Secondo quanto riportato dal canale radioelevisivo CNN, le autorità iraniane avrebbero fatto pervenire, il 29 novembre, poco prima della partita di calcio con gli Stati Uniti, una serie di minacce ai giocatori della nazionale, in Qatar per i mondiali, avvisandoli che i loro familiari rischiavano di essere "arrestati e torturati", se i giocatori non avessero cantato l'inno nazionale, come già avvenuto in occasione della partita con la nazionale inglese, o fossero risultati coinvolti in "qualsiasi forma di protesta politica" contro il regime. Al termine del match, conclusosi con la sconfitta della squadra iraniana, che adeguandosi alle "raccomandazioni" ricevute aveva cantato l'inno iraniano, sono state registrate in tutto il Paese, e in particolare nella provincia occidentale del Kurdistan, di cui era originaria Mahsa Amini, uccisa dalla polizia morale lo scorso 16 settembre, manifestazioni di giubilo, in cui i manifestanti hanno bruciato striscioni che pubblicizzavano la nazionale di calcio. Il Consiglio per la sicurezza dello Stato del Ministero dell'Interno iraniano, il 3 dicembre con un comunicato, ha informato che nell'ambito delle manifestazioni di protesta per la morte della giovane Mahsa Amini, deceduta dopo l'arresto per le percosse ricevute dalla polizia morale, sono stati registrati complessivamente 200 morti tra appartenenti alle forze di sicurezza e manifestanti. Secondo quanto riportato da attivisti iraniani di Human Rights Activists News Agency (Hrana), sarebbero almeno 451 i manifestanti uccisi, tra cui 64 minori, oltre 18 mila gli arresti, 159 le città coinvolte nelle proteste e 143 le università in sciopero. La magistratura iraniana avrebbe condannato alla pena capitale - secondo quanto riportato da Amnesty International - almeno 21 persone, in quelli che l'organizzazione non governativa ha definito "processi farsa" che hanno l'obiettivo d'intimidire chi partecipa alle proteste. Il 4 dicembre il sito della magistratura iraniana Mizan ha annunciato che sarebbero state eseguite le condanne a morte di quattro uomini, riconosciuti colpevoli di lavorare per il Mossad. I quattro erano stati arrestati lo scorso mese di maggio nell'ambito di un'azione realizzata dalle Guardie della rivoluzione nella quale, oltre ai quattro accusati di spionaggio furono arrestate altre tre persone per reati contro la sicurezza del Paese, rapimento e possesso di armi. Alcune dichiarazioni rilasciate nei primi giorni di dicembre avevano fatto pensare ad un tentativo del governo iraniano di allentare il livello di tensione nel Paese. Il presidente Raisi, in un discorso trasmesso dalla televisione iraniana, aveva prospettato la possibilità di modificare la Costituzione adottata nel 1979, affermando che "sebbene la Costituzione abbia principi solidi e immutabili" tuttavia "è possibile utilizzare metodi flessibili nell'attuazione delle sue disposizioni". All'apertura del Presidente Raisi si era affiancata quella del procuratore generale, Mohammad Jafar Montazeri, che in una dichiarazione diffusa dall'agenzia di stampa Isna, ha affermato che "la polizia morale non ha nulla a che fare con la magistratura ed è stata abolita", facendo pensare a una decisione recentemente adottata a seguito delle manifestazioni di protesta. Il ministro degli Affari esteri, Antonio Tajani, intervenendo a margine di un evento sulla lotta alla corruzione ospitato alla Farnesina, ha commentato che "se la notizia dello scioglimento della polizia morale in Iran venisse confermata sarebbe certamente un segnale positivo, ma bisogna capire se si tratti della verità". Successivamente infatti la notizia di tale decisione non ha trovato conferma e l'emittente iraniana in lingua araba El Am ha affermato che l'abolizione della Gast-e ersad, la polizia morale iraniana, "non è stata confermata da nessun funzionario della Repubblica islamica dell'Iran", precisando che le dichiarazioni rilasciate ieri dal Procuratore generale sarebbero state "male interpretate", distorcendone il significato che riaffermava invece il ruolo della magistratura che continuerà a "monitorare le azioni comportamentali a livello di comunità". Secondo l'emittente vi è stato da parte dei media stranieri il tentativo di interpretare la frase del procuratore come "un passo indietro della Repubblica islamica in merito all'obbligo dell'hijab". Tre giorni di proteste si sono susseguiti dal 5 al 7 dicembre: secondo quanto riferito dal sito legato all'opposizione "Iran International", negozi e attività commerciali sono state chiuse in varie città del Paese. Al riguardo, il presidente dell'ordine giudiziario, Gholamhossein Mohseni Ejei, ha dichiarato che i negozianti sono stati obbligati a chiudere le loro attività per le minacce cui sono sottoposti dai "rivoltosi" che saranno presto identificati e sottoposti al giudizio della magistratura. Ha inoltre precisato che le ulteriori condanne a morte già comminate saranno presto eseguite. Il 6 dicembre, il deputato iraniano, Hossein Jalali, membro della Commissione Cultura del Parlamento (Majlis) ha dichiarato che a breve saranno approvati provvedimenti riguardo all'uso del velo in pubblico. In particolare il provvedimento prevede di bloccare i conti bancari intestati alle donne che vengano sorprese per tre volte senza indossare