Camera dei deputati - Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa) |
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Autore: | Servizio Studi - Dipartimento Ambiente |
Titolo: | Disposizioni urgenti per la tutela ambientale del Paese, la razionalizzazione dei procedimenti di valutazione e autorizzazione ambientale, la promozione dell'economia circolare, l'attuazione di interventi in materia di bonifiche di siti contaminati e dissesto idrogeologico |
Serie: | Progetti di legge Numero: 368/1 |
Data: | 04/12/2024 |
Organi della Camera: | Assemblea |
Servizio Studi
Tel. 06 6706-2451 - * studi1@senato.it – @SR_Studi
Dossier n. 387/1
Servizio Studi
Dipartimento Ambiente
Tel. 06 6760-9253 - * st_ambiente@camera.it –@CD_ambiente
Progetti di legge n. 368/1
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Articolo 3 (Misure urgenti per la gestione della crisi idrica)
Articolo 5-bis (Valori limite di ammissibilità dei rifiuti da collocare in discarica)
Articolo 6 (Misure urgenti in materia di bonifica)
Articolo 9, commi 4 e 5 (Opere di difesa idraulica della Grave di Ciano)
Articolo 9, comma 6 (Revoca delle risorse del Fondo investimenti)
Articolo 11 (Disposizioni finanziarie)
Articolo 12 (Entrata in vigore)
Articolo 1, comma 1, lett. 0.a), 0.b) e a) e commi 2 e 3
(Disposizioni in materia di valutazioni ambientali per progetti di impianti a fonti rinnovabili attuativi del PNIEC)
L’articolo 1, modificato nel corso dell’esame in sede referente, apporta una serie di modifiche alla normativa in materia di valutazione ambientale di cui alla parte seconda del c.d. Codice dell’ambiente.
In particolare, il comma 1, lettere 0.a), 0.b) e a), attraverso modifiche e integrazioni, rispettivamente, agli articoli 6, 7 e 8 del Codice:
· condiziona la verifica di assoggettabilità a valutazione di impatto ambientale (VIA), per i progetti di competenza statale e per quelli di competenza regionale, a quanto disposto dal decreto legislativo recante disciplina in materia di regimi amministrativi per la produzione di energia da fonti rinnovabili;
· precisa che il rilascio dell’AIA (autorizzazione integrata ambientale) spetta al competente direttore generale del Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica;
· interviene sul novero dei progetti cui la Commissione tecnica VIA e VAS e la Commissione tecnica PNRR-PNIEC, nella trattazione dei procedimenti di rispettiva competenza, deve dare precedenza.
· demanda ad un decreto del Ministro dell’ambiente e della sicurezza energetica, da adottare di concerto con il Ministro della cultura e con il Ministro delle infrastrutture e trasporti, la definizione dei progetti strategici per il raggiungimento degli obiettivi del PNIEC da considerarsi prioritari in sede di valutazione ambientale, indicando una serie di progetti da considerare prioritari nelle more della sua adozione. Il novero di tali progetti è stato implementato in sede referente.
Il comma 1, lettera a), come integrato in sede referente, inoltre:
· proroga dal 30 giugno 2024 al 30 giugno 2026 il termine per lo svolgimento in videoconferenza dei compiti istruttori svolti dai Commissari nell’ambito delle Sottocommissioni e dei Gruppi istruttori;
· prevede che la struttura di supporto della Commissione tecnica VIA e VAS, composta da quattro unità di personale dell’Arma dei carabinieri ed esperta in materia ambientale, operi anche come struttura di supporto della Commissione tecnica PNRR-PNIEC. La durata di tale struttura viene svincolata dal rinnovo della Commissione tecnica VIA VAS. Entrambe le Commissioni possono avvalersi anche di quattro unità di personale del Corpo della Guardia di finanza.
· consente – ove sussistano motivate esigenze contingenti di carattere funzionale ovvero organizzativo – l’assegnazione alla Commissione tecnica VIA-VAS di progetti spettanti, ai sensi della legislazione vigente, alla Commissione tecnica PNRR-PNIEC, ferma restando l’applicazione della disciplina procedimentale (c.d. fast track) relativa alle valutazioni di impatto ambientale dei progetti PNRR e PNIEC.
Infine, il comma 2 dell’articolo 1, come modificato nel corso dell’esame in sede referente dispone che, per i progetti di produzione energetica da fonte fotovoltaica, solare termodinamica, a biomassa, a biogas, nonché di produzione di biometano, il proponente del provvedimento di VIA allega una dichiarazione sostitutiva di certificazioni o di atto di notorietà attestante la legittima disponibilità, a qualunque titolo, della superficie su cui realizzare l'impianto, ferme restando la pubblica utilità e le procedure conseguenti per le opere connesse.
Il comma 3 autorizza il MASE ad avvalersi – per il supporto operativo alla Commissione tecnica di verifica dell’impatto ambientale VIA e VAS e alla Commissione tecnica PNRR-PNIEC – del Gestore dei Servizi Energetici - GSE s.p.a. in relazione a determinati progetti.
Nel dettaglio, il comma 1, lett. 0.a), inserita nel corso dell’esame in sede referente, aggiunge al comma 6 dell’articolo 6 d.lgs. n. 152/2006 (c.d. Codice dell’ambiente) un periodo finale ai sensi del quale i progetti di competenza statale e di competenza regionale – indicati rispettivamente nell’allegato II-bis e nell’allegato IV del Codice – sono sottoposti alla verifica di assoggettabilità a VIA (ai sensi delle lettere c) e d) del citato comma 6) compatibilmente con quanto previsto dalle disposizioni di riordino dei regimi autorizzatori per la produzione di energia da fonti rinnovabili adottate in attuazione della delega legislativa di cui all’articolo 26, comma 4, della legge sulla concorrenza 2021 (legge n. 118/2022), nonché con quanto previsto dall’eventuale normativa regionale di adeguamento.
In proposito si ricorda che l’articolo 26, comma 4 della legge n. 118/2022 ha delegato il Governo ad adottare uno o più decreti legislativi di riordino e semplificazione della normativa in materia di fonti rinnovabili entro ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore della predetta legge sulla concorrenza, vale a dire entro il 25 agosto 2024 (termine così da ultimo prorogato dall’articolo 21, comma 1, della legge n. 214/2023, c.d. legge sulla concorrenza 2022). Lo schema di decreto legislativo è stato presentato alle Camere il 12 agosto 2024 (qui il dossier del Servizio Studi sul predetto schema). Il parere del Consiglio di Stato è stato reso il 12 settembre 2024, mentre l’intesa in sede di Conferenza unificata è stata raggiunta in data 14 novembre 2024, con varie condizioni (qui il testo del parere del Consiglio di Stato e dell’intesa). Il 19 novembre 2024 le Commissioni riunite VIII e X della Camera dei deputati hanno espresso il proprio parere (favorevole con condizioni) e nello stesso giorno l’8ª Commissione del Senato ha reso il suo (favorevole con osservazioni). Nella riunione del Consiglio dei Ministri del 25 novembre 2024 è stato approvato in via definitiva – e “[tenuto] conto dei pareri previsti” dall’iter di approvazione – il testo del decreto legislativo in questione, che alla data odierna non risulta ancora emanato e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale.
Il comma 1, lett. 0.b), inserita nel corso dell’esame in sede referente, modifica il terzo periodo del comma 5 dell’articolo 7, del Codice dell’Ambiente, il quale prevede che il provvedimento di AIA (autorizzazione integrata ambientale) è rilasciato dal Ministro dell’ambiente e della sicurezza energetica (MASE). La modifica è finalizzata a precisare che l’organo del MASE preposto al rilascio dell’AIA è il competente direttore generale del Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica.
L’autorizzazione integrata ambientale (AIA) – disciplinata dalla parte II del Codice dell’ambiente (D.lgs.152/2006), in particolare dal titolo III-bis di tale parte, costituito dagli articoli da 29-bis a 29-quattuordecies – ha per oggetto la prevenzione e la riduzione integrate dell’inquinamento proveniente dalle attività industriali elencate nell’allegato VIII alla parte seconda del Codice e prevede misure intese a evitare, ove possibile, o a ridurre le emissioni nell’aria, nell’acqua e nel suolo, comprese le misure relative ai rifiuti, per conseguire un livello elevato di protezione dell’ambiente (articolo 4, comma 4, lett. c) del Codice). Sono soggette ad AIA le installazioni che svolgono attività rientranti tra quelle elencate dal citato Allegato VIII, nonché le modifiche sostanziali degli impianti di tali installazioni (articolo 6, comma 13 del Codice).
L’art. 7 del Codice precisa che:
· sono sottoposti ad AIA in sede statale i progetti relativi alle attività di cui all’allegato XII alla parte II del Codice e loro modifiche sostanziali. In tal caso l’autorità competente è il Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica (comma 4-bis);
· sono sottoposti ad AIA secondo le disposizioni delle leggi regionali e provinciali i progetti di cui all’allegato VIII che non risultano ricompresi anche nell’allegato XII al presente decreto e loro modifiche sostanziali. In sede regionale, l’autorità competente è la pubblica amministrazione con compiti di tutela, protezione e valorizzazione ambientale individuata secondo le disposizioni delle leggi regionali o delle Province autonome (comma 4-ter).
In base al disposto dell’art. 29-quater, comma 10, del Codice, l’autorità competente esprime le proprie determinazioni sulla domanda di autorizzazione integrata ambientale entro 150 giorni dalla presentazione della domanda. L’art. 29-octies prevede che il riesame dell’AIA avvenga al verificarsi di alcuni eventi (per esempio, ai sensi del comma 4, lett. b), quando le migliori tecniche disponibili hanno subito modifiche sostanziali, che consentono una notevole riduzione delle emissioni) e, in ogni caso, quando sono trascorsi 10 anni dal rilascio dell’autorizzazione integrata ambientale o dall’ultimo riesame effettuato sull’intera installazione. Si ricorda che, ai sensi dell’articolo 10, comma 1, del D.lgs. n.152/2006, nel caso di progetti per i quali è prevista la procedura di verifica di assoggettabilità a VIA, l’AIA può essere rilasciata solo dopo che, ad esito della predetta procedura di verifica, l’autorità competente abbia valutato di non assoggettare i progetti a VIA. Quando un progetto è sottoposto a VIA statale, infine, si rammenta che l’AIA rientra tra i titoli che possono essere richiesti nell’ambito del procedimento di cui all’articolo 27 del D.lgs. n.152/2006, ai fini dell’adozione del Provvedimento unico in materia ambientale.
Il comma 1, lett. a) modifica e integra l’articolo 8 del d.lgs. n. 152/2006 (c.d. Codice dell’ambiente), il quale prevede due organi di supporto tecnico scientifico per le valutazioni ambientali di competenza statale: la Commissione tecnica VIA e VAS, e – per lo svolgimento delle procedure di valutazione ambientale dei progetti compresi nel PNRR e dei progetti attuativi del PNIEC individuati nell’allegato I-bis[1] – la Commissione tecnica PNRR-PNIEC.
Per meglio comprendere l’ambito di intervento delle modifiche, si ricorda preliminarmente che, ai sensi dell’articolo 7-bis della Parte Seconda e relativi Allegati, del Codice dell’ambiente, la verifica di assoggettabilità a VIA e la VIA sono effettuate ai diversi livelli istituzionali. E in particolare:
· sono sottoposti a VIA statale i progetti di cui all’allegato II;
· sono sottoposti a verifica di assoggettabilità a VIA statale i progetti di cui all’Allegato II-bis;
· le opere, gli impianti e le infrastrutture necessari alla realizzazione dei progetti strategici per la transizione energetica inclusi nel PNRR e per il raggiungimento degli obiettivi fissati dal PNIEC, come individuati nell’Allegato I-bis, e le opere ad essi connesse, costituiscono interventi di pubblica utilità, indifferibili e urgenti.
· fatto salvo quanto appena detto, sono sottoposti a VIA regionale, i progetti di cui all’allegato III.
· Sono sottoposti a verifica di assoggettabilità a VIA regionale i progetti di cui all’allegato IV[2].
Ai sensi dell’articolo 7-bis, comma 4, del d.lgs. n. 152/2006, in sede statale, l’autorità competente è il Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica, che esercita le proprie competenze in collaborazione con il Ministero della cultura per le attività istruttorie relative al procedimento di VIA. Il provvedimento di verifica di assoggettabilità a VIA è adottato dal Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica.
Ai sensi dell’articolo 8, comma 1, il supporto tecnico-scientifico al MASE è assicurato, di norma, dalla Commissione tecnica di verifica dell’impatto ambientale VIA; tuttavia, per lo svolgimento delle procedure di valutazione ambientale[3] di competenza statale dei progetti compresi nel Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR), di quelli finanziati a valere sul fondo complementare nonché dei progetti attuativi del Piano nazionale integrato per l’energia e il clima (PNIEC) individuati nell’allegato I-bis[4], tra cui i nuovi impianti per la produzione di energia e vettori energetici da fonti rinnovabili, e di quelli comunque connessi alla gestione della risorsa idrica ricompresi nell’allegato II, è istituito, ai sensi dell’articolo 8, comma 2-bis, un organo apposito: la Commissione tecnica PNRR-PNIEC posta alle dipendenze funzionali del MASE (art. 8, comma 2-bis e Allegato I-bis del d.lgs. n. 152/2006).
Il comma 1, lett. a), dell’articolo qui in commento novella il comma 1, del citato articolo 8, integrandone (n. 1.1)), il quinto periodo. Il quinto periodo indica taluni progetti cui la Commissione tecnica VIA e VAS e la Commissione tecnica PNIEC PNRR, nella trattazione dei procedimenti di rispettiva competenza, devono dare priorità. Si tratta dei seguenti progetti: progetti con valore economico comprovato superiore a 5 milioni di euro o con una ricaduta occupazionale attesa superiore a quindici unità di personale, nonché progetti cui si correlano scadenze non superiori a dodici mesi, fissate perentoriamente dalla legge o da enti terzi, e ai progetti relativi ad impianti già autorizzati la cui autorizzazione scade entro dodici mesi dalla presentazione dell’istanza.
La novella stabilisce che, prima dei predetti progetti, deve essere data priorità nell’ordine ai seguenti progetti:
· progetti relativi ai programmi di preminente interesse strategico nazionale ai sensi dell’articolo 13 del D.L. n. 104/2023 (L. n. 136/2023), dunque, i grandi programmi esteri d’investimento diretto sul territorio italiano dal valore complessivo non inferiore a 1 miliardo di euro, dichiarati, con deliberazione del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro delle imprese e del made in Italy, di preminente interesse strategico nazionale;
· progetti aventi le caratteristiche di cui all’articolo 30 del D.L. n. 50/2022 (L. n. 91/2022), dunque, progetti aventi ad oggetto investimenti per il sistema produttivo nazionale di valore superiore a 25 milioni di euro e con significative ricadute occupazionali.
A seguire, vi sono, nell’ordine, i progetti già previsti come prioritari dal quinto periodo del comma 8, sopra richiamati.
La medesima lettera a) (al n. 1.2)), novella il sesto periodo del comma 1 dell’articolo 8, che sancisce un ordine di priorità nella trattazione delle procedure di valutazione ambientale di competenza statale relative ai progetti attuativi del PNIEC (individuati dall’allegato I-bis tra quelli prioritari ai sensi del quinto periodo del comma 1 dell’articolo 8).
Con la novella qui in esame, si sopprime la previsione per cui hanno in ogni caso priorità, in ordine decrescente, i progetti che hanno maggior valore di potenza installata o trasportata, nonché i progetti concernenti impianti di produzione di idrogeno verde o rinnovabile (di cui al punto 6-bis) dell’Allegato II alla Parte Seconda del Codice [5]) e i connessi impianti da fonti rinnovabili, ove previsti.
In suo luogo, sono ora invece considerate prioritarie le tipologie progettuali da individuare con decreto del Ministro dell’ambiente e della sicurezza energetica, di concerto con il Ministro della cultura e con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, tenendo conto dei seguenti criteri:
a) affidabilità e sostenibilità tecnica ed economica del progetto in rapporto alla sua realizzazione;
b) contributo al raggiungimento degli obiettivi di decarbonizzazione previsti dal PNIEC;
c) rilevanza ai fini dell’attuazione degli investimenti del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR);
d) valorizzazione di opere, impianti o infrastrutture esistenti.
Si rileva che la norma non precisa i tempi entro i quali adottare il decreto interministeriale. Si valuti l’opportunità di intervenire a tale fine sul testo.
Contestualmente la lettera a), al n. 2), inserisce nell’articolo 8 del Codice due nuovi commi 1-bis e 1-ter.
Ai sensi del comma 1-bis, nelle more dell’adozione del decreto interministeriale, sono da considerarsi prioritari, secondo il seguente ordine:
0a) i progetti di nuovi impianti di accumulo idroelettrico mediante pompaggio puro che prevedono, anche attraverso il ripristino delle condizioni di normale esercizio degli invasi esistenti, l'incremento dei volumi di acqua immagazzinabili. Questa lettera è stata inserita in sede referente;
0b) le opere e gli impianti di stoccaggio geologico, cattura e trasporto di CO2, nonché i relativi impianti funzionalmente connessi, e gli impianti industriali oggetto di conversione in bioraffinerie. Questa lettera è stata inserita in sede referente;
a) i progetti concernenti impianti di idrogeno verde ovvero rinnovabile (di cui al punto 6-bis) dell’allegato Il alla Parte seconda del Codice) e i connessi impianti da fonti rinnovabili;
a-bis) i progetti di nuovi impianti concernenti le derivazioni per uso idroelettrico di potenza fino a 10MW. Questa lettera è stata inserita in sede referente;
b) gli interventi di modifica, anche sostanziale, per rifacimento, potenziamento o integrale ricostruzione di impianti alimentati da fonti eoliche o solari;
c) i progetti fotovoltaici on-shore e agrivoltaici on-shore di potenza nominale pari almeno a 50 MW e i progetti eolici on-shore di potenza nominale pari almeno a 70 MW (comma 1-bis);
Ai sensi del comma 1-ter, ai progetti da considerare prioritari – in virtù dell’adottando decreto o ai sensi di quanto previsto dal comma 1-bis nelle more della sua adozione - è riservata una quota non superiore ai tre quinti delle trattazioni, nell’ambito della quale l’esame è definito in ordine cronologico, per ciascuna tipologia, tenuto conto della data di effettuazione della comunicazione al proponente ai sensi dell’articolo 23, comma 4, secondo periodo del Codice. I progetti diversi da quelli prioritari sono trattati per ciascuna tipologia d’impianto in ordine cronologico tenuto conto della data di effettuazione della comunicazione al proponente della pubblicazione della documentazione a corredo della sua istanza di VIA, ai sensi dell’articolo 23, comma 4, secondo periodo.
Si rammenta che, già con la pubblicazione della documentazione presentata dal proponente, la Commissione PNIEC-PNRR avvia l’attività istruttoria (articolo 23, comma 4, ultimo periodo del Codice).
Il comma 1-ter prevede, infine, che, ai fini dell’applicazione uniforme e simultanea (anziché coerente, come in origine previsto) dell’ordine di trattazione dei progetti nell’ambito dei procedimenti di valutazione ambientale, il MASE comunica l’ordine di priorità al MIC, che vi si uniforma, anziché ne tiene conto, come invece previsto prima dell’esame in sede referente.
Quanto previsto dal comma 1-ter non pregiudica il rispetto dei termini dei procedimenti di valutazione ambientale previsti dalla normativa vigente per i progetti compresi nel PNRR né di quelli finanziati a valere sul fondo complementare.
La lettera a), al n. 2-bis), inserita nel corso dell’esame in sede referente, novella l’ultimo periodo del comma 2-bis dell’articolo 8, prorogando dal 30 giugno 2024 al 30 giugno 2026 il termine per l’applicazione della norma (articolo 73, comma 2 del D.L. n. 18/2020), che facoltizza lo svolgimento in videoconferenza dei compiti istruttori svolti dai Commissari nell’ambito delle Sottocommissioni e dei Gruppi istruttori.
L’articolo 73, comma 2 del citato D.L. n. 18/2020 (L. n. 27/2020) dispone che i presidenti degli organi collegiali degli enti pubblici nazionali, anche articolati su base territoriale, nonché degli enti e degli organismi del sistema camerale, possono disporre lo svolgimento delle sedute dei predetti organi in videoconferenza, anche ove tale modalità non sia prevista negli atti regolamentari interni, garantendo comunque la certezza nell'identificazione dei partecipanti e la sicurezza delle comunicazioni.
L’articolo 8, comma 2-bis, ultimo periodo, dispone che quanto previsto dall’articolo 73, comma 2 del D.L. n. 18/2020 (L. n. 27/2020), si applichi anche ai compiti istruttori svolti dai Commissari nell’ambito delle Sottocommissioni e dei Gruppi istruttori, sino al 30 giugno 2024.
La lettera a), al n. 3), sostituito in sede referente, novella ed integra il comma 2-octies dell’articolo 8, il quale dispone che il presidente della Commissione tecnica VIA e VAS, si avvale di una struttura di supporto, composta da quattro unità di personale dell’Arma dei carabinieri, con comprovata esperienza nel settore della tutela ambientale o nel coordinamento di unità complesse o nella gestione di fondi, e che tali unità siano individuate dal Comando generale dell'Arma dei carabinieri e poste in posizione di comando, con oneri rientranti nei costi di funzionamento per la Commissione tecnica VIA VAS.
La novella è finalizzata a prevedere che della struttura di supporto si avvalga non solo la Commissione tecnica VIA e VAS – come ora previsto – bensì anche la Commissione Tecnica PNRR-PNIEC.
La lett. a), al n. 3), sopprime altresì il periodo del comma 2-octies, che vincolava la cessazione della struttura di supporto al rinnovo della Commissione tecnica VIA VAS.
Lo stesso n. 3) introduce un ultimo periodo nel comma 2-octies ai sensi del quale, con le stesse modalità ivi individuate (per i componenti della struttura di supporto), fermi restando gli specifici compiti attribuiti in materia ambientale dalla normativa vigente ad altre amministrazioni dello Stato, nonché il riparto di competenze tra le Forze di polizia, le Commissioni possano avvalersi di quattro unità di personale del Corpo della Guardia di finanza, ai cui oneri si provvede nell'ambito delle risorse destinate alla copertura dei costi di funzionamento della Commissione tecnica di verifica dell’impatto ambientale e della Commissione tecnica PNRR-PNIEC.
Si valuti l’opportunità di chiarire a che titolo le Commissioni possano avvalersi delle suddette quattro unità di personale del Corpo della Guardia di finanza, specificando in particolare se queste facciano o meno parte della struttura di supporto.
Infine, lettera a), al n. 4), inserisce, dopo il comma 2-octies, un nuovo comma 2-novies ai sensi del quale, ove sussistano motivate esigenze contingenti di carattere funzionale ovvero organizzativo, il Presidente della Commissione tecnica VIA-VAS e della Commissione PNRR-PNIEC, possono, d’intesa, disporre l’assegnazione alla Commissione tecnica VIA-VAS di progetti spettanti, ai sensi della legislazione vigente, alla Commissione tecnica PNRR-PNIEC, ferma restando l’applicazione della disciplina procedimentale (cd. fast track) relativa alle valutazioni di impatto ambientale dei progetti PNRR e PNIEC.
Ai sensi del comma 2 dell’articolo qui in esame, come modificato nel corso dell’esame in sede referente, per i progetti di produzione energetica da fonte fotovoltaica, solare termodinamica, a biomassa, a biogas, nonché di produzione di biometano, il proponente del provvedimento di valutazione di impatto ambientale (VIA) deve allegare una dichiarazione sostitutiva di certificazioni o di atto di notorietà (ai sensi degli articoli 46 e 47 del DPR n. 445/2000) attestante la legittima disponibilità, a qualunque titolo, della superficie su cui realizzare l'impianto, ferme restando la pubblica utilità e le procedure conseguenti per le opere connesse.
Appare opportuno leggere la previsione qui in esame alla luce della disciplina vigente in materia di regimi amministrativi abilitativi/autorizzativi all’installazione di impianti a fonti rinnovabili. Al riguardo si rammenta come – ai sensi dell’articolo 12 del d.lgs. n. 387/2003 – il procedimento di autorizzazione alla costruzione e all’esercizio di impianti a fonti rinnovabili elettriche è comprensivo delle valutazioni ambientali di cui al titolo III della parte seconda del d.lgs. n. 152/2006 (verifica di assoggettabilità a VIA e VIA), ove previste. Il rilascio dell’autorizzazione dunque comprende, ove previsti, i provvedimenti di valutazione ambientale, costituisce titolo a costruire ed esercire l’impianto in conformità al progetto approvato. Il termine massimo per la conclusione del procedimento unico è pari a novanta/sessanta giorni nel caso dei progetti non sottoposti alle valutazioni ambientali.
Inoltre, ai sensi dell’articolo 12, comma 4-bis del D.lgs. n. 387/2003 per la realizzazione di impianti alimentati a biomassa, ivi inclusi gli impianti a biogas e gli impianti per produzione di biometano di nuova costruzione, e per impianti fotovoltaici, ferme restando la pubblica utilità e le procedure conseguenti per le opere connesse, il proponente deve dimostrare nel corso del procedimento, e comunque prima dell’autorizzazione, la disponibilità del suolo su cui realizzare l’impianto.
Mentre, invece, per gli impianti diversi – es. eolico – il proponente, in sede di presentazione della domanda di autorizzazione, può richiedere la dichiarazione di pubblica utilità e l’apposizione del vincolo preordinato all’esproprio delle aree interessate dalla realizzazione dell’impianto e delle opere connesse.
Dunque, il soggetto che non ha la disponibilità dell’area al momento in cui attiva il procedimento autorizzatorio, del quale, come detto, fa parte integrante il procedimento di valutazione ambientale, ove richiesto dalla normativa, può chiedere – al momento della presentazione della richiesta di autorizzazione – l’apposizione del vincolo preordinato all’esproprio delle aree interessate.
Questo quadro è oggetto di revisione da parte dello schema di decreto legislativo di riordino dei regimi amministrativi per la produzione di energia da fonti rinnovabili (AG 187 – cfr. dossier del Servizio Studi), adottato dal Governo in attuazione dell’articolo 26, comma 4, della legge sulla concorrenza 2022 (L. n. 118/2021). Nello schema di decreto legislativo presentato alle Camere ai fini dell’espressione del parere, da un lato, l’articolo 1, comma 2, conferma che gli interventi di costruzione, modifica, rifacimento, potenziamento o di esercizio degli impianti di produzione e dei sistemi di accumulo di energia da fonti rinnovabili sono di pubblica utilità, indifferibili e urgenti, e dall’altro, l’articolo 4, comma 1, lett. b), qualifica il soggetto proponente come il soggetto pubblico o privato interessato alla realizzazione degli interventi che, a qualsiasi titolo, dispone legittimamente della superficie, e qualora occorra, delle risorse necessarie, senza però contemplare l’ipotesi che, per determinati impianti, per le relative opere connesse e infrastrutture necessarie, sia necessario, in taluni casi, richiedere l’apposizione del vincolo preordinato all’esproprio[6]. Tale punto problematico è stato oggetto di attenzione in sede di esame da parte delle Commissioni parlamentari competenti ad esprimere il parere sullo schema. Così, tra le diverse condizioni espresse nel parere reso il 19 novembre u.s. dalle Commissioni riunite VIII e X della Camera dei deputati, vi è la seguente (condizione n. 10): “sia ripristinata la possibilità di richiedere, in sede di presentazione dell'istanza autorizzativa per la realizzazione di impianti e opere di connessione diversi da quelli alimentati a biomassa e fotovoltaici, l'apposizione del vincolo preordinato all'esproprio delle aree interessate dalla realizzazione degli interventi, ridefinendo contestualmente la qualifica di «soggetto proponente» nel senso di ritenersi legittima la disponibilità della superficie anche a seguito dell'avvio del procedimento di apposizione del predetto vincolo”. Nello stesso senso, opera il parere espresso lo stesso giorno dall’8ª Commissione del Senato (favorevole con osservazioni).
La modifica in esame appare dunque riconducibile a quanto evidenziato in sede parlamentare.
Ai sensi del comma 3, per il supporto operativo alla Commissione tecnica di verifica dell’impatto ambientale VIA e VAS e alla Commissione tecnica PNRR-PNIEC, il MASE può avvalersi del Gestore dei Servizi Energetici - GSE s.p.a. (GSE) in relazione a progetti di produzione energetica da fonti rinnovabili, sulla base di un’apposita convenzione, nel limite di spesa di 1 milione di euro annui a decorrere dal 2025. A tali oneri, si provvede con i proventi delle tariffe per la copertura dei costi sopportati dall’autorità competente per l’organizzazione e lo svolgimento delle attività istruttorie, di monitoraggio e controllo delle procedure di verifica di assoggettabilità a VIA, di VIA e di VAS. I costi annuali derivanti dalla misura sono definiti con il decreto ministeriale che annualmente definisce i costi di funzionamento della Commissione tecnica PNRR-PNIEC, di cui all’articolo 8, comma 5, del medesimo Codice dell’ambiente.
Articolo 1, comma 1, lettere b)-g)
(Modifiche di carattere generale alle discipline in materia di valutazioni e autorizzazioni ambientali)
L’articolo 1, comma 1, lettere b)-g), modificato in sede referente, reca una serie di modifiche, di carattere generale, alle discipline in materia di valutazioni e autorizzazioni ambientali, finalizzate alla semplificazione e all’accelerazione dei procedimenti, anche attraverso una migliore definizione delle competenze e delle scansioni procedurali e dei rispettivi termini, nonché attraverso una riduzione dei termini medesimi. Nel dettaglio, la lettera b) reca modifiche alla disciplina del procedimento di verifica di assoggettabilità a VIA (c.d. screening di VIA), la lettera b-bis), inserita in sede referente, integra il contenuto dell’istanza di VIA, mentre le lettere c)-e) apportano modifiche al procedimento di VIA. Sono inoltre operate (dalle lettere f) e f-bis), quest’ultima inserita in sede referente) modifiche, sebbene più limitate, anche alle discipline del Provvedimento Autorizzatorio Unico Regionale (PAUR) e del Provvedimento Unico Ambientale (PUA).
La lettera g), che recava modifiche alla disciplina dell’Autorizzazione Integrata Ambientale (AIA) è stata soppressa durante l’esame in sede referente.
