Modifiche allo Statuto della Corte di giustizia dell'Unione europea in materia di rinvio pregiudiziale 10 febbraio 2023 |
Finalità
La
Corte di giustizia ha presentato, lo scorso 5 dicembre, al Consiglio e al Parlamento europeo una
richiesta, fondata sull'articolo 281, paragrafo 2, del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE),
di modificare il proprio Statuto di cui al Protocollo n. 3, allegato ai Trattati.
In base a tale disposizione, il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando secondo la procedura legislativa ordinaria, su richiesta della Corte di giustizia e previa consultazione della Commissione o su proposta della Commissione e previa consultazione della Corte di giustizia, possono modificare le disposizioni dello Statuto della Corte, ad eccezione delle norme relative allo status dei giudici e degli avvocati generali e al regime linguistico dei procedimenti innanzi alla Corte stessa.
Al Parlamento europeo la richiesta è stata assegnata alla Commissione giuridica (JURI), con il parere della Commissione per gli affari costituzionali (AFCO).
Dando seguito all'obbligo di cui all'articolo 4, paragrafo 3, del Protocollo n. 2 allegato al trattato di Lisbona, il Consiglio ha
trasmesso la richiesta della Corte in esame anche ai parlamenti nazionali, analogamente agli altri progetti legislativi dell'Unione.
La richiesta della Corte (denominata peraltro "domanda" dalla medesima) è articolata in due differenti proposte di modifica accomunate dalla finalità di consentire alla Corte medesima, a fronte dell'aumento costante del proprio carico di lavoro, di continuare ad esercitare il suo compito fondamentale di garantire «il rispetto del diritto nell'interpretazione e nell'applicazione dei trattati».
La prima proposta, di forte rilevanza e
portata innovativa, intende – avvalendosi della possibilità, sino ad ora mai utilizzata, prevista dall'
articolo 256, paragrafo 3, del TFUE –
trasferire dalla Corte di giustizia
al Tribunale dell'UE la competenza a conoscere,
in materie specifiche,
delle questioni pregiudiziali presentate dai giudici degli Stati membri.
In base al richiamato articolo 256, paragrafo 3, il Tribunale è competente a conoscere delle questioni pregiudiziali in materie specifiche determinate dallo Statuto.
La seconda proposta, al fine di consentire Corte di giustizia di concentrarsi sulle
impugnazioni avverso le decisioni del Tribunale che sollevano questioni di diritto rilevanti, mira ad ampliare la
procedura di ammissione preventiva delle impugnazioni stesse. A tale scopo prevede di includere nell'ambito di applicazione di tale procedura:
Particolare rilevanza assume la prima delle due proposte che attiene allo strumento del rinvio pregiudiziale operato dai giudici nazionali alla Corte di giustizia su questioni relative all'interpretazione dei trattati nonché alla validità e l'interpretazione degli atti compiuti dalle istituzioni, dagli organi o dagli organismi dell'Unione (cfr. sulla disciplina e la portata del rinvio i paragrafi successivi del presente dossier).
La proposta, come accennato in premessa, ha una
finalità essenzialmente deflattiva. Nel corso degli anni, infatti, non solo il numero di domande di pronuncia pregiudiziale ha registrato una costante tendenza al rialzo, ma anche la natura delle questioni sollevate ha subito un'evoluzione, portando al cospetto della Corte
quesiti sempre più complessi e delicati. Tutto ciò ha determinato il progressivo
allungamento della durata dei procedimenti pendenti innanzi alla Corte di giustizia, la quale non è più stata in grado di esercitare questa sua competenza con la stessa celerità del passato.
Secondo i dati riportati dalla Corte a sostegno della sua domanda, se, nel 2016, essa è stata investita di 470 domande di pronuncia pregiudiziale, tre anni più tardi le domande sono state 641, mentre nel 2021 sono diventate
567. Nel corso del medesimo periodo, la
durata media di trattamento delle cause pregiudiziali è passata da 15 mesi (2016) a 15,5 mesi (2019) e, poi, a 16,7 mesi (2021). Alla data del 30 settembre 2022, il numero di domande di pronuncia pregiudiziale presentate dall'inizio dell'anno ammontava a 420, mentre la durata media di trattamento delle cause pregiudiziali era pari
a 17,3 mesi.
