Camera dei deputati - Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa) |
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Autore: | Servizio Studi - Dipartimento Istituzioni |
Titolo: | Disposizioni urgenti in materia di lavoratori stranieri, caporalato, flussi migratori e protezione internazionale |
Riferimenti: | AC N.2088/XIX |
Serie: | Progetti di legge Numero: 362/1 |
Data: | 25/11/2024 |
Organi della Camera: | I Affari costituzionali, Assemblea |
Disposizioni urgenti in materia di lavoratori stranieri, caporalato, flussi migratori e protezione internazionale
D.L. 145/2024 – A.C. 2088-A
Servizio Studi
Tel. 06 6706-2451 - * studi1@senato.it – @SR_Studi
Dossier n. 378/1
Servizio Studi
Dipartimento Istituzioni
Tel. 06 6760-9475 - * st_istituzioni@camera.it – @CD_istituzioni
Progetti di legge n. 362/1
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D24145a.docx
I N D I C E
Capo I - Modifiche alla disciplina dell’ingresso in Italia di lavoratori stranieri
§ Articolo 1, comma 1, lettera a) e comma 2 (Ingresso nel territorio dello Stato)
§ Articolo 1, comma 1, lettera b) (Accordo di integrazione)
§ Articolo 1, comma 1, lettera h) (Ingresso per lavoro in casi particolari)
§ Articolo 2 (Disposizioni urgenti per l’ingresso di lavoratori stranieri nel 2025)
§ Articolo 2-bis (Programmazione dei flussi di ingresso di lavoratori stranieri)
§ Articolo 3 (Sospensione dei procedimenti relativi a cittadini di Paesi a particolare rischio)
§ Articolo 8 (Vigilanza, tutela e protezione)
§ Articolo 9 (Patrocinio a spese dello Stato)
Capo III – Disposizioni in materia di gestione dei flussi migratori e di protezione internazionale
§ Articolo 11, comma 1, lettera d) (Aeromobili privati che effettuano attività connesse al soccorso)
§ Articolo 12-bis (Paesi di origine sicuri)
§ Articolo 12-ter (Modifica dei requisiti per il richiedente ricongiungimento familiare)
§ Articolo 12-quater (Requisiti di idoneità dell’alloggio per finalità di ricongiungimento familiare)
§ Articolo 14 (Ritiro implicito della domanda di protezione internazionale)
§ Articolo 15 (Revoca della protezione speciale)
§ Articolo 15-bis (Mezzi destinati al controllo delle frontiere e dei flussi migratori)
§ Articolo 15-ter (Disposizioni in materia di rimpatrio volontario e assistito)
Capo IV – Disposizioni processuali
§ Articolo 17 (Modifiche al procedimento di impugnazione in materia di protezione internazionale)
Capo V – Disposizioni transitorie e finali
§ Articolo 19 (Disposizioni transitorie)
§ Articolo 20 (Disposizioni finanziarie)
§ Articolo 21 (Entrata in vigore)
Articolo 1, comma 2, del disegno di legge di conversione
(Abrogazione e salvezza degli effetti del decreto-legge n. 158 del 2024)
L’articolo 1, comma 2, del disegno di legge di conversione prevede l'abrogazione del decreto-legge n. 158 del 2024, con salvezza degli effetti.
Il decreto-legge n. 158 del 2024, recante “Disposizioni urgenti in materia di procedure per il riconoscimento della protezione internazionale” (c.d. decreto Paesi sicuri), è stato presentato alla Camera dei deputati il 23 ottobre 2024 e di seguito restituito al Governo per essere ripresentato all'altro ramo del Parlamento il 28 ottobre 2024.
Durante l’iter di conversione del decreto-legge n. 145 del 2024, in corso presso la Camera dei deputati, il Governo ha presentato l’emendamento 12.09, mediante il quale ha inteso far “confluire” nel disegno di legge di conversione del provvedimento in questione – riguardante, tra l’altro, le procedure per la gestione dei flussi migratori – i contenuti del decreto-legge n. 158.
A tal fine, attraverso l’emendamento citato:
§ è stata disposta l’introduzione, all'articolo 1 del disegno di legge di conversione del decreto-legge n. 145, del comma 1-bis, il quale prevede l’abrogazione del decreto-legge n. 158, specificando che restano validi gli atti e i provvedimenti adottati e che sono fatti salvi gli effetti prodottisi e i rapporti giuridici sorti sulla base del decreto-legge abrogato;
§ al contempo, sono state introdotte nel testo del decreto-legge n. 145 delle modifiche finalizzate a trasporvi le disposizioni del decreto abrogato.
Per quanto concerne il contenuto del decreto-legge n. 158, come trasfuso nel provvedimento in esame, si rinvia alla scheda di lettura relativa all’articolo 12-quater.
Si ricorda che, in base all’art. 77, terzo comma, della Costituzione, i decreti-legge perdono efficacia sin dall’inizio, se non convertiti in legge entro sessanta giorni dalla loro pubblicazione. Le Camere possono tuttavia regolare con legge i rapporti giuridici sorti sulla base dei decreti non convertiti.
Con riguardo al fenomeno della c.d. “confluenza” di più decreti-legge nella medesima legge di conversione, si segnala che, nel corso della XVIII legislatura, in occasione dell'esame presso la Camera dei deputati del disegno di legge A.C. 2835-A di conversione del decreto-legge n. 172 del 2020, nella seduta del 20 gennaio 2021 è stato approvato l'ordine del giorno 9/2835-A/10, il quale impegna il Governo «ad operare per evitare la “confluenza” tra diversi decreti-legge, limitando tale fenomeno a circostanze di assoluta eccezionalità da motivare adeguatamente nel corso dei lavori parlamentari». Successivamente, nel corso dell'esame del disegno di legge A.C. 2845-A di conversione del decreto-legge n. 183 del 2020 (c.d. “proroga termini”), nella seduta del 23 febbraio 2021 il Governo ha espresso parere favorevole all'ordine del giorno 9/2845-A/22. Quest’ultimo impegna il Governo «a porre in essere ogni iniziativa volta, in continuità di dialogo con il Parlamento, ad evitare, ove possibile, la confluenza dei decreti-legge, in linea anche con l'ordine del giorno 9/2835-A/10».
Nel corso della XVIII legislatura sono decaduti 41 decreti-legge, alcuni perché non convertiti nei tempi previsti, altri perché abrogati. Il loro contenuto è, però, confluito, attraverso l’approvazione di proposte emendative presentate nel corso dell'iter parlamentare, all’interno di altri provvedimenti.
D.L. 20 ottobre 2022, n. 153. “Misure urgenti in materia di accise e IVA sui carburanti”.
Pubblicato nella G.U. 21 ottobre 2022, n. 247. Abrogato dall'art. 1, comma 2, L. 17 novembre 2022, n. 175, a decorrere dal 18 novembre 2022, con salvezza degli effetti.
D.L. 23 novembre 2022, n. 179. “Misure urgenti in materia di accise sui carburanti e di sostegno agli enti territoriali e ai territori delle Marche colpiti da eccezionali eventi meteorologici”.
Pubblicato nella G.U. 23 novembre 2022, n. 274. Abrogato dall'art. 1, comma 2, L. 13 gennaio 2023, n. 6, a decorrere dal 18 gennaio 2023, con salvezza degli effetti.
D.L. 11 gennaio 2023, n. 4. “Disposizioni urgenti in materia di procedure di ripiano per il superamento del tetto di spesa per i dispositivi medici”.
Pubblicato nella G.U. 11 gennaio 2023, n. 8. Abrogato dall'art. 1, comma 2, L. 24 febbraio 2023, n. 14, a decorrere dal 28 febbraio 2023, con salvezza degli effetti.
D.L. 28 giugno 2023, n. 79. “Disposizioni urgenti a sostegno delle famiglie e delle imprese per l'acquisto di energia elettrica e gas naturale, nonché in materia di termini legislativi”.
Pubblicato nella G.U. 28 giugno 2023, n. 149. L’articolo 1 del decreto-legge è stato abrogato dall'art. 1, comma 2, L. 26 luglio 2023, n. 95, a decorrere dal 28 luglio 2023, con salvezza degli effetti. L’articolo 2 del decreto-legge medesimo è stato abrogato dall'art. 1, comma 2, L. 10 agosto 2023, n. 112, a decorrere dal 17 agosto 2023, con salvezza degli effetti.
D.L. 5 luglio 2023, n. 88. “Disposizioni urgenti per la ricostruzione nei territori colpiti dall'alluvione verificatasi a far data dal 1° maggio 2023”.
Pubblicato nella G.U. 5 luglio 2023, n. 155. Abrogato dall'art. 1, comma 2, L. 31 luglio 2023, n. 100, a decorrere dal 1° agosto 2023, con salvezza degli effetti.
D.L. 31 agosto 2023, n. 118. “Misure urgenti in materia di finanziamento di investimenti di interesse strategico”.
Pubblicato nella G.U. 31 agosto 2023, n. 203. Abrogato dall'art. 1, comma 2, L. 9 ottobre 2023, n. 136, a decorrere dal 10 ottobre 2023, con salvezza degli effetti.
D.L. 2 febbraio 2024, n. 9. “Disposizioni urgenti a tutela dell'indotto delle grandi imprese in stato di insolvenza ammesse alla procedura di amministrazione straordinaria”.
Pubblicato nella G.U. 2 febbraio 2024, n. 27. Abrogato dall'art. 1, comma 2, L. 5 marzo 2024, n. 28, a decorrere dal 16 marzo 2024, con salvezza degli effetti.
D.L. 2 luglio 2024, n. 91. “Misure urgenti di prevenzione del rischio sismico connesso al fenomeno bradisismico nell'area dei Campi Flegrei e per interventi di protezione civile e di coesione”.
Pubblicato nella G.U. 2 luglio 2024, n. 153. Abrogato dall’art. 1, comma 2, L. 8 agosto 2024, n. 111, a decorrere dal 9 agosto 2024, con salvezza degli effetti.
La prassi della confluenza di un decreto-legge in un altro provvedimento d’urgenza ha formato oggetto di attenzione, insieme con altri aspetti della decretazione d'urgenza, nella lettera del Presidente della Repubblica ai Presidenti delle Camere e al Presidente del Consiglio dei ministri del 23 luglio 2021 , nella quale si segnala che «la confluenza di un decreto-legge in un altro provvedimento d'urgenza, oltre a dover rispettare il requisito dell'omogeneità di contenuto, dovrà verificarsi solo in casi eccezionali e con modalità tali da non pregiudicarne l'esame parlamentare».
Il Comitato per la legislazione della Camera dei deputati ha, d’altra parte, costantemente raccomandato di evitare forme di confluenza tra decreti-legge contemporaneamente all'esame delle Camere per la loro conversione in legge, limitandola a circostanze di eccezionale gravità da motivare adeguatamente nel corso dell'esame parlamentare.
Sul punto, peraltro, si è recentemente pronunciata anche la Corte costituzionale che, nell’ordinanza n. 30 del 2024, richiamando sue precedenti pronunce (in particolare le sentenze n. 22 del 2012, n. 58 del 2018 e n. 110 del 2023), ha definito, in un obiter dictum di indubbia rilevanza per l'attività parlamentare, siffatta tecnica normativa «tortuosa» e «frutto di un anomalo uso del peculiare procedimento di conversione del decreto-legge, che reca pregiudizio alla chiarezza delle leggi e all'intelligibilità dell'ordinamento, principi questi funzionali a garantire certezza nella concreta applicazione della legge».
Articolo 1, comma 1, lettera a) e comma 2
(Ingresso nel territorio dello Stato)
L’articolo 1, comma 1, lett. a) interviene sul Testo unico dell’immigrazione e, in particolare, sulle disposizioni concernenti l’ingresso dello straniero nel territorio dello Stato, estendendo l’obbligo di acquisizione degli identificatori biometrici ai richiedenti visti nazionali ed escludendo l’applicazione del “preavviso di rigetto” nei procedimenti relativi ai visti di ingresso o al rifiuto/revoca del permesso di soggiorno in conseguenza della revoca del visto di ingresso.
Il comma 2 disciplina i termini dell’applicazione delle modifiche introdotte dal comma 1.
L’articolo 1 lettera a) si compone di due punti.
Il punto 1 estende ai visti nazionali l’obbligo di acquisizione degli identificatori biometrici, prima previsto per i soli visti Schengen (vedi infra) in base al Codice comunitario dei visti (Regolamento CE n. 810/2009, entrato in vigore il 5/04/2010 e da ultimo modificato dal Regolamento UE n. 1155/2019). La misura, oltre a dare uniformità ai procedimenti per il rilascio dei visti di ingresso, consente anche di accrescere il livello di sicurezza e di affidabilità dei controlli degli ingressi nel territorio nazionale.
Come precisato dal Governo nella relazione tecnica, l’aggiornamento del sistema informatico (software) per l’acquisizione degli identificatori biometrici avverrà senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica. Dal punto dell’hardware, non saranno, inoltre, necessari nuovi apparati, in quanto si utilizzeranno gli stessi apparati già in uso presso gli sportelli degli Uffici visti o presso i fornitori esterni di servizi di cui all’articolo 43 del Codice comunitario dei visti.
Precisa sempre il Governo che l’estensione dell’acquisizione degli identificatori biometrici ai visti nazionali non comporterà un apprezzabile aggravio per gli Uffici consolari, trattandosi di un passaggio procedurale di minimo impatto svolto durante l’intervista, pertanto non creerà una diminuzione delle domande di visti nazionali e, di conseguenza, non inciderà negativamente sul gettito dei diritti consolari dovuti per la presentazione di tali domande.
L'area Schengen senza frontiere è la più vasta zona di libera circolazione al mondo, che garantisce la libera circolazione a oltre 425 milioni di cittadini dell'UE, insieme ai cittadini non comunitari che vivono nell'Unione o che vi sono legalmente presenti (ad esempio per motivi di turismo o studio). Ad oggi, l'area Schengen comprende la maggior parte dei Paesi dell'Unione, ad eccezione di Cipro, per cui è in corso un processo di valutazione, e Irlanda. Bulgaria e Romania hanno aderito all'area Schengen a partire dal 31 marzo 2024. Fra gli Stati non membri dell’UE, vi hanno aderito Islanda, Norvegia, Svizzera e Liechtenstein.
Far parte di uno spazio senza controlli alle frontiere interne significa che i Paesi dell’area Schengen: applicano il complesso comune di norme Schengen definito acquis per quanto riguarda i controlli delle frontiere terrestri, marittime e aeree, il rilascio dei visti, la cooperazione di polizia e la protezione dei dati personali; si assumono la responsabilità del controllo delle frontiere esterne per conto degli altri Paesi Schengen e del rilascio di visti Schengen uniformi; cooperano, una volta aboliti i controlli alle frontiere interne, in modo efficiente con le forze dell'ordine degli altri Paesi Schengen per mantenere un elevato livello di sicurezza; attuano una forte cooperazione giudiziaria, anche attraverso un sistema di estradizione rapido e il trasferimento dell’esecuzione delle sentenze penali; utilizzano il? Sistema d'informazione Schengen (SIS) di condivisione di informazioni per garantire la sicurezza e la gestione ottimale delle frontiere in Europa.
Per un approfondimento si veda la seguente pagina della Commissione europea
Il punto 2 dispone che l’articolo 10-bis della Legge 241/1990, relativo al preavviso di rigetto, non si applichi ai procedimenti per il rilascio dei visti di ingresso e a quelli per il rifiuto o la revoca del permesso di soggiorno determinati dalla revoca del visto di ingresso.
Introdotto dalla Legge n. 15/2005, che reca modifiche ed integrazioni alla Legge n. 241/1990 contenente norme generali sull'azione amministrativa, il preavviso di rigetto costituisce l'atto con il quale, nei procedimenti ad istanza di parte, il responsabile del procedimento o l'autorità competente, prima di adottare il provvedimento negativo, informa tempestivamente l'interessato dei motivi ostativi all'accoglimento dell'istanza, accordando allo stesso un termine di 10 giorni per produrre osservazioni scritte o elementi documentali a propria difesa.
La ratio della nuova disposizione, chiarisce il Governo nella relazione illustrativa allegata al provvedimento in esame, risiede nelle particolari caratteristiche dei procedimenti in parola (vedi infra) - che si svolgono al di fuori del territorio nazionale e nei confronti di interlocutori stranieri e si intende quindi snellire l’attività degli Uffici consolari, a vantaggio di un miglior servizio per l’utenza.
Il “Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero” di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998 n. 286 (di seguito T.U.I.) ha introdotto disposizioni in materia di procedure di ingresso di cittadini stranieri nel territorio nazionale.
Ai sensi dell’articolo 4 del T.U.I. l'ingresso in Italia degli stranieri può essere consentito con visti per soggiorni di breve durata, validi fino a 90 giorni su un periodo di 180 giorni, e per soggiorni di lunga durata, di durata da 91 a 365 giorni, che comportano per il titolare la concessione di un permesso di soggiorno in Italia con motivazione identica a quella menzionata nel visto.
Mentre il Codice comunitario dei visti fissa le procedure e le condizioni per il rilascio del visto per soggiorni di breve durata nell’area Schengen e dei visti di transito aeroportuale, il visto d’ingresso di lunga durata (o visto nazionale, VN, di tipo D) è rilasciato dagli Stati membri in conformità alla propria legislazione interna ed è valido per un soggiorno di oltre 90 giorni nel territorio dello Stato che lo ha rilasciato.
Il D.P.R. n. 394/1999, recante norme di attuazione del T.U.I., prescrive che il rilascio dei visti di ingresso o per il transito nel territorio dello Stato è di competenza delle Rappresentanze diplomatico-consolari italiane a ciò abilitate e, tranne in casi particolari, territorialmente competenti per il luogo di residenza dello straniero.
Il visto può essere rilasciato se ne ricorrono requisiti e condizioni, per la durata occorrente in relazione ai motivi della richiesta e alla documentazione prodotta dal richiedente.
La tipologia dei visti, corrispondente ai diversi motivi di ingresso, nonché i requisiti e le condizioni per l'ottenimento di ciascun tipo di visto sono disciplinati da apposite istruzioni del Ministero degli Affari esteri, periodicamente aggiornate anche in esecuzione degli obblighi internazionali assunti dall'Italia, adottate con decreto del Ministro degli Affari esteri di concerto con gli altri Dicasteri interessati. In particolare, il Decreto interministeriale n. 850 dell’11 maggio 2011 in materia di visti d’ingresso ha individuato 21 tipologie di visto (Adozione, Affari, Cure Mediche, Diplomatico, Gara Sportiva, Invito, Lavoro Autonomo, Lavoro Subordinato, Missione, Motivi Familiari, Motivi Religiosi, Reingresso, Residenza Elettiva, Ricerca, Studio, Transito Aeroportuale, Transito, Trasporto, Turismo, Vacanze-lavoro, Volontariato) nonché i requisiti e le condizioni per l'ottenimento di ciascuna tipologia, contenuti nell'allegato A, che costituisce parte integrante del decreto. Più recentemente, il Decreto Interministeriale del 21 luglio 2017 ha regolato l’ingresso e il soggiorno in Italia di investitori stranieri, previsto al di fuori delle quote annuali disciplinate dal T.U.I. a seguito dell’introduzione nel Testo unico dell'art. 26-bis, operata dall’art. l, comma 148, della Legge n. 232/2016 (legge di bilancio 2017).
L’articolo 5, comma 8, del DPR n. 394/1999, così come modificato dal D.P.R. n. 334/2004, disciplina i termini per il rilascio dei visti nazionali, stabilendo che la Rappresentanza diplomatico-consolare, valutata la ricevibilità della domanda ed esperiti gli accertamenti richiesti in relazione al visto richiesto, ivi comprese le verifiche preventive di sicurezza, rilasci il visto entro 90 giorni dalla richiesta, salvo quanto diversamente previsto in norme di legge.
Con riferimento ai mezzi economici richiesti per il rilascio del visto, ad eccezione degli ingressi per soggiorni nazionali riconducibili ad attività retribuita e remunerata o di quelli che hanno un’autonoma disciplina, con la Direttiva del Ministero dell’Interno del 01.03.2000 sono stati quantificati i mezzi di sussistenza da dimostrare, nell'ambito delle condizioni per l'ingresso nel territorio italiano e per il rilascio del visto.
Contestualmente al rilascio del visto d'ingresso, la Rappresentanza diplomatico-consolare consegna al titolare del visto una comunicazione - scritta in lingua a lui comprensibile o, ove sia impossibile, in inglese, francese, spagnolo o arabo, secondo le preferenze manifestate dall'interessato - che indica i diritti e doveri dello straniero relativi all'ingresso ed al soggiorno in Italia, di cui all'articolo 2 del T.U.I., nonché l'obbligo di presentarsi alle competenti Autorità entro 8 giorni lavorativi dall’ingresso in Italia, avanzando istanza di richiesta di Permesso di Soggiorno nei modi indicati dalla legge relativamente alla finalità di soggiorno riportata sul visto di cui si è in possesso.
Qualora non sussistano i requisiti previsti, l'autorità diplomatico-consolare comunica allo straniero, con provvedimento scritto - eventualmente accompagnato da una traduzione del suo contenuto nella lingua a lui comprensibile o, comunque, in inglese, francese, spagnolo o arabo, secondo le preferenze manifestate dall'interessato - il diniego motivato del visto di ingresso, contenente l'indicazione delle modalità di eventuale impugnazione. Qualora, invece, le Rappresentanze diplomatico-consolari vengano a conoscenza di elementi, situazioni e condizioni che avrebbero impedito la concessione del visto d’ingresso - nel frattempo concesso - provvederanno ad emettere un formale provvedimento di revoca del visto.
Giova ricordare che il possesso del visto non implica il diritto all’ingresso nel territorio italiano, essendo quest’ultimo comunque subordinato alla effettuazione dei controlli di frontiera, compresi quelli richiesti in attuazione della Convenzione di applicazione dell'Accordo di Schengen, doganali, valutari ed a quelli sanitari previsti dalla normativa vigente in materia di profilassi internazionale. L’Autorità di polizia è titolata a precludere l’ingresso dello straniero nel territorio dello Stato, anche se in possesso di un regolare visto, qualora non riscontri le condizioni di ammissione stabilite dall’articolo 5 del Regolamento CE n. 562/2006 relativo al regime di attraversamento delle frontiere (Codice Frontiere Schengen), da ultimo modificato dal Regolamento UE 2024/1717.
In virtù del Regolamento UE 265/2010, al visto nazionale di lunga durata è esteso il principio dell’equipollenza tra permesso di soggiorno e visto per soggiorni di breve durata rilasciato dagli Stati membri che applicano integralmente l’acquis di Schengen, di modo che il visto nazionale ha la stessa efficacia del permesso di soggiorno per quanto riguarda la libertà di circolazione del titolare del visto nello spazio Schengen, autorizzando il suo titolare, nel periodo di validità del visto, a circolare e soggiornare negli altri Stati membri per 90 giorni ogni 180 giorni, sempre che siano ritenute soddisfatte le condizioni d’ingresso.
Per un ulteriore approfondimento in materia di immigrazione, visti di ingresso e permessi di soggiorno si vedano i siti istituzionali del Ministero degli Affari esteri, del Ministero dell’Interno, della Polizia di Stato, delle Questure, nonché il Portale Immigrazione.
Il comma 2 prevede che le modifiche introdotte dal comma 1 (per le altre disposizioni di questo comma si rinvia alle successive schede di lettura) si applichino dalla data di decorrenza delle disposizioni per l'anno 2025 di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 27 settembre 2023 (vedi infra), ad esclusione di quelle concernenti l’acquisizione degli identificatori biometrici per i richiedenti visti nazionali (lett. a, n. 1) e le procedure di rilascio del visto di ingresso per lavoro subordinato (lett. e, n. 4), che si applicano alle domande di visto presentate dal novantesimo giorno successivo all’entrata in vigore del decreto in commento.
Secondo l’articolo 8, comma 2, del DPCM del 27 settembre 2023, i termini per la presentazione delle richieste di nulla osta al lavoro per gli ingressi nell'ambito delle quote decorrono, per ciascuno degli anni 2024 e 2025, dalle ore 9,00 del 5, del 7 e del 12 febbraio, secondo la ripartizione per ambiti di cui al comma 1, fino a concorrenza delle rispettive quote o, comunque, entro il 31 dicembre di ciascun anno.
Nell’indicare i termini per la presentazione, per l’anno 2023, delle richieste di nulla osta al lavoro per gli ingressi nell'ambito delle quote di cui agli articoli 6 (lavoro subordinato non stagionale e lavoro autonomo) e 7 (lavoro stagionale), l’articolo 8, comma 1, del DPCM del 27 settembre 2023 distingue tra:
a) gli ingressi di cui all'art. 6, comma 3, lettera a) (lavoratori subordinati non stagionali cittadini di Albania, Algeria, Bangladesh, Bosnia-Herzegovina, Corea (Repubblica di Corea), Costa d'Avorio, Egitto, El Salvador, Etiopia, Filippine, Gambia, Georgia, Ghana, Giappone, Giordania, Guatemala, India, Kirghizistan, Kosovo, Mali, Marocco, Mauritius, Moldova, Montenegro, Niger, Nigeria, Pakistan, Perù, Repubblica di Macedonia del Nord, Senegal, Serbia, Sri Lanka, Sudan, Tunisia, Ucraina);
b) gli ingressi di cui all'art. 6, comma 3, lettera b) (lavoratori subordinati non stagionali cittadini di altri Paesi con i quali nel corso del triennio entrino in vigore accordi di cooperazione in materia migratoria), comma 4 (lavoratori di origine italiana per parte di almeno uno dei genitori fino al terzo grado in linea diretta di ascendenza, residenti in Venezuela, apolidi e rifugiati riconosciuti dall'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati o dalle autorità competenti nei Paesi di primo asilo o di transito, lavoratori subordinati non stagionali nel settore dell'assistenza familiare e socio-sanitaria) e comma 5 (ove si autorizza la conversione in permessi di soggiorno per lavoro subordinato di: a) permessi di soggiorno per lavoro stagionale e b) permessi di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo rilasciati ai cittadini di Paesi terzi da altro Stato membro dell'Unione europea);
c) gli ingressi di cui all'art. 7 (per lavoro stagionale).
Si segnala, peraltro, che, secondo quanto dichiarato nella relazione illustrativa, le modifiche introdotte dalla disposizione in commento – ad esclusione di quelle di cui all’articolo 1, lett. a), n. 1) e lett. e), n. 4) – dovrebbero applicarsi ai procedimenti pendenti alla data della sua entrata in vigore.
La disposizione ha carattere ordinamentale, atteso che le modifiche introdotte non comportano nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, essendo attuabili con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.
Articolo 1, comma 1, lettera b)
(Accordo di integrazione)
L’articolo 1, comma 1, lett. b), provvede a digitalizzare, con le medesime modalità previste per la sottoscrizione del contratto di soggiorno, il procedimento di sottoscrizione dell'accordo di integrazione di cui all'articolo 4-bis del Testo unico sull'immigrazione.
La legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica) ha introdotto nel Testo unico sull'immigrazione l'articolo 4-bis, che disciplina l’accordo di integrazione, demandando a un apposito regolamento (D.P.R. 14 settembre 2011 n. 179) la definizione dei criteri e delle modalità per la relativa sottoscrizione, da parte dello straniero, contestualmente alla presentazione della domanda di rilascio del permesso di soggiorno.
In particolare, si prevede che, per ottenere il rilascio del permesso di soggiorno, lo straniero debba stipulare tale accordo di integrazione (il cosiddetto permesso di soggiorno “a punti”), articolato per crediti, con l'impegno a conseguire specifici obiettivi di integrazione da conseguire nel periodo di validità del permesso di soggiorno.
La sottoscrizione dell’accordo di integrazione viene configurata, dunque, quale condizione necessaria per il rilascio del permesso di soggiorno, con la conseguenza per cui la perdita integrale dei crediti determina la revoca del permesso di soggiorno e l'espulsione dello straniero dal territorio dello Stato.
Il D.P.R. 14 settembre 2011 n. 179 (Regolamento concernente la disciplina dell'accordo di integrazione tra lo straniero e lo Stato, a norma dell'articolo 4-bis, comma 2, del Testo unico sull’immigrazione), oltre a stabilire i criteri e le modalità per la sottoscrizione dell'accordo disciplina, altresì, i contenuti, l'articolazione per crediti e i casi di sospensione dell'accordo, le modalità e gli esiti delle verifiche a cui esso è soggetto e l'istituzione dell'anagrafe nazionale degli intestatari degli accordi di integrazione, nonché i casi straordinari di giustificata esenzione dalla sottoscrizione.
Secondo tale disciplina, l’accordo di integrazione deve essere sottoscritto dagli stranieri di età superiore ai sedici anni che fanno ingresso per la prima volta in Italia e che richiedano un permesso di soggiorno di durata non inferiore a un anno.
Scopo fondamentale dell'accordo di integrazione è il raggiungimento, nell'arco di un biennio, di un livello di integrazione corrispondente a non meno di trenta crediti, assegnati in base alla partecipazione attiva dello straniero a determinate attività formative. Qualora non sia raggiunta detta soglia è possibile prorogare l'accordo di un anno ulteriore.
Esso viene sottoscritto presso lo sportello unico per l'immigrazione della prefettura, nei casi in cui il cittadino straniero faccia ingresso per motivi di lavoro o per ricongiungimento familiare, o presso la questura in caso di ingresso per altri motivi. In rappresentanza dello Stato è firmato dal Prefetto o da un suo delegato così da garantire l’impegno delle istituzioni a sostenere il processo di integrazione dello straniero attraverso l’assunzione di ogni idonea iniziativa. Con la sua sottoscrizione, invece, lo straniero si impegna ad acquisire un livello adeguato di conoscenza della lingua italiana parlata (equivalente almeno al livello A2 di cui al quadro comune europeo di riferimento), una sufficiente conoscenza dei principi fondamentali della Costituzione della Repubblica, della cultura civica e della vita civile in Italia (con particolare riferimento ai settori della sanità, della scuola, dei servizi sociali, del lavoro e degli obblighi fiscali) e, laddove presenti, a garantire l’adempimento dell’obbligo di istruzione da parte dei figli minori.
L’accordo è redatto in duplice originale, di cui uno è consegnato allo straniero nella lingua di origine ovvero, se ciò non sia possibile, tradotto in lingua inglese, francese, spagnola, araba, cinese, albanese, russa o filippina, secondo le indicazioni dell'interessato.
All’atto della sottoscrizione, allo straniero vengono attribuiti sedici crediti che corrispondono al livello A1 di conoscenza della lingua italiana parlata e a conoscenze di base di formazione civica e le informazioni sulla vita civile in Italia. Al fine di favorire questo percorso di formazione, allo straniero viene fornita la possibilità di frequentare, entro 90 giorni dalla data della sottoscrizione, un corso gratuito di formazione civica della durata complessiva di 10 ore presso i Centri di Istruzione per gli Adulti (CPIA) o i Centri Territoriali Permanenti (CTP).
Un mese prima dello scadere del biennio – e dell’eventuale anno aggiuntivo di proroga – lo sportello unico della prefettura competente avvia le procedure di verifica dell’accordo richiedendo allo straniero la documentazione necessaria a ottenere il riconoscimento dei crediti o, in assenza di tale documentazione, provvede ad accertare i livelli di conoscenza richiesti attraverso un apposito test svolto a cura dello sportello medesimo.
In alcuni casi - come, ad esempio, l’aver commesso reato o gravi violazioni della legge - i crediti possono essere decurtati. Se il numero di crediti finali è pari o superiore alla soglia di adempimento, fissata – come detto - in trenta crediti, è decretata l’estinzione dell’accordo per adempimento con rilascio del relativo attestato.
Con la disposizione in esame si interviene sull'articolo 4-bis, comma 2, secondo periodo, del Testo unico sull'immigrazione, prevedendosi che la stipula dell'accordo di integrazione debba avvenire con le modalità che l'articolo 22, comma 6, del medesimo Testo unico, attualmente prevede per la sottoscrizione del contratto di soggiorno.
Secondo la disposizione da ultimo citata, gli uffici consolari del Paese di residenza o di origine dello straniero provvedono, dopo gli accertamenti di rito, a rilasciare il visto di ingresso con indicazione del codice fiscale, comunicato dallo sportello unico per l'immigrazione. Entro otto giorni dall'ingresso, lo straniero si reca presso lo sportello unico per l'immigrazione che ha rilasciato il nulla osta per la firma del contratto di soggiorno che resta ivi conservato e, a cura di quest'ultimo, trasmesso in copia all'autorità consolare competente ed al centro per l'impiego competente.
Come emerge dalla stessa relazione illustrativa, attraverso la previsione in esame si intende digitalizzare il procedimento di sottoscrizione dell’accordo di integrazione, secondo le modalità già previste per la sottoscrizione del contratto di soggiorno.
Tale previsione si applica dalla data di decorrenza delle disposizioni per l’anno 2025 di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 27 settembre 2023 (articolo 1, comma 2). Per approfondimenti si rinvia alla scheda di lettura relativa all’articolo 1, comma 1, lettera a) e comma 2.
Testo unico immigrazione (D.Lgs. 286/1998) |
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Testo previgente |
Modificazioni apportate dall’art. 1, comma 1, lett. b), del D.L. 145/2024 |
Art. 4-bis |
Art. 4-bis |
1. Ai fini di cui al presente testo unico, si intende con integrazione quel processo finalizzato a promuovere la convivenza dei cittadini italiani e di quelli stranieri, nel rispetto dei valori sanciti dalla Costituzione italiana, con il reciproco impegno a partecipare alla vita economica, sociale e culturale della società. |
Identico. |
1-bis. Nell'ambito delle attività preordinate alla realizzazione del processo di integrazione di cui al comma 1, sono fornite le informazioni sui diritti conferiti allo straniero con il permesso di soggiorno di cui all'articolo 5, comma 8.1.
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Identico. |
2. Entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente articolo, con regolamento, adottato ai sensi dell'articolo 17, comma 1, della legge 23 agosto 1988,n. 400, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri e del Ministro dell'interno, di concerto con il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca e il Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali, sono stabiliti i criteri e le modalità per la sottoscrizione, da parte dello straniero, contestualmente alla presentazione della domanda di rilascio del permesso di soggiorno ai sensi dell'articolo 5, di un Accordo di integrazione, articolato per crediti, con l'impegno a sottoscrivere specifici obiettivi di integrazione, da conseguire nel periodo di validità del permesso di soggiorno. La stipula dell'Accordo di integrazione rappresenta condizione necessaria per il rilascio del permesso di soggiorno. La perdita integrale dei crediti determina la revoca del permesso di soggiorno e l'espulsione dello straniero dal territorio dello Stato, eseguita dal questore secondo le modalità di cui all'articolo 13, comma 4, ad eccezione dello straniero titolare di permesso di soggiorno per asilo, ((per protezione sussidiaria, per i motivi di cui all'articolo 32, comma 3, del decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25,)) per motivi familiari, di permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo, di carta di soggiorno per familiare straniero di cittadino dell'Unione europea, nonché dello straniero titolare di altro permesso di soggiorno che ha esercitato il diritto al ricongiungimento familiare. |
2 Entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente articolo, con regolamento, adottato ai sensi dell'articolo 17, comma 1, della legge 23 agosto 1988,n. 400, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri e del Ministro dell'interno, di concerto con il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca e il Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali, sono stabiliti i criteri e le modalità per la sottoscrizione, da parte dello straniero, contestualmente alla presentazione della domanda di rilascio del permesso di soggiorno ai sensi dell'articolo 5, di un Accordo di integrazione, articolato per crediti, con l'impegno a sottoscrivere specifici obiettivi di integrazione, da conseguire nel periodo di validità del permesso di soggiorno. La stipula dell'Accordo di integrazione, con le modalità di cui all'articolo 22, comma 6, rappresenta condizione necessaria per il rilascio del permesso di soggiorno. La perdita integrale dei crediti determina la revoca del permesso di soggiorno e l'espulsione dello straniero dal territorio dello Stato, eseguita dal questore secondo le modalità di cui all'articolo 13, comma 4, ad eccezione dello straniero titolare di permesso di soggiorno per asilo, ((per protezione sussidiaria, per i motivi di cui all'articolo 32, comma 3, del decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25,)) per motivi familiari, di permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo, di carta di soggiorno per familiare straniero di cittadino dell'Unione europea, nonché dello straniero titolare di altro permesso di soggiorno che ha esercitato il diritto al ricongiungimento familiare. |
3. All'attuazione del presente articolo si provvede con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica. |
3. Identico. |
La novella di cui al comma 1, lettera e), dell’articolo 1 – rispetto alla quale la novella di cui alla precedente lettera c) costituisce un intervento di coordinamento –[1] modifica la disciplina relativa ad alcune fasi precedenti il rilascio del permesso di soggiorno per motivi di lavoro subordinato. Le fasi interessati da tali modifiche – che si applicano con le decorrenze di cui al comma 2 – concernono: il rilascio del nulla osta al lavoro per i cittadini di Stati non appartenenti all'Unione europea (nonché per gli apolidi); il rilascio del relativo visto di ingresso; la stipulazione del contratto di soggiorno per lavoro subordinato (contratto che deve essere stipulato dal lavoratore, successivamente all’ingresso nel territorio nazionale, con il datore di lavoro). Le modifiche concernono sia le procedure relative a tali atti sia alcuni presupposti per il rilascio del suddetto nulla osta. In via di sintesi, le novelle: prevedono che sia la domanda nominativa – da parte del datore di lavoro – di rilascio del nulla osta al lavoro sia il suddetto contratto di soggiorno siano trasmessi con modalità telematica (si prevede anche la sottoscrizione con firma elettronica del datore di lavoro sia di alcune documentazioni da allegare alla domanda di nulla osta sia del contratto di soggiorno) (numeri 1), 3) e 5) della lettera e), nonché norma abrogativa di coordinamento di cui alla lettera c)); introducono, riguardo alla verifica da parte del centro per l’impiego dell’eventuale disponibilità di lavoratori presenti nel territorio nazionale, un termine di otto giorni dalla richiesta del datore, decorsi inutilmente i quali la verifica si intende eseguita negativamente (si ricorda che l’esito negativo della verifica costituisce un presupposto per la presentazione della domanda di nulla osta) (numero 2 della lettera e)); introducono la previsione di irricevibilità della domanda di nulla osta per il caso in cui il datore di lavoro, nel triennio precedente, non abbia sottoscritto il contratto di soggiorno dopo il conseguimento di un nulla osta nonché un’omologa previsione di irricevibilità per una determinata fattispecie di procedimento o di condanna penale (numero 2) citato); con la decorrenza specifica stabilita dal comma 2, introducono la fase procedurale di conferma (da parte del medesimo datore di lavoro) della domanda di nulla osta – conferma che deve essere trasmessa successivamente alla comunicazione della conclusione degli accertamenti di rito relativi alla domanda di visto di ingresso presentata dal lavoratore – e subordinano il rilascio del visto alla suddetta conferma da parte del datore (numero 4) della citata lettera e)).
La novella di cui alla lettera g) del comma 1 specifica[2] che i controlli a campione da parte dell’Ispettorato nazionale del lavoro sui requisiti inerenti all'osservanza delle prescrizioni del contratto collettivo di lavoro e alla congruità del numero delle richieste di nulla osta al lavoro presentate siano svolti, nel settore agricolo, in collaborazione anche con l’Agea[3] (oltre che con l’Agenzia delle entrate). Anche la decorrenza di tale novella è definita dal comma 2.
Più in particolare, la novella di cui al comma 1, lettera e), numero 1), prevede (con la decorrenza stabilita dal successivo comma 2) che:
§ la domanda nominativa – da parte del datore di lavoro – di rilascio del nulla osta al lavoro per cittadini di Stati non appartenenti all'Unione europea (nonché per gli apolidi) debba essere presentata in via telematica, con la sottoscrizione mediante firma digitale o altro tipo di firma elettronica qualificata di alcune documentazioni già previste dalla disciplina; gli atti interessati, sotto il suddetto profilo della sottoscrizione, dalla presente novella[4] sono l’idonea documentazione relativa alle modalità di sistemazione alloggiativa per il lavoratore straniero e l’asseverazione – documento che attesta, nei casi richiesti dalla normativa, la positiva verifica dei requisiti concernenti l'osservanza delle prescrizioni del contratto collettivo di lavoro e la congruità del numero delle richieste presentate –. Riguardo all’asseverazione, cfr. la parte della presente scheda relativa alla novella di cui alla lettera g);
§ la documentazione da allegare alla suddetta domanda di nulla osta comprenda anche l’indicazione di un domicilio digitale inserito in uno degli indici nazionali di cui agli articoli 6-bis e 6-quater del codice dell’amministrazione digitale, di cui al D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82, e successive modificazioni[5] (occorre dunque indicare un indirizzo di posta elettronica certificata).
Si ricorda che la domanda di rilascio del nulla osta deve essere presentata dal datore di lavoro (che intenda instaurare in Italia un rapporto di lavoro subordinato, a tempo determinato o indeterminato, con uno straniero residente all'estero e che non sia cittadino di uno Stato dell’Unione europea) allo sportello unico per l'immigrazione[6] della provincia di residenza ovvero di quella in cui ha sede legale l'impresa, ovvero di quella ove avrà luogo la prestazione lavorativa. La presentazione della domanda deve essere preceduta dalla verifica negativa della disponibilità di lavoratori presenti nel territorio nazionale (cfr., in merito, la parte della presente scheda relativa alla novella di cui al numero 2) della stessa lettera e)). Oltre ai documenti sopra menzionati, occorre allegare alla domanda la proposta di contratto di soggiorno per lavoro subordinato (recante anche la specificazione delle relative condizioni e l'impegno del datore di lavoro al pagamento delle spese di ritorno dello straniero nel Paese di provenienza)[7] e la dichiarazione di impegno a comunicare ogni variazione concernente il rapporto di lavoro.
La novella di cui al numero 2) della stessa lettera e) introduce (con la decorrenza stabilita dal successivo comma 2):
§ il principio che la suddetta verifica circa la disponibilità di lavoratori presenti nel territorio nazionale si intende esperita negativamente qualora il centro per l’impiego competente non dia comunicazione di una disponibilità entro otto giorni dalla richiesta da parte del datore di lavoro[8];
§ la previsione di irricevibilità della domanda di nulla osta per il caso in cui il datore di lavoro, nel triennio precedente la medesima domanda, non abbia sottoscritto il contratto di soggiorno dopo il conseguimento di un nulla osta. Tale preclusione non si applica se il datore prova che la mancata sottoscrizione è dovuta a causa a lui non imputabile. Si valuti l’opportunità di chiarire se la preclusione sussista anche per il caso in cui la mancata sottoscrizione derivi dalla circostanza che il datore non abbia confermato una domanda di nulla osta, in relazione alla fase procedurale di conferma introdotta dalla novella di cui al numero 4) della presente lettera e) (cfr. infra in merito);
§ la previsione di irricevibilità della domanda di nulla osta per il caso in cui, al momento della presentazione della stessa domanda, risulti emesso nei confronti del datore di lavoro un decreto che disponga il giudizio per il reato di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro[9] – ovvero, in base agli inserimenti operati in sede referente, per il reato di riduzione o mantenimento in schiavitù o in servitù[10] o per il reato di tratta di persone[11] o per il reato di acquisto o alienazione di schiavi[12] – o risulti emessa una sentenza di condanna, anche non definitiva, per i medesimi reati. Si valuti l’opportunità di chiarire se la preclusione sussista, con riferimento ai suddetti reati, anche per il caso di sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti (ai sensi degli articoli 444 e seguenti del codice di procedura penale).