La lettera b) reca una serie di modifiche all’art. 19 del Codice dell’ambiente (D.Lgs. 152/2006) relativamente alle modalità di svolgimento del procedimento di verifica di assoggettabilità a VIA (c.d. screening di VIA).
Il numero 1) della lettera in esame modifica il primo periodo del comma 2 dell’art. 19 del Codice, che nel testo previgente dispone, tra l’altro, che entro il termine di cinque giorni dalla ricezione dello studio preliminare ambientale, l'autorità competente verifica la completezza e l'adeguatezza della documentazione.
In base al nuovo testo risultante dalla modifica in esame – che consiste nella soppressione del riferimento all’adeguatezza – l’autorità competente non è più tenuta a verificare l’adeguatezza della documentazione ma deve limitarsi a verificare solamente la completezza della stessa.
Si tratta di una modifica che appare finalizzata a ridurre i tempi d’esame della documentazione da parte dell’autorità competente.
Il numero 2) sostituisce il testo del comma 6 dell’art. 19 del Codice – ove si disciplina l’adozione del provvedimento che conclude il procedimento di screening di VIA (che d’ora in poi verrà indicato, per brevità, con l’espressione “provvedimento di screening”) – con due nuovi commi 6 e 6-bis.
La riscrittura in esame appare finalizzata a definire meglio le scansioni procedurali e i rispettivi termini. In proposito la relazione illustrativa sottolinea che tale riscrittura ha “un intento chiarificatore circa la disciplina e i termini del procedimento di verifica di assoggettabilità a VIA”.
Il primo periodo del nuovo comma 6 riscrive le disposizioni recate dai periodi quarto e quinto del testo previgente, che disciplinano la richiesta di chiarimenti e integrazioni da parte dell’autorità competente finalizzati alla non sottoposizione del progetto al procedimento di VIA.
Rispetto al testo previgente si registrano le seguenti differenze:
- viene precisato che la richiesta in questione può essere effettuata dall’autorità competente una sola volta;
- viene precisato che il termine per effettuare la richiesta è fissato in 15 giorni dalla scadenza del termine previsto dal comma 4 dell’art. 19 per la presentazione delle osservazioni del pubblico. Poiché il termine previsto da tale comma 4 è di 30 giorni dalla comunicazione dell'avvenuta pubblicazione della documentazione nel sito internet dell’autorità competente, il termine per effettuare la richiesta di chiarimenti e integrazioni è quindi fissato in 45 giorni dalla citata comunicazione dell'avvenuta pubblicazione sul sito internet della documentazione.
- viene ridotto da 45 a 30 giorni il termine massimo assegnato al proponente per rispondere alla richiesta in questione. Nel dettaglio, mentre il testo previgente dispone che, nel caso l’autorità competente avanzi la richiesta in questione, “il proponente può richiedere, per una sola volta, la sospensione dei termini, per un periodo non superiore a quarantacinque giorni, per la presentazione delle integrazioni e dei chiarimenti richiesti”, il nuovo testo in esame non prevede più un ruolo in capo al proponente ma prevede che sia l’autorità competente ad assegnare direttamente un termine (non superiore a 30 giorni) entro il quale il proponente deve presentare le integrazioni e i chiarimenti richiesti.
Il secondo periodo del nuovo testo del comma 6 riproduce fedelmente, nella sostanza, il disposto del sesto periodo del testo previgente, in base al quale se il proponente non presenta i chiarimenti e le integrazioni nel termine stabilito, allora l’autorità competente procede all’archiviazione.
Il primo periodo del comma 6-bis riscrive la disposizione recata dal primo periodo del testo previgente del comma 6, al fine di precisare i termini – nelle varie ipotesi procedimentali – entro cui deve essere adottato il provvedimento di screening.
Mentre il testo previgente si limita a disporre che l'autorità competente adotta il provvedimento di screening entro i 45 giorni successivi alla comunicazione dell'avvenuta pubblicazione sul sito internet della documentazione, il nuovo testo prevede che il termine per l’adozione del provvedimento di screening:
- è incrementato da 45 a 60 giorni, decorrenti dalla comunicazione succitata;
- nel caso in cui siano stati richiesti chiarimenti e integrazioni (quindi nel caso disciplinato dal nuovo testo del comma 6), è di 45 giorni dal ricevimento degli stessi.
I periodi secondo, terzo e quarto del comma 6-bis riproducono fedelmente, nella sostanza, il disposto del secondo e del terzo periodo del testo previgente del comma 6. Viene quindi confermato che, in casi eccezionali, l'autorità competente può prorogare, per una sola volta e per un periodo non superiore a venti giorni, il termine per l'adozione del provvedimento di screening; che in tali casi l'autorità competente comunica tempestivamente per iscritto al proponente le ragioni che giustificano la proroga e la data entro la quale è prevista l'adozione del provvedimento; che tale comunicazione è pubblicata nel sito internet dell'autorità competente.
Il numero 3) reca alcune modifiche al comma 7 dell’art. 19 del Codice dell'ambiente, che disciplina il caso in cui l’autorità competente stabilisca – alla fine dello screening – di non assoggettare il progetto al procedimento di VIA.
Nel caso in questione, il testo previgente del primo periodo del citato comma 7 dispone, tra l’altro, che l'autorità competente, ove richiesto dal proponente, specifica le condizioni ambientali necessarie per evitare o prevenire quelli che potrebbero altrimenti rappresentare impatti ambientali significativi e negativi.
La prima modifica operata dal numero 3) in esame, recata dal numero 3.1), interviene sulla richiamata disposizione al fine di precisare che la richiesta del proponente deve essere effettuata in sede di presentazione dello studio preliminare ambientale.
La seconda modifica, recata dal numero 3.2), sopprime il secondo periodo del comma 7 dell’art. 19 del Codice ove si dispone che “l'autorità competente si pronuncia sulla richiesta di condizioni ambientali formulata dal proponente entro il termine di trenta giorni con determinazione positiva o negativa, esclusa ogni ulteriore interlocuzione o proposta di modifica”.
Dall’esame congiunto delle disposizioni recate dai numeri 3.1) e 3.2) sembrerebbe desumersi che l’autorità competente debba pronunciarsi sulla richiesta del proponente nell’ambito del provvedimento di screening: poiché la richiesta del proponente dovrà essere effettuata (ai sensi del numero 3.1)) con largo anticipo (per la precisione in sede di presentazione dello studio preliminare ambientale), non sembra avere più ragion d’essere il termine (previsto dal secondo periodo, soppresso dal numero 3.2)) per consentire all’autorità competente di avere più tempo per pronunciarsi sulla richiesta in questione.
Il numero 4) integra il testo del comma 10 dell’art. 19 del Codice, che nel testo previgente si limita a disporre che il provvedimento di screening, comprese le motivazioni, è pubblicato integralmente nel sito internet istituzionale dell'autorità competente.
A tale primo ed unico periodo del comma 10 vengono aggiunti ben sette periodi, volti a disciplinare l’efficacia temporale del provvedimento di screening e la sua eventuale proroga.
La relazione illustrativa evidenzia che le modifiche recate dal numero 4) in esame sono volte ad allineare la normativa interna agli orientamenti giurisprudenziali “per cui anche il progetto escluso da VIA deve essere realizzato in un termine prefissato, ovvero non inferiore a cinque anni definito nel provvedimento stesso, dovendosi altrimenti rinnovare il giudizio di assoggettabilità a VIA, per verificare eventuali mutamenti del contesto e delle condizioni ambientali”. Si fa notare che la questione dell’efficacia temporale del provvedimento di screening e della sua eventuale proroga è stata anche affrontata nella risposta fornita dal Ministero dell'ambiente e della sicurezza energetica in data 23 luglio 2024, ad un interpello della Regione Siciliana.
Nel dettaglio, il nuovo secondo periodo del comma 10 dispone che il provvedimento di screening ha l’efficacia temporale, comunque non inferiore a 5 anni, definita nel provvedimento stesso, tenuto conto:
- dei tempi previsti per la realizzazione del progetto;
- dei procedimenti autorizzatori necessari;
- nonché dell'eventuale proposta formulata dal proponente e inserita nella documentazione a corredo dell'istanza di verifica di assoggettabilità a VIA.
Il successivo terzo periodo dispone che, decorsa l’efficacia temporale del provvedimento di screening senza che il progetto sia stato realizzato, il relativo procedimento è reiterato, fatta salva la concessione – su istanza del proponente corredata di una relazione esplicativa aggiornata che contenga i pertinenti riscontri in merito al contesto ambientale di riferimento e alle eventuali modifiche, anche progettuali, intervenute – di specifica proroga da parte dell'autorità competente.
In relazione ai contenuti del provvedimento di proroga, il nuovo quarto periodo dispone che – fatto salvo il caso di mutamento del contesto ambientale di riferimento o di modifiche, anche progettuali – il provvedimento in questione non contiene prescrizioni diverse e ulteriori rispetto a quelle già previste nel provvedimento di screening originario.
Il successivo quinto periodo disciplina invece il caso in cui la richiesta di proroga (prevista dal terzo periodo) è presentata almeno 90 giorni prima della scadenza del termine di efficacia definito nel provvedimento di screening. In tal caso viene stabilito che il provvedimento di screening continua a essere efficace sino all'adozione, da parte dell’autorità competente, delle determinazioni relative alla concessione della proroga.
Il nuovo sesto periodo dispone che entro 15 giorni dalla presentazione della richiesta di proroga, l'autorità competente provvede alla verifica della completezza della documentazione.
Qualora la documentazione risulti incompleta, il settimo periodo dispone che l'autorità competente richiede al soggetto istante la documentazione integrativa, assegnando per la presentazione della medesima un termine perentorio non superiore a 20 giorni. Qualora entro tale termine l’istante non depositi la documentazione integrativa o la stessa risulti (all'esito di una nuova verifica da effettuarsi da parte dell'autorità competente nel termine di 10 giorni dalla presentazione delle integrazioni richieste) ancora incompleta, allora (in base al disposto dell’ottavo periodo) l’istanza si intende ritirata e l'autorità competente procede all'archiviazione.
La lettera b-bis), introdotta in sede referente, modifica il comma 1 dell’art. 23 del Codice, che elenca la documentazione che deve essere inclusa nell’istanza di VIA, prevedendo che tale istanza contiene anche (nuova lettera h) del comma 1 dell’art. 23) l’autodichiarazione (sostitutiva di certificazioni e atti di notorietà, in base al disposto degli artt. 46-47 del D.P.R. 445/2000) relativa agli assetti proprietari della società proponente e dell’eventuale società controllante e alla consistenza del capitale sociale della società proponente.
La lettera c) integra il disposto del secondo periodo del comma 4 dell’art. 23 del Codice – ove si impone all'autorità competente di effettuare la comunicazione, per via telematica, a tutte le amministrazioni e a tutti gli enti territoriali potenzialmente interessati e comunque competenti ad esprimersi sulla realizzazione del progetto, dell'avvenuta pubblicazione, sul proprio sito web, della documentazione contenuta nell’istanza di avvio del procedimento di VIA – al fine di precisare che la comunicazione in questione dev’essere inviata anche al proponente.
La relazione illustrativa sottolinea che, in tal modo, si garantisce che il proponente abbia conoscenza dell’avvio del procedimento.
La lettera d) interviene sull’art. 24 del Codice, che disciplina la fase di consultazione del pubblico.
Il numero 1) della lettera in esame interviene sul comma 4, nella parte in cui viene disciplinata la possibilità per la Commissione istruttoria del procedimento di VIA di concedere – per una sola volta, su richiesta del proponente – la sospensione dei termini per la presentazione di documentazione integrativa resasi necessaria all'esito della consultazione pubblica o delle controdeduzioni da parte del proponente alle osservazioni del pubblico.
Nello specifico, la norma in esame inserisce un periodo, dopo il secondo, volto ad introdurre un meccanismo di silenzio-assenso per la concessione della sospensione in questione.
Il nuovo periodo dispone infatti che, trascorsi 7 giorni dalla richiesta di sospensione senza che la Commissione istruttoria si sia espressa, la richiesta stessa si intende accolta per il termine proposto.
Si fa notare che le disposizioni recate dal testo previgente del comma 4, così come quella recata dalla lettera in esame, si applicano sia alla Commissione VIA-VAS, sia alla Commissione PNRR-PNIEC. Per brevità, nell’illustrare la lettera in esame, si è fatto generico riferimento alla Commissione istruttoria del procedimento di VIA, quindi alla Commissione VIA-VAS nel caso dei procedimenti ordinari e alla Commissione PNRR-PNIEC nel caso dei procedimenti di VIA dei “progetti compresi nel Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR), di quelli finanziati a valere sul fondo complementare nonché dei progetti attuativi del Piano nazionale integrato per l’energia e il clima, individuati nell’allegato I-bis al presente decreto, e di quelli comunque connessi alla gestione della risorsa idrica ricompresi nell'allegato II alla parte seconda del presente decreto” (art. 8, comma 2-bis, del Codice dell'ambiente).
Il numero 2) della lettera d) introduce un nuovo comma 4-bis nel testo dell’art. 24 del Codice, che reca disposizioni volte a disciplinare la verifica, da parte del Ministero della cultura, dell’adeguatezza della relazione paesaggistica ai fini di cui all’articolo 25, comma 2-quinquies, cioè al fine di consentire al direttore generale del Ministero della cultura (il cui concerto è necessario per l’adozione del provvedimento di VIA) di potersi esprimere in merito alla compatibilità paesaggistica del progetto (si rinvia, in proposito, al commento della lettera e) del comma in esame).
Nel dettaglio, il nuovo comma 4-bis dispone che, entro 30 giorni dall’esito della consultazione del pubblico o dalla presentazione delle controdeduzioni da parte del proponente ai sensi del comma 3, il Ministero della cultura provvede alla verifica dell’adeguatezza della relazione paesaggistica ai fini di cui all’articolo 25, comma 2-quinquies.
Entro i successivi 10 giorni, il Ministero della cultura ha, per una sola volta, la facoltà di assegnare al soggetto proponente un termine, non superiore a 30 giorni, per la presentazione, in formato elettronico, della documentazione integrativa.
Su richiesta del proponente, motivata in ragione della particolare complessità del progetto, il Ministero della cultura può prorogare, per una sola volta e per un periodo non superiore a ulteriori 30 giorni, il termine assegnato per le integrazioni.
Ricevuta la documentazione integrativa, il Ministero della cultura la trasmette tempestivamente all’autorità competente.
Il nuovo comma 4-bis dispone altresì che l’istanza si intende respinta e il Ministero della cultura ne dà comunicazione al proponente e all’autorità competente, cui è fatto obbligo di procedere all’archiviazione, nei seguenti casi:
- qualora, entro il termine assegnato, il proponente non presenti la documentazione integrativa;
- o qualora, all’esito di una nuova verifica, da effettuarsi, da parte del Ministero della cultura, nel termine di 15 giorni dalla presentazione delle integrazioni richieste, la documentazione risulti nuovamente incompleta. In tale caso viene precisato che la succitata comunicazione, inviata al proponente e all’autorità competente, reca le motivazioni per le quali la documentazione medesima non consente la valutazione paesaggistica ai fini di cui all’articolo 25, comma 2-quinquies, cioè al fine di consentire al direttore generale del Ministero della cultura (il cui concerto è necessario per l’adozione del provvedimento di VIA) di potersi esprimere in merito alla compatibilità paesaggistica del progetto.
Nell’analizzare le disposizioni recate dalla lettera in esame, la relazione illustrativa sottolinea che le stesse mirano “a evitare l’avverarsi di casi in cui, solo dopo un lungo iter procedimentale, lo schema di provvedimento di VIA non venga concertato dal competente direttore generale della cultura per difetto degli elementi istruttori necessari al compimento delle valutazioni paesaggistiche. In tal senso, la disciplina stessa, in quanto utile a soddisfare un’esigenza di contenimento dei casi di contrasto al momento dell’adozione del provvedimento di VIA (non ammettendo che il concerto del MiC possa essere denegato per mancanza della documentazione occorrente; ciò che conduce, invece, alla archiviazione dell’istanza) persegue una finalità deflattiva delle ipotesi di rimessione della decisione al Consiglio dei ministri ai sensi dell’articolo 5, comma 2, lettera c-bis), della legge n. 400 del 1988”.
La lettera e) modifica in più punti l’articolo 25 del Codice dell'ambiente, che disciplina il provvedimento di VIA.
Il numero 1) modifica il primo periodo del comma 2 dell’art. 25 del Codice al fine di precisare l’organo a cui spetta l’adozione del provvedimento di VIA. In luogo del generico riferimento all’autorità competente contenuto nel testo previgente, la disposizione in esame individua infatti, quale soggetto incaricato dell’adozione del provvedimento di VIA, il competente direttore generale del Ministero dell'ambiente e della sicurezza energetica.
Il numero 2) modifica e integra il comma 2-quinquies (dell’art. 25 del Codice) che disciplina le relazioni tra il provvedimento di VIA e l’autorizzazione paesaggistica.
Si ricorda che l’art. 25, al comma 2, dispone, tra l’altro, che l’adozione del provvedimento di VIA statale avviene “previa acquisizione del concerto del competente direttore generale del Ministero della cultura”.
Il comma 2-quinquies del medesimo articolo dispone poi che tale concerto “comprende l'autorizzazione di cui all'articolo 146 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42” (cioè l’autorizzazione paesaggistica), precisando però che ciò avviene solo a condizione che “gli elaborati progettuali siano sviluppati a un livello che consenta la compiuta redazione della relazione paesaggistica”.
Il numero 2.1) sostituisce la condizione testé menzionata. In base al nuovo testo, il concerto del competente direttore generale del Ministero della cultura comprende l’autorizzazione paesaggistica, ove la relazione paesaggistica consenta di esprimere una valutazione positiva di compatibilità paesaggistica del progetto.
Si tratta di una disposizione che si coordina con quella introdotta dal numero 2) della lettera d) poc’anzi commentato. Tale lettera d) introduce infatti disposizioni finalizzate a verificare che la relazione paesaggistica sia adeguata e completa e consenta quindi di esprimere una valutazione positiva di compatibilità paesaggistica del progetto.
La relazione illustrativa ricorda inoltre che, ai sensi della lettera g-bis) del comma 1 dell’art. 23 del Codice dell'ambiente (introdotta dall'art. 10, comma 1, lett. b), n. 1), del D.L. 50/2022), l’istanza di VIA deve includere la relazione paesaggistica e “pertanto, nella fase di verifica della completezza della documentazione (…), la carenza della suddetta documentazione comporta l’archiviazione dell’istanza, qualora non integrata nei termini previsti dalla norma. Inoltre, con (…) l’inserimento di un nuovo comma 4-bis (all’art. 24, n.d.r.) di cui s’è detto sopra, viene dedicato uno spazio autonomo e precipuo alla fase della verifica dell’adeguatezza della relazione paesaggistica, di talché la soppressione, mediante sostituzione, delle parole ‘ove gli elaborati progettuali siano sviluppati a un livello che consenta la compiuta redazione della relazione paesaggistica’ risulta necessaria. Peraltro, con l’introduzione delle disposizioni di cui al nuovo comma 4-bis dell’articolo 24 si stabilisce che, allorquando, su richiesta dell’autorità paesaggistica, il proponente non presenti in termini la documentazione integrativa ovvero, all’esito di una nuova verifica, la documentazione risulti nuovamente incompleta, l’istanza si intende respinta e, dunque, il procedimento non prosegue lungo il proprio iter. Non è ammissibile, dunque, che l’inadeguatezza della relazione paesaggistica emerga in una delle fasi successive del procedimento di valutazione ambientale. Si rende necessario, piuttosto, modificare il comma 2-quinquies dell’articolo 25 nel senso di chiarire che ove la relazione paesaggistica consenta, non già la valutazione di compatibilità paesaggistica (cosa che, a ben vedere, è già stata appurata nelle fasi precedenti dell’iter), bensì la valutazione positiva di compatibilità paesaggistica, allora il concerto è reso”.
Il numero 2.2) inserisce quattro nuovi periodi, dopo il primo ed unico periodo del testo previgente.
Il primo di tali periodi (che costituisce il secondo periodo del nuovo testo del comma 2-quinquies dell’art. 25 del Codice) dispone che il Ministero della cultura motiva adeguatamente l’eventuale diniego del concerto.
Il nuovo terzo periodo dispone che, in caso di dissenso del Ministero della cultura rispetto al parere favorevole della Commissione istruttoria del procedimento di VIA statale (cioè la Commissione VIA-VAS o la Commissione PNRR-PNIEC, v. supra), può applicarsi l’articolo 5, comma 2, lettera c-bis), della legge 23 agosto 1988, n. 400.
L’art. 5, comma 2, lettera c-bis), della legge 400/1988, dispone che il Presidente del Consiglio dei ministri “può deferire al Consiglio dei Ministri, ai fini di una complessiva valutazione ed armonizzazione degli interessi pubblici coinvolti, la decisione di questioni sulle quali siano emerse valutazioni contrastanti tra amministrazioni a diverso titolo competenti in ordine alla definizione di atti e provvedimenti”.
In proposito la relazione illustrativa sottolinea che la previsione recata dal nuovo terzo periodo testé commentato, se letta “in combinato con le modifiche proposte all’articolo 24 dello stesso decreto legislativo n. 152 del 2006, non favorisce il ricorso al ‘rimedio’ offerto dall’articolo 5, comma 2, lettera c-bis), della legge n. 400 del 1988, essendo piuttosto volta a chiarire che è solo in caso di dissenso sul merito della questione (e non già per mancanza di elementi idonei a compiere una valutazione di compatibilità paesaggistica del progetto) che ricorrono i presupposti per deferire la decisione al Consiglio dei ministri.”.
Il successivo periodo stabilisce che, nel caso di cui trattasi, cioè qualora la questione sia demandata al Consiglio dei ministri (ai sensi dell’art. 5, comma 2, lett. c-bis) della L. 400/1988) per il superamento del dissenso, l’atto adottato dal Consiglio dei ministri sostituisce a ogni effetto il provvedimento di VIA favorevole e comprende l'autorizzazione paesaggistica.
L’ultimo dei periodi aggiuntivi (che costituisce il quinto periodo del nuovo testo del comma 2-quinquies dell’art. 25 del Codice) dispone che le eventuali proroghe del provvedimento di VIA favorevole così adottato sono concesse – come evidenziato dalla relazione illustrativa – secondo la “regola generale” dettata dall'art. 25, comma 5, del Codice, che disciplina la proroga dell’efficacia temporale del provvedimento di VIA.
Il numero 3) integra il testo del terzo periodo del comma 5 dell’art. 25 del Codice, al fine di coordinare le disposizioni da esso recate con quelle previste dal periodo precedente.
Il periodo precedente (cioè il secondo periodo del comma 5 in questione) dispone che, decorsa l'efficacia temporale indicata nel provvedimento di VIA senza che il progetto sia stato realizzato, il procedimento di VIA deve essere reiterato, fatta salva la concessione, su istanza del proponente corredata di una relazione esplicativa aggiornata che contenga i pertinenti riscontri in merito al contesto ambientale di riferimento e alle eventuali modifiche, anche progettuali, intervenute, di specifica proroga da parte dell'autorità competente.
Il terzo periodo del comma 5, nel testo previgente dispone che “fatto salvo il caso di mutamento del contesto ambientale di riferimento, il provvedimento con cui è disposta la proroga ai sensi del secondo periodo non contiene prescrizioni diverse e ulteriori rispetto a quelle già previste nel provvedimento di VIA originario”.
Come si nota chiaramente, il terzo periodo si limita a contemplare il solo caso di mutamento del contesto ambientale di riferimento, dimenticando il caso di eventuali modifiche, anche progettuali, contemplato dal periodo precedente. Per questo motivo, il terzo periodo viene integrato al fine di contemplare anche il caso di modifiche, anche progettuali.
Il numero 4) inserisce un nuovo comma 7-bis (all’art. 25 del Codice) che dispone che nel caso di progetti sottoposti a VIA statale, gli eventuali atti adottati dal Consiglio dei ministri (ai sensi dell’art. 5, comma 2, lettera c-bis), della legge n. 400 del 1988, v. supra) sostituiscono a ogni effetto il provvedimento di VIA.
La lettera f) modifica l’articolo 26-bis del Codice, che disciplina la fase preliminare al Provvedimento Autorizzatorio Unico Regionale (PAUR).
Il comma 1 dell’art. 26-bis del Codice dispone che, per i progetti sottoposti a VIA regionale, il proponente può richiedere, prima della presentazione dell'istanza di avvio del procedimento finalizzato all’ottenimento del PAUR, l'avvio di una fase preliminare finalizzata alla definizione, tra l’altro, “delle informazioni da inserire nello studio di impatto ambientale”. A tal fine, il proponente deve trasmettere all’autorità competente uno studio preliminare ambientale (o una relazione che, sulla base degli impatti ambientali attesi, illustra il piano di lavoro per l'elaborazione dello studio di impatto ambientale) e un progetto avente un livello di dettaglio equivalente al progetto di fattibilità tecnica ed economica.
Il successivo comma 2 prevede che, entro cinque giorni dalla trasmissione, la documentazione trasmessa è pubblicata e resa accessibile nel sito web dell'autorità competente che comunica, per via telematica, a tutte le amministrazioni ed enti potenzialmente interessati e comunque competenti a esprimersi sulla realizzazione e sull'esercizio del progetto, l'avvenuta pubblicazione. Contestualmente l'autorità competente indice una conferenza di servizi preliminare con le medesime amministrazioni ed enti.
Il secondo periodo del comma 3 (oggetto di modifica da parte della disposizione in esame) stabilisce che le amministrazioni e gli enti coinvolti ai sensi del comma 2 si esprimono in sede di conferenza, sulla base della documentazione prodotta dal proponente, relativamente “alla definizione delle informazioni da inserire nello studio preliminare ambientale, del relativo livello di dettaglio, del rispetto dei requisiti di legge ove sia richiesta anche la variante urbanistica e (…)”.
La lettera in esame corregge l’erroneo riferimento (presente nel secondo periodo del comma 3 testé illustrato) allo studio preliminare ambientale, sostituendolo con il corretto riferimento allo studio di impatto ambientale.
Lo studio preliminare (per quanto ricordato poc’anzi) è infatti finalizzato alla definizione, tra l’altro, delle informazioni da inserire nello studio di impatto ambientale; pertanto la conferenza di servizi dovrà definire le informazioni da inserire nello studio di impatto ambientale da presentare e non invece, come disposto dal testo previgente, nello studio preliminare che è già stato presentato.
Oltre alla correzione illustrata, la lettera in esame modifica il secondo periodo del comma 3 al fine di eliminare la parte della disposizione previgente in base alla quale le amministrazioni riunite nella conferenza si esprimono sul rispetto dei requisiti di legge ove sia richiesta anche la variante urbanistica.
Secondo la relazione illustrativa si rende “necessario espungere il riferimento alla variante urbanistica poiché questa non rappresenta un titolo acquisibile nell’ambito del PAUR e, pertanto, l’attuale (nel senso di previgente, n.d.r.) formulazione della citata disposizione risulta fuorviante e foriera di dubbi interpretativi”.
La lettera f-bis), introdotta in sede referente, modifica l’articolo 27 del Codice, che disciplina l’emanazione del Provvedimento unico in materia ambientale (PUA).
Si ricorda che l’art. 27, comma 1, del Codice prevede che, nel caso di procedimenti di VIA di competenza statale, il proponente può richiedere all'autorità competente che il provvedimento di VIA sia rilasciato nell'ambito di un provvedimento unico comprensivo delle autorizzazioni ambientali richieste dalla normativa vigente per la realizzazione e l'esercizio del progetto. Il comma 8 dispone inoltre che la decisione di rilasciare i titoli autorizzativi in questione è assunta sulla base del provvedimento di VIA, adottato dal Ministro dell'ambiente, di concerto con il Ministro per i beni e le attività culturali e per il turismo (oggi Ministro della cultura).
Nello specifico, la modifica interviene al comma 8 dell’art. 27 del Codice, al fine di precisare (in linea con quanto previsto dall’art. 25 del medesimo Codice, in via generale, in relazione al rilascio del provvedimento di VIA) che il provvedimento di VIA – sulla base del quale sono rilasciati i titoli autorizzativi previsti al fine dell’emanazione del PUA – è adottato dal competente direttore generale del Ministero dell’ambiente, previa acquisizione del concerto del competente direttore generale del Ministero della cultura.
La lettera g), soppressa durante l’esame in sede referente, interveniva sulla disciplina dell’Autorizzazione Integrata Ambientale (AIA). Nello specifico, modificava il comma 5 dell’art. 29-sexies, che disciplina il rilascio dell’AIA da parte dell’autorità competente, precisando che tale rilascio spetta al competente direttore generale del Ministero dell'ambiente e della sicurezza energetica.
Le procedure di preventiva valutazione delineate nell'attuale ordinamento sono: VAS (Valutazione Ambientale Strategica), VIA (Valutazione di Impatto Ambientale) e AIA (Autorizzazione Integrata Ambientale). Sebbene differenti tra di loro, esse appaiono accomunate in quanto dirette a prefigurare gli impatti ambientali di piani e programmi (VAS) e di alcune tipologie di opere (VIA), nonché le condizioni cui determinati impianti industriali possono funzionare (AIA).
La disciplina nazionale in materia di VIA, VAS e AIA, di derivazione europea, è contenuta nella parte seconda del D.Lgs. 152/2006 (c.d. Codice dell'ambiente).
La disciplina della valutazione di impatto ambientale (VIA)
L’art. 5, comma 1, lettera b), del Codice, definisce la VIA come “il processo che comprende, secondo le disposizioni di cui al Titolo III della parte seconda del presente decreto, l'elaborazione e la presentazione dello studio d'impatto ambientale da parte del proponente, lo svolgimento delle consultazioni, la valutazione dello studio d'impatto ambientale, delle eventuali informazioni supplementari fornite dal proponente e degli esiti delle consultazioni, l'adozione del provvedimento di VIA in merito agli impatti ambientali del progetto, l'integrazione del provvedimento di VIA nel provvedimento di approvazione o autorizzazione del progetto”.
Volendo sintetizzare, è possibile affermare che la disciplina di VIA è organizzata in modo da prevedere lo svolgimento della procedura di valutazione dell’impatto ambientale solo per i progetti degli impianti di maggiori dimensioni quindi potenzialmente più inquinanti. Per gli impianti di dimensioni minori, o per le modifiche o le estensioni degli impianti già sottoposti a VIA, è prevista l’effettuazione di una verifica di assoggettabilità a VIA (c.d. screening di VIA).