La Corte ritiene che l'attribuzione delle nuove competenze in via pregiudiziale al Tribunale è resa possibile dalle rilevanti innovazioni che il Tribunale ha operato nel corso degli anni nella sua organizzazione interna e nei suoi metodi di lavoro. Esso – che annovera tra i suoi componenti due giudici per Stato membro anziché uno come nel caso della Corte – è addivenuto infatti ad una
specializzazione parziale delle proprie sezioni, acquisendo una capacità di gestione delle cause più proattiva che si riscontra anche in un accresciuto rinvio delle cause più importanti o complesse dinanzi a
collegi ampliati, composti da cinque giudici anziché da tre.
Ad avviso della Corte, il Tribunale è dunque in
condizioni idonee a conoscere non soltanto di un numero di cause più elevato, ma altresì di
cause ulteriori rispetto a quelle rientranti nelle competenze che, fino ad oggi, gli sono state attribuite.
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Contenuto |
Materie in cui il Tribunale sarebbe competente in via pregiudiziale
La Corte di giustizia propone, inserendo un nuovo
articolo 50 ter,
paragrafo 1,
nello Statuto, che il Tribunale sia competente a conoscere le domande di pronuncia pregiudiziale vertenti esclusivamente su una delle seguenti
materie:
La Corte precisa che, nel procedere all'individuazione di queste materie, ha inteso garantire che esse:
Nella sua proposta la Corte osserva al riguardo che le materie attribuibili alla competenza del Tribunale raramente danno origine a
sentenze di principio (su un totale di oltre 630 cause, solo tre delle stesse sono state trattate dalla grande sezione della Corte nel corso del periodo preso in considerazione). Considerato, peraltro, che i rinvii pregiudiziali vertenti sulle materie in questione rappresentano, in media, circa
il 20% dell'insieme delle domande presentate ogni anno, si ritiene che la loro devoluzione al Tribunale possa condurre a un significativo alleggerimento del carico di lavoro della Corte di giustizia.
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Rispetto della ripartizione delle competenze tra la Corte di giustizia e il Tribunale in materia pregiudiziale
Per esigenze di certezza del diritto e di celerità, la Corte propone,
al paragrafo 2 del nuovo
articolo 50 ter dello Statuto, che ogni domanda pregiudiziale debba essere presentata dinanzi alla Corte di giustizia, alla quale spetta il compito di
verificare che la stessa rientri esclusivamente in una o più delle materie specifiche di competenza del Tribunale.
In virtù di quanto previsto dall'articolo 256, paragrafo 3, secondo e terzo periodo, del TFUE, il trasferimento di una domanda di pronuncia pregiudiziale al Tribunale
non pregiudica la facoltà, per quest'ultimo, di rinviare la causa alla Corte di giustizia qualora esso reputi che la medesima "richieda una decisione di principio che potrebbe compromettere l'unità o la coerenza del diritto dell'Unione" o la facoltà, per la stessa Corte, di procedere al riesame della decisione emessa dal Tribunale "ove sussistano gravi rischi che l'unità o la coerenza del diritto dell'Unione siano compromesse".
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Garanzie procedurali per un identico trattamento delle domande di pronuncia pregiudiziale da parte della Corte di giustizia e del Tribunale
Al fine di favorire un approccio uniforme nel trattamento delle domande di pronuncia pregiudiziale da parte della Corte e del Tribunale, si propone di introdurre, all'interno dello Statuto, una serie di
garanzie procedurali.
Anzitutto, al
paragrafo 3, prima frase, dell'
articolo 50 ter è previsto che le domande di pronuncia pregiudiziale trasmesse al Tribunale vengano attribuite a
sezioni designate a tale scopo, in modo tale da favorire una maggiore coerenza nel trattamento di tali questioni.
La
seconda frase del medesimo paragrafo stabilisce, poi, che per ciascuna di tali cause venga designato un
avvocato generale, il cui intervento si presume possa contribuire alla solidità dell'analisi effettuata dal Tribunale.
Infine, considerato che alcune domande potrebbero richiedere l'attenzione di un numero di giudici maggiore di cinque, la proposta prevede che l'
articolo 50 dello Statuto venga modificato al fine di offrire al Tribunale la possibilità di riunirsi in una
composizione di dimensioni intermedie, tra le sezioni di cinque giudici e la grande sezione composta da quindici giudici.
