Camera dei deputati - Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa) |
|
---|---|
Autore: | Servizio Bilancio dello Stato - Servizio Bilancio dello Stato |
Titolo: | Andamenti recenti di finanza pubblica |
Serie: | Documentazione di Finanza Pubblica Numero: |
Data: | 31/10/2022 |
Organi della Camera: | V Bilancio |
andamenti recenti di finanza pubblica
Evoluzione della spesa pubblica
· La spesa per prestazioni sociali
· La spesa sanitaria: finanziamento e livelli essenziali di assistenza
· La spesa per redditi da lavoro dipendente
· La spesa delle amministrazioni locali (2018-2021)
L’evoluzione del rapporto debito/PIL
Al fine di dar conto dell’evoluzione del quadro di finanza pubblica nel periodo corrispondente all’orizzonte temporale della XVIII legislatura nonché delle più aggiornate previsioni contenute nei documenti economico-finanziari, si riportano di seguito alcuni dati rilevanti concernenti l’evoluzione dei principali saldi ed aggregati del Conto economico delle Amministrazioni Pubbliche.
Per quanto riguarda il periodo di consuntivo (2018-2021), i dati sono tratti dalle serie ISTAT, con le revisioni pubblicate, da ultimo, con il Comunicato dell’Istituto del 23 settembre scorso.
I dati previsionali, relativi agli esercizi 2022-2025, sono tratti invece dalla NADEF 2022, approvata il 28 settembre scorso dal Consiglio dei Ministri, al fine di aggiornare il quadro tendenziale macroeconomico e quello di finanza pubblica riportato nel DEF dell’aprile 2022.
L'indebitamento netto delle Amministrazioni Pubbliche per gli anni 2018-2021 è calcolato dall'ISTAT[1] in conformità alle regole fissate dal regolamento Ue n. 549/2013 (Sistema Europeo dei Conti - Sec 2010) entrato in vigore il 1° settembre 2014 e dal Manuale sul disavanzo e sul debito pubblico edizione 2019: nel mese scorso sono stati aggiornati i dati già diffusi il 22 aprile 2022[2].
In base a tale comunicazione, nel 2021 l'indebitamento netto delle Amministrazioni Pubbliche (in valore assoluto -128.902 milioni di euro) è stato pari al 7,2% del Pil, in diminuzione di circa 28,7 miliardi rispetto al 2020 (in valore assoluto -157.645 milioni di euro) corrispondente al 9,5% del Pil. Il saldo si mostra dunque in lieve miglioramento rispetto al 2020, soprattutto a causa del buon andamento delle entrate e del più contenuto aumento delle uscite. Si evidenzia che esso, in percentuale del Pil, si attesta comunque su un valore negativo superiore a quello registratosi nel 2018 e 2019, allorché si registrava al -2,2% e al -1,5% del Pil, oltre che su un valore assoluto nettamente superiore a quello registrato nei medesimi anni (-38.353 milioni nel 2018 e -27.109 nel 2019).
Il saldo primario (ovvero l'indebitamento netto al netto della spesa per interessi) si è confermato di segno negativo nel 2021 e pari al -3,7% del Pil, evidenziando un miglioramento di 2,3 punti percentuali rispetto al 2020 allorché si è attestato al -6,0%. Nel 2018 e nel 2019 il medesimo saldo si era attestato su di un valore di segno positivo e pari all'1,5% e all'1,9% del Pil.
La spesa per interessi, che secondo le attuali regole di contabilizzazione non comprende l'impatto delle operazioni di swap, viene registrata in crescita in valore assoluto del +11,3%, interrompendo il calo che si era registrato negli anni precedenti sin dal 2013. Il dato percentuale sul Pil si conferma comunque su valori prossimi a quelli registrati nel 2018 e 2019 che si erano attestati al 3,6 e 3,4 del Pil.
Principali aggregati di finanza pubblica anni 2018-2021
(dati in milioni di euro e in percentuale del PIL)
|
2018 |
2019 |
2020 |
2021 |
Indebitamento netto |
-38.353 |
-27.109 |
-157.645 |
-128.902 |
in percentuale del PIL |
-2,2 |
-1,5 |
-9,5 |
-7,2 |
Debito pubblico (d) |
2.381.509 |
2.410.004 |
2.572.727 |
2.677.910 |
in percentuale del PIL |
134,4 |
134,1 |
154,9 |
150,3 |
Interessi passivi |
64.596 |
60.362 |
57.317 |
62.863 |
in percentuale del PIL |
3,6 |
3,4 |
3,5 |
3,5 |
Saldo primario |
26.243 |
33.291 |
-100.343 |
-65.149 |
in percentuale del PIL |
1,5 |
1,9 |
-6,0 |
-3,7 |
Fonte: ISTAT, Comunicato Conti economici nazionali, 23 settembre 2022, pagina 7.
Le annualità 2020 e 2021 sono state condizionate dalla pandemia e dalle conseguenti misure di sostegno adottate con oneri a carico della finanza pubblica, cui si sono aggiunti nel 2022 gli effetti delle misure predisposte per la crisi energetica.
Nell'ambito delle previsioni contenute nella Nota tecnico-illustrativa (NTI) 2019 per il periodo previsionale 2019-2021, il Governo stimava un indebitamento netto al -1,8% del PIL nel 2018, del -2,4% nel 2019 e del -2% nel 2020 e -1,7% nel 2021. Tale dinamica si sarebbe ottenuta con un aumento delle entrate finali più sostenuto di quello delle uscite, pur in presenza di una sostanziale invarianza della pressione fiscale passata dal 41,8% nel 2018 al 41,3 nel 2021.
Principali aggregati di finanza pubblica anni 2018-2021
Fonte: Istat, Notifica dell’indebitamento netto e del debito delle amministrazioni pubbliche secondo il trattato di Maastricht, anni 2018-2021, Nota informativa, 22/04/2022.
Le tavole annesse alla Notifica ISTAT del 22 aprile scorso recano anche l'indicazione, per gli anni 2018-2021, delle poste di raccordo tra gli aggregati di finanza pubblica, ovvero tra il fabbisogno complessivo delle AP elaborato dal Ministero dell’economia e delle finanze e l’indebitamento netto delle AP stimato dall’Istat, nonché tra l’indebitamento netto e la variazione del debito calcolata dalla Banca d’Italia, come segue:
Determinanti della variazione del debito sul PIL – Anni 2018-2021
(valori in percentuale del PIL (a))
|
2018 |
2019 |
2020 |
2021 |
Indebitamento netto sul PIL (b) |
2,2 |
1,5 |
9,6 |
7,2 |
Saldo primario su PIL (b) |
-1,5 |
-1,8 |
6,1 |
3,7 |
Interessi passivi su PIL |
3,6 |
3,4 |
3,5 |
3,5 |
Aggiustamenti stock-flussi su PIL |
0,7 |
0,0 |
0,2 |
-1,3 |
Rapporto tra la variazione del debito e il PIL |
2,9 |
1,6 |
9,8 |
5,9 |
a) Eventuali mancate quadrature sono dovute agli arrotondamenti.
b) Con segno opposto rispetto al prospetto 1.
c) Dati definitivi.
d) Dati provvisori.
Fonte: Notifica ISTAT Notifica 22 ottobre 2022, pagina 3.
I dati sul debito delle Amministrazioni Pubbliche per gli anni 2018-2021 sono quelli pubblicati dalla Banca d'Italia e sono anch'essi coerenti con il Sistema Europeo dei Conti (Sec 2010). Il Comunicato ISTAT ha certificato che a fine 2021 il debito pubblico, misurato al lordo delle passività connesse con gli interventi di sostegno finanziario in favore di Stati Membri della UEM, pari a 2.677.910 milioni di euro (150,8% del Pil). Rispetto al 2020 il rapporto tra il debito delle AP e il Pil è dunque diminuito di 4,5 punti percentuali. Valore comunque superiore di quasi 16 punti percentuali rispetto al Pil rispetto ai valori registrati nel 2018 e 2019.
Dopo il deterioramento del quadro di finanza pubblica nel 2020, senza pari nel secondo dopoguerra, nel 2021 si è registrato pertanto un sensibile recupero, con un miglioramento del deficit e del debito della Pubblica Amministrazione in rapporto al Pil nominale più ampio di quanto previsto dai documenti programmatici.
In presenza di una spesa per interessi stabile al 3,5 per cento del Pil, il saldo primario - pur mantenendosi su valori ancora ampiamente negativi - ha segnato un miglioramento di oltre due punti percentuali rispetto all'anno precedente.
Significativo è infine il dato relativo alle garanzie poste a carico del bilancio dello Stato in relazione alle varie misure di sostegno adottate nel biennio 2020/2021 in relazione all'emergenza pandemica, nonché in relazione alle misure di sostegno adottate nell'anno in corso in relazione all'emergenza energetica, per famiglie e imprese[1].
Per la componente delle garanzie non standardizzate, si rammenta che le stesse non sono scontate in via preventiva ai fini dei saldi di finanza pubblica: pertanto, l'eventuale escussione delle stesse determinerà un onere straordinario e aggiuntivo che non potrà che gravare sui saldi di finanza pubblica nei prossimi anni.
Stock di garanzie pubbliche – Anni 2018-2021
(in percentuale del PIL)
|
2018 |
2019 |
2020 |
2021 |
Garanzie one-off |
2,6 |
2,9 |
5,4 |
5,9 |
Garanzie standardizzate |
1,7 |
1,9 |
7,6 |
10,0 |
Totale |
4,3 |
4,8 |
13,0 |
15,9 |
di cui: relative alle misure di contrasto al Covid-19 (2) |
|
|
7,1 |
10,1 |
p.m.: impatto sull'indebitamento netto (3) |
0,1 |
0,1 |
0,7 |
0,4 |
Fonte: per l'ammontare delle garanzie, Eurostat (per il biennio 2018-19), Documento di economia e finanza 2021 (per il 2020) e Documento di economia e finanza 2022 (per il 2021); per l'impatto sull'indebitamento netto, Istat.
(1) Eventuali mancate quadrature sono dovute all'arrotondamento delle cifre decimali. — (2) Include le garanzie concesse dal Fondo centrale di garanzia per le PMI, quelle concesse da SACE S.p.A. nell'ambito del programma "Garanzia Italia" e sulle assicurazioni di crediti commerciali a breve termine e quelle relative al Fondo di garanzia per la prima casa. — (3) Pari agli accantonamenti a fronte delle garanzie concesse.
Fonte: Audizione della Banca d'Italia, 14 aprile 2022, pagina 16.
Per quanto attiene ai dati previsionali, la NADEF 2022 aggiorna in primo luogo il quadro della crescita economica contenuto nel DEF pubblicato in aprile, che si mostra in sensibile rallentamento nella seconda parte del 2022 e per il 2023. Gli effetti dell'indebolimento del ciclo internazionale ed europeo sono riflessi nel tasso di crescita prevista per il 2023, che scende allo 0,6 per cento dal 2,4 indicato nel citato documento. Le previsioni di crescita del PIL per il 2024 e il 2025 restano invece invariate rispetto al DEF, rispettivamente all'1,8% e all'1,5 %.
Nella Nota si aggiorna la previsione di crescita del PIL per il 2022, rivista al rialzo, al 3,3%, a fronte dal 3,1% dello scenario programmatico contenuto nel DEF, grazie alla crescita superiore registrata nel primo semestre e che si sconta parzialmente con una lieve flessione del PIL nella seconda metà dell'anno.
Quanto ai saldi di finanza pubblica, l'indebitamento netto del 2022 è previsto pari al 5,1 per cento del PIL, mezzo punto percentuale in meno rispetto a quanto previsto nel DEF e certamente un ottimo risultato data la portata degli interventi di sostegno e aiuto all'economia attuati dal Governo e l'aumento dei pagamenti per interessi.
Per il 2023, la previsione dell'indebitamento netto tendenziale scende di oltre due punti percentuali rispetto all'anno scorso, dal 7,2% al 5,1% del PIL (a fronte dell'obiettivo programmatico del 5,6 per cento), grazie a un netto miglioramento del saldo primario, che si riduce al -1,1 per cento del PIL, dal -3,7 per cento del 2021.
Il rapporto debito/PIL è pertanto previsto scendere dal 150,3 per cento nel 2021 al 145,4 per cento nel 2022 (147,0 per cento nel DEF). Anche per quanto riguarda i tre prossimi anni, le nuove proiezioni tendenziali del rapporto debito/PIL sono inferiori di circa due punti percentuali a quelle del DEF grazie a una dinamica del PIL nominale lievemente più sostenuta e al miglioramento del saldo primario. Tali fattori migliorativi più che compensano il rialzo del costo implicito di finanziamento del debito.
Fonte: NADEF 2022, pagina 15.
Si riporta di seguito la tavola tratta dalla NADEF 2022 che contiene l’aggiornamento dei principali indicatori di finanza pubblica.
Indicatori di finanza pubblica aggiornati dalla NADEF 2022
(in percentuale del Pil)
QUADRO TENDENZIALE |
||||||
|
2020 |
2021 |
2022 |
20223 |
2024 |
2025 |
Indebitamento netto |
-9,5 |
-7,2 |
-5,1 |
-3,4 |
-3,5 |
-3,2 |
Salde primario |
-6,0 |
-3,7 |
-1,1 |
0,5 |
0,2 |
0,7 |
Interessi passivi |
3,5 |
3,6 |
4,0 |
3,9 |
3,8 |
3,9 |
Indebitamento netto strutturale (2) |
-5,0 |
-6,4 |
-5,5 |
-3,6 |
-3.9 |
-3,7 |
Variazione strutturale |
-3,1 |
-1,4 |
0,9 |
1,9 |
-0,3 |
0,2 |
Debito pubblico (lordo sostegni) (3) |
154,9 |
150,3 |
145,4 |
143,2 |
140,9 |
139,3 |
Debito pubblico (netto sostegni) (3) |
151,4 |
147,1 |
142,5 |
140,4 |
138,2 |
136,7 |
(2) Al netto delle una tantum e della componente ciclica.
