) individua come principio di delega quello di rivedere gli adempimenti dichiarativi e di versamento a carico dei contribuenti prevedendo:
· la riduzione degli oneri documentali anche rafforzando il divieto per l'Amministrazione finanziaria di richiedere al contribuente documenti già in suo possesso (principio dello once only);
· nuove e più efficienti forme di erogazione di informazioni e di assistenza e percorsi facilitati di accesso ai servizi per le persone anziane o con disabilità.
La lettera f) individua come principio quello di assicurare un trattamento particolare per gli atti di trasferimento o di destinazione di beni e diritti in favore di persone con disabilità, fermo restando quanto previsto dagli articoli 5 e 6 della legge 22 giugno 2016, n. 112 contenente le disposizioni in materia di assistenza in favore delle persone con disabilità grave prive del sostegno familiare.
L’articolo 5 della legge n.112 del 2016 modificando l’articolo 15 del TUIR in materia di detrazioni per oneri ha elevato a euro 750 la detrazione relativa ai premi per assicurazioni aventi per oggetto il rischio di morte finalizzate alla tutela delle persone con disabilità grave. L’articolo 6 disciplina l’esenzione dall’imposta di successione e donazione i beni e i diritti conferiti in trust ovvero gravati da vincoli di destinazione ovvero destinati a fondi speciali istituiti in favore delle persone con disabilità grave, indicandone limiti e condizioni. Con riferimento al trasferimento di tali beni e diritti si prevede inoltre che le imposte di registro, ipotecaria e catastale si applicano in misura fissa. La medesima disposizione prevede ulteriori specifici benefici fiscali con riguardo agli atti concernenti i beni destinati alle finalità su indicate.
La lettera g) il cui testo è stato profondamente modificato nel corso dell’esame in Senato, attribuisce al Governo, nella predisposizione dei decreti delegati il compito di assicurare la piena applicazione dei principi di autonomia finanziaria degli enti territoriali di cui alla legge sul federalismo fiscale (legge 5 maggio 2009, n. 42), al decreto legislativo n. 68 del 2011, recante disposizioni in materia di autonomia di entrata delle regioni a statuto ordinario e delle province, e agli statuti di autonomia per le Regioni a statuto speciale e le Province autonome, con riferimento:
· ai principi generali di cui all’articolo 2, comma 2, lettera t) della legge n. 42 del 2009, che prevede l’esclusione di interventi sulle basi imponibili e sulle aliquote dei tributi che non siano del proprio livello di governo.
Nel caso in cui i predetti interventi siano effettuati dallo Stato sulle basi imponibili e sulle aliquote riguardanti i tributi degli enti locali e quelli propri derivati delle regioni, istituiti e regolati da leggi statali, il cui gettito è attribuito alle regioni ovvero con riferimento alle addizionali regionali sulle basi imponibili dei tributi erariali, essi sono consentiti a parità di funzioni amministrative conferite, solo se prevedono la contestuale adozione di misure per la completa compensazione tramite modifica di aliquota o attribuzione di altri tributi e previa quantificazione finanziaria delle predette misure nella Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica.
· al principio di manovrabilità dei tributi di cui all’articolo 7;
l’articolo 7, comma 1, lettera c), della legge sul federalismo fiscale dispone in relazione ai tributi propri derivati, istituiti e regolati da leggi statali, il cui gettito è attribuito alle regioni, che le regioni, con propria legge, possono modificare le aliquote e disporre esenzioni, detrazioni e deduzioni nei limiti e secondo criteri fissati dalla legislazione statale e nel rispetto della normativa comunitaria; per le addizionali sulle basi imponibili dei tributi erariali, le regioni, con propria legge, possono introdurre variazioni percentuali delle aliquote delle addizionali e possono disporre detrazioni entro i limiti fissati dalla legislazione statale.
La lettera e) del medesimo comma precisa che il gettito dei tributi regionali derivati e le compartecipazioni al gettito dei tributi erariali sono senza vincolo di destinazione.
· del principio di flessibilità dei tributi di cui all’articolo 12;
L’articolo 12, comma 1, lettera a), dispone che la legge statale stabilisce, garantendo una adeguata flessibilità, le aliquote di riferimento valide per tutto il territorio nazionale per i tributi propri di comuni e finanze.
Tali principi devono essere rispettati in termini almeno equivalenti rispetto a quanto previsto dalla normativa statale vigente (lettera g), n. 1).
Con la nuova formulazione della lettera g) sono inoltre previsti i seguenti principi:
· l'attribuzione dei gettiti da recupero fiscale su tributi e compartecipazioni (n. 2);
· l'attuazione del principio di neutralità, ai fini dell’attuazione del federalismo fiscale, della riduzione dei trasferimenti alle regioni a statuto ordinario disposta dall'articolo 39, comma 3, del decreto legislativo 6 maggio 2011, n. 68 in tema di federalismo fiscale regionale; tale attuazione deve avvenire compatibilmente con gli equilibri di finanza pubblica (n. 3).
Il richiamato articolo 39, comma 3 dispone che le riduzioni di risorse spettanti alle regioni a statuto ordinario (disposte ai sensi dell'articolo 14, comma 2, del decreto-legge n. 78 del 2010, successivamente modificato e integrato nel tempo) non devono essere considerate – in origine a decorrere dal 2012 - ai fini dell’attuazione del federalismo fiscale (e, dunque, ai fini della fiscalizzazione dei trasferimenti alle regioni medesime). La norma del D. Lgs. n. 68 specifica che ciò deve avvenire compatibilmente con gli obiettivi di finanza pubblica concordati in sede europea, nonché, in applicazione del codice di condotta per l'aggiornamento del Patto di stabilità e crescita, con il leale e responsabile concorso dei diversi livelli di governo per il loro conseguimento anno per anno;
· la partecipazione agli indirizzi di politica fiscale, tramite la Conferenza per il coordinamento della finanza pubblica (n. 4);
· lo sviluppo dell'interoperabilità delle banche dati del sistema informativo della fiscalità per la gestione e l'accertamento dei tributi delle regioni, di cui all'articolo 7, comma 1, lettera b) della legge n. 42 del 2009 (n. 5). Ai sensi della richiamata norma, per tributi delle regioni si intendono: i tributi propri derivati, istituiti e regolati da leggi statali, il cui gettito è attribuito alle regioni; le addizionali sulle basi imponibili dei tributi erariali; i tributi propri istituiti dalle regioni con proprie leggi in relazione ai presupposti non già assoggettati ad imposizione erariale;
· l’opportunità di considerare le eventuali perdite di gettito rispetto a quanto previsto a legislazione vigente ai fini dell'adeguatezza dei servizi relativi ai livelli essenziali delle prestazioni, nonché al servizio del trasporto pubblico locale, in conformità ai principi della giurisprudenza costituzionale e della legge 31 dicembre 2009, n. 196 (n. 6);
· la garanzia della previsione di meccanismi perequativi, in conformità ai principi di cui all'articolo 9 della legge n. 42 del 2009, che individua princìpi e criteri direttivi in ordine alla determinazione dell'entità e del riparto del fondo perequativo a favore delle regioni, con riferimento in particolare all'attuazione delle previsioni di cui all'articolo 15 del decreto legislativo 6 maggio 2011, n. 68, relativo all’assetto del federalismo fiscale regionale a regime. Per ulteriori informazioni si rinvia al sito web della documentazione parlamentare, con particolare riferimento alla finanza regionale (n. 7).
Il comma 2 autorizza il Governo a costituire - per la predisposizione degli schemi dei decreti legislativi - appositi tavoli tecnici tra l'Amministrazione finanziaria e, nel testo originario del disegno di legge, le associazioni di categoria e dei professionisti ai fini di quanto previsto al comma 1, lettere d) ed e) a condizione che ai componenti dei predetti tavoli non siano corrisposti compensi, gettoni di presenza, rimborsi spese, né altri emolumenti a carico della finanza pubblica.
Nel corso dell’esame alla Camera sono stati introdotti tra i soggetti che possono essere chiamati ai tavoli tecnici anche le organizzazioni sindacali e le associazioni familiari maggiormente rappresentative. Il criterio della maggiore rappresentatività è stato inoltre esteso anche alle associazioni di categoria e dei professionisti.
Nel corso dell’esame al Senato è stato previsto che a tali soggetti si aggiungano anche gli enti territoriali.
Il comma 3 dispone che per la predisposizione dei decreti legislativi l’Amministrazione finanziaria si coordina con la Segreteria tecnica della Cabina di regia per la determinazione dei LEP a tal fine supportata dal Nucleo PNRR Stato-Regioni per la cura dell’attività istruttoria con le Regioni, le Province Autonome di Trento e Bolzano e gli enti locali, nel contesto della riforma del quadro fiscale subnazionale prevista dal PNRR.
La riforma del quadro fiscale subnazionale (prevista nella Missione 1, Componente 1, del PNRR - riforma 1.14) consiste nel completamento del federalismo fiscale previsto dalla legge n. 42 del 2009, con l'obiettivo di migliorare la trasparenza delle relazioni fiscali tra i diversi livelli di governo, assegnare le risorse alle amministrazioni subnazionali sulla base di criteri oggettivi e incentivare un uso efficiente delle risorse medesime. La riforma, il cui completamento è previsto entro marzo 2026, dovrà definire in particolare i parametri applicabili e attuare il federalismo fiscale per le regioni a statuto ordinario e per le province e le città metropolitane.
Si ricorda, inoltre, che la legge di bilancio per il 2023 ha previsto l’accelerazione del processo di determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni (LEP) concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, in vista, in particolare, dell’attribuzione di forme e condizioni particolari di autonomia alle Regioni a statuto ordinario (ai sensi dell’art. 116, comma 3, della Costituzione). A tal fine è stata istituita, presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, una Cabina di regia per la determinazione dei LEP, presieduta dal Presidente del Consiglio dei ministri e costituita dai Ministri competenti nelle materie coinvolte, dal presidente della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, dal presidente dell’UPI e dal presidente dell’ANCI. Nel caso in cui la Cabina di regia non riesca a concludere le proprie attività nei termini stabiliti, si prevede la nomina di un Commissario (legge n. 197 del 2022, commi 791-798). Il successivo comma 799 ha istituito, presso il Dipartimento per gli affari regionali e le autonomie della Presidenza del Consiglio dei ministri, una Segreteria tecnica quale struttura di supporto della Cabina di regia per la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni (LEP).
Il Nucleo PNRR Stato-Regioni è stato istituito dall'articolo 33 del decreto-legge n. 152 del 2021 al fine di fornire al Dipartimento per gli affari regionali e le autonomie il supporto tecnico per la realizzazione delle attività di competenza volte ad attuare le riforme e gli investimenti previsti dal PNRR. Si segnala che il decreto-legge n. 13 del 2023 (in corso di conversione al Senato) prevede la riorganizzazione con D.P.C.M., da emanare entro sessanta giorni dalla conversione, di determinate strutture della Presidenza del Consiglio, tra le quali anche il Nucleo PNRR Stato-Regioni (art. 1, comma 3).
Il comma 4 stabilisce che il Governo assicura, nella predisposizione dei decreti legislativi piena collaborazione con le Regioni e gli enti locali.
Articolo 3
(Principi generali del diritto tributario
dell'Unione europea e internazionale)
L’articolo 3, modificato durante l’esame alla Camera, reca i princìpi e criteri direttivi di delega per la riforma del sistema fiscale con riferimento agli aspetti internazionali e sovranazionali del sistema tributario.
In sintesi, nell’esercizio della delega il Governo è tenuto:
· ad adeguare i principi dell'ordinamento tributario nazionale ai livelli di protezione dei diritti stabiliti dal diritto dell'Unione europea;
· assicurare la coerenza dell'ordinamento interno con le raccomandazioni OCSE nell'ambito del progetto BEPS (base erosion and profit shifting) contro l’erosione della base imponibile;
· garantire la revisione della disciplina della residenza fiscale delle persone fisiche, delle società e degli enti diversi dalle società come criterio di collegamento personale all'imposizione;
· promuovere l’introduzione di misure volte a conformare il sistema di imposizione sul reddito a una maggiore competitività sul piano internazionale, anche tramite la concessione di incentivi all’investimento o al trasferimento di capitali in Italia per la promozione di attività economiche sul territorio italiano.
Con le modifiche apportate dalla Camera, è stato precisato che, con riferimento alla residenza fiscale, deve altresì essere valutata la possibilità di adeguarne la disciplina all'esecuzione della prestazione lavorativa in modalità agile.
Sempre per effetto delle modifiche alla Camera è stato previsto di recepire la direttiva (UE) 2022/2523 del Consiglio, del 14 dicembre 2022, avente ad oggetto la definizione di un livello di imposizione fiscale minimo globale per i gruppi multinazionali di imprese e i gruppi nazionali su larga scala nell'Unione; si prevede poi di semplificare e razionalizzare il regime delle società estere controllate (controlled foreign companies), rivedendo i criteri di determinazione dell'imponibile assoggettato a tassazione in Italia.
Nella Relazione illustrativa di accompagnamento dell’A.C. 1038, il Governo chiarisce che le norme proposte intendono consentire l’adeguamento del sistema tributario nazionale alle migliori pratiche nel rispetto degli obblighi assunti dall’Italia.
Più in dettaglio, ai sensi della lettera a) del comma 1 il Governo è delegato ad adeguare i principi dell'ordinamento tributario nazionale ai livelli di protezione dei diritti stabiliti dal diritto dell'Unione europea, tenendo conto dell’evoluzione della giurisprudenza eurounitaria in materia tributaria.
Il Trattato sul Funzionamento dell’Unione europea non prevede l’attribuzione all’Unione europea una competenza generale nel settore tributario. L’unico aspetto rilevante per l’Unione europea è legato all’esigenza che il mercato interno sia unico e che quindi gli interventi fiscali dei singoli Paesi non possano creare elementi distorsivi della concorrenza. Per questa ragione, l’articolo 110 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea vieta agli Stati membri l’imposizione di tributi doganali o imposte indirette sui consumi nei confronti di altri Stati membri, vietando altresì l’istituzione di tributi generali sui consumi (essendo l’unico tributo generale sui consumi l’Iva, che presenta una disciplina armonizzata a livello europeo). Al Consiglio dell’Unione europea è consentita, ai sensi dell’articolo 113 del Trattato di intervenire per disporre l’armonizzazione delle legislazioni relative alle imposte sulla cifra d'affari, alle imposte di consumo ed altre imposte indirette, nella misura in cui detta armonizzazione sia necessaria per assicurare l'instaurazione ed il funzionamento del mercato interno ed evitare le distorsioni di concorrenza.
L’articolo 114 esclude l’applicazione della procedura ordinaria per il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia fiscale mentre l’articolo 115 consente al Consiglio, che deliberi all'unanimità secondo una procedura legislativa speciale e previa consultazione del Parlamento europeo e del Comitato economico e sociale, di emanare direttive volte al ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati membri che abbiano un'incidenza diretta sull'instaurazione o sul funzionamento del mercato interno (anche quindi in materia fiscale). Infine l’articolo 194 prevede che il Consiglio, deliberando secondo una procedura legislativa speciale, all'unanimità e previa consultazione del Parlamento europeo, stabilisce le misure principalmente di natura fiscale necessarie per conseguire gli obiettivi di garantire il funzionamento del mercato dell'energia, la sicurezza del relativo approvvigionamento, promuovere il risparmio energetico, l'efficienza energetica e lo sviluppo di energie nuove e rinnovabili e promuovere l'interconnessione delle reti energetiche. Presenta infine, un impatto sulla materia fiscale il potere di controllo dell’Unione europea sugli aiuti di Stato alle imprese che possono ben consistere nell’utilizzo di strumenti fiscali.
Al riguardo si ricorda che l’Unione Europea, in seno ai predetti principi, ha adottato o sta adottando iniziative – anche di natura legislativa – in materia fiscale che si riflettono sulle legislazioni degli Stati membri (in particolare con riferimento alla base imponibile delle società, sulla tassazione dei servizi digitali, sulla riforma dell’Iva). Per informazioni ulteriori si rinvia al dossier generale sulla tassazione.
La lettera b) intende assicurare la coerenza dell'ordinamento interno con le raccomandazioni OCSE nell'ambito del progetto BEPS (base erosion and profit shifting), nel rispetto dei principi giuridici dell'ordinamento italiano e di quello dell'Unione europea.
Per Base Erosion and Profit Shifting (BEPS) si intende l'insieme di strategie di natura fiscale che talune imprese pongono in essere per erodere la base imponibile (base erosion) e dunque sottrarre imposte al fisco. La traslazione dei profitti (profit shifting) da paesi ad alta imposizione a paesi a tassazione nulla o ridotta è, di fatto, essa stessa una strategia che conduce all'erosione della base imponibile. Tali pratiche sono consentite: da strategie fiscali aggressive in contesti ad alto tasso di innovazione, digitalizzazione e globalizzazione; dalla rigidità dei sistemi fiscali a fronte di una estrema "flessibilità dei redditi di impresa"; dalla possibilità di scindere l'imposizione delle fonti reddituali dalle attività economiche che le generano; dall'assenza di coordinamento e dalla presenza di asimmetrie tra i diversi regimi fiscali nazionali ad esempio in termini di un difforme trattamento (a fini fiscali) delle componenti di bilancio di impresa (e.g. interessi, dividendi, ecc.) e di una valutazione non uniforme delle voci reddituali associate a transazioni intra-gruppo e non.
L’OCSE e il G20 nel 2015 hanno dato vita al progetto congiunto su "Base Erosion and Profit Shifting" (cd. Progetto BEPS), i cui risultati forniscono ai governi un sistema di soluzioni per colmare le lacune presenti nei sistemi fiscali vigenti che, di fatto, fanno sì che i profitti aziendali possano sfuggire all'imposizione fiscale oppure essere dirottati, senza tener conto del luogo dove l'attività economica sottostante ha luogo, in contesti nazionali a bassa o nulla tassazione. Dunque il progetto BEPS si inserisce nell'ambito di azioni per contrastare le politiche di pianificazione fiscale aggressiva e per evitare lo spostamento di base imponibile dai Paesi ad alta fiscalità verso altri con pressione fiscale bassa o nulla da parte delle imprese multinazionali, puntando a stabilire regole uniche e trasparenti condivise a livello internazionale.
Il pacchetto BEPS prevede 15 azioni che dotino i governi degli strumenti nazionali e internazionali necessari per affrontare l'elusione fiscale. Il pacchetto di azioni BEPS comprende nuovi standard minimi in materia di: scambio di informazioni tra paesi, con l'obiettivo di fornire, per la prima volta, alle amministrazioni finanziare un quadro globale delle strategie implementate dalle imprese multinazionali; abuso (uso) dei trattati, per porre fine allo sfruttamento delle società-veicolo con finalità elusive; limitazione alle pratiche fiscali dannose, in particolare nel settore della proprietà intellettuale; scambio automatico di informazioni in sede di accordi fiscali tra multinazionali e paesi (ruling); accordi tra amministrazioni fiscali al fine di evitare che le azioni di contrasto alla doppia-non-imposizione si traducano in una doppia tassazione.
Inoltre il Pacchetto BEPS rivede le linee guida in tema di transfer pricing con l'obiettivo di impedire il ricorso alle cd. cash box per sottrarre base imponibile al fisco e ridefinisce il concetto di stabile organizzazione per porre un freno alle pratiche di erosione della base imponibile rese possibili dalla previgente nozione.
I rapporti presentati contengono raccomandazioni volte a introdurre modificazioni nelle legislazioni fiscali nazionali, nel modello OCSE di Convenzione Fiscale (cd. Modello OCSE) e nelle linee guida sul transfer pricing.
In questo quadro assume particolare importanza il Quadro inclusivo sul progetto BEPS che consente ai paesi e alle giurisdizioni interessate di collaborare con i membri dell'OCSE e del G20 allo sviluppo di standard sulle questioni relative al progetto e di rivedere e monitorare l'attuazione del pacchetto.
L'implementazione degli standard minimi BEPS è di particolare importanza, e ciascuno di questi è oggetto di un processo di peer review che valuta l'implementazione da parte di ciascun membro e fornisce chiare raccomandazioni per il miglioramento. Le revisioni tra pari degli standard minimi BEPS sono uno strumento essenziale per garantire l'effettiva attuazione del pacchetto BEPS. Oltre di 135 giurisdizioni partecipano oggi al Quadro inclusivo sull’iniziativa BEPS.
La lettera c) chiarisce che la riforma deve garantire la revisione della disciplina della residenza fiscale delle persone fisiche, delle società e degli enti diversi dalle società come criterio di collegamento personale all'imposizione. Tale revisione deve avvenire per rendere coerente il criterio della residenza fiscale con la migliore prassi internazionale e con le convenzioni sottoscritte dall'Italia per evitare le doppie imposizioni, nonché coordinarla con la disciplina della stabile organizzazione e dei regimi speciali vigenti per i soggetti che trasferiscono la residenza in Italia.
Con le modifiche apportate dalla Camera è stato precisato che, con riferimento alla residenza fiscale, deve altresì essere valutata la possibilità di adeguarne la disciplina all'esecuzione della prestazione lavorativa in modalità agile.
Con riferimento alle convenzioni sottoscritte dall’Italia per evitare le doppie imposizioni si segnala che dalla banca dati del MAECI sui trattati internazionali risultano circa 396 trattati in tema di “doppie imposizioni”.
In ragione di ciò andrebbe valutata l’opportunità di precisare in cosa consistano gli eventuali difetti di coerenza relativi al criterio della residenza fiscale delle persone fisiche, delle società e degli enti diversi dalle società, quale criterio di collegamento personale all'imposizione, rispetto alla migliore prassi internazionale e alle convenzioni sottoscritte dall'Italia per evitare le doppie imposizioni.
Con riguardo a tale tematica si ricorda altresì che l’impatto economico e il volume d’affari derivante dall’e-commerce internazionale, nonché la fornitura di servizi telematici privi di localizzazione fisica hanno richiesto una revisione della base imponibile e, in particolare, del concetto di stabile organizzazione, per adeguarlo alla nuova realtà socioeconomica. Al contempo, tali esigenze hanno sollecitato le istituzioni internazionali a ricercare specifici accordi per uniformare le basi imponibili e, dunque, per limitare la concorrenza fiscale tra Paesi ed evitare la costituzione di veri e propri paradisi fiscali. È stato da più parti segnalato, infatti, che il mancato coordinamento delle politiche fiscali ha portato a livello mondiale a una intensa concorrenza fiscale (tax competition) tra paesi, che ha generato una progressiva riduzione negli ultimi decenni dei livelli di tassazione sui profitti delle società. Questo calo nel livello della tassazione ha causato perdite di entrate tra i paesi che va ben al di là della perdita dovuta alla vera e propria elusione. Al riguardo si segnala che, sebbene l’imposizione diretta sia di competenza degli Stati membri, negli ultimi anni l’UE ha introdotto misure armonizzate, alcune delle quali modificate di recente, allo scopo di garantire un sistema fiscale equo e trasparente e contrastare l'evasione e l'elusione fiscali. Si rinvia al dossier generale sulla tassazione per ulteriori informazioni.
Con riferimento alla base imponibile, il dibattito nazionale sull’imposta ha riguardato principalmente il concetto di stabile organizzazione, presupposto necessario per l’assoggettamento a tassazione dei redditi in Italia. La legge di bilancio 2018 (legge n. 205 del 2017) ha apportato significative modifiche alla disciplina della stabile organizzazione e ai criteri per la sua determinazione, rideterminando le tradizionali categorie della stabile organizzazione materiale e personale, per allentare il nesso tra presenza fisica di un'attività nel territorio dello Stato e assoggettabilità alla normativa fiscale. In particolare, è stata introdotta la possibilità di ravvisare una stabile organizzazione in Italia anche nel caso di significativa e continuativa presenza economica nel territorio dello Stato costruita in modo tale da non fare risultare una sua consistenza fisica nel territorio dello stesso (nuovo articolo 162, comma 2, lettera f-bis) del TUIR).
Per quanto riguarda invece i regimi speciali per i soggetti che trasferiscono la residenza in Italia, nel corso degli ultimi anni si sono succedute diverse misure volte ad attrarre risorse umane nel Paese, prevedendo agevolazioni condizionate al trasferimento della residenza: si segnala qui il regime speciale per lavoratori impatriati (D. Lgs. n. 147 del 2015, più volte modificato nel tempo), che ha previsto sostanziali riduzioni Irpef per i lavoratori che, non essendo stati residenti in Italia nei cinque periodi di imposta precedenti, trasferiscano la residenza nel territorio dello Stato. Tale regime è stato rafforzato dalla legge di bilancio 2021 che ha consentito di usufruire dell’allungamento temporale del regime fiscale agevolato anche ai soggetti che hanno trasferito la residenza in Italia prima dell'anno 2020; la legge di bilancio 2022, dall’altro lato, ha ampliato l'operatività della disciplina delle agevolazioni fiscali per il rientro in Italia di docenti e ricercatori (articolo 1, comma 763 della legge n. 234 del 2021).
La lettera d) delega il Governo a promuovere l’introduzione di misure volte a conformare il sistema di imposizione sul reddito a una maggiore competitività sul piano internazionale, nel rispetto dei criteri previsti dalla normativa eurounitaria e dalle raccomandazioni predisposte dall’OCSE. Nel rispetto della disciplina europea sugli aiuti di Stato e dei principi sulla concorrenza fiscale non dannosa, tali misure possono includere anche la concessione di incentivi all’investimento o al trasferimento di capitali in Italia per la promozione di attività economiche sul territorio italiano. In relazione ai suddetti incentivi devono essere previste misure idonee a prevenire ogni forma di abuso.
Al riguardo si ricorda che nel report periodico presentato dal segretario generale dell’OCSE al G20 e ai governatori delle banche centrali, riuniti in India lo scorso febbraio, sono stati ricapitolati i principali interventi in materia fiscale ed è stato fatto il punto sui risultati conseguiti.
Si ricorda al riguardo che l’8 ottobre 2021 è stato raggiunto un importante accordo in sede OCSE/G20, sottoscritto da più di 100 giurisdizioni, su una soluzione a due pilastri per affrontare le sfide fiscali derivanti dalla digitalizzazione dell'economia. Il primo pilastro intende garantire una più equa distribuzione dei profitti e dei diritti di tassazione fra i Paesi in cui operano le grandi imprese multinazionali, incluse le grandi aziende digitali, ripartendo il diritto di tassazione tra i Paesi in cui esse svolgono attività commerciali e realizzano profitti, indipendentemente dal fatto che vi abbiano o meno una presenza fisica. Il nuovo regime si applica alle grandi imprese multinazionali (escluse quelle che operano nel settore estrattivo e nel settore finanziario regolamentato) aventi un fatturato globale superiore a 20 miliardi di euro e redditività (rapporto utili ante tassazione-ricavi) superiore al 10%. In pratica, il 25% dei profitti oltre il margine del 10% verranno riattribuiti ai Paesi dove le grandi multinazionali vendono i loro prodotti e forniscono i loro servizi, indipendentemente dalla presenza fisica nel territorio, e potranno essere tassati dai paesi stessi. Il secondo pilastro cerca di contrastare il dumping fiscale, ossia lo spostamento dei profitti laddove le aliquote fiscali sono più basse o inesistenti, attraverso l’introduzione di un’aliquota minima globale (global minimum tax) pari al 15% sulle società multinazionali, comprese quelle che operano nell’economia digitale, con ricavi superiori a 750 milioni di euro l’anno. Secondo uno studio presentato il 18 gennaio 2023 dagli esperti dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, il gettito fiscale complessivo mondiale potrebbe aumentare di circa 220 miliardi di dollari mediante l’applicazione del secondo pilastro.
Il menzionato report del segretario generale dell’OCSE tratta anche la tematica dello scambio automatico di informazioni (Aeoi), riferendo che nel 2021 sono state scambiate informazioni su 111 milioni di conti finanziari: le amministrazioni fiscali hanno così incassato oltre 114 miliardi di euro fra tasse, sanzioni e interessi.
Sul fronte della cooperazione internazionale nel contrasto ai crimini fiscali il punto di riferimento per l’Ocse è la “Raccomandazione sui dieci principi globali per la lotta alla criminalità fiscale”, approvata dal Consiglio dei Ministri dell’Organizzazione nel giugno del 2022. Questa raccomandazione – chiarisce il report presentato al G20 – offre il primo standard globale completo in materia di contrasto ai reati tributari, attraverso l'individuazione delle dieci fondamentali strutture giuridiche, istituzionali, amministrative e operative necessarie per prevenire efficacemente, rilevare, indagare e perseguire i reati fiscali e recuperare i proventi di quei crimini.
?Nel corso dell’esame presso l’altro ramo del Parlamento sono state inoltre introdotti ulteriori principi di delega con le lettere e) ed f).
Innanzi tutto, con la lettera e) si prevede di recepire la direttiva (UE) 2022/2523 del Consiglio, del 14 dicembre 2022, avente ad oggetto la definizione di un livello di imposizione fiscale minimo globale per i gruppi multinazionali di imprese e i gruppi nazionali su larga scala nell'Unione, seguendo altresì l'approccio comune condiviso a livello internazionale in base alla guida tecnica dell'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico sull'imposizione minima globale.
Viene precisato l’obiettivo di introdurre, tra l'altro, un'imposta minima nazionale dovuta in relazione a tutte le imprese, localizzate in Italia, appartenenti a un gruppo multinazionale o nazionale e soggette a una bassa imposizione (numero 1) e un regime sanzionatorio, conforme a quello vigente in materia di imposte sui redditi, per la violazione degli adempimenti riguardanti l'imposizione minima dei gruppi multinazionali e nazionali di imprese e un regime sanzionatorio effettivo e dissuasivo per la violazione dei relativi adempimenti informativi (numero 2).
Si ricorda a tal proposito che l’articolo 53 della direttiva 2022/2523/UE prevede che il recepimento della stessa debba essere effettuato entro il 31 dicembre 2023.
Il secondo principio di delega, introdotto alla lettera f), prevede di semplificare e razionalizzare il regime delle società estere controllate (controlled foreign companies), rivedendo i criteri di determinazione dell'imponibile assoggettato a tassazione in Italia e coordinando tale disciplina con quella attuativa della lettera e).
L’accordo OCSE sulla tassazione delle imprese multinazionale a livello globale e la direttiva (UE) 2022/2523
La direttiva (UE) 2022/2523, intesa a garantire un livello di imposizione fiscale minimo globale per i gruppi multinazionali di imprese e i gruppi nazionali su larga scala nell'Unione è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea il 22 dicembre 2022. Tale direttiva dà seguito al “secondo pilastro” dell’accordo raggiunto in sede OCSE/G20, sottoscritto da 139 giurisdizioni, su una soluzione a due pilastri per affrontare le sfide fiscali derivanti dalla digitalizzazione dell'economia.
A tal proposito si ricorda che il primo pilastro dell’Accordo sopra ricordato intende garantire una più equa distribuzione dei profitti e dei diritti di tassazione fra i Paesi in cui operano le grandi imprese multinazionali, incluse le grandi aziende digitali, ripartendo il diritto di tassazione tra i Paesi in cui esse svolgono attività commerciali e realizzano profitti, indipendentemente dal fatto che vi abbiano o meno una presenza fisica.
Il nuovo regime si applicherà alle grandi imprese multinazionali (escluse quelle che operano nel settore estrattivo e nel settore finanziario regolamentato) aventi un fatturato globale superiore a 20 miliardi di euro e redditività (rapporto utili ante tassazione-ricavi) superiore al 10%. In pratica, il 25% dei profitti oltre il margine del 10% verranno riattribuiti ai Paesi dove le grandi multinazionali vendono i loro prodotti e forniscono i loro servizi, indipendentemente dalla presenza fisica nel territorio, e potranno essere tassati dai paesi stessi. L'elemento fondamentale di questo pilastro sarà una convenzione multilaterale su cui sono in corso i lavori tecnici in sede OCSE/G20.
Per ulteriori elementi informativi si rinvia alla pagina web tematica dell’OCSE.
A livello di Unione Europea, in merito al recepimento del primo pilastro, la proposta di decisione COM(2021)570 ha l’obiettivo di introdurre una nuova risorsa propria dell’UE consistente nell'applicazione di un'aliquota uniforme di prelievo del 15% alla quota degli utili residui delle imprese multinazionali riassegnata agli Stati membri (a norma della direttiva sull'attuazione dell'accordo globale sulla ridistribuzione dei diritti di imposizione che la Commissione stessa dovrebbe presentare). La proposta è esaminata secondo la procedura di consultazione. Il Parlamento europeo ha adottato la sua risoluzione sulla proposta lo scorso novembre. Si attende ora l’adozione da parte del Consiglio, che deve avvenire all’unanimità, e la successiva ratifica da parte di tutti gli Stati membri.
Con riferimento all’attuazione del secondo pilastro invece l’Unione europea è intervenuta come detto con la direttiva 2022/2523/UE.
Essa ricalca l’accordo sul secondo pilastro e determina pertanto le modalità tramite le quali i principi dell’aliquota fiscale effettiva del 15% saranno applicati nell’UE a qualsiasi grande gruppo, multinazionale (come nell’intesa) ma anche nazionale, presente in uno Stato membro, che abbia un fatturato consolidato di almeno 750 milioni di euro. La direttiva deve essere recepita nelle legislazioni nazionali degli Stati membri entro la fine del 2023.
La direttiva poggia su due regole, tra loro collegate, volte ad assicurare una tassazione minima effettiva in ogni giurisdizione in cui l’impresa opera (c.d. regole GloBE - Global Anti-Base Erosion rules): 1) la Income Inclusion Rule (IIR), regola di inclusione del reddito, la quale presuppone che, nell’ambito di un gruppo societario, l’entità controllante versi un’imposta integrativa per compensare l’imposizione effettiva inferiore al 15% scontata dalle entità costitutive nelle giurisdizioni a bassa fiscalità. Nell’ambito di tale sistema, l’entità controllante localizzata in uno Stato membro ha l’obbligo di applicare l’IIR proporzionalmente alla sua partecipazione al reddito di ciascuna entità del gruppo a bassa imposizione, sia essa localizzata nell’Unione o no; 2) la undertaxed profit rule (UTPR), regola sui profitti a bassa imposizione, cui si ricorre nel caso in cui non operi la IIR. Essa può concretizzarsi nella negazione della deduzione di componenti negativi di reddito, oppure in un meccanismo equivalente di aggiustamento delle imposte dovute (come ad esempio il disconoscimento di un beneficio fiscale), quando imprese appartenenti allo stesso gruppo multinazionale sono localizzate in giurisdizioni dove scontano una tassazione effettiva inferiore a quella minima. Ciò fa sì che aumenti il reddito imponibile, con un conseguente incremento dell’imposta fino all’ammontare equivalente a quello delle entità del gruppo residenti in giurisdizioni che invece hanno introdotto le regole GloBE (“UTPR Top-up Tax”). L’UTPR dovrebbe fungere da sostegno all’IIR attraverso la re-imputazione di un eventuale importo residuo dell’imposta integrativa nei casi in cui le entità controllanti non abbiano riscosso l’intero importo dell’imposta integrativa relativa alle entità a bassa imposizione attraverso l’IIR.
Articolo 4
(Revisione dello statuto dei diritti del contribuente)
L’articolo 4, come modificato durante l’esame alla Camera in prima lettura, stabilisce che il Governo, nell’esercizio della delega per la revisione del sistema fiscale, osservi una serie di principi e criteri direttivi per la revisione dello Statuto dei diritti del contribuente, con particolare riferimento alla disciplina del diritto di interpello. Inoltre l’articolo 4, a seguito di una modifica apportata dalla Camera, crea la nuova figura del Garante Nazionale del Contribuente.
Lo Statuto dei diritti del contribuente di cui alla legge n. 212 del 2000, comunemente chiamato in forma abbreviata Statuto del contribuente, insieme agli articoli 3, 23, 57 e 97 della Costituzione rappresenta uno dei fondamentali riferimenti nell’ordinamento italiano per quanto riguarda i principi generali della normativa in materia tributaria
Nel testo dell’articolo 4 della delega al Governo in commento, viene definito “legge generale tributaria”.
Lo Statuto del contribuente nella sua versione vigente è formato da 21 articoli.
La più recente modificazione consiste nell’aggiunta all’articolo 6 (Conoscenza degli atti e semplificazione) di un comma 5-bis concernente l’esercizio di attività istruttorie di controllo nei confronti del contribuente del cui avvio lo stesso sia stato informato.
L’articolo 1 - ai suoi commi 1 e 2 - reca principi generali. Il comma 1 dell’articolo stesso afferma che “le disposizioni della presente legge, in attuazione degli articoli 3, 23, 53 e 97 della Costituzione, costituiscono princìpi generali dell’ordinamento tributario e possono essere derogate o modificate solo espressamente e mai da leggi speciali”; il comma 2 stabilisce che l’adozione di norme interpretative in materia tributaria può essere disposta soltanto in casi eccezionali e con legge ordinaria, e i commi 3 e 4 impegnano regioni a statuto ordinario, regioni a statuto speciale, province autonome di Trento e Bolzano ed enti locali ad adeguarsi alle disposizioni e ai principi dello Statuto. L’auto-qualificazione di norma attuativa di taluni articoli della Costituzione, presente nel comma 1 dell’articolo 1 dello Statuto, determina una particolare collocazione nella gerarchia delle fonti del diritto e, stando alla sentenza della Sezione Tributaria della Cassazione datata 10 dicembre 2002, n. 17576) conferisce una “superiorità assiologica” ai principi della legge 212/2000. Di conseguenza, in dottrina è stato sostenuto che “le disposizioni dello Statuto possono fungere da ausilio interpretativo nella lettura degli stessi articoli della Costituzione in esso richiamati e i suoi principi possono e debbono rivestire la funzione di un canone ermeneutico vincolante per l’interprete”.
L’articolo 2 stabilisce alcuni principi attinenti essenzialmente alla chiarezza della norma tributaria prevedendo che:
· le leggi e gli altri atti aventi forza di legge che contengono disposizioni tributarie devono menzionarne l’oggetto nel titolo; la rubrica delle partizioni interne e dei singoli articoli deve menzionare l’oggetto delle disposizioni ivi contenute.
· le leggi e gli atti aventi forza di legge che non hanno un oggetto tributario non possono contenere disposizioni di carattere tributario, fatte salve quelle strettamente inerenti all’oggetto della legge medesima;
· i richiami di altre disposizioni contenuti nei provvedimenti normativi in materia tributaria si fanno indicando anche il contenuto sintetico della disposizione alla quale si intende fare rinvio;
· le disposizioni modificative di leggi tributarie debbono essere introdotte riportando il testo conseguentemente modificato.
L’articolo 3, che verte sull’efficacia temporale delle norme tributarie, dispone che, in linea generale, le disposizioni tributarie non hanno effetto retroattivo. Relativamente ai tributi periodici, le modifiche introdotte si applicano solo a partire dal periodo d’imposta successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore delle disposizioni che le prevedono. In ogni caso, le disposizioni tributarie non possono prevedere adempimenti a carico dei contribuenti la cui scadenza sia fissata anteriormente al sessantesimo giorno dalla data della loro entrata in vigore o dell’adozione dei provvedimenti di attuazione in esse espressamente previsti. I termini di prescrizione e di decadenza per gli accertamenti di imposta non possono essere prorogati.
L’articolo 4, comma unico, vieta di disporre con decreto-legge l’istituzione di nuovi tributi nonché di prevedere l’applicazione di tributi esistenti ad altre categorie di soggetti.
L’articolo 11 dello Statuto del contribuente disciplina il diritto di interpello.
Si segnala che, nella relazione illustrativa di accompagnamento dell’A.C. 1038, il Governo precisa che le modificazioni prefigurate dall’articolo in esame sono funzionali al corretto dispiegarsi del diritto al contraddittorio come riconosciuto dalla giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea (9 novembre 2017, C-198/16, Ispas; 16 ottobre 2019, C-189/18, Glencore).
L’articolo 4 della delega in esame reca numerosi principi e criteri direttivi specifici da seguire ai fini della revisione dello Statuto del contribuente. Riguardo a tale Statuto, un emendamento approvato alla Camera stabilisce che le sue disposizioni costituiscono principi generali dell’ordinamento e criteri di interpretazione adeguatrice della legislazione tributaria.
L’introduzione della locuzione “interpretazione adeguatrice” comporta che, nel dubbio, le norme di legislazione tributaria vadano interpretate nella maniera meglio corrispondente ai principi dello Statuto.
I principi e criteri direttivi specifici da seguire ai fini della revisione dello Statuto del contribuente sono suddivisi in nove categorie, a ciascuna delle quali corrisponde una lettera del comma unico dell’articolo 4.
Ai sensi della lettera a) va rafforzato l’obbligo di motivazione degli atti impositivi, anche mediate indicazione delle prove sulle quali si basa la pretesa.
Si ricorda che secondo il vigente articolo 7 dello Statuto del Contribuente, gli atti dell’amministrazione finanziaria sono motivati secondo quanto prescritto dall’articolo 3 della legge n. 241 del 1990, concernente la motivazione dei provvedimenti amministrativi, indicando i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’amministrazione. Inoltre, sempre secondo l’articolo 7 dello Statuto del contribuente, gli atti dell’amministrazione finanziaria e dei concessionari della riscossione devono tassativamente indicare l’ufficio competente in merito all’atto contestato, il responsabile del procedimento, l’organo o autorità presso cui si può promuovere un riesame, modalità e termini di ricorsi di atti impugnabili, riferimenti all’eventuale precedente atto di accertamento ovvero, in mancanza, la motivazione della pretesa tributaria.
La lettera b) prevede che il Governo nell’attuazione della delega valorizzi il principio del legittimo affidamento del contribuente e il principio di certezza del diritto.
Il principio del legittimo affidamento del contribuente è già presente nell’articolo 10 della versione vigente dello Statuto del contribuente. Esso afferma, tra l’altro, che i rapporti tra contribuente e amministrazione finanziaria sono improntati al principio della collaborazione e della buona fede, si dispone che non siano irrogate sanzioni né richiesti interessi moratori al contribuente qualora egli si sia conformato a indicazioni contenute in atti dell’amministrazione finanziaria, o qualora il suo comportamento risulti posto in essere a seguito di fatti direttamente conseguenti a ritardi, omissioni od errori dell’amministrazione stessa, si vieta l’irrogazione di sanzioni quando la violazione dipende da obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione della norma tributaria o quando la violazione è meramente formale e non dà origine ad alcun debito di imposta.
La lettera c), articolata in quattro numeri, interessa la disciplina degli interpelli.
A tal fine, il numero 1 della lettera c) fissa come principio quello di promuovere la riduzione del ricorso all’istituto dell’interpello incrementando l’emanazione di provvedimenti interpretativi di carattere generale, creando una casistica delle fattispecie di abuso tenendo conto delle proposte pervenute attraverso pubbliche consultazioni. Nella stessa ottica, è previsto che i provvedimenti interpretativi di cui sopra siano elaborati anche a seguito di interlocuzioni con ordini professionali, con enti di categoria e con altri soggetti.
Il numero 2 della lettera c) indica come principio di delega quello di rafforzare i divieti di presentazione degli interpelli, che saranno ammessi solo per questioni che non trovano soluzione nei documenti interpretativi emanati.
Il numero 3 della lettera c), fissa come principio applicabile alle persone fisiche e ai contribuenti di minori dimensioni, la limitazione dell’interpello ai casi nei quali non sia possibile ottenere risposte scritte mediante servizi di interlocuzione rapida.
Il numero 4 della lettera c) prevede che nella disciplina delegata il Governo subordini la presentazione di interpelli al versamento di un contributo. Il gettito derivante dai versamenti in esame è espressamente destinato al finanziamento della specializzazione e della formazione professionale continua del personale delle Agenzie fiscali.
Nella relazione illustrativa di accompagnamento dell’A.C. 1038, il Governo specifica che la razionalizzazione dell’interpello, di cui all’articolo 11 della legge n. 212 del 2000, dovrà essere realizzata innanzitutto incrementando l’emanazione di provvedimenti interpretativi di carattere generale che inquadrino in modo sistematico e completo la materia interessata, in modo tale da prevenire le richieste dei contribuenti e, conseguentemente, ridurre il ricorso al detto istituto. Tali provvedimenti interpretativi dovranno, tra l’altro, individuare in modo specifico le situazioni che generano casi di abuso del diritto di cui all’articolo 10-bis della legge n. 212 del 2000.
Assume particolare importanza, al fine di agevolare il raggiungimento di tale obiettivo, la prevista interlocuzione con gli ordini professionali, con le associazioni di categoria e gli altri enti esponenziali di interessi collettivi, nonché l’esame delle proposte pervenute attraverso pubbliche consultazioni.
Sempre al fine di ridurre il numero degli interpelli presentati dai contribuenti, è stabilito:
- il rafforzamento del principio, già previsto nel comma 4 del detto articolo 11, in base al quale all’istituto in esame può essere fatto ricorso soltanto in assenza di documenti interpretativi già emanati in merito al caso di specie. Tale rafforzamento potrà essere assicurato anche mediante il coinvolgimento dei professionisti e degli altri intermediari fiscali autorizzati;
- la presentazione delle istanze di interpello, da parte delle persone fisiche e dei contribuenti di minori dimensioni, soltanto dopo aver verificato l’impossibilità di ottenere risposte scritte mediante servizi di interlocuzione rapida, realizzati anche attraverso l’utilizzo di tecnologie digitali e di intelligenza artificiale;
- il versamento di un contributo graduato in relazione alla tipologia del contribuente o al valore della questione.
Attualmente il versamento di un’analoga commissione è stabilito, nell’articolo 31-ter del D.P.R. n. 600 del 1973, per l’ammissibilità delle richieste di accordi preventivi per le imprese con attività internazionale. Il gettito derivante dai versamenti in esame è espressamente destinato al finanziamento della specializzazione e della formazione professionale continua del personale delle Agenzie fiscali, che dovrà essere intensificata e potenziata. Il qualificato impegno del suddetto personale riveste, infatti, fondamentale importanza al fine di assicurare il rispetto dei principi del legittimo affidamento del contribuente e della certezza del diritto.
Con lettera d), aggiunta al comma 1 dell’articolo 4 durante l’esame alla Camera, si impegna il Governo a disciplinare l’istituto della consulenza giuridica, la quale sarà distinta dall’interpello. Nella norma delegata saranno previsti presupposti, procedure ed effetti della consulenza giuridica e si assicurerà che da quest’ultima non deriveranno oneri nuovi o maggiori per la finanza pubblica.
La lettera e) dell’articolo 4 prevede l’elaborazione di una disciplina generale del diritto di accesso agli atti del procedimento tributario.
Con la lettera f) si prevede di applicare alla disciplina degli interpelli tributari un principio largamente adottato dall’ordinamento in altri settori: il principio del contraddittorio, pena la nullità.
Alla lettera g), si prevede una disciplina generale delle invalidità degli atti impositivi e degli atti della riscossione.
La lettera h) prescrive il potenziamento del diritto di autotutela, attraverso la sua estensione alle ipotesi in cui si tratti di errori manifesti anche se l’atto è definitivo. Nei medesimi casi, sarà possibile impugnare il diniego ovvero il silenzio da parte dell’amministrazione. La responsabilità nel giudizio amministrativo-contabile dinanzi alla Corte dei conti sarà limitata alla sola condotta dolosa.
La lettera i), infine, introdotta durante l’esame alla Camera, istituisce la figura del Garante Nazionale del Contribuente. Creando un nuovo Garante, di livello nazionale a differenza dei già esistenti Garanti del Contribuente di livello regionale, si rafforzerà il sistema di tutele a protezione del contribuente. Il Garante Nazionale del Contribuente sarà un organo monocratico, che riceverà un incarico di durata quadriennale, rinnovabile per una volta sola. Egli avrà piena autonomia economica e funzionale e sarà dotato di una struttura idonea. I poteri del nuovo Garante non soltanto corrisponderanno a livello nazionale a quelli che lo Statuto del Contribuente, al suo articolo 13, conferisce ai Garanti di livello regionale; in casi di particolare rilevanza in cui si fossero verificate situazioni negative nei rapporti tra il contribuente e l’amministrazione, il Garante Nazionale potrà fornire indicazioni vincolanti per l’amministrazione stessa al fine di ripristinare con la massima solerzia un rapporto con il contribuente improntato a certezza del diritto, trasparenza, affidamento e buona fede.