A tale riguardo la Corte osserva che la
grande sezione del Tribunale non dovrebbe essere riunita al fine di statuire sulle questioni pregiudiziali, anzitutto perché le cause che richiedono una decisione di principio rientranti di regola nella competenza della grande sezione dovrebbero essere
rinviate alla Corte in forza dell'articolo 256, paragrafo 3, secondo periodo, del TFUE. Inoltre, a causa del numero di componenti della grande sezione, laddove fosse questa a pronunciarsi su questioni pregiudiziali, giudici non appartenenti alle sezioni designate a tale scopo si troverebbero a poter statuire al riguardo, in tal modo indebolendo la garanzia costituita dalla individuazione di sezioni specializzate.
Secondo la Corte, l'insieme di tali misure dovrebbe, da un lato, consentire al Tribunale di gestire al meglio questa nuova competenza e, al contempo, promuovere l'interpretazione e l'applicazione uniformi del diritto dell'Unione, indipendentemente dall'organo giurisdizionale chiamato a statuire sulla domanda di pronuncia pregiudiziale.
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La disciplina vigente del rinvio pregiudiziale
Ai sensi dell'
articolo 267 del TFUE, la Corte di giustizia dell'Unione europea è competente a pronunciarsi, in via pregiudiziale: a) sull'
interpretazione dei trattati; b) sulla
validità e l'
interpretazione degli
atti compiuti dalle
istituzioni, dagli
organi o dagli
organismi dell'Unione.
Attraverso l'esercizio di tale competenza la Corte assicura l'
uniforme interpretazione del diritto dell'Unione, ai fini della sua
corretta ed omogenea applicazione.
Si tratta di una competenza di carattere non contenzioso, dal momento che la sua attivazione prescinde dalla presentazione di un vero e proprio ricorso e il suo esercizio non è preordinato alla risoluzione diretta di una controversia.
Sono i
giudici nazionali, infatti, ad attivare tale competenza laddove, nel corso del giudizio innanzi ad essi pendente, venga sollevata dalle parti – o rilevata dai giudici medesimi – una questione di interpretazione del diritto primario dell'Unione o di interpretazione e di validità del diritto derivato, mediante la presentazione di un
rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia. Tale rinvio viene operato –
previa sospensione del procedimento principale ed eventuale adozione di misure provvisorie – generalmente mediante ordinanza motivata, nella quale il giudice rimettente individua le questioni di interpretazione o di validità da sottoporre alla Corte, la quale limita il proprio esame alla loro disamina.
Alla nozione di giurisdizione nazionale legittimata ad operare il rinvio pregiudiziale, la Corte di giustizia riconduce tutti gli organi nazionali che presentino cumulativamente una serie di requisiti quali, tra gli altri, l'origine legale, il carattere della permanenza, oltre a quello dell'indipendenza e dell'imparzialità, l'obbligatorietà della giurisdizione, la natura contraddittoria del procedimento e quella giurisdizionale delle decisioni.
Qualora si tratti di un
giudice di ultima istanza – avverso le cui decisioni, cioè, non siano ulteriormente esperibili rimedi giurisdizionali di diritto interno –, il trattato configura un vero e proprio
obbligo di sollevare la questione pregiudiziale;
negli altri casi si tratta invece di una
facoltà il cui esercizio è rimesso alla valutazione del singolo giudice.
L'inosservanza dell'obbligo in esame, laddove si configuri come tale, costituisce una
violazione del trattato, in quanto tale legittimante la presentazione di un
ricorso per inadempimento da parte della Commissione europea nei confronti dello Stato interessato.
La stessa giurisprudenza della Corte ha tuttavia individuato dei casi in cui la sussistenza di tale obbligo viene meno, nonostante si tratti di giudici di ultima istanza. Ciò avviene laddove esista una
giurisprudenza consolidata della Corte di giustizia in merito al punto di diritto oggetto di disquisizione, ovvero qualora la questione sollevata risulti
identica ad altra questione già sottoposta alla Corte nel contesto di fattispecie analoghe, o ancora quando si sia in presenza di
norme dal significato chiaro ed univoco (c.d. teoria dell'atto chiaro). La Corte stessa esclude, comunque, l'operatività di tali deroghe laddove a essere messa in dubbio non sia l'interpretazione del diritto dell'Unione, bensì la sua validità, riservando perciò al suo intervento chiarificatore il compito di dirimere le questioni attinenti a questi profili.
Le
pronunce che la Corte di giustizia rese nell'esercizio della competenza pregiudiziale sono
obbligatorie per il
giudice a quo, il quale, pertanto, è tenuto a decidere la controversia di cui al procedimento principale conformandosi a quanto disposto dal giudice europeo.