In termini più precisi, i casi di sottoposizione a VIA o a screening di VIA sono elencati, rispettivamente, dai commi 7 e 6 dell'art. 6 del Codice. Volendo semplificare, tali casi sono quelli elencati negli allegati da II a IV alla parte seconda del Codice: l'allegato II elenca i progetti sottoposti a VIA statale, l'allegato II-bis i progetti sottoposti allo screening di VIA statale, l'allegato III i progetti assoggettati a VIA regionale e l'allegato IV i progetti sottoposti a screening di VIA regionale.
Nel disciplinare le competenze in materia di VIA e di verifica di assoggettabilità a VIA, l’art. 7-bis del Codice dispone che:
- in sede statale, l'autorità competente è il Ministero dell'ambiente e della sicurezza energetica (MASE);
- in sede regionale, l'autorità competente è la pubblica amministrazione con compiti di tutela, protezione e valorizzazione ambientale individuata secondo le disposizioni delle leggi regionali o delle Province autonome.
Si ricorda inoltre che l'art. 8, comma 1, del Codice dell'ambiente, dispone che il supporto tecnico-scientifico all'autorità competente per l'attuazione delle norme in materia di VIA e VAS nel caso di piani, programmi e progetti per i quali le valutazioni ambientali VIA e VAS spettano allo Stato è assicurato dalla Commissione tecnica di verifica dell'impatto ambientale VIA e VAS. Il comma 2-bis del medesimo articolo – ai fini dello svolgimento delle procedure di valutazione ambientale di competenza statale dei progetti compresi nel Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR), di quelli finanziati a valere sul fondo complementare nonché dei progetti attuativi del Piano nazionale integrato per l'energia e il clima (PNIEC), individuati nell'allegato I-bis al Codice, e di quelli comunque connessi alla gestione della risorsa idrica ricompresi nell'allegato II alla parte seconda del medesimo Codice – ha istituito la Commissione Tecnica PNRR-PNIEC. Entrambe le citate Commissioni sono poste alle dipendenze funzionali del MASE.
I procedimenti di VIA e di screening di VIA sono disciplinati, nel dettaglio, dagli articoli 19-29, che compongono il Titolo III della parte seconda del Codice dell'ambiente. In particolare il procedimento di screening è disciplinato dall’art. 19, mentre il procedimento di VIA dagli articoli 23-25. Volendo semplificare, entrambi i procedimenti sono strutturati secondo la seguente sequenza di fasi:
1) presentazione dell’istanza, che contiene la documentazione necessaria all’istruttoria: nel caso dello screening viene presentato lo studio preliminare ambientale (v. art. 19, comma 1), l’istanza di VIA deve invece contenere una documentazione più corposa che include, in particolare, il progetto di fattibilità (o, ove disponibile, il progetto definitivo) e lo studio di impatto ambientale (v. art. 23, comma 1);
2) verifica preliminare amministrativa da parte dell'autorità competente che verifica la completezza della documentazione e, qualora necessario, può richiedere chiarimenti e integrazioni;
3) pubblicazione della documentazione e consultazione del pubblico;
4) eventuali modifiche e integrazioni della documentazione;
5) valutazione dell’impatto ambientale e adozione del provvedimento che conclude il procedimento di screening (v. art. 19, commi 6 e ss.) o di VIA (v. art. 25, commi 2 e ss.)
Si fa notare che, per i progetti assoggettati a VIA di competenza statale, oltre alla disciplina ordinaria è prevista anche una disciplina accelerata: con i cosiddetti decreti-legge semplificazioni 1 (D.L. 76/2020) e 2 (D.L. 77/2021) è stata infatti creata una procedura accelerata per la VIA dei progetti PNRR-PNIEC (c.d. fast track di VIA). Le principali differenze rispetto alla procedura ordinaria, che caratterizzano la procedura accelerata risiedono:
- nella riduzione dei termini temporali previsti per le varie fasi del procedimento;
- nella previsione di una diversa Commissione istruttoria: la Commissione PNRR-PNIEC, di cui si è già detto in precedenza;
- nella previsione del rimborso al proponente del 50% dei diritti di istruttoria in caso di mancato rispetto dei termini previsti per la conclusione del procedimento.
La disciplina dell’autorizzazione integrata ambientale (AIA)
L'autorizzazione integrata ambientale (AIA) – disciplinata dalla parte II del D.Lgs. 152/2006, in particolare dal titolo III-bis di tale parte, costituito dagli articoli da 29-bis a 29-quattuordecies – ha per oggetto la prevenzione e la riduzione integrate dell'inquinamento proveniente dalle attività industriali elencate nell'allegato VIII alla parte seconda del Codice dell'ambiente (D.Lgs. 152/2006) e prevede misure intese a evitare, ove possibile, o a ridurre le emissioni nell'aria, nell'acqua e nel suolo, comprese le misure relative ai rifiuti, per conseguire un livello elevato di protezione dell'ambiente (art. 4, comma 4, lett. c), del Codice).
Sono soggette ad AIA le installazioni che svolgono attività rientranti tra quelle elencate dal citato Allegato VIII, nonché le modifiche sostanziali degli impianti di tali installazioni.
L'art. 7 del Codice precisa che:
- sono sottoposti ad AIA in sede statale i progetti relativi alle attività di cui all'allegato XII alla parte II del Codice e loro modifiche sostanziali. In tal caso l'autorità competente è il Ministero dell'ambiente e della sicurezza energetica;
- sono sottoposti ad AIA secondo le disposizioni delle leggi regionali e provinciali i progetti di cui all'allegato VIII che non risultano ricompresi anche nell'allegato XII al presente decreto e loro modifiche sostanziali. In sede regionale, l'autorità competente è la pubblica amministrazione con compiti di tutela, protezione e valorizzazione ambientale individuata secondo le disposizioni delle leggi regionali o delle Province autonome.
Articolo 1, commi 4 e 5
(Programma di interventi per la transizione energetica dei siti, delle infrastrutture e dei beni del demanio militare)
L’articolo 1, comma 4, modificato in sede referente, prevede la possibilità per il Ministero della difesa di definire un programma di interventi per la transizione energetica dei siti, delle infrastrutture e dei beni del demanio militare a qualunque titolo in uso o in dotazione, dislocati sul territorio nazionale e disciplina l’eventuale procedimento di valutazione o autorizzazione ambientale del programma o dei singoli interventi in esso inseriti. Il comma 5 riguarda l’applicabilità di tali disposizioni agli interventi di installazione di impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili su determinati beni del demanio militare.
Si tratta, secondo la relazione illustrativa, di una misura di semplificazione per “consentire al Ministero della difesa, nell’ambito delle aree interessate, di inserire gli interventi di transizione energetica in un unico programma, assoggettabile, ai sensi delle disposizioni di cui al decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (c.d. Codice dell’ambiente), alla procedura di valutazione ambientale strategica (VAS); una procedura quest’ultima più spedita ed efficiente rispetto alla valutazione di impatto ambientale (VIA), avuto riguardo al dettaglio di analisi”. La stessa relazione sottolinea che tale misura viene poi estesa dal comma 5 anche agli interventi tesi all’installazione di impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili “sui beni del demanio militare a qualunque titolo in uso al Ministero della difesa”, di cui all’articolo 20 del decreto-legge n. 17/2022.
Il comma 4 interviene sull’articolo 355 del D.Lgs. 66/2010 (Codice dell’ordinamento militare) – relativo alla valorizzazione ambientale degli immobili militari, che al comma 1 prevede la possibilità per il Ministero della difesa di affidare in concessione o in locazione, o utilizzare direttamente, in tutto o in parte, i siti militari, le infrastrutture e i beni del demanio militare o a qualunque titolo in uso o in dotazione all’Esercito italiano, alla Marina militare, all’Aeronautica militare e all’Arma dei carabinieri – con la finalità di installare impianti energetici, mantenendo ferma l’appartenenza al demanio dello Stato.
Il comma 4 in esame precisa, con la lettera a), che, a tal fine, il Ministero della difesa può definire un programma di interventi per la transizione energetica dei siti, delle infrastrutture e dei beni del demanio militare a qualunque titolo in uso o in dotazione, dislocati sul territorio nazionale.
Secondo la relazione tecnica, le disposizioni in esame hanno carattere ordinamentale e, pertanto, non comportano nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.
La lettera b), riscritta in sede referente, integra il comma 4 dell’art. 355 del Codice dell’ordinamento militare al fine di disporre che, qualora il programma di interventi per la transizione energetica succitato o singolarmente gli interventi ivi inseriti, anche a seguito di successiva modifica del programma, siano sottoposti alle procedure di valutazione e autorizzazione ambientale disciplinate dalla parte seconda del Codice dell’ambiente (D.Lgs. 152/2006), tali procedure sono:
· svolte, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, dalla Commissione tecnica PNRR-PNIEC;
Si ricorda che il comma 2-bis dell’art. 8 del Codice dell’ambiente – ai fini dello svolgimento delle procedure di valutazione ambientale di competenza statale dei progetti compresi nel Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR), di quelli finanziati a valere sul fondo complementare nonché dei progetti attuativi del Piano nazionale integrato per l'energia e il clima (PNIEC), individuati nell'allegato I-bis al Codice, e di quelli comunque connessi alla gestione della risorsa idrica ricompresi nell'allegato II alla parte seconda del medesimo Codice – ha istituito la Commissione Tecnica PNRR-PNIEC, alle dipendenze funzionali del Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica.
Si fa altresì notare che, per i progetti istruiti dalla citata Commissione tecnica, la procedura di VIA da seguire non è quella ordinaria ma quella accelerata (cd. fast track di VIA).
· e integrate dalla valutazione ambientale strategica (VAS) per gli eventuali contenuti di pianificazione.
Il seguente testo a fronte evidenzia le differenze tra il testo iniziale della lettera b) in esame e quello risultante dalla riscrittura operata in sede referente.
Testo iniziale[7] |
Testo approvato in sede referente |
b) al comma 4, è aggiunto, in fine, il seguente periodo: “Qualora gli interventi inseriti nel programma di cui al comma 1, anche a seguito di successiva modifica dello stesso, siano sottoposti a valutazione di impatto ambientale, tale valutazione è svolta dalla Commissione tecnica PNRR-PNIEC secondo le modalità e le competenze di cui alla Parte seconda del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, è integrata dalla valutazione ambientale strategica per gli eventuali contenuti di pianificazione e si conclude con un unico provvedimento.” |
b) al comma 4, è aggiunto, in fine, il seguente periodo: “Qualora il programma di cui al comma 1, ovvero, singolarmente, gli interventi ivi inseriti, anche a seguito di successiva modifica del programma, siano sottoposti alle procedure di cui alla Parte seconda del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, tali procedure sono svolte, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, dalla Commissione tecnica PNRR-PNIEC e integrate dalla valutazione ambientale strategica per gli eventuali contenuti di pianificazione." |
Come evidenzia il testo a fronte, il nuovo testo non fa più riferimento alla conclusione della procedura con un unico provvedimento e, inoltre, introduce la clausola di invarianza finanziaria prevedendo che le procedure in questione sono svolte senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.
Il testo approvato in sede referente, inoltre, non fa più riferimento alla sola VIA, ma a tutte le procedure di cui alla Parte seconda del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, quindi anche alla VAS e all’autorizzazione integrata ambientale (AIA).
In relazione alle procedure richiamate, si ricorda che la VIA si applica ai progetti di opere o impianti, la VAS (in base al disposto dell’art. 6, comma 1, del Codice dell’ambiente) “riguarda i piani e i programmi che possono avere impatti significativi sull'ambiente e sul patrimonio culturale”, mentre l’AIA è un’autorizzazione necessaria per l’esercizio dell’impianto.
Secondo il comma 5, le disposizioni recate dal comma precedente si applicano, in quanto compatibili, agli interventi di cui all’art. 20 del D.L. 17/2022.
Si ricorda che il citato articolo 20 del D.L. 17/2022 prevede, fra l’altro, che il Ministero della difesa, anche per il tramite della società Difesa Servizi S.p.A., affida in concessione o utilizza direttamente, in tutto o in parte, i beni del demanio militare o a qualunque titolo in uso al medesimo Ministero, ivi inclusi gli immobili individuati quali non più utili ai fini istituzionali e non ancora consegnati all'Agenzia del demanio o non ancora alienati, per installare impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili, anche ricorrendo, per la copertura degli oneri, alle risorse del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, Missione 2, previo accordo fra il Ministero della difesa, la struttura dell'autorità politica delegata per il PNRR e il Ministero della transizione ecologica, qualora ne ricorrano le condizioni in termini di coerenza con gli obiettivi specifici del PNRR e di conformità ai relativi principi di attuazione. Il Ministero della difesa comunica le attività svolte ai sensi del presente comma all'Agenzia del demanio.
Per l'individuazione di tali beni, per la programmazione degli interventi finalizzati all'installazione degli impianti e per la gestione dei procedimenti autorizzatori, con decreto del Ministro della difesa sono nominati un commissario speciale e due vice commissari speciali. Il commissario speciale convoca una conferenza di servizi per l'acquisizione delle intese, dei concerti, dei nulla osta o degli assensi comunque denominati delle altre amministrazioni interessate. Le amministrazioni interessate, ad eccezione di quelle competenti per i procedimenti di valutazione ambientale, si esprimono nel termine di trenta giorni, decorsi i quali senza che sia intervenuta la pronuncia dell'autorità competente, i pareri, i nulla osta e gli assensi, comunque denominati, si intendono resi. La determinazione finale della conferenza di servizi costituisce provvedimento unico di autorizzazione, concessione, atto amministrativo, parere o atto di assenso comunque denominato.
Articolo 2
(Disposizioni urgenti per coniugare salvaguardia dell’ambiente e sicurezza degli approvvigionamenti)
Il comma 1 abroga le disposizioni che prevedono e disciplinano l’adozione del Piano per la Transizione Energetica Sostenibile delle Aree Idonee (PiTESAI) (lett. a) e c)).
Il comma 2 vieta il conferimento di permessi di ricerca e di concessioni di coltivazione di idrocarburi liquidi sul territorio nazionale e a mare, ponendo talune eccezioni al divieto.
Quanto al rilascio delle proroghe delle concessioni di coltivazione di idrocarburi consentite ai sensi della normativa vigente, il comma 3 fissa taluni criteri di cui l’amministrazione competente deve tenere conto.
Il comma 4, interviene sul divieto di attività upstream in mare, riducendo da 12 a 9 miglia il perimetro costiero ed esterno alle aree marine e costiere protette entro il quale sono vietate le attività di ricerca, di prospezione nonché di coltivazione di idrocarburi.
Il comma 5 interviene sulla disciplina del c.d. “gas release”, meccanismo finalizzato ad incrementare la produzione nazionale di gas e la sua vendita a prezzi ragionevoli, prioritariamente, a clienti finali industriali a forte consumo di gas c.d. “gasivori”.
Il comma 6, modificato nel corso dell’esame in sede referente, interviene, anche mediante una serie di proroghe, sulla normativa adottata all’indomani dello scoppio del conflitto russo ucraino per accelerare lo stoccaggio di gas, la quale ha assegnato al GSE il servizio di riempimento di ultima istanza tramite l’acquisto di gas naturale, ai fini dello stoccaggio e della successiva vendita.
Il comma 1, alle lett. a) e c) abroga, rispettivamente, i commi da 1 a 8 e il comma 13 dell’articolo 11-ter del D.L. n. 135/2018 (L. n. 12/2019), i quali prevedono e disciplinano l’adozione del Piano per la Transizione Energetica Sostenibile delle Aree Idonee (PiTESAI).
Si rammenta che il Piano, adottato con D.M. 28 dicembre 2021, è stato concepito dal legislatore del 2018 quale strumento volto ad offrire un quadro di riferimento delle aree idonee allo svolgimento delle attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi sul territorio nazionale.
Il D.M. 28 dicembre 2021, di approvazione del PiTESAI, è stato annullato dal giudice amministrativo con sentenza del 12 febbraio 2024 n. 2872, TAR Lazio, Sez. II-ter[8].
A fronte dell’annullamento del Piano in parola, la relazione illustrativa evidenzia come siano venuti meno i presupposti sulla base dei quali il MASE ha provveduto ad adottare circa 130 provvedimenti. L’abrogazione della disciplina del PiTESAI, nonché talune modifiche alla disciplina del meccanismo del “gas release”, disposta dall’articolo qui in commento (cfr. infra), avrebbe quindi la finalità di rendere chiaro il quadro normativo vigente alla luce dell’intervento della giustizia amministrativa.
In ragione dell’abrogazione della disciplina del PiTESAI, disposta dalle lettere a) e c), la lettera d) del comma 1, riformula la rubrica dell’articolo 11-ter, sostituendone quella originaria: “Piano per la transizione energetica sostenibile delle aree idonee”, con una nuova: “Disposizioni in materia di canoni per le concessioni e i permessi di ricerca nel settore degli idrocarburi”.
Le disposizioni in materia di canoni per le concessioni e per i permessi di ricerca trovano allocazione nei commi 9, 9-bis, 10 e 12 dell’articolo 11-ter, che l’articolo in esame mantiene ferme nel loro contenuto dispositivo.
La lettera b) del comma 1 qui in commento, infatti, novella il comma 10 unicamente al fine di un mero coordinamento normativo con le predette abrogazioni. La lettera b), specificamente, elimina nel comma 10, primo inciso, il rimando ivi contenuto all’abrogato comma 6 dell’articolo 11-ter.
Il D.L. n. 135/2018, c.d. “decreto semplificazioni” (convertito, con modificazioni, in Legge n. 12/2019), all’articolo 11-ter, commi 1-8, ha previsto l’adozione di un Piano per la Transizione Energetica Sostenibile delle Aree Idonee (PiTESAI), volto ad offrire un quadro definito di riferimento delle aree idonee allo svolgimento delle attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi sul territorio nazionale. L’articolo, al comma 2, ha, in particolare, definito criteri di cui tener conto nella redazione del PiTESAI, quali le caratteristiche del territorio, sociali, industriali urbanistiche e morfologiche con particolare riferimento all’assetto idrogeologico ed alle vigenti pianificazioni; inoltre, con riferimento alle aree marine, i possibili effetti sull’ecosistema, nonché le rotte marittime, la pescosità delle aree e la possibile interferenza sulle coste. Il comma ha anche previsto che nel piano debbano essere indicati i tempi e modi di dismissione e rimessa in pristino dei luoghi da parte delle installazioni che abbiano cessato la loro attività. Il comma 3 ha previsto la procedura di adozione del Piano.
Il PiTESAI – il cui termine di adozione è stato previsto, dal comma 1 dell’articolo 11-ter, per il 30 settembre 2021 (il termine originario del 13 agosto 2020 è stato prorogato dall’art. 12, comma 4-bis, del D.L. 162/2019 (L. n. 8/2020) nonché dall’art. 12-ter, comma 1, lett. a), D.L. n. 183/2020 (L.n.21/021) – è stato adottato con decreto 28 dicembre 2021 dell’allora Ministro della transizione ecologica (ora Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica), previa valutazione ambientale strategica. Limitatamente alle aree su terraferma, è stata conseguita il 16 dicembre 2021 una previa intesa con la Conferenza unificata.
Nelle more dell’adozione del Piano, l’art. 11-ter, comma 4, ha disposto la sospensione dei procedimenti amministrativi, inclusi quelli di valutazione di impatto ambientale, relativi al conferimento di nuovi permessi di prospezione o di ricerca di idrocarburi liquidi e gassosi, con talune eccezioni espressamente previste, quali quelle relative alle istanze di:
a) proroga di vigenza delle concessioni di coltivazione di idrocarburi;
b) rinuncia a titoli minerari vigenti o alle relative proroghe;
c) sospensione temporale della produzione per le concessioni in essere;
d)riduzione dell’area, di variazione dei programmi lavori e delle quote di titolarità.
Ai sensi del comma 5, la sospensione non si è applicata ai procedimenti di conferimento di concessioni di coltivazione pendenti al 13 febbraio 2019 (data di entrata in vigore della legge di conversione del D.L. 135/2018). Nelle more dell’adozione del Piano non è stata però consentita la presentazione di nuove istanze di conferimento di concessione di coltivazione, fatta salva la proroga di vigenza delle concessioni in essere.
Il comma 8 ha disposto che, una volta adottato il Piano, nelle aree in cui le attività di coltivazione risultino incompatibili con le previsioni del Piano stesso, le concessioni di coltivazione, anche in regime di proroga, vigenti al 13 febbraio 2019, mantenessero la loro efficacia sino alla scadenza senza la possibilità di nuove istanze di proroga.
Ai sensi del comma 6, nelle more di adozione del Piano, sono stati sospesi i permessi di prospezione o di ricerca di idrocarburi liquidi e gassosi in essere, sia per aree in terraferma che in mare, con conseguente interruzione di tutte le attività di prospezione e ricerca in corso di esecuzione. Con la sospensione, è stato anche sospeso, ai sensi del comma 7, il decorso temporale dei permessi di prospezione e di ricerca; correlativamente, per lo stesso periodo di sospensione, non è dovuto il pagamento del relativo canone.
Il comma 8 ha anche recato una clausola di salvaguardia, ai sensi della quale – in caso di mancata adozione del PiTESAI entro il 30 settembre 2021 – l’istruttoria dei procedimenti sospesi concernenti il conferimento di nuovi permessi di prospezione o di ricerca sarebbe ripresa, così come l’efficacia dei permessi di prospezione e di ricerca sospesi. Il Piano, come detto, è stato adottato con D.M. 28 dicembre 2021.
L’art. 11-ter, comma 8, ha previsto che alla data di adozione del PiTESAI, nelle aree in cui le attività di prospezione e di ricerca e di coltivazione risultino compatibili con le previsioni del Piano stesso, i titoli minerari sospesi riprendessero efficacia.
Lo stesso comma 8 ha disposto che, nelle aree non compatibili con le previsioni del Piano:
· entro sessanta giorni dall’adozione del Piano stesso, il Ministero avviasse i procedimenti per il rigetto delle istanze relative ai procedimenti sospesi concernenti il conferimento di nuovi permessi di prospezione o di ricerca e avvia i procedimenti di revoca, anche limitatamente ad aree parziali, dei permessi di prospezione e di ricerca in essere. In caso di revoca, il titolare del permesso di prospezione o di ricerca è comunque obbligato al completo ripristino dei siti interessati.
· il Ministero rigettasse anche le istanze relative ai procedimenti di rilascio delle concessioni per la coltivazione di idrocarburi il cui provvedimento di conferimento non sia stato rilasciato entro la data di adozione del PiTESAI;
· fosse comunque ammessa l’installazione di impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili.
Infine, il comma 13 ha mantenuto fermo il carattere di pubblica utilità delle attività di stoccaggio di gas naturale in sotterraneo, nell’ambito di titoli minerari rilasciati a seguito di istanze presentate dopo il 13 febbraio 2019.
La cartografia delle aree idonee e non idonee per le attività di prospezione e ricerca di idrocarburi, nonché delle aree idonee e non idonee per la coltivazione di idrocarburi è pubblicata sul sito istituzionale del Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica.
Si rinvia al sito istituzionale del MASE ove è pubblicata e aggiornata (al 30 settembre 2024) la Carta delle istanze e dei titoli minerari per ricerca, coltivazione e stoccaggio di idrocarburi.
L’articolo 11-ter del D.L n. 135/2018 – ai commi 9, 9-bis,10 e 12 – ha inoltre rideterminato in aumento i canoni annui per le concessioni di coltivazione e i canoni annui dei permessi di prospezione e ricerca ed una sostanziale conferma dei canoni di stoccaggio (cfr. commi 9 e 10).
Come evidenziato dallo stesso PiTESAI, i canoni di concessione sono stati aumentati di 25 volte rispetto agli importi prima previsti dall’art. 18 del D. s. n. 625/1996, che erano stati adeguati nel tempo solo in base agli indici Istat.
Opera comunque una “clausola di salvaguardia”, contenuta nel comma 9-bis del medesimo articolo 11-ter[9], ai sensi della quale l’ammontare annuo complessivo del canone di superficie dovuto per tutte le concessioni in titolo al singolo concessionario non può superare il 3 per cento della valorizzazione della produzione da esse ottenuta nell’anno precedente.
Con Decreto Ministeriale 18 novembre 2019 sono state definite le modalità di versamento delle maggiorazioni dei canoni annui per le concessioni di coltivazioni e stoccaggio nella terraferma, nel mare territoriale e nella piattaforma continentale italiana.
Successivamente, con il Comunicato Ministeriale 3 dicembre 2020 sono state fornite indicazioni operative per effettuare i pagamenti dei maggiori importi dei canoni in capo a ciascun operatore in relazione alle concessioni di propria titolarità.
Si rinvia alla pagina dedicata del sito istituzionale del MASE.
Ai sensi del comma 2 dell’articolo in esame, a decorrere dal 18 ottobre 2024 (data di entrata in vigore del presente decreto legge), il conferimento di permessi di ricerca e di concessioni di coltivazione di idrocarburi liquidi sul territorio nazionale e a mare non è consentito.
Il divieto non si applica nel caso di concessioni di coltivazione di idrocarburi liquidi da conferire in relazione ad attività di ricerca svolte sulla base di permessi rilasciati prima del 18 ottobre 2024 (data di entrata in vigore del presente decreto), ancorché non concluse alla medesima data.
Le attività di coltivazione di idrocarburi liquidi svolte sulla base di concessioni già conferite alla data del 18 ottobre 2024 (entrata in vigore del presente decreto) o da conferire in virtù di quanto sopra proseguono per la durata di vita utile del giacimento.
La relazione illustrativa afferma che, con le norme di cui al comma 2, si conferma il divieto previsto dal PiTESAI di rilascio di nuovi titoli minerari a olio sul territorio nazionale e a mare; tuttavia, si intende salvaguardare il legittimo affidamento degli operatori a cui sono stati già conferiti titoli “a olio o a olio misto a gas” (e gli investimenti dai medesimi compiuti).
Ai sensi del comma 3, nel rilascio delle proroghe delle concessioni di coltivazione di idrocarburi consentite ai sensi della normativa vigente (per un dettaglio della quale, vedi infra) l’amministrazione competente tiene conto anche delle riserve e del potenziale minerario ancora da produrre e dei tempi necessari per completare la produzione delle riserve medesime fino alla durata di vita utile del giacimento, nonché tiene in considerazione l’area in concessione effettivamente funzionale all’attività di produzione e di ricerca e sviluppo ancora da svolgere, con riperimetrazione delle aree non più funzionali in tal senso.
La relazione illustrativa afferma che la riperimetrazione è da concordare con gli operatori, ma tale previsione non è contenuta nel testo della norma.
La normativa vigente, richiamata dal comma 3, ai sensi della quale il rilascio delle proroghe è consentito è la seguente:
· all’articolo 29 della L. n. 613/1967[10], il quale ha fissato in 30 anni la durata delle concessioni, ammettendone una proroga di 10 anni se il concessionario ha eseguito i programmi di coltivazione e di ricerca e se ha adempiuto a tutti gli obblighi derivanti dalla concessione;
· all’articolo 13, comma 1, del D.lgs. n. 625/1996[11], ai sensi del quale la durata della concessione di coltivazione in terraferma, nel mare territoriale e nella piattaforma continentale è di 20 anni e dopo quindici anni dal conferimento il concessionario, quando è necessario per completare lo slittamento del giacimento, ha diritto ad una proroga di 10 anni se ha eseguito i programmi di coltivazione e di ricerca e se ha adempiuto a tutti gli obblighi derivanti dal decreto di concessione;
· all’articolo 9, comma 8, della L. n. 9/1991, ai sensi del quale - al fine di completare lo sfruttamento del giacimento - decorsi i sette anni dal rilascio della proroga decennale, al concessionario possono essere concesse, oltre alla proroga prevista dal succitato articolo 29 della L. n. 613/1967, una o più proroghe di 5 anni ciascuna se ha eseguito i programmi di coltivazione e di ricerca e se ha adempiuto a tutti gli obblighi derivanti dalla concessione o dalle proroghe.
Il comma 4 intervenendo sull’articolo 6, comma 17, secondo periodo, del D.lgs. n. 152/2006, riduce da 12 a 9 miglia il perimetro costiero ed esterno alle aree marine e costiere protette entro il quale sono vietate le attività di ricerca, di prospezione nonché di coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi in mare[12].
Dunque, con tale modifica, le attività upstream in mare oltre il perimetro di 9 miglia dalla linea costiera e dalle aree marine e costiere protette, sono ora consentite.
La relazione illustrativa afferma che tale modifica consente lo sblocco di diverse attività fino ad ora in “stand-by” o comunque non autorizzate, in un’ottica di potenziamento degli approvvigionamenti interni di gas naturale e di raggiungimento degli obiettivi di politica energetica in materia.
Il comma 5 interviene sulla disciplina del cd. “gas release”, di cui all’articolo 16 del D.L. n. 17/2022 (L. n. 34/2022), come da ultimo sostituito dall’articolo 2, comma 1, del D.L. n. 181/2023 (L. n. 11/2024).
Il “gas release” è un meccanismo finalizzato ad incrementare la produzione nazionale di gas e la sua vendita a prezzi ragionevoli, prioritariamente, a clienti finali industriali a forte consumo di gas cd. “gasivori”. Il GSE (o le società da esso controllate) è il soggetto responsabile ad avviare, su direttiva del Ministro dell’ambiente e della sicurezza energetica, le procedure per l’approvvigionamento di lungo termine di gas naturale di produzione nazionale a prezzi ragionevoli, mediante invito rivolto ai soggetti, titolari di concessioni di coltivazione, legittimati a partecipare. I soggetti legittimati sono specificamente indicati nei commi da 2 a 4 dell’articolo 16, i quali vengono novellati dal comma 5 qui in esame.
In particolare, il comma 5:
· alla lettera b) modifica il comma 2 dell’articolo 16, il quale ha identificato quali soggetti legittimati i titolari di concessioni di coltivazione esistenti, anche se improduttive o in sospensione volontaria, i cui impianti di coltivazione di gas naturale sono collocati, totalmente o parzialmente, in aree considerate compatibili dal Piano per la transizione energetica sostenibile delle aree idonee (PiTESAI), considerando, anche ai fini dell’attività di ricerca e di sviluppo con nuove infrastrutture minerarie, i soli vincoli classificati come assoluti dal Piano e già costituiti, nel rispetto della normativa dell’Unione europea e degli accordi internazionali.
