Camera dei deputati - Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa) |
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Autore: | Servizio Studi - Dipartimento Affari Esteri |
Titolo: | Partecipazione di una delegazione parlamentare alla 79ª Sessione dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite |
Serie: | Documentazione e ricerche Numero: 120 |
Data: | 20/09/2024 |
Organi della Camera: | III Affari esteri |
Partecipazione di una delegazione parlamentare alla 79ª Sessione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite
(New York, 23-27 settembre 2024)
20 settembre 2024
Servizio Studi
Ufficio politica estera e difesa
Tel. 06 6706-2451 - * studi1@senato.it –
@SR_Studi
Dossier n. 349
Servizio Studi
Dipartimento Affari Esteri
Tel. 06 6760-4939 - * st_affari_esteri@camera.it –@CD_esteri
Documentazione e ricerche n. 120
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ES0224 - Dossier 79ª Assemblea generale delle Nazioni Unite
I N D I C E
Le Nazioni Unite: organizzazione e funzionamento
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L’agenda globale per lo sviluppo sostenibile
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Il Forum politico di alto livello delle Nazioni Unite
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L’attuale stato di attuazione dell’Agenda 2030
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I target degli SDG che destano particolare preoccupazione
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Il Rapporto mondiale delle Nazioni Unite sullo sviluppo delle risorse idriche 2024
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Il riconoscimento dello Stato della Palestina
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Il Piano Mattei per l’Africa
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Risoluzione ONU del 9 maggio 2024 “Admission of new Members to the United Nations”
Pubblicistica dell’Osservatorio di Politica internazionale
Una prospettiva globale e comparata sulle violazioni dei diritti umani (a cura del CeSPI)
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Le Nazioni Unite e gli indicatori dei diritti umani
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L’analisi comparata tramite l’FHI
Lo stato delle relazioni transatlantiche (a cura dell’IAI)
Il dialogo dei Parlamenti con le Organizzazioni internazionali mira a rafforzare la legittimazione democratica delle decisioni adottate nel sistema globale. Pace, democrazia, diritti umani, lotta alla povertà, sviluppo sostenibile, ambiente, sicurezza, diritti delle donne e le altre tematiche di pubblico interesse sono al centro dell'attività delle Organizzazioni internazionali che promuovono periodiche Conferenze alle quali sono invitate delegazioni parlamentari.
In tale contesto assumono particolare rilevanza i rapporti della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica con il sistema delle Nazioni Unite, rapporti che si articolano in molteplici sedi di incontro e di dialogo.
Si registrano, infatti, incontri tra gli Organi della Camera e del Senato ed i massimi rappresentanti dell'Organizzazione, la partecipazione al segmento ministeriale delle sessioni dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite (UNGA) nonché la partecipazione alle principali Conferenze tematiche.
L'Assemblea generale delle Nazioni Unite è la principale sede di decisione e l'organo più rappresentativo, composto da rappresentanti di tutti gli Stati membri, che dispongono di un voto ciascuno.
La sessione annuale ordinaria dell'Assemblea inizia il terzo martedì di settembre e prosegue di regola fino alla terza settimana di dicembre e vi partecipano, invitate, in qualità di osservatori, delegazioni parlamentari degli Stati membri.
Una delegazione parlamentare partecipa regolarmente, nell'ambito della delegazione italiana, alla annuale Sessione dell'Assemblea Generale, in concomitanza con la settimana ministeriale e il dibattito generale, che si tengono dal 22 al 30 settembre.
Tema del dibattito generale della 79° edizione è "Non lasciare nessuno indietro: agire insieme per promuovere la pace, lo sviluppo sostenibile e la dignità umana per le generazioni presenti e future",
Tra i focus principali della sessione vi sono il cambiamento climatico, la povertà, le crisi sanitarie e la disuguaglianza, con un'attenzione particolare agli Obiettivi di sviluppo sostenibile.
Uno degli appuntamenti più attesi della 79esima Assemblea Generale sarà il Summit of the Future, che si terrà il 22 e 23 settembre. Un vertice che mira a riaffermare gli impegni verso gli Obiettivi di sviluppo sostenibile (Sdg) e la Carta delle Nazioni Unite, rafforzando al contempo la cooperazione e gettando le basi per un sistema multilaterale rinvigorito. Il summit, come si legge sul sito delle Nazione Unite, si tradurrà in un Patto per il futuro negoziato, un documento orientato all'azione volto a rafforzare la cooperazione globale e ad adattarsi alle sfide attuali. Il 26 settembre si terrà invece in Incontro plenario di alto livello per celebrare la Giornata internazionale per l’eliminazione totale delle armi nucleari.
Cenni storici
L’Organizzazione delle Nazioni Unite nasce il 24 ottobre 1945, dopo la ratifica del suo Statuto da parte dei cinque Paesi membri permanenti del Consiglio di Sicurezza (Cina, Francia, Unione Sovietica, Regno Unito, Stati Uniti) e da parte della maggioranza degli altri quarantasei Paesi firmatari.
Tuttavia, l’idea di un’organizzazione internazionale per la promozione e il mantenimento della pace e della sicurezza tra i popoli affonda le sue radici in un precedente tentativo: la Società delle Nazioni. Frutto dell’intreccio di progetti americani, britannici e francesi, la Società delle Nazioni fu fondata alla Conferenza di pace di Versailles (1919) alla fine della Prima Guerra mondiale. I suoi organi erano l’Assemblea degli Stati membri, il Consiglio e il Segretariato Permanente. Il Consiglio era costituito da 4 membri permanenti (Gran Bretagna, Francia, Italia e Giappone) e 4 temporanei, eletti dall’Assemblea ogni 3 anni.
La Società delle Nazioni, che non riuscì a prevenire il secondo conflitto mondiale, espulse l’URSS nel dicembre 1939 per l’aggressione alla Finlandia, ma cessò subito dopo di funzionare: fu formalmente sciolta il 18 aprile del 1946 e sostituita dall’ONU. La creazione di una nuova organizzazione a tutela della sicurezza collettiva era già stata prevista nella Carta atlantica, sottoscritta da Churchill e Roosevelt nell’agosto del 1941 e nella Dichiarazione delle Nazioni Unite del gennaio 1942.
Un progetto concreto, elaborato e discusso dai due leader con Stalin nei vertici di guerra a Mosca, Dumbarton Oaks e Yalta, fu infine approvato alla conferenza di San Francisco il 25 giugno 1945 dai delegati di 50 Stati. Le Nazioni Unite nacquero ufficialmente il 24 ottobre 1945, con la ratifica dello Statuto da parte dei 51 membri fondatori.
Nel dicembre 1945 il Senato e la Camera dei Rappresentanti americani, con voto unanime, chiesero che la sede delle Nazioni Unite fosse negli Stati Uniti. La richiesta fu accettata e la prima e principale sede fu costruita a New York, sulle rive dell’East River, su un terreno acquistato anche tramite una donazione di 8,5 milioni di dollari di John D. Rockefeller Jr. Lo Statuto delle Nazioni Unite è un trattato che, secondo le normative di diritto internazionale, è vincolante per tutti gli Stati che lo hanno ratificato, e dal momento che quasi tutti i paesi del mondo vi hanno ormai aderito, la sua validità è pressoché universale.
In Italia lo Statuto è stato ratificato con la legge n. 848 del 17 agosto 1957. Attualmente gli stati membri delle Nazioni Unite sono 193.
Assemblea Generale
Composizione. L’Assemblea Generale è il principale organo deliberativo, politico e rappresentativo dell’Organizzazione delle Nazioni Unite. Ne fanno parte tutti i paesi membri delle Nazioni Unite. Ogni Stato membro dispone di un voto.
Mandato. L’Assemblea Generale può discutere qualsiasi questione o argomento che rientri nei fini dello Statuto delle Nazioni Unite. Le sue competenze riguardano: le raccomandazioni riguardo al mantenimento della pace e della sicurezza internazionale; l’elezione dei membri non permanenti del Consiglio di Sicurezza; l’elezione dei membri del Consiglio Economico e Sociale; l’elezione dei membri del Consiglio di Amministrazione Fiduciaria; l’ammissione di nuovi membri; la sospensione dei diritti e dei privilegi o l’espulsione di un membro; le questioni relative al funzionamento del regime di amministrazione fiduciaria e le questioni di bilancio.
Procedure. Le decisioni dell’Assemblea Generale sulle questioni più rilevanti (mantenimento della pace e della sicurezza, elezione dei membri non permanenti del Consiglio di Sicurezza, ammissione, sospensione o espulsione di membri), sono adottate a maggioranza di due terzi dei membri presenti e votanti; peraltro l’elenco non è tassativo e la prassi ammette una sua estensione. Le decisioni su altre questioni sono prese a maggioranza semplice (frequenti le decisioni adottate per consensus, anche se tale metodo non è espressamente previsto dalla Carta).
L’Assemblea si riunisce in una sessione ordinaria annuale da settembre fino a metà dicembre. Se le circostanze lo richiedono possono essere effettuate anche delle sessioni speciali convocate dal Segretario Generale su richiesta del Consiglio di Sicurezza o della maggioranza dei membri delle Nazioni Unite.
Altri compiti dell’Assemblea comprendono l’analisi delle questioni relative ai poteri e alle funzioni degli organi dell’Organizzazione e l’esame dei principi generali di cooperazione tra i paesi. L’Assemblea inoltre discute ogni problema rilevante a livello mondiale relativo a disarmo, problemi umanitari e sociali, politiche speciali e in generale tutte le questioni legate al mantenimento della pace e della sicurezza internazionale che le siano sottoposte dagli Stati membri. Riguardo a tali questioni l’Assemblea adotta raccomandazioni indirizzate sia ai singoli Stati membri che al Consiglio di Sicurezza.
L’Assemblea Generale riceve ed esamina le relazioni annuali e speciali del Consiglio di Sicurezza; queste relazioni comprendono un resoconto delle misure decise od intraprese dal Consiglio di Sicurezza per mantenere la pace e la sicurezza internazionale. Inoltre esamina le relazioni degli altri organi delle Nazioni Unite, e approva il bilancio delle Nazioni Unite.
L’Assemblea elegge i membri non permanenti del Consiglio di Sicurezza, esprime un voto per l’elezione dei membri della Corte Internazionale di Giustizia e, su raccomandazione del Consiglio di Sicurezza, nomina il Segretario Generale.
All’interno dell’Assemblea sono istituite sei commissioni principali: disarmo e sicurezza internazionale; questioni economiche e finanziarie; questioni sociali, umanitarie e culturali; politiche sociali e decolonizzazione; amministrazione e budget; questioni legali. Le commissioni analizzano i temi a loro assegnati e preparano raccomandazioni e bozze di risoluzioni da sottomettere all’Assemblea riunita in sessione plenaria. Tutti i paesi hanno diritto di avere propri rappresentanti nelle commissioni e al loro interno le decisioni vengono prese a maggioranza dei membri presenti.
Dall’Assemblea Generale dipendono organi sussidiari, come il Consiglio per i Diritti umani, Alto Commissario Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR), Programmi e Fondi (Undp, Unicef, UN-Women etc.), istituti formativi e di ricerca, organizzazioni correlate (WTO, AIEA) e altri enti.
Consiglio di Sicurezza
Il Consiglio si compone di 15 membri di cui 5 permanenti, con diritto di veto (Regno Unito, Cina, Francia, Russia e Stati Uniti). I restanti 10 sono eletti dall’Assemblea Generale fra i paesi membri, ripartiti per aree geografiche, e restano in carica per 2 anni. Il Presidente del Consiglio di Sicurezza cambia con una turnazione mensile tra i membri seguendo l’ordine alfabetico dei paesi. Sono attualmente membri non permanenti del Consiglio: Albania (2023), Brasile (2023), Gabon (2023), Ghana (2023), India (2022), Irlanda (2022), Kenya (2022), Messico (2022), Norvegia (2022), Emirati Arabi Uniti (2023).
Al Consiglio di Sicurezza compete l’esercizio, in via principale, della più importante funzione assolta dalle Nazioni Unite: il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale. Ha dunque la competenza a compiere le azioni necessarie per il mantenimento dell’ordine e della pace tra gli Stati, compreso l’uso della forza a fini di polizia internazionale. Il centro intorno al quale ruota il fondamento giuridico è dato dal Cap. VII della Carta (artt.39 e ss.).
Le decisioni del Consiglio di Sicurezza che riguardando questioni sostanziali - come per esempio l’utilizzo di misure dirette per la risoluzione di conflitti - richiedono il voto positivo di nove membri inclusi i 5 permanenti che hanno diritto di veto. L’astensione non è considerata pari al veto.
Segretariato
Il Segretariato costituisce l’apparato amministrativo permanente delle Nazioni Unite. A capo di questa struttura è il Segretario Generale, nominato dall’Assemblea Generale su proposta del Consiglio di Sicurezza, per un mandato di 5 anni rinnovabile. L’attuale Segretario Generale è il portoghese António Guterres, eletto il 1° gennaio 2017 e riconfermato per un secondo mandato nel 2021.
Il Segretariato svolge le attività quotidiane dell’Organizzazione con lo scopo di amministrare i progetti e le politiche pianificate dall’Organizzazione. I compiti svolti dal Segretariato sono vari quanto lo sono i problemi affrontati dalle Nazioni Unite. Vanno dall’amministrazione di operazioni di pace alla mediazione di dispute internazionali, dall’analisi di processi economici e sociali alla preparazione di studi sui diritti umani e sullo sviluppo sostenibile.
Consiglio Economico e Sociale (ECOSOC)
Il Consiglio Economico e Sociale (ECOSOC) conta 54 membri con mandato triennale che vengono nominati a gruppi di diciotto ogni anno.
Il Consiglio è l’organo consultivo e di coordinamento dell’attività economica e sociale delle Nazioni Unite e delle varie organizzazioni ad esse collegate ed è responsabile per la promozione di migliori condizioni di vita, impiego lavorativo e progresso economico e sociale. Inoltre si occupa della promozione della cooperazione internazionale in campo culturale ed educativo, della definizione di soluzioni a problemi internazionali in campo economico, sociale e sanitario, della promozione del rispetto universale dei diritti umani e delle libertà fondamentali.
Si tengono due sessioni all’anno. Le decisioni sono prese a maggioranza dei presenti. Nello svolgimento delle sue attività, il Consiglio si è spesso avvalso della facoltà di istituire commissioni per lo studio di specifiche problematiche; fra queste figurava, fin dal 1946, la Commissione per i diritti umani, sostituita dal 2006 dal Consiglio per i diritti umani, istituito dall’Assemblea come suo organo sussidiario, con l’obiettivo di rendere più incisiva l’azione delle Nazioni Unite in questo delicatissimo e fondamentale ambito.
Il Consiglio per i diritti umani è composto da 47 Stati membri, eletti dall’Assemblea Generale a maggioranza assoluta, con voto segreto e con rotazione triennale; fra i suoi compiti ha anche quello di procedere a un esame periodico di ciascuno stato membro per verificare il rispetto dei suoi obblighi in materia di diritti umani. Così come per la Commissione che lo ha preceduto, anche il Consiglio per i diritti umani è stato oggetto di critiche soprattutto in considerazione del fatto che ne farebbero parte anche stati notoriamente poco inclini al rispetto dei diritti umani.
Dal Consiglio Economico e sociale dipendono anche le Agenzie specializzate quali FAO, IFAD, UNESCO etc. Si veda il prospetto allegato.
Corte Internazionale di Giustizia (ICJ)
La Corte è composta da 15 giudici di nazionalità diversa, eletti per un periodo di nove anni rinnovabile dall’Assemblea Generale e dal Consiglio di Sicurezza. Essi agiscono, al pari del personale che compone il Segretariato, a titolo individuale e in piena autonomia e, come prevede lo Statuto della Corte annesso alla Carta, godono dei medesimi privilegi e immunità diplomatiche.
La Corte Internazionale di Giustizia ha sede a l’Aja (nei Paesi Bassi) ed è il principale organo giudiziario delle Nazioni Unite. Istituita nel 1945, aa la funzione di risolvere, in accordo con le leggi internazionali, le dispute legali portate alla sua attenzione dagli Stati membri delle Nazioni Unite che hanno accettato la sua giurisdizione.
Ne consegue che lo Stato che non intenda far giudicare una determinata controversia internazionale dalla Corte, potrà limitarsi a non accettarne la giurisdizione, paralizzando qualunque potere dell’organo di pronunciarsi sul punto. Accanto alle funzioni contenziose, la Corte svolge anche una funzione consultiva a beneficio dell’Assemblea e del Consiglio su questioni legali sottoposte da organi ed agenzie internazionali delle Nazioni Unite.
Manca alla Corte qualunque potere di interpretare il contenuto della Carta in modo vincolante per gli Organi delle Nazioni Unite o per gli stati membri, o di statuire circa la legittimità degli atti emessi dagli Organi delle Nazioni Unite.
La Corte Internazionale di Giustizia non va confusa con la Corte Penale Internazionale (che siede ugualmente all’Aja), istituita con il Trattato di Roma del 17 luglio 1998 ed entrata in vigore nel 2002. La CPI è un tribunale per i crimini che riguardano la comunità internazionale nel suo insieme e cioè: il genocidio, i crimini contro l’umanità, i crimini di guerra, e di recente anche il crimine di aggressione. La Corte penale internazionale non è un organo dell’Onu.