(3) Al lordo ovvero al netto delle quote di pertinenza dell’Italia dei prestiti a Stati membri dell'UEM, bilaterali o attraverso l'EFSF, e del contributo al capitale dell'ESM. A tutto il 2021 l'ammontare di tali quote è stato pari a circa 57,3 miliardi, di cui 43,0 miliardi per prestiti bilaterali e attraverso l'EFSF e 14,3 miliardi per il programma ESM (cfr. Banca d’Italia, 'Bollettino statistico Finanza pubblica, fabbisogno e debito di settembre 2022). Si ipotizza una riduzione delle giacenze di liquidità del MEF di circa -0,2 per cento del PIL nel 2022 e di circa -0,1 per cento del PIL per ciascun anno successivo, con l'obiettivo di riportare il saldo al livello di fine 2019. Inoltre, le stime tengono conto del riacquisto di SACE, degli impieghi del Patrimonio destinato, delle garanzie BEI, nonché dei prestiti dei programmi SURE e NGEU. Lo scenario dei tassi di interesse utilizzate per le stime si basa sulle previsioni implicite derivanti dai rendimenti a termine sui titoli di Stato italiani del periodo di compilazione del presente documento.
Fonte: NADEF 2022, estratto da pagina 16.
Per la determinazione del saldo nella versione "strutturale" risulta determinante sia il segno che l’ampiezza dell'output gap, ossia la distanza dell'economia dal suo potenziale di crescita. È pertanto da notare che, in presenza di una crescita ridotta o nulla del PIL potenziale, anche tassi estremamente contenuti del PIL effettivo possono contribuire alla chiusura dell'output gap[3].
Il saldo così definito è pari all'indebitamento netto corretto per gli effetti del ciclo economico sulle componenti di bilancio e per gli effetti delle misure una tantum, che influiscono solo temporaneamente sull'andamento del disavanzo[4].
Esso consente di distinguere le variazioni automatiche di entrata e di spesa rispetto alla componente discrezionale di politica fiscale, e di valutare il carattere espansivo o restrittivo di questa a fronte dell'andamento macroeconomico (fiscal stance)[5].
Per ottenere il saldo strutturale (l'indebitamento netto o il saldo primario), occorre pertanto in primo luogo depurare il saldo nominale dalla sua componente ciclica: se negativa, tale componente migliora il saldo in termini strutturali; viceversa in caso di componente ciclica positiva.
La NADEF 2022 espone il quadro di sintesi aggiornato dei saldi di finanza pubblica in rapporto al Pil per gli anni 2019-2025 al netto del ciclo economico, da cui emerge che, a fronte del miglioramento dell'indebitamento previsto per il 2022 rispetto al 2021, seguiranno valori che si attesteranno negli successivi anni 2023-2025 su percentuali sempre superiori al 3 per cento.
Non di meno i dati consolidati del tendenziale di finanza pubblica per il 2022 e 2023 evidenziano un miglioramento in termini "strutturali". Il disavanzo è stimato pari al 5,5 per cento del Pil nel 2022, in diminuzione di 0,9 punti percentuali di Pil rispetto all'anno precedente, dopo di che il saldo continuerà a migliorare in maniera rilevante anche nel 2023 (1,9 punti percentuali di PIL).
Come dettagliato nella Tavola seguente, tale risultato è dovuto sostanzialmente al minore indebitamento nominale previsto, in quanto la correzione ciclica è sostanzialmente nulla per entrambi gli anni. La tendenza al miglioramento nel saldo strutturale si interrompe nell'ultimo biennio caratterizzato da un peggioramento nel 2024, seguito da un miglioramento nel 2025.
Il Documento evidenzia che ciò è dovuto in parte alle stime di prodotto potenziale, che cresce meno di quello effettivo; l'output gap diventa positivo e la componente del saldo legata alla correzione ciclica diventa sfavorevole. Allo stesso tempo, si osserva un rilevante aumento nella spesa per interessi in confronto alle proiezioni del DEF, che, nel 2025, arriva a 0,9 punti percentuali di PIL.
Fonte: NADEF 2022, pag. 79
La tavola relativa alle "Deviazioni Significative" riportata dalla NADEF 2022 include, a titolo informativo, tutte le cifre relative al calcolo della compliance con le regole fiscali europee: si tratta quindi di dati di interesse, pur nella fase attuale caratterizzata dall’applicazione della clausola derogatoria generale.
Il dato maggiormente rilevante riguarda la regola della spesa: nell'ultimo biennio (2024-2025) si osserva un grado di compliance molto migliore rispetto al comportamento dei saldi strutturali.
Fino a tutto il 2023 (in confronto con il 2022), le tendenze di fondo sottostanti i dati di finanza pubblica sono considerate di difficile lettura tenuto conto dell'ammontare molto elevato delle misure emergenziali presenti in bilancio fino a tutto l'anno in corso. La NADEF rileva che tali questioni risultano anche molto rilevanti nel discutere l'andamento della spesa alla luce delle raccomandazioni della Commissione UE.
(1) Gli arrotondamenti alla prima cifra decimale possono determinare incongruenze tra i valori presentati in tabella
(2) II segno positivo indica misure una tantum a riduzione del deficit.
(3) Corretto per il ciclo al netto delle misure una tantum e altre misure temporanee.
Fonte: NADEF 2022, pag. 80.
Indebitamento netto e Saldo di bilancio strutturale tendenziale
Fonte: Elaborazione su dati NADEF 2022
La NADEF riporta anche il prospetto riepilogativo aggiornato delle misure one off[6] in percentuale del Pil certificate a consuntivo per le annualità del triennio 2019/2021 e previste per le annualità del quadriennio 2022/2025.
Fonte: NADEF 2022, pag. 82.
I dati di consuntivo 2018-2021
In base ai dati del Conto economico consolidato delle pubbliche amministrazioni relativi agli anni 2018-2021, nel 2018, le entrate totali delle amministrazioni pubbliche sono risultate pari a circa 819 miliardi, in aumento di circa l’1,7 per cento rispetto all’anno precedente. Tale effetto è il risultato di un incremento di circa il 2% delle entrate correnti, a fronte di una riduzione di circa il 33% delle entrate in conto capitale da attribuire principalmente al venir meno degli introiti provenienti dall’emersione delle attività finanziarie e patrimoniali detenute all’estero (voluntary disclosure). Anche nel 2019 si è registrato un incremento delle entrate finali sia in valore assoluto (il valore è pari a circa 844 miliardi con un incremento di circa il 3 per cento su base annua), sia in termini di incidenza rispetto al PIL (dal 46,2 al 47 per cento).
Nel 2020 le entrate totali delle Amministrazioni pubbliche si sono attestate su valori significativamente inferiori a quelli del 2019 a causa dal forte rallentamento dell’economia legato all’emergenza pandemica. Infatti, rispetto al 2019 le entrate totali delle Amministrazioni pubbliche hanno registrato una contrazione in valore assoluto di circa 57,9 miliardi di euro (da 843,7 miliardi del 2019 a 785,9 miliardi nel 2020).
Nel 2021 le entrate totali delle Amministrazioni pubbliche sono risultate nuovamente in crescita, aumentando del 9,1% rispetto all’anno precedente (un incremento in valore assoluto di circa 71 miliardi), con una incidenza sul Pil pari al 48,1%. Come evidenziato dal comunicato ISTAT di settembre, in tale anno, le entrate correnti hanno registrato una crescita dell’8,8%, attestandosi al 47,7% del Pil.
In particolare, le imposte dirette sono aumentate del 6,7%, principalmente per il forte aumento dell’IRPEF e delle imposte sostitutive in parte compensato dalla contrazione dell’IRES. L’ISTAT sottolinea inoltre come la crescita delle entrate in conto capitale (+49,7%) sia stata spinta principalmente dall’aumento delle altre entrate in conto capitale e, in particolare, dai contributi agli investimenti dall’Unione europea relativi al Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR).
La pressione fiscale complessiva (ammontare delle imposte dirette, indirette, in conto capitale e dei contributi sociali in rapporto al Pil) è risultata pari al 43,4%, in aumento rispetto all’anno precedente (era 42,7% nel 2020), per un aumento delle entrate fiscali e contributive (+9,1%) superiore rispetto a quello del Pil a prezzi correnti (+7,3%).
L’andamento complessivo delle entrate della p.a. per il periodo 2018-2021 è illustrato nel seguente grafico, nel quale gli istogrammi rappresentano le entrate in valore assoluto e le linee spezzate rappresentano le entrate in rapporto al PIL e la pressione fiscale.
Andamento delle entrate della p.a. – Anni 2018-2021
Fonte: Elaborazione su dati ISTAT
Modifiche e disattivazione delle clausole di salvaguardia nel corso della XVIII legislatura
L’articolo 1, comma 626, della legge n. 147/2013 (legge di stabilità 2014) e articolo 1, comma 718, della legge n. 190/2014 (legge di stabilità 2015) hanno introdotto clausole di salvaguardia che hanno previsto meccanismi automatici per la realizzazione di effetti di maggior gettito fiscale (aumento delle aliquote IVA e delle accise). Tali norme sono state, negli anni, oggetto di numerosi interventi di modifica diretti, in via prevalente, ad evitare l’entrata in vigore, per determinati periodi di imposta, degli aumenti delle aliquote.
Nel corso della XVIII legislatura, le clausole sono state totalmente disattivate a decorrere dall’anno 2021. L’articolo 123 del DL 34 del 2020 ha infatti abrogato, con decorrenza 2021, gli incrementi delle aliquote IVA e delle accise previsti per gli anni successivi.
Nella seguente tabella sono quindi riepilogati gli interventi realizzati nella passata legislatura sulle aliquote, compreso quello previsto dal citato articolo 123 del DL n. 34 del 2020, aventi la finalità di neutralizzare le clausole di salvaguardia ed i relativi effetti finanziari.
Clausole di salvaguardia - Modifiche intervenute (2018-2022)
(milioni di euro)
|
2019 |
2020 |
2021 |
2022 |
2023 |
2024 |
Dal 2025 |
Modifiche legge n. 145/18 (art.1, co.2) |
|
|
|
|
|
|
|
Aliquota IVA ridotta |
10% |
13% |
13% |
13% |
13% |
13% |
13% |
Aliquota IVA ordinaria |
22% |
25,2% |
26,5% |
26,5% |
26,5% |
26,5% |
26,5% |
Maggior gettito variazione accise |
0 |
400 |
400 |
400 |
400 |
400 |
400 |
Totale variazione entrate L. 145/18 |
-12.472 |
+3.910 |
+9.182 |
+9.182 |
+9.182 |
+9.182 |
+9.182 |
Modifiche legge n. 160/19 (art.1, co3.) |
|
|
|
|
|
|
|
Aliquota IVA ridotta |
|
10% |
12% |
12% |
12% |
12% |
12% |
Aliquota IVA ordinaria |
|
22% |
25% |
26,5% |
26,5% |
26,5% |
26,5% |
Maggior gettito variazione accise |
|
0 |
1.221 |
1.683 |
1.954 |
2.054 |
2.154 |
Totale variazione entrate L. 160/19 |
|
- 23.072 |
-8.629 |
-1.612 |
-1.341 |
-1.241 |
-1.141 |
Modifiche DL n. 34/2020 (art.123) |
|
|
|
|
|
|
|
Aliquota IVA ridotta |
|
|
10% |
10% |
10% |
10% |
10% |
Aliquota IVA ordinaria |
|
|
22% |
22% |
22% |
22% |
22% |
Maggior gettito variazione accise |
|
|
0 |
0 |
0 |
0 |
0 |
Totale variazione entrate DL n. 34/2020 |
|
|
-19.821 |
-26.733 |
-27.004 |
-27.104 |
-27.204 |
Fonte: Elaborazione su dati delle relazioni tecniche.
Le previsioni 2022-2025
In base ai dati contenuti nella NADEF 2022, nel 2022 le entrate totali delle Amministrazioni pubbliche cresceranno di circa l’8,8 per cento rispetto all’anno precedente (un incremento in valore assoluto pari a circa 75 miliardi), con un'incidenza sul Pil pari al 49,2 per cento. In proposito la Nota precisa che le imposte stanno beneficiando soprattutto degli effetti derivanti dall’incremento dei prezzi energetici e al consumo che influenzano, in particolare, la crescita del gettito dell’IVA.
In particolare, la NADEF afferma che nel primo trimestre dell’anno, le imposte del bilancio dello Stato avevano già raggiunto una quota rilevante dell’incremento di gettito annuale previsto nel Conto Economico della PA del DEF (circa 13,6 miliardi sui 21,5 miliardi complessivi attesi). A giugno, l’aumento delle imposte, pari a quasi 29 miliardi, aveva ampiamente superato l’incremento previsto nell’anno dal DEF. Le imposte indirette hanno mostrato i tassi di crescita più elevati, grazie al forte dinamismo del gettito IVA. L’IVA sulle importazioni, in particolare, è cresciuta del 63,7 per cento nei primi sei mesi dell’anno rispetto al corrispondente periodo del 2021. Il forte aumento dei prezzi del petrolio e del gas ha esercitato una spinta sui prezzi delle importazioni, che, insieme alla ripresa dei volumi di importazione dopo la pandemia, ha favorito la crescita di questa componente del gettito. La Nota precisa altresì che il maggior gettito IVA rispetto alle previsioni emerso nella prima metà dell’anno in corso è stato utilizzato prioritariamente per finanziare la riduzione delle accise su benzina e gasolio. Pur scontando la temporanea riduzione delle aliquote per contenere il caro bollette, il ritmo di crescita delle entrate derivanti dalle accise, soprattutto su elettricità e gas, continua ad essere significativo.