Il Decreto Legislativo n. 156 del 2015 (riforma degli interpelli e del contenzioso tributario), modificando lo Statuto del contribuente (articolo 11 della legge n. 212 del 2000), ha disciplinato quattro diverse tipologie di interpello:
· ordinario, riguardante l’applicazione delle disposizioni tributarie, quando vi sono condizioni di obiettiva incertezza sulla corretta interpretazione delle disposizioni ovvero sulla corretta qualificazione di fattispecie (cosiddetto interpello qualificatorio), e non siano comunque attivabili le procedure relative all’accordo preventivo per le imprese con attività internazionale e all’interpello sui nuovi investimenti (previsti dal D. Lgs. n. 147 del 2015, si veda oltre);
· probatorio, concernente la sussistenza delle condizioni e la valutazione della idoneità degli elementi probatori richiesti dalla legge per l’adozione di specifici regimi fiscali nei casi espressamente previsti;
· antiabuso, sull’applicazione della disciplina sull’abuso del diritto ad una specifica fattispecie;
· disapplicativo, per la disapplicazione di norme tributarie che, allo scopo di contrastare comportamenti elusivi, limitano deduzioni, detrazioni, crediti d’imposta, o altre posizioni soggettive del soggetto passivo altrimenti ammesse dall’ordinamento, fornendo la dimostrazione che nella particolare fattispecie tali effetti elusivi non possono verificarsi. Tale ultima tipologia è di carattere obbligatorio, ferma restando la possibilità per il contribuente, qualora non sia stata resa risposta favorevole, di fornire la richiesta dimostrazione anche nelle successive fasi dell’accertamento in sede amministrativa e contenziosa.
La risposta agli interpelli, scritta e motivata, vincola ogni organo della amministrazione con esclusivo riferimento alla questione oggetto dell’istanza e limitatamente al richiedente. Quando la risposta non è comunicata al contribuente entro il termine previsto, il silenzio equivale a condivisione, da parte dell’amministrazione, della soluzione prospettata dal contribuente. Gli atti - anche a contenuto impositivo o sanzionatorio - difformi dalla risposta, espressa o tacita, sono nulli. Tale efficacia si estende ai comportamenti successivi del contribuente, riconducibili alla fattispecie oggetto di interpello, salvo rettifica della soluzione interpretativa da parte dell’amministrazione con valenza esclusivamente per gli eventuali comportamenti futuri.
Il provvedimento 4 gennaio 2016 dell’Agenzia delle entrate contiene le regole procedurali e le indicazioni operative sulle istanze d’interpello. Il provvedimento opera una tendenziale regionalizzazione degli interpelli, ossia tutte le istanze relative ai tributi erariali, indipendentemente dalla tipologia, devono essere presentate alle Direzioni regionali competenti in funzione del domicilio fiscale del contribuente. Tutte le istanze di competenza del ramo Territorio devono essere inviate alla Direzione Regionale nel cui ambito opera l’ufficio competente ad applicare la norma tributaria oggetto di interpello. Resta ferma la competenza delle strutture centrali (Direzione Centrale Normativa e Direzione Centrale Catasto, Cartografia e Pubblicità immobiliare) per le amministrazioni dello Stato, gli enti pubblici a rilevanza nazionale, i soggetti di più rilevante dimensione e i contribuenti esteri; fa ancora eccezione, ma in solo via transitoria, la gestione delle nuove istanze cd. "antiabuso" che fino al 31 dicembre 2017 saranno presentate direttamente alla Direzione Centrale Normativa indipendentemente dai requisiti dimensionali o dalla residenza del contribuente che presenta l’istanza. Con la circolare 9/E del 1° aprile 2016, l’Agenzia delle entrate ha fornito chiarimenti in ordine alla disciplina sostanziale e procedurale dell’interpello del contribuente, con riferimento alle istanze relative ai tributi amministrati dalla stessa Agenzia.
L’articolo 2 del D. Lgs. n. 147 del 2015 ha introdotto nell’ordinamento una nuova tipologia di interpello per le società che effettuano nuovi investimenti: il soggetto che intenda effettuare in Italia rilevanti investimenti può rivolgersi all’Agenzia delle entrate allo scopo di conoscere preventivamente il parere in merito al corretto trattamento fiscale del piano di investimenti e delle operazioni straordinarie pianificate per la conseguente esecuzione dello stesso. La società deve presentare un business plan in cui sono descritti, oltre alle caratteristiche e all’ammontare dell’investimento, anche l’incremento occupazionale in relazione alla attività in cui avviene l’investimento. Sono dunque valutati i riflessi, anche in termini quantitativi, che l’investimento ha sul sistema fiscale italiano. Le disposizioni di attuazione sono state adottate con il decreto 29 aprile 2016. Con la circolare 25/E del 1° giugno 2016 l’Agenzia delle entrate ha fornito chiarimenti sull’ambito applicativo e sulle modalità di presentazione dell’interpello sui nuovi investimenti.
Si segnala infine che i contribuenti che aderiscono al regime dell’adempimento collaborativo possono presentare l’istanza di interpello abbreviato, prima della scadenza dei termini previsti per l’assolvimento degli obblighi tributari. L’adempimento collaborativo è il regime agevolativo - introdotto dal decreto legislativo n. 128 del 2015 - che intende promuovere l’adozione di forme di comunicazione e di cooperazione rafforzate, basate sul reciproco affidamento tra l’amministrazione finanziaria e le società di maggiori dimensioni, nonché di favorire nel comune interesse la prevenzione e la risoluzione delle controversie in materia fiscale.
Articolo 5
(Principi e criteri direttivi per la revisione del sistema
di imposizione sui redditi delle persone fisiche)
L’articolo 5, modificato dalla Camera, reca i principi e i criteri direttivi per la revisione dell’Imposta sulle persone fisiche – Irpef.
Con riguardo agli aspetti generali, si dispone la revisione e la graduale riduzione dell’Irpef, nel rispetto del principio di progressività e nella prospettiva di transizione del sistema verso l'aliquota impositiva unica. Nel riordino delle agevolazioni si deve tenere conto delle relative finalità, con particolare riguardo ad alcuni elementi.
Si prevede inoltre il graduale perseguimento della equità orizzontale attraverso, tra l’altro: l’applicazione della stessa area di esenzione fiscale e dello stesso carico impositivo Irpef indipendentemente dalla natura del reddito prodotto; la possibilità del contribuente di dedurre i contributi previdenziali obbligatori; si dispone inoltre l'inclusione nel reddito complessivo rilevante ai fini delle agevolazioni anche dei redditi assoggettati ad imposte sostitutive e a ritenute alla fonte. Per effetto delle modifiche apportate dalla Camera sono stati introdotti principi volti a favorire i nuclei familiari comprendenti persone con disabilità e l’occupazione giovanile, oltre che in tema di spopolamento delle aree periferiche del Paese; per quanto riguarda la tutela del bene costituito dalla casa (in proprietà o in locazione) ulteriori principi specifici per il miglioramento di efficienza energetica e sicurezza del patrimonio abitativo anche con riferimento ai beni culturali; E’ stato poi chiarito che i redditi di natura finanziaria, nell’impianto di delega, devono essere inclusi nel reddito complessivo. Con riferimento ai redditi agrari, i principi introdotti sono essenzialmente diretti a favorire ed agevolare l’aggiornamento delle classi e qualità di coltura e a tutelare alcuni percettori di reddito agrario di modesto importo. Per quanto concerne i redditi dei fabbricati, il disegno di legge indica la possibilità di estendere il regime della cedolare secca agli immobili adibiti ad uso diverso da quello abitativo qualora – come specificato durante l’esame presso la Camera–il conduttore sia un esercente attività di impresa ovvero di un’arte o una professione. Per quanto riguarda i redditi di natura finanziaria, i princìpi e criteri direttivi specifici contemplano, tra l’altro l’armonizzazione della relativa disciplina, prevedendo un’unica categoria reddituale; la determinazione dei redditi di natura finanziaria sulla base del principio di cassa e una più ampia possibilità di compensazione tra componenti positivi e negativi nel rispetto – come chiarito durante l’esame alla Camera - dell’obiettivo di contenere gli spazi di elusione ed erosione dell’imposta; Sono inoltre previsto diversi regimi di imposizione sostitutiva per i redditi di natura finanziaria, anche con riferimento agli enti di previdenza privati, e la definizione di modalità semplificate di riscossione e comunicazione all’Agenzia delle entrate; la revisione del sistema di tassazione dei rendimenti delle attività delle forme pensionistiche complementari secondo il principio di cassa. Con riferimento ai redditi da lavoro dipendente e assimilati, i principi e criteri direttivi prevedono revisione e la semplificazione delle disposizioni riguardanti le somme e i valori esclusi dall’imponibile salvaguardando specifiche finalità e introducendo una specifica ipotesi di flat tax incrementale prevista, a seguito delle modifiche introdotte dalla Camera, a determinate condizioni per le retribuzioni corrisposte a titolo di straordinario e alla tredicesima mensilità nonché sui premi di produttività.
Per quanto riguarda il lavoro autonomo si prevede in particolare: la realizzazione di una migliore distribuzione del carico fiscale nel tempo, il concorso alla formazione del reddito di tutte le somme e i valori in genere, a qualunque titolo conseguiti; l’allineamento del trattamento fiscale degli immobili strumentali, nonché di quelli a uso promiscuo; la riduzione delle ritenute operate sui compensi, nel caso in cui ci si avvalga di dipendenti e collaboratori; la neutralità fiscale delle operazioni di aggregazione e riorganizzazione degli studi professionali. Per quanto riguarda i redditi d’impresa, il disegno di legge prevede un regime opzionale di tassazione per le imprese in contabilità ordinaria e l'assoggettamento ad aliquota proporzionale allineata a quella ordinaria dell’Ires. Sono infine contemplati specifici interventi sui cd. redditi diversi, al fine di chiarire questioni attinenti alle plusvalenze realizzate a seguito di cessione, a titolo oneroso, di terreni suscettibili di utilizzazione edificatoria; per prevedere in via strutturale l’imposta sostitutiva sulla rivalutazione delle partecipazioni e dei terreni; per introdurre una puntuale disciplina fiscale delle plusvalenze conseguite dai collezionisti, al di fuori dell'esercizio dell'attività d'impresa.
L’articolo 5 reca i principi e i criteri direttivi specifici per la revisione dell’Imposta sulle persone fisiche – Irpef.
Si rammenta in estrema sintesi che l'imposta sul reddito delle persone fisiche – Irpef, è regolata dal Testo unico delle imposte sui redditi (DPR 22 dicembre 1986 n. 917). Essa si applica sui redditi che rientrano in alcune categorie individuate dalla legge (redditi fondiari, redditi di capitale, redditi di lavoro dipendente, redditi di lavoro autonomo, redditi di impresa, redditi diversi) ed è una imposta progressiva in quanto colpisce il reddito, con aliquote crescenti che dipendono dagli scaglioni di reddito stesso. L’imponibile e l’imposta da versare sono determinati, rispettivamente, al netto degli oneri deducibili e delle detrazioni per oneri.
Tale impostazione generale è rimasta immutata, anche a seguito delle modifiche sostanziali apportate ad aliquote e scaglioni dalla Legge di Bilancio 2022 (articolo 1, commi 2-7 della legge n. 234 del 2021).
Per effetto di tali modifiche, il sistema prevede quattro scaglioni di reddito con altrettante aliquote, secondo il seguente schema:
· fino a 15.000 euro, 23%;
· da 15.000,01 a 28.000 euro, 25%;
· da 28.000,01 a 50.000 euro, 35%;
· oltre 50.000 euro, 43%.
Per ulteriori informazioni si rinvia al dossier sul sistema fiscale italiano, nel quale si dà tra l’altro conto (oltre a quanto rilevato in premessa) delle più recenti iniziative inerenti le modifiche disciplina dell’Irpef, nel quadro del dibattito parlamentare.
Con riferimento agli aspetti generali (lettera a) del comma 1) il Governo intende:
1) anzitutto perseguire la revisione e la graduale riduzione dell’Irpef, nel rispetto del principio di progressività (su cui si veda infra) e nella prospettiva di transizione del sistema verso l'aliquota impositiva unica. Tale finalità è perseguita mediante il riordino delle deduzioni dalla base imponibile, degli scaglioni di reddito, delle aliquote di imposta, delle detrazioni dall'imposta lorda e dei crediti d'imposta, tenendo conto delle loro finalità, con particolare riguardo alla composizione del nucleo familiare e ai costi sostenuti per la crescita dei figli, e – per effetto delle modifiche apportate dalla Camera - in particolare di quelli in cui sia presente una persona con disabilità; alla tutela del bene casa, in proprietà o in locazione (come specificato durante l’esame alla Camera) e di quello della salute delle persone, dell'istruzione, della previdenza complementare, nonché degli obiettivi di miglioramento dell'efficienza energetica e della riduzione del rischio sismico del patrimonio edilizio esistente, nonché – sempre per effetto delle modifiche apportate dalla Camera – di rigenerazione urbana e rifunzionalizzazione edilizia, valutando anche le esigenze di tutela, manutenzione e conservazione dei beni culturali (articolo 10 del codice dei beni culturali, D. Lgs. n. 42 del 2004); per effetto delle modifiche alla Camera, a misure volte a favorire la propensione a stipulare assicurazioni con oggetto il rischio di eventi calamitosi, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, nonché a misure volte a favorire lo stabile inserimento nel mercato del lavoro dei giovani che non hanno compiuto il trentesimo anno di età;
2) il graduale perseguimento della equità orizzontale (secondo cui i contribuenti che si trovano in condizioni analoghe devono essere sottoposti al medesimo carico fiscale). A tal fine si prevede, nelle more dell'attuazione della revisione dell’Irpef (nel senso di revisione e riduzione, di cui al numero 1), in particolare:
2.1 la progressiva applicazione della medesima area di esenzione fiscale e del medesimo carico impositivo Irpef, indipendentemente dalla natura del reddito prodotto, con priorità per l'equiparazione tra redditi di lavoro dipendente e redditi di pensione.
Al riguardo occorre ricordare che l’attuale sistema dell’Irpef ad aliquote e scaglioni è integrato da un insieme di agevolazioni (detrazioni, deduzioni etc.) che non trovano applicazione con riferimento a tutte le tipologie di reddito sottoposte a imposizione (es. benefici fiscali per i cd. impatriati, applicabili ai soli redditi da lavoro). Di conseguenza, a parità di aliquote e scaglioni, le tipologie di reddito sono sottoposte diversamente a imposizione, secondo la relativa natura.
In particolare, nell'ottica di agevolare i redditi che vedono prevalente la componente lavorativa al loro interno, il legislatore ha cercato di attenuare l'impatto della tassazione attraverso la previsione di una detrazione Irpef da applicarsi in maniera progressiva, fino a certe soglie, al reddito derivante da lavoro autonomo, dipendente o da pensione (la detrazione pertanto non si applica agli altri redditi sottoposti a Irpef indicati dal TUIR: fondiari, dei fabbricati e dei terreni, di capitale, di impresa, redditi diversi). Tali detrazioni specifiche sono decrescenti al crescere del reddito, contribuiscono a definire il grado di progressività complessivo del sistema e garantiscono l’esenzione dall’imposta dei redditi più bassi. Per ulteriori informazioni si rinvia al dossier sulla tassazione.
Dall’applicazione delle diverse detrazioni per lavoro dipendente o pensione o da lavoro autonomo, che sono decrescenti al crescere del reddito, deriva la cd. no tax area, ossia una soglia di reddito esente da imposizione. Anch’essa, come le detrazioni specifiche, varia a seconda delle diverse categorie di contribuenti: è pari a circa 8.145 euro per i lavoratori dipendenti, a circa 8.130 per i pensionati, a 4.800 per i lavoratori autonomi. Tenendo conto anche delle detrazioni per familiari a carico, la no tax area per una famiglia monoreddito formata da due genitori e due figli è di circa 16.340 euro. L’azzeramento dell’Irpef porta con sé quello delle relative addizionali regionale e comunale;
2.2 la possibilità di consentire la deduzione dal reddito di lavoro dipendente e assimilato, anche in misura forfettizzata, delle spese sostenute per la produzione dello stesso.
Attualmente, come ricordato supra, ai lavoratori dipendenti e assimilati è attribuita una detrazione specifica per tipologia di lavoro; per tali soggetti non è dunque possibile dedurre le spese sostenute per la produzione del reddito. Diversamente, dal reddito di lavoro autonomo (ove non si opti per il regime forfettario) è possibile dedurre le spese sostenute per la produzione del reddito, secondo le regole del TUIR (articolo 54 D.P.R. n. 917 del 1986);
2.3 la possibilità, per tutti i contribuenti, di dedurre i contributi previdenziali obbligatori in sede di determinazione del reddito di categoria, consentendo, in caso di incapienza, di dedurre l’eccedenza dal reddito complessivo.
Come chiarito dalla Relazione illustrativa di accompagnamento dell’A.C. 1038, con tale disposizione si intende consentire all’imprenditore individuale e al lavoratore autonomo di dedurre i contributi previdenziali dal reddito di categoria, diminuendo, di conseguenza, il reddito complessivo. Solo in caso di incapienza, i contributi in questione, per un ammontare pari all’eccedenza non dedotta, possono essere deducibili dal reddito complessivo:
2.4 con le modifiche apportate alla Camera, è stata limitata l’applicazione della cd. flat tax incrementale originariamente prevista, in via generalizzata, dal testo del disegno di legge presentato dal Governo. In particolare, con le modifiche in esame si prevede l’applicazione, in luogo delle aliquote per scaglioni di reddito, di un’imposta sostitutiva dell’IRPEF e delle relative addizionali, in misura agevolata, alle retribuzioni corrisposte a titolo di straordinario che eccedono una determinata soglia e sui redditi da lavoro dipendente e assimilati (indicati all’articolo 49 del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n.917) e riferibili alla percezione della tredicesima mensilità. Resta ferma la complessiva valutazione, anche a fini prospettici, del regime sperimentale di tassazione degli incrementi di reddito introdotto, per l’anno 2023, per le persone fisiche esercenti attività d’impresa, arti o professioni.
Si ricorda al riguardo che la legge di bilancio 2023 ha introdotto una cd flat tax (imposta proporzionale) incrementale temporanea, applicabile al solo anno 2023 e solo con riferimento alle persone fisiche imprenditori individuali o lavoratori autonomi. Essa consente, per il solo 2023, alle persone fisiche esercenti attività d’impresa, arti o professioni – diverse da quelle che applicano il regime forfetario - di assoggettare una parte del reddito d’impresa e/o di lavoro autonomo a imposta sostitutiva di Irpef e addizionali territoriali, con aliquota del 15%. Tale quota di reddito, che non può superare i 40mila euro, è determinata calcolando la differenza tra il reddito d’impresa e/o di lavoro autonomo realizzato nel 2023 e il più elevato tra i medesimi redditi dichiarati negli anni 2020, 2021 e 2022, successivamente sottraendo da tale importo il 5% del reddito di riferimento, ossia del più consistente tra i redditi del triennio precedente (quello che nell’operazione iniziale è utilizzato come sottraendo). L’agevolazione dunque riguarda l’aumento di reddito superiore al 5% e, comunque, nel limite di 40mila euro (articolo 1, comma 55, della legge n. 197 del 2022).
2.5 per effetto delle modifiche apportate dalla Camera, l’applicazione del medesimo regime di imposizione alternativa di cui al numero 2.4) sui premi di produttività;
3) l'inclusione nel reddito complessivo, rilevante ai fini della spettanza di detrazioni, deduzioni o benefici di qualsiasi titolo, anche di natura non tributaria, dei redditi assoggettati ad imposte sostitutive e a ritenute alla fonte a titolo di imposta sul reddito delle persone fisiche. Con le modifiche apportate dalla Camera è stata eliminata la locuzione, presente nel testo originario, “con esclusione dei redditi di natura finanziaria”; dunque tali redditi, nell’impianto di delega, devono essere inclusi nel reddito complessivo.
Per una disamina specifica delle imposte sostitutive dell’Irpef, si rinvia al dossier generale sulla tassazione in Italia: si ricordano in questa sede il cd. regime forfettario con aliquota al 15%, applicabile all’esercizio di attività di impresa, arte e professione) e la tassazione agevolata sui redditi da locazione (cd. cedolare secca).
4) per effetto delle modifiche apportate durante l’esame alla Camera, la valutazione relativa all'introduzione, per un periodo limitato di tempo, di misure idonee a favorire i trasferimenti di residenza nei comuni periferici e ultraperiferici, come individuati dalla Strategia nazionale per le aree interne. Per ulteriori informazioni sulla Strategia, si rinvia al portale della documentazione parlamentare.
Con riferimento ai redditi agrari (lettera b) del comma 1) il Governo osserva i seguenti principi e criteri direttivi:
1. l’introduzione, per le attività agricole di coltivazione di cui all’articolo 2135, primo comma, del codice civile, di nuove classi e qualità di coltura al fine di tenere conto dei più evoluti sistemi di coltivazione, riordinando il relativo regime di imposizione su base catastale e individuando il limite oltre il quale l’attività eccedente è produttiva di reddito d’impresa;
2. la riconducibilità dei redditi relativi ai beni, anche immateriali, derivanti dalle attività di coltivazione e allevamento che concorrono alla tutela dell’ambiente e alla lotta ai cambiamenti climatici, entro limiti determinati, ai redditi ottenuti dalle attività agricole di cui all’articolo 2135, primo comma, del codice civile con eventuale assoggettamento ad imposizione semplificata;
3. l’introduzione di procedimenti, anche digitali, che consentono, senza oneri aggiuntivi per i possessori e conduttori dei terreni agricoli, di aggiornare, entro il 31 dicembre di ogni anno, le qualità e le classi di coltura presenti in catasto con quelle effettivamente praticate;
4. la revisione, ai fini di semplificazione, del regime fiscale dei terreni agricoli su cui i titolari di redditi di pensione e i soggetti con reddito complessivo di modesto ammontare svolgono attività agricole.
Ai sensi dell’articolo 2135 del codice civile è “imprenditore agricolo chi esercita una delle seguenti attività: coltivazione del fondo, selvicoltura, allevamento di animali e attività connesse.
Per coltivazione del fondo, per selvicoltura e per allevamento di animali si intendono le attività dirette alla cura e allo sviluppo di un ciclo biologico o di una fase necessaria del ciclo stesso, di carattere vegetale o animale, che utilizzano o possono utilizzare il fondo, il bosco o le acque dolci, salmastre o marine.
Si intendono comunque connesse le attività, esercitate dal medesimo imprenditore agricolo, dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione che abbiano ad oggetto prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall'allevamento di animali, nonché le attività dirette alla fornitura di beni o servizi mediante l'utilizzazione prevalente di attrezzature o risorse dell'azienda normalmente impiegate nell'attività agricola esercitata, ivi comprese le attività di valorizzazione del territorio e del patrimonio rurale e forestale, ovvero di ricezione ed ospitalità come definite dalla legge.
Secondo la disciplina del TUIR i redditi riconducibili alle attività agricole si distinguono in redditi agrari e redditi dominicali. Il reddito dominicale, definito come “la parte dominicale del reddito ordinariamente ritraibile dal terreno attraverso l'esercizio di attività agricole” (art. 27) è definito sulla base delle tariffe d’estimo rivalutate, più volte nel corso degli anni, per ciascuna qualità e classe di terreno (art. 28).
Tali tariffe si basano sui valori delle colture eseguite e possono quindi variare in aumento o in diminuzione a seconda delle colture praticate nonché per fattori naturali (oltre a calamità naturali, eventi fitopatologici o entomologici). In tali ultimi casi è necessaria un’apposita denuncia agli uffici dell’Agenzia delle entrate competenti, i cui effetti, ai sensi dell’articolo 30 del TUIR, si verificano nello stesso anno nel quale la perdita di reddito si è verificata, a condizione che la denuncia sia effettuata entro il 31 gennaio dell’anno successivo. Con riguardo alle variazioni in aumento esse vanno comunicate entro il medesimo termine delle precedenti ma gli effetti decorrono dall’anno successivo a quello in cui si è verificato l’evento.
Se la perdita di reddito supera il 30% il reddito dominicale non concorre alla formazione del reddito imponibile.
Il reddito agrario, secondo la definizione del TUIR è rappresentato dalla parte del reddito medio ordinario imputabile al capitale d'esercizio e al lavoro di organizzazione impiegati nei limiti delle potenzialità del terreno nell'esercizio di attività agricole sullo stesso. Anche il reddito agrario, come il reddito dominicale, è calcolato sulla base di tariffe d’estimo stabilite per ciascuna qualità e classe secondo le norme della legge catastale più volte rivalutate (art. 34) ed è considerato inesistente se l’attività agricola non è svolta per cause naturali o per la semplice mancata coltivazione. Le attività produttive di reddito agrario sono definite all’articolo 35 del TUIR e da altre disposizioni normative (ad esempio l'attività di acquacoltura, ai sensi dell’articolo 2 della legge n. 102 del 1992, ovvero quella di produzione di energia elettrica tramite biocombustibili di origine forestale, ai sensi dell’articolo 1, comma 423 della legge n. 266 del 2005).
Posto che l’elemento caratterizzante il reddito agrario è legato all’esercizio normale delle attività agricole nei limiti delle potenzialità del terreno, tali principi segnano il discrimine tra attività produttiva di reddito agrario e quella produttiva di reddito d’impresa. Tale principio è precisato in alcune disposizioni volte a individuare la linea di confine tra le due tipologie di reddito.
Ad esempio, con riferimento al limite di reddito ritraibile dall’allevamento di animali, si prevede che, ai fini della configurazione dell’attività come agricola, essa debba svolgersi con mangimi ottenibili per almeno un quarto dai terreni in cui insiste l’attività, o, con riferimento alla produzione di vegetali tramite strutture fisse o mobili, anche se provvisorie, si dispone che la superficie destinata alla produzione non può eccedere il doppio del terreno su cui insiste.
Rispetto al regime vigente il principio di cui alla lettera b) prevede di estendere il regime dei redditi agrari, entro limiti determinati, anche alle ipotesi di redditi relativi ai beni, anche immateriali, che concorrono a combattere il cambiamento climatico derivanti dalle attività di coltivazione e allevamento.
Per i redditi dei fabbricati (lettera c) del comma 1) il disegno di legge individua, quale criterio direttivo, la possibilità di estendere il regime della cedolare secca agli immobili adibiti ad uso diverso da quello abitativo qualora – come specificato durante l’esame alla Camera –il conduttore sia un esercente attività di impresa ovvero di un’arte o una professione.
Rinviando al dossier generale sulla tassazione per una disamina più puntuale dell’istituto, si ricorda in questa sede che nel tempo il legislatore ha progressivamente ampliato l’operatività della cd. cedolare secca sui redditi derivanti dalle locazioni immobiliari, che consente di optare per un'imposta sostitutiva ad aliquota unica (flat), in luogo delle ordinarie regole Irpef (con scaglioni e aliquote differenziate). Esso consente (ai sensi del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23) di applicare un'imposta sostitutiva del 21% (o inferiore, secondo i casi previsti dalla legge) sui redditi derivanti da locazione di immobili a uso abitativo, ovvero ad aliquota minore, in presenza di alcune condizioni di legge. L’opzione può essere esercitata per unità immobiliari appartenenti alle categorie catastali da A1 a A11 (esclusa l’A10, uffici o studi privati) locate a uso abitativo e per le relative pertinenze.
La cedolare secca è stata estesa solo in via temporanea, con la legge di bilancio 2019, anche ai contratti di locazione di locali commerciali stipulati solo nell'anno 2019, purché tali immobili fossero classificati nella categoria catastale C/1 e abbiano determinati limiti di superficie (fino a 600 mq).
La lettera d) del comma 1 è dedicata ai principi e criteri direttivi valevoli per la revisione dei redditi di natura finanziaria.
Rinviando al dossier generale sulla tassazione in Italia per dettagli, si ricorda in questa sede che scontano l’Irpef le cd. rendite finanziarie, che nella disciplina del TUIR sono riconducibili alle due categorie dei redditi di capitale (articolo 44 TUIR, ovvero che derivano dall’investimento in capitali: dividendi, interessi e altri proventi analoghi) e dei redditi diversi (art. 67 TUIR, tra cui plusvalenze e minusvalenze derivanti da transazioni su azioni, su titoli rappresentativi di capitale d’impresa e altri prodotti). Queste due categorie reddituali sono autonome e distinte e non possono formare oggetto di compensazione tra di loro: i redditi di capitale sono tassati “al lordo” (senza riconoscimento né di spese né di perdite), mentre i redditi diversi di natura finanziaria sono tassati “al netto” (con riconoscimento sia delle spese sia delle minusvalenze).
In linea generale, l’imposizione su tali redditi è sottratta all’ordinario sistema Irpef per aliquote e scaglioni, con sottoposizione e forme di imposizione sostitutiva, in genere con aliquota proporzionale (flat) ed è pari al 26% (misura così stabilita, da ultimo, dal decreto-legge n. 66 del 2014). Secondo il tipo di reddito oggetto di imposizione, si applica la ritenuta a titolo di imposta o l’imposta sostitutiva.
Il disegno di legge prevede al riguardo:
1. l’armonizzazione della relativa disciplina, prevedendo un'unica categoria reddituale, mediante l'elencazione delle fattispecie che costituiscono redditi di natura finanziaria, con riferimento alle ipotesi attualmente configurabili come redditi di capitale e redditi diversi di natura finanziaria e prevedendo norme di chiusura volte a garantire l'onnicomprensività della categoria.
L’esigenza di unificazione dei redditi finanziari è emersa da lungo tempo nel dibattito parlamentare, in particolare nel corso della indagine conoscitiva preordinata alla riforma fiscale condotta, nel corso della XVIII Legislatura dalla VI Commissione Finanze, della Camera e dalla 6° Commissione Finanze e tesoro del Senato. Nel documento conclusivo, le Commissioni rilevavano la necessità di accorpare le categorie “redditi da capitale” e “redditi diversi” in un’unica categoria denominata “redditi finanziari”. Il disegno di legge di delega presentato nella medesima XVIII Legislatura (A.S. 2651, il cui iter non si è concluso a causa del termine anticipato della Legislatura) all’articolo 2, comma 1, lettera f) intendeva progressivamente armonizzare i regimi di tassazione del risparmio, col progressivo superamento della distinzione tra redditi da capitale e redditi diversi di natura finanziaria.
2. la determinazione dei redditi di natura finanziaria sulla base del principio di cassa, con possibilità di compensazione ricomprendendo, oltre alle perdite derivanti dalla liquidazione di società ed enti e da qualsiasi rapporto avente ad oggetto l'impiego del capitale, anche i costi e gli oneri inerenti. Come specificato durante l’esame alla Camera, tale principio deve attuarsi nel rispetto dell’obiettivo di contenere gli spazi di elusione ed erosione dell’imposta.
In tal modo, la base imponibile dei redditi finanziari sarebbe costituita dalla somma di tutti i proventi percepiti e di tutte le plusvalenze/minusvalenze e differenziali realizzati nel periodo d’imposta.
3. la previsione di un'imposizione sostitutiva delle imposte sui redditi e delle relative addizionali almeno sui redditi di natura finanziaria, attualmente soggetti ad un prelievo a monte a titolo definitivo.
Attualmente i redditi da capitale (interessi e dividendi) sono tassati per cassa, al lordo delle spese e sottoposti all’aliquota sostitutiva del 26%, tranne alcune ipotesi esenti o agevolate. La tassazione dei redditi diversi di natura finanziaria per i soggetti che non svolgono attività d’impresa, le persone fisiche, le società semplici e soggetti equiparati, gli enti non commerciali prevede tre regimi: il regime della dichiarazione, quello del risparmio amministrato e quello del risparmio gestito. La differenza tra i tre regimi si sostanzia negli adempimenti posti a carico dell’investitore o del gestore, nella determinazione dell’imponibile e nel momento in cui viene applicata la tassazione (maturato o realizzato) nonché nel trattamento fiscale di profitti e perdite (con particolare riferimento alla loro compensabilità). I redditi diversi sono tassati per cassa nei regimi di risparmio amministrato e di risparmio dichiarativo, mentre sono tassati per competenza (maturazione) nel caso del risparmio gestito. Con riferimento alla tassazione dei fondi comuni di investimento, con il decreto legge n. 225 del 2010 è stato effettuato il passaggio da un sistema di tassazione per maturazione in capo al fondo a un sistema di tassazione per cassa in capo agli investitori;
4. il mantenimento del livello di tassazione attualmente previsto per i redditi derivanti da titoli di Stato ed equiparati (sottoposti attualmente ad aliquota agevolata al 12,5%);
5. l'applicazione di un’imposta sostitutiva sul risultato complessivo netto dei redditi di natura finanziaria realizzati nell'anno solare, ottenuto sommando algebricamente i redditi finanziari positivi con i redditi finanziari negativi, con possibilità di riportare le eccedenze negative nei periodi d'imposta successivi a quello di formazione;
6. la previsione di un obbligo dichiarativo dei redditi di natura finanziaria da parte del contribuente, con la possibilità di optare per l’applicazione di modalità semplificate di riscossione dell'imposta attraverso intermediari autorizzati, con i quali sussistono stabili rapporti, senza obbligo di successiva dichiarazione dei medesimi redditi;
7. la previsione di un obbligo di comunicazione all’Agenzia delle entrate per i soggetti che intervengono nella riscossione dei redditi di natura finanziaria per i quali il contribuente non ha scelto il regime opzionale.
Come chiarito dalla relazione illustrativa di accompagnamento dell’A.C. 1038, il regime fiscale dei redditi di natura finanziaria vigente è caratterizzato dall’imposizione a monte di tipo proporzionale a titolo definitivo. Tale regime si applica, in particolare, ai redditi conseguiti al di fuori dell’esercizio di impresa commerciale da persone fisiche, enti non commerciali, società semplici e soggetti equiparati residenti nel territorio dello Stato. Il regime di imposizione sostitutiva è applicato anche ai redditi finanziari corrisposti a soggetti non residenti nel territorio dello Stato privi di stabile organizzazione nel medesimo territorio.
In sintesi, il regime profilato dal disegno di legge si caratterizza per l’applicazione di una imposta sostitutiva sul risultato complessivo netto dei redditi finanziari realizzati nell’anno solare: tale risultato complessivo netto è prospettato come somma algebrica dei redditi finanziari positivi e dei redditi finanziari negativi realizzati nell’anno solare. Come chiarito dalla relazione illustrativa di accompagnamento dell’A.C. 1038, con le disposizioni attuative si intende prevedere la possibilità di riportare l’eventuale eccedenza negativa nei periodi d’imposta successivi a quelli di formazione. Con riferimento all’obbligo dichiarativo, tale nuovo regime impositivo è inteso come fondantesi sull’obbligo di dichiarazione dei redditi finanziari da parte del contribuente. A tale regime, tuttavia, viene affiancato un regime opzionale semplificato: esso non prevede l’obbligo di dichiarazione da parte del contribuente ma l’obbligo di comunicazione, da parte del soggetto che applica l’imposta sostitutiva, all’Agenzia delle entrate delle informazioni rilevanti;
8. la razionalizzazione della disciplina in materia di rapporti finanziari basati sull'utilizzo di tecnologie digitali;
9. la revisione del sistema di tassazione dei rendimenti delle attività delle forme pensionistiche complementari secondo il principio di cassa con possibilità di compensazione, prevedendo la tassazione del risultato realizzato annuale della gestione, con mantenimento di un’aliquota d’imposta agevolata in ragione della finalità pensionistica.
Si rammenta che (articolo 17 del d. lgs. n. 252 del 2005) i rendimenti dei fondi pensione sono soggetti a imposta sostitutiva del 20%, che si applica sul risultato netto maturato in ciascun periodo d'imposta;
10. l’applicazione di un’imposizione sostitutiva in misura agevolata sui redditi di natura finanziaria conseguiti dagli enti di previdenza obbligatoria privati, di cui al decreto legislativo 30 giugno 1994, n. 509 (Casse previdenziali) e al decreto legislativo 10 febbraio 1996, n. 103 (Fondi pensione).
Attualmente i redditi di natura finanziaria delle Casse di previdenza sono assoggettati a tassazione con ordinaria aliquota del 26% (ai sensi del decreto-legge n. 66 del 2014), con applicazione di un credito di imposta credito d’imposta pari alla differenza tra l’ammontare delle ritenute e imposte sostitutive applicate nella misura del 26% sui redditi di natura finanziaria e l’ammontare di tali ritenute e imposte sostitutive computate nella misura del 20% (articolo 1, comma 91, della legge n. 190 del 2014). Spetta, invece, a favore dei fondi pensione, un credito d’imposta nella misura del 9% del risultato netto maturato, assoggettato effettivamente all’imposta sostitutiva del 20% in ciascun periodo di imposta, a condizione che l’ammontare corrispondente al risultato netto maturato assoggettato alla citata imposta sostitutiva sia investito nelle attività di carattere finanziario a medio o lungo termine (comma 92).
La lettera e) del comma 1 prevede, per i redditi da lavoro dipendente e assimilati, che i principi e i criteri direttivi della delega implichino la revisione e la semplificazione delle disposizioni riguardanti le somme e i valori esclusi dalla formazione del reddito, con particolare riguardo ai limiti di non concorrenza al reddito previsti per l'assegnazione dei compensi in natura, salvaguardando le finalità della mobilità sostenibile, dell'attuazione della previdenza complementare, dell'efficientamento energetico, dell'assistenza sanitaria, della solidarietà sociale e della contribuzione agli enti bilaterali.
La lettera f) del comma 1 prevede, per i redditi da lavoro autonomo, specifici princìpi e criteri direttivi.
Con le modifiche apportate dalla Camera, ai sensi del punto 1) tra i princìpi e i criteri direttivi per la revisione della tassazione dei redditi di lavoro autonomo è annoverata altresì l’attuazione del principio di riduzione degli oneri documentali (di cui all’articolo 2, comma 1, lettera e), numero 1) del disegno di legge), con particolare riguardo alle modalità di versamento dell’Irpef dovuta dai lavoratori autonomi, dagli imprenditori individuali e dai contribuenti a cui si applicano gli indici sintetici di affidabilità fiscale, fermo restando il vigente sistema di calcolo, anche previsionale, del saldo e degli acconti, e realizzando, senza peggioramenti per il contribuente rispetto al sistema vigente e senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, una migliore distribuzione del carico fiscale nel tempo, anche mediante la progressiva introduzione della periodicità mensile dei versamenti degli acconti e dei saldi e un’eventuale riduzione della ritenuta d’acconto.
Ulteriori princìpi direttivi prevedono:
2) la semplificazione e la razionalizzazione dei criteri di determinazione del reddito derivante dall'esercizio di arti e professioni stabilendo, in particolare:
2.1) il concorso alla formazione di tale reddito di tutte le somme e i valori in genere, a qualunque titolo conseguiti nel periodo d'imposta in relazione all'attività artistica o professionale, ad esclusione delle somme percepite a titolo di rimborso delle spese sostenute e riaddebitate al cliente, non deducibili dal reddito dell'esercente arte o professione. Il criterio di imputazione temporale dei compensi deve essere allineato a quello di effettuazione delle ritenute da parte del committente.
Ai sensi dell’articolo 54 TUIR, la determinazione del reddito di lavoro autonomo avviene esclusivamente sulla base del cosiddetto principio di cassa; salvo deroghe specifiche, lo stesso è costituito dalla differenza tra l’ammontare dei compensi in denaro o in natura percepiti nel periodo di imposta, anche sotto forma di partecipazione agli utili, e quello delle spese sostenute nel periodo stesso nell’esercizio dell’arte o della professione. L’articolo 25 del D.P.R. n. 600 del 1973 prevede che, sui compensi per prestazioni di lavoro autonomo corrisposti a soggetti residenti, i sostituti d’imposta operino, all’atto del pagamento, una ritenuta a titolo d’acconto pari al 20%. Dal momento che il periodo d’imposta del lavoratore autonomo coincide con l’anno solare, l’Agenzia delle entrate in passato si è pronunciata con particolare riferimento alle modalità con cui il lavoratore autonomo può percepire i propri compensi ai fini della dichiarazione dei redditi, nel caso di pagamento con strumenti che non consentono di ottenere la immediata disponibilità delle somme (ad es. bonifico bancario) e con particolare riferimento alle ipotesi di pagamenti a cavallo di due anni. La Relazione illustrativa al riguardo chiarisce che tale criterio di delega intende superare la criticità emergente, per i lavoratori autonomi, che consiste nella necessità di considerare compensi anche l’ammontare delle spese che contrattualmente sono a carico del committente e che sono da quest’ultimo rimborsate.
2.2) l'eliminazione della disparità di trattamento tra l'acquisto in proprietà e l'acquisizione in leasing degli immobili strumentali e di quelli adibiti promiscuamente all'esercizio dell’arte o professione e all’uso personale o familiare del contribuente.
La disciplina dell’ammortamento dei costi degli immobili dei lavoratori autonomi è contenuta nell’articolo 54 TUIR. In estrema sintesi, per quanto riguarda gli immobili strumentali (ovvero destinati allo svolgimento dell’attività di lavoro autonomo in via esclusiva) di proprietà del lavoratore autonomo, se acquistati dal 2010 in poi, le relative quote di ammortamento non sono deducibili dal reddito. Per quanto riguarda i canoni di leasing immobiliare, invece, per i contratti stipulati dal 2014, essi sono deducibili per un periodo non inferiore a dodici anni. Con riferimento ai costi di acquisizione degli immobili a uso promiscuo, nel caso di immobile di proprietà parzialmente destinato ad attività professionali e parzialmente a finalità personali, è possibile dedurre il 50% della rendita catastale sempre che il contribuente non disponga nel medesimo comune di altro immobile dedito esclusivamente all’attività professionale. Anche per gli immobili in leasing utilizzabili promiscuamente, è possibile dedurre una quota dei canoni che varia secondo l’anno di stipula del contratto; in sintesi, dal 2015 è possibile dedurre il 50% del canone, sempre purché il contribuente non disponga nel medesimo comune di altro immobile dedito esclusivamente all’attività professionale;
2.3) la riduzione delle ritenute operate sui compensi degli esercenti arti e professioni che si avvalgono, in via continuativa e rilevante, dell'opera di dipendenti o di altre tipologie di collaboratori, al fine di evitare l'insorgere di sistematiche situazioni creditorie; la disposizione appare finalizzata a evitare che il professionista, nelle more della ricezione del compenso, non disponga della necessaria liquidità per provvedere alle spese relative ai collaboratori;
2.4) la neutralità fiscale delle operazioni di aggregazione e riorganizzazione degli studi professionali, comprese quelle riguardanti il passaggio da associazioni professionali a società tra professionisti.
La lettera g) del comma 1 individua i principi e i criteri direttivi per la revisione dei redditi d'impresa.
Al riguardo il disegno di legge individua, con riferimento al reddito di impresa soggetto a Irpef, un regime opzionale di tassazione per le imprese in contabilità ordinaria, che favorisca la tendenziale neutralità tra i diversi sistemi di tassazione. Tale obiettivo è da perseguire mediante l'assimilazione al regime dell'imposta sul reddito delle società, con l'assoggettamento a un'imposta ad aliquota proporzionale allineata a quella ordinaria dell'Ires (la cui aliquota è attualmente al 24%).
Rimane ferma la partecipazione alla formazione del reddito complessivo degli utili prelevati dall’imprenditore e di quelli distribuiti ai soci, fino a concorrenza delle somme assoggettate alla detta imposta proporzionale, prevedendo lo scomputo di quest'ultima dall'imposta personale.
La Relazione illustrativa di accompagnamento dell’A.C. 1038 chiarisce che, nel caso di esercizio dell’opzione, il reddito d’impresa non concorre per trasparenza alla formazione del reddito complessivo ai fini Irpef nel periodo d’imposta di competenza ma viene assoggettato a un diverso regime impositivo, con applicazione di un’imposta ad aliquota proporzionale allineata all’Ires. Successivamente, nell’anno in cui avviene il prelievo dell’utile da parte dell’imprenditore o la sua distribuzione ai soci, il reddito d’impresa partecipa a quello complessivo dei citati soggetti, riconoscendo ai medesimi lo scomputo dall’imposta personale di quella proporzionale precedentemente assolta dagli stessi.
Per quanto riguarda l’imposizione delle imprese, nel rinviare al dossier generale sulla tassazione in Italia, si ricorda sinteticamente in questa sede che in Italia il tipo di imposizione diretta che grava sulle attività di impresa non è neutrale, bensì dipende dalla natura del soggetto passivo (persone fisiche o persone giuridiche) e dall’organizzazione degli stessi (società di persone o di capitali).
In linea generale, i lavoratori autonomi e le imprese individuali sono assoggettati a Irpef, mentre le persone giuridiche (con la rilevante eccezione delle società di persone) sono assoggettate a Ires, imposta sui redditi d’impresa.
In linea generale:
· i redditi dei cd. contribuenti forfettari - imprese individuali e lavoratori autonomi con ricavi e compensi fino a 85.000 euro annui - sono assoggettati a tassazione sostitutiva proporzionale (flat), con un’aliquota agevolata del 15% e imponibile determinato forfettariamente, applicando un coefficiente di redditività diverso a seconda del tipo di attività svolta. Non si applicano Irap, Iva e addizionali locali;
· la legge di bilancio 2023 (commi 55-57) ha previsto per il solo anno 2023 che i contribuenti persone fisiche esercenti attività d’impresa, arti o professioni, diversi da quelli che applicano il regime forfettario possono applicare, in luogo delle aliquote per scaglioni di reddito vigenti, un’imposta sostitutiva che viene calcolata con un’aliquota del 15 per cento su una base imponibile, comunque non superiore a 40.000 euro, pari alla differenza tra il reddito d’impresa e di lavoro autonomo determinato nel 2023 e il reddito d’impresa e di lavoro autonomo, d’importo più elevato, dichiarato negli anni dal 2020 al 2022, decurtata di un importo pari al 5 per cento di quest’ultimo ammontare (cd. flat tax incrementale);
· in assenza dei requisiti per rientrare nel regime forfettario, le imprese minori ricadono nel cd. regime di contabilità semplificata, il quale comporta una semplificazione nella tenuta delle scritture previste dal codice civile e, dal punto di vista fiscale, specifiche modalità di determinazione del reddito imponibile. A tali soggetti si applica il sistema di scaglioni e aliquote Irpef; rientrano in tale regime le imprese individuali, le società di persone e gli enti non commerciali, con ricavi inferiori a 400.000 euro (per prestazioni di servizi) o 700.000 euro (per cessione di beni). L’imponibile è determinato sul principio di cassa “impuro”, con alcune componenti reddituali calcolate col principio di competenza;
· al di sopra di specifiche soglie di fatturato, ovvero per le imprese con alcune forme giuridiche, nonché per scelta del contribuente, l’ordinamento prescrive la cd. contabilità ordinaria, a cui si applica di norma il sistema di scaglioni e aliquote Irpef. Qualora l’impresa rientri tra i soggetti individuati dall’art. 73 TUIR, principalmente società di capitali ed enti non residenti si applica l’imposta sui redditi di impresa, Ires, con aliquota proporzionale e unica al 24 per cento (salvo l’applicazione di addizionali previste dalla legge per specifiche categorie di imprese).
Inoltre, gli utili delle società di persone sono soggetti a Irpef, quindi tassati in base all’aliquota marginale del percettore, pertanto con un trattamento fiscale differente rispetto ad altre forme di reddito derivanti da attività produttive. Gli utili distribuiti ai soci delle società di capitale scontano una tassazione con un’aliquota del 43,76%, derivante dal combinato disposto della tassazione a monte – il 24% di Ires – e di quella a valle, la ritenuta del 26% a titolo di imposta sostitutiva. I redditi derivanti da attività finanziarie sono invece sottoposti – come visto supra – ad un’aliquota del 26%.
Occorre infine rammentare che la legge di bilancio 2019 ha abrogato il regime opzionale dell’imposta sul reddito d’impresa (Iri) introdotto dalla legge di bilancio 2017 e disciplinato dall’articolo 55-bis del TUIR. Tale meccanismo avrebbe consentito a imprese individuali, società in nome collettivo e in accomandita semplice in regime di contabilità ordinaria e società a responsabilità limitata a ristretta base proprietaria di applicare la tassazione proporzionale e separata del reddito d’impresa, con l’aliquota Ires. L’entrata in vigore del regime era stata differita al 1° gennaio 2018. L’abrogazione dell’Iri è stabilita a decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2017 (quindi dal 2018 per i contribuenti “solari”). Pertanto, alla luce del differimento dell’entrata in vigore e della successiva abrogazione, in sostanza il regime non ha mai esplicato effetti.
La lettera h) del comma 1 individua i princìpi e criteri direttivi per la riforma dei cd. redditi diversi.