L'Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile è un programma d'azione globale, di portata e rilevanza senza precedenti, finalizzato a sradicare la povertà, proteggere il pianeta e garantire la prosperità e la pace, adottato all'unanimità dai 193 Paesi membri delle Nazioni Unite con la risoluzione 70/1 del 15 settembre 2015, intitolata: "Trasformare il nostro mondo. L'Agenda per lo sviluppo sostenibile".
L'Agenda 2030 comprende 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile - Sustainable Development Goals, SDGs –, che gli Stati si sono impegnati a raggiungere entro il 2030,articolati a loro volta in 169 ‘target' o traguardi specifici, tra loro interconnessi e indivisibili, che coprono una vasta gamma di ambiti, tra cui povertà, fame, salute, istruzione, uguaglianza di genere, acqua pulita, energia pulita, lavoro a condizioni dignitose, innovazione, riduzione delle disuguaglianze, città sostenibili, consumo responsabile, azione per il clima, vita marina e terrestre, pace e giustizia, e partenariati globali.
I richiamati target costituiscono il nuovo quadro di riferimento per lo sviluppo sostenibile, inteso come uno sviluppo che soddisfa i bisogni del presente senza compromettere la capacità delle future generazioni di soddisfare i propri, armonizzando a tal fine le tre dimensioni della crescita economica, dell'inclusione sociale e della tutela dell'ambiente.
L'Agenda 2030 impegna tutti i Paesi a contribuire allo sforzo necessario a portare il mondo su un sentiero sostenibile, senza più distinzione tra Paesi sviluppati, emergenti e in via di sviluppo. Ciascun Paese è libero di decidere come questi obiettivi debbano essere incorporati nelle politiche e nei processi decisionali, definendo a tal fine una propria strategia nazionale di sviluppo sostenibile.
Rispetto ai precedenti Obiettivi di sviluppo del millennio (Millennium Development Goals, MDG), con impegni fissati nel 2000 per essere raggiunti entro il 2015, gli SDG sono più ambiziosi.
Anzitutto, gli SDG sono guidati dal principio di universalità: sono applicabili a tutti i Paesi, sviluppati e in via di sviluppo, e a tutti i territori, riconoscendo che le sfide richiedono soluzioni globali e locali al contempo e il coinvolgimento di tutti e non solo degli Stati.
Non si tratta di un’agenda rivolta principalmente ai Paesi in via di sviluppo (PVS), com’era invece nel caso degli MDG. Inoltre, gli SDG e, soprattutto i target e gli indicatori che li articolano in dettaglio sono molto numerosi, ben più del sistema degli MDG e, per evitare il rischio sempre presente di una frammentazione eccessiva e dispersione caotica degli impegni, tutti gli obiettivi sono interconnessi e indivisibili, sottolineando l’importanza di un approccio olistico allo sviluppo sostenibile, che guardi sempre contemporaneamente alle dimensioni sociali, economico-politiche e ambientali dello sviluppo.
L’interconnessione si estende oltre gli SDG.
Infatti, pur essendo il risultato di due processi politico istituzionali paralleli, che avevano coinvolto filiere ministeriali distinte (esteri e sviluppo nel caso dell’Agenda 2030, ambiente nel caso dell’agenda sui cambiamenti climatici), l’Agenda 2030 e l’Accordo di Parigi sono strettamente collegati, riconoscendo che lo sviluppo sostenibile e la lotta ai cambiamenti climatici sono interdipendenti.
Più precisamente, gli SDG includono un obiettivo specifico per il clima (SDG 13), che richiama esplicitamente l’Accordo di Parigi, e molti altri obiettivi sono influenzati dalle azioni climatiche, non solo quelli ‘ambientali’ (come SDG 14 e SDG 15), ma anche quelli economico-sociali come la povertà (SDG 1), la fame (SDG 2), e la salute e il benessere (SDG 3). Inoltre, l’espansione delle energie rinnovabili supporta l’SDG 7 (energia pulita e accessibile) e contribuisce alla riduzione delle emissioni di diossido di carbonio, così come le iniziative di adattamento ai cambiamenti climatici, come la costruzione di infrastrutture resilienti, promuovono la gestione sostenibile delle risorse idriche (SDG 6).
L'attuazione dell'Agenda 2030 e la distanza dagli obiettivi di sviluppo sostenibile viene monitorata annualmente dall'High Level Political Forum delle Nazioni Unite, che riveste un ruolo cruciale nella supervisione dei processi di monitoraggio e revisione a livello globale.
In Italia è l'ISTAT a svolgere un ruolo attivo di coordinamento nazionale nella produzione degli indicatori per la misurazione dello sviluppo sostenibile e il monitoraggio dei suoi obiettivi. Lo stesso istituto pubblica annualmente il rapporto SDGs, che da diversi anni fornisce indicatori per la misurazione dei progressi compiuti dall'Italia nel raggiungimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile.
I 17 Obiettivi di sviluppo sostenibile sono i seguenti:
Tali obiettivi possono essere ricondotti alle aree interconnesse di intervento identificate dalle cinque P: Persone (obiettivi da 1 a 5), Prosperità (obiettivi da 6 a 12), Pianeta (obiettivi da 13 a 15), Pace (obiettivo 16), Partnership (obiettivo 17).
Un principio chiave dell’Agenda 2030 è, poi, che lo sviluppo sostenibile deve essere inclusivo e a beneficio di tutti, specialmente i più vulnerabili (come le donne, i bambini, le persone con disabilità, le popolazioni native, le minoranze, rifugiati e richiedenti asilo), come recita lo slogan di non lasciare nessuno indietro (Leave no one behind, LNOB).
Questo principio è, almeno sul piano delle intenzioni, centrale nella struttura e nell’attuazione dei 17 SDG, perché riflette un impegno globale a garantire che ogni individuo, indipendentemente dalle circostanze, possa beneficiare dello sviluppo sostenibile. In pratica, le disuguaglianze esistenti, sia all’interno che tra i Paesi, sono riconosciute come problema chiave e l’Agenda 2030 mira a ridurle (SDG 10) per creare un mondo più equo e inclusivo, garantendo che tutti abbiano accesso alle opportunità di sviluppo. L’attuazione dell’Agenda 2030, nella sua ambizione e ampia copertura di sfide, richiede un approccio cosiddetto ‘multilivello e multi-stakeholder’ che coinvolge, cioè, governi centrali e locali, settore privato, organizzazioni della società civile e comunità locali, chiamando i diversi attori ad essere protagonisti attivi di un processo di trasformazione profonda dei comportamenti individuali e collettivi.
Il Forum politico di alto livello (High-Level Political Forum, HLPF) è la principale piattaforma globale che svolge un ruolo centrale nel monitorare i progressi per il raggiungimento degli SDG, attraverso review annuali e la presentazione dei rapporti nazionali volontari (National Voluntary Reports, NVR) [2] che descrivono i progressi, le sfide e le buone pratiche. Il Forum ha dedicato i lavori del 2024, che si sono svolti a New York da 7 al 18 luglio, ad approfondire soprattutto gli SDG 1, 2, 13, 16 (pace, giustizia e istituzioni forti) e 17 (partnership per gli obiettivi) e ha dedicato – come già nel 2023 [3] – una particolare attenzione alla cosiddetta localizzazione degli SDG.
Al riguardo, sono da segnalare anzitutto gli eventi speciali del 10 luglio (Coalizione Local 2030) e dell’11 luglio (Forum dei governi locali e regionali). La localizzazione degli SDG ha una particolare importanza riconducibile a diversi motivi:
- almeno i due terzi dei traguardi degli SDG non saranno raggiunti senza un adeguato impegno e coordinamento delle amministrazioni locali e degli attori a livello locale, perché è a livello territoriale che si misurano concretamente le sfide e i progressi dei tanti indicatori degli SDG;
- è a livello locale che si pongono i maggiori problemi di limitate capacità tecniche e di programmazione, scarse risorse finanziarie e, spesso, carenza di volontà politica degli Stati centrali di riconoscere spazi adeguati di potere politico, fiscale e amministrativo a livello sub-nazionale;
- l’Italia vanta un riconoscimento a livello internazionale della propria vocazione a dare centralità alla dimensione locale e territoriale dello sviluppo, il che si collega anche alla tradizione della cooperazione decentrata nel campo delle politiche di cooperazione allo sviluppo;
- l’SDG 11 (città e comunità sostenibili) rimane l’obiettivo con meno disponibilità di dati per misurare i progressi.
La disponibilità di dati aggiornati, affidabili e disaggregati è essenziale per monitorare efficacemente lo stato di attuazione dell’Agenda; tuttavia, molti Paesi, specialmente quelli in via di sviluppo, affrontano significative sfide nella raccolta e gestione dei dati.
Questo deficit di dati può compromettere significativamente la capacità di monitorare i progressi verso i 17 SDG e, conseguentemente, di prendere decisioni informate.
Molti Paesi mancano delle infrastrutture necessarie per raccogliere e gestire dati in modo sistematico e continuo; le agenzie statistiche nazionali spesso soffrono di carenze di risorse umane e tecniche per la raccolta, l’analisi e la disseminazione dei dati; la mancanza di coordinamento tra diverse agenzie governative e altre parti interessate può portare a duplicazioni o lacune nei dati. La raccolta e gestione dei dati richiedono investimenti significativi, spesso non disponibili nei Paesi con budget limitati. È evidente come la mancanza di dati raccolti con regolarità, rendendo difficile monitorare i progressi verso gli SDG, non permetta di identificare con precisione le aree bisognose di immediato miglioramento né di misurare efficacemente l’impatto delle politiche. Poter confrontare la situazione del 1990 con quella del 2015 e quella del 2015 con quella del 2023 è la precondizione per qualsiasi strategia d’azione responsabile e trasparente. Ciò è vero, a maggior ragione, dal momento che raccogliere dati disaggregati per genere, età, etnia, disabilità e altre categorie rilevanti è essenziale per garantire che le politiche di sviluppo siano inclusive, come richiesto dallo slogan dell’Agenda 2030.
Come evidenziato in precedenza (cfr. il focus “Il Forum politico di alto livello delle Nazioni Unite”) ad avviso degli analisti non è facile tracciare in modo rigoroso un bilancio sull’attuazione dell’Agenda 2030, che significherebbe anzitutto disporre di dati aggiornati regolarmente così da analizzare la traiettoria storica del valore degli indicatori chiave, guardando contemporaneamente alla dimensione mondiale, nazionale e locale della sfida [4] .
Ad avviso del Cespi, occorre, pertanto, evitare il rischio di un effetto distorsivo che può esserci laddove gli straordinari successi di un Paese (auspicabilmente dimostrati, dati alla mano, in modo evidente e trasparente) possano compensare, nel valore sintetico finale della media mondiale, i problemi irrisolti di altri Paesi, ignorando la situazione di Paesi sprovvisti di dati recenti [5] .
A questo rischio si deve aggiungere la necessaria cautela di analisi che possono basarsi, in base a quanto detto sin qui, su dati approssimativi, non disponibili per tutti i Paesi e ancor meno a livello disaggregato sul piano sub-nazionale e per profili di popolazione.
Con queste dovute cautele, le principali fonti su scala mondiale [6] per analizzare i progressi compiuti nell’ attuazione dell’Agenda 2030, sono quattro:
1. Il database delle NU, che fornisce indicatori e parametri per ciascuno dei 17 SDG, aggiornati regolarmente con i dati degli Stati membri [7] .
2. Il Rapporto annuale sugli SDG (cfr. box infra) che descrive in dettaglio le sfide significative che il mondo si trova ad affrontare nel compiere passi sostanziali verso il raggiungimento degli SDG, fornendo i dati e le stime più recenti.
3. L’edizione annuale del Rapporto sullo sviluppo sostenibile pubblicata da un gruppo di esperti indipendenti dell’SDG Transformation Center, un’iniziativa del UN Sustainable [8] che, nell’edizione del 2024, si focalizza in particolare sull’SDG e l’SDG.
4. Il Rapporto sullo sviluppo sostenibile globale, pubblicato ogni quattro anni (l’ultima edizione è del 2023) e preparato da un gruppo indipendente di studiosi nominati dal Segretario generale delle NU, che fornisce una valutazione integrata delle politiche di sviluppo sostenibile e mira a rafforzare l’interfaccia scienza-politica.
Al fine di monitorare il percorso di raggiungimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile (SDG), l’ONU pubblica annualmente un rapporto che evidenzia le aree di progresso e le principali criticità da risolvere per assicurare la convergenza verso gli obiettivi previsti per il 2030.
Nell’ultimo rapporto (SDG Report 2024) viene sottolineato che solo il 17 per cento degli obiettivi SDG è sulla buona strada, quasi la metà mostra progressi minimi o moderati e i progressi su oltre un terzo sono in stallo o addirittura regrediti.
Lo stesso rapporto evidenzia che:
- gli effetti devastanti della pandemia di COVID-19 (che ha annullato quasi un decennio di guadagni nell'aspettativa di vita), i conflitti crescenti, le tensioni geopolitiche e il crescente “caos climatico” stanno colpendo duramente i progressi verso gli obiettivi programmati;
- le carenze sistemiche e le disuguaglianze nel sistema economico e finanziario globale non consentono ai paesi in via di sviluppo di avere tutto il supporto internazionale di cui avrebbero bisogno;
- le disuguaglianze continuano a crescere, la crisi climatica continua a intensificarsi e la perdita di biodiversità sta accelerando;
- i progressi verso l'uguaglianza di genere rimangono deludenti;
- i conflitti in Ucraina, Gaza, Sudan e oltre hanno lasciato 120 milioni di persone sfollate forzatamente in tutto il mondo, un numero senza precedenti;
- nonostante le tendenze profondamente preoccupanti, si stanno però facendo progressi, con riduzioni della mortalità infantile e delle infezioni da HIV, e si registrano miglioramenti nell'accesso all'acqua, ai servizi igienici, all'energia e alla banda larga mobile.
Nel commentare tale scenario, nell’introduzione del rapporto, il Segretario Generale dell’ONU sottolinea che “questa situazione non migliorerà da sola: i paesi in via di sviluppo, nel loro insieme, affrontano le peggiori prospettive economiche a medio termine” ma che “in questo contesto, la salda unità dei governi dietro l'Agenda 2030, come dimostrato al Summit sugli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile nel settembre 2023, offre un barlume di speranza… (vi è quindi) l'urgente necessità di una cooperazione internazionale più forte ed efficace per massimizzare i progressi a partire da ora”. Lo stesso Segretario ha esortato i Paesi a sostenere uno sforzo finanziario di almeno 500 miliardi di dollari all'anno per il raggiungimento degli SDG.
Tra le principali risultanze registrate dal rapporto dell’ONU si evidenziano le seguenti:
- quasi 1 persona su 10 nel mondo soffre la fame.
- a livello globale, 1 miliardo di pasti di cibo commestibile vengono sprecati ogni giorno;
- 4,5 miliardi di persone in tutto il mondo non sono coperte da servizi sanitari essenziali;
- mentre le donne detengono il 40 per cento dell'occupazione globale, nel 2022 occupavano solo il 27,5 per cento delle posizioni dirigenziali, la stessa quota del 2016. Ai ritmi attuali, la parità richiederà altri 176 anni;
- al ritmo attuale, nel 2030, 2 miliardi di persone vivranno ancora senza acqua potabile gestita in modo sicuro, 3 miliardi senza servizi igienici gestiti in modo sicuro e 1,4 miliardi senza servizi igienici di base;
- l’efficienza globale nell'uso dell'acqua è aumentata del 19 per cento, così come è aumentata la capacità globale di generare elettricità da energie rinnovabili, che ha iniziato ad espandersi a un tasso senza precedenti, crescendo dell'8,1 per cento annuo negli ultimi cinque anni;
- la disoccupazione globale ha raggiunto un minimo storico del 5 per cento;
- il 2023 è stato l'anno più caldo mai registrato, con temperature globali vicine alla soglia critica di 1,5°C. Inoltre le emissioni di gas serra continuano a crescere.
- come segnalato dall’OCSE, l'impegno di 100 miliardi di dollari all'anno per la finanza climatica nei confronti dei paesi in via di sviluppo è stato raggiunto per la prima volta nel 2022;
- la copertura delle aree marine protette è aumentata di più di dieci volte dal 2000 al 2024;
- l'accesso a Internet è aumentato di circa il 70 per cento in soli otto anni dal 2015 al 2023.
Il 70% dei target registra un regresso. Dopo un forte aumento a seguito della pandemia da Covid-19, la fame si è stabilizzata a livello mondiale intorno al 9,2% della popolazione dal 2021 al 2022. Tra 691 e 783 milioni di persone hanno affrontato la fame nel 2022. Ben 122 milioni di persone in più hanno sofferto la fame rispetto al 2019, quando la prevalenza era del 7,9%. Inoltre, si stima che il 29,6% della popolazione mondiale – 2,4 miliardi di persone – abbia vissuto in condizioni di insicurezza alimentare moderata o grave nel 2022. Inoltre, quasi il 60% dei Paesi ha registrato significativi aumenti dei prezzi alimentari a causa di conflitti (anzitutto, in Ucraina) e interruzioni nelle catene di approvvigionamento. Raggiungere l’obiettivo “Fame Zero” richiederebbe, perciò, sforzi intensificati e urgenti per trasformare i sistemi alimentari verso la sostenibilità, la resilienza e l’equità.