La lettera b) riformula l’intera previsione, prevedendo quali soggetti legittimati i titolari di concessioni di coltivazione di gas naturale, esistenti o da conferire, nel rispetto dei limiti imposti dalla legislazione vigente, della normativa dell’Unione europea e degli accordi internazionali.
L’intervento è riconducibile, come evidenzia la relazione illustrativa, all’abrogazione della disciplina del PITESAI, disposta dal comma 1 dell’articolo in commento.
· alla lettera c) sostituisce il comma 3 dell’articolo 16, il quale ha ammesso a partecipare alle procedure – in deroga al divieto delle attività upstream nell’alto Adriatico e nelle aree costiere e nelle marine protette – le concessioni di coltivazione di idrocarburi esistenti o nuove, per la durata di vita utile del giacimento, insistenti nel tratto di mare compreso tra il 45° parallelo Nord e il parallelo distante da quest’ultimo 40 chilometri a sud, a una distanza dalle linee di costa di almeno 9 miglia. Si deve trattare di concessioni il cui potenziale minerario di gas possa garantire una riserva certa superiore a 500 milioni di metri cubi, i cui titolari aderiscano alle procedure per l’approvvigionamento di lungo termine, ed è stata richiesta una previa verifica preventiva dell’assenza di effetti di subsidenza.
La lettera c) riformula il comma, riperimetrando l’ambito entro il quale le concessioni di coltivazione sono consentite in deroga al divieto delle attività upstream nell’Alto Adriatico e nelle aree marine protette. Viene dunque ora consentito, ai soli fini della partecipazione alle procedure per l’approvvigionamento di lungo termine, il rilascio di concessioni di coltivazione – sulla base di istanze già presentate alla data del 18 ottobre 2024 (entrata in vigore del decreto legge) – nel tratto di mare compreso tra il parallelo passante per la foce del ramo di Goro del fiume Po e il parallelo distante da quest’ultimo 15 chilometri a sud. Rimane confermata la distanza di almeno 9 miglia marittime dalle linee di costa, la durata delle concessioni per la vita utile del giacimento e la necessità che i relativi giacimenti abbiano un potenziale minerario di gas con riserva certa superiore a 500 milioni di metri cubi.
La relazione illustrativa afferma che è una sola l’istanza già presentata alla data di entrata in vigore del presente decreto e che rientrerebbe nell’ambito di applicazione del nuovo comma 3 e precisa, al riguardo, che il procedimento di conferimento attivato a seguito di tale istanza si trova in una fase molto avanzata e risultano inoltre accertate riserve superiori a 500 milioni di metri cubi. Pertanto, solo per le finalità dell gas release, detta concessione potrà operare in deroga ai divieti insistenti nella zona, con la precisazione che le relative attività di coltivazione non potranno che svolgersi nel tratto di mare che dista almeno 9 miglia marittime dalle linee di costa.
I titoli in Alto Adriatico sono disciplinati:
o dall’articolo 4 della L. n. 9 del 1991, che dispone: “La prospezione, la ricerca e la coltivazione di idrocarburi è vietata (…) nelle acque del Golfo di Venezia, nel tratto di mare compreso tra il parallelo passante per la foce del fiume Tagliamento e il parallelo passante per la foce del ramo di Goro del fiume Po”, e
o dall’articolo 8 del D.L. n. 112/2008 (L. n. 133/2008), in base al quale il divieto di prospezione, ricerca e coltivazione nelle zone di cui all’articolo 4 della legge n. 9 del 1991 “si applica fino a quando il Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell’ambiente, non abbia definitivamente accertato la non sussistenza di rischi apprezzabili di subsidenza sulle coste, sulla base di nuovi e aggiornati studi, che dovranno essere presentati dai titolari di permessi di ricerca e delle concessioni di coltivazione, utilizzando i metodi di valutazione più conservativi e prevedendo l’uso delle migliori tecnologie disponibili per la coltivazione. Ai fini della suddetta attività di accertamento, il MASE si avvale dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA)”.
L’articolo 6, comma 17, al primo periodo, del D.lgs. n. 152/2006, vieta le attività di ricerca, di prospezione nonché di coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi in mare nelle zone di cui all’articolo 4 della L. n. 9/1991 e, al secondo periodo, vieta altresì le attività di ricerca, di prospezione nonché di coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi nelle zone di mare poste entro dodici miglia – ora 9 miglia ai sensi della modifica introdotta dal comma 4 dell’articolo qui in esame- dalle linee di costa lungo l’intero perimetro costiero nazionale e dal perimetro esterno delle suddette aree marine e costiere protette.
· alla lettera d) abroga il comma 4 dell’articolo 16, il quale – in deroga al divieto delle attività upstream nelle aree marine protette – ha ammesso, la coltivazione di gas naturale, per la durata di vita utile del giacimento, sulla base di nuove concessioni in zone di mare fra le 9 e le 12 miglia dalle linee costiere e dal perimetro esterno delle aree marine e costiere protette, a condizione che i relativi giacimenti avessero un potenziale minerario di gas con riserva certa superiore a una soglia di 500 milioni di metri cubi e che i richiedenti le nuove concessioni aderissero alle procedure per l’approvvigionamento di lungo termine.
In ragione dell’abrogazione del comma 4 disposta dalla lettera d), le lettere a) ed e), apportano le necessarie modifiche di coordinamento normativo ai commi 1 e ai commi 5,10 e 13, sopprimendo il richiamo all’abrogato comma 4, ivi contenuto.
L’abrogazione del comma 4 dell’articolo 16 è – come anche evidenzia la relazione illustrativa - da mettere in connessione con quanto disposto dal comma 4 dell’articolo in esame, il quale ora consente le attività di ricerca, di prospezione nonché di coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi in mare oltre il perimetro di 9 miglia (anziché di 12 miglia) dalla costa e dalle aree marine e costiere protette.
La produzione nazionale di gas naturale, nell’ultimo ventennio, si è ridotta da circa 15 miliardi di metri cubi nel 2001 a circa 2,8 miliardi nel 2023. Ciò è avvenuto sia per il calo naturale dei giacimenti in sfruttamento, sia per l’assenza di investimenti in nuove ricerche e produzione (dati MASE, cfr. anche informativa alla Camera del 22 marzo 2022, del Ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani). Pertanto, il Paese è divenuto quasi completamente dipendente dalle importazioni. Secondo il PNIEC 2024, la domanda nazionale di gas - pari nel 2023 a circa 62 miliardi di metri cubi (-10% rispetto all’anno precedente) - è stata coperta per il 5% dalla produzione nazionale e per il rimanente 95% dall’importazione.
Il conflitto tra Russia e Ucraina, tenuto conto dell’importante ruolo svolto dal gas russo nella copertura del fabbisogno nazionale di gas naturale (circa il 40% nel 2021, con 29 miliardi di Smc su 76 miliardi di Smc di gas consumati), ha reso necessario adottare misure d’urgenza per diversificare le fonti di approvvigionamento e garantire la sicurezza degli approvvigionamenti nazionali.
Il D.L. n. 17/2022 (articolo 16) ha introdotto un meccanismo, cd. “gas release”, per incrementare la produzione nazionale di gas e la sua vendita a prezzi ragionevoli, prioritariamente, a clienti finali industriali a forte consumo di gas cd. “gasivori”.
Il meccanismo, prima implementato dal D.L. n. 176/2022, è stato successivamente riformulato dal D.L. n. 181/2023 (articolo 2, comma 1) al fine di superare le criticità della disciplina originaria, manifestatesi in sede attuativa, derivanti dal fatto che l’evoluzione positiva favorevole dei prezzi del gas naturale ne ha sostanzialmente determinato l’inefficacia (cfr. osservazioni del Ministro Pichetto Fratin in Aula alla Camera il 31 maggio 2023, in risposta all’interrogazione Pavanelli e altri n. 3-00442).
L’articolo 16 del D.L. n. 17/2022, come da ultimo sostituito dall’articolo 2, comma 1 del D.L. n. 181/2023, indica il GSE (o le società da esso controllate) quale soggetto responsabile ad avviare, su direttiva del Ministro dell’ambiente e della sicurezza energetica, le procedure per l’approvvigionamento di lungo termine di gas naturale di produzione nazionale a prezzi ragionevoli, mediante invito rivolto ai soggetti legittimati (comma 1).
I soggetti legittimati a partecipare alle procedure, su invito del GSE, sono i titolari di concessioni – esistenti - anche se improduttive o in sospensione volontaria, i cui impianti di coltivazione siano collocati, totalmente o parzialmente, in aree considerate compatibili dal Piano per la transizione energetica sostenibile delle aree idonee (PiTESAI), considerando, anche ai fini dell’attività di ricerca e di sviluppo con nuove infrastrutture minerarie, i soli vincoli classificati come assoluti dal Piano e già costituiti, nel rispetto della normativa dell’Unione europea e degli accordi internazionali (articolo 16, comma 2).
Sono ammissibili a partecipare alle procedure - in deroga al divieto delle attività upstream nell’alto Adriatico (articolo 4 della legge n. 9/1991) e nelle aree marine protette (articolo 6, comma 17, del decreto legislativo n. 152/2006) - le concessioni di coltivazione di idrocarburi – esistenti o nuove - nel tratto di mare compreso tra il 45° parallelo Nord e il parallelo distante da quest’ultimo 40 chilometri a sud, a una distanza dalle linee di costa di almeno 9 miglia. L’ammissibilità opera per la durata di vita utile del giacimento, alle seguenti condizioni:
· i giacimenti devono avere un potenziale minerario di gas con riserva certa superiore a 500 milioni di metri cubi;
· i titolari di concessioni esistenti o i soggetti richiedenti nuove concessioni devono aderire alle procedure per l’approvvigionamento di lungo termine, previa verifica preventiva dell’assenza di effetti di subsidenza, fermi rimanendo gli impegni che devono essere assunti in sede di manifestazione di interesse (articolo 16, comma 3).
In deroga al divieto delle attività upstream nelle aree marine protette (previsto dall’articolo 6, comma 17, del D.lgs. n. 152/2006) – è consentita per la durata di vita utile del giacimento – la coltivazione di gas naturale sulla base di nuove concessioni in zone di mare fra le 9 e le 12 miglia dalle linee di costa e dal perimetro esterno delle aree marine e costiere protette, sempre a condizione che i relativi giacimenti abbiano un potenziale minerario di gas per un quantitativo di riserva certa superiore a una soglia di 500 milioni di metri cubi e che i richiedenti le nuove concessioni aderiscano alle procedure per l’approvvigionamento di lungo termine (articolo 16, comma 4).
I soggetti legittimati, ai sensi di quanto sopra detto, presentano una manifestazione di interesse ad aderire alle procedure al GSE, comunicando i programmi incrementali delle produzioni di gas naturale per la durata di vita utile del giacimento, oltre che un elenco di possibili sviluppi, incrementi o ripristini delle produzioni di gas naturale, i tempi massimi di entrata in erogazione, il profilo atteso di produzione e i relativi investimenti necessari. La manifestazione di interesse deve contenere una serie di impegni da parte del presentatore (cfr. infra) (articolo 16, comma 5).
Le nuove concessioni, le proroghe e le modifiche delle concessioni esistenti, nonché le autorizzazioni delle opere necessarie all’attuazione dei programmi di produzione di gas, sono rilasciate sulla base di un procedimento unico, comprensivo delle valutazioni ambientali, al quale partecipano tutte le amministrazioni interessate, che si deve chiudere entro il termine di tre mesi dalla data di presentazione della relativa istanza da parte dei soggetti che hanno manifestato interesse. L’attività istruttoria per le valutazioni di impatto ambientale, ove previste, è svolta dalla Commissione tecnica PNRR-PNIEC.
L’efficacia delle nuove concessioni, delle proroghe e delle modifiche delle concessioni esistenti, nonché delle autorizzazioni delle opere necessarie è condizionata alla stipula dei contratti finanziari di vendita di lungo termine (sotto forma di contratti per differenza a due vie), stipulati tra GSE (acquirente) e titolari delle concessioni (venditori), aventi ad oggetto i diritti sul gas da questi ultimi prodotto (articolo 16, comma 6).
I titolari degli atti concessori/autorizzatori devono comunicare al gruppo GSE e al MASE – entro 45 giorni dalla chiusura del procedimento unico che li rilascia, e a pena di decadenza - il costo a MWh della produzione oggetto dei programmi incrementali di produzione (i programmi sono già indicati in sede di manifestazione di interesse). Il costo deve essere indicato per livello di produzione e campo di coltivazione e, a corredo, vi deve essere una relazione dettagliata circa le modalità della sua determinazione, inclusa l’indicazione del tasso di remunerazione del capitale impiegato. La relazione deve essere asseverata da una primaria società di revisione contabile di livello internazionale (articolo 16, comma 7).
L’impegno a presentare la relazione dettagliata in questione, nonché a cedere il gas prodotto e a mettere a disposizione del GSE un quantitativo di diritti sul gas corrispondente ai volumi produttivi medi annui attesi, a un prezzo pari al costo asseverato, deve essere adottato già in sede di manifestazione di interesse. Il quantitativo di diritti sul gas è messo a disposizione per cinque anni dal 1° ottobre 2024 o, in caso di contratto stipulato successivamente al 30 aprile 2024, dal primo giorno del sesto mese successivo alla stipula del contratto medesimo (articolo 16, comma 5).
Il Gruppo GSE, a sua volta, con una o più procedure di allocazione gestite dal Gestore dei mercati energetici – GME S.p.A., offre, senza che ciò rechi nuovi o maggiori oneri, i diritti sul gas, in via prioritaria ai clienti finali industriali a forte consumo di gas (cd. “gasivori”), anche in forma aggregata tra loro, aventi diritto alle agevolazioni tariffarie di cui al D.M. 21 dicembre 2021[13] (articolo 16, comma 8).
In esito alle procedure di allocazione, il GSE:
a) stipula, come già sopra accennato, con i soggetti legittimati che abbiano ottenuto gli atti concessori, contratti di acquisto di lungo termine per i diritti sul gas, nella forma di contratti finanziari per differenza a due vie rispetto all’IG Index (Italian Gas Index - IGI) del Gestore dei mercati energetici - GME S.p.A., di durata pari a cinque anni e al prezzo pari al costo asseverato ai sensi del comma 7;
b) stipula con ciascun cliente finale assegnatario un contratto finanziario per differenza a due vie rispetto all’IG Index, per i diritti aggiudicati al prezzo definito in esito alle procedure di allocazione, di durata pari a quella dei contratti sottoscritti ai sensi della lettera a) (comma 10). È fatto divieto di cessione tra i clienti finali dei diritti derivanti dal contratto (comma 12).
La quantità di diritti oggetto dei contratti (sia quelli con i soggetti legittimati che quelli con i clienti finali) è rideterminata al 31 gennaio di ogni anno sulla base delle effettive produzioni nel corso dell’anno precedente (comma 11).
Il Gruppo GSE deve periodicamente comunicare al MASE l’elenco dei contratti stipulati (comma 12).
Il GSE è autorizzato a rilasciare garanzie a beneficio dei soggetti legittimati in relazione ai contratti con esso stipulati; nonché acquisisce dai clienti finali industriali energivori una corrispondente garanzia in relazione ai contratti stipulati con questi ultimi stipulati. Per un esame più approfondito della disciplina, si rinvia al dossier n. 199/2.
Il comma 6, modificato nel corso dell’esame in sede referente, interviene sull’articolo 5-bis del D.L. n. 50/2022, che, all’indomani dello scoppio del conflitto russo ucraino, per accelerare lo stoccaggio di gas naturale, ha assegnato al GSE il servizio di riempimento di ultima istanza tramite l’acquisto di gas naturale, ai fini dello stoccaggio e della successiva vendita, nei limiti di un controvalore di 4 miliardi di euro.
Il termine entro il quale procedere alla vendita, originariamente fissato, dall’articolo 5-bis, comma 1, al 31 dicembre 2022, è stato più volte prorogato, da ultimo, al 15 ottobre 2024, dal D.L. n. 145/2023 (articolo 8, comma 1, lett. a)).
La lettera a) del comma 6, qui in commento, rinvia la definizione di tale termine, nonché delle modalità di vendita, a un futuro atto di indirizzo del Ministro dell’ambiente e della sicurezza energetica. Si rileva che, prima dell’intervento modificato in sede referente, il testo originario del decreto-legge in esame prorogava il termine per la vendita al 31 ottobre 2025.
Si valuti l’opportunità di fissare un termine per l’adozione del suddetto atto di indirizzo da parte del Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica.
Contestualmente, la lettera b) del comma 6 dilaziona il rimborso del prestito infruttifero statale riconosciuto al GSE dall’articolo 5-bis, comma 4, per l’acquisto del gas per il servizio di riempimento di ultima istanza.
La lettera b), in particolare, interviene sul citato comma 4, fissando ora al 10 dicembre 2027 il termine entro cui il GSE è tenuto a rimborsare il prestito infruttifero. Si rileva che, prima dell’intervento modificato apportato in sede referente, il testo originario del decreto-legge in esame prevedeva che entro il termine del 10 dicembre 2024 fosse rimborsato l’importo di 1 miliardo di euro, e che entro il 10 dicembre 2025 fosse rimborsato l’importo rimanente.
Si rammenta che il termine per il rimborso del prestito infruttifero era stato fissato al 20 dicembre 2022 dal comma 4 dell’articolo 5-bis. Tale termine è stato via via prorogato da successivi interventi legislativi, da ultimo portato al 10 dicembre 2024 (dall’articolo 8, comma 1, lett. b) del D.L. n. 145/2023) e ora appunto al 10 dicembre 2027.
Il decreto legge n. 17/2022, convertito, con modificazioni, legge n. 34/2022, adottato all’indomani dello scoppio del conflitto russo ucraino, ha introdotto misure per assicurare un elevato grado di riempimento degli stoccaggi nazionali, consideratane la rilevante funzione nella copertura dei fabbisogni in caso di interruzione dei flussi dalla Russia.
L’obiettivo di riempimento – fissato dal decreto legge – è stato un livello di almeno il 90 per cento con l’impegno, nel corso del ciclo di erogazione invernale, del mantenimento dello stato di riempimento, anche mediante il ricorso a iniezioni di gas in controflusso (articolo 21, comma 1, lett. a) e b)).
In attuazione del decreto legge è stato adottato il decreto del Ministero della transizione ecologica D.M. 14 marzo 2022 che ha fissato le regole per l’allocazione e l’erogazione della capacità di stoccaggio disponibile alle imprese per il periodo contrattuale di stoccaggio 2022 – 2023, il D.M. 1 aprile 2022, nonché la Deliberazione ARERA 8 aprile 2022 (Deliberazione 165/2022/R/GAS) .
La registrazione in fase di monitoraggio di alcuni scostamenti a partire da maggio, determinati dalla eccessiva volatilità dei prezzi, ha reso necessario, secondo quanto evidenziato dal MITE , intervenire nuovamente, con il decreto 22 giugno n. 253 (cfr. anche ARERA, Delibera 274/2022/R/gas del 24 giugno 2022) , dando mandato a Snam di offrire un servizio di riempimento di ultima istanza per coprire il “delta” mancante rispetto al livello medio necessario a raggiungere il target mensile, nonché successivamente, affidare tale servizio di ultima istanza alla società GSE, ai sensi di quanto previsto nell’articolo 4 del D.L. n. 80 del 30 giugno 2022, il cui contenuto è stato poi trasposto nell’articolo 5-bis del D.L. n. 50/2022, oggetto delle modifiche qui in esame.
Secondo quanto risulta da ARERA (deliberazione n. 442/2022 del 23 settembre 2022), il 19 settembre 2022 il GSE aveva già sostanzialmente esaurito le risorse messe a propria disposizione per il servizio di riempimento di ultima istanza ai sensi dell’articolo 4 del decreto-legge 80/22.
La società ha, in particolare, provveduto all’acquisto e allo stoccaggio di volumi di gas naturale pari a 1.637 mln Smc per un controvalore di 3.995 milioni di euro (a fronte del limite di controvalore pari a 4.000 milioni previsto dalla medesima norma) e un costo medio unitario di acquisto pari a 223,5 €/MWh.
L’insieme degli interventi approntati ha consentito di raggiungere un livello di riempimento degli stoccaggi del 90 percento, conforme agli obiettivi già a settembre 2022 (cfr. MITE Comunicato stampa del 28 settembre 2022).
Con successivo atto di indirizzo del Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica MASE del 18 novembre 2022, sono state definite le modalità di vendita del gas acquistato nell’ambito del servizio di riempimento di ultima istanza, prevedendo che il GSE renda disponibile i quantitativi di gas naturale stoccato attraverso prodotti a termine con consegna del gas in stoccaggio, per una quota non inferiore al 60%.
Per quanto riguarda la vendita, in data 22 novembre 2022, il GSE ha pubblicato un Regolamento di procedura concorrenziale per la vendita a termine del gas stoccato per una quantità pari al 75% del totale, rivolto ad operatori titolari di contratto di trasporto e aventi clienti finali ubicati nel territorio nazionale.
La procedura competitiva, in base ai dati presenti nella relazione illustrativa al D.L. n. 145/2023 (decreto legge di proroga dei termini sui quali ora interviene il provvedimento in commento), ha previsto l’aggiudicazione di 5.679 GWh, corrispondente al 32% del totale del gas stoccato nella disponibilità del GSE. Le quantità cedute hanno registrato un prezzo medio di vendita, nei primi mesi dell’anno in corso, pari a 66 €/MWh determinando una perdita economica, indicata nei documenti di accompagnamento del provvedimento d’urgenza, rispetto al costo di approvvigionamento sostenuto dal GSE per le medesime quantità, pari a circa 900 milioni di euro, già oggetto di compensazione per il tramite della CSEA.
Alla data di adozione del D.L. n. 145/2023, rimaneva ancora nella disponibilità del GSE una quantità di gas in stoccaggio pari 12.199 GWh.
Tale quantitativo viene ancora confermato nella relazione illustrativa del decreto legge qui in esame.
Ciò detto, la relazione, ipotizzando uno scenario di vendita del 100% del gas in giacenza e utilizzando l’ultima quotazione disponibile (2 settembre 2024) del prezzo forward relativo al Q1-25, 1° trimestre 2025, (ca. 43 €/MWh) al quale è stato applicato un liquidity factor del 95%, ne deriva una potenziale perdita pari a euro 2.228 milioni che, sommata alla perdita già realizzata al 31 marzo 2023 di euro 893 milioni, restituisce una previsione di fabbisogno finanziario per la restituzione del prestito al MEF pari a circa 3,12 miliardi di euro.
Alla luce di quanto sopra, il comma 5 dell’articolo qui in esame, posticipa il termine ultimo della vendita al fine di garantire la massima flessibilità nel gestire il gas stoccato dal GSE per il nuovo anno termico. Tale orientamento è in linea – si rileva – con il target nazionale stabilito dalla Commissione europea per il riempimento degli stoccaggi, a partire dalla stagione di stoccaggio 2023-2024, pari al 90%, funzionale ad attenuare eventuali fenomeni rialzisti dei prezzi associati a fenomeni geopolitici.
Articolo 3
(Misure urgenti per la gestione della crisi idrica)
L’articolo 3 apporta modificazioni alla parte terza del decreto legislativo n. 152 del 2006.
L’articolo in questione, come emerge anche dalla relazione illustrativa di accompagnamento del provvedimento, riveste carattere di necessità e urgenza nell’ottica dell’impellente gestione delle conseguenze dovute ai fenomeni siccitosi caratterizzanti il periodo estivo, a partire, in primis, da un necessario adeguamento della normativa nazionale vigente a quella euro-unitaria.
L’articolo in commento estende i compiti del Commissario straordinario unico per la realizzazione degli interventi di collettamento, fognatura e depurazione delle acque medesime.
Inoltre, nel corso dell’esame in sede referente, sono stati inseriti due nuovi commi che prevedono, rispettivamente, specifiche inerenti ai componenti dell’organo di amministrazione e dell’organo di controllo della società (Acquedotto pugliese Spa) nonché il trasferimento da parte della Regione Puglia di parte delle azioni della società (Acquedotto pugliese Spa) in favore di alcuni comuni pugliesi.
In particolare al comma 1, la lettera a) reca modifiche all’articolo 74 del decreto legislativo n. 152 del 2006 circa la definizione di “acque affinate” stabilendo le prescrizioni minime applicabili alla qualità dell’acqua e al relativo monitoraggio, nonché introducendo disposizioni sulla gestione dei rischi e sull’utilizzo sicuro delle acque affinate ai soli fini irrigui in agricoltura, superando la disciplina nazionale previgente di cui al decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio 12 giugno 2003, n. 185.
A tale proposito è utile ricordare come nell’ambito del settore del riutilizzo delle acque reflue, l’Unione europea ha esercitato la propria competenza concorrente esclusivamente con riferimento al riutilizzo delle acque urbane. Di contro, il riutilizzo delle acque reflue domestiche e industriali non è oggetto del regolamento (UE) 2020/741, così che gli Stati membri possono esercitare in tale ambito la propria competenza concorrente in materia di ambiente.
L’introduzione della menzionata disposizione, pertanto, alla luce anche degli elementi presenti nella relazione illustrativa di accompagnamento, si rende necessaria al fine di evitare problemi di coordinamento con la nuova disciplina del riutilizzo.
Le lettere b) e c) dello stesso comma 1, invece, modificano gli articoli 77 e 78-quater del decreto legislativo n. 152 del 2006.
A tale riguardo si ricorda che il citato articolo 77 ha dato attuazione, nell’ordinamento interno, alle disposizioni previste dalla direttiva 2000/60/CE (cosiddetta direttiva quadro sulle acque) in tema di raggiungimento degli obiettivi ambientali delle acque superficiali e sotterranee e di deterioramento dello stato dei corpi idrici. Pertanto, il medesimo articolo 77 chiarisce che le regioni sono tenute a stabilire e adottare le misure necessarie al raggiungimento o al mantenimento degli obiettivi di qualità ambientale delle acque, assicurando, in ogni caso, l’adozione di misure volte a impedire il deterioramento dei corpi idrici.
A tale riguardo è utile segnalare come la direttiva quadro sulle acque chiarisce che le condizioni al ricorrere delle quali gli Stati membri non violano le disposizioni della direttiva medesima vengano applicate anche qualora il mancato raggiungimento del buon stato delle acque sotterranee, del buono stato ecologico delle acque superficiali o, ove pertinente, del buon potenziale ecologico ovvero l’incapacità di impedire il deterioramento del corpo idrico superficiale e sotterraneo, siano dovuti a nuove modifiche delle caratteristiche fisiche di un corpo idrico superficiale o ad alterazioni idrogeologiche dei corpi idrici sotterranei.
Pertanto, le modifiche introdotte dall’articolo in esame sono funzionali a precisare, allineando il quadro giuridico interno alla normativa eurounitaria, i casi in cui le regioni o le province autonome non violano le disposizioni del decreto legislativo n. 152 del 2006 in materia di obiettivi di qualità ambientale delle acque all’avverarsi di un deterioramento dello stato qualitativo dei corpi idrici.
Con la lettera c) del comma 1 dell’articolo in esame, si inserisce una modifica di mero coordinamento all’articolo 78-quater del decreto legislativo n. 152 del 2006. Quest’ultima disposizione disciplina le ipotesi al ricorrere delle quali, sebbene si verifichi un superamento degli standard di qualità ambientali, le regioni e le province autonome non si ritengono inadempienti qualora le stesse dimostrino, tra l’altro, che sono state applicate le misure fondamentali per il raggiungimento degli obiettivi di qualità ambientale di cui all’articolo 77 del decreto legislativo n. 152 del 2006.
Con la lettera d), invece, si apportano modificazioni all’articolo 104 del decreto legislativo n. 152 del 2006, relativo alla disciplina degli scarichi nel sottosuolo e nelle acque sotterrane e, segnatamente, al comma 4-bis, allo scopo di prevedere che l’autorizzazione per il ravvenamento o l’accrescimento artificiale dei corpi sotterranei, al fine del raggiungimento dell’obiettivo di qualità dei corpi idrici sotterranei, possa avvenire anche per gestire le emergenze nei casi di crisi idrica. Al medesimo fine, si chiarisce che l’acqua impiegata per il ravvenamento o l’accrescimento dei corpi idrici sotterranei possa essere anche affinata, in linea con la definizione introdotta all’articolo 74 del decreto legislativo n. 152 del 2006 dalla lettera a) dell’articolo in commento.
Con la lettera e) del medesimo comma si apportano modificazioni all’articolo 141, comma 2, del decreto legislativo n. 152 del 2006, al fine di ampliare la definizione di servizio idrico integrato, ricomprendendovi anche il riuso delle acque reflue.
Il comma 2, invece, è volto a estendere i compiti del Commissario straordinario unico per la realizzazione degli interventi di collettamento, fognatura e depurazione delle acque medesime. In particolare detto Commissario è abilitato a esercitare anche compiti di coordinamento e gestione degli interventi di riuso delle acque reflue, a condizione che i compiti stessi risultino funzionali a garantire il razionale utilizzo delle risorse idriche nonché a contrastare situazioni di crisi idrica. Attraverso l’estensione dei compiti del Commissario straordinario si mira a realizzare una maggiore efficacia dell’azione di competenza del Commissario medesimo, accelerando il raggiungimento degli obiettivi di adeguamento alla normativa euro-unitaria e consentendo, al tempo stesso, il conseguimento delle economie di scala derivanti dal riutilizzo delle acque reflue affinate prodotte da idonei impianti di depurazione.
Il comma 2-bis, inserito nel corso dell’esame in sede referente, ha ad oggetto la società “Acquedotto pugliese Spa” una tra le maggiori realtà del servizio idrico integrato in Italia che fornisce i suoi servizi a tutto il territorio pugliese (dal Gargano fino a Santa Maria di Leuca) e in alcuni comuni della Campania. Scopo dell’Acquedotto è l’approvvigionamento idrico dei territori gestiti garantendo, inoltre, la tutela dell’ambiente, attraverso impianti di depurazione, di affinamento delle acque reflue urbane e di compostaggio.