Al riguardo si rammenta che l’articolo 67 TUIR individua i cd. redditi diversi mediante la loro puntuale elencazione. La disposizione menzionata costituisce una norma di chiusura, in quanto non vi è una definizione generale di redditi diversi, ma essi vengono enumerati singolarmente e in via residuale, in quanto non facenti parte di altre tipologie di reddito.
In estrema sintesi, l’articolo 67 individua redditi che possono essere caratterizzati in tre gruppi:
a) le plusvalenze (immobiliari e da cessione di attività finanziarie);
b) i redditi derivanti dall'esercizio di attività occasionali;
c) altri redditi diversi (i.e., vincite alle lotterie e concorsi a premio dei giochi e delle scommesse, premi derivanti da prove di abilità etc.)
Il successivo articolo 68 si occupa specificamente delle plusvalenze, al fine di individuarne le modalità di individuazione dell’imponibile con riferimento alla tipologia di bene ceduto.
Il disegno di legge in particolare prevede le seguenti linee di riforma:
1. la revisione del criterio di determinazione delle plusvalenze realizzate a seguito di cessione, a titolo oneroso, di terreni suscettibili di utilizzazione edificatoria, stabilendo che qualora la proprietà degli stessi sia acquistata per effetto di donazione si assume, in ogni caso, come prezzo di acquisto quello pagato dal donante;
Secondo l’articolo 67, comma 1, lettera a) del TUIR sono imponibili (come redditi diversi) le plusvalenze realizzate mediante la lottizzazione di terreni, o l'esecuzione di opere intese a renderli edificabili, e la successiva vendita, anche parziale, dei terreni e degli edifici.
Ai sensi dell’articolo 67, comma 1, lettera b), TUIR sono imponibili in ogni caso le plusvalenze relative agli immobili acquistati o costruiti da non più di cinque anni nonché, in ogni caso, nonché, in ogni caso, le plusvalenze realizzate a seguito di cessioni a titolo oneroso di terreni suscettibili di utilizzazione edificatoria; nell’ipotesi di immobili acquisiti per donazione e successivamente ceduti, i cinque anni decorrono dalla data di acquisto da parte del donante. L’articolo 68, comma 1. chiarisce per gli immobili citati (di cui alla lettera b) del comma 1 dell’articolo 67) acquisiti per donazione, si assume come prezzo di acquisto o costo di costruzione quello sostenuto dal donante.
L’articolo 68, comma 2 TUIR reca invece il criterio di determinazione del costo o valore di acquisto delle aree edificabili, distinguendo l’acquisto dell’area a titolo oneroso da quello a titolo gratuito: il costo di acquisto per l’area acquisita a titolo gratuito è determinato in base al valore dichiarato nelle relative denunce o atti registrati, ovvero in sostanza quello definito o dichiarato ai fini delle imposte di successione o donazione, aumentato di ogni altro costo successivo inerente.
Sulla questione della cessione di aree edificabili ottenute per donazione è intervenuto un intenso dibattito dottrinario e giurisprudenziale, sia in relazione alla determinazione del valore da assumere, sia sulla configurazione di alcune ipotesi pratiche e sull’eventuale intento elusivo. Con l’ordinanza n. 15746/2020, la Corte di Cassazione si è pronunciata in ordine a una controversia tra l’Agenzia delle entrate e un contribuente, nella specie un genitore che aveva ceduto con atto di donazione un terreno edificabile ai figli i quali, in breve tempo (nello stesso giorno) lo avevano rivenduto per un corrispettivo pari al valore indicato nella stessa donazione. L’Agenzia delle Entrate aveva ipotizzato un’ipotesi di interposizione fittizia, ritenendo che la donazione avesse il solo scopo di evitare il carico fiscale in capo al donante. La Corte di Cassazione, interpellata sulla vicenda, si è invece espressa stabilendo che, nei rapporti tra genitori e figli, è necessario prendere in considerazione la libertà di pianificazione della successione e che proprio la libertà di pianificazione dà la possibilità di escludere sia gli intenti fraudolenti che elusivi.
2. la previsione, a regime, di un'imposta sostitutiva sulla rivalutazione delle partecipazioni e dei terreni, anche edificabili, con possibilità di stabilire aliquote differenziate in ragione del periodo di possesso del bene;
Si ricorda al riguardo che nel corso del tempo numerose norme (da ultimo la legge di bilancio 2023) hanno prorogato di volta in volta la facoltà (di cui alla legge n. 448 del 2001) di rideterminare ai fini fiscali i valori delle partecipazioni possedute in società non quotate e dei terreni (sia agricoli sia edificabili), sulla base di una perizia giurata di stima, assoggettando il valore rideterminato a imposta sostitutiva rateizzabile. Tale disciplina tuttavia non è strutturale: si veda il dossier generale sulla tassazione per ulteriori dettagli;
3. l'introduzione della disciplina sulle plusvalenze conseguite dai collezionisti, al di fuori dell'esercizio dell'attività d'impresa, di oggetti d'arte, di antiquariato o da collezione, nonché, più in generale, di opere dell’ingegno di carattere creativo appartenenti alle arti figurative, escludendo i casi in cui è assente l'intento speculativo, compresi quelli delle plusvalenze relative ai beni acquisiti per successione e donazione. Per effetto delle modifiche apportate dalla Camera, è stato chiarito che l’attuazione della delega deve prevedere l’esonero, dei medesimi soggetti, da ogni forma dichiarativa di carattere patrimoniale.
Il TUIR non disciplina specificamente il regime fiscale delle cessioni di opere d’arte. Come chiarito in un approfondimento pubblicato sulla rivista specializzata dell’Agenzia delle entrate, l’inquadramento fiscale della vendita di opere d’arte richiede la preventiva distinzione tra il soggetto che effettua un commercio abituale dei beni (cd. mercante d’arte), il venditore occasionale e l’amatore.
Il mercante d’arte produce reddito d’impresa, in quanto svolge professionalmente e abitualmente un’attività intermediaria di circolazione dei beni, anche in assenza di un’organizzazione imprenditoriale per trarre profitto (articolo 2195 del codice civile).
Anche gli acquisti saltuari di opere d’arte da parte di persone fisiche finalizzati a successive cessioni a scopo di lucro, possono generare “redditi diversi” ai sensi dell’articolo 67, comma 1, lettera i) del Tuir, ma solo se sussiste la connessione di una pluralità di atti preordinati al conseguimento di un reddito. In sostanza può essere soggetta a tassazione l’operazione di colui che compra e rivende un’opera d’arte con finalità speculativa. Con la sentenza n. 21776 del 20 ottobre 2011, la Cassazione ha affermato che si devono “escludere quelle condotte che si esauriscono nel semplice atto traslativo del diritto a titolo oneroso, atteso che la predetta nozione implica necessariamente una pluralità di atti coordinati e diretti alla realizzazione del medesimo scopo che può trovare riscontro nel caso in cui si accerti la stretta relazione funzionale - verificata in base a concreti elementi circostanziali tra l'atto di acquisto a quello successivo di vendita, ovvero anche nel compimento di una serie di atti intermedi volti a incrementare il valore del bene funzione della successiva vendita”.
Al riguardo, anche la giurisprudenza di legittimità ha più volte affermato che se la compravendita di oggetti di antiquariato genera un importo rilevante, il requisito della frequenza è trascurabile e l’operazione ha rilievo ai fini fiscali (Cassazione, sentenze n. 2711/2006 e n. 8196/2008).
L’attività amatoriale come, ad esempio, quella del privato che vende beni ricevuti a seguito di donazione o di eredità non è soggetta ad alcuna imposizione, dal momento che non vi è una pluralità di atti collegati e preordinati al conseguimento di un reddito, pertanto questa figura, così come il collezionista, è irrilevante ai fini reddituali.
Non sempre, comunque, la distinzione tra attività amatoriale e attività d’impresa è scontata e numerosi sono i casi, definiti dalla giurisprudenza o dalla prassi, che hanno avuto ad oggetto la qualificazione del venditore di un’opera d’arte. L’Agenzia delle entrate, ad esempio, ha stabilito che non svolge un’attività commerciale l’associazione che vende all’asta opere d’arte, ricevute in donazione, allo scopo di assicurare all'ente le risorse finanziarie necessarie per lo svolgimento delle attività cui è preposto (risoluzione n. 5/2001).
Articolo 6
(Principi e criteri direttivi per la revisione del sistema
di imposizione sui redditi delle società e degli enti)
L’articolo 6, modificato dalla Camera, reca i princìpi e i criteri direttivi per la revisione del sistema di imposizione sui redditi delle società e degli enti.
In sintesi, per effetto delle modifiche apportate dalla Camera, si dispone la riduzione della stessa aliquota per le imprese che, entro i due periodi d’imposta successivi a quello nel quale è stato prodotto il reddito, impieghino risorse in investimenti o anche in nuove assunzioni ovvero in schemi stabili di partecipazione dei dipendenti agli utili. Tale riduzione non si applica al reddito corrispondente agli utili distribuiti o destinati a finalità estranee all’esercizio dell’attività d’impresa. Sempre durante l’esame alla Camera è stato previsto che, in alternativa alle predette disposizioni, per le imprese che non beneficiano della riduzione dell’imposta sui redditi, il Governo nell’esercizio della delega sia tenuto a prevedere la possibilità di fruire di eventuali incentivi fiscali riguardanti gli investimenti qualificati, anche attraverso il potenziamento dell’ammortamento, nonché di misure finalizzate all’effettuazione di nuove assunzioni, anche attraverso la possibile maggiorazione della deducibilità dei costi relativi alle medesime assunzioni.
Si prevede inoltre:
§ la razionalizzazione e la semplificazione dei regimi di riallineamento dei valori fiscali a quelli contabili;
§ la revisione della disciplina di deducibilità degli interessi passivi, anche attraverso l’introduzione di apposite franchigie;
§ il riordino del regime di compensazione delle perdite fiscali e di circolazione di quelle delle società partecipanti a operazioni straordinarie o al consolidato fiscale;
§ la sistematizzazione e la razionalizzazione della disciplina dei conferimenti di azienda e degli scambi di partecipazioni mediante conferimento, specie con riferimento alle holding;
§ l’introduzione di un regime speciale, in caso di passaggio dei beni dall’attività commerciale a quella non commerciale (e viceversa) per effetto del mutamento della qualificazione fiscale di tali attività, in conformità alle disposizioni in materia di Terzo Settore;
§ la razionalizzazione in materia di qualificazione fiscale interna delle entità estere, allo scopo di considerarne la qualificazione di entità fiscalmente trasparente, ovvero opaca, operata dalla pertinente legislazione dello Stato o territorio di localizzazione.
Preliminarmente occorre rammentare che in Italia il tipo di imposizione diretta che grava sulle attività di impresa non è neutrale, bensì dipende dalla natura del soggetto passivo (persone fisiche o persone giuridiche) e dall’organizzazione degli stessi (società di persone o di capitali).
In linea generale, i lavoratori autonomi e le imprese individuali sono assoggettati a Irpef, mentre le persone giuridiche (con la rilevante eccezione delle società di persone) sono assoggettate a Ires, imposta sui redditi d’impresa.
In linea generale:
· i redditi dei cd. contribuenti forfettari - imprese individuali e lavoratori autonomi con ricavi e compensi fino a 85.000 euro annui - sono assoggettati a tassazione sostitutiva proporzionale (flat), con un’aliquota agevolata del 15% e imponibile determinato forfettariamente, applicando un coefficiente di redditività diverso a seconda del tipo di attività svolta. Non si applicano Irap, Iva e addizionali locali;
· la legge di bilancio 2023 (commi 55-57) ha previsto per il solo anno 2023 che i contribuenti persone fisiche esercenti attività d’impresa, arti o professioni, diversi da quelli che applicano il regime forfettario possono applicare, in luogo delle aliquote per scaglioni di reddito vigenti, un’imposta sostitutiva che viene calcolata con un’aliquota del 15 per cento su una base imponibile, comunque non superiore a 40.000 euro, pari alla differenza tra il reddito d’impresa e di lavoro autonomo determinato nel 2023 e il reddito d’impresa e di lavoro autonomo, d’importo più elevato, dichiarato negli anni dal 2020 al 2022, decurtata di un importo pari al 5 per cento di quest’ultimo ammontare (cd. flat tax incrementale);
· in assenza dei requisiti per rientrare nel regime forfettario, le imprese minori ricadono nel cd. regime di contabilità semplificata, il quale comporta una semplificazione nella tenuta delle scritture previste dal codice civile e, dal punto di vista fiscale, specifiche modalità di determinazione del reddito imponibile. A tali soggetti si applica il sistema di scaglioni e aliquote Irpef; rientrano in tale regime le imprese individuali, le società di persone e gli enti non commerciali, con ricavi inferiori a 400.000 euro (per prestazioni di servizi) o 700.000 euro (per cessione di beni). L’imponibile è determinato sul principio di cassa “impuro”, con alcune componenti reddituali calcolate col principio di competenza;
· al di sopra di specifiche soglie di fatturato, ovvero per le imprese con alcune forme giuridiche, nonché per scelta del contribuente, l’ordinamento prescrive la cd. contabilità ordinaria, a cui si applica di norma il sistema di scaglioni e aliquote Irpef. Qualora l’impresa rientri tra i soggetti individuati dall’art. 73 TUIR, principalmente società di capitali ed enti non residenti si applica l’imposta sui redditi di impresa, Ires, con aliquota proporzionale e unica al 24 per cento (salvo l’applicazione di addizionali previste dalla legge per specifiche categorie di imprese).
Si rinvia al dossier sulla tassazione in Italia per ulteriori informazioni.
La lettera a) del comma 1, modificata dalla Camera, prevede un doppio binario fiscale per l’Ires.
Accanto alla misura ordinaria dell’aliquota (24%) si prevede che il Governo, nell’esercizio della delega, preveda la riduzione dell’aliquota dell’IRES nel caso di impiego del reddito prodotto:
· in investimenti, con particolare riferimento a quelli qualificati;
· in nuove assunzioni ovvero in schemi stabili di partecipazione dei dipendenti agli utili.
La riduzione riguarda, in presenza di una delle precedenti condizioni, una somma corrispondente, in tutto o in parte, al reddito, entro i due periodi d’imposta successivi alla sua produzione.
Si chiarisce che tale riduzione non si applica al reddito corrispondente agli utili che, nel predetto biennio, sono distribuiti o destinati a finalità estranee all’esercizio dell’attività d’impresa, e che la distribuzione degli utili stessi si presume avvenuta qualora sia accertata l’esistenza di componenti reddituali positivi non contabilizzati o di componenti negativi inesistenti. Tale disciplina dovrà essere coordinata con le altre disposizioni in materia di reddito d’impresa.
Sempre per effetto delle modifiche apportate dalla Camera (lettera b) del comma 1), in alternativa alle predette disposizioni, per le imprese che non beneficiano della riduzione dell’imposta sui redditi, il Governo nell’esercizio della delega è tenuto a prevedere la possibilità di fruire di eventuali incentivi fiscali riguardanti gli investimenti qualificati, anche attraverso il potenziamento dell’ammortamento, nonché di misure finalizzate all’effettuazione di nuove assunzioni, anche attraverso la possibile maggiorazione della deducibilità dei costi relativi alle medesime assunzioni.
Al riguardo la Relazione illustrativa di accompagnamento dell’A.C. 1038 chiarisce che la riduzione ha la finalità di favorire la competitività delle imprese e aumentare l’attrattività del sistema-Paese per gli investitori, anche esteri. In particolare, la condizione collegata all’effettuazione degli investimenti ha lo scopo di favorire la crescita economica e l’incremento della base occupazionale, con particolare riferimento ai soggetti che necessitano di maggiore tutela.
L’esecutivo chiarisce che in questo caso, a differenza di quanto avviene ordinariamente per la fruizione degli incentivi fiscali, la riduzione dell’aliquota precede l’effettuazione degli investimenti: questi ultimi devono essere operati entro i due periodi d’imposta successivi a quello nel quale è stato prodotto il reddito assoggettato a imposizione con l’aliquota ridotta. La condizione connessa all’accantonamento degli utili è intesa a favorire la patrimonializzazione delle imprese, riducendo lo squilibrio esistente a danno del capitale di rischio rispetto a quello di debito.
La Relazione precisa – in assenza di specificazioni nella disposizione proposta - che, in caso di mancato rispetto di una o entrambe le predette condizioni nell’arco del biennio, il reddito in esame deve essere ulteriormente assoggettato a un’aliquota pari alla differenza tra quella ordinaria e quella ridotta già applicata.
La lettera c) delega il Governo a razionalizzare e semplificare i regimi di riallineamento dei valori fiscali a quelli contabili, al fine di:
· prevedere una disciplina omogenea e un trattamento fiscale uniforme per tutte le fattispecie rilevanti con riferimento al riallineamento, comprese le ipotesi di mutamento dell’assetto contabile;
· limitare i possibili arbitraggi tra realizzi non imponibili e assunzioni di valori fiscalmente riconosciuti.
A legislazione vigente, in sede di emersione dei disallineamenti dei valori fiscali rispetto ai valori contabili derivanti da operazioni straordinarie, ovvero dalla variazione dell’assetto contabile (passaggio dai principi contabili IAS ai principi contabili OIC e viceversa), è possibile applicare diversi regimi di riallineamento con effetti differenti.
Al riguardo, si ricorda sinteticamente che gli International Accounting Standard – IAS (emanati fino al 2001) o International Financial Reporting Standard – IFRS (a partire dal 2001) sono principi contabili di redazione del bilancio emanati dallo IASB (International Accounting Standards Board) e approvati con regolamento europeo. Al fine di garantire un elevato livello di trasparenza e comparabilità dell’informativa finanziaria da parte di tutte le società quotate nei mercati regolamentati dell’Unione Europea, il Regolamento (CE) n. 1606/2002 del Parlamento europeo e del Consiglio del 19 luglio 2002 ha disciplinato l’adozione e l’utilizzo dei principi contabili internazionali IAS/IFRS.
L’emanazione del regolamento n. 1606/2002 del Parlamento europeo e del Consiglio del 19 luglio 2002, disciplinante l’adozione dei principi contabili internazionali IAS/IFRS, ha dato attuazione al processo di armonizzazione della normativa contabile comunitaria. Il Regolamento ha disposto che le società quotate nei mercati regolamentati dell’Unione Europea dovessero, al più tardi a partire dal 2005, obbligatoriamente redigere il proprio bilancio consolidato, adottando i principi contabili internazionali, e le relative interpretazioni, emanati dallo IASB. Il medesimo Regolamento riconosce la facoltà di applicare gli IAS/IFRS ai conti annuali delle società quotate e ai conti annuali e consolidati delle società non quotate nei mercati regolamentari dell’Unione Europea.
L’introduzione nell’ordinamento nazionale dei principi contabili IAS/IFRS è avvenuta a seguito dell’esercizio della delega contenuta nell’articolo 25 della legge 31 ottobre 2003, n. 306. Nel nostro ordinamento, quindi, è stata largamente sfruttata la possibilità concessa dal regolamento comunitario di estendere, facoltativamente, il campo di applicazione degli IAS/IFRS anche alle società che, ai sensi del regolamento n. 1606/2002, non sarebbero risultate obbligate a redigere i loro bilanci conformemente agli standard contabili internazionali.
In attuazione della delega è stato emanato il decreto legislativo n. 38 del 2005, contenente disposizioni relative all’esercizio delle opzioni previste dall’articolo 5 del regolamento (CE) n. 1606/2002 in materia di principi contabili internazionali. Il decreto legislativo è stato successivamente modificato e integrato nel tempo.
Il suddetto provvedimento:
§ individua, dapprima, l’ambito soggettivo e i termini di decorrenza nell’applicazione degli IAS/IFRS;
§ introduce, poi, alcune modifiche di sistema alle disposizioni tributarie in materia di reddito d’impresa;
• regolamenta, da ultimo, le disposizioni transitorie in sede di prima applicazione degli IAS/IFRS.
Nel coordinare le nuove regole di redazione dei bilanci in conformità ai principi IAS/IFRS con le disposizioni recate dal TUIR, il legislatore ha inteso perseguire una duplice finalità: da un lato preservare il generale principio di derivazione dell’imponibile fiscale dal risultato economico di bilancio espressamente sancito dall’articolo 83 del TUIR; dall’altro assicurare un sistema di neutralità nella determinazione del reddito complessivo “sganciato” dai criteri contabili seguiti nella predisposizione dei bilanci. Si rinvia alla circolare dell’Agenzia delle entrate del 28 febbraio 2011 per ulteriori informazioni.
L’articolo 2 del decreto legislativo n. 38 del 2005 individua i soggetti cui si applicano i principi contabili internazionali, in ottemperanza alle disposizioni europee, le quali (articolo 4 del regolamento UE 1606/2002) dispongono che le società quotate applichino i principi contabili internazionali. In particolare, la norma comunitaria dispone che le società soggette al diritto di uno Stato membro redigano i loro conti consolidati conformemente ai principi contabili internazionali qualora, alla data del bilancio, i loro titoli siano ammessi alla negoziazione in un mercato regolamentato di un qualsiasi Stato membro. Viene fatta salva la possibilità (successivo articolo 5) che gli Stati membri estendano l’applicazione di detti principi anche ad altre società, benché non quotate.
L’Italia (articolo 2 del decreto legislativo n. 38 del 2005) ha esercitato detta opzione scegliendo di applicare i principi contabili internazionali alle scritture di una platea più ampia delle sole società quotate.
Ai sensi del richiamato articolo 2 decreto legislativo n. 38 del 2005, sono obbligati alla redazione del bilancio secondo i principi contabili internazionali:
§ le società quotate (cioè che emettono strumenti finanziari ammessi alla negoziazione in mercati regolamentati di qualsiasi Stato membro dell’Unione europea);
§ le società emittenti strumenti finanziari diffusi tra il pubblico in misura rilevante, sebbene non quotati in mercati regolamentati;
§ le banche, le società finanziarie italiane e le società di partecipazione finanziaria mista italiane che controllano banche o gruppi bancari; le SIM, le SGR, le società finanziarie, gli istituti di moneta elettronica e gli istituti di pagamento;
§ le società consolidate da quelle per le quali vige l’obbligo di adozione dei principi contabili internazionali, fatta eccezione per le società minori che possono redigere il bilancio in forma abbreviata;
§ le imprese di assicurazione quotate, ovvero quelle che redigono il bilancio consolidato del gruppo assicurativo.
Il successivo articolo 2-bis concede la facoltà, in luogo dell’obbligo attualmente previsto, di applicare i principi contabili internazionali ad alcuni dei soggetti ? individuati dall’articolo 2 del medesimo decreto legislativo ? i cui titoli non siano ammessi alla negoziazione in un mercato regolamentato.
L’OIC – Organismo italiano di contabilità emana invece i principi contabili nazionali.
La Relazione illustrativa di accompagnamento dell’A.C. 1038 rammenta che il regime di riallineamento dei valori contabili è disposto dall’articolo 176, comma 2-ter, del TUIR (testo unico delle imposte sui redditi) mentre un regime specifico è contenuto nell’articolo 15 del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, norme che consentono di riconoscere ai fini fiscali, previo pagamento di un’imposta sostitutiva (con aliquote differenti) delle imposte sui redditi e dell’Irap, nuovi e maggiori valori contabili, con l’obiettivo di evitare la gestione di un doppio binario civilistico e fiscale.
In particolare, il citato articolo 176, comma 2-ter, del TUIR prevede la possibilità (dunque è un regime opzionale), per il soggetto conferitario e, più in generale, per l’avente causa in operazioni straordinarie di fusione o di scissione, di riallineare, in tutto o in parte, il valore fiscale di alcuni beni (immobilizzazioni materiali e immateriali) ai valori degli stessi iscritti in bilancio, optando per l’applicazione di una imposta sostitutiva sull’importo che intende affrancare, con tre diverse aliquote in base all’ammontare affrancato: da 0 a 5 milioni di euro, il 12%; da più di 5 a 10 milioni di euro, il 14%; oltre i 10 milioni di euro il 16%. I plusvalori oggetto di affrancamento si considerano riconosciuti ai fini dell’ammortamento, ma soggiacciono al c.d. periodo di sorveglianza. Gli effetti del riallineamento vengono infatti meno in caso di realizzo dei beni materiali e immateriali oggetto dell’opzione prima dell’inizio del quarto periodo d’imposta successivo a quello di esercizio dell’opzione.
L’articolo 15, commi da 10 a 12, del decreto-legge n. 185 del 2008 ha introdotto un ulteriore regime di riallineamento (c.d. speciale) che si affianca, in via alternativa, a quello dell’articolo 176, comma 2-ter del TUIR e, in parte, si sovrappone. Esso non è applicabile alle immobilizzazioni materiali, ma consente il riconoscimento, in tutto o in parte, dei maggiori valori fiscali, dell’avviamento, dei marchi d’impresa e delle altre attività immateriali, inclusi gli oneri pluriennali fiscalmente ammortizzabili, nonché delle attività diverse da quelle indicate nel comma 2-ter dell’articolo 176 del TUIR (rimanenze di magazzino, titoli immobilizzati e non, crediti). L’imposta sostitutiva è pari al 16% dell’ammontare che si intende affrancare (20% nel caso di affrancamento del valore dei crediti) e consente l’ammortamento dei plusvalori affrancati a titolo di avviamento e marchi in misura non superiore a un quinto in luogo di un diciottesimo (misura ordinariamente disposta dall’art. 103 del TUIR).
Un’ulteriore ipotesi di riallineamento è disciplinata, poi, dallo stesso articolo 15 del citato decreto-legge n. 185 del 2008, ai commi da 1 a 9, e concerne la disciplina di riallineamento volontario delle divergenze emergenti nel passaggio dai principi contabili nazionali ai principi contabili internazionali o di variazioni di princìpi contabili IAS/IFRS. In tal caso, il riallineamento è consentito relativamente alla totalità delle divergenze positive o negative emergenti in sede di first time adoption (FTA) – c.d. riallineamento a saldo globale – ovvero limitatamente a divergenze relative a singole fattispecie – c.d. riallineamento per singole fattispecie.
Nel caso di riallineamento a saldo globale qualora la somma algebrica delle divergenze sia: (i) positiva, la stessa va assoggettata a tassazione con aliquota ordinaria, separatamente dall’imponibile complessivo; (ii) negativa, la relativa deduzione concorre, per quote costanti, alla formazione del reddito per cinque periodi d’imposta. Nel caso di riallineamento per singole fattispecie si applica un’imposta sostitutiva dell’Ires, dell’Irap e di eventuali addizionali nella misura del 16% sul saldo positivo. Il saldo negativo, viceversa, non è deducibile.
L’articolo 7-bis del decreto legislativo 28 febbraio 2005, n. 38 (introdotto dall’art. 19-quater del decreto-legge n. 22 del 2019) ha esteso tale regime di riallineamento anche al caso di passaggio dai principi contabili internazionali ai principi contabili nazionali.
Con le norme in esame si conferisce al Governo la delega per uniformare i trattamenti fiscali di tali regimi di riallineamento, rinviando ai decreti legislativi delegati l’individuazione delle nuove regole.
Al riguardo l’esecutivo rileva che il sistema vigente consente l’opzione per il riallineamento a saldo globale in occasione delle variazioni di principi contabili solo a quei soggetti che in sede di prima adozione hanno già eliminato la totalità delle differenze positive e negative esercitando la medesima opzione nel passaggio agli IAS e viceversa; tale previsione, secondo il Governo, è penalizzante per le imprese che nel passaggio ai nuovi princìpi presentano un saldo negativo e, non avendo fruito in passato della possibilità di riallineare a saldi globali, non potrebbero ora fruire di tale tipologia di riallineamento, e cioè del metodo di riallineamento globale, che, diversamente dal riallineamento per singole fattispecie (sempre ammesso), consentirebbe di dare rilevanza fiscale a tale saldo negativo pro rata temporis evitando, così, di dover gestire un oneroso doppio binario civilistico-fiscale. Inoltre si rileva che le norme vigenti non disciplinano il passaggio delle microimprese dal regime di derivazione giuridica a quello di derivazione rafforzata, per effetto delle modifiche apportate all’articolo 83 del TUIR dall’articolo 8, comma 1, del decreto-legge n. 73 del 2022, che ha escluso da quest’ultimo regime soltanto le dette imprese che non hanno optato per la redazione del bilancio in forma abbreviata.
Il Governo nella Relazione illustrativa di accompagnamento dell’A.C. 1038 chiarisce inoltre l’intento di limitare i possibili arbitraggi tra realizzi non imponibili e assunzioni di valori fiscalmente riconosciuti, da effettuarsi con l’esclusione o la limitazione dei casi in cui le imprese possono scegliere i beni per i quali effettuare l’affrancamento.
La lettera d) individua i criteri direttivi per la revisione della disciplina di deducibilità degli interessi passivi, anche attraverso l’introduzione di apposite franchigie. È rilevata dalla norma l’esigenza di contrastare l’erosione della base imponibile realizzata dai gruppi societari transnazionali.
Secondo quanto riferito dalla Relazione illustrativa di accompagnamento dell’A.C. 1038 tale erosione si realizza principalmente attraverso la sovracapitalizzazione delle società del gruppo residenti in Paesi a fiscalità più mite e la sottocapitalizzazione di quelle residenti in Paesi ad alta fiscalità.
Il decreto legislativo 29 novembre 2018, n. 142 ha recepito le Direttive UE n. 1164 del 2016, detta anche ATAD 1 (anti tax avoidance directive), e la Direttiva UE n. 2017/952, afferente i disallineamenti da ibridi con i Paesi terzi (direttiva ATAD 2), sostituendo, tra l’altro, la disciplina di deducibilità degli interessi passivi, contenuta nell’articolo 96 del TUIR, con un nuovo testo allineato alle indicazioni contenute nella Direttiva.
In sintesi, il TUIR prevede che gli interessi passivi e gli oneri assimilati siano deducibili sino a concorrenza degli interessi attivi e proventi assimilati e, per l’eccedenza, nel limite dell’ammontare risultante dalla somma tra: il 30 per cento del risultato operativo lordo – ROL della gestione caratteristica del periodo d’imposta e il 30 per cento del ROL riportato da periodi d’imposta precedenti (articolo 96, commi 1 e 2).
L’eventuale eccedenza degli interessi passivi netti rispetto a tale limite è indeducibile, ma può essere portata in diminuzione dal reddito dei periodi successivi fino a concorrenza del ROL dei suddetti periodi, se e nei limiti in cui in tali periodi l’importo degli interessi passivi e degli oneri assimilati di competenza eccedenti gli interessi attivi e proventi assimilati sia inferiore al 30 % del risultato operativo lordo di competenza: in sostanza, per interessi passivi indeducibili possono essere “riportati” negli esercizi successivi a patto che il ROL sia capiente (comma 5).
Simmetricamente, la quota di ROL non utilizzata in un determinato periodo di imposta per la deduzione degli interessi passivi può essere portata ad incremento del ROL dei successivi periodi di imposta (comma 7).
La definizione del ROL operata nel comma 4 è stata modificata recependo le indicazioni contenute nella Direttiva ATAD.
In precedenza si faceva riferimento al cd. ROL civilistico, determinato sulla base della differenza tra il valore e i costi della produzione di cui al comma 1, lett. a) e b), dell’art. 2425 c.c., con esclusione delle voci 10, lett. a) e b) - relative, rispettivamente, all’ammortamento delle immobilizzazioni immateriali e materiali - nonché dei canoni di leasing (capitale e oneri finanziari) di beni strumentali, così come risultanti dal conto economico dell’esercizio.
A partire dal 2019 il ROL deve essere, invece, calcolato nella sua dimensione fiscale, ovvero assumendo le singole voci nella misura risultante dall’applicazione delle disposizioni volte alla determinazione del reddito d’impresa.
A tal fine vanno considerati i costi e i ricavi classificabili nelle voci A) e B) del valore della produzione ai sensi dell’art. 2425 c. c., con esclusione degli ammortamenti delle immobilizzazioni materiali e immateriali e dei canoni di leasing dei beni strumentali.
In sostanza, per effetto del recepimento delle norme ATAD le voci che compongono il ROL sono assunte in misura pari al loro valore rilevante ai fini delle disposizioni in materia di determinazione del reddito d’impresa. Ciò comporta che, nel caso di componenti positivi/negativi di reddito per i quali il periodo di imposta di contabilizzazione non coincide con il periodo d’imposta di rilevanza fiscale, i valori rilevanti sono quelli previsti dalla normativa fiscale.
Tali disposizioni si applicano, indipendentemente dal volume d’affari conseguito a società di capitali, società cooperative e di mutua assicurazione, società consortili, residenti nel territorio dello Stato; enti pubblici e privati, diversi dalle società, nonché i trust, che hanno per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali, residenti nel territorio dello Stato; società ed enti di ogni tipo, compresi i trust, con o senza personalità giuridica, non residenti, relativamente alle attività commerciali esercitate nel territorio dello Stato mediante stabili organizzazioni.
La lettera e) prevede il riordino del regime di compensazione delle perdite fiscali e di circolazione di quelle delle società partecipanti a operazioni straordinarie o al consolidato fiscale, individuando criteri specifici di delega.
Al numero 1) della lettera e) si stabilisce, quale criterio di delega, la modifica del regime delle perdite nel consolidato nazionale al fine di evitare le complessità derivanti dalla attribuzione di quelle non utilizzate dalla consolidante all’atto dell’interruzione o revoca della tassazione di gruppo.
Gli istituti del consolidato nazionale e del consolidato mondiale prevedono, per il gruppo di imprese, la determinazione in capo alla società o ente consolidante di un reddito complessivo globale (consolidato nazionale) o di un’unica base imponibile (consolidato mondiale), su opzione facoltativa delle società partecipanti (articoli da 117 a 142 TUIR).
Il consolidato nazionale non obbliga al consolidamento di tutto il gruppo: l’opzione può essere esercitata anche soltanto da alcune delle società del gruppo. Inoltre, l’esercizio dell’opzione va effettuato congiuntamente da ciascuna controllata e dall’ente o società controllante. Si hanno, pertanto, tante opzioni a coppia quante sono le società controllate che esercitano la facoltà. Il soggetto consolidante deve presentare la dichiarazione dei redditi del consolidato e calcolare il reddito complessivo globale che è pari alla somma algebrica dei redditi complessivi netti dei soggetti che hanno esercitato l’opzione, assunti per l’intero importo, indipendentemente dalla quota di partecipazione riferibile al consolidante.
L’opzione per il consolidato mondiale consente alle società di capitali e agli enti commerciali di includere nella propria base imponibile, indipendentemente dalla distribuzione, i redditi di tutte le proprie controllate non residenti. L’imputazione dei risultati positivi e negativi avviene per la quota parte corrispondente alla percentuale di partecipazione agli utili, tenendo conto della demoltiplicazione determinata dalla catena societaria di controllo.
Nel caso di interruzione della tassazione di gruppo prima del compimento del triennio, l’articolo 124, comma 4, del TUIR prevede che le perdite fiscali risultanti dalla dichiarazione dei redditi del consolidato permangono nell’esclusiva disponibilità della società o ente controllante. In alternativa, le società aderenti al regime di tassazione di gruppo possono optare per l’attribuzione di tali perdite alle società che le hanno prodotte, al netto di quelle utilizzate, e nei cui confronti viene meno il requisito del controllo, secondo i criteri stabiliti dai soggetti interessati.
Le medesime disposizioni si applicano in ipotesi di revoca del regime di consolidato, ai sensi dell’articolo 125 del TUIR che espressamente richiama l’articolo 124, comma 4, del TUIR.
Il criterio utilizzato per l’attribuzione delle perdite residue, in caso di interruzione anticipata o di revoca della tassazione di gruppo, è comunicato preventivamente all’Agenzia delle entrate all’atto della comunicazione dell’esercizio dell’opzione.
L’articolo 7-quater del decreto-legge 22 ottobre 2016, n. 193 ha novellato l’articolo 117, comma 3, del TUIR introducendo, in luogo della comunicazione del rinnovo dell’opzione, il suo rinnovo tacito al termine di ciascun triennio per un altro triennio, salvo revoca della stessa da manifestare con le medesime modalità e termini previsti per la comunicazione dell’opzione. Ai sensi del medesimo articolo 117, comma 3, del TUIR, in caso di rinnovo tacito dell’opzione, la società o l’ente controllante può modificare il criterio utilizzato, ai sensi dell’articolo 124, comma 4, del TUIR per l’eventuale attribuzione delle perdite residue, in caso di interruzione anticipata della tassazione di gruppo o di revoca dell’opzione, comunicandolo nella dichiarazione dei redditi presentata nel periodo d’imposta a decorrere dal quale si intende rinnovare l’opzione.
L’Agenzia delle entrate, con la circolare n. 2/E del 26 gennaio 2018 ha fornito indicazioni su due particolari fattispecie relative all’utilizzo delle perdite da parte dei soggetti aderenti al consolidato nazionale e, in particolare: le modalità di utilizzo in accertamento delle perdite anteriori al consolidato e il criterio di attribuzione delle perdite in caso di interruzione o di revoca del consolidato.
Al riguardo il Governo chiarisce che, introducendo detto criterio direttivo si intende prevedere, per la determinazione del reddito consolidato, un regime di trasferimento globale delle perdite di un esercizio conseguite dalle singole società aderenti al consolidato, in misura non eccedente la somma dei redditi dello stesso esercizio complessivamente realizzati dalle altre società aderenti allo stesso consolidato fiscale, in modo da evitare la gestione delle eccedenze di perdite in capo al soggetto consolidante.
Il numero 2) della lettera e) dispone che nell’esercizio della delega si proceda alla tendenziale omogeneizzazione dei limiti e delle condizioni di compensazione delle perdite fiscali.
Il successivo numero 3) prevede la modifica della disciplina del riporto delle perdite nell’ambito delle operazioni di riorganizzazione aziendale, non penalizzando quelle conseguite a partire dall’ingresso dell’impresa nel gruppo societario; prevede inoltre la revisione del limite quantitativo attualmente rappresentato dal valore del patrimonio netto e della nozione di modifica dell’attività principale esercitata.
Scopo della norma, come chiarito dal Governo nella Relazione illustrativa di accompagnamento dell’A.C. 1038, è modificare le norme che a legislazione vigente limitano le compensazioni intersoggettive tra utili e perdite realizzate nell’ambito di alcune operazioni, anche straordinarie (fusioni, scissioni, trasferimento del controllo della società dotata di perdite fiscali, opzione per la tassazione consolidata).
Come rammentato dall’esecutivo, il TUIR reca diverse norme che limitano le compensazioni intersoggettive di perdite e, in particolare, rilevano in questa sede:
- gli articoli 172, comma 7, e 173, comma 10, che limitano, rispettivamente, il riporto delle perdite in occasione di fusione o di scissione; le norme in tema di regime fiscale delle perdite nel caso di fusioni e scissioni dispongono che le perdite possano essere portate in diminuzione del reddito imponibile per l’ammontare non eccedente il patrimonio netto societario;
- l’articolo 84, comma 3, che limita il riporto delle perdite nel caso sia trasferito il controllo della società dotata di perdite fiscali e ne sia modificata l’attività;
- l’articolo 118, comma 2, che preclude l’utilizzo in riduzione del reddito complessivo globale delle perdite realizzate dalle società aderenti alla tassazione consolidata prima dell’inizio di tale tassazione (vedi supra).
A parere del Governo la finalità comune delle norme è evitare il cd. commercio di bare fiscali, vale a dire il fenomeno consistente nel predisporre le condizioni per effetto delle quali è possibile la compensazione delle perdite fiscali riportabili tra società caratterizzate da una redditività fortemente negativa - e la cui attività d’impresa ha subito un fortissimo ridimensionamento - con i redditi imponibili positivi di diverse società. Rileva l’esecutivo che tale effetto è precluso con disposizioni di contenuto non omogeneo e che appare necessario evitare la penalizzazione delle perdite conseguite a partire dall’ingresso dell’impresa nel gruppo societario.
Con il successivo numero 4) si prevede che venga definita la nozione di perdite finali ai fini del loro riconoscimento, secondo i principi espressi dalla giurisprudenza eurounitaria.
Il Governo al riguardo chiarisce che l’introduzione di tale definizione intende armonizzare la normativa interna con l’evoluzione della giurisprudenza della Corte di Giustizia che, più volte chiamata a pronunciarsi sul tema (sentenza Marks & Spencer del 13 dicembre 2005, resa nella causa C?446/03) ha individuato le condizioni da soddisfare in base alle quali le Autorità fiscali sono tenute a ritenere che le perdite di una società controllata non residente siano definitive e, quindi, deducibili dal reddito della società controllante residente.
La lettera f) prevede di sistematizzare e razionalizzare la disciplina dei conferimenti di azienda e degli scambi di partecipazioni mediante conferimento.
Il criterio di delega fa esplicito riferimento alle partecipazioni detenute nelle holding, nel rispetto dei relativi principi vigenti di neutralità fiscale e di valutazione delle azioni o quote ricevute dal conferente, in base alla corrispondente quota delle voci di patrimonio netto formato dalla conferitaria per effetto del conferimento.
Come chiarisce la Relazione illustrativa di accompagnamento dell’A.C. 1038, viene affidato al legislatore delegato il compito di modificare le norme che regolano la disciplina dei conferimenti di azienda di cui all’articolo 176 del TUIR e degli scambi di partecipazioni mediante conferimento di cui all’articolo 177.
In particolare, in relazione a questa seconda fattispecie, il criterio direttivo si riferisce espressamente al caso in cui oggetto del conferimento è la partecipazione in una società holding, per il quale il comma 2-bis del citato articolo 177 detta condizioni particolari di applicazione della normativa.
La nozione di scambio di partecipazioni è contenuta nella direttiva 2009/133/Ce del Consiglio, del 19 ottobre 2009, che qualifica come scambio di azioni l’operazione mediante la quale una società acquisisce nel capitale sociale di un’altra società una partecipazione il cui effetto sia quello di conferire la maggioranza dei diritti di voto di questa società o, se dispone già di tale maggioranza, acquisisce un’ulteriore partecipazione, in cambio dell’assegnazione ai soci di quest’ultima, in contropartita dei loro titoli, di titoli rappresentativi del capitale sociale della prima società ed eventualmente di un saldo in contanti che non superi il 10 per cento del valore nominale o, in mancanza del valore nominale, della parità contabile dei titoli assegnati in cambio (articolo 2, comma 1, lettera e) della direttiva).
L’articolo 177 del TUIR disciplina la realizzazione mediante permuta (comma 1) e mediante conferimento (comma 2).
In base al comma 2 le azioni o quote ricevute a seguito di conferimenti in società, mediante i quali la società conferitaria acquisisce il controllo di una società (ai sensi dell’articolo 2359, comma 1, n. 1, del codice civile) ovvero incrementa, in virtù di un obbligo legale o di un vincolo statutario, la percentuale di controllo, sono valutate, ai fini della determinazione del reddito del conferente, in base alla corrispondente quota delle voci di patrimonio netto formato dalla società conferitaria per effetto del conferimento.
Con specifico riferimento alla disciplina dello scambio di partecipazioni attuato mediante conferimento (come chiarito nella Risoluzione n. 43 del 2017 dell’Agenzia delle entrate) tale disposizione, pur non prevedendo un regime di neutralità fiscale delle operazioni di conferimento rientranti nel relativo ambito di applicazione, definisce un criterio per la valutazione della azioni o delle quote ricevute dal conferente in relazione esclusivamente alla contabilizzazione dell’operazione effettuata dalla società conferitaria. In altri termini, in applicazione del principio della “neutralità indotta”, nel caso di conferimento è possibile non fare emergere alcuna plusvalenza imponibile, qualora il valore di iscrizione della partecipazione e, pertanto, l’incremento di patrimonio netto effettuato dalla società conferitaria, riconducibile al singolo conferimento, risulti pari all’ultimo valore fiscale – presso ciascun soggetto conferente – della partecipazione conferita. Si tratta del regime del “realizzo controllato”, che fa dipendere i suoi effetti, sul piano fiscale, dal comportamento contabile adottato dalla società conferitaria.
Il successivo comma 2-bis all’articolo 177 prevede che, se la società conferitaria non acquisisce il controllo di una società, né incrementa, in virtù di un obbligo legale o di un vincolo statutario, la percentuale di controllo, si applica comunque il regime del cd. realizzo controllato, al ricorrere congiuntamente delle due seguenti condizioni:
§ le partecipazioni conferite rappresentano, complessivamente, una percentuale di diritti di voto esercitabili nell’assemblea ordinaria superiore al 2 o al 20 per cento, ovvero una partecipazione al capitale od al patrimonio superiore al 5 o al 25 per cento, secondo che si tratti di titoli negoziati in mercati regolamentati o di altre partecipazioni;
§ le partecipazioni sono conferite in società, esistenti o di nuova costituzione, interamente partecipate dal conferente. Per i conferimenti di partecipazioni detenute in società la cui attività consiste in via esclusiva o prevalente nell’assunzione di partecipazioni (cd. holding), le predette percentuali si riferiscono a tutte le società indirettamente partecipate che esercitano un’impresa commerciale, secondo la definizione rilevante ai fini del TUIR. Esse si determinano, relativamente al conferente, tenendo conto della eventuale demoltiplicazione prodotta dalla catena partecipativa.
Ai fini dell’applicazione della disciplina dell’esenzione delle plusvalenze (citato articolo 87 TUIR), la condizione dell’ininterrotto possesso decorre dal primo giorno del sessantesimo mese precedente quello dell’avvenuta cessione dell’avvenuta cessione delle partecipazioni conferite, in luogo del dodicesimo. Si considerano cedute per prime le azioni o quote acquisite in data più recente.
Il Governo rileva che la disposizione del comma 2-bis richiede, in particolare, che le percentuali minime si riferiscano a tutte le società indirettamente partecipate che esercitano un’impresa commerciale e si determinino, relativamente al conferente, tenendo conto della eventuale demoltiplicazione prodotta dalla catena partecipativa. A parere dell’Esecutivo, con la revisione della disciplina si intende ovviare all’attuale interpretazione della norma, per cui la demoltiplicazione si applica anche alle società operative di secondo livello, per cui la presenza di una sola partecipazione in una società operativa sotto soglia preclude la fruizione del regime di realizzo controllato. Viene comunque chiarito che devono essere rispettati il principio di neutralità fiscale sotteso ai conferimenti di azienda e il principio del c.d. realizzo controllato, tipico degli scambi di partecipazione mediante conferimento.
La lettera g) intende introdurre un regime speciale, in caso di passaggio dei beni dall’attività commerciale a quella non commerciale (e viceversa) per effetto del mutamento della qualificazione fiscale di tali attività, in conformità alle disposizioni in materia di Terzo Settore (attuazione della legge 6 giugno 2016, n. 106).
Il Governo, nella Relazione illustrativa di accompagnamento dell’A.C. 1038, chiarisce che l’intento del criterio di delega è di introdurre norme volte ad attenuare il carico impositivo che potrebbe emergere a fronte dell’ingresso dell’ente o di un suo ramo nell’ambito applicativo della disciplina fiscale del terzo settore. In particolare, per gli enti di natura non commerciale che svolgono attività commerciali l’ingresso nel terzo settore è suscettibile di mutare la qualifica fiscale dell’attività svolta e trasformarla in non commerciale, al momento dell’applicazione dei nuovi criteri di cui all’articolo 79 del d.lgs. n. 117 del 2017 (codice del terzo settore) che in estrema sintesi individua quali attività sono considerate commerciali e non (requisito legato principalmente ai ricavi e alla natura dell’attività) e ne disciplina gli effetti fiscali.
Il Governo rileva che a fronte di tale mutamento non verrebbe modificata la natura fiscale dell’ente, ma si determinerebbe ai fini Ires e Iva la produzione di effetti fiscali, legati alla fuoriuscita dal regime d’impresa dei beni prima dedicati all’attività commerciale. L’esecutivo chiarisce che il mutamento della qualificazione fiscale dell’attività potrebbe determinare l’emersione di plusvalenze imponibili e l’assoggettamento dell’operazione ad Iva, anche in mancanza di un trasferimento o di una cessione dei beni utilizzati nell’attività. L’esecutivo nella Relazione rammenta che la disciplina in tema di ONLUS aveva previsto la possibilità di applicare una imposta sostitutiva sui plusvalori latenti dei beni impiegati nelle attività commerciali degli enti trasformati in non commerciali in conseguenza della disciplina in questione. (articolo 9 del d. lgs. n. 460, del 1997).