Inoltre, accelerare i miglioramenti nella nutrizione, nella salute e nell’igiene è cruciale per raggiungere l’obiettivo di dimezzare il numero di bambini che soffrono di malnutrizione cronica, mentre i tanti conflitti dimenticati e quelli perduranti e con drammatici peggioramenti, come nel caso della Palestina, espongono proprio i bambini più vulnerabili a inaccettabili destini. Si stima che il 22,3% dei bambini sotto i 5 anni (148 milioni) fosse affetto nel 2022 da ritardo della crescita, in calo rispetto al 24,6% del 2015 e al 26,3% del 2012. Basandosi sulle tendenze attuali, si prevede che 1 bambino su 5 (19,5%) sotto i 5 anni sarà affetto da ritardo della crescita nel 2030.
Il divario di reddito tra i piccoli produttori alimentari e quelli su larga scala rimane significativo. Nel 95% dei Paesi con dati disponibili, il reddito annuo medio dei piccoli produttori è meno della metà di quello dei produttori su larga scala. Tra i piccoli produttori alimentari, le unità guidate da uomini tendono a generare redditi più alti rispetto a quelle guidate da donne, a causa della mancata parità di opportunità e risultati tra i sessi.
Il 50% dei target registra un regresso. Purtroppo, i progressi globali nell’istruzione non sono stati sufficientemente rapidi, pur trattandosi di un facilitatore chiave per la maggior parte degli altri SDG. Solo il 58% degli studenti nel mondo ha raggiunto almeno il livello minimo di competenza in lettura alla fine della scuola primaria nel 2019.
La percentuale di giovani che completano la scuola secondaria superiore è aumentata dal 53% nel 2015 al 59% nel 2023; tuttavia, questo aumento è a un ritmo più lento rispetto al periodo precedente di otto anni e tali miglioramenti non sempre si traducono in risultati di apprendimento positivi: tra il 2018 e il 2022, basandosi sui risultati di apprendimento alla fine della scuola secondaria inferiore in 81 Paesi, la performance media in matematica è diminuita di un record di 15 punti mentre in lettura è diminuita di 10 punti. I punteggi in lettura e matematica stavano già diminuendo per questi Paesi prima del 2015, suggerendo che la pandemia da Covid-19 spiega solo in parte il declino. Il tasso di completamento dell’istruzione secondaria superiore è migliorato lentamente dal 2015.
Alcune regioni, inclusa l’Africa sub-sahariana, affrontano carenze di insegnanti, alti rapporti studenti-insegnanti e inadeguate opportunità di formazione e sviluppo professionale per gli insegnanti. Accelerare i progressi verso l’SDG 4 dovrebbe essere una priorità poiché avrà un impatto positivo a catena sul raggiungimento dell’Agenda 2030 nel suo complesso.
SDG 8 – Lavoro dignitoso e crescita economica
Il 50% dei target registra un regresso. I progressi verso l’obiettivo di promuovere una crescita economica sostenuta, inclusiva e sostenibile, un’occupazione piena e produttiva e un lavoro dignitoso per tutti affrontano diverse sfide, tra cui le conseguenze della pandemia da Covid-19, le tensioni commerciali, l’aumento del debito nei PVS, i conflitti e le tensioni geopolitiche, che minacciano collettivamente la crescita economica globale. Mentre i mercati del lavoro hanno mostrato resilienza, la ripresa disomogenea dalla pandemia, la riduzione della protezione dei diritti dei lavoratori e le vulnerabilità emergenti erodono le prospettive di giustizia sociale. Ancor meno incoraggiante è che si prevede un peggioramento del mercato del lavoro, con una maggiore disoccupazione e una crescita lenta nel 2024, aggravando le disuguaglianze di reddito e mettendo a rischio la parità retributiva per le donne e il lavoro a condizioni dignitose per i giovani. Le proiezioni, infatti, indicano un lieve aumento della disoccupazione globale nel 2024, con circa 2 milioni di persone in più senza lavoro, portando il tasso di disoccupazione al 5,2%. Raggiungere l’SDG 8 richiederà politiche che promuovano la crescita economica con un focus sulla giustizia sociale e sull’occupazione inclusiva.
La crescita della produttività è rimasta stagnante nel 2022 e nel 2023, rimanendo al di sotto dello 0,5%. Questo trend lento è in netto contrasto con il periodo pre-pandemia dal 2015 al 2019, quando il tasso superava l’1,5%. La pandemia ha bruscamente interrotto questo trend, con il 2020 che ha registrato un calo marcato poiché la produzione è diminuita più rapidamente dell’occupazione, anche se questo è stato compensato da un rimbalzo temporaneo della produttività nel 2021. La recente crescita lenta della produttività rappresenta un rischio per lo sviluppo economico e il tenore di vita, dato il suo ruolo cruciale come motore di crescita.
Per i Paesi meno avanzati (PMA), la crescita del PIL reale pro capite è scesa dal 5,1% nel 2019 allo 0,7% nel 2020, per poi recuperare al 3,8% nel 2021 e al 4,6% nel 2022. Si prevede che la crescita aumenterà al 4,4% e al 5,5% nel 2023 e nel 2024, per poi rallentare al 4,9% nel 2025.
Nel 2023, oltre 2 miliardi di lavoratori a livello globale erano impiegati informalmente, rappresentando il 58,0% della forza lavoro globale. Si prevede che questa cifra vedrà una diminuzione marginale al 57,8% nel 2024. La riduzione del tasso di informalità di meno di un punto percentuale dal 2015 è troppo lenta per permettere una formalizzazione diffusa in tempi brevi.
Nel 2023, il tasso globale di giovani non impegnati nello studio, nel lavoro o nella formazione (Not in Education, Employment or Training, NEET) era del 21,7%, mostrando una diminuzione significativa dal 2020 e avvicinandosi al livello di base del 2015 del 21,8%. Si prevede che questo tasso persisterà fino al 2025.
SDG 12 – Consumo e produzione responsabili
Il 60% dei target registra un regresso, inoltre è l’unico SDG i cui target registrano una situazione polarizzata: il 40% è sulla buona strada per essere raggiunti entro il 2030, il resto sono tutti in regresso. Le responsabilità e, conseguentemente, l’impegno richiesto sul fronte dell’SDG 12, al pari dell’SDG 13 relativo alle azioni per il clima, ricadono principalmente sui Paesi con economie ad alto reddito, il che si traduce in risultati polarizzati, in cui i Paesi con economie più avanzate sono quelli che dovrebbero mettere in campo profonde trasformazioni e risultano in grave ritardo, mentre i PVS subiscono gli effetti deleteri della situazione generale, senza però dover farsi carico di trasformazioni radicali, il che si traduce in risultati mediamente positivi. I modelli attuali di consumo e produzione non sostenibili, per esempio, dei Paesi occidentali sono i principali responsabili della situazione complessivamente poco incoraggiante e stanno alimentando la triplice crisi planetaria in corso: cambiamenti climatici, perdita di biodiversità e inquinamento.
Il consumo annuo dell’insieme dei materiali estratti o importati e trasformati (Domestic Material Consumption, DMC) e la cosiddetta impronta che misura la quantità totale di materie prime – biomasse, minerali metalliferi, minerali non metalliferi e combustibili fossili – estratte per soddisfare la domanda interna del sistema economico (Material Footprint, MF) continuano ad aumentare, con circa un miliardo di pasti di cibo commestibile sprecati ogni giorno nelle case di tutto il mondo e le scorte di rifiuti elettronici che crescono costantemente. Nel 2022, la generazione di rifiuti elettronici è aumentata a 7,8 kg pro capite da 6,2 kg pro capite nel 2015, ma solo 1,7 kg pro capite è stato gestito correttamente.
Dal 2015 al 2022, infatti, il DMC è aumentato del 5,8% e l’MF è cresciuta del 6,8%, con grandi disparità regionali: Europa e Nord America, Asia orientale e sudorientale, Nord Africa e Asia occidentale sono le regioni maggiormente ‘responsabili’. Nel 2022, il 19% del cibo globale è stato sprecato, totalizzando 1,05 miliardi di tonnellate, con il 60% dello spreco che si verifica a livello domestico. Questo spreco genera significative emissioni di gas a effetto serra, costando oltre mille miliardi di dollari all’anno, mentre 783 milioni di persone soffrono la fame.
Solo 9 dei 193 Paesi membri delle NU hanno incluso lo spreco alimentare nei loro Contributi determinati a livello nazionale (Nationally Determined Contributions, NDC) [9] , i piani nazionali non vincolanti in materia di cambiamenti climatici. Nel frattempo, la percentuale di cibo perso globalmente dopo il raccolto, durante il trasporto, lo stoccaggio, la vendita all’ingrosso e la lavorazione è stimata al 13,2% nel 2021.
Sebbene i Paesi stiano adempiendo ai loro obblighi in materia di accordi ambientali (come la Convenzione di Minamata sul mercurio [10] , le Convenzioni di Basilea, Rotterdam e Stoccolma [11] , il Protocollo di Montreal [12] ) e adottando approcci completi per affrontare il degrado ambientale, i finanziamenti pubblici a supporto della produzione e del consumo di combustibili fossili sono più che triplicati dal 2015, ostacolando la transizione verso emissioni nette zero. I sussidi ai combustibili fossili, infatti, hanno raggiunto un record di 1.530 miliardi di dollari nel 2022, invertendo la tendenza al ribasso osservata dal 2012 al 2020. L’aumento dei prezzi dell’energia post-Covid ha gonfiato questi sussidi, spingendo alcuni governi a introdurre nuove misure di supporto. Di conseguenza, i finanziamenti pubblici per la produzione e il consumo di petrolio, carbone e gas sono più che raddoppiati dal 2021 al 2022 e triplicati dal 2015, ostacolando i progressi verso la transizione a emissioni nette zero.
Gli SDG che hanno registrato risultati significativi
Se il dato prevalente che emerge dal monitoraggio attuale dello stato di attuazione degli SDG è di grave ritardo rispetto alla tabella di marcia ideale per il raggiungimento degli stessi entro il 2030, tuttavia ci sono anche alcune notizie positive. Il rapporto 2024 di monitoraggio delle NU dimostra, infatti, che sono stati fatti progressi su questioni come la riduzione del tasso di mortalità infantile globale, l’incidenza delle infezioni da HIV-ADIS e il costo delle rimesse, e sull’aumento dell’accesso all’acqua e ai servizi igienico-sanitari, all’energia e alla banda larga mobile. Non mancano, cioè, target che hanno ottenuto risultati molto incoraggianti. In particolare, vanno sottolineati schematicamente:
Il target 3.2 (Entro il 2030, mettere fine alle morti evitabili di neonati e bambini sotto i 5 anni di età, con l’obiettivo per tutti i paesi di ridurre la mortalità neonatale a non più di 12 su 1.000 nati vivi e, per i bambini al di sotto dei 5 anni, ridurre la mortalità a non più di 25 su 1.000 nati vivi) mostra risultati nella giusta direzione [13] : la mortalità infantile sotto i cinque anni è diminuita significativamente, passando da 6 milioni di decessi nel 2015 a 4,9 milioni nel 2022. Anche il tasso di mortalità neonatale ha visto un decremento sostanziale.
Sia il target 6.1 (Entro il 2030, conseguire l’accesso universale ed equo all’acqua potabile sicura e alla portata di tutti) che il 6.2 (Entro il 2030, raggiungere un adeguato ed equo accesso ai servizi igienico-sanitari e di igiene per tutti ed eliminare la defecazione all’aperto, con particolare attenzione ai bisogni delle donne e delle ragazze e di coloro che si trovano in situazioni vulnerabili) hanno registrato buoni risultati [14] . L’accesso all’acqua potabile sicura è aumentato dal 69% nel 2015 al 73% nel 2022, mentre l’accesso a servizi igienici sicuri è cresciuto dal 49% al 57% nello stesso periodo.
SDG 7 – Energia pulita e accessibile
Il target 7.2 (Entro il 2030, aumentare notevolmente la quota di energie rinnovabili nel mix energetico globale) sta conseguendo risultati postivi [15] , infatti la quota globale di fonti rinnovabili nel consumo totale di energia finale è aumentata dal 10% nel 2015 al 12,5% nel 2021, con il settore dell’elettricità che guida questo progresso, a fronte di una significativa varietà di progressi a seconda dei diversi settori di utilizzo finale. Nonostante le molteplici crisi legate a problemi di sicurezza energetica, volatilità dei prezzi delle materie prime, vincoli della catena di approvvigionamento e misure commerciali, gli sviluppi sul fronte dell’energia rinnovabile hanno, dunque, dimostrato una buona resilienza.
SDG 9 – Industria, innovazione e infrastrutture
In relazione all’SDG su Industria, innovazione e infrastrutture, il target 9.5 (Potenziare la ricerca scientifica, promuovere le capacità tecnologiche dei settori industriali in tutti i paesi, in particolare nei paesi in via di sviluppo, anche incoraggiando, entro il 2030, l’innovazione e aumentando in modo sostanziale il numero dei lavoratori dei settori ricerca e sviluppo ogni milione di persone e la spesa pubblica e privata per ricerca e sviluppo) è quello con risultati migliori, anche se concentrati soprattutto nei Paesi con economie ad alto reddito [16] . Gli investimenti in ricerca e sviluppo (R&D) e il numero di ricercatori per milione di abitanti hanno mostrato una crescita continua, con una significativa partecipazione del settore privato che ha rafforzato le capacità innovative globali.
Nonostante i progressi che vanno letti come segnali di speranza, il rapporto del 2024 sottolinea – come già ricordato – che solo il 17% dei target degli SDG è sulla buona strada per essere raggiunto entro il 2030, il che quindi non induce all’ottimismo.
È necessario un impegno globale rafforzato e una cooperazione internazionale per affrontare le sfide persistenti. In particolare, sono essenziali transizioni chiave nei settori dell’energia, dell’alimentazione e della connettività digitale, sostenute da un ampliato accesso alla protezione sociale, a lavori a condizioni dignitose e a un’istruzione di qualità.
Inoltre, dietro le tendenze globali, molti Paesi stanno perseguendo la trasformazione degli SDG con vera determinazione e stanno facendo progressi tangibili, a differenza di altri. Senza poter approfondire la situazione di ogni Paese, è comunque interessante fornire alcuni elementi di orientamento al riguardo.
Il confronto tra Paesi coi migliori e peggiori risultati
Nonostante le tendenze globali poco positive, ci sono Paesi che non solo stanno avanzando verso i target, ma stanno anche adottando misure innovative e efficaci per garantire un progresso sostenibile. Limitandoci a una panoramica generale [17] , si possono cogliere le differenze tra i primi dieci Paesi che si collocano al vertice e gli ultimi dieci – tra i 167 per i quali ci sono dati per la comparazione – per risultati, analizzando il punteggio globale sintetico (con un punteggio pari a 100 che indica che tutti gli SDG sono stati raggiunti) che misura il progresso totale verso il raggiungimento di tutti i 17 SDG e può essere interpretato come una percentuale di raggiungimento degli SDG stessi, il cruscotto con un giudizio sintetico indicato da un colore per ognuno degli SDG e un’indicazione correlata sull’andamento – positivo o meno - delle tendenze storiche.
In particolare, i Paesi ai vertici per risultati complessivi negli SDG sono quelli con economie sviluppate, robuste infrastrutture istituzionali, un sistema di Welfare State più avanzato e un forte impegno politico verso lo sviluppo sostenibile. Infatti, i Paesi nordici, tra cui la Finlandia (punteggio di 86,35 su 100), la Svezia (85,70) e la Danimarca (85,00), si distinguono per i loro punteggi complessivi negli SDG al vertice della classifica. Questi Paesi vantano eccellenti performance in settori quali salute, istruzione, uguaglianza di genere e infrastrutture sostenibili. Seguono, tra i primi dieci, altri Paesi europei [18] .
All’opposto, in coda alla classifica si trovano Paesi dell’Africa sub-sahariana, insieme a Paesi segnati da conflitti prolungati nel tempo e sistemi di governance non democratici, come Afghanistan e Yemen.
Nella prefazione del Rapporto mondiale delle Nazioni Unite sullo sviluppo delle risorse idriche 2024, intitolato “L’acqua per la prosperità e la pace”, viene sottolineato che “la crisi idrica che stiamo affrontando oggi può avere diverse manifestazioni e ripercussioni. Da un lato, i rischi di inondazione sono in aumento. Dall’altro, metà della popolazione mondiale sta affrontando una grave scarsità idrica. Tra il 2002 e il 2021, la siccità ha colpito più di 1,4 miliardi di persone, causando la morte di quasi 21.000 di esse. Diciamolo chiaramente: questa situazione potrebbe portare a una crisi sistemica nelle nostre società. Se l’umanità ha sete, le questioni fondamentali relative all’istruzione, alla salute e allo sviluppo sostenibile passeranno in secondo piano, eclissate dalla quotidiana lotta per l’acqua” e che “il 50% dei posti di lavoro nei paesi ad alto reddito dipende dall’acqua, percentuale che sale all’80% nei paesi a basso reddito”.