Nel caso in cui si tratti di pronunce vertenti su questioni di
interpretazione del diritto dell'Unione, gli effetti obbligatori che le medesime producono si estendono, però,
erga omnes, imponendosi perciò a chiunque si trovi a dover dare applicazione alle disposizioni interpretate.
Analogo esito è prodotto dalle pronunce con cui la Corte dichiari l'
invalidità di un atto dell'Unione, le quali, sebbene non determinino propriamente l'annullamento dell'atto, di fatto producono effetti assimilabili a quelli riconducibili a una sentenza di annullamento (in virtù della quale, l'atto ritenuto illegittimo è dichiarato "nullo e non avvenuto").
A fronte di decisioni con le quali la Corte abbia dichiarato la
validità di un atto dell'Unione, invece, la loro efficacia è limitata alla controversia dedotta nel procedimento principale.
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La rilevanza del rinvio pregiudiziale come strumento di dialogo tra le Corti
Il rinvio pregiudiziale è stato ed è uno strumento chiave per la costruzione e l'affinamento dei rapporti tra l'ordinamento dell'Unione europea e quelli dei suoi Stati membri.
Attraverso sentenze emesse in tale ambito, infatti, la Corte di giustizia ha sancito i
due principi cardine dell'efficacia diretta e del primato del diritto dell'UE.
Più in generale, il
rinvio pregiudiziale rappresenta uno
strumento fondamentale di leale collaborazione tra il giudice dell'Unione e i giudici nazionali; attraverso di esso, questi intessono un dialogo necessario per garantire un'interpretazione e, dunque, anche un'applicazione uniforme e consolidata del diritto dell'Unione, consentendo alla Corte di giustizia di assolvere la sua fondamentale funzione
nomofilattica.
Nel corso degli anni la partecipazione a questo dialogo, in una prima fase limitata ai soli giudici comuni, si è estesa anche ai
giudici costituzionali, alcuni dei quali, dopo aver superato un'iniziale ritrosia, si sono poi convertiti all'utilizzo di questo strumento per interloquire direttamente con il giudice dell'Unione.
Emblematico è il caso della
Corte costituzionale
italiana. Malgrado il progressivo avvicinamento alle posizioni sostenute dalla Corte di giustizia in merito ai rapporti tra ordinamento europeo e ordinamenti nazionali, la Corte costituzionale ha per lungo tempo negato di avere natura di "giurisdizione nazionale", in quanto tale legittimata a proporre il rinvio ai sensi dell'articolo 267 del TFUE.
In particolare, pur incoraggiando, nelle sue pronunce, i giudici comuni nazionali a fare uso di questo strumento, la Consulta ha ritenuto, esercitando "una funzione di controllo costituzionale, di suprema garanzia della osservanza della Costituzione della Repubblica da parte degli organi costituzionali dello Stato e di quelli delle Regioni", di non poter "essere inclusa fra gli organi giudiziari, ordinari o speciali che siano, tante sono, e profonde, le differenze tra il compito affidato alla prima, senza precedenti nell'ordinamento italiano, e quelli ben noti e storicamente consolidati propri degli organi giurisdizionali" (cfr. ordinanza n. 536 del 1995).
Sulla scorta di tale approccio, a partire dalla celebre sentenza n. 170 del 1984 la questione della
doppia pregiudizialità – la quale si pone qualora il giudice ritenga che una norma nazionale contrasti con una o più disposizioni della Costituzione e, al contempo, con una o più disposizioni del diritto dell'Unione europea dotate di efficacia diretta – è stata risolta nel senso di riconoscere
priorità alla pregiudiziale comunitaria. In virtù di tale orientamento la Corte costituzionale ha pertanto ritenuto che, in questi casi, il giudice comune dovesse anzitutto procedere alla disapplicazione alle norme interne e, in caso di dubbio, rivolgersi alla Corte di giustizia attraverso la proposizione di un rinvio pregiudiziale (eccettuata l'ipotesi che la norma europea si ponesse in contrasto con i c.d. controlimiti). In questo quadro,
il giudizio di legittimità costituzionale avrebbe potuto trovare spazio solo
in esito all'intervento della Corte europea.