La lettera h) prevede criteri direttivi per la razionalizzazione in materia di qualificazione fiscale interna delle entità estere, prendendo in considerazione anche la loro qualificazione di entità fiscalmente trasparente, ovvero opaca, operata dalla pertinente legislazione dello Stato o territorio di localizzazione.
In linea generale, la qualificazione tributaria delle società di persone residenti in Italia è di entità trasparenti: il reddito generato dalla società viene assoggettato a tassazione dai soci stessi. Diversamente, le società non residenti nel territorio dello Stato (sia di capitali che di persone) sono considerate opache in quanto rientrano tra i contribuenti assoggettati a Ires ai sensi dell’articolo 73, comma 1, lettera d) del TUIR. Da tale qualificazione discende quindi una diversa qualificazione dei redditi percepiti da parte di enti non residenti a seconda della percezione da parte di persona fisica (reddito di capitale) o società di capitali (reddito di impresa).
Come chiarito dall’Agenzia delle entrate nella circolare 9/E del 2015, la principale conseguenza è che il reddito che il residente italiano ritrae dalla partecipazione in detta società assume rilevanza, ai fini fiscali, solo al momento della distribuzione. Tale reddito viene tassato in Italia come reddito di capitale, oppure concorre alla formazione del reddito d’impresa se percepito da un soggetto Ires o da un soggetto Irpef in regime di impresa. In ogni caso la tassazione avviene in ossequio al principio di cassa. Si verifica pertanto uno sfasamento temporale tra il momento in cui il reddito viene imputato e tassato in capo al socio italiano dell’entità trasparente nello Stato estero e il momento – successivo – in cui, a seguito dell’effettiva distribuzione, il reddito viene tassato in Italia. Tale circostanza si verifica anche se la legislazione estera riconosce l’entità come fiscalmente trasparente.
Le disposizioni in esame intendono delegare il Governo a revisionare la qualificazione fiscale delle entità estere, verificando – come chiarito dalla Relazione illustrativa - i casi e le condizioni in base alle quali assumere, anche ai fini fiscali interni, la qualificazione fiscale della entità estera, sulla base della legislazione del Paese ove la stessa è residente o è costituita.
Il Governo al riguardo rileva che una ulteriore conseguenza di tale disallineamento tra le due legislazioni è data dalla circostanza che il reddito prodotto dalla entità estera può non essere assoggettato a tassazione né all’estero né in Italia per la quota parte attribuibile al socio residente, soprattutto qualora le attività della entità estera non configurino una stabile organizzazione nella prospettiva del suo Stato di residenza o di localizzazione. Ciò può comportare l’attivazione della disciplina di contrasto ai disallineamenti da ibridi. Si intende dunque rimuovere tale criticità anche mediante l’eventuale adeguamento della qualificazione fiscale interna della entità estera (i.e. entità fiscalmente trasparente o fiscalmente opaca) in dipendenza della corrispondente qualificazione adottata dal suo Stato di costituzione o di residenza fiscale.
Articolo 7
(Princìpi e criteri direttivi per la revisione dell’imposta sul valore aggiunto)
L’articolo 7 reca i seguenti princìpi e criteri direttivi specifici per la revisione dell’IVA: ridefinizione dei presupposti dell’imposta in modo da renderli più aderenti alla normativa dell’Unione europea; revisione della disciplina delle operazioni esenti; razionalizzazione del numero e della misura delle aliquote IVA; revisione della disciplina della detrazione; riduzione dell’aliquota dell’IVA all’importazione di opere d’arte; razionalizzazione della disciplina del gruppo IVA; razionalizzazione della disciplina IVA degli enti del Terzo settore.
In particolare, il comma 1 stabilisce che, nell’esercizio della delega di cui all’articolo 1, il Governo osservi i seguenti princìpi e criteri direttivi specifici per la revisione dell’imposta sul valore aggiunto (IVA):
a) ridefinire i presupposti dell’imposta al fine di renderli più aderenti alla normativa dell’Unione europea.
L’IVA è una imposta armonizzata a livello europeo (articolo 113 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea - TFUE), disciplinata dalla cosiddetta direttiva IVA (direttiva 2006/112/CE), che ha istituito il Sistema comune d’imposta sul valore aggiunto. L’UE coordina e armonizza la legislazione sull’IVA e le accise al fine di assicurare che le variazioni nelle aliquote e nei sistemi di tassazione non alterino la concorrenza tra le imprese europee.
Gli Stati membri applicano, nell’ambito del regime IVA, un’aliquota normale non inferiore al 15 per cento (articolo 97 della direttiva IVA). È invece limitata la possibilità di applicare aliquote ridotte, al fine di evitarne la proliferazione. L’articolo 98, par. 1, c. 1, prevede infatti che possano essere applicate un massimo di due aliquote ridotte (fissate ad una percentuale della base imponibile che non può essere inferiore al 5 per cento) unicamente alle cessioni di beni e alle prestazioni di servizi elencate nell’Allegato III della direttiva[1], per un limite massimo di 24 punti (categorie) tra quelli ivi indicati.
Un’aliquota inferiore al minimo del 5 per cento[2] può, invece, essere applicata a un massimo di sette punti (categorie) del medesimo Allegato III.
La direttiva stabilisce altresì che gli Stati membri che al 1° gennaio 2021 applicavano aliquote inferiori al minimo del 5 per cento a una quantità maggiore di beni o prestazione di servizi rispetto a quella attualmente consentita (più di sette punti dell’Allegato) dovranno adeguarsi al limite massimo sopra menzionato entro il 1° gennaio 2032 (articolo 98, par. 2, c. 4).
L’articolo 105-ter autorizza altresì gli Stati membri che, al 1° gennaio 2021, applicavano aliquote ridotte (non inferiori al minimo del 5 per cento) alle operazioni relative all’edilizia abitativa che non rientrano nell’ambito di una politica sociale ad applicarvi aliquote ridotte purché, a decorrere dal 1° gennaio 2042, non inferiori al 12 per cento.
In Italia l’aliquota ordinaria è determinata nella misura del 22 per cento. L’ordinamento prevede inoltre due aliquote ridotte (di cui alla Tabella A allegata al D.P.R. n. 633 del 1972): una al 10 per cento (che si applica, ad esempio, alle forniture di energia elettrica e gas - Tabella A, parte III del D.P.R. n. 633 del 1972) e una al 5 per cento (che si applica, ad esempio, su alcuni prodotti alimentari e sulla cessione di beni ritenuti necessari per contrastare l’emergenza da Covid-19 - Tabella A, parte II-bis del D.P.R. n. 633 del 1972). Resta in vigore fino all’introduzione del regime definitivo previsto dalla direttiva IVA, infine, l’aliquota minima al 4 per cento (che si applica sui prodotti di primaria importanza quali, ad esempio, gli alimenti - Tabella A, parte II del D.P.R. n. 633 del 1972).
Si segnala inoltre che è ancora pendente la proposta di direttiva del Consiglio COM/2018/329 final che modifica la direttiva 2006/112/CE per quanto riguarda l’introduzione di misure tecniche dettagliate per il funzionamento del sistema dell’IVA definitivo per l’imposizione degli scambi tra Stati membri.
Per approfondimenti si rinvia alla relativa nota del Servizio studi del Parlamento europeo.
Secondo le stime presentate nella Relazione sulla evasione fiscale e contributiva allegata alla NADEF 2022, nell’intervallo 2017-2019 l’IVA è la seconda imposta maggiormente evasa in Italia (dopo l’IRPEF sul lavoro autonomo e sull’impresa) con un gap medio stimato pari a 31,7 miliardi di euro. A partire dal 2018, tuttavia, il gap appare in costante riduzione, come confermato dalla stima preliminare relativa all’anno 2020 di 23,1 miliardi di euro.
Secondo uno studio realizzato dalla Commissione europea (Study and Reports on the VAT Gap in the EU-28 Member States: 2019 Final Report) in termini assoluti nel 2017 l’Italia a livello europeo continua a registrare il maggior ammontare di IVA mancante (circa 33,6 miliardi di euro) di tutti i Paesi membri EU, seguita da Germania (25 miliardi) e Regno Unito (19 miliardi) (totale evasione EU:137 miliardi).
Si segnala, inoltre, che la Corte di giustizia, nella propria giurisprudenza in materia di disciplina IVA, ha messo in luce i seguenti principi:
§ neutralità del sistema delle detrazioni, che deve essere inteso ad esonerare interamente l’imprenditore dall’IVA dovuta o assolta, garantendo così la perfetta neutralità dell’imposizione fiscale per tutte le attività economiche (tra le altre, causa C-332/15);
§ necessità, ai fini della detrazione, della sussistenza di un nesso diretto ed immediato tra una specifica operazione a monte e una o più operazioni a valle (causa C-459/17);
§ determinazione delle sanzioni. Pur rimessa in linea di principio alla discrezionalità del singolo Stato, deve essere operata in modo razionale e, quindi, prevedere una cornice edittale proporzionata (causa C-935/19).
Nella relazione illustrativa di accompagnamento dell’A.C. 1038, il Governo chiarisce che tale criterio direttivo tiene conto della necessità di ridefinire i presupposti dell’imposta per eliminare gli elementi di disallineamento presenti nella normativa nazionale rispetto alle definizioni recate dalla Direttiva 2006/112/CE (Direttiva IVA), che sono emersi anche a seguito dei criteri elaborati dalla Corte di Giustizia. Tali discrasie, a volte superate attraverso interpretazioni relative a fattispecie specifiche orientate al diritto dell’Unione europea, hanno generato incertezze applicative per il cui superamento si rende necessario un intervento sistematico di carattere normativo. Il Governo fornisce alcuni esempi di tali disallineamenti, che possono ravvisarsi nella definizione del presupposto territoriale dell’imposta per le cessioni di beni, atteso che l’articolo 7-bis, comma 1, del D.P.R. n. 633 del 1972 tratta unitariamente le cessioni di beni con trasporto e quelle senza trasporto, diversamente da quanto previsto dall’articolo 32 della Direttiva IVA, che disciplina distintamente le due fattispecie. Anche per quanto riguarda la definizione del presupposto oggettivo dell’IVA, rappresentato dalla cessione di beni, potrebbe attuarsi una più fedele trasposizione normativa armonizzata, valorizzando il concetto economico sostanziale rispetto a quello giuridico proprio del nostro ordinamento;
b) rivedere le disposizioni che disciplinano le operazioni esenti, anche individuando le operazioni per le quali i contribuenti possono optare per l’imponibilità, in linea con i criteri posti dalla normativa dell’Unione europea.
Nella relazione illustrativa di accompagnamento dell’A.C. 1038, il Governo chiarisce che la revisione prevista da tale criterio, che dovrà necessariamente essere in linea con la normativa dell’Unione europea come interpretata dalla Corte di Giustizia, consentirà di meglio definire le ipotesi esenti, quali, ad esempio, quelle del settore immobiliare. Questo settore, in particolare, risulta attualmente caratterizzato da una normativa complessa che distingue il regime fiscale applicabile in ragione della natura strumentale o abitativa degli immobili e della tipologia degli operatori. Il regime fiscale prevede, quale regola generale per le cessioni e le locazioni di fabbricati, l’esenzione IVA con la previsione di numerose deroghe. L’imponibilità, ad esempio, è prevista, in via obbligatoria, per le cessioni di fabbricati abitativi e strumentali effettuate entro cinque anni dall’ultimazione dei lavori di costruzione o di ristrutturazione dalle imprese che hanno realizzato i lavori, e, in via opzionale, per le cessioni di fabbricati abitativi effettuate oltre il quinquennio dalle medesime imprese, nonché per quelle di fabbricati strumentali da chiunque effettuate. L’opzione per l’imponibilità è riconosciuta, altresì, nel campo delle locazioni, alle imprese che hanno costruito o ristrutturato gli immobili abitativi o alle imprese che destinano i fabbricati ad alloggi sociali, nonché in qualsiasi caso alle imprese che locano fabbricati strumentali. In attuazione del criterio di delega sarebbe, quindi, possibile operare una profonda rivisitazione della materia conferendole maggiore coerenza e organicità.
c) razionalizzare il numero e la misura delle aliquote IVA secondo i criteri posti dalla normativa dell’Unione europea, al fine di prevedere una tendenziale omogeneizzazione del trattamento IVA per i beni e servizi similari, anche individuati mediante il richiamo alla nomenclatura combinata o alla classificazione statistica, meritevoli di agevolazione in quanto destinati a soddisfare le esigenze di maggior rilevanza sociale;
Per una illustrazione della attuale struttura di aliquote IVA, si veda il box precedente.
Nella relazione illustrativa di accompagnamento dell’A.C. 1038, il Governo chiarisce che qualora tale intervento comporti una revisione della misura delle aliquote – attualmente, come richiamato sopra, stabilite nella misura del 22 per cento, per l’aliquota ordinaria, e del 4, 5 e 10 per cento, per le aliquote ridotte – eventuali aliquote ridotte potranno essere applicate in linea con le norme della Direttiva 2006/112/CE, come modificata dalla recente Direttiva 2022/542/UE. Potranno, pertanto, essere previste due aliquote ridotte non inferiori al 5 per cento, una aliquota ridotta inferiore a tale misura e anche una cosiddetta “aliquota zero”, vale a dire una esenzione con diritto a detrazione. Il trattamento agevolato potrà essere previsto solo per le categorie di beni e i servizi che sono elencate nell’allegato III della medesima Direttiva 2006/112/CE e in un numero limitato di casi, stabiliti, per quanto riguarda l’applicazione di aliquote non inferiori al 5 per cento, in un massimo di 24 categorie dell’allegato III, e, per quanto riguarda l’applicazione di aliquote inferiori a tale percentuale, in un massimo di 7 categorie dell’allegato III. Nei limiti indicati possono, inoltre, essere applicate aliquote ridotte, a particolari condizioni, anche alle cessioni di abitazioni non comprese nelle categorie dell’allegato III.
Il criterio di delega, in linea con le motivazioni di interesse sociale poste a vantaggio dei consumatori finali e con le finalità di interesse generale che hanno portato alla individuazione delle categorie di beni e servizi che, secondo la Direttiva IVA, possono essere assoggettate ad aliquote ridotte, pone l’attenzione sui beni e servizi meritevoli di agevolazione in quanto destinati a soddisfare le esigenze di maggior rilevanza sociale. In base al criterio di delega, il legislatore delegato, qualora lo ritenga opportuno, potrà individuare i beni e i servizi ai quali applicare aliquote IVA agevolate mediante il richiamo alla nomenclatura combinata o alla classificazione statistica, così come previsto dall’articolo 98, paragrafo 4 della Direttiva IVA.
d) rivedere la disciplina della detrazione per:
1) consentire ai soggetti passivi di rendere la detrazione maggiormente aderente all’effettivo utilizzo dei beni e dei servizi impiegati ai fini delle operazioni soggette all’imposta, prevedendo, in particolare, la facoltà di applicare il pro-rata di detraibilità ai soli beni e servizi utilizzati da un soggetto passivo sia per operazioni che danno diritto a detrazione sia per operazioni che non danno tale diritto;
2) armonizzare i criteri di detraibilità dell’imposta relativa ai fabbricati a quelli della normativa dell’Unione europea;
3) prevedere che, in relazione ai beni e servizi acquistati o importati per i quali l’esigibilità dell’imposta si verifica nell’anno precedente a quello di ricezione della fattura, il diritto alla detrazione può essere esercitato al più tardi con la dichiarazione relativa all’anno in cui la fattura è ricevuta;
Nella relazione illustrativa di accompagnamento dell’A.C. 1038, il Governo specifica che (numero 1) è previsto che sia consentito al soggetto passivo di limitare l’applicazione del pro-rata di detraibilità ai soli beni e servizi a uso promiscuo, utilizzati quindi sia per operazioni che danno diritto a detrazione sia per operazioni esenti, e di operare negli altri casi la detrazione secondo un criterio analitico di afferenza dei beni e dei servizi acquistati alle singole operazioni sulla base della natura delle operazioni stesse. Viene, pertanto, modificato il criterio del pro-rata generale, in base al quale la ridotta percentuale forfettaria di detraibilità si applica a tutti gli acquisti e alle importazioni effettuate da un soggetto passivo che svolge sistematicamente sia attività imponibili che attività esenti, attualmente previsto in via obbligatoria dall’ordinamento nazionale (articolo 19, comma 5, del D.P.R. n. 633 del 1972), anche se esso è risultato conforme alla Direttiva IVA, come confermato dalla Corte di Giustizia (sentenza del 14 dicembre 2016, causa C-378/15), in virtù della possibilità, accordata agli Stati membri, di autorizzare o obbligare il soggetto passivo a operare la detrazione secondo la regola della percentuale di detrazione relativamente a tutti i beni e servizi acquistati (articolo 173, paragrafo 2, lettera c) della Direttiva IVA). Per effetto del principio di delega, al fine di consentire l’esercizio della detrazione con modalità più aderenti alla natura delle operazioni attive, verrà meno l’obbligatorietà del pro-rata generale, che potrà comunque continuare a essere applicato qualora il contribuente lo ritenga utile, ad esempio, per esigenze di semplificazione nel calcolo dell’imposta dovuta.
Il secondo correttivo della disciplina della detrazione (numero 2), perseguendo la medesima finalità sopra evidenziata, riguarda specificamente il settore immobiliare nell’ambito del quale l’esercizio della detrazione è attualmente escluso (articolo 19, bis 1, lettera i), del D.P.R. n. 633 del 1972) in relazione all’IVA dovuta sull’acquisto, sulla locazione, sulla gestione e sul recupero di fabbricati abitativi per le imprese diverse da quelle che svolgono in via esclusiva o prevalente attività edilizia nel settore abitativo. Tale indetraibilità oggettiva dovrà, pertanto, essere rivista al fine di rendere anche in questo settore, l’esercizio della detrazione coerente con la natura dell’operazione per la quale è utilizzato il bene o il servizio acquistato.
Infine, per quanto attiene al termine entro cui può essere esercitata la detrazione (numero 3), l’articolo in esame prevede che per i beni e servizi acquistati o importati, per i quali l’esigibilità dell’imposta si verifica nell’anno precedente a quello di ricezione della fattura, il diritto alla detrazione può essere esercitato al più tardi con la dichiarazione relativa all’anno in cui la fattura è ricevuta. Potrà, pertanto, essere superata l’attuale previsione dell’articolo 1, primo comma, del D.P.R. n. 100 del 1998, in base alla quale la detrazione non può essere esercitata nel periodo in cui l’imposta è diventata esigibile ma in quello in cui la fattura è ricevuta. L’esercizio della delega consentirà, pertanto, ai contribuenti di detrarre l’IVA indicata sulle fatture d’acquisto relative a operazioni effettuate nell’anno precedente o nel periodo in cui la relativa imposta è diventata esigibile o in quello in cui la fattura è ricevuta.
e) ridurre l’aliquota dell’IVA all’importazione di opere d’arte, recependo la Direttiva n. 2022/542/UE del 5 aprile 2022 del Consiglio, ed estendendo l’aliquota ridotta anche alle cessioni di oggetti d’arte, di antiquariato o da collezione;
f) razionalizzare la disciplina del gruppo IVA al fine di semplificare le misure previste per l’accesso e l’applicazione dell’istituto;
Come precisato dal Governo nella relazione illustrativa di accompagnamento dell’A.C. 1038, tale criterio di delega prevede una revisione della disciplina del Gruppo IVA, di cui al Titolo V-bis, articoli da 70-bis a 70-duodecies, del D.P.R. n. 633 del 1972, al fine di semplificare i criteri e le condizioni per l’esercizio della relativa opzione. La normativa italiana è stata introdotta in attuazione dell’articolo 11 della Direttiva 2006/112/CE che autorizza gli Stati membri, previa consultazione del Comitato IVA, a considerare come un unico soggetto passivo le persone stabilite nel proprio territorio che siano giuridicamente indipendenti, ma strettamente vincolate fra loro da rapporti finanziari, economici e organizzativi. Attraverso l’esercizio della delega potranno essere rivisti alcuni vincoli che l’ordinamento nazionale ha previsto per la costituzione, facoltativa, del Gruppo IVA, tra cui ad esempio il criterio “all in, all out”, in base al quale l’opzione per la costituzione del Gruppo IVA vincola tutti i soggetti legati da vincoli finanziari, economici e organizzativi. L’articolo in esame, nel rivedere la disciplina del Gruppo IVA potrebbe, a titolo esemplificativo, superare il suddetto principio, semplificando le procedure di accesso e di modifica del perimetro soggettivo del Gruppo IVA e consentendo, dunque, anche solo ad alcuni soggetti per i quali ricorrano i suddetti vincoli previsti dalla normativa vigente, di costituire un Gruppo IVA.
g) razionalizzare la disciplina IVA degli enti del Terzo settore, anche al fine di semplificare gli adempimenti relativi alle attività di interesse generale.
Tale razionalizzazione della disciplina in esame si rende necessaria, in primo luogo, in ragione delle modifiche introdotte dalla riforma del Terzo settore che hanno previsto l’applicazione agli enti di natura non commerciale di talune ipotesi di esclusione ed esenzione ai fini IVA, finora previste nei confronti delle Onlus (articolo 89, comma 7, lettera a) e b) del decreto legislativo n. 117 del 2017 – Codice del terzo settore).
Occorre, altresì, tenere conto delle disposizioni introdotte dall’articolo 5, comma 15-quater, del decreto-legge n. 146 del 2021 che – con decorrenza dal 1° gennaio 2024 (ai sensi dell’art. 1, comma 683, della legge n. 234 del 2021) – hanno modificato gli articoli 4 e 10 del D.P.R. n. 633 del 1972, riconducendo nel campo di applicazione dell’IVA, in regime di esenzione, talune prestazioni di servizi e cessioni di beni rese dagli enti non profit di tipo associativo nei confronti dei propri associati e partecipanti.
In particolare, con la procedura di infrazione 2008/2010, attualmente allo stato di messa in mora complementare (C (2019) 4849 final 2019 del 25 luglio 2019), è stato contestato il non corretto recepimento nell’ordinamento italiano delle esenzioni di pubblico interesse, di cui all’articolo 132 della Direttiva 2006/112/CE; la Commissione europea ha eccepito allo Stato italiano l’impossibilità di considerare escluse dal campo di applicazione dell’IVA le operazioni degli enti non commerciali a favore dei loro associati a fronte dell’aumento della quota associativa o dietro corrispettivo specifico.
Ai fini dell’archiviazione della citata procedura d’infrazione, si è proceduto all’adeguamento della normativa nazionale mediante l’articolo 5, commi da 15-quater a 15-sexies, del decreto-legge n. 146 del 2021, convertito dalla legge n. 215 del 2021, che rende la disciplina IVA delle operazioni effettuate da enti non commerciali a carattere associativo conforme alle indicazioni dell’articolo 132 della Direttiva IVA prevedendo che tali operazioni siano rilevanti ai fini dell’imposta sul valore aggiunto sebbene in regime di esenzione.
L’entrata in vigore delle citate disposizioni è stata rinviata al 1° gennaio 2024 dall’articolo 1, comma 683, della legge n. 234 del 2021.
Per un’illustrazione della disciplina di riforma del Terzo settore, si veda il relativo dossier del Servizio studi della Camera.
Si rinvia al dossier sulla tassazione in Italia curato dai Servizi studi di Camera e Senato per ulteriori dettagli relativi all’IVA.
Articolo 8
(Principi e criteri direttivi per il graduale superamento
dell'imposta regionale sulle attività produttive)
L’articolo 8 stabilisce principi e criteri direttivi specifici volti a realizzare il graduale superamento dell'imposta regionale sulle attività produttive.
In particolare, tale processo dovrà attuarsi in modo graduale dando priorità alle società di persone e alle associazioni senza personalità giuridica costituite fra persone fisiche per l'esercizio in forma associata di arti e professioni.
Il comma 1 stabilisce che nell’esercizio della delega il Governo è tenuto ad osservare i principi e i criteri direttivi, elencati alle lettere a), b) e c), per realizzare la revisione della disciplina dell'imposta regionale sulle attività produttive-IRAP.
Si ricorda che l’imposta regionale sulle attività produttive, disciplinata dal decreto. legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, è dovuta per l'esercizio abituale di una attività autonomamente organizzata, diretta alla produzione o allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi. Soggetti passivi sono gli esercenti attività d’impresa e lavoro autonomo, operanti sia in forma individuale che associata, gli enti non commerciali privati nonché le amministrazioni ed enti pubblici. È un tributo proprio derivato, vale a dire un tributo istituito e regolato dalla legge dello Stato, il cui gettito è attribuito alle regioni, le quali devono, pertanto, esercitare la propria autonomia impositiva entro i limiti stabiliti dalla legge statale. Il gettito dell’Irap concorre, nella misura e nelle forme stabilite dalla legge, al finanziamento del Servizio sanitario nazionale.
A tale proposito, si ricorda altresì che nel corso dell’indagine conoscitiva sulla riforma dell’Irpef condotta dalle Commissioni Finanze della Camera e del Senato nella XVIII legislatura, una riforma o una radicale abolizione dell’Irap è stata proposta da numerosi soggetti auditi, nell’ottica della revisione complessiva dei redditi d’impresa. In particolare, è stato sottolineato come la componente soggetta a tassazione ai fini Irap risulta in sostanza essere il reddito d’impresa, i cui presupposti impositivi sono simili a quelli degli altri tributi diretti alla tassazione della ricchezza prodotta: è stato dunque affermato che, in una logica di semplificazione, si potrebbe prevedere il superamento dell’Irap contestualmente all’introduzione di una addizionale al reddito d’impresa, dalla quale andrebbero esentate le imprese non dotate di autonoma organizzazione, oggi escluse dalla tassazione Irap. L’istanza di superamento dell’Irap è specificamente richiesta nel documento conclusivo dell’indagine conoscitiva, nell'ottica di una semplificazione del sistema tributario, e all'interno di un complessivo quadro di riforma in cui valutare gli aspetti di redistribuzione del carico fiscale.
Per una ricostruzione dettagliata della disciplina dell’IRAP si rinvia alla lettura del dossier: Elementi essenziali della tassazione in Italia realizzato dai Servizi studi della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica nonché alla pagina del sito del MEF dedicata al tributo.
Recentemente, la legge di bilancio 2022 (articolo 1, commi 8 e 9), sempre ai fini del superamento dell'imposta in esame, ha previsto che a partire dal 2022 sono esentati dal pagamento dall’Irap i contribuenti persone fisiche che esercitano attività commerciali, nonché arti e professioni di cui alle lettere b) e c) del comma 1, dell’articolo 3, del decreto legislativo n. 446 del 1997.
A tale proposito sono previste specifiche forme di copertura del mancato gettito Irap in favore delle Regioni e delle Province autonome, mediante l’istituzione di apposito Fondo. Gli importi spettanti possono essere modificati, previo accordo in sede di Conferenza permanente Stato, Regioni e Province autonome, a decorrere dal 2025.
La lettera a), del comma 1, modificata dalla Camera, prevede di procedere al graduale superamento dell’imposta, con priorità per le società di persone e le associazioni senza personalità giuridica costituite tra persone fisiche per l’esercizio in forma associata di arti e professioni.
Nella Relazione illustrativa di accompagnamento dell’A.C. 1038 si chiarisce che il superamento dell’IRAP è da attuarsi in modo graduale dando priorità alle società di persone e alle associazioni tra artisti e professionisti; in una successiva fase verrà esteso alle società di capitali.
La norma stabilisce altresì che l'imposta sarà sostituita da una sovrimposta determinata secondo le medesime regole dell’IRES.
Nello specifico viene prevista l’istituzione di una sovrimposta determinata secondo le medesime regole dell’IRES, con l’esclusione del riporto delle perdite, ovvero secondo regole particolari per gli enti non commerciali, con invarianza del carico fiscale. Alle regioni dovrà essere assicurato un gettito in misura equivalente a quello attuale da ripartire tra le stesse sulla base dei criteri vigenti in materia di IRAP.
Secondo i dati presentati dal MEF nel Bollettino delle entrate tributarie 2022 IRAP il gettito IRAP nel 2022 risulta pari a 28.727 milioni di euro (+4.768 milioni di euro, pari a +19,9%). Dai soggetti privati affluiscono 17.866 milioni di euro (+4.562 milioni di euro, pari a +34,3%) e dalle amministrazioni pubbliche 10.861 milioni di euro (+206 milioni di euro, pari a +1,9%).
Fonte: elaborazione dati MEF-Dipartimento finanze
La lettera b) chiarisce che l'intervento previsto alla lettera a) deve comunque garantire il finanziamento del fabbisogno sanitario e il gettito in misura equivalente per le regioni che presentano squilibri di bilancio sanitario ovvero per quelle che sono sottoposte a piani di rientro i quali, in base alla legislazione vigente, comportano l'applicazione, anche automatica, di aliquote IRAP maggiori di quelle minime.
La lettera c) prevede che il legislatore delegato è tenuto a garantire il rispetto dei principi e criteri direttivi generali in materia di esclusione di interventi sulle basi imponibili e sulle aliquote dei tributi che non siano del proprio livello di governo nonché dei principi di manovrabilità e flessibilità dei tributi (previsti dall’articolo 2, comma 1, lettera g), alla cui scheda si rimanda) per tutte le regioni, anche nella fase transitoria del graduale superamento dell’imposta.
A tale proposito si rammenta, in relazione al gettito dell’IRAP e al finanziamento del servizio sanitario nazionale, la differenza tra le regioni a statuto ordinario, alla cui spesa concorre lo Stato, e le regioni a statuto speciale e le province autonome che provvedono invece integralmente al finanziamento della sanità. Per le regioni a statuto ordinario il gettito dell’IRAP (decreto legislativo 446 del 1997 e decreto legislativo n. 68 del 2011) costituisce una delle principali entrate tributarie che, insieme al gettito dell’addizionale IRPEF e dell’accisa sulla benzina, finanzia la spesa sanitaria regionale, definita e quantificata annualmente in sede di determinazione del fabbisogno sanitario. Per la parte del finanziamento della sanità che le suddette imposte ad esso destinate non riescono a coprire, interviene il Fondo perequativo, attualmente alimentato dalla compartecipazione regionale al gettito dell'imposta sul valore aggiunto (IVA), anch’esso determinato e attribuito alle regioni annualmente. Le regioni a statuto speciale e le province autonome, sono destinatarie del gettito IRAP al pari delle regioni a statuto ordinario, esso tuttavia non è destinato direttamente al finanziamento del sistema sanitario. Questi enti, infatti, provvedono al finanziamento del Servizio sanitario nazionale con risorse provenienti interamente dal proprio bilancio e senza alcun onere a carico dello Stato. Fa eccezione la Regione siciliana, sola regione tra le autonomie speciali, a non finanziarie completamente i servizi di assistenza sanitaria sul proprio territorio.
Il comma 2 stabilisce che dagli interventi normativi sopra descritti non possono essere generati aggravi di alcun tipo sui redditi di lavoro dipendente e di pensione.
Articolo 9
(Altre disposizioni)
In base all’articolo 9, modificato dalla Camera in prima lettura, il Governo, nell’esercizio della delega di cui all’articolo 1, può adottare uno o più decreti legislativi che mirano a:
disciplinare i redditi delle imprese che accedono agli istituti disciplinati dal codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (comma 1, lettera a));
rivedere il regime delle società non operative (comma 1, lettera b));
razionalizzare e semplificare i criteri di determinazione del reddito d’impresa (comma 1, lettera c)), semplificando la disciplina del codice civile in materia di bilancio e revisionando il decreto legislativo 28 febbraio 2005, n. 38 (comma 1, lettera d); introdurre la disciplina fiscale relativa alla scissione societaria parziale (comma 1, lettera e);
semplificare la disciplina della liquidazione ordinaria delle imprese individuali e delle società commerciali (comma 1, lettera f); razionalizzare gli incentivi fiscali alle imprese (comma 1, lettera g));
revisionare la fiscalità di vantaggio alle imprese nel rispetto della disciplina europea in materia di aiuti di Stato (comma 1, lettera h));
favorire lo sviluppo economico del Mezzogiorno, semplificazione il sistema di agevolazioni fiscali nei riguardi delle imprese, con particolare riferimento alle zone economiche speciali (comma 1, lettera i);
semplificare i regimi agevolativi per gli Enti del Terzo settore (comma 1, lettera l));
razionalizzare le misure fiscali per gli enti sportivi (comma 1, lettera m));
favorire la permanenza in Italia di studenti ivi formati;
favorire la permanenza in Italia di studenti ivi formati, mediante razionalizzazione degli incentivi per il rientro in Italia di persone ivi formate e occupate all’estero (comma 1, lettera n)).
Con riferimento a questi obiettivi sono precisati specifici criteri e principi direttivi, di seguito descritti.
Deleghe in materia di redditi delle imprese che accedono agli istituti disciplinati dal codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (comma 1, lettera a))
Il comma 1, lettera a), numeri da 1 a 3 conferisce al Governo la delega per la revisione del sistema di imposizione dei redditi delle imprese che accedono agli istituti disciplinati dal Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza, di cui al decreto legislativo 12 gennaio 2019, n. 14, nonché per attribuire rilevanza, ai fini della deducibilità delle perdite sui crediti vantati nei confronti di tali imprese, all’accesso ai nuovi istituti liquidatori ovvero di risanamento previsti dal Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza.
In particolare, al comma 1, lettera a), numero 1), in considerazione della introduzione di nuovi istituti nell’ambito del Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza, viene previsto un regime di tassazione del reddito delle imprese differenziato a seconda che l’impresa acceda a uno degli istituti liquidatori ovvero di risanamento previsti dal medesimo Codice. L’individuazione, a fini fiscali, della natura liquidatoria di una procedura va operata non sulla base della qualificazione di quest’ultima, desumibile dal Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza, ma in funzione del fatto che da essa derivi l’estinzione dell’impresa debitrice.
Con il comma 1, lettera a), numero 1.1, si estendono le modalità di determinazione del reddito attualmente previste per le sole procedure del fallimento (liquidazione giudiziale) e della liquidazione coatta amministrativa a tutti gli istituti del Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza che hanno le medesime finalità liquidatorie dell’impresa.
Come evidenzia la Relazione illustrativa di accompagnamento dell’A.C. 1038, nel caso l’impresa acceda a uno degli istituti liquidatori da cui discenda l’estinzione dell’impresa debitrice, in coerenza con quanto già previsto dal TUIR per il fallimento (liquidazione giudiziale) e la liquidazione coatta amministrativa, il reddito d’impresa relativo al periodo compreso tra l’inizio e la chiusura della procedura sarà costituito dalla differenza tra il residuo attivo e il valore fiscale del patrimonio netto dell’impresa all’inizio del procedimento ed è quantificato in relazione all’intero periodo della procedura, indipendentemente dalla sua durata.
Resta fermo, invece, ai sensi del comma 1, lettera a), numero 1.2, che per le imprese che accedono agli istituti del Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza che non hanno finalità liquidatorie bensì di risanamento, ossia per i quali l’estinzione dell’impresa al termine della procedura non si verifica, continua ad applicarsi l’ordinaria disciplina con riguardo sia alla determinazione del reddito d’impresa sia ai relativi obblighi dichiarativi. È, inoltre, previsto, nelle procedure liquidatorie, l’adeguamento degli obblighi e degli adempimenti, inclusi quelli di carattere dichiarativo, da porre a carico delle procedure liquidatorie, anche relativamente al periodo d’imposta precedente, al fine di superare le incertezze interpretative emerse in assenza di una apposita disciplina normativa.
Il comma 1, lettera a), numero 2) estende agli istituti liquidatori, al concordato preventivo di qualunque tipo e all’Amministrazione straordinaria delle grandi imprese, il regime degli adempimenti attualmente previsto ai fini IVA per la liquidazione giudiziale.
Il periodo d’imposta è, pertanto, interrotto alla data in cui l’impresa debitrice deposita la domanda di accesso a tali istituti, anche ai fini dell’articolo 44 del Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza, con contestuale inizio di un diverso periodo d’imposta. I crediti sorti anteriormente all’apertura delle procedure sono, pertanto, compensati con i debiti d’imposta coevi.
A tutti gli istituti disciplinati dal Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza il comma 1, lettera a), numero 3), estende l’applicazione delle disposizioni degli articoli 88, comma 4-ter, e 101, comma 5, del TUIR, nonché dell’articolo 26, commi 3-bis, 5, 5-bis e 10 -bis del D.P.R. 633 del 1972 e l’esclusione delle responsabilità previste dall’articolo 14 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472 (Cessione d’azienda) e dall’articolo 2560 del codice civile (Debiti relativi all’azienda ceduta).
In particolare, la legge delega interviene sul trattamento fiscale dei componenti positivi derivanti dallo stralcio di debiti in presenza di istituti, previsti dal Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza, estendendo la disciplina dell’articolo 88, comma 4-ter, del TUIR. Detto articolo prevede l’irrilevanza delle sopravvenienze derivanti da istituti che hanno carattere liquidatorio, mentre per le procedure che non hanno finalità liquidatoria prevede che la riduzione dei debiti ottenuta non costituisce sopravvenienza attiva fiscalmente rilevante per la parte che eccede:
§ le perdite, pregresse e di periodo, di cui all’articolo 84 del TUIR, senza considerare il limite dell’ottanta per cento;
§ la deduzione di periodo e l’eccedenza relativa all’aiuto alla crescita economica (ACE), di cui all’articolo 1, comma 4, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214;
§ gli interessi passivi e gli oneri finanziari assimilati di cui al comma 4 dell’articolo 96 del citato TUIR.
La Relazione illustrativa di accompagnamento dell’A.C. 1038 fa osservare che la legge delega estende, inoltre, la deducibilità “automatica” della perdita su crediti alle ipotesi in cui il debitore sia assoggettato a tutti gli istituti, liquidatori ovvero di risanamento, previsti dal Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza. A legislazione vigente, infatti, la deduzione automatica è possibile solo se il debitore è assoggettato a procedure concorsuali o ha concluso un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato o un piano attestato o è assoggettato a procedure estere equivalenti, previste in Stati o territori con i quali esiste un adeguato scambio di informazioni; qualora, invece, il debitore acceda a un istituto del Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza diverso da quelli sopra menzionati, esplicitamente indicati nell’articolo 101, comma 5, del TUIR, le perdite su crediti sono deducibili secondo la regola generale, cioè solo se risultanti da elementi certi e precisi.
La legge delega interviene altresì sull’estensione agli istituti disciplinati dal Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza delle disposizioni recate dell’articolo 26, commi 3-bis, 5, 5-bis e 10-bis del D.P.R. 633 del 1972, che, per le procedure concorsuali, ripristina la possibilità di esercitare il diritto alla detrazione da mancato pagamento - emettendo nota di credito IVA – già a partire dalla data in cui il cedente o il prestatore e? assoggettato a una procedura concorsuale, in luogo di dover attendere l’infruttuoso esperimento della stessa. La condizione di infruttuosità della procedura, ai fini dell’esercizio del diritto alla detrazione, permane per le procedure esecutive individuali.
Il comma 1, lettera a), numero 4) prevede l’introduzione della disciplina degli effetti derivanti dall’accesso delle imprese a uno dei predetti istituti (liquidatori o di risanamento) per quanto concerne il rimborso e la cessione dei crediti d’imposta maturati nel corso delle procedure e la notifica degli atti impositivi.
Per quanto concerne il rimborso e la cessione dei crediti, si prevede che nelle procedure liquidatorie tali operazioni sono possibili anche prima della chiusura della procedura (numero 4.1).
La Relazione illustrativa di accompagnamento dell’A.C. 1038 osserva che tale disposizione mira a superare le incertezze interpretative insorte al riguardo, che hanno ostacolato il recupero dei crediti fiscali da parte delle procedure e generato controversie giudiziali che hanno impedito la tempestiva chiusura dei fallimenti.
Quanto alla notifica degli atti impositivi, il relativo obbligo è posto nei confronti sia degli organi giudiziali che dell’impresa debitrice, al fine di consentire la piena attuazione del diritto di difesa (numero 4.2).
Secondo quanto previsto dal comma 1, lettera a), numero 5), si introduce la possibilità di raggiungere un accordo sul pagamento parziale o dilazionato dei tributi anche locali, nell’ambito della composizione negoziata sotto la regia del Tribunale, in coordinamento con la disciplina in tema di transazione fiscale prevista dagli articoli 63 e 88 del decreto legislativo n. 14 del 2019. Si prevede, altresì, di introdurre analoga disciplina per l’istituto dell’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi.
Si ricorda che il Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza non ha introdotto alcuna disposizione in merito al trattamento dei tributi locali nell’ambito del concordato preventivo e dell’accordo di ristrutturazione dei debiti. Rientrano nella transazione fiscale:
1) i tributi erariali, in quanto certamente amministrati dall’Agenzia delle entrate o dall’Agenzia delle dogane;
2) i tributi diversi da quelli erariali che, pur essendo di spettanza di altri enti (come Comuni e Regioni), sono amministrati dalle agenzie fiscali ex lege oppure sulla base di una convenzione stipulata con il soggetto attivo del tributo ai sensi dell’articolo 57 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300.
Revisione del regime delle società non operative (comma 1, lettera b))
Il comma 1, lettera b), numeri 1) e 2), delega il Governo ad una revisione della disciplina delle società non operative, prevedendo criteri specifici, da aggiornarsi periodicamente, che consentano di individuare le società senza impresa, tenendo conto dei principi elaborati al riguardo dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione e della Corte di Giustizia europea, ai fini delle imposte sui redditi. Dovranno, inoltre, essere individuate cause di esclusione dell’applicazione della disciplina, che apprezzino la circostanza che la società abbia in organico un numero minimo di lavoratori dipendenti e che la medesima appartenga a settori regolamentati che offrono garanzia di esclusione di utilizzo della forma societaria per l’esercizio di attività di mero godimento da parte delle persone fisiche.
La Relazione illustrativa di accompagnamento dell’A.C. 1038 evidenzia che per tali società è stabilita, ai fini dell’IVA, la indetraibilità dell’imposta pagata per l’acquisto di beni (unità immobiliari classificati o classificabili in categoria catastale A – tranne A10 – e loro pertinenze, unità da diporto, aeromobili da turismo o qualsiasi altro mezzo di trasporto ad uso privato e complessi sportivi o ricreativi, compresi quelli destinati all’ormeggio, al ricovero e al servizio di unità da diporto) che vengono gestiti e messi a disposizione dei soci e partecipanti, e dei loro familiari, gratuitamente o a fronte di un corrispettivo inferiore al valore normale, anche attraverso la partecipazione ad associazioni, enti o altre organizzazioni.
La indetraibilità dell’IVA è stata, inoltre, stabilita nei riguardi delle holding di gestione, in caso di possesso, non strumentale né accessorio ad altre attività esercitate, di partecipazioni o quote sociali, di obbligazioni o titoli similari, costituenti immobilizzazioni, al fine di percepire dividendi, interessi o altri frutti, senza strutture dirette a esercitare attività finanziaria ovvero attività di indirizzo, di coordinamento o altri interventi nella gestione delle società partecipate.
Le società c.d. “non operative” (o “di comodo”) sono società che, presuntivamente, sono prive di un’attività economica concreta e pertanto possono fruire dei benefici associati alla determinazione analitica del reddito di impresa e alla possibilità di fruire dell’IVA a credito. Questa “probabile inattività” e preordinazione a vantaggi fiscali indebiti viene desunta dagli insufficienti risultati economici di questi soggetti e comporta conseguenze particolarmente penalizzanti sotto il profilo tributario. Alle società non operative si sono affiancate in seguito le società in perdita sistemica, che, indipendentemente dai beni strumentali detenuti, sono caratterizzate da una situazione di perdita fiscale protratta per più periodi di imposta. Tale equiparazione è tuttavia cessata a seguito dell’abrogazione, dei commi da 36-decies a 36-duodecies dell’articolo 2 del decreto-legge. n. 138/2011 ad opera dell’articolo 9 del decreto-legge n. 73 del 2022.
La materia nel corso degli anni è stata oggetto di modifiche normative di numerosi interventi interpretativi da parte dell’Agenzia delle Entrate, nonché delle precisazioni della giurisprudenza di legittimità.
Le società non operative e in perdita sistemica sono soggetti societari che, in virtù di presunzioni legali, vengono considerati come mancanti di quella condizione di “commercialità” sostanziale che giustifica l’applicazione delle norme sul reddito di impresa e sulle detrazioni IVA, e perciò penalizzati dal legislatore.
La normativa primaria di riferimento in materia è rappresentata dall’articolo 30 della legge n. 724 del 1994.
La condizione di società non operativa (snop) scaturisce dalla presenza di un determinato volume di asset patrimoniali, con i quali vengono confrontati i ricavi della società (“test di operatività”): se questi sono troppo bassi rispetto a un valore percentualmente determinato in base ai beni patrimoniali (immobilizzazioni), la società ha l’obbligo di dichiarare un reddito minimo presunto, anch’esso determinato percentualmente in base agli asset.
Delega in materia di razionalizzazione e semplificazione dei criteri di determinazione del reddito d’impresa (comma 1, lettera c))
La lettera c) conferisce al Governo la delega per la semplificazione e la razionalizzazione del reddito d’impresa, al fine di ridurre gli adempimenti amministrativi a carico delle imprese, attraverso un rafforzamento del processo di avvicinamento tra valori civilistici e fiscali e mediante una revisione della disciplina delle variazioni in aumento e diminuzione, apportate all’utile o alla perdita di esercizio, per pervenire alla determinazione del reddito imponibile, al fine di adeguare la disciplina attuale ai mutamenti intervenuti nel sistema economico e di allinearla tendenzialmente a quella vigente nei principali Paesi europei.
Si rafforza in tal senso il principio di derivazione rafforzata e si limita la divergenza tra la disciplina fiscale e quella civilistica, fermi restando i principi di inerenza e di neutralità fiscale delle operazioni di riorganizzazione aziendale e divieto di abuso del diritto, sì da evitare la gestione di un oneroso doppio binario civilistico-fiscale.
Saranno oggetto di revisione le differenze temporanee che scaturiscono dalla deroga alla competenza economica del bilancio: derivanti da fenomeni valutativi come per le opere, forniture e servizi di durata ultrannuale o per gli ammortamenti; in quanto si considera rilevante il momento del pagamento come per le differenze su cambi per i debiti o i crediti in valuta e gli interessi di mora.
In alcuni casi l’allineamento può essere subordinato alla condizione che l’impresa sottoponga il proprio bilancio di esercizio a revisione legale dei conti, ovvero sia in possesso di apposite certificazioni rilasciate da professionisti qualificati che attestino la correttezza degli imponibili dichiarati.
È stata prevista anche la revisione della disciplina dei costi parzialmente deducibili.
La Relazione illustrativa di accompagnamento dell’A.C. 1038 ricorda che, al fine di agevolare i controlli e ridurre il contenzioso, sono state inserite nel TUIR norme che determinano ex ante la percentuale di deducibilità di alcuni costi riferiti a beni che, per la loro particolare natura, possono essere frequentemente utilizzati anche a titolo personale dall’imprenditore, dai soci e dai loro familiari. In alcuni casi, quale quello dei mezzi di trasporto a motore, la percentuale di deducibilità risulta molto ridotta e la Corte Costituzionale ha più volte affermato che il legislatore può, nell’ambito della propria discrezionalità, prevedere meccanismi di deduzione forfetaria delle spese ma gli stessi non devono risultare manifestamente irragionevoli.
In virtù delle finalità poste dal criterio di delega, l’avvicinamento della disciplina fiscale a quella civilistica dovrebbe, in via generale, rilevare esclusivamente per i soggetti che, ai sensi dell’articolo 83 del TUIR, applicano il principio della derivazione rafforzata.
La revisione dello specifico trattamento tributario riservato ad alcune fattispecie potrebbe essere circoscritta, per ragioni di maggior tutela erariale, ai contribuenti che oltre ad applicare la derivazione rafforzata, sottopongono il proprio bilancio a revisione legale, ovvero acquisiscano documentazione ad hoc rilasciata da professionisti qualificati che attestino la correttezza degli imponibili dichiarati.
In tale contesto, sarà possibile anche rivedere le numerose disposizioni che limitano la deducibilità dei costi afferenti all’impiego dei lavoratori dipendenti (in tal senso va anche letto il riferimento contenuto nella lettera c) alla “revisione della disciplina dei costi parzialmente deducibili”) e che costituiscono voci rilevanti che contribuiscono a mantenere elevato il costo del lavoro (spese inerenti ai fabbricati concessi in uso ai dipendenti, spese di vitto e alloggio per le trasferte dei dipendenti, alle spese alberghiere e di ristorazione del dipendente, costi per l’uso dell’auto del dipendente o per l’auto assegnata al dipendente o ancora alle spese telefoniche). In un’ottica di alleggerimento del costo fiscale del lavoro, le disposizioni che limitano la deducibilità dei costi per dipendenti che, in linea generale, corrispondono a fringe benefit tassati per quest’ultimo, sono suscettibili di abrogazione o di essere riconsiderate alla luce del principio teso ad allineare il reddito all’utile di esercizio.