Inoltre, sempre sulla base di quanto evidenziato dalla NADEF, l’aumento previsto nel 2022 per i contributi sociali e le imposte dirette (in particolare le ritenute IRPEF) riflette l’andamento positivo del quadro economico congiunturale e il miglioramento delle condizioni del mercato del lavoro, soprattutto del settore privato. Nella prima parte dell’anno, l’andamento dell'occupazione è stato nettamente positivo e il tasso di disoccupazione è tornato ad un livello molto al di sotto di quello pre-crisi. L’evoluzione del mercato del lavoro ha consentito di compensare l’impatto della riforma introdotta dalla legge di bilancio 2022 sull’IRPEF. Alla luce degli elementi sopra esposti, nel 2022 la pressione fiscale salirà al 43,9 per cento del PIL.
Con riferimento al periodo 2023-2025, le previsioni evidenziano, in valore assoluto, un andamento crescente del gettito complessivo (da 980,8 miliardi nel 2023 a 1.011 miliardi nel 2025). Se si considera, invece, il valore delle entrate in rapporto al PIL, l’andamento risulta decrescente (da 49,6 per cento nel 2023 a 47,3 per cento nel 2025), per effetto di una stima di crescita del gettito meno che proporzionale rispetto all’evoluzione del PIL nominale. Dal 2023 al 2025 è altresì atteso un calo medio della pressione fiscale di circa 0,5 punti di PIL all’anno, fino a raggiungere il 42,5 per cento del PIL a fine periodo.
L’andamento complessivo delle entrate della p.a. per il periodo 2022-2025 è illustrato nel seguente grafico, nel quale gli istogrammi rappresentano le entrate in valore assoluto e le linee spezzate rappresentano le entrate in rapporto al PIL (linea grigia) e la pressione fiscale (linea azzurra).
Andamento delle entrate della p.a. – Anni 2022-2025
Fonte: Elaborazione su dati NADEF 2022
Valutazione delle entrate strutturali derivanti dai miglioramenti della compliance fiscale
La NADEF contiene un apposito approfondimento (di seguito: “focus”), dedicato alla valutazione delle entrate derivanti dalla tax compliance.
Si segnala, preliminarmente, che la legge di bilancio 2021 (art. 1, commi da 2 a 4) ha sostituito la precedente procedura (di cui all’articolo 1, comma 434, della legge di stabilità 2014) indicando i criteri per la stima delle maggiori entrate derivanti dall’attività di accertamento, che possono essere considerate strutturali ai fini dei tendenziali e destinate quindi al Fondo speciale istituito per dare attuazione a interventi di riforma del sistema fiscale.
Tale Fondo è alimentato dalle risorse, stimate come maggiori entrate permanenti, derivanti dal miglioramento dell’adempimento spontaneo, fermo restando il rispetto degli obiettivi programmatici di finanza pubblica. Conseguentemente, la legge di bilancio per il 2021 ha abrogato i commi da 431 a 435 dell’articolo 1 della legge 27 dicembre 2013, n. 147, che avevano istituito il precedente Fondo per la riduzione della pressione fiscale.
In base alla nuova procedura introdotta dalla legge di bilancio 2021, per la determinazione delle entrate emerse occorre valutare gli effetti dovuti dall’adempimento spontaneo dei contribuenti nel terzo anno precedente alla predisposizione della legge di bilancio, nella Relazione sull’economia non osservata e sull’evasione fiscale e contributiva. La NADEF, pertanto, evidenzia che la valutazione di quest’anno deve essere riferita alla variazione della tax compliance nel 2019 rispetto al 2018 (più in dettaglio, si considera il gettito teorico dell’imposta nel 2019 e la variazione della propensione al gap tra il 2018 e il 2019).
Nel focus sono specificate le procedure di calcolo adottate per ottenere l’ammontare delle risorse disponibili per il nuovo Fondo. In particolare, si chiarisce che per ciascun anno si considerano le maggiori entrate derivanti dal miglioramento dell'adempimento spontaneo che sono indicate, con riferimento al terzo anno precedente alla predisposizione della legge di bilancio, nella Relazione sull'economia non osservata e sull'evasione fiscale e contributiva. La valutazione di quest’anno deve pertanto fare riferimento alla variazione della tax compliance riferita all’anno d’imposta 2019, tenendo conto anche degli ulteriori aggiornamenti indicati nella Relazione per il 2022. Nel focus si spiega che, sotto il profilo metodologico, la quantificazione della variazione del tax gap (dell’IVA e delle imposte dirette (IRPEF e IRES) sul reddito da lavoro autonomo e d’impresa) non considera la differenza in termini assoluti tra il tax gap del 2019 rispetto a quello registrato nel 2018, ma tiene in considerazione il prodotto tra la variazione della propensione al gap tra il 2019 e il 2018 e il gettito teorico dell’imposta nel 2019.
A tale proposito, si ricorda che con il termine tax gap si indica il divario tra gettito teorico e gettito effettivo (l’ampiezza dell’inadempimento da parte dei contribuenti), mentre la propensione all’inadempimento da parte dei contribuenti (propensione al gap), utilizzata per monitorare la tax compliance e in generale la performance del sistema tributario, è l‘indicatore del rapporto tra l’ammontare del tax gap e il gettito teorico (l’evasione in percentuale di quanto avrebbe dovuto essere pagato): una riduzione di tale rapporto equivale a un miglioramento della tax compliance, e viceversa.
Per determinare le risorse da destinare al Fondo speciale per gli interventi di riforma del sistema fiscale, sono necessarie le seguenti due condizioni riferite alle entrate derivanti da attività di contrasto all’evasione fiscale:
1. individuazione di maggiori entrate “permanenti”. Le entrate sono considerate tali se, per i tre anni successivi a quello oggetto di quantificazione, la somma algebrica della stima della variazione delle entrate derivanti in ciascun anno dal miglioramento dell’adempimento spontaneo risulti non negativa (in sostanza, il miglioramento nel 2019 non deve risultare annullato da un peggioramento della tax compliance nel triennio 2020-2022). Nello specifico, nel rinviare ai dati delle tabelle R1 e R2 contenute nel focus, si fa presente che le stesse evidenziano un potenziale incremento del Fondo pari a 1.393 milioni di euro.
In particolare, il focus evidenzia che, nel 2019, circa 1,7 miliardi di euro, stimati principalmente come effetto di miglioramento della tax compliance a seguito dell’introduzione dell’obbligo della fatturazione elettronica per tutte le transazioni B2B (Business to Business cioè transazioni tra due operatori Iva), sono stati già impiegati a copertura delle manovre di finanza pubblica. Pertanto, la variazione netta della tax compliance, potenzialmente da destinare al Fondo, è pari soltanto a 1,4 miliardi di euro (risultanti da 3,1 miliardi complessivi di variazione compliance, da cui sono detratti 1,7 miliardi di euro già utilizzati in via legislativa).
Inoltre, con riferimento al miglioramento dell’adempimento spontaneo nei tre anni successivi a quello oggetto di quantificazione, il focus precisa che, nonostante la variazione della tax compliance risulti negativa per le imposte dirette nel 2019, per tutte le imposte nel 2020 e per l’IVA nella proiezione annua per il 2022, il risultato significativo per l’anno d’imposta 2021 consente di compensare l’andamento non positivo degli altri anni. La somma algebrica delle variazioni della tax compliance nel triennio 2020-2022 risulta, quindi, strettamente positiva e le risorse derivanti dal miglioramento dell’adempimento spontaneo nel 2019 non risultano annullate, nel loro complesso, negli anni successivi;
2. il maggior gettito va determinato rispetto degli obiettivi programmatici di finanza pubblica. A tal fine, il focus considera: a) la verifica dell’ammontare delle maggiori entrate rispetto alle previsioni DEF; b) l’indicazione della quota delle maggiori entrate da destinare al predetto Fondo speciale. Nel rinviare ai dati della tabella R3 del focus, si evidenzia che la stessa indica un incremento delle previsioni di entrata rispetto al DEF pari a 11.171 milioni.
Tenuto conto che quest’ultimo valore è superiore a quello di cui al punto 1) e che risulta quindi verificato il rispetto della condizione richiesta dall’art. 1, comma 5, della legge di bilancio 2021, il focus afferma che tutte le maggiori permanenti derivanti dal miglioramento dell’adempimento spontaneo registrato nel 2019 (ossia 1.393 milioni, come indicato nel punto 1) possono essere destinate al Fondo, nell’ambito della sessione di bilancio.
L’andamento della spesa nel periodo 2018-2021
Tra il 2018 e il 2021 si assiste ad un aumento delle uscite complessive delle Pubbliche amministrazioni, che in termini assoluti, registrano un incremento del 15 per cento circa. In termini di incidenza sul Pil si passa dal 48,4 di inizio periodo al 55,3 per cento dello scorso esercizio (Tabella 4). Tale evoluzione risulta minimamente influenzata dall'andamento in termini nominali del prodotto, che registra un lieve incremento (+0,6 per cento) tra il 2018 e il 2021 mentre la forte discesa registrata dal Pil nel 2020 a causa della pandemia contribuisce a determinare nel medesimo anno un balzo della spesa al 56,8 per cento del Pil.
Le uscite delle pubbliche amministrazioni – 2018-2021
Fonte: Elaborazioni su dati Istat, Conti economici nazionali 2021, 23 settembre 2022.
Evoluzione dei principali aggregati di spesa - 2018-2021
(Valori in percentuale del Pil)
Fonte: Elaborazioni su dati Istat, Conti economici nazionali 2021, 23 settembre 2022.
La variazione positiva della spesa, come già accennato, riflette la risposta alla crisi provocata dal Covid-19 ed è concentrata, in particolare nel biennio 2020-2021 (+6,4 per cento in media), a fronte di una dinamica molto più contenuta nel periodo precedente (+1,6 per cento in media annua).
Su tale andamento incidono, infatti, le misure sanitarie e di sostegno alle famiglie e alle imprese varate dal Governo nel 2020 e 2021 per fronteggiare la crisi pandemica, oltre all’operare nell'anno 2020 degli stabilizzatori automatici che in tale periodo determinano un aumento della spesa per sussidi di disoccupazione e integrazione al reddito.
Ciò si riflette nella spesa primaria, che nel biennio 2020-2021 registra un tasso di variazione di circa il 6,7 per cento.
Analogamente le spese in conto capitale mostrano incrementi su tutto il periodo considerato, molto più sostenuti nel biennio 2020-2021, che portano la loro incidenza sul PIL da un valore di circa il 3,3 per cento di inizio periodo al 6,1 per cento nel 2021.
La spesa per interessi mostra un andamento abbastanza lineare, attestandosi in tutto il periodo considerato intorno al 3,6 per cento del PIL, con lievi oscillazioni tra il 2019 e 2020, mentre in termini assoluti registra un decremento negli anni 2019 e 2020 (-5,8 per cento in media) compensata quasi integralmente dalla crescita registrata nel 2021 (+11,3 per cento).
Le previsioni per il triennio 2022-2025
L’andamento della spesa primaria tendenziale prevede un calo dal 51,8 per cento registrato nel 2021 al 50,3 per cento del PIL nell'anno in corso, fino al raggiungimento del 46,6 per cento nel 2025.
La spesa corrente primaria, invece, registra una crescita dal 45,7 per cento del 2021 al 46 per cento nel corrente anno mentre l'incidenza sul PIL nel 2025 è prevista in riduzione di circa 3,8 punti percentuali rispetto al 2021, attestandosi al 41,9 per cento del PIL a fine periodo. Tale andamento si spiega, da una parte, per effetto delle risorse destinate alla riduzione dei costi energetici, nonché delle misure di sostegno al mercato dell'auto e degli aiuti finanziari all'Ucraina e, dall'altra, al venir meno delle misure temporanee adottate per contrastare la crisi pandemica.
La spesa per interessi in termini di incidenza sul PIL è prevista in aumento nell'anno in corso attestandosi al 4 per cento (incremento di circa 11,4 mld rispetto al 2021) e leggermente sotto tale valore negli altri anni considerati dall'orizzonte previsionale a causa dell'incremento dei tassi di interesse di mercato.
Le uscite delle pubbliche amministrazioni – Previsioni 2022-2025
Fonte: Elaborazioni su Nota di aggiornamento al DEF 2022, pag. 55 e ss.
Evoluzione dei principali aggregati di spesa – Previsioni 2022-2025
Valori in percentuale del Pil
Fonte: Elaborazioni su Nota di aggiornamento al DEF 2022, pag. 55 e ss.
Confronto della spesa pubblica in ambito europeo – EU27
Il confronto della spesa pubblica complessiva nell'ambito dei Paesi membri dell'Unione Europea (EU27) è stato effettuato parametrando la spesa pubblica in percentuale del PIL (cfr. Tabella e grafico seguenti). La spesa pubblica italiana che nell'anno 2018 rappresentava il 48,4 per cento del PIL si è attesta nell'anno 2021 al 55,5 per cento, con una crescita del +14,7 per cento rispetto al 2018. Nello stesso periodo, a livello europeo, la spesa è aumentata del +10,7 per cento, passando dal 46,5 per cento del 2018 al 51,5 per cento del 2021. Considerando la rappresentazione tra i vari Paesi secondo l'ordine decrescente della spesa pubblica complessiva l'Italia si colloca nel 2018 e nel 2019 all'ottavo posto della graduatoria, mentre nel 2020, anno dell'emergenza Covid, avanza al quinto posto con un valore del 57 per cento rispetto al PIL; infine nel 2021, anno in cui si ha una contrazione generalizzata tra i Paesi considerati della spesa complessiva, in Italia la spesa si attesta al 55,5 per cento collocando il Paese al quarto posto in graduatoria. In tale anno, infatti, solo la Francia, la Grecia e l'Austria presentano livelli di spesa più elevati.