Di fronte a queste sfide riguardanti le risorse idriche, il rapporto avanza una serie di proposte:
- rafforzare l’educazione in materia di acqua;
- intensificare la raccolta di dati per orientare le politiche pubbliche;
- aumentare gli investimenti privati per garantire una gestione più sostenibile delle risorse idriche. In proposito nel rapporto viene ricordato che “l’accesso universale all’acqua potabile, ai servizi igienico-sanitari e all’igiene richiederà un investimento annuale di circa 114 miliardi di dollari fino al 2030. Si tratta di una somma considerevole, ma non agire ha un costo molto più alto”;
- attribuire un ruolo centrale alla cooperazione internazionale. In proposito nel rapporto viene evidenziato che “fiumi, affluenti, laghi e acquiferi non conoscono confini. Per questo motivo, nel corso degli anni, la gestione dell’acqua è stata più spesso fonte di cooperazione che di scontro. Riconoscendo nelle buone pratiche di gestione e nell’equa distribuzione delle risorse idriche un motore di pace, l’UNESCO lavora quotidianamente per rafforzare la cooperazione in materia di acqua e promuovere il multilateralismo come risposta alle questioni idriche transnazionali” e che l’UNESCO lavora, in primo luogo, per rafforzare la cooperazione transfrontaliera in materia di acqua [19] al fine di riunire i paesi nella gestione congiunta di acquiferi, laghi e bacini idrografici, e in secondo luogo “e questa è una priorità strategica per l’UNESCO, il nostro Programma mondiale di valutazione delle risorse idriche (WWAP) promuove l’uguaglianza di genere e l’empowerment delle donne nella gestione delle risorse naturali come motore di prosperità e di pace. L’appello all’azione lanciato dal Programma su questi temi è un’opportunità unica che la comunità internazionale può e deve cogliere”. Nel medesimo rapporto viene ricordato che “la Conferenza delle Nazioni Unite sull’acqua del 2023 ha invitato a rafforzare la cooperazione transfrontaliera in materia di risorse idriche al fine di accelerare i progressi in merito a sviluppo sostenibile e integrazione regionale, nonché per costruire una pace sostenibile”.
Gli obiettivi in materia di acque previsti dall’Agenda 2030
L'Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile, adottata con la risoluzione dell’ONU n. 70/1 del 15 settembre 2015, prevede il raggiungimento entro il 2030 di 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (OSS o SDG, acronimo quest’ultimo di Sustainable Development Goals). Due di questi obiettivi riguardano l’accesso all’acqua (OSS 6) e la tutela dell’ambiente marino (OSS 14).
L'OSS 6 mira a rendere l'acqua accessibile alla popolazione e agli ecosistemi, al fine di garantire la loro sopravvivenza. Tale obiettivo è declinato nei seguenti target:
6.1 Ottenere entro il 2030 l'accesso universale ed equo all'acqua potabile che sia sicura ed economica per tutti;
6.2 Ottenere entro il 2030 l'accesso ad impianti sanitari e igienici adeguati per tutti;
6.3 Migliorare entro il 2030 la qualità dell'acqua riducendone l'inquinamento, dimezzando la quantità di acque reflue non trattate e aumentando considerevolmente il riciclaggio e il reimpiego sicuro a livello globale;
6.4 Aumentare considerevolmente entro il 2030 l'efficienza nell'utilizzo dell'acqua in ogni settore e garantire approvvigionamenti e forniture sostenibili di acqua potabile, per affrontare la carenza idrica;
6.5 Implementare entro il 2030 una gestione delle risorse idriche integrata a tutti i livelli, anche tramite la cooperazione transfrontaliera, in modo appropriato;
6.6 Proteggere e risanare entro il 2030 gli ecosistemi legati all'acqua;
6.a Espandere entro il 2030 la cooperazione internazionale e il supporto per creare attività e programmi legati all'acqua e agli impianti igienici nei paesi in via di sviluppo;
6.b Supportare e rafforzare la partecipazione delle comunità locali nel miglioramento della gestione dell'acqua e degli impianti igienici.
L'OSS 14 mira a preservare la conservazione degli oceani, dei mari e delle risorse marine, quali elementi fondamentali per la salute e la salvaguardia dell'intero pianeta. Tale obiettivo è declinato nei seguenti target:
14.1 Entro il 2025, prevenire e ridurre in modo significativo ogni forma di inquinamento marino, in particolar modo quello derivante da attività esercitate sulla terraferma;
14.2 Entro il 2020, gestire in modo sostenibile e proteggere l'ecosistema marino e costiero per evitare impatti particolarmente negativi, anche rafforzando la loro resilienza;
14.3 Ridurre al minimo e affrontare gli effetti dell'acidificazione degli oceani, anche attraverso una maggiore collaborazione scientifica;
14.4 Entro il 2020, regolare in modo efficace la pesca e porre termine alla pesca eccessiva, illegale, non dichiarata e non regolamentata e ai metodi di pesca distruttivi;
14.5 Entro il 2020, preservare almeno il 10% delle aree costiere e marine;
14.6 Entro il 2020, vietare quelle forme di sussidi alla pesca che contribuiscono a un eccesso di capacità e alla pesca eccessiva o illegale o non dichiarata o non regolamentata;
14.7 Entro il 2030, aumentare i benefici economici dei piccoli stati insulari in via di sviluppo e dei paesi meno sviluppati, facendo ricorso a un utilizzo più sostenibile delle risorse marine, compresa la gestione sostenibile della pesca, dell'acquacoltura e del turismo;
14.a Aumentare la conoscenza scientifica;
14.b Fornire l'accesso ai piccoli pescatori artigianali alle risorse e ai mercati marini;
14.c Potenziare la conservazione e l'utilizzo sostenibile degli oceani e delle loro risorse.
Lo stato di attuazione degli OSS sulle acque a livello globale e in Italia
Nel Rapporto mondiale delle Nazioni Unite sullo sviluppo delle risorse idriche 2024, viene sottolineato che, a livello globale, “nessuno dei traguardi dell’Obiettivo di sviluppo sostenibile 6 sembra sul punto di essere conseguito. Nel 2022, 2,2 miliardi di persone non avevano accesso ad acqua potabile gestita in sicurezza. Di coloro che non potevano usufruire neanche di servizi essenziali di fornitura di acqua potabile, quattro su cinque vivevano in zone rurali. La situazione relativa a servizi igienico-sanitari gestiti in sicurezza rimane grave: 3,5 miliardi di persone, infatti, non hanno accesso a questi servizi. Le città e i municipi non sono stati in grado di tenere il passo con l’accelerazione della crescita della popolazione urbana. Le carenze in materia di monitoraggio e reporting hanno fatto sì che sia estremamente difficoltoso condurre un’analisi approfondita della maggior parte degli altri indicatori relativi ai traguardi dell’Obiettivo 6”.
Per quanto riguarda l’Italia, nel capitolo Goal 6 - Acqua pulita e servizi igienico-sanitari del rapporto Istat 2023 sugli SDG viene evidenziato che nel 2015-2019 lo stress idrico più alto è nel distretto idrografico del Fiume Po, condizionato dal maggior prelievo per l'agricoltura rispetto agli altri distretti idrografici. Nel 2020, l'Italia si colloca al secondo posto tra i Paesi dell'Ue per il prelievo pro capite di acqua potabile (155 metri cubi annui). Nel 2021, il numero di comuni capoluogo di provincia e città metropolitana sottoposti a misure di razionamento dell'acqua cresce da 11 del 2020 a 15 (2 dei quali nel Centro-Nord). Nel 2020, circa 7 milioni di abitanti sono privi di servizio pubblico di fognatura comunale. Nel 2022, circa una famiglia su tre non si fida di bere l'acqua del rubinetto e quasi una su dieci lamenta irregolarità nel servizio di distribuzione dell'acqua nell‘abitazione. Permangono inoltre condizioni di criticità nelle reti di distribuzione dell'acqua potabile: secondo le statistiche Istat sull’acqua, pubblicate nel marzo 2024, la quota di perdite idriche totali nelle reti comunali di distribuzione dell’acqua potabile nel 2022 è pari al 42,4%; la nota Istat sottolinea che “stimando un consumo pro capite pari alla media nazionale, il volume di acqua disperso nel 2022 soddisferebbe le esigenze idriche di 43,4 milioni di persone per un intero anno (che corrisponde a circa il 75% della popolazione italiana)”.
Nel capitolo Goal 14 - La vita sott'acqua del rapporto Istat 2023 sugli SDG viene evidenziato che sono in diminuzione nel 2021 i rifiuti marini spiaggiati, pari a 273 ogni cento metri di spiaggia, ma ancora lontani da quanto richiesto dalle raccomandazioni della Commissione Europea (20 rifiuti/100 m). Nel 2022 è protetto dalla “Rete Natura 2000” il 13,4% dell'area marina. Nel 2022, il 10,6% delle aree marine sono tutelate, in linea con il succitato target 14.5. Nel 2020 sono al limite della sostenibilità gli stock ittici (80,4%). Al tempo stesso, il settore della pesca soffre una consistente riduzione di attività: catture e ricavi diminuiscono di oltre il 25%. Nel 2021, l'88,1% delle acque di balneazione è di qualità eccellente e il 97,4% rispetta gli standard minimi, previsti dalla direttiva UE sulla balneazione.
Il significato del riconoscimento
La dottrina internazionalista è concorde nel ritenere che il riconoscimento di uno Stato non abbia un valore costitutivo, ma solo dichiarativo. Ciò implica che l’atto ha una natura eminentemente politica, nel senso che non produce in sé la soggettività internazionale dell’ente riconosciuto e “rileva null’altro che l’intenzione di stringere rapporti amichevoli, di scambiare rappresentanza diplomatiche e di avviare forme più o meno intense di collaborazione mediante la conclusione di accordi” (Conforti).
In alcune circostanze può esservi un divieto di riconoscimento di determinate entità, derivante da risoluzioni del Consiglio di sicurezza Onu, che sono atti giuridicamente vincolanti (come nel caso della Repubblica di Cipro del nord o dell’annessione irachena del Kuwait). In altri casi un divieto di riconoscimento può essere stabilito da risoluzioni dell’Assemblea generale dell’Onu, che pure non sono giuridicamente vincolanti (come per l’annessione russa della Crimea nel 2014 e degli altri territori ucraini nel 2022).
Il riconoscimento della Palestina
Nel caso della Palestina, ai sensi del diritto internazionale, non vi è nessun divieto di riconoscimento.
Al contrario, lo Stato di Palestina è riconosciuto da oltre i 2/3 dei membri dell’Onu, in particolare quasi tutti i Paesi di Asia, Africa e America Latina.
Dal 2012 la Palestina gode dello status di “Stato osservatore permanente dell’Onu” (in precedenza era “Stato osservatore presso l’Assemblea generale”). Lo scorso 18 aprile il Consiglio di sicurezza ha respinto la richiesta di adesione dello Stato di Palestina, per il veto degli Stati Uniti.
A seguito di questa decisione, il 10 maggio l’Assemblea Generale ha adottato una risoluzione (allegata al presente dossier) con cui, tra l’altro :
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dichiara che lo Stato di Palestina è qualificato per l'adesione alle Nazioni Unite in conformità con l'articolo 4 della Carta;
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raccomanda che il Consiglio di sicurezza riesamini la questione favorevolmente;
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riafferma il diritto del popolo palestinese all'autodeterminazione, incluso il diritto ad un proprio Stato indipendente;
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chiede sforzi rinnovati da parte della comunità internazionale per raggiungere la fine dell'occupazione israeliana iniziata nel 1967 e una soluzione giusta, duratura del conflitto israelo-palestinese, in conformità con il diritto internazionale, riaffermando il suo incrollabile sostegno alla soluzione dei due Stati di Israele e Palestina, che vivono fianco a fianco in pace e sicurezza entro confini riconosciuti, sulla base dei confini precedenti al 1967.
La risoluzione rafforza la posizione della Palestina all’interno dell’Assemblea generale, attribuendo ai suoi rappresentanti ulteriori diritti, tra cui:
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il diritto di essere seduti tra gli Stati membri in ordine alfabetico;
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il diritto di essere iscritti nell'elenco degli oratori per argomenti all'ordine del giorno diversi dalle questioni palestinesi e mediorientali;
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il diritto di fare dichiarazioni a nome di un gruppo di Stati e di presentare proposte ed emendamenti;
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il diritto di sollevare mozioni procedurali, compreso il diritto di contestare la decisione della Presidenza, anche a nome di un gruppo di Stati;
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il diritto di proporre argomenti da includere nell'ordine del giorno delle sessioni ordinarie o speciali;
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il diritto alla piena ed effettiva partecipazione alle conferenze delle Nazioni Unite e alle conferenze e riunioni internazionali convocate sotto gli auspici dell'Assemblea generale o, se del caso, sotto gli auspici di altri organi delle Nazioni Unite.
Si ricorda che comunque, la Palestina, in qualità di Stato osservatore, non ha il diritto di voto nell'Assemblea generale, né ha il diritto di presentare la propria candidatura agli organi delle Nazioni Unite.
Tale risoluzione ha ottenuto 143 voti favorevoli, 25 astensioni (tra cui l’Italia) e 9 voti contrari (tra cui Argentina, Repubblica Ceca, Ungheria, Israele e Stati Uniti).
Dal 2011 la Palestina è invece membro a pieno titolo dell’UNESCO.
All’interno dell’Ue, cinque Paesi appartenenti all’ex blocco sovietico hanno riconosciuto la Palestina nel 1988: oltre a Bulgaria, Ungheria, Polonia, Romania, anche la Cecoslovacchia. Dopo la dissoluzione di quest’ultima, la Repubblica Ceca ha dichiarato formalmente che il riconoscimento non si applicava al nuovo Stato, mentre la Slovacchia lo ha confermato nei primi anni ’90. Hanno riconosciuto la Palestina anche Cipro e Svezia, cui lo scorso maggio si sono aggiunti Spagna e Irlanda (oltre alla Norvegia, Paese extra Ue) e poi, a giugno, la Slovenia.
Il dibattito nel Parlamento italiano
Lo scorso 11 settembre la Commissione affari esteri e difesa del Senato ha avviato l’esame del disegno di legge n. 1196, che ha per oggetto il riconoscimento da parte dell’Italia dello Stato di Palestina, con capitale Gerusalemme Est. Si tratta di un disegno di legge di iniziativa popolare, presentato ai sensi dell’art.71, comma 2 della Costituzione.
Il provvedimento è composto di 2 articoli. L’articolo 1 dispone il riconoscimento formale da parte dell’Italia della Palestina, con capitale Gerusalemme Est, “come Stato sovrano e indipendente, conformemente alle risoluzioni delle Nazioni Unite e al diritto internazionale”. L’articolo 2 stabilisce che il provvedimento entri in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.
Sul tema, si ricorda che nella seduta dello scorso 4 luglio, la Camera dei deputati ha adottato la risoluzione 1-00301, Orsini e altri, proposta dai gruppi della maggioranza, che impegna il Governo a:
- continuare a profondere ogni sforzo diplomatico per sostenere l'attuazione del piano di pace nei termini previsti dalla risoluzione n. 2735(2024) del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite (che riguarda l’attuale situazione di crisi);
- continuare ad operare, anche attraverso l'iniziativa «Food for Gaza», affinché venga assicurata la costante e continua fornitura di aiuti umanitari alla popolazione civile della Striscia di Gaza;
- collaborare con gli altri partner internazionali per coordinare e promuovere iniziative per una pace negoziata e duratura tra Israele e Palestina;
- sostenere nelle opportune sedi europee e internazionali iniziative finalizzate al riconoscimento dello Stato di Palestina nel quadro di una soluzione negoziata fondata sulla coesistenza di due Stati sovrani e democratici, che possano riconoscersi reciprocamente e vivere fianco a fianco in pace e sicurezza.
Sono state invece respinte le mozioni (1-00291, nuova formulazione, Ricciardi e altri; 1-00299, Zanella e altri; 1-00302, Provenzano e altri), che chiedevano il riconoscimento dello Stato di Palestina.
La Camera ha altresì approvato i dispositivi (ma non le premesse) delle mozioni 1-00304 testo modificato nel corso della seduta, Rosato e altri, e 1-00305, testo modificato nel corso della seduta, Faraone e altri nonché, seppure parzialmente, il dispositivo della risoluzione 1-00306, Della Vedova e altri.
In occasione di un’audizione presso le commissioni congiunte 3ª (Affari esteri e difesa) del Senato della Repubblica e III (Affari esteri e comunitari) della Camera dei deputati dello scorso 14 giugno, il Ministro degli esteri e della cooperazione internazionale, Antonio Tajani, ha espresso la posizione del Governo sul punto: “il nostro Governo è fermamente convinto della necessità di arrivare, in tempi ravvicinati, alla creazione di uno Stato palestinese che riconosca Israele e sia al contempo riconosciuto da Israele. La risoluzione dell'Assemblea generale sul riconoscimento della Palestina non aiuta a perseguire concretamente questo obiettivo. Le scelte unilaterali di riconoscimento dello Stato palestinese assunte da diversi Paesi europei (che rispettiamo ovviamente) rischiano addirittura di rivelarsi controproducenti. La soluzione, per essere efficace e sostenibile, non può che scaturire da un negoziato con Israele. Non è più il tempo di azioni simboliche; è tempo di fatti e risultati concreti. Il nostro impegno va in questa direzione”.
In termini analoghi il ministro si è espresso nel corso dell’audizione presso le medesime commissioni, lo scorso 6 agosto: “il Governo crede nella necessità di arrivare in tempi certi e ravvicinati alla creazione di uno Stato palestinese che riconosca Israele e sia al contempo riconosciuto da Israele. Ma una soluzione a due Stati efficace e sostenibile deve scaturire da un negoziato tra le parti”.