La semplificazione, razionalizzazione e riduzione degli adempimenti delle imprese devono essere perseguiti anche attraverso un rafforzamento del processo di avvicinamento tra valori civilistici e fiscali. I due concetti di utile civilistico (utile risultante dal conto economico) e di utile da assoggettare ad imposta (determinato apportando alle componenti economiche le variazioni in aumento e in diminuzione conseguenti dall’applicazione della disciplina tributaria) divergono per specifiche ragioni che il Governo viene delegato a riconsiderare, anche alla luce dell’onere degli adempimenti conseguenti.
L’utile civilistico deriva dall’applicazione delle norme dettate dal Codice civile in materia contabile, le quali a loro volta sono integrate dai principi contabili italiani emanati dall’OIC (Organismo Italiano di Contabilità). Per alcune imprese è obbligatorio (e per altre opzionale) applicare i principi contabili internazionali in luogo di quelli nazionali. Diversamente l’utile fiscale è determinato applicando alle componenti economiche del bilancio le norme tributarie. La determinazione del reddito d’impresa segue le modalità previste dall’articolo 83 del D.P.R. n. 917 del 1986 (Testo unico delle imposte sui redditi - TUIR), che sancisce il principio di derivazione del reddito d’impresa dal conto economico: il reddito complessivo è infatti determinato apportando all’utile o alla perdita risultante dal conto economico, relativo all’esercizio chiuso nel periodo d’imposta, le variazioni in aumento o in diminuzione conseguenti all’applicazione dei criteri stabiliti nelle successive disposizioni recate dal Titolo II, Capo II, Sezione I del TUIR (articoli 81-116).
Alla base della distinzione tra risultato civilistico e risultato fiscale vi sono i diversi obiettivi che persegue la determinazione dei due risultati. In particolare, nell’ambito civilistico si applicano una serie di princìpi: annualità, unità, universalità, veridicità, correttezza, e anche "prudenza", ovvero il risultato di esercizio deve essere determinato evitando che sia sovrastimato, tenendo conto dei rischi e delle perdite potenziali. In ambito tributario il principio alla base della determinazione del reddito è riconducibile all’articolo 53 della Costituzione, ovvero al principio di capacità contributiva. Più precisamente, in base al principio di derivazione l’utile fiscale è comunque fondato sui princìpi che caratterizzano la redazione del bilancio civilistico e, tuttavia, l’esigenza di mettere in primo piano la capacità contributiva determina le variazioni in aumento o in diminuzione conseguenti all’applicazione dei criteri stabiliti nel TUIR.
Per evidenziare alcune circostanze che danno luogo alle così dette differenze di bilancio, si possono citare ad esempio gli oneri a deducibilità parziale: spese per acquisto di autovetture, spese pasti e pernottamenti, spese di manutenzione ordinaria su beni di proprietà, spese di rappresentanza e di telefonia. Per queste componenti negative è prevista una variazione in aumento dell’utile fiscale rispetto a quello civilistico sulla base di una percentuale di deducibilità o al superamento di una certa soglia. Altro caso è invece quello delle differenze temporanee, le quali invece tendono ad essere riassorbite nel tempo. Sostanzialmente si tratta di costi, la cui deducibilità fiscale è spalmata su diversi periodi di imposta. Un esempio sono le quote di ammortamento, ovvero le quote in cui viene suddiviso il costo sostenuto per l’acquisto di beni destinati a contribuire per più di un esercizio alla produzione del reddito d’impresa, affinché tale costo possa essere ripartito nell’arco di esercizi corrispondenti alla vita utile del bene. La disciplina civilistica è contenuta nell’articolo 2426 del Codice civile e nei relativi principi contabili, mentre quella fiscale nell’articolo 102 del TUIR. I due diversi sistemi di determinazione dell’ammortamento possono far sorgere differenti valutazioni con riferimento all’inizio della procedura di ammortamento, all’aliquota ridotta al primo anno di ammortamento fiscale, alla deduzione integrale dal reddito dei cespiti con un costo unitario inferiore a una certa soglia e alla durata del piano di ammortamento. La disciplina fiscale degli ammortamenti è stata negli ultimi anni oggetto di interventi volti a consentire alle imprese di aumentare i costi per l’acquisto di determinati beni strumentali (e, dunque, la deducibilità dalle imposte dirette), in particolare i beni materiali e immateriali connessi agli investimenti e all’innovazione tecnologica (superammortamento, iperammortamento e credito d’imposta per le spese sostenute a titolo di investimento in beni strumentali nuovi).
Con le modifiche introdotte dalla Camera, la nuova lettera d) delega il Governo a perseguire il rafforzamento del processo di avvicinamento dei valori fiscali a quelli civilistici, di cui alla lettera precedente, attraverso la semplificazione della disciplina del codice civile in materia di bilancio, con particolare riguardo alle imprese di minori dimensioni, e la revisione del decreto legislativo 28 febbraio 2005, n. 38. Tale revisione deve prevedere la facoltà, per i soggetti che adottano i principi contabili internazionali IAS (International Accounting Standard)/IFRS (International Financial Reporting Standard) per il bilancio consolidato, di applicarli anche al bilancio d'esercizio, fatte salve le eccezioni ritenute necessarie per colmare eventuali lacune dei principi contabili internazionali, coordinare il bilancio di esercizio con la sua funzione organizzativa ed evitare eccessivi aggravi amministrativi.
Sui principi contabili IAS (International Accounting Standard)/IFRS (International Financial Reporting Standard) si veda box a pag. 59.
Un ulteriore principio di delega, aggiunto nel corso dell’esame alla Camera dalla nuova lettera e), prevede l’introduzione di una disciplina fiscale relativa alla scissione societaria parziale di cui all’articolo 2506.1 del codice civile.
Secondo l’articolo 2506.1 del codice civile, introdotto nel codice civile dal decreto legislativo n. 19 del 2023, in materia di scissione mediante scorporo, si prevede che con la scissione mediante scorporo una società assegna parte del suo patrimonio a una o più società di nuova costituzione e a sé stessa le relative azioni o quote a sé stessa, continuando la propria attività. La partecipazione alla scissione non è consentita alle società in liquidazione che abbiano iniziato la distribuzione dell'attivo.
Con l’introduzione durante l’esame alla Camera di una nuova lettera f), il Governo è ulteriormente delegato a semplificare e razionalizzare la disciplina della liquidazione ordinaria delle imprese individuali e delle società commerciali, stabilendo la definitività del reddito relativo a ciascun periodo di imposta, salva la facoltà del contribuente, se la liquidazione non si protrae rispettivamente per più di tre o cinque esercizi, di determinare il reddito d'impresa compreso tra l'inizio e la chiusura della stessa in base al bilancio finale, provvedendo alla riliquidazione dell'imposta.
Razionalizzazione degli incentivi fiscali alle imprese
(comma 1, lettera g))
Tra i principi e criteri direttivi specificamente individuati dall’articolo in commento, il comma 1, la lettera g) contempla quello relativo alla revisione e razionalizzazione degli incentivi fiscali alle imprese, anche in coerenza con quanto previsto dalla direttiva (UE) 2022/2523 del Consiglio del 14 dicembre 2022, intesa a garantire un livello di imposizione fiscale minimo globale per i gruppi multinazionali di imprese e i gruppi nazionali su larga scala, al fine di coordinare e riordinare i meccanismi di determinazione e fruizione delle agevolazioni di natura fiscale alla luce della revisione del sistema di imposizione in materia di reddito d’impresa di cui all’articolo 6, comma 1, lettera a).
Si ricorda che la direttiva (UE) 2022/2523 del Consiglio del 14 dicembre 2022 ha recepito la disciplina del c.d. Pillar Two e introdotto una global minimum tax stabilendo misure comuni per la tassazione effettiva minima dei gruppi multinazionali di imprese e dei gruppi nazionali su larga scala sotto forma di: una regola di inclusione del reddito (income inclusion rule - IIR), con la quale un’entità controllante di un gruppo multinazionale di imprese o di un gruppo nazionale su larga scala calcola e versa la propria quota imputabile di imposta integrativa per le entità costitutive a bassa imposizione del gruppo; una regola sui profitti a bassa imposizione (undertaxed profit rule - UTPR), con la quale un’entità costitutiva di un gruppo multinazionale di imprese ha un onere fiscale supplementare pari alla sua quota di imposta integrativa che non è stata applicata nell’ambito dell’IIR per le entità costitutive a bassa imposizione del gruppo.
Gli Stati membri possono scegliere di applicare un’imposta integrativa domestica qualificata in base alla quale l’imposta integrativa è calcolata e versata sugli utili in eccesso di tutte le entità costitutive, a bassa imposizione, localizzate nella loro giurisdizione conformemente alla presente direttiva.
A tal proposito, la direttiva si applica alle entità costitutive localizzate in uno stato membro che fanno parte di un gruppo multinazionale di imprese o di un gruppo nazionale su larga scala avente ricavi annui pari o superiori a 750.000.000 euro nel bilancio consolidato dell’entità controllante capogruppo in almeno due dei quattro esercizi fiscali immediatamente precedenti l’esercizio fiscale sottoposto a verifica. Se uno o più dei quattro esercizi fiscali ha durata inferiore o superiore a 12 mesi, la soglia dei ricavi è aggiustata in proporzione per ciascuno dei detti esercizi fiscali. La direttiva deve esser recepita dagli Stati membri entro il 31 dicembre 2023.
Revisione della fiscalità di vantaggio alle imprese nel rispetto della disciplina europea in materia di aiuti di Stato (comma 1, lettera h))
La lettera h) contempla, tra i principi e criteri direttivi in materia di incentivi alle imprese, anche quello di rivedere la fiscalità di vantaggio – riferita al complesso di norme finalizzate a fornire vantaggi di natura fiscale per lo svolgimento di attività economiche in particolari aree geografiche del Paese, oppure a determinati settori, al fine di favorirne lo sviluppo – nel rispetto della disciplina europea in materia di aiuti di Stato, favorendo a tale scopo le fattispecie contemplate nel Regolamento UE n. 651/2014 che dichiara alcune categorie di aiuti compatibili con il mercato interno in applicazione degli articoli 107 e 108 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, che consentono il riconoscimento di agevolazioni fiscali alle imprese senza l’attivazione dell’iter autorizzativo della Commissione europea.
Con riferimento alle lettere g) ed l), l’analisi dell'impatto della regolamentazione (pag. 36), pur dando atto dell’esistenza, al Senato, di un disegno di legge (Atto Senato 571) recante la delega al Governo in materia di revisione del sistema degli incentivi alle imprese, nonché disposizioni di semplificazione delle relative procedure afferma la compatibilità tra i principi di delega citati e quelli previsti nell’Atto Senato 571.
Si segnala a questo proposito che il citato A.S. 571 prevede all'articolo 1, quale oggetto della legge delega, quello di definire le disposizioni per la revisione del sistema degli incentivi alle imprese, con la finalità di rimuovere gli ostacoli al pieno dispiegamento di efficacia dell'intervento pubblico a sostegno del tessuto produttivo mediante le politiche di incentivazione. L'articolo 2 del medesimo disegno di legge delega identifica i principi generali per le politiche pubbliche di incentivazione alle imprese e per la loro concreta attuazione. L'articolo 3 delega il Governo ad adottare uno o più decreti legislativi per la definizione di un quadro organico degli incentivi alle imprese. Nel rispetto dei principi generali dettati dall'articolo 2 e degli ulteriori princìpi e criteri direttivi definiti agli articoli 4 e 6, al Governo è affidato il compito di razionalizzare l'offerta di incentivi e armonizzare la disciplina mediante la redazione di un Codice.
Con riferimento ai principi e ai criteri direttivi di cui alle lettere g) e h) della presente delega in ragione della parziale sovrapposizione dell’oggetto di tale delega con quello dei principi in esame, si valuti l’opportunità di un coordinamento.
Con una modifica introdotta dalla Camera, è stata inserita la lettera i), che delega il Governo a favorire lo sviluppo economico del Mezzogiorno e la riduzione del divario territoriale, valutando la semplificazione del sistema di agevolazioni fiscali nei riguardi delle imprese finalizzato al sostegno degli investimenti, con particolare riferimento alle zone economiche speciali (ZES).
Sulle ZES, si rinvia al seguente link.
Regimi agevolativi per gli Enti del Terzo settore (comma 1, lettera l))
La lettera l) contempla, tra i principi e criteri direttivi di esercizio della delega, la semplificazione e razionalizzazione dei regimi agevolativi previsti in favore dei soggetti che svolgono, con modalità non commerciali, attività che realizzano finalità sociali nel rispetto dei princìpi di solidarietà e sussidiarietà, assicurandone la coerenza con le disposizioni del codice del Terzo settore, di cui al decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 117, e con il diritto dell’Unione europea, nonché dei diversi regimi di deducibilità dal reddito complessivo delle erogazioni liberali disposte in favore degli enti aventi per oggetto statutario lo svolgimento o la promozione di attività di ricerca scientifica, in coerenza con le disposizioni del codice del Terzo settore di cui al decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 117.
Il D. Lgs. 3 luglio 2017, n. 117 - Codice del Terzo settore, integrato e corretto successivamente dal decreto legislativo n. 105 del 2018, provvede tra l’altro al riordino e alla revisione organica della disciplina speciale e delle altre disposizioni vigenti relative agli enti del Terzo settore, compresa la disciplina tributaria applicabile a tali enti.
Il decreto disciplina inoltre i titoli di solidarietà degli enti del terzo settore (che possono essere emessi da tutti gli enti iscritti al Registro unico nazionale, inclusi gli enti del Terzo settore commerciali) e le altre forme di finanza sociale (anche con riferimento al cd. peer to peer lending).
In particolare, il Titolo X del codice (artt. 79-89) disciplina il regime fiscale degli enti del Terzo settore. Sostanzialmente si dispone l’applicazione agli enti del Terzo settore, diversi dalle imprese sociali, del regime fiscale previsto dal Titolo X del Codice, il quale reca specifiche misure di sostegno. Agli stessi enti si applicano inoltre le norme del TUIR relative all’Ires, in quanto compatibili. Si introduce un regime fiscale opzionale per la determinazione del reddito d’impresa degli enti non commerciali del Terzo settore, vale a dire quegli enti che svolgono in via esclusiva o prevalente attività di interesse generale, basato sui coefficienti di redditività. Le norme individuano le attività svolte dagli enti del Terzo settore che si caratterizzano per essere non commerciali. In particolare, si presume che tali attività si considerano non commerciali qualora i ricavi non superino di oltre il 10 per cento i relativi costi per ciascun periodo d’imposta e per non oltre due periodi di imposta consecutivi. Viene attribuito un credito d’imposta per coloro che effettuano erogazioni liberali in denaro a favore degli enti del Terzo settore non commerciali. Sono poi introdotte disposizioni che attribuiscono ulteriori benefici, non previsti dalle previgenti norme tributarie; viene introdotta una disciplina unitaria per le deduzioni e detrazioni previste per chi effettua erogazioni liberali a favore di enti del Terzo settore non commerciali e di cooperative sociali.
Con riferimento alle organizzazioni di volontariato e alle associazioni di promozione sociale, sono elencate una serie di attività che, ai fini delle imposte sui redditi, sono considerate non commerciali se svolte senza l’impiego di mezzi organizzati professionalmente per fini di concorrenzialità sul mercato. Anche le organizzazioni di volontariato usufruiscono della detraibilità del 35 per cento delle erogazioni liberali eseguite in loro favore; gli atti costitutivi e quelli connessi allo svolgimento delle attività delle organizzazioni di volontariato sono esenti dall’imposta di registro. Sono esenti da Ires i redditi degli immobili destinati in via esclusiva allo svolgimento di attività non commerciali.
Viene disciplinato il regime tributario delle associazioni di promozione sociale, iscritte nell’apposita sezione speciale del Registro unico nazionale del Terzo settore, in sostanziale continuità con le previgenti norme ma con alcuni interventi di aggiornamento e razionalizzazione. Si prevede per le organizzazioni di volontariato e le associazioni di promozione sociale la possibilità di applicare un regime forfettario, con contabilità semplificata, per le attività commerciali esercitate, a condizione di non superare il limite di ricavi di 130.000 euro nel periodo d’imposta precedente. È poi introdotta una disciplina specifica relativa agli obblighi di tenuta e conservazione delle scritture contabili per le attività degli enti del Terzo settore.
Con il D. Lgs. 3 luglio 2017, n. 112 (successivamente modificato dal D. Lgs. n. 95 del 2018) si è proceduto a revisionare la disciplina dell’impresa sociale: si consente tra l’altro all’impresa sociale di distribuire dividendi ai soci (entro certi limiti) e si estende il novero di attività che configurano una "utilità sociale" a fini di legge, con l’attribuzione inoltre di alcuni incentivi fiscali.
Misure fiscali per gli enti sportivi (comma 1, lettera m))
La lettera m) delega il Governo a completare e razionalizzare le misure fiscali previste per gli enti sportivi e il loro coordinamento con le altre disposizioni dell’ordinamento tributario, con l’obiettivo di favorire, tra l’altro, l’avviamento e la formazione allo sport dei giovani e dei soggetti svantaggiati.
Si ricorda che le misure fiscali degli enti sportivi e di promozione sportiva sono state più volte interessate da modifiche nel corso degli anni.
Per un approfondimento sulla fiscalità degli enti sportivi, si rinvia al relativo Dossier.
La lettera n), introdotta dalla Camera, prescrive che il Governo adotti misure volte a favorire la permanenza in Italia di studenti ivi formati, anche mediante la razionalizzazione degli incentivi per il rientro in Italia di persone ivi formate e occupate all’estero.
L’attuale panorama degli incentivi fiscali per il rientro in Italia appare complesso e stratificato. Se da un lato sono vigenti le agevolazioni fiscali temporanee per i lavoratori cd. impatriati (si veda la scheda dell’Agenzia delle entrate) e cioè per i lavoratori che trasferiscono la residenza in Italia, sussistono profili analoghi a quelli contenuti nella normativa per docenti e ricercatori che rientrano in Italia (articolo 44 del decreto-legge 31 maggio 2010 n. 78, per cui si veda la Circolare 17/E del 2022).
Articolo 10
(Imposta di registro, imposta sulle successioni e donazioni,
imposta di bollo e altri tributi indiretti, diversi dall’IVA)
L’articolo 10, come modificato dalla Camera in prima lettura, specifica i princìpi e i criteri direttivi specifici relativi ai tributi indiretti diversi dall’IVA, con particolare riferimento all’imposta di registro, all’imposta sulle successioni e donazioni e all’imposta di bollo e alle tasse automobilistiche.
Nella relazione illustrativa di accompagnamento dell’A.C. 1038, il Governo chiarisce che gli obiettivi fondamentali della legge delega sono la razionalizzazione e la semplificazione del sistema tributario, da attuarsi anche attraverso la riduzione degli adempimenti a carico dei contribuenti e l’eliminazione dei c.d. micro-tributi, il cui gettito per l’erario è del tutto trascurabile.
Si rammenta che tale era anche l’indirizzo risultante dal documento conclusivo dell’indagine conoscitiva svolta dalle Commissioni finanze del Senato e della Camera nella XVIII legislatura.
In particolare, il comma unico dell’articolo in esame elenca i seguenti princìpi e criteri direttivi specifici per la razionalizzazione dell’imposta di registro, dell’imposta sulle successioni e donazioni, dell’imposta di bollo e degli altri tributi indiretti, diversi dall’IVA che il Governo dovrà osservare, nell’esercizio della delega di cui all’articolo 1:
a) razionalizzare la disciplina dei singoli tributi, anche mediante l’accorpamento o la soppressione di fattispecie imponibili, ovvero mediante la revisione della base imponibile o della misura dell’imposta applicabile;
b) prevedere il sistema di autoliquidazione per l’imposta sulle successioni e per l’imposta di registro;
Come rammentato nella relazione illustrativa, sia l’imposta sulle successioni, sia l’imposta di registro sono attualmente liquidate dagli Uffici finanziari. L’autoliquidazione, invece, è attualmente prevista, nell’ambito delle successioni, per le imposte ipotecarie e catastale, per l’imposta di bollo, per i tributi speciali catastali e per le tasse ipotecarie nonché, per alcuni contratti soggetti all’imposta di registro e altri tributi collegati.
c) semplificare la disciplina dell’imposta di bollo e dei tributi speciali tenendo conto, in particolare, della dematerializzazione dei documenti e degli atti;
d) prevedere l’applicazione di un’imposta sostitutiva, eventualmente in misura fissa, dell’imposta di bollo, delle imposte ipotecaria e catastale, dei tributi speciali catastali e delle tasse ipotecarie, per gli atti assoggettati all’imposta di registro e all’imposta sulle successioni e donazioni e per le conseguenti formalità da eseguire presso il catasto e i registri immobiliari;
Nella relazione illustrativa di accompagnamento dell’A.C. 1038, il Governo fa presente che formano oggetto dell’imposta ipotecaria le formalità di trascrizione, iscrizione, rinnovazione e annotazione eseguite nei pubblici registri immobiliari, mentre le volture catastali degli immobili trasferiti costituiscono l’oggetto dell’imposta catastale.
Questa pluralità di tributi e presupposti impositivi rende complessa la loro gestione e difficile la loro applicazione da parte dei contribuenti.
Pertanto, l’unicità della obbligazione tributaria e la conseguente semplificazione della modalità del prelievo, soprattutto nell’ipotesi di tassazione in misura fissa, non potrà non avere effetti positivi, secondo il Governo, sia in termini gestionali per l’Amministrazione finanziaria sia per i contribuenti, i quali avranno così un'unica fonte normativa di riferimento.
Si tratterebbe di un intervento radicale sui tributi collegati agli atti di trasferimento di immobili (a titolo oneroso o gratuito) e alle connesse formalità, quali, appunto, la trascrizione e la voltura catastale, tributi che, essendo funzionali alla remunerazione di un servizio reso, vengono spesso corrisposti in misura fissa.
Il principio di delega per l’accorpamento dei vari tributi minori in un unico tributo è rivolto non solo a ridurre tutta una serie di adempimenti a carico dei contribuenti, al pari di quello per l’autoliquidazione dell’imposta sulle successioni e dell’imposta di registro, ma, al contempo, a eliminare i c.d. micro-tributi, il cui gettito, come più volte evidenziato, può essere del tutto trascurabile per l’erario.
e) ridurre e semplificare gli adempimenti a carico dei contribuenti anche mediante l’introduzione di nuove soluzioni tecnologiche e il potenziamento dei servizi telematici;
f) semplificare le modalità di pagamento dei tributi e assicurare sistemi sempre più efficienti di riscossione anche mediante l’utilizzo di mezzi elettronici di pagamento;
g) rivedere le modalità di applicazione dell’imposta di registro sugli atti giudiziari con finalità di semplificazione e con previsione di preventiva richiesta del tributo alla parte soccombente, ove agevolmente identificabile;
h) alla Camera, è stato aggiunto il principio volto a riordinare le tasse automobilistiche, anche nell'ottica della razionalizzazione e semplificazione del prelievo, valutando l'eventuale e progressivo superamento dell'addizionale erariale sulla tassa automobilistica per le autovetture e gli autoveicoli destinati al trasporto promiscuo di persone e cose, aventi potenza superiore a 185 chilowatt, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica a carico del settore delle tasse automobilistiche.
Per un’illustrazione della legislazione vigente in materia di imposte indirette sui trasferimenti immobiliari, si rinvia al dossier “Elementi essenziali della tassazione in Italia” curato dai Servizi studi della Camera e del Senato.
Articolo 11
(Revisione della disciplina doganale)
L’articolo 11 reca i principi e i criteri direttivi specifici a cui il Governo è tenuto ad attenersi per la revisione della disciplina doganale, attraverso:
· il riassetto del quadro normativo in materia doganale;
· il completamento della telematizzazione delle procedure e degli istituti doganali;
· un migliore coordinamento tra le Autorità doganali e la semplificazione delle verifiche, potenziando lo Sportello unico doganale e dei controlli;
· il riordino delle procedure di liquidazione, accertamento, revisione dell’accertamento e riscossione;
· la revisione dell’istituto della controversia doganale.
L’articolo 11 reca i principi e i criteri direttivi specifici a cui il Governo è tenuto ad attenersi per la revisione della disciplina doganale.
Più in dettaglio, la lettera a) prevede di procedere al riassetto del quadro normativo in materia doganale attraverso l’aggiornamento o l’abrogazione delle disposizioni attualmente vigenti, in conformità al diritto europeo in materia doganale.
Si rammenta che la normativa doganale nazionale è attualmente contenuta nel Testo unico delle disposizioni legislative in materia doganale (TULD), approvato con il decreto del Presidente della Repubblica n. 43 del 23 gennaio 1973 e in altri provvedimenti di rango primario (decreto legislativo 8 novembre 1990, n. 374 e legge 17 luglio 1942, n. 907).
Al riguardo, la Relazione illustrativa chiarisce che tali provvedimenti normativi appaiono obsoleti e, in buona parte (specie per quanto attiene al predetto TULD), non più applicabili tenuto conto dell’evoluzione del diritto unionale in materia doganale.
In estrema sintesi, si ricorda in questa sede che l’unione doganale europea, istituita nel 1968, è volta ad agevolare gli scambi commerciali per le imprese, armonizzare i dazi doganali sui beni provenienti dai paesi extra UE e contribuire alla protezione di cittadini, animali e ambiente europei.
Per effetto dell’unione doganale le autorità doganali di tutti i paesi dell’UE collaborano come se fossero un’unica entità. Applicano le stesse tariffe alle merci importate nel loro territorio dal resto del mondo e non applicano tariffe fra di loro. Di conseguenza, non si applicano dazi doganali alle merci trasportate da uno Stato membro all’altro. Il dazio doganale proveniente dalle merci importate nell’UE corrisponde a circa il 14% del bilancio totale dell’UE e rientra nelle “risorse proprie tradizionali”.
I controlli doganali alle frontiere esterne dell’UE intendono tutelare i consumatori dalle merci e dai prodotti potenzialmente pericolosi o nocivi per la salute; intendono proteggere gli animali e l’ambiente contrastando il commercio illegale di specie a rischio di estinzione e prevenendo malattie vegetali e animali.
Le dogane dell’UE contrastano anche le frodi fiscali e sui dazi doganali da parte di imprese e privati cittadini.
Il regolamento (UE) n. 952/2013, come successivamente modificato e integrato nel tempo, ha istituito il codice doganale dell’Unione, abrogando il precedente regolamento (CE) n. 450/2008 (vedi qui per la panoramica del codice doganale UE).
Esso ha inteso allineare la disciplina doganale europea al quadro giuridico introdotto con il Trattato di Lisbona con l’obiettivo di rafforzare l’armonizzazione delle procedure e dei controlli doganali, anche mediante la riduzione delle deroghe nazionali e l’informatizzazione dei processi a livello UE. Rispetto alla disciplina precedente, il codice doganale vigente presenta un numero minore di disposizioni operative, concernente solo il fulcro della disciplina doganale, rinviando alla legislazione di attuazione (atti delegati e atti esecutivi) la regolamentazione di dettaglio.
Tra le principali innovazioni del codice doganale si segnalano i seguenti argomenti:
§ rappresentanza di dogana: viene confermata la distinzione tra quella diretta (il rappresentante doganale agisce in nome e per conto di un’altra persona), e quella indiretta (il rappresentante doganale agisce in nome proprio ma per conto di un’altra persona), stabilendo che il rappresentante, salvi casi particolari, debba essere stabilito nel territorio doganale dell’UE;
§ concorrenza tra i rappresentanti doganali: è espressamente previsto che il rappresentante doganale che soddisfi i criteri specifici previsti dal regolamento possa prestare i propri servizi anche in uno Stato membro diverso da quello in cui è stabilito;
§ semplificazione: il regolamento dispone che le autorità doganali non possano imporre al rappresentante di presentare, per ciascuna operazione, prove del potere di rappresentanza (ovvero del potere di agire in nome e per conto di altra persona), qualora egli sia in grado - a richiesta - di fornire la prova dei propri poteri. Le imprese possano sdoganare le merci con una procedura centralizzata, anche se le stesse sono entrate nello Stato attraverso canali diversi.
§ scambio di informazioni: le autorità doganali e gli operatori economici possono scambiarsi informazioni, anche non specificamente richieste ai sensi della normativa doganale, ai fini della cooperazione reciproca per identificare e contrastare i rischi di frode;
§ sanzioni: il codice doganale fa propri i principi giurisprudenziali della Corte di giustizia in materia di proporzionalità, effettività e dissuasione, pur senza armonizzare completamente le norme sanzionatorie.
Il Governo nella Relazione illustrativa di accompagnamento dell’A.C. 1038 chiarisce che il TULD fa tuttora riferimento al territorio doganale della Repubblica italiana circoscritto entro i confini politici con gli altri Stati e la linea del lido del mare. Esso mira a disciplinare le procedure e gli istituti doganali, tipicamente riferiti all’arrivo o alla partenza delle merci dal territorio dello Stato, sempre in considerazione del desueto presupposto territoriale sopra descritto; di conseguenza esso è superato dalla sovraordinata normativa unionale, di per sé direttamente applicabile.
Nel contesto delineato, il testo unico delle leggi doganali contiene anche disposizioni di carattere autonomo, inerenti ad aspetti che la normativa unionale demanda agli Stati membri; in particolare per quanto attiene ai profili attinenti all’organizzazione delle strutture e dei servizi doganali, alla disciplina relativa ai requisiti richiesti per lo svolgimento di funzioni di rappresentanza doganale e ai poteri attribuiti alle articolazioni dell’Amministrazione finanziaria nell’ambito dell’espletamento delle procedure in questione. A parere del Governo tali aspetti richiedono una revisione.
La lettera b) del comma 1 chiarisce che il Governo è tenuto, nell’esercizio della delega, a completare la telematizzazione delle procedure e degli istituti doganali, allo scopo di incrementare e migliorare l’offerta di servizi per gli utenti.
La lettera c) prevede di accrescere la qualità dei controlli doganali migliorando il coordinamento tra le Autorità doganali (di cui al paragrafo 1 dell’articolo 5 del Codice doganale dell’Unione: e amministrazioni doganali degli Stati membri competenti ad applicare la normativa doganale e qualsiasi altra autorità che, ai sensi del diritto nazionale, dispone del potere di applicare alcune norme doganali) e semplificare le verifiche inerenti alle procedure doganali, anche attraverso un maggiore coordinamento tra le Amministrazioni coinvolte, potenziando lo Sportello unico doganale e dei controlli.
In sintesi, l’articolo 20 del decreto legislativo n. 169 del 2016 ha esteso la competenza dello Sportello Unico Doganale a tutti i controlli connessi all’entrata e uscita delle merci nel o dal territorio nazionale. Le disposizioni di attuazione sono contenute nel decreto del Presidente della Repubblica n. 235 del 29 dicembre 2021, regolamento recante la disciplina dello Sportello Unico Doganale e dei Controlli; le modalità tecniche di realizzazione sono contenute nella Determinazione Direttoriale n. 39493 del 28 gennaio 2022, che definisce l’architettura, le componenti, i processi e l’interoperabilità del Portale SUDOCO.
Il Portale SUDOCO offre un’interfaccia unica (single entry point) - accessibile tramite il Portale Unico Dogane Monopoli (PUDM) - agli operatori economici e alle altre Amministrazioni coinvolte nel processo di sdoganamento e di controllo della merce.
La realizzazione del progetto SUDOCO è suddivisa in tre moduli funzionali che consentono di:
2) offrire un’interfaccia unica agli operatori economici - costituita dal Portale SUDOCO - verso l’amministrazione doganale e le altre amministrazioni deputate al rilascio dei provvedimenti necessari alle procedure di ingresso/uscita delle merci nel/dal territorio doganale dell’Unione, affinché le informazioni vengano inviate solo una volta (once only);
3) attuare il coordinamento dei controlli (one stop shop) mediante la componente di comunicazione e coordinamento operativo delle ispezioni sulle merci, che consente alle amministrazioni/enti/organi dello Stato, che intervengono nel processo di entrata e uscita delle merci nel/dal territorio doganale dell’Unione, di inviare e gestire le richieste di visite di controllo, affinché quest’ultime si svolgano contemporaneamente e nello stesso luogo;
4) monitorare il ciclo di vita dell’operazione doganale, mediante tracciamento documentale e fisico delle merci, per verificarne la posizione in tempo reale.
La lettera d) del comma 1 prevede poi di riordinare le procedure di liquidazione, accertamento, revisione dell’accertamento e riscossione di cui al decreto legislativo 8 novembre 1990, n. 374.
Il predetto decreto legislativo n. 374/1990, in sintesi, ha inteso riordinare gli istituti doganali e procedere alla revisione delle procedure di accertamento e controllo, delle procedure di immissione in libera pratica delle merci e delle procedure di esportazione delle merci comunitarie.
Da ultimo, la lettera e) intende procedere a una revisione dell’istituto della controversia doganale, di cui al Titolo II, Capo IV, del D.P.R. n. 43 del 1973, in considerazione - come chiarito dal Governo - della necessità di procedere al suo coordinamento con gli altri rimedi esperibili in sede di accertamento del tributo dovuto.
Articolo 12
(Accisa e altre imposte sulla produzione e sui consumi)
L’articolo 12, modificato durante l’esame parlamentare, reca i princìpi e criteri direttivi per l’attuazione della delega con riferimento alle accise e alle altre imposte indirette sulla produzione e sui consumi.
In sintesi nell’esercizio della delega si intendono perseguire i seguenti obiettivi:
§ rimodulare le aliquote di accisa sui prodotti energetici e sull’energia elettrica e – come precisato durante l’esame presso la Camera dei deputati – sul teleriscaldamento, in modo da tener conto dell’impatto ambientale di ciascun prodotto con l’obiettivo, tra l’altro, di contribuire alla riduzione progressiva delle emissioni di gas climalteranti;
§ promuovere, nel rispetto delle disposizioni europee in materia di esenzioni o riduzioni di accisa, la produzione di energia elettrica, di gas metano o di gas naturale o di altri gas (come precisato durante l’esame presso la Camera) ottenuti da biomasse o altre risorse rinnovabili;
§ rimodulare la tassazione sui prodotti energetici impiegati per la produzione di energia elettrica per incentivare l’uso di quelli più compatibili con l’ambiente;
§ riordinare e revisionare le agevolazioni in materia di accisa sui prodotti energetici, con particolare riferimento ai sussidi ambientalmente dannosi;
§ semplificare gli adempimenti relativi alla detenzione, vendita e circolazione dei prodotti alcolici;
§ rivedere la disciplina di applicazione dell’imposta di consumo sugli oli lubrificanti con particolare riferimento ai prodotti che ne costituiscono base imponibile.
Le accise sono da molti anni imposte armonizzate a livello europeo. La relativa struttura e misura si differenziano secondo la tipologia di prodotto colpito da imposta (a grandi linee, le accise gravano su alcolici, tabacchi e prodotti energetici). Dalla natura di "imposte armonizzate" delle accise discende una disciplina complessa e stratificata, costituita da norme comunitarie e nazionali. Si veda il documento del Parlamento europeo per l’individuazione delle caratteristiche e delle differenze.
In linea generale, si può affermare che la struttura delle accise e le aliquote minime sono stabilite dalle norme UE ed è facoltà degli Stati innalzare la misura delle aliquote. Negli anni antecedenti alla pandemia la misura delle accise, in particolare sui carburanti è stata elevata con finalità di copertura finanziaria anche legata ad eventi emergenziali: l’innalzamento delle aliquote di accisa produce immediati effetti finanziari per l’erario, anche perché essa colpisce beni la cui domanda non è strettamente legata al prezzo (quali i tabacchi).
Nell’anno 2022, in controtendenza rispetto al periodo precedente e come conseguenza dei rincari energetici causati anche dalla crisi in Ucraina, il legislatore è intervenuto a più riprese per ridurre le accise gravanti sui prodotti energetici allo scopo di aiutare famiglie e imprese. Per una panoramica generale sugli interventi finanziari volti a fronteggiare i rincari energetici, si rinvia al relativo tema.
L’Agenzia delle Dogane aggiorna periodicamente le aliquote d’accisa nazionali e comunitarie qui.
La disciplina delle accise a livello nazionale è contenuta nel relativo Testo Unico, di cui al D. Lgs. n. 504 del 1995.
Si ricorda infine che con il D. Lgs. 5 novembre 2021, n. 180 è stata recepita nell’ordinamento nazionale la direttiva (UE) 2020/262 del Consiglio del 19 dicembre 2019 che, provvedendo alla modifica e alla rifusione della direttiva 2008/118/CE, contiene ora tutte le disposizioni inerenti il regime generale delle accise, apportando ampie modifiche al Testo Unico Accise (D. Lgs. n. 504 del 1995) che riguardano, tra l’altro: l’individuazione, per casi particolari, del momento in cui sorge l’obbligazione tributaria e la previsione di soglie comuni relative alla perdita parziale dovuta alla natura dei prodotti sottoposti ad accisa durante il loro trasporto tra più Stati membri dell’UE; la disciplina di nuove figure di soggetti obbligati (speditore e destinatario certificati); la previsione di modalità telematiche di tracciamento dei trasferimenti di prodotti immessi in consumo nel territorio di uno Stato membro e spediti verso il territorio di un altro Stato membro, al fine di esservi consegnati per scopi commerciali.
Per ulteriori informazioni si rinvia al sito della documentazione parlamentare.
Più in dettaglio, la lettera a) del comma 1 prevede di rimodulare le aliquote di accisa sui prodotti energetici e sull’energia elettrica nonché – come precisato per effetto delle modifiche apportate dalla Camera dei deputati – sul teleriscaldamento in modo da tener conto dell’impatto ambientale di ciascun prodotto e con l’obiettivo di contribuire alla riduzione progressiva delle emissioni di gas climalteranti e dell’inquinamento atmosferico, promuovendo l’utilizzo di prodotti energetici ottenuti da biomasse o da altre risorse rinnovabili.
La lettera b) prevede che sia promossa, nel rispetto delle disposizioni europee in materia di esenzioni o riduzioni di accisa, la produzione di energia elettrica, di gas metano o di gas naturale o di altri gas (precisazione introdotta dalla Camera) ottenuti da biomasse o altre risorse rinnovabili.
Tale finalità è perseguita anche attraverso l’introduzione di meccanismi di rilascio di titoli per la cessione di energia elettrica, di gas metano, di gas naturale o di altri gas (precisazione introdotta dalla Camera) a consumatori finali ai fini dell’applicazione dell’accisa agevolata o dell’esenzione.
Al riguardo si ricorda che la Direttiva 2003/96/CE, successivamente integrata e modificata nel tempo, reca il quadro comunitario della tassazione dei prodotti energetici e dell’elettricità. Scopo delle norme è disciplinare in seno all’Unione europea (UE) le imposte in materia di energia elettrica, di tutti i carburanti e della maggior parte dei combustibili per riscaldamento, per garantire il corretto funzionamento del mercato unico dell’UE per l’energia ed evitare distorsioni del commercio e della concorrenza che potrebbero derivare da forti differenze tra i sistemi fiscali nazionali. Le norme contribuiscono a obiettivi più ampi come il passaggio ad un’economia concorrenziale, a basse emissioni di carbonio e ad alta efficienza energetica.
In linea generale, i prodotti energetici sono tassati solo se utilizzati come carburante o per il riscaldamento; sono previsti livelli minimi di imposte sui carburanti, i combustibili per il riscaldamento e l’elettricità.
Sono possibili riduzioni di imposta sui prodotti energetici usati per il riscaldamento, in agricoltura, nei motori fissi e nei macchinari per l’edilizia e per le opere pubbliche rispetto a quanto previsto per il carburante da autotrazione. Viene altresì consentito di abbassare il prelievo fiscale sul gasolio commerciale (se utilizzato da autotrasportatori o per il trasporto passeggeri) rispetto al gasolio per uso non commerciale.
La direttiva ammette esenzioni e riduzioni fiscali in particolare per ragioni di politica ambientale e sanitaria. Gli Stati membri possono esentare dalla tassazione le fonti di energia rinnovabili. come i biocarburanti o i combustibili e l’energia elettrica utilizzati per il trasporto di merci e passeggeri in treno, metropolitana, tram o filobus.
La lettera c) prevede che nell’esercizio della delega il Governo rimoduli la tassazione sui prodotti energetici impiegati per la produzione di energia elettrica, al fine di incentivare l’utilizzo di quelli più compatibili con l’ambiente.
La lettera d) dispone che si proceda al riordino e alla revisione delle agevolazioni in materia di accisa sui prodotti energetici e sull’energia elettrica nonché alla progressiva soppressione o rimodulazione, nel rispetto delle disposizioni UE inerenti alle esenzioni obbligatorie in materia di accisa, di alcune delle agevolazioni, catalogate come sussidi ambientalmente dannosi, che risultano particolarmente impattanti per l’ambiente.
Ai sensi della lettera e), nell’attuazione della delega il Governo è tenuto a semplificare gli adempimenti amministrativi relativi alla detenzione, vendita e circolazione dei prodotti alcolici sottoposti al regime dell’accisa, anche attraverso la progressiva informatizzazione del sistema dei relativi contrassegni di Stato.
Infine, la lettera f) prevede che nell’esercizio della delega sia rivista la disciplina di applicazione dell’imposta di consumo sugli oli lubrificanti, sui bitumi di petrolio e altri prodotti utilizzati per la lubrificazione meccanica, con particolare riguardo all’aggiornamento della platea dei prodotti rientranti nella base imponibile del tributo, in relazione all’evoluzione del mercato di riferimento e alla semplificazione delle procedure e degli adempimenti amministrativi inerenti all’applicazione della medesima imposta di consumo.
Si ricorda in questa sede che nel corso dell’esame alla Camera erano sono state introdotte le lettere g) e h), che ponevano limiti e divieti alla vendita a distanza, con provenienza del prodotto o con approvvigionamento dello stesso da Paesi o territori estranei all'Unione europea, di prodotti da inalazione senza combustione costituiti da sostanze liquide, contenenti o meno nicotina, nonché di prodotti contenenti nicotina e preparati allo scopo di consentire, senza combustione e senza inalazione, l’assorbimento di tale sostanza da parte dell’organismo, anche mediante involucri funzionali al loro consumo. Nel corso dell’esame al Senato tali lettere sono state tuttavia abrogate.
Articolo 13
(Tributi regionali)
L’articolo 13, introdotto al Senato, reca i principi e i criteri direttivi per l’attuazione della delega con riferimento ai tributi regionali.
In sintesi, nel rispetto dei principi costituzionali e in particolare di quelli attinenti all’autonomia di entrata e di spesa degli enti territoriali (ex articolo 119 Cost.), si prevede una revisione delle norme del federalismo fiscale regionale (decreto legislativo 6 maggio 2011, n. 68) che:
§ allo scopo di garantire la cd. fiscalizzazione dei trasferimenti soppressi, rimoduli i meccanismi di intervento, ricorrendo a fonti di finanziamento alternative;
§ attribuisca alle regioni a statuto ordinario le somme a titolo di compartecipazione regionale all’Iva sulla base di specifici criteri, che assicurano l’attuazione del principio di territorialità delle entrate. Tale principio va applicato anche al recupero dell’evasione fiscale;
§ nelle more della ridefinizione della compartecipazione regionale all’Iva, l’aliquota destinata al finanziamento della sanità sia individuata secondo le disposizioni vigenti con D.P.C.M.
Nell’ottica di razionalizzare i tributi regionali, si prevede inoltre di modificare, abrogare ed eventualmente trasformare alcuni tributi propri derivati in tributi propri regionali, ovvero dotati di maggiore autonomia; di semplificare adempimenti e procedimenti tributari, anche attraverso l’eventuale attribuzione alle regioni della facoltà di disciplinarli con proprie leggi.
Come evidenziato nell'ultima Relazione della Commissione Parlamentare per l'attuazione del Federalismo fiscale, approvata il 15 dicembre 2021, l'attuazione della legge delega n. 42 del 2009 sul federalismo fiscale è avvenuta solo in parte, in quanto il processo volto alla compiuta affermazione dei principi del federalismo fiscale è stato caratterizzato da ritardi, incertezze, soluzioni parziali e reiterati differimenti. In particolare, la fiscalizzazione dei trasferimenti, diretta a superare il meccanismo della finanza derivata, è stata concretamente realizzata solo per il comparto comunale; la perequazione delle risorse basata sui fabbisogni e sulle capacità fiscali è stata avviata esclusivamente per i comuni delle regioni a statuto ordinario; la perequazione infrastrutturale e il percorso di convergenza ai livelli essenziali delle prestazioni (LEP) fanno registrare perduranti ritardi.
Per ulteriori informazioni si rinvia al sito della documentazione parlamentare.
Per quanto riguarda le regioni a statuto ordinario, a legislazione vigente il relativo sistema di finanziamento è quello precedente al decreto legislativo n. 68 del 2011, di attuazione della legge delega n. 42 del 2009 sul federalismo fiscale.
Il regime delineato per la fiscalità regionale ha avuto seguito solo in parte; la sua attuazione è stata rinviata più volte e da ultimo la legge di bilancio per il 2023 (legge n. 197 del 2022, art. 1, comma 788) ha fissato la data del 2027, o del 2026, nel caso si dovessero realizzare le condizioni previste per l'attuazione, appunto, del federalismo fiscale.
Per approfondimenti, sul portale della documentazione è possibile consultare il quadro di riferimento per quanto concerne l’attuale assetto della finanza regionale.
In questa sede si rammenta sinteticamente che le entrate tributarie delle regioni a statuto ordinario sono costituite principalmente dal gettito Irap, dall'addizionale Irpef, dalla cosiddetta tassa automobilistica. Gli altri tributi minori, compresa l'addizionale regionale all’accisa sul gas naturale (ARISGAM) e il tributo speciale il deposito in discarica dei rifiuti costituiscono una piccola parte dell'intero gettito tributario. Le possibilità di manovra sulla leva fiscale da parte regionale sono limitate. Ciascuna regione può determinare l'aliquota entro una forbice fissata dalla legge dello Stato e – in alcuni casi – differenziare i soggetti passivi (per scaglioni di reddito per l'addizionale Irpef, per categorie economiche per l’Irap). Ciascuna regione, inoltre, provvede alla disciplina ed alla gestione degli aspetti amministrativi: riscossione, rimborsi, recupero della tassa e l'applicazione delle sanzioni, sempre entro limiti e principi fissati dalla legge dello Stato.
L’articolo 13, comma 1, alinea specifica che l’esercizio della delega avviene nel rispetto dei principi costituzionali e, in particolare, di quelli previsti dall'articolo 119 della Costituzione per realizzare la piena attuazione del federalismo fiscale regionale.
In sintesi, l’articolo 119 della Costituzione riconosce ai Comuni, alle Province, alle Città metropolitane e alle Regioni l’autonomia finanziaria di entrata e di spesa e la disponibilità di risorse autonome (primo comma). I medesimi enti stabiliscono e applicano tributi ed entrate propri, in armonia con la Costituzione e secondo i principi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, e dispongono di compartecipazioni al gettito di tributi erariali riferibile al loro territorio (secondo comma). La disposizione deve essere letta in combinato con l’articolo 117, terzo comma, il quale ricomprende tra le materie di legislazione concorrente, il “coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario”.
Dal combinato disposto degli articoli 117 e 119 della Costituzione emerge, in primo luogo, la potestà per ogni regione di istituire tributi nel rispetto dei principi della Costituzione, dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali, nonché dei principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario fissati dalla legislazione statale.
L’articolo 119 prevede inoltre l’istituzione di un fondo perequativo per i territori con minore capacità fiscale per abitante, il quale opera senza vincoli di destinazione (terzo comma).
In base al quarto comma, attraverso le predette risorse (entrate proprie, compartecipazione al gettito dei tributi erariali, trasferimenti dal fondo perequativo) gli enti territoriali devono provvedere al finanziamento integrale delle funzioni pubbliche loro attribuite. Lo Stato può destinare risorse aggiuntive o effettuare interventi speciali solo in favore di determinati Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni per promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale, per rimuovere gli squilibri economici e sociali, per favorire l'effettivo esercizio dei diritti della persona, o per provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle loro funzioni.