In termini generali, osservando la Tabella che segue, che riporta le variazioni percentuali della spesa negli anni considerati dall'analisi, emerge un andamento pressoché uniforme di crescita della spesa tra tutti i Paesi nel 2020 rispetto al 2019 per effetto congiunto dell'incremento della spesa per contrastare la crisi pandemica e la riduzione del PIL, mentre nel 2021 si registra un contrazione generalizzata tra i Paesi[7], anche per effetto della crescita del PIL registrato in tale anno.
· La spesa per prestazioni sociali
L’aggregato di spesa per prestazioni sociali, come definita nel conto economico della pubblica amministrazione (SEC2010), comprende i trasferimenti correnti in denaro o in natura, corrisposti alle famiglie al fine di coprire gli oneri per il verificarsi di determinati eventi (malattia, vecchiaia, morte, disoccupazione, assegni familiari, infortuni sul lavoro ecc.). Tale aggregato è composto da:
· prestazioni sociali in natura: tali prestazioni comprendono sia una parte della spesa sanitaria, in particolare, quella erogata in convenzione, sia una parte della spesa assistenziale, in particolare, i servizi sociali erogati da una pluralità di istituzioni ed enti, per esempio, i comuni;
· prestazioni sociali in denaro: in tale aggregato sono comprese la spesa pensionistica e le altre prestazioni sociali in denaro. In quest’ultima voce confluiscono la spesa per prestazioni sociali a copertura dei rischi invalidità, vecchiaia, superstiti, disoccupazione, infortuni professionali, maternità e malattia, nonché alcune spese di natura assistenziale.
Più specificatamente, rientrano nelle spese per “altre prestazioni sociali in denaro”: il trattamento di fine rapporto dei dipendenti pubblici; le indennità di disoccupazione e integrazione salariale; le prestazioni di invalidità civile e quelle per non vedenti e non udenti; le rendite infortunistiche; gli assegni al nucleo familiare; gli assegni di malattia, maternità e congedi parentali; le pensioni di guerra, nonché altri sussidi o assegni previdenziali ed assistenziali.
In base all’ultimo Comunicato ISTAT del 23 settembre 2022, relativo ai Conti economici nazionali, la spesa per prestazioni sociali in denaro è stata pari, nel periodo 2018-2021, a 348,474 miliardi nel 2018 (19,7 per cento rispetto al PIL), 361,203 miliardi nel 2019 (20,1 per cento rispetto al PIL), 399,169 miliardi nel 2020 (24,0 per cento rispetto al PIL) e 397,905 miliardi nel 2021 (22,3 per cento rispetto al PIL).
Tale andamento è sintetizzato nel seguente grafico, nel quale sono altresì riportati i dati previsionali a legislazione vigente (anni 2022-2025), estratti dalla NADEF 2022 (409,600 miliardi nel 2022, per rapporto sul PIL del 21,6, 427,680 miliardi nel 2023, per rapporto sul PIL del 21,6, 446,180 miliardi nel 2024, per rapporto sul PIL del 21,6 e 458,560 miliardi nel 2025, per rapporto sul PIL del 21,5):
Fonte: Elaborazione su dati ISTAT e NADEF 2022.
Definizioni dell’aggregato
Nelle statistiche ufficiali si riscontrano diverse definizioni dell’aggregato della spesa sanitaria.
La prima è quella adottata dall’ISTAT nell’ambito della contabilità nazionale (spesa sanitaria corrente CN) ai fini della predisposizione del conto economico consolidato della protezione sociale per il settore di intervento della sanità e per il settore istituzionale delle amministrazioni pubbliche – Spesa sanitaria corrente di contabilità nazionale.
Una seconda definizione dell’aggregato è quella relativa alla spesa rilevata mediante i modelli di Conto economico (spesa sanitaria corrente CE) degli Enti sanitari locali (ESL) presa a riferimento dal Tavolo di verifica degli adempimenti regionali per la valutazione dei risultati d’esercizio.
I due aggregati presentano un’ampia area di sovrapposizione, ma anche significative differenze.
Il fabbisogno sanitario nazionale e le fonti di finanziamento
Il vigente ordinamento del SSN prevede due livelli di governo: lo Stato che definisce i livelli essenziali di assistenza (LEA) da erogare uniformemente sul territorio nazionale e concorda con le Regioni l’ammontare dei trasferimenti erariali destinati al loro finanziamento; le Regioni che organizzano i propri servizi sanitari regionali (SSR) e garantiscono l’erogazione delle prestazioni ricomprese nei LEA.
Il livello di fabbisogno sanitario nazionale, di norma definito in via programmatica con un orizzonte temporale triennale in sede di Intesa Stato-Regioni e successivamente recepito in Legge di bilancio, rappresenta la quota di risorse ritenute congrue dallo Stato per consentire alle regioni di erogare i livelli essenziali di assistenza (LEA), in condizione di efficienza e appropriatezza.
Eventuali spese superiori al finanziamento concordato, conseguenti alle scelte di alcune regioni di erogare livelli di prestazioni superiori ai LEA (e quindi “programmate” in sede di predisposizione dei bilanci regionali) o a una dinamica dei costi non congruente con quella sottesa alla quantificazione del fabbisogno, sono coperti a carico delle singole regioni.
Le predette risorse non sono strutturalmente sufficienti a garantire l’erogazione dei LEA e pertanto il sistema di finanziamento del SSN prevede un meccanismo di integrazione, che differisce tra le diverse regioni. In particolare:
- le regioni a statuto ordinario integrano le risorse del loro fabbisogno sanitario regionale mediante la compartecipazione all’IVA (Bilancio dello Stato, stato di previsione del MEF, capitolo n. 2862), ai sensi del decreto legislativo n. 56 del 2000;
- le regioni a statuto speciale (ad eccezione della Regione Siciliana) e le province autonome di Trento e di Bolzano provvedono al finanziamento del proprio servizio sanitario senza uno specifico apporto a carico del bilancio dello Stato: ciò in quanto il sistema di finanziamento delle regioni a statuto speciale prevede che, attraverso le entrate fiscali ricevute sotto forma di compartecipazioni ai tributi erariali, le stesse provvedano al finanziamento integrale dell'esercizio delle funzioni attribuite loro dallo statuto speciale e dalle norme di attuazione[8];
- la Regione Siciliana provvede al finanziamento del proprio servizio sanitario per una quota pari al 49,11% (articolo 1, comma 830, legge n. 296 del 2006). La restante parte (pari al 50,89%) è a carico del Fondo Sanitario Nazionale (FSN).
Si ricorda poi che nell'ambito del fabbisogno sanitario si definisce fabbisogno sanitario indistinto la quota delle risorse complessive del SSN non vincolate a specifiche finalità e destinate al finanziamento dei LEA.
Con riferimento alle risorse del fabbisogno sanitario indistinto, si segnala che comunque determinate risorse, per effetto di apposite norme di legge, sono finalizzate ad alcune aree di intervento, quali ad esempio la quota destinata al rimborso alle regioni per l'acquisto di vaccini ricompresi nel nuovo piano nazionale vaccini (NPNV) pari a 186 milioni di euro a decorrere dall'anno 2019 (articolo 1, comma 408, della legge n. 232 del 2016).
Per quanto attiene invece al fabbisogno sanitario vincolato, l’articolo 1, comma 34, della legge n. 662 del 1996 prevede che il CIPESS, su proposta del Ministro della sanità, possa vincolare quote del Fondo sanitario nazionale alla realizzazione di specifici obiettivi del Piano sanitario nazionale, con priorità per i progetti sulla tutela della salute materno-infantile, della salute mentale, della salute degli anziani nonché per quelli finalizzati alla prevenzione, con particolare riferimento alla prevenzione delle malattie ereditarie.
Infine, le risorse accantonate per la quota premiale sono fissate nella misura pari allo 0,32% del livello di finanziamento del SSN e sono destinate alle regioni che attuano una serie di misure di efficientamento del sistema sanitario regionale.
Nel grafico che segue è sintetizzata la composizione delle fonti di finanziamento del fabbisogno sanitario indistinto elaborata sulla base dei dati della citata delibera CIPESS n. 70 del 2021:
Fonti di finanziamento del fabbisogno sanitario indistinto – anno 2021
Fonte: Elaborazioni su dati delibera CIPESS n. 70/2021
Come si osserva, le autonomie speciali sono escluse dal riparto delle somme da erogare alle regioni a titolo di compartecipazione all'IVA e dal Fondo sanitario nazionale che finanzia le spese sanitarie vincolate a determinati obiettivi, oltre che la quota residuale da destinare alla Regione siciliana.
Contabilizzazione degli effetti delle manovre in ambito sanitario
Per effetto dei meccanismi che presiedono al finanziamento del SSN, sopra illustrato, una manovra in ambito sanitario che si sostanzi in una modifica del livello di finanziamento è suscettibile di incidere integralmente sulle RSO, parzialmente sulla Regione Siciliana (per una quota pari appunto al 50,89%), mentre non determina necessariamente effetti diretti sulle altre autonomie speciali, in assenza di specifiche previsioni in tal senso.
Pertanto, in caso di manovra restrittiva attuata mediante il taglio del fabbisogno sanitario complessivo, si avrà un effetto di riduzione della spesa corrente in eguale misura sui tre saldi di finanza pubblica per un ammontare corrispondente alla parte della manovra che riguarda le regioni a statuto ordinario e in parte la Regione Siciliana. Diversamente, per le regioni a statuto speciale si registra una minore spesa sui saldi di fabbisogno e indebitamento, mentre per il bilancio dello Stato (saldo netto da finanziare) si determina una maggiore entrata extratributaria.
Livello del finanziamento del SSN nella XVIII legislatura
Analizzando le annualità disciplinate dai provvedimenti normativi approvati nella legislatura appena conclusa, si rappresenta che il livello del fabbisogno nazionale standard è stato determinato, antecedentemente all'emergenza epidemiologica da Sars-COV2 iniziata nel marzo 2020, per il triennio 2019-2021 dall'articolo 1, commi 514-516, della legge di bilancio per il 2019 (L. n. 145 del 2018, la prima della legislatura trascorsa) in 114.439 milioni di euro nel 2019 ed incrementato di 2.000 milioni per il 2020 e di ulteriori 1.500 milioni per il 2021, con accesso da parte delle Regioni agli incrementi del livello di finanziamento del fabbisogno sanitario, rispettivamente di 2.000 e 3.500 milioni di euro, solo dopo la sottoscrizione dell'Intesa in Conferenza Stato-Regioni del Patto per la salute 2019-2021 volto a prevedere, per gli anni 2020 e 2021, misure di programmazione e di miglioramento della qualità delle cure e dei servizi erogati, oltre che di efficientamento dei costi, tra cui, segnatamente, interventi infrastrutturali e di ammodernamento tecnologico e di riduzione delle liste d'attesa delle prestazioni sanitarie. Rispetto al livello programmato in 114.439 milioni nel 2019, con Delibera CIPE n. 82 del 20 dicembre 2019 e comunicato pubblicato il 17 aprile 2020 il livello del finanziamento del Servizio sanitario nazionale per tale anno è stato successivamente ripartito per un ammontare di 113.810 milioni di euro.
Per il 2020, in seguito all'emergenza sanitaria dovuta alla pandemia da COVID-19, il CIPE ha anticipato il riparto delle somme programmate, principalmente: con Delibera n. 20 del 14 maggio 2020, per 117.407,2 milioni di euro, quali risorse vincolate alla realizzazione degli obiettivi di carattere prioritario e di rilievo nazionale e con Delibera n. 21 del 2020 per le risorse vincolate alla realizzazione degli obiettivi di carattere prioritario e di rilievo nazionale per l'anno 2020 di cui alla precedente Del. n. 20/2020 per un ammontare pari a 1.500 milioni.
In ragione dell’emergenza epidemiologica sono stati incrementati i livelli del fabbisogno sanitario anche dal DL. n. 104/2020 (articolo 29, co. 8, cd. decreto Agosto - L. 126/2020) che ha disposto l'aumento per complessivi 478.218.772 euro, per l'anno 2020, del livello del finanziamento statale del fabbisogno sanitario per sostenere le autorizzazioni delle spese derivanti dai commi 2 e 3 del medesimo articolo 29 riguardanti, rispettivamente, il ricorso in maniera flessibile, da parte di regioni e province autonome, di prestazioni aggiuntive in ambito sanitario riferite in particolare ai ricoveri ospedalieri - per una quota-parte di 112.406.980 euro - e a prestazioni aggiuntive di specialistica ambulatoriale e di screening - per una quota-parte di 365.811.792, che include la specialistica convenzionata interna, fino al 31 dicembre 2020. A tale finanziamento accedono tutte le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano. Ulteriori finanziamenti hanno condotto l'ammontare complessivo del fabbisogno sanitario nazionale per il 2020 a 120.557 milioni di euro.
Per il 2021 la relativa legge di bilancio (comma 403) stabiliva il livello del fabbisogno nazionale standard cui concorre lo Stato in 121.370,1 milioni di euro, prefissando inoltre (comma 404) ulteriori incrementi di 822,870 milioni per il 2022, di 527,070 milioni per ciascuno degli anni 2023-2025 e di 417,870 milioni di euro annui a decorrere dal 2026. Il seguente prospetto rappresenta in modo sintetico ma esaustivo il quadro degli stanziamenti e delle riduzioni di spesa previsti per effetto di processi di razionalizzazione della stessa.