L'Assemblea generale commemora il 26 settembre come Giornata internazionale per l'eliminazione totale delle armi nucleari. In conformità con la risoluzione dell'Assemblea generale che l’ha istituita (68/32 del 2013) e con le risoluzioni successive, lo scopo della Giornata internazionale è promuovere l'obiettivo dell'eliminazione totale delle armi nucleari attraverso il rafforzamento della consapevolezza e dell'educazione pubblica sulla minaccia posta all'umanità dalle armi nucleari e sulla necessità della loro totale eliminazione.
Tale tema assume oggi un rilievo particolare, perché le tensioni dello scenario globale hanno fatto riemergere il tema degli armamenti nucleari, che con la fine della guerra fredda sembrava destinato a ridursi, se non a esaurirsi completamente. Se negli ultimi anni la minaccia del first strike è stata agitata per lo più da Paesi con capacità ridotte (a cominciare dalla Corea del Nord), con l’avvio dell’aggressione all’Ucraina il tema del possibile utilizzo di armi nucleari, seppure ‘tattiche’, è diventato un frequente ingrediente della retorica del Cremlino.
Secondo l’Annuario SIPRI (Stockholm International Peace Research Institute) all’inizio del 2024, nove stati – Stati Uniti, Federazione Russa, Regno Unito, Francia, Cina, India, Pakistan, Repubblica democratica popolare di Corea e Israele – possiedono insieme circa 12.121 armi nucleari, di cui 9.585 considerate tali potenzialmente disponibili operativamente. Si stima che circa 3904 di queste testate siano schierato con forze operative, di cui circa 2100 mantenuti in uno stato di massima allerta operativa (circa 100 in più rispetto all'anno precedente).
Anche se, nel complesso, il numero di testate nucleari nel mondo continua a diminuire, le testate operative tornano a crescere. Gli Stati Uniti e la Russia, che insieme possiedono quasi il 90% di tutte le armi nucleari, hanno in corso ampi programmi per sostituire e modernizzare le loro testate nucleari, i sistemi di lancio e gli impianti di produzione. La Cina, dal canto suo, sta operando una significativa modernizzazione ed espansione del suo arsenale nucleare, che si prevede continuerà a crescere nei prossimi anni. Alcune proiezioni suggeriscono che nel prossimo decennio la Cina potrebbe potenzialmente schierare lo stesso numero di missili balistici intercontinentali di Russia e Stati Uniti (anche se con un numero di testate nucleari comunque inferiore).
Anche gli altri Stati dotati di armi nucleari stanno sviluppando o implementando nuovi sistemi d'arma o hanno annunciato la loro intenzione di farlo. India e Pakistan stanno aumentando le dimensioni dei loro arsenali e il Regno Unito prevede di aumentare le sue scorte. Il programma nucleare militare della Corea del Nord rimane centrale per la sua strategia di sicurezza nazionale e potrebbe aver assemblato fino a 50 armi nucleari. Israele continua a mantenere la sua politica di lunga data di ambiguità nucleare, lasciando una significativa incertezza sul numero e le caratteristiche delle sue armi nucleari.
L’acuirsi delle tensioni tra Stati Uniti e Russia ha avuto ricadute deleterie anche sul fronte della non proliferazione e del controllo degli armamenti nucleari. Nel febbraio del 2023, in risposta a presunte violazioni da parte degli Stati Uniti, Mosca ha annunciato di sospendere la propria partecipazione al trattato NEW START (New Strategic Arms Reduction Treaty), e nel mese di ottobre ha denunciato il Trattato sul bando degli esperimenti nucleari (CTBT, Comprehensive Nuclear-Test-Ban Treaty). Nell’aprile del 2024 la Russia ha anche posto il veto su una risoluzione del Consiglio di sicurezza ONU, volta a bandire gli esperimenti nucleari nello spazio. Tutto ciò mette anche in discussione gli sforzi della comunità internazionale di estendere la governance globale, in funzione di contenimento, ai Paesi che aspirano a dotarsi dell’arma nucleare e a quelli che stanno incrementando in maniera massiccia i propri arsenali, come la Cina.
Il tema di nuovi strumenti di difesa nucleare è all’ordine del giorno anche in Europa, da sempre protetta dallo scudo statunitense, perfino in Paesi, come la Germania, in cui una discussione del genere era impensabile solo pochi anni fa. Nell’immediato anche su questo, delicatissimo, terreno, per l’Europa (dentro e fuori l’Unione) si pone il tema di riconsiderare le proprie condizioni di sicurezza, anche attraverso qualche forma di condivisione delle proprie (ridotte) capacità nucleari.
Con il decreto-legge n. 161 del 2023 il Governo ha adottato misure urgenti per definire la governance del cosiddetto “Piano Mattei”, finalizzato a rafforzare la collaborazione tra l'Italia e gli Stati del Continente africano secondo la "formula" del fondatore di ENI Enrico Mattei, che punta a "coniugare l'esigenza italiana di rendere sostenibile la propria crescita con quella di coinvolgere le Nazioni africane in un processo di sviluppo e progresso.
Le differenti ramificazioni del Piano sono state recentemente sottoposte al Parlamento attraverso l’esame dello schema di Decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di adozione del c.d. «Piano Mattei» (A. G. 179).
Qui il parere favorevole espresso dalla III Commissione Affari esteri della Camera il 5 agosto 2024.
Qui il parere favorevole espresso dalla III Commissione Affari esteri e Difesa del Senato il 5 agosto 2024.
Le line generali del Piano Mattei erano state presentate nel corso della prima iniziativa della Presidenza italiana del G7, ovvero il "Vertice Italia-Africa" che ha avuto luogo lo scorso 29 gennaio alla presenza dei rappresentanti di 46 Nazioni africane, la maggior parte delle quali a livello di Capi di Stato e di Governo, dei tre Presidenti delle Istituzioni europee, dei vertici delle Nazioni Unite, dell'Unione Africana, delle Organizzazioni internazionali, delle Istituzioni finanziarie e delle Banche multilaterali di sviluppo.
Nel corso del Vertice, "il Governo italiano ha illustrato alle Nazioni africane la visione italiana sul partenariato paritario con il Continente africano e ha descritto l'impianto del Piano, concepito come una piattaforma programmatica e operativa aperta alla costante collaborazione con le Nazioni africane, sia nella fase di definizione che di attuazione degli interventi. Il Vertice ha consolidato il ruolo dell'Italia come partner concreto e affidabile e ha permesso di raccogliere una prima condivisione degli aspetti salienti del Piano, soprattutto con le Istituzioni interessate dai progetti pilota previsti dalla prima fase di attuazione" (si legge a pagina 4 dello schema di DPCM A.G. 179).
Qui l'intervento di apertura del Vertice Italia – Africa, della Presidente del Consiglio Meloni (Senato, 29 gennaio 2024).
Qui, l'intervento del Presidente della Repubblica in occasione del pranzo che ha inaugurato il Vertice Italia –Africa (Palazzo del Quirinale, 28 gennaio 2024).
In estrema sintesi si ricorda che ai sensi dell’articolo 1 del decreto legge n. 161 del 2023 la collaborazione dell'Italia con i Paesi africani è attuata in conformità con il Piano strategico Mattei, di durata quadriennale e aggiornabile anche antecedentemente.
Il medesimo articolo individua gli ambiti di intervento e priorità di azione del Piano (cfr. infra) e prevede, come sopra rilevato, che il medesimo venga adottato con decreto del Presidente del Consiglio, previo parere delle Commissioni parlamentari (quest'ultima previsione è stata inserita nel corso dell'esame in sede referente al Senato). A sua volta l'articolo 2 istituisce la Cabina di regia per la definizione e l'attuazione del Piano i cui compiti sono definiti dal successivo articolo 3. Al fine di supportare le attività connesse al Piano Mattei e i lavori della Cabina di regia, l'articolo 4 istituisce, a decorrere dal 1° dicembre 2023, una apposita struttura di missione presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, individuandone la composizione e le funzioni alla stessa attribuite.
Si ricorda, inoltre, che ai sensi dell'articolo 5 entro il 30 giugno di ciascun anno, il Governo è tenuto a trasmettere alle Camere una relazione sullo stato di attuazione del Piano, previa approvazione da parte della Cabina, che indichi le misure volte a migliorare l'attuazione del Piano Mattei e ad accrescere l'efficacia dei relativi interventi rispetto agli obiettivi perseguiti. L'articolo 6 quantifica gli oneri derivanti dall'istituzione della struttura di missione di cui all'art.4, pari a euro 2.820.903 annui a decorrere dall'anno 2024 e provvede alla relativa copertura.
Qui l'iter al Senato del decreto legge n. 161 del 2024. Qui l'iter alla Camera.
Dal punto di vista operativo, il Piano si declina attraverso progetti pilota in nove Nazioni: quattro del quadrante nord africano (Egitto, Tunisia, Marocco e Algeria) e cinque del quadrante subsahariano (Kenya, Etiopia, Mozambico, Repubblica del Congo e Costa d'Avorio). I pilastri principali sono quelli dell’Istruzione, dell’Agricoltura, della Salute, dell’Energia e dell’Acqua, mentre la guida del progetto è affidata ad una apposita cabina di regia, presieduta dal Presidente del Consiglio, dal Ministro degli Esteri, da tutti i ministri coinvolti nei progetti e dai dirigenti delle aziende pubbliche e delle istituzioni che collaborano al progetto.
Come si legge nello schema di DPCM (pag.7)“il Piano Mattei sviluppa nuovi progetti o sostiene attivamente iniziative già in corso, condividendo con le Nazioni africane le fasi di elaborazione, definizione e attuazione dei progetti, al fine di garantire ritorni - economici e sociali - destinati a rimanere sul territorio e costituire una leva stabile di risorse per successive espansioni. L'elaborazione degli interventi che compongono il Piano scaturirà, infatti, da contatti diretti preliminari con i rappresentanti dei partner africani, anche a garanzia di una piena appropriazione nazionale lungo tutto il ciclo di attuazione delle iniziative stesse”.
In una seconda fase il Piano si estenderà, secondo una logica incrementale, ad altri Stati del continente.
Con riferimento alle risorse, il Governo (cfr. pag. 44 dello schema di DPCM) a presente che il Piano Mattei potrà avvalersi di una pluralità di canali di finanziamento ai quali attingere per l'attuazione dei progetti.
Nello specifico nella sua prima fase il Piano Mattei potrà contare su una dotazione iniziale di 5 miliardi e 500 milioni di euro tra crediti, operazioni a dono e garanzie (cfr. box infra), di cui circa 3 miliardi reperiti dal Fondo Italiano per il clima e 2,5 miliardi dai fondi della Cooperazione allo sviluppo.
Per un approfondimento si rimanda al Dossier.
Fonte: Servizio Studi, Camera dei Deputati, rielaborazione dati A.G. 179
L'articolo 2 del decreto legge n. 161 del 2023 ha istituito la Cabina di regia per la definizione e l'attuazione del “Piano Mattei”.
Oltre al Presidente del Consiglio e al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, fanno parte della cabina di regia, ai sensi dell’articolo in esame:
-
il vice Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale delegato in materia di cooperazione allo sviluppo;
-
il vice Ministro delle imprese e del made in Italy delegato in materia di promozione e valorizzazione del made in Italy nel mondo;
-
il vice Ministro dell’ambiente e della sicurezza energetica delegato in materia di politiche e attività relative allo sviluppo sostenibile (previsione aggiunta in sede referente);
-
il presidente della Conferenza delle regioni e delle province autonome;
-
il direttore dell’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo;
-
il presidente dell’ICE-Agenzia italiana per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane;
-
un rappresentante della società Cassa depositi e prestiti S.p.A.;
-
un rappresentante della società SACE S.p.A.;
-
un rappresentante della società Simest S.p.A.
Il citato articolo ha inoltre previsto che con successivo decreto del Presidente del Consiglio dei ministri (da adottarsi entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del decreto legge), vengano individuati gli altri membri della cabina, scelti tra:
- rappresentanti di imprese a partecipazione pubblica;
- rappresentanti di imprese industriali (previsione aggiunta in sede referente)
- rappresentanti della Conferenza dei rettori delle università italiane (previsione aggiunta in sede referente) e del sistema dell’università e della ricerca;
-
rappresentanti della società civile e del terzo settore;
-
rappresentanti di enti pubblici o privati;
-
esperti nelle materie trattate.
A tal proposito si segnala che con DPCM del 6 marzo 2024 sono stati individuati ulteriori enti. Il richiamato DPCM ha previsto, inoltre, che “ove se ne ravvisi la necessità, alle riunioni della Cabina di Regia, sulla base degli argomenti iscritti all'ordine del giorno e in ragione delle tematiche oggetto di trattazione, possono essere invitati soggetti ulteriori”.
Le iniziative per il sostegno della presenza di imprese italiane nel continente africano e per l’internazionalizzazione delle imprese italiane
L’articolo 10 del D.L. n. 89 del 2024, reca varie misure a sostegno dell’internazionalizzazione delle imprese italiane, con particolare riguardo al continente africano.
Una prima misura (commi 1-4 e commi 7-9) consente l’utilizzo di una quota, nel limite di euro 200 milioni, delle disponibilità del “Fondo 394” (fondo rotativo di cui all’articolo 2, primo comma, del decreto-legge 28 maggio 1981, n. 251, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 luglio 1981, n. 394) per concedere finanziamenti agevolati alle imprese operanti con il continente africano. La riserva di 200 milioni non è riferita a una specifica annualità, ma opera fino a esaurimento.
Come si legge nella relazione illustrativa allegata al provvedimento, la misura non presenta condizioni maggiormente agevolative rispetto alle ordinarie condizioni di finanziamento del fondo ex legge 394/81. La specialità deriva esclusivamente dalla definizione di uno specifico strumento ad hoc, diverso da quelli già esistenti, per supportare le imprese italiane sui mercati africani.
Più specificamente, si tratta delle imprese che stabilmente sono presenti, esportano o si approvvigionano nel continente africano, ovvero che sono stabilmente fornitrici delle predette imprese, al fine di sostenerne spese di investimento per il rafforzamento patrimoniale, investimenti digitali, ecologici, nonché produttivi o commerciali.
I commi da 7 a 9 definiscono, poi, taluni aspetti procedurali propedeutici all’erogazione dei finanziamenti in argomento. In particolare, ai sensi del comma 7, Cassa depositi e prestiti Spa svolge l’istruttoria, approva gli interventi e li comunica a un Comitato tecnico, il quale, previa verifica della coerenza dell’intervento con le finalità della norma, ne delibera la procedibilità. Il Comitato tecnico è istituito, con DPCM, presso la Presidenza del Consiglio nell’ambito della Struttura di missione del Piano Mattei, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica ed è composto da quattro rappresentanti della Presidenza del Consiglio (di cui uno con funzioni di presidente), da un rappresentante di ciascuno dei seguenti Ministeri: affari esteri e cooperazione internazionale, ambiente e sicurezza energetica e Ministero dell’economia e delle finanze. Ai componenti del Comitato tecnico non spettano compensi, gettoni di presenza, rimborsi di spese o altri emolumenti comunque denominati.
Una seconda misura (commi 5, 6 e 10), al fine di sostenere iniziative e progetti promossi nell’ambito del Piano Mattei autorizza Cassa depositi e prestiti Spa, nel limite massimo di 500 milioni di euro per l’anno 2024, a concedere finanziamenti alle imprese per interventi coerenti con il Piano Mattei. Più specificamente, i finanziamenti possono essere concessi sotto qualsiasi forma anche mediante strumenti di debito subordinato, a valere sulla gestione separata della Cassa, anche congiuntamente al finanziamento bancario o di altre istituzioni finanziarie, prioritariamente a favore di imprese stabilmente operative in Stati del continente africano, per la realizzazione di interventi nei seguenti settori: infrastrutture; tutela dell’ambiente e approvvigionamento e sfruttamento sostenibile delle risorse naturali, incluse quelle idriche ed energetiche; salute; agricoltura e sicurezza alimentare; manifatturiero.
Inoltre, la concessione dei finanziamenti effettuata da Cassa depositi e prestiti Spa è assistita da garanzia statale in misura pari all’80 per cento per singolo intervento, nei limiti delle risorse di un fondo che viene istituito con una dotazione di 400 milioni di euro per il 2024, ai cui oneri si provvede mediante versamento all’entrata del bilancio dello Stato per la successiva riassegnazione al fondo di un corrispondente importo a valere sulle risorse destinate ad alimentare il Fondo per indennizzare le vittime delle frodi finanziarie [20] . In tal caso, le funzioni del Comitato di indirizzo e del Comitato direttivo del Fondo italiano per il clima sono svolte dal Comitato tecnico sopra descritto.
Cassa depositi e prestiti SpA è autorizzata ad assolvere ai compiti di istituzione finanziaria per la Cooperazione internazionale allo sviluppo (c.d. braccio finanziario della cooperazione), nonché di banca di sviluppo, con facoltà di operare in tutti i Paesi in via di sviluppo. Una convenzione MAECI-AICS-Cassa depositi e prestiti (CDP) firmata il 14 dicembre 2020 (ed emendata il 1° febbraio 2021) ne regola i rapporti in attuazione dell'articolo 22, commi 2 e 5, della legge 125/2014.