Nello specifico, il presente nuovo comma, prevede che, in considerazione della rilevanza strategica per l'interesse nazionale della società Acquedotto pugliese Spa, almeno uno dei componenti dell'organo di amministrazione ed almeno uno dei componenti dell'organo di controllo della società Acquedotto pugliese Spa siano designati dalla Presidenza del Consiglio dei ministri. A tale proposito il comma in questione prevede che entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto-legge in esame, si provvede ad adeguare lo statuto della società alle disposizioni di cui al presente comma, prevedendo che l'organo di amministrazione sia composto da un numero di membri non superiore a 7, disponendo altresì il rinnovo dell'organo di amministrazione e dell'organo di controllo, laddove non già scaduti.
Infine il comma 2-ter specifica che è ammesso il trasferimento da parte della Regione Puglia di parte delle azioni della società Acquedotto pugliese Spa in favore dei comuni pugliesi esercenti il controllo analogo sulla società a capitale interamente pubblico dagli stessi costituita ovvero in favore di quest'ultima società. Da ultimo il comma in commento stabilisce le modalità relative all’eventuale affidamento del servizio idrico integrato.
Articolo 4, commi 1, 2, lettere a) e b), 3 e 3-bis
(Ulteriori disposizioni urgenti per l’economia circolare)
L’articolo 4 reca alcune disposizioni urgenti in materia di economia circolare. In particolare il comma 1 interviene sulla disciplina del gruppo di lavoro dedicato all’economia circolare ed istituito presso il Ministero dell’Ambiente e della sicurezza energetica. Il comma 2, modificato in parte durante l’esame in sede referente, invece, reca alcune modifiche al codice ambientale con particolare riguardo al Comitato nazionale dell’Albo nazionale gestori ambientali mentre il comma 3 interviene sulla disciplina del Comitato nazionale dell’Albo nazionale gestori ambientali.
Da ultimo, nel corso dell’esame in sede referente, è stato inserito un ulteriore comma, 3-bis, con il quale vengono apportate delle modifiche alla legge n. 60 del 2022, recante disposizioni per il recupero dei rifiuti in mare e nelle acque interne e per la promozione dell'economia circolare (cosiddetta legge “Salva Mare”).
Il comma 1 dell’articolo in commento mira a garantire che l’istruttoria concernente i regolamenti ministeriali in materia di cessazione della qualifica di rifiuto possa beneficiare di un immediato e valido supporto specialistico sin dalla prima fase di elaborazione degli stessi presso la struttura tecnica del competente del Ministero dell’Ambiente e della sicurezza energetica.
A tale proposito, al fine di accelerare l’iter procedimentale dei suddetti regolamenti ministeriali, oggetto negli anni di una significativa implementazione conseguente agli obiettivi individuati nei decreti annuali di programmazione, la norma ricolloca il gruppo di lavoro dedicato all’economia circolare presso la Direzione generale del MASE competente in materia di economia circolare anziché presso l’Ufficio legislativo del Ministero.
Il comma 2, invece, reca alcune modifiche alla parte quarta del decreto legislativo n. 152 del 2006, cosiddetto codice ambientale. In particolare, con le lettere a), b) e c) del comma 2, si risponde all’esigenza di provvedere con urgenza, secondo quanto emerge anche dalla relazione illustrativa, alla ridefinizione di alcuni aspetti relativi alla gestione dei rifiuti, in modo da renderli maggiormente funzionali al raggiungimento degli obiettivi dell’economia circolare.
In particolare la lettera a), al numero 1), apporta modificazioni all’articolo 212 del decreto legislativo n. 152 del 2006, al fine di ampliare i membri effettivi del Comitato nazionale dell’Albo nazionale gestori ambientali da diciannove a ventuno. Il numero 2) della medesima lettera a) specifica che i membri individuati tra le organizzazioni imprenditoriali maggiormente rappresentative delle categorie economiche interessate sono aumentati da otto a dieci. Inoltre, tra questi dieci membri, si incrementano quelli individuati tra le organizzazioni rappresentative della categoria degli autotrasportatori e delle organizzazioni che rappresentano i gestori dei rifiuti, da due a tre per ciascuna categoria.
Il numero 3) della lettera a), infine, a seguito delle modifiche apportate nel corso dell’esame in sede referente, prevede che il legale rappresentante dell'impresa possa assumere il ruolo di responsabile tecnico per tutte le categorie di iscrizione all'Albo gestori ambientali di cui al presente articolo senza necessità di verifica di idoneità iniziale e di aggiornamento e solo per l'impresa medesima, a condizione che abbia ricoperto il ruolo di legale rappresentante presso la stessa per almeno tre anni consecutivi. A tale riguardo si stabilisce che la competente Sezione regionale dell'Albo verifichi il requisito sulla base dei dati presenti nel Registro Imprese tenuto dalla locale camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura.
A tale proposito è utile ricordare come il compito dell’RTGR è quello di svolgere azioni dirette ad assicurare la corretta organizzazione nella gestione dei rifiuti da parte dell’impresa e di vigilare sulla corretta applicazione della normativa di riferimento. La presenza dell’RTGR, inoltre, è una delle condizioni necessarie affinché un’impresa possa iscriversi all’Albo gestori ambientali.
Per quanto riguarda la lettera b) si introducono delle modifiche normative relativamente agli scarti derivanti dalla manutenzione del verde privato, che, se prodotti nell’ambito di un’attività di impresa, dovrebbero essere classificati, in assenza dell’intervento legislativo in commento, come rifiuti speciali non pericolosi.
La disposizione in questione, pertanto, riconduce la gestione di tali rifiuti nell’ambito dei rifiuti simili ai domestici e quindi urbani, dando la possibilità alle imprese di conferire gli stessi nei centri di raccolta urbani.
Il comma 3, infine, garantisce la prosecuzione della durata in carica del Comitato nazionale dell’Albo nazionale gestori ambientali costituito con decreto del Ministro dell’ambiente e della sicurezza energetica 23 novembre 2023, che, in coerenza con le modifiche apportate all’articolo 212 del decreto legislativo n. 152 del 2006 secondo quanto sopra illustrato in precedenza, è integrato di due membri, uno designato dalle organizzazioni rappresentative della categoria degli autotrasportatori e uno designato dalle organizzazioni rappresentative dei gestori dei rifiuti. I predetti membri effettivi, volti a integrare il Comitato di recente costituzione, sono anch’essi nominati con decreto del Ministro dell’Ambiente e della sicurezza energetica.
Nel corso dell’esame in sede referente, è stato inserito un ulteriore comma, 3-bis, con il quale vengono apportate delle modifiche alla legge n. 60 del 2022, recante disposizioni per il recupero dei rifiuti in mare e nelle acque interne e per la promozione dell'economia circolare (cosiddetta legge “Salva Mare”). In particolare la modifica in questione individua i criteri specifici e le modalità per la cessazione della qualifica di rifiuto delle plastiche e degli altri materiali accidentalmente pescati e volontariamente raccolti in quanto non compatibili con l’ecosistema marino e delle acque interne.
Articolo 4, comma 2, lettere a-bis) e a-ter)
(Disposizioni in materia di sistemi di gestione degli imballaggi e dei rifiuti di imballaggi)
Le lettere a-bis) e a-ter) del comma 2 dell’articolo 4, introdotte in sede referente, recano modifiche alla disciplina dei sistemi di gestione degli imballaggi e dei rifiuti di imballaggi prevista dal Codice dell’ambiente, al fine di disciplinare il riparto dei costi tra i vari soggetti coinvolti e ampliare gli obblighi di monitoraggio dei flussi di imballaggi.
La lettera a-bis), inserita in sede referente, integra il testo dell’art. 221 del Codice dell’ambiente (D.Lgs. 152/2006), che disciplina gli obblighi dei produttori e degli utilizzatori di imballaggi (v. infra).
In particolare, la novella in esame inserisce nel testo dell’art. 221 del Codice dell’ambiente un comma 10-bis volto ad integrare le disposizioni recate dal comma 10 del medesimo articolo, che individuano i costi a carico dei produttori e degli utilizzatori di imballaggi.
Il nuovo comma 10-bis, introdotto dalla lettera in esame, disciplina il riparto dei costi indicati nel comma 10 (v. infra) limitatamente all'assolvimento degli obblighi di servizio universale relativi ad attività di carattere residuale o comunque d'interesse generale gravanti sul CONAI e sui c.d. consorzi di filiera. Tale riparto avviene tra i c.d. consorzi di filiera e i sistemi autonomi al netto di ogni eventuale componente positiva diversa dal contributo ambientale Conai (v. infra), previa verifica dei costi rilevanti e della loro entità netta da parte di un esperto indipendente.
Si ricorda in proposito che, in base al disposto del citato comma 10, sono a carico dei produttori e degli utilizzatori, in linea con i criteri di priorità nella gestione rifiuti: i costi per il riutilizzo o la ripresa degli imballaggi secondari e terziari usati; i costi per la gestione degli imballaggi secondari e terziari; almeno l'80% dei costi relativi ad una serie di servizi tra i quali, in particolare, la raccolta differenziata; i costi del successivo trasporto, nonché delle operazioni di cernita o di altre operazioni preliminari; i costi per il trattamento dei rifiuti di imballaggio; i costi per un'adeguata attività di informazione ai detentori di rifiuti sulle misure di prevenzione e di riutilizzo, sui sistemi di ritiro e di raccolta dei rifiuti anche al fine di prevenire la dispersione degli stessi; i costi relativi alla raccolta e alla comunicazione dei dati sui prodotti immessi sul mercato nazionale, sui rifiuti raccolti e trattati, e sui quantitativi recuperati e riciclati.
In relazione alla nomina del succitato esperto indipendente viene stabilito che lo stesso è scelto congiuntamente dalle parti o, in mancanza, nominato dal Ministero dell'ambiente e della sicurezza energetica (MASE).
Il comma 10-bis dispone inoltre che, ai fini del riparto in questione, le parti concludono un accordo relativo a ciascun materiale d'imballaggio nel rispetto dei principi di proporzionalità, efficienza e tutela della concorrenza e lo trasmettono al MASE, che può richiedere modificazioni e integrazioni entro 60 giorni.
Il comma 10-bis stabilisce altresì che:
- ferma l'efficacia degli accordi sottoscritti, qualora un accordo non sia raggiunto entro 120 giorni dall'entrata in vigore della disposizione in esame, il MASE invita le parti a concluderlo entro 60 giorni, decorsi inutilmente i quali provvede direttamente d'intesa con il Ministro delle imprese e del made in Italy;
- resta fermo l'obbligo dei sistemi autonomi di organizzare la loro attività con riferimento all'intero territorio nazionale ai sensi del comma 3, lettere a) e c), dell’art. 221 del Codice e si applica in ogni caso quanto previsto – relativamente alla copertura dei costi di raccolta e di gestione dei rifiuti di imballaggio al servizio pubblico di raccolta differenziata – dall'art. 224, comma 5-ter, del Codice (come riscritto dalla lettera a-ter) seguente, a cui si rinvia).
Si fa notare che le disposizioni recate dal nuovo comma 10-bis sembrano finalizzate a colmare l’assenza – sottolineata dal Consiglio di Stato nella sentenza n. 10993/2022 – di “un meccanismo di ripartizione tra gli operatori di mercato dei costi netti degli obblighi di servizio pubblico” e paiono quindi giustificate dalla “esigenza di non compromettere un sistema (quello consortile) che da sempre garantisce nell’interesse pubblico il raggiungimento degli obiettivi ambientali attraverso la prestazione universale del servizio”.
La lettera a-ter), inserita in sede referente, reca modifiche alla disciplina del CONAI contenuta nell’art. 224 del Codice dell’ambiente (D.Lgs. 152/2006).
Il numero 1) della lettera in esame modifica il comma 3 dell’art. 224, che elenca le funzioni attribuite al CONAI. In particolare la modifica interviene sulla lettera n) di tale comma 3, che nel testo vigente attribuisce al CONAI il compito di acquisire – da enti pubblici o privati, nazionali o esteri – i dati relativi ai flussi degli imballaggi in entrata e in uscita dal territorio nazionale e i dati degli operatori economici coinvolti.
La modifica recata dalla disposizione in esame è volta ad ampliare l’ambito di applicazione della lettera n) citata, precisando che i dati in questione:
- devono essere acquisiti anche dagli operatori economici, anche se non consorziati;
- non si riferiscono ai flussi degli imballaggi in entrata e in uscita dal territorio nazionale ma ai flussi di imballaggi trasferiti sul territorio nazionale, compresi quelli di provenienza o destinazione transfrontaliere.
Si ha quindi un ampliamento del campo di applicazione al fine di estendere la rilevazione dei dati in questione ad una platea più vasta di soggetti e ad ulteriori tipologie di flussi, includendo nella rilevazione medesima non solo i flussi in entrata e in uscita ma anche i flussi nazionali, cioè quelli che avvengono all’interno del territorio italiano.
In virtù di tali ampliamenti, nella parte finale della lettera n) – ove si prevede anche l’acquisizione dei dati degli operatori economici coinvolti – viene conseguentemente sostituita l’espressione “operatori economici coinvolti” con la più generica “soggetti coinvolti”, al fine di far riferimento a tutti i possibili soggetti e non solo agli operatori economici.
Il numero 2) della lettera in esame riscrive il primo periodo del comma 5-ter dell’art. 224 del Codice.
Il testo vigente del citato periodo dispone che l’accordo di programma quadro ANCI-CONAI (v. infra) stabilisce che i produttori e gli utilizzatori che aderiscono ad un sistema autonomo o ad un c.d. consorzio di filiera assicurano la copertura dei costi di raccolta e di gestione dei rifiuti di imballaggio da loro prodotti e conferiti al servizio pubblico di raccolta differenziata.
La riscrittura in esame è volta a precisare che la copertura di tali costi deve essere assicurata in ogni caso, ivi compreso il caso in cui gli obiettivi di recupero e riciclaggio siano stati conseguiti o superati (e non “possono essere conseguiti”, come prevede il testo vigente) attraverso la raccolta su superfici private.
Tale riscrittura sembra finalizzata a chiarire e rafforzare quanto già previsto dal testo vigente.
Le disposizioni nazionali in materia di gestione degli imballaggi e dei rifiuti di imballaggi – adottate in recepimento della normativa europea – sono contenute nel titolo II della parte IV del Codice dell’ambiente (D.Lgs. 152/2006), che comprende gli articoli da 217 a 226-quater.
La disciplina recata dal titolo in questione prevede che “i produttori e gli utilizzatori sono responsabili della corretta ed efficace gestione ambientale degli imballaggi e dei rifiuti di imballaggio riferibili ai propri prodotti definiti in proporzione alla quantità di imballaggi immessi sul mercato nazionale. Ai produttori e agli utilizzatori è attribuita la responsabilità finanziaria o quella finanziaria e organizzativa della gestione della fase del ciclo di vita in cui il prodotto diventa un rifiuto” (art. 221, comma 1, del Codice).
La medesima disciplina prevede, tra l’altro, l’obbligo, per i produttori e gli utilizzatori di imballaggi, del ritiro dei rifiuti di imballaggio primari o comunque conferiti al servizio pubblico della stessa natura e raccolti in modo differenziato. A tal fine, anche e soprattutto per garantire il necessario raccordo con l'attività di raccolta differenziata organizzata dalle pubbliche amministrazioni, i produttori e gli utilizzatori sono tenuti (ai sensi dell’art. 221, comma 2, del Codice), in via generale a partecipare al Consorzio nazionale imballaggi (CONAI).
Si ricorda in proposito che, in base alle definizioni recate dall’art. 218, comma 1, lettere r) ed s), con il termine «produttori» si fa riferimento a “i fornitori di materiali di imballaggio, i fabbricanti, i trasformatori e gli importatori di imballaggi vuoti e di materiali di imballaggio”, mentre gli «utilizzatori» sono “i commercianti, i distributori, gli addetti al riempimento, gli utenti di imballaggi e gli importatori di imballaggi pieni”.
L’art. 221 del Codice dispone inoltre, al comma 3, che per adempiere agli obblighi di riciclaggio e di recupero nonché agli obblighi della ripresa degli imballaggi usati e della raccolta dei rifiuti di imballaggio secondari e terziari su superfici private, e con riferimento all'obbligo del ritiro, su indicazione del CONAI, dei rifiuti di imballaggio conferiti dal servizio pubblico, i produttori possono alternativamente:
a) organizzare autonomamente, anche in forma collettiva, la gestione dei propri rifiuti di imballaggio sull'intero territorio nazionale;
b) aderire ad uno dei c.d. consorzi di filiera disciplinati dall’art. 223;
L’art. 223 del Codice dispone infatti che i produttori che non provvedono ai sensi dell'articolo 221, comma 3, lettere a) e c), costituiscono un Consorzio per ciascun materiale di imballaggio di cui all'allegato E alla parte IV del medesimo Codice, operante su tutto il territorio nazionale. Ai Consorzi possono partecipare i recuperatori, ed i riciclatori che non corrispondono alla categoria dei produttori, previo accordo con gli altri consorziati ed unitamente agli stessi.
c) attestare sotto la propria responsabilità che è stato messo in atto un sistema di restituzione dei propri imballaggi, mediante idonea documentazione che dimostri l'autosufficienza del sistema.
Degna di nota anche la disposizione recata dall’art. 221, comma 10, che individua i costi a carico dei produttori e degli utilizzatori. In particolare la lettera c) di tale comma dispone che è a carico di tali soggetti almeno l'80% dei costi relativi ai servizi di cui all'articolo 222, comma 1, lettera b), del Codice, tra i quali si ricorda in particolare il servizio di raccolta differenziata.
Come evidenziato nella relazione al bilancio CONAI 2023, ai sensi della vigente normativa (v. art. 224, commi 5 e ss., del Codice) “CONAI e i sistemi autonomi promuovono un accordo di programma quadro su base nazionale con l'Associazione Nazionale Comuni Italiani (ANCI), con l'Unione delle Province d'Italia (UPI) o con gli Enti di gestione di Ambito territoriale ottimale, al fine di garantire la copertura dei costi derivanti dai servizi di raccolta differenziata, di trasporto, di operazioni di cernita e di altre operazioni preliminari dei rifiuti di imballaggio, nonché le modalità di raccolta degli stessi rifiuti ai fini delle attività di riciclaggio e di recupero. L'accordo di programma è costituito da una parte generale e dai relativi allegati tecnici per ciascun materiale di imballaggio ed è sottoscritto anche dai Consorzi di filiera”.
Nella sezione “Accordo quadro ANCI CONAI” del sito web del CONAI viene evidenziato che “l’Accordo Quadro ANCI-CONAI è lo strumento, previsto […] dal D.Lgs 152/06, attraverso il quale il sistema consortile garantisce ai Comuni italiani la copertura degli oneri sostenuti per fare le raccolte differenziate dei rifiuti di imballaggi. […] Operativamente, ciascun Comune che ha attivato la raccolta differenziata dei rifiuti di imballaggio di un materiale, sottoscrivendo la relativa convenzione, si impegna a conferire i rifiuti di imballaggio al Consorzio di Filiera, secondo le modalità riportate nell’Allegato Tecnico (all’accordo, n.d.r.) relativo. Parallelamente, il Consorzio di Filiera si impegna a ritirare il materiale e garantirne il successivo avvio a riciclo. Il Consorzio di Filiera si impegna, inoltre, a garantire il riconoscimento di corrispettivi, variabili in funzione della quantità e della qualità del materiale conferiti, che costituiscono gli oneri della raccolta differenziata”.
Si fa notare che, in seguito alle modifiche operate dal D.Lgs. 116/2020, l’accordo di programma quadro non è stipulato solamente dal CONAI (come prevedeva il testo precedente) ma anche dai sistemi autonomi. Il testo oggi vigente prevede quindi che “CONAI ed i sistemi autonomi di cui all'articolo 221, comma, 3 lettere a) e c) promuovono e stipulano un accordo di programma quadro […] su base nazionale tra tutti gli operatori del comparto di riferimento, intendendosi i sistemi di responsabilità estesa del produttore operanti, con l'Associazione nazionale Comuni italiani (ANCI), con l'Unione delle province italiane (UPI) o con gli Enti di gestione di Ambito territoriale ottimale”.
Nella succitata relazione al bilancio viene ricordato che, per ciascun materiale di imballaggio, CONAI determina e pone “a carico dei consorziati […] il contributo denominato Contributo Ambientale CONAI” (v. art. 224, comma 3, lettera h), del Codice) “che rappresenta la forma caratteristica di finanziamento con cui si ripartiscono – tra produttori e utilizzatori aderenti – gli oneri di competenza relativi alla raccolta differenziata, nonché al recupero e riciclaggio degli imballaggi”.
Si ricorda inoltre che il testo vigente del comma 5-ter dell’art. 224 (introdotto dall’art. 25-bis, comma 1, del D.L. 30 aprile 2022, n. 36, e modificato dalle disposizioni in esame) dispone che l’accordo di programma quadro succitato “stabilisce che i produttori e gli utilizzatori che aderiscono ad un sistema autonomo di cui all'articolo 221, comma 3, lettere a) e c), ovvero ad uno dei consorzi di cui all'articolo 223 assicurano la copertura dei costi di raccolta e di gestione dei rifiuti di imballaggio da loro prodotti e conferiti al servizio pubblico di raccolta differenziata anche quando gli obiettivi di recupero e riciclaggio possono essere conseguiti attraverso la raccolta su superfici private. Per adempiere agli obblighi di cui al precedente periodo, i produttori e gli utilizzatori che aderiscono ai sistemi di cui all'articolo 221, comma 3, lettere a) e c), possono avvalersi dei consorzi di cui all'articolo 223 facendosi carico dei costi connessi alla gestione dei rifiuti di imballaggio sostenuti dai consorzi medesimi”.
Articolo 5
(Misure urgenti per la promozione di politiche di sostenibilità ed economia circolare nell’ambito della realizzazione degli interventi infrastrutturali)
L’articolo 5 apporta alcune modifiche al decreto-legge n. 109 del 2018 che aveva introdotto, tra l’altro, delle disposizioni urgenti per la città di Genova, prevedendo la nomina di un Commissario straordinario in conseguenza del crollo di un tratto del viadotto Polcevera dell'autostrada A10, nel Comune di Genova, noto come ponte Morandi, al fine di garantire, in via d'urgenza, le attività per la demolizione, la rimozione, lo smaltimento e il conferimento in discarica dei materiali di risulta, nonché per la progettazione, l'affidamento e la ricostruzione dell'infrastruttura e il ripristino del connesso sistema viario.
A tale riguardo, inoltre, si ricorda come l'articolo 9-bis del sopra citato decreto-legge prevedeva che il Commissario straordinario adottasse, su proposta dell'Autorità di sistema portuale del Mar Ligure occidentale, un programma straordinario di investimenti urgenti per la ripresa e lo sviluppo del porto e delle relative infrastrutture di accessibilità e per il collegamento intermodale dell'aeroporto Cristoforo Colombo con la città di Genova nonché per la messa in sicurezza idraulica e l'adeguamento alle norme in materia di sicurezza dei luoghi di lavoro, da realizzare a cura della stessa Autorità di sistema.
Il comma 1-bis del medesimo articolo 9-bis, al fine di consentire i necessari lavori di messa in sicurezza e di adeguamento idraulico del rio Molinassi e del rio Cantarena, di adeguamento alle norme in materia di sicurezza dei luoghi di lavoro, nonché di razionalizzazione dell'accessibilità dell'area portuale industriale di Genova Sestri Ponente, stabiliva che il Commissario straordinario provvedesse all'aggiornamento del programma di cui al comma 1 del medesimo articolo 9-bis.
Il comma 1-ter, infine, attribuiva al Commissario straordinario di cui all'articolo 1 i compiti relativi al coordinamento e al monitoraggio delle attività dei soggetti attuatori relativi al Tunnel sub-portuale e alla Diga foranea di Genova.
Tanto premesso l’articolo in commento, al fine di promuovere politiche di sostenibilità ed economia circolare, incentivando operazioni di recupero e di riutilizzo dei materiali di prossimità provenienti dalla realizzazione degli interventi relativi al Tunnel sub-portuale e alla Diga foranea di Genova di cui al comma 1-ter, nonché, sulla base delle modifiche apportate nel corso dell’esame del provvedimento in sede referente, dei materiali di dragaggio dei Porti di La spezia e Marina di Carrara, anche al fine di assicurare il contenimento dei relativi costi di smaltimento, prevede, al nuovo comma 1-quater, che il Commissario straordinario adotta il Programma per la gestione integrata e circolare dei materiali che ne garantisca il miglior utilizzo.
Tale Programma è destinato all’utilizzo dei seguenti materiali:
Ø dei materiali provenienti dal dragaggio ed escavo delle aree portuali, periportuali e marino costiere, che non ricadono nei siti di interesse nazionale;
Ø di inerti, materiali geologici inorganici e manufatti ai sensi dell’articolo 109, comma 1, lettera b), del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152;
Ø di sottoprodotti che soddisfano le condizioni e i criteri di cui all'articolo 184-bis del codice ambientale;
Ø di inerti e materiali geologici inorganici di cui possa avvenire la cessazione della qualifica di rifiuto a seguito di un'operazione di recupero, incluso il riciclaggio.
A seguito delle modifiche apportate in sede referente, vengono compresi anche i materiali geologici naturali o inorganici, idonei in termini di caratteristiche qualitative e granulometriche, derivanti da scavi in roccia oppure dall’escavo di substrati naturali appartenenti all’originale litorale o al fondale sottostante di pertinenza demaniale.
Sempre in base alle modifiche introdotte in sede referente, si prevede che le modalità e i termini per il conferimento e il riutilizzo dei materiali e dei rifiuti provenienti dalle operazioni di dragaggio dei Porti di La Spezia e Marina di Carrara sono definite mediante la sottoscrizione di uno specifico accordo tra l’Autorità di sistema portuale del Mar Ligure occidentale e l’Autorità di Sistema Portuale del Mar Ligure Orientale.
Al comma 1-quinquies si definiscono i contenuti del Programma, prevedendo che lo stesso contenga, per ciascuno degli interventi di cui al comma 1-ter, un cronoprogramma delle attività finalizzate al recupero e al riutilizzo dei materiali provenienti dalla realizzazione degli interventi, con l’indicazione dei quantitativi massimi di materiali di cui è previsto il riutilizzo, suddivisi per opera, tipologia di materiale e caratteristiche, nonché le dichiarazioni di conformità di ciascun produttore, detentore o utilizzatore dei materiali attestanti il rispetto delle condizioni elencate al comma 1-quater.
Al fine di introdurre una ulteriore semplificazione amministrativa per le operazioni di recupero e di riutilizzo dei materiali di prossimità provenienti dalla realizzazione degli interventi relativi al Tunnel sub-portuale e alla Diga foranea di Genova previsti nel Programma, al comma 1-sexies si stabilisce che l’adozione del Programma sostituisce tutte le autorizzazioni, intese, concessioni, licenze, pareri, concerti, nulla osta e assensi comunque denominati, necessari alla realizzazione degli interventi contenuti nel medesimo Programma.
Il comma 1-septies, infine, introduce la clausola di invarianza finanziaria della disposizione in commento.
Articolo 5-bis
(Valori limite di ammissibilità dei rifiuti da collocare in discarica)
L’articolo 5-bis, introdotto durante l'esame in sede referente, differisce (al comma 1) i termini di applicazione di alcune deroghe previste dal decreto legislativo n. 36/2003 per il conferimento dei rifiuti in discarica. Il comma 2 disciplina la decorrenza dell’efficacia dei citati differimenti nonché le richieste, da parte dei titolari degli impianti di discarica interessati, di adeguamento delle autorizzazioni in essere.
Il comma 1 dell’articolo in esame modifica le lettere c) e c-bis) del comma 1 dell’art. 16-ter del decreto legislativo 36/2003, che prevede alcune deroghe (e i limiti temporali di applicazione delle stesse) ai parametri prescritti dal medesimo decreto per il conferimento dei rifiuti in discarica.
Le modifiche in esame intervengono sui termini temporali di applicazione delle deroghe in questione.
Il testo vigente delle lettere c) e c-bis) del comma 1 dell’art. 16-ter del D.Lgs. 36/2003 (recante “Attuazione della direttiva 1999/31/CE relativa alle discariche di rifiuti”), prevede che, per il conferimento in discarica, sono ammessi valori limite più elevati per i parametri specifici fissati dal medesimo decreto qualora:
c) fino al 30 giugno 2022 (tale termine finale viene differito al 31 dicembre 2027), i valori limite autorizzati per la specifica discarica non superino, per più del triplo, quelli specificati per la corrispondente categoria di discarica e, limitatamente al valore limite relativo al parametro TOC nelle discariche per rifiuti inerti, il valore limite autorizzato non superi, per più del doppio, quello specificato per la corrispondente categoria di discarica;
c-bis) a partire dal 1° luglio 2022 (tale termine iniziale viene differito al 1° gennaio 2028) i valori limite autorizzati per la specifica discarica non superino, per più del doppio, quelli specificati per la corrispondente categoria di discarica e, limitatamente al valore limite relativo al parametro TOC nelle discariche per rifiuti inerti, il valore limite autorizzato non superi, per più del 50%, quello specificato per la corrispondente categoria di discarica.
Si fa notare che il comma 1 precisa che i differimenti da esso previsti sono operati in conformità alla decisione del Consiglio del 19 dicembre 2022, n. 2003/33/CE, con cui sono stati stabiliti criteri e procedure per l'ammissione dei rifiuti nelle discariche (v. infra).
In relazione alla disposizione recata dall’articolo 16-ter (sulla quale interviene il comma in esame), si ricorda che lo stesso è stato introdotto nel testo del decreto legislativo 36/2003 dall'art. 1, comma 1, lett. q), del D.Lgs. 3 settembre 2020, n. 121, recante “Attuazione della direttiva (UE) 2018/850, che modifica la direttiva 1999/31/CE relativa alle discariche di rifiuti”. Nel dare attuazione alla nuova direttiva sulle discariche, il decreto correttivo n. 121/2020 ha altresì provveduto a trasporre all’interno del D.Lgs. 36/2003 le disposizioni recate dal D.M. 27 settembre 2010 (recante “Definizione dei criteri di ammissibilità dei rifiuti in discarica…”), che è stato conseguentemente abrogato dal medesimo decreto correttivo.
In particolare, la condizione c) del comma 1 dell’art. 16-ter è stata introdotta per trasporre nel D.Lgs. 36/2003 la deroga già prevista, ma senza alcun limite temporale finale di applicazione, dall’art. 10, comma 1, lettera c), del citato D.M.