Livello finanziamento SSN – Anni 2021-2026
(milioni di euro)
Livello finanziamento SSN 2021 e incrementi 2022-2026 |
2021 |
2022 |
2023 |
2024 |
2025 |
2026 |
Livello ante manovra 2021 |
119.477,2 |
? |
? |
? |
?? |
|
Indennità esclusività medici (co. 407 e 408) |
500 |
500 |
500 |
500 |
500 |
500 |
Indennità infermieri (co. 409-411) |
335 |
335 |
335 |
335 |
335 |
335 |
Tamponi antigenici rapidi (co. 416 e 417) |
70 |
? |
? |
? |
? |
? |
Contratti formazione specialistica (co. 421 e 422) |
105 |
105 |
109,2 |
109,2 |
? |
? |
Ulteriore incremento livello finanziamento 2021 |
1.000 |
? |
? |
? |
? |
? |
Trasferimento risorse CRI a Min. Salute (co. 485) |
?117,1 |
?117,1 |
?117,1 |
?117,1 |
?117,1 |
?117,1 |
Razionalizzazione della spesa |
|
|
?300 |
?300 |
?300 |
?300 |
Totale incrementi post manovra |
1.892,9 |
822,9 |
527,1 |
527,1 |
527,1 |
417,9 |
Totale livello |
121.370,1 |
? |
? |
? |
?? |
? |
Fonte: Elaborazione su dati di bilancio.
Per il triennio 2022-2024 il comma 258 dell'ultima legge di bilancio (legge n. 234 del 2021) ha disposto una variazione in aumento del finanziamento del fabbisogno sanitario nazionale standard cui concorre lo Stato fissandone il livello complessivo in 124.061 milioni di euro per il 2022, 126.061 milioni per il 2023 e 128.061 milioni per il 2024 e ha stabilito che rientrano nell’ambito di tale finanziamento gli interventi delle Regioni e delle Province autonome previsti ai seguenti commi: 261 (finanziamento del piano strategico-operativo nazionale di preparazione e risposta a una pandemia influenzale 2021-2023), 268, 269 e 271 (Proroga dei rapporti di lavoro flessibile e stabilizzazione del personale del ruolo sanitario), 274 (potenziamento dell’assistenza territoriale), 276-279 (disposizioni in materia di liste di attesa), 280 (disposizioni in materia di tetti di spesa per l'acquisto di prestazioni da privato accreditato), 281-286 (tetti di spesa farmaceutica), 288 (aggiornamento LEA), 290-292 (proroga delle disposizioni in materia di assistenza psicologica), 293-294 (indennità di pronto soccorso) e 295-296 USCA (unità sanitarie di continuità assistenziale).
Livello della spesa sanitaria
Le stime e le previsioni relative alla spesa sanitaria (componente che include ulteriori voci di spesa del comparto sanitario, tra cui quella privata, rispetto al fabbisogno sanitario relativo ai trasferimenti regionali) e i consuntivi degli ultimi anni, sono stati forniti dal Documento di finanza pubblica 2022 e dalla Nota di aggiornamento del 30 settembre u.s., che hanno evidenziato le percentuali in rapporto al PIL e dei tassi di variazione, come segue:
Spesa sanitaria – Raffronto DEF 2022 – NADEF 2022
(milioni di euro e % Pil)
SPESA SANITARIA |
Previsionale SPESA SANITARIA |
|||||||
2018 – 2021 |
2022 – 2025 |
|||||||
2018 |
2019 |
2020 |
2021 |
2022 |
2023 |
2024 |
2025 |
|
Spesa Sanitaria |
114.423 |
115.661 |
122.721 |
127.834 |
133.998 |
131.724 |
128.708 |
129.428 |
In % di PIL |
6,5 |
6,4 |
7,4 |
7,2 |
7,1 |
6,7 |
6,2 |
6,1 |
Tasso di var. in % |
- |
1,1 |
6,1 |
4,2 |
4,8 |
-1,7 |
-2,3 |
0,6 |
Fonte: Elaborazioni su dati DEF 2022 e NADEF 2022.
Dopo il picco della spesa emergenziale degli anni 2020 e 2021 a causa della pandemia da Covid-19 (peraltro influenzato in termini di rapporto sul PIL dalla forte contrazione economica registrata nel 2020 e solo parzialmente riassorbita nel 2021), si prevede un ridimensionamento della crescita della spesa sanitaria nel 2022 fino ad un suo contenimento che proseguirà fino al 2024 ed ascrivibile ai costi del personale e alla definitiva cessazione dei costi legati alla struttura commissariale per l'emergenza. Si sottolinea che questa dinamica della spesa è coerente con gli andamenti medi registrati negli anni precedenti, anche per la prosecuzione degli interventi di razionalizzazione dei costi già programmati a legislazione vigente.
Come già rilevato, la spesa per pensioni, che riguarda il complesso delle prestazioni fornite dal complessivo sistema pensionistico obbligatorio, cui si aggiunge la spesa per pensioni o assegni sociali, fa parte, nell’ambito del Conto economico consolidato delle pubbliche amministrazioni, dell’aggregato di spesa genericamente definito come “prestazioni sociali in denaro”.
Con specifico riferimento alla spesa pensionistica, nel 2018, primo anno della XVIII legislatura, tale voce è risultata di 268,533 miliardi di euro, corrispondente al 15,2 per cento del PIL. Tra il 2019 e il 2021 la spesa è aumentata, passando a 274,855 miliardi nel 2019 (+6,322 miliardi di euro), a 281,445 nel 2020 (+6,590 miliardi di euro) e a 286,280 miliardi nel 2021 (+5,582 miliardi di euro).
Si fa presente che i dati relativi alla spesa per pensioni sono estratti dal Conto delle amministrazioni pubbliche pubblicato nell’ambito dei Documenti di economia e finanza 2021 (limitatamente al dato relativo al 2018) e 2022, nonché nella Nota di aggiornamento al DEF 2022. Ciò in quanto nelle serie storiche del Conto economico consolidato delle amministrazioni pubbliche, pubblicate dall’ISTAT, viene indicato il solo dato relativo alle Prestazioni sociali in denaro, senza l’ulteriore disaggregazione tra spesa per pensioni e spesa per altre prestazioni.
L’incremento è riconducibile, tra l’altro, agli interventi contenuti nel DL 4/2019, tra cui si ricordano:
· la revisione, in via sperimentale per il triennio 2019-2021, rispetto alla riforma delle pensioni “Fornero”, dei requisiti per accedere al pensionamento, conseguibile al raggiungimento di un'età anagrafica di almeno 62 anni e di un'anzianità contributiva minima di 38 anni (cosiddetta “Quota 100”);
· relativamente alla pensione anticipata, la disapplicazione nel periodo 2019-2026 al requisito contributivo (definito in 42 anni e 10 mesi per gli uomini e in 41 anni e 10 mesi per le donne) degli adeguamenti alla speranza di vita;
· la riproposizione per il 2018 (termine in seguito prorogato fino al 2021, da ultimo dalla L. 234/2021) dell’istituto denominato “Opzione Donna”, che riconosce il diritto al trattamento pensionistico anticipato, secondo il calcolo contributivo, per le lavoratrici con anzianità contributiva pari o superiore a 35 anni e un'età pari o superiore a 58 anni (se dipendenti) o a 59 anni (se autonome).
Il rapporto tra spesa pensionistica e Pil nel triennio 2019-2020 mostra un andamento non regolare, passando da valori di poco superiori al 15 per cento degli anni 2018 e 2019 (rispettivamente 15,2 per cento e del 15,3) al 17,0 per cento dell’anno seguente, ridotta nel 2021 al 16,1. Il repentino aumento del biennio 2020-2021 è dovuto, più che alle misure pensionistiche introdotte con il DL 4/2019 e sopra ricordate, alla forte contrazione dei livelli di Pil dovuti all’impatto dell’emergenza sanitaria da Covid-19 che ha colpito l’Italia a partire dal febbraio 2020.
Nelle previsioni per il 2022 la spesa pensionistica si assesta a 297,350 miliardi di euro che corrispondono al rapporto con il Pil del 15,7 per cento. Secondo la NADEF 2022, l’ulteriore incremento in valore assoluto rispetto al 2021 (+11.070 milioni di euro) è imputabile alla rivalutazione ai prezzi delle pensioni in essere, nonché alle misure approvate nell’ambito della legge di bilancio 2022 (L. 234/2021), tra cui la concessione del pensionamento anticipato per i soggetti che maturano i requisiti di 64 anni di età e 38 anni di contributi nel 2022 (cosiddetta “Quota 102”).
Rispetto alle previsioni contenute nel DEF, la crescita annua nel 2022 della spesa per pensioni è rivista nella NADEF 2022 al rialzo in ragione degli interventi normativi adottati successivamente al DEF di aprile con i decreti legge 50/2022 e 144/2022 scontando tra l’altro le indennità una tantum concesse ai pensionati, l’anticipo dal 2023 al 2022 del conguaglio per le pensioni (relativo al tasso di inflazione registrato nel 2021) e un incremento di 2 punti percentuali per le pensioni fino a 35.000 euro, limitatamente alle mensilità di ottobre-dicembre 2022, tredicesima mensilità inclusa.
Per il triennio 2023-2025, le previsioni a legislazione vigente indicano importi della spesa pensionistica in crescita (320,800 miliardi nel 2023, 338,290 nel 2024 e 349.790 nel 2025, che corrispondono, per quanto riguarda il rapporto sul Pil, al 16,2 nel 2023 e al 16,4 nel biennio 2024-2025). In particolare, nel biennio 2023-2024, gli oneri per pensioni risentiranno dell’indicizzazione ai prezzi delle prestazioni in ragione dell’incremento del tasso di inflazione dell’anno precedente, rivisto al rialzo nella NADEF in misura significativa rispetto al DEF.
L’andamento della spesa pensionistica per il periodo di consuntivo e per quello di previsione è sintetizzato nel seguente grafico:
Fonte: Elaborazione su dati DEF 2021 e DEF 2022 e NADEF 2022.
Si ricorda che l’articolo 1, comma 5, della L. n. 335/1995 prevede che, nell’ambito dei documenti di programmazione economico-finanziaria siano fornite le previsioni sull’andamento di medio-lungo periodo della spesa pensionistica in rapporto al PIL, al fine di fornire un quadro di riferimento per l’analisi fino al 2070.
Tale analisi, elaborata dal Ministero dell’economia e delle finanze (Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato) è effettuata sulla base di due distinti scenari: lo scenario “nazionale base” e lo scenario “EPC-WGA baseline”. Il primo è definito in ambito nazionale e recepisce la previsione demografica prodotta dall’Istat; il secondo è determinato a livello europeo nel Gruppo di lavoro sull’invecchiamento demografico costituito presso il Comitato di politica economica del Consiglio Ecofin (Economic Policy Committee – Working Group on Ageing, EPC-WGA) e recepisce ipotesi definite in ambito europeo per la predisposizione delle previsioni sulle spese pubbliche. La previsione dell’andamento di medio-lungo periodo della spesa pensionistica recepisce lo scenario nazionale base che considera i parametri demografici sottostanti lo scenario mediano elaborato dall’Istat e sconta gli effetti delle misure contenute negli interventi di riforma adottati nel corso degli ultimi decenni, a partire dalla L. 335/1995 che ha comportato l’applicazione del regime contributivo.
Con riferimento alle tendenze di medio-lungo periodo della spesa pensionistica, appositi approfondimenti sono contenuti, ed aggiornati periodicamente, come sopra specificato, nel Documento di economia e finanza (DEF) e nella relativa nota di aggiornamento (NADEF).
In particolare, l’apposita analisi contenuta nella NADEF 2022, dopo aver ricordato che il rapporto tra la spesa pensionistica e il Pil è atteso sostanzialmente stabile intorno al 16,4 per cento fino al 2030, evidenzia che dopo tale esercizio si attendono ulteriori incrementi fino al 2044, anno in cui si dovrebbe raggiungere il picco del 16,9 per cento. Il trend ascendente è dovuto essenzialmente all’incremento del rapporto fra numero di pensioni e numero di occupati indotto dagli andamenti demografici, solo parzialmente compensati dall’innalzamento dei requisiti minimi di accesso al pensionamento e dal contenimento degli importi pensionistici connesso all’integrale applicazione del sistema di calcolo contributivo. A partire dal 2045, il rapporto tra spesa pensionistica e PIL diminuisce portandosi al 16,1 per cento nel 2050 fino ad attestarsi al 13,8 per cento nel 2070. La riduzione della spesa nell’ultima fase del periodo di previsione è determinata dall’applicazione generalizzata del calcolo contributivo, nonché all’inversione di tendenza del rapporto fra numero di pensioni e numero di occupati. Tale andamento risente sia della progressiva uscita dall’orizzonte previsionale delle generazioni del baby boom sia degli effetti dell’adeguamento automatico dei requisiti minimi di pensionamento in funzione della speranza di vita. Per ulteriori approfondimenti si rinvia all’analisi contenuta nella NADEF 2022.
Va preliminarmente sottolineato che non è rinvenibile una definizione puntuale ed univoca della spesa per assistenza, che in linea generale viene ad includere le voci delle prestazioni sociali che non rientrano nella sanità e nella previdenza. Attenendosi alla (implicita) definizione dell'aggregato in esame utilizzata dalla Corte dei conti nel suo annuale "Rapporto sul coordinamento della finanza pubblica", che dedica un intero capitolo alla spesa per assistenza, si osserva che nel 2020 la spesa complessivamente erogata dalle Amministrazioni pubbliche per prestazioni assistenziali (in denaro e in natura) è risultata pari a 67,3 miliardi di euro, con un incremento annuo del 28,4% (l'aumento era stato del 6,4% nel 2019 rispetto al 2018), come risulta dalla seguente tabella, esposta nel sopra citato rapporto.
Fonte: Corte dei conti- Rapporto 2021 sul coordinamento della finanza pubblica.