Dal 1° gennaio 2016 CDP effettivamente gestisce il più importante strumento della cooperazione allo sviluppo, che è il Fondo rotativo per la Cooperazione allo sviluppo (istituito dall'art. 26 della legge 227/1977), essenzialmente diretto ai finanziamenti a Stati sovrani, quindi a Governi (settore pubblico sovrano) e, in aggiunta a ciò, essa è stata autorizzata, a partire dal 2017, ad utilizzare anche proprie risorse rivenienti dal risparmio postale.
Al riguardo si ricorda che l’Italia fornisce ai Paesi in Via di Sviluppo prestiti agevolati a condizioni concessionali come strumento di cooperazione internazionale allo sviluppo. Questi vengono finanziati tramite il Fondo Rotativo per la Cooperazione allo Sviluppo presso il Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF), gestito da Cassa Depositi e Prestiti (CDP). L’approvazione dei prestiti è responsabilità del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale (MAECI), mentre la progettualità e l’implementazione nei paesi riceventi sono di competenza dell’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo (AICS). Per approfondimenti si veda qui
CDP è stata autorizzata (art. 22, comma 4 della legge 125/2014 e art. 5, comma 7, lett. a) del decreto legge 269/2003 convertito, con modificazioni dalla legge 326/2003) a destinare risorse proprie, nel limite annuo stabilito con separata convenzione con il Ministero dell'economia e delle finanze, a iniziative di cooperazione allo sviluppo anche in regime di cofinanziamento con soggetti privati, ovvero con istituzioni finanziarie europee, multilaterali o sovranazionali.
Ai sensi del comma 493 della legge 234/2021 (legge di bilancio 2022) Cassa depositi e prestiti S.p.a. gestisce anche il Fondo per il clima (istituito dai commi 488-497, della richiamata legge 234/2021) sulla base di apposita convenzione con il Ministero dell’ambiente, che disciplina l'impiego delle risorse del Fondo medesimo. In attuazione di tale disposizione, la disciplina di dettaglio del FIC è stata emanata con il D.M. 21 ottobre 2022.
Si ricorda che il Fondo per il clima è un fondo rotativo istituito nello stato di previsione del Ministero dell’ambiente, destinato al finanziamento di interventi a favore di soggetti privati e pubblici, volti a contribuire al raggiungimento degli obiettivi stabiliti nell'ambito degli accordi internazionali sul clima e sulla tutela ambientale, dei quali l'Italia è parte.
In base al primo periodo del comma 494 – al fine di contribuire al raggiungimento degli obiettivi del Fondo italiano per il clima, affiancandone l'operatività e potenziandone la capacità d'impatto – la Cassa depositi e prestiti Spa può intervenire sia nell'esercizio delle proprie funzioni di istituzione abilitata a svolgere compiti di esecuzione dei fondi e delle garanzie di bilancio dell'UE, nonché di altri fondi multilaterali, sia mediante l'impiego delle risorse della gestione separata, con interventi di finanziamento sotto qualsiasi forma, inclusi l'assunzione di capitale di rischio e di debito ed il rilascio di garanzie, anche mediante il cofinanziamento di singole iniziative.
A tal riguardo si osserva che la legge di bilancio per l’anno 2024 ha abrogato l’ultimo periodo del comma 494 dell’art. 1 della legge di bilancio 2022 (L. 234/2021), secondo il quale le esposizioni della Cassa depositi e prestiti, a valere sulle risorse della gestione separata, per interventi volti a contribuire al raggiungimento degli obiettivi del Fondo italiano per il clima (FIC), possono beneficiare della garanzia del Fondo medesimo.
Per assicurare la governance del FIC sono istituiti (dal comma 496) due organi interministeriali: il Comitato di indirizzo e il Comitato direttivo.
La disciplina di tali organi è stata emanata con il D.M. 21 ottobre 2022, come modificato dal D.M. 15 giugno 2023.
Una terza misura (comma 11), demanda ad un DPCM la determinazione dell’orientamento strategico e delle priorità di investimento delle risorse del Fondo italiano per il clima, che deve essere destinato – anche in parte – a supporto delle finalità e degli obiettivi del Piano Mattei.
I commi da 488 a 497 dell’articolo 1 della legge di bilancio 2022 (L. 234/2021) hanno istituito un fondo rotativo, denominato “Fondo italiano per il clima” (FIC), con una dotazione pari a 840 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2022 al 2026 e di 40 milioni a partire dal 2027.
Le risorse di tale fondo sono allocate nel capitolo 8413 "Fondo rotativo italiano per il clima" del MASE. Nel disegno di legge di assestamento del 2024, in corso di esame alla Camera, tale capitolo ha uno stanziamento assestato di competenza di 1.040 milioni di euro, che fa segnare un incremento di 200 milioni rispetto al dato iniziale (derivante dal rifinanziamento operato dall'art. 13 del D.L. 181/2023, come convertito dalla legge 11/2024).
Il Fondo è destinato al finanziamento di interventi a favore di soggetti privati e pubblici, volti a contribuire al raggiungimento degli obiettivi stabiliti nell'ambito degli accordi internazionali sul clima e sulla tutela ambientale dei quali l'Italia è parte. Africa e Medio Oriente rappresentano regioni prioritarie di intervento per il Fondo.
Oltre a quanto richiamato, il comma 488 dispone inoltre che con uno o più decreti ministeriali sono stabiliti le condizioni, i criteri e le modalità per l'utilizzo delle risorse del Fondo.
In attuazione di tale disposizione, la disciplina di dettaglio del FIC è stata emanata con il D.M. 21 ottobre 2022.
Il comma 488-bis (inserito dall'art. 45, comma 2-bis, del D.L. 13/2023) prevede che le risorse del FIC siano impignorabili, mentre il successivo comma 489 dispone che, per le finalità individuate dal comma 488, il FIC può intervenire, in conformità alla normativa dell'UE, attraverso:
a) l'assunzione di capitale di rischio, mediante fondi di investimento o di debito o fondi di fondi, o altri organismi o schemi di investimento, anche in forma subordinata se l'iniziativa è promossa o partecipata da istituzioni finanziarie di sviluppo bilaterali e multilaterali o da istituti nazionali di promozione;
b) la concessione di finanziamenti in modalità diretta o indiretta mediante istituzioni finanziarie, anche in forma subordinata se effettuati mediante istituzioni finanziarie europee, multilaterali e sovranazionali, istituti nazionali di promozione o fondi multilaterali di sviluppo;
c) il rilascio di garanzie, anche di portafoglio, su esposizioni di istituzioni finanziarie, incluse istituzioni finanziarie europee, multilaterali e sovranazionali, nonché altri soggetti terzi autorizzati all'esercizio del credito, di fondi multilaterali di sviluppo e di fondi promossi o partecipati da istituzioni finanziarie di sviluppo bilaterali e multilaterali e da istituti nazionali di promozione.
Il comma 493 dispone invece che il FIC è gestito dalla Cassa depositi e prestiti Spa sulla base di apposita convenzione da stipulare con il Ministero della transizione ecologica (ora dell’ambiente e della sicurezza energetica, dopo la ridenominazione operata dal D.L. 173/2022).
In base al comma 494 – al fine di contribuire al raggiungimento degli obiettivi del Fondo italiano per il clima, affiancandone l'operatività e potenziandone la capacità d'impatto – la Cassa depositi e prestiti Spa può intervenire sia nell'esercizio delle proprie funzioni di istituzione abilitata a svolgere compiti di esecuzione dei fondi e delle garanzie di bilancio dell'UE, nonché di altri fondi multilaterali, sia mediante l'impiego delle risorse della gestione separata, con interventi di finanziamento sotto qualsiasi forma, inclusi l'assunzione di capitale di rischio e di debito ed il rilascio di garanzie, anche mediante il cofinanziamento di singole iniziative.
Per assicurare la governance del FIC sono istituiti (dal comma 496) due organi interministeriali: il Comitato di indirizzo e il Comitato direttivo.
La disciplina di tali organi è stata emanata con il D.M. 21 ottobre 2022, come modificato dal D.M. 15 giugno 2023.
L'articolo 13 del D.L. 181/2023, ha rifinanziato il Fondo italiano per il clima in misura pari a 200 milioni di euro per l'anno 2024 per gli interventi di cui all'articolo 1, comma 489, della legge 30 dicembre 2021, n. 234 (a norma del quale il Fondo può intervenire, in conformità alla normativa dell'UE, attraverso l'assunzione di capitale di rischio, la concessione di finanziamenti in modalità diretta o indiretta e il rilascio di garanzie).
Con la sezione II della legge di bilancio 2024 (L. 213/2023) è stata operata una riprogrammazione delle risorse del Fondo, che determina una riduzione di 280 milioni di euro annui per il triennio 2024-2026.
L'articolo 15, comma 4, del D.L. 60/2024, integra la disciplina del Fondo italiano per il clima, specificandone il sistema dei limiti di rischio, al fine di perseguire il mantenimento di un'adeguata disponibilità di risorse del Fondo medesimo in un arco pluriennale.
Nel disegno di legge di assestamento del 2024, in corso di esame alla Camera, il capitolo 8413 "Fondo rotativo italiano per il clima" del MASE reca uno stanziamento assestato di competenza di 1.040 milioni di euro, che fa segnare un incremento di 200 milioni rispetto al dato iniziale (derivante dal rifinanziamento operato dall'art. 13 del D.L. 181/2023, come convertito dalla legge 11/2024).
Una quarta misura (comma 12), rifinanzia per euro 50 milioni per l’anno 2024 del fondo rotativo per operazioni di venture capital di cui all’articolo 1, comma 932, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (legge finanziaria 2007) (FVC”).
Si ricorda che la legge finanziaria 2007 ha unificato in un unico Fondo rotativo per operazioni di venture capital tutti i fondi rotativi gestiti dalla Simest s.p.a. destinati ad operazioni di acquisizione di quote di capitale di rischio (venture capital) in Paesi non aderenti all'Unione europea nonché il Fondo rotativo, sempre gestito da Simest, per operazioni di venture capital in imprese costituite o da costituire nei Paesi dell'area balcanica di cui all'articolo 5, comma 2, lettera c), della L. n. 84/2001.
Il Fondo unico di venture capital, ha cominciato ad operare nel 2007, al fine di garantire, in presenza di un progressivo esaurimento delle risorse finanziarie destinate a particolari aree geografiche, il sostegno alle attività di piccole e medie dimensioni e, nel contempo, di razionalizzare l’operatività dei diversi Fondi anche alla luce dell’intervento dei Fondi medesimi verso nuovi Paesi ed aree geografiche.
Tale rifinanziamento del FVC è disposto mediante preliminare versamento all’entrata da parte di Simest s.p.a. (entro 30 giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto-legge) e successiva riassegnazione da parte del MEF (con decreto, da adottare entro 30 giorni dal versamento) al FVC delle disponibilità del conto corrente di tesoreria n. 22044 intestato a Simest s.p.a., a valere sulle risorse ivi confluite in base all’autorizzazione di spesa di cui all’articolo 1, comma 49, lettera b), della legge 30 dicembre 2021, n. 234, con il quale è stato rifinanziato il Fondo per la promozione integrata.
Si ricorda che l’articolo 1, comma 49, lettera b), della legge n. 234/2021 ha incrementato la dotazione del Fondo per la promozione integrata (di cui all’articolo 72, comma 1, del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18) di 150 milioni di euro annui per ciascuno degli anni dal 2022 al 2026.
Oggi il FVC è uno strumento centrale nel sostegno alle imprese, nel contesto delle attuali difficoltà di accesso al credito, per lo sviluppo di progetti di investimento all’estero, supportando operazioni strategiche (es. operazioni di M&A o investimenti con benefici per le filiere produttive) e progettualità sostenibili e a elevato contenuto innovativo.
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estratto dall’Approfondimento n. 216
Per avere un quadro sulla dimensione globale delle emergenze sui diritti umani, si possono prendere in considerazione quattro fonti diverse che offrono una copertura approfondita e attuale delle condizioni dei diritti umani a livello mondiale, essenziali per comprendere le sfide attuali e le misure necessarie per migliorare la situazione. Si tratta di fonti complementari anche per natura istituzionale, trattandosi di Organizzazioni non governative (ONG) internazionali, organismi internazionali e amministrazioni governative come il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti, che riflettono le diverse modalità operative e i rispettivi approcci alla documentazione e alla denuncia delle violazioni dei diritti umani.
ONG come HRW e Amnesty International sono note per la loro indipendenza da governi e interessi politici. Le loro argomentazioni sono rigorosamente basate sui fatti, con rapporti dettagliati e documentati sulle violazioni dei diritti umani. Queste organizzazioni conducono ricerche approfondite, spesso sul campo, raccogliendo testimonianze dirette e prove documentali e non cercano mediazioni diplomatiche con i governi, ma puntano a denunciare apertamente le violazioni per mobilitare l’opinione pubblica e sollecitare azioni da parte della comunità internazionale. Sono, infatti, note per criticare apertamente i governi di qualsiasi orientamento politico, basandosi esclusivamente sui diritti umani e sulle prove raccolte.
Le istituzioni delle Nazioni Unite, come l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani (United Nations High Commissioner for Human Rights, UNHCR), noto anche come Ufficio dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani (Office of the UN High Commissioner for Human Rights, OHCHR) [21] , operano con un mandato di neutralità e imparzialità, cercando di mantenere un dialogo aperto con tutte le parti coinvolte nei conflitti e nelle crisi. Pur documentando le violazioni dei diritti umani, le istituzioni delle Nazioni Unite lavorano per promuovere il dialogo e la cooperazione internazionale, il che spesso richiede un bilanciamento tra la denuncia delle violazioni e la diplomazia. In questo senso, col rischio di schematizzare troppo, si può dire che si collocano in una posizione intermedia tra le ONG e le fonti governative, cercando di mantenere una certa indipendenza ma anche di collaborare con i governi per trovare soluzioni pratiche ai problemi dei diritti umani.
Infine, il carattere governativo delle fonti come il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti implica che le loro analisi e rapporti sui diritti umani possono essere influenzati dagli interessi politici e strategici del governo di cui fanno parte. A maggior ragione quando queste istituzioni rappresentano una superpotenza, le loro valutazioni sui diritti umani possono essere percepite come parziali o strumentali, utilizzate per giustificare politiche estere o pressioni diplomatiche, nel senso che possono riflettere la “ragion di Stato”. Selezionando e presentando i casi in modo che risultino allineati con gli interessi nazionali e le alleanze politiche del Paese, le valutazioni contenute nei rapporti possono essere utilizzate per giustificare sanzioni economiche o altre misure diplomatiche contro i Paesi accusati di gravi violazioni dei diritti umani.
Sulla base di queste distinzioni, di seguito si farà riferimento a:
§ OHCHR: monitora la situazione dei diritti umani in tutto il mondo e fornisce rapporti sulle violazioni dei diritti umani, raccogliendo e analizzando informazioni e la documentazione delle violazioni. Nell’assolvere al suo mandato, tra le altre azioni, cura con attenzione la verifica dei dati disponibili, rimandando a uno studio sugli indicatori per analizzare impegni e risultati in materia di rispetto dei diritti umani.
§ Freedom House Index (FHI): il rapporto annuale di FHI adotta una metodologia che consente di valutare il livello di libertà politica e civile in 210 Paesi e territori sulla base di punteggi numerici e testi descrittivi che analizzano vari aspetti come il processo elettorale, la pluralità politica e la partecipazione, la funzionalità del governo, la libertà di espressione e di credo, i diritti associativi e organizzativi, il rispetto del diritto e la libertà personale e dei diritti individuali. In questo modo, il risultato finale è una classifica a livello mondiale.
§ HRW: il già citato World Report 2024 è una delle fonti più complete e aggiornate. Questo rapporto annuale esamina la situazione dei diritti umani in 105 Paesi, fornendo dettagli su conflitti armati, repressioni governative e altre violazioni critiche dei diritti umani. HRW documenta casi specifici come il conflitto in Sudan e la repressione in Cina contro gli Uiguri e altre minoranze.
§ Amnesty International: il rapporto The State of the World’s Human Rights: April 2024 offre una panoramica sulle violazioni dei diritti umani in 155 Paesi. Questo documento collega questioni a livello globale e regionale, evidenziando il crescente uso della tecnologia per limitare le libertà e le violazioni sistematiche contro i difensori dei diritti umani, donne, ragazze e comunità LGBTQI+ (persone lesbiche, gay, bisessuali, transgender, queer e intersessuali). Inoltre, Amnesty pubblica – è il caso di Amnesty International USA citato in precedenza – rapporti specifici su temi come la pena di morte, la violenza di genere facilitata dalla tecnologia e le repressioni contro gli attivisti internazionali.
§ Il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti: il resoconto annuale sulla situazione nei diversi Stati in relazione ai diritti umani caratterizza i Paesi sulla base della loro adesione ai “diritti umani riconosciuti a livello internazionale”, che in generale fa riferimento ai diritti civili, politici e dei lavoratori previsti dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (1948) e da altri accordi internazionali.