Questo orientamento sulle modalità di risoluzione dei casi di doppia pregiudizialità, oltre a poggiare su ragioni di diritto costituzionale processuale, probabilmente si spiega anche alla luce della volontà del giudice costituzionale di conservare degli spazi di autonomia interpretativa rispetto a quello sovranazionale. Secondo parte autorevole della dottrina, lasciando, però, al giudice comune il compito di interagire attraverso il rinvio pregiudiziale con la Corte di giustizia, la Corte costituzionale ha finito per
autoemarginarsi dalle questioni rilevantissime riguardanti il rapporto tra il diritto interno e quello europeo, ottenendo un risultato assai diverso da quella riappropriazione di centralità che si auspicava di conseguire.
Mutando il suo orientamento, con l'
ordinanza n. 103 del 2008 la Consulta,
per la prima volta, ha utilizzato lo strumento del
rinvio pregiudiziale, proponendolo nel corso di un giudizio di costituzionalità promosso in via principale.
In tale occasione, oltre ad essersi qualificata come giurisdizione nazionale abilitata a proporre il rinvio, la Corte ha precisato di ritenere questa sua legittimazione limitata esclusivamente ai
giudizi attivati
in via principale, nei quali – a differenza di quelli promossi in via incidentale – nessun altro giudice avrebbe potuto intervenire in suo luogo.
L'
ordinanza 207 del 2013 ha, tuttavia, superato tale orientamento, avendo in tale occasione la Corte esteso il riconoscimento della propria legittimazione a proporre il rinvio pregiudiziale anche nei
giudizi in via incidentale.
Le potenzialità del dialogo a cui le Corti partecipano mediante il rinvio pregiudiziale, in particolare laddove ad essere coinvolte siano quelle costituzionali, sono emerse in modo particolarmente evidente in occasione del c.d.
caso Taricco. Questo caso ha visto infatti la Corte di giustizia e la Corte costituzionale italiana protagoniste di un dialogo che ha scongiurato il rischio di collisione interordinamentale inizialmente paventato.
Con
sentenza resa l'8 settembre
2015 (c.d.
Taricco), assumendo come parametro di riferimento l'art. 325 TFUE, la Corte di giustizia aveva, infatti, stabilito che, nei processi penali relativi ai reati in materia di imposta sul valore aggiunto (IVA), il giudice italiano avrebbe dovuto
disapplicare la normativa in materia di prescrizione: a) se tale normativa avesse impedito di infliggere sanzioni effettive e dissuasive in un numero considerevole di casi di frode grave che ledono gli interessi finanziari dell'Unione europea; b) o se avesse previsto, per i casi di frode che ledono gli interessi finanziari dello Stato membro, termini di prescrizione più lunghi di quelli previsti per i casi di frode che ledono gli interessi finanziari dell'Unione europea.
Ritenendo che tale regola ponesse
in questione i principi fondamentali dell'ordinamento costituzionale italiano, la Corte di cassazione e la Corte di appello di Milano hanno investito della questione la Corte costituzionale, chiedendole di dichiarare l'incostituzionalità della legge di ratifica del Trattato nella parte in cui, rendendo esecutivo l'art. 325 TFUE come interpretato dalla Corte di giustizia, imponeva al
giudice la disapplicazione di due disposizioni del codice penale in materia di prescrizione.
Per consolidata tradizione giuridica, infatti, nell'ordinamento italiano la prescrizione costituisce un istituto di diritto penale sostanziale, con ciò potendosi ritenere il suo regime conforme a Costituzione solo laddove risulti rispettoso del principio di legalità in materia penale e dei suoi corollari della irretroattività sfavorevole e della determinatezza.
La
Corte costituzionale, però, anziché procedere alla declaratoria di incostituzionalità come richiesto, ha preferito avviare un dialogo con la Corte di giustizia, proponendo innanzi ad essa un rinvio pregiudiziale (ordinanza n. 24 del
2017).
Dopo aver sottolineato la
natura sostanziale della prescrizione e precisato la portata del principio di legalità in materia penale alla luce della Costituzione, la Consulta ha dunque rilevato che l'interpretazione proposta dal Giudice europeo avrebbe posto anzitutto un problema di prevedibilità delle conseguenze penali dei comportamenti umani, nonché di determinatezza della fattispecie penale. Dopodiché ha precisato che, in mancanza di altra soluzione, essa stessa avrebbe avuto il dovere di
impedire l'ingresso, nell'ordinamento italiano, di norme contrastanti con un principio, quale per l'appunto quello di
legalità in materia penale, che caratterizza la sua identità costituzionale, con ciò prospettando l'attivazione dei c.d. controlimiti.