Le prestazioni monetarie, che rappresentano oltre l’87% delle erogazioni complessive, sono risultate pari a 58,8 miliardi (3,6% del Pil e 6,6% della spesa primaria) e sono cresciute del 34,7% su base annua (la crescita era stata pari al 9,9% nel 2019 rispetto all'anno precedente). Le prestazioni in natura sono ammontate a 8,5 miliardi (0,5% del Pil e 1% della spesa primaria), e sono diminuite del 3% rispetto all’anno prima.
Questo aspetto della larghissima prevalenza delle prestazioni monetarie rispetto ai servizi rappresenta peraltro la caratteristica dell’assistenza in Italia rispetto al resto d’Europa.
Come si evince dai dati riportati i circa 15 miliardi di maggiore spesa assistenziale riferibili al 2020 rispetto al 2019 sono per circa 8 miliardi di euro ascrivibili ai maggiori oneri per disoccupazione (si consideri anche l'andamento particolarmente negativo dell'economia nel 2020, che ha registrato una significativa contrazione del Pil a causa delle restrizioni disposte per fronteggiare la pandemia) e per 6 miliardi alle misure per esclusione sociale non classificate altrove.
Dal punto di vista degli strumenti utilizzati, la differenza risulta sostanzialmente ascrivibile agli "altri assegni e sussidi", nel cui ambito si evidenzia una componente che sembra destinata ad assumere carattere strutturale (pari a circa un terzo del totale) ed una di natura congiunturale (i restanti due terzi). In particolare, si annoverano tra le componenti di crescita permanenti quasi la metà dei circa 7 miliardi di spesa complessiva per il reddito di cittadinanza (RdC) e circa 1,7 miliardi degli 11,5 ascrivibili al bonus IRPEF (cd. bonus 80 euro - si consideri che nel 2018 l'onere era stato pari a circa 9,7 miliardi), mentre si iscrivono tra le componenti transitorie i circa 800 milioni per l'erogazione del reddito di emergenza (Rem), i circa 600 milioni di indennità di presenza per i lavoratori pubblici e, soprattutto, gli 8,2 miliardi di sostegni per la disoccupazione (a fronte di stanziamenti rispettivamente pari a 966,3 milioni, 802 milioni e 8,7 miliardi di euro).
Sul punto, si ricorda che ancora nel 2018 l’aggregato di spesa più rilevante era costituito dalle “prestazioni associabili allo stato di invalidità”, mentre dal 2019 l’aggregato con il peso più significativo è appunto quello degli assegni e sussidi vari, destinati alla lotta alla povertà e all’esclusione sociale, a cagione dell'attivazione nel 2019 del RdC e della riclassificazione da parte dell'Istat della spesa relativa al citato “bonus 80 euro” (poi elevato a 100 euro a decorrere dal 2020).
L’Istat, infatti, nella nuova edizione del conto della protezione sociale del 2019, ha collocato il trasferimento monetario più rilevante, appunto il “bonus 80 euro”, in ragione della sua natura di prestazione di sostegno ai redditi bassi e di erogazione indipendente dalla composizione del nucleo familiare non più nella funzione “famiglia”, bensì nell'ambito dell'”esclusione sociale non altrove classificata”.
Oltre agli elementi sopra menzionati, comunque, l'evoluzione tendenziale della spesa assistenziale risulta sostenuta dalla crescita delle prestazioni di invalidità, nel cui ambito notevole rilevanza continua a rivestire l'indennità di accompagnamento e, in termini incrementali, dall'adeguamento delle pensioni degli invalidi civili totali in ottemperanza della sentenza della Corte costituzionale n. 152 del 2020[9].
Un altro ambito che risulta rilevante per la crescita delle prestazioni assistenziali in denaro è quello delle spese per il sostegno della genitorialità e della natalità, oggetto di numerosi interventi nelle ultime leggi di bilancio, concernenti la concessione di riconoscimenti economici alla nascita di figli, tendenzialmente correlati alle disponibilità economiche familiari, e l'aumento dei periodi di congedo parentali. In ordine alla finalità in questione appare di notevole rilievo la novità introdotta con il cd. "Assegno unico per i figli" (di cui al decreto legislativo n. 230 del 2021, attuativo della delega recata dalla legge n. 46 del 2021), che rappresenta lo strumento unico e universale di sostegno economico alle famiglie attribuito per ogni figlio a carico fino al compimento dei 21 anni (al ricorrere di determinate condizioni) e senza limiti di età per i figli disabili.
L’importo spettante varia in ragione della condizione economica del nucleo familiare sulla base di ISEE valido al momento della domanda, tenuto conto dell’età e del numero dei figli nonché di eventuali situazioni di disabilità dei figli. L’assegno è definito unico, poiché è finalizzato alla semplificazione (sostituendo infatti gli assegni familiari, le detrazioni per figli a carico, l'assegno ai nuclei familiari con almeno tre figli minori, il cd bonus mamma domani e l'assegno di natalità, cd. bonus bebè) e al contestuale potenziamento degli interventi diretti a sostenere la genitorialità e la natalità, e universale in quanto viene garantito in misura minima a tutte le famiglie con figli a carico, anche in assenza di ISEE o con ISEE superiore alla soglia di 40.000 euro.
L'istituto, dopo una fase transitoria nella quale era stato sostanzialmente anticipato tramite provvedimenti normativi ad hoc, con efficacia a scadenza predeterminata, è entrato a regime a decorrere dal marzo 2022. Le risultanze disponibili presso il sito INPS e fornite dall'apposito Osservatorio, comprensive anche dei dati di agosto, attestanti una consolidazione dei valori medi riscontrati nel mese precedente, riportano erogazioni complessive, per i 6 mesi decorrenti da marzo, pari a 7,266 miliardi di euro, destinati a 5,2 milioni di famiglie in media mensile, in relazione a 8,3 milioni di figli. L'importo medio mensile per richiedente è risultato pari a 233 euro riferibile a circa 1,6 figli in media, mentre l'importo per ciascun figlio, sempre come media calcolata sul primo semestre, è risultato di 145 euro mensili.
Richiedenti pagati, figli e relativi importi di AUU erogati per mese di competenza
Fonte: INPS - Report osservatorio Assegno unico, settembre 2022, pagina 6.
Come anticipato, proprio in relazione al contrasto della povertà, di particolare rilievo è stato il ruolo svolto dall'introduzione del reddito di cittadinanza (RdC) con il decreto-legge n. 4 del 2019, che ha sostituito, ampliandone importi e bacino di utenza, il precedente ReI (reddito di inclusione). Al termine del primo anno di (parziale) vigenza, il numero di domande accolte risultava pari a quasi 1,1 milioni (per circa 2,5 milioni di persone coinvolte) a fronte di una stima di adesioni di 1.248.000 nuclei (3,5 milioni di persone), recata dalla RT al citato decreto-legge n. 4.
Osservando la dinamica mensile degli accessi al programma (rilevabile dai rapporti di monitoraggio redatti dall'INPS), si evidenziano gli effetti dell’acuta crisi conseguente alla pandemia: dal mese di aprile 2020 il numero di nuove domande accolte si è mantenuto, in media, al di sopra delle 40.000 unità (+46% medio rispetto al periodo precedente), mentre il numero di famiglie decadute dal Programma è risultato mediamente inferiore alle 10.000 unità (-38%).
Come rilevato dal Rapporto 2021 sul coordinamento della finanza pubblica della Corte dei conti, l’andamento della spesa è stato condizionato, oltre che dal turnover descritto, da ulteriori due elementi. Da un lato, ha iniziato ad operare, dal mese di ottobre 2020, l’istituto della sospensione, per un mese, del RdC alle famiglie che lo avevano percepito per 18 mesi senza interruzioni con una conseguente temporanea decompressione della spesa. Dall’altro lato, e contestualmente, si è registrato un graduale aumento dell’importo medio erogato (+7% rispetto alla fine di dicembre 2019), dovuto anche all’aggiornamento delle Dichiarazioni Sostitutive Uniche (DSU) presentato dalle famiglie nei primi mesi del 2020, che hanno registrato una peggiore situazione reddituale dei nuclei richiedenti rispetto a quella iniziale, determinando un aumento dell’integrazione. L’effetto netto di queste spinte ha creato la necessità di un rifinanziamento, per il 2021, del Fondo destinato al pagamento del beneficio economico[10].
Di seguito si propone una tabella recante il quadro aggiornato all'ultimo monitoraggio effettuato dall'INPS sull'erogazione del RdC, con i dati aggiornati al 19 settembre 2022:
Nuclei percettori di almeno una mensilità di RdC/PdC nell'anno di riferimento per l'intero territorio nazionale – Anni 2019-2022
Anno 2019 |
Anno 2020 |
Anno 2021 |
Anno 2022 |
||||||||
(Aprile - Dicembre) |
(Gennaio - Dicembre) |
(Gennaio - Dicembre) |
(Gennaio - Agosto) |
||||||||
Numero nuclei |
Numero persone coinvolte |
Importo medio mensile |
Numero nuclei |
Numero persone coinvolte |
Importo medio mensile |
Numero nuclei |
Numero persone coinvolte |
Importo medio mensile |
Numero nuclei |
Numero persone coinvolte |
Importo medio mensile |
1.107.591 |
2.710.011 |
492,17 |
1.577.327 |
3.701.018 |
530,75 |
1.771.763 |
3.956.645 |
546,19 |
1.627.268 |
3.553.955 |
551,81 |
Fonte: INPS - report vari su RdC/PdC
Un'ulteriore misura che ha inciso sull'incremento dell'aggregato in esame in modo rilevante è rappresentata dal cd. reddito di emergenza (Rem), introdotto nel 2020 in conseguenza della crisi pandemica, al fine di intercettare il disagio dei soggetti che restavano esclusi dalle provvidenze previste a sostegno dei redditi dei lavoratori danneggiati dalle misure restrittive adottate per fronteggiare la pandemia.
I dati aggiornati da ultimo al 7 dicembre 2021, peraltro utilizzabili anche per un quadro aggiornato a fine 2021 delle erogazioni relative al RdC-PdC, attestano che i nuclei a cui è stata pagata nel 2021 almeno una mensilità di Rem ai sensi del decreto-legge n. 41 del 2021 sono risultati pari a 594.398, mentre quelli percettori di Rem ai sensi del decreto-legge n. 73 del 2021 sono stati pari a 555.298, con una maggiore incidenza rilevata al Sud e Isole, seguita dalle regioni del Nord e infine del Centro Italia.
Nuclei percettori di Reddito di Emergenza con almeno un pagamento - Anno 2021
dl 41/2021 art. 12 comma 1 |
dl 73/2021 art. 36 |
||||
Numero nuclei |
Numero persone coinvolte |
Importo medio mensile |
Numero nuclei |
Numero persone coinvolte |
Importo medio mensile |
594.534 |
1.352.420 |
544,82 |
555.899 |
1.232.188 |
538,76 |
Fonte: INPS - report RdC/PdC e REM - gennaio 2022, pagina 10.
Per quanto riguarda la spesa long-term-care (LTC) socio-assistenziale, comprensiva dei processi di deistituzionalizzazione degli anziani e di conseguente rafforzamento dei servizi sociali domiciliari, la recente NADEF 2022, modificando leggermente i valori stimati dal DEF 2022 in relazione al 2040-2050, riporta le seguenti stime in termini di rapporto percentuale rispetto al PIL:
in% PIL |
2010 |
2015 |
2020 |
2025 |
2030 |
2040 |
2050 |
2060 |
2070 |
LTC socio-assistenziale |
1,1 |
1,1 |
1,2 |
1,0 |
1,0 |
1,1 |
1,3 |
1,5 |
1,4 |
Fonte: NADEF 2022
· La spesa per redditi da lavoro dipendente
I dati di consuntivo 2018-2021
In base ai dati del Conto economico consolidato delle pubbliche amministrazioni relativi agli anni 2018-2021, la spesa per redditi da lavoro dipendente si è assestata in termini assoluti in 172.642 milioni nel 2018, 172.921 milioni nel 2019, 173.126 milioni nel 2020 e 176.548 milioni nel 2021. I medesimi dati evidenziano un aumento su base annua dello 0,2 per cento nel 2019 (+0,28 miliardi), dello 0,1 per cento nel 2020 (+0,2 miliardi) e del 2,0 per cento nel 2021 (+3,4 miliardi).
L’incidenza di tali spese rispetto al PIL è stata pari al 9,7 per cento nel 2018, al 9,6 per cento nel 2019, al 10,4 per cento nel 2020 e al 9,9 per cento nel 2021.
Il grafico che segue riassume gli andamenti sopra descritti.
Andamento delle spese per redditi da lavoro dipendente – Anni 2018-2021
Fonte: Elaborazione su dati del conto economico consolidato delle p.a.
Il suddetto andamento della spesa per redditi da lavoro dipendente a partire dal 2018 è riconducibile alle manovre finanziarie che hanno previsto assunzioni in deroga alle ordinarie facoltà assunzionali nonché una maggiore spesa per il finanziamento del fondo contratti collettivi pubblici[11].
Per i miglioramenti economici relativi al triennio contrattuale 2019-2021, le leggi n. 145/2018, n. 160/2019 e n. 178/2020, in particolare, hanno disposto lo stanziamento di risorse corrispondenti ad un incremento della retribuzione media complessiva del personale del pubblico impiego pari all’1,3% per il 2019, al 2,01% per il 2020 e al 3,78% a decorrere dal 2021 a cui si somma, per il personale già destinatario dell’elemento perequativo, un ulteriore beneficio stimato nella misura pari allo 0,46% dal 2021 come effetto del riconoscimento a regime del citato emolumento.