Le novelle di cui ai numeri 3), 4) e 5) della stessa lettera e) modificano (con le decorrenze stabilite dal successivo comma 2) le norme procedurali relative a: il rilascio, da parte di un ufficio consolare italiano, del visto di ingresso in favore del lavoratore per il quale sia stato riconosciuto (da parte dello sportello unico per l’immigrazione) il nulla osta in base alla procedura summenzionata; la stipulazione, tra il datore di lavoro e il lavoratore e successivamente all’ingresso di quest’ultimo nel territorio nazionale, del contratto di soggiorno per lavoro subordinato. In particolare, le novelle:
§ introducono la fase procedurale di conferma, da parte del datore di lavoro, della domanda di nulla osta[13]; la conferma deve essere trasmessa (al medesimo sportello unico) entro sette giorni dalla comunicazione che si sono conclusi gli accertamenti di rito relativi alla domanda di visto di ingresso presentata dal lavoratore ad un ufficio consolare italiano competente (ufficio consolare presso il Paese di residenza o di origine) (numero 4)). In assenza di conferma nel suddetto termine, il visto di ingresso non può essere rilasciato e il nulla osta (ove già rilasciato) è revocato. Nel caso invece di conferma entro il termine, l’ufficio consolare rilascia il visto di ingresso. La novella specifica altresì che le comunicazioni tra lo sportello unico per l’immigrazione e l’ufficio consolare avvengono esclusivamente tramite il portale informatico per la gestione delle domande di visto di ingresso in Italia. Il successivo comma 2 del presente articolo 1 specifica che tale procedura di conferma e di successivo rilascio del visto di ingresso si applica con riferimento alle domande di visto presentate a decorrere dal novantesimo giorno successivo all’entrata in vigore del presente decreto (quindi, l’applicazione concerne le domande di visto presentate dal 9 gennaio 2025);
§ prevedono che il contratto di soggiorno summenzionato[14] (numeri 3) e 5) della suddetta lettera e)) sia sottoscritto mediante firma digitale o altro tipo di firma elettronica qualificata delle due parti, o quantomeno del datore di lavoro (la cui firma, in questo secondo caso, costituisce anche dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà[15], relativamente alla firma autografa del lavoratore), e sia trasmesso con modalità telematica, a cura del datore di lavoro, allo sportello unico per l’immigrazione entro il termine già vigente di otto giorni, decorrenti dalla data di ingresso del lavoratore nel territorio nazionale[16]; si sostituisce, dunque, la previsione della stipulazione del contratto di soggiorno presso lo sportello unico (previsione che viene esplicitamente abrogata dalla novella di cui alla precedente lettera c)). Resta fermo che, nel caso di mancato rispetto del termine di otto giorni, il nulla osta è revocato, salvo che il ritardo sia dipeso da cause di forza maggiore o – come specifica la novella – comunque non imputabili al lavoratore; in relazione a quest’ultima previsione della novella, si valuti l’opportunità di definire esplicitamente le conseguenze di un ritardo imputabile al datore di lavoro, considerato anche che la condotta omissiva da parte del datore potrebbe protrarsi indefinitamente.
In base al comma 2 del presente articolo 1, le novelle di cui alle lettere c) ed e) in esame si applicano a decorrere dall’attuazione delle quote di ingresso per motivi di lavoro per l’anno 2025 (quote definite dal richiamato D.P.C.M. 27 settembre 2023[17]), ad eccezione della novella di cui al numero 4) della lettera e) (per la decorrenza di quest’ultima novella, cfr. la relativa parte di scheda di lettura).
Come accennato, la novella di cui alla lettera g) del comma 1 specifica che i controlli a campione da parte dell’Ispettorato nazionale del lavoro sui requisiti inerenti all'osservanza delle prescrizioni del contratto collettivo di lavoro e alla congruità del numero delle richieste di nulla osta al lavoro presentate (nonché sulla regolarità delle relative precedenti procedure di verifica di natura privatistica) siano svolti, nel settore agricolo, in collaborazione anche con l’Agea[18] (oltre che con l’Agenzia delle entrate)[19]. In base alla formulazione letterale del comma 2, la novella di cui alla presente lettera g) dovrebbe applicarsi a decorrere dall’attuazione delle quote di ingresso per motivi di lavoro relative agli anni successivi al 2024[20]. Si consideri l’opportunità di una valutazione dell’esclusione della novella per gli ingressi precedenti, considerato che la novella riguarda il profilo di controlli successivi rispetto allo svolgimento dei procedimenti inerenti all’ingresso. La relazione tecnica del disegno di legge di conversione del presente decreto[21] osserva che, “nell’ambito del progetto sulla lotta al caporalato”, tra Agea ed INPS sono stati già istituiti dei gruppi di lavoro e dei sistemi operativi, che possono essere utilizzati per lo svolgimento dei controlli in esame.
La novella di cui alla presente lettera g) integra, dunque, una norma di chiusura della disciplina sulla cosiddetta asseverazione.
Tale disciplina, in primo luogo, demanda la verifica – all'interno della suddetta procedura di rilascio di nulla osta – dei requisiti concernenti l'osservanza (nello schema di contratto di lavoro) delle prescrizioni del contratto collettivo di lavoro e la congruità del numero delle richieste presentate dal datore di lavoro ad alcune categorie di professionisti – consulenti del lavoro, avvocati, dottori commercialisti ed esperti contabili – o alle organizzazioni dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale (ai quali il datore di lavoro aderisca o conferisca mandato) e pone alcuni criteri specifici relativi alla medesima verifica. In base a questi ultimi[22], le verifiche in oggetto tengono anche conto della capacità patrimoniale, dell'equilibrio economico-finanziario, del fatturato, del numero dei dipendenti – ivi compresi quelli già richiesti ai sensi della disciplina sugli ingressi per lavoro di cittadini di Stati non appartenenti all'Unione europea (o di apolidi) – e del tipo di attività svolta dall'impresa. In caso di esito positivo delle verifiche, è rilasciata apposita asseverazione. In secondo luogo, la disciplina speciale in oggetto esclude la necessità della medesima asseverazione per le richieste di nulla osta presentate dalle organizzazioni dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e sottoscrittrici con il Ministero del lavoro e delle politiche sociali di un apposito protocollo di intesa – protocollo con il quale le organizzazioni si impegnano a garantire il rispetto, da parte dei propri associati, dei requisiti in oggetto –.
Come detto, la disciplina fa salva la possibilità, per l'Ispettorato nazionale del lavoro, di effettuare, in collaborazione con l'Agenzia delle entrate e – in base alla novella di cui alla presente lettera g) – nel settore agricolo con l’Agea, controlli a campione sul rispetto dei requisiti e delle procedure di cui alla medesima disciplina[23]. All’eventuale accertamento di relativi elementi ostativi conseguono la revoca del nulla osta al lavoro, del visto di ingresso e del permesso di soggiorno nonché la risoluzione di diritto del contratto di soggiorno[24].
Si ricorda che, ai sensi dell'articolo 30-bis, comma 8, del regolamento di cui al D.P.R. 31 agosto 1999, n. 394[25], la verifica della congruità in rapporto alla capacità economica del datore di lavoro non è richiesta per i soggetti che siano affetti da patologie o handicap che ne limitino l'autosufficienza e che intendano assumere, per la propria assistenza, un lavoratore straniero.
Riguardo all’asseverazione, cfr. anche la novella di cui al comma 1, lettera e), numero 1) (cfr. supra, nella relativa parte della scheda di lettura).
Si ricorda che, in materia di lavoro stagionale, le norme sul complesso di procedure relative al rilascio del permesso di soggiorno e su quest’ultimo sono parzialmente diverse. Al riguardo, si rinvia alla scheda relativa alla novella di cui alla lettera f) del presente articolo 1, comma 1.
L’articolo 1, comma 1, lettera d), concerne la disciplina che consente allo straniero titolare di un permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo, rilasciato da un altro Stato membro dell'Unione europea e in corso di validità[26], di chiedere un permesso di soggiorno per un periodo superiore a tre mesi sul territorio nazionale per alcuni fini, tra cui quello dello svolgimento di un'attività economica in qualità di lavoratore subordinato o autonomo[27]. La novella di cui alla presente lettera d) specifica che i permessi di soggiorno per lavoro subordinato e quelli per lavoro autonomo così concessi ai soggetti summenzionati non sono computati nelle quote relative ai flussi di ingresso di lavoratori stranieri[28].
In base alla formulazione del successivo comma 2, la suddetta novella di cui alla lettera d) si applica a decorrere dall’attuazione delle quote di ingresso per motivi di lavoro per l’anno 2025 (quote definite dal richiamato D.P.C.M. 27 settembre 2023[29]). Per approfondimenti si rinvia alla scheda di lettura relativa all’articolo 1, comma 1, lettera a), e comma 2.
La relazione illustrativa del disegno di legge di conversione del presente decreto[30] osserva che la novella di cui alla lettera d) è in linea con le indicazioni della Commissione europea di “abolire eventuali quote preesistenti applicabili ai soggiornanti di lungo periodo dell'UE che soggiornano in altri Stati membri”.
La lettera f) dell’articolo 1, comma 1, reca alcune modifiche[31] alla disciplina in materia di permesso di soggiorno per lavoro stagionale (disciplina concernente le fattispecie di lavoro subordinato a carattere stagionale nei settori agricolo e turistico/alberghiero da parte di cittadini di Stati non appartenenti all'Unione europea ovvero di apolidi). Le novelle di cui ai numeri 1) e 5) operano alcune correzioni o modifiche di carattere formale; la novella di cui al numero 1) opera altresì la soppressione del richiamo, per il lavoro stagionale, della validità generale di durata del nulla osta al lavoro subordinato (di conseguenza, i limiti temporali per il lavoro stagionale degli stranieri in esame sono oggetto di una disciplina completamente autonoma, come ridefinita anche dalla novella di cui al successivo numero 4)). Le novelle di cui ai numeri 2) e 7) recano modifiche di coordinamento, in relazione alle modifiche procedurali inerenti al contratto di soggiorno per lavoro subordinato (ivi compreso quello stagionale) poste dalla novella di cui al numero 5) della precedente lettera e). La novella di cui al numero 3) della presente lettera f) inserisce la previsione che la sottoscrizione, in relazione a un rapporto di lavoro stagionale, di un contratto di soggiorno sia comunicata all’INPS e che quest’ultimo iscriva di ufficio il lavoratore stagionale nella piattaforma del Sistema informativo per l'inclusione sociale e lavorativa (SIISL)[32]. La novella di cui al numero 4) introduce un termine temporale entro il quale deve intervenire la nuova opportunità di lavoro stagionale, al fine della proroga sia del nulla osta al lavoro stagionale sia del permesso di soggiorno per lavoro stagionale (nel rispetto del limite massimo complessivo di nove mesi di attività lavorativa stagionale nell’arco di dodici mesi[33]). La novella di cui al numero 5) modifica la formulazione letterale di una delle condizioni poste per il diritto di precedenza al rientro per ragioni di lavoro stagionale; con la modifica – nel confermare che il diritto è riconosciuto a condizione che il soggetto abbia lasciato il territorio nazionale alla scadenza del precedente permesso di soggiorno – si sopprime la condizione specifica che il rientro sia stato nel Paese di provenienza del lavoratore. La novella di cui al numero 6) esclude dal computo delle quote relative ai flussi di ingresso di lavoratori stranieri[34] i casi di conversione di un permesso di soggiorno per lavoro stagionale in permesso di soggiorno per lavoro subordinato.
Il successivo comma 2 definisce la decorrenza dell’applicazione delle novelle in esame.
Come accennato, la disciplina specifica sul permesso di soggiorno per lavoro stagionale concerne le fattispecie di lavoro subordinato a carattere stagionale nei settori agricolo e turistico/alberghiero da parte di cittadini di Stati non appartenenti all'Unione europea ovvero di apolidi.
Si ricorda che tale disciplina è in larga parte posta mediante il richiamo delle norme relative al permesso di soggiorno per lavoro subordinato. La novella di cui al numero 1) della presente lettera f) modifica la suddetta disposizione di richiamo. Con le modifiche si esclude il richiamo della norma sulla durata della validità del nulla osta al lavoro e si espunge il richiamo di una norma nel frattempo abrogata[35]. Riguardo, più in particolare, al primo di questi due interventi, si ricorda che la norma ora esclusa dal richiamo stabilisce che il nulla osta al lavoro (rilasciato a un datore di lavoro per un contratto di lavoro dipendente con uno straniero) ha una validità di sei mesi (decorrenti dal rilascio medesimo), durante i quali può essere attivata la procedura per il rilascio del visto di ingresso nel territorio nazionale; l’esclusione di tale richiamo, secondo la relazione illustrativa del disegno di legge di conversione del presente decreto[36], è dovuta alla considerazione della limitata proiezione nel tempo del lavoro stagionale. Resta fermo che il nulla osta per lavoro stagionale consente lo svolgimento di attività lavorativa sul territorio nazionale fino a un massimo di nove mesi in un periodo di dodici mesi[37]; in merito alle modalità di quest’ultima possibilità, cfr. anche la parte di scheda relativa alla novella di cui al numero 4) della presente lettera f).
Le novelle di cui ai numeri 2) e 7) recano modifiche di coordinamento, in relazione alle modifiche procedurali inerenti al contratto di soggiorno per lavoro subordinato (ivi compreso quello stagionale) poste dalla novella di cui al numero 5) della precedente lettera e). Riguardo a tali modifiche – che trovano dunque applicazione anche con riferimento al lavoro stagionale in esame – e più in generale all’istituto del contratto di soggiorno per lavoro subordinato, si rinvia alla scheda di lettura relativa ai numeri 3) e 5) della lettera e)[38].
La novella di cui al numero 3) della presente lettera f) inserisce la previsione che la sottoscrizione, in relazione a un rapporto di lavoro stagionale, di un contratto di soggiorno sia comunicata all’INPS e che quest’ultimo iscriva di ufficio il lavoratore stagionale nella piattaforma del Sistema informativo per l'inclusione sociale e lavorativa (SIISL)[39]. Si valuti l’opportunità di chiarire quale soggetto debba effettuare la comunicazione suddetta.
La novella di cui al numero 4), in primo luogo, introduce un termine temporale entro il quale “può intervenire” la “nuova opportunità di lavoro” stagionale, al fine della proroga sia del nulla osta al lavoro stagionale sia del permesso di soggiorno per lavoro stagionale – nel rispetto del limite massimo complessivo di nove mesi di attività lavorativa stagionale nell’arco di dodici mesi[40] –; il nuovo termine è stabilito in sessanta giorni dal termine finale del precedente contratto; si valuti l’opportunità di chiarire quale fase della nuova procedura contrattuale debba intervenire entro tale termine (al riguardo, la relazione illustrativa del disegno di legge di conversione del presente decreto[41] sembra far riferimento alla formulazione della domanda di lavoro da parte di un datore). Resta fermo che il nuovo contratto di lavoro stagionale può essere stipulato sia con lo stesso datore di lavoro sia con un altro datore. In secondo luogo, la novella di cui al numero 4) richiede che l’intermediazione relativa alla conclusione di tali successivi contratti di lavoro stagionale (intercorrenti tra il lavoratore straniero e lo stesso datore di lavoro o un altro datore) avvenga mediante l’utilizzo della suddetta piattaforma SIISL[42]. Si valuti l’opportunità di chiarire la nozione di intermediazione e le relative modalità. Sotto il profilo redazionale, si osserva che la novella fa riferimento al rispetto del “periodo di validità del nulla osta al lavoro”, periodo che in realtà – fermo restando il suddetto limite massimo complessivo di attività lavorativa – è (in ipotesi) prorogato proprio in virtù del nuovo contratto di lavoro stagionale; considerato tale aspetto e considerato che la novella di cui al precedente numero 1) ha soppresso, per il nulla osta al lavoro stagionale, il richiamo della norma sulla durata della validità, si valuti l’opportunità di una riformulazione della suddetta locuzione che fa riferimento al “periodo di validità del nulla osta al lavoro”.
La novella di cui al numero 5) modifica la formulazione letterale di una delle condizioni poste per il diritto di precedenza al rientro per ragioni di lavoro stagionale, diritto riconosciuto – rispetto a coloro che non hanno mai fatto regolare ingresso in Italia per motivi di lavoro – in favore dello straniero già ammesso al lavoro stagionale in Italia almeno una volta nei cinque anni precedenti; con la modifica – nel confermare che il diritto è riconosciuto a condizione che il soggetto abbia rispettato le condizioni indicate nel precedente permesso di soggiorno e abbia lasciato il territorio nazionale alla scadenza di quest’ultimo – si sopprime la condizione specifica che il rientro sia stato nel Paese di provenienza del lavoratore. Si ricorda che tale diritto di precedenza è riconosciuto anche qualora la nuova proposta di lavoro stagionale sia operata da un diverso datore di lavoro.
La novella di cui al numero 6) esclude dal computo delle quote relative ai flussi di ingresso di lavoratori stranieri[43] i casi di conversione di un permesso di soggiorno per lavoro stagionale in permesso di soggiorno per lavoro subordinato (sulla base di un contratto di lavoro subordinato a tempo determinato o indeterminato). Si ricorda che la possibilità di conversione in oggetto è subordinata alla condizione che lo straniero abbia svolto regolare attività, a titolo di lavoro dipendente stagionale, sul territorio nazionale per almeno tre mesi. La relazione illustrativa del disegno di legge di conversione del presente decreto[44] osserva che la novella in esame è intesa a facilitare la permanenza in termini regolari dei lavoratori stranieri e a evitare quindi situazioni di lavoro irregolare.
In base al successivo comma 2, le novelle di cui alla suddetta lettera f) si applicano a decorrere dal termine iniziale per la presentazione delle domande relative alle quote di ingresso per motivi di lavoro stagionale per l’anno 2025; tale termine decorre dalle ore 9.00 del 12 febbraio 2025, ai sensi dell’articolo 8, comma 2, del richiamato D.P.C.M. 27 settembre 2023. Per approfondimenti si rinvia alla scheda di lettura relativa all’articolo 1, comma 1, lettera a), e comma 2.
Articolo 1, comma 1, lettera h)
(Ingresso per lavoro in casi particolari)
L’articolo 1, comma 1, lett. h), modificando l'articolo 27, comma 1-ter, del Testo unico sull’immigrazione, estende l’applicazione della disciplina di digitalizzazione del procedimento di sottoscrizione del contratto di soggiorno anche alle procedure di ingresso per lavoro in casi particolari.
L’art. 27 del Testo unico sull’immigrazione disciplina i casi particolari di ingresso per lavoro subordinato di cittadini stranieri che, data la peculiare natura delle loro prestazioni, possono fare ingresso in Italia al di fuori delle quote stabilite annualmente dal Governo mediante il decreto flussi (per approfondimenti sul punto si rimanda alla scheda relativa all’articolo 2).
Si tratta, nel dettaglio, delle seguenti categorie di lavoratori (art. 27, comma 1):
a) dirigenti o personale altamente specializzato di società aventi sede o filiali in Italia ovvero di uffici di rappresentanza di società estere che abbiano la sede principale di attività nel territorio di uno Stato membro dell'Organizzazione mondiale del commercio, ovvero dirigenti di sedi principali in Italia di società italiane o di società di altro Stato membro dell'Unione europea;
b) lettori universitari di scambio o di madre lingua;
c) I professori universitari destinati a svolgere in Italia un incarico accademico;
d) traduttori e interpreti;
e) collaboratori familiari aventi regolarmente in corso all'estero, da almeno un anno, rapporti di lavoro domestico a tempo pieno con cittadini italiani o di uno degli Stati membri dell'Unione europea residenti all'estero, che si trasferiscono in Italia per la prosecuzione del rapporto di lavoro domestico;
f) persone che, autorizzate a soggiornare per motivi di formazione professionale, svolgano periodi temporanei di addestramento presso datori di lavoro italiani;
h) lavoratori marittimi occupati nella misura e con le modalità stabilite nel regolamento di attuazione;
i) lavoratori dipendenti regolarmente retribuiti da datori di lavoro, persone fisiche o giuridiche, residenti o aventi sede all'estero e da questi direttamente retribuiti, i quali siano temporaneamente trasferiti dall'estero presso persone fisiche o giuridiche, italiane o straniere, residenti in Italia, al fine di effettuare nel territorio italiano determinate prestazioni oggetto di contratto di appalto stipulato tra le predette persone fisiche o giuridiche residenti o aventi sede in Italia e quelle residenti o aventi sede all'estero, nel rispetto delle disposizioni dell'articolo 1655 del codice civile, della legge 23 ottobre 1960, n. 1369, e delle norme internazionali e comunitarie;
i-bis) i lavoratori che siano stati dipendenti, per almeno dodici mesi nell'arco dei quarantotto mesi antecedenti alla richiesta, di imprese aventi sede in Italia, ovvero di società da queste partecipate, secondo quanto risulta dall'ultimo bilancio consolidato redatto ai sensi degli articoli 25 e seguenti del decreto legislativo 9 aprile 1991, n. 127, operanti in Stati e territori non appartenenti all'Unione europea, ai fini del loro impiego nelle sedi delle suddette imprese o società presenti nel territorio italiano;
l) lavoratori occupati presso circhi o spettacoli viaggianti all'estero;
m) personale artistico e tecnico per spettacoli lirici, teatrali, concertistici o di balletto;
n) ballerini, artisti e musicisti da impiegare presso locali di intrattenimento;
o) artisti da impiegare da enti musicali teatrali o cinematografici o da imprese radiofoniche o televisive, pubbliche o private, o da enti pubblici, nell'ambito di manifestazioni culturali o folcloristiche;
p) stranieri che siano destinati a svolgere qualsiasi tipo di attività sportiva professionistica presso società sportive italiane ai sensi della legge 23 marzo 1981, n. 91;
q) giornalisti corrispondenti ufficialmente accreditati in Italia e dipendenti regolarmente retribuiti da organi di stampa quotidiani o periodici, ovvero da emittenti radiofoniche o televisive straniere;
q-bis) nomadi digitali e lavoratori da remoto, non appartenenti all'Unione europea;
r) persone che, secondo le norme di accordi internazionali in vigore per l'Italia, svolgono in Italia attività di ricerca o un lavoro occasionale nell'ambito di programmi di scambi di giovani o di mobilità di giovani o sono persone collocate "alla pari";
r-bis) infermieri professionali assunti presso strutture sanitarie pubbliche e private.
In virtù di quanto disposto dal comma 1-ter dell’articolo 27, il nulla osta al lavoro per gli stranieri indicati al comma 1, lettere a), c) e i-bis), è sostituito da una comunicazione da parte del datore di lavoro della proposta di contratto di soggiorno per lavoro subordinato, previsto dall'articolo 5-bis.
La comunicazione è presentata con modalità informatiche allo sportello unico per l'immigrazione della prefettura-ufficio territoriale del Governo, il quale trasmette la comunicazione al questore per la verifica della insussistenza di motivi ostativi all'ingresso dello straniero ai sensi dell'articolo 31, comma 1, del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1999, n. 394, e, ove nulla osti da parte del questore, la invia, con le medesime modalità informatiche, alla rappresentanza diplomatica o consolare per il rilascio del visto di ingresso.
Alla luce dell’intervento normativo in commento, il quarto periodo del richiamato comma dispone che, entro otto giorni dall'ingresso dello straniero, il contratto di soggiorno di cui all'articolo 5-bis, sottoscritto con le modalità di cui all'articolo 22, comma 6, è trasmesso allo sportello unico per l'immigrazione, per gli adempimenti concernenti la richiesta di rilascio del permesso di soggiorno.
Secondo la sua formulazione attuale, la disposizione da ultimo richiamata stabilisce, invece, che entro otto giorni dall'ingresso in Italia, lo straniero si reca presso lo sportello unico per l'immigrazione, unitamente al datore di lavoro, per la sottoscrizione del contratto di soggiorno e per la richiesta del permesso di soggiorno.
Come emerge dalla relazione illustrativa, l’intervento in esame mira ad estendere alle procedure di ingresso per lavoro in casi particolari l’applicazione della disciplina di digitalizzazione del procedimento di sottoscrizione del contratto di soggiorno.
Tale previsione si applica dalla data di decorrenza delle disposizioni per l’anno 2025 di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 27 settembre 2023 (articolo 1, comma 2). Per approfondimenti si rinvia alla scheda di lettura relativa all’articolo 1, comma 1, lettera a) e comma 2.
Testo unico immigrazione (D.Lgs. 286/1998) |
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Testo previgente |
Modificazioni apportate dall’art. 1, comma 1, lett. h), del D.L. 145/2024 |
Art. 27 |
Art. 27 |
Commi 1 e 1-bis Omissis |
Identici |
1-ter. Il nulla osta al lavoro per gli stranieri indicati al comma 1, lettere a), c) e i-bis), è sostituito da una comunicazione da parte del datore di lavoro della proposta di contratto di soggiorno per lavoro subordinato, previsto dall'articolo 5-bis. La comunicazione è presentata con modalità informatiche allo sportello unico per l'immigrazione della prefettura-ufficio territoriale del Governo. Lo sportello unico trasmette la comunicazione al questore per la verifica della insussistenza di motivi ostativi all'ingresso dello straniero ai sensi dell'articolo 31, comma 1, del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1999, n. 394, e, ove nulla osti da parte del questore, la invia, con le medesime modalità informatiche, alla rappresentanza diplomatica o consolare per il rilascio del visto di ingresso. Entro otto giorni dall'ingresso in Italia lo straniero si reca presso lo sportello unico per l'immigrazione, unitamente al datore di lavoro, per la sottoscrizione del contratto di soggiorno e per la richiesta del permesso di soggiorno. |
1-ter. Il nulla osta al lavoro per gli stranieri indicati al comma 1, lettere a), c) e i-bis), è sostituito da una comunicazione da parte del datore di lavoro della proposta di contratto di soggiorno per lavoro subordinato, previsto dall'articolo 5-bis. La comunicazione è presentata con modalità informatiche allo sportello unico per l'immigrazione della prefettura-ufficio territoriale del Governo. Lo sportello unico trasmette la comunicazione al questore per la verifica della insussistenza di motivi ostativi all'ingresso dello straniero ai sensi dell'articolo 31, comma 1, del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1999, n. 394, e, ove nulla osti da parte del questore, la invia, con le medesime modalità informatiche, alla rappresentanza diplomatica o consolare per il rilascio del visto di ingresso. Entro otto giorni dall'ingresso dello straniero, il contratto di soggiorno di cui all'articolo 5-bis, sottoscritto con le modalità di cui all'articolo 22, comma 6, è trasmesso allo sportello unico per l'immigrazione, per gli adempimenti concernenti la richiesta di rilascio del permesso di soggiorno. |
Commi da 1-quater a 5-bis Omissis |
Identici |
Articolo 1, comma 1, lettera i)
(Ingresso e soggiorno per lavoratori altamente qualificati. Rilascio della Carta blu UE)
L’articolo 1, comma 1, lett. i), emendato in sede referente, modificando l'articolo 27-quater del Testo unico sull’immigrazione estende l’applicazione della disciplina di digitalizzazione del procedimento di sottoscrizione del contratto di soggiorno anche alle procedure di ingresso e soggiorno per lavoratori altamente qualificati.
L’articolo 27-quater del Testo unico sull’immigrazione è stato introdotto dal D.Lgs. 108/2012, con il quale si è provveduto a dare attuazione alla direttiva 2009/50/CE, che per la prima volta ha previsto una disciplina di favore per i lavoratori stranieri altamente qualificati, aggiornando i requisiti e le procedure finalizzate al rilascio del titolo di soggiorno per tali lavoratori, denominato Carta blu UE.
Tale disciplina prevede che i lavoratori stranieri altamente qualificati, che intendono svolgere prestazioni lavorative retribuite, possono fare ingresso e soggiornare, per periodi superiori a tre mesi, al di fuori delle quote annuali stabilite dai c.d. decreti flussi (per approfondimenti sul punto si rimanda alla scheda relativa all’articolo 2).
La direttiva 2009/50/CE è stata, poi, sostituita dalla direttiva (UE) 2021/1883 del Parlamento europeo e del Consiglio del 20 ottobre 2021 sulle condizioni di ingresso e di soggiorno di cittadini di paesi terzi che intendano svolgere lavori altamente qualificati, a cui si è dato attuazione con il d.lgs. 152/2023.
La nuova direttiva ha ampliato i presupposti, oggettivi e soggettivi, per il rilascio della Carta blu UE ai lavoratori stranieri altamente qualificati, stabilendo le condizioni di ingresso e di soggiorno per periodi superiori a tre mesi nel territorio degli Stati membri, e i diritti dei cittadini di paesi terzi che intendono esercitare un lavoro altamente qualificato e dei loro familiari, nonché le condizioni di ingresso e di soggiorno e i diritti dei cittadini di paesi terzi e dei loro familiari in Stati membri diversi dallo Stato membro che per primo ha concesso una Carta blu UE.
In base alle disposizioni vigenti (articolo 27-quater, comma 1), possono fare ingresso in Italia i lavoratori stranieri altamente qualificati, che intendono svolgere prestazioni lavorative retribuite per conto o sotto la direzione o il coordinamento di un'altra persona fisica o giuridica e che sono alternativamente in possesso:
- del titolo di istruzione superiore di livello terziario rilasciato dall'autorità competente nel paese dove è stato conseguito che attesti il completamento di un percorso di istruzione superiore di durata almeno triennale o di una qualificazione professionale di livello post secondario di durata almeno triennale o corrispondente almeno al livello 6 del Quadro nazionale delle qualificazioni di cui al decreto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali dell'8 gennaio 2018, recante «Istituzione del Quadro nazionale delle qualificazioni rilasciate nell'ambito del Sistema nazionale di certificazione delle competenze di cui al decreto legislativo 16 gennaio 2013, n. 13»;
- dei requisiti previsti dal decreto legislativo 6 novembre 2007, n. 206, limitatamente all'esercizio di professioni regolamentate;
- di una qualifica professionale superiore attestata da almeno cinque anni di esperienza professionale di livello paragonabile ai titoli d'istruzione superiori di livello terziario, pertinenti alla professione o al settore specificato nel contratto di lavoro o all'offerta vincolante;
- di una qualifica professionale superiore attestata da almeno tre anni di esperienza professionale pertinente acquisita nei sette anni precedenti la presentazione della domanda di Carta blu UE, per quanto riguarda dirigenti e specialisti nel settore delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione di cui alla classificazione ISCO-08, n. 133 e n. 25.
Ai sensi del comma 2 dell’articolo 27-quater, tale disciplina si applica:
a) agli stranieri in possesso dei requisiti di cui al comma 1, anche se soggiornanti in altro Stato membro;
b) ai lavoratori stranieri altamente qualificati, titolari della Carta blu rilasciata in un altro Stato membro;
c) agli stranieri in possesso dei requisiti di cui al comma 1, regolarmente soggiornanti sul territorio nazionale.
La medesima disciplina, invece, non si applica (articolo 27-quater, comma 3) agli stranieri:
a) che soggiornano a titolo di protezione temporanea, per cure mediche ovvero sono titolari dei permessi di soggiorno di cui agli articoli 18, 18-bis, 20-bis, 22, comma 12-quater, 42-bis nonché del permesso di soggiorno rilasciato ai sensi dell'articolo 32, comma 3, del decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25, ovvero hanno richiesto il relativo permesso di soggiorno e sono in attesa di una decisione su tale richiesta;
b) che soggiornano in quanto richiedenti la protezione internazionale ai sensi della direttiva 2004/83/CE e della direttiva 2005/85/CE e sono ancora in attesa di una decisione definitiva;
c) che chiedono di soggiornare in qualità di ricercatori ai sensi dell'articolo 27-ter;
d) che beneficiano dello status di soggiornante di lungo periodo e soggiornano ai sensi dell'articolo 9-bis per motivi di lavoro autonomo o subordinato;
e) che fanno ingresso in uno Stato membro in virtù di impegni previsti da un accordo internazionale che agevola l'ingresso e il soggiorno temporaneo di determinate categorie di persone fisiche connesse al commercio e agli investimenti, salvo che abbiano fatto ingresso nel territorio nazionale per svolgere prestazioni di lavoro subordinato nell'ambito di trasferimenti intra-societari ai sensi dell'articolo 27-quinquies;
f) che soggiornano in Italia, in qualità di lavoratori distaccati, ai sensi dell'articolo 27, comma 1, lettere a), g), ed i), in conformità alla direttiva 96/71/CE e successive modificazioni;
g) che in virtù di accordi conclusi tra il Paese terzo di appartenenza e l'Unione e i suoi Stati membri beneficiano dei diritti alla libera circolazione equivalente a quelli dei cittadini dell'Unione;
h) che sono destinatari di un provvedimento di espulsione anche se sospeso.
Ai sensi del comma 4, la domanda di nulla osta al lavoro per i lavoratori stranieri altamente qualificati è presentata dal datore di lavoro allo sportello unico per l'immigrazione presso la prefettura-ufficio territoriale del Governo.
Il comma 5 individua gli allegati alla domanda di nulla osta al lavoro che il datore di lavoro presenta allo sportello unico dell’immigrazione, tra i quali figurano: la proposta di contratto di lavoro o l'offerta di lavoro vincolante della durata di almeno sei mesi, per lo svolgimento di una attività lavorativa che richiede il possesso di uno dei requisiti di cui al comma 1; il titolo di istruzione, la qualifica professionale superiore o i requisiti previsti dal decreto legislativo 6 novembre 2007, n. 206, come indicati al comma 1, posseduti dallo straniero; l'importo della retribuzione annuale, come ricavato dal contratto di lavoro ovvero dall'offerta vincolante, che non deve essere inferiore alla retribuzione prevista nei contratti collettivi nazionali stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, e comunque non inferiore alla retribuzione media annuale lorda come rilevata dall'ISTAT.
Il comma 5-bis prevede che, qualora la domanda di Carta blu UE riguardi un cittadino di paese terzo titolare di altro titolo di soggiorno, rilasciato ai fini dello svolgimento di un lavoro altamente qualificato, non sia necessario dimostrare i requisiti di natura oggettiva di cui al comma 1 (ad esclusione del titolo per l’esercizio di professione regolamentate), in quanto già verificati in fase di primo rilascio del titolo stesso.
Il comma 5-ter stabilisce che, in deroga all’articolo 22, comma 2, il datore di lavoro non sia tenuto a verificare presso il centro dell’impiego competente la disponibilità di un lavoratore presente sul territorio nazionale, qualora la domanda di Carta blu UE riguardi un cittadino di paese terzo già titolare di altro titolo di soggiorno, rilasciato ai fini dello svolgimento di un lavoro altamente qualificato.
Secondo il comma 6 dell’articolo 27-quater, lo sportello unico per l'immigrazione convoca il datore di lavoro e rilascia il nulla osta al lavoro non oltre novanta giorni dalla presentazione della domanda ovvero, entro il medesimo termine, comunica al datore di lavoro il rigetto della stessa. Gli stranieri di cui al comma 2, lettera c), del medesimo articolo 27-quater, regolarmente soggiornanti sul territorio nazionale, accedono alla procedura di rilascio del nulla osta al lavoro a prescindere dal requisito dell'effettiva residenza all'estero.
La disposizione in commento interviene, anzitutto, su tale comma, escludendo la necessità che lo sportello unico per l’immigrazione provveda a convocare il datore di lavoro.
Il comma 8 prevede che il nulla osta sia sostituito da una comunicazione della proposta di contratto di lavoro o dell'offerta di lavoro vincolante da parte del datore di lavoro, qualora questi sia stato riconosciuto tramite sottoscrizione del protocollo d’intesa con il Ministero dell’interno, sentito il Ministero del lavoro e delle politiche sociali.
In tal caso, al lavoratore straniero altamente qualificato è rilasciato dal Questore il permesso di soggiorno entro trenta giorni dall'avvenuta comunicazione. Fermo restando il termine di trenta giorni, in attesa del rilascio del permesso di soggiorno si applica l'articolo 5, comma 9-bis.
Secondo il comma 9, così come modificato dalla disposizione in commento, il nulla osta al lavoro è rifiutato ovvero, nel caso sia stato rilasciato, è revocato se i documenti di cui al comma 5 sono stati ottenuti mediante frode o sono stati falsificati o contraffatti ovvero qualora il contratto di soggiorno di cui all'articolo 5-bis, sottoscritto con le modalità di cui all'articolo 22, comma 6, non sia trasmesso allo sportello unico per l'immigrazione nel termine di cui al medesimo articolo 22, comma 6, salvo che il ritardo sia dipeso da cause di forza maggiore.
Le revoche del nulla osta sono comunicate al Ministero degli affari esteri tramite i collegamenti telematici.
Secondo la sua formulazione previgente, la disposizione da ultimo richiamata stabiliva, invece, che il nulla osta al lavoro fosse rifiutato ovvero, nel caso fosse già stato rilasciato, revocato se i documenti di cui al comma 5 fossero stati ottenuti mediante frode o falsificati o contraffatti ovvero qualora lo straniero non si fosse recato presso lo sportello unico per l'immigrazione per la firma del contratto di soggiorno entro il termine di cui all'articolo 22, comma 6, salvo che il ritardo fosse dipeso da cause di forza maggiore.
Come emerge dalla relazione illustrativa, l’intervento in esame mira ad estendere alle procedure di ingresso e soggiorno per lavoratori altamente qualificati l’applicazione della disciplina di digitalizzazione del procedimento di sottoscrizione del contratto di soggiorno.
A seguito delle modifiche approvate nel corso dell’esame in sede referente, la disposizione in commento interviene anche sul comma 18-bis dell’articolo 27-quater del TUI, il quale attualmente dispone che le informazioni relative ai requisiti e alle procedure necessarie per ottenere una Carta blu UE sono pubblicate sui rispettivi siti istituzionali del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, del Ministero dell'interno e del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale.
In virtù delle modifiche approvate, si prevede che le predette informazioni siano pubblicate, altresì, sul sito istituzionale del Ministero delle imprese e del made in Italy, specificandosi peraltro che, al fine di garantirne la più vasta divulgazione, le camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura inseriscono nei propri siti internet istituzionali una sezione dedicata alle modalità di rilascio della Carta blu UE.
Le previsioni di cui all’articolo 1, comma 1, lettera i), si applicano dalla data di decorrenza delle disposizioni per l’anno 2025 di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 27 settembre 2023 (articolo 1, comma 2). Per approfondimenti si rinvia alla scheda di lettura relativa all’articolo 1, comma 1, lettera a) e comma 2.
Testo unico immigrazione (D.Lgs. 286/1998) |
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Testo previgente |
Modificazioni apportate dall’art. 1, comma 1, lett. i), del D.L. 145/2024 |
Art. 27-quater |
Art. 27-quater |
Commi da 1 a 5-ter Omissis |
Identici |
6. Lo sportello unico per l'immigrazione convoca il datore di lavoro e rilascia il nulla osta al lavoro non oltre novanta giorni dalla presentazione della domanda ovvero, entro il medesimo termine, comunica al datore di lavoro il rigetto della stessa. Gli stranieri di cui al comma 2, lettera c), del presente articolo, regolarmente soggiornanti sul territorio nazionale, accedono alla procedura di rilascio del nulla osta al lavoro a prescindere dal requisito dell'effettiva residenza all'estero. |
6. Lo sportello unico per l'immigrazione rilascia il nulla osta al lavoro non oltre novanta giorni dalla presentazione della domanda ovvero, entro il medesimo termine, comunica al datore di lavoro il rigetto della stessa. Gli stranieri di cui al comma 2, lettera c), del presente articolo, regolarmente soggiornanti sul territorio nazionale, accedono alla procedura di rilascio del nulla osta al lavoro a prescindere dal requisito dell'effettiva residenza all'estero. |
Commi 7 e 8 Omissis |
Identici |
9. Il nulla osta al lavoro è rifiutato ovvero, nel caso sia stato rilasciato, è revocato se i documenti di cui al comma 5 sono stati ottenuti mediante frode o sono stati falsificati o contraffatti ovvero qualora lo straniero non si rechi presso lo sportello unico per l'immigrazione per la firma del contratto di soggiorno entro il termine di cui all'articolo 22, comma 6, salvo che il ritardo sia dipeso da cause di forza maggiore. Le revoche del nulla osta sono comunicate al Ministero degli affari esteri tramite i collegamenti telematici. |
9. Il nulla osta al lavoro è rifiutato ovvero, nel caso sia stato rilasciato, è revocato se i documenti di cui al comma 5 sono stati ottenuti mediante frode o sono stati falsificati o contraffatti ovvero qualora il contratto di soggiorno di cui all'articolo 5-bis, sottoscritto con le modalità di cui all'articolo 22, comma 6, non sia trasmesso allo sportello unico per l'immigrazione nel termine di cui al medesimo articolo 22, comma 6, salvo che il ritardo sia dipeso da cause di forza maggiore. Le revoche del nulla osta sono comunicate al Ministero degli affari esteri tramite i collegamenti telematici. |
Commi da 10 a 18 Omissis |
Identici |
18-bis. Le informazioni relative ai requisiti e alle procedure necessarie per ottenere una Carta blu UE sono pubblicate sui rispettivi siti istituzionali del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, del Ministero dell'interno e del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale. |
18-bis. Le informazioni relative ai requisiti e alle procedure necessarie per ottenere una Carta blu UE sono pubblicate sui rispettivi siti istituzionali del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, del Ministero delle imprese e del made in Italy, del Ministero dell'interno e del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale. Al fine di garantire la più vasta divulgazione delle predette informazioni, le camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura inseriscono nei propri siti internet istituzionali una sezione dedicata alle modalità di rilascio della Carta blu UE. |
Commi 18-ter e 18-quater Omissis |
Identici |
Articolo 2
(Disposizioni urgenti per l’ingresso di lavoratori stranieri nel 2025)
L’articolo 2 reca disposizioni urgenti in materia di ingresso di lavoratori stranieri nell’anno 2025. In particolare, a livello procedimentale, si introduce una fase preliminare alla richiesta di nulla osta presentata dal datore di lavoro. Inoltre, in via sperimentale, vengono ammessi fuori dalle quote previste dal d.P.C.m. del 27 settembre 2023 lavoratori da impiegare nei settori dell’assistenza familiare o sociosanitaria a favore di persone con disabilità o grandi anziani.
Sono previsti, poi, limiti numerici alle richieste di nulla osta per gli ingressi nell’ambito delle quote stabilite dal medesimo d.P.C.m. che possono essere presentate dai singoli datori di lavoro che non si affidano all’intermediazione delle organizzazioni datoriali e dei consulenti del lavoro.
La disposizione regola, altresì, gli ingressi dei lavoratori stranieri stagionali per l’anno 2025, modificando la ripartizione delle quote previste dal d.P.C.m. di cui sopra.
Con una disposizione inserita durante l’esame in sede referente, viene prorogato al 31 dicembre 2027 il termine del regime speciale derogatorio che consente l’esercizio temporaneo dell’attività lavorativa svolta sul territorio nazionale di professione medica, sanitaria ovvero una attività prevista per gli operatori di interesse sanitario, in base ad una qualifica professionale conseguita all'estero, presso strutture sanitarie o sociosanitarie pubbliche, ovvero private o private accreditate. È prolungato, altresì, fino al 31 dicembre 2027 il termine di validità dell’applicazione delle disposizioni in materia di ingresso in casi particolari e di ingresso e soggiorno per lavoratori altamente qualificati anche al personale medico e infermieristico assunto in base alla predetta disciplina derogatoria.
In premessa, si ritiene opportuno richiamare la normativa vigente in materia di ingresso dei lavoratori stranieri nel territorio nazionale che è regolata secondo il principio della programmazione dei flussi sulla base del fabbisogno del mercato. In altre parole, l’ammissione in Italia per motivi di lavoro avviene a seguito di una richiesta di assunzione presentata dal datore di lavoro nell’ambito di un numero massimo di accessi fissato annualmente[45].
La disciplina è regolata dal d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286 recante il Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione giuridica dello straniero (t.u.i) e successive modifiche e integrazioni e, nello specifico, dall’articolo 3 il quale, disciplinando le politiche migratorie nazionali, stabilisce sostanzialmente la procedura per la determinazione delle quote di ingressi annuali.
A tal fine, il Presidente del Consiglio dei ministri predispone ogni tre anni, salva la necessità di un termine più breve, il Documento programmatico relativo alla politica dell’immigrazione e degli stranieri nel territorio dello Stato[46] che viene emanato con d.P.R. dopo l’approvazione da parte del Governo e acquisiti i pareri delle competenti Commissioni parlamentari.