Al fine di allinearsi all’obiettivo di rafforzare la riduzione dello smaltimento in discarica, perseguito dalla direttiva (UE) 2018/850[14], nel trasporre la citata deroga, è stato introdotto nel testo della lettera c) il termine del 30 giugno 2022 quale limite finale di applicazione della stessa. È stata inoltre inserita una nuova lettera c-bis) al fine di prevedere, a decorrere dal 1° luglio 2022, condizioni più stringenti (rispetto a quelle previste dalla lettera c)) per l’applicazione della deroga.
Come evidenziato dal Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica (MASE) nel parere trasmesso con la nota n. 182253 dell’8 ottobre 2024, di risposta all’interpello formulato dalla Regione Lazio, “con riferimento alla disciplina delle deroghe per i criteri di ammissibilità dei rifiuti in discarica la normativa nazionale, fino all’entrata in vigore del decreto legislativo n. 121 del 2020, risultava perfettamente sovrapponibile alla decisione 2003/33/CE (si vedano i testi del punto 2 dell’allegato alla decisione e dell’art. 10, comma 1, lettera c), del D.M. 27 settembre 2010, n.d.r.)”, la quale, nel prevedere la possibilità delle deroghe in questione “non individua limiti temporali” per la loro applicazione. Sempre secondo il MASE “con l’introduzione dell’articolo 16-ter al decreto legislativo 13 gennaio 2003, n. 36, avvenuta ad opera del decreto legislativo 3 settembre 2020, n. 121 recante disposizioni per l’attuazione della direttiva (UE) 2018/850, il legislatore ha previsto un regime derogatorio più restrittivo rispetto alla sopra richiamata Decisione del Consiglio, in termini di valori limite di ammissibilità, per taluni parametri, introducendo altresì alcune scadenze temporali”.
Secondo tale ricostruzione, la mancata previsione di limiti temporali da parte della decisione 2003/33/CE fa sì che il differimento previsto dal comma in esame sia conforme alle disposizioni di tale decisione.
Secondo quanto evidenziato dalla Regione Lazio nell’istanza di interpello, l’articolo 16-ter, introdotto dal D.Lgs. 121/2020, “fa sì che molti rifiuti attualmente abbancati nelle discariche per inerti non possano più essere conferiti in tale tipo di discariche. In questo contesto, ricorre l’esempio dei rifiuti inerti derivanti dagli scavi della Metropolitana Linea C di Roma, che finirebbero con il dover essere conferiti presso discariche per rifiuti non pericolosi sul territorio, attualmente in numero esiguo e per le quali l’iter tecnico-amministrativo autorizzatorio, o di trasformazione delle discariche per rifiuti inerti in discariche per rifiuti non pericolosi è indubbiamente lungo e complesso. Tali rifiuti, solo per maggiore informazione, consistono in terre e rocce da scavo con valori di parametri (arsenico, metalli etc.) superiori a due volte i limiti di concentrazione per l’ammissibilità in discarica per inerti. Un aggravio di problematiche potrebbe verificarsi per i progetti del PNRR e/o per quelli legati al Giubileo 2025, con rilevanti ricadute sul processo produttivo-economico, sia delle società del settore, che sul loro indotto economico-occupazionale”.
Il comma 2 disciplina la decorrenza dell’efficacia dei differimenti previsti dal comma precedente nonché le richieste, da parte dei titolari degli impianti di discarica interessati, di adeguamento delle autorizzazioni in essere.
Il primo periodo del comma in esame stabilisce che le disposizioni introdotte dal comma precedente si applicano a decorrere dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto.
Entro i successivi 180 giorni – in base al disposto del secondo periodo del comma in esame – i titolari degli impianti di discarica, in possesso di autorizzazioni concesse ai sensi dell'art. 16-ter del D.Lgs. 36/2003 e in corso di validità alla data di cui al primo periodo, possono richiederne l'adeguamento ai valori limite del suddetto art. 16-ter.
Si fa notare che – come evidenziato dal MASE nel parere richiamato in precedenza – “deve ritenersi che le autorizzazioni già rilasciate alla data del 29 settembre 2020, data di entrata in vigore del decreto legislativo n. 121 del 2020, restino valide fino a loro rinnovo, riesame con valenza di rinnovo o modifica sostanziale. Da ultimo, considerato il tempo trascorso dal 1° luglio 2022, data indicata per la decorrenza dei nuovi limiti al regime derogatorio in esame, resta inteso che le autorizzazioni rilasciate a partire da tale data devono rispondere ai parametri indicati dalla lettera c-bis), comma 1, dell’articolo 16-ter del decreto legislativo n. 36 del 2003 nonché delle ulteriori condizioni previste dallo stesso articolo”. A tali ultime autorizzazioni sembra applicarsi la disposizione recata dal secondo periodo del comma in esame.
Articolo 6
(Misure urgenti in materia di bonifica)
L’articolo 6 introduce, al comma 1, misure di semplificazione e accelerazione per l’attuazione degli interventi previsti dal Piano d’azione per la riqualificazione dei siti orfani, volte a valorizzare il rapporto tra il proponente e l’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente (ARPA) territorialmente competente e a consentire l’approvazione congiunta da parte dell’autorità competente dei risultati delle indagini di caratterizzazione, dell’analisi di rischio sanitario ambientale sito-specifica, ove occorrente, e del progetto degli interventi. Al comma 2 si dispone che per lo svolgimento delle attività analitiche propedeutiche alla definizione dei valori di fondo l’ARPA territorialmente competente può avvalersi dei laboratori di altri soggetti. Il comma 3 estende l’applicazione del procedimento che occorre seguire per determinare i valori di fondo relativi ai siti ove le concentrazioni rilevate superino le CSC anche alle acque sotterranee e non solo al suolo e al sottosuolo.
Il comma 1 stabilisce che agli interventi previsti dal Piano d’azione per la riqualificazione dei siti orfani, adottato con decreto del Ministro della transizione ecologica 4 agosto 2022 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 239 del 12 ottobre 2022), in attuazione della Missione 2, Componente 4, Investimento 3.4, del PNRR, si applicano le seguenti disposizioni:
a) in deroga all’art. 242, comma 3, del D. Lgs. n. 152/2006 (Codice dell’ambiente), il piano di caratterizzazione di cui al medesimo articolo 242, comma 3, è concordato con l’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente (ARPA) territorialmente competente che si pronuncia entro il termine di trenta giorni dalla richiesta del proponente, eventualmente stabilendo particolari prescrizioni. In caso di mancata pronuncia nei termini di cui al primo periodo da parte dell’ARPA territorialmente competente, il piano di caratterizzazione è concordato con l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA), che si pronuncia entro e non oltre i quindici giorni successivi su segnalazione del proponente;
Il PNRR destina un finanziamento di 500 milioni di euro per la bonifica dei siti orfani, con il target, fissato al primo trimestre del 2026, di riqualificare almeno il 70% della superficie del suolo dei siti orfani al fine di ridurre l’occupazione del terreno e migliorare il risanamento urbano.
Si ricorda che per sito orfano si intende un sito potenzialmente contaminato in cui non è stato avviato o si è concluso il procedimento di cui all’art. 244 del D. Lgs. n. 152/2006, o di cui all’art. 8 del D.M. 25 ottobre 1999, n. 471, per il quale il responsabile dell’inquinamento non è individuabile o non provvede agli adempimenti previsti dal titolo V, parte quarta, del medesimo decreto legislativo, o a quelli previsti dal D.M. 1° marzo 2019, n. 46, e non provvede il proprietario del sito né altro soggetto interessato; ovvero un sito rispetto al quale i soggetti di cui agli articoli 242 e 245 del D. Lgs. n. 152/006, dopo avere attivato le procedure previste dal titolo V, parte quarta, del medesimo decreto legislativo, non concludono le attività e gli interventi. Per caratterizzazione di un sito contaminato, come indicato nell’Allegato 2 al titolo V della parte quarta del D. Lgs. 152/2006, si intende l'insieme delle attività che permettono di ricostruire i fenomeni di contaminazione a carico delle matrici ambientali, in modo da ottenere le informazioni di base su cui prendere decisioni realizzabili e sostenibili per la messa in sicurezza e/o bonifica del sito.
Il comma 3 dell’art. 242 del D. Lgs. n. 152/2006 – oggetto di deroga da parte della disposizione in commento – prevede che qualora l'indagine preliminare di cui al comma 2 accerti l'avvenuto superamento delle concentrazioni soglia di contaminazione (CSC) anche per un solo parametro, il responsabile dell'inquinamento ne dà immediata notizia al comune ed alle province competenti per territorio con la descrizione delle misure di prevenzione e di messa in sicurezza di emergenza adottate. Nei successivi trenta giorni, presenta alle predette amministrazioni, nonché alla regione territorialmente competente il piano di caratterizzazione con i requisiti di cui all'Allegato 2 alla parte quarta del presente decreto. Entro i trenta giorni successivi la regione, convocata la conferenza di servizi, autorizza il piano di caratterizzazione con eventuali prescrizioni integrative. L'autorizzazione regionale costituisce assenso per tutte le opere connesse alla caratterizzazione, sostituendosi ad ogni altra autorizzazione, concessione, concerto, intesa, nulla osta da parte della pubblica amministrazione.
La relazione illustrativa segnala che con la disposizione di semplificazione in questione “si eliminano i tempi della conferenza di servizi, valorizzando il rapporto diretto prettamente tecnico del proponente con l’Agenzia e si qualifica espressamente come perentorio il termine di valutazione del piano di caratterizzazione da parte dell’Agenzia”.
b) i risultati delle indagini di caratterizzazione, dell’analisi di rischio sanitario ambientale sito-specifica, ove occorrente, nonché il progetto degli interventi possono essere approvati congiuntamente dall’autorità competente.
La relazione illustrativa evidenzia che tale disposizione deroga “alla sequenza procedimentale di cui all’art. 242 del D. Lgs. n. 152/2006 (composta da distinti procedimenti da svolgersi in conferenza di servizi per l’approvazione rispettivamente del piano di caratterizzazione, dell’analisi di rischio e del progetto di bonifica)” in quanto “i risultati delle indagini di caratterizzazione, dell’analisi di rischio sanitario ambientale sito-specifica ove applicabile, nonché il progetto degli interventi, possono essere approvati congiuntamente dall’Autorità competente in un unico segmento procedimentale” e che “la scelta di intervenire d’urgenza è motivata in ragione dell’approssimarsi del termine per il raggiungimento del target EU M2C4-25 che è fissato al primo trimestre del 2026”.
Il comma 2 dispone che per lo svolgimento delle attività analitiche propedeutiche alla definizione dei valori di fondo di cui all’art. 242, comma 13-ter, del D. Lgs. n. 152/2006 e all’accertamento ai sensi dell’art. 248, comma 2, l’ARPA territorialmente competente può avvalersi dei laboratori di altri soggetti appartenenti al sistema nazionale a rete per la protezione dell’ambiente (SNPA), di enti di ricerca ovvero di laboratori privati accreditati ai sensi della normativa vigente, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.
Il comma 13-ter dell’art. 242 del D. Lgs. n. 152/2006 stabilisce che qualora la procedura interessi un sito in cui, per fenomeni di origine naturale o antropica, le concentrazioni rilevate superino le CSC di cui alle colonne A e B della tabella 1 dell’allegato 5 al titolo V della parte quarta, il proponente può presentare all’ARPA territorialmente competente un piano di indagine per definire i valori di fondo da assumere. Tale piano, condiviso con l’ARPA territorialmente competente, è realizzato dal proponente con oneri a proprio carico, in contraddittorio con la medesima ARPA, entro sessanta giorni dalla data di presentazione dello stesso. Il piano di indagine può fare riferimento anche ai dati pubblicati e validati dall’ARPA territorialmente competente relativi all’area oggetto di indagine. Sulla base delle risultanze del piano di indagine, l’ARPA territorialmente competente definisce i valori di fondo. È fatta comunque salva la facoltà dell’ARPA territorialmente competente di esprimersi sulla compatibilità delle CSC rilevate nel sito con le condizioni geologiche, idrogeologiche e antropiche del contesto territoriale in cui esso è inserito.
Ai sensi del comma 2 dell’art. 248 del D. Lgs. 152/2006, come da ultimo modificato dal D.L. n. 77/2021, il completamento degli interventi di bonifica, di messa in sicurezza permanente e di messa in sicurezza operativa, nonché la conformità degli stessi al progetto approvato sono accertati dalla provincia mediante apposita certificazione sulla base di una relazione tecnica predisposta dall'ARPA territorialmente competente. Qualora la Provincia non provveda a rilasciare tale certificazione entro trenta giorni dal ricevimento della relazione tecnica provvede, nei successivi sessanta giorni, la Regione, previa diffida ad adempiere nel termine di trenta giorni.
Secondo la relazione illustrativa, tale disposizione “appare necessaria al fine di incrementare il know-how dei soggetti deputati alle predette attività di analisi, nel contesto delle procedure di risanamento ambientale”.
Il comma 3 apporta alcune modificazioni puntuali al titolo V della parte quarta del D. Lgs. n. 152/2006. In particolare:
· all’art. 242, comma 13-ter, novella il primo periodo – che reca la disciplina del procedimento che occorre seguire per determinare i valori di fondo relativi ai siti ove le concentrazioni rilevate superino le CSC per via di fenomeni di origine naturale o antropica – al fine di estendere l’applicazione del suddetto procedimento anche alle acque sotterranee e non solo al suolo e al sottosuolo, rinviando non solo alla tabella 1 (come previsto attualmente) dell’allegato 5 alla parte quarta del D. lgs. n. 152/2006 ma anche alla tabella 2 (recante “Concentrazione soglia di contaminazione nelle acque sotterranee”);
· all’art. 242, comma 13-ter, sostituisce, al quinto e al sesto periodo, l’espressione CSC (“concentrazioni soglia di contaminazione”) con la parola “concentrazioni” in quanto (come chiarito dalla relazione illustrativa) la norma fa riferimento a concentrazioni effettivamente rilevate, mentre le CSC sono valori soglia determinati in astratto;
· novella l’articolo 244, comma 2, al fine di precisare che gli oneri per le indagini svolte dalla provincia per identificare il responsabile dell’evento di superamento dei valori di concentrazione soglia di contaminazione sono a carico di quest’ultimo;
· introduce il comma 4-bis dell’art. 242 il quale prevede che le province si avvalgono delle ARPA nello svolgimento delle attività di cui all’art. 244.
Articolo 7
(Istituzione della struttura di supporto al commissario straordinario per il sito di interesse nazionale di Crotone-Cassano e Cerchiara)
L’articolo 7 fissa al 31 dicembre 2029 il termine entro cui realizzare la progettazione e l’attuazione degli interventi di bonifica e di riparazione del danno ambientale nel sito contaminato di interesse nazionale di Crotone-Cassano e Cerchiara e istituisce una struttura di supporto al commissario straordinario, composta da un contingente massimo di personale pari a cinque unità di livello non dirigenziale e una unità di livello dirigenziale.
Il comma 1 della disposizione in esame apporta le novelle all’art. 4-ter del D.L. n. 145/2013 di seguito illustrate.
La lettera a) modifica il secondo periodo del comma 1 al fine di fissare al 31 dicembre 2029 il termine entro cui realizzare la progettazione e l’attuazione degli interventi di bonifica e di riparazione del danno ambientale nel sito contaminato di interesse nazionale di Crotone.
Il sito di interesse nazionale di Crotone-Cassano e Cerchiara è stato perimetrato con D.M. 26 novembre 2002. Nella relazione illustrativa viene ricordato che “la regione Calabria, il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, la Presidenza del Consiglio dei ministri, l’Ufficio del Commissario Delegato per l’Emergenza Ambientale nel Territorio della regione Calabria presso la Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento della Protezione Civile hanno agito dinanzi al Tribunale di Milano nei confronti di Syndial S.p.A., oggi Eni Rewind S.p.A., per il risarcimento del danno ambientale relativo al sito di Pertusola Sud, a Crotone. Con sentenza n. 2536, pubblicata il 28 febbraio 2012, passata in giudicato, il Tribunale di Milano ha condannato Syndial S.p.A. (ora, Eni Rewind S.p.A.) al pagamento, in favore degli attori, in solido e complessivamente, di € 56.200.000,00, di cui € 46.200.000,00 a titolo di risarcimento del danno all’ambiente relativo alla c.d. “area archeologica”, non compresa negli interventi di ripristino ambientale previsti nel Piano Operativo di Bonifica (POB), e € 10.000.000,00 a titolo di risarcimento del c.d. danno ambientale residuo, legato al passato, oltre interessi compensativi e legali”. Sempre la relazione illustrativa ricorda che l’art. 4-ter del D.L. n. 145/2013 “ha destinato le somme liquidate con la citata sentenza all’attuazione degli interventi di bonifica e riparazione del danno ambientale nel sito di bonifica di interesse nazionale (SIN) di ‘Crotone, Cassano e Cerchiara’ prevedendo la nomina di un Commissario straordinario”, nominato con il D.P.C.M. 28 giugno 2016 nella persona della dott.ssa Elisabetta Belli, il cui mandato è poi scaduto in data 28 giugno 2018, ed è stata disposta l’istituzione di una contabilità speciale intestata al medesimo commissario. Con il D.P.C.M. 14 settembre 2023 è stato quindi nominato nuovo Commissario straordinario delegato a coordinare, accelerare e promuovere la realizzazione degli interventi di bonifica e riparazione del danno ambientale nel sito contaminato di interesse nazionale di Crotone-Cassano e Cerchiara il Prof. Gen. (ris.) Emilio Errigo, il quale – come rileva la relazione illustrativa – “ha manifestato la necessità di dotarsi di una struttura di supporto per l’esercizio delle funzioni commissariali da porre alle dirette dipendenze del Commissario”.
La lettera b) inserisce, al citato art. 4-ter, il comma 1-bis al fine di istituire una struttura di supporto al commissario straordinario, composta da un contingente massimo di personale pari a cinque unità di livello non dirigenziale e una unità di livello dirigenziale non generale, appartenenti ai ruoli delle amministrazioni pubbliche di cui all’art. 1, comma 2, del D. Lgs. n. 165/2001, con esclusione del personale docente, educativo, amministrativo, tecnico e ausiliario delle istituzioni scolastiche, nominati con decreto del Ministro dell’ambiente e della sicurezza energetica. Si prevede che, in relazione alle modalità di reperimento e alla retribuzione del personale non dirigenziale, si applica quanto previsto all’art. 11-ter, comma 3, del D.L. n. 44/2021.
All’atto del collocamento fuori ruolo del predetto personale, è reso indisponibile, per tutta la durata del collocamento fuori ruolo, un numero di posti nella dotazione organica dell’amministrazione di provenienza equivalente dal punto di vista finanziario. Ferme restando le modalità di reperimento di cui all’art. 11-ter, comma 3, del D.L. n. 44/2021, al personale di livello dirigenziale è riconosciuta la retribuzione di posizione in misura equivalente ai valori economici massimi attribuiti ai titolari di incarico dirigenziale di livello non generale della Presidenza del Consiglio dei ministri, nonché un’indennità sostitutiva della retribuzione di risultato, determinata con provvedimento del commissario straordinario, di importo non superiore al 50 per cento della retribuzione di posizione.
Viene previsto che il personale dirigenziale è posto, ai sensi dell’art. 17, comma 14, della L. n. 127/1997, in posizione di comando, distacco, fuori ruolo o altro analogo istituto previsto dai rispettivi ordinamenti, e conserva lo stato giuridico e il trattamento economico fondamentale dell'amministrazione di appartenenza, che resta a carico della medesima, mentre il trattamento accessorio è a carico esclusivo della struttura commissariale.
Sul punto, la relazione illustrativa evidenzia che con il rinvio all’art. 11-ter, comma 3, del D.L. 44/2021 si prevede che: il personale non dirigenziale della struttura di supporto sia in possesso delle competenze e dei requisiti di professionalità richiesti dal Commissario per l’espletamento delle proprie funzioni; sia posto in posizione di comando, distacco, fuori ruolo o altro analogo istituto previsto dai rispettivi ordinamenti, ai sensi dell’articolo 17, comma 14, della legge 15 maggio 1997, n. 127, in forza del quale “nel caso in cui disposizioni di legge o regolamentari dispongano l’utilizzazione presso le amministrazioni pubbliche di un contingente di personale in posizione di fuori ruolo o di comando, le amministrazioni di appartenenza sono tenute ad adottare il provvedimento di fuori ruolo o di comando entro quindici giorni dalla richiesta”; conservi lo stato giuridico e il trattamento economico fondamentale dell’amministrazione di appartenenza, che resta a carico della medesima; venga retribuito con il trattamento economico accessorio, ivi compresa l’indennità di amministrazione, del personale non dirigenziale del comparto della Presidenza del Consiglio dei ministri.
Il nuovo comma 1-bis del citato art. 4-ter dispone, inoltre, che:
§ in aggiunta al personale della struttura di supporto, il commissario può altresì nominare, con proprio provvedimento, fino a due esperti in materie tecniche e giuridiche;
§ la struttura cessa alla scadenza del termine di cui al comma 1, secondo periodo (ossia il 31 dicembre 2029).
L’ultimo periodo del nuovo comma 1-bis quantifica gli oneri di cui al medesimo comma, pari complessivamente a euro 76.060 per l’anno 2024 e a euro 456.358 annui per ciascuna delle annualità dal 2025 al 2029, e ne dispone la relativa copertura mediante corrispondente riduzione delle proiezioni dello stanziamento del fondo speciale di parte corrente iscritto, ai fini del bilancio triennale 2024-2026, nell’ambito del programma «Fondi di riserva e speciali» della missione «Fondi da ripartire» dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l’anno 2024, allo scopo parzialmente utilizzando l’accantonamento relativo al Ministero dell'ambiente e della sicurezza energetica.
Il comma 2 dell’articolo in esame, al primo periodo, attribuisce al commissario straordinario, a decorrere dalla data della relativa nomina e fino alla rideterminazione del compenso stabilito con D.P.C.M. 22 febbraio 2024, un compenso aggiuntivo, a titolo di parte fissa, fino al raggiungimento del compenso determinato nella misura massima di euro 50.000 annui lordi e, a titolo di parte variabile, strettamente correlata al raggiungimento degli obiettivi e al rispetto dei tempi di realizzazione degli interventi oggetto dell’incarico, fino a un massimo di euro 50.000 annui lordi.
La relazione illustrativa precisa che “tale compenso rientra nell’importo massimo di cui all’articolo 15, comma 3, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito con modificazioni dalla legge 11 luglio 2011, n. 111, previsto per il Commissario in esame ai sensi dell’articolo 4-ter, comma 1, del decreto-legge n. 135 del 2013”. Il comma 3 del citato art. 15 dispone che, a decorrere dal 1° gennaio 2012, il compenso dei commissari o sub commissari di cui al comma 2 è composto da una parte fissa e da una parte variabile. La parte fissa non può superare 50 mila euro, annui; la parte variabile, strettamente correlata al raggiungimento degli obiettivi ed al rispetto dei tempi di realizzazione degli interventi ricadenti nell'oggetto dell'incarico commissariale, non può superare 50 mila euro annui.
Il secondo periodo quantifica gli oneri di cui al primo periodo in 28.117 euro per l’anno 2024, e ne dispone la copertura mediante corrispondente riduzione dello stanziamento del fondo speciale di parte corrente iscritto, ai fini del bilancio triennale 2024-2026, nell’ambito del programma «Fondi di riserva e speciali» della missione «Fondi da ripartire» dello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze per l’anno 2024, allo scopo parzialmente utilizzando l’accantonamento relativo al Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica.
Articolo 8
(Disposizioni per il censimento e il monitoraggio degli interventi in materia di difesa del suolo)
L’articolo 8 prevede l’obbligo, per i soggetti attuatori degli interventi finanziati per mitigare il dissesto idrogeologico sul territorio nazionale, di alimentare il Repertorio nazionale degli interventi per la difesa del suolo (piattaforma ReNDiS), a prescindere dalla fonte di finanziamento, al fine di assicurare la completezza del quadro tecnico conoscitivo. Si prevede inoltre che i commissari di Governo, il Presidente della regione Valle d’Aosta e i Presidenti delle province autonome verifichino la tempestiva ed esaustiva alimentazione della banca dati delle pubbliche amministrazioni (BDAP).
Il comma 1 dell’articolo in esame stabilisce l’obbligo per i soggetti attuatori degli interventi finanziati per mitigare il dissesto idrogeologico sul territorio nazionale di alimentare tempestivamente il Repertorio nazionale degli interventi per la difesa del suolo (piattaforma ReNDiS, gestita dall’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale - ISPRA), a prescindere dalla fonte di finanziamento. Tale misura è volta ad assicurare la completezza del quadro tecnico conoscitivo. In caso di interventi finanziati e già censiti nella piattaforma ReNDiS, i soggetti attuatori inseriscono nella piattaforma stessa le informazioni tecniche, ove mancanti, relative a posizione geografica, tipologia del dissesto e delle opere, nonché agli elaborati progettuali degli interventi medesimi entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente disposizione.
L’art. 10 del D.L. 91/2014 ha disposto che, a decorrere dall'entrata in vigore del decreto-legge (8 agosto 2021), i Presidenti della regioni, di seguito denominati commissari di Governo per il contrasto del dissesto idrogeologico, subentrano relativamente al territorio di competenza nelle funzioni dei commissari straordinari delegati per il sollecito espletamento delle procedure relative alla realizzazione degli interventi di mitigazione del rischio idrogeologico individuati negli accordi di programma sottoscritti tra il Ministero dell'ambiente e le regioni; in merito, gli atti di programmazione e di finanziamento del Ministero dell'ambiente per il dissesto idrogeologico vengono in via preliminare proposti da regioni e province autonome, e selezionati secondo la procedura e i criteri stabiliti dal DPCM del 27 settembre 2021 (vedi infra) in base a criteri che tengono conto della pianificazione svolta dalle competenti Autorità di bacino distrettuali.
Il comma 2 prevede che i medesimi soggetti attuatori individuano gli eventuali interventi di difesa del suolo, a prescindere dalla fonte di finanziamento, che non risultano censiti nella piattaforma ReNDiS e ne trasmettono l'elenco, completo dei relativi codici unici di progetto (CUP), all’ISPRA, ai fini del tempestivo inserimento nella piattaforma.
Il comma 3 stabilisce che i Commissari di governo, il Presidente della regione Valle D'Aosta e i Presidenti delle province autonome verificano la tempestiva ed esaustiva alimentazione della Banca dati delle pubbliche amministrazioni prevista all’art. 2 del D. Lgs. 229/2011 e dei sistemi collegati.
Il comma 4 stabilisce che il DPCM 27 settembre 2021 sia adeguato alle suddette disposizioni, entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto-legge.
Con il DPCM 27 settembre 2021, in attuazione dell’art.10, comma 11, del D.L. 91/2014, vengono individuati i criteri, le modalità e le procedure per stabilire le priorità di attribuzione delle risorse agli interventi di mitigazione del rischio idrogeologico. I criteri di selezione e la sequenza di accertamento descritti non si applicano nel caso di interventi di manutenzione ordinaria.
Articolo 9, commi 1-3
(Programmazione e finanziamento degli interventi affidati ai Commissari di Governo per il contrasto del dissesto idrogeologico)
L’articolo 9, commi 1-3, prevede la priorità per l’inserimento nel Piano degli interventi di mitigazione del rischio idrogeologico di determinati progetti, finanziati dal Fondo per la progettazione degli interventi contro il dissesto idrogeologico, il cui inserimento è in ogni caso condizionato al rinnovo della valutazione positiva da parte della competente Autorità di bacino distrettuale. Si dispone poi sulla revoca delle risorse del Fondo per la progettazione degli interventi di mitigazione del rischio idrogeologico; sull’impignorabilità delle risorse delle contabilità speciali dei Commissari di Governo per il contrasto del dissesto idrogeologico; in merito alla destinazione delle eventuali economie di risorse derivanti dagli accordi di programma stipulati; sulla possibilità di nomina di un soggetto attuatore del Piano degli interventi e in merito alle ulteriori attribuzioni per i Commissari di Governo.
Modifiche alla disciplina sull’adozione del Piano degli interventi di mitigazione del rischio idrogeologico
Il comma 1 dell’articolo in esame modifica il comma 2 dell'articolo 7 del D.L. 133/2014 e provvede ad integrare il medesimo articolo 7 con l’aggiunta di ulteriori disposizioni.
La disciplina previgente del comma 2 dell’art. 7 del D.L. 133/2014, che viene novellata dall’articolo in esame, stabilisce la procedura per l’adozione del Piano degli interventi di mitigazione del rischio idrogeologico, anche per stralci, previa intesa con i Presidenti delle regioni e delle province autonome interessate agli interventi finanziati nei rispettivi territori, attraverso l’emanazione di uno o più decreti del Ministro della transizione ecologica (ora Ministro dell’ambiente e della sicurezza energetica), di concerto con il Ministro per la protezione civile e le politiche del mare, con cui si disciplinano altresì le modalità di trasferimento delle risorse, le riprogrammazioni e le rimodulazioni. Le risorse sono prioritariamente destinate agli interventi integrati, finalizzati sia alla mitigazione del rischio sia alla tutela e al recupero degli ecosistemi e della biodiversità, ovvero che integrino gli obiettivi della direttiva 2000/60, che istituisce un quadro per l'azione comunitaria in materia di acque, e della direttiva 2007/60, relativa alla valutazione e alla gestione dei rischi di alluvioni. Nei suddetti interventi assume priorità la delocalizzazione di edifici e di infrastrutture potenzialmente pericolosi per la pubblica incolumità.
La lettera a) del comma 1 introduce le seguenti disposizioni al comma 2 del citato art. 7.
Si prevede che - ai fini dell'inserimento nel Piano degli interventi di mitigazione del rischio idrogeologico - sia data anche priorità agli interventi la cui progettazione è stata finanziata dal Fondo per la progettazione degli interventi contro il dissesto idrogeologico previsto all'articolo 55 della legge 221/2015 (Disposizioni in materia ambientale per promuovere misure di green economy e per il contenimento dell'uso eccessivo di risorse naturali) e abbia conseguito almeno il livello di progettazione qualificabile come progetto di fattibilità tecnico-economica, indicato dall’art. 41 del Codice dei contratti pubblici (D. Lgs. 36/2023), o, nel caso previsto all'articolo 225, comma 9, terzo periodo, del medesimo Codice, come progetto definitivo ai sensi dell'articolo 23 del precedente Codice dei contratti pubblici (D. Lgs. 50/2016). Si prevede inoltre che l'inserimento nel Piano dei suddetti interventi di mitigazione del rischio idrogeologico è in ogni caso condizionato al rinnovo della valutazione positiva da parte della competente Autorità di bacino distrettuale, da effettuare in relazione all'ultimo livello di progettazione conseguito.