lo hijab. Il parlamentare ha spiegato che si tratterebbe di un nuovo approccio per spingere le donne a portare il velo, adottando un sistema che scoraggi l'inadempienza, tramite messaggi sul cellulare che avvisano dell'infrazione rilevata e che al terzo messaggio comporta il blocco automatico del conto. Secondo Jalali sarebbe il clima di protesta ad incoraggiare le donne a non indossare lo hijab: "quando le rivolte aumentano, teppisti e folle aumentano, scendono per le strade e aumentano i casi di donne senza velo. Quando tutto ciò finirà, termineranno anche questi comportamenti". In occasione della celebrazione della Giornata dello studente, il 7 dicembre, il presidente della Repubblica, Ebrahim Raisi, ha tenuto un discorso presso l'Università di Teheran, nel quale rivolgendosi agli studenti ha detto che le proteste in Iran dovrebbero essere "ascoltate e siamo sempre determinati ad ascoltare le parole degli studenti", ma "la protesta è diversa dalla rivolta" e ha invitato gli studenti a promuovere e facilitare le relazioni tra gli atenei e il governo, invitando gli studenti a trovare soluzioni per i problemi. Nel discorso il Presidente iraniano ha accusato gli Stati Uniti di fomentare le proteste e ha affermato che "gli statunitensi americani cercano la distruzione e vogliono creare un Iran distrutto invece di un Iran forte", rivendicando la capacità del Paese a stabilire relazioni con i paesi vicini pur senza divenire membri del Gafi (Gruppo di azione finanziaria internazionale). Secondo quanto riferito dalla stampa, nell'ateneo ci sarebbero registrate proteste represse dalle forze di sicurezza, in cui sarebbe avvenuto l'arresto illegale di uno studente. Lo stesso giorno Badri Hossein Khamenei, sorella della guida suprema, Ali Khamenei, ha pubblicato una lettera nella quale critica duramente le posizioni assunte del fratello, afferma che il regime ha portato solo sofferenza al popolo iraniano e si augura il rovesciamento della tirannia: "il popolo dell'Iran merita libertà e prosperità e la loro insurrezione è legittima e necessaria per ottenere i propri diritti". La figlia di Badri Hossein Khamenei, attivista per i diritti umani, è stata nuovamente arrestata alla fine di novembre per aver esortato i governi stranieri a rompere i rapporti con Teheran per la repressione popolare che sta attuando. Il 12 dicembre è stata eseguita a Mashhad un'altra condanna a morte di una persona incriminata per avere partecipato alle proteste contro il regime: Majid Reza Rahnavard, 23 anni, un lottatore professionista, è stato torturato e gli è stata estorta una confessione nel corso di un processo a porte chiuse conclusosi con l'impiccagione per omicidio e "inimicizia verso Dio". L'agenzia della Magistratura, Mizan, ha reso noto che l'esecuzione è avvenuta "in pubblico", ossia davanti a uno schieramento di bassiji. Secondo quanto riportato all'inizio del mese di gennaio dall'agenzia degli attivisti dei diritti umani iraniana Harana, ammonterebbero a 519 le persone morte durante le proteste anti governative in Iran seguite alla morte della giovane Mahsa Amini; tra le vittime ci sarebbero 70 minori e 68 membri delle forze di sicurezza, mentre sarebbero oltre 19 mila le persone arrestate dal 16 settembre. Il 7 gennaio sono state eseguite le condanne a morte per impiccagione di Mohammad Mahdi Karami e Sayyed Mohammad Hosseini accusati di avere ucciso un membro della milizia Basiji, avvenuta a Karaj lo scorso 3 novembre. Nei giorni precedenti centinaia di persone avevano protestato davanti al carcere di Karj contro le esecuzioni delle condanne a morte emesse nei confronti di manifestanti. Il 9 gennaio, ad appena quarantotto ore dall'uccisione dei due manifestanti, sono state emesse altre quattro condanne a morte con l'accusa di "guerra contro Dio". Secondo quanto riportato dall'agenzia di stampa "Mizan", legata alla magistratura iraniana, le ultime sentenze, ancora appellabili, porterebbero a 17 il totale delle persone condannate a morte in relazione agli oltre tre mesi di proteste. Il 10 gennaio, secondo quanto riportato da notizie stampa, Faezeh Hashemi, ex parlamentare e figlia del defunto Presidente iraniano, Akbar Hashemi Rafsanjani, arrestata il 27 settembre scorso con l'accusa di "propaganda" e azioni contro l'ordine pubblico e la sicurezza nazionale, è stata condannata a cinque anni di carcere.
Il 9 gennaio, il Segretario Generale del Servizio Europeo per l'Azione Esterna (SEAE), ambasciatore Stefano Sannino, ha convocato l'ambasciatore dell'Iran presso l'Unione europea, Hossein Dehghani, per ribadire il forte sgomento dell'Unione Europea per l'esecuzione del 7 Gennaio di Mohammad Mehdi Karami e Seyyed Mohammad Hosseini. Il Segretario Generale Sannino ha ribadito l'appello dell'UE alle autorità iraniane affinché cessino immediatamente le esecuzioni nei confronti dei manifestanti, siano annullate le condanne a morte già pronunciate e sia garantito un giusto processo a tutti i detenuti. Sannino ha quindi ribadito la "ferma opposizione dell'UE della pena di morte in ogni momento e in ogni circostanza", precisando che "le questioni relative ai diritti umani sono al centro delle relazioni interne ed esterne dell'UE e che l'UE ei suoi Stati membri rimangono uniti nella loro risposta alle azioni dell'Iran". |