In particolare, il documento individua i criteri generali per la definizione dei flussi d’ingresso delineando gli interventi pubblici e le azioni che si intendono svolgere in materia, comprese le misure di carattere economico e sociale nei confronti degli stranieri interessati volte a favorire le relazioni familiari e l’integrazione sociale, nel rispetto della diversità culturale dello straniero residente nel territorio nazionale.
Su tale base, il Presidente del Consiglio dei Ministri, con il parere delle Commissioni parlamentari competenti, tramite suo decreto – il c.d. “decreto flussi” – può fissare annualmente le quote massime di stranieri da ammettere nel territorio dello Stato per lavoro subordinato, anche stagionale, e autonomo entro il 30 novembre dell’anno precedente a quello di riferimento. Se necessario, ulteriori d.P.C.m. possono essere emanati anche durante l’anno. Qualora non fosse stato pubblicato il decreto annuale, il Presidente del Consiglio dei ministri può comunque provvedere, in via transitoria, con proprio decreto[47].
I visti di ingresso o i permessi di soggiorno per motivi di lavoro possono essere rilasciati, dunque, come dispone l’articolo 21 del t.u.i., solo nei limiti della programmazione stabilita a livello statale di cui sopra.
Inoltre, per il rilascio di tali documenti è necessario un nulla osta valido per l’assunzione di un lavoratore cittadino di uno Stato non appartenente all'Unione europea o apolide che un datore di lavoro, italiano o straniero soggiornante regolarmente in Italia, può ottenere a seguito dell’esito favorevole del provvedimento amministrativo disciplinato dall’articolo 22 del t.u.i. e dall’articolo 30-bis del d.P.R. 31 agosto 1999, n. 394 (Regolamento recante norme di attuazione del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, a norma dell'articolo 1, comma 6, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286). La domanda può essere presentata telematicamente e deve contenere una serie di documenti identificativi sia del datore che del prestatore di lavoro e, tra gli altri, il trattamento retributivo e assicurativo relativo all’impiego che non deve essere inferiore a quello previsto dal contratto collettivo nazionale di categoria. Il datore di lavoro deve, altresì, garantire di sostenere le eventuali spese per il rimpatrio e di comunicare qualsiasi variazione del rapporto.
Il nulla osta all’assunzione viene rilasciato entro sessanta giorni e dopo aver chiesto parare alla questura competente.
Si segnala che, in deroga a quanto previsto dall’articolo 3 di cui sopra, il decreto-legge 10 marzo 2023, n. 20 (Disposizioni urgenti in materia di flussi di ingresso legale dei lavoratori stranieri e di prevenzione e contrasto all'immigrazione irregolare), così come convertito dalla legge 5 maggio 2023, n. 50, ha disciplinato per il triennio 2023-2025 una procedura speciale, derogatoria rispetto a quella ordinaria sopra descritta: in primo luogo, il decreto ha validità triennale e non annuale, ossia indica le quote massime di lavoratori ammessi per ciascuno dei tre anni di riferimento; inoltre, oltre alle quote, reca anche i criteri generali per la definizione dei flussi di ingresso (funzione che, come si è detto, è svolta ordinariamente dal documento programmatico triennale). Qualora se ne ravvisi l’opportunità, è possibile adottare durante il triennio ulteriori d.P.C.m., stabilendo peraltro che le istanze eccedenti i limiti di un decreto possono essere esaminate nell’ambito degli ulteriori decreti adottati, senza necessità di ripresentare nuovamente la domanda.
In attuazione di tali disposizioni è stato emanato il d.P.C.m. 27 settembre 2023, recante la programmazione dei flussi d'ingresso legale in Italia dei lavoratori stranieri per il triennio 2023-2025.
Il nuovo decreto flussi (articolo 5) ammette in Italia, per motivi di lavoro subordinato stagionale e non stagionale e di lavoro autonomo, i cittadini stranieri residenti all'estero entro le seguenti quote complessive:
a) 136.000 unità per l'anno 2023;
b) 151.000 unità per l'anno 2024;
c) 165.000 unità per l'anno 2025.
Sulla materia è, altresì, intervenuto il decreto-legge 21 ottobre 2020, n. 130 (Disposizioni urgenti in materia di immigrazione, protezione internazionale e complementare, modifiche agli articoli 131-bis, 391-bis, 391-ter e 588 del codice penale, nonché misure in materia di divieto di accesso agli esercizi pubblici ed ai locali di pubblico trattenimento, di contrasto all'utilizzo distorto del web e di disciplina del Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale), nella parte in cui estende la convertibilità in permessi di soggiorno per motivi di lavoro di diverse tipologie di permessi di soggiorno, tra cui quelli per protezione speciale per calamità, per acquisto della cittadinanza, per assistenza minori.
Il comma 1 introduce una fase di precompilazione della richiesta di nulla osta al lavoro per gli stranieri da parte dei datori di lavoro e delle loro organizzazioni di cui all’articolo 24-bis del t.u.i.. Si tratta delle organizzazioni dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e che hanno, inoltre, sottoscritto con il Ministero del lavoro e delle politiche sociali un apposito protocollo di intesa con il quale garantiscono, da parte dei propri associati, il rispetto dei requisiti concernenti l’osservanza, all’interno dello schema di contratto, delle prescrizioni del contratto collettivo di lavoro e la congruità del numero delle richiese presentate in relazione alle rispettive capacità economiche e alle esigenze delle imprese e agli impegni retributivi ed assicurativi previsti dalla normativa vigente e dai contratti collettivi nazionali di lavoro di categoria applicabili, così come disposto dall’articolo 30-bis del d.P.R. 31 agosto 1999, n. 394.
I soggetti così individuati che intendono presentare la richiesta di nulla osta al lavoro per gli stranieri a norma dell’articolo 3, comma 4, del t.u.i. nei giorni indicati dall’articolo 8, comma 2, del d.P.C.m. 27 settembre 2023 – i c.d. “click day” – sono agevolati dalla possibilità di compilare anticipatamente i moduli sul portale informatico messo a disposizione dal Ministero dell’Interno selezionando il modello di nulla osta e compilando i rispettivi campi secondo le modalità da definirsi con circolare congiunta del Ministero dell’interno, Ministero del lavoro e delle politiche sociali, del Ministero dell’agricoltura e della sovranità alimentare e delle foreste e del Ministero del turismo, sentito il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale.
Si precisa che i giorni di cui all’articolo 8, comma 2, del d.P.C.m. 27 settembre 2023, sono, per l’anno 2025, dalle ore 9,00 del 5, del 7 e del 12 febbraio del medesimo anno e fino a concorrenza delle rispettive quote o, comunque, entro il 31 dicembre 2025.
Per quel che concerne i termini relativi alla precompilazione, questi sono fissati, invece, dal 1° al 30 novembre 2024 e, limitatamente alle domande relative al termine del 1° ottobre 2025 previsto dal comma 6, lettera b), (v. infra), dal 1° al 31 luglio 2025.
La veridicità delle dichiarazioni fornite in sede di precompilazione è verificata dalle amministrazioni, ai sensi e con gli effetti di cui all’articolo 71 del d.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa).
Infine, dal 1° dicembre 2024 fino ai click day, e dal 1° agosto al 30 settembre 2025, l’Ispettorato Nazionale del lavoro, in collaborazione con l’Agenzia delle entrate e, relativamente al settore agricolo, con l’Agenzia per le erogazioni in agricoltura, verifica l’osservanza delle disposizioni del contratto collettivo nazionale di lavoro e della congruità con il numero delle richieste presentate. Per tali ultimi controlli, si tiene conto, come disposto dall’articolo 24-bis, comma secondo, del t.u.i., anche della capacità patrimoniale, dell’equilibrio economico-finanziario, del fatturato, del numero dei dipendenti, comprensivo dei lavoratori stranieri richiesti, e del tipo di attività dell’impresa.
Al comma 2, invece, si stabilisce in via sperimentale che per l’anno 2025 siano rilasciati, al di fuori delle quote di cui all’articolo 3, comma 4, del t.u.i., nulla osta al lavoro e conseguentemente visti di ingresso e permessi di soggiorno per lavoratori subordinati, entro il numero massimo di 10.000 istanze, nei settori dell’assistenza familiare o sociosanitaria a favore di persone con disabilità o di grandi anziani.
Ai sensi dell’articolo 2, comma 1, lettera b) del decreto legislativo 3 maggio 2024, n. 62 (Definizione della condizione di disabilità, della valutazione di base, di accomodamento ragionevole, della valutazione multidimensionale per l'elaborazione e attuazione del progetto di vita individuale personalizzato e partecipato), che rinvia all’articolo 3, comma 1, della legge 5 febbraio 1992, n. 104 (Legge-quadro per l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate), per persona con disabilità si intende chi presenta durature compromissioni fisiche, mentali, intellettive o sensoriali che, in interazione con barriere di diversa natura, possono ostacolare la piena ed effettiva partecipazione nei diversi contesti di vita su base di uguaglianza con gli altri, accertate all'esito della valutazione di base. Il grande anziano è invece colui che ha compiuto gli 80 anni, così come dispone l’articolo 2, lettera b), del decreto legislativo 15 marzo 2024, n. 29 (Disposizioni in materia di politiche in favore delle persone anziane).
La richiesta per i nulla osta nei casi previsti da tale comma, per l’assunzione a tempo determinato o indeterminato, deve essere depositata presso lo Sportello Unico per l’immigrazione competente dalle APL, ovvero le agenzie per il lavoro ai fini dello svolgimento delle attività di somministrazione, intermediazione, ricerca e selezione del personale, supporto alla ricollocazione professionale regolarmente iscritte alle sezioni dell’albo informatico istituito presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ai sensi dell’articolo 4, comma 1, lettere a), b) e c), del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276 (Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro). La richiesta può essere, altresì, presentata per il tramite delle associazioni datoriali firmatarie del vigente contratto collettivo nazionale di lavoro del settore domestico.
Lo Sportello Unico per l’immigrazione, ai sensi del comma 1 dell’articolo 22 del citato t.u.i., e successive modificazioni, è istituito in ogni provincia presso la prefettura-ufficio territoriale del Governo. Si tratta di un organo collegiale responsabile del procedimento amministrativo previsto per le richieste di alcune tipologie di soggiorno. In particolare, lo Sportello Unico si occupa di valutare le istanze di nulla osta per l’ingresso degli stranieri per motivi di famiglia, lavoro subordinato, ricerca scientifica e volontariato.
Le istanze possono essere presentate per l’assistenza alla persona del datore di lavoro, al suo coniuge o parente o affine entro il secondo grado purché non convivente e residente in Italia. Qualora, invece, la persona da assistere necessiti di un intervento continuativo e globale nella sfera individuale o in quella di relazione, ai sensi dell’articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104 (Legge-quadro per l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate), può trattarsi anche del parente del datore di lavoro entro il terzo grado.
Non è consentita in nessun caso l’assunzione del coniuge né del parente o affine entro il terzo grado del datore di lavoro.
Si segnala che già il decreto-legge n. 20 del 2023, modificando l’articolo 21 del t.u.i., ha previsto ammissioni oltre le quote per gli stranieri cittadini di Stati con cui vengono sottoscritte intese o accordi in materia di rimpatrio.
Inoltre, il medesimo decreto-legge, nell’ambito del regime derogatorio dei d.P.C.m. per il triennio 2023-2025, aveva riservato in via preferenziale alcune quote di ingressi ai cittadini di Stati che, anche in collaborazione con lo Stato italiano, avessero promosso campagne sui rischi per l’incolumità personale derivanti dall’inserimento in traffici migratori irregolari e, altresì, agli apolidi o rifugiati riconosciuti dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite o dagli Stati di primo asilo o di transito[48].
Ingressi fuori quota sono consentiti, inoltre, ai sensi dell’articolo 23 del t.u.i., così come modificato dal decreto-legislativo n. 20 del 2023, allo straniero residente all'estero, all'apolide e al rifugiato riconosciuto dall'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati o dalle autorità competenti nei Paesi di primo asilo o di transito che completa le attività di istruzione e formazione professionale e civico-linguistica[49]. Tali attività sono organizzate sulla base dei fabbisogni indicati al Ministero del lavoro e delle politiche sociali da parte delle associazioni di categoria del settore produttivo interessato e devono essere inseriti all’interno di programmi approvati dai Ministeri del lavoro e delle politiche sociali, dell’istruzione e del merito e dell’università e ricerca.
Inoltre, la novella apportata all’articolo 23 dal decreto-legge di cui sopra ha stabilito che, per gli anni 2023 e 2024, fosse possibile l’applicazione di particolari modalità e termini per il rilascio delle autorizzazioni al lavoro, dei visti di ingresso e dei permessi di soggiorno per lavoro subordinato per gli stranieri che avessero svolto un corso di formazione professionale e civico-linguistica nei Paesi di origine concordato da alcune organizzazioni nazionali dei datori di lavoro, o da articolazioni delle stesse, con determinati soggetti e quindi al di fuori dei programmi approvati dai Ministeri di cui sopra. In quest’ultimo caso la procedura segue la disciplina prevista dall’articolo 27 del t.u.i. per gli ingressi per lavoro per casi particolari.
Il comma 3 rinvia all’articolo 22, ad esclusione del comma 5.01, del t.u.i. per quel che concerne la presentazione delle domande e il rilascio del nulla osta per le richieste di visti di ingresso e dei permessi di soggiorno di cui al comma 2 dell’articolo in commento.
Si precisa, altresì, che il nulla osta può essere rilasciato solo previa verifica da parte dell’Ispettorato del lavoro del rispetto dei requisiti e delle procedure già menzionate e disposte dal t.u.i. all’articolo 24- bis.
Si stabilisce, poi, che nei primi dodici mesi i lavoratori stranieri di cui al comma 2 possono esercitare esclusivamente le attività lavorative ivi disposte. In tale periodo i cambiamenti del datore di lavoro possono avvenire solo previa autorizzazione preliminare da parte dei competenti Ispettorati territoriali del lavoro.
Si valuti l’opportunità di disciplinare il caso in cui il cambiamento di datore di lavoro è reso necessario dalla perdita di impiego.
A tal proposito, si ricorda che l’articolo 22, comma 11, del t.u.i., prevede che la perdita di lavoro non costituisce motivo di revoca del permesso di soggiorno e che, previa iscrizione nelle liste di collocamento, il cittadino straniero può procedere alla ricerca e all’accettazione di un nuovo impiego nel periodo residuale di validità del permesso.
Trascorso tale primo periodo, in caso di offerta di altro contratto di lavoro subordinato a tempo determinato o indeterminato deve essere presentata una nuova richiesta di nulla osta presso lo Sportello Unico e nei limiti delle quote previste per il periodo di riferimento, in deroga all’articolo 6, comma 1, primo periodo, del t.u.i., a norma del quale il permesso di soggiorno rilasciato per motivi di lavoro subordinato, lavoro autonomo e familiari può essere utilizzato anche per le altre attività consentite.
Il comma 4 contiene un’ulteriore norma derogatoria disponendo che, per l’anno 2025, ciascun datore di lavoro può presentare un numero massimo di tre richieste di nulla osta per gli ingressi nell’ambito delle quote previste dagli articoli 6 e 7 del d.P.C.m. del 27 settembre 2023.
Ovvero, rispettivamente:
- 71.450 unità, di cui 70.720 per lavoro subordinato e 730 per lavoro autonomo;
- 93.550 unità di lavoratori stagionali da impiegare nei settori agricolo e turistico-alberghiero (v. infra).
Tale limite non si applica alle richieste presentate tramite le organizzazioni datoriali di categoria, di cui all’articolo 24-bis del t.u.i., oppure tramite i consulenti del lavoro abilitati e autorizzati ai sensi dell’articolo 1 della legge 11 gennaio 1979, n. 12 (Norme per l'ordinamento della professione di consulente del lavoro).
Per quel che concerne la regolamentazione relativa alle modalità applicative e di accredito degli operatori delle organizzazioni datoriali, si rimanda alla circolare congiunta di cui al comma 1 dell’articolo in commento.
Si segnala, inoltre, che limiti numerici alla presentazione di istanze di nulla osta erano stati regolati, fino al 2007, tramite circolari del Ministero dell’interno. La reintroduzione è stata prevista al fine di evitare un numero eccessivo di domande da parte degli utenti privati non corrispondente ad una reale offerta di lavoro.
A seguito dell’esame in sede referente, è stato aggiunto il comma 4-bis a norma del quale le associazioni di rappresentanza dei lavoratori stranieri, iscritte nella prima sezione del Registro delle associazioni e degli enti che svolgono attività in favore degli immigrati, possono svolgere il compito di accompagnamento dei lavoratori in ingresso fino all’assunzione tramite percorsi informativi e canali di dialogo con le prefetture. Il secondo periodo contiene la clausola di invarianza finanziaria.
Il registro, tenuto dalla Direzione Generale dell'Immigrazione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, è attivo dal novembre 1999 ed è articolato in due sezioni: nella prima sono iscritti enti ed associazioni, che svolgono attività a favore dell'integrazione sociale degli stranieri (articolo 42 t.u.i.); nella seconda sono, invece, iscritti enti e associazioni che svolgono programmi di assistenza e protezione sociale (articolo 18 t.u.i.). Ai sensi del sopracitato articolo 42 le associazioni di stranieri e le organizzazioni stabilmente operanti in loro favore collaborano lo Stato, le regioni, le province e i comuni, nell'ambito delle proprie competenze, al fine di sostenere azioni e attività volte all’integrazione. In particolare, si organizzano corsi di lingua, di formazione e campagne di prevenzione per la discriminazione.
Il comma 5, stabilisce che le quote previste dall’articolo 7 del d.P.C.m. 27 settembre 2023 siano ripartite in misura uguale tra i settori agricolo e turistico-alberghiero, ferme restando le quote riservate di cui ai commi 4 e 5 (v. infra).
In particolare, l’articolo 7 del d.P.C.m. 27 settembre 2023 dispone che siano ammessi in Italia per motivi di lavoro stagionale nei settori agricolo e turistico-alberghiero i cittadini di Stati con i quali entreranno in vigore nel corso del triennio 2023-2025 o sono già vigenti specifici accordi o intese di cooperazione in materia migratoria entro le quote di:
a) 82.550 unità per l'anno 2023;
b) 89.050 unità per l'anno 2024;
c) 93.550 unità per l'anno 2025.
Si ricorda, inoltre, che l’ingresso e il soggiorno per lavoro stagionale sono regolati dall’articolo 24 del t.u.i. così come modificato dal decreto legislativo 29 ottobre 2016, n. 203 in recepimento della direttiva 2014/36/UE. A differenza delle altre categorie di lavoratori stranieri, l’impiego stagionale interessa esclusivamente i settori del mercato del lavoro agricolo e turistico-alberghiero. Inoltre, la procedura per l’ottenimento del nulla osta è caratterizzata da maggiore celerità ma la sua validità è limitata nel tempo in quanto l’attività può durare non più di nove mesi all’interno di un periodo complessivo di dodici mesi. È, comunque, consentito che il nulla osta al lavoro stagionale sia concesso, sempre nel limite dei nove mesi, a più datori di lavoro che impieghino il medesimo lavoratore straniero per periodi successivi consentendo a quest’ultimo di rimanere nel territorio italiano per tutta la durata del nulla osta.
Non è, invece, consentito al lavoratore stagionale rimasto senza impiego potersi iscrivere nelle liste di collocamento.
Il comma 6 regola i termini per la presentazione, per l’anno 2025, delle richieste di nulla osta al lavoro per gli ingressi nell’ambito delle quote per lavoro stagionale, di cui all’articolo 7 del d.P.C.m. 27 settembre 2023, per i settori agricolo e turistico-alberghiero. Tali termini decorrono per il settore agricolo dalle ore 9,00 del giorno 12 febbraio 2025. Per il settore turistico-alberghiero, invece, dalle ore 9,00 del 12 febbraio e dalle ore 9,00 del giorno 1° ottobre 2025 rispettivamente in misura pari al settanta percento per la prima data e pari al trenta percento per la seconda data.
Ai sensi del comma 7, dalle ore 9,00 del 7 febbraio 2025 decorrono termini per la presentazione delle richieste di nulla osta al lavoro per gli ingressi di cui al comma 2 dell’articolo in commento.
II comma 7-bis, introdotto in sede referente, stabilisce che per gli ingressi previsti dal d.P.C.m. 27 settembre 2023 e dal comma 2 dell’articolo in commento sia riservata alle lavoratrici una percentuale fino al 40 per cento delle quote complessive relative al lavoro subordinato stagionale, non stagionale e al settore dell’assistenza familiare e sociosanitaria, nonché fino al 40 per cento del numero massimo delle istanze previsto dal predetto comma 2. Qualora vi siano richieste in eccedenza rispetto a tali percentuali, queste concorreranno secondo le modalità ordinarie e, dunque, sulla base dell’ordine cronologico della presentazione delle rispettive domande. Tali modalità sono adottate, ove la quota di riserva sia solo parzialmente raggiunta, anche ai fini dell’assegnazione della restante parte, per la quale potranno concorrere tutti i lavoratori.
Il comma 8 contiene un aggiornamento del numero delle quote di ingressi di lavoratori stranieri stagionali previste per l’anno 2025 dall’articolo 7, commi 1, lettera c), 4 e 5 del d.P.C.m. 27 settembre 2023.
In particolare, le unità di lavoratori stagionali per i settori agricolo e turistico-alberghiero, stabilite dal comma 1, lettera c), vengono aumentate a 110.000. Si specifica che 47.000, e non più 42.000, di tali unità devono essere prioritariamente riservate ai lavoratori del settore agricolo proveniente dai paesi elencati all’articolo 6, comma 3, lettera a) del d.P.C.m., e le cui richieste di nulla osta sono state presentante da specifiche organizzazioni professionali dei datori di lavoro[50].
Viene, altresì, aumentato a 37.000 il numero di 32.000 unità - precedentemente previste dall’art. 7, comma 5 del d.P.C.m - di lavoratori stranieri da impiegare nel settore turistico provenienti dai paesi di cui all’articolo 6, comma 3, lettera a), e le cui istanze siano state presentate dalle organizzazioni professionali dei datori di lavoro più rappresentative a livello nazionale.
In sede referente è stato inoltre aggiunto il comma 8-bis, che proroga dal 31 dicembre 2025 al 31 dicembre 2027 il termine per il periodo di validità dei regimi temporanei speciali adottati, al fine di fronteggiare la grave carenza di personale sanitario e socio-sanitario sul territorio nazionale, in virtù di quanto previsto dall'articolo 6-bis, comma 1, del decreto-legge 23 luglio 2021, n. 105 (Misure urgenti per fronteggiare l'emergenza epidemiologica da COVID-19 e per l'esercizio in sicurezza di attività sociali ed economiche), nonché dai commi 1 e 4 dell’articolo 15 del decreto-legge 30 marzo 2023, n. 34 (Misure urgenti a sostegno delle famiglie e delle imprese per l'acquisto di energia elettrica e gas naturale, nonché in materia di salute e adempimenti fiscali).
L’articolo 6-bis del decreto-legge 105/2021, in particolare, consente (attualmente) fino al 31 dicembre 2025 l'esercizio temporaneo, nel territorio nazionale, delle qualifiche professionali sanitarie e della qualifica di operatore socio-sanitario, in deroga alle norme relative alla procedura per l’ottenimento del riconoscimento delle rispettive qualifiche professionali conseguite all’estero.
Il comma 1 dell’articolo 15 del decreto-legge 34/2023 consente, invece, sempre fino al 31 dicembre 2025, a coloro che intendono esercitare presso strutture sanitarie o socio-sanitarie, pubbliche o private (o private accreditate, comprese quelle del Terzo settore), ed in base a una qualifica professionale conseguita all’estero, una professione medica o sanitaria o l'attività prevista per gli operatori di interesse sanitario, di esercitare temporaneamente, nel territorio nazionale, la propria attività lavorativa in deroga agli articoli 49 e 50 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1999, n. 394, e alle disposizioni di cui al decreto legislativo 9 novembre 2007, n. 206.
Il d.P.R. 31 agosto 1999, n. 394, recante regolamento di attuazione del testo unico sull'immigrazione, all’articolo 49 disciplina la procedura di riconoscimento dei titoli abilitanti all'esercizio delle professioni conseguiti in Paesi non appartenenti all'Unione europea, mentre all’articolo 50 reca disposizioni particolari per gli esercenti le professioni sanitarie.
Il D.lgs. 206/2007 disciplina il riconoscimento, per l'accesso alle professioni regolamentate e il loro esercizio, con esclusione di quelle il cui svolgimento sia riservato dalla legge a professionisti in quanto partecipi sia pure occasionalmente dell'esercizio di pubblici poteri ed in particolare le attività riservate alla professione notarile, delle qualifiche professionali già acquisite in uno o più Stati membri dell'Unione europea, che permettono al titolare di tali qualifiche di esercitare nello Stato membro di origine la professione corrispondente.
Il comma 4 del medesimo articolo 15, infine, dispone che, fino al 31 dicembre 2025, le disposizioni di cui agli articoli 27 (Ingresso di stranieri in casi particolari) e 27-quater (Ingresso e soggiorno per lavoratori altamente qualificati. Rilascio della Carta blu UE) del TUI si applicano altresì al personale medico e infermieristico assunto ai sensi del comma 1, presso strutture sanitarie o socio-sanitarie, pubbliche o private, sulla base del riconoscimento regionale, con contratto libero-professionale di cui all'articolo 7, comma 6, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Testo unico sul pubblico impiego), ovvero con contratto di lavoro subordinato, entrambi anche di durata superiore a tre mesi e rinnovabili.
Come anticipato, con il comma 8-bis dell’articolo 2 si procede a prorogare al 31 dicembre 2027 il periodo di validità dei regimi derogatori menzionati.
Articolo 2-bis
(Programmazione dei flussi di ingresso di lavoratori stranieri)
L’articolo 2-bis, introdotto in sede referente, proroga di un triennio la procedura speciale per la determinazione delle quote di ingressi annuali di lavoratori stranieri introdotta dal c.d. “decreto Cutro” per il triennio 2023-2025 e l’opportunità di emanare ulteriori d.P.C.m. nel medesimo periodo, in deroga a quanto disposto dal Testo unico sull’immigrazione.
L’articolo 2-bis, alla lettera a), modifica l’articolo 1, comma 1, del decreto-legge n. 20 del 2023 (Disposizioni urgenti in materia di flussi di ingresso legale dei lavoratori stranieri e di prevenzione e contrasto all'immigrazione irregolare), c.d. “decreto Cutro”, estendendo al triennio 2026-2028 la procedura speciale per la programmazione dei flussi di ingresso dei lavoratori stranieri ivi prevista, in deroga a quanto disposto dall’articolo 3 del Testo unico sull’immigrazione.
In particolare, il comma 1 dell’articolo 1 del decreto Cutro dispone che per il triennio 2023-2025 sono definite con d.P.C.m. le quote massime di stranieri da ammettere in Italia per lavoro subordinato, anche per esigenze di carattere stagionale, e per lavoro autonomo. Tale procedura prevede, altresì, che il medesimo d.P.C.m. indichi i criteri generali per la definizione dei flussi di ingresso tenendo conto dell'analisi del fabbisogno del mercato del lavoro effettuata dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali, previo confronto con le organizzazioni dei lavoratori e dei datori di lavoro maggiormente rappresentative sul piano nazionale.
La procedura ordinaria, così come regolata dal Testo unico, prevede invece che gli ingressi nel territorio nazionale per motivi di lavoro subordinato, anche stagionale, e di lavoro autonomo nell’ambito delle quote massime d’ingresso annuali siano stabiliti dagli appositi d.P.C.m. di programmazione dei flussi di ingresso per motivi di lavoro (salvo per alcuni profili professionali, per i quali l'ingresso è consentito al di fuori delle menzionate quote). Tali d.P.C.m. sono adottati ogni anno sulla base di un Documento programmatico relativo alla politica dell’immigrazione e degli stranieri nel territorio dello Stato predisposto ogni tre anni dal Presidente del Consiglio dei ministri ed emanato con d.P.R. dopo l’approvazione da parte del Governo e acquisiti i pareri delle competenti Commissioni parlamentari. Il documento è finalizzato all’individuazione dei criteri generali per la definizione dei flussi d’ingresso attraverso la definizione degli interventi pubblici e delle azioni, comprese le misure di carattere economico e sociale, volte a favorire le relazioni familiari e l’integrazione sociale, nel rispetto della diversità culturale dello straniero residente nel territorio nazionale, che si intendono svolgere nei confronti degli stranieri interessati.
Si segnala, a tal proposito, che il più recente documento programmatico è stato quello relativo al triennio 2004-2006, emanato con il d.P.R. 13 maggio 2005.
Alla lettera b), l’articolo 2-bis modifica, invece, il comma 4 dell’articolo 1 del decreto Cutro, prevedendo che anche per il triennio 2026-2028, qualora se ne ravvisi l'opportunità, possono essere adottati ulteriori d.P.C.m. sulla base della procedura speciale di cui al comma 1 del medesimo articolo.
Articolo 3
(Sospensione dei procedimenti relativi a cittadini di Paesi a particolare rischio)
L’articolo 3 elimina il silenzio-assenso per il rilascio del nulla osta al lavoro per i lavoratori stranieri provenienti da Stati e territori caratterizzati da elevato rischio di presentazione di domande corredate da documentazione contraffatta. Gli Stati e i territori sono individuati con decreto del Ministro degli affari esteri. In via transitoria, fino al 31 dicembre 2025, nelle more dell’adozione del decreto, la sospensione si applica alle domande di nulla osta per lavoratori del Bangladesh, del Pakistan e dello Sri Lanka.
Come si legge nella relazione illustrativa, la disposizione è volta a “prevenire e contrastare fenomeni diffusi di irregolarità nella gestione dei flussi di ingresso in Italia di lavoratori stranieri”.
Il comma 1 reca una deroga alla disposizione di cui all’articolo 22, comma 5.01, del testo unico, che prevede il rilascio automatico del nulla osta al lavoro se entro il termine di 60 giorni lo sportello unico non ha acquisito dalla questura gli elementi ostativi al rilascio dello stesso.
La deroga opera in due circostanze:
§ domande di nulla osta al lavoro per lavoratori cittadini di Stati e territori caratterizzati da elevato rischio di presentazione di domande corredate da documentazione contraffatta;
§ domande presentate in assenza dei presupposti di legge.
In tali casi, il nulla osta al lavoro può essere rilasciato previa verifica da parte dell’Ispettorato nazionale del lavoro sul rispetto dei requisiti e delle procedure di cui all’articolo 24-bis del testo unico.
L’articolo 22, comma 5.01 del testo unico (introdotto dall’art. 2, comma 1, lett. a) del DL 20/2023) prevede un limite temporale di 60 giorni oltre il quale, in mancanza dell’acquisizione e comunicazione di elementi ostativi da parte della questura competente e in presenza degli altri presupposti stabiliti dalla normativa, lo sportello unico per l’immigrazione deve rilasciare il nulla osta al lavoro richiesto da un datore di lavoro per l’assunzione (a tempo determinato o indeterminato) di un soggetto residente all’estero e cittadino di uno Stato non appartenente all’Unione europea (o apolide); il limite introdotto coincide con il termine ordinatorio vigente, posto per il rilascio - in presenza dei relativi presupposti (tra i quali anche il rispetto dei limiti per i flussi di ingresso di lavoratori stranieri nel territorio nazionale) - del medesimo nulla osta e pari a sessanta giorni (decorrenti dalla richiesta del datore di lavoro).
L’articolo 24-bis del testo unico (introdotto dall’art. 2, comma 1, lett. c) del DL 20/2023), demanda la verifica - all'interno della procedura di rilascio di nulla osta - dei requisiti concernenti l'osservanza (nello schema di contratto) delle prescrizioni del contratto collettivo di lavoro e la congruità del numero delle richieste presentate dal datore di lavoro ad alcune categorie di professionisti - consulenti del lavoro, avvocati, dottori commercialisti ed esperti contabili - o alle organizzazioni dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale (ai quali il datore di lavoro aderisca o conferisca mandato) e pone alcuni criteri specifici relativi alla medesima verifica. In base a questi ultimi, le verifiche in oggetto tengono anche conto della capacità patrimoniale, dell'equilibrio economico-finanziario, del fatturato, del numero dei dipendenti - ivi compresi quelli già richiesti ai sensi della disciplina sugli ingressi per lavoro di cittadini di Stati non appartenenti all'Unione europea (o di apolidi) - e del tipo di attività svolta dall'impresa. In caso di esito positivo delle verifiche, è rilasciata apposita asseverazione, che il datore di lavoro trasmette allo sportello unico per l'immigrazione unitamente alla richiesta di assunzione del lavoratore straniero (nell'ambito della procedura di richiesta di nulla osta).
È esclusa la necessità della suddetta asseverazione per le richieste di nulla osta presentate dalle organizzazioni dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e sottoscrittrici con il Ministero del lavoro e delle politiche sociali di un apposito protocollo di intesa - protocollo con il quale le organizzazioni si impegnano a garantire il rispetto, da parte dei propri associati, dei requisiti in oggetto. È fatta salva -la possibilità, per l'Ispettorato nazionale del lavoro, di effettuare, in collaborazione con l'Agenzia delle entrate, controlli a campione sul rispetto dei requisiti e delle procedure di cui alla medesima disciplina.
Il comma 2 dispone la sospensione dell’efficacia dei nulla osta al lavoro già rilasciati ai lavoratori di cui al comma 1 fino alla conferma espressa, da parte dello sportello unico per l’immigrazione, a seguito dell’espletamento delle verifiche di congruità di cui sopra.
La disposizione non si applica nel caso sia stato già rilasciato, alla data di entrata in vigore del presente decreto, il visto di ingresso in Italia.
Nel caso in cui invece il visto di ingresso non sia stato ancora rilasciato, i relativi procedimenti pendenti alla data di entrata di entrata in vigore del presente decreto sono sospesi. Questo fino alla ricezione da parte dell’ufficio consolare della conferma dell’avvenuto rilascio, inviata esclusivamente tramite l’apposito applicativo informatico.
Ai sensi del comma 3, gli Stati e i territori caratterizzati da elevato rischio di contraffazione delle richieste di nulla osta al lavoro sono individuati con decreto del Ministro degli affari esteri. In ogni caso, fino al 31 dicembre 2025, nelle more dell’adozione del decreto, la sospensione si applica alle domande di nulla osta e ai nulla osta per lavoratori del Bangladesh, del Pakistan e dello Sri Lanka.
Si tratta dei tre dei Paesi nei quali il Ministro degli esteri ha condotto diverse ispezioni presso le ambasciate italiane, con l’obiettivo di verificare le procedure applicate nel rilascio di visti di ingresso per l’Italia. Per quanto riguarda l’ispezione condotta nel 2023 nei tre Paesi del sub-continente indiano, indicate nell’articolo in esame, “I primi riscontri del lavoro ispettivo fanno emergere […] un contesto ambientale estremamente difficile, anche a causa dell’elevato numero di documenti falsi che quotidianamente vengono presentati a tutte le ambasciate dei Paesi Schengen per ottenere l’ingresso in Europa” (Comunicato del Ministero degli affari esteri, 7 agosto 2023).
Analoghe ispezioni sono state effettuate nelle ambasciate nella Repubblica Democratica del Congo e nella Repubblica del Congo (Comunicato del Ministero degli affari esteri, 20 ottobre 2023).
Le ispezioni, effettuate in diversi Paesi hanno rilevato “forti e gravi irregolarità che hanno portato anche al richiamo in Italia di funzionari e la presentazione di esposti da parte del direttore generale che si occupa delle ispezioni alla Procura della Repubblica di Roma” (Audizione del Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale presso le Commissioni Affari esteri di Camera e Senato, 25 luglio 2024, pag. 57).
Articolo 4, commi 1-6
(Disposizioni relative a personale e prestazioni di lavoro dell’Amministrazione civile dello Stato)
L’articolo 4, comma 1, estende all’anno 2025 l’autorizzazione al Ministero dell’interno ad utilizzare prestazioni di lavoro a contratto a termine, tramite agenzie di somministrazione, per lo svolgimento di alcuni compiti connessi all’ingresso di lavoratori stranieri.
Ancora, si incrementa il Fondo per le emergenze nazionali, di 5 milioni per l’anno 2024 (comma 2) e si destinano 35 milioni per l’anno 2024 alla realizzazione di un programma di interventi straordinari di cooperazione di polizia con i Paesi terzi d’importanza prioritaria per le rotte migratorie (comma 3). Inoltre è disciplinata la complessiva copertura finanziaria delle disposizioni sopra ricordate (comma 4).
Infine, i commi 5 e 6 autorizzano il Ministero dell’interno, per il triennio 2025-2027, al reclutamento di 200 unità, appartenenti all’area degli assistenti, con corrispettivo incremento della dotazione organica.
Dell’articolo 4, i commi 1-6 concernono personale dell’Amministrazione civile dello Stato e prestazioni lavorative per conto di essa, nonché l’assegnazione di risorse ad alcune poste (il Fondo per le emergenze nazionali e un programma di cooperazione di polizia con Paesi terzi strategici per le rotte migratorie).
In particolare, il comma 1 estende il lasso temporale – includendovi l’anno 2025, con correlativa copertura finanziaria – in cui il Ministero dell’interno è autorizzato a utilizzare, tramite una o più agenzie di somministrazione di lavoro, prestazioni di lavoro a contratto a termine, destinate alla definizione delle procedure per l’instaurazione del rapporto di lavoro tra il datore di lavoro, che opera in Italia, e il lavoratore straniero che entra nel nostro Paese, nonché di regolarizzazione dei lavoratori stranieri.
A tal fine, la disposizione novella l’articolo 1, comma 683 della legge n. 197 del 2022 (legge di bilancio 2023). Reca, quel comma ora modificato, l’autorizzazione sopra ricordata. Si tratta dell’autorizzazione alla utilizzazione da parte del Ministero dell’interno, tramite una o più agenzie di somministrazione, di prestazioni da lavoro a contratto a termine.
Questo, in deroga alla soglia di spesa stabilita in via generale (dall’articolo 9, comma 28 del decreto-legge n. 78 del 2010) circa l’avvalimento di personale a tempo determinato o con convenzioni ovvero con contratti di collaborazione coordinata e continuativa.
La disposizione dell’articolo 1, comma 683, della legge n. 197 del 2022 prevedeva un’autorizzazione per gli anni 2023 e 2024.
La novella ora aggiunge il 2025.
Quella disposizione poneva un limite massimo di spesa pari a: 7,4 milioni per il 2023; 44,86 milioni per il 2024.
La novella rimodula la soglia di spesa per il 2024 (riducendola a 39,07 milioni) e aggiunge, per il 2025, la previsione di 10,52 milioni.
Per la parte non novellata, rimane la previsione del comma 683 citato, secondo cui la finalità dell’utilizzo di queste prestazioni di lavoro a contratto a termine da parte del Ministero dell’interno consiste in una più rapida definizione delle procedure di cui agli articoli 42, 43 e 44 del decreto-legge n. 73 del 2022, ed all'articolo 103 del decreto-legge n. 34 del 2020.
I citati articoli 42 e 43 del decreto-legge n. 73 del 2022 hanno introdotto alcune misure per la semplificazione delle procedure di ingresso dei lavoratori stranieri. In particolare, hanno ridotto da 60 a 30 giorni il termine per il rilascio del nulla osta al lavoro subordinato da parte dello sportello unico per l'immigrazione, esclusivamente per le istanze presentate a seguito dei decreti sui flussi d'ingresso per l'anno 2022 e per l’anno 2023 (cfr. il d.P.C.M. del 27 settembre 2023, sulla programmazione dei flussi per il triennio 2023-2025).
Così come è stato ridotto (da 30 a 20 giorni) il termine per il rilascio del visto da parte delle rappresentanze diplomatiche italiane per l’ingresso in Italia dei lavoratori stranieri che si trovano all’estero e che hanno ottenuto il nulla osta.
Ancora il decreto-legge n. 73 del 2022 ha modificato all’articolo 44, a fini di semplificazione, la verifica dei requisiti concernenti l'osservanza delle prescrizioni del contratto collettivo di lavoro e la congruità del numero delle richieste presentate dal datore di lavoro, in ordine all’assunzione di lavoratori stranieri.
E l’articolo 45 del medesimo decreto-legge n. 73 del 2022 ha autorizzato per il 2022 il Ministero dell'interno ad utilizzare, tramite una o più agenzie di somministrazione di lavoro, prestazioni di lavoro a contratto a termine. È autorizzazione analoga a quella ora estesa all’anno 2025.
Quanto all’altra disposizione richiamata dall’articolo 1, comma 683 della legge n. 197 del 2022 per la parte non novellata, ossia l’articolo 103 del decreto-legge n. 34 del 2020, esso è intervenuto in materia di emersione dei lavoratori irregolari impiegati in agricoltura, lavori domestici e cura della persona. Si tratta di due forme distinte di regolarizzazione: con la prima i datori di lavoro possono presentare domanda per assumere cittadini stranieri presenti nel territorio nazionale o per dichiarare la sussistenza di un rapporto di lavoro irregolare preesistente con lavoratori italiani o stranieri sottoposti a rilievi foto-dattiloscopici prima dell'8 marzo 2020 o soggiornanti in Italia prima di tale data in base alle attestazioni ivi previste, ai fini della regolarizzazione del rapporto di lavoro. La seconda consiste nella concessione di un permesso di soggiorno temporaneo di 6 mesi, valido solo nel territorio nazionale, agli stranieri con permesso di soggiorno scaduto alla data del 31 ottobre 2019 che ne facciano richiesta e che risultino presenti sul territorio nazionale alla data dell'8 marzo 2020 e che abbiano svolto attività di lavoro nei settori di cui sopra, prima del 31 ottobre 2019 e sulla base di documentazione riscontrabile dall'Ispettorato nazionale del lavoro. Il permesso temporaneo è convertito in permesso di soggiorno per lavoro se il lavoratore viene assunto. In entrambi i casi gli stranieri devono risultare presenti nel territorio nazionale ininterrottamente dall'8 marzo 2020.
La relazione tecnica del disegno di legge di conversione del decreto-legge stima un impiego di 570 unità lavorative presso gli Sportelli unici per l’immigrazione presso le Prefetture e di 550 unità lavorative presso gli uffici per l’immigrazione delle Questure.
Può valere rammentare come la Corte costituzionale, con riferimento all'articolo 97, quarto comma, della Costituzione, abbia affermato costantemente (cfr. ad esempio la sentenza 227 del 2021) che «la facoltà del legislatore di introdurre deroghe al principio del concorso pubblico deve essere delimitata in modo rigoroso, potendo tali deroghe essere considerate legittime solo quando siano funzionali esse stesse al buon andamento dell’amministrazione e ove ricorrano peculiari e straordinarie esigenze di interesse pubblico idonee a giustificarle» (sentenza n. 40 del 2018 e n. 110 del 2017; nello stesso senso, sentenze n. 7 del 2015 e n. 134 del 2014) e, comunque, sempre che siano previsti «adeguati accorgimenti per assicurare [...] che il personale assunto abbia la professionalità necessaria allo svolgimento dell’incarico» (sentenza n. 225 del 2010).
Il comma 2 incrementa di 5 milioni per il 2024 il Fondo per le emergenze nazionali.
Si tratta del Fondo previsto dal Codice della protezione civile (decreto legislativo n. 1 del 2018: cfr. il suo articolo 44) per gli interventi richiesti dagli eventi calamitosi di origine naturale o derivanti dall'attività dell'uomo, relativamente ai quali il Consiglio dei ministri deliberi la dichiarazione dello stato di emergenza di rilievo nazionale.
Le risorse del Fondo sono allocate sul cap. 7441 dello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze. La legge di assestamento per il 2024 (legge n. 118 del 2024) reca su tale capitolo uno stanziamento pari a 783,3 milioni di euro per il 2024 e a 340 milioni dal 2025.
Il comma 3 autorizza la spesa di 35 milioni per l’anno 2024, per la realizzazione di un programma di interventi straordinari di cooperazione di polizia con i Paesi terzi d’importanza prioritaria per le rotte migratorie.