L'articolo 225, comma 9, terzo periodo, del Codice dei contratti pubblici (D. Lgs. 36/2023) prevede una norma transitoria per la quale, nel caso in cui l'incarico di redazione del progetto di fattibilità tecnico economica sia stato formalizzato prima della data in cui il Codice ha acquistato efficacia (1° luglio 2023), la stazione appaltante può procedere all'affidamento congiunto di progettazione ed esecuzione dei lavori sulla base del progetto di fattibilità tecnica ed economica oppure sulla base di un progetto definitivo redatto ai sensi dell'art. 23 del previgente codice dei contratti pubblici, di cui decreto legislativo n. 50 del 2016.
L'articolo 55 della legge 221/2015, (c.d. “Collegato ambientale”) ha disposto l'istituzione, presso il MATTM (ora MASE), del Fondo per la progettazione degli interventi di mitigazione del rischio idrogeologico, al fine di favorire l'efficace avanzamento delle attività progettuali delle opere di mitigazione del rischio idrogeologico e provvedere a rendere le stesse immediatamente cantierabili, consentire la rapida attuazione del Piano nazionale contro il dissesto idrogeologico, rimettendo ad apposito D.P.C.M. (da adottare entro 90 giorni dall'entrata in vigore della legge) l’esplicitazione delle modalità di funzionamento del Fondo medesimo (avvenuta con il DPCM 14 luglio 2016). Sul funzionamento del Fondo, lo stato delle risorse e i progetti finanziati, e il monitoraggio degli interventi si rinvia alla Deliberazione n. 17/2019 della Corte dei Conti.
Nella relazione illustrativa si specifica che il suddetto Fondo, la cui dotazione finanziaria ammonta a complessivi 100 milioni di euro (delibera CIPE 32/2015) e il cui funzionamento ha carattere “rotativo”, ha lo scopo di avviare la progettazione di un insieme d’interventi selezionati sulla base di informazioni tecniche ovviamente preliminari (non essendo disponibili i progetti, per l’appunto), nelle more che gli interventi stessi trovino integrale copertura finanziaria nell’ambito degli stralci annuali del sopra richiamato Piano.
Revoca delle risorse del Fondo per la progettazione degli interventi di mitigazione del rischio idrogeologico e impignorabilità delle risorse delle contabilità speciali
La lettera b) del comma 1 inserisce all’art. 7 del D.L. 133/2014 i seguenti commi da 2-bis e 2-ter.
Il comma 2-bis stabilisce la revoca dei finanziamenti per gli interventi con progettazione a carico del Fondo per la progettazione degli interventi di mitigazione del rischio idrogeologico (vedi supra per l’art. 55 della legge n. 221 del 2015), qualora - decorsi dodici mesi dall’ammissione al finanziamento e in assenza di cause di impossibilità oggettiva sopravvenute o di forza maggiore - gli interventi, anche nel caso previsto all'articolo 225, comma 9, terzo periodo, del Codice dei contratti pubblici (D. Lgs. n. 36 del 2023) non abbiano conseguito almeno il livello di progettazione qualificabile come progetto di fattibilità tecnica ed economica o come progetto definitivo ai sensi dell’articolo 23 del precedente Codice dei contratti pubblici (D. Lgs. n. 50 del 2016) (vedi supra in merito al disposto dei citati artt. 225 e 23).
Il comma 2-ter stabilisce l’impignorabilità o il divieto di sequestro delle risorse finanziarie accreditate sulle contabilità speciali intestate ai Commissari di Governo per il contrasto del dissesto idrogeologico.
Economie di risorse derivanti dagli accordi di programma
Il comma 2 stabilisce che le eventuali economie derivanti dagli accordi di programma previsti all’art. 2, comma 240, della legge 23 dicembre 2009, n. 191, per la quota parte derivante da risorse di bilancio del Ministero dell'ambiente e della sicurezza energetica, integrino la dotazione finanziaria destinata al Piano degli interventi di mitigazione del rischio idrogeologico.
Con le Delibere CIPE n. 8/2012 e n. 6/2012 sono stati finanziati n. 2523 interventi di carattere strategico regionale, prioritari e urgenti ai fini della prevenzione e della mitigazione del rischio idrogeologico, per un costo complessivo pari a 2.903.669.653,71 di euro. Le risorse afferenti a tali interventi appartengono sia a fondi di bilancio del Ministero dell’ambiente sia ad altre fonti di finanziamento, costituite principalmente da fondi regionali e dal Fondo per le Aree Sottosviluppate. Tali interventi sono stati individuati nell’ambito di appositi Accordi di Programma sottoscritti tra il Ministro dell’ambiente ed il Presidente di ciascuna Regione, ai sensi dell’art. 2, comma 240, della Legge 23 dicembre 2009, n. 191. In considerazione delle particolari ragioni di urgenza, connesse alla necessità di intervenire nelle situazioni a più elevato rischio idrogeologico, e al fine di salvaguardare la sicurezza delle infrastrutture ed il patrimonio ambientale e culturale, per l’attuazione degli interventi previsti dalle citate delibere sono stati nominati Commissari straordinari delegati, ai sensi dell’art. 17 della Legge n. 26/2010, cui sono subentrati i Presidenti delle Regioni, in qualità di Commissari di Governo per il contrasto del dissesto idrogeologico, ai sensi dell’art. 10, comma 1, del D.L. 91/2014. Gli Accordi e i rispettivi atti integrativi rappresentano, pertanto, il complesso di interventi già realizzati o in corso di realizzazione, nel territorio di ciascuna regione (per approfondire si rinvia a pag. 22 della relazione 2023 del Ministro dell’ambiente e della sicurezza energetica.
Nomina del soggetto attuatore e ulteriori attribuzioni ai Commissari di Governo
Il comma 3 dell’articolo in esame modifica ed integra l'articolo 10 del D.L. 91/2014.
In sintesi, l’art. 10 del D.L. 91/2014 ha previsto che a decorrere dall'entrata in vigore del medesimo decreto-legge (cioè dall’8 agosto 2021), i Presidenti delle regioni, di seguito denominati commissari di Governo per il contrasto del dissesto idrogeologico, subentrano relativamente al territorio di competenza nelle funzioni dei commissari straordinari delegati per il sollecito espletamento delle procedure relative alla realizzazione degli interventi di mitigazione del rischio idrogeologico individuati negli accordi di programma sottoscritti tra il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare (ora Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica) e le regioni, e nella titolarità delle relative contabilità speciali. In particolare, sui poteri dei Commissari di Governo, si rinvia alla pagina 23 della relazione 2023 del Ministro dell’ambiente e della sicurezza energetica contenente l’indicazione degli interventi di competenza dei commissari di governo per il contrasto del dissesto idrogeologico e il loro stato di attuazione. Per un approfondimento sui principali provvedimenti in questione adottati nel corso della presente legislatura, si rinvia al tema web sul sito della Camera dei Deputati.
In particolare, con la lettera a) del comma 3 si modifica il comma 2-ter dell’art. 10, che disciplina la nomina da parte del Presidente della regione interessata di un soggetto attuatore delegato alla realizzazione degli interventi previsti.
In primo luogo, si prevede al numero 1) della lettera a), che con provvedimento del Commissario di Governo per il contrasto del dissesto idrogeologico si possa nominare un soggetto attuatore del Piano, delegato per l’espletamento delle attività previste all'articolo 7, comma 2, del D.L. 133/2014 (vedi supra), il quale opera con i medesimi poteri e le deroghe previsti per il Commissario di Governo.
Con il numero 2) della lettera a) si prevede che il provvedimento di nomina stabilisce il compenso del soggetto attuatore del Piano con copertura finanziaria nei quadri economici degli interventi, come risultanti dai sistemi informativi della Ragioneria generale dello Stato, nonché gli obiettivi, ai fini della corresponsione della parte variabile del compenso, che includono anche l’attività di monitoraggio e rendicontazione.
La relazione illustrativa specifica che si elimina il riferimento espresso alla possibilità di scegliere il soggetto attuatore tra estranei alla pubblica amministrazione, facoltà che resta implicita nella previsione della mera possibilità che il soggetto attuatore sia dipendente della pubblica amministrazione. Rimane ferma la previsione del compenso spettante al soggetto attuatore, composto da una parte fissa e da una parte variabile. La parte fissa non può superare cinquantamila euro annui; la parte variabile, strettamente correlata al raggiungimento degli obiettivi e al rispetto dei tempi di realizzazione degli interventi ricadenti nell’oggetto dell’incarico, non può superare cinquantamila euro annui.
Con la lettera b) del comma 3 in esame sono introdotti i seguenti commi 2-quater e 2-quinquies.
Il comma 2-quater attribuisce ai Commissari di Governo per il contrasto del dissesto idrogeologico anche le funzioni di Responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza, ai sensi della legge 190/2012 sulla prevenzione e repressione della corruzione e dell'illegalità nella pubblica amministrazione, che possono essere delegate dai medesimi commissari ai soggetti attuatori.
Il comma 2-quinquies stabilisce che, per l’espletamento delle attività indicate all'articolo 7, comma 2, del D.L. 133/2014 (vedi supra), i Commissari di Governo, il Presidente della regione Valle D'Aosta e i Presidenti delle province autonome possono assumere direttamente le funzioni di stazione appaltante, operando in deroga a ogni disposizione di legge diverse da quelle in materia penale, fatto salvo il rispetto delle disposizioni del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, previste al decreto legislativo n. 159 del 2011, nonché dei vincoli inderogabili derivanti dall'appartenenza all'Unione europea.
Articolo 9, commi 4 e 5
(Opere di difesa idraulica della Grave di Ciano)
L’articolo 9, commi 4 e 5, disciplina la nomina, i poteri e le facoltà di deroga attribuite al Commissario straordinario per la realizzazione delle opere di difesa idraulica delle Grave di Ciano, individuato nel Segretario generale dell’Autorità di distretto delle Alpi orientali.
Il comma 4 dell’articolo 9, per accelerare la realizzazione delle opere di difesa idraulica delle Grave di Ciano, individua nella figura del segretario generale dell’Autorità di distretto delle Alpi orientali, il Commissario straordinario per l’espletamento delle attività indicate all’articolo 7, comma 2, del D.L. 133/2014 (recante disposizioni sull’attuazione del Piano degli interventi di mitigazione del rischio idrogeologico, su cui si rinvia scheda sull’art. 9, commi 1-3).
Il comma 5 stabilisce che il Commissario straordinario opera con i medesimi poteri e le deroghe previsti per il Commissario di Governo per il contrasto al dissesto idrogeologico indicato all’articolo 10, comma 1, del D.L. 91/2014, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. Il Commissario è autorizzato ad assumere direttamente le funzioni di stazione appaltante e opera in deroga a ogni disposizione di legge diverse da quelle in materia penale, fatto salvo il rispetto delle disposizioni del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione (decreto legislativo n. 159 del 2011), nonché dei vincoli inderogabili derivanti dall’appartenenza all’Unione europea.
In sintesi, l’art. 10 del D.L. 91/2014 ha previsto al comma 1 che a decorrere dall'entrata in vigore del medesimo decreto-legge (cioè dall’8 agosto 2021), i Presidenti della regioni, di seguito denominati commissari di Governo per il contrasto del dissesto idrogeologico, subentrano relativamente al territorio di competenza nelle funzioni dei commissari straordinari delegati per il sollecito espletamento delle procedure relative alla realizzazione degli interventi di mitigazione del rischio idrogeologico individuati negli accordi di programma sottoscritti tra il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare (ora Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica) e le regioni, e nella titolarità delle relative contabilità speciali.
In particolare, sui poteri dei Commissari di Governo, si rinvia alla pagina 14 della relazione 2023 del Ministro dell’ambiente e della sicurezza energetica contenente l’indicazione degli interventi di competenza dei commissari di governo per il contrasto del dissesto idrogeologico e il loro stato di attuazione. Per un approfondimento sui principali provvedimenti in questione adottati nel corso della presente legislatura, si rinvia al tema web della Camera dei Deputati.
Secondo la relazione illustrativa, l’intervento in esame è necessario in quanto le misure attuate in questi ultimi anni per la rapida realizzazione degli interventi di mitigazione del rischio idrogeologico non hanno condotto all’ottenimento dei risultati attesi. La Corte dei conti si è interessata più volte dell’attuazione degli interventi di mitigazione del rischio idrogeologico (si veda in proposito la Deliberazione n. 17/2021), rilevando che il sistema attualmente operante per la difesa del suolo non si è rivelato particolarmente efficace, risultando sostanzialmente assente un sistema di governance delle attività da condurre per la realizzazione degli interventi, a causa della carente capacità progettuale delle regioni, unitamente alla mancanza di profili tecnici, oltreché di sistematizzazione del monitoraggio, di criteri e procedure di spesa, nonché di strumenti di pianificazione territoriali. Nel Rapporto dell’ISPRA 328/2020 sugli interventi per la mitigazione del rischio idrogeologico finanziati dal 1999 al 2019 viene indicato che la durata media di realizzazione delle opere è stata leggermente inferiore a cinque anni, senza significative differenze per aree geografiche, con particolare incidenza della fase di progettazione (con media leggermente superiore a due anni, ma con punte in alcune regioni che si avvicinano a quattro anni).
Articolo 9, comma 6
(Revoca delle risorse del Fondo investimenti)
L’articolo 9, comma 6 disciplina la revoca delle risorse destinate ad interventi finanziati dal Fondo per il finanziamento degli investimenti e lo sviluppo infrastrutturale (istituito dall’articolo 1, comma 140, della legge di bilancio per il 2017), assegnate dalla Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento Casa Italia, ai Presidenti delle Regioni, in qualità di Commissari straordinari, e alle Province autonome, per gli interventi di messa in sicurezza del territorio in relazione al rischio idrogeologico. La revoca delle risorse è predisposta qualora i soggetti attuatori, Presidenti delle Regioni, in qualità di Commissari straordinari, e Province autonome, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del decreto-legge in esame, in assenza di giustificato motivo, omettano di registrare nella banca dati delle amministrazioni pubbliche – Monitoraggio Opere Pubbliche (BDAP-MOP), i dati relativi ai pagamenti effettuati e alle fatture emesse.
Il comma 6 disciplina la revoca delle risorse assegnate con il DPCM 18 giugno 2021 dalla Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento Casa Italia, ai Presidenti delle Regioni, in qualità di Commissari straordinari, e alle Province autonome, per il finanziamento di interventi volti alla messa in sicurezza del territorio in relazione al rischio idrogeologico.
Tali risorse sono destinate ad interventi finanziati dal Fondo per il finanziamento degli investimenti e lo sviluppo infrastrutturale, istituito dall’articolo 1, comma 140, della legge di bilancio per il 2017 (legge 11 dicembre 2016, n. 232), e ripartito con il DPCM 28 novembre 2018.
La norma in esame stabilisce che la revoca delle risorse è predisposta qualora i soggetti attuatori, Presidenti delle Regioni, in qualità di Commissari straordinari, e Province autonome, come indicati all’articolo 1, comma 9, del citato DPCM 18 giugno 2021, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto-legge, in assenza di giustificato motivo, omettano di registrare nella banca dati delle amministrazioni pubbliche – Monitoraggio Opere Pubbliche (BDAP-MOP), in conformità a quanto previsto dal decreto legislativo 29 dicembre 2011, n. 229, i dati relativi ai pagamenti effettuati e alle fatture emesse al fine della successiva verifica sull’importo delle spese sostenute in misura pari o superiore al 15 per cento dell’importo della prima anticipazione ottenuta ai sensi dell’articolo 1, comma 10, del medesimo DPCM 18 giugno 2021 (vedi infra).
Interventi per la difesa del suolo
Il Dipartimento Casa Italia finanzia gli interventi volti alla messa in sicurezza del territorio, in relazione al rischio idrogeologico e finalizzati al recupero e al miglioramento della funzionalità idraulica dei reticoli idrografici. Con il DPCM 28 novembre 2018, sono state assegnate alla Presidenza del Consiglio risorse pari a 220.228.324,00 euro a valere sul cd. Fondo investimenti di cui all’art. 1, comma 140, della legge n. 232 del 2016, da destinare alla difesa del suolo, al dissesto idrogeologico, al risanamento ambientale e alle bonifiche. Con DPCM del 18 giugno 2021 sono stati definiti il riparto e le modalità di utilizzo delle predette risorse per il finanziamento di interventi volti alla messa in sicurezza del Paese in relazione al rischio idrogeologico e finalizzati al recupero e al miglioramento della funzionalità idraulica dei reticoli idrografici, con particolare riferimento ad interventi in aree particolarmente vulnerabili per la salvaguardia della pubblica e privata incolumità e dei beni e delle attività produttive.
L’attuazione degli interventi è demandata ai Presidenti delle Regioni, in qualità di Commissari straordinari e alle Province autonome.
Le risorse sono state impegnate dal Dipartimento in data 10 agosto 2021.
Il comma 10 dell’art. 1 del DPCM 18 giugno 2021 stabilisce che la Presidenza del Consiglio dei ministri – Dip. Casa Italia, previa verifica della presenza dei CUP identificativi degli interventi e degli ulteriori elementi della relazione tecnica prevista all’allegato 3, anche attraverso il sistema di cui al citato decreto legislativo n. 229 del 2011, trasferisce 1e risorse mediante versamento sulle contabilità speciali, intestate ai Presidenti delle Regioni, in qualità di Commissari straordinari e alle Province autonome, secondo la seguente procedura: 40 per cento dell'importo complessivo finanziato entro 30 giorni dalla ricezione degli elenchi trasmessi, ai sensi del comma 8, da parte di ciascuna Regione e Provincia autonoma; 50 per cento dell'importo complessivo finanziato, su richiesta dei soggetti attuatori di cui al comma 9, purché corredata dalla documentazione che attesti la liquidazione, da parte degli stessi. delle spese sostenute per i rispettivi interventi in misura non inferiore all'80 per cento della precedente anticipazione; 10 per cento dell'importo complessivo finanziato, su richiesta dei soggetti attuatori di cui al comma 9, purché corredata dalla documentazione che attesti la liquidazione, da parte degli stessi, delle spese sostenute per i rispettivi interventi in misura non inferiore all'80 per cento delle precedenti anticipazioni. È consentito l'utilizzo delle economie accertate su interventi conclusi, attraverso lo scorrimento delle graduatorie degli interventi, da comunicare alla Presidenza del Consiglio dei ministri ~ Dipartimento Casa Italia. Le informazioni relative alla liquidazione delle precedenti anticipazioni, ii saldo degli importi approvati e le eventuali economie sono ricavate dal sistema previsto dal citato decreto legislativo n. 229 del 2011.
Le Regioni e le Province autonome, in attuazione di quanto disposto dal DPCM 18 giugno 2021, hanno provveduto a caricare sulla piattaforma ReNDIS-web (Repertorio Nazionale degli Interventi per la Difesa del Suolo), gestita da ISPRA, gli elenchi degli interventi e, una volta acquisito il parere delle Autorità di bacino distrettuali competenti, ad approvare questi elenchi.
Alla data del 9 luglio 2024, il Dipartimento Casa Italia ha provveduto a trasferire le risorse spettanti a titolo di prima e di seconda anticipazione, pari rispettivamente al 40% e al 50% dell’importo complessivo finanziato, ai sensi del DPCM 18 giugno 2021, alle Regioni e Province autonome (per approfondimenti ulteriori si rinvia al seguente link).
Articolo 9, comma 7
(Proroga dello stato di emergenza dichiarato per gli eventi meteorologici dell’isola di Ischia del 2022)
L’articolo 9, comma 7, proroga, fino al 31 dicembre 2024, lo stato di emergenza dichiarato con la delibera del Consiglio dei ministri del 27 novembre 2022, per gli eventi meteorologici verificatisi nel territorio dell’isola di Ischia a partire dal giorno 26 novembre 2022.
Il comma 7 proroga fino al 31 dicembre 2024, lo stato di emergenza dichiarato per dodici mesi con la delibera del Consiglio dei ministri del 27 novembre 2022, in conseguenza degli eventi meteorologici verificatisi nel territorio dell’isola di Ischia a partire dal giorno 26 novembre 2022, prorogato, successivamente, per altri dodici mesi, con la delibera del Consiglio dei ministri del 5 ottobre 2023.
A seguito degli eventi alluvionali che hanno interessato il territorio dei comuni dell’isola di Ischia, causando perdita di vite umane e ingenti danni alle infrastrutture, ad edifici pubblici e privati ed alla rete dei servizi essenziali, determinando una grave situazione di pericolo per l’incolumità delle persone e per la sicurezza dei beni pubblici e privati, con la delibera del 27 novembre 2022, è stato dichiarato, per 12 mesi, lo stato di emergenza prevedendo un primo stanziamento di risorse per complessivi euro 2.000.000,00. Successivamente, con l’Ocdpc n. 948 del 30 novembre 2022, il Commissario straordinario del Governo per la ricostruzione nei territori di Ischia interessati dagli eventi sismici verificatisi a far data dal 21 agosto 2017 è stato nominato Commissario delegato per l’emergenza, con il compito, tra l’altro, di predisporre, un primo piano degli interventi urgenti da sottoporre all’approvazione del Capo del Dipartimento della Protezione civile. Con il D.L. n. 186 del 3 dicembre 2022 sono stati disposti vari interventi in favore delle popolazioni colpite dai suddetti eventi eccezionali.
Per approfondimenti in merito agli interventi adottati e agli stanziamenti previsti si rinvia al seguente link.
Articolo 9, comma 8
(Interventi per gli eventi alluvionali verificatisi a partire dal 1° maggio 2023)
L’articolo 9, comma 8, prevede uno stanziamento di 10 milioni di euro per l’anno 2024, per la stipula di convenzioni con la Pubblica Amministrazione da parte del Commissario straordinario alla ricostruzione del territorio delle Regioni Emilia-Romagna, Toscana e Marche, colpito da avverse condizioni meteorologiche a partire dal giorno 1° maggio 2023.
Il comma 8 modifica in più punti l’articolo 20-ter del D.L. 61/2023 che ha previsto una serie di interventi a favore del territorio delle province di Reggio-Emilia, di Modena, di Bologna, di Ferrara, di Ravenna e di Forlì-Cesena, colpite da avverse condizioni meteorologiche a partire dal giorno 1° maggio 2023.
Con la delibera del Consiglio dei ministri del 4 maggio 2023 è stato dichiarato, lo stato di emergenza in conseguenza delle avverse condizioni meteorologiche che, a partire dal giorno 1° maggio 2023, hanno colpito il territorio delle province di Reggio-Emilia, di Modena, di Bologna, di Ferrara, di Ravenna e di Forlì-Cesena, successivamente esteso al territorio della provincia di Rimini con la delibera del 23 maggio 2023 in conseguenza delle ulteriori ed eccezionali avverse condizioni meteorologiche verificatesi a partire dal 16 maggio 2023. Ai sensi dell'articolo 20-ter del D.L. 61/2023, oggetto di modifica da parte della disposizione in esame, è stato nominato un Commissario straordinario alla ricostruzione del territorio delle Regioni Emilia-Romagna, Toscana e Marche fino al 30 giugno 2024 (data poi prorogata fino al 31 dicembre 2024 dall'art. 4 del D.L. 76/2024). Per approfondimenti in merito ad ulteriori interventi, si rinvia al tema web della Camera dei deputati.
Nello specifico, con la lettera a) si integra il comma 8 dell’art. 20-ter, al fine di prevedere uno stanziamento di 10 milioni per l’anno 2024 per la stipula delle convenzioni che il Commissario straordinario alla ricostruzione sul territorio delle Regioni Emilia-Romagna, Toscana e Marche può attivare, per l'esercizio delle sue funzioni, con strutture della P.A. e gli organismi in house delle medesime Amministrazioni pubbliche.
Con la lettera b) si integra il comma 10 dell’art. 20-ter, che prevede la copertura delle risorse finanziarie relative ai costi della struttura commissariale e delle convenzioni stipulate con le Amministrazioni centrali dello Stato e i relativi organismi in house, al fine di aumentare la copertura per l’anno 2024 da 5 milioni di euro a 15 milioni di euro. Conseguentemente, si provvede, con la lettera c), ad integrare il citato comma 10, con l’aggiunta della lettera b-bis), al fine di stabilire che la copertura dei 10 milioni di euro per l’anno 2024 è a valere sulle risorse finanziarie assegnate e disponibili nella contabilità speciale intestata al Commissario.
Articolo 9, comma 8-bis
(Interventi per il dissesto idrogeologico per gli eventi alluvionali verificatisi a partire dal 1° maggio 2023)
Il comma 8-bis dell’articolo 9, introdotto in sede referente, prevede che i piani speciali, definiti e approvati dal Commissario straordinario, per la realizzazione di interventi previsti per le situazioni di dissesto idrogeologico nei territori delle regioni Emilia-Romagna, Toscana e Marche, interessati dagli eventi alluvionali verificatisi a far data dal 1° maggio 2023, possano essere predisposti e approvati anche per stralci, aventi ad oggetto anche le sole attività di progettazione.
Il comma 8-bis dell’articolo 9, introdotto in sede referente, modifica l'articolo 20-octies, comma 6, del D.L. 61/2023, che disciplina l’approvazione dei progetti esecutivi che i soggetti attuatori oppure i comuni, le unioni dei comuni, le unioni montane e le province interessati predispongono e inviano al Commissario straordinario, in seguito all’approvazione dei piani speciali, previsti per la ricostruzione post-calamità nei territori delle regioni Emilia-Romagna, Toscana e Marche interessati dagli eventi alluvionali verificatisi a far data dal 1° maggio 2023.
Nello specifico, la norma in esame prevede che i piani speciali che prevedono interventi sulle situazioni di dissesto idrogeologico, in relazione alle aree colpite dagli eventi calamitosi in parola, possono essere predisposti e approvati anche per stralci, che possono avere ad oggetto anche le sole attività di progettazione.
In tali casi, i piani stralcio sono predisposti e approvati nei limiti delle risorse specificamente finalizzate allo scopo.
Qualora i piani stralcio abbiano ad oggetto le sole attività di progettazione, le modalità di adozione del decreto di concessione del contributo e dell'eventuale erogazione dell'anticipazione ai soggetti attuatori per l'attività di progettazione sono definite dal Commissario straordinario mediante ordinanze commissariali.
Come anticipato, l’art. 20-octies del D.L. 61/2023 disciplina la procedura per la programmazione, la progettazione e la realizzazione degli interventi per la ricostruzione, la riparazione e il ripristino degli edifici pubblici, nonché sui beni del patrimonio culturale, dei territori delle regioni Emilia-Romagna, Toscana e Marche interessati dagli eventi alluvionali verificatisi a far data dal 1° maggio 2023.
Nello specifico, il comma 2 dell’art. 20-octies prevede che con provvedimenti del Commissario straordinario, nei limiti delle risorse stanziate allo scopo, vengano definiti e approvati, tra l’altro, alla lett. c), piani speciali di interventi sui dissesti idrogeologici, in relazione alle aree colpite dagli eventi calamitosi, con priorità per dissesti che costituiscono pericolo per centri abitati ed infrastrutture, e di interventi integrati di mitigazione del rischio idrogeologico e di tutela e recupero degli ecosistemi e della biodiversità e per la delocalizzazione di beni in aree a elevata pericolosità idraulica, nei limiti delle risorse specificatamente finalizzate allo scopo.
Il comma 4 disciplina l’approvazione dei piani speciali per la ricostruzione pubblica da parte del Commissario straordinario. In particolare, il Commissario straordinario approva i suddetti piani: entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto-legge; acquisita l’intesa delle regioni interessate, da sancire entro quindici giorni, anche in sede di Cabina di coordinamento per la ricostruzione prevista all’articolo 20-quater; nonché acquisito il parere delle Amministrazioni statali competenti in materia e dell'Autorità di bacino distrettuale territorialmente competente. Il Commissario straordinario può individuare con successivi provvedimenti, con specifica motivazione, gli interventi prioritari inseriti in detti piani. Gli interventi previsti nei richiamati atti di pianificazione sono identificati dal codice unico di progetto (CUP), ai sensi dell'art. 11 della legge 3/2003, e della deliberazione del Comitato interministeriale per la programmazione economica (oggi CIPESS) n. 63 del 26 novembre 2020.
Al fine di realizzare la progettazione esecutiva di tali interventi, i commi 5 e 6 disciplinano una procedura per la progettazione e la realizzazione degli interventi oggetto di finanziamento, che prevede l’invio dei progetti degli interventi da parte dei soggetti attuatori oppure dei Comuni, delle unioni dei Comuni, delle unioni montane e delle Province interessate al Commissario straordinario, sulla base delle priorità stabilite dal Commissario, d’intesa con le regioni interessate e in coerenza con i piani speciali (comma 5), l’approvazione dei progetti esecutivi da parte del Commissario, che verifica la congruità economica dei progetti, e l’adozione del decreto di concessione del contributo da parte del Commissario medesimo, che deve indicare il codice CUP degli interventi (comma 6).
Articolo 9, commi 9-10
(Competenze del Presidente del Consiglio dei ministri e del Consiglio dei ministri per gli interventi nel settore della difesa del suolo)
L’articolo 9, ai commi 9 (modificato in sede referente) e 10, interviene sulla disciplina delle competenze del Presidente del Consiglio dei ministri e del Comitato dei ministri per gli interventi nel settore della difesa del suolo.
Nel corso dell’esame in sede referente è stato introdotto il comma 9-bis che autorizza le Autorità di bacino distrettuali ad assumere personale a tempo indeterminato. Il medesimo comma specifica le modalità di reclutamento e assunzione del predetto personale e pone un limite di spesa pari a complessivi 6 milioni di euro a decorrere dal 2026. Al relativo onere si provvede ai sensi del comma 9-ter.
L’articolo 9, comma 9, al fine di assicurare un uniforme trattamento giuridico delle risorse statali destinate agli interventi di mitigazione del rischio idrogeologico e, dunque, garantire una coerenza del complessivo intervento statale in materia idrogeologica, individua ulteriori competenze del Presidente del Consiglio dei ministri, nonché del Comitato dei ministri per gli interventi nel settore della difesa del suolo di cui all’articolo 57, comma 2, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152.