È opportuno, altresì, ricordare che, fino al 2015, la spesa per redditi da lavoro dipendente ha registrato un calo dovuto agli effetti di risparmio prodotti dalle disposizioni di contenimento della spesa pubblica introdotte già a partire dal 2008 ed intensificate nel corso del 2010 con il DL n. 78/2010. I provvedimenti più rilevanti relativi al pubblico impiego che hanno determinato la riduzione di tale spesa fino al 2015 sono riconducibili: al blocco della contrattazione collettiva per il periodo 2010-2015 con sterilizzazione dell’indennità di vacanza contrattuale (IVC), ai valori del 2010; all’introduzione di vincoli stringenti alle facoltà assunzionali; alla riduzione delle dotazioni organiche del comparto scuola; alla fissazione di un limite alla crescita dei fondi per la contrattazione integrativa e riduzione degli stessi in base al numero del personale cessato; al riconoscimento solo ai fini giuridici delle progressioni di carriera comunque denominate dal 2011 al 2014. La Corte costituzionale, con la sentenza n. 178 del 24 giugno 2015, ha attenuato gli effetti finanziari dei predetti provvedimenti, sancendo la illegittimità costituzionale del regime di sospensione della contrattazione collettiva. A partire dalla legge di stabilità per il 2016 sono state, pertanto, stanziate risorse per il rinnovo dei contratti per il triennio 2016-2018, relativamente alle amministrazioni statali, inasprendo al contempo le misure legate alle assunzioni e ai trattamenti accessori.
Le previsioni 2022-2025
Nella NADEF 2022, l’aggerato della spesa per redditi da lavoro dipendente nel quadriennio 2022-2025 si assesta in termini assoluti in 188.236 milioni nel 2022, 187.104 milioni nel 2023, 185.238 nel 2024 e 186.053 nel 2025. Viene, inoltre, riferita la seguente dinamica: in valore assoluto l’aggregato aumenta rispetto all’anno precedente del 6,6 per cento (+11,7 miliardi) nel 2022 e si riduce dello 0,6 per cento nel 2023 (-1,1 miliardi); la spesa si riduce ulteriormente dell’1,0 per cento nel 2024 (-1,9 miliardi) per aumentare dello 0,4 per cento nel 2025 (+0,8 miliardi). La NADEF precisa che l’aumento della spesa per i redditi da lavoro dipendente previsto per il 2022 riflette le ipotesi sui rinnovi contrattuali del pubblico impiego ed il pagamento dei relativi arretrati. Negli anni successivi, i redditi da lavoro dipendente del settore pubblico si ridurranno dapprima e quindi torneranno a stabilizzarsi. L’andamento dei salari pubblici non andrà, pertanto, ad aggravare la spinta inflazionistica.
L’incidenza sul PIL di tale aggregato si mantiene stabile per il 2022 rispetto all’anno precedente (9,9 per cento) e registra una flessione nel triennio 2023-2025 passando dal 9,5 per cento del 2023, al 9,0 percento del 2024, all’8,7 percento nel 2025.
Il grafico che segue riassume gli andamenti sopra descritti.
Andamento delle spese per redditi da lavoro dipendente – Anni 2022-2025
Fonte: Elaborazione su dati NADEF 2022
I dati di consuntivo 2018-2021
In base ai dati del Conto economico consolidato delle pubbliche amministrazioni relativi agli anni 2018-2021, la spesa per interessi presenta un andamento decrescente dal 2018 al 2020: in particolare, la spesa si riduce dell’1,3 per cento nel 2018, del 6,5 per cento nel 2019 e del 5,1 per cento nel 2020, passando, in valore assoluto, da 64,6 miliardi nel 2018 a 57,3 miliardi nel 2020.
L’andamento, così come più volte evidenziato da parte del Governo, nei diversi documenti di finanza pubblica, è stato dovuto principalmente all’andamento favorevole dei tassi di interessi cui è conseguito un basso costo di emissione. Dal 2021 si registra un’inversione di tendenza, con un notevole innalzamento dell’aggregato di spesa: la spesa per interessi passa infatti da 57,3 miliardi a 63,8 miliardi, con un incremento in termini percentuali di circa l’11,3. L’incidenza rispetto al Pil passa dal 3,5 per cento nel 2020 al 3,6 per cento nel 2021. In proposito il DEF 2022 ha precisato che l’incremento della spesa dopo otto anni di costante diminuzione era essenzialmente dovuto alla componente interessi legata all’inflazione.
L’andamento complessivo della spesa per interessi per il periodo 2018-2021 è illustrato nel seguente grafico, nel quale gli istogrammi rappresentano la spesa in valore assoluto e la linea spezzata rappresenta la spesa in rapporto al Pil.
Andamento delle spese per interessi – Anni 2018 - 2021
Fonte: Elaborazione su dati ISTAT
Le previsioni 2022-2025
In base ai dati contenuti nella NADEF 2022, nel 2022 la spesa per interessi è prevista in aumento in termini sia assoluti (da 63,7 miliardi nel 2021 a 75,2 nel 2022) sia di incidenza rispetto al PIL (dal 3,6 per cento al 4 per cento). L’incremento in termini percentuali è di circa il 17,9 per cento rispetto all’anno precedente. In proposito, la NADEF precisa che l’incremento è dovuto, da una parte, all’aumento del costo del debito all’emissione, dall’altra, all’aggiustamento del nozionale per i titoli indicizzati all’inflazione. Per gli anni successivi (2023-2025), si prevede che il rapporto della spesa per interessi rispetto al PIL si stabilizzi attorno ad un livello del 3,9 per cento.
In proposito la Nota afferma che tale andamento in rapporto al Pil si deve al significativo incremento dei tassi di interesse di mercato, che negli ultimi sei mesi sono saliti mediamente di oltre 200 punti base su tutte le principali scadenze. La Nota afferma peraltro che l’elevata vita media del debito e la ridotta esposizione al rischio di tasso interesse giocano un ruolo chiave rispetto ai risultati esposti. Pertanto “considerata la dimensione del debito pubblico e del rialzo dei tassi, che ha pochi precedenti in termini di rapidità con cui si è prodotto, le previsioni tendenziali aggiornate degli interessi passivi prefigurano un impatto pienamente gestibile dal punto di vista della finanza pubblica, circostanza questa da ricondursi appunto alle caratteristiche della struttura del debito”.
L’andamento complessivo della spesa per interessi per il periodo 2022-2025 è illustrato nel seguente grafico, nel quale gli istogrammi rappresentano la spesa in valore assoluto e la linea spezzata rappresenta la spesa in rapporto al PIL.
Andamento della spesa per interessi – Anni 2022 - 2025
Fonte: Elaborazione su dati NADEF 2022
Con riferimento al possibile andamento dei tassi di interesse si rileva, inoltre, che, a settembre 2022[12], il Consiglio direttivo della Banca centrale europea (BCE) ha deciso di innalzare di 75 punti base i tre tassi di interesse di riferimento della BCE. Pertanto, i tassi di interesse sulle operazioni di rifinanziamento principali, sulle operazioni di rifinanziamento marginale e sui depositi presso la banca centrale saranno innalzati rispettivamente all’1,25%, all’1,50% e allo 0,75%, con effetto dal 14 settembre 2022. Il Consiglio direttivo si attende di aumentare ulteriormente i tassi di interesse nelle prossime riunioni per frenare la domanda e mettere al riparo dal rischio di un persistente incremento dell’inflazione attesa.
Il Consiglio direttivo intende continuare a reinvestire integralmente il capitale rimborsato sui titoli in scadenza nel quadro del PAA (Programma di acquisto di attività) per un prolungato periodo di tempo successivamente alla data in cui ha iniziato a innalzare i tassi di interesse di riferimento della BCE e, in ogni caso, finché sarà necessario per mantenere condizioni di abbondante liquidità e un orientamento adeguato di politica monetaria. Per quanto riguarda il PEPP (Pandemic Emergency Purchase Programme), il Consiglio direttivo intende reinvestire il capitale rimborsato sui titoli in scadenza nel quadro del programma almeno sino alla fine del 2024. In ogni caso, la futura riduzione del portafoglio del PEPP sarà gestita in modo da evitare interferenze con l’adeguato orientamento di politica monetaria.
I dati di consuntivo 2018-2021
In base ai dati del Conto economico consolidato delle amministrazioni pubbliche relativi agli anni 2018-2021, la spesa in conto capitale si è assestata in termini assoluti su un valore di 58.382 milioni nel 2018, di 61.970 milioni nel 2019, di 88.803 milioni nel 2020 e 108.172 milioni nel 2021. I medesimi dati evidenziano una diminuzione su base annua del 12,6 per cento nel 2018 (-8,42 miliardi considerando un dato di consuntivo 2017 di 66.800 milioni) ed un aumento del 6,1 per cento nel 2019 (+3,59 miliardi), del 43,3 per cento nel 2020 (+26,83 miliardi) e del 21,8 per cento nel 2021 (+19,37 miliardi).
I livelli più elevati della spesa, registrati a partire dal 2020, sono riconducibili alla attuazione dei programmi NGEU e, più specificamente, degli interventi compresi nel PNRR.
L’incidenza di tali spese rispetto al PIL è stata pari al 3,3 per cento nel 2018, al 3,4 per cento nel 2019, al 5,3 per cento nel 2020 e al 6,1 per cento nel 2021.
Il grafico che segue riassume gli andamenti sopra descritti.
Andamento della spesa in conto capitale – Anni 2018-2021
Fonte: Elaborazione su dati ISTAT
Le previsioni 2022-2025
In base ai dati contenuti nella NADEF 2022, la spesa in conto capitale è stimata in riduzione del 23,9 per cento nel 2022 (-25,8 miliardi dovuti quasi interamente alla contrazione delle altre spese in conto capitale) per poi crescere del 22,5 per cento nel 2023 (+18,5 miliardi di cui oltre 16 dovuti all’incremento degli investimenti fissi lordi). Nel 2024 si registra una nuova contrazione della spesa in oggetto del 6 per cento (-6 miliardi in quanto una decisa riduzione dei contributi agli investimenti e delle altre spese in conto capitale e solo parzialmente compensata dal trend di spesa ancora crescente degli investimenti fissi lordi), seguita da una crescita del 7,4 per cento per l’anno 2025 (+ 7 miliardi per la gran parte imputabili agli investimenti fissi lordi). L’incidenza della spesa complessiva per investimenti in termini di Pil è pari al 4,3 pento nel 2022, al 5,1 per cento nel 2023, al 4,6 per cento nel 2024 e al 4,8 per cento nel 2025.
Andamento della spesa in conto capitale – Anni 2022-2025
Fonte: Elaborazione su dati NADEF 2022
La NADEF chiarisce che la riduzione della spesa per gli investimenti fissi lordi prevista nel 2022 è dovuta alla posticipazione di alcune spese per investimenti relative al PNRR agli anni successivi, rispetto alle previsioni di aprile.
In base alla NADEF, ciò avviene in quanto molti progetti altamente innovativi previsti dal PNRR sono attuati tramite la predisposizione di bandi di concorso che richiedono tempi lunghi. Pertanto, i maggiori effetti economici del PNRR sono attesi negli anni 2023-2026. Nel 2023, gli investimenti della PA riprenderanno a crescere, sospinti dal PNRR, segnando un aumento annuo del 33,8 per cento, cui seguirà un aumento del 9,8 per cento nel 2024 e dell’8,2 per cento nel 2025. A partire dal 2024 gli investimenti finanziati dalle risorse dell’RRF saliranno fino all’1,7 per cento del PIL e poco meno della metà del totale degli investimenti fissi della PA sarà sostenuto dalle risorse messe a disposizione dal RRF a condizioni agevolate.
Al fine di considerare un periodo di tempo il più ampio possibile con dati omogenei, per la presente analisi sono stati utilizzati i dati 2018-2021 contenuti nel conto consolidato di cassa delle amministrazioni locali presenti nel DEF 2022[13].
In base a tali dati, nel periodo 2018-2021 i pagamenti complessivi delle amministrazioni locali[14] hanno registrato un incremento del 7,3 per cento circa mentre in termini di incidenza del PIL si passa dal 13,9 per cento del 2018 al 14,9 per cento del 2021. Tale risultato deriva principalmente dall'incremento dei pagamenti relativi alla spesa primaria corrente, che nel periodo considerato registra una crescita media dell'1,9 per cento e dei pagamenti in conto capitale che registrano una crescita media dell'8,9 per cento. In controtendenza gli interessi passivi che subiscono una contrazione in ciascun anno del periodo e registrano una riduzione in media del 6,2 per cento.
Anche nel settore delle amministrazioni locali il biennio 2020/2021 è caratterizzato da un incremento dei pagamenti per fronteggiare la crisi provocata dal Covid-19: in particolare, registrano incrementi, in ambito sanità, la spesa per acquisto di beni e servizi e per il personale e, nel comparto enti locali, la spesa per l'acquisto di beni e servizi, sospinta dalle riaperture post campagna vaccinale. In sostanza, la maggiore spesa corrente sostenuta nella fase emergenziale ha riguardato in particolare il servizio sanitario, la cui spesa rappresenta la componente preponderante della spesa regionale, mentre negli enti locali e, in particolare, in quelli medio piccoli, si è concentrata in servizi complementari, quali gli interventi diffusi di sanificazione e di profilassi ambientale e sugli interventi di sostegno sociale.
In generale, per quanto riguarda gli enti locali, l’incremento delle spese correnti nel periodo considerato risulta alquanto contenuta. Ciò si spiega in quanto gli spazi di spesa sono stati incrementati da una serie di provvedimenti che hanno avuto lo scopo comune di supportare la spesa emergenziale, mentre non si riscontra una corrispondente dinamica nelle erogazioni di cassa. Inoltre, occorre osservare una riduzione dei costi di struttura, dovuta all’emergenza, che ha assicurato una ulteriore disponibilità di risorse per far fronte alle spese, incluse quelle sanitarie.