Prendendo atto di quanto rilevato dalla Corte costituzionale, con
sentenza del 5 dicembre
2017 (c.d.
Taricco bis) la Corte di giustizia, dopo aver analizzato il contenuto del principio di legalità dei reati e delle pene e sottolineato la centralità che esso assume anche nell'ordinamento dell'UE, ha statuito che: il giudice nazionale, laddove rilevasse un'incertezza nella determinazione del regime di prescrizione applicabile alla fattispecie al suo esame derivante dall'applicazione della prima pronuncia della medesima Corte,
non sarebbe tenuto a disapplicare le disposizioni del codice penale questionate, perché quell'incertezza rappresenterebbe il portato della violazione del principio di determinatezza; in ogni caso, il
divieto di retroattività sfavorevole vigente in materia penale impone di escludere che le norme sul regime di prescrizione interno possano essere disapplicate per i fatti commessi prima della sentenza Taricco.
Con questa sentenza la Corte di giustizia ha, perciò, scongiurato l'eventualità, paventata in modo esplicito dalla Corte costituzionale, di attivazione dei controlimiti, in tal modo evitando altresì quel conflitto interordinamentale che ne sarebbe conseguentemente derivato.
Con la sentenza n. 115 del
2018 la
Corte costituzionale ha definitivamente chiuso la vicenda, negando ai giudici nazionali di poter disapplicare il regime legale della prescrizione.
Nell'ambito dell'ampia questione del rapporto tra diritto dell'Unione e diritto nazionale si inserisce, più di recente, la
sentenza n. 269 del 2017 con cui la Corte costituzionale, in un
obiter dictum, ha sostanzialmente
rimosso l'obbligo, fino ad allora ritenuto sussistente in capo al giudice comune,
di sollevare previamente il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia dinanzi a norme interne confliggenti sia con i
diritti previsti dalla Costituzione che con quelli sanciti dalla Carta dei diritti fondamentali dell'UE. Secondo la Consulta, a fronte di eventuali violazioni di diritti fondamentali, esigenze di certezza del diritto le imporrebbero di addivenire essa stessa a una decisione con effetti
erga omnes. L'interpretazione prevalente della pronuncia non porta a ritenere che la stessa abbia operato una rigida inversione dell'ordine tra le due pregiudiziali, assegnando dunque priorità a quella costituzionale, ma che abbia invece, e più semplicemente, affermato la necessità del controllo accentrato di costituzionalità, anche eventualmente a seguito del rinvio pregiudiziale.
Con la
sentenza n. 20 del 2019, riaffermando gli stessi principi di diritto, la Corte ha statuito che i diritti enunciati nella Carta dell'UE, in ragione del suo contenuto di impronta tipicamente costituzionale, intersecano in larga misura i principi e i diritti garantiti dalla Costituzione italiana, ribadendo con ciò che,
fatto salvo il ricorso al rinvio pregiudiziale per le questioni di interpretazione o di invalidità del diritto dell'Unione europea, in caso di sospetto contrasto di una legge nazionale sia con la Costituzione che con la Carta europea, va garantita l'opportunità di un suo intervento con effetti
erga omnes. In questa occasione la Corte ha però esteso la necessità del sindacato costituzionale anche ai casi di contrasto del diritto interno con il diritto europeo derivato avente natura materialmente costituzionale.
La successiva
sentenza n. 63 del 2019 ha riaffermato in modo ancora più esplicito la possibilità per i giudici comuni di proporre rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia,
sia prima che dopo il giudizio costituzionale, per qualsiasi profilo, e rafforzando, in tal modo, quella lettura interpretativa di cui si è detto, secondo la quale la sentenza n. 269 del 2017 non avrebbe invertito l'ordine delle questioni, avendo semplicemente superato l'obbligo precedentemente posto a carico del giudice di sollevare prioritariamente il rinvio pregiudiziale.
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Nota esplicativa - La Corte di giustizia dell'Unione europea (CGUE)
La Corte di giustizia dell'Unione europea è l'istituzione alla quale il Trattato sull'Unione europea (TUE) affida il compito di
assicurare il rispetto del diritto nell'interpretazione e nell'applicazione dei trattati (art. 19 TUE).
Pur costituendo un'
istituzione unica, essa si articola in
tre organi giurisdizionali distinti: la
Corte di giustizia, il
Tribunale e i
tribunali specializzati.