L’articolo 119 riconosce che i Comuni, le Province, le Città metropolitane hanno un proprio patrimonio, secondo i principi generali stabiliti con legge statale (sesto comma, primo periodo). Esso ammette infine (sesto comma, secondo e terzo periodo) il ricorso all’indebitamento da parte degli enti territoriali solo per finanziare spese di investimento, escludendo ogni garanzia dello Stato sui prestiti contratti.
L’articolo in esame (lettera a) del comma 1) prevede anzitutto che siano sottoposte a revisione le norme del decreto legislativo 6 maggio 2011, n. 68, attraverso una razionalizzazione delle procedure e delle modalità applicative necessarie ad assicurare la completa attuazione dei principi in materia di autonomia di entrata delle regioni a statuto ordinario, con particolare riferimento:
1) alla revisione del meccanismo previsto dall’articolo 2 del citato decreto legislativo n. 68 del 2011, finalizzato a garantire al complesso delle regioni a statuto ordinario entrate corrispondenti all’ammontare dei trasferimenti statali previsti a legislazione vigente, soppressi, anche attraverso la possibilità di rimodulare l’intervento, ricorrendo a fonti di finanziamento alternative;
2) all’attribuzione alle regioni a statuto ordinario delle somme, a titolo di compartecipazione regionale all’IVA, di cui all’articolo 4 del citato decreto legislativo n. 68 del 2011 sulla base di specifici criteri che assicurano l’attuazione del principio di territorialità delle entrate. Si prevede che tale principio di territorialità sia applicato anche al recupero dell'evasione fiscale, in coerenza con le disposizioni di cui all'articolo 9, comma 2, del decreto legislativo n. 68 del 2011.
Il richiamato articolo 9, comma 2, attribuisce alle regioni, in relazione ai principi di territorialità, una quota del gettito riferibile al concorso della regione nella attività di recupero fiscale in materia di IVA, commisurata all'aliquota di compartecipazione. Le modalità di condivisione degli oneri di gestione della predetta attività di recupero fiscale sono disciplinate con specifico atto convenzionale sottoscritto tra regione ed Agenzia delle entrate.
3) alla garanzia di prevedere che, nelle more della definizione dell'aliquota di compartecipazione Iva (di cui all'articolo 15, commi 3 e 5, del decreto legislativo n. 68 del 2011), l'aliquota di compartecipazione - di cui all'articolo 4, comma 2 del medesimo decreto legislativo - destinata al finanziamento della sanità, viene stabilita, a livello nazionale, pari a quella individuata annualmente dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri recante la rideterminazione della compartecipazione regionale all'imposta sul valore aggiunto (come previsto dall'articolo 5, comma 1, del decreto legislativo 18 febbraio 2000, n. 56).
Come sinteticamente anticipato, il decreto legislativo n. 68 del 2011 è volto, tra l'altro ad assicurare l'autonomia di entrata delle regioni a statuto ordinario (RSO) attraverso la cosiddetta fiscalizzazione dei trasferimenti statali, con contestuale soppressione di questi ultimi, dando attuazione su questo versante alla riforma costituzionale del 2001, anche nell'ottica di una maggiore responsabilizzazione delle decisioni di spesa e di una gestione più efficiente delle risorse pubbliche. L'autonomia di entrata è diretta a garantire il funzionamento degli enti in questione mediante tributi propri, nonché mediante il gettito derivante dalla rideterminazione dell’addizionale regionale all’imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF), dalla compartecipazione regionale all'imposta sul valore aggiunto (IVA) e dai trasferimenti per finalità perequative. Il nuovo sistema, che avrebbe dovuto essere effettivo, nelle intenzioni del legislatore delegato, sin dal 2013, è stato oggetto di rinvio attraverso plurimi interventi legislativi adottati negli anni scorsi.
Come ricordato, la legge di bilancio 2023 (n. 197 del 2022) tenuto conto della complessa procedura per l’avvio del nuovo meccanismo di finanziamento delle Regioni a statuto ordinario - RSO nel rispetto dei tempi previsti dal Piano nazionale di ripresa e di resilienza – PNRR ha rinviato ulteriormente l’entrata a regime dello stesso all’anno 2027 o ad un anno antecedente, ove ricorrano le condizioni di cui al predetto decreto legislativo n.68 del 2011.
Più nel dettaglio l’articolo 1, comma 788, lettera a) della legge di bilancio 2023, modificando il richiamato articolo 2, comma l, del decreto legislativo n. 68 del 2011, ha differito dal 2023 al 2027 (o ad un anno antecedente al ricorrere delle condizioni di legge) il termine ivi previsto per la rideterminazione dell'addizionale regionale Irpef, volto a garantire al complesso delle regioni a statuto ordinario entrate corrispondenti al gettito assicurato dall’aliquota di base vigente alla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo, ai trasferimenti statali soppressi.
Anche il richiamato articolo 4 del decreto legislativo n. 68 del 2011 è stato modificato in senso analogo dalla legge di bilancio 2023 (comma 788, lettera b)). L’articolo 4 riguarda la compartecipazione regionale Iva e, nella formulazione attuale, dispone che fino al 2026 trovi applicazione il regime vigente, con l’applicazione di un nuovo sistema a partire dal 2027, basato sul principio di territorialità.
Questo principio tiene conto del luogo di consumo, identificandolo con quello in cui avviene la cessione di beni; nel caso dei servizi, il luogo della prestazione può essere identificato con quello del domicilio del soggetto fruitore. Nel caso di cessione di immobili si fa riferimento alla loro ubicazione. I dati derivanti dalle dichiarazioni fiscali e da altre fonti informative in possesso dell’Amministrazione economico-finanziaria vengono elaborati per tenere conto delle transazioni e degli acquisti in capo a soggetti passivi con Iva indetraibile e a soggetti pubblici e privati assimilabili, ai fini Iva, a consumatori finali.
Al riguardo si rammenta che l’articolo 15, comma 3, del decreto legislativo n. 68 del 2011 prevede che la percentuale di compartecipazione regionale all’Iva sia stabilita con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, sentita la Conferenza Stato-Regioni, al livello minimo assoluto sufficiente ad assicurare il pieno finanziamento del fabbisogno corrispondente ai livelli essenziali delle prestazioni in una sola regione. Per il finanziamento integrale dei livelli essenziali delle prestazioni nelle regioni ove il gettito tributario è insufficiente, concorrono le quote del fondo perequativo (comma 5): tale fondo è alimentato, dall'anno 2027 o da un anno antecedente - ove ricorrano le condizioni - dal gettito prodotto da una compartecipazione al gettito dell’Iva determinata in modo tale da garantire in ogni regione il finanziamento integrale delle spese per sanità, assistenza, istruzione, trasporto pubblico locale e ulteriori materie (individuate ex lege) di cui all'articolo 14, comma 1 del medesimo decreto legislativo.
La lettera b) del comma 1 individua, quale principio di delega, la razionalizzazione dei tributi regionali, prevedendo:
1) la modificazione e, ove necessario, l’abrogazione nonché l’eventuale trasformazione di alcuni tributi propri derivati in tributi propri regionali, ovvero regionali dotati di maggiore autonomia;
2) la semplificazione degli adempimenti e degli altri procedimenti tributari in linea con i principi e i criteri direttivi di cui agli articoli 16, 17, 18 e 20 del provvedimento in esame, anche attraverso l’eventuale attribuzione alle regioni della facoltà di disciplinarli con proprie leggi, con particolare riferimento all’estensione dell’accertamento esecutivo e alle tipologie di definizione agevolata, anche sotto forma di adesione a quelle introdotte per le entrate erariali.
Gli articoli 16-18 del provvedimento si riferiscono alla revisione dei procedimenti in capo all’amministrazione tributaria, mentre l’articolo 20 riguarda le sanzioni. Si rinvia alle relative schede di lettura per ulteriori informazioni.
Con riferimento all’accertamento esecutivo (introdotto dal decreto-legge n. 78 del 2010) si rammenta che dal 1° ottobre 2011 gli avvisi di accertamento emessi dall’Agenzia delle entrate ai fini delle imposte sui redditi, IVA e IRAP sono esecutivi, ovvero contengono l’intimazione ad adempiere al pagamento degli importi indicati entro i termini previsti. Gli avvisi di accertamento diventano esecutivi trascorso il termine utile per presentare ricorso e riportano l’avviso che, dopo 30 giorni dalla scadenza della data prevista per il pagamento, la riscossione delle somme richieste è affidata all’Agenzia delle entrate-Riscossione.
Per ulteriori informazioni sugli istituti di definizione agevolata, si rinvia al portale della documentazione.
Si ricorda che nella riunione del 15 marzo 2023 il Consiglio di ministri ha approvato un disegno di legge che provvede alla definizione dei "principi generali per l'attribuzione alle Regioni a statuto ordinario di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia" ai sensi dell'articolo 116, terzo comma, Cost., e delle "relative modalità procedurali di approvazione delle intese fra lo Stato e una Regione". Il provvedimento fa seguito ad un'ampia discussione sull'attuazione di tale disposizione costituzionale, che si è svolta già a partire dalla fine della XVII legislatura, a seguito delle iniziative intraprese da Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna nel 2017 per il riconoscimento delle forme di ulteriore autonomia prevista dal citato articolo 117.
Il disegno di legge, sul quale è stato acquisito il parere della Conferenza unificata, è all'esame del Senato al momento della redazione del presente lavoro (A.S. 615).
Per ulteriori informazioni si rinvia altresì al sito della documentazione parlamentare.
Articolo 14
(Principi e criteri direttivi per la revisione del sistema fiscale dei comuni, delle città metropolitane e delle province)
L’articolo 14, introdotto al Senato, stabilisce principi e criteri direttivi specifici volti a realizzare una revisione del sistema fiscale degli enti locali. Le norme della delega prevedono, tra l’altro:
-un consolidamento dell’autonomia finanziaria degli enti locali (anche attraverso una gestione autonoma della definizione agevolata);
-la piena attuazione del federalismo fiscale (anche attraverso meccanismi di compartecipazione a tributi erariali nonché di perequazione territoriale);
-una razionalizzazione dei tributi e una modernizzazione del sistema di rilevazione dei dati volta a ridurre i fenomeni di evasione ed elusione fiscale;
-una semplificazione degli adempimenti dichiarativi nonché la revisione del sistema della riscossione delle entrate (anche in riferimento alla vigilanza sui soggetti abilitati ad effettuare l'attività di accertamento);
-forme di cooperazione che privilegiano l'adempimento spontaneo degli obblighi tributari.
La disposizione riconosce, infine, alle province e alle città metropolitane tributi propri e una compartecipazione a un tributo erariale di carattere generale, destinati ad assicurare lo svolgimento delle proprie funzioni fondamentali.
Il comma 1, preliminarmente precisa che l'esercizio della delega dovrà avvenire nel rispetto dei principi costituzionali, in particolare di quelli previsti dall'articolo 119 della Costituzione (autonomia finanziaria di entrata e di spesa, dotazione di risorse autonome, tributi ed entrate propri, compartecipazioni al gettito di tributi erariali riferibile al loro territorio) nonché dei principi e i criteri direttivi specifici per la revisione del sistema fiscale dei comuni, delle città metropolitane e delle province introdotti dall’articolo in esame.
Per una ricostruzione dettagliata della normativa vigente del sistema fiscale degli enti locali si rinvia alla lettura dei temi web Comuni e finanza comunale e Città metropolitane e province consultabili sul Portale della documentazione della Camera dei deputati.
Nello specifico, il Governo ai fini dell’introduzione del nuovo sistema fiscale per comuni, provincie e città metropolitane è tenuto a:
a) mantenere il principio della progressività fiscale e, in ogni caso, escludere la doppia imposizione tra Stato ed enti locali fatte salve le addizionali degli enti sui tributi statali (lettera a));
b) consolidare il sistema dell'autonomia finanziaria nell'ambito della potestà regolamentare degli enti locali in attuazione dell'articolo 119 della Costituzione (lettera b));
c) assicurare la piena attuazione del federalismo fiscale, attraverso il potenziamento dell'autonomia finanziaria, garantendo:
o tributi propri;
o compartecipazioni a tributi erariali e meccanismi di perequazione, in grado di assicurare l'integrale finanziamento delle funzioni fondamentali attribuite, nonché di superare le differenze territoriali per gli enti locali con minore capacità fiscale.
Tali obiettivi dovranno essere perseguiti, comunque, senza maggiori oneri a carico della finanza pubblica (lettera c));
d) modernizzare, al fine di ridurre i fenomeni di evasione ed elusione
fiscale e aumentare la capacità fiscale degli enti locali, il sistema di rilevazione dei dati prevedendo strumenti idonei a facilitare la circolazione delle informazioni per accelerare l'aggiornamento sistematico degli elementi informativi mancanti (lettera d));
e) razionalizzare e riordinare i singoli tributi locali, con particolare riferimento:
o ai soggetti passivi;
o alla base imponibile;
o al numero delle aliquote;
o alle esenzioni e alle agevolazioni fiscali.
Tale razionalizzazione dovrà comunque salvaguardare la manovrabilità dei tributi locali a garanzia del mantenimento della dimensione complessiva dei gettiti e degli equilibri di bilancio (lettera e)).
Si ricorda che il sistema della fiscalità comunale poggia sulle seguenti principali imposte:
§ l’imposta municipale propria-Imu (nella quale è confluita la Tasi);
§ la tassa sui rifiuti-Tari;
§ l’addizionale comunale all’Irpef.
§ A queste si aggiungono, oltre ai trasferimenti non fiscalizzati e alle entrate a titolo di Fondo di solidarietà comunale, le seguenti ulteriori entrate locali, vale a dire:
§ l’imposta di soggiorno (o il contributo di sbarco);
§ l’addizionale comunale sui diritti di imbarco;
§ l’imposta di scopo - Iscop;
§ il canone patrimoniale di concessione, autorizzazione o esposizione pubblicitaria (che ha sostituito la tassa per l’occupazione di spazi e aree pubbliche-Tosap, il canone per l’occupazione di spazi e aree pubbliche-Cosap, l’imposta comunale sulla pubblicità e il diritto sulle pubbliche affissioni-IcpDpa, il canone per l’installazione di mezzi pubblicitari-Cimp e il canone di cui all’articolo 27 del codice della strada);
§ il canone di concessione per l’occupazione delle aree e degli spazi appartenenti al demanio o al patrimonio indisponibile, destinati a mercati realizzati anche in strutture attrezzate.
La disposizione pone, inoltre, particolare attenzione al procedimento accertativo e del contenzioso previsto per i tributi locali.
In particolare, in merito alla semplificazione degli adempimenti dichiarativi, nonché alla revisione del sistema della riscossione delle entrate e a quello sanzionatorio, la lettera f) del comma 1 prevede che tali interventi dovranno essere disposti in linea con i principi e i criteri direttivi di cui agli articoli 16, 17, 18 e 20 (alle cui schede di lettura si rimanda), nonché con i seguenti specifici principi:
1) semplificazione degli adempimenti dichiarativi, delle modalità di versamento a carico dei contribuenti, estendendo la possibilità di adempiere mediante la compensazione, con facoltà di introdurre forme di cooperazione che privilegiano l’adempimento spontaneo degli obblighi tributari, con sistemi premiali di riduzione delle sanzioni, prevedendo in tutti i casi anche l'utilizzo delle tecnologie digitali;
2) revisione del sistema della riscossione delle entrate degli enti locali anche attraverso forme di cooperazione tra lo Stato e gli enti locali, pure mediante incentivazioni non onerose per il bilancio dello Stato, per rendere più efficienti le attività di gestione delle entrate degli enti locali con particolare riferimento alle attività dirette all'individuazione di basi imponibili immobiliari non dichiarate.
Tale revisione deve riguardare altresì il sistema di vigilanza sui soggetti abilitati ad effettuare l'attività di accertamento e di riscossione delle entrate degli enti locali, nonché sui soggetti che svolgono esclusivamente le relative funzioni e attività di supporto propedeutiche all'accertamento e alla riscossione delle entrate degli enti locali e delle società da essi partecipate.
3) revisione del sistema sanzionatorio con particolare riguardo al miglioramento della proporzionalità delle sanzioni tributarie;
La lettera g) riconosce agli enti locali la facoltà di prevedere direttamente, in virtù della autonomia finanziaria di entrata e di spesa di cui all'articolo 119 della Costituzione, tipologie di definizione agevolata, anche sotto forma di adesione a quelle introdotte per le entrate erariali, in materia di entrate di spettanza degli enti locali, attraverso l'esercizio della potestà regolamentare, di cui all'articolo 52 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446.
Si ricorda che il sopra citato articolo 52 dispone, tra l’atro, che le province ed i comuni possono disciplinare con regolamento le proprie entrate, anche tributarie, salvo per quanto attiene alla individuazione e definizione delle fattispecie imponibili, dei soggetti passivi e della aliquota massima dei singoli tributi, nel rispetto delle esigenze di semplificazione degli adempimenti dei contribuenti.
La lettera h) stabilisce che i principi e i criteri direttivi della delega implichino la razionalizzazione delle entrate anche di carattere patrimoniale prevedendo l'eliminazione di quelle che hanno elevati costi di adempimento per i contribuenti a fronte di un gettito trascurabile per gli enti locali e assicurando le opportune compensazioni di gettito nell'ambito dei decreti legislativi adottati ai sensi della legge in esame.
Si ricorda, brevemente, che l'attuale quadro della riscossione delle entrate degli enti locali è il frutto di un'articolata evoluzione normativa che ha portato, dal 1° luglio 2017, con l'istituzione dell'ente pubblico economico Agenzia delle entrate-Riscossione (AdeR), alla possibilità per le amministrazioni locali di deliberare l'affidamento diretto alla stessa Agenzia delle attività di riscossione spontanea e coattiva delle entrate tributarie o patrimoniali proprie e delle società da esse partecipate (il termine è così stato fissato dal decreto-legge 22 ottobre 2016, n. 193).
In sintesi, da tale data, gli enti locali possono svolgere il servizio di riscossione delle proprie entrate secondo le seguenti modalità:
- svolgimento del servizio tramite risorse interne;
- affidamento in house del servizio (tramite società strumentali);
- affidamento del servizio all'ente pubblico economico (AdeR) titolare dello svolgimento delle funzioni della riscossione nazionale, previa delibera;
- affidamento del servizio tramite le ordinarie procedure ad evidenza pubblica.
Sostanziali innovazioni hanno riguardato (commi 784 e seguenti dell'articolo 1 della legge di bilancio per il 2020) i poteri di riscossione degli enti locali, con particolare riferimento agli strumenti per l'esercizio della potestà impositiva. In dettaglio, tali norme hanno previsto, anche per gli enti locali, l'istituto dell'accertamento esecutivo, sulla falsariga di quanto già previsto per le entrate erariali, che consente di emettere un unico atto di accertamento avente i requisiti del titolo esecutivo. Esso opera, a partire dal 1° gennaio 2020, con riferimento ai rapporti pendenti a tale data; esso dunque opera anche per le entrate tributarie (IMU, TARI, ecc.) e patrimoniali degli enti locali (rette refezione scolastica, canoni idrici, fitti, lampade votive, ecc.), con l'eccezione delle contravvenzioni del Codice della strada.
Il comma 2 stabilisce che i decreti legislativi di attuazione saranno tenuti a riconoscere per le province e le città metropolitane un tributo proprio volto a garantire lo svolgimento delle proprie funzioni fondamentali e per le sole città metropolitane anche un tributo legato al traffico di passeggeri nei porti e negli aeroporti.
La norma dispone che, al fine di garantire la separazione in due distinti comparti relativi rispettivamente alle province e alle città metropolitane, i decreti legislativi di cui all'articolo 1, in attuazione dei principi del federalismo fiscale sono tenuti a prevedere:
a) per le province un tributo proprio destinato ad assicurare le funzioni fondamentali con adeguata manovrabilità e una compartecipazione ad un tributo erariale di carattere generale, anche in sostituzione di tributi attualmente esistenti, nonché la previsione di un fondo perequativo ai sensi dell'articolo 119 della Costituzione (lettera a));
b) per le città metropolitane un tributo proprio destinato ad assicurare le funzioni fondamentali con adeguata manovrabilità e una compartecipazione ad un tributo erariale di carattere generale, anche in sostituzione di tributi attualmente esistenti, nonché la previsione di un fondo perequativo ai sensi dell'articolo 119 della Costituzione (lettera b)).
L’articolo 15, come modificato dalla Camera in prima lettura, conferma innanzitutto il modello organizzativo del sistema dei giochi basato sul regime concessorio e autorizzatorio (comma 1). Reca inoltre (comma 2) i princìpi e criteri direttivi per il riordino delle disposizioni vigenti in materia di giochi pubblici, con specifico riguardo, tra l’altro, alla tutela dei soggetti maggiormente vulnerabili e alla prevenzione dei fenomeni di disturbi da gioco d’azzardo, alla dislocazione territoriale degli esercizi, ai requisiti soggettivi e di onorabilità dei soggetti concessionari, alla crisi del rapporto concessorio, alla riserva statale nella organizzazione ed esercizio dei giochi, al prelievo erariale, alla partecipazione degli enti locali al procedimento di autorizzazione e di pianificazione, alle regole di rilascio delle licenze, alla disciplina dei controlli e dell’accertamento dei tributi, alla qualificazione e alla responsabilità degli organismi di certificazione degli apparecchi da intrattenimento. Si rinvia inoltre a un decreto del Ministero dell’economia e delle finanze la definizione di un programma di contrasto al gioco illegale e si prevede la presentazione alle Camera di una relazione annuale del Ministro dell’economia e delle finanze sul settore del gioco pubblico.
In particolare, il comma 1, nel delegare il Governo ad attuare, con i decreti legislativi di cui all’articolo 1, il riordino delle disposizioni vigenti in tema di giochi pubblici, conferma il modello organizzativo dei giochi pubblici fondato sul regime concessorio e autorizzatorio, quale garanzia in materia di tutela della fede, dell’ordine e della sicurezza pubblici, del contemperamento degli interessi pubblici generali in tema di salute con quelli erariali sul regolare afflusso del prelievo tributario gravante sui giochi, nonché della prevenzione del riciclaggio di proventi di attività criminose.
Nella relazione illustrativa di accompagnamento dell’A.C. 1038, il Governo fornisce i seguenti ulteriori elementi. La necessità di tutelare la buona fede e l’ordine pubblico, di proteggere i soggetti più deboli e, in particolare i minori, di evitare una diffusione incontrollata, indiscriminata e senza regole del gioco, nonché di convogliare parte delle risorse verso la fiscalità generale, è alla base della “riserva statale sull’organizzazione dei giochi”, su cui si fonda il modello italiano. La ratio della riserva in favore dello Stato delle attività di gioco trova dunque fondamento, prima ancora che nelle esigenze dell’Erario, nei rilevanti interessi coinvolti nel gioco, quali le esigenze di contrasto del crimine e, più in generale, le esigenze di tutela dell’ordine pubblico, della fede pubblica dei giocatori e di controllo di un fenomeno che è suscettibile di coinvolgere flussi cospicui di denaro, a volte di provenienza illecita; non a caso le norme sul gioco sono inserite nel testo unico delle leggi di pubblica sicurezza.
Tali garanzie si esplicano attraverso la regolamentazione pubblica e la gestione connessa.
Il modello italiano di esercizio del gioco pubblico con vincite in denaro si basa da un lato sulla riserva in favore dello Stato in materia di giochi e scommesse e, dall’altro, sulla concessione di servizio, mediante la quale l’Amministrazione affida a un soggetto privato, prescelto sulla base di selezioni ad evidenza pubblica, nel pieno rispetto della normativa comunitaria, l’esercizio del gioco ampliando la sfera giuridica del destinatario e mantenendo sull’attività un potere di controllo.
L’istituto della concessione è volto al soddisfacimento degli interessi della collettività e al contenimento e riduzione dei costi, consentendo altresì, sul piano organizzativo, di attuare una forma di collaborazione con i privati nella gestione dei servizi e dei lavori pubblici, a fronte della quale è possibile, stante le contenute disponibilità di risorse del settore pubblico, reperire quelle di natura privata per la realizzazione degli obiettivi di rilevanza pubblica (ad esempio, avvalendosi delle dotazioni tecnico-organizzative dell’impresa privata ovvero scaricando su quest’ultima una parte dei costi, come quelli di carattere informativo).
Disposizioni specifiche poi disciplinano aspetti di ordine pubblico e sociale, che fanno riferimento ai temi del gioco compulsivo (azzardopatia) e della correlata questione della tutela dei minori e contrasto del gioco illegale.
Il comma 2 specifica i seguenti princìpi e criteri direttivi specifici per l’esercizio della delega in materia di giochi:
a) introduzione di misure tecniche e normative finalizzate a garantire una piena tutela dei soggetti maggiormente vulnerabili, nonché a prevenire i fenomeni di disturbi da gioco d’azzardo (DGA) e di gioco minorile, quali:
1) diminuzione dei limiti di giocata e di vincita;
2) obbligo della formazione continua dei gestori e degli esercenti;
3) rafforzamento dei meccanismi di autoesclusione dal gioco, anche sulla base di un registro nazionale al quale possono iscriversi i soggetti che chiedono di essere esclusi dalla partecipazione in qualsiasi forma ai giochi con vincita in denaro;
4) previsione di caratteristiche minime che devono possedere le sale e gli altri luoghi in cui si offre gioco;
5) certificazione di ogni singolo apparecchio, con passaggio graduale, tenendo conto del periodo di ammortamento degli investimenti effettuati, ad apparecchi che consentono il gioco solo da ambiente remoto, facenti parte di sistemi di gioco non alterabili;
6) divieto di raccogliere gioco su competizioni sportive dilettantistiche riservate esclusivamente a minori di anni diciotto;
7) una ulteriore misura, introdotta durante l’esame alla Camera, prevede l’impiego di forme di comunicazione del gioco legale coerenti con l'esigenza di tutela dei soggetti più vulnerabili;
b) disciplina di adeguate forme di concertazione tra lo Stato, le Regioni e gli enti locali in ordine alla pianificazione della dislocazione territoriale dei luoghi fisici di offerta di gioco, nonché del conseguente procedimento di abilitazione all’erogazione della relativa offerta dei soggetti che, attraverso apposite selezioni, ne risultano responsabili, al fine di consentire agli investitori la prevedibilità nel tempo della dislocazione dei predetti luoghi sull’intero territorio nazionale e la loro predeterminata distanza da luoghi sensibili uniformemente individuati;
c) riordino delle reti di raccolta del gioco sia a distanza sia in luoghi fisici, al fine della razionalizzazione territoriale e numerica dei luoghi fisici di offerta di gioco secondo criteri di specializzazione e progressiva concentrazione della raccolta del gioco in ambienti sicuri e controllati, con contestuale identificazione dei parametri soggettivi e oggettivi di relativa sicurezza e controllo; previsione che le reti dei concessionari della raccolta del gioco a distanza possano, sotto la loro diretta responsabilità, includere luoghi fisici per la erogazione di servizi esclusivamente accessori, esclusi in ogni caso l’offerta stessa del gioco a distanza ovvero il pagamento delle relative vincite;
d) per potenziare il contrasto del gioco illegale e delle infiltrazioni delle organizzazioni criminali nell’offerta di gioco, rafforzamento della disciplina sulla trasparenza e sui requisiti soggettivi e di onorabilità dei soggetti che, direttamente o indirettamente, controllano o partecipano al capitale delle società concessionarie dei giochi pubblici, nonché dei relativi esponenti aziendali, prevedendo altresì specifiche cause di decadenza dalle concessioni e di esclusione dalle gare per il rilascio delle concessioni, anche per società fiduciarie, fondi di investimento e trust che detengono, anche indirettamente, partecipazioni al capitale o al patrimonio di società concessionarie di giochi pubblici e che risultano non rispettare l’obbligo di dichiarazione dell’identità del soggetto indirettamente partecipante; individuazione altresì di limiti massimi di concentrazione, per ciascun concessionario e relativi soggetti proprietari o controllanti, della gestione di luoghi fisici di offerta di gioco; estensione (come previsto da una modifica approvata dalla Camera dei deputati) dei requisiti previsti dalla normativa antimafia (decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159) ai partner contrattuali dei concessionari, in analogia con la disciplina del subappalto di opere e forniture alla Pubblica Amministrazione; in sede di attuazione l’estensione si dovrà applicare a tutti i soggetti d'impresa concorrenti nella cosiddetta filiera (produttori, distributori, installatori di apparecchiature e strumenti di qualsiasi natura, incaricati di manutenzione, raccolta e versamenti degli incassi, ossia il «trasporto valori»);
e) estensione della disciplina sulla trasparenza e sui requisiti soggettivi e di onorabilità di cui alla lettera d) a tutti i soggetti, costituiti in qualsiasi forma organizzativa, anche societaria, che partecipano alle filiere di offerta attivate dalle società concessionarie di giochi pubblici, integrando, ove necessario, le discipline settoriali vigenti;
f) previsione di una disciplina generale di gestione dei casi di crisi irreversibile del rapporto concessorio in materia di giochi pubblici, specialmente se derivante da provvedimenti di revoca o di decadenza;
g) in materia di imposizione tributaria sui giochi, riserva alla legge ordinaria o agli atti aventi forza di legge ordinaria, nel rispetto dell’articolo 23 della Costituzione (in base al quale nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge), delle materie riguardanti le fattispecie imponibili, i soggetti passivi e la misura massima dell’imposta. Per quanto riguarda le fonti secondarie, si prevede il riparto tra fonte regolamentare e amministrativa generale della disciplina dei singoli giochi e delle condizioni generali di gioco, nonché delle relative regole tecniche, anche di infrastruttura. Definizione del contenuto minimo dei contratti fra concessionari e loro punti di offerta del gioco, da sottoporre a preventiva approvazione dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli;
h) adeguamento delle disposizioni in materia di prelievo erariale sui singoli giochi, assicurando il riequilibrio del prelievo fiscale e distinguendo espressamente quello di natura tributaria, in funzione delle diverse tipologie di gioco pubblico, al fine di armonizzare altresì le percentuali di aggio o compenso riconosciute ai concessionari, ai gestori e agli esercenti, nonché le percentuali destinate a vincita (payout); adeguamento delle disposizioni in materia di obblighi di rendicontazione; certezza del prelievo fiscale per l’intera durata delle concessioni attribuite a seguito di gare pubbliche e specifici obblighi di investimenti periodici da parte dei concessionari per la sicurezza del gioco e la realizzazione di costanti buone pratiche nella gestione delle concessioni;
i) definizione di regole trasparenti e uniformi per l’intero territorio nazionale in materia di titoli abilitativi all’esercizio dell’offerta di gioco, di autorizzazioni e di controlli, garantendo per i comuni forme di partecipazione alla pianificazione e autorizzazione dell’offerta fisica di gioco che tenga conto di parametri di distanza da luoghi sensibili validi per l’intero territorio nazionale, della dislocazione locale di sale da gioco e di punti di vendita in cui si esercita come attività principale l’offerta di scommesse su eventi sportivi e non sportivi, nonché in materia di installazione degli apparecchi idonei per il gioco lecito di cui all’articolo 110, comma 6, lettere a) e b), del regio decreto n. 773 del 1931, e successive modificazioni, comunque con riserva allo Stato della definizione delle regole necessarie per esigenze di ordine e sicurezza pubblica, assicurando la salvaguardia delle discipline regolatorie nel frattempo emanate a livello locale compatibili con i princìpi delle norme di attuazione della presente lettera.
Si rammenta che il citato articolo 110, comma 6, lettere a) e b) del regio decreto n. 773 del 1931 stabilisce quali siano da considerare apparecchi idonei per il gioco lecito:
§ quelli che, dotati di attestato di conformità alle disposizioni vigenti rilasciato dal Ministero dell’economia e delle finanze - Amministrazione autonoma dei Monopoli di Stato e obbligatoriamente collegati alla rete telematica, si attivano con l’introduzione di moneta metallica ovvero con appositi strumenti di pagamento elettronico definiti con provvedimenti del Ministero dell’economia e delle finanze - Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato, nei quali insieme con l’elemento aleatorio sono presenti anche elementi di abilità, che consentono al giocatore la possibilità di scegliere, all’avvio o nel corso della partita, la propria strategia, selezionando appositamente le opzioni di gara ritenute più favorevoli tra quelle proposte dal gioco, il costo della partita non supera 1 euro, la durata minima della partita è di quattro secondi e che distribuiscono vincite in denaro, ciascuna comunque di valore non superiore a 100 euro, erogate dalla macchina. Le vincite, computate dall’apparecchio in modo non predeterminabile su un ciclo complessivo di non più di 140.000 partite, devono risultare non inferiori al 75 per cento delle somme giocate. In ogni caso tali apparecchi non possono riprodurre il gioco del poker o comunque le sue regole fondamentali;
§ quelli, facenti parte della rete telematica che si attivano esclusivamente in presenza di un collegamento ad un sistema di elaborazione della rete stessa. Per tali apparecchi, con regolamento del Ministro dell’economia e delle finanze di concerto con il Ministro dell’interno, sono definiti, tenendo conto delle specifiche condizioni di mercato:
· il costo e le modalità di pagamento di ciascuna partita;
· la percentuale minima della raccolta da destinare a vincite;
· l’importo massimo e le modalità di riscossione delle vincite;
· le specifiche di immodificabilità e di sicurezza, riferite anche al sistema di elaborazione a cui tali apparecchi sono connessi;
· le soluzioni di responsabilizzazione del giocatore da adottare sugli apparecchi;
· le tipologie e le caratteristiche degli esercizi pubblici e degli altri punti autorizzati alla raccolta di giochi nei quali possono essere installati gli apparecchi di cui alla presente lettera;
l) revisione e semplificazione della disciplina riguardante i titoli abilitativi all’esercizio di offerta di gioco e divieto di rilascio di tali titoli abilitativi, nonché simmetrica nullità assoluta di tali titoli se rilasciati in ambiti territoriali diversi da quelli pianificati, ai sensi delle precedenti lettere, per la dislocazione di sale da gioco e di punti di vendita di gioco, nonché per l’installazione degli apparecchi di cui all’articolo 110, comma 6, lettera a), del regio decreto n. 773 del 1931 (si veda sopra), ferme restando le competenze in materia del Ministero dell’interno di cui agli articoli 16 e 88 del medesimo regio decreto.
Si rammenta che, ai sensi dell’articolo 16 del suddetto regio decreto n. 773 del 1931, gli ufficiali e gli agenti di pubblica sicurezza hanno facoltà di accedere in qualunque ora nei locali destinati all’esercizio di attività soggette ad autorizzazioni di polizia e di assicurarsi dell’adempimento delle prescrizioni imposte dalla legge, dai regolamenti o dall’autorità. Inoltre, ai sensi dell’articolo 88 del medesimo decreto, la licenza per l’esercizio delle scommesse può essere concessa esclusivamente a soggetti concessionari o autorizzati da parte di Ministeri o di altri enti ai quali la legge riserva la facoltà di organizzazione e gestione delle scommesse, nonché a soggetti incaricati dal concessionario o dal titolare di autorizzazione in forza della stessa concessione o autorizzazione;
m) revisione della disciplina dei controlli e dell’accertamento dei tributi gravanti sui giochi, per una maggiore efficacia preventiva e repressiva della loro evasione o elusione, nonché delle altre violazioni in materia, comprese quelle concernenti il rapporto concessorio; riordino del vigente sistema sanzionatorio, penale e amministrativo, al fine di aumentarne l’efficacia dissuasiva e l’effettività, prevedendo sanzioni aggravate per le violazioni concernenti il gioco a distanza;
n) riordino, secondo criteri di maggiore rigore, specificità e trasparenza, tenuto conto della normativa di settore adottata dall’Unione europea, della disciplina in materia di qualificazione degli organismi di certificazione degli apparecchi da intrattenimento e divertimento, nonché della disciplina riguardante le responsabilità di tali organismi e quelle dei concessionari per i casi di certificazioni non veritiere, ovvero di utilizzo di apparecchi non conformi ai modelli certificati. Riordino della disciplina degli obblighi, delle responsabilità e delle garanzie, in particolare patrimoniali, proprie dei produttori o distributori di programmi informatici per la gestione delle attività di gioco e della relativa raccolta;
o) si rimette a un decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, su proposta dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli, di concerto con il Comando generale del Corpo della guardia di finanza, la definizione di piani annuali di controlli volti al contrasto della pratica del gioco, in qualunque sua forma, svolto con modalità non conformi all’assetto regolatorio statale per la pratica del gioco lecito;
p) previsione, aggiunta durante l’esame alla Camera, dell'accesso, da parte dei soggetti pubblici e privati che svolgono attività di prevenzione e cura della patologia da gioco d'azzardo, ai dati concernenti la diffusione territoriale, la raccolta, la spesa e la tassazione dei giochi autorizzati di qualsiasi tipologia e classificazione;
q) previsione di una relazione alle Camere sul settore del gioco pubblico, presentata dal Ministro dell’economia e delle finanze entro il 31 dicembre di ogni anno, contenente tra l’altro i dati sullo stato delle concessioni, sui volumi della raccolta, sui risultati economici della gestione e sui progressi in materia di tutela dei consumatori di giochi e della legalità.
Per un’illustrazione dettagliata dell’ordinamento in materia di gioco pubblico in Italia, si rinvia alla relazione conclusiva della Commissione parlamentare di inchiesta sul gioco illegale e sulle disfunzioni del gioco pubblico istituita nella XVIII legislatura dal Senato.
Articolo 16
(Procedimenti dell’Amministrazione finanziaria
e adempimenti dei contribuenti)
L’articolo 16, modificato nel corso dell’esame al Senato, contiene i principi e i criteri direttivi generali relativi alla revisione generale degli adempimenti tributari, anche relativamente ai tributi degli enti territoriali individuando, al comma 1, undici principi e criteri direttivi concernenti l’introduzione di misure per la semplificazione degli obblighi dichiarativi e di versamento (lettere a), b), e), f), g), m); interventi diretti a favorire l’accesso ai servizi dell’amministrazione finanziaria (lettere , h), i) e l)); misure dirette a rafforzare la posizione dei cittadini nel rapporto con l’amministrazione finanziaria (lettera c), d), p), r)) ed interventi concernenti l’amministrazione finanziaria (n), o), q), s)). Il comma 2 esclude che i principi sopra elencati concernano le accise e le altre imposte indirette sulla produzione e sui consumi e individua due principi concernenti specificamente il riordino della disciplina delle cauzioni in materia di accisa e la revisione delle procedure amministrative per la gestione della rete di vendita dei prodotti del tabacco.
Diversi principi e criteri direttivi di delega attengono alla semplificazione e allo snellimento delle procedure dichiarative e di versamento delle imposte.
In dettaglio la lettera a) individua, nell’ambito dei principi e criteri direttivi della delega, quale canale privilegiato di riscossione del carico fiscale, l’adempimento spontaneo.
A tal fine il Governo sarà tenuto a razionalizzare gli obblighi dichiarativi per renderne meno gravosa la gestione da parte dei contribuenti, riducendo gli adempimenti in capo agli stessi, anche attraverso nuove soluzioni tecnologiche in un quadro di reciproca e leale collaborazione.
Tali nuovi strumenti consentiranno la semplificazione, la razionalizzazione e la revisione (come precisato nel corso dell’esame al Senato) degli Indici sintetici di affidabilità fiscale rispetto ai quali, sempre nel corso dell’esame al Senato, è stato espunto il riferimento al graduale superamento degli stessi.
Si ricorda che l’articolo 9-bis del decreto legge 24 aprile 2017, n. 50, ha previsto l’istituzione degli indici sintetici di affidabilità fiscale per gli esercenti attività di impresa, arti o professioni al fine di favorire l’emersione spontanea delle basi imponibili e di stimolare l’assolvimento degli obblighi tributari da parte dei contribuenti e il rafforzamento della collaborazione tra questi e l’Amministrazione finanziaria, anche con l’utilizzo di forme di comunicazione preventiva rispetto alle scadenze fiscali. Gli indici, elaborati con una metodologia basata su analisi di dati e informazioni relativi a più periodi d’imposta, rappresentano la sintesi di indicatori elementari tesi a verificare la normalità e la coerenza della gestione aziendale o professionale, anche con riferimento a diverse basi imponibili, ed esprimono su una scala da 1 a 10 il grado di affidabilità fiscale riconosciuto a ciascun contribuente, anche al fine di consentire a quest’ultimo, sulla base dei dati dichiarati entro i termini ordinariamente previsti, l’accesso a uno specifico regime premiale. Gli indici sono stati applicati a decorrere dal periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2018 (comma 931 della legge n. 205 del 2017). Contestualmente all’adozione degli indici hanno cessato di avere effetto, al fine dell’accertamento dei tributi, le disposizioni relative agli studi di settore (articolo 7-bis del decreto legge n. 193 del 2016).
Gli indici non si applicano ai periodi d’imposta nei quali il contribuente ha iniziato o cessato l’attività ovvero non si trova in condizioni di normale svolgimento della stessa o dichiari, ai fini IRES, ricavi derivanti dall’attività commerciale (non quindi ricavi finanziari), o compensi derivanti dallo svolgimento di attività di lavoro autonomo, di ammontare superiore al limite stabilito dal decreto di approvazione o revisione dei relativi indici. Sulla base del livello di affidabilità fiscale del contribuente vengono riconosciuti allo stesso alcuni benefici (l’esonero dall’apposizione del visto di conformità per la compensazione di crediti per un importo non superiore a 50.000 euro annui relativamente all’imposta sul valore aggiunto e per un importo non superiore a 20.000 euro annui relativamente alle imposte dirette e all’imposta regionale sulle attività produttive; l’esonero dall’apposizione del visto di conformità ovvero dalla prestazione della garanzia per i rimborsi dell’imposta sul valore aggiunto per un importo non superiore a 50.000 euro annui; l’esclusione dell’applicazione della disciplina delle società non operative; l’esclusione degli accertamenti basati sulle presunzioni semplici; l’anticipazione di almeno un anno, con graduazione in funzione del livello di affidabilità, dei termini di decadenza per l’attività di accertamento con riferimento ai redditi d’impresa e di lavoro autonomo; l’esclusione della determinazione sintetica del reddito complessivo, a condizione che il reddito complessivo accertabile non ecceda di due terzi il reddito dichiarato).
In stretta connessione con quanto previsto da questo criterio di delega, la lettera g) prevede di incentivare con sistemi premiali l’utilizzazione delle dichiarazioni precompilate, ampliando le categorie di contribuenti interessati e facilitando l’accesso ai servizi telematici per i soggetti con minore attitudine all’utilizzo degli strumenti informatici nonché, secondo una precisazione introdotta nel corso dell’esame al Senato, incentivare le attività di certificazione delle dichiarazioni fiscali.
Si ricorda che la dichiarazione dei redditi precompilata è stata introdotta dal decreto legislativo 21 novembre 2014, n. 175 (c.d. "decreto semplificazioni").
Entro il 30 aprile di ciascun anno (nel 2022 il termine è stato prorogato al 23 maggio dall’articolo 10-quater del decreto-legge n. 4/2022), l’Agenzia delle entrate trasmette al contribuente la dichiarazione precompilata, che può essere accettata o modificata. Per coloro che presentano la dichiarazione precompilata è escluso il controllo formale, qualora la dichiarazione sia presentata senza modifiche, direttamente dal contribuente o tramite sostituto d’imposta. Rimane salva per i contribuenti la possibilità di presentare la dichiarazione dei redditi con le modalità ordinarie, ovvero con la compilazione dei modelli 730 o Unico persone fisiche. Sono state poi modificate le sanzioni in sede di dichiarazione, ponendo quelle per visto di conformità infedele in capo al CAF o al professionista anziché al contribuente, fatto salvo il caso in cui l’infedeltà del visto sia stata determinata da una condotta dolosa del contribuente. Di conseguenza sono stati rimodulati i compensi ai CAF e ai professionisti che prestano assistenza, per tener conto del diverso livello di responsabilità nel processo (articolo 6 del D. Lgs. n. 175 del 2014).
Nel caso di presentazione di dichiarazione precompilata modificata dal contribuente, se le modifiche incidono sulla determinazione del reddito o dell’imposta e presentano elementi di incoerenza rispetto ai criteri pubblicati dall’Agenzia delle entrate ovvero determinano un rimborso di importo superiore a 4.000 euro, l’Agenzia può effettuare controlli preventivi sulla dichiarazione entro quattro mesi dal termine per la sua trasmissione, ovvero dalla data della trasmissione, se successiva a detto termine. L’Agenzia delle Entrate ha l’onere di erogare l’importo risultante a titolo di rimborso dopo l’esecuzione dei prescritti controlli, entro e non oltre il termine di sei mesi successivi al termine stabilito per la trasmissione della dichiarazione o entro sei mesi dalla data della trasmissione, ove posteriore.
In attuazione del traguardo M1C1-109 – Riforma dell’amministrazione fiscale, previsto nel PNRR, l’articolo 4, comma 1.1, del decreto legislativo n. 127 del 2015, ha previsto che dal 1° gennaio 2022 l’Agenzia delle entrate metta a disposizione dei contribuenti in via sperimentale oltre alle bozze dei registri IVA (disponibili dal 13 settembre 2021) e alle liquidazioni periodiche dell’Iva (disponibili dal 6 novembre 2021), anche la bozza della dichiarazione annuale. L’Agenzia delle entrate, in attuazione della sopraddetta disposizione ha realizzato e reso operativa l’infrastruttura tecnologica che consente la predisposizione di questa documentazione ivi compresa la bozza di dichiarazione annuale. Dal 10 febbraio 2023 le dichiarazioni IVA precompilate sono state messe a disposizione di oltre due milioni di titolari di partita IVA tra professionisti e imprese.
La lettera b) prevede l’armonizzazione dei termini degli adempimenti tributari, anche dichiarativi, e di versamento, razionalizzandone la scansione temporale nel corso dell’anno, con particolare attenzione per quelli aventi scadenza nel mese di agosto.
La relazione illustrativa di accompagnamento dell’A.C. 1038 precisa che tale intervento si fonda sulla necessità di razionalizzare la moltitudine di adempimenti tributari vigenti durante l’anno, e, allo stesso tempo, di evitare un carico eccessivo di obblighi fiscali durante il periodo estivo.
La lettera e) indica quale criterio di delega quello di semplificare la modulistica prescritta per gli adempimenti degli obblighi dichiarativi e di versamento, prevedendo che i modelli, le istruzioni e le specifiche tecniche siano resi disponibili con un anticipo di norma non superiore a 60 giorni (come precisato nel corso dell’esame al Senato) rispetto all’adempimento al quale si riferiscono.
Sempre al fine di migliorare e semplificare le modalità di pagamento la lettera f), introdotta al Senato, ha previsto l'ampliamento delle forme di pagamento, consentendo la facoltà al contribuente di utilizzare un rapporto interbancario diretto (RID), ovvero altro strumento di pagamento elettronico mentre la lettera m), introdotta anch’essa dal Senato, prevede l’adozione di misure volte ad incentivare, anche in prospettiva e garantendone la gratuità, l'utilizzo dei pagamenti elettronici, l’ammodernamento dei terminali di pagamento e la digitalizzazione delle piccole e medie imprese, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.
Un ulteriore gruppo di principi e criteri di delega, connesso al precedente, individua come obiettivo da perseguire con la legislazione delegata l’ampliamento dell’accesso da parte di cittadini e dei professionisti ai servizi messi a disposizione dall’Amministrazione finanziaria.
In particolare la lettera h) introduce come principio quello di semplificare le modalità di accesso dei contribuenti ai servizi messi a disposizione dall’Amministrazione finanziaria, attraverso l’ampliamento e la semplificazione delle modalità per il rilascio delle deleghe, anche esclusive (come precisato al Senato) ai professionisti abilitati, mentre la lettera i) prevede di incrementare i servizi digitali a disposizione dei cittadini utilizzando la piattaforma digitale per l’interoperabilità dei sistemi informativi e della base di dati prevedendo inoltre, come precisato al Senato, che gli adempimenti possano essere ottemperati anche direttamente per via telematica. Nello stesso ambito si colloca la l), introdotta nel corso dell’esame al Senato, che richiede di rafforzare i contenuti conoscitivi del cassetto fiscale.
Secondo quanto ricorda sul suo sito l’Agenzia delle entrate nel suo internet, il “cassetto fiscale” è il servizio che consente la consultazione, diretta o tramite un intermediario delegato, delle proprie informazioni fiscali, come:
§ dati anagrafici;
§ dati delle dichiarazioni fiscali;
§ dati dei rimborsi;
§ dati dei versamenti effettuati tramite modello F24 e F23;
§ atti del registro (dati patrimoniali);
§ dati e informazioni relativi agli studi di settore e agli indicatori sintetici di affidabilità fiscale (Isa);
§ le informazioni sul proprio stato di iscrizione al Vies (servizio di verifica partita IVA).