Sulla base della Carta delle Nazioni Unite, che stabilisce la promozione e la protezione dei diritti umani come uno degli obiettivi principali dell’organizzazione, guidato dalla Dichiarazione universale dei diritti umani, l’OHCHR è l’ufficio delle Nazioni Unte che – come stabilito dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite attraverso la Risoluzione 48/141 del 20 dicembre 1993 [22] – ha il mandato di monitorare la situazione dei diritti umani in tutto il mondo e fornire rapporti sulle violazioni di questi diritti, raccogliendo e analizzando informazioni e la documentazione delle violazioni. Oltre a ciò, l’ufficio promuove il rispetto e la realizzazione dei diritti umani attraverso il dialogo con i governi e altre parti interessate, oltre a fornire assistenza tecnica ai governi per aiutarli a rafforzare le loro capacità nazionali di protezione dei diritti umani.
Le principali azioni dell’OHCHR per monitorare le emergenze dei diritti umani includono:
§ l’invio di missioni di monitoraggio nei Paesi per raccogliere informazioni di prima mano sulle situazioni di emergenza dei diritti umani.
§ la pubblicazione di rapporti dettagliati su situazioni specifiche o temi emergenti relativi ai diritti umani.
§ Lo sviluppo di campagne globali per sensibilizzare l’opinione pubblica su specifiche violazioni dei diritti umani.
§ L’attivazione di risposte rapide in situazioni di crisi, collaborando con altri organismi delle Nazioni Unite per fornire assistenza umanitaria e protezione.
§ La partecipazione a dialoghi con governi, ONG e altre organizzazioni internazionali per promuovere la cooperazione in materia di diritti umani.
§ La fornitura di supporto diretto alle vittime delle violazioni dei diritti umani attraverso vari programmi e iniziative.
Anche se non recente, una decina di anni fa il documento “Human Rights Indicators: A Guide to Measurement and Implementation” pubblicato dall’OHCHR [23] fornisce una guida dettagliata per lo sviluppo e l’impiego di indicatori quantitativi e qualitativi per misurare i progressi nell’attuazione delle norme e dei principi internazionali sui diritti umani. La guida era stata sviluppata in risposta alla crescente domanda di strumenti operativi per valutare in modo oggettivo e completo i diritti umani. Si tratta di un documento che offre un quadro concettuale e metodologico per l’identificazione di indicatori sensibili al contesto, promuovendo l’uso di strumenti appropriati nella formulazione delle politiche, nella loro attuazione e nel monitoraggio.
In effetti, gli indicatori per i diritti umani sono essenziali per realizzare e monitorare i diritti e possono essere molto importanti per aiutare gli Stati a fornire informazioni precise e rilevanti ai meccanismi nazionali e internazionali sui diritti umani e così facilitare il follow-up delle raccomandazioni adottate da tali meccanismi. In pratica, un indicatore dei diritti umani è definito come informazioni specifiche sullo stato o la condizione di un oggetto, evento, attività o risultato che può essere correlato alle norme e agli standard dei diritti umani. Tali indicatori possono essere unicamente riferiti ai diritti umani o possono far parte di comuni statistiche socioeconomiche utilizzate in altri contesti.
Non si tratta necessariamente di indicatori quantitativi, cioè equivalenti a “statistiche” e utili per misurazioni numeriche, ma possono essere anzitutto informazioni narrative o in forma “categoriale”, basate su fatti verificabili, oppure su percezioni, opinioni e giudizi espressi da individui. In questo caso si parla di indicatori qualitativi.
In ogni caso, le misure di monitoraggio adottate dovrebbero assicurare l’ancoraggio degli indicatori al contenuto normativo dei diritti umani, valutare gli impegni, principalmente degli Stati, verso i diritti umani e i corrispondenti risultati, tenendo conto delle norme trasversali dei diritti umani, come la non discriminazione e la partecipazione.
Nello specifico, il documento dell’OHCHR classifica tre tipologie di indicatori:
· Indicatori strutturali: misurano l’adozione di strumenti legali e l’esistenza di meccanismi istituzionali.
· Indicatori di processo: misurano gli sforzi in corso per trasformare gli impegni in risultati desiderati.
· Indicatori di risultato: catturano i risultati individuali e collettivi che riflettono lo stato di godimento dei diritti umani.
Il rapporto presentava anche una tabella che passava in rassegna – da pagina 88 a pagina 101 – una lunga lista di 57 indicatori illustrativi sul diritto alla libertà e alla sicurezza della persona (conformemente all’art. 3 della dichiarazione universale dei diritti umani: «Ogni individuo ha diritto alla vita, alla libertà ed alla sicurezza della propria persona.» [24] ).
Tab. 1 – I 57 indicatori illustrativi sul diritto alla libertà e alla sicurezza della persona
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Arresto e detenzione sulla base di accuse penali
Privazione amministrativa della libertà
Controllo efficace da parte del tribunale
Sicurezza dalla criminalità e dagli abusi da parte delle forze dell’ordine
Nutrizione
Sicurezza alimentare e tutela del consumatore
Disponibilità di cibo
Accessibilità alimentare
Salute sessuale e riproduttiva
Mortalità infantile e assistenza sanitaria
Ambiente naturale e lavorativo
Prevenzione, cura e controllo delle malattie
Accessibilità alle strutture sanitarie e ai farmaci essenziali
Integrità fisica e mentale delle persone detenute o imprigionate
Condizioni di detenzione
Uso della forza da parte delle forze dell’ordine al di fuori della detenzione
Violenza comunitaria e domestica
Esercizio dei poteri legislativo, esecutivo e amministrativo
Suffragio universale ed eguale
Accesso agli incarichi di pubblico servizio
Istruzione primaria universale
Accessibilità all’istruzione secondaria e superiore
Curricula e risorse educative
Opportunità educativa e libertà
Abitabilità
Accessibilità ai servizi
Accessibilità degli alloggi
Sicurezza del possesso e proprietà
Accesso al lavoro a condizioni dignitose e produttivo
Condizioni di lavoro giuste e sicure
Formazione, aggiornamento delle competenze e sviluppo professionale
Protezione dal lavoro forzato e dalla disoccupazione
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Sicurezza del reddito per i lavoratori
Accesso accessibile all’assistenza sanitaria
Sostegno alla famiglia, ai bambini e agli adulti non autosufficienti
Programmi mirati di assistenza sociale
Libertà di opinione e di informazione
Accesso alle informazioni
Doveri e responsabilità particolari
Accesso e uguaglianza davanti alle corti e ai tribunali
Udienza pubblica da parte di tribunali competenti e indipendenti
Presunzione di innocenza e garanzie nella determinazione delle accuse penali
Tutela speciale dei bambini
Riesame da parte di un tribunale superiore
Salute sessuale e riproduttiva e pratiche tradizionali dannose
Violenza domestica
Violenza sul lavoro, lavoro forzato e tratta
Violenza nella comunità e abusi da parte delle forze dell’ordine
Violenza e situazioni (post-)conflitto e di emergenza
Uguaglianza davanti alla legge e tutela della persona
Discriminazione diretta o indiretta da parte di attori pubblici e privati che annulla o pregiudica:
§
Accesso a un adeguato standard di vita, salute e istruzione, uguaglianza delle opportunità di sostentamento
§
Trattati internazionali sui diritti umani relativi al diritto alla non discriminazione e all’uguaglianza (diritto a)
Misure speciali, anche per la partecipazione al processo decisionale
Privazione arbitraria della vita
Sparizioni di persone
Salute e nutrizione
Pena di morte
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A fronte di questa impostazione metodologica, a livello internazionale vengono oggi utilizzati diversi indicatori per monitorare gli impegni e i risultati dei vari Stati in materia di diritti umani. Tra i principali si possono menzionare:
§ Indice di sviluppo umano (Human Development Index, HDI): creato dal Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo (UN Development Program, UNDP), misura la media dei risultati ottenuti in tre dimensioni fondamentali dello sviluppo umano: una vita lunga e sana (aspettativa di vita alla nascita), accesso alla conoscenza (anni medi di istruzione per gli adulti e anni di scolarizzazione attesi per i bambini) e un tenore di vita dignitoso (reddito nazionale lordo pro capite).
§ Obiettivi di sviluppo sostenibile (Sustainable Development Goals, SDG): monitorati dall’OHCHR, gli SDG includono una serie di target specifici (e 232 indicatori unici) che gli Stati membri delle Nazioni Unite si sono impegnati a raggiungere entro il 2030. Gli obiettivi legati ai diritti umani includono la riduzione della povertà (SDG 1), la fame zero (SDG 2), la salute e il benessere (SDG 3), l’istruzione di qualità (SDG 4), e l’uguaglianza di genere (SDG 5), tra gli altri. L’OHCHR supporta anche il monitoraggio dei progressi attraverso iniziative come la Surge Initiative [25] , che integra i diritti umani nei processi di pianificazione e programmazione.
§ Indice globale di povertà multidimensionale (Global Multidimensional Poverty Index, MPI): anche questo sviluppato dall’UNDP, misura la povertà non solo in termini di reddito, ma anche attraverso vari indicatori come la salute, l’istruzione e il tenore di vita, fornendo una visione più completa delle privazioni che le persone affrontano.
§ FHI: valuta la libertà politica e i diritti civili in tutto il mondo. Questo indice assegna punteggi ai Paesi in base alla loro performance in due macroaree: i diritti politici (elezioni libere e giuste, pluralismo politico, funzionamento del governo) e le libertà civili (libertà di espressione e di credo, diritti di associazione e organizzazione, stato di diritto, diritti individuali).
§ World Justice Project Rule of Law Index (WJPR-LI): questo indice misura la percezione e l’esperienza della popolazione rispetto allo stato di diritto in diversi Paesi. Gli indicatori includono la limitazione dei poteri del governo, l’assenza di corruzione, il rispetto dei diritti fondamentali, la trasparenza delle leggi, la sicurezza e l’ordine, il rispetto dei diritti civili e penali.
§ Rapporto sulla tratta delle persone: pubblicato dal Dipartimento di Stato degli Stati Uniti, questo rapporto valuta gli sforzi dei governi di tutto il mondo per combattere la tratta di persone. I Paesi sono classificati in vari livelli in base alla loro conformità con gli standard minimi per l’eliminazione della tratta.
Tra questi sarà di seguito presentato come esempio il FHI. Esistono poi rapporti annuali che non utilizzano indicatori che consentono comparazioni internazionali, ma che si basano su approfondite analisi per ogni Paese di diverse categorie di potenziali violazioni dei diritti umani in tutto il mondo, come è il caso dei rapporti di organizzazioni come Amnesty International e HRW, ma anche del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti sulla situazione dei diritti umani, presentati a seguire.
Freedom House, la più antica organizzazione non profit statunitense dedicata al sostegno e alla difesa della democrazia in tutto il mondo, fondata nel 1941 [26] , pubblica l’FHI, il rapporto annuale che valuta la condizione dei diritti politici e delle libertà civili – che non coprono naturalmente l’intera gamma dei diritti umani e delle libertà – nei Paesi di tutto il mondo.
Freedom House utilizza un sistema a due livelli composto da punteggi e status. A un Paese/territorio vengono assegnati da 0 a 4 punti su ciascuno dei 25 indicatori (10 sui diritti politici e 15 sulle libertà civili) che sono presi in considerazione, per un totale massimo di 100 punti. Questi indicatori, che assumono la forma di domande, sono raggruppati nelle categorie Diritti Politici (0–40) e Libertà Civili (0–60). Questi due punteggi totali vengono poi ponderati equamente per determinare lo stato di un Paese/territorio come “libero”, “parzialmente libero” o “non libero” [27] . L’indice si concentra sulla valutazione del progresso democratico, piuttosto che semplicemente sulla valutazione del livello di democrazia in un Paese. Inoltre, il rapporto considera l’effetto pratico dello Stato e degli attori non governativi sui diritti e sulle libertà di un individuo, piuttosto che limitarsi a valutare le intenzioni o la legislazione governativa.
I 25 indicatori utilizzati possono essere raggruppati in sette categorie:
§ Processo elettorale: si valuta l’equità e la competitività delle elezioni, compresa la capacità dei cittadini di partecipare al processo elettorale, l’indipendenza della commissione elettorale e la trasparenza del processo elettorale.
§ Società civile: si valuta la capacità delle organizzazioni della società civile di operare liberamente e in modo indipendente, compresa la libertà di associazione, riunione e parola.
§ Media indipendenti: si valuta l’indipendenza e la libertà dei media, compresa la capacità dei giornalisti di riferire senza timore di ritorsioni e la disponibilità di diverse fonti di informazione.
§ Governance democratica nazionale: si valuta l’efficacia del governo nel promuovere la governance democratica, comprese la trasparenza e la responsabilità delle istituzioni governative, l’indipendenza della magistratura e la tutela dei diritti umani.
§ Governance democratica locale: si valuta l’efficacia delle istituzioni del governo locale, compresa la trasparenza e la responsabilità dei funzionari del governo locale, la partecipazione dei cittadini al processo decisionale locale e la protezione dei diritti umani a livello locale.
§ Quadro giudiziario: si valuta l’indipendenza e l’efficacia della magistratura, compresa la capacità della magistratura di proteggere i diritti umani e la trasparenza dei procedimenti giudiziari.
§ Indipendenza e corruzione: si valuta il livello di corruzione nel Paese, compresa la trasparenza degli appalti pubblici, la protezione degli informatori e l’efficacia delle iniziative anticorruzione.
Come sopra accennato, a un Paese o territorio vengono assegnati da 0 a 4 punti per ciascuno dei 10 indicatori sui diritti politici e 15 indicatori sulle libertà civili. Un punteggio di 0 rappresenta il grado di libertà più piccolo e 4 il più grande grado di libertà. Le domande relative ai diritti politici sono raggruppate in tre sottocategorie:
§ Processo elettorale (3 domande),
§ Pluralismo politico e partecipazione (4),
§ Funzionamento del governo (3).
Le domande relative alle libertà civili sono raggruppate in quattro sottocategorie:
§ Libertà di espressione e credenza (4 domande),
§ Diritti associativi e organizzativi (3),
§ Stato di diritto (4),
§ Autonomia personale e diritti individuali (4).
La sezione sui diritti politici contiene anche un'altra domanda discrezionale relativa al cambiamento demografico forzato; a questa domanda può essere assegnata la sottrazione di un punteggio da 1 a 4 sottratto (peggiore è la situazione, tanto più i punti possono essere sottratti).
Il punteggio complessivo più alto che può essere assegnato per i diritti politici è 40 (ovvero un punteggio pari a 4 per ciascuna delle 10 domande); il più alto punteggio complessivo attribuibile per le libertà civili è 60 (un punteggio pari a 4 per ciascuna delle 15 domande). I punteggi dell’edizione precedente sono utilizzati come punto di riferimento per misurare la dinamica in corso.
La metodologia prevede un processo in quattro fasi: gli autori dei rapporti sui singoli Paesi – che per l’edizione 2024 sono stati 132 analisti e circa 40 consulenti, che hanno utilizzato un’ampia gamma di fonti, inclusi articoli di notizie, analisi accademiche, rapporti di ONG, contatti professionali individuali e ricerche sul campo – assegnano un punteggio ai Paesi e ai territori in base alle condizioni e agli eventi all'interno dei loro confini durante il periodo di copertura. I punteggi proposti dagli analisti vengono discussi e difesi in una serie di riunioni di revisione, organizzate per regione e a cui partecipa lo staff di Freedom House. Il prodotto finale rappresenta il consenso degli analisti, dei consulenti esterni e dello staff di Freedom House.
Il punteggio finale si presta a obiezioni per la rigidità di un valore attribuito in base a considerazioni di esperti, dunque opinabili perché comunque basate su valutazioni soggettive, che possono essere influenzate da pregiudizi e prospettive personali, piuttosto che in base a criteri rigorosamente oggettivi. Al contempo, però, il fatto di avere dei punteggi sintetici finali diventa un punto di forza dell’FHI perché consente un’analisi comparativa delle riforme sia tra Paesi – in pratica, stila una classifica – che degli sviluppi nel tempo in un particolare Paese.
Poiché il rapporto copre Paesi e territori di tutto il mondo (210 Paesi e territori), fornisce di fatto una prospettiva globale sul progresso democratico (per il dettaglio della classifica con le informazioni relative a tutti i Paesi e territori, si veda l’appendice 1).
Fig. 1 - Lo status della libertà nel mondo nel 2023
Libero
Parzialmente libero
Non libero
Fonte: FHI, 2024.
Complessivamente, il 2023 ha segnato il 18º anno consecutivo di declino globale della libertà, con una diminuzione dei diritti politici e delle libertà civili in 52 Paesi, mentre solo 21 hanno mostrato miglioramenti. Le elezioni compromesse e i conflitti armati hanno aggravato la situazione, mettendo in pericolo la libertà e causando sofferenze umane significative.
Complessivamente, 84 Paesi e 1 territorio sono classificati come liberi, 54 Paesi e 4 territori come parzialmente liberi, 57 Paesi e 10 territori come non liberi.
Sempre in termini generali, la manipolazione elettorale, i colpi di stato militari e i conflitti armati continuano a rappresentare gravi minacce per la libertà globale, mentre il rifiuto del pluralismo da parte di leader autoritari e gruppi armati ha prodotto repressione e violenza, con un forte calo della libertà globale nel 2023.