La vivace dinamica della spesa per investimenti è stata sostenuta nel corso degli anni da numerosi interventi normativi, volti, da un lato, ad offrire spazi di spesa per gli enti e, dall’altro, a favorire la semplificazione delle procedure per accelerare la realizzazione delle opere pubbliche, quale leva per la ripresa dell’economia nazionale. Ci si riferisce in particolare alle misure stanziate per la messa in sicurezza delle scuole, degli edifici pubblici, delle strade e dei territori a rischio idrogeologico.
Anche nelle regioni a statuto ordinario emerge un evidente effetto espansivo della spesa complessiva dovuta alla situazione prodotta dalla pandemia da COVID-19. Diversamente, nel comparto regioni a statuto speciale si assiste ad una tendenza di diminuzione costante della spesa complessiva (sia corrente che in conto capitale), pur a fronte di un aumento della spesa sanitaria.
La spesa corrente delle RSO appare in consistente crescita soprattutto per effetto degli interventi connessi alla crisi sanitaria e l’incremento si addensa, in particolare, nel biennio 2020/2021.
Per quanto concerne la spesa in conto capitale, occorre premettere che la stessa ha un peso relativamente basso rispetto a quella complessiva (7 per cento circa nelle RSO e intorno all'11 per cento nelle RSS). I pagamenti nelle Regioni a statuto ordinario appaiono in costante crescita nel periodo considerato, indice di una possibile accelerazione nello sblocco di somme finalizzate ad investimenti in concomitanza dell’evento pandemico.
Pagamenti delle Amministrazioni locali
Fonte: Elaborazioni su dati DEF 2022 - Anali e tendenze della finanza pubblica.
Pagamenti Amministrazioni locali - Evoluzione dei principali aggregati di spesa - 2018-2021
(Valori in percentuale del Pil)
Fonte: Elaborazioni su dati DEF 2022 - Anali e tendenze della finanza pubblica.
I dati di consuntivo
Il rapporto debito pubblico/PIL è aumentato in media di oltre 5 punti percentuali (p.p.) all'anno nel periodo 2008-2013 fino al 132,5% del 2013, per poi stabilizzarsi intorno al 135% tra il 2014 e il 2016 (135,4% nel 2014, 135,3% nel 2015, 134,8% nel 2016)[15]. Nel corso della XVIII legislatura il rapporto si è mantenuto su un livello medio del 134% (134,2% nel 2017, 134,4% nel 2018 e 134,1% nel 2019) prima della pandemia da Covid-19. La lieve diminuzione del rapporto negli anni 2017-2019 è dovuta in parte alla crescita del PIL nominale che, combinata con gli avanzi del saldo di bilancio primario, ha più che compensato la spinta all'aumento prodotta dalla componente snow-ball[16]. Il leggero aumento del rapporto nel 2018 è in parte dovuto alla componente dell'aggiustamento stock-flussi[17]. L'avvento della pandemia ha determinato nel 2020 un aumento del rapporto debito/PIL di oltre 20 p.p. fino al 154,9% per effetto del forte peggioramento del saldo di bilancio primario, della componente snow-ball molto sfavorevole e di quella stock-flussi anch’essa sfavorevole. Come chiarito dalla NADEF 2022, il miglioramento di circa 4,7 p.p. di PIL del rapporto fino al 150,3% del 2021 è riconducibile alla ripresa economica, a cui si deve un aumento del PIL nominale del 7,3% circa, e alla riduzione del tasso di interesse implicito sul debito mantenutosi stabile al 2,5%. La componente snow-ball ha quindi più che compensato la spinta di segno opposto esercitata dal deficit di bilancio primario, pari a circa 3,7 p.p. (si vedano il grafico e la tabella che seguono).
Andamento del rapporto debito/PIL e della sua variazione annua
Fonte: Figura III.4, pagina 84, della NADEF 2022. Al lordo ovvero al netto delle quote di pertinenza dell’Italia dei prestiti a Stati membri dell'UEM, bilaterali o attraverso l'EFSF, e del contributo al capitale dell'ESM. A tutto il 2021 l'ammontare di tali quote è stato pari a circa 57,3 miliardi, di cui 43,0 miliardi per prestiti bilaterali e attraverso l'EFSF e 14,3 miliardi per il programma ESM (cfr. Banca d’Italia, ‘Bollettino statistico Finanza pubblica, fabbisogno e debito di marzo 2022).
Limitatamente all'arco temporale riguardante la XVIII legislatura, il rapporto debito pubblico/PIL è aumentato pertanto di circa 16,1 p.p. tra la fine del 2017 e la fine del 2021, in linea con quanto avvenuto in altre economie europee comparabili all'Italia in termini di dimensioni e struttura, quali la Spagna (+16,5 p.p.), la Francia (+14,8 p.p.) e il Regno Unito (+17,6 p.p.), mentre in Germania il rapporto debito/PIL è aumentato nello stesso periodo di soli 4,7 p.p.. Negli Stati Uniti il rapporto debito/PIL è aumentato di 23,6 p.p. (si veda la tabella 1).
Andamento del rapporto debito/PIL in Italia e altri paesi
Fonte: Database Banca d'Italia e AMECO.
In termini assoluti, il debito è aumentato dai 2.330 miliardi di euro della fine del 2017 ai 2.382 miliardi del 2018 (+51,65 miliardi) e quindi ai 2.410 miliardi del 2019 (+28,5 miliardi rispetto all'anno precedente). Gli anni della pandemia da Covid-19 hanno fatto registrare due notevoli incrementi fino a 2.573 miliardi nel 2020 (+162,7 miliardi rispetto all'anno precedente) e 2.678 miliardi nel 2021 (+105,2 miliardi rispetto al 2020).
Le previsioni 2022-2025
Le previsioni tendenziali per il periodo 2022-2025 sono contenute nella NADEF 2022, secondo cui il rapporto debito/PIL dovrebbe ridursi nell'anno in corso al 145,4%, al di sotto dell'obiettivo programmatico del 147 fissato dal DEF di aprile scorso. Tale miglioramento è dovuto, secondo il Governo, alla gestione prudente dei conti pubblici mantenuta nonostante gli interventi contro la crisi energetica varati recentemente. Il calo del rapporto debito/PIL è previsto durare anche per il triennio seguente principalmente grazie al contributo della componente snow-ball, che continuerà ad essere negativa sia per la crescita del PIL nominale, dovuta soprattutto alla spinta inflazionistica, sia perché il costo del debito dovrebbe aumentare in misura contenuta grazie alla elevata durata media del debito stesso. Il rapporto debito/PIL a legislazione vigente è stimato al di sotto del livello programmatico anche per tutto il periodo 2023-2025. In particolare, il rapporto scenderà al 143,2% nel 2023, a una velocità inferiore rispetto a quella del 2022 a causa di una minore crescita del PIL nominale e di un atteso moderato incremento del fabbisogno del settore pubblico. Nei due anni successivi, la riduzione del rapporto debito/PIL sarà ancora più lenta del 2023 a causa di un più elevato fabbisogno annuale e di una minore crescita del PIL nominale (si veda la figura 1 e la tabella 2). Il Governo precisa nella NADEF 2022 che il percorso previsto del debito è in parte determinato dalla riduzione graduale delle giacenze liquide del Tesoro, che dovrebbero essere ricondotte ai valori antecedenti la crisi pandemica alla fine del 2025.
Per quanto riguarda il contributo dei sotto-settori della pubblica amministrazione alla determinazione del debito pubblico complessivo, la tabella 2, tratta dalla NADEF 2022, mostra che la quasi totalità delle passività è ascrivibile alle amministrazioni centrali per tutto l'orizzonte temporale di riferimento.
Debito delle amministrazioni pubbliche per sotto-settore nel periodo di previsione 2021-2025
Fonte: Tavola III.9, pagina 84, NADEF 2022.
[1] ISTAT, Notifica dell’indebitamento netto e del debito delle amministrazioni pubbliche secondo il trattato di Maastricht, anni 2018-2021, Nota informativa, 22/04/2022.
[2] Cfr. ISTAT, Comunicato Conti economici nazionali, 23 settembre 20922.
[3] Poiché tale grandezza non è agevolmente osservabile ma è il risultato di stime, ne derivano due conseguenze: i) difficilmente il calcolo del PIL potenziale è in grado di cogliere appieno i punti di inversione del ciclo e gli effetti di cambiamenti strutturali; ii) la variazione del valore atteso del PIL per il periodo di previsione o le modifiche riguardanti i dati di consuntivo (conseguenti anche a revisioni contabili) determinano una revisione del PIL potenziale, e quindi dell'output gap, anche negli anni in cui non si è verificata alcuna variazione.
[4] La fissazione degli obiettivi in termini di saldo strutturale riflette, infatti, l'impegno del paese per il raggiungimento dell'Obiettivo di Medio Termine (OMT) concordato in sede europea, che risulta coerente con la riduzione programmatica del debito pubblico nel lungo periodo. Dati gli obiettivi strutturali e considerata la posizione dell'economia rispetto al ciclo, ne deriva l'obiettivo di indebitamento netto della PA, cioè quel valore di saldo nominale che consente di realizzare il percorso di consolidamento desiderato. L'obiettivo programmatico viene poi confrontato con l'andamento tendenziale per definire l'aggiustamento necessario.
[5] Le variabili utilizzate per l'analisi della finanza pubblica corretta per il ciclo sono costituite dal Pil potenziale, dall' output gap e dalle misure una tantum. Il prodotto tra l'output gap e la stima della sensibilità al ciclo delle entrate e delle spese correnti costituisce la componente ciclica del saldo di bilancio. La sensibilità del saldo di bilancio all'andamento del PIL è un parametro, il cui valore, individuato sulla base degli andamenti registrati nell'arco di un decennio, viene periodicamente aggiornato in sede europea; esso è attualmente pari per l'Italia a 0,5, quale somma delle elasticità delle entrate e delle spese.
[6] Nota di aggiornamento del DEF 2022, pagina 82.
[7] Fanno eccezione solo 4 Nazioni: Germania, Slovacchia, Lettonia e Bulgaria.
[8] Articolo 34, comma 3, della legge n. 724/1994 (Valle d’Aosta e le province di Trento e di Bolzano), articolo 1, comma 144, della legge n. 662/1996 (Friuli Venezia Giulia), articolo 1, comma 836, della legge n. 296/2006 (Sardegna).
[9] Dati di dettaglio sull'aggregato in questione sono disponibili nel volume C del Rendiconto sociale 2017-2021 dell'INPS, peraltro limitati al 2020, e nel Tomo III del Rendiconto 2021 (aggiornati al 2021). Per dati maggiormente aggregati, aggiornati al 1° gennaio 2022, in relazione ai trattamenti per gli invalidi civili e alle pensioni/assegni sociali, risultano consultabili i dati resi disponibili dall'apposito osservatorio e sintetizzati in questo report.
[10] Si ricorda che nel 2019, anno di avvio del Programma, erano state realizzate economie per 1,8 miliardi, mentre nel 2020 sono stati trasferiti all’INPS circa 7,2 miliardi di euro per il RdC. Un primo, significativo, intervento di rifinanziamento del Fondo destinato al pagamento del beneficio economico dell’RdC/PdC è stato operato dalla legge di bilancio per il 2021, che ha utilizzato le residue disponibilità del Fondo generale destinato al finanziamento dell’intero Programma (196,3 milioni per il 2021, 473,7 milioni per il 2022 e 474,1 milioni dal 2023). Successivamente il decreto-legge n. 41 del 2021 ha stanziato per il 2021 la somma ulteriore di 1 miliardo di euro. Da ultimo, la legge di bilancio per il 2022 ha stabilizzato a regime tale incremento di circa 1 miliardo di euro annui, portando lo stanziamento complessivo a circa 8,8 miliardi di euro annui.
[11] Fonte: https://www.contoannuale.mef.gov.it
[12] Comunicato stampa della BCE dell’8 settembre 2022.
[13] DEF 2022 - Analisi e tendenze della finanza pubblica, pag. 61 e ss.
[14] In tale definizione rientrano: Regioni, Province autonome di Trento e di Bolzano, Comuni e Province.
[15] Il debito pubblico o debito delle Amministrazioni pubbliche è calcolato ufficialmente dalla Banca d’Italia sulla base dei criteri definiti nel Regolamento del Consiglio delle Comunità Europee n. 549 del 2013 (Sistema Europeo di Conti Nazionali e Regionali - SEC 2010). I dati sono pubblicati mensilmente nel rapporto “Finanza pubblica: fabbisogno e debito”.
[16] Il cosiddetto “effetto valanga” (snowball effect) o "differenziale interesse-crescita" rappresenta l’effetto combinato del costo del debito e del tasso di crescita del PIL nominale sul rapporto debito/PIL. Questa componente mostra l'impatto sul debito di fattori non direttamente controllabili dai decisori di politica di bilancio. A parità di altre condizioni, un aumento del tasso di interesse determina un peggioramento del rapporto debito/PIL attraverso una maggiore spesa per interessi e quindi un maggior disavanzo, mentre un aumento del tasso di crescita del PIL nominale determina un miglioramento del rapporto attraverso un aumento del denominatore.
[17] Il raccordo disavanzo-debito, o "aggiustamento stock-flusso" (stock-flow adjustment) indica quella parte della variazione del rapporto debito/PIL che non si riflette nel saldo di bilancio (ad esempio, privatizzazioni, acquisizioni di quote di imprese, prestiti ad altri stati o a istituzioni finanziarie, variazioni della valutazione di debito estero causato da variazioni del tasso di cambio, poste di raccordo contabile tra dati di cassa e di competenza economica e altre operazioni di natura finanziaria che incidono sul debito). A parità di altre condizioni, un valore positivo del raccordo implica che il debito pubblico cresce più di quanto determinato dal deficit del bilancio pubblico (ovvero diminuisce di meno di quanto determinato dal surplus di bilancio).