Un terzo gruppo di principi e criteri direttivi è orientato ad introdurre disposizioni volte a migliorare o riequilibrare la posizione del contribuente rispetto all’Amministrazione finanziaria anche al fine di tenere conto dei periodi ordinariamente destinati alla riduzione delle attività lavorative.
In primo luogo la lettera c) prevede che, nell’ambito della legislazione delegata, il Governo sia tenuto a disporre l’esclusione dalla decadenza da benefici fiscali nel caso di inadempimenti formali o di minore gravità.
Nel corso dell’esame al Senato è stato introdotto il principio di cui alla lettera d), con il quale si prevede di rafforzare i regimi premiali attualmente vigenti, inclusa la possibile riduzione dei tempi di rimborso dei crediti fiscali, per i contribuenti che presentano alti livelli di affidabilità fiscale, misurati anche sulla base degli indicatori statistico-economici utilizzati per la definizione degli Indici Sintetici di Affidabilità fiscale.
Allo stesso modo la lettera p) stabilisce che, nell’ambito della legislazione delegata, il Governo preveda la sospensione nei mesi di agosto e dicembre di ciascun anno dell’invio da parte dell’Amministrazione finanziaria, delle comunicazioni, degli inviti e delle richieste di atti, documenti, registri, dati e notizie, fermi restando tuttavia i termini di decadenza.
Infine la lettera r) prevede il principio di progressiva armonizzazione dei tassi di interesse applicabili alle somme dovute dall’Amministrazione finanziaria e dai contribuenti.
Con riferimento alla diversa misura dei tassi di interesse per il versamento, la riscossione e i rimborsi dei tributi si veda il dossier Elementi essenziali della tassazione in Italia, aggiornato al 10 febbraio 2023, (pagg. 114-117).
Due principi contenuti nel presente articolo si riferiscono specificamente ad attività ed adempimenti dell’Amministrazione finanziaria.
In particolare il principio di cui alla lettera o) è diretto a prevedere il potenziamento di strumenti e modelli organizzativi che favoriscano la condivisione dei dati e dei documenti, in via telematica, tra l’Agenzia delle entrate e i competenti uffici dei comuni richiamando specificamente il fine di facilitare e accelerare l’individuazione degli immobili non censiti e degli immobili abusivi.
Il principio di cui alla lettera q) delega il Governo a prevedere per l’Agenzia delle entrate la sospensione, nel mese di agosto, dei termini per la risposta alle istanze di interpello così estendendo la disciplina della sospensione feriale di cui alla legge 7 ottobre 1969, n. 742, anche alle risposte alle istanze di interpello rese dall’Agenzia delle entrate, uniformando, sotto tale profilo, la disciplina in materia di interpello e quella in materia di accertamento con adesione di cui al decreto legislativo 19 giugno 1997, n. 218.
In tale ambito si collocano anche i due principi introdotti nel corso dell’esame al Senato relativi al rafforzamento della formazione del personale dell’amministrazione finanziaria. In primo luogo la lettera n) prevede di potenziare il livello di formazione professionale del personale dell'Amministrazione finanziaria nell'utilizzo delle nuove tecnologie digitali applicate alle attività economiche e alle attività di contrasto alle frodi e all'evasione fiscale, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. L’introdotta lettera s) prevede inoltre di rafforzare la specializzazione e la formazione professionale continua del personale dell'Amministrazione finanziaria, con particolare riferimento all'utilizzo delle nuove tecnologie digitali, anche applicate alle attività economiche, all'utilizzo dei big data e al relativo trattamento, alla sicurezza informatica e ai nuovi modelli organizzativi e strategici delle imprese, sempre senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.
Il comma 2 precisa innanzi tutto la non applicazione dei principi e criteri direttivi sopra descritti con riferimento alla revisione degli adempimenti previsti dalla disciplina doganale e da quella in materia di accisa e delle altre imposte indirette sulla produzione e sui consumi di cui al Titolo III del testo unico approvato con il decreto legislativo 26 ottobre 1995. n. 504.
I principi e i criteri direttivi in materia doganale sono infatti contenuti all’articolo 11 (si veda supra).
Con riferimento invece alle accise principi e criteri direttivi sono contenuti all’articolo 12. In tale disposizione tuttavia solo la lettera e), per quanto riguarda la vendita e la circolazione dei prodotti alcolici, e la lettera f) concernente l’applicazione dell’imposta di consumo su lubrificanti e bitumi da petrolio, fanno riferimento alle semplificazioni amministrative.
Il comma 2 in commento, con riferimento alla revisione degli adempimenti e delle procedure amministrative sulla materia, introduce due principi e criteri direttivi specifici.
Il primo è attinente alla revisione del sistema generale delle cauzioni per il pagamento dell’accisa e delle altre imposte indirette sulla produzione e sui consumi e all’introduzione di un sistema di qualificazione dei soggetti obbligati al pagamento dei predetti tributi, basato sull’individuazione di specifici livelli di affidabilità e solvibilità per la concessione, ai medesimi soggetti, di benefici consistenti nella semplificazione degli adempimenti amministrativi e nell’esonero, anche parziale, dall’obbligo della prestazione delle predette cauzioni. La cauzione è dovuta in misura pari all’ammontare dell’accisa se i prodotti custoditi sono condizionati e muniti di contrassegno fiscale.
La cauzione è innanzi tutto prevista per i prodotti soggetti ad accisa in regime di deposito fiscale. Il regime di deposito fiscale è soggetto a licenza per i prodotti diversi dai tabacchi lavorati, mentre per i tabacchi lavorati l’esercizio del deposito fiscale è subordinato all’adozione di un provvedimento di autorizzazione da parte dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli. Uno degli obblighi dei depositari è quello di prestare cauzione nella misura del 10 per cento dell’imposta che grava sulla quantità massima di prodotti che possono essere detenuti nel deposito fiscale, in relazione alla capacità di stoccaggio dei serbatoi utilizzabili e, in ogni caso, l’importo della cauzione non può essere inferiore all’ammontare dell’imposta che mediamente viene pagata alle previste scadenze (ciò fatte salve le disposizioni previste per i singoli prodotti). Identica misura della cauzione è prevista per l’esercizio dei depositi commerciali di prodotti energetici denaturati, atta eccezione per i depositi di gas di petrolio liquefatti denaturati per uso combustione.
Per i contrassegni fiscali destinati ad essere applicati sui recipienti contenenti prodotti nazionali o comunitari in regime sospensivo deve essere prestata cauzione in misura pari all’ammontare dell’accisa. Per la circolazione dei prodotti condizionati e muniti di contrassegno fiscale, in regime sospensivo, deve essere prestata cauzione in misura pari all’ammontare dell’accisa gravante sulla partita trasportata.
Con riferimento a carbone, lignite e coke, sottoposti ad accisa, la cauzione sul pagamento dell’accisa è determinata dal competente Ufficio dell’Agenzia delle dogane in misura pari ad un quarto dell’imposta dovuta nell’anno precedente.
Per quanto riguarda il gas naturale destinato alla combustione per usi civili e per usi industriali, nonché all’autotrazione, la cauzione è determinata in misura pari ad un dodicesimo dell’imposta annua che si presume dovuta in relazione ai dati comunicati dal soggetto nella denuncia e a quelli eventualmente in possesso dell’Ufficio competente.
Per quanto riguarda gli alcoli e le bevande alcoliche la cauzione è fissata nella misura dell’1% della quantità massima di prodotti che può essere detenuta nel deposito fiscale per gli stabilimenti e gli opifici di produzione (distillerie e relativi magazzini, opifici di rettificazione e relativi magazzini, opifici promiscui di trasformazione e condizionamento nel settore dell’alcol etilico, stabilimenti di produzione di alcoli intermedi, fabbriche ed edifici di condizionamento delle birre, cantine e stabilimenti di produzione del vino, fabbriche di birra di minori dimensioni).
Per i venditori di energia elettrica, e gli altri soggetti sottoposti ad accisa sull’energia elettrica l’importo della cauzione deve risultare pari ad un dodicesimo dell’imposta dovuta nell’anno precedente.
Per i soggetti sottoposti ad imposizioni indirette sulla produzione e sui consumi diverse dalle accise la cauzione è fissata in misura pari al 10 per cento dell’imposta gravante su tutto il prodotto giacente ed è, comunque, non inferiore all’imposta dovuta mediamente per il periodo di tempo cui si riferisce la dichiarazione presentata ai fini del pagamento dell’imposta.
Con riferimento all’imposta di consumo sui prodotti succedanei da fumo e sui prodotti che contengono nicotina l’importo della cauzione è pari al 10 per cento dell’imposta dovuta sul prodotto mediamente in giacenza nei dodici mesi solari precedenti e comunque non inferiore alla media dell’imposta dovuta in relazione a ciascuno dei dodici mesi solari precedenti.
Il secondo criterio direttivo prevede che la legislazione delegata sia diretta a revisionare le procedure amministrative per la gestione della rete di vendita dei prodotti del tabacco, dei prodotti succedanei dei prodotti da fumo da inalazione che contengano o meno nicotina nonché dei prodotti diversi dai tabacchi lavorati sottoposti ad accisa, contenenti nicotina e preparati allo scopo di consentire, senza combustione e senza inalazione, l’assorbimento di tale sostanza da parte dell’organismo.
Nel corso dell’esame al Senato è stato introdotto un nuovo principio di delega, che prevede, con finalità di contrasto del mercato illecito, di tutela della salute dei consumatori e dei minori nonché di tutela delle entrate erariali, il divieto di vendita a distanza, ai consumatori che acquistano nel territorio dello Stato, dei prodotti da inalazione senza combustione costituiti da sostanze liquide contenenti nicotina, di cui all'articolo 62-quater, del Testo unico delle disposizioni legislative concernenti le imposte sulla produzione e sui consumi e relative sanzioni penali e amministrative (lettera c)).
L’introduzione di tale principio ha comportato la soppressione di quello previsto all’articolo 12, comma 1, lettere g) e h) che disciplinavano in termini diversi una fattispecie analoga.
Articolo 17
(Procedimenti accertativi, di adesione e compliance)
L’articolo 17, modificato nel corso dell’esame al Senato, indica principi e criteri direttivi specifici per la revisione dell’attività di accertamento. Le norme di delega prevedono misure di semplificazione del procedimento accertativo e un’applicazione generalizzata del procedimento del contraddittorio. In particolare, la disposizione delega al Governo il compito di disciplinare il diritto al contraddittorio in modo omogeneo, quali che siano le modalità di svolgimento del controllo, concedendo anche al contribuente un termine non inferiore a 60 giorni per le eventuali osservazioni. Al legislatore delegato è, altresì, demandato il compito di obbligare l’ente impositore a motivare espressamente sulle osservazioni formulate dal contribuente.
Viene previsto, inoltre, il riordino delle norme in materia di analisi delle posizioni di rischio fiscale e l’utilizzo sempre maggiore delle tecnologie digitali (anche supportate dall’intelligenza artificiale).
Il legislatore delegato è tenuto a realizzare un potenziamento e una semplificazione del regime dell’adempimento collaborativo (anche attraverso maggiori meccanismi premiali e la riduzione della soglia di ingresso al regime), nonché a introdurre per i soggetti di minori dimensioni la possibilità di accedere a un concordato preventivo biennale. Con alcune norme introdotte al Senato vengono altresì riconosciuti dei vantaggi fiscali nei confronti dei contribuenti il cui sistema integrato di rilevazione, misurazione, gestione e controllo del rischio fiscale è certificato da professionisti qualificati.
Altre norme sono rivolte ad assicurare una maggiore certezza del diritto tributario anche attraverso la diminuzione degli aggravi degli oneri amministrativi previsti per il contribuente.
Il comma 1 stabilisce che nell’esercizio della delega il Governo osserva i principi e criteri direttivi specifici di seguito descritti al fine di realizzare la revisione dell’attività di accertamento (anche con riferimento ai tributi degli enti territoriali).
La lettera a) del comma 1 prevede come obiettivo la semplificazione del procedimento accertativo, anche mediante l’utilizzo delle tecnologie digitali in grado di ridurre gli oneri amministrativi a carico dei contribuenti.
La lettera b) stabilisce l’applicazione in via generalizzata del principio del contraddittorio, a pena di nullità, fuori dai casi dei controlli automatizzati e delle ulteriori forme di accertamento di carattere sostanzialmente automatizzato, e la previsione di una disposizione generale sul diritto del contribuente a partecipare al procedimento tributario, secondo le seguenti caratteristiche:
1) disciplina omogenea indipendentemente dalle modalità con cui si svolge il controllo;
2) termine, secondo quanto specificato al Senato, non inferiore a 60 giorni, a favore del contribuente per formulare osservazioni sulla proposta di accertamento;
3) obbligo da parte dell’ente impositore di motivare espressamente sulle osservazioni formulate dal contribuente;
4) estensione del livello di maggior tutela previsto dall’articolo 12, comma 7, della legge n. 212 del 2000 (statuto dei diritti del contribuente).
Con riguardo a tale principio si ricorda che la Corte costituzionale, con la sentenza n. 47 del 2023, pur dichiarando inammissibile la questione di legittimità costituzionale concernente l’art. 12, comma 7, della legge n. 212 del 2000 (statuto dei diritti del contribuente), impugnato, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, nella parte in cui non estende il diritto al contraddittorio endoprocedimentale a tutte le modalità di accertamento in rettifica poste in essere dall’Agenzia delle Entrate, se effettuate tramite verifiche “a tavolino”, ha riconosciuto che “la mancata generalizzazione del contraddittorio preventivo con il contribuente, fin qui limitato a specifiche e ben tipizzate fattispecie, risulta ormai distonica rispetto all’evoluzione del sistema tributario, avvenuta sia a livello normativo che giurisprudenziale” invitando il legislatore a porre in essere “un tempestivo intervento normativo che colmi la lacuna evidenziata”.
Il principio di delega in commento sembra quindi orientato a definire quanto indicato nel monito della Corte.
Si ricorda inoltre che il sopra citato articolo 12, comma 7, prevede, tra l’altro, che nel rispetto del principio di cooperazione tra amministrazione e contribuente, dopo il rilascio della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo, il contribuente può comunicare entro sessanta giorni osservazioni e richieste che sono valutate dagli uffici impositori.
Nella Relazione illustrativa il Governo rappresenta le ragioni sottostanti le norme sopra esposte in questi termini: la disposizione attribuisce al legislatore delegato il compito di disciplinare il diritto al contraddittorio in modo omogeneo, quali che siano le modalità di svolgimento del controllo (mediante accesso o “a tavolino”), superando così il “doppio binario” attualmente previsto per i casi diversi da quelli disciplinati dall’articolo 12, comma 7, della legge n. 212 del 2000 e concedendo al contribuente un termine congruo per le eventuali osservazioni. Al legislatore delegato è, altresì, demandato il compito di obbligare l’ente impositore a motivare espressamente sulle osservazioni formulate dal contribuente, così generalizzando la c.d. “motivazione rafforzata” attualmente prevista solo per talune limitate fattispecie, infine, prevedendo in via generalizzata il livello di maggior tutela già adesso previsto dall’articolo 12, comma 7, della legge n. 212 del 2000.
La lettera c) è volta a introdurre una razionalizzazione e un riordino delle disposizioni normative in materia di attività di analisi del rischio, nel rispetto della normativa in materia di tutela della riservatezza e accesso, evitando pregiudizi alle garanzie dei contribuenti;
Sul punto, si ricorda che la legge di bilancio 2020 ha previsto che, per le attività di analisi del rischio di evasione, l’Agenzia delle entrate e la Guardia di finanza si possono avvalere delle tecnologie, delle elaborazioni e delle interconnessioni con le altre banche dati di cui dispongono, allo scopo di individuare criteri di rischio utili per far emergere posizioni da sottoporre a controllo e incentivare l’adempimento spontaneo, nel rispetto di specifiche condizioni poste a protezione dei dati personali dei cittadini; viene incluso, fra le ipotesi in cui è limitato l’esercizio di specifici diritti in tema di protezione dei dati personali, l’effettivo e concreto pregiudizio alle attività di prevenzione e contrasto all’evasione fiscale (commi 681-686). In attuazione di tali norme è stato successivamente pubblicato i D.M. 28 giugno 2022 che dà attuazione alle misure in materia di analisi del rischio prospettate dalla Relazione per orientare le azioni del Governo volte a ridurre l’evasione fiscale da omessa fatturazione pubblicata il 20 dicembre 2021, in attuazione del traguardo M1C1-101 del PNRR. L’Agenzia delle entrate, successivamente, con la Circolare 21/E del 20 giugno 2022, sempre in linea con le nuove norme introdotte, chiarisce che l’analisi del rischio di evasione basata sui dati dell’Archivio dei rapporti, già avviata in via sperimentale in attuazione di quanto previsto dall’articolo 11, comma 4, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, sarà potenziata mediante l’elaborazione di nuove liste selettive per l’attività di controllo, che saranno rese disponibili mediante l’applicativo Ve.R.A.
La lettera d), in attuazione del principio di economicità dell’azione amministrativa, delega il Governo a introdurre specifiche forme di cooperazione tra le amministrazioni, nazionali ed estere, che effettuano attività di controllo sul corretto adempimento degli obblighi in materia tributaria e previdenziale, anche al fine di minimizzare gli impatti nei confronti dei contribuenti e delle loro attività economiche.
La lettera e), introdotta al Senato, anche al fine della tutela del bilancio nazionale e dell'Unione Europea, nonché del regime dei dazi, prevede di rivedere le norme che disciplinano il regime doganale che consente l’esenzione del pagamento IVA.
In particolare, la disposizione delega il Governo a rivedere, nel rispetto della normativa unionale e delle pronunce della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, anche attraverso la promozione di accordi di cooperazione tra le amministrazioni dei Paesi membri e di forme di collaborazione tra le amministrazioni nazionali territorialmente competenti, le disposizioni finalizzate alla prevenzione, al controllo e alla repressione dell'utilizzo abusivo e fraudolento del regime doganale che consente l'esenzione dal pagamento dell'IVA al momento dell’importazione nell'Unione Europea, come previsto all'articolo 143, paragrafo 1, lettera d) della Direttiva 2006/112/CE.
Si ricorda che la richiamata norma contenuta nella Direttiva 2006/112/CE prevede che gli Stati membri esentano le importazioni di beni spediti o trasportati a partire da un territorio terzo o da un paese terzo in uno Stato membro diverso da quello d'arrivo della spedizione o del trasporto, se la cessione dei beni, effettuata dall'importatore designato o riconosciuto come debitore dell'imposta.
La lettera f) delega il Governo a potenziare l’utilizzo di tecnologie digitali, anche con l’impiego di sistemi di intelligenza artificiale, al fine di ottenere attraverso la piena interoperabilità delle banche dati, la disponibilità delle informazioni rilevanti e garantirne il tempestivo utilizzo per:
1) realizzare interventi volti a prevenire gli errori dei contribuenti e i conseguenti accertamenti;
2) operare azioni mirate, idonee a circoscrivere l’attività di controllo nei confronti di soggetti a più alto rischio fiscale, con minore impatto su cittadini e imprese, anche in termini di oneri amministrativi;
3) perseguire la riduzione dei fenomeni di evasione e di elusione fiscale massimizzando i livelli di adempimento spontaneo dei contribuenti;
Di seguito l’ultima tabella con i dati dell’evasione fiscale in Italia presentata nella Relazione sull’economia non osservata e sull’evasione fiscale e contributiva.
Gap delle entrate tributarie e contributive – dati in milioni di euro
Fonte: Relazione sull’economia non osservata e sull’evasione fiscale e contributiva, allegata alla Nadef 2022.
Particolare attenzione (a partire dal comma 1, lettera g)) viene rivolta al perseguimento della riduzione del fenomeno dell’evasione attraverso misure che favoriscono l’adempimento spontaneo del contribuente.
Sul punto si segnala che nell’ultimo Rapporto sui risultati conseguiti in materia di misure di contrasto all’evasione fiscale e contributiva – Anno 2022 emerge una tendenza incoraggiante in merito ad una maggiore propensione all’adempimento spontaneo da parte dei contribuenti in quanto la propensione al gap (ovvero la misura della propensione all’inadempimento dei contribuenti data dal rapporto tra l’ammontare della differenza tra gettito teorico e gettito effettivo e il gettito teorico) si è ridotta di circa 2,7 punti percentuali.
Fonte: Rapporto sui risultati conseguiti in materia di misure di contrasto all’evasione fiscale e contributiva – Anno 2022
L’Agenzia delle entrate nel report sui risultati raggiunti nel 2022 ha sottolineato i risultati ottenuti dall’attività svolta dall’Agenzia per favorire la promozione dell’adempimento spontaneo negli ultimi anni.
In merito ai risultati raggiunti dall’Agenzia si sottolinea che sono state inviate n. 2.637.383 lettere di conformità (102% del valore target di 2.581.090 di lettere di compliance) che rappresentano il raggiungimento dell’obiettivo M1C1-105 del PNRR che prevedeva un aumentato di tali comunicazioni almeno del 20 % rispetto al 2019, così come l’incasso di 2.945.556.829 euro derivante dalle lettere di promozione dell’adempimento (pari al 120% del valore target di 2.449.500.000 euro) che rappresenta il raggiungimento dell’obiettivo M1C1-107 che prevedeva che il gettito fiscale generato dalle lettere di conformità avrebbe dovuto aumentare del 15 % rispetto al 2019.
Fonte: Agenzia delle entrate
In particolare (numero 1, della lettera g)), le norme rivolte a incentivare l’adempimento spontaneo dei contribuenti dovranno prevedere il potenziamento del regime dell’adempimento collaborativo (cd cooperative compliance) di cui al titolo III del decreto legislativo 5 agosto 2015, n. 128.
Con le norme sopra citate, si ricorda, è stato istituito il regime di adempimento collaborativo fra l’Agenzia delle entrate e i contribuenti dotati di un sistema di rilevazione, misurazione, gestione e controllo del rischio fiscale, inteso quale rischio di operare in violazione di norme di natura tributaria ovvero in contrasto con i principi o con le finalità dell’ordinamento tributario. L’istituto dell’adempimento collaborativo, secondo la definizione dell’Agenzia delle entrate si pone l’obiettivo di instaurare un rapporto di fiducia tra amministrazione e contribuente che mira ad un aumento del livello di certezza sulle questioni fiscali rilevanti. Tale obiettivo è perseguito tramite l’interlocuzione costante e preventiva con il contribuente su elementi di fatto, ivi inclusa l’anticipazione del controllo, finalizzata ad una comune valutazione delle situazioni suscettibili di generare rischi fiscali. È un istituto che prevede l’adesione volontaria del contribuente qualora sia in possesso di determinati requisiti soggettivi ed oggettivi.
Tali norme dovranno pertanto:
1.1) accelerare il processo di progressiva riduzione della soglia di accesso all’applicazione dell’istituto, provvedendo a dotare, con progressivo incremento, l’Agenzia delle entrate di adeguate risorse (n. 1.1);
1.2) consentire l’accesso al regime di adempimento collaborativo anche a società, prive dei requisiti di ammissibilità, che appartengono ad un gruppo di imprese nel quale almeno un soggetto ha i requisiti di ammissione richiesti, a condizione che il gruppo adotti un sistema integrato di rilevazione, misurazione, gestione e controllo del rischio fiscale gestito in modo unitario per tutte le società del gruppo (n. 1.2);
Si segnala che, in base alle norme dell’articolo 7 del D. Lgs 128 del 2015, del punto 2 del Provvedimento dell’Agenzia delle entrate del 14 aprile 2016 e del DM del 31 gennaio 2022, l’Agenzia delle entrate chiarisce nel suo sito che l’istituto è riservato:
· per gli anni 2022, 2023 e 2024, ai soggetti residenti e non residenti (con stabile organizzazione in Italia) che realizzano un volume di affari o di ricavi non inferiore a 1 miliardo di euro. La nuova soglia di ingresso è stata così ulteriormente abbassata dal DM del 31 gennaio 2022. Il DM del 30 marzo 2020 aveva già ridotto da 10 a 5 miliardi di euro la soglia per l’ingresso al regime per gli esercizi 2020 e 2021;
· ai soggetti residenti e non residenti (con stabile organizzazione in Italia) che realizzano un volume di affari o di ricavi non inferiore a un miliardo di euro e che abbiano presentato istanza di adesione al Progetto pilota sul Regime di Adempimento Collaborativo;
· alle imprese che intendono dare esecuzione alla risposta dell’Agenzia delle Entrate, fornita a seguito di istanza di interpello sui nuovi investimenti (all’art. 2 del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 147) indipendentemente dal volume di affari o di ricavi;
· ai soggetti che fanno parte del Gruppo IVA di imprese già ammesse al regime (d.l. n 119/2018), indipendentemente dal volume di affari o di ricavi.
1.3) introdurre la possibilità di certificazione da parte di professionisti qualificati dei sistemi integrati di rilevazione, misurazione, gestione e controllo del rischio fiscale anche in ordine alla loro conformità ai principi contabili, fermi restando i poteri di controllo dell’amministrazione finanziaria (norma introdotta al Senato che sostituisce al comma 1, lettera g), il numero 1.3);
1.4) prevedere la possibilità di gestire in regime di adempimento collaborativo anche questioni riferibili a periodi di imposta precedenti all’ammissione al regime (n.1.4);
1.5) introdurre nuove e più penetranti forme di contraddittorio preventivo ed endoprocedimentale, con particolare riguardo alla risposta alle istanze di interpello o agli altri pareri, comunque denominati, richiesti dai contribuenti aderenti al regime, prevedendo, anche, la necessità di un’interlocuzione preventiva rispetto alla notifica di un parere negativo (n.1.5);
1.6) prevedere procedure semplificate di regolarizzazione della posizione del contribuente in caso di adesione a indicazioni dell’Agenzia che comportano la necessità di effettuare ravvedimenti operosi (n.1.6);
1.7) prevedere l’emanazione di un apposito codice di condotta che disciplini i diritti e gli obblighi dell’amministrazione e dei contribuenti (n.1.7);
1.8) prevedere che l’esclusione dal regime, in caso di violazioni fiscali non gravi, tali da non pregiudicare il reciproco affidamento tra l’Amministrazione finanziaria e il contribuente, sia preceduta da un periodo transitorio di osservazione, al termine del quale si determina la fuoriuscita o la permanenza nel regime (n.1.8);
1.9) potenziare gli effetti premiali connessi all’adesione al regime prevedendo, in particolare:
1.9.1) l'esclusione delle sanzioni amministrative tributarie per tutti i rischi di natura fiscale comunicati preventivamente, in modo tempestivo ed esauriente, nei confronti dei contribuenti il cui sistema integrato di rilevazione, misurazione, gestione e controllo del rischio fiscale sia certificato da professionisti qualificati anche in ordine alla loro conformità ai principi contabili, fatti salvi i casi di violazioni fiscali caratterizzate da condotte simulatorie o fraudolente, tali da pregiudicare il reciproco affidamento tra l'Amministrazione finanziaria e il contribuente (norma introdotta al Senato che sostituisce al comma 1, lettera g), il numero 1.9.1);
1.9.2) l'esclusione, ferme restando le disposizioni previste ai sensi dell'articolo 20, comma 1, lettera b) (alla cui scheda si rimanda), delle sanzioni penali tributarie, con particolare riguardo a quelle connesse al reato di dichiarazione infedele, nei confronti dei contribuenti aderenti al regime dell'adempimento collaborativo che hanno tenuto comportamenti collaborativi e comunicato preventivamente ed esaurientemente l'esistenza dei relativi rischi fiscali (norma introdotta al Senato che sostituisce al comma 1, lettera g), il numero 1.9.2);
1.9.3) la riduzione di almeno due anni dei termini di decadenza per l'attività di accertamento previsti dall'articolo 43, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e dall'articolo 57, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, nei confronti dei contribuenti il cui sistema integrato di rilevazione, misurazione, gestione e controllo del rischio fiscale sia certificato da professionisti qualificati, anche in ordine alla loro conformità ai principi contabili, fatti salvi i casi di violazioni fiscali caratterizzate da condotte simulatorie o fraudolente, tali da pregiudicare il reciproco affidamento tra l'Amministrazione finanziaria e il contribuente (1.9.3, norma introdotta al Senato);
Si ricorda, a tale proposito, che il richiamato articolo 43, al comma 1, prevede che gli avvisi di accertamento devono essere notificati, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione mentre l’articolo 57, comma 1, stabilisce che gli avvisi relativi alle rettifiche e agli accertamenti devono essere notificati, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione.
1.9.4) istituti speciali di definizione in un predeterminato lasso temporale del rapporto tributario circoscritto, in presenza di apposite certificazioni rilasciate da professionisti qualificati che attestano la correttezza dei comportamenti tenuti dai contribuenti (1.9.4).
Sempre in un’ottica di potenziamento degli istituti di adesione spontanea, al numero 2) della lettera g) si delega il Governo a introdurre la possibilità di accedere a un concordato preventivo biennale attraverso il quale i contribuenti avranno la possibilità di aderire alla proposta sviluppata, in base all’incrocio delle banche dati, dall’Agenzia delle entrate ai fini delle imposte sui redditi e dell’IRAP, pagando quanto pattuito in due anni.
Nella Relazione illustrativa che accompagna il testo A. C. 1038 si sottolinea che la disposizione ha la finalità di favorire l’emersione di materia imponibile e di offrire al contribuente l’opportunità di rendere certa la propria posizione tributaria. Conseguentemente, sono considerati irrilevanti, ai fini delle imposte sui redditi e dell’IRAP nonché dei contributi previdenziali obbligatori, eventuali maggiori o minori redditi imponibili rispetto a quelli oggetto del concordato, fermi restando gli obblighi contabili e dichiarativi.
In particolare viene previsto per i soggetti di minore dimensione, l’introduzione del concordato preventivo biennale a cui possono accedere i contribuenti titolari di reddito di impresa e di lavoro autonomo, prevedendo:
2.1) l’impegno del contribuente, previo contradditorio con modalità semplificate, ad accettare e a rispettare la proposta per la definizione biennale della base imponibile ai fini delle imposte sui redditi e dell’IRAP formulata dall’Agenzia delle entrate anche utilizzando le banche dati e le nuove tecnologie a sua disposizione ovvero, secondo una norma introdotta al Senato, anche sulla base degli indicatori sintetici di affidabilità per i soggetti a cui si rendono applicabili;
2.2) l’irrilevanza ai fini delle imposte sui redditi e dell’IRAP nonché dei contributi previdenziali obbligatori di eventuali maggiori o minori redditi imponibili rispetto a quelli oggetto del concordato, fermi restando gli obblighi contabili e dichiarativi;
2.3) l’applicazione dell’IVA secondo le regole ordinarie, comprese quelle riguardanti la trasmissione telematica dei corrispettivi e la fatturazione elettronica;
2.4) la decadenza dal concordato nel caso in cui, a seguito di accertamento, risulta che il contribuente non ha correttamente documentato, negli anni oggetto del concordato stesso o in quelli precedenti, ricavi o compensi per un importo superiore in misura significativa rispetto al dichiarato ovvero ha commesso altre violazioni fiscali di non lieve entità.
Nel corso dell’esame al Senato, al comma 1, lettera g), dopo il n. 2.4) è stato inserito il n.3) che prevede un regime di adempimento collaborativo per le persone fisiche che trasferiscono o mantengono la propria residenza in Italia. In particolare la norma stabilisce che il Governo è delegato a introdurre un regime di adempimento collaborativo per le persone fisiche che trasferiscono la propria residenza in Italia nonché per quelle che la mantengono all'estero ma possiedono, anche per interposta persona o tramite trust, nel territorio dello Stato un reddito complessivo, comprensivo di quelli assoggettati a imposte sostitutive o ritenute alla fonte a titolo d’imposta, mediamente pari o superiore a un milione di euro. Si prevede, inoltre, che si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni per il potenziamento del regime dell’adempimento collaborativo (disposte al precedente n.1), anche in merito alla semplificazione degli adempimenti e agli effetti ai fini delle sanzioni amministrative e penali.
Il Governo inoltre è delegato ad adottare alcune misure (alla lettera h) del comma 1) volte ad assicurare la certezza del diritto tributario, attraverso:
1. la previsione della decorrenza del termine di decadenza per l’accertamento a partire dal periodo d’imposta nel quale si è verificato il fatto generatore per i componenti ad efficacia pluriennale, e la perdita di esercizio per evitare un’eccessiva dilatazione di tale termine nonché di quello relativo all’obbligo di conservazione delle scritture contabili e dei supporti documentali, fermi restando i poteri di controllo dell’Amministrazione finanziaria sulla spettanza degli eventuali rimborsi richiesti;
Come sottolineato nella Relazione illustrativa tale criterio mira a evitare un eccessivo aggravio degli oneri amministrativi per il contribuente in termini di eccessiva dilatazione dei tempi di controllo e dell’obbligo di conservazione delle scritture contabili.
2. la revisione dei termini di accertamento dell'imposta sui premi di assicurazione, al fine di allinearli a quelli delle altre imposte indirette, dell'apparato sanzionatorio, nonché delle modalità e dei criteri di applicazione dell'imposta, nell'ottica della razionalizzazione delle relative aliquote (norma introdotta al Senato);
3. la limitazione della possibilità di fondare la presunzione di maggiori componenti reddituali positivi e minori componenti reddituali negativi sulla base del valore di mercato dei beni e servizi oggetto delle transazioni ai soli casi in cui sussistono altri elementi rilevanti a tal fine;
4. la limitazione della possibilità di presumere la distribuzione ai soci del reddito accertato nei riguardi delle società di capitali a ristretta base partecipativa ai soli casi in cui è accertata, sulla base di elementi certi e precisi, l’esistenza di componenti reddituali positivi non contabilizzati o di componenti negativi inesistenti, ferma restando la medesima natura di reddito finanziario conseguito dai predetti soci.
Il comma 2 specifica che i sopra esposti principi e criteri non devono trovare applicazione per la revisione dei medesimi procedimenti inerenti alla disciplina doganale e all’applicazione dell’accisa e delle altre imposte indirette.
Nella Relazione che accompagna il testo A.C. 1038 si chiarisce che tale esclusione è in relazione alla specialità e specificità delle strutture dei citati tributi indiretti per i quali l’attività dell’accertamento tributario rappresenta un’attività fisiologica preventiva, finalizzata alla determinazione dell’imposta dovuta e non un’attività successiva all’adempimento dell’obbligazione tributaria, come avviene per gli altri tributi, volta a contrastare i comportamenti patologici del sistema tributario
La norma, infatti stabilisce che i principi e criteri direttivi specifici di cui all’articolo in esame non trovano applicazione ai fini della riforma dell’attività di accertamento prevista dalla disciplina doganale e da quella in materia di accisa e delle altre imposte indirette sulla produzione e sui consumi di cui al Titolo III del testo unico approvato con il decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504.
I medesimi principi e criteri direttivi non trovano altresì applicazione ai fini della riforma dell’istituto della revisione dell’accertamento doganale.
Articolo 18
(Procedimenti di riscossione e di rimborso)
L’articolo 18 reca i principi e i criteri direttivi specifici per una revisione del sistema nazionale della riscossione che assicuri una maggiore efficacia, imparzialità ed efficienza.
Tra le principali misure che il legislatore delegato dovrà assumere si segnalano:
§ una pianificazione annuale delle procedure di recupero da concordare con Ministero dell’economia e delle finanze-MEF;
§ il discarico automatico, al 31 dicembre del quinto anno successivo a quello dell’affidamento, delle quote non riscosse;
§ la salvaguardia del diritto di credito, mediante il tempestivo tentativo di notifica della cartella di pagamento, non oltre il nono mese successivo a quello di affidamento del carico
§ la revisione della disciplina della responsabilità dell’agente della riscossione;
§ la determinazione dei criteri di individuazione delle quote automaticamente discaricate in ciascun anno da sottoporre al controllo.
La riforma dovrà prevedere, inoltre, l’incremento dell’utilizzo delle più evolute tecnologie e l’interoperabilità dei sistemi, la modifica delle condizioni di accesso ai piani di rateazione, il progressivo superamento dello strumento del ruolo e della cartella di pagamento.
La delega dovrà altresì essere esercitata per superare l’attuale separazione tra l’Agenzia delle entrate, titolare della funzione della riscossione, e l’Agenzia delle entrate-Riscossione, soggetto che svolge le attività di riscossione.
L’articolo 18 stabilisce che nell’esercizio della delega il Governo osservi, ai fini della revisione del sistema nazionale della riscossione, alcuni principi e criteri direttivi specifici (anche con riferimento ai tributi degli enti territoriali).
In particolare al comma 1, lettera a), si stabilisce che debba essere incrementata l’efficienza dei sistemi della riscossione, nazionale e locali, attraverso una semplificazione che orienti l’attività verso i principi di efficacia, economicità e imparzialità nonché verso obiettivi di risultato.
Nella Relazione illustrativa di accompagnamento dell’A.C. 1038 il Governo precisa le motivazioni della misura in esame sottolineando, tra l’altro, che: l’attuale disciplina del servizio di riscossione si presenta estremamente farraginosa e inidonea a consentire un efficace svolgimento delle attività di recupero coattivo dei crediti pubblici. Del resto, nonostante le parziali modifiche intervenute nel tempo, la disciplina in parola rimane ancora fondamentalmente ispirata a principi appropriati ad un contesto di alterità tra la pubblica amministrazione e i soggetti privati incaricati dell’attività di riscossione coattiva, contesto ormai superato da anni. Il sistema si presenta eccessivamente macchinoso, in quanto impone lo svolgimento di attività di recupero pressoché indistinte per tutti i crediti iscritti a ruolo e, in considerazione dell’elevatissimo numero di partite affidate all’agente della riscossione (non di rado di problematica esigibilità sin dall’origine), risulta, di fatto, impossibile effettuare per tutti i carichi la totalità delle azioni di riscossione coattiva astrattamente ipotizzabili, anche a prescindere dalla prevedibile efficacia di ciascuna di essa. Il comma 1 dell’articolo 19, del d. lgs. n. 112 del 1999 prevede, invero, attualmente, per le pubbliche amministrazioni che effettuano il controllo delle comunicazioni di inesigibilità e per l’agente della riscossione, una pluralità di adempimenti (comunicazione di avvio del procedimento di controllo/richiesta di documentazione, esame dei documenti trasmessi, contestazione all’agente della riscossione, eventuale assegnazione di un nuovo termine per lo svolgimento di attività di riscossione, esame delle attività svolte e adozione di una nuova decisione dopo la scadenza di tale termine). Senza contare che, tali controlli, pur se esercitati limitatamente alla percentuale del 5% prevista dallo stesso articolo 19, comma 2, del d.lgs. n. 112 del 1999, non potranno che interessare comunque un elevatissimo numero di carichi.
Nel corso dell’audizione presso la Commissione parlamentare per l’attuazione del federalismo fiscale, il direttore dell’Agenzia delle entrate ha rappresentato che nel 2022 si è superato il tetto dei 1.100 miliardi non riscossi, 130-140 milioni di cartelle, 230 milioni di crediti da riscuotere, circa 16 milioni di cittadini iscritti a ruolo e che ciò rappresenta “una montagna evidentemente difficile da gestire”.
Tale obiettivo deve essere perseguito attraverso alcune nuove misure, tra le quali una pianificazione annuale delle procedure di recupero da concordare con il MEF, il discarico automatico, al 31 dicembre del quinto anno successivo a quello dell’affidamento, delle quote non riscosse, la salvaguardia del diritto di credito, mediante il tempestivo tentativo di notifica della cartella di pagamento, non oltre il nono mese successivo a quello di affidamento del carico, nonché la revisione della disciplina della responsabilità dell’agente della riscossione e la determinazione dei criteri di individuazione delle quote da sottoporre a controllo.
Nel dettaglio il nuovo sistema nazionale della riscossione dovrà essere realizzato attraverso:
1) la pianificazione annuale, da concordare con il MEF, delle procedure di recupero che l’agente della riscossione deve svolgere, anche secondo logiche di raggruppamento dei crediti per codice fiscale, in relazione al valore degli stessi;
2) il discarico automatico, al 31 dicembre del quinto anno successivo a quello dell’affidamento, delle quote non riscosse, con temporanea esclusione delle quote per le quali sono in corso procedure esecutive o concorsuali, accordi di ristrutturazione o transazioni fiscali o previdenziali e di quelle interessate da dilazioni di pagamento e con possibilità di discarico anticipato in assenza di cespiti utilmente aggredibili ovvero di azioni fruttuosamente esperibili;
3) la possibilità per l’ente creditore, successivamente al discarico automatico, di riaffidare in riscossione le somme discaricate, in presenza di nuovi e significativi elementi reddituali o patrimoniali ovvero, secondo una norma introdotta al Senato, di affidare in concessione a soggetti privati, tramite una procedura di gara ad evidenza pubblica, la gestione della riscossione coattiva delle predette somme, secondo le procedure riscossione coattiva previste al Titolo II, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, dietro pagamento di una commissione pari ad una percentuale dell'importo effettivamente riscosso;
4) la salvaguardia del diritto di credito, mediante il tempestivo tentativo di notifica della cartella di pagamento, non oltre il nono mese successivo a quello di affidamento del carico, nonché, nella misura e secondo le indicazioni contenute nella pianificazione concordata con il MEF, di atti interruttivi della prescrizione;
5) la gestione del processo di recupero coattivo in conformità alla pianificazione concordata;
6) la tempestiva trasmissione telematica delle informazioni relative all’attività svolta;
7) una disciplina transitoria dei tentativi di recupero delle somme contenute nei carichi già affidati all’agente della riscossione, tenendo conto della capacità operativa dello stesso agente;
8) la revisione della disciplina della responsabilità dell’agente della riscossione, prevedendola in presenza di dolo e nei soli casi in cui dal mancato rispetto, per colpa grave, delle previsioni derivanti dall’attuazione delle disposizioni sulla salvaguardia del diritto di credito (mediante tempestivo tentativo di notifica), sia derivata la decadenza o la prescrizione del diritto di credito, con possibilità, in tali casi, di definizione abbreviata delle relative controversie e di pagamento in misura ridotta delle somme dovute;
9) l'individuazione in via tassativa dei casi in cui si configuri, in capo a persone fisiche o giuridiche che maneggiano denaro, valori o altri beni pubblici, di qualsiasi natura, l'obbligo di resa del conto (norma introdotta al Senato);
10) l’attribuzione al MEF del potere di verificare la conformità dell’attività di recupero dei crediti affidati all’agente della riscossione alla pianificazione concordata, nel rispetto dei seguenti principi di economicità ed efficacia:
10.1) per i crediti tributari erariali, determinare i criteri di individuazione delle quote automaticamente discaricate da sottoporre al controllo, in misura compresa tra il 2 per cento e il 6 per cento delle stesse quote, e delle modalità, anche esclusivamente telematiche, di tale controllo;
10.2) per i restanti crediti, determinare i criteri di individuazione delle quote da sottoporre a controllo nella misura massima del 5 per cento.
Nella Relazione che accompagna il testo A. C. 1038 il Governo illustra la misura in questi termini: nel rispetto dei principi di economicità ed efficacia e con riguardo ai crediti tributari erariali, dovranno essere determinati i criteri di individuazione, da parte delle singole amministrazioni, delle quote automaticamente discaricate in ciascun anno da sottoporre al controllo (es. a campione, anche randomico, ovvero per valore, etc.), in misura compresa tra il 2 per cento e il 6 per cento, e il potere di stabilire che tale controllo possa essere esercitato anche con modalità esclusivamente telematiche (si tratta, in sostanza, di valutare l’operato di un ente pubblico nazionale, strumentale all’Agenzia delle entrate, dotato di sistemi informativi recanti informazioni di dettaglio sulle procedure svolte e sui risultati conseguiti). Per quanto concerne i restanti crediti, dovranno essere determinati i criteri di individuazione delle quote da sottoporre a controllo nella misura massima del 5 per cento, lasciando così inalterata l’attuale soglia prevista dall’articolo 20, comma 2, del d.lgs. n. 112 del 1999. La differenza delle soglie rispettivamente previste per i crediti tributari erariali e per gli altri trova ragione nella possibilità, per i primi, di procedere con modalità di controllo esclusivamente telematiche e, conseguentemente di verificare in minore tempo un maggior numero di quote.
Con la lettera b), introdotta al Senato, si delega il Governo il compito di assicurare una adeguata tutela del contribuente nel corso delle attività istruttorie poste in essere dall'amministrazione finanziaria.
Con la lettera c) si affida al legislatore delegato il compito di incrementare l’utilizzo, a fini di riscossione, delle più evolute tecnologie e l’interoperabilità dei sistemi, nonché quello di eliminare duplicazioni organizzative, logistiche e funzionali, con conseguenti riduzioni dei costi.
La lettera d) prevede che siano modificate progressivamente le condizioni di accesso ai piani di rateazione, in vista di una stabilizzazione a 120 del numero massimo delle rate.
A tale proposito si ricorda che la disciplina vigente prevede (articolo 19 del DPR dl 29 settembre 1973, n. 602) che l’agente della riscossione, su richiesta del contribuente che dichiara di versare in temporanea situazione di obiettiva difficoltà, concede per ciascuna richiesta la ripartizione del pagamento delle somme iscritte a ruolo, con esclusione dei diritti di notifica, fino ad un massimo di settantadue rate mensili ovvero la rateazione prevista ove il debitore si trovi, per ragioni estranee alla propria responsabilità, in una comprovata e grave situazione di difficoltà legata alla congiuntura economica, può essere aumentata fino a centoventi rate mensili.
La lettera e) dispone che debba essere potenziata l’attività di riscossione coattiva dell’agente della riscossione, anche attraverso:
1) il progressivo superamento dello strumento del ruolo e della cartella di pagamento per le entrate da affidare all’agente della riscossione, al fine di anticipare l’incasso, da parte di quest’ultimo, delle somme dovute dal debitore, riducendo i tempi per l’avvio delle azioni cautelari ed esecutive, anche attraverso la semplificazione del procedimento di cui all’articolo 29, comma 1, lettera h), del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78;
Il sopra citato procedimento prevede, per l’estensione degli accertamenti esecutivi a tutte le entrate riscuotibili mediante ruolo, la necessità di ricorrere all’emanazione di un decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, sentito il Consiglio di Stato (e previo parere delle Commissioni parlamentari competenti in materia, che si pronunciano entro trenta giorni dalla richiesta); nella relazione illustrativa tale iter viene definito estremamente farraginoso e complesso.
Si ricorda, inoltre, in estrema sintesi che il ruolo è un elenco che contiene i nominativi dei debitori, la tipologia del credito e le relative somme dovute (il ruolo viene formato dall’ente creditore e trasmesso all’Agenzia delle entrate-Riscossione) mentre la cartella di pagamento è l’atto successivo con il quale l’Agenzia delle Entrate-Riscossione richiede il pagamento delle somme risultate a debito del contribuente a seguito dell’attività di controllo dell’ente creditore (Agenzia delle Entrate, Inps, comuni, ecc.).
2) l’estensione del termine di efficacia degli atti di riscossione, per assicurare una maggiore rapidità dell’azione di recupero;
3) la razionalizzazione, informatizzazione e semplificazione della procedura di pignoramento dei rapporti finanziari, anche mediante l'introduzione di meccanismi di cooperazione applicativa sin dalla fase della dichiarazione stragiudiziale del terzo, ai sensi dell'articolo 75-bis del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, ferme restando le forme di tutela previste a favore del debitore (norma introdotta al Senato che sostituisce al comma 1, lettera e), il n. 3);
Si ricorda, a tale proposito, che il sopra citato articolo 75-bis prevede, tra l’altro, che decorso inutilmente il termine, l'agente della riscossione, prima di procedere ed anche simultaneamente all'adozione delle azioni esecutive e cautelari previste, può chiedere a soggetti terzi, debitori del soggetto che è iscritto a ruolo o dei coobbligati, di indicare per iscritto, ove possibile in modo dettagliato, le cose e le somme da loro dovute al creditore.
La lettera f) prevede che debba essere individuato un nuovo assetto organizzativo del sistema nazionale della riscossione, anche mediante il trasferimento delle funzioni e delle attività attualmente svolte dall’agente nazionale della riscossione, o di parte delle stesse, all’Agenzia delle entrate, in modo da superare l’attuale sistema, caratterizzato da una netta separazione tra l’Agenzia delle entrate, titolare della funzione della riscossione, e l’Agenzia delle entrate-Riscossione, soggetto che svolge le attività di riscossione.