In particolare, la disposizione in esame, modificando modifica l’articolo 57, comma 1, del Codice ambientale (decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152), prevede che il Presidente del Consiglio dei ministri, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, su proposta del Comitato dei ministri citato, sentita la Conferenza Unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281 ha il potere di approvare, oltre che il programma nazionale di intervento:
a) i criteri e le modalità per stabilire le priorità che le amministrazioni dello Stato sono tenute ad osservare nell’assegnazione di risorse destinate agli interventi di mitigazione del rischio idrogeologico, tenendo conto di quanto previsto dal decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri adottato in attuazione dell’articolo 10, comma 11, del decreto-legge 24 giugno 2014 n. 91 convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014 n. 116.
La relazione illustrativa evidenzia che a tale ultimo riguardo, si prevede la necessità di applicare, nei limiti della compatibilità, a tutte le Amministrazioni statali e per l’assegnazione di risorse comunque destinate ad interventi di mitigazione del rischio idrogeologico i criteri già definiti, in particolare, per l’assegnazione delle risorse richieste dai Presidenti delle regioni a valere sugli accordi di programma sottoscritti con il Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica.
b) i criteri e le modalità per il monitoraggio e la revoca delle risorse statali destinate agli interventi di mitigazione del rischio idrogeologico ove, in assenza di cause di impossibilità oggettiva sopravvenute o di forza maggiore, le somme assegnate non siano impegnate e pagate dai competenti soggetti attuatori nei termini previsti. In caso di revoca, si prevede che le risorse sono comunque riassegnate all’autorità di bacino distrettuale territorialmente competente per essere impiegate nell’ambito del medesimo territorio e con la medesima destinazione nel rispetto di impegno e di pagamento analoghi a quelli in origine previsti.
Si prevede che le risorse revocate (nuovo comma 1-bis del citato articolo 57 del Codice ambientale) sono comunque riassegnate all'autorità di bacino distrettuale territorialmente competente, per essere impiegate nell'ambito del medesimo territorio e con la medesima destinazione.
Con una modifica approvata in sede referente, si specifica che all’impiego di tali risorse provvede il Segretario generale dell’Autorità di bacino interessata, con i medesimi poteri e le deroghe previsti per il Commissario di Governo per il contrasto al dissesto idrogeologico dall’art. 10, comma 1, del decreto-legge n. 91 del 2014 (convertito dalla legge n. 116 del 2014).
Tale art. 10, comma 1, del d.l. n. 91 del 2014 stabilisce che i Presidenti delle regioni, denominati “commissari di Governo per il contrasto del dissesto idrogeologico”, subentrano relativamente al territorio di competenza nelle funzioni dei commissari straordinari delegati per il sollecito espletamento delle procedure relative alla realizzazione degli interventi di mitigazione del rischio idrogeologico. Tali interventi sono individuati dagli accordi di programma sottoscritti tra il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e le regioni ai sensi dell'articolo 2, comma 240, della legge 23 dicembre 2009, n. 191. I medesimi commissari subentrano nella titolarità delle relative contabilità speciali.
Il comma 9-bis, introdotto in sede referente, autorizza le Autorità di bacino distrettuali a reclutare ed assumere personale con rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato. Le assunzioni sono effettuate nei limiti della vigente dotazione organica, mediante l’indizione di concorsi o scorrimento di vigenti graduatorie.
Si prevede un limite di spesa pari a 6 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2026. Tali risorse sono ripartite tra le Autorità di bacino con decreto, da adottarsi entro il 30 aprile 2025, del Ministro della pubblica amministrazione, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze e con il Ministro dell’ambiente e della sicurezza energetica. Tale riparto è effettuato sulla base delle richieste delle medesime Autorità, in coerenza con i rispettivi piani triennali di fabbisogno di personale.
Il comma 9-ter stabilisce che all’onere, pari a 6 milioni dal 2026, si provvede mediante corrispondente riduzione del Fondo per interventi strutturali di politica economica (art. 10, comma 5, del decreto-legge n. 282 del 2004, convertito dalla legge n. 307 del 2004).
Il comma 10 specifica che la novella dell'articolo 57 non si applica ai cicli di programmazione finanziaria già avviati alla data di entrata in vigore del presente decreto-legge che continuano ad essere regolati dalla disciplina specifica delle relative fonti di finanziamento.
Ne deriva che rimangono salve, fino alla conclusione del relativo ciclo di programmazione finanziaria, le specifiche disposizioni recanti criteri e regole per il monitoraggio, la revoca e l’assegnazione delle risorse statali destinate ad interventi di mitigazione del rischio idrogeologico.
Rimangono, altresì, fermi gli obblighi internazionali e i vincoli derivanti dall’appartenenza all’Unione Europea, nonché le disposizioni relative al Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR). Per il Fondo per lo sviluppo e la coesione di cui all’articolo 4 del decreto legislativo 31 maggio 2011, n. 88 e il Fondo di rotazione di cui all'articolo 5 della legge 16 aprile 1987, n. 183, in ragione della speciale disciplina agli stessi applicabili, continuano ad operare le pertinenti disposizioni, nel rispetto dei criteri e delle modalità di individuazione delle priorità stabiliti con il decreto di cui all’articolo 57, comma 1, lettera b), numero 2, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 in quanto compatibili.
Per il funzionamento del Fondo per lo sviluppo e la coesione si veda il seguente link.
Articolo 10
(Disposizioni urgenti per le funzionalità delle pubbliche amministrazioni operanti nei settori dell’ambiente e della sicurezza energetica)
L’articolo 10 contiene una pluralità di disposizioni riguardanti le amministrazioni che operano nel settore della sicurezza energetica. Il comma 1 abilita il Ministro dell’ambiente e della sicurezza energetica ad adottare apposite linee guida ai fini dell’espletamento delle funzioni del Sistema nazionale a rete per la protezione dell’ambiente (SNPA).
Il comma 2 stabilisce che con decreto interministeriale è determinato il trattamento economico del direttore dell’Ispettorato per la sicurezza nucleare e la radioprotezione (ISIN).
Il comma 3 contiene una previsione transitoria, che applica la disciplina del trattamento economico degli organi dell’ISIN a quelli attualmente in carica.
Le disposizioni di cui al comma 4 si rendono necessarie a seguito dell’ampliamento delle funzioni del Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica, derivante dal passaggio delle competenze già attribuite al Ministero delle imprese e del made in Italy, e dalle nuove attribuzioni assegnate in materia di sicurezza energetica, nonché per assicurare la piena realizzazione degli obiettivi del PNRR.
Nel corso dell’esame in sede referente, inoltre, è stato inserito il comma 4-bis relativo alla rappresentanza dell'Italia nell’ambito della Rete europea degli operatori di trasporto dell'Idrogeno (ENNOH).
L’articolo 10 al comma 1, lettera a), abilita il Ministro dell’ambiente e della sicurezza energetica ad adottare apposite linee guida ai fini dell’espletamento delle funzioni del Sistema nazionale a rete per la protezione dell’ambiente (SNPA), individuate all’articolo 3 della legge n. 132 del 2016, su proposta del Sistema stesso.
Il comma 1, lettera b), specifica che, nel momento in cui l’ISPRA adotta una serie di norme tecniche vincolanti per SNPA, è necessario, non solo il concorso delle agenzie come attualmente previsto, ma anche il rispetto delle linee guida suddette, ove adottate.
La relazione illustrativa evidenzia che il carattere di urgenza della norma deriva dall’esigenza di garantire un funzionamento coerente e uniforme del SNPA in un contesto di particolare rilevanza e indifferibilità dei plurimi obiettivi di carattere ambientale alla cui cura è proposto il Sistema stesso.
Con riguardo al comma 2, si stabilisce che con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell’ambiente e della sicurezza energetica, d’intesa con il Ministro dell’economia e delle finanze, è determinato il trattamento economico del direttore, ferma restando l’applicazione dei limiti di cui all’articolo 23-ter, comma 1, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214.
L’Ispettorato per la sicurezza nucleare e la radioprotezione (ISIN) è stato istituito con decreto legislativo 4 marzo 2014, n. 45, ed è divenuto operativo a partire dal 1° gennaio 2019. L’ISIN è normativamente definito come l’autorità di regolamentazione competente a svolgere le funzioni e i compiti di autorità nazionale in materia di sicurezza nucleare e radioprotezione, subentrando nelle funzioni e nei compiti in precedenza attribuiti al Comitato nazionale per l’energia nucleare (CNEN), all’ENEA-DISP, all’ANPA, all’APAT, all’ISPRA e all’Agenzia per la sicurezza nucleare. In particolare, la natura e i poteri dell’ISIN sono definiti agli articoli 1 e 6, comma 11, del decreto legislativo n. 45 del 2014, rispettivamente nel senso che l’Ispettorato è “autorità nazionale, indipendente ai sensi delle direttive 2009/71/Euratom e 2011/70/Euratom” e che “ha personalità giuridica di diritto pubblico, opera in piena autonomia regolamentare, organizzativa, gestionale, amministrativa e contabile, con indipendenza di giudizio e di valutazione, ed è responsabile della sicurezza nucleare e della radioprotezione sul territorio nazionale, nello svolgimento delle funzioni e dei compiti di autorità nazionale negli ambiti stabiliti dalla legislazione vigente. La norma istitutiva prevede che sono organi dell’ISIN: il Direttore, organo monocratico di direzione, gestione e rappresentanza dell’Ente; la Consulta, composta da tre membri e dotata esclusivamente di poteri consultivi nelle materie di maggior rilievo; il collegio dei revisori. Il medesimo decreto legislativo n. 45 del 2014, connotando l’Ispettorato come autorità di regolazione tecnica indipendente, esclude un rapporto di controllo o di vigilanza del Governo e prevede un obbligo annuale di relazione sulle attività istituzionali svolte al Parlamento (ai sensi dell’articolo 6, comma 4, lettera h), del ridetto decreto legislativo n. 45 del 2014, il Direttore dell’ISIN trasmette al Governo e al Parlamento una relazione annuale sulle attività svolte e sullo stato della sicurezza nucleare nel territorio nazionale). Nello stesso senso, rileva la procedura di nomina del Direttore e della Consulta, che è individuata in termini analoghi a quelli previsti per le autorità amministrative indipendenti di regolazione: nomina con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, acquisiti i pareri obbligatori (a maggioranza assoluta) delle Commissioni parlamentari competenti.
Per quanto attiene ai componenti della Consulta e del collegio dei revisori, si prevede che con il medesimo decreto di cui sopra venga altresì determinato il relativo trattamento economico. Quanto alla copertura degli oneri connessi, la norma precisa che essi sono coperti con le risorse disponibili ai sensi dei commi 15 e 17 dell’articolo 6 del decreto legislativo n. 45 del 2014, ossia, in base alla ricordata autonomia gestionale, amministrativa e contabile dell’ISIN, con le stesse risorse del bilancio dell’Ente.
Tale copertura è posta a carico dei Capitoli di bilancio ISIN, dotati delle necessarie risorse: per il Direttore e la Consulta, U.1.03.02.01.001 (ex 13027) – “Organi istituzionali dell’amministrazione – Indennità”; per il collegio dei revisori, U.1.03.02.01.008 (voce di piano dei conti integrato) ex 13029 (voce DPR 97/2003) “Compensi agli organi istituzionali di revisione, di controllo ed altri incarichi istituzionali dell’amministrazione”.
Il comma 3 contiene una previsione transitoria, che applica la disciplina del trattamento economico degli organi dell’ISIN a quelli attualmente in carica (il Direttore e la Consulta sono stati rinnovati di recente e nominati con decreto del Presidente della Repubblica del 30 aprile 2024) a decorrere dalla data di nomina, per rendere effettiva la disposizione normativa per tutto il termine dell’incarico.
Le disposizioni di cui al comma 4 si rendono necessarie a seguito dell’ampliamento delle funzioni del Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica derivante dal passaggio delle competenze già attribuite al Ministero delle imprese e del made in Italy e dalle nuove attribuzioni assegnate dal decreto-legge 11 novembre 2022, n. 173, convertito, con modificazioni, dalla legge 16 dicembre 2022, n. 204, in materia di sicurezza energetica, nonché per assicurare la piena realizzazione degli obiettivi del PNRR.
La relazione illustrativa sottolinea che la norma mira, fino al 31 dicembre 2026, a consentire il conferimento, da parte del Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica, di incarichi dirigenziali ai sensi dell’articolo 19, comma 6, del decreto legislativo n. 165 del 2001 fino a 4 posizioni dirigenziali di livello non generale ulteriori rispetto a quanto derivante dall’applicazione della percentuale prevista dal medesimo articolo 19, comma 6 del d.lgs. 165 del 2001 (7 unità).
Nel dettaglio, la deroga temporanea alle previsioni di cui all’articolo 19, comma 6, del d.lgs. 165 del 2001, si rende necessaria in considerazione del fatto che il Ministero, rispetto alla dotazione organica dei dirigenti non generali di 67 unità, ha solo 31 dirigenti in tale ruolo e di questi: 4 sono comandati, 1 è in posizione di fuori ruolo e 5 sono incaricati di prima fascia (di cui 2 con incarico recentemente rinnovato per la durata di 3 anni). Inoltre, occorre considerare che il Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica deve rendere indisponibili un totale di 23 posizioni: ad oggi, ci sono 12 dirigenti provenienti da altre pubbliche amministrazioni con incarico ai sensi dell’art. 19, comma 5-bis, e 5 dirigenti incaricati ai sensi dell’articolo 19, comma 6. In tale contesto, nell'approssimarsi del completamento della riorganizzazione del Ministero, con particolare riferimento alle procedure di interpello per il conferimento degli incarichi sulle posizioni dirigenziali non generali, la deroga in commento consentirebbe di avvalersi, qualora necessario, delle professionalità idonee a ricoprire quelle posizioni imprescindibili per assicurare il buon andamento e la continuità dell'azione amministrativa. L’applicazione temporale della deroga è proporzionata in rapporto all’esigenza di consentire al Ministero di disporre di un orizzonte congruo per l’espletamento delle procedure concorsuali previste dalla vigente normativa e, al contempo, di assicurare, in un futuro prossimo, la presenza di dirigenti di ruolo corrispondenti alla dotazione organica prevista.
Da ultimo si segnala che, nel corso dell’esame in sede referente, è stato inserito un ulteriore comma 4-bis in base al quale, nelle more del recepimento della direttiva (UE) 2024/1788 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 giugno 2024, relativa a norme comuni per i mercati interni del gas rinnovabile, del gas naturale e dell'idrogeno, l'impresa maggiore di trasporto del gas naturale di cui all'articolo 10, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 1° giugno 2011, n. 93, partecipa in qualità di rappresentante nazionale per l'Italia alla Rete europea degli operatori di trasporto dell'Idrogeno (ENNOH).
Articolo 10-bis
(Disposizioni urgenti per il rafforzamento degli investimenti nei Paesi africani a tutela dell'ambiente e della sicurezza energetica)
L’articolo 10-bis, introdotto in sede referente, modifica alcune disposizioni relative agli investimenti nell’ambito del Piano Mattei.
L’articolo 10-bis è finalizzato a rafforzare gli investimenti del Piano Mattei nei Paesi africani con l'obiettivo di coniugare le esigenze di sicurezza energetica con quelle della tutela ambientale, mediante lo sviluppo di infrastrutture sostenibili e la riduzione delle emissioni di gas serra.
Con il decreto-legge n. 161 del 2023, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 2 del 2024, il Governo ha adottato misure urgenti per definire la governance del cosiddetto “Piano Mattei”, finalizzato a rafforzare la collaborazione tra l'Italia e gli Stati del Continente africano secondo la "formula" del fondatore di ENI Enrico Mattei, che punta a "coniugare l'esigenza italiana di rendere sostenibile la propria crescita con quella di coinvolgere le nazioni africane in un processo di sviluppo e progresso.
Le differenti ramificazioni del Piano sono state sottoposte al Parlamento attraverso l’esame dello schema di Decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di adozione del c.d. «Piano Mattei» (A. G. 179, ora Decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 7 ottobre 2024).
Qui il parere favorevole espresso dalla III Commissione Affari esteri della Camera il 5 agosto 2024.
Qui il parere favorevole espresso dalla III Commissione Affari esteri e Difesa del Senato il 5 agosto 2024.
Lo scorso 11 novembre il Governo ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 5 del citato decreto-legge n. 161 del 2023, la Prima relazione sullo stato di attuazione del Piano Mattei, aggiornata al 10 ottobre 2024 (Doc. CCXXXIII, n. 1).
In estrema sintesi si ricorda che ai sensi dell’articolo 1 del decreto legge n. 161 del 2023 la collaborazione dell'Italia con i Paesi africani è attuata in conformità con il Piano strategico Mattei, di durata quadriennale e aggiornabile anche antecedentemente.
Dal punto di vista operativo, il Piano si declina attraverso progetti pilota in nove Nazioni: quattro del quadrante nord africano (Egitto, Tunisia, Marocco e Algeria) e cinque del quadrante subsahariano (Kenya, Etiopia, Mozambico, Repubblica del Congo e Costa d'Avorio).
I pilastri principali sono quelli dell’Istruzione, dell’Agricoltura, della Salute, dell’Energia e dell’Acqua, mentre la guida del progetto è affidata ad una apposita cabina di regia, presieduta dal Presidente del Consiglio, dal Ministro degli Esteri, da tutti i ministri coinvolti nei progetti e dai dirigenti delle aziende pubbliche e delle istituzioni che collaborano al progetto.
Con riferimento alle risorse, il Governo (cfr pag. 44 dello schema di DPCM) a presente che il Piano Mattei potrà avvalersi di una pluralità di canali di finanziamento ai quali attingere per l'attuazione dei progetti.
Nello specifico nella sua prima fase il Piano Mattei potrà contare su una dotazione iniziale di 5 miliardi e 500 milioni di euro tra crediti, operazioni a dono e garanzie (cfr. box infra), di cui circa 3 miliardi reperiti dal Fondo Italiano per il clima e 2,5 miliardi dai fondi della Cooperazione allo sviluppo (
Per ulteriori approfondimenti si vedano il Dossier sullo Schema di DPCM di adozione del Piano strategico Italia-Africa: Piano Mattei, il Dossier sulla Relazione sullo stato di attuazione del Piano Mattei e il tema dell’attività parlamentare Iniziative italiane per l'Africa (piano Mattei)
La disposizione novella l'articolo 10 del decreto-legge 29 giugno 2024, n. 89 (Disposizioni urgenti per le infrastrutture e gli investimenti di interesse strategico, per il processo penale e in materia di sport), e in particolare:
· la lettera a) interviene sul comma 5, che autorizza la Cassa depositi e prestiti a concedere finanziamenti sotto qualsiasi forma, anche mediante strumenti di debito subordinato, nel limite massimo di 500 milioni di euro per l'anno 2024, a valere sulla gestione separata. La norma in esame dispone l’estensione di questa autorizzazione anche all’anno 2025;
· la lettera b) integra il comma 8, che consente alla Cassa depositi e prestiti di sottoscrivere la documentazione contrattuale degli interventi con il soggetto beneficiario degli stessi, una volta acquisita la favorevole delibera del Comitato tecnico istituito presso la Presidenza del Consiglio dei ministri nell'ambito della Struttura di missione per l’attuazione del Piano Mattei. La norma in esame aggiunge l’ipotesi di inadempimento delle obbligazioni di pagamento da parte del debitore. In tal caso, Cassa depositi e prestiti invia una richiesta di escussione al Ministero dell'economia e delle finanze che, entro centottanta giorni dal ricevimento della stessa, procede al pagamento della somma dovuta. A seguito di tale pagamento, la Cassa depositi e prestiti può gestire, su richiesta, le attività di recupero, anche per conto del Ministero dell'economia e delle finanze, e le somme da essa eventualmente recuperate sono retrocesse in relazione alla quota garantita dallo Stato;
· la lettera c) modifica il comma 10, che autorizza l'apertura di un conto corrente di tesoreria centrale intestato alla Cassa depositi e prestiti per la gestione del Fondo di garanzia istituito nello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze, prevedendo che il citato conto corrente sia invece intestato al Ministero dell’economia e delle finanze.
Articolo 11
(Disposizioni finanziarie)
L’articolo 11 reca le disposizioni finanziarie riferite al complesso delle disposizioni recate dal decreto-legge.
L’articolo 11 prevede che, a eccezione dell’articolo 7, commi 1 e 2, nonché dell’articolo 9, commi 9-bis e 9-ter, introdotti in sede referente, dall’attuazione delle disposizioni di cui al decreto-legge in esame non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica e che le amministrazioni e le autorità interessate vi provvedono nell’ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.
Articolo 12
(Entrata in vigore)
L’articolo 12 dispone che il decreto-legge in esame entri in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.
Il decreto-legge è dunque vigente dal 18 ottobre 2024.
Ai sensi dell'articolo 1 del disegno di legge di conversione del presente decreto, la legge di conversione (insieme con le eventuali modifiche apportate al decreto in sede di conversione) entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.
[1] L’Allegato I-bis è rubricato Opere, impianti e infrastrutture necessarie al raggiungimento degli obiettivi fissati dal Piano Nazionale Integrato Energia e Clima (PNIEC), predisposto in attuazione del regolamento (UE) 2018/1999
[2] Le soglie previste all’allegato IV sono ridotte, ai sensi del punto 4.3 delle Linee guida di cui al D.M. 30 marzo 2015, del 50 per cento qualora i progetti siano localizzati in aree sensibili in relazione alla capacità di carico dell’ambiente naturale (zone umide, zone costiere, zone montuose e forestali, riserve e parchi naturali, zone di protezione speciale, siti di importanza comunitaria, zone a forte densità demografica, zone di importanza storica, culturale o archeologica). Ai sensi dell’articolo 6 del D.lgs. n. 152/2006, sono sottoposti direttamente a VIA i progetti indicati negli allegati II-bis e IV che ricadano in aree protette o in siti della rete Natura 2000.
[3] Comprese le valutazioni ambientali strategiche integrate alle procedure di VIA.
[4] Ai sensi dell’articolo 8, comma 2-septies del D.lgs. n. 152/2006, qualora lo richieda almeno una delle Commissioni parlamentari competenti a maggioranza dei due terzi dei suoi componenti, le tipologie dei progetti attuativi del PNIEC individuati nell’allegato I-bis possono essere modificate, con decreto del MASE, previo parere delle Commissioni parlamentari competenti da rendere entro quarantacinque giorni dalla richiesta, decorsi i quali il decreto può essere comunque adottato.
[5] Il citato punto 6-bis) dell’Allegato II alla Parte Seconda del Codice, richiama gli impianti chimici integrati per la produzione di idrogeno verde ovvero rinnovabile, ossia impianti per la produzione su scala industriale, mediante processi di trasformazione chimica, di idrogeno verde ovvero rinnovabile, in cui si trovano affiancate varie unità produttive funzionalmente connesse tra loro.
[6] In sede di audizioni sull’AG 187, è stato rilevato, dagli operatori di settore, che, per gli impianti eolici, la diffusione territoriale degli interventi (si pensi a cavidotti di connessione di importanti lunghezze nonché all’articolazione spaziale degli aerogeneratori peraltro vincolata alla presenza di risorsa) generalmente non consente la contrattualizzazione dell’area con i relativi proprietari a causa di problematiche tipicamente di natura formale (ad es. mancate successioni, trascrizioni e/o frazionamenti errati, irreperibilità proprietari) ovvero di natura commerciale. Al fine di garantire la realizzabilità degli interventi è quindi opportuno assicurare che il proponente abbia la facoltà di ricorrere, laddove necessario, all’apposizione del vincolo preordinato all’ esproprio/asservimento (cfr. audizione ANEV, 26 settembre 2024).
[7] Si fa notare che il testo iniziale ricalca la disposizione prevista – per il piano regolatore portuale, il piano di sviluppo aeroportuale o le rispettive varianti – dal secondo periodo del comma 3-ter dell’art. 6 del Codice dell'ambiente che stabilisce che, nei casi contemplati dal medesimo comma, la VIA “è effettuata secondo le modalità e le competenze previste dalla Parte Seconda del presente decreto ed è integrata dalla valutazione ambientale strategica per gli eventuali contenuti di pianificazione del Piano e si conclude con un unico provvedimento”.
[8] Il ricorso presentato dalla Società Padana energia S.r.l., appartenente al gruppo Gas Plus, per l’annullamento del D.M. 28 dicembre 2021, è stato esteso anche agli atti di questo presupposti, tra i quali il Decreto del Ministro della Transizione Ecologica, di concerto con il Ministro della Cultura del 29 settembre 2021 n. 399, con il quale è stata decretata la conclusione della valutazione ambientale strategica del PiTESAI, nonché a tutti gli ulteriori atti della procedura di VAS. Il ricorso è stato fondato su vari motivi di doglianza, alcuni dei quali sono stati accolti dal giudice amministrativo, e in particolare: la fondatezza del motivo di ricorso, con il quale la ricorrente ha lamentato la violazione delle garanzie partecipative nella fase di VAS e le carenze istruttorie e motivazionali che hanno caratterizzato la procedura di redazione e approvazione. È stata ritenuta altresì fondata l’ulteriore argomentazione, con la quale il ricorrente ha lamentato la mancata effettiva valutazione, nella fase conclusiva della VAS, dei contributi pervenuti nel corso della consultazione. L’incompletezza dell’istruttoria che ha preceduto l’approvazione dell’intero Piano risulta confermata dal fatto che lo stesso, addirittura nella sua versione definitiva, non ha una rappresentazione grafica completa delle aree e che le risultanze istruttorie sulla base delle quali è stato adottato non sono state compiutamente acquisite prima della formulazione della proposta, carenze tutte non sanabili da eventuali adempimenti successivi. E’ stata altresì accolta la contestazione delle modalità attraverso le quali il Ministero dell’(allora) transizione ecologica è pervenuto alla individuazione delle aree idonee, rilevando come questi, invece di procedere, come prescritto dall’art. 11-ter, all’individuazione delle aree “idonee” all’esercizio delle attività minerarie sulla base di una preventiva valutazione sito-specifica delle singole situazioni, ha proceduto a una individuazione di tipo residuale, applicando, sul territorio interessato dal Piano, una serie di “fattori escludenti” prestabiliti in via generale, astratta e trasversale, talvolta neppure compiutamente graficizzati nel piano medesimo, evidenziando, altresì, come la natura astratta dei vincoli ha illegittimamente interessato concessioni già in essere, dando vita a divieti di estrema estensione e rigidità.
[9] Inserito dall’articolo 62-ter del D.L. n. 76/2020 (legge n. 120/2020).
[10] Legge 21 luglio 1967, n. 613, recante “Ricerca e coltivazione degli idrocarburi liquidi e gassosi nel mare territoriale e nella piattaforma continentale e modificazioni alla L. 11 gennaio 1957, n. 6, sulla ricerca e coltivazione degli idrocarburi liquidi e gassosi.
[11] D.lgs. 25 novembre 1996, n. 625, recante “Attuazione della direttiva 94/22/CEE relativa alle condizioni di rilascio e di esercizio delle autorizzazioni alla prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi”.
[12] L’articolo 6, comma 17, secondo periodo, del D.lgs. n. 152/2006 (Codice dell’ambiente), nel testo antecedente alle modifiche qui in commento, vietava le attività di ricerca, di prospezione nonché di coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi (cd. attività upstream) in mare nelle zone di mare poste entro dodici miglia dalle linee di costa lungo l’intero perimetro costiero nazionale e dal perimetro esterno delle aree marine e costiere protette.
[13] Nell’ambito delle procedure di allocazione:
a) i diritti sono offerti per quantità distinte per campo di coltivazione e, se i costi asseverati risultano crescenti, al crescere del livello di produzione, per livelli di produzione;
b) il prezzo di offerta per ciascun insieme di diritti è pari al costo asseverato;
c) i diritti sono aggiudicati in ordine crescente di prezzo all’esito di una o più aste che prevedono:
1) l’allocazione prioritaria ai clienti finali industriali energivori. Questi possono presentare offerte per quantità pari al prodotto tra il consumo medio degli ultimi tre anni e il maggiore fra:
1.1) il minore tra uno e il valore assunto dall’intensità di utilizzo del gas sul valore aggiunto nel periodo di riferimento;
1.2) l’indice di prevalenza dell’uso del gas rispetto all’energia elettrica determinato dal rapporto tra il prelievo del gas nel periodo di riferimento espresso in MWh e la somma del suddetto prelievo e del prelievo di energia elettrica dalla rete nel medesimo periodo espressi in MWh;
2) l’assoggettamento dei diritti non assegnati ai sensi del punto 1) a un’eventuale ulteriore procedura di allocazione aperta a tipologie di clienti diversi da quelli industriali energivori per quantità comunque non superiori al relativo consumo medio degli ultimi tre anni, nonché ai clienti industriali energivori per la differenza tra i loro consumi medi e le quantità ammesse in offerta ai sensi del punto1)
3) la verifica da parte del Gruppo GSE delle quantità di diritti richiedibili dai clienti;
4) la regolazione al prezzo marginale differenziato per procedura;
d) i diritti offerti e aggiudicati sono remunerati da parte del Gruppo GSE a un corrispettivo pari ai costi asseverati per lo specifico campo di coltivazione e, se del caso, per livello di produzione.
[14] In merito ai nuovi obiettivi di riduzione dello smaltimento in discarica previsti dalla direttiva (UE) 2018/850, si ricorda che la stessa dispone che:
- gli Stati membri si adoperano per garantire che, entro il 2030, tutti i rifiuti idonei al riciclaggio o al recupero di altro tipo, in particolare i rifiuti urbani, non siano ammessi in discarica, a eccezione dei rifiuti per i quali il collocamento in discarica produca il miglior risultato ambientale;
- gli Stati membri adottano le misure necessarie per assicurare che entro il 2035 la quantità di rifiuti urbani collocati in discarica sia ridotta al 10%, o a una percentuale inferiore, del totale dei rifiuti urbani prodotti (per peso). Uno Stato membro può rinviare i termini per il conseguimento di tali obiettivi percentuali fino a un massimo di cinque anni, alle condizioni indicate dalla direttiva stessa.
In relazione allo stato di attuazione di tali obiettivi da parte dell’Italia, nel Rapporto rifiuti urbani 2023 dell'ISPRA viene evidenziato che nell'anno 2022 lo smaltimento in discarica interessa il 18% dei rifiuti urbani prodotti.