Secondo quanto disposto dall'art. 257 TFUE, il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando secondo la procedura legislativa ordinaria, possono istituire tribunali specializzati affiancati al Tribunale, e incaricati di conoscere in primo grado di talune categorie di ricorsi proposti in materie specifiche. Sino ad oggi, l'unico tribunale specializzato istituito ai sensi di tale disposizione è stato il Tribunale della funzione pubblica, competente a pronunciarsi in primo grado sulle controversie tra l'UE e i suoi agenti. Tale organo è stato soppresso nel 2016 in seguito al trasferimento, operato nel contesto della riforma dell'architettura giurisdizionale dell'Unione, delle sue competenze al Tribunale.
Nonostante l'istituzione sia articolata in più organi, principio cardine del suo agire resta quello dell'
unitarietà di giurisdizione, il cui rispetto viene assicurato attribuendo alla Corte di giustizia, laddove non abbia una giurisdizione esclusiva, la
funzione di giudice d'appello avverso le pronunce rese dagli altri organi. In tal modo, viene garantita la capacità della Corte di giustizia dell'Unione europea di esercitare una delle sue funzioni più importanti, che si sostanzia nell'assicurare
unità di giurisprudenza e di interpretazione del diritto dell'Unione.
La
Corte di giustizia è composta da
un giudice per ogni Stato membro e, dunque, attualmente da
27 giudici, i quali, nell'esercizio delle proprie funzioni, sono assistiti da 11 avvocati generali, il cui compito è quello di "presentare pubblicamente, con assoluta imparzialità e in piena indipendenza, conclusioni motivate sulle cause che […] richiedono il [loro] intervento" (art. 252 TFUE).
I giudici e gli avvocati generali sono
designati – per un mandato di sei anni, rinnovabile – di comune accordo
dai governi degli Stati membri, previa consultazione del Comitato appositamente istituito per fornire un parere sull'adeguatezza dei candidati proposti. Essi vengono scelti tra personalità che offrano
tutte le garanzie di indipendenza e che riuniscano le condizioni richieste per l'esercizio, nei rispettivi paesi, delle
più alte funzioni giurisdizionali, ovvero che siano in possesso di
competenze notorie. I giudici designano tra loro il presidente e il vicepresidente della Corte per un periodo di tre anni, rinnovabile.
La Corte può riunirsi in
seduta plenaria, in grande sezione (quindici giudici) o in sezioni composte da cinque o tre giudici. La seduta plenaria viene adita in casi specifici previsti dallo Statuto della Corte nonché quando la Corte stessa ritenga che una causa rivesta un'eccezionale importanza. La Corte si riunisce, invece, in grande sezione qualora lo richieda uno Stato membro o un'istituzione parti in causa, oltre che per trattare le cause particolarmente complesse o importanti.
Quanto al
Tribunale, esso si compone di
due giudici per Stato membro, designati alle stesse condizioni e con le medesime modalità previste per i giudici della Corte. A differenza di questi ultimi, però, i giudici che compongono il Tribunale attualmente non sono assistiti in via permanente da avvocati generali.
Le cause sulle quali il Tribunale è chiamato a pronunciarsi sono decise da
sezioni composte da tre o cinque giudici o, in determinati casi, da un
giudice unico. Qualora la complessità giuridica o l'importanza della causa lo giustifichi, esso può anche riunirsi in
grande sezione (quindici giudici).
I trattati attribuiscono alla Corte di giustizia una sfera di competenze molto articolata ed eterogenea, prevalentemente di natura giurisdizionale e, più limitatamente, consultiva.
Fatta eccezione per quella pregiudiziale, le competenze di tipo giurisdizionale hanno carattere contenzioso, attivandosi, dunque, su ricorso diretto dei soggetti interessati. In questo contesto, la Corte di giustizia dell'Unione europea è competente a conoscere, tra gli altri:
La Corte di giustizia può essere adita con
impugnazioni limitate alle questioni di diritto contro le pronunce del
Tribunale. Se l'impugnazione è ritenuta ricevibile e fondata, la Corte annulla la decisione del Tribunale. Nel caso in cui lo stato degli atti lo consenta, la Corte può statuire direttamente sulla controversia. In caso contrario, essa rinvia la causa al Tribunale, che è vincolato dalla decisione resa dalla Corte in sede di impugnazione.
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