Sul punto si segnala che il processo di superamento dell’attuale dualismo tra le due Agenzie è stato in parte già affrontato ai commi 14-23 della legge di bilancio 2022 che hanno introdotto delle modifiche alla governance del servizio nazionale della riscossione nell’ottica di una maggiore integrazione tra l’Agenzia delle entrate e l’Agenzia delle entrate-Riscossione. Le disposizioni, a tal fine, prevedono che l’Agenzia delle entrate-Riscossione è sottoposta all’indirizzo operativo e di controllo dell’Agenzia delle entrate e che quest’ultima approva le modifiche dei regolamenti e degli atti di carattere generale che regolano il funzionamento dell’Agenzia delle entrate-Riscossione, nonché i bilanci e i piani pluriennali di investimento. Sono, altresì, previste forme di assegnazione temporanea, comunque denominate, di personale da un’agenzia all’altra.
I risultati ottenuti dall’Agenzia delle entrate-Riscossione nella lotta all’evasione fiscale sono rappresentati nel grafico che segue.
La lettera g) precisa che nell’introdurre il nuovo modello organizzativo di cui alla sopra esposta lettera f), il legislatore delegato dovrà garantire la continuità del servizio della riscossione attraverso il conseguente trasferimento delle risorse strumentali, nonché delle risorse umane, senza soluzione di continuità.
La lettera h) prevede la semplificazione nonché la velocizzazione delle procedure relative ai rimborsi.
Nella Relazione illustrativa il Governo precisa il perimetro della misura sottolineando che il criterio di delega in tema di semplificazione e velocizzazione delle procedure relative ai rimborsi interesserà ad esempio l’IVA rendendo l’ordinamento interno maggiormente aderente ai criteri elaborati dalla Corte di Giustizia, secondo la quale il soggetto passivo dell’IVA che si trovi in una posizione creditoria può, in attuazione del principio di neutralità dell’imposta, richiedere il rimborso dell’IVA a credito, senza che le modalità adottate dagli Stati membri rendano difficile ottenere tale rimborso. In base al criterio di delega potranno, pertanto, essere apportate modifiche alla normativa attuale per consentire al contribuente di ottenere agevolmente e in tempi rapidi il rimborso.
La lettera i), introdotta durante il corso dell’esame al Senato, delega il Governo a rivedere la disciplina dei rimborsi dell'imposta sul valore aggiunto con finalità di razionalizzazione e semplificazione.
La lettera l) prevede l’introduzione di una disciplina della riscossione nei confronti dei coobbligati solidali paritetici e dipendenti che assicuri un corretto equilibrio tra tutela del credito erariale e diritto di difesa.
Il comma 2 stabilisce che le disposizioni di cui al comma 1, lettera a), numeri 2) e 3) e lettera d) non trovano applicazione per la revisione del sistema della riscossione delle risorse proprie tradizionali di cui all’articolo 2, paragrafo 1, lettera a), della decisione (UE, Euratom) 2020/2053 del Consiglio del 14 dicembre 2020. Si tratta delle risorse proprie iscritte nel bilancio dell’Unione concernenti le entrate provenienti dalle risorse proprie tradizionali costituite da prelievi, premi, importi supplementari o compensativi, importi o elementi aggiuntivi, dazi della tariffa doganale comune e altri dazi fissati o da fissare da parte delle istituzioni dell’Unione sugli scambi con paesi terzi, dazi doganali sui prodotti che rientrano nell’ambito di applicazione del trattato, ormai scaduto, che istituisce la Comunità europea del carbone e dell’acciaio, nonché contributi e altri dazi previsti nell’ambito dell’organizzazione comune dei mercati nel settore dello zucchero
In pratica, in considerazione della specialità e specificità delle risorse proprie dell’UE, la norma esclude il discarico automatico per le somme afferenti la riscossione delle risorse proprie tradizionali dell’UE nonché l’applicazione di un piano di rateizzazione delle somme da versare all’erario articolato in 120 rate.
Il comma 3 prevede che ai fini della revisione del sistema della riscossione dell’accisa e delle altre imposte indirette sulla produzione e sui consumi previste dal titolo III del testo unico approvato con il decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504 il Governo debba osservare, unitamente ai principi e criteri direttivi di cui al comma 1, ad eccezione di quanto previsto dalla descritta lettera d), due ulteriori principi e criteri direttivi specifici:
a) rivedere il sistema di determinazione, liquidazione e versamento dell’accisa sull’energia elettrica e sul gas naturale, forniti a consumatori finali o autoconsumati, al fine di superare, in particolare, l’attuale sistema di versamento dell’imposta (che prevede il riferimento costante, ai fini del pagamento del tributo stesso, ai quantitativi consumati nell’anno precedente) e correlare i versamenti dell’accisa ai quantitativi di energia elettrica e gas naturale venduti o autoconsumati nel periodo di riferimento;
b) rimodulare e armonizzare i termini previsti per la decadenza del diritto al rimborso dell’accisa e la prescrizione del diritto all’imposta.
Il comma 4, introdotto nel corso dell’esame al Senato, stabilisce che le disposizioni previste all’articolo in esame si applicano, in quanto compatibili, agli agenti della riscossione degli enti territoriali.
Articolo 19
(Procedimenti del contenzioso)
L’articolo 19, modificato in sede referente, reca i princìpi e i criteri direttivi a cui il Governo è chiamato ad attenersi nell’esercitare la delega conferita per la revisione della disciplina e dell’organizzazione dei processi tributari.
L’articolo 19 reca principi e criteri direttivi per interventi di riforma del contenzioso tributario.
In primo luogo (lettera a), coerentemente con il potenziamento dell’istituto dell’autotutela (di cui all’articolo 4, comma 1, lettera g), preordinato a prevenire l’instaurarsi di contenziosi in sede giudiziale quando questi possano essere definiti in via amministrativa, si demanda al legislatore delegato di intervenire sui vigenti istituti aventi finalità deflattive e operanti anteriormente alla costituzione in giudizio della parte resistente (di cui all’art. 23 del decreto legislativo n. 546 del 1992) ossia, dell’ente impositore, dell’agente della riscossione o dei soggetti iscritti all’albo di cui all’articolo 53 del decreto legislativo n. 446 del 1997, nei cui confronti sia stato proposto ricorso. La finalità è quella del massimo contenimento dei tempi di conclusione delle controversie tributarie e di riduzione del contenzioso, come previsto dal PNRR.
In secondo luogo (lettera b), si prevede di ampliare e potenziare l’informatizzazione della giustizia tributaria mediante:
1) norme di semplificazione processuale che siano funzionalmente orientate ad una completa digitalizzazione del processo;
2) l’utilizzo obbligatorio di modelli predefiniti per la redazione di atti processuali, verbali e provvedimenti giurisdizionali;
3) la disciplina delle conseguenze processuali derivanti dalla violazione dell’obbligo di utilizzo di modalità telematiche;
4) la previsione che la discussione da remoto della causa possa essere richiesta anche da una sola delle parti costituite, mediante apposita istanza da notificare, ferma in ogni caso la possibilità per le altre parti di discutere in presenza, limitando la partecipazione a distanza alla sola parte richiedente.
In terzo luogo (lettera c), si dispone la modificazione dell’articolo 57 del D.P.R. n. 602 del 1973, prevedendo, in materia di esecuzione tributaria, un intervento di razionalizzazione nel riparto di giurisdizione tra giudice tributario e giudice civile.
In particolare, viene consentito al ricorrente di proporre opposizione all’esecuzione (art. 615, comma 2, c.p.c.) e opposizione agli atti esecutivi (art. 617 c.p.c.) davanti al giudice tributario, ma solo nell’evenienza in cui si censuri la mancata o invalida notificazione della cartella di pagamento o dell’intimazione di pagamento di cui all’articolo 50, comma 2, D.P.R. n. 602 del 1973.
A riguardo, si ricorda la pronuncia della Corte Costituzionale, sentenza n. 114 del 2018, con cui la Consulta ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 57, comma 1, lettera a), del D.P.R. n. 602 del 1973, nella parte in cui non prevede che, nelle controversie che riguardano gli atti dell’esecuzione forzata tributaria successivi alla notifica della cartella di pagamento o all’avviso di cui all’articolo 50 del D.P.R. n. 602 del 1973, siano ammesse le opposizioni regolate dall’articolo 615 del codice di procedura civile.
La lettera d), introdotta dalla Commissione in sede referente, dispone che nell’esercizio della delega venga “rafforzato” il divieto di produrre nuovi documenti processuali nei gradi successivi al primo.
Si ricorda che l’art. 58, comma 2, del decreto legislativo n. 546 del 1992 (“Disposizioni sul processo tributario”) fa salva la facoltà delle parti di produrre nuovi documenti in appello. L’articolo 32, comma 1, del medesimo decreto legislativo n. 546 prevede che le parti possono depositare documenti fino a venti giorni liberi prima della data di trattazione.
Si segnala, inoltre, che nel processo civile non possono essere prodotti nuovi documenti, salvo che la parte dimostri di non aver potuto proporli o produrli nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile (art. 345 c.p.c.).
Inoltre (lettera e), al fine di abbreviare ulteriormente le tempistiche del processo tributario e impedire la progressione dell’attività di riscossione, viene previsto che la pubblicazione e la successiva comunicazione alle parti del dispositivo dei provvedimenti giurisdizionali avvenga, secondo una modifica approvata in sede referente, entro sette giorni dalla deliberazione di merito, salva la possibilità di depositare la sentenza nei trenta giorni successivi alla comunicazione del dispositivo[3]; che siano introdotte misure volte ad accelerare la fase cautelare anche nei gradi di giudizio successivi al primo (lettera f) e che vengano adottati interventi di deflazione del contenzioso, favorendo la definizione agevolata delle liti pendenti in tutti i gradi di giudizio, ivi compreso quello dinanzi alla Corte di Cassazione (lettera h).
La lettera g), introdotta dalla Commissione in sede referente, stabilisce che nell’esercizio della delega si preveda l’impugnabilità dell’ordinanza che accoglie o respinge l’istanza di sospensione dell’esecuzione dell’atto impugnato.
Nel processo tributario è previsto l'istituto della sospensione giurisdizionale dell'esecuzione dell'atto impugnato. Tale disciplina, dettata dall'articolo 47 del decreto legislativo n. 546 del 1992, si affianca alla sospensione amministrativa che altre norme danno la possibilità di proporre agli organi dell’amministrazione finanziaria (come ad esempio l’art. 56 del D.P.R. n. 131 del 1986; l’art. 39 del D.P.R. n. 602 del 1973). Il contribuente può usufruire di entrambe le cautele: quella
giurisdizionale e quella amministrativa, da invocare - la prima in pendenza di ricorso, la seconda anche prima della sua proposizione - in via alternativa o concorrente. Ai sensi del comma 1 dell'art. 47 del d.lgs. n. 546 del 1992 la sospensione giudiziale dell’esecuzione dell’atto impugnato può essere proposta: –
con istanza motivata inserita nello stesso atto di ricorso; – con atto separato purché
contemporaneo o successivo al ricorso.
La lettera i), introdotta dalla Commissione in sede referente, stabilisce che nell’esercizio della delega si garantisca a tutti i cittadini l’accessibilità alle sentenze tributarie raccolte, in versione digitale, nelle banche dati della giustizia tributaria gestite dal Ministero dell’economia e delle finanze, al fine di assicurare la parità delle parti in giudizio ed il diritto di difesa.
Infine, l’articolo in esame reca principi volti ad orientare il Governo nella redistribuzione sul territorio nazionale delle corti di giustizia tributaria di primo e secondo grado, con l’obiettivo di incrementarne l’efficienza e i risparmi di spesa.
Si tratta, in particolare, dei seguenti criteri direttivi:
· ridefinire l’assetto territoriale delle corti di giustizia tributaria di primo e delle sezioni staccate delle corti di giustizia tributaria di secondo grado, anche mediante accorpamenti delle sedi esistenti, sulla base di criteri che tengano conto di parametri oggettivi, quali, ad esempio, l’estensione del territorio, i carichi di lavoro e gli indici di sopravvenienza, il numero degli abitanti della circoscrizione, gli enti impositori e della riscossione (lettera l);
· prevedere una disciplina sulla mobilità dei magistrati, dei giudici tributari e del personale amministrativo interessati al riordino territoriale, in modo da assicurare la necessaria continuità dei servizi della giustizia tributaria presso le Corti di primo e secondo grado, alle quali sono devolute le competenze degli uffici accorpati o soppressi, assicurando al contempo ai magistrati e ai giudici tributari le medesime funzioni già esercitate presso le Corti di provenienza (lettera m).
Con l’articolo 20, si impegna il Governo ad osservare una serie di princìpi e criteri direttivi specifici per la revisione del sistema sanzionatorio tributario, amministrativo e penale, in materia di imposte sui redditi, di imposta sul valore aggiunto di altri tributi erariali indiretti e di tributi degli enti territoriali.
In particolare, il comma 1 dell’articolo 20 delinea princìpi e reca criteri direttivi per gli aspetti comuni alle sanzioni amministrative e penali (lettera a), per le sanzioni penali (lettera b) e per le sanzioni amministrative (lettera c).
Riguardo agli aspetti comuni alle sanzioni tributarie amministrative e penali, nella lettera a) vengono posti cinque obiettivi. Il primo obiettivo è di pervenire ad una maggiore integrazione tra sanzioni amministrative e penali, evitando forme di duplicazione non compatibili con il divieto di bis in idem.
Il secondo intervento prospettato dalla lettera a), a seguito di un emendamento approvato durante l’esame in Senato, consisterà nel valutare la possibilità di non applicare sanzioni né interessi per mancati versamenti di imposte sui redditi regolarmente dichiarati a carico di quei soggetti i quali vantano crediti nei confronti della pubblica amministrazione per importi che raggiungono l’ammontare del debito d’imposta.
Il terzo obiettivo fissato dalla lettera a) è la revisione dei rapporti tra processo penale e processo tributario. Saranno adeguati i profili processuali e sostanziali connessi alle ipotesi di non punibilità e di applicazione di circostanze attenuanti, materia attualmente regolata dal decreto legislativo n. 74 del 2000, avente ad oggetto la nuova disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, a norma dell’articolo 9 della legge 25 giugno 1999, n. 205, articoli 13 e 13-bis. Si tratta di armonizzare i termini di estinzione per beneficiare della non punibilità o delle attenuanti di cui sopra con l’effettiva durata dei piani di estinzione dei debiti tributari, anche nella fase antecedente all’esercizio dell’azione penale. Per mezzo di emendamenti introdotti nel corso dell’esame in Senato, si prevede altresì che, in coerenza con i principi generali dell’ordinamento, nei procedimenti tributari relativi a fatti materiali accertati in sede dibattimentale che erano già stati oggetto di precedenti procedimenti, qualora questi ultimi si fossero conclusi con sentenza definitiva di assoluzione perché il fatto non sussisteva o perché l’imputato non lo aveva commesso, tali sentenze faranno stato per quanto riguarda l’accertamento dei fatti medesimi.
La coerenza con i principi generali dell’ordinamento, affermata negli emendamenti approvati, è riferibile all’articolo 652 del codice di procedura penale, secondo il quale la sentenza penale irrevocabile di assoluzione pronunciata in seguito a dibattimento ha efficacia di giudicato quanto all’accertamento che il fatto non sussiste o che l’imputato non lo ha commesso, nel giudizio civile o amministrativo per le restituzioni o per risarcimenti del danno.
Il quarto obiettivo posto dalla lettera a) dell’articolo 20 della delega al Governo consiste nella previsione che le sanzioni siano ridotte di entità o del tutto escluse, nel quadro di un regime di adempimento collaborativo, nel caso di volontaria adozione da parte del contribuente di un efficace sistema di rilevazione, misurazione, gestione e controllo del rischio fiscale.
Le sanzioni potranno essere ridotte o escluse anche nel caso di preventiva comunicazione di un possibile rischio fiscale da parte di imprese le quali non possiedono i requisiti per aderire all’istituto dell’adempimento collaborativo. L’articolo 4 del decreto legislativo 128 del 2015 cui fa esplicito riferimento la lettera a) disciplina gli attuali requisiti occorrenti per l’adesione dei contribuenti ad un regime di adempimento collaborativo.
Il quinto obiettivo, che è stato aggiunto di due identici emendamenti approvati durante l’iter dell’A.S. 797 in Senato, consiste nell’introduzione di una distinzione più rigorosa, di natura anche sanzionatoria, tra le compensazioni indebite di crediti di imposta non spettanti e le compensazioni indebite di crediti di imposta inesistenti.
La lettera b), che fissa criteri e princìpi da adottare per le sole sanzioni penali, individua due criteri direttivi. Il primo di essi è di dare specifico rilievo all’eventuale sopraggiunta impossibilità, per il contribuente, di fare fronte al pagamento del tributo, per motivi a lui non imputabili.
Il secondo criterio direttivo è di dare specifico rilievo in sede penale alle definizioni raggiunte in sede amministrativa o giudiziale circa la valutazione della rilevanza del fatto ai fini penali.
La lettera c), contiene cinque criteri direttivi relativamente alle sanzioni amministrative.
Il n. 1 della lettera c) individua come criterio quello di migliorare la proporzionalità delle sanzioni tributarie, in modo da ridurne il carico e allinearlo agli standard di altri Paesi europei.
Le ragioni di questo intervento, secondo la relazione illustrativa, risiedono nel livello definito abnorme dell’attuale pretesa complessiva e nella volontà di diminuire il rischio cui il contribuente si espone in caso di esito negativo di un giudizio, eliminando così un disincentivo a esperire la tutela giudiziaria. Nella relazione si sottolinea, altresì, che i livelli intollerabili delle sanzioni amministrative attualmente previste si discostano sensibilmente da quelle in vigore in altri Paesi.
Il n. 2 della lettera c) individua come criterio direttivo dell’intervento governativo quello di assicurare l’effettiva applicazione delle sanzioni. Quest’ultima finalità viene esplicitamente collegata ad una revisione dell’istituto del ravvedimento, che comporti una graduazione della riduzione delle sanzioni che risulti coerente con quanto previsto al precedente numero 1).
La lettera c), n. 3, stabilisce che la maggiorazione delle sanzioni per recidiva sia inapplicabile prima della definizione del giudizio sulle precedenti violazioni. Inoltre, si prevede una revisione delle ipotesi stesse di recidiva.
Secondo la relazione illustrativa di accompagnamento dell’A.C. 1038 (il corrispettivo alla Camera dell’Atto Senato 797), le future novità relative alle maggiorazioni da recidiva rispecchiano le tendenze della recente giurisprudenza di legittimità in materia.
Sempre stando alla relazione illustrativa, la revisione delle ipotesi di recidiva si concentrerà soprattutto sulle violazioni della stessa indole (vale a dire le violazioni le quali, per la natura dei fatti che le costituiscono e dei motivi che le determinano, o per le modalità dell’azione, presentano profili di sostanziale identità, ancorché possano violare norme diverse). Anche la disciplina del concorso formale e materiale e della continuazione è destinata ad essere riveduta. Essa sarà resa coerente con gli indirizzi sopra specificati, e sarà estesa agli istituti deflattivi.
Si ricorda che il concorso è formale quando con una sola azione (o omissione) vengono commessi più reati; è invece materiale, quando un individuo commette una pluralità di reati ponendo in essere condotte diverse.
La lettera c), n. 4, prefigura una revisione della disciplina del concorso formale e della continuazione, che ne estenda l’applicazione alle misure deflattive e, in generale, la armonizzi con i principi recati dalle precedenti indicazioni. È presumibile che l’armonizzazione vada riferita soltanto al numero 3 della lettera c del comma 1, dell’articolo 20, ma una puntualizzazione potrebbe giovare.
Un emendamento approvato nel corso dell’esame in Senato ha inserito nella lettera c) del comma 1 dell’articolo 20 la disposizione indicata al punto n. 5. Richiamandosi allo Statuto del Contribuente il cui articolo 10 si occupa di tutela dell’affidamento e della buona fede nonché di errori del contribuente, si stabilisce che le sanzioni saranno inapplicabili qualora ricorrano due condizioni; la prima è che la violazione dipenda da obiettiva incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione della norma tributaria e il contribuente paghi l’imposta dovuta, la seconda è che il contribuente intenda adeguarsi alle indicazioni elaborate dall’Amministrazione finanziaria con successivi documenti di prassi e, a tal fine, egli presenti un’apposita dichiarazione integrativa. Andrebbe forse precisato cosa si intende in questo caso per: <<imposta dovuta>>.
L’Amministrazione finanziaria, ai sensi dello Statuto del Contribuente, articolo 11, comma 6, cui si riferisce esplicitamente il comma 1, lettera c, numero 5 dell’articolo 20 dell’A.S. 797-A, talvolta pubblica chiarimenti di interesse generale o almeno di interesse per un elevato numero di contribuenti, mediante circolari o risposte a istanze relative alla stessa questione oppure a questioni analoghe fra loro.
Il comma 2 dell’articolo 20 prescrive il riordino del sistema sanzionatorio in materia di accisa e di altre imposte indirette sui consumi e sulla produzione disciplinato nel testo unico delle disposizioni legislative concernenti le imposte sulla produzione e sui consumi e relative sanzioni penali, c.d. testo unico delle accise (decreto legislativo n. 504 del 1995).
La lettera a) del comma 2 prefigura una razionalizzazione dei sistemi sanzionatori amministrativo e penale. Gli obiettivi della razionalizzazione sono una maggiore semplificazione e una maggiore coerenza con i princìpi giurisprudenziali della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, fra cui, in particolare, quelli di predeterminazione e proporzionalità alla gravità delle condotte.
Si valuti l’opportunità di esplicitare a quali ulteriori principi giurisprudenziali della Corte di Giustizia dell’Unione Europea si intende far riferimento ai fini dell’esercizio della delega.
La lettera b) del comma 2 è interamente dedicata all’introduzione di un nuovo illecito, denominato sottrazione, relativo all’accertamento o al pagamento dell’accisa sui tabacchi lavorati e, su prodotti fiscalmente equiparabili a essi (ma non su altri manufatti o prodotti). L’illecito si configura anche se la sottrazione viene solamente tentata ma non viene compiuta. Del resto, l’equiparazione del delitto tentato al delitto consumato è già prevista da uno dei riferimenti normativi che si trovano nella lettera b) del comma 2, ovvero nella legge n. 907 del 1942 (Legge sul monopolio del sale dei tabacchi). Il mezzo e le modalità della sottrazione (o del tentativo di sottrazione) non rilevano. Le violazioni sui tabacchi lavorati saranno ricondotte al testo delle accise.
Nella relazione illustrativa di accompagnamento dell’A.C. 1038 si afferma che l’intervento serve a ricondurre le violazioni sui prodotti in questione all’interno del testo unico delle accise. Allo stato della legislazione vigente, le medesime violazioni sono sanzionate ricorrendo alle norme di cui al D.P.R. n. 43 del 1973 che puniscono il reato di contrabbando di tabacchi lavorati esteri, o nella citata legge sul monopolio del sale e dei tabacchi, n. 907 del 1942. Mediante l’innovazione recata dalla lettera b) del comma 2 dell’articolo 20 dell’Atto Senato in commento, si avrà una disciplina sanzionatoria specifica e a carattere organico che riguarderà espressamente ed esclusivamente il mancato assolvimento dell’accisa, a prescindere dal luogo di provenienza e/o di produzione del prodotto in oggetto.
La lettera b) numeri da 1 a 11, prevede, con riferimento alla nuova fattispecie di illecito, che siano determinate: le pene detentive, che vanno da un minimo di due anni ad un massimo di cinque, essendo tuttavia previste soglie di non punibilità, al fine di applicare sanzioni amministrative in luogo di quelle penali, e riduzioni per i casi meno gravi; le circostanze aggravanti in linea con quelle previste dalla disciplina doganale in materia di contrabbando di tabacchi lavorati; le fattispecie associative, le quali sono punibili con pene più severe le quali vanno da tre a otto anni di reclusione (coordinandola con l’articolo 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale); la confisca delle cose che sono oggetto dell’illecito nonché di quelle che servirono o furono destinate a commetterlo; le confische del prezzo, del prodotto o del profitto del reato oppure, quando le prime sono impossibili, le confische di somme di denaro, beni o altre utilità al soggetto condannato, anche per interposta persona, per un valore equivalente; l’affidamento in custodia di beni sequestrati diversi dal denaro; le disposizioni sulla custodia delle cose sequestrate, sulla distruzione delle cose sequestrate o confiscate e sulla vendita delle cose confiscate. E’ previsto altresì un coordinamento tra la normativa da introdurre e l’articolo 266, comma 1, del codice di procedura penale che delinea i limiti di ammissibilità delle intercettazioni di conversazioni e telecomunicazioni.
La lettera e) del citato comma 1 dell’articolo 266 del codice di procedura penale consente le intercettazioni per i delitti di contrabbando.
I suddetti princìpi e criteri direttivi relativi al nuovo illecito di sottrazione (compiuta o tentata) saranno applicati anche a prodotti diversi dal tabacco ma fiscalmente equiparabili ai prodotti da fumo tradizionali (per l’individuazione di tali prodotti equiparabili, il riferimento normativo è agli articoli 62-quater, 62-quater.1 e 62-quinquies del testo unico). Se i prodotti alternativi non contengono nicotina, possono aversi sanzioni amministrative invece che penali.
Si prevede inoltre che sia disposta l’abrogazione delle disposizioni della citata legge 907 del 1942 e della legge 27 del 1951 , Modificazioni alla legge 17 luglio 1942, n. 907, sul monopolio dei sali e dei tabacchi, che risultano superate a seguito dell’introduzione delle nuove norme recate dalla lettera b) del comma 2 dell’articolo 20 della delega al Governo.
La lettera c) del comma 2 dell’articolo 20 risponde all’esigenza di razionalizzare e sistematizzare il quadro giuridico complessivo delle disposizioni inerenti alla vendita dei tabacchi lavorati e dei prodotti diversi dal tabacco ma equiparabili ai prodotti da fumo tradizionali che avviene senza autorizzazione o all’acquisto da persone che non sono autorizzate alla vendita. Le violazioni sui tabacchi lavorati e sugli altri prodotti cui si riferisce lettera c) saranno ricondotte all’interno del testo unico delle accise.
La lettera d) applica, per i reati puniti con la pena detentiva non inferiore nel limite massimo a cinque anni, concernenti i tabacchi lavorati e i prodotti fiscalmente equiparabili ad essi la cosiddetta “confisca per sproporzione”, prevista dal vigente articolo 240-bis del codice penale .
Si tratta della confisca del denaro, dei beni o delle altre utilità di cui il condannato non può giustificare la provenienza e di cui, anche per interposta persona fisica o giuridica, risulta essere titolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo in valore sproporzionato al proprio reddito dichiarato o alla propria attività economica.
La lettera e) del comma 2 introduce nella disciplina concernente i tabacchi lavorati la responsabilità amministrativa da reato delle persone giuridiche anche per i reati previsti dal testo unico delle accise. Ciò avverrà sotto forma di integrazione del decreto legislativo 231 del 2001, che reca la disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica, a norma dell’articolo 11 della legge 29 settembre 2000, n. 300. Saranno applicate sanzioni amministrative, che dovranno essere effettive, proporzionate e dissuasive rispetto alla tipologia di illecito. A titolo di esempio, la relazione illustrativa indica l’interdizione dall’esercizio dell’attività o la sospensione e la revoca delle autorizzazioni, licenze o concessioni funzionali alla commissione dell’illecito.
L’oggetto del comma 3 dell’articolo 20 è la revisione della disciplina sanzionatoria da applicare alle violazioni della normativa doganale. Il comma è suddiviso in quattro lettere.
Ai sensi della lettera a) del comma 3, la revisione, innanzi tutto, dovrà coordinare la disciplina dell’illecito introdotta con il comma 2, lettera b), con la disciplina del contrabbando di tabacchi contenuta nel citato D.P.R. 43 del 1973 testo unico delle disposizioni legislative in materia doganale anche in coerenza con la disciplina delle altre fattispecie di contrabbando previste dal citato testo unico delle leggi doganali. Di conseguenza saranno comminabili contestualmente sia le sanzioni per inosservanza delle prescrizioni doganali, sia quelle riguardanti il mancato assolvimento dell’accisa, la quale in occasione di un’importazione irregolare diventa esigibile.
Nella relazione illustrativa di accompagnamento dell’A.C. 1038 si sottolinea che tale intervento vuole perseguire lo scopo di armonizzare le disposizioni sanzionatorie applicabili alle violazioni riguardanti il caso in cui i tabacchi lavorati, sottratti all’accertamento o al pagamento dell’accisa dovuta, siano anche oggetto di violazioni della disciplina doganale in quanto importati irregolarmente nel territorio doganale; in tale ipotesi, quindi, saranno comminabili, contestualmente, sia la sanzione prevista per l’inosservanza delle prescrizioni della normativa doganale (ad esempio, per il mancato pagamento dei dazi dovuti) sia quella prevista dalle disposizioni che disciplinano il nuovo illecito in relazione al mancato assolvimento dell’accisa per la quale l’obbligazione tributaria sorge e diventa esigibile, nel caso di specie, al momento dell’importazione irregolare.
Inoltre, in base alla lettera b), si prevede il riordino della disciplina sanzionatoria del D.P.R. 43 del 1973 per il contrabbando di prodotti diversi dai tabacchi lavorati, in relazione alle merci che entrano in Italia o ne escono ai sensi, rispettivamente, dell’articolo 79 e dell’articolo 82 del Codice Doganale dell’Unione Europea.
In particolare, si prevede la razionalizzazione delle fattispecie sanzionatorie penali e la revisione delle sanzioni amministrative per adeguarle ai princìpi di effettività, proporzionalità e dissuasione indicati dall’articolo 42 del Codice Doganale dell’Unione.
Inoltre si prevede la razionalizzazione delle disposizioni sulla custodia delle cose sequestrate, sulla distruzione delle cose sequestrate o confiscate e sulla vendita delle cose confiscate.
La lettera c) prescrive un riordino e una revisione della disciplina sanzionatoria in relazione al contrabbando di prodotti diversi dai tabacchi lavorati, avuto riguardo sia alle fattispecie illecite di natura penale che di natura amministrativa, con precipuo riferimento al Decreto del Presidente della Repubblica 43/1973.
Con la revisione saranno introdotte soglie di punibilità, sanzioni minime o sanzioni proporzionali rispetto all’ammontare del tributo evaso ovvero alla gravità della condotta. Per il resto si tratterà di armonizzazione delle fattispecie illecite che sono oggetto delle sanzioni.
La lettera d) si riprende il tema della responsabilità amministrativa da reato delle persone giuridiche e si ribadisce l’intenzione di intervenire mediante integrazione del decreto legislativo 231 del 2001, specificando la necessità di operare sull’articolo 25-sexdecies, comma 3, di quest’ultimo, che è dedicato al contrabbando e alle sanzioni per contrastarlo.
Per effetto dell’integrazione, nelle ipotesi di mancato pagamento di diritti di confine dovuti il cui importo ammonti a più di centomila euro, alle sanzioni interdittive già previste (il divieto di contrattare con la pubblica amministrazione salvo che per ottenere le prestazioni di un pubblico servizio, l’esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi e l’eventuale revoca di quelli già concessi, il divieto di pubblicizzare beni o servizi) si aggiungeranno l’interdizione dall’esercizio delle attività e la sospensione o revoca di autorizzazioni, licenze e commissioni funzionali alla commissione dell’illecito.
Articolo 21
(Testi unici e codificazione della materia tributaria)
L’articolo 21 reca la delega per la codificazione della normativa fiscale e detta i princìpi e i criteri direttivi che il Governo è chiamato a seguire nell’adozione di uno o più decreti legislativi che realizzino un riordino organico delle disposizioni che regolano il sistema fiscale mediante la redazione di testi unici.
In particolare, il comma 1 dell’articolo in esame reca una serie di princìpi e criteri direttivi a cui il Governo deve attenersi nell’adottare, entro 12 mesi dall’entrata in vigore della presente legge e secondo la procedura di cui all’articolo 1, uno o più decreti legislativi per il riordino organico delle disposizioni che regolano il sistema fiscale, mediante la redazione di testi unici. La ratio, pertanto, è quella di:
a) procedere ad un riordino sistematico della normativa fiscale attraverso la puntuale individuazione delle norme vigenti, organizzandole per settori omogenei, anche mediante l’aggiornamento dei testi unici di settore in vigore;
b) coordinare le norme vigenti, anche di recepimento e attuazione della normativa europea, sotto un profilo sostanziale e formale, apportando le necessarie modifiche in modo tale da garantirne e migliorarne la coerenza giuridica, logica e sistematica, anche alla luce dai decreti legislativi eventualmente adottati ai sensi dell’articolo 1;
c) procedere all’abrogazione delle disposizioni che risultino incompatibili o non più attuali.
Si sottolinea che il termine entro cui il Governo dovrà adottare testi unici di cui si tratta, ossia 12 mesi dall’entrata in vigore della presente legge delega, sia ben più stringente rispetto a quello previsto per i decreti delegati di cui all’articolo 1, di ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore, e ciò al fine di consentire ai decreti attuativi della presente delega, adottati successivamente, di intervenire direttamente sui nuovi testi unici.
Nell’evenienza in cui una delega venga esercitata prima dell’adozione del testo unico di riferimento, si prevede che nella redazione di quest’ultimo si debba tener conto delle disposizioni recate dai decreti legislativi medio tempore adottati ai sensi dell’articolo 1.
Il comma 2 prevede di giungere a una codificazione della normativa fiscale al fine di semplificare il sistema tributario, migliorare la chiarezza e la conoscibilità delle norme fiscali, e di conseguenza la certezza dei rapporti giuridici, e l’efficienza dell’operato dell’Amministrazione finanziaria. La delega per la codificazione dovrà essere esercitata entro 12 mesi dall’adozione dell’ultimo dei decreti legislativi correttivi di cui all’articolo 1, comma 6.
Il codice sarà articolato in una parte generale, recante la disciplina unitaria degli istituti comuni del sistema fiscale, e una parte speciale, concernente la disciplina dei singoli tributi.
Nella redazione della parte generale del codice, il Governo si atterrà ai seguenti princìpi e criteri direttivi:
a) recepimento dei princìpi di cui allo Statuto dei diritti del contribuente;
b) previsione di una disciplina, unitaria per tutti i tributi, del soggetto passivo, dell’obbligazione tributaria, delle sanzioni e del processo. La disciplina dell’obbligazione tributaria contiene principi e regole in merito a dichiarazione, accertamento e riscossione;
c) previsione di un monitoraggio periodico della legislazione tributaria codificata.
Articolo 22
(Disposizioni finanziarie)
L’articolo 22 reca le disposizioni riguardanti gli oneri derivanti dalle norme di delega e le relative coperture finanziarie.
In particolare, il comma 1 stabilisce che, salvo quanto disposto dal comma 3 (riferimento corretto nel corso dell’esame alla Camera), dall’attuazione delle deleghe di cui agli articoli da 1 a 21 non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica e non deve derivare un incremento della pressione tributaria rispetto a quella risultante dall’applicazione della legislazione vigente.
Si rammenta che l’articolo 17, comma 2, della legge di contabilità e finanza pubblica (legge n. 196 del 2009) disciplina la quantificazione e la copertura degli oneri recati da deleghe legislative, definendola nei seguenti termini: in via generale, le leggi di delega comportanti oneri devono provvedere alla copertura necessaria per l’adozione dei decreti legislativi; tuttavia, qualora in sede di conferimento della delega, per la complessità della materia trattata, non sia possibile determinare gli effetti finanziari derivanti dai decreti legislativi, a tale quantificazione si procede al momento dell’adozione dei singoli decreti. In tale seconda ipotesi, i decreti legislativi aventi effetti onerosi sono emanati solo successivamente all’entrata in vigore dei provvedimenti legislativi che stanzino le occorrenti risorse finanziarie. Gli schemi di decreto sono corredati di relazione tecnica.
Perciò il procedimento di verifica della relazione tecnica dovrà essere effettuato in più fasi: in sede di approvazione delle norme di delega, ove già disponibili le relative stime di onerosità, e nella fase dell’emanazione di ciascun decreto legislativo, in relazione alla specifica disciplina adottata nell’esercizio della delega. I principi di carattere generale enunciati dalla legge di contabilità e finanza pubblica corrispondono in buona parte ad indirizzi già elaborati dalla giurisprudenza costituzionale (si veda la sentenza n. 226 del 1976) e da tempo trasfusi nella prassi legislativa.
Si rammenta che la pressione fiscale è data dal rapporto tra l’ammontare delle imposte (dirette, indirette e in conto capitale) e dei contributi sociali (effettivi e figurativi) e il Pil. L’Istat certifica (comunicato stampa del 1° marzo 2023) che nel 2022 la pressione fiscale complessiva è risultata pari al 43,5%, in aumento rispetto all’anno precedente, per effetto della crescita delle entrate fiscali e contributive (+7%) superiore rispetto a quella del Pil a prezzi correnti (+6,8%).
La pressione fiscale del 2022 è quindi risultata inferiore rispetto a quanto previsto dal Governo nel Documento programmatico di bilancio 2023 (DPB 2023), il quale stimava un rapporto pari al 43,8% a politiche invariate e al 43,7% come obiettivo programmatico. Per il 2023, nello stesso DPB 2023, il Governo stima una pressione fiscale pari al 43,4% a politiche invariate e al 43,2% in termini programmatici. Dal 2023 al 2025, il Governo stima un calo medio della pressione fiscale di circa 0,4 punti di Pil all’anno, fino a raggiungere il 42,5 per cento del Pil a fine periodo.
Il comma 2 precisa che, in considerazione della complessità della materia trattata e dell’impossibilità di procedere alla determinazione degli eventuali effetti finanziari, per ciascuno schema di decreto legislativo la relazione tecnica di cui all’articolo 1, comma 2 (si veda la relativa scheda).
Si rammenta che la copertura delle leggi deve essere garantita (ed è soggetta a verifica in Parlamento) con riguardo all’impatto di ciascuna norma su tre saldi di finanza pubblica: il saldo netto da finanziare del bilancio dello Stato, il fabbisogno delle amministrazioni pubbliche e l’indebitamento netto del conto consolidato delle pubbliche amministrazioni.
Per un approfondimento si rinvia all’apposita pubblicazione della Ragioneria
Per i primi due saldi si fa riferimento ai tradizionali criteri di contabilità pubblica della competenza giuridica (saldo netto da finanziare) e della cassa (fabbisogno), mentre per l’indebitamento netto (che rileva ai fini del rispetto degli obiettivi di saldo definiti in sede europea) si fa riferimento al criterio della competenza economica secondo le regole contabili del SEC 2010, disciplinato nel Regolamento UE n. 549/2013.
Per ulteriori dettagli si rinvia al Dossier del novembre 2022 in tema di “Quantificazione e copertura delle leggi di spesa” dei Servizi della Camera e del Senato.
Il comma 3 stabilisce che, qualora uno o più decreti legislativi determinino nuovi o maggiori oneri che non trovino compensazione al loro interno o mediante parziale utilizzo delle risorse di cui all’articolo 1, comma 2, della legge di bilancio 2021 (legge n. 178 del 2020), eventualmente integrate in base a quanto previsto dal medesimo articolo 1, comma 5, si provvede ai sensi dell’articolo 17, comma 2 (si veda sopra per un’illustrazione di questa norma), della legge di contabilità e finanza pubblica (legge n. 196 del 2009), ovvero mediante compensazione con le risorse finanziarie recate dai decreti legislativi adottati ai sensi della presente legge, trasmessi alle Camere prima di quelli che comportano i nuovi o maggiori oneri. A tal fine, le maggiori entrate o i risparmi di spesa confluiscono in un apposito fondo istituito nello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze. Il comma 3, infine, precisa che i decreti legislativi che recano nuovi o maggiori oneri entrano in vigore contestualmente o successivamente a quelli che recano la necessaria copertura finanziaria.
Si rammenta che l’articolo 1, commi da 2 a 7, della legge di bilancio 2021 istituisce un Fondo con una dotazione di 8.000 milioni di euro per l’anno 2022 e 7.000 milioni di euro a decorrere dall’anno 2023 per interventi di riforma del sistema fiscale, da realizzare con appositi provvedimenti normativi. Al Fondo sono destinate altresì, risorse stimate come maggiori entrate permanenti derivanti dal miglioramento dell’adempimento spontaneo. Con riferimento alla destinazione delle maggiori entrate permanenti per i predetti enti territoriali rimane fermo quanto previsto dai rispettivi statuti speciali e dalle relative norme di attuazione, e le maggiori entrate permanenti rimangono acquisite ai rispettivi bilanci, nelle quote previste dai predetti statuti speciali.
Una quota del Fondo non inferiore a 5.000 milioni di euro e non superiore a 6.000 milioni di euro a decorrere dall’anno 2022 è destinata all’assegno universale e ai servizi alla famiglia. Il comma 5, in particolare, dispone che la Nota di aggiornamento al documento di economia e finanza (NADEF) indica la quota delle maggiori entrate permanenti, rispetto alle previsioni tendenziali formulate per il Documento di economia e finanza (DEF), derivanti dal miglioramento dell’adempimento spontaneo, da destinare al Fondo. La NADEF 2022 dello scorso settembre (si veda in particolare il Focus alle pagine 99-102) pubblicata dal precedente Governo Draghi (la versione della NADEF 2022 integrata e rivista dal Governo Meloni non ripropone tale analisi) ha fornito una valutazione delle entrate strutturali derivanti dal miglioramento dell’adempimento spontaneo, e quindi delle risorse da destinare potenzialmente al Fondo, pari a 1.393 milioni di euro. Tali risorse sono state pertanto iscritte nel Fondo nell’ambito del bilancio a legislazione vigente (Sezione II della legge di bilancio 2023). La legge di bilancio per il 2023 (art. 1 comma 872) ha quindi ridotto le risorse assegnate al citato fondo di 1.393 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2023.
Articolo 23
(Clausola di salvaguardia)
L’articolo 23, introdotto nel corso dell'esame in sede referente, prevede che le disposizioni recate dal provvedimento in esame sono applicabili nelle regioni a statuto speciale e nelle province autonome di Trento e di Bolzano compatibilmente con i rispettivi statuti e le relative norme di attuazione (comma 1). In sede di attuazione della delega di cui all’articolo 1, il Governo, nel caso di perdita di gettito delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome, promuove intese nel rispetto dei principi in materia di copertura finanziaria delle leggi (comma 2).
Il comma 1 stabilisce quindi che le disposizioni in esame non sono idonee a disporre in senso difforme a quanto previsto negli statuti speciali di regioni e province autonome (si tratta pertanto di una clausola a salvaguardia dell'autonomia riconosciuta a tali autonomie territoriali). Tale inidoneità, che la norma in esame esplicita, trae origine dal rapporto fra le fonti giuridiche coinvolte e, nello specifico, dall'impossibilità che norme di rango primario possano legittimamente incidere sul quadro delle competenze definite dagli statuti (che sono adottati con legge costituzionale, fonte di grado superiore) e dalle relative norme di attuazione (il cui ambito di competenza è anch'esso previsto da norme statutarie di rango costituzionale). Le norme di rango primario si applicano pertanto solo in quanto non contrastino con le speciali attribuzioni di tali enti.
Si tratta di una clausola, costantemente inserita nei provvedimenti legislativi che intervengono su ambiti materiali ascrivibili alle competenze delle regioni a statuto speciale e delle province autonome, che rende più agevole l'interpretazione delle norme introdotte, con un effetto potenzialmente deflattivo del contenzioso costituzionale. La mancata previsione della clausola potrebbe infatti indurre una o più autonomie speciali ad adire la Corte costituzionale nel dubbio sull'applicabilità nei propri confronti di una determinata disposizione (incidente su attribuzioni ad esse riservate dai propri statuti speciali).
La presenza di una siffatta clausola tuttavia non esclude a priori la possibilità che una o più norme del provvedimento legislativo possano contenere disposizioni lesive delle autonomie speciali, "allorquando tale clausola entri in contraddizione con quanto testualmente affermato dalle norme impugnate, che facciano esplicito riferimento alle Regioni a statuto speciale e alle Province autonome"[4].
Il comma 2 precisa che, in sede di attuazione della delega di cui all’articolo 1, il Governo, nell’esercizio delle funzioni di coordinamento della finanza pubblica, nel caso di perdita di gettito delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome, promuove intese nel rispetto dei principi indicati dalla giurisprudenza costituzionale e dall’articolo 17 (si veda la scheda relativa all’articolo 20 per ulteriori dettagli) della legge di contabilità e finanza pubblica (legge n. 196 del 2009).
Si rammenta che l’art. 117, terzo comma, della Costituzione, inserisce tre le materie di legislazione concorrente il «coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario», imponendo alle Regioni il rispetto dei principi fondamentali in materia. Inoltre, l'art. 119, primo comma, stabilisce che le autonomie territoriali "concorrono ad assicurare l’osservanza dei vincoli economici e finanziari derivanti dall’ordinamento dell’Unione europea”. Come ricordato, tra le altre, dalla sentenza n. 44 del 2021 della Corte costituzionale, per giurisprudenza costituzionale ormai costante, i principi fondamentali di tale materia vincolano anche le autonomie speciali. La citata sentenza n. 44 richiama, a tale proposito, la sentenza n. 151 del 2017, ove si afferma che tali principi sono funzionali “a preservare l’equilibrio economico-finanziario del complesso delle amministrazioni pubbliche e anche a garantire l’unità economica della Repubblica, come richiesto dai principi costituzionali e dai vincoli derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea (sentenza n. 82 del 2015, nonché, ex multis, sentenza n. 62 del 2017)”. La giurisprudenza della Corte costituzionale ha inoltre individuato i principi e i limiti entro cui lo Stato può chiedere alle regioni a statuto speciale e alle province autonome un contributo alla finanza pubblica: i rapporti finanziari tra lo Stato e le autonomie speciali sono regolati dal principio pattizio, tramite accordo; il principio dell’accordo "non implica un vincolo di risultato, bensì di metodo" (sent. n.19 del 2015[5]) e va declinato nella forma della leale collaborazione. A tale riguardo, si veda la nota breve del Servizio studi del Senato n. 7/2018, sulla sentenza n. 103 del 2018.
[1] L’elenco contenuto nell’Allegato III è stato aggiornato con la direttiva (UE) 2022/542 al fine di contribuire al perseguimento delle priorità politiche dell’UE, con particolare riferimento alle transizioni gemelle (digitale e ecologica) e alla resilienza sanitaria. Così, nell’elenco di beni e servizi a cui possono essere applicate le agevolazioni appaiono: i servizi di accesso a Internet, per intervenire sulla bassa copertura e promuoverne lo sviluppo (punto 8); i pannelli solari (punto 10-quater); le biciclette, comprese quelle elettriche (punto n. 25); i servizi di riciclaggio dei rifiuti considerati beni e servizi rispettosi dell’ambiente (punto n. 18); beni e servizi che favoriscono finalità di politica sociale e culturale specifiche (punto 6-8); il trasporto di passeggeri e di beni al seguito. Si veda, per maggiori dettagli, la Nota predisposta in merito dal Servizio studi del Senato della Repubblica (Nota su atti dell’Unione europea n.100, XVIII Legislatura).
[2] Si tratta di beni e servizi destinati a coprire esigenze di base, collegate quindi a prodotti alimentari, acqua, medicinali, prodotti farmaceutici o sanitari o per l’igiene, il trasporto di persone e taluni beni culturali. Vi rientrano anche, in ossequio agli impegni ambientali assunti dall’Unione, i pannelli solari.
[3] Nel testo licenziato dalla Camera dei deputati in prima lettura, era previsto che la comunicazione del dispositivo avvenisse nella stessa udienza di trattazione, immediatamente dopo la deliberazione del merito.
[4] Si veda la sentenza della Corte costituzionale n. 40 del 2016. Sul tema si vedano altresì le sentenze nn.156 e 77 del 2015.
[5] Sul concetto di concerto fra le parti come vincolo di metodo, viene richiamata la sent. n. 379 del 1992 (relativa ad un conflitto di attribuzione attivato dal Consiglio superiore della magistratura nei confronti del Ministro di grazia e giustizia e del Presidente del Consiglio dei ministri). In quell'occasione la Corte identificò il concerto come "vincolo che obbliga le parti a una leale cooperazione, finalizzata alla ricerca della maggiore convergenza possibile attraverso una discussione effettiva e costruttiva", che impone alle parti di non "tenere comportamenti ostruzionistici e sleali, né usare espedienti dilatori o pretestuosi" (cfr. nota breve n. 7 /2018).