La Finlandia, con un punteggio pari a 100, risulta il Paese col punteggio massimo, il che significa che ha ricevuto 4 punti su tutti i 25 indicatori che sono presi in considerazione, per un totale di 40 nella categoria “Diritti politici” e 60 nella categoria “Libertà civili”. Il sistema parlamentare finlandese prevede elezioni libere ed eque e una forte concorrenza multipartitica; la corruzione non è un problema significativo e le libertà di parola, religione e associazione sono rispettate. La magistratura è indipendente secondo la Costituzione e nella pratica. Le donne e le minoranze etniche godono di pari diritti, sebbene si verifichino molestie, incitamento all’odio e discriminazione nei confronti di minoranze religiose ed etniche.
Sul lato opposto, in fondo alla classifica si trovano due territori non indipendenti – Nagorno Karabakh e Tibet – e tre Stati indipendenti Siria, Sudan del Sud e Turkmenistan.
Lo status del Nagorno-Karabakh è passato da “parzialmente libero” a “non libero”, registrando il più grande calo di libertà a causa del blocco azero e dell’offensiva militare culminata nello scioglimento delle istituzioni politiche, legali e civiche locali e nella partenza di quasi tutta la popolazione di 120.000 armeni, costretta a fuggire dall’enclave sotto l’intensa pressione dell’esercito azerbaigiano. Il punteggio pari a -3 è prossimo al peggior risultato possibile che è pari a -4: per raggiungere questo valore, un Paese/territorio dovrebbe ricevere uno 0 per tutti i 25 indicatori normali, nonché un -4 su un indicatore opzionale che sottrae punti dal totale dei diritti politici in caso di pulizia etnica o altri tipi di violenza forzata che determinano un cambiamento demografico.
Il Tibet si trova sotto il governo cinese, con il potere decisionale locale concentrato nelle mani dei funzionari del partito cinese. Ai residenti di etnia cinese Han e tibetana vengono negati i diritti fondamentali, mentre le autorità sono particolarmente rigorose nel reprimere qualsiasi segno di dissenso tra i tibetani, comprese le manifestazioni di credenze religiose e identità culturale tibetane. Le politiche statali, come gli incentivi per la migrazione delle persone non tibetane da altre parti della Cina e il trasferimento obbligatorio dei tibetani, hanno ridotto nel tempo la quota di popolazione etnica tibetana. È qui da notare come, nei territori contesi, la repressione della Cina abbia trascinato verso il basso le libertà delle popolazioni che li abitano, inclusi alcuni Paesi democratici: oltre che in Tibet, per esempio, anche a Hong Kong la Cina ha continuato a limitare libertà prima disponibili .
In Siria, i diritti politici e le libertà civili sono gravemente compromessi da uno dei regimi più repressivi del mondo e da altre forze belligeranti in una guerra civile in corso. Il regime vieta un’autentica opposizione politica e reprime duramente le libertà di parola e di riunione. Corruzione, sparizioni forzate, processi militari e tortura dilagano nelle aree controllate dal governo. I residenti di regioni o territori contesi controllati da attori non statali sono soggetti a ulteriori abusi, tra cui combattimenti intensi e indiscriminati, assedi e interruzioni degli aiuti umanitari e sfollamenti di massa.
Il Sud Sudan soffre di una corruzione dilagante e di circostanze economiche disastrose, dopo che, all’indomani dell’indipendenza dal Sudan nel 2011, iniziò una guerra civile nel 2013 che ha diviso il Paese lungo linee etniche. Da quando è stato raggiunto un accordo di pace nel 2018, le elezioni sono state ritardate; le élite presiedono a un difficile accordo di condivisione del potere e civili, giornalisti e operatori umanitari sono stati presi di mira da atrocità.
Il Turkmenistan è uno Stato autoritario e repressivo in cui i diritti politici e le libertà civili sono nella pratica quasi completamente negati. Le elezioni sono strettamente controllate, garantendo vittorie quasi unanimi al presidente e ai suoi sostenitori. L’economia è dominata dallo Stato, la corruzione è sistemica, i gruppi religiosi sono perseguitati e il dissenso politico non è tollerato.
Fig. 2 – Il trend della libertà nel mondo tra il 2022 e il 2023
Meno libero Più libero
3+
1-2
0
1-2
3+
Fonte: FHI, 2024.
Il confronto intertemporale, oltre che tra Paesi, consente di individuare i Paesi e territori che hanno registrato miglioramenti o peggioramenti nel corso dell’ultimo anno.
Fig. 3 – I più grandi peggioramenti e miglioramenti di un anno nel 2023
Fonte: FHI, 2024.
Allo stesso modo, è possibile estendere l’arco temporale del confronto e analizzare la dinamica registrata dai diversi Paesi, a cominciare dai 67 Paesi e territori designati come “non liberi” dal rapporto 2024 relativo al 2023, a partire per esempio dal 2005. In quest’arco temporale, ci sono 15 Paesi e territori che hanno cumulato i peggiori punteggi complessivi per i diritti politici e le libertà civili, di cui alcuni sono rimasti in fondo alla classifica praticamente per tutto il periodo. I Paesi sono Afghanistan, Sudan, Repubblica centrafricana, Guinea equatoriale, Tagikistan, Eritrea, Corea del nord, Turkmenistan, Sudan del sud e Siria, mentre i territori sono Sahara occidentale, Crimea, Donbas orientale, Tibet e Nagorno-Karabakh.
Il rapporto di HRW offre, invece, una panoramica dettagliata delle condizioni dei diritti umani in 105 Paesi e territori nel corso del 2023 [28] . Questo rapporto annuale, giunto alla sua 34a edizione, riflette il lavoro investigativo approfondito condotto dal personale di HRW, spesso in stretta collaborazione con attivisti locali per i diritti umani.
HRW utilizza vari criteri fondamentali per valutare la condizione dei diritti umani in ciascun Paese, senza organizzare i capitoli per Paese secondo una scansione rigida di sezioni ricorrenti. Scorrendo l’intero volume, si contano infatti una sessantina di voci che definiscono la natura delle violazioni dei diritti umani e che si ritrovano, mediamente in numero di quattro o cinque, come titoli di sezione in ogni capitolo per Paese.
Tab. 2 – Le voci del rapporto di HRW che definiscono la tipologia di violazione dei diritti umani
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
11
12
13
14
15
16
17
18
19
20
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28
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30
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Abusi da parte delle Forze di Sicurezza dello Stato
Abusi da parte delle milizie filogovernative
Abusi da parte di gruppi armati islamici
Abusi e impunità della polizia
Accesso all’aborto
Affrontare gli abusi da parte di regimi del passato
Ambiente e diritti dei popoli indigeni
Attacchi agli attivisti della società civile
Attacchi ai civili
Attacchi ai difensori dei diritti umani
Attacchi ai giornalisti e ai media
Bisogni umanitari
Cambiamenti climatici
Condizioni carcerarie
Condizioni di tortura e maltrattamenti/detenzione
Corruzione e indipendenza della magistratura
Crisi economica e umanitaria
Diritti degli anziani
Diritti dei bambini
Diritti dei migranti
Diritti del lavoro
Diritti della disabilità
Diritti delle donne e delle ragazze
Diritti economici e sociali
Diritto all’istruzione
Discriminazione, Razzismo e Intolleranza
Esecuzioni extragiudiziali, sparizioni forzate e tortura
Giustizia giovanile
Indipendenza giudiziaria e giusto processo
Leader sindacali incarcerati
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Libertà di espressione e dei media
Libertà di religione
Libertà di riunione e associazione
Minacce alle istituzioni democratiche
Orientamento sessuale e identità di genere
Pena di morte ed esecuzioni
Principali attori internazionali
Processi di democratizzazione
Processi equi e giusto processo
Pubblica sicurezza e condotta della polizia
Repressione dei difensori dei diritti umani
Repressione dei giornalisti
Repressione extraterritoriale di cittadini all’estero
Repressione politica
Responsabilità per crimini di guerra
Restrizioni di viaggio
Richiedenti asilo e rifugiati
Sfollamenti interni, riparazioni ed esproprio terre
Sgomberi forzati e demolizioni illegali
Sorveglianza e censura online
Sparizioni forzate, esecuzioni extragiudiziali
Stato di diritto
Tecnologia e diritti
Terrorismo e antiterrorismo
Tortura e impunità
Trattamento delle minoranze
Violenza contro gli studenti
Violenza di genere (anche domestica)
Violenza di gruppo
Violenza e criminalità
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Per esigenza di schematizzazione, si potrebbero raggruppare in otto macro-categorie:
1. Violazioni delle leggi di guerra: violazioni delle leggi internazionali umanitarie durante i conflitti armati.
2. Abusi e violenze da parte delle forze di polizia, militari e milizie paramilitari: misure anti-terrorismo, arresti arbitrari stragiudiziali e sparizioni, condizioni disumane di detenzione e maltrattamenti subiti dai prigionieri (inclusi casi di tortura).
3. Violenza non di Stato: violenza da parte di gang e milizie, crimine organizzato.
4. Limitazioni generali di libertà e diritti: restrizioni imposte alla libertà di stampa, alla libertà di espressione e di riunione, libertà di religione, di viaggiare all’estero, di orientamento sessuale, diritti dei lavoratori, diritti politici, sociali ed economici, diritti sessuali e riproduttivi (compreso il ricorso all’interruzione di gravidanza).
5. Violenza e violazione dei diritti delle donne e delle minoranze: discriminazioni e violazioni specifiche contro donne, bambini, minoranze etniche, religiose e sessuali, popolazioni native, disabili, anziani, sfollati interni, immigrati, rifugiati e richiedenti asilo.
6. Repressione politica contro corpi intermedi: misure repressive e violente adottate dai governi contro oppositori politici, giornalisti, sindacati, attivisti e difensori dei diritti umani.
7. Limitazione della giustizia e delle responsabilità: violazione dei principi dello stato di diritto e della responsabilità per le violazioni dei diritti umani, mancanza di garanzie per il giusto processo, assenza di indipendenza della magistratura, impunità di chi esercita (o ha esercitato) il potere.
8. Nuove forme di violazione dei diritti umani: l’effetto dell’uso della tecnologia e le conseguenze dei cambiamenti climatici sulla possibilità – da parte dei gruppi più vulnerabili della popolazione – di esercitare diritti e libertà di scelta.
In termini di analisi della situazione globale, il rapporto [29] evidenzia le sfide critiche affrontate oggi dal sistema dei diritti umani a livello mondiale. Schematicamente, vengono di seguito sottolineati alcuni processi di particolare rilievo:
· Erosione delle norme internazionali: la crescente erosione delle norme internazionali sui diritti umani è dovuta alla tendenza crescente a violarle e al parallelo indebolimento delle istituzioni che dovrebbero proteggerle.
· Autoritarismo in crescita: il ritorno e la crescita di regimi autoritari in diverse parti del mondo stanno minando i diritti umani fondamentali, attraverso repressioni politiche, censura e persecuzioni.
· Conflitti e crisi umanitarie: conflitti armati, come quelli in Ucraina, Etiopia (Tigray), e Myanmar, stanno portando a violazioni sistematiche dei diritti umani, creando enormi crisi umanitarie.
· Importanza dei cambiamenti climatici: i cambiamenti climatici vengono trattati come una crisi emergente che aggrava le preesistenti disuguaglianze e crea nuove sfide per i diritti umani, specialmente per le comunità vulnerabili.
· Tecnologia e sorveglianza: l’uso crescente della tecnologia per la sorveglianza di massa e il controllo sociale pone nuove minacce alla privacy e alla libertà di espressione.
Allo stesso modo, nell’ultima edizione del rapporto sono segnalati almeno quattro elementi caratterizzanti l’attualità che non si ritrovano insieme nelle edizioni passate:
· Conflitti armati: nuovi e rinnovati conflitti in contesti come Sudan, Ucraina, e il Sahel hanno causato enormi sofferenze civili, con violazioni sistematiche delle leggi di guerra.
· Cambiamenti climatici: gli eventi climatici estremi hanno aggravato le condizioni umanitarie in Paesi come Bangladesh e Libia, ma anche il Canada.
· Repressione dei diritti delle donne: il regime dei Talebani in Afghanistan ha continuato la sua campagna di repressione contro donne e ragazze, vietando l’accesso all’istruzione e al lavoro.
· Transnazionalità della repressione: aumento delle attività repressive oltre i confini nazionali, con governi come quello cinese e indiano che estendono la loro repressione alle diaspore e agli attivisti all’estero.
L’analisi proposta sottolinea la necessità di rafforzare le istituzioni internazionali che proteggono i diritti umani, come le Nazioni Unite, e di garantire che siano in grado di rispondere efficacemente alle violazioni. Al contempo, viene esortato un maggiore sostegno ai difensori dei diritti umani, che spesso affrontano gravi rischi personali nel loro lavoro per denunciare le violazioni e promuovere la giustizia.
estratto dal Focus Euroatlantico n. 6 (n.s.)
[1] Il presente paragrafo è estratto dall’Approfondimento Il punto sullo stato di attuazione dell'Agenda 2030, curato dal CeSPI per conto dell’Osservatorio di politica internazionale
[2] https://sustainabledevelopment.un.org/vnrs/
[3] https://hlpf.un.org/sites/default/files/2023-09/Local2030%20Brochure.pdf. Sempre nel 2023, la Local 2030 Coalition è stata scelta come una delle 12 iniziative ad alto impatto (High Impact Initiatives, HII) lanciate in occasione del Summit sugli SDG come veicolo per accelerare le sei ‘transizioni chiave’ a livello locale: si veda https://www.local2030.org/library/863/Local2030-Coalition-2023-Annual-Report.pdf
[4] Il presente paragrafo sintetizza la posizione del Cespi espressa nell’Approfondimento dell’Osservatorio di politica internazionale Il punto sullo stato di attuazione dell'Agenda 2030
[5]
Una storia bene nota, osserva il CeSPI ripensando agli MDG: il primo traguardo era, allora, quello di dimezzare, fra il 1990 e il 2015, la percentuale di popolazione in condizione di povertà estrema (con non più di 1,25 dollari al giorno, in base alla soglia di povertà estrema adottata allora), traguardo raggiunto grazie al contributo essenziale di cinque Paesi, a trazione asiatica, che da soli rappresentano oggi il 43,5 della popolazione mondiale, a fronte di risultati molto poco incoraggianti in Africa sub-sahariana:
1. Anzitutto, la Cina che riuscì a compiere notevoli progressi nella riduzione della povertà estrema, in gran parte grazie agli effetti della sua rapida crescita economica che pure determinò un aumento del livello di disuguaglianza, al punto che la percentuale di persone in povertà estrema scese dal 60% nel 1990 a meno del 4% nel 2015.
2. Anche l’India fece passi da gigante, con tassi di povertà scesi dal 45% nel 1990 al 21,9% nel 2011-2012, secondo la Planning Commission.
3. Il tasso di povertà del Vietnam scese drasticamente dal 58% dei primi anni ‘90 a circa il 3% nel 2015. Questo successo è stato attribuito alle riforme economiche e alle politiche sociali mirate.
4. Il Brasile vide una riduzione della povertà estrema dal 25,6% nel 1990 al 4,5% nel 2012. Programmi come Bolsa Família svolsero un ruolo cruciale nel raggiungimento di questo obiettivo. 5. L’Indonesia ridusse il tasso di povertà dal 54,3% nel 1990 all’11,3% nel 2014, grazie alla crescita economica e ai programmi di assistenza sociale;
5. L’Indonesia ridusse il tasso di povertà dal 54,3% nel 1990 all’11,3% nel 2014, grazie alla crescita economica e ai programmi di assistenza sociale.
[6] Sul piano, invece, locale, nazionale e regionale, le fonti raccomandabili sono diverse, tra cui: (1) Voluntary Local Reviews, (2) Voluntary National Reviews, (3) OECD SDG Tracker, (4) Eurostat SDGs and Indicators, (5) Istituti nazionali di statistica.
[7] https://unstats.un.org/sdgs/dataportal e https://unstats.un.org/UNSDWebsite/undatacommons/
[8] https://unstats.un.org/sdgs/report/2024/The-Sustainable-Development-Goals-Report-2024.pdf
[9] https://unfccc.int/process-and-meetings/the-paris-agreement/nationally-determined-contributions-ndcs
[18] L’Italia si colloca al 23° posto, con un punteggio di 79,29.
[19] Per approfondire l’argomento, si rinvia al capitolo 7 “Cooperazione transfrontaliera” del Rapporto mondiale delle Nazioni Unite sullo sviluppo delle risorse idriche 2024.
[20] Per indennizzare i risparmiatori vittime di frodi finanziarie e che hanno sofferto un danno ingiusto non altrimenti risarcito l’articolo 1, comma 343, della legge n. 266 del 2005 (legge finanziaria per il 2006) ha disposto la costituzione, dal 2006, di un apposito fondo nello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze, alimentato, ai sensi del comma 345, dall'importo dei conti correnti e dei rapporti bancari definiti come dormienti all'interno del sistema bancario nonché del comparto assicurativo e finanziario.
[22] https://documents.un.org/doc/undoc/gen/n94/012/56/pdf/n9401256.pdf?token=3QBnkffZLmeDVZhkYm&fe=true
[23] https://www.ohchr.org/sites/default/files/Documents/Publications/Human_rights_indicators_en.pdf
[24] https://www.fondazionedirittiumani.ch/approfondimenti/questioni-istituzionali/dichiarazione-universale-dei-diritti-umani/
[29] In particolare, è il primo capitolo del rapporto, intitolato “The Human Rights System Is Under Threat: A Call to Action”, scritto dalla direttrice esecutiva di HRW, Tirana Hassan, che precede la sezione dell’analisi per Paese.