Tale programma è stabilito dal Ministero dell’interno, d’intesa con la Presidenza del Consiglio dei ministri.
Il testo originario prevedeva un’autorizzazione di spesa per 15 milioni. L’incremento di ulteriori 20 milioni (per un totale dunque di 35 milioni) è stato introdotto in sede referente.
Le disposizioni di spesa recate dai commi 1, 2 e 3 sopra ricordati trovano nel comma 4 la loro copertura finanziaria.
La quantificazione complessiva degli oneri è di 40 milioni per l’anno 2024; di10,52 milioni per l’anno 2025.
Vi si provvede:
a) quanto a 5 milioni per l’anno 2024, mediante utilizzo (di quota parte, è stato specificato in sede referente, secondo condizione posta dalla V Commissione) delle risorse rivenienti dalle modifiche apportate al comma 1;
b) quanto a 15 milioni per l’anno 2024, mediante utilizzo delle risorse del Fondo previsto dalla legge n. 14 del 2024, n. 14 (“Ratifica ed esecuzione del Protocollo tra il Governo della Repubblica italiana e il Consiglio dei ministri della Repubblica di Albania per il rafforzamento della collaborazione in materia migratoria, fatto a Roma il 6 novembre 2023, nonché norme di coordinamento con l'ordinamento interno”), al suo articolo 6, comma 5. Sono risorse iscritte nello stato di previsione del Ministero dell’interno, destinate alla prevenzione e al contrasto della criminalità e al potenziamento della sicurezza nelle strutture aeroportuali e nelle principali stazioni ferroviarie anche attraverso misure di cooperazione internazionale;
c) quanto a 20 milioni, mediante utilizzo delle risorse del Fondo destinati agli interventi di riforma della polizia locale (istituito, con quel medesimo stanziamento, dall’articolo 1, comma 995 della legge n. 178 del 2020); ed è voce di copertura finanziaria introdotta in sede referente, a fronte dell’incremento di dotazione lì deliberata, con riguardo al comma 3 circa la cooperazione di polizia con i Paesi terzi d’importanza prioritaria per le rotte migratorie;
d) quanto a euro 10.529.736 per l’anno 2025, mediante corrispondente riduzione della proiezione dello stanziamento del Fondo speciale di parte corrente iscritto, ai fini del bilancio triennale 2024-2026, nell'ambito del programma «Fondi di riserva e speciali» della missione «Fondi da ripartire» dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2024, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al Ministero dell’interno.
I commi 5 e 6 di questo articolo 4 del decreto-legge concernono materia ancora relativa allo svolgimento da parte del Ministero dell’interno di compiti connessi all’immigrazione, con riferimento alla gestione dei flussi migratori e della protezione internazionale.
È disposto un incremento della dotazione organica del Ministero dell’interno, area degli assistenti, di 200 unità.
Si legge nella relazione illustrativa del disegno di legge di conversione che tali unità siano destinate, da ripartire in egual misura, al Dipartimento per le libertà e l’immigrazione ed al Dipartimento della pubblica sicurezza.
La corrispettiva autorizzazione di spesa ammonta a 4,54 milioni per l’anno 2025, ed a 8,18 milioni a decorrere dal 2026. Di questa dotazione di spesa ‘a regime’, quota parte è destinata agli oneri assunzionali (7,47 milioni), a compenso per lavoro straordinario (376.019 euro) ed a buoni pasto (336 milioni).
Correlativamente il Ministero dell’interno è autorizzato, per il triennio 2025-2027, a reclutare un contingente di personale pari a 200 unità dell’area degli assistenti con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, in aggiunta alle vigenti facoltà assunzionali, mediante due ‘vie’ di reclutamento: l’indizione di apposite procedure concorsuali pubbliche o lo scorrimento “delle vigenti graduatorie di concorsi pubblici”. Non si procede al previo svolgimento delle procedure di mobilità.
Per l’espletamento delle procedure di reclutamento, è autorizzata la spesa di 448.000 euro nel 2025.
Per rendere più spedito il reclutamento, fino al 31 dicembre 2026, il Ministero dell’interno può avvalersi di alcune speciali procedure, relative al reclutamento di personale non dirigenziale delle amministrazioni pubbliche, ossia:
ü la previsione nel bando di concorso dello svolgimento della sola prova scritta (ex articolo 35-quater, comma 3-bis, del decreto legislativo n. 165 del 2001 recante norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche; l’articolo 35-quater è stato inserito dal decreto-legge n. 36 del 2022, all’articolo 3, comma 1; il suo comma 3-bis è stato introdotto dal decreto-legge n. 44 del 2023, all’articolo 1-bis, comma 1, lettera c));
ü richiesta alla Commissione RIPAM di avviare procedure di reclutamento mediante concorso pubblico per titoli ed esami, bandito su base provinciale[51] e svolto anche mediante l'uso di tecnologie digitali (ex articolo 1, comma 4, lettera b) del decreto-legge n. 44 del 2023, la quale ha specifico riguardo al personale non dirigenziale dell'amministrazione civile dell'interno).
La copertura finanziaria degli oneri è oggetto del comma 6.
Vi si provvede mediante corrispondente riduzione della proiezione dello stanziamento del fondo speciale di parte corrente iscritto, ai fini del bilancio triennale 2024-2026, nell'ambito del programma «Fondi di riserva e speciali» della missione «Fondi da ripartire» dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2024, allo scopo parzialmente utilizzando: a) l'accantonamento relativo al Ministero dell’interno, per euro 4.540.328 per l’anno 2025 e euro 7.500.000 annui a decorrere dall’anno 2026; b) l'accantonamento relativo al Ministero dell’economia e finanze, per euro 684.655 annui a decorrere dall’anno 2026.
Articolo 4, commi 7-9
(Disposizioni relative al personale del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale)
Il comma 7 incrementa la dotazione organica del personale delle Aree del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale prevedendo l’aumento di 200 unità nell’Area degli assistenti. A tal fine si autorizza l’assunzione, a tempo indeterminato, mediante apposita procedura concorsuale per titoli ed esami.
Il comma 8 prevede, altresì, un incremento del contingente degli impiegati a contratto presso le Sedi all’estero, nella misura di 50 unità, autorizzando gli stanziamenti necessari.
Il comma 9 dispone la copertura finanziaria degli oneri derivanti dai commi 7 e 8.
Nel dettaglio il comma 7 autorizza il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale a reclutare mediante apposita procedura concorsuale un contingente di 200 unità nell’area degli assistenti con conseguente incremento della dotazione organica a decorrere dal 1° ottobre 2025. In relazione all’incremento previsto dal comma 7, la relazione illustrativa allegata al provvedimento in esame fa presente che tale misura è necessaria al fine di fornire una risposta al crescente aumento della domanda di servizi, che viene rivolta al MAECI, in particolare nel rilascio dei visti di ingresso.
A sua volta il comma 8 incrementa di 50 unità del contingente di dipendenti a contratto secondo la legge locale ex articolo 152 del decreto del Presidente della Repubblica 5 gennaio 1967, n.18, da distribuire tra gli uffici della rete diplomatico consolare. Al riguardo nella relazione illustrativa il Governo fa presente che che nelle sedi all’estero è fondamentale l’apporto di personale locale che conosca la lingua, il contesto politico e sociale e le usanze del luogo e fornisca un contributo insostituibile al buon andamento del servizio, nell’ambito delle mansioni tipiche di questa figura professionale, che risultano insostituibili in particolare in Paesi la cui lingua ufficiale è diversa dalle lingue veicolari internazionali.
Come precisato nella relazione tecnica il costo unitario delle nuove locale è stato quantificato a partire dal costo medio del personale a contratto a legge locale accertato in euro 46.757,87 pro capite. A tale importo unitario di circa 46.758 euro per il 2024 è stato applicato un tasso medio di aumento del 3% (coerente con la serie storica dei dati accertati negli ultimi anni). Il costo unitario (lordo amministrazione) di un impiegato a contratto è valutato dunque in euro 48.161 per l’anno 2025.
Ai sensi del comma 9 agli oneri derivanti dai commi 7 e 8 si provvede mediante corrispondente riduzione della proiezione dello stanziamento del fondo speciale di parte corrente iscritto, ai fini del bilancio triennale 2024-2026, nell'ambito del programma «Fondi di riserva e speciali» della missione «Fondi da ripartire» dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2024, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale come indicato al comma 9.
Nel dettaglio, tali oneri sono quantificati in euro 3.193.354 per l’anno 2025, euro 10.437.616 per l’anno 2026, euro 10.512.016 per l’anno 2027, euro 10.588.666 per l’anno 2028, euro 10.667.616 per l’anno 2029, euro 10.748.916 per l’anno 2030, euro 10.832.666 per l’anno 2031, euro 10.918.916 per l’anno 2032, euro 11.007.766 per l’anno 2033, euro 11.099.266 annui a decorrere dall’anno 2034.
Ai medesimi si provvede mediante riduzione per euro 3.193.354 per l’anno 2025 e euro 11.099.266 annui a decorrere dall’anno 2026 mediante riduzione del richiamato stanziamento del fondo speciale di parte corrente iscritto, ai fini del bilancio triennale 2024-2026.
Articolo 5
(Permesso di soggiorno per gli stranieri vittime di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro)
L’articolo 5 disciplina il permesso di soggiorno per gli stranieri vittime di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro – che sostituisce l’abrogato permesso di soggiorno per particolare sfruttamento lavorativo –, di cui stabilisce anche i casi di revoca.
Esso, inoltre, estende l’accesso al programma unico di emersione, assistenza e integrazione sociale anche alle vittime del reato di acquisto e alienazione di schiavi.
L’articolo 5, costituito da due commi, reca una serie di modifiche al Testo unico dell’immigrazione.
Al comma 1, lettera c), inserisce nel citato testo unico il nuovo articolo 18-ter, recante la disciplina in materia di “permesso di soggiorno per gli stranieri vittime di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro”.
Nell’assetto normativo previgente, il permesso di soggiorno nelle ipotesi di sfruttamento lavorativo era disciplinato dai commi 12-quater, 12- quinquies e 12-sexies dell’art. 22 del medesimo TUI, i quali vengono abrogati dalla disposizione in commento (comma 1, lettera d)).
In particolare, l’art. 12-quater prescriveva che “nelle ipotesi di particolare sfruttamento lavorativo di cui al comma 12-bis [ndr, per quanto concerne le condizioni di sfruttamento lavorativo il comma 12-bis rinvia all’art. 603-bis, comma 3 c.p], è rilasciato dal questore, su proposta o con il parere favorevole del procuratore della Repubblica, allo straniero che abbia presentato denuncia e cooperi nel procedimento penale instaurato nei confronti del datore di lavoro, un permesso di soggiorno”.
Il comma 1 del nuovo art. 18-ter del D.Lgs. 286/1998 stabilisce che, al ricorrere di determinate condizioni, il questore, su proposta dell’autorità giudiziaria, rilascia tempestivamente un permesso di soggiorno in favore del lavoratore straniero, vittima del reato di cui all’art. 603-bis c.p., nonché del suo nucleo familiare, al fine di sottrarli alla violenza, all’abuso o allo sfruttamento.
Ai fini dell’emissione di tale permesso di soggiorno è necessario che, nel corso di operazioni di polizia, di indagini o di un procedimento per il delitto previsto dall’articolo 603-bis c.p.:
a) siano accertate situazioni di violenza, abuso o di sfruttamento del lavoro nei confronti di un lavoratore straniero nel territorio nazionale;
b) il lavoratore vittima di sfruttamento collabori utilmente all’emersione dei fatti di reato ed all’individuazione dei responsabili.
A tal riguardo si ricorda che l’art. 603-bis c.p. rubricato "Intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro", sanziona le condotte che integrano il fenomeno del c.d. caporalato.
In particolare, l’art. 603-bis punisce con la reclusione da uno a sei anni e con la multa da 500 a 1.000 euro per ciascun lavoratore, colui che:
- recluta manodopera, approfittando dello stato di bisogno dei lavoratori, per destinarla al lavoro presso terzi in condizioni di sfruttamento;
- utilizza, assume ed impiega manodopera, anche mediante attività di intermediazione, sottoponendo i lavoratori a condizioni di sfruttamento ed approfittando del loro stato di bisogno.
La norma prevede pene superiori (reclusione da cinque a otto anni e la multa da 1.000 a 2.000 euro per ciascun lavoratore reclutato) se le condotte appena richiamate sono commesse mediante violenza e minaccia.
Il comma 3 dell’art. 603-bis stabilisce, inoltre, gli indici in presenza dei quali si versa in una situazione di sfruttamento, tra cui rientrano: la reiterata corresponsione di retribuzioni in modo palesemente difforme dai CCNL, la reiterata violazione della normativa relativa all'orario di lavoro, ai periodi di riposo, all'aspettativa obbligatoria, alle ferie; la presenza di violazioni delle norme in materia di sicurezza e igiene nei luoghi di lavoro; la sottoposizione del lavoratore a condizioni di lavoro, a metodi di sorveglianza o a situazioni alloggiative degradanti.
Il comma 4 prevede tre circostanze aggravanti ad effetto speciale che comportano l’aumento della pena da un terzo alla metà. Esse sono: 1) il reclutamento di lavoratori sfruttati in misura superiore a tre; 2) il reclutamento di uno o più minori in età non lavorativa; 3) l’esposizione dei lavoratori sfruttati a situazioni di grave pericolo, tenuto conto delle caratteristiche delle prestazioni da svolgere e delle condizioni di lavoro.
Il comma 2 del nuovo articolo 18-ter prevede che, nel segnalare all’autorità giudiziaria o al questore situazioni di violenza o abuso o comunque di sfruttamento del lavoro nei confronti dello straniero, l’Ispettorato nazionale del lavoro esprima contestualmente un parere anche in merito all’eventuale rilascio di un permesso di soggiorno.
Si valuti l’opportunità di specificare la tipologia del permesso di soggiorno richiamato dalla disposizione.
Il comma 3 dell’articolo 18-ter dispone che il permesso di soggiorno rilasciato ai sensi del medesimo articolo rechi la dicitura “casi speciali”, ne stabilisce la durata in sei mesi e prevede la possibilità di rinnovarlo per un anno, o per il maggior periodo occorrente per motivi di giustizia.
Si segnala che il permesso di soggiorno per particolare sfruttamento lavorativo (articolo 22, commi 12-quater, 12-quinquies e 12-sexies, decreto legislativo n. 286/1998), abrogato dal presente articolo, recava anch’esso la dicitura “casi speciali”, aveva durata semestrale e poteva essere rinnovato per un anno o per il maggior periodo occorrente alla definizione del procedimento penale.
Il permesso di soggiorno per “casi speciali” è oggi previsto per motivi di protezione sociale, per vittime di tratta (articolo 18, decreto legislativo n. 286/1998), e per le vittime di violenza domestica (articolo 18-bis, decreto legislativo n. 286/1998).
Il permesso di soggiorno di cui al presente articolo consente l’accesso ai servizi assistenziali e allo studio, nonché l’iscrizione nell’elenco anagrafico previsto dall’articolo 4 del “regolamento recante norme per la semplificazione del procedimento per il collocamento ordinario dei lavoratori” (decreto del Presidente della Repubblica 7 luglio 2000, n. 442) o lo svolgimento di lavoro subordinato e autonomo, fatti salvi i requisiti minimi di età.
Il citato articolo 4 del D.P.R. 442/2000 prevede al comma 1 che i cittadini italiani nonché i cittadini di Stati membri dell’Unione europea e gli stranieri regolarmente soggiornanti in Italia aventi l’età stabilita dalla legge per essere ammessi al lavoro e che, essendo in cerca di lavoro perché inoccupati, disoccupati ovvero occupati in cerca di altro lavoro, intendono avvalersi dei servizi competenti, vengono inseriti in un elenco anagrafico indipendentemente dal luogo della propria residenza.
L’elenco anagrafico contiene i dati anagrafici completi del lavoratore nonché i dati relativi alla residenza, all’eventuale domicilio, alla composizione del nucleo familiare, ai titoli di studio posseduti, all’eventuale appartenenza a categorie protette e allo stato occupazionale. L’inserimento nell’elenco anagrafico produce esclusivamente gli effetti previsti dal presente regolamento.
Come precisato dal comma 3 dell’articolo 18-ter, il rilascio del permesso di soggiorno è comunicato, anche in via telematica, al Ministero del lavoro e delle politiche sociali – Direzione generale dell’immigrazione e delle politiche di integrazione.
Si segnala che, secondo quanto disposto dall’articolo 6 del presente decreto-legge, a seguito della comunicazione anzidetta, il lavoratore in favore del quale sia stato rilasciato il permesso di soggiorno di cui al nuovo articolo 18-ter TUI può essere ammesso alle misure di assistenza, di durata non superiore a quella del permesso di soggiorno (sei mesi, rinnovabile per un anno o per il maggior periodo occorrente per motivi di giustizia), finalizzate alla formazione e all’inserimento sociale e lavorativo.
Per approfondimenti sulle “misure di assistenza”, si rinvia alla scheda di lettura relativa all’articolo 6.
Il comma 4 dell’articolo 18-ter prevede che il permesso di soggiorno per gli stranieri vittime di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro possa essere convertito in permesso di soggiorno per motivi di lavoro subordinato o autonomo, secondo le modalità stabilite per tale permesso di soggiorno e al di fuori delle quote migratorie di cui all’articolo 3, comma 4, del TUI, [52] ovvero in permesso di soggiorno per motivi di studio, qualora il titolare sia iscritto a un regolare corso di studi.
Si segnala che il permesso di soggiorno per particolare sfruttamento lavorativo (articolo 22, commi 12-quater, 12-quinquies e 12-sexies, D.Lgs. n. 286/1998), abrogato dall’articolo 5 in commento, poteva essere convertito, alla scadenza, in permesso di soggiorno per lavoro subordinato o autonomo.
Secondo quanto disposto dal medesimo comma 4 dell’articolo 18-ter, il permesso di soggiorno per gli stranieri vittime di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro è revocato:
§ in caso di condotta incompatibile con le finalità dello stesso, segnalata dal procuratore della Repubblica o, per quanto di competenza, dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali – Direzione generale dell’immigrazione e delle politiche di integrazione, o comunque accertata dal questore,
§ o quando vengono meno le condizioni che ne hanno giustificato il rilascio.
Il già ricordato permesso di soggiorno per particolare sfruttamento lavorativo (articolo 22, commi 12-quater, 12-quinquies e 12-sexies, D.Lgs. n. 286/1998), abrogato dall’articolo 5 in commento, poteva essere revocato in caso di condotta incompatibile con le finalità dello stesso, segnalata dal procuratore della Repubblica o accertata dal questore, ovvero qualora fossero venute meno le condizioni che ne avevano giustificato il rilascio.
Il comma 5 dell’art. 18-ter prescrive che, qualora lo straniero venga condannato, anche con sentenza non definitiva, nonché mediante sentenza pronunciata ai sensi dell’art. 444 c.p.p. (cd. “applicazione della pena su richiesta delle parti”), per il delitto di cui all’articolo 603-bis c.p., possono essere disposte le misure della revoca del permesso di soggiorno e l'espulsione ai sensi dell'articolo 13 del TUI.
Si ricorda che il summenzionato art. 13 disciplina l’istituto della cd. “espulsione amministrativa” nei confronti dello straniero, nonché le casistiche che possono condurre ad espulsione e le autorità a ciò preposte.
Il provvedimento di espulsione, al di fuori dei motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato in cui la competenza spetta al Ministro dell’Interno (comma 1), viene adottato dal prefetto in base ai casi previsti dal comma 2.
Il comma 3 dell’art. 13 stabilisce che l’espulsione è disposta in ogni caso con decreto motivato immediatamente esecutivo, anche se sottoposto a gravame o impugnativa da parte dell'interessato. La misura viene eseguita dal questore con le modalità di cui al comma 4.
In particolare, quando lo straniero è sottoposto a procedimento penale e non si trova in stato di custodia cautelare in carcere, il questore, prima di eseguire l'espulsione, richiede il nulla osta all'autorità giudiziaria, che può negarlo solo in presenza di inderogabili esigenze processuali valutate in relazione all'accertamento della responsabilità di eventuali concorrenti nel reato o imputati in procedimenti per reati connessi, e all'interesse della persona offesa. Oltre al provvedimento espresso, il nulla osta si intende concesso qualora l'autorità giudiziaria non provveda entro sette giorni dalla data di ricevimento della richiesta. In ogni caso, durante la pendenza della richiesta di nulla osta il questore può adottare la misura del trattenimento presso un centro di permanenza per i rimpatri ai sensi dell'articolo 14 del medesimo T.U.
Il decreto di espulsione, nonché ogni altro atto concernente l'ingresso, il soggiorno e l'espulsione, sono comunicati all'interessato unitamente all'indicazione delle modalità di impugnazione e ad una traduzione in una lingua da lui conosciuta, ovvero, ove non sia possibile, in lingua francese, inglese o spagnola (comma 7). Contro il decreto di espulsione può essere presentato ricorso all'autorità giudiziaria ordinaria. Le controversie di cui al presente comma sono disciplinate dall'art. 18 del D.Lgs. n. 150/2011 (comma 8). Invece, avverso ai provvedimenti disposti dal Ministro della Giustizia ai sensi del comma 1 la tutela giurisdizionale è assicurata dinanzi al giudice amministrativo secondo le norme del codice del processo amministrativo (comma 11).
Il comma 6 dell’articolo 18-ter prevede che, in attesa del rilascio del permesso di soggiorno, il lavoratore straniero, cui è stata rilasciata dal competente ufficio la ricevuta attestante l’avvenuta presentazione della richiesta, può legittimamente soggiornare nel territorio dello Stato e svolgere temporaneamente l’attività lavorativa fino a eventuale comunicazione da parte dell’Autorità di pubblica sicurezza, che attesta l’esistenza dei motivi ostativi al rilascio del permesso di soggiorno.
L’articolo 5, comma 1, alla lettera a) novella l’articolo 10-bis del TUI, in materia di ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato.
In particolare, vengono apportate alcune modifiche al comma 6 il quale, oltre a disporre la sospensione del procedimento penale relativo all’ingresso e al soggiorno illegale dello straniero allorquando sia presentata la domanda di protezione internazionale di cui al D.Lgs. n. 251/2007, prevede altresì che si pronunci sentenza di non luogo a procedere nel caso di riconoscimento di protezione internazionale ovvero nel caso di rilascio del permesso di soggiorno in determinate ipotesi.
Ebbene, la lettera a), tra queste determinate ipotesi, aggiunge il caso del “permesso di soggiorno per gli stranieri vittime di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro” di cui all’articolo 18-ter di nuova introduzione, eliminando corrispondentemente quello del permesso di soggiorno per particolare sfruttamento lavorativo di cui all’articolo 22, comma 12-quater, soppresso dalla lettera d) della disposizione in commento.
L’articolo 5, comma 1, lettera b) modifica, poi, l’articolo 18, comma 3-bis, del testo unico sull’immigrazione, il quale prevede che si applichi un programma unico di emersione, assistenza e integrazione sociale che garantisca, in via transitoria, adeguate condizioni di alloggio, di vitto e di assistenza sanitaria, e, successivamente, la prosecuzione dell’assistenza e l’integrazione sociale, agli stranieri (nonché ai cittadini di Stati membri dell'Unione europea che si trovano in una situazione di gravità ed attualità di pericolo) che siano, tra l’altro, vittime dei reati previsti dagli articoli 600 (“riduzione o mantenimento in schiavitù o in servitù”) e 601 (“tratta di persone”) del codice penale.
La modifica in commento aggiunge, tra i reati di cui può essere vittima lo straniero e dai quali discendono gli effetti giuridici appena richiamati, quello di “acquisto e alienazione di schiavi” (articolo 602 del codice penale).
Venendo, infine, alla lettera d) del comma 1 dell’articolo in esame, come si è anticipato, al numero 2) essa dispone l’abrogazione dei commi 12-quater, 12-quinquies e 12-sexies dell’articolo 22 del TUI (recanti la disciplina del permesso di soggiorno per “particolare sfruttamento lavorativo”), specificando, altresì, che ogni richiamo ai medesimi commi che sia contenuto in leggi, regolamenti o decreti, si intende riferito all’articolo 18-ter di nuova introduzione.
Al numero 1), la lettera d) del comma 1 dell’articolo in commento interviene sul comma 12-bis dell’articolo 22 del TUI, che sancisce l’aggravamento della pena prevista per il fatto di cui al comma 12 (occupazione alle proprie dipendenze di lavoratori stranieri privi del permesso di soggiorno, ovvero il cui permesso sia scaduto e del quale non sia stato chiesto, nei termini di legge, il rinnovo, revocato o annullato), tra l’altro, per il caso in cui «i lavoratori occupati siano sottoposti alle altre condizioni lavorative di particolare sfruttamento di cui al terzo comma dell'articolo 603-bis del codice penale».
Tali condizioni sono: 1) la reiterata corresponsione di retribuzioni in modo palesemente difforme dai contratti collettivi nazionali o territoriali stipulati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative a livello nazionale, o comunque sproporzionato rispetto alla quantità e qualità del lavoro prestato; 2) la reiterata violazione della normativa relativa all’orario di lavoro, ai periodi di riposo, al riposo settimanale, all’aspettativa obbligatoria, alle ferie; 3) la sussistenza di violazioni delle norme in materia di sicurezza e igiene nei luoghi di lavoro; 4) la sottoposizione del lavoratore a condizioni di lavoro, a metodi di sorveglianza o a situazioni alloggiative degradanti.
La modifica in esame sopprime le parole “di particolare sfruttamento”, lasciando solo il riferimento alle citate condizioni di cui al già richiamato terzo comma dell’articolo 603-bis del codice penale.
Il comma 2 dell’articolo 5 prevede, infine, che il permesso di soggiorno rilasciato ai sensi del nuovo articolo 18-ter del TUI sia altresì revocato nei casi di cui all’articolo 7, comma 1, del decreto-legge in esame.
Rinviando alla scheda di lettura relativa all’articolo 6 per approfondimenti in merito a tali misure, nonché a quella relativa all’articolo 7 per approfondimenti sui rispettivi casi di revoca, si anticipa sin da ora che quest’ultima disposizione prevede, al comma 1, che le misure di assistenza sono revocate al ricorrere di una o più delle seguenti ipotesi:
a) condanna per delitto non colposo, commesso successivamente all’ammissione del programma di assistenza elaborato dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali, procedente all’individuazione di un progetto personalizzato di formazione e avviamento al lavoro, anche mediante l’iscrizione dei soggetti aderenti alla piattaforma del sistema informativo per l’inclusione sociale e lavorativa;
b) sottoposizione a misura di prevenzione ai sensi del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione (decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159);
c) rinuncia espressa alle misure.
Si valuti l’opportunità di inserire la disciplina in materia di revoca del permesso di soggiorno per gli stranieri vittime di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro (con specifico riferimento alla revoca derivante dalla revoca delle misure di assistenza) all’interno del decreto legislativo n. 286/1998, ove è contenuta la disciplina del permesso di soggiorno appena richiamato.
Articoli 6 e 7
(Misure di assistenza per i lavoratori titolari di un permesso di soggiorno per casi speciali)
Gli articoli 6 e 7 riconoscono ai lavoratori titolari di un permesso di soggiorno per casi speciali, rilasciato al lavoratore straniero che contribuisce all’emersione dei casi di sfruttamento lavorativo, nonché ai suoi parenti e affini entro il secondo grado, la possibilità di essere ammessi a determinate misure di assistenza, finalizzate alla formazione e all’inserimento sociale e lavorativo.
La specificazione, l’attuazione e l’individuazione delle modalità esecutive di tali misure avvengono attraverso programmi individuali di assistenza - elaborati sulla base delle “Linee Guida nazionali in materia di identificazione, protezione e assistenza alle vittime di sfruttamento lavorativo in agricoltura” - recanti progetti personalizzati di formazione e avviamento al lavoro, anche mediante l’iscrizione al SIISL (Sistema informativo per l’inclusione sociale e lavorativa) dei soggetti aderenti a tale progetto.
Vengono altresì previsti i casi in cui tali misure non possono essere disposte o debbano essere revocate successivamente alla loro concessione.
Beneficiari e Programma di assistenza
L’ammissione del lavoratore alle suddette misure di assistenza può avvenire a seguito della comunicazione al Ministero del lavoro e delle politiche sociali dell’avvenuto rilascio del permesso di soggiorno per motivi speciali, introdotto dal provvedimento in esame in favore del lavoratore straniero che contribuisce all’emersione dei casi di sfruttamento lavorativo (articolo 6, comma 1).
Le misure di assistenza in oggetto non possono avere una durata superiore a quella del permesso di soggiorno per casi speciali e possono essere riconosciute anche in favore dei parenti ed affini entro il secondo grado del lavoratore titolare del medesimo permesso di soggiorno (articolo 6, commi 1 e 5).
Si precisa in questa sede che il successivo articolo 8, comma 2 (alla cui scheda di lettura si rimanda), dispone che le suddette misure di assistenza non si applicano in favore dei titolari del permesso di soggiorno per casi speciali, qualora agli stessi siano applicabili le misure per il reinserimento sociale e lavorativo e di sostegno economico previste dalla L. 6/2018 per i testimoni di giustizia.
La specificazione, l’attuazione e l’individuazione delle modalità esecutive delle misure di assistenza di cui trattasi - finalizzate alla formazione e all’inserimento sociale e lavorativo - avvengono tramite programmi individuali di assistenza, elaborati sulla base delle Linee Guida nazionali in materia di identificazione, protezione e assistenza alle vittime di sfruttamento lavorativo in agricoltura (di cui all’Accordo in sede di Conferenza unificata del 7 ottobre 2021), redatte nell'ambito del "Piano triennale di contrasto allo sfruttamento lavorativo in agricoltura e al caporalato (2020-2022) (articolo 6, comma 2, primo periodo).
Si ricorda che tale Piano prevede, tra le azioni prioritarie (azione n. 9), la pianificazione e attuazione di un sistema di servizi integrati (referral) per la protezione e prima assistenza delle vittime di sfruttamento lavorativo in agricoltura e il rafforzamento degli interventi per la loro reintegrazione socio-lavorativa, con un compito di coordinamento affidato al Ministero del lavoro e delle politiche sociali.
Alla luce del richiamo a tali linee guida e del fatto che le stesse affidano ai servizi sociali locali e regionali lo sviluppo di programmi personalizzati di assistenza individuale (PAI), definiti in base ai bisogni dei destinatari, si valuti l'opportunità di chiarire se la definizione dei programmi individuali di cui all’articolo 6, volti alla individuazione di apposite misure di assistenza, sia affidata ai medesimi servizi sociali o ad altri soggetti.
Il programma di assistenza contiene un progetto personalizzato di formazione e avviamento al lavoro, anche mediante l’iscrizione dei soggetti aderenti alla piattaforma SIISL[53], il nuovo Sistema informativo digitale, istituito presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali e realizzato dall’INPS, che consente l'attivazione di percorsi personalizzati per i beneficiari delle nuove misure di inclusione sociale e lavorativa quali l’Assegno di inclusione e il Supporto formazione e lavoro (articolo 6, comma 2, secondo periodo).
I destinatari delle misure di assistenza in oggetto possono beneficiare dell’assegno di inclusione – introdotto dal 1° gennaio 2024 quale misura nazionale di contrasto alla povertà attraverso percorsi di inserimento sociale, nonché di formazione, di lavoro e di politica attiva del lavoro – senza che sia necessario da parte loro il possesso dei requisiti di cittadinanza, di reddito e patrimoniali previsti dalla normativa generale (art. 2, c. 2, lettere a) e b) del D.L. 48/2023) per la fruizione del suddetto Assegno (articolo 6, comma 3).
Sul punto la Relazione tecnica allegata al provvedimento in esame precisa che l’accesso all’assegno di inclusione dei beneficiari del programma trova la sua relativa copertura nelle risorse specificamente destinate alla misura prevista dall’articolo 1 del decreto-legge n. 48/2023.
Mancata concessione e revoca delle misure di assistenza
Le misure di assistenza non possono essere disposte (articolo 6, comma 4):
§ in caso di condanna per delitti non colposi connessi a quello per cui si procede, ad esclusione del reato di ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato (di cui all’articolo 10-bis del D.Lgs. 286/1998);
§ se il lavoratore ha conseguito un profitto illecito a seguito di condotte connesse ai delitti sui quali rende le dichiarazioni;
§ in caso di sottoposizione a misura di prevenzione o procedimento in corso per l'applicazione della stessa, ai sensi del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione (di cui al D.Lgs. 159/2011), da cui si desumano la persistente attualità della sua pericolosità sociale e la ragionevole probabilità che possa commettere delitti di grave allarme sociale.
Le medesime misure di assistenza sono revocate quando, dopo la loro concessione, si verificano una o più delle seguenti circostanze (articolo 7, comma 1):
§ la condanna per un delitto non colposo;
§ la sottoposizione a misura di prevenzione ai sensi del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione (di cui al D.Lgs. 159/2011);
§ la rinuncia espressa alle misure. Si valuti l’opportunità di specificare le caratteristiche formali di tale rinuncia.
Le misure di assistenza possono essere revocate nel caso di rifiuto ingiustificato di adeguate offerte di lavoro (articolo 7, comma 2).
Si valuti l’opportunità di specificare in quali casi l’offerta di lavoro possa ritenersi adeguata e il rifiuto ingiustificato, anche alla luce del fatto che la normativa vigente (DM 10 aprile 2018, adottato ai sensi dell’art. 25 del D.Lgs. 150/2015) reca una definizione puntuale di offerta di lavoro congrua.
Oneri
Agli oneri derivanti dalla concessione delle misure di assistenza di cui trattasi, valutati in 180.000 euro per il 2024 e in 800.000 euro annui a decorrere dal 2025, si provvede a valere sul Fondo nazionale per le politiche migratorie (di cui all’articolo 45 del D.Lgs. 286/1998) che viene contestualmente incrementato di 180.000 euro per il 2024 mediante corrispondente riduzione dell’autorizzazione di spesa relativa all'attività di controllo sugli enti del Terzo settore (di cui all’art. 96 del D.Lgs. 117/2017) (articolo 6, comma 1, ultimo periodo, e comma 2, ultimo periodo).
Sul punto, la Relazione tecnica allegata al provvedimento chiarisce che l’intervento trova la sua copertura finanziaria nel Fondo nei limiti delle risorse disponibili sullo stesso a legislazione vigente per ciascuno degli anni 2025, 2026 e 2027, nonché a regime, per 800.000 euro annui.
Articolo 8
(Vigilanza, tutela e protezione)
L’articolo 8 prevede l’applicabilità delle misure di protezione e vigilanza, nonché delle misure in materia di protezione dei testimoni di giustizia, in presenza dei rispettivi presupposti, ai casi di cui all’articolo 18-ter del testo unico immigrazione (“permesso di soggiorno per gli stranieri vittime di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro”).
Il comma 1 prevede che si applichino le misure di protezione e vigilanza (decreto-legge 6 maggio 2002, n. 83, convertito dalla legge 2 luglio 2002, n. 133), ove ne ricorrano i presupposti, nelle ipotesi di cui all’articolo 18-ter del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (“testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero”)
L’articolo 18-ter, introdotto dall’articolo 5 del presente decreto, disciplina il “permesso di soggiorno per gli stranieri vittime di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro”. Si rinvia alla scheda di lettura di cui all’articolo 5 per approfondimenti.
Il decreto-legge 6 maggio 2002, n. 83 reca “disposizioni urgenti in materia di sicurezza personale ed ulteriori misure per assicurare la funzionalità degli uffici dell’Amministrazione dell’interno”. In particolare, il comma 1 dell’articolo 1 prevede che, nell’espletamento dei compiti e nell’esercizio delle funzioni di autorità nazionale di pubblica sicurezza, il Ministro dell’interno adotti i provvedimenti e impartisca le direttive per la tutela e la protezione delle alte personalità istituzionali nazionali ed estere.
I provvedimenti e le direttive possono essere disposti anche per le persone che, per le funzioni esercitate o che esercitano o per altri comprovati motivi, sono soggette a pericoli o minacce, potenziali o attuali, nella persona propria o dei propri familiari, di natura terroristica o correlati al crimine organizzato, al traffico di sostanze stupefacenti, di armi o parti di esse, anche nucleari, di materiale radioattivo e di aggressivi chimici e biologici o correlati ad attività di intelligence di soggetti od organizzazioni estere.
Il comma in esame estende quindi l’applicabilità dell’istituto appena richiamato alle ipotesi di cui all’articolo 18-ter, d.lgs. n. 286/1998 (“permesso di soggiorno per gli stranieri vittime di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro”).
La formulazione della disposizione fa riferimento alle “ipotesi” di cui all’articolo 18-ter, differentemente dal comma 2, che, come si avrà modo di precisare nel prosieguo, estende la disciplina in materia di protezione dei testimoni di giustizia ai “titolari del permesso di soggiorno” di cui al medesimo articolo 18-ter. I destinatari delle misure richiamate dai due commi sembrerebbero, quindi, non coincidere.
Al fine di evitare incertezze interpretative, si valuti l’opportunità di specificare l’ambito applicativo della disposizione di cui al comma 1.
Il comma 2 dell’art. 8 prevede l’applicazione ai titolari del permesso di soggiorno indicati nel nuovo art. 18-ter del D.Lgs. n. 286/1998 (come introdotto dall’art. 5 del decreto in esame, v. supra)[54] delle norme in materia di protezione dei testimoni di giustizia di cui alla L. n. 6 dell’11 gennaio 2018, qualora ne ricorrano i presupposti. In questi casi non si fa luogo all’applicazione delle misure di assistenza stabilite all’art. 6 del presente decreto-legge.
La L. n. 6 del 2018 reca la disciplina in materia di protezione dei testimoni di giustizia. Ai sensi dell’art. 2 della citata legge è testimone di giustizia colui che:
- rende, nell'ambito di un procedimento penale, dichiarazioni intrinsecamente attendibili e rilevanti per le indagini o per il giudizio;
- possiede la qualità di persona offesa dal reato oppure di persona informata sui fatti o di testimone nei confronti del fatto di reato oggetto delle sue dichiarazioni;
- non ha riportato condanne per delitti non colposi connessi a quelli per cui si procede e non ha rivolto a proprio profitto l'essere venuto in relazione con il contesto delittuoso su cui rende le dichiarazioni. A tal proposito, non rilevano, per la configurazione della qualità di testimone di giustizia, le condotte poste in forza dello stato di soggezione verso i singoli o le associazioni criminali oggetto delle dichiarazioni. Peraltro, a tal fine, non rilevano neanche i rapporti di parentela, affinità o coniugio con imputati o indagati per il delitto per cui si procede o per delitti connessi;
- non è o non è stato sottoposto a misura di prevenzione ovvero a procedimento per l’applicazione della stessa, da cui si desumano la persistente attualità della sua pericolosità sociale e la ragionevole probabilità che possa commettere delitti di grave allarme sociale;
- si trova in una situazione di pericolo grave, concreto e attuale, rispetto alla quale risulti l'assoluta inadeguatezza delle ordinarie misure di tutela adottabili direttamente dalle autorità di pubblica sicurezza, tenendo conto di ogni elemento utile relativo al contesto (rilevanza delle sue dichiarazioni, tipologia del reato per il quale si procede, stato e grado del procedimento, etc.).
Il testimone di giustizia è destinatario di speciali misure di protezione che possono consistere in misure di tutela, di sostegno economico, di reinserimento sociale e lavorativo. La scelta delle tutele applicabili nel singolo caso concreto è compiuta tenendo conto della situazione di pericolo e della condizione personale, familiare, sociale ed economica dei testimoni di giustizia, salvaguardando i diritti goduti dal beneficiario (di cui non è ammessa la limitazione se non al ricorrere di casi eccezionali e temporanei) ed assicurando al testimone un’esistenza dignitosa. L’organo competente a decidere in materia delle misure di protezione de quibus, è la Commissione centrale per la definizione e applicazione delle speciali misure di protezione.
Articolo 9
(Patrocinio a spese dello Stato)
L’articolo 9 prevede che il lavoratore straniero vittima del reato di intermediazione illecita e sfruttamento di cui all’articolo 603-bis del codice penale, che contribuisce utilmente alla emersione del reato e all’individuazione dei responsabili, è ammesso al patrocinio a spese dello Stato, anche in deroga ai limiti reddituali previsti come condizione per l’ammissione al predetto beneficio.
Più nel dettaglio, l’articolo 9 modifica il comma 4-ter dell’articolo 76 del Testo unico in materia di spese di giustizia (d.P.R. n. 115 del 2022).
Ai sensi dell’articolo 76, comma 4-ter del TU spese di giustizia, possono essere ammessi al gratuito patrocinio, senza limiti reddituali: la persona offesa dal reato di maltrattamenti in famiglia (art. 572 c.p.), da pratiche di mutilazione degli organi genitali femminili (583-bis), violenza sessuale, anche in danno di minori (609-bis, 609-quater, 609-octies), atti persecutori (612-bis). Inoltre, possono accedere all’istituto, se minorenni, le vittime dei reati di riduzione in schiavitù (art. 600), prostituzione minorile (art. 600-bis), pornografia minorile (art. 600-ter), iniziative turistiche volte allo sfruttamento della prostituzione minorile (600-quinquies), tratta di persone e acquisto di schiavi (artt. 601 e 602), e corruzione di minorenne (609-quinquies), adescamento di minorenni (609-undecies).
Occorre in proposito rammentare che la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 1 del 2021, ha dichiarato “non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 76, comma 4-ter, del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia (Testo A)», nella parte in cui determina l’automatica ammissione al patrocinio a spese dello Stato della persona offesa dai reati indicati nella norma medesima”.
Pertanto deve affermarsi il principio secondo cui, una volta ammesso al beneficio del patrocinio dello Stato per i non abbienti, il soggetto rientrante in una delle categorie previste dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 76, comma 4–ter non è tenuto ad adempiere all’obbligo di cui all’art. 79, comma 1, lett. d), dello stesso D.P.R. n. 115 del 2002, atteso che il soggetto è dispensato ab origine dall’allegazione della certificazione di cui all’art. 79, comma 1, lett. c) del D.P.R. n. 115 del 2002, cosicché, venuto meno tale automatismo, va parimenti escluso l’obbligo di comunicazione in capo al soggetto già ammesso (si veda a riguardo Cassazione penale, sez. IV, sentenza 15 aprile 2020, n. 12191).
La disposizione in commento aggiunge un ulteriore periodo all’articolo 76, comma 4-ter, in base al quale il lavoratore straniero, persona offesa del delitto di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro (art.603-bis c.p.), che contribuisce utilmente all’emersione del reato e all’individuazione dei responsabili, è ammesso al patrocinio senza limiti di reddito, alle medesime condizioni previste dal primo periodo dello stesso articolo 76, comma 4-ter.
Occorre rilevare la differente formulazione tra il primo e il nuovo periodo del comma 4-ter: al fine di evitare il reiterarsi di possibili dubbi interpretativi, sorti con riguardo al primo periodo (vedi infra), si prevede che la persona offesa dal reato di cui all’articolo 603-bis c.p. “è ammesso” al patrocinio senza limiti di reddito.
Con riguardo al primo periodo infatti era sorto un ampio dibattito giurisprudenziale: un primo orientamento negava ogni tipo di automatismo ai fini dell’ammissione al patrocinio per le persone offese dai gravi reati di cui al comma 4-ter dell’articolo 76; diversamente un secondo orientamento (avallato dalle SU della Cassazione, sentenza n. 52822 del 2018) riteneva tale ammissione possibile ex lege, a prescindere dal rispetto di ogni limite reddituale.
Articolo 10
(Modifica della sanzione massima per la violazione delle disposizioni in materia di somministrazione di lavoro e di mercato del lavoro)
L’articolo 10, modificando l’articolo 18, comma 5-quinquies, del decreto legislativo n. 267 del 2003, innalza del 20 per cento - portandolo da euro 50 mila a euro 60 mila - l’importo massimo delle pene pecuniarie proporzionali previste per le violazioni delle disposizioni in materia di somministrazione di lavoro e di mercato del lavoro, di cui al medesimo articolo 18 del richiamato decreto legislativo.
L’articolo 10, apportando una modifica all’articolo 18, comma 5-quinquies, del decreto legislativo n. 267 del 2003, innalza da euro 50 mila ad euro 60 mila, la sanzione massima prevista per le violazioni delle disposizioni di cui al predetto articolo 18 del decreto legislativo n. 267 del 2003 - in materia di somministrazione di lavoro e di mercato del lavoro - con riferimento alle pene pecuniarie proporzionali ivi previste.
La volontà del legislatore, così come indicato nella relazione illustrativa del provvedimento, è quella di uniformarsi agli aumenti già intervenuti sugli importi delle sanzioni proporzionali previste dal medesimo articolo 18, alla luce delle modifiche apportate dal decreto-legge 2 marzo 2024, n. 19, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 aprile 2024, n. 56.
Si ricorda, in proposito, che l’articolo 29, comma 4, del decreto-legge 2 marzo 2024, n. 19, novellando l’art. 18 del D.Lgs. 276/2003 (ai commi 1, 2, 5-bis e aggiungendo, dopo lo stesso 5-bis, 4 ulteriori commi), ha ripristinato il rilievo penale delle fattispecie sanzionate dal medesimo articolo 18 del D.Lgs n. 276/2003, precedentemente depenalizzate dall’art.1 del D.Lgs n.8/2016, introducendo la pena dell’arresto o dell’ammenda e modificando il quadro sanzionatorio in caso di violazioni in materia di somministrazione di lavoro e di mercato del lavoro.
In particolare, tale articolo 29 ha previsto:
- al comma 4, lett. a), per l’esercizio non autorizzato dell’attività di somministrazione di lavoro, di intermediazione e di ricerca e selezione del personale: 1) la pena dell’arresto fino a un mese o dell’ammenda di 60 euro per ogni lavoratore occupato e per ogni giornata di lavoro, in caso di esercizio abusivo dell’attività di somministrazione di lavoro (in luogo della sola ammenda di 50 euro per ogni lavoratore occupato e per ogni giornata di lavoro); 2) l’arresto fino a due mesi o l’ammenda da 600 a 3000 euro per l’ipotesi in cui il somministratore non autorizzato agisca senza scopo di lucro (in luogo della solo ammenda da 500 a 2500 euro); 3) la pena dell’arresto fino a tre mesi o dell’ammenda da 900 a 4500 euro in caso di esercizio abusivo dell’attività di intermediazione, ricerca e selezione del personale (in luogo della sola pena dell'ammenda di 50 euro per ogni lavoratore occupato e per ogni giornata di lavoro); 4) la pena dell’arresto fino a quarantacinque giorni e dell’ammenda da 300 a 1.500 euro, nelle ipotesi di esercizio non autorizzato delle attività di intermediazione, ricerca e selezione del personale svolte senza scopo di lucro (in luogo dell’ammenda da euro 250 a euro 1250);
- al comma 4, lett. b), per l’utilizzatore di personale somministrato da soggetti non autorizzati la pena dell’arresto fino ad un mese o dell’ammenda di 60 euro per ogni lavoratore occupato e per ogni giornata di occupazione (in luogo della sola ammenda di 50 euro per ogni lavoratore occupato e per ogni giornata di occupazione);
-al comma 4, lett.c), nelle ipotesi di appalto o distacco fittizi, la pena dell’arresto fino ad un mese o dell’ammenda di 60 euro per ogni lavoratore occupato e per ogni giornata di occupazione (in luogo dell’attuale pena dell’ammenda di 50 euro per ogni lavoratore occupato e per ogni giornata di occupazione);
- al comma 4, lett. d), capoverso 5-ter, in caso di somministrazione fraudolenta, la pena dell’arresto fino a tre mesi o dell’ammenda di 100 euro per ciascun lavoratore coinvolto e per ciascun giorno di somministrazione (in luogo della sola ammenda di 100 euro per ciascun lavoratore coinvolto e per ciascun giorno di somministrazione, che era previsto dall’art. 38-bis del D.Lgs. 81/2015, conseguentemente abrogato).
Tale articolo 29, al comma 4, lett.d), capoverso 5-quater, ha poi previsto che l’importo delle sanzioni previste dal nuovo articolo 18 del D.Lgs. 276/2003 così novellato è incrementato del venti per cento se, nei tre anni precedenti, il datore di lavoro è stato destinatario di sanzioni penali per i medesimi illeciti[55].
Inoltre, al comma 4, lett. d), capoverso 5-quinquies, ha previsto che l’importo delle suddette pene pecuniarie proporzionali previste dall’articolo 18 del D.Lgs n. 276/2003 , senza la determinazione dei limiti minimi o massimi, non può, in ogni caso, essere inferiore a euro 5.000 né superiore a euro 50.000.
L’articolo in esame, dunque, modificando il testé richiamato comma 5-quinquies dell’articolo 18 del D.Lgs n. 276/2003 (introdotto, come sopra evidenziato, dal D.L. 2 marzo 2024, n.19), prevede che l’importo delle suddette pene pecuniarie proporzionali recate da tale articolo 18, anche senza la determinazione dei limiti minimi o massimi, non possa, in ogni caso, essere superiore a euro 60.000 (oltre a non poter essere inferiore a euro 5 mila, come già previsto e non modificato dalla norma in discussione).
Si ricorda, peraltro che il richiamato articolo 29, al comma 4, lett. d) capoverso 5-sexies, ha previsto infine che il 20 per cento dell’importo delle somme (incrementate dalla presente novella dell’art. 18 del D.Lgs. 276/2003) versate in sede amministrativa ai fini della estinzione degli illeciti vengano destinate all'incremento del Fondo risorse decentrate dell'Ispettorato nazionale del lavoro per la valorizzazione del personale del medesimo Ispettorato, fermo restando che le risorse che affluiscono a tale Fondo non possono superare il limite di euro 15 milioni annui (ex art. 1, c. 445, lett. g), della L. 145/2018).
Articolo 11, comma 1, lettere a)-c)
(Disposizioni in materia di limitazione o divieto di transito e sosta delle navi nel mare territoriale)
L’articolo 11, comma 1, lett. a), b), b-bis) e c), modificato nel corso dell’esame in sede referente, interviene sulla disciplina relativa al potere, attribuito al Ministro dell’interno, di limitare o vietare il transito e la sosta delle navi mercantili nel mare territoriale quando ricorrano motivi di ordine e sicurezza pubblica, nonché su quella riguardante le conseguenze derivanti dalla violazione dei pertinenti provvedimenti, prevedendo, tra l’altro, che avverso il provvedimento di fermo emanato dal prefetto è ammessa opposizione all’autorità giudiziaria ordinaria.
A seguito delle modifiche approvate in sede referente, la disposizione regola anche il caso di violazione, da parte del comandante della nave, dell’obbligo di dare le informazioni richieste alle competenti autorità o di uniformarsi alle loro indicazioni, provvedendo altresì a definire in modo più puntuale la disciplina della reiterazione degli illeciti commessi in violazione degli obblighi in questione.
A tal fine sono apportate alcune modifiche all’articolo 1, commi 2-bis e seguenti, del D.L. 130/2020, come modificati dal D.L. 1/2023.
L’articolo 1, comma 2, del D.L. 130/2020 stabilisce che, fermo restando quanto previsto dall'articolo 83 del codice della navigazione, per motivi di ordine e sicurezza pubblica, in conformità alle previsioni della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, il Ministro dell'interno, di concerto con il Ministro della difesa e con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, previa informazione al Presidente del Consiglio dei ministri, può limitare o vietare il transito e la sosta di navi nel mare territoriale, salvo che si tratti di naviglio militare o di navi in servizio governativo non commerciale.
Il successivo comma 2-bis esclude che il provvedimento di interdizione al transito o alla sosta possa essere adottato in caso di operazioni di soccorso.
Di queste operazioni deve essere data immediata comunicazione al centro di coordinamento competente per il soccorso marittimo e allo Stato di bandiera e devono essere effettuate nel rispetto delle indicazioni delle predette autorità.
Ai fini dell’applicazione del comma 2-bis devono ricorrere congiuntamente una serie di condizioni che il medesimo comma provvede ad elencare e che l’intervento normativo in commento modifica, nella misura in cui interviene sulla condizione di cui alla lettera f).
In particolare, alla lettera a), l’articolo 11, comma 1, del decreto-legge in esame prevede che non possa essere limitato o vietato il transito e la sosta di navi nel mare territoriale qualora le modalità di ricerca e soccorso in mare da parte della nave non abbiano concorso a creare situazioni di pericolo per l’incolumità dei migranti né impedito di raggiungere tempestivamente il porto di sbarco. Nella formulazione previgente si faceva riferimento più genericamente a situazioni di pericolo “a bordo”.
Il comma 2-ter garantisce comunque il transito e la sosta di navi nel mare territoriale ai soli fini di assicurare il soccorso e l'assistenza a terra delle persone prese a bordo, a tutela della loro incolumità, pur facendo salva, in caso di violazione del provvedimento adottato ai sensi del comma 2, l'applicazione delle sanzioni di cui ai successivi commi 2-quater e 2-quinquies.
La lettera b), modificata nel corso dell’esame in sede referente, interviene sull’articolo 1, comma 2-quater, del D.L. 130/2020.
Nella formulazione previgente, l’articolo 1, comma 2-quater, stabiliva che, nei casi di violazione del provvedimento che dispone la limitazione o il divieto di transito e di sosta di navi nel mare territoriale, salve le sanzioni penali quando il fatto costituisce reato, al comandante della nave si applicasse la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 10.000 a euro 50.000. La responsabilità solidale si intendeva estesa all'armatore e al proprietario della nave.
Si prevedeva, poi, che alla contestazione della violazione conseguisse l'applicazione della sanzione amministrativa accessoria del fermo amministrativo per due mesi della nave utilizzata per commettere la violazione. All'organo accertatore, chiamato ad applicare la sanzione del fermo amministrativo, spettava la nomina dell'armatore (o, in sua assenza, del comandante o di altro soggetto obbligato in solido) come custode, a sua volta chiamato a far cessare la navigazione e provvedere alla custodia della nave a proprie spese.
Avverso il provvedimento di fermo amministrativo della nave, adottato dall'organo accertatore, era ammesso ricorso, entro sessanta giorni dalla notificazione del verbale di contestazione, al Prefetto, che avrebbe dovuto provvedere nei successivi venti giorni.
Si prevedeva, infine, che al fermo amministrativo disciplinato dal medesimo comma si applicassero, in quanto compatibili, le disposizioni di cui all'articolo 214 del codice della strada (D.lgs. 285/1992).
Nella formulazione vigente – conseguente all’entrata in vigore delle modifiche recate dal decreto-legge in esame –, l’articolo 1, comma 2-quater, stabilisce che, nei casi di violazione del provvedimento che dispone la limitazione o il divieto di transito e di sosta di navi nel mare territoriale, salve le sanzioni penali quando il fatto costituisce reato, si applica al comandante della nave la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 10.000 a euro 50.000, con estensione della responsabilità solidale all'armatore e al proprietario della nave.
Si prevede, poi, che alla contestazione della violazione consegua l'applicazione, per due mesi, del fermo amministrativo della nave utilizzata per commettere la violazione. L'organo accertatore, che applica la sanzione del fermo amministrativo, nomina custode l'armatore o, in sua assenza, il comandante o altro soggetto obbligato in solido, che fa cessare la navigazione e provvede alla custodia della nave a proprie spese.
Contro il provvedimento di fermo amministrativo della nave è ammesso ricorso, entro dieci giorni dalla notificazione del verbale di contestazione, al Prefetto, che provvede nei successivi cinque giorni.
Al prefetto è attribuito, altresì, il potere di sospendere l’efficacia esecutiva del fermo amministrativo impugnato, quando ricorrano gravi e circostanziate ragioni.
In sede referente, tale formulazione è stata sostituita da una nuova lettera b) dell’articolo 11, comma 1, del decreto-legge in esame, che interviene sul richiamato comma 2-quater sotto altri profili.
Anzitutto, viene rimodulata la durata del fermo amministrativo della nave, attualmente stabilita in misura fissa di due mesi, prevedendo che possa essere determinata a partire da un minimo di trenta fino a un massimo di sessanta giorni.
L’autorità competente a emanare l’ordinanza di fermo, nonché quella di applicazione della sanzione amministrativa eventualmente irrogata al comandate della nave, è individuata nel prefetto. A tal fine l’organo accertatore, che è chiamato a contestare la violazione al destinatario mediante notifica, trasmette gli atti alla prefettura competente senza ritardo e, comunque, entro cinque giorni, per la decisione sulla sanzione amministrativa e sul fermo della nave.
Il prefetto si pronuncia, attraverso l’emanazione di un’ordinanza, nei cinque giorni successivi e, se dispone il fermo, deve indicarne la durata, decorrente dalla data della notifica della contestazione. Egli è tenuto, altresì, a nominare custode della nave l’armatore o, in sua assenza, il comandante o altro soggetto obbligato in solido, che provvedono alla custodia della nave a proprie spese.
Nella determinazione della durata del fermo, il prefetto deve tener conto della gravità della violazione e dell’opera svolta dall’agente per l’eliminazione o attenuazione delle relative conseguenze.
Nelle more dell’adozione dell’ordinanza prefettizia, alla nave è interdetta la navigazione.
Qualora il prefetto non adotti il provvedimento sanzionatorio, ovvero a fronte del mancato rispetto dei termini previsti dalla disposizione e sopra richiamati, l’avente diritto può chiedere al prefetto medesimo la restituzione della nave.
Un’ulteriore modifica al comma 2-quater riguarda l’opposizione al provvedimento di fermo.
Come già ricordato, secondo la sua attuale formulazione, l’art. 1, comma 2-quater, del D.L. 130/2020 dispone che, avverso il provvedimento di fermo amministrativo della nave, è ammesso ricorso – entro dieci giorni dalla notificazione del verbale di contestazione – al prefetto, che provvede nei successivi cinque giorni. Inoltre, stabilisce che il prefetto, competente ai sensi della legge 24 novembre 1981, n. 689, può sospendere l'efficacia esecutiva del fermo amministrativo impugnato, quando ricorrono gravi e circostanziate ragioni.
La modifica introdotta in sede referente dispone, invece, che avverso i provvedimenti del prefetto (tra i quali figura, appunto, anche quello di fermo) è ammessa opposizione all’autorità giudiziaria ordinaria, ai sensi dell’articolo 6 del decreto legislativo n. 150 del 2011 (Disposizioni complementari al codice di procedura civile in materia di riduzione e semplificazione dei procedimenti civili di cognizione, ai sensi dell'articolo 54 della legge 18 giugno 2009, n. 69).
Il citato art. 6 disciplina il procedimento per l’opposizione ad un’ordinanza-ingiunzione, rinviando al rito del lavoro per quanto non direttamente regolato dall’articolo medesimo. Ai sensi dell’art. 6 l’opposizione si propone davanti al giudice del luogo in cui è stata commessa la violazione; la competenza è affidata al giudice di pace, fatta eccezione per tutta una serie di violazioni per le quali è competente il tribunale (tra le quali quelle in materia di tutela del lavoro e prevenzione degli infortuni sul lavoro, previdenza e assistenza obbligatoria, tutela dell'ambiente, igiene degli alimenti e delle bevande, antiriciclaggio, se per la violazione è prevista una sanzione pecuniaria superiore nel massimo a 15.493 euro o è stata applicata una sanzione superiore a 15.493 euro, quando è stata applicata una sanzione di natura diversa da quella pecuniaria, sola o congiunta).
Il ricorso è proposto, a pena di inammissibilità, entro trenta giorni dalla notificazione del provvedimento, ovvero entro sessanta giorni se il ricorrente risiede all'estero. L'efficacia esecutiva del provvedimento impugnato può essere sospesa. Nel giudizio di primo grado l'opponente e l'autorità che ha emesso l'ordinanza possono stare in giudizio personalmente. Il giudice accoglie l'opposizione quando non vi sono prove sufficienti della responsabilità dell'opponente. Con la sentenza che accoglie l'opposizione il giudice può annullare in tutto o in parte l'ordinanza o modificarla anche limitatamente all'entità della sanzione dovuta, che è determinata in una misura in ogni caso non inferiore al minimo edittale.
Nel corso dell’esame in sede referente, l’articolo 1 del DL 130/2020 è stato ulteriormente modificato.
In particolare, attraverso la nuova lettera b-bis), l’articolo in esame ne modifica il comma 2-sexies.
Tale disposizione attualmente stabilisce che, fuori dei casi in cui è stato adottato il provvedimento di limitazione o divieto di cui al comma 2, quando il comandante della nave o l'armatore non fornisce le informazioni richieste dalle autorità competenti o non si uniforma alle loro indicazioni, si applica la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 2.000 a euro 10.000. Alla contestazione della violazione consegue l'applicazione della sanzione amministrativa accessoria del fermo amministrativo per venti giorni della nave utilizzata per commettere la violazione.
L’intervento in esame va, anzitutto, a modificare la durata del fermo amministrativo della nave applicato qualora il comandante della nave o l'armatore non forniscano le informazioni richieste dalle autorità competenti o non si uniformino alle loro indicazioni, stabilendo che venga disposto per un minimo di dieci fino a un massimo di venti giorni (anziché “per venti giorni”, come attualmente previsto).
Inoltre, attraverso la sostituzione del terzo e del quarto periodo del comma 2-sexies, l’intervento in commento va a stabilire che, in caso di reiterazione della violazione, la sanzione amministrativa accessoria del fermo amministrativo va da trenta a sessanta giorni (anziché di due mesi, come oggi previsto) e si applica il comma 2-quater, ad eccezione del primo e terzo periodo (v. supra).
In caso di ulteriore reiterazione della violazione, si applica quanto previsto dal comma 2-quinquies[56].
Andando, infine, a chiarire cosa si intende per reiterazione della violazione dell’obbligo, da parte del comandante della nave o dell’armatore, di fornire le informazioni richieste dall’autorità competente, la disposizione in esame prevede questa si abbia nel caso di una nuova violazione, commessa con l’utilizzo della medesima nave e contestata anche solo a uno degli autori o degli obbligati in solido nei cui confronti, nel quinquennio precedente, è stata accertata, con provvedimento esecutivo, una precedente violazione dell’obbligo di fornire informazioni, salvo che l’autore (o l’obbligato in solido) provi che la condotta illecita è avvenuta contro la sua volontà, manifestata attraverso comportamenti idonei, specificamente volti a impedirne il compimento.
Infine, la lettera c) introduce una disposizione correttiva meramente formale, con riferimento al comma che attribuisce al prefetto territorialmente competente per il luogo di accertamento della violazione il potere di irrogare le sanzioni di cui ai commi 2-quater, primo periodo, 2-quinquies e 2-sexies, primo e quarto periodo, accertate dagli organi addetti al controllo (art. 1, comma 2-septies, D.L. 130/2020).
Per le modifiche introdotte si veda il testo a fronte che segue.
D.L. 130/2020, Disposizioni urgenti in materia di immigrazione, |
|
Testo previgente |
Modificazioni apportate dall’art. 11 del D.L. 145/2024, come modificato nel corso del procedimento di conversione in sede referente |
Art. 1 |
Art. 1 |
Commi 1 e 2. Omissis |
Identici. |
2-bis. Le disposizioni del comma 2 non si applicano nelle ipotesi di operazioni di soccorso immediatamente comunicate al centro di coordinamento competente per il soccorso marittimo nella cui area di responsabilità si svolge l'evento e allo Stato di bandiera ed effettuate nel rispetto delle indicazioni delle predette autorità, emesse sulla base degli obblighi derivanti dalle convenzioni internazionali in materia di diritto del mare, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali e delle norme nazionali, internazionali ed europee in materia di diritto di asilo, fermo restando quanto previsto dal Protocollo addizionale della Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità transnazionale organizzata per combattere il traffico illecito di migranti via terra, via mare e via aria, reso esecutivo dalla legge 16 marzo 2006, n. 146. Ai fini del presente comma devono ricorrere congiuntamente le seguenti condizioni: |
Identico. |
a) la nave che effettua in via sistematica attività di ricerca e soccorso in mare opera in conformità alle certificazioni e ai documenti rilasciati dalle competenti autorità dello Stato di bandiera ed è mantenuta conforme agli stessi ai fini della sicurezza della navigazione, della prevenzione dell'inquinamento, della certificazione e dell'addestramento del personale marittimo nonché delle condizioni di vita e di lavoro a bordo; |
Identica. |
b) sono state avviate tempestivamente iniziative volte a informare le persone prese a bordo della possibilità di richiedere la protezione internazionale e, in caso di interesse, a raccogliere i dati rilevanti da mettere a disposizione delle autorità; |
Identica. |
c) è stata richiesta, nell'immediatezza dell'evento, l'assegnazione del porto di sbarco; |
Identica. |
d) il porto di sbarco assegnato dalle competenti autorità è raggiunto senza ritardo per il completamento dell'intervento di soccorso; |
Identica. |
e) sono fornite alle autorità per la ricerca e il soccorso in mare italiane, ovvero, nel caso di assegnazione del porto di sbarco, alle autorità di pubblica sicurezza, le informazioni richieste ai fini dell'acquisizione di elementi relativi alla ricostruzione dettagliata dell'operazione di soccorso posta in essere; |
Identica. |
f) le modalità di ricerca e soccorso in mare da parte della nave non hanno concorso a creare situazioni di pericolo a bordo né impedito di raggiungere tempestivamente il porto di sbarco. |
f) le modalità di ricerca e soccorso in mare da parte della nave non hanno concorso a creare situazioni di pericolo per l’incolumità dei migranti né impedito di raggiungere tempestivamente il porto di sbarco. |
2-ter Omissis |
Identico. |
2-quater. Nei casi di violazione del provvedimento adottato ai sensi del comma 2, salve le sanzioni penali quando il fatto costituisce reato, si applica al comandante della nave la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 10.000 a euro 50.000. La responsabilità solidale di cui all'articolo 6 della legge 24 novembre 1981, n. 689, si estende all'armatore e al proprietario della nave. Alla contestazione della violazione consegue l'applicazione della sanzione amministrativa accessoria del fermo amministrativo per due mesi della nave utilizzata per commettere la violazione. L'organo accertatore, che applica la sanzione del fermo amministrativo, nomina custode l'armatore o, in sua assenza, il comandante o altro soggetto obbligato in solido, che fa cessare la navigazione e provvede alla custodia della nave a proprie spese. Avverso il provvedimento di fermo amministrativo della nave, adottato dall'organo accertatore, è ammesso ricorso, entro sessanta giorni dalla notificazione del verbale di contestazione, al Prefetto che provvede nei successivi venti giorni. Al fermo amministrativo di cui al presente comma si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni di cui all'articolo 214 del codice della strada, di cui al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285. |
2-quater. Nei casi di violazione del provvedimento adottato ai sensi del comma 2, salve le sanzioni penali quando il fatto costituisce reato, si applica al comandante della nave la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 10.000 a euro 50.000. La responsabilità solidale di cui all'articolo 6 della legge 24 novembre 1981, n. 689, si estende all’armatore e al proprietario della nave. Alla contestazione della violazione consegue l'applicazione della sanzione amministrativa accessoria del fermo amministrativo da trenta a sessanta giorni della nave utilizzata per commettere la violazione. L’organo accertatore contesta la violazione mediante notifica al destinatario e, senza ritardo e comunque entro cinque giorni, trasmette gli atti alla prefettura competente rispetto al luogo di accertamento della violazione, per la decisione sulla sanzione amministrativa di cui al primo periodo e sul fermo della nave. Il prefetto, nei cinque giorni successivi, emana l’ordinanza e, se dispone il fermo, ne indica la durata decorrente dalla data della notifica della contestazione e nomina custode l’armatore o, in sua assenza, il comandante o altro soggetto obbligato in solido, che provvede alla custodia della nave a proprie spese. Nella determinazione della durata del fermo si ha riguardo alla gravità della violazione e all’opera svolta dall’agente per l’eliminazione o attenuazione delle conseguenze della violazione. Nelle more dell’adozione dell’ordinanza del prefetto, alla nave è interdetta la navigazione. L’avente diritto può chiedere al prefetto la restituzione della nave quando non sono rispettati i termini previsti dal quarto e dal quinto periodo o quando il prefetto non adotta il provvedimento sanzionatorio. Avverso i provvedimenti del prefetto è ammessa opposizione all’autorità giudiziaria ordinaria ai sensi dell’articolo 6 del decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150. |
2-quinquies. Omissis |
Identico. |
2-sexies. Fuori dei casi in cui è stato adottato il provvedimento di limitazione o divieto di cui al comma 2, quando il comandante della nave o l'armatore non fornisce le informazioni richieste dalla competente autorità nazionale per la ricerca e il soccorso in mare nonché dalla struttura nazionale preposta al coordinamento delle attività di polizia di frontiera e di contrasto dell'immigrazione clandestina o non si uniforma alle loro indicazioni, si applica la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 2.000 a euro 10.000. Alla contestazione della violazione consegue l'applicazione della sanzione amministrativa accessoria del fermo amministrativo per venti giorni della nave utilizzata per commettere la violazione. In caso di reiterazione della violazione, la sanzione amministrativa accessoria del fermo amministrativo è di due mesi e si applica il comma 2-quater, secondo, quarto, quinto e sesto periodo. In caso di ulteriore reiterazione della violazione, si applica quanto previsto dal comma 2-quinquies. Le sanzioni di cui al presente comma si applicano anche in caso di mancanza di una delle condizioni di cui al comma 2-bis accertata successivamente all'assegnazione del porto di sbarco.
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2-sexies. Fuori dei casi in cui è stato adottato il provvedimento di limitazione o divieto di cui al comma 2, quando il comandante della nave o l'armatore non fornisce le informazioni richieste dalla competente autorità nazionale per la ricerca e il soccorso in mare nonché dalla struttura nazionale preposta al coordinamento delle attività di polizia di frontiera e di contrasto dell'immigrazione clandestina o non si uniforma alle loro indicazioni, si applica la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 2.000 a euro 10.000. Alla contestazione della violazione consegue l'applicazione della sanzione amministrativa accessoria del fermo amministrativo da dieci a venti giorni della nave utilizzata per commettere la violazione. In caso di reiterazione della violazione, la sanzione amministrativa accessoria del fermo amministrativo è da trenta a sessanta giorni. Si applica il comma 2-quater ad eccezione del primo e terzo periodo. In caso di ulteriore reiterazione della violazione, si applica quanto previsto dal comma 2-quinquies. Si ha reiterazione nel caso di nuova violazione commessa con l’utilizzo della medesima nave, contestata anche solo a uno degli autori o obbligati in solido nei cui confronti, nel quinquennio precedente, è stata accertata, con provvedimento esecutivo, una precedente violazione delle disposizioni del presente comma, salvo che tale autore o obbligato in solido provi che la condotta illecita è avvenuta contro la sua volontà, manifestata attraverso comportamenti idonei, specificamente volti a impedirne il compimento. Le sanzioni di cui al presente comma si applicano anche in caso di mancanza di una delle condizioni di cui al comma 2-bis accertata successivamente all'assegnazione del porto di sbarco.
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2-septies. All'irrogazione delle sanzioni di cui ai commi 2-quater, primo periodo, 2-quinquies e 2-sexies, primo e quinto periodo, accertate dagli organi addetti al controllo, provvede il prefetto territorialmente competente per il luogo di accertamento della violazione. Si osservano, in quanto compatibili, le disposizioni di cui alla legge 24 novembre 1981, n. 689. I proventi derivanti dalle sanzioni amministrative pecuniarie sono versati ad apposito capitolo dell'entrata del bilancio dello Stato per essere riassegnati, con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, al fondo di cui all'articolo 1, comma 795, della legge 30 dicembre 2020, n. 178, e destinati annualmente, a decorrere dall'anno 2023, all'erogazione dei contributi ivi previsti, con i criteri e le modalità stabiliti ai sensi dell'articolo 1, comma 796, della medesima legge n. 178 del 2020. |
2-septies. All'irrogazione delle sanzioni di cui ai commi 2-quater, primo periodo, 2-quinquies e 2-sexies, primo e quarto periodo, accertate dagli organi addetti al controllo, provvede il prefetto territorialmente competente per il luogo di accertamento della violazione. Si osservano, in quanto compatibili, le disposizioni di cui alla legge 24 novembre 1981, n. 689. I proventi derivanti dalle sanzioni amministrative pecuniarie sono versati ad apposito capitolo dell'entrata del bilancio dello Stato per essere riassegnati, con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, al fondo di cui all'articolo 1, comma 795, della legge 30 dicembre 2020, n. 178, e destinati annualmente, a decorrere dall'anno 2023, all'erogazione dei contributi ivi previsti, con i criteri e le modalità stabiliti ai sensi dell'articolo 1, comma 796, della medesima legge n. 178 del 2020. |
Articolo 11, comma 1, lettera d)
(Aeromobili privati che effettuano attività connesse al soccorso)
L’articolo 11, comma 1, lettera d) novella la disciplina in materia di controlli di frontiera, al fine di includere le attività di ricerca e soccorso in mare effettuate in modo non occasionale da parte di aeromobili privati. In particolare, dispone l’obbligo per gli aeromobili privati, anche a pilotaggio remoto, che, partendo o atterrando nel territorio italiano, effettuano attività non occasionale di ricerca per il soccorso marittimo, di informare di ogni situazione di emergenza in mare: l’Ente dei servizi del traffico aereo competente; il Centro nazionale di coordinamento del soccorso marittimo responsabile per l’area in cui si svolge l’evento; i Centri di coordinamento del soccorso marittimo degli Stati costieri responsabili delle aree contigue.
Si specifica, inoltre, che il pilota deve attenersi alle indicazioni del Centro di coordinamento del soccorso marittimo responsabile.
Infine, si identificano le sanzioni amministrative da applicarsi in caso di violazione di tali obblighi e si individua l’Ente nazionale per l’aviazione civile (ENAC) come autorità competente a irrogarle.
L’articolo 11, comma 1, lettera d) modifica l’articolo 1 del decreto-legge n. 130 del 2020, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 173 del 2020, c.d. decreto immigrazione, aggiungendo una serie di commi (da 2-octies a 2-sexiesdecies) per disciplinare le attività di soccorso non occasionale da parte di aeromobili privati.
Come riportato anche nella relazione illustrativa, la nuova disciplina sulle attività degli aeromobili privati che collaborano per le attività di ricerca e soccorso dei migranti in mare, introdotta dal presente comma, è ispirata alla normativa già presente nel testo dell’articolo 1 del D.L. n. 130/2020, adattandola, tuttavia, alla diversità del mezzo e delle autorità competenti.
In particolare, all’articolo 1 del citato decreto, rubricato “disposizioni in materia di permesso di soggiorno e controlli di frontiera”, dopo il comma 2-septies, inserito anch’esso dal provvedimento in esame (v. infra), inserisce il comma 2-octies, con cui si dispone l’obbligo per gli aeromobili privati, anche a pilotaggio remoto, che, partendo o atterrando nel territorio italiano, effettuano attività non occasionale di ricerca finalizzata o strumentale alle operazioni di soccorso marittimo, di informare di ogni situazione di emergenza in mare, immediatamente e con priorità, i seguenti soggetti:
§ Ente dei servizi del traffico aereo competente;
§ Centro nazionale di coordinamento del soccorso marittimo responsabile per l’area in cui si svolge l’evento;
§ Centri di coordinamento del soccorso marittimo degli Stati costieri responsabili delle aree contigue.
Il novellato comma 2-novies specifica che, nei casi di cui al comma precedente, il pilota in comando deve attenersi alle indicazioni operative del Centro nazionale di coordinamento del soccorso marittimo responsabile.
Il comma 2-decies indica che nei casi di violazione delle disposizioni citate, di cui ai commi 2-octies e 2-novies, si applica al pilota in comando dell’aeromobile una sanzione amministrativa da 2 a 10 mila euro, salve le sanzioni penali nei casi in cui il fatto costituisca reato. La responsabilità solidale si estende anche all’esercente e al proprietario dell’aeromobile.
La responsabilità solidale, di cui all’articolo 6 della legge n. 689 del 1981, prevede che se la violazione è commessa da persona capace di intendere e di volere, ma soggetta all’altrui autorità, direzione o vigilanza, la persona rivestita dell’autorità o incaricata della direzione o della vigilanza è obbligata in solido con l’autore della violazione al pagamento delle somme da questo dovute, salvo che provi di non aver potuto impedire il fatto.
Il comma 2-undecies specifica che, ai fini dell’accertamento e delle violazioni di cui al comma precedente (v. supra), sono considerati agenti accertatori:
§ il personale dell’Ente nazionale per l’aviazione civile;
§ il personale del Corpo delle Capitanerie di Porto-Guardia costiera;
§ il personale dell'Arma dei carabinieri, quale forza armata in servizio permanente di pubblica sicurezza;
§ il Corpo della guardia di finanza, per il concorso al mantenimento dell'ordine e della sicurezza pubblica.
Ai sensi della legge n. 689 del 1981, gli enti accertatori sono pubblici ufficiali che possono accertare le violazioni amministrative sia sulla base della diretta percezione, sia attraverso atti di accertamento come verbali e documenti ufficiali.
Il comma 2-duodecies individua l’Ente nazionale per l’aviazione civile (ENAC) quale autorità competente a irrogare le citate sanzioni, a cui viene trasmesso un rapporto dal funzionario o agente che ha accertato la violazione amministrativa, ai sensi dell'articolo 17 della legge n. 689 del 1981. Il comma, inoltre, indica che per le sanzioni si osservano, in quanto compatibili, le disposizioni di cui alla legge n. 689 del 1981, in materia di sanzioni amministrative. Per quanto riguarda i proventi delle sanzioni, ai sensi del comma 2-septies dell’articolo 1 del decreto-legge n. 130 del 2020, sono versati ad apposito capitolo dell'entrata del bilancio dello Stato per essere riassegnati, con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, al Fondo per l'erogazione di contributi in favore dei comuni di confine con altri Paesi europei e dei comuni costieri interessati dalla gestione dei flussi migratori.
Si ricorda che, ai sensi dei regolamenti UE n. 2018/1139 e 225/2010, l’ENAC ha competenze specifiche per l'esercizio del potere sanzionatorio in Italia nel settore dell’aviazione civile.
Il comma 2-terdecies introduce una sanziona accessoria, disponendo il fermo amministrativo per venti giorni dell’aeromobile utilizzato per commettere la violazione. L’organo accertatore, che applica la sanzione del fermo amministrativo, nomina custode l’esercente dell’aeromobile o, in sua assenza, il Pilota in Comando o altro soggetto obbligato in solido, che fa cessare la navigazione e provvede alla custodia dell’aeromobile a proprie spese.
Il comma 2-quaterdecies consente il ricorso avverso il provvedimento di fermo amministrativo di cui al comma precedente, entro dieci giorni dalla notificazione del verbale di contestazione, all’ENAC, che provvede nei successivi cinque giorni.
Il comma 2-quinquiesdecies prevede che in caso di reiterazione della violazione commessa con l’utilizzo del medesimo aeromobile, si applica la sanzione amministrativa accessoria del fermo amministrativo per due mesi. Mentre il comma 2-sexiesdecies indica che in caso di ulteriore reiterazione di questa violazione (di cui al comma 2-quinquiesdecies) si applica la confisca dell’aeromobile e l’agente accertatore procede immediatamente a sequestro cautelare.
Articolo 12
(Ispezione per finalità identificative dei dispositivi o supporti elettronici o digitali in possesso dei migranti)
L’articolo 12 disciplina, ai fini dell’identificazione dei migranti, l’accesso ai dispositivi o supporti elettronici o digitali in loro possesso ovvero la loro ispezione.
In via preliminare, è introdotto l’obbligo per il migrante di cooperare all’accertamento della sua identità producendo gli elementi relativi all’età, all’identità, alla cittadinanza, ai Paesi di precedente soggiorno o transito, consentendo, se necessario, l’accesso ai dispositivi o supporti elettronici o digitali
L’ispezione ‘autoritativa’ è prevista in caso di inottemperanza a tale obbligo, per lo straniero rintracciato in occasione dell'attraversamento irregolare della frontiera interna o esterna ovvero giunto nel territorio nazionale a seguito di operazioni di salvataggio in mare, o trattenuto in un centro in attesa di rimpatrio (o negli altri casi di trattenimento), o trattenuto durante lo svolgimento della procedura in frontiera, o minore straniero non accompagnato.
L’ispezione così prevista è disposta dal questore ed eseguita dagli ufficiali o agenti di pubblica sicurezza. Consiste nell’accesso immediato ai dati identificativi dei dispositivi elettronici e delle eventuali schede elettroniche (S.I.M.) o digitali (eS.I.M.) in possesso dello straniero, nonché ai documenti, anche video o fotografici, contenuti nei medesimi dispositivi o supporti elettronici o digitali.
Rimane preclusa all’ispezione la corrispondenza e ogni altra forma di comunicazione.
L’interessato ha diritto di assistere in presenza di un mediatore culturale alle operazioni, delle quali è steso un verbale, il quale è trasmesso (entro quarantotto ore) all’autorità giudiziaria competente – individuata nel giudice di pace, ovvero, per i minori non accompagnati, nel Tribunale dei minorenni – affinché l’ispezione ottenga (nelle successive quarantotto ore) la convalida, in assenza della quale i dati risultano illegittimamente controllati e dunque inutilizzabili.
Il comma 1 novella l’articolo 11 (il quale scandisce gli obblighi del richiedente asilo), comma 1, del decreto legislativo n. 25 del 2008 (l’atto normativo di recepimento e attuazione della direttiva 2005/85/CE recante “norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato”).
Secondo la disposizione fin qui vigente, lo straniero richiedente ha l'obbligo, se convocato, di comparire personalmente davanti alla Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale.
Ha altresì l'obbligo di consegnare i documenti in suo possesso pertinenti ai fini della domanda, incluso il passaporto.
La novella aggiunge la previsione dell’obbligo, per lo straniero richiedente, di cooperare ai fini dell’accertamento dell’identità con le autorità di cui all’articolo 3 del medesimo decreto legislativo n. 25, dunque le autorità competenti in materia di richiesta di protezione internazionale – ossia, oltre alle Commissioni territoriali, l’ufficio di polizia di frontiera ovvero la questura (competenti a ricevere la domanda di protezione internazionale).
Così come aggiunge la previsione dell’obbligo di esibire o produrre gli elementi relativi all’età, all’identità, alla cittadinanza, al Paese di precedente soggiorno o transito, consentendo, se necessario, l’accesso ai dispositivi o supporti elettronici o digitali in suo possesso.
Una sequenza di successive novelle – recate dal comma 2 – incide sul Testo unico dell’immigrazione, vale a dire il decreto legislativo n. 286 del 1998.
Alcune modificazioni incidono, in particolare, sull’articolo 10-ter del Testo unico dell’immigrazione. Tale articolo detta disposizioni per l'identificazione dei cittadini stranieri rintracciati in posizione di irregolarità sul territorio nazionale o soccorsi nel corso di operazioni di salvataggio in mare.
Lì è previsto che lo straniero rintracciato in occasione dell'attraversamento irregolare della frontiera interna o esterna ovvero giunto nel territorio nazionale a seguito di operazioni di salvataggio in mare, sia condotto per le esigenze di soccorso e di prima assistenza presso appositi punti di crisi e nei centri di accoglienza. Presso i medesimi punti di crisi sono effettuate le operazioni di rilevamento fotodattiloscopico e segnaletico[57] (oltre ad essere assicurata l'informazione sulla procedura di protezione internazionale, sul programma di ricollocazione in altri Stati membri dell'Unione europea e sulla possibilità di ricorso al rimpatrio volontario assistito).
Ebbene, le novelle dispongono che in tali casi lo straniero abbia l’obbligo di cooperare ai fini dell’accertamento dell’identità e di esibire o produrre gli elementi in possesso relativi alla età, all’identità, alla cittadinanza, nonché ai Paesi in cui abbia soggiornato o fatto transito in precedenza.
Siffatto obbligo include, se necessario, di consentire l’accesso ai dispositivi o supporti elettronici o digitali in suo possesso.
“Con il termine «dispositivi o supporti elettronici o digitali» si intendono tutti quegli strumenti che sono pienamente utilizzabili seguendo la mobilità dell’utente, quali, ad esempio, cellulari, palmari, smartphone, tablet, notebook, lettori MP3, ricevitori GPS, ecc. Possono essere dunque dispositivi dedicati – ossia dispositivi che possono essere utilizzati da un solo processo alla volta – oppure general purpose, ossia dispositivi versatili, adatti a molteplici impieghi”, si legge nella relazione illustrativa del disegno di legge di conversione.
Ove tale obbligo non sia adempiuto dallo straniero, il questore può disporre, al solo fine di acquisire gli elementi informativi sopra indicati, che gli ufficiali o agenti di pubblica sicurezza procedano all’accesso immediato ai dati identificativi dei dispositivi elettronici e delle eventuali schede elettroniche (S.I.M.) o digitali (eS.I.M.) in possesso dello straniero, nonché ai documenti, anche video o fotografici, contenuti nei medesimi dispositivi o supporti elettronici o digitali.
È in ogni caso vietato l’accesso alla corrispondenza e a qualunque altra forma di comunicazione.
Il verbale delle operazioni compiute dà atto delle disposizioni del questore ed indica le finalità, i criteri e le modalità dell’accesso, i dati controllati e l’esito delle operazioni. Così come riporta le eventuali dichiarazioni rese dall’interessato.
Il verbale delle operazioni è trasmesso, unitamente alla eventuale documentazione fotografica allegata, per la convalida, entro il termine di quarantotto ore dall’avvio delle operazioni, al giudice di pace territorialmente competente.
Il giudice di pace decide entro le successive quarantotto ore sulla convalida con provvedimento motivato.
Il provvedimento è comunicato all’autorità di pubblica sicurezza, che consegna allo straniero copia del medesimo provvedimento e del verbale delle operazioni compiute.
In caso di non convalida o di convalida parziale, i dati illegittimamente controllati sono inutilizzabili e il giudice dispone la cancellazione della correlativa documentazione.
Tale insieme di previsioni (che vengono a costituire i nuovi commi 2-bis e 2-ter dell’articolo 10-ter del Testo unico) si applicano anche per il caso di trattenimento dello straniero in un centro per impossibilità di eseguire con immediatezza l'espulsione o il respingimento alla frontiera (o negli altri casi di trattenimento consentiti dalla disposizione vigente posta dall’articolo 14 del Testo unico, che è quello qui novellato).
Anche per questa situazione infatti si prevede per lo straniero trattenuto un obbligo di cooperazione ai fini dell’accertamento dell’identità e di esibire o produrre gli elementi in possesso relativi alla età, all’identità, alla cittadinanza, nonché ai Paesi di precedente soggiorno e transito, consentendo, se necessario, l’accesso ai suoi dispositivi elettronici mobili. Ed in caso di inosservanza di tale obbligo, valgono le medesime disposizioni sopra ricordate, circa l’accesso immediato disposto dal questore, convalidato dal giudice di pace.
Un’ulteriore serie di novelle – recate dal comma 3 – incide sul decreto legislativo n. 142 del 2015, di recepimento della disciplina europea relativa all'accoglienza dei richiedenti la protezione internazionale.
Una prima modifica incide sull’articolo 6 del citato decreto legislativo, il quale enumera i casi di trattenimento, ulteriori rispetto all’attesa dell'esecuzione di un provvedimento di respingimento o di espulsione.
Anche per questi casi di trattenimento si viene del pari a prevedere che, in caso di inosservanza, da parte dello straniero, dell’obbligo di cooperazione di cui al nuovo comma 2-bis dell’articolo 10-ter del D.lgs. 25/2008, il questore possa disporre che gli ufficiali o agenti di pubblica sicurezza procedano all’accesso immediato ai dati identificativi dei dispositivi elettronici e delle eventuali schede elettroniche (S.I.M.) o digitali (eS.I.M.) in suo possesso, nonché ai documenti, anche video o fotografici, contenuti nei medesimi dispositivi o supporti elettronici o digitali. Tale accesso è finalizzato esclusivamente all’individuazione di elementi relativi alla età, all’identità, alla cittadinanza, nonché ai Paesi di precedente soggiorno, e con esclusione della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione. Il verbale delle operazioni è trasmesso, unitamente alla eventuale documentazione fotografica allegata, per la convalida, entro il termine di quarantotto ore dall’avvio delle operazioni, al giudice di pace territorialmente competente, il quale decide entro le successive quarantotto ore sulla convalida con provvedimento motivato. In caso di non convalida o di convalida parziale, i dati illegittimamente controllati sono inutilizzabili e il giudice dispone la cancellazione della correlativa documentazione.
Siffatte previsioni sono introdotte quale novello comma 4-bis dell’articolo 6 del citato decreto legislativo 142/2015 (in cui è introdotto il rinvio al nuovo comma 2-ter dell’articolo 10-ter del Testo unico dell’immigrazione).
Ed esse valgono (mediante modifica dell’articolo 6-bis del medesimo decreto legislativo) anche per lo straniero trattenuto durante lo svolgimento della procedura in frontiera – allorché egli muova domanda di protezione internazionale direttamente alla frontiera o nelle zone di transito – al solo scopo di accertare il diritto ad entrare nel territorio dello Stato.
Così come valgono – mediante novella all’articolo 19-bis del decreto legislativo n. 142 del 2015 – per l’identificazione dei minori stranieri non accompagnati.
In tal caso, l’autorità giudiziaria competente per la convalida della disposizione questorile di accesso ai dispositivi elettronici mobili è il Tribunale per i minorenni, che decide in composizione monocratica.
Le operazioni di accesso ai dispositivi si svolgono alla presenza anche dell’esercente i poteri tutelari, se nominato.
È da notare come l’ispezione dei dispositivi o supporti elettronici o digitali, quale prevista dalle disposizioni del decreto-legge sopra ricordate, non sia estendibile, secondo tale dettato normativo, alla corrispondenza e ad ogni altra forma di comunicazione.
Siffatto ‘limite’ mira ad evitare possibili collisioni con il diritto all’inviolabilità della libertà e segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione, sancito dalla Carta costituzionale all’articolo 15 (il quale aggiunge che la loro limitazione può avvenire soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria, con le garanzie stabilite dalla legge).
Stando l’esclusione dall’ispezione dei dispostivi, quale prevista nella novella disciplina, della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione, parrebbe suscettibile di approfondimento se documenti video o fotografici contenuti nei dispositivi, cui la disposizione consente l’accesso, non siano, qualora ‘situati’ entro una forma di comunicazione, parte costitutiva di essa.
Della giurisprudenza costituzionale può ricordarsi la recente sentenza n. 170 del 2023. In essa la Corte costituzionale afferma “in linea generale, che lo scambio di messaggi elettronici – e-mail, SMS, WhatsApp e simili – rappresenti, di per sé, una forma di corrispondenza agli effetti degli artt. 15 e 68, terzo comma, Cost.”.
La medesima sentenza n. 170, richiamando alcuni precedenti, osserva come la giurisprudenza costituzionale abbia ripetutamente affermato che la tutela accordata dall’art. 15 Cost. prescinde dalle caratteristiche del mezzo tecnico utilizzato, «aprendo così il testo costituzionale alla possibile emersione di nuovi mezzi e forme della comunicazione riservata» (sentenza n. 2 del 2023). La garanzia prevista dall’art. 15 Cost. si estende, quindi, “ad ogni strumento che l’evoluzione tecnologica mette a disposizione a fini comunicativi, compresi quelli elettronici e informatici, ignoti al momento del varo della Carta costituzionale (sentenza n. 20 del 2017; già in precedenza, con riguardo agli apparecchi ricetrasmittenti di debole potenza, sentenza n. 1030 del 1988; sulla libertà del titolare del diritto di scegliere liberamente il mezzo con cui corrispondere, sentenza n. 81 del 1993)” (considerato in diritto 4.2).
La sentenza n. 170, richiama, altresì, la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, la quale ha ricondotto alla nozione di “corrispondenza”, contenuta nell’art. 8 della Convenzione europea dei diritti umani (di seguito CEDU), i messaggi di posta elettronica (Corte EDU, grande camera, sentenza 5 settembre 2017, Barbulescu contro Romania, paragrafo 72; Corte EDU, sezione quarta, sentenza 3 aprile 2007, Copland contro Regno Unito, paragrafo 41), gli SMS (Corte EDU, sezioni quinta, sentenza 17 dicembre 2020, Saber contro Norvegia, paragrafo 48) e la messaggistica istantanea inviata e ricevuta tramite internet (Corte EDU, Grande Camera, sentenza Barbulescu, paragrafo 74).
La sentenza n. 170 citata richiama, inoltre, l’argomentazione secondo la quale i messaggi ricevuti tramite dispositivi elettronici cessino di essere assimilabili alla corrispondenza per configurarsi quali “documenti”. In particolare viene citato un indirizzo consolidato della Corte di cassazione che ha affermato che i messaggi di posta elettronica, SMS e WhatsApp, già ricevuti e memorizzati nel computer o nel telefono cellulare del mittente o del destinatario, hanno natura di «documenti» ai sensi dell’art. 234 cod. proc. pen. La loro acquisizione processuale non soggiacerebbe, pertanto, “né alla disciplina delle intercettazioni di comunicazioni informatiche o telematiche (art. 266-bis cod. proc. pen.), né a quella del sequestro di corrispondenza di cui al citato art. 254 cod. proc. pen., la quale implica una attività di spedizione in corso (in quest’ultimo senso, con riguardo alle singole categorie di messaggi che di volta in volta venivano in rilievo, ex plurimis, tra le ultime, Corte di cassazione, sezione seconda penale, sentenza 1° luglio-19 ottobre 2022, n. 39529; Corte di cassazione, sezione sesta penale, sentenza 16 marzo-8 giugno 2022, n. 22417; Corte di cassazione, sezione quinta penale, sentenza 10 marzo-6 maggio 2021, n. 17552)” (ivi, 4.3).
Tale indirizzo, prosegue la Corte, appare, in effetti, calibrato sulla specificità della disciplina recata dall’art. 254 cod. proc. pen., che regola esclusivamente il sequestro di corrispondenza operato presso i gestori di servizi postali, telegrafici, telematici o di telecomunicazioni: dunque, il sequestro di corrispondenza in itinere, che interrompe il flusso comunicativo. Anche riguardo a tali argomentazioni, viene richiamata la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo: essa “non ha avuto, d’altro canto, esitazioni nel ricondurre nell’alveo della «corrispondenza» tutelata dall’art. 8 CEDU anche i messaggi informatico-telematici nella loro dimensione “statica”, ossia già avvenuti (con riguardo alla posta elettronica, Corte EDU, sentenza Copland, paragrafo 44; con riguardo alla messaggistica istantanea, Corte EDU, sentenza Barbulescu, paragrafo 74; con riguardo a dati memorizzati in floppy disk, Corte EDU, sezione quinta, sentenza 22 maggio 2008, Iliya Stefanov contro Bulgaria, paragrafo 42). Indirizzo, questo, recentemente ribadito anche in relazione a una fattispecie del tutto analoga a quella oggi in esame, ossia al sequestro dei dati di uno smartphone, che comprendevano anche SMS e messaggi di posta elettronica (Corte EDU, sentenza Saber, paragrafo 48)” (ivi, 4.4).
La sentenza n. 170 conclude, pertanto, che le tutele previste dall’art. 15 Cost (come quelle previste l’art. 68, terzo comma, Cost.) si applicano alla corrispondenza anche dopo la ricezione da parte del destinatario, almeno fino a quando, per il decorso del tempo, essa non abbia perso ogni carattere di attualità, in rapporto all’interesse alla sua riservatezza, trasformandosi in un mero documento “storico” (ivi, 4.4).
Successivamente, la Corte di cassazione, Sezione seconda penale, nella sentenza n. 25549 del 2024, richiamando espressamente le argomentazioni svolte nella suddetta sentenza n. 170, ha affermato che “va necessariamente abbandonato l'orientamento […] secondo cui i messaggi WhatsApp (i messaggi di posta elettronica e la messagistica istantanea) devono considerarsi alla stregua di documenti”. Conseguentemente, anche ai messaggi Whatsapp (nel caso considerato) deve applicarsi l'art. 254 c.p.p. il quale dispone “sostanzialmente che il sequestro della corrispondenza avvenga su disposizione ovvero sotto il controllo dell'Autorità Giudiziaria”, in ossequio alle garanzie apprestate dall'art. 15 della Costituzione.
Il tema dell’ispezione dei dispositivi elettronici e digitali in possesso dello straniero a fini di gestione dei flussi immigratori, con arginamento di quelli ‘irregolari’, può dirsi emergere in alcuni ordinamenti del continente europeo, come il caso della Germania.
L’articolo 15 della legge tedesca sull’asilo (Asylgesetz – AsylG) reca specifici obblighi di collaborazione dello straniero richiedente protezione internazionale con le autorità. Si prevede, tra l’altro, che lo straniero che non sia in possesso di un passaporto valido o di un documento sostitutivo, debba, su richiesta, consegnare alle autorità tutti i “supporti di dati” (Datenträger) in suo possesso che possono essere utili per stabilire la propria identità e nazionalità (art. 15, par. 2, n. 6).
L’articolo 15 dispone circa la lettura di tali supporti di dati, tra i quali sono espressamente inclusi i dispositivi mobili e i servizi cloud (mobiler Geräte und Cloud-Dienste). La norma specifica che i dati possono essere utilizzati solo quando ciò sia necessario per stabilire l'identità e la nazionalità dello straniero (ai sensi del suddetto art. 15, par. 2, n. 6) e tale scopo non possa essere raggiunto con mezzi “più blandi” (mildere Mittel). Tale misura non è ammissibile quando vi sono indicazioni concrete per supporre che l’analisi dei dati porterebbe all'acquisizione di informazioni tutelate dal diritto alla riservatezza. In tal caso, le informazioni sulla vita privata ottenute non possono essere utilizzate e devono essere cancellate immediatamente. Inoltre, si prevede che i dati utilizzati per stabilire l’identità e la nazionalità dello straniero debbano essere cancellati non appena non siano più necessari per tali scopi.
Il Tribunale amministrativo federale, in una pronuncia del 16 febbraio 2023 (Urteil vom 16.02.2023 - BVerwG 1 C 19.21) ha respinto un ricorso dell’Ufficio federale per l'immigrazione e i rifugiati (Bundesamt für Migration und Flüchtlinge - BAMF). Il Tribunale ha ritenuto che fosse illegittimo richiedere l’analisi di un supporto di dati (cellulare con il relativo codice di sblocco) appartenente ad una donna (ricorrente) sprovvista di passaporto che aveva tuttavia presentato il certificato di matrimonio. Le verifiche esperibili sulla validità di tale certificato avrebbero potuto costituire, secondo la ricostruzione del Tribunale, un mezzo “più blando” utile a determinare l’identità della ricorrente (punto II.38).
Secondo la ricostruzione dei fatti fornita dalla sentenza (punto I.2), il cellulare sbloccato è stato collegato, in presenza della ricorrente, a un computer che ha letto i dati, li ha elaborati automaticamente in un rapporto sui risultati e li ha archiviati in una banca dati. Il rapporto conteneva informazioni sui Paesi in cui la ricorrente aveva effettuato il maggior numero di chiamate e inviato il maggior numero di messaggi, sui Paesi da cui aveva ricevuto il maggior numero di chiamate e messaggi, sulle lingue utilizzate e sui Paesi in cui si trovavano i contatti stabiliti.
Può valere conclusivamente richiamare le disposizioni europee, alle quali le novelle contenute in questo articolo del decreto-legge fanno riferimento.
Dapprima richiamato è il decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25 il quale è stato emanato in attuazione della direttiva 2005/85/CE recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato.
Nel 2013 si è proceduto alla rifusione della direttiva 2005/85/CE con la direttiva 2013/32/UE recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale[58], recepita in Italia con il decreto legislativo 18 agosto 2015, n. 142.
Obiettivo principale della direttiva è sviluppare ulteriormente le norme relative alle procedure applicate negli Stati membri per il riconoscimento e la revoca della protezione internazionale, così da istituire una procedura comune di asilo nell’Unione. La direttiva “si applica a tutte le domande di protezione internazionale presentate nel territorio, compreso alla frontiera, nelle acque territoriali o nelle zone di transito degli Stati membri, nonché alla revoca della protezione internazionale” (art. 3).
Ai fini di una corretta individuazione delle persone bisognose di protezione - in quanto rifugiati a norma dell’articolo 1 della convenzione di Ginevra[59] ovvero persone ammissibili alla protezione sussidiaria – la direttiva contiene disposizioni tese a far sì che ciascun richiedente abbia un accesso effettivo alle procedure e l’opportunità di comunicare con le autorità competenti per presentare gli elementi rilevanti della sua situazione, e che disponga di sufficienti garanzie procedurali per far valere i propri diritti in ciascuna fase della procedura.
In particolare, gli Stati membri sono tenuti a garantire che:
§ le richieste dei richiedenti siano esaminate individualmente, in maniera obiettiva e imparziale;
§ i richiedenti siano informati, in una lingua che comprendono, del processo seguito, dei loro diritti e della decisione presa (deve essere affiancato loro un interprete per aiutarli durante il procedimento, se necessario);
§ sia garantita ai richiedenti la consulenza di un legale, a loro spese;
§ i richiedenti abbiano diritto a un appello effettivo davanti a una corte o a un tribunale e ricevano assistenza legale gratuita durante l’appello.
I richiedenti devono inoltre avere la possibilità di comunicare con un rappresentante dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR) e con altre organizzazioni che prestano consulenza e assistenza ai richiedenti protezione internazionale.
Per quanto riguarda in particolare la procedura di esame, prima della decisione definitiva da parte dell’autorità competente, i richiedenti hanno diritto a un colloquio personale durante il quale dovrebbero avere l’opportunità di provare le ragioni della loro richiesta. La persona che esegue il colloquio deve essere competente per tenere in considerazione le circostanze personali del richiedente e le circostanze generali della situazione.
La direttiva contempla garanzie specifiche per le persone vulnerabili. Alle persone con bisogni procedurali speciali, ad esempio dovuti a età, disabilità, malattia o orientamento sessuale, oppure causati da un trauma o per qualsiasi altra ragione, deve essere garantito il sostegno opportuno, fra cui tempo sufficiente, per aiutarle nel loro processo di richiesta.
Requisiti specifici sono previsti per i minori non accompagnati. La direttiva 2013/33/UE riserva infatti una particolare attenzione ai principi dell’interesse superiore del minore e dell’unità familiare, principi che, si sottolinea, dovranno essere rispettati ‘pienamente’ dagli Stati, in conformità con la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo del 1989 e la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali[60].
Ai fini della direttiva, si intende per “domanda di protezione internazionale” una richiesta di protezione rivolta a uno Stato membro da un cittadino di un paese terzo o da un apolide di cui si può ritenere che intende ottenere lo status di rifugiato o lo status di protezione sussidiaria, e che non sollecita esplicitamente un diverso tipo di protezione non contemplato nell’ambito di applicazione della direttiva 2011/95/UE recante norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta.
A norma dell’articolo 2, lettera d), della direttiva 2011/95/UE, si intende per “rifugiato” un cittadino di un paese terzo il quale, per il timore fondato di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, opinione politica o appartenenza a un determinato gruppo sociale, si trova fuori dal paese di cui ha la cittadinanza e non può o, a causa di tale timore, non vuole avvalersi della protezione di tale paese, oppure apolide che si trova fuori dal paese nel quale aveva precedentemente la dimora abituale per le stesse ragioni succitate e non può o, a causa di siffatto timore, non vuole farvi ritorno.
In base all’articolo 2, lettera f), della direttiva 2011/95/UE, per “persona avente titolo a beneficiare della protezione sussidiaria” si intende il cittadino di un paese terzo o apolide che non possiede i requisiti per essere riconosciuto come rifugiato ma nei cui confronti sussistono fondati motivi di ritenere che, se ritornasse nel paese di origine, o, nel caso di un apolide, se ritornasse nel paese nel quale aveva precedentemente la dimora abituale, correrebbe un rischio effettivo di subire un ‘grave danno’ come definito all’articolo 15[61], e il quale non può o, a causa di tale rischio, non vuole avvalersi della protezione di tale paese.
In particolare, l’articolo 13 della direttiva 2013/32/UE prevede che gli Stati membri impongano ai richiedenti l’obbligo di cooperare con le autorità competenti ai fini dell’accertamento dell’identità e degli altri elementi di cui all’articolo 4 paragrafo 2, della citata direttiva 2011/95/UE.
In base a tale articolo, “gli Stati membri possono ritenere che il richiedente sia tenuto a produrre quanto prima tutti gli elementi necessari a motivare la domanda di protezione internazionale. Lo Stato membro è tenuto, in cooperazione con il richiedente, a esaminare tutti gli elementi significativi della domanda”. Al paragrafo 2 viene specificato che gli elementi di cui sopra “consistono nelle dichiarazioni del richiedente e in tutta la documentazione in possesso del richiedente in merito alla sua età, estrazione, anche, ove occorra, dei congiunti, identità, cittadinanza/e, paese/i e luogo/luoghi in cui ha soggiornato in precedenza, domande d’asilo pregresse, itinerari di viaggio, documenti di viaggio nonché i motivi della sua domanda di protezione internazionale”.
Gli Stati membri possono inoltre imporre ai richiedenti altri obblighi di cooperazione con le autorità competenti nella misura in cui tali obblighi siano necessari ai fini del trattamento della domanda.
In particolare, gli Stati membri possono prevedere che:
a) i richiedenti abbiano l’obbligo di riferire alle autorità competenti o di comparire personalmente dinanzi alle stesse, senza indugio o in una data specifica;
b) i richiedenti debbano consegnare i documenti in loro possesso pertinenti ai fini dell’esame della domanda, quali i passaporti;
c) i richiedenti siano tenuti a informare le autorità competenti del loro luogo di residenza o domicilio del momento e di qualsiasi cambiamento dello stesso, non appena possibile. Gli Stati membri possono prevedere che il richiedente sia tenuto ad accettare eventuali comunicazioni presso il luogo di residenza o domicilio più recente dallo stesso appositamente indicato;
d) le autorità competenti possano perquisire il richiedente e i suoi effetti personali. Fatta salva qualsiasi perquisizione effettuata per motivi di sicurezza, alla perquisizione del richiedente ai sensi della direttiva provvede una persona dello stesso sesso nel pieno rispetto dei principi di dignità umana e di integrità fisica e psicologica;
e) le autorità competenti possano fotografare il richiedente;
f) le autorità competenti possano registrare le dichiarazioni orali del richiedente, purché questi ne sia stato preventivamente informato.
Con l’approvazione del ‘nuovo patto sulla migrazione e l’asilo’, la direttiva 2013/32/UE verrà sostituita dal regolamento (UE) 2024/1348 che stabilisce una procedura comune di protezione internazionale nell’Unione. L’applicazione del regolamento è prevista a decorrere dal 12 giugno 2026, dopo due anni dalla pubblicazione in Gazzetta ufficiale dell’UE. Il testo intende sostituire le varie procedure attualmente applicate negli Stati membri con un’unica procedura semplificata. Introduce, fra l’altro, una procedura di frontiera obbligatoria tesa a valutare rapidamente alle frontiere esterne dell’UE l’eventuale infondatezza o inammissibilità delle domande di asilo.
Al considerando 22, il regolamento afferma che, “se necessario e debitamente giustificato per l'esame di una domanda di protezione internazionale, le autorità competenti dovrebbero poter imporre la perquisizione del richiedente o dei suoi effetti personali. Tali effetti personali possono comprendere dispositivi elettronici quali laptop, tablet o telefoni cellulari. Qualsiasi perquisizione di questo tipo dovrebbe essere effettuata nel rispetto dei diritti fondamentali e del principio di proporzionalità”.
Inoltre, all’articolo 9, paragrafo 5, viene precisato che, “fatta salva qualsiasi perquisizione effettuata per motivi di sicurezza, laddove necessario e debitamente giustificato per l'esame della domanda, le autorità competenti possono disporre la perquisizione del richiedente o dei suoi effetti personali in conformità del diritto nazionale”. L'autorità competente dovrà fornire al richiedente i motivi della perquisizione e inserirli nel fascicolo del richiedente. A qualsiasi perquisizione del richiedente prevista dal regolamento dovrà provvedere una persona dello stesso sesso nel pieno rispetto dei principi di dignità umana e di integrità fisica e psicologica.
Le norme applicabili al controllo di frontiera sulle persone che attraversano le frontiere esterne degli Stati membri dell’Unione sono d’altra parte contenute nel regolamento (UE) 2016/399 del Parlamento europeo e del Consiglio del 9 marzo 2016, che istituisce un codice unionale relativo a1 regime di attraversamento delle frontiere da parte delle persone (codice frontiere Schengen)[62].
All’articolo 2, paragrafo 1, del regolamento sono definite “verifiche di frontiera” le verifiche effettuate ai valichi di frontiera al fine di accertare che le persone, compresi i loro mezzi di trasporto e gli oggetti in loro possesso, possano essere autorizzati ad entrare nel territorio degli Stati membri o autorizzati a lasciarlo.
All’articolo 8, paragrafo 1, sono disciplinate le verifiche di frontiera e viene al riguardo specificato che le attività di controllo “possono riguardare anche i mezzi di trasporto e gli oggetti di cui sono in possesso le persone che attraversano la frontiera”, rinviando, in caso di perquisizione, alla legislazione dello Stato membro interessato.
Articolo 12-bis
(Paesi di origine sicuri)
L’articolo 12-bis – introdotto in sede referente – detta un elenco puntuale di “Paesi di origine sicuri” – tali nell’interezza del loro territorio – da aggiornare periodicamente con atto avente forza di legge; inoltre prevede, circa l’individuazione dei Paesi di origine sicuri, una informativa annuale del Governo, mediante una relazione trasmessa alle competenti Commissioni parlamentari.
L’articolo in commento traspone entro il presente decreto-legge il contenuto dell’articolo 1 del decreto-legge 23 ottobre 2024, n. 158.
L’articolo detta un elenco puntuale di Paesi di origine sicuri.
La qualificazione di “Paesi di origine sicuri” discende dalla normativa dell’Unione europea.
La direttiva 2013/32/UE (del Parlamento europeo e del Consiglio, 26 giugno 2013) recante “procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale” (cd. direttiva procedure) ne tratta agli articoli 36 e 37 ed al correlativo allegato I (v. infra).
Secondo tale ordito normativo europeo – oggi vigente, ancorché destinato ad esser sostituito dal regolamento dell’Unione europea n. 1348 del 2024, il quale avrà applicazione dal giugno 2026 – la sicurezza o meno del richiedente nel Paese di origine è criterio fondamentale per stabilire la fondatezza di una domanda di protezione internazionale. Ed un Paese di origine è designabile come “sicuro” se risponda ad alcuni requisiti (v. infra).
La normativa europea di futura applicazione attrarrà al livello dell’Unione europea la designazione dei Paesi di origine sicuri, pur mantenendo la facoltà per gli Stati membri di applicare norme legislative che consentano una designazione dei Paesi sicuri a livello nazionale.
In attesa di quella novazione, ad ogni modo, si applica la direttiva del 2013, secondo la quale la designazione di Paese sicuro può essere effettuata da ciascuno Stato membro, entro il perimetro normativo tracciato dalla medesima direttiva.
La direttiva del 2013 è stata recepita, in Italia, dal decreto legislativo n. 142 del 2015. Quest’ultimo tuttavia non recepiva il meccanismo del Paese di origine sicuro, previsto dalla direttiva del 2013 quale facoltativo.
In un secondo momento, il decreto-legge n. 113 del 2018 ha recepito (all’articolo 7-bis) questo specifico profilo, relativo all’individuazione dei Paesi di origine sicuri.
A tal fine esso ha novellato il decreto legislativo n. 25 del 2008 (atto di recepimento dell’antecedente direttiva 2005/85/CE recante “norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato)”, introducendovi un articolo 2-bis.
Quanto disposto dall’articolo 1 del presente decreto-legge incide pertanto sul dettato dell’articolo 2-bis del decreto legislativo n. 25 del 2008.
La novellazione di tale articolo 2-bis muove lungo alcune direttrici:
Ø ‘legifica’ l’individuazione dei Paesi di origine sicuri, mediante una puntuale loro enumerazione, da aggiornare con atto normativo del pari primario;
Ø esclude che la designazione di Paese di origine sicuro possa essere effettuata con l’eccezione di parti del suo territorio;
Ø prevede un’informativa periodica annuale del Governo al Parlamento, circa l’individuazione dei Paesi di origine sicuri;
Ø aggiorna a fini di coordinamento la menzione dell’Ufficio europeo di sostegno per l’asilo (nell’acronimo: EASO), sostituendole quella di Agenzia dell’Unione europea per l’asilo (dal momento che il primo, istituito dal regolamento europeo n. 439 del 2010, è stato sostituito da tale Agenzia, con il regolamento europeo n. 2303 del 2021).
Nella disposizione previgente rispetto all’attuale novella, l’individuazione dei Paesi di origine sicuri è demandata a un decreto del Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, di concerto con il Ministro dell’interno e con il Ministro della giustizia.
L’elenco dei Paesi così definito è aggiornato periodicamente e notificato alla Commissione europea.
In conformità a tali previsioni, da ultimo è intervenuto il decreto ministeriale del 7 maggio 2024, con l’indicazione puntuale dei Paesi di origine sicuri.
La nuova disposizione, posta dalla lettera a) dell’unico comma di cui si compone il presente articolo 1 del decreto-legge, enumera essa stessa il novero di Paesi di origine da ritenersi sicuri.
Si tratta di: Albania, Algeria, Bangladesh, Bosnia-Erzegovina, Capo Verde, Costa d'Avorio, Egitto, Gambia, Georgia, Ghana, Kosovo, Macedonia del Nord, Marocco, Montenegro, Perù, Senegal, Serbia, Sri Lanka e Tunisia.
Tale elenco ricalca quello reso dal decreto del Ministro degli affari esteri del 2024 sopra citato, con l’espunzione tuttavia di tre Paesi lì presenti (Camerun, Colombia, Nigeria), per i quali sono stati ravvisati elementi di criticità.
La nuova elencazione è resa dalla disposizione del decreto-legge, vi si legge, “in applicazione dei criteri di qualificazione stabiliti dalla normativa europea e dai riscontri rinvenuti dalle fonti di informazione fornite dalle organizzazioni internazionali competenti”.
Una fattispecie in cui la provenienza da un Paese di origine sicuro assume saliente rilevanza è costituita dalle cd. procedure accelerate di frontiera, oggetto dell’articolo 28-bis del decreto legislativo n. 25 del 2008.
Lì si prevede, tra l’altro, l’applicabilità di tale modalità accelerata in caso di domanda di protezione internazionale presentata direttamente alla frontiera o nelle zone di transito da un richiedente proveniente da un Paese designato, appunto, come di origine sicuro (comma 2, lettera b-bis)).
Siffatta previsione normativa è stata, da ultimo, oggetto di considerazione da parte del Tribunale ordinario di Roma, XVIII Sezione civile (sezione specializzata in materia di diritti della persona e immigrazione), nei decreti del 18 ottobre 2024, nn. 42251 e 42256.
I casi concernevano l’uno un migrante egiziano e l’altro un migrante proveniente dal Bangladesh, entrambi trattenuti, durante lo svolgimento della procedura in frontiera (cfr. l’articolo 6-bis del decreto legislativo n. 142 del 2015), in una struttura in Albania (cfr. la legge n. 14 del 2024, recante “ratifica ed esecuzione del Protocollo tra il Governo della Repubblica italiana e il Consiglio dei ministri della Repubblica di Albania per il rafforzamento della collaborazione in materia migratoria, fatto a Roma il 6 novembre 2023, nonché norme di coordinamento con l'ordinamento interno”).
Il Tribunale romano ha ritenuto che l’interpretazione vincolante del diritto dell’Unione europea resa dalla giurisprudenza europea (con sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea-Granze Sezione del 4 ottobre 2024, causa C-406/22) precludesse la qualificazione del Paese di provenienza di quei trattenuti alla stregua di Paese sicuro, con ciò venendo meno il presupposto di applicabilità della procedura accelerata di frontiera (quale disegnata dall’articolo 28-bis, comma 2, lettera b-bis), del decreto legislativo n. 25 del 2008).
Ha rilevato il Tribunale, in entrambe le sue pronunce: “il Paese di origine del trattenuto, nelle conclusioni della scheda-Paese dell’istruttoria del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale per l’aggiornamento del sopra citato decreto interministeriale [di determinazione dell’elenco dei Paesi sicuri, ndr.], basate su informazioni tratte da fonti qualificate di riferimento, è definito Paese di origine sicuro ma con eccezioni per alcune categorie di persone […][63]. Pertanto, in ragione dei principi affermati dalla Corte di giustizia dell’Unione europea, il Paese di origine del trattenuto non può essere riconosciuto come Paese sicuro, tanto più che la stessa sentenza sottolinea il dovere del giudice di rilevare, anche d’ufficio, l’eventuale violazione, nel caso sottoposto al suo giudizio, delle condizioni sostanziali della qualificazione di Paese sicuro enunciate nell’allegato I della direttiva 2013/32”.
Donde l’assenza di un titolo di permanenza nella struttura albanese di quei richiedenti protezione internazionale, ad avviso del Tribunale. Esso ha deciso, rilevando un impedimento al legittimo trattenimento, la non convalida dei trattenimenti nonché il riacquisto da parte degli interessati dello stato di libertà personale (mediante conduzione in Italia, anche per effetto della disposizione recata dall’articolo 4, comma 3, del citato Protocollo tra Italia-Albania).
Si segnala che, avverso l’ordinanza 42256/2024, il Ministero dell’Interno ha presentato ricorso per Cassazione, chiedendo un intervento chiarificatore delle Sezioni unite per i seguenti due motivi: 1) se, nel caso di un Paese (come il Bangladesh) che non presenta criticità in tutto il suo territorio nazionale, sia legittimo fondare il diniego della convalida del trattenimento solo sulla presenza di criticità nei confronti dei diritti di alcune specifiche categorie di soggetti; 2) la carenza di adeguata motivazione in ordine alla effettiva sussistenza di una situazione che giustificasse la disapplicazione della designazione del Paese di provenienza del richiedente come Paese di origine sicuro.
Altra novella, recata questa dalla lettera b), sopprime la previsione che la designazione di un Paese di origine sicuro possa essere effettuata con l’eccezione di parti del territorio.
Pertanto, la sicurezza di un Paese dev’essere rilevata con riferimento all’interezza del suo territorio, senza più possibile esclusione di sue zone.
Questo intervento normativo – si legge nella relazione illustrativa del disegno di legge di conversione – è inteso quale ricettivo di orientamento giurisprudenziale europeo.
Infatti la citata sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea del 4 ottobre 2024 (causa C-406/22), nel trattare questione pregiudiziale di interpretazione (sollevata da un tribunale della Repubblica ceca), ha interpretato la disposizione europea (l’articolo 37 della direttiva n. 32 del 2013) come precludente la designazione di un Paese di origine come sicuro, quando alcune parti del suo territorio non soddisfino le condizioni materiali per tale designazione (la quale deve essere resa in conformità dell’allegato I della medesima direttiva n. 32).
Finché non entri in applicazione il regolamento dell’Unione europea n. 1348 del 2024 – il quale consente una designazione di Paese sicuro con eccezioni “per determinate parti del suo territorio o categorie di persone chiaramente identificabili” (cfr. il suo articolo 61, par. 2) – vale l’interpretazione giurisprudenziale europea ricordata, che la novella traspone entro il dettato del comma 2 dell’articolo 2-bis del decreto legislativo n. 25 del 2008.
Siffatto intervento normativo non incide sulla vigente previsione della possibile eccezione di categorie di persone, ai fini della designazione di Paese di origine sicuro.
Peraltro, un ulteriore profilo parrebbe suscettibile di approfondimento sulla scorta della sentenza della Corte di giustizia innanzi citata, e concerne, in termini di approssimativa semplificazione, il grado di ‘vincolatività’ della designazione dei Paesi di origine sicuri, ancorché ora consegnata a fonte primaria, per il giudice nazionale.
Al riguardo, il 25 ottobre 2024 il Tribunale ordinario di Bologna, Sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini UE, ha sollevato un rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia dell’Unione europea (ai sensi dell’art. 267 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea), sottoponendole le due questioni di seguito riportate:
1) “se per il diritto dell’Unione europea e in particolare ai sensi degli articoli 36, 37 e 46 della Direttiva 2013/32/UE e del suo Allegato I, il parametro sulla cui base debbono essere individuate le condizioni di sicurezza che sottendono alla designazione di un Paese terzo come Paese di origine sicuro debba essere inderogabilmente individuato nella carenza di persecuzioni dirette in modo sistematico e generalizzato nei confronti degli appartenenti a specifici gruppi sociali e di rischi reali di danno grave come definito nell’Allegato I della Direttiva 2013/32/UE, in particolare se la presenza di forme persecutorie o di esposizione a danno grave concernenti un unico gruppo sociale di difficile identificazione - quali ad esempio le persone lgbtiqa+, le minoranze etniche o religiose, le donne esposte a violenza di genere o a tratta ecc... – escluda detta designazione”;
2) “se il principio del primato del diritto europeo ai sensi della consolidata giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea imponga di assumere che, in caso di contrasto fra le disposizioni della Direttiva 2013/32/UE in materia di presupposti dell’atto di designazione di un paese terzo come paese di origine sicuro e le disposizioni nazionali, sussista sempre l’obbligo per il giudice nazionale di non applicare queste ultime, in particolare se tale dovere per il giudice di disapplicare l’atto di designazione permanga anche nel caso in cui detta designazione venga operata con disposizioni di rango primario, quale la legge ordinaria”.
Hanno fatto seguito ulteriori rinvii pregiudiziali alla Corte di giustizia dell’Unione europea. Può ricordarsi, per questo riguardo, come il Tribunale di Roma, XVIII Sezione civile, in esito a udienza dell’11 novembre 2024 di convalida di un provvedimento questorile di trattenimento presso il centro di Gjader in Albania di un migrante proveniente dal Bangladesh, abbia ritenuto di sottoporre alla Corte di giustizia un quadruplice quesito pregiudiziale:
1) se il diritto dell’Unione europea osti a che un legislatore nazionale proceda a designare direttamente con atto legislativo primario uno Stato terzo come Paese di origine sicuro (venendo così meno una struttura procedimentale “bifasica”, articolata in disciplina generale delle modalità di designazione e designazione stessa, la quale potrebbe così effettuarsi anche in tacita deroga alla disciplina generale e ai suoi criteri);
2) se il diritto dell’Unione osti quanto meno a che il legislatore designi un Paese di origine sicuro senza rendere accessibili e verificabili le fonti adoperate, sì da renderle contestabili per il richiedente protezione internazionale e sindacabili per il giudice;
3) se il giudice nazionale investito nel corso di una procedura accelerata di frontiera per provenienza da Paese di origine sicuro possa utilizzare in ogni caso informazioni su di esso, attingendole direttamente dalle apposite fonti di informazioni;
4) se il diritto dell’Unione osti a che un Paese terzo sia definito di origine sicuro qualora vi siano, in tale Paese, categorie di persone per le quali esso non soddisfa le condizioni sostanziali di tale designazione.
Si è sopra ricordato come la designazione di Paese di origine sicuro rilevi, tra l’altro, ai fini dell’applicazione di un regime speciale di esame della domanda di protezione internazionale, il quale fa perno su “una forma di presunzione relativa di protezione sufficiente nel Paese di origine” (citando dalla sentenza della Corte di giustizia sopra ricordata), in forza della quale è consentita una ‘accelerazione’ della procedura di esame.
L’interpretazione resa dalla Corte di giustizia nella sua sentenza ha riguardato altresì il tema se il giudice nazionale, investito di un ricorso avverso una decisione di rigetto di una domanda di protezione internazionale esaminata nell’ambito del regime speciale applicabile alle domande presentate dai richiedenti di Paesi terzi designati come di origine sicuri, sia tenuto a rilevare una violazione delle condizioni “sostanziali” di siffatta designazione (enunciate all’allegato I della direttiva n. 32 del 2013), e questo anche se tale violazione non sia espressamente invocata a sostegno del ricorso.
Qui rileva l’articolo 46 della direttiva n. 32 del 2013, relativo al diritto dei richiedenti protezione internazionale ad un ricorso effettivo, ed in particolare il suo paragrafo 3, secondo cui gli Stati membri sono tenuti ad assicurare che il giudice dinanzi al quale sia contestata la decisione relativa alla domanda di protezione internazionale, proceda all’“esame completo ed ex nunc degli elementi di fatto e di diritto compreso, se del caso, l’esame delle esigenze di protezione internazionale”.
A detta della Corte di giustizia, gli Stati membri sono così tenuti “ad adattare il loro diritto nazionale in modo che il trattamento dei ricorsi in questione comporti un esame, da parte del giudice, di tutti gli elementi di fatto e di diritto che gli consentano di procedere ad una valutazione aggiornata del caso di specie”.
Secondo la Corte, discende dunque dalla norma europea (quale posta dalla direttiva n. 32 del 2013, all’articolo 46, par. 3) la titolarità del giudice nazionale (nel suo esame sul ricorso del richiedente protezione internazionale, proveniente da Paese di origine designato come sicuro) dell’esame su “la legittimità di siffatta designazione”.
Nella conclusione della Corte di giustizia su questa specifica questione pregiudiziale di interpretazione, l’articolo 46, paragrafo 3, della direttiva n. 32 del 2013 “deve essere interpretato nel senso che, quando un giudice è investito di un ricorso avverso una decisione di rigetto di una domanda di protezione internazionale esaminata nell’ambito del regime speciale applicabile alle domande presentate dai richiedenti provenienti da paesi terzi designati come paese di origine sicuro, conformemente all’articolo 37 di tale direttiva, tale giudice, nell’ambito dell’esame completo ed ex nunc imposto dal suddetto articolo 46, paragrafo 3, deve rilevare, sulla base degli elementi del fascicolo nonché di quelli portati a sua conoscenza nel corso del procedimento dinanzi ad esso, una violazione delle condizioni sostanziali di siffatta designazione, enunciate all’allegato I di detta direttiva, anche se tale violazione non è espressamente fatta valere a sostegno di tale ricorso”.
Alla citata sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea del 4 ottobre 2024 si ricollegano i Tribunali italiani che hanno deciso per la sottoposizione di questioni pregiudiziali a quella medesima Corte, in regime di vigenza delle previsioni recate dal decreto-legge n. 158 del 2024.
Altra via, peraltro, è stata seguita dal Tribunale di Catania, Sezione Immigrazione, il quale con decreto del 4 novembre 2024 si è risolto per la disapplicazione tout court delle disposizioni del decreto-legge n. 158 ai fini della decisione di cui era investito (la convalida di un provvedimento di trattenimento di un migrante proveniente dall’Egitto che aveva presentato domanda di protezione internazionale a Pozzallo quale zona di frontiera; la provenienza da quel Paese, designato come di origine sicuro, ‘incanalava’ la procedura entro la fattispecie accelerata).
Secondo il giudice catanese, la sentenza della Corte di giustizia avrebbe chiarito come il regime particolare di esame ‘accelerato’, avente carattere di deroga, giustifichi il controllo da parte del giudice della correttezza della designazione di Paese di origine sicuro. Ebbene, tale correttezza a suo avviso era smentita dalle medesime informazioni rese dal Ministero degli affari esteri. Talché il Tribunale di Catania ha ravvisato rischi di insicurezza concernenti “in maniera stabile e ordinaria” “intere e indeterminate categorie di persone”; donde il suo diniego di considerare l’Egitto Paese sicuro sulla scorta del diritto dell’Unione europea, letto attraverso le argomentazioni della citata sentenza della Corte di giustizia (la quale fa riferimento a una situazione “generale e costante” di sicurezza).
Il Tribunale di Catania ha così ritenuto di disapplicare la designazione di Paese di origine sicuro contenuta (con riferimento all’Egitto) nel decreto-legge n. 158, assumendo che la sentenza interpretativa della Corte di giustizia vincolasse la sua decisione. Né ha ritenuto di proporre rinvio pregiudiziale, già risolto a suo avviso da quella medesima sentenza della Corte di giustizia, in relazione a fattispecie ritenuta analoga (pur in mancanza di una stretta identità fra le materie del contendere).
Novella di mero coordinamento normativo è quella posta dalla lettera c), la quale menziona l’Agenzia dell’Unione europea per l’asilo, in luogo dell’ormai soppresso (a seguito del regolamento dell’Unione europea n. 2303 del 2021) Ufficio europeo di sostegno per l’asilo.
Tale soggetto è menzionato dalla norma interna quale possibile fonte di informazioni, cui attinga la Commissione nazionale per il diritto d’asilo, onde fornire a sua volta informazioni per la valutazione se uno Stato non appartenente all'Unione europea sia un Paese di origine sicuro.
Quanto alle funzioni dell’Agenzia dell’Unione europea per l’asilo (EUAA), essa fornisce sostegno tecnico, operativo, formativo, agli Stati membri nell’applicazione dell’insieme di norme dell’Unione europea che disciplinano le condizioni di asilo, protezione internazionale e accoglienza, denominato “sistema europeo comune di asilo” (CEAS).
Essa non sostituisce in alcun modo le autorità nazionali competenti in materia di asilo o di accoglienza.
Infine la novellazione dettata dalla lettera d) – mediante l’aggiunta di un comma 4-bis entro l’articolo 2-bis del decreto legislativo n. 25 del 2008 – dispone una informativa del Governo al Parlamento, “in relazione all’aggiornamento” periodico dell’elenco dei Paesi di origine sicuri sopra ricordato.
Siffatto aggiornamento periodico (non è determinato il termine, che si direbbe annuale) è prescritto avvenga con atto avente forza di legge.
Il nuovo elenco è notificato alla Commissione europea.
Ai fini dell’aggiornamento dell’elenco, il Consiglio dei Ministri delibera, entro il 15 gennaio di ciascun anno, una relazione, da trasmettere alle competenti Commissioni parlamentari (senza ulteriori determinazioni di ordine procedimentale).
La relazione riferisce sulla situazione dei Paesi inclusi nell’elenco vigente nonché dei Paesi di nuova inclusione.
Questo, compatibilmente con le preminenti esigenze di sicurezza e di continuità delle relazioni internazionali.
La relazione tiene conto delle informazioni acquisite tramite la Commissione nazionale per il diritto d’asilo.
D.Lgs. 25/2008 |
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Testo previgente |
Modificazioni apportate dall’art. 4 del D.L. 75/2023 |
Art. 2-bis |
Art. 2-bis |
1. Con decreto del Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, di concerto con i Ministri dell'interno e della giustizia, è adottato l'elenco dei Paesi di origine sicuri sulla base dei criteri di cui al comma 2. L'elenco dei Paesi di origine sicuri è aggiornato periodicamente ed è notificato alla Commissione europea. |
1. In applicazione dei criteri di qualificazione stabiliti dalla normativa europea e dei riscontri rinvenuti dalle fonti di informazione fornite dalle organizzazioni internazionali competenti, sono considerati Paesi di origine sicuri i seguenti: Albania, Algeria, Bangladesh, Bosnia-Erzegovina, Capo Verde, Costa d’Avorio, Egitto, Gambia, Georgia, Ghana, Kosovo, Macedonia del Nord, Marocco, Montenegro, Perù, Senegal, Serbia, Sri Lanka e Tunisia. |
2. Uno Stato non appartenente all'Unione europea può essere considerato Paese di origine sicuro se, sulla base del suo ordinamento giuridico, dell'applicazione della legge all'interno di un sistema democratico e della situazione politica generale, si può dimostrare che, in via generale e costante, non sussistono atti di persecuzione quali definiti dall'articolo 7 del decreto legislativo 19 novembre 2007, n. 251, né tortura o altre forme di pena o trattamento inumano o degradante, né pericolo a causa di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale. La designazione di un Paese di origine sicuro può essere fatta con l'eccezione |
2. Uno Stato non appartenente all'Unione europea può essere considerato Paese di origine sicuro se, sulla base del suo ordinamento giuridico, dell'applicazione della legge all'interno di un sistema democratico e della situazione politica generale, si può dimostrare che, in via generale e costante, non sussistono atti di persecuzione quali definiti dall'articolo 7 del decreto legislativo 19 novembre 2007, n. 251, né tortura o altre forme di pena o trattamento inumano o degradante, né pericolo a causa di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale. La designazione di un Paese di origine sicuro può essere fatta con l'eccezione di categorie di persone. |
3. Ai fini della valutazione di cui al comma 2 si tiene conto, tra l'altro, della misura in cui è offerta protezione contro le persecuzioni ed i maltrattamenti mediante: |
3. Identico: |
a) le pertinenti disposizioni legislative e regolamentari del Paese ed il modo in cui sono applicate; |
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b) il rispetto dei diritti e delle libertà stabiliti nella Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali del 4 novembre 1950, ratificata ai sensi della legge 4 agosto 1955, n. 848, nel Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, aperto alla firma il 19 dicembre 1966, ratificato ai sensi della legge 25 ottobre 1977, n. 881, e nella Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura del 10 dicembre 1984, in particolare dei diritti ai quali non si può derogare a norma dell'articolo 15, paragrafo 2, della predetta Convenzione europea; |
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c) il rispetto del principio di cui all'articolo 33 della Convenzione di Ginevra; |
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d) un sistema di ricorsi effettivi contro le violazioni di tali diritti e libertà. |
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4. La valutazione volta ad accertare che uno Stato non appartenente all'Unione europea è un Paese di origine sicuro si basa sulle informazioni fornite dalla Commissione nazionale per il diritto di asilo, che si avvale anche delle notizie elaborate dal centro di documentazione di cui all'articolo 5, comma 1, nonché su altre fonti di informazione, comprese in particolare quelle fornite da altri Stati membri dell'Unione europea, dall'EASO, dall'UNHCR, dal Consiglio d'Europa e da altre organizzazioni internazionali competenti. |
4. La valutazione volta ad accertare che uno Stato non appartenente all'Unione europea è un Paese di origine sicuro si basa sulle informazioni fornite dalla Commissione nazionale per il diritto di asilo, che si avvale anche delle notizie elaborate dal centro di documentazione di cui all'articolo 5, comma 1, nonché su altre fonti di informazione, comprese in particolare quelle fornite da altri Stati membri dell'Unione europea, dall'Agenzia dell’Unione europea per l’asilo, dall'UNHCR, dal Consiglio d'Europa e da altre organizzazioni internazionali competenti. |
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4-bis. L’elenco dei Paesi di origine sicuri è aggiornato periodicamente con atto avente forza di legge ed è notificato alla Commissione europea. Ai fini dell’aggiornamento dell’elenco di cui al comma 1, il Consiglio dei Ministri delibera, entro il 15 gennaio di ciascun anno, una relazione, nella quale, compatibilmente con le preminenti esigenze di sicurezza e di continuità delle relazioni internazionali e tenuto conto delle informazioni di cui al comma 4, riferisce sulla situazione dei Paesi inclusi nell’elenco vigente e di quelli dei quali intende promuovere l’inclusione. Il Governo trasmette la relazione alle competenti commissioni parlamentari. |
5. Un Paese designato di origine sicuro ai sensi del presente articolo può essere considerato Paese di origine sicuro per il richiedente solo se questi ha la cittadinanza di quel Paese o è un apolide che in precedenza soggiornava abitualmente in quel Paese e non ha invocato gravi motivi per ritenere che quel Paese non è sicuro per la situazione particolare in cui lo stesso richiedente si trova. |
5.Identico. |
La designazione di “Paese di origine sicuro” nella normativa dell’Unione europea
La direttiva 2013/32/UE del Parlamento e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale (che ha proceduto alla rifusione della previgente direttiva 2005/85/CE) consente agli Stati membri dell’UE di applicare specifiche norme procedurali - in particolare procedure accelerate e svolte alla frontiera o in zone di transito - se il richiedente è cittadino di un Paese (o apolide in relazione a un Paese terzo di precedente residenza abituale) che è stato designato come Paese di origine sicuro dal diritto nazionale e che, inoltre, può essere considerato sicuro per il richiedente in funzione della sua particolare situazione.
Nello specifico, le norme sui Paesi di origine sicuri sono contenute negli articoli 36 e 37 della direttiva.
L’articolo 36 esplicita il concetto di Paese di origine sicuro e precisa che un Paese terzo può essere considerato Paese di origine sicuro per un determinato richiedente, previo esame individuale della domanda, solo se questi ha la cittadinanza di quel Paese ovvero è un apolide che in precedenza soggiornava abitualmente in quel Paese, e non ha invocato gravi motivi per ritenere che quel Paese non sia un Paese di origine sicuro nelle circostanze specifiche in cui si trova il richiedente stesso e per quanto riguarda la sua qualifica di beneficiario di protezione internazionale a norma della direttiva 2011/95/UE. Prevede inoltre che siano gli Stati membri a stabilire nel diritto nazionale ulteriori norme e modalità inerenti all’applicazione del concetto di Paese di origine sicuro.
L’articolo 37 dispone a sua volta che gli Stati membri abbiano la possibilità di mantenere in vigore o di introdurre una normativa che consenta, a norma dell’allegato I della medesima direttiva 2013/32/UE (vedi infra), di designare a livello nazionale Paesi di origine sicuri ai fini dell’esame delle domande di protezione internazionale.
L’articolo precisa che la valutazione volta ad accertare che un Paese è un Paese di origine sicuro deve basarsi su una serie di fonti di informazioni, comprese in particolare le informazioni fornite da altri Stati membri, dall’Ufficio europeo di sostegno per l’asilo (EASO)[64], dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR), dal Consiglio d’Europa e da altre organizzazioni internazionali competenti.
Allo stesso modo, al considerando 46 della direttiva si osserva che, qualora gli Stati membri applichino i concetti di Paese sicuro caso per caso o designino i Paesi sicuri adottando gli elenchi a tal fine, dovrebbero tener conto fra l’altro degli orientamenti e dei manuali operativi e delle informazioni relative ai Paesi di origine e alle attività, compresa la metodologia della relazione sulle informazioni del Paese di origine dell’EASO, nonché i pertinenti orientamenti dell’UNHCR.
Gli Stati membri sono tenuti infine a notificare alla Commissione europea i Paesi designati quali Paesi di origine sicuri.
Ad oggi non tutti gli Stati membri hanno adottato elenchi nazionali di Paesi di origine sicuri.
I criteri comuni per la designazione dei Paesi terzi di origine sicuri da parte degli Stati membri sono stabili all’allegato I della direttiva 2013/32/UE, il quale recita:
“Un Paese è considerato Paese di origine sicuro se, sulla base dello status giuridico, dell’applicazione della legge all’interno di un sistema democratico e della situazione politica generale, si può dimostrare che non ci sono generalmente e costantemente persecuzioni quali definite nell’articolo 9 della direttiva 2011/95/UE, né tortura o altre forme di pena o trattamento disumano o degradante, né pericolo a causa di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale.
Per effettuare tale valutazione si tiene conto, tra l’altro, della misura in cui viene offerta protezione contro le persecuzioni ed i maltrattamenti mediante:
a) le pertinenti disposizioni legislative e regolamentari del Paese ed il modo in cui sono applicate;
b) il rispetto dei diritti e delle libertà stabiliti nella Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e/o nel Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici e/o nella Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura, in particolare i diritti ai quali non si può derogare a norma dell’articolo 15, paragrafo 2, di detta Convenzione europea;
c) il rispetto del principio di “non-refoulement” conformemente alla convenzione di Ginevra;
d) un sistema di ricorsi effettivi contro le violazioni di tali diritti e libertà.”
Il sopra citato articolo 9 della direttiva 2011/95/UE (recante norme sull’attribuzione, a cittadini di Paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta) definisce “atti di persecuzione”, ai sensi dell’articolo 1 A della convenzione di Ginevra gli atti che:
a) sono, per loro natura o frequenza, sufficientemente gravi da rappresentare una violazione grave dei diritti umani fondamentali, in particolare dei diritti per cui qualsiasi deroga è esclusa a norma dell’articolo 15, paragrafo 2, della convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali; oppure
b) costituiscono la somma di diverse misure, fra cui violazioni dei diritti umani, il cui impatto sia sufficientemente grave da esercitare sulla persona un effetto analogo a quello di cui alla lettera a).
Al paragrafo 2 del medesimo articolo si precisa inoltre che gli atti di persecuzione che rientrano nella definizione di cui al paragrafo 1 possono, fra l’altro, assumere la forma di:
a) atti di violenza fisica o psichica, compresa la violenza sessuale;
b) provvedimenti legislativi, amministrativi, di polizia e/o giudiziari, discriminatori per loro stessa natura o attuati in modo discriminatorio;
c) azioni giudiziarie o sanzioni penali sproporzionate o discriminatorie;
d) rifiuto di accesso ai mezzi di ricorso giuridici e conseguente sanzione sproporzionata o discriminatoria;
e) azioni giudiziarie o sanzioni penali in conseguenza al rifiuto di prestare servizio militare in un conflitto, quando questo comporterebbe la commissione di crimini, reati o atti che rientrano nell’ambito dei motivi di esclusione di cui all’articolo 12, paragrafo 2[65].
Con l’approvazione del ‘nuovo patto sulla migrazione e l’asilo’, la direttiva 2013/32/UE verrà sostituita dal regolamento (UE) 2024/1348 che stabilisce una procedura comune di protezione internazionale nell’Unione. L’applicazione del regolamento è prevista a decorrere dal 12 giugno 2026, dopo due anni dalla pubblicazione in Gazzetta ufficiale dell’UE.
Il testo intende sostituire le varie procedure attualmente applicate negli Stati membri con un’unica procedura semplificata. Introduce, fra l’altro, una procedura di frontiera obbligatoria tesa a valutare rapidamente alle frontiere esterne dell’UE l’eventuale infondatezza o inammissibilità delle domande di asilo.
Il regolamento stabilisce inoltre norme armonizzate per la designazione dei Paesi sicuri[66].
In particolare, l’articolo 61 (“concetto di Paese di origine sicuro”) prevede che “un Paese terzo può essere designato Paese di origine sicuro a norma del presente regolamento soltanto se, sulla base della situazione giuridica, dell'applicazione della legge all'interno di un sistema democratico e della situazione politica generale, si può dimostrare che non ci sono persecuzioni quali definite all'articolo 9 del regolamento (UE) 2024/1347, né alcun rischio reale di danno grave quale definito all'articolo 15 di tale regolamento”.
Viene precisato inoltre che “la designazione di un Paese terzo come Paese di origine sicuro a livello sia dell'Unione che nazionale può essere effettuata con eccezioni per determinate parti del suo territorio o categorie di persone chiaramente identificabili”.
I Paesi terzi saranno designati Paesi di origine sicuri a livello dell’Unione (art. 62)[67].
Con riferimento alla designazione dei Paesi di origine sicuri, si fornisce di seguito la posizione assunta da alcuni fra gli Stati membri dell’UE.
Austria
L'articolo 19 della Bundesamt für Fremdenwesen und Asyl - Verfahrensgesetz BFA-VG prevede un elenco di Paesi di origine sicuri. Vi si precisa che tale elenco deve tenere conto principalmente dell'esistenza o dell'assenza di persecuzioni da parte dello Stato, della protezione dalle persecuzioni da parte di attori non statali e della protezione legale contro le violazioni dei diritti umani.
Secondo quanto riportato in Aida information database: Safe country of origin - Austria (ultimo aggiornamento 10 luglio 2024), l'elenco come modificato nel marzo 2022 comprende i seguenti Stati: Albania; Bosnia-Erzegovina; Repubblica del Nord Macedonia; Serbia; Montenegro; Kosovo; Benin; Mongolia; Marocco; Algeria; Tunisia; Georgia; Armenia; Ghana; Senegal; Namibia; Corea del Sud; Uruguay.
Belgio
Il concetto di Paese di origine sicuro è stato introdotto nella legge sugli stranieri dalla legge del 19 gennaio 2012, poi modificata dalla legge del 21 novembre 2017. Le domande provenienti da Paesi di origine sicuri sono esaminate con procedura accelerata (cfr. Aida information database: Safe country of origin - Belgio).
Il Belgio ha aggiornato l’elenco dei Paesi di origine sicuri il 12 maggio 2024 con il Regio decreto di attuazione dell'articolo 57/6/1, § 3, comma 4, della legge del 15 dicembre 1980 sull'accesso al territorio, il soggiorno, lo stabilimento e l'allontanamento degli stranieri, che stabilisce l'elenco dei Paesi di origine sicuri (pubblicato nella Gazzetta ufficiale belga il 27 maggio 2024). Questi sono: Albania, Bosnia-Erzegovina, India, Kosovo, Moldavia, Montenegro, Macedonia del Nord, Serbia. L'elenco viene rivisto almeno una volta all'anno e può essere aggiornato in base alla situazione più recente del Paese.
Francia
La nozione di Paese d'origine sicuro è stata introdotta nella legislazione francese con la legge del 10 dicembre 2003. La prima lista di Paesi di origine sicuri è stata stilata nel giugno 2005 dal Consiglio di amministrazione dell'Office français de protection des réfugiés et apatrides (OFPRA). Ogni volta che un Paese viene rimosso o aggiunto alla lista, le delibere del Consiglio di amministrazione vengono pubblicate sulla Gazzetta ufficiale (cfr. OFPRA).
Secondo quanto riportato in Aida information database: Safe country of origin - Francia (ultimo aggiornamento 10 luglio 2024), l'elenco dei Paesi considerati di origine sicura comprende i seguenti 13 paesi: Albania, Armenia, Bosnia-Erzegovina, Capo Verde, Georgia, India, Kosovo, Nord Macedonia, Mauritius, Moldavia, Mongolia, Montenegro, Serbia.
Germania
La Legge fondamentale tedesca definisce come Paesi d'origine sicuri i Paesi “nei quali, in base alle leggi, alle prassi esecutive e alle condizioni politiche generali, si può concludere con sicurezza che non esistono né persecuzioni politiche né pene o trattamenti inumani o degradanti” (articolo 16a della Legge fondamentale tedesca). In base a quanto disposto nella Sezione 29a della Legge sul diritto di asilo, la domanda di asilo di uno straniero proveniente da un Paese d'origine sicuro è respinta in quanto manifestamente infondata, a meno che i fatti o le prove prodotte dallo straniero non diano motivo di credere che egli rischi la persecuzione politica - ai sensi dell'articolo 3(1) o un danno grave ai sensi dell'articolo 4(1) della medesima legge - nel suo Paese d'origine. Gli Stati membri dell'Unione europea sono considerati per definizione Paesi di origine sicuri. L'elenco dei Paesi di origine sicuri è in allegato alla legge. Ogni due anni, il governo federale è tenuto a presentare al Bundestag una relazione che spieghi se i requisiti per la classificazione degli Stati come Paesi di origine sicuri continuano a essere soddisfatti. Se la situazione in un Paese di origine sicuro cambia e non può più essere considerato sicuro ai sensi della legge, il governo federale può emettere un decreto per rimuovere tale Paese dall'elenco per un periodo di 6 mesi (vd. Aida information database: Safe country of origin – Germania).
La Germania considera attualmente i seguenti Paesi come Paesi di origine sicuri: Albania, Bosnia-Erzegovina, Georgia, Ghana, Kosovo, Nord Macedonia, Montenegro, Moldavia, Senegal, Serbia (vd. anche il sito BAMFT 15.01.2024).
Paesi Bassi
Sul sito del governo dei Paesi Bassi, si riferisce che, se un richiedente asilo proviene da un Paese incluso nell'elenco dei Paesi di origine sicuri, la sua domanda viene trattata con procedura accelerata, poiché si ritiene che questi abbia poche possibilità di ottenere un permesso di soggiorno. L'elenco riporta i Paesi in cui, secondo il governo olandese, non si verificano generalmente le seguenti pratiche: persecuzioni per motivi, ad esempio, di razza o religione; tortura; trattamenti inumani (vd. anche Safe country of origin – Paesi Bassi). Inoltre, in base alla legge sugli stranieri, può dichiararsi il rigetto di una richiesta di asilo nel caso in cui il richiedente provenga da un Paese di origine sicuro.
I Paesi compresi nell’'elenco sono: Albania, Armenia, Bosnia Erzegovina, Brasile, Georgia, Ghana, India, Giamaica, Kosovo, Mongolia, Montenegro, Marocco, Nord Macedonia, Senegal, Serbia, Tunisia, Stati Uniti. Per quanto riguarda l’Ucraina, a causa della situazione, il suo status di Paese di origine sicuro è stato temporaneamente sospeso (vd. more information on how asylum applications by Ukrainians are dealt with).
Spagna
Il concetto di ‘Paese d'origine sicuro’ è definito in riferimento all'articolo 20, paragrafo 1, lettera d), della legge che disciplina il diritto di asilo e la protezione sussidiaria. In base a tale articolo, si ritiene che il richiedente asilo provenga da un Paese terzo sicuro qualora, in conformità con quanto previsto dalle norme dell’UE e tenuto conto della sua situazione particolare, la sua vita, la sua integrità e la sua libertà non siano minacciate a causa della razza, della religione, della nazionalità, dell’appartenenza a un gruppo sociale o delle sue opinioni politiche. La provenienza da un Paese d'origine considerato sicuro è condizione per l’applicazione di una procedura accelerata (articolo 25 della legge sull’asilo).
Secondo quanto riportato in Aida information database: Safe country of origin - Spagna (ultimo aggiornamento 10 luglio 2024), non esiste in Spagna una prassi diffusa sull'uso di tale concetto, anche se l'Audiencia Nacional ha dichiarato nel 2016 che il Marocco e l'Algeria si qualificano come Paesi di origine sicuri in quanto ‘Paesi terzi sicuri’, senza fare riferimento a criteri distinti. Tuttavia, negli ultimi anni il governo spagnolo sta concedendo protezione a cittadini marocchini in casi specifici, come quando si ritiene che esistano motivi di persecuzione di natura politica (ad esempio per chi proviene dalla regione del Rif) o con riferimento a persone LGTBI+ o soggette alla violenza di genere.
Per approfondimenti sull’applicazione del concetto di ‘Paese di origine sicuro’ negli Stati membri dell’UE vd. ‘Safe country of origin’ concept in EU+ countries’ e Recent changes in national lists of safe countries, a cura dell’Agenzia dell'Unione europea per l'asilo.
Secondo quanto riferito nella relazione Safe country of origin’ concept in EU+ countries, alla data del 9 giugno 2021 risultano 22 Paesi dell'UE+ ad aver adottato liste di Paesi di origine sicuri, ossia: Austria, Belgio, Croazia, Cipro, Cechia, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Ungheria, Islanda, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Malta, Paesi Bassi, Slovacchia, Slovenia, Svezia, Svizzera.
Articolo 12-ter
(Modifica dei requisiti per il richiedente ricongiungimento familiare)
L’articolo 12-ter, inserito nel corso dell’esame in sede referente, interviene in materia di ricongiungimento familiare dello straniero.
In primo luogo, chiarisce che possono richiedere il ricongiungimento di un familiare i titolari di permesso di soggiorno per asilo conseguente al riconoscimento della protezione internazionale.
In secondo luogo, introduce il requisito del soggiorno legale per almeno due anni nel territorio nazionale per i cittadini stranieri, ad esclusione dei titolari di permesso di soggiorno per protezione internazionale, che fanno richiesta di ricongiungimento familiare. Tale condizione non si applica in caso di ricongiungimento del figlio minore.
Il diritto all’unità familiare dello straniero è disciplinato dal testo unico in materia di immigrazione (TUIM, D.Lgs. 286/1998) agli articoli 28 e seguenti.
In particolare, l’articolo 28, comma 1, prevede che possono beneficiare del ricongiungimento familiare gli stranieri titolari di carta di soggiorno o di permesso di soggiorno di durata non inferiore a un anno rilasciato per motivi di lavoro subordinato o autonomo, per studio, per motivi religiosi o per motivi familiari, nonché gli stranieri in possesso di permesso di soggiorno per asilo.
La norma in esame, al comma 1, lettera a), interviene su quest’ultima categoria di beneficiari, in modo da chiarire che vi rientrano soltanto i titolari di permesso di soggiorno per asilo in conseguenza del riconoscimento della protezione internazionale, e non anche, dunque, i titolari di permesso di soggiorno per richiesta di riconoscimento dello status di protezione internazionale, né tantomeno i titolari di permesso di soggiorno rilasciato per altri motivi (ad esempio, per casi speciali o per protezione speciale).
Si rileva, tuttavia, che anche attualmente gli stranieri in attesa del riconoscimento dello status di rifugiato o di protezione sussidiaria non hanno diritto al ricongiungimento familiare (art. 28, comma 10, TUIM).
L'istituto della protezione internazionale comprende due distinte categorie giuridiche:
- il riconoscimento dello status di rifugiato, disciplinato dalla Convenzione di Ginevra, è accordato a chi sia esposto nel proprio Paese ad atti di persecuzione individuale, configuranti una violazione grave dei suoi diritti fondamentali;
- la protezione sussidiaria, di cui possono beneficiare i cittadini stranieri privi dei requisiti per il riconoscimento dello status di rifugiato, ossia che non sono in grado di dimostrare di essere oggetto di specifici atti di persecuzione, ma che, tuttavia, se ritornassero nel Paese di origine, correrebbero il rischio effettivo di subire un grave danno e che non possono o (proprio in ragione di tale rischio) non vogliono avvalersi della protezione del Paese di origine.
Qualora non ricorrano neanche i presupposti per la concessione della protezione sussidiaria, è possibile accordare allo straniero la protezione speciale nel caso in cui non può essere espulso verso uno Stato in cui possa essere oggetto di persecuzione per motivi di razza, di sesso, di orientamento sessuale, di identità di genere, di lingua, di cittadinanza, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali o sociali o qualora esistano fondati motivi di ritenere che esso rischi di essere sottoposto a tortura (D.Lgs. 286/1998, art. 19).
Per rilevanti esigenze umanitarie, in occasione di conflitti, disastri naturali o altri eventi di particolare gravità è possibile accordare la protezione temporanea degli sfollati, sulla base di un decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri (D.Lgs. 286/1998, art. 20).
Infine, l’ordinamento prevede altre forme di protezione di durata limitata in presenza di situazioni particolari. Si tratta della concessione di un permesso di soggiorno per casi speciali: per motivi di protezione speciale, per le vittime di violenza domestica e sfruttamento lavorativo, per cure mediche, per contingente ed eccezionale calamità naturale.
La categoria dei permessi di soggiorno di soggiorno per casi speciali è stato introdotto dal DL 113/2018 in sostituzione del precedente istituto generale del permesso di soggiorno per motivi umanitari.
Sulla riforma operata dal D.L. 113/2018 è intervenuta la Corte costituzionale (sent. 194/2019) che ha dichiarato inammissibili le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 1, 12 e 13 del decreto-legge n. 113/2018, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 132/2018, promosse da alcune Regioni, a giudizio delle quali (tra altre ragioni) la sostituzione di un permesso di soggiorno di carattere generale con alcune fattispecie tipizzate avrebbe determinato "una restrizione dell’ambito di applicazione della protezione per motivi umanitari", con conseguente violazione di numerosi parametri costituzionali, europei e internazionali, nonché con ricadute, sia pure indirette, sulle competenze concorrenti e residuali delle Regioni. Pronunciandosi su tale punto, la Corte ricorda che il sistema della protezione dello straniero in Italia è articolato su tre livelli: il riconoscimento dello status di rifugiato, la protezione sussidiaria e la protezione umanitaria.
Dunque lo status di rifugiato e la protezione sussidiaria, sono accordati - in osservanza di obblighi europei e internazionali - il primo per proteggere la persona da atti di persecuzione, la seconda per evitare che questa possa subire un grave danno; la protezione umanitaria è rimessa, invece, in larga misura alla discrezionalità dei singoli Stati, per rispondere a esigenze umanitarie, caritatevoli o di altra natura.
Ricorda altresì come la protezione umanitaria, di cui al previgente art. 5, comma 6, del testo unico delle disposizioni in materia di immigrazione (D.Lgs. 286/1998), abbia "ricevuto ampia applicazione nella prassi giurisprudenziale, che ne ha via via precisato i contorni".
In particolare, nella sentenza in commento sono menzionate le seguenti pronunce della Cassazione:
- il permesso di soggiorno per motivi umanitari si collega al diritto di asilo costituzionale, di cui all’art. 10, terzo comma, Cost., oltre che alla «protezione complementare» che la normativa europea consente agli Stati membri di riconoscere, anche per motivi umanitari o caritatevoli, alle persone che non possono rivendicare lo status di rifugiato e neppure beneficiare della protezione sussidiaria, benché siano minacciate nei propri diritti fondamentali in caso di rinvio nel Paese d’origine (così, tra le molte, Cassazione civile, Sezioni unite, sentenze 11 dicembre 2018, n. 32177 e n. 32044);
- i «seri motivi umanitari» sono tutti accomunati dallo scopo di tutelare situazioni di vulnerabilità attuali o accertate, con giudizio prognostico, come conseguenza discendente dal rimpatrio dello straniero, in presenza di un’esigenza concernente la salvaguardia di diritti umani fondamentali protetti a livello costituzionale e internazionale (Corte di Cassazione, Sezione I civile, ordinanza 12 novembre 2018, n. 28996).
La lettera b) del comma 1 prevede che gli stranieri di cui sopra – che possono beneficiare del ricongiungimento familiare –, ad eccezione di quelli in possesso di permesso di soggiorno per asilo conseguente al riconoscimento della protezione internazionale, devono aver maturato, al momento della richiesta di ricongiungimento, un periodo di soggiorno legale nel territorio nazionale pari ad almeno due anni consecutivi.
Tale condizione si applica a tre delle quattro categorie di soggetti per i quali è possibile richiedere il ricongiungimento, vale a dire:
§ il coniuge non legalmente separato e di età non inferiore ai diciotto anni;
§ i figli maggiorenni a carico, qualora per ragioni oggettive non possano provvedere alle proprie indispensabili esigenze di vita in ragione del loro stato di salute che comporti invalidità totale;
§ i genitori a carico, qualora non abbiano altri figli nel Paese di origine o di provenienza, ovvero i genitori ultrasessantacinquenni, qualora gli altri figli siano impossibilitati al loro sostentamento per documentati, gravi motivi di salute.
Restano, dunque, esclusi dall’ambito di applicazione del requisito introdotto dall’intervento normativo in esame i figli minori, per i quali può essere richiesto il ricongiungimento anche in mancanza della permanenza consecutiva di due anni del genitore.
Il comma 2 reca una clausola di salvaguardia che fa salve le deroghe previste dal TUIM e dalla normativa europea.
Articolo 12-quater
(Requisiti di idoneità dell’alloggio per finalità di ricongiungimento familiare)
L’articolo 12-quater, introdotto in sede referente, prevede che la valutazione di conformità dell’alloggio, ai fini della domanda di ricongiungimento familiare, è subordinata alla verifica del numero degli occupanti nonché dei requisiti minimi di superficie ed igienico-sanitari dei locali d’abitazione stabiliti dal decreto del Ministro della sanità 5 luglio 1975.
In merito, si ricorda che in base alle disposizioni del TU immigrazione (art. 29, co 3, lett. a)), lo straniero che richiede il ricongiungimento, oltre al possesso di un titolo di soggiorno tra quelli indicati all’articolo 28 (si v. supra, la scheda dell’articolo 12-ter), deve dimostrare la disponibilità di alcuni requisiti, tra cui un alloggio conforme ai requisiti igienico-sanitari, nonché di idoneità abitativa, accertati dai competenti uffici comunali. La disposizione specifica ulteriormente che nel caso di un figlio di età inferiore agli anni quattordici al seguito di uno dei genitori, è sufficiente il consenso del titolare dell'alloggio nel quale il minore effettivamente dimorerà.
Gli ulteriori requisiti previsti dalla legge ai fini della domanda di ricongiungimento sono la disponibilità:
- di un reddito minimo annuo derivante da fonti lecite non inferiore all'importo annuo dell'assegno sociale, che per il 2024 corrisponde alla cifra di 534,41 euro per tredici mensilità, aumentato della metà di tale importo per ogni familiare da ricongiungere; per il ricongiungimento di due o più figli di età inferiore ai quattordici anni è richiesto, in ogni caso, un reddito non inferiore al doppio dell'importo annuo dell'assegno sociale, a tal fine si tiene conto del reddito annuo complessivo dei familiari conviventi con il richiedente;
- di un’assicurazione sanitaria o di altro titolo idoneo a garantire la copertura di tutti i rischi nel territorio nazionale a favore dell'ascendente ultrasessantacinquenne ovvero della sua iscrizione al Servizio sanitario nazionale, previo pagamento di un contributo.
Pertanto, la conformità dell’alloggio deve essere accertata dai competenti uffici comunali. A tal fine, l’interessato deve produrre l’attestazione dell’ufficio comunale circa la sussistenza dei requisiti ovvero il certificato di idoneità igienico-sanitaria rilasciato dall’Azienda unità sanitaria locale competente per territorio (v. art. 6, co. 1), lett. c), d.P.R. n. 394/1999, di esecuzione del TU immigrazione).
In materia è intervenuta la circolare del Ministero dell’interno del 18 novembre 2009, n. 7170, a chiarire, allo scopo di individuare parametri di idoneità abitativa uniformi sul territorio nazionale, che «i Comuni, nel rispetto della loro autonomia, nel rilasciare la certificazione relativa all’idoneità abitativa, possono fare riferimento alla normativa contenuta nel decreto 5 luglio del 1975 del Ministero della sanità».
In linea generale, i requisiti relativi all’idoneità abitativa sono quelli contenuti nel Decreto del 5 luglio 1975 del Ministero della Sanità, che stabilisce i requisiti igienico-sanitari principali dei locali di abitazione e che precisa anche i requisiti minimi di superficie degli alloggi, in relazione al numero previsto degli occupanti.
La normativa richiamata stabilisce dei valori minimi per la dimensione dell’alloggio in funzione delle persone che lo devono abitare:
- 1 abitante – 14 mq;
- 2 abitanti – 28 mq;
- 3 abitanti – 42 mq;
- 4 abitanti – 56 mq;
Per ogni abitante successivo + 10 mq
Le stanze da letto debbono avere una superficie minima di mq 9, se per una persona, e di mq 14, se per due persone.
Ogni alloggio deve essere dotato di una stanza di soggiorno di almeno mq 14.
Gli alloggi dovranno avere una altezza minima di 2,70 m derogabili a 2,55 m per i comuni montani e a 2,40 m per i corridoi, i bagni, i disimpegni ed i ripostigli.
La superficie non è l’unico requisito da rispettare, ma ne esistono diversi, quali l’igiene, il riscaldamento, l’umidità, la ventilazione, l’illuminazione ecc.
La certificazione attestante l’idoneità dell’alloggio, deve essere richiesta all’Ufficio Tecnico del Comune o, in via alternativa, all’Ufficio di Igiene Pubblica dell’A.S.L. La richiesta del certificato di idoneità alloggiativa può essere fatta dal proprietario dell’alloggio, dall’affittuario o dal soggetto che è residente o domiciliato o ospite nell’immobile.
La circolare ministeriale 17/04/2012 n. 3 ha chiarito che l’attestato di idoneità alloggiativa non è un certificato, ma rappresenta un attestato di conformità tecnica reso dagli uffici tecnici comunali. Tale attestato quindi non può essere sostituito da un’autodichiarazione.
Con la modifica che si intende introdurre al TU:
§ si stabilisce che, ai fini della idoneità alloggiativa, dovrà essere altresì verificato il numero degli occupanti dell’alloggio: alla luce della formulazione, sembrerebbe che tale verifica spetti comunque agli uffici comunali;
§ si specifica nella legge che l’idoneità alloggiativa debba essere verificata sulla base dei requisiti previsti dal decreto del Ministro della sanità 5 luglio 1975, che stabilisce i requisiti igienico-sanitari principali dei locali di abitazione e che precisa anche i requisiti minimi di superficie degli alloggi, in relazione al numero previsto di occupanti. Rispetto a quanto stabilito dalla disciplina vigente – che, come anticipato, configura quale mera facoltà l’osservanza, da parte dei comuni, della normativa di cui al citato DM ai fini del rilascio della certificazione di idoneità abitativa –, la modifica in commento introduce l’obbligo di procedere alla verifica dei requisiti ivi previsti.
Articolo 13
(Ulteriori disposizioni sulla procedura in frontiera dei richiedenti la protezione internazionale)
L’articolo 13 reca alcune modifiche normative riguardanti l’applicazione delle procedure di protezione internazionale in frontiera e le procedure di trattenimento degli stranieri rinvenuti nel corso di attività di sorveglianza delle frontiere esterne dell’Unione Europea o in operazioni di soccorso in mare. In particolare: viene introdotta nel TU immigrazione una nuova ipotesi di respingimento applicabile agli stranieri rintracciati in occasione dei servizi di sorveglianza delle frontiere dell’UE e condotti nelle zone di frontiera o di transito (comma 1); si prevede, con una modifica al decreto procedure, che nel caso in cui al richiedente si applichi la procedura di esame della domanda in frontiera, la decisione di rigetto reca l’attestazione dell’obbligo di rimpatrio che produce gli effetti del provvedimento di respingimento (comma 2).
Con ulteriori modificazioni al c.d. decreto accoglienza: si modifica la disciplina dell’attestato nominativo, prevedendone il rilascio, in luogo del permesso di soggiorno per richiesta asilo, in tutte le ipotesi di trattenimento del richiedente disciplinate dal decreto e stabilendo che l’attestato, oltre a certificare la qualità di richiedente, attesta l’identità dichiarata dall’interessato (comma 3, lett. a); viene estesa la possibilità di trattenere lo straniero, durante lo svolgimento della procedura accelerata di esame della domanda alla frontiera, non solo in caso mancata consegna di un documento di riconoscimento ovvero di mancata garanzia finanziaria, anche nelle more del perfezionamento della procedura concernente la prestazione della garanzia finanziaria, ossia nel periodo intercorrente tra la manifestazione della volontà di prestare tale garanzia ed il perfezionamento della relativa procedura, nonché si prevede che anche al richiedente che non è trattenuto si applica comunque la procedura accelerata in frontiera ed è rilasciato l’attestato nominativo, in luogo del permesso di soggiorno per richiesta asilo (comma 3, lett. b).
Il comma 1 introduce un’ulteriore ipotesi di respingimento con accompagnamento alla frontiera, che si può applicare nei confronti degli stranieri rintracciati, anche a seguito di soccorso in mare, nel corso di attività di sorveglianza delle frontiere esterne dell’UE svolte ai sensi del codice Schengen e condotti nelle zone di frontiera o di transito.
A tal fine, la disposizione modifica il TU immigrazione, introducendo una lettera b-bis) al comma 2 dell’articolo 10, che come noto disciplina l’istituto del respingimento.
Si ricorda in proposito che l’articolo 10 TU immigrazione disciplina due tipi di respingimento: al comma 1, prescrive che la polizia respinge gli stranieri che si presentino ai valichi di frontiera sprovvisti dei requisiti previsti per l’ingresso dal codice delle frontiere Schengen (regolamento UE n. 399/2016) e dal medesimo testo unico. Si tratta del c.d. respingimento immediato. Il comma 2, a cui la disposizione in esame aggiunge una nuova lettera, disciplina due ipotesi di respingimento, cosiddetto differito, dello straniero, entrambe con accompagnamento coattivo alla frontiera. In particolare esso prevede che il questore adotti tale provvedimento nei confronti degli stranieri che, «entrando nel territorio dello Stato sottraendosi ai controlli di frontiera, sono fermati all’ingresso o subito dopo» (lettera a) e degli stranieri che, presentatisi ai valichi di frontiera senza avere i requisiti legali per l’ingresso nel territorio dello Stato, vi sono temporaneamente ammessi per necessità di pubblico soccorso (lettera b). Il respingimento differito, che si applicherà anche alla nuova fattispecie prevista, è deciso con decreto del questore e comporta l’accompagnamento coattivo alla frontiera. Il decreto deve essere comunicato entro quarantotto ore al giudice di pace per la convalida, che interviene entro le successive quarantotto ore.
Come riconosciuto più volte dalla Corte costituzionale (sentenze n. 222 del 2004 e n. 105 del 2001 e, da ultimo il monito contenuto nella sentenza n. 275 del 2017), il respingimento differito con accompagnamento alla frontiera restringe la libertà personale e richiede di conseguenza di essere disciplinato in conformità all’art. 13, terzo comma, Cost. Al monito hanno fatto seguito le correzioni all’art 10 TU immigrazione apportate con il D.L. 113 del 2018, che prevede l'estensione al provvedimento di respingimento dell'applicazione delle disposizioni circa la convalida da parte del giudice di pace e la ricorribilità innanzi all'autorità giudiziaria, già vigenti per il provvedimento di espulsione (art. 10, co. 2-bis, TUI).
La modifica introdotta estende pertanto la possibilità di disporre il respingimento con accompagnamento coattivo alla frontiera anche nei confronti degli stranieri rintracciati in operazioni di controllo alle frontiere, ivi incluse quelle di soccorso in mare, e condotti nelle zone di transito e di frontiera individuate ai fini dell’applicazione delle procedure accelerate alle domande di protezione internazionale ex art. 28-bis, co. 4, del decreto procedure.
Si ricorda in proposito che l’articolo 28-bis, comma 4, demanda ad un decreto ministeriale l’individuazione delle aree di frontiera o di transito, in cui è applicabile, in presenza di determinati presupposti, una procedura accelerata di esame delle richieste di protezione internazionale. Il DM 5 agosto 2019 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 7 settembre 2019, n. 210) ha individuato nelle seguenti province le zone di frontiera o di transito ai fini dell'attuazione della procedura accelerata di esame della richiesta di protezione internazionale:
? Trieste, Gorizia;
? Crotone, Cosenza, Matera, Taranto, Lecce, Brindisi;
? Caltanissetta, Ragusa, Siracusa, Catania, Messina;
? Trapani, Agrigento;
? Città Metropolitana di Cagliari, Sud Sardegna.
Si ricorda altresì che la legge n. 14 del 2024, di ratifica del Protocollo tra il Governo della Repubblica italiana e il Consiglio dei ministri della Repubblica di Albania per il rafforzamento della collaborazione in materia migratoria, ha equiparato le aree concesse in uso all’Italia da parte dell’Albania alle zone di frontiera o di transito, ex articolo 28-bis, comma 4.
Il comma 2 introduce due diverse modifiche al D.Lgs. n. 25/2008, di seguito indicato come “decreto procedure”.
Con la prima si specificano, con riferimento ai contenuti dell’opuscolo informativo che viene consegnato al richiedente all’atto della presentazione della domanda di protezione internazionale, che esso illustra i principali diritti e doveri del richiedente «durante la procedura di esame della domanda» e non, come nella vigente formulazione, i diritti e i doveri riferiti alla sua permanenza in Italia (lettera a), che modifica l’art. 10, co. 2, lett. b) del decreto).
Come si legge nella relazione illustrativa, la disposizione pare finalizzata anche a dare puntuale applicazione delle disposizioni recate dal Protocollo tra il Governo italiano e il Consiglio dei Ministri albanese, del 6 novembre 2023.
Ai sensi del citato articolo 10, l’opuscolo informativo è redatto dalla Commissione nazionale e serve ad illustrare al richiedente, oltre ai principali diritti e doveri (come modificati dalla novella in commento):
a) le fasi della procedura per il riconoscimento della protezione internazionale, comprese le conseguenze dell’allontanamento ingiustificato dai centri;
b) le prestazioni sanitarie e di accoglienza e le modalità per riceverle;
c) l'indirizzo ed il recapito telefonico dell'UNHCR e delle principali organizzazioni di tutela dei richiedenti protezione internazionale, nonché informazioni sul servizio gratuito di informazione di cui al comma 2-bis;
d) l'elenco dei Paesi designati di origine sicuri.
L’ulteriore intervento recato dalla lettera b) del comma 2 riguarda le ipotesi nelle quali, all’esito dell’esame della domanda di asilo, scatta l’obbligo per il richiedente di lasciare il territorio nazionale: tali ipotesi sono enumerate dall’articolo 32, comma 4, del decreto procedure, come riformulato ad opera del D.L. 20/2023, in cui si stabilisce che il provvedimento di diniego, alla scadenza del termine per l’impugnazione, comporta l’obbligo di lasciare il territorio nazionale ed è direttamente comprensivo anche dell’attestazione dell’obbligo di rimpatrio e del divieto di reingresso del richiedente.
La norma vigente prevede a tal fine che «l’attestazione tiene luogo e produce gli effetti del provvedimento di espulsione amministrativa di cui all’art. 13 del decreto legislativo 25 luglio 1998 n. 286, e il Questore procede ai sensi del medesimo articolo. In sostanza, la disposizione stabilisce l’unificazione del provvedimento negativo della Commissione territoriale (o della Commissione nazionale asilo) e del conseguente provvedimento di rimpatrio dello straniero. Pertanto tale decisione può essere impugnata in Tribunale con un ricorso unitario.
Rispetto a tale quadro la lettera b) aggiunge un nuovo comma 4-bis all’articolo 32, ai sensi del quale, nei medesimi casi di cui all’articolo 32, comma 4, primo periodo – ossia nei casi di rigetto della domanda di protezione internazionale (ai sensi dell’art. 32, comma 1), di inammissibilità della domanda reiterata presentata ai sensi degli artt. 29 o 29-bis e, infine, di dichiarazione di estinzione del procedimento a seguito di ritiro esplicito dell’istanza da parte del richiedente ai sensi dell’art. 23 – qualora però la procedura di esame della domanda di protezione internazionale si svolga direttamente alla frontiera o nelle zone di transito ai sensi dell’art. 28-bis, comma 2-bis (ossia domanda presentata da straniero proveniente da un Paese di origine designato come “sicuro”[68] oppure da uno straniero fermato per aver eluso (o tentato di eludere) i relativi controlli), la decisione reca l’attestazione dell’obbligo di rimpatrio e produce gli effetti del provvedimento di respingimento ex art. 10, co. 2, lett. b-bis, TU immigrazione.
La novella specifica che anche in questo caso trova applicazione l’ultimo periodo del comma 4 dell’articolo 32, e pertanto il provvedimento può essere impugnato con ricorso unitario.
Nell’attuale legislatura, il decreto-legge n. 20 del 2023, come convertito (art. 7, co. 1, lett. b)), ha ampliato la casistica delle procedure accelerate di esame della domanda di protezione internazionale, includendovi il caso di domanda di protezione internazionale presentata direttamente alla frontiera (o nelle zone di transito) da straniero proveniente da un Paese di origine designato come “sicuro” oppure da uno straniero fermato per aver eluso (o tentato di eludere) i relativi controlli (art. 28-bis, comma 2, lett. b) e lett. b-bis), D.Lgs. n. 25 del 2008). Per questi casi sono stati previsti termini più brevi di quelli stabiliti in generale per le altre evenienze di procedure accelerate: non più sette giorni dalla ricezione della domanda più due per la decisione (art. 28-bis, co. 1), bensì la procedura può essere svolta direttamente alla frontiera (o nelle zone di transito) e la Commissione territoriale è chiamata a decidere nel termine complessivo di sette giorni decorrenti dalla ricezione della domanda (art. 28-bis, co. 2-bis).
Il comma 3 dell’articolo in esame reca alcune modificazioni al decreto legislativo 18 agosto 2015, n. 142, che disciplina, in attuazione della direttiva 2013/33/UE, nonché della direttiva 2013/32/UE, il sistema di accoglienza dei richiedenti protezione internazionale (c.d. decreto accoglienza).
Alla lettera a) è modificato l’articolo 4, comma 2, del decreto, che disciplina contenuto e modalità di rilascio dell’attestato nominativo, che certifica la qualità di richiedente protezione internazionale a coloro che sono trattenuti in un centro di permanenza per il rimpatrio.
Generalmente, al richiedente protezione internazionale è rilasciato un permesso di soggiorno per richiesta asilo che costituisce documento di riconoscimento (art. 4, comma 1, D.Lgs. 142/2015). Nel caso in cui il richiedente è trattenuto in un CPR, in luogo del permesso di soggiorno è rilasciato un attestato da parte della questura che certifica la sua qualità di richiedente protezione internazionale, ma non certifica l'identità del richiedente (art. 4, comma 2, D.Lgs. 142/2015).
Con le modifiche introdotte:
§ si prevede che il rilascio dell’attestato nominativo, in luogo del permesso di soggiorno per richiesta asilo, avvenga in tutte le ipotesi di trattenimento del richiedente disciplinate dal decreto e non solo in quelle previste all’articolo 6 (artt. 6 e 6-bis, D.Lgs. 142/2015) (lettera a), n. 1.1);
§ si specifica il contenuto dell’attestato nominativo, che deve recare il codice unico d’identità, assegnato in esito alle attività di foto-segnalamento svolte, la fotografia del titolare e le generalità dichiarate dal richiedente (lettera a), n. 1.2);
§ si conferma che l’attestato ha effetti di certificazione quanto alla qualità di richiedente protezione internazionale, aggiungendo altresì che lo stesso è funzionale altresì ad attestare l’identità dichiarata dall’interessato nel corso delle attività di foto-segnalamento e consente il riconoscimento del titolare ai sensi del Testo unico in materia di documentazione amministrativa, ossia costituisce documento di riconoscimento, con il quale s’intende ogni documento munito di fotografia del titolare e rilasciato, su supporto cartaceo, magnetico o informatico, da una pubblica amministrazione italiana o di altri Stati, che consenta l'identificazione personale del titolare (art. 1, co. 1, lett. c), DPR n. 445/2000). Nella versione finora vigente, invece, la disposizione del decreto accoglienza stabiliva solo che l’attestato non certifica l’identità del richiedente.
In altri termini, la nuova riformulazione dell’articolo 4, co. 2, del decreto accoglienza, rende di portata generale la disposizione già prevista dall’articolo 3, comma 5, della legge di ratifica del Protocollo con l’Albania n. 14 del 2024, per il richiedente asilo trattenuto nelle strutture situate in Albania, sia quelle equiparate ad hotspot, sia quelle equiparate ai CPR.
Alla lettera b) del medesimo comma 3 sono introdotte tre modifiche all’articolo 6-bis del decreto accoglienza, che disciplina il trattenimento dello straniero durante lo svolgimento della procedura in frontiera (ex art. 28-bis, co. 2, lett. b) e b-bis)) fino alla decisione sull’eventuale istanza di sospensione dell’efficacia esecutiva del provvedimento di rigetto della medesima domanda.
Il decreto-legge n. 20 del 2023 ha introdotto con riguardo ai richiedenti di cui all’articolo 28-bis, co. 2, lett. b) e b-bis), del decreto procedure (ossia straniero proveniente da un Paese di origine designato come “sicuro” oppure da uno straniero fermato per aver eluso (o tentato di eludere) i relativi controlli), una nuova ipotesi di trattenimento, stabilendo che in questi casi il richiedente che non abbia consegnato il «passaporto o altro documento equipollente» o che non abbia prestato «idonea garanzia finanziaria», possa essere trattenuto durante lo svolgimento della procedura accelerata di esame della domanda di protezione internazionale presentata alla frontiera (o nelle zone di transito), «al solo scopo di accertare il diritto ad entrare nel territorio dello Stato» (art. 6-bis del D.Lgs. n. 142 del 2015). Il trattenimento, che può avvenire in appositi locali presso gli hotspot ovvero, in casi di arrivi consistenti e ravvicinati, nei centri di accoglienza prossimi alla frontiera o alla zona di transito, non può protrarsi oltre il tempo necessario per lo svolgimento della procedura di frontiera e non oltre le quattro settimane[69].
La prima modifica serve a correggere un riferimento normativo nel corpo del comma 1 del citato articolo 6-bis: infatti, in caso di procedura in frontiera i termini sospensivi sono disciplinati dall’articolo 35-ter del decreto procedure, e non come finora indicato, dall’articolo 35-bis, co. 4 (lettera b), n. 1).
La seconda modifica sostituisce il primo periodo del comma 2 dell’articolo 6-bis al fine di estendere la possibilità di trattenere lo straniero anche nelle more del perfezionamento della procedura concernente la prestazione della garanzia finanziaria, ossia nel periodo intercorrente tra la manifestazione della volontà di prestare tale garanzia ed il perfezionamento della relativa procedura (lettera b), n. 2).
Come specificato nella relazione illustrativa del provvedimento, tale disposizione è volta ad evitare che la manifestazione di volontà di prestare la garanzia - in attesa del completamento del relativo iter procedurale - possa diventare uno strumento di elusione delle disposizioni vigenti in materia di trattenimento, impedendo che lo straniero possa rendersi irreperibile in quel periodo.
L’ultima modifica (lettera b), n. 3), aggiungendo un nuovo comma 2-bis, precisa, al fine di evitare dubbi in sede applicativa (secondo quanto specificato nella relazione illustrativa del disegno di legge di conversione) che al richiedente sottoposto alla procedura di frontiera che non è trattenuto ai sensi del comma 1 del medesimo articolo 6-bis, avendo evidentemente consegnato il passaporto o prestato la garanzia finanziaria:
§ si applica comunque la procedura accelerata in frontiera di cui all’articolo 28-bis, comma 2-bis, del decreto procedure e, in caso di ricorso, la sospensione di cui all’art. 35-ter. Si tratta di una esplicitazione, in quanto la portata normativa della disposizione era evincibile dalle stesse previsioni dell’articolo 28-bis, comma 2-bis;
§ è rilasciato l’attestato nominativo di cui all’articolo 4, comma 2, come modificato dal decreto in esame, in luogo del permesso di soggiorno per richiesta asilo. In tal caso, invece, si tratta di una deroga alla disposizione generale di cui al citato articolo 4, co. 2, che prevede il rilascio dell’attestato nominativo solo in caso di trattenimento.
Articolo 14
(Ritiro implicito della domanda di protezione internazionale)
L’articolo 14 introduce una disciplina organica in tema di ritiro implicito della domanda di protezione internazionale, in particolare includendovi, oltre all’allontanamento ingiustificato dalle strutture di accoglienza o di trattenimento, l’ipotesi di mancata presentazione del richiedente al colloquio personale davanti alla Commissione territoriale, nonostante regolare notificazione della convocazione, indipendentemente dal fatto che si sia allontanato o meno dal luogo di accoglienza o di trattenimento. In tali casi, si prevede che la Commissione territoriale possa non solo sospendere l’esame della domanda, ove non siano ricavabili elementi di valutazione della stessa, ma altresì decidere il rigetto, ove la ritenga infondata in base ad un adeguato esame del merito. In caso di sospensione, il richiedente potrà chiederne per una sola volta la riapertura, entro nove mesi, decorsi i quali il procedimento sarà automaticamente estinto. Si specifica, infine, che in caso di domanda presentata da richiedente che proviene da un Paese di origine sicuro nell’ambito di una procedura accelerata, fatta salva la possibilità di un esame del merito, l’allontanamento ingiustificato o la mancata presentazione al colloquio determinano il mancato assolvimento, da parte del richiedente, dell’onere di dimostrare la sussistenza di gravi motivi per ritenere il Paese non sicuro in relazione alla sua situazione particolare.
La principale novità introdotta dall’articolo in commento sta nella integrale sostituzione del dettato dell’articolo 23-bis del c.d. decreto procedure (D.Lgs. n. 25/2008), che finora ha disciplinato una sola ipotesi di ritiro implicito della domanda di protezione internazionale in seguito ad allontanamento ingiustificato del richiedente asilo dalle strutture di accoglienza ovvero a sottrazione alla misura del trattenimento, al fine di introdurre una più ampia ed organica disciplina della materia, dove confluiscono ulteriori casi. Lo scopo della riformulazione, secondo la relazione illustrativa, è di razionalizzare la materia coordinando diverse previsioni relative alle situazioni di assenza, irreperibilità ed allontanamento ingiustificato del richiedente asilo attualmente contenute nel decreto procedure.
Sul punto si ricorda che in base alla normativa europea (articolo 28 della direttiva 2013/32/UE) gli Stati membri possono fissare termini od orientamenti in materia di ritiro implicito della domanda o di rinuncia ad essa. Al contempo, però, si stabilisce che gli Stati sono tenuti a garantire al richiedente che si ripresenta all'autorità competente dopo che è stata presa la decisione di sospendere l’esame della sua domanda, il diritto di chiedere la riapertura del suo caso o di presentare una nuova domanda. In particolare gli Stati possono prevedere un termine di almeno nove mesi dopo il quale un caso non può più essere riaperto oppure la nuova domanda può essere trattata come domanda reiterata. Gli Stati membri possono prevedere che il caso del richiedente sia riaperto solo una volta così come possono autorizzare l'autorità accertante a riprendere l'esame della domanda dal momento in cui è stato sospeso.
A livello di quadro normativo interno, l’articolo 23 del decreto procedure disciplina la diversa ipotesi di una volontà esplicita di ritirare la domanda da parte del richiedente prima dell’audizione presso la competente Commissione territoriale, che deve essere formalizzata per iscritto e comunicata alla Commissione territoriale, che dichiara l’estinzione del procedimento.
Nel 2015 è stato introdotto l’articolo 23-bis, più volte modificato, che disciplina l’ipotesi di allontanamento ingiustificato del richiedente dalle strutture di accoglienza ovvero il caso in cui egli si sia sottratto alla misura del trattenimento negli hotspot o nei Centri di permanenza per i rimpatri (CPR) senza avere sostenuto il colloquio con la Commissione, stabilendo al riguardo che la Commissione territoriale dinanzi alla quale la domanda è pendente ne sospenda l’esame (comma 1). In tal caso, la norma garantisce altresì la possibilità al richiedente, che può essere esercitata una sola volta, di chiedere entro nove mesi la riapertura del procedimento di esame della domanda di protezione internazionale. Trascorso tale termine l’estinzione del procedimento si produce in via automatica. Lo straniero può successivamente (ri)manifestare l’intenzione di chiedere la protezione internazionale ed, in tal caso, la domanda viene trattata come domandata reiterata ai sensi dell’articolo 29-bis del decreto procedure.
Il nuovo articolo 23-bis, introdotto dal comma 1, lettera c) dell’articolo in esame (si v. in calce, il testo a fronte tra la precedente e la nuova formulazione) prevede che la domanda di protezione internazionale si intenda implicitamente ritirata in due fattispecie (comma 1):
a) nel caso in cui il richiedente, prima di essere convocato per il colloquio con la Commissione territoriale per il diritto di asilo (disciplinato dell’articolo 12 del decreto procedure), si allontana senza giustificato motivo dalle strutture di accoglienza ovvero si sottrae alla misura del trattenimento (cioè l’ipotesi già considerata dal previgente art. 23-bis). Rispetto a tale ipotesi, si chiarisce che resta salvo quanto disposto dall’articolo 6, co. 3-bis, del decreto procedure, ai sensi del quale ove lo straniero non si presenti presso l’ufficio di polizia territorialmente competente per la verifica dell’identità dal medesimo dichiarata e la formalizzazione della domanda di protezione internazionale, la manifestazione di volontà precedentemente espressa non costituisce domanda e il procedimento non s’intende instaurato;
b) nel caso in cui il richiedente non si presenta al colloquio personale disposto dalla Commissione (cioè indipendentemente dal fatto che il richiedente risulti ospitato nelle strutture di accoglienza o di trattenimento e/o che se ne sia allontanato) e la notificazione della convocazione è stata effettuata ai sensi dell’articolo 11 comma 3 o 3-bis, ovvero si intende eseguita ai sensi del comma 3-ter del medesimo articolo, che appunto disciplinano le notificazioni degli atti e dei provvedimenti al richiedente asilo.
In proposito si ricorda che fattispecie analoga era finora considerata all’articolo 12, comma 4, del decreto procedure, ai sensi del quale, ove il cittadino straniero, benché regolarmente convocato, non si presentasse al colloquio senza aver chiesto rinvio, l’autorità decidente decideva sulla base della documentazione disponibile. Tale disposizione, che appare superata dal nuovo articolo 23-bis, è contestualmente abrogata dal comma 1, lettera b) dell’articolo in commento. A differenza della norma abrogata, nella nuova ipotesi di ritiro implicito per assenza al colloquio non si fa alcun riferimento alla eventualità di una richiesta di rinvio del colloquio da parte dello straniero. Si valuti un approfondimento in merito alla questione, come ricostruita in base alla normativa previgente.
Con una disposizione di carattere innovativo, il nuovo articolo 23-bis dispone che in entrambe le due riformulate ipotesi di ritiro implicito della domanda, la Commissione territoriale può (nuovo comma 2):
§ rigettare la domanda se la ritiene infondata in base ad un adeguato esame del merito, in linea con l’articolo 3 del decreto legislativo 19 novembre 2007, n. 251 che reca la disciplina generale dei criteri di valutazione delle domande di protezione internazionale;
§ ovvero sospenderne l’esame, come già previsto, ma ora alla condizione che dalla domanda non siano ricavabili elementi di valutazione della stessa.
Ai sensi del comma 3 della novella, come previsto ora, in caso di sospensione del procedimento, il richiedente potrà chiederne per una sola volta la riapertura, entro nove mesi dalla sospensione, decorsi i quali il procedimento sarà automaticamente estinto.
Il successivo comma 4 disciplina il caso specifico di domanda presentata da richiedente che proviene da un Paese di origine sicuro nell’ambito di una procedura accelerata (esattamente la disposizione fa riferimento alle procedure di cui all'articolo 28-bis, comma 2, lettere b-bis) e c), e comma 2-bis), stabilendo che, fatta salva la possibilità di un esame del merito, il verificarsi di una delle due ipotesi previste dal nuovo comma 1 (ossia allontanamento ingiustificato e mancata presentazione al colloquio) determina il mancato assolvimento, da parte del richiedente, dell’onere - di cui all’articolo 9, comma 2-bis del d.lgs. n. 25 del 2008 - di dimostrare la sussistenza di gravi motivi per ritenere il Paese non sicuro in relazione alla sua situazione particolare. Ciò che da solo in base alla vigente disciplina basta per motivare una decisione di rigetto della domanda.
Il comma 4 specifica altresì che, in questa stessa ipotesi trovano applicazione i commi 4 e 4-bis dell’articolo 32 del decreto procedure (l’ultimo dei quali introdotto dall’articolo 13, co. 2, lett. b), del decreto-legge in esame). Ciò significa che il provvedimento di diniego, alla scadenza del termine per l’impugnazione, comporta l’obbligo di lasciare il territorio nazionale ed è direttamente comprensivo anche dell’attestazione dell’obbligo di rimpatrio e del divieto di reingresso del richiedente. Qualora la procedura si svolga direttamente alla frontiera o nelle zone di transito, la decisione reca l’attestazione dell’obbligo di rimpatrio che tiene luogo e produce gli effetti di un provvedimento di respingimento.
Infine, il comma 5 del nuovo art. 23-bis, aggiornando le previsioni del terzo periodo del comma 2 della formulazione previgente, qualifica la eventuale domanda presentata dal richiedente, successivamente alla decisione di rigetto adottata ai sensi del comma 2 o all’estinzione del procedimento di cui al comma 3, quale domanda reiterata, sottoposta ad esame preliminare ai sensi dell’articolo 29, co. 1-bis del decreto procedure. E specifica che, in tale sede, sono valutati i motivi addotti a sostegno dell’ammissibilità della domanda, comprese le ragioni del mancato svolgimento del colloquio o dell’allontanamento.
L’introduzione della nuova disciplina del ritiro implicito della domanda è alla base delle ulteriori modifiche al decreto procedure stabilite nell’articolo in esame.
In particolare, il comma 1, lettera a) aggiorna la definizione di «domanda reiterata», contenuta all’art. 2, co. 1, lett. b-bis), del decreto procedure, alla luce della nuova disciplina sul ritiro implicito di cui all’art. 23-bis.
La disposizione finora vigente intendeva come reiterata l’ulteriore domanda presentata dopo che è stata adottata una decisione definitiva su una domanda precedente, anche nel caso di ritiro esplicito ex art. 23 ovvero nel caso di estinzione del procedimento o di rigetto della domanda ai sensi del previgente art. 23-bis, co. 2. Tale ultimo riferimento è modificato in conseguenza della nuova disciplina, che qualifica come reiterata la domanda presentata dal richiedente, successivamente alla decisione di rigetto adottata ai sensi del comma 2 o all’estinzione del procedimento di cui al comma 3 del nuovo articolo 23-bis.
Il comma 1, lettera b) dispone l’abrogazione dei commi 4 e 5 dell’articolo 12 del decreto procedure, relative alle ipotesi di assenza al colloquio del richiedente, anche qualora non ospitato nelle strutture di accoglienza o trattenimento, in quanto si è inteso ritenerle assorbite dalla nuova disciplina.
Dell’abrogazione del comma 4 si è già detto (v., supra), mentre si ricorda che l’articolo 12, co, 5, considerava il caso in cui la convocazione per il colloquio con la Commissione territoriale non fosse stata portata a conoscenza del richiedente asilo non ospitato nelle strutture di accoglienza o di trattenimento. In tale ipotesi, la norma prevedeva che, ove non fosse già stata emessa nei confronti del richiedente decisione di accoglimento della relativa istanza, la Commissione territoriale competente o la Commissione nazionale disponesse, per una sola volta ed entro dieci giorni dalla cessazione della causa che non ha consentito lo svolgimento del colloquio, una nuova convocazione dell'interessato al fine della riattivazione della procedura.
D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25 (c.d. decreto procedure) |
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Testo previgente |
Modificazioni apportate dall’art. 14 del D.L. 145/2024 |
Art. 23-bis |
Art. 23-bis |
1. Nel caso in cui il richiedente si allontana senza giustificato motivo dalle strutture di accoglienza ovvero si sottrae alla misura del trattenimento nelle strutture di cui all'articolo 10-ter del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, ovvero nei centri di cui all'articolo 14 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, senza aver sostenuto il colloquio di cui all'articolo 12, la Commissione territoriale sospende l'esame della domanda. |
1. La domanda si intende implicitamente ritirata nei casi in cui: a) il richiedente, fatto salvo quanto previsto dall'articolo 6, comma 3-bis, prima di essere convocato per il colloquio di cui all'articolo 12 si allontana senza giustificato motivo dalle strutture di accoglienza ovvero si sottrae alla misura del trattenimento nelle strutture di cui all'articolo 10-ter del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, ovvero nei centri di cui all'articolo 14 del medesimo decreto legislativo; b) il richiedente non si presenta al colloquio personale disposto dalla Commissione ai sensi dell'articolo 12 e la notificazione della convocazione è effettuata ai sensi dell'articolo 11, commi 3 o 3-bis, ovvero si intende eseguita ai sensi del comma 3-ter del medesimo articolo. |
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2. Nei casi di cui al comma 1, la Commissione territoriale rigetta la domanda se la ritiene infondata in base ad un adeguato esame del merito, in linea con l'articolo 3 del decreto legislativo 19 novembre 2007, n. 251, ovvero ne sospende l’esame quando dalla domanda non sono ricavabili elementi di valutazione della stessa. |
2. Il richiedente può chiedere per una sola volta la riapertura del procedimento sospeso ai sensi del comma 1, entro nove mesi dalla sospensione. Trascorso tale termine, il procedimento è estinto. La domanda presentata dal richiedente successivamente all'estinzione del procedimento è sottoposta ad esame preliminare ai sensi dell'articolo 29, comma 1-bis. In sede di esame preliminare sono valutati i motivi addotti a sostegno dell'ammissibilità della domanda comprese le ragioni dell'allontanamento. |
3. Il richiedente può chiedere per una sola volta la riapertura del procedimento sospeso ai sensi del comma 2, entro nove mesi dalla sospensione. Trascorso tale termine, il procedimento è estinto. |
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4. Quando la domanda è esaminata nel contesto della procedura di cui all'articolo 28-bis, comma 2, lettere b-bis) e c), e comma 2-bis, e il richiedente proviene da un Paese di origine sicuro, fatta salva la possibilità di decidere in base ad un adeguato esame del merito, ai sensi dell'articolo 3 del decreto legislativo 19 novembre 2007, n. 251, la ricorrenza delle ipotesi di cui al comma 1 determina il mancato assolvimento, da parte del richiedente, dell’onere di dimostrare la sussistenza di gravi motivi per ritenere il Paese non sicuro in relazione alla sua situazione particolare, di cui all’articolo 9, comma 2-bis, e si applica l’articolo 32, commi 4 e 4-bis. |
Si v. terzo periodo del comma 2 |
5. La domanda presentata dal richiedente successivamente alla decisione di rigetto adottata ai sensi del comma 2 e all’estinzione del procedimento di cui al comma 3, è sottoposta ad esame preliminare ai sensi dell'articolo 29, comma 1-bis. In sede di esame preliminare sono valutati i motivi addotti a sostegno dell’ammissibilità della domanda, comprese le ragioni del mancato svolgimento del colloquio o dell’allontanamento. |
Articolo 15
(Revoca della protezione speciale)
L’articolo 15 assegna alla Commissione nazionale per il diritto di asilo la competenza in materia di revoca della c.d. protezione speciale, che viene ammessa qualora sussistano fondati motivi per ritenere che il cittadino straniero costituisca un pericolo per la sicurezza dello Stato. Si applicano, in quanto compatibili, i principi e le garanzie procedimentali previsti per il procedimento di revoca delle forme tipiche di protezione internazionale.
In premessa, è utile ricordare che si parla di protezione speciale per indicare quella forma residuale di tutela che l’ordinamento italiano riconosce al cittadino straniero al quale non sia accordata la protezione internazionale, ma per il quale valga il divieto di espulsione, respingimento o estradizione ai sensi dell’articolo 19, commi 1 e 1.1., TUI. (principio di non-refoulement), salvo che possa disporsi l’allontanamento verso uno Stato che provveda ad accordare una protezione analoga.
Per effetto delle modifiche introdotte da ultimo con il D.L. n. 20/2023, come convertito, la protezione speciale, ai sensi dell’art. 19, commi 1 e 1.1. TUI in combinato disposto con l’art. 32, co. 3, D.Lgs. n. 25/2008 (c.d. decreto procedure), può essere riconosciuta solo all’interno della procedura di protezione internazionale qualora, accertata l’assenza di presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato o di protezione sussidiaria:
a. vi sia rischio di persecuzione per motivi di razza, di sesso, di orientamento sessuale, di identità di genere, di lingua, di cittadinanza, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali o sociali, ovvero di essere rinviato verso un altro Stato nel quale non sia protetto dalla persecuzione (art. 19, co. 1);
b. vi sia rischio di assoggettamento a tortura o a trattamenti inumani e degradanti (art. 19, co. 1.1);
c. ricorrano obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano, per effetto del richiamo all’art. 5, co. 6, TUI (art. 19, co. 1.1)[70].
In tali evenienze, lo straniero può ottenere un permesso di soggiorno per "protezione speciale" (art. 19, co. 1.2, TUI). A tale fine, la Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, che è l’autorità competente all’esame delle domande di protezione internazionale, trasmette gli atti al Questore per il rilascio del permesso, che ha durata biennale. Esso è rinnovabile (previo parere della Commissione territoriale) e consente di svolgere attività lavorativa. A seguito delle modifiche introdotte dal decreto-legge n. 20/2023, il permesso per protezione speciale non può essere convertito in permesso di soggiorno per motivi di lavoro[71].
Il permesso di soggiorno per protezione speciale, ai sensi dell’art. 33, co. 3, del decreto procedure è rilasciato, sempre in presenza dei requisiti di cui sopra, anche nel caso di decisione di revoca o cessazione degli status di rifugiato o di protezione sussidiaria.
La disciplina del permesso di soggiorno per protezione speciale nasce con la riforma introdotta dal decreto-legge n. 113 del 2018, che ha inciso la disciplina legislativa della protezione degli stranieri per motivi umanitari, prevista dal testo unico in materia di immigrazione (art. 5, co. 6, D.Lgs. n. 286 del 1998 e art. 32 co. 3, D.Lgs. n. 35/2008), sopprimendola quale istituto generale ad evoluzione giurisprudenziale (si v. per tutte Cass. Sez. Unite, sentenza n. 29459 del 13 novembre 2019) e mantenendone solo singole tipologie riconducibili a movente umanitario, tra le quali la protezione "speciale" (art. 19, co. 1 e 1.1. TUI e nuovo art. 32, co. 3, D.Lgs. n. 35/2008). Le fattispecie catalogabili come protezione speciale sono state ampliate per effetto delle modifiche alle norme citate introdotte dal decreto-legge n. 130 del 2020, che aveva esteso l’ambito di riconoscibilità del diritto al permesso di soggiorno per protezione speciale sia alle ipotesi in cui ricorressero obblighi costituzionali o internazionali, sia al caso di rischio di violazione della vita privata e familiare anche nelle ipotesi di cosiddetta “integrazione sociale” ai sensi dell’art. 8 CEDU. Ulteriori modifiche sono state disposte con il decreto-legge n. 20 del 2023 (c.d. decreto Cutro), che ha abrogato: la disposizione che prevedeva esplicitamente il divieto di espulsione della persona straniera previsto nel caso vi fosse fondato motivo di ritenere che l’allontanamento dal territorio nazionale potesse comportare una violazione del diritto al rispetto alla sua vita privata e familiare[72]; la generale convertibilità del permesso in questione, precedentemente prevista; e la possibilità di chiedere questa protezione direttamente al questore, come era previsto dal previgente art. 19, co. 1.2 TUI.
La disposizione in esame, alla lettera a), attribuisce alla Commissione nazionale per il diritto di asilo la competenza a procedere alla revoca della protezione speciale, analogamente a quanto già previsto per la revoca delle forme tipiche di protezione internazionale.
Si ricorda infatti che nell’attuale quadro ordinamentale la Commissione nazionale per il diritto di asilo è già titolare di competenze dirette in materia di revoca e cessazione degli status riconosciuti oltre a una serie di compiti istituzionali, che comprendono, in particolare, l’indirizzo e il coordinamento delle Commissioni territoriali che esaminano le domande di protezione internazionale.
A tale fine, la disposizione introduce un comma 1-quater all’articolo 5 del c.d. decreto procedure, ai sensi del quale la protezione speciale può essere revocata qualora sussistano fondati motivi per ritenere che lo straniero costituisca un pericolo per la sicurezza dello Stato.
Si ricorda in proposito che alla pericolosità del soggetto per la sicurezza dello Stato l’articolo 14, par. 4, della Direttiva 2011/95[73] (c.d. Direttiva qualifiche) ricollega la facoltà degli Stati di revocare, di cessare o di rifiutare di rinnovare lo status riconosciuto ad un rifugiato, così come l’art. 21 della Direttiva qualifiche e l’art. 33, par. 2, della Convenzione di Ginevra[74] vi ricollegano una possibile eccezione al principio di non-refoulement.
Sul fronte del recepimento nella normativa interna, si ricorda che la disciplina della revoca della protezione internazionale, nelle due forme dello status di rifugiato e di protezione sussidiaria, è contenuta nel D.Lgs. n. 251/2007 (c.d. decreto qualifiche). In particolare la revoca dello status di rifugiato o di protezione sussidiaria (art. 13 e art. 18) è adottata su base individuale, qualora, successivamente al riconoscimento della protezione, è accertato che:
a) sussistono le condizioni per negare lo status di rifugiato ai sensi dell'articolo 12 del decreto qualifiche (tra le quali la sussistenza di fondati motivi per ritenere che lo straniero costituisca un pericolo per la sicurezza dello Stato) o per escludere la protezione sussidiaria ai sensi dell’articolo 16 (tra le quali costituire un pericolo per la sicurezza dello Stato);
b) il riconoscimento dello status di rifugiato o di protezione sussidiaria è stato determinato, in modo esclusivo, da fatti presentati in modo erroneo o dalla loro omissione, o dal ricorso ad una falsa documentazione dei medesimi fatti.
Ai sensi della lettera b) del comma unico della disposizione in esame, ai procedimenti di revoca della protezione speciale si applicano le disposizioni dell’articolo 33 del D.Lgs. n. 25/2008, che definisce le garanzie procedimentali da rispettare nei casi di revoca o cessazione della protezione internazionale, “in quanto compatibili”. A tal fine è introdotto un nuovo comma 3-ter al citato art. 33.
Considerato che il primo comma dell’articolo 35 del decreto procedure ammette il ricorso all’autorità giudiziaria ordinaria «avverso i provvedimenti della Commissione nazionale di cui all’articolo 33», parrebbe inoltre confermata anche la possibilità di impugnazione del provvedimento di revoca della protezione speciale secondo le procedure regolate dal capo V del decreto procedure.
In merito ai procedimenti di revoca e cessazione della protezione internazionale, allo straniero è garantita l’informazione per iscritto dell’avvio del procedimento e dei motivi dell’esame e la possibilità di esporre, in un colloquio personale o in una dichiarazione scritta, i motivi per cui lo status non dovrebbe essere revocato o cessato (art. 33, co. 1, D.Lgs. n. 25/2008). A tali procedure si applicano i medesimi principi e le garanzie procedurali previste per l’esame delle domande di protezione internazionale, previsti dal Capo II del decreto procedure (art. 33, co. 2).
La decisione relativa alla revoca dello status di protezione internazionale non può quindi intervenire in modo automatico ma deve essere garantita la partecipazione dell’interessato al procedimento tramite una memoria difensiva o, se richiesto dallo stesso, tramite una nuova audizione da tenersi avanti la Commissione Nazionale per il Diritto di Asilo.
Inoltre, in caso di decisione di revoca o cessazione degli status di protezione internazionale, si applicano le disposizioni di cui all'articolo 27, comma 2-bis[75], e all'articolo 32, commi 3 e 4 del medesimo decreto procedure (art. 33, co. 3).
Rispetto alle novità introdotte, pur in assenza di un richiamo esplicito, parrebbe che anche a seguito della revoca della protezione speciale valga il divieto di espulsione dello straniero, alla luce della disciplina generale già richiamata di cui all’articolo 19, commi 1 e 1.1. del TU immigrazione, ossia in presenza dei rischi di persecuzione, tortura o trattamenti inumani o degradanti che l’allontanamento dello straniero dal territorio nazionale potrebbe comportare.
Ciò anche sulla base di quanto disposto ai sensi dell’articolo 32, co. 4, del decreto procedure, sulla verifica delle condizioni di inespellibilità di cui all’articolo 19, co. 1 e 1.1. TU, la cui applicazione è confermata ai sensi dell’articolo 33, co. 3 per i procedimenti di revoca delle forme tipiche di protezione internazionale.
Articolo 15-bis
(Mezzi destinati al controllo delle frontiere e dei flussi migratori)
L’articolo 15-bis, introdotto in sede referente, prevede l’applicazione della disciplina di deroga prevista per i contratti secretati da parte del Codice dei contratti pubblici, per la fornitura di mezzi destinati al controllo delle frontiere e dei flussi migratori. Si prevede poi l’esonero dell’amministrazione appaltante dagli obblighi di motivazione delle cause che determinano l’applicazione di tali misure e, in ogni caso, ove l’oggetto, gli atti o le modalità di esecuzione dei suddetti contratti riguardi informazioni, documenti, atti, attività o cose sottoposte a classifica di segretezza, resta ferma la disciplina dettata sui contratti secretati dal Codice dei contratti pubblici e dalle altre disposizioni vigenti in materia di tutela delle informazioni classificate.
L’articolo 15-bis, introdotto in sede referente, prevede al comma 1, che l’affidamento degli appalti pubblici di forniture e servizi, relativi a mezzi e materiali ceduti, destinati alla cessione o in uso a Paesi terzi, per il rafforzamento delle capacità di gestione e controllo delle frontiere e dei flussi migratori sul territorio nazionale e per le attività di ricerca e soccorso in mare, è effettuato secondo quanto disposto in materia di contratti secretati dall’articolo 139, comma 1, lettera b), del Codice dei contrati pubblici (decreto legislativo 31 marzo 2023, n. 36).
Si specifica, inoltre, che quanto previsto è disposto in considerazione delle speciali misure di sicurezza necessarie nell’esecuzione dei relativi contratti.
L’articolo 139, comma 1, del Codice dei contrati pubblici prevede una deroga alle disposizioni del Codice relative alle procedure di affidamento nei seguenti casi:
a) per i contratti al cui oggetto, atti o modalità di esecuzione è attribuita una classifica di segretezza;
b) per i contratti la cui esecuzione deve essere accompagnata da speciali misure di sicurezza, in conformità a disposizioni legislative, regolamentari o amministrative.
Il comma 2 specifica che, in relazione ai suddetti appalti, non trova applicazione l’adempimento previsto all’articolo 139, comma 2, secondo periodo, del Codice dei contratti pubblici, che dispone che, ai fini della suddetta deroga prevista dal Codice, le stazioni appaltanti dichiarano, con provvedimento motivato, i lavori, i servizi e le forniture eseguibili con speciali misure di sicurezza individuate nel predetto provvedimento, precisando le cause che esigono tali misure.
Il comma 3 prevede che per i contratti al cui oggetto, atti o modalità di esecuzione è attribuita una classifica di segretezza, resta ferma la disciplina prevista dall’articolo 139 del Codice dei contratti pubblici e dalle altre disposizioni normative in materia di tutela delle informazioni classificate.
L’art. 139 del Codice dei contrati pubblici stabilisce inoltre al comma 3 che i contratti sono eseguiti da operatori economici in possesso dei requisiti previsti, nonché del nulla osta di sicurezza previsto all'articolo 42, comma 1-bis, della legge 3 agosto 2007, n. 124, che stabilisce che per la trattazione di informazioni classificate segretissimo, segreto e riservatissimo è necessario altresì il possesso del nulla osta di sicurezza (NOS). Il comma 4 del medesimo art. 139 stabilisce poi che l'affidamento dei contratti articolo avviene previo esperimento di gara informale a cui sono invitati almeno cinque operatori economici, se sussistono in tale numero soggetti qualificati in relazione all'oggetto del contratto e sempre che la negoziazione con più di un operatore economico sia compatibile con le esigenze di segretezza e sicurezza. Il comma 5 attribuisce alla Corte dei conti, tramite la Sezione centrale per il controllo dei contratti secretati, l’esercizio del controllo preventivo sui provvedimenti motivati da parte delle stazioni appaltanti, il controllo preventivo sulla legittimità e sulla regolarità dei contratti, nonché il controllo sulla regolarità, correttezza ed efficacia della gestione. Dell'attività prevista è dato conto entro il 30 giugno di ciascun anno in una relazione al Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica.
Articolo 15-ter
(Disposizioni in materia di rimpatrio volontario e assistito)
L’articolo 15-ter, introdotto in sede referente, modifica l’articolo 14-ter del TUI, che disciplina i programmi di rimpatrio assistito.
La misura del rimpatrio volontario assistito si distingue da quella del rimpatrio forzato, che comporta – a seguito dell’adozione di un provvedimento di espulsione che non venga adempiuto spontaneamente dal migrante – l’accompagnamento coatto del migrante irregolare fino al Paese di origine o di provenienza.
Il rimpatrio volontario assistito consente, invece, ai cittadini di un Paese terzo di fare ritorno in patria aderendo volontariamente a un progetto individuale che comprende l’attività di consulenza iniziale, l’assistenza per l’organizzazione del viaggio e l’accompagnamento finalizzato al reinserimento sociale ed economico nel Paese di provenienza.
In ossequio a quanto disposto dall’articolo 14-ter, comma 1, del TUI, i programmi di rimpatrio volontario e assistito sono realizzati dal Ministero dell’Interno, in collaborazione con le organizzazioni internazionali o intergovernative esperte nel settore dei rimpatri, con gli Enti locali e con le associazioni attive nell’assistenza agli immigrati. Il loro finanziamento avviene mediante le risorse disponibili del Fondo rimpatri e dei fondi europei destinati a tale scopo (art. 14-ter, comma 7).
La legge 47/2017 (”Disposizioni in materia di misure di protezione di minori stranieri non accompagnati”) all’articolo 8 disciplina il provvedimento di rimpatrio assistito e volontario del minore straniero non accompagnato.
Si segnala, inoltre, che il DL 13/2017 (”Disposizioni urgenti per l’accelerazione dei procedimenti in materia di protezione internazionale, nonché per il contrasto dell’immigrazione illegale”) ha introdotto nel TUI l’articolo 10-ter, che promuove il diritto dei cittadini stranieri soccorsi durante operazioni di salvataggio in mare o rintracciati come irregolari in caso di attraversamento della frontiera di essere informati della possibilità di usufruire dei programmi di rimpatrio volontario assistito (art. 10-ter, comma 1, TUI).
Il comma 2 dell’articolo 14-ter TUI stabilisce che le linee guida per la realizzazione dei programmi di rimpatrio volontario ed assistito siano definite con decreto del Ministro dell'interno, fissando criteri di priorità che tengano conto innanzitutto delle condizioni di vulnerabilità dello straniero di cui all'articolo 19, comma 2-bis (persone affette da disabilità, anziani, minori, componenti di famiglie monoparentali con figli minori, vittime di gravi violenze psicologiche, fisiche o sessuali), nonché i criteri per l'individuazione delle organizzazioni, degli enti e delle associazioni chiamate a collaborare con lo stesso Ministero per l’attuazione dei programmi.
Tale previsione normativa è stata attuata con il decreto del Ministro dell’interno del 27 ottobre 2011. Le relative disposizioni si applicano ai cittadini di Paesi non appartenenti all'Unione Europea e agli apolidi che fanno richiesta di partecipazione ai programmi di rimpatrio volontario e assistito, per i quali non ricorrono le cause di esclusione di cui all'art. 14-ter, comma 5, del Testo unico.
All’articolo 4, il decreto ministeriale individua, secondo un preciso ordine di priorità, le categorie di cittadini stranieri a cui si rivolgono i citati programmi, vale a dire: soggetti vulnerabili, di cui all'art. 19, comma 2-bis, del TUI; vittime di tratta, soggetti affetti da gravi patologie, richiedenti la protezione internazionale e titolari di protezione internazionale o umanitaria; cittadini stranieri che non soddisfano più le condizioni per il rinnovo del permesso di soggiorno; cittadini stranieri, già destinatari di un provvedimento di espulsione o di respingimento ai sensi dell'art. 10, comma 2, del TUI, trattenuti nei centri di identificazione ed espulsione ai sensi dell'art. 14, comma 1, del medesimo TUI; cittadini stranieri, già destinatari di un provvedimento di espulsione, a cui sia stato concesso un periodo per la partenza volontaria, ai sensi dell'art. 13, comma 5, del TUI.
L’articolo 15-ter in commento, alla lettera a), interviene su tale disposizione prevedendo che, nella definizione delle linee guida, siano fissati criteri di priorità che tengano conto, altresì, della provenienza dello straniero da Stati o territori con i quali non sono in vigore accordi di riammissione.
La lettera b) interviene, invece, sul comma 5 dell’articolo 14-ter, che individua le categorie di stranieri a cui i programmi di rimpatrio assistito non si applicano.
Attualmente, tale disposizione stabilisce che non possono usufruire dei programmi di rimpatrio assistito gli stranieri che:
a) hanno già beneficiato di tali programmi;
b) si trovano nelle condizioni di cui all'articolo 13, comma 4, lettere a)[76], d) e f) ovvero nelle condizioni di cui all'articolo 13, comma 4-bis, lettere d) ed e);
Si tratta, dunque, dello straniero:
× anche non residente nel territorio dello Stato, di cui per motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato il Ministro dell'interno abbia disposto l'espulsione (art. 13, comma 1, TUI);
× appartenente a taluna delle categorie indicate negli articoli 1[77], 4[78]) e 16[79] del decreto legislativo n. 159 del 2011 (art. 13, comma 2, lett. c, TUI);
× del quale il Ministro dell'interno o, su sua delega, il prefetto abbia disposto l'espulsione, sussistendo fondati motivi di ritenere che la relativa permanenza nel territorio dello Stato possa in qualsiasi modo agevolare organizzazioni o attività terroristiche, anche internazionali (art. 3, comma 1, DL 144/2005);
× che, destinatario di un provvedimento di espulsione, senza un giustificato motivo non abbia osservato il termine concessogli, su sua richiesta, dal prefetto per la partenza volontaria (art. 13, comma 4, lett. d);
× rispetto al quale sia stata disposta l'espulsione a titolo di misura di sicurezza, a titolo di sanzione sostitutiva o alternativa alla detenzione, nonché come sanzione penale o come conseguenza di una sanzione penale (art. 13, comma 4, lett. f);
× che non abbia ottemperato ad uno dei provvedimenti emessi dalla competente autorità, in applicazione dei commi 5 e 13 dell’art. 13 TUI, nonché dell'articolo 14 (art. 13, comma 4-bis, lett. d);
× che abbia violato anche una delle misure di cui al comma 5.2. (art. 13, comma 4-bis, lett. e).
c) sono destinatari di un provvedimento di espulsione come sanzione penale o come conseguenza di una sanzione penale ovvero di un provvedimento di estradizione o di un mandato di arresto europeo o di un mandato di arresto da parte della Corte penale internazionale.
L’intervento normativo in commento modifica la lettera b) dell’elencazione contenuta all’articolo 14-ter, comma 5, con l’obiettivo di ampliare la sfera dei soggetti destinatari dei programmi di rimpatrio volontario.
Anzitutto, vengono “esclusi dall’esclusione” ad oggi operante – con la conseguente possibilità di ammissione ai programmi in esame – i soggetti di cui all’articolo 13, comma 4, lettera d), vale a dire coloro che, destinatari di un provvedimento di espulsione, senza un giustificato motivo non abbiano osservato il termine concessogli, su loro richiesta, dal prefetto per la partenza volontaria, ai sensi dell’articolo 13, comma 5, TUI.
In secondo luogo, vengono ricompresi tra gli esclusi dai programmi di rimpatrio volontario coloro che non hanno ottemperato ad uno dei provvedimenti emessi dalla competente autorità in applicazione dell’articolo 13, comma 13, del TUI.
Tale disposizione stabilisce che lo straniero destinatario di un provvedimento di espulsione non può rientrare nel territorio dello Stato senza una speciale autorizzazione del Ministro dell'interno. In caso di trasgressione lo straniero è punito con la reclusione da uno a quattro anni ed è nuovamente espulso con accompagnamento immediato alla frontiera. La disposizione di cui al primo periodo non si applica nei confronti dello straniero già espulso ai sensi dell'articolo 13, comma 2, lettere a) e b), per il quale è stato autorizzato il ricongiungimento, ai sensi dell'articolo 29.
Rispetto alla formulazione attualmente vigente dell’articolo 14-ter, comma 5, del TUI, risultano, dunque, “esclusi dall’esclusione”, e perciò potenzialmente ammessi ai programmi di rimpatrio volontario:
- coloro che non abbiano ottemperato ad uno dei provvedimenti emessi dalla competente autorità, in applicazione del comma 5 dell’art. 13 TUI (vedi supra), nonché dell'articolo 14, che regola le modalità di esecuzione dell’espulsione (art. 13, comma 4-bis, lett. d, il cui richiamo ad opera dell’art. 14-ter, comma 5, viene abrogato);
- coloro che abbiano violato anche una delle misure di cui al comma 5.2 dell’articolo 13 TUI (art. 13, comma 4-bis, lett. e, il cui richiamo ad opera dell’art. 14-ter, comma 5, viene abrogato).
Tale ultima disposizione stabilisce che, laddove sia concesso allo straniero – dal prefetto, e su richiesta – un termine per la partenza volontaria, il questore – oltre a chiedere allo straniero di dimostrare la disponibilità di risorse economiche sufficienti derivanti da fonti lecite, per un importo proporzionato al termine concesso, compreso tra una e tre mensilità dell'assegno sociale annuo – dispone, altresì, una o più delle seguenti misure:
a) consegna del passaporto o altro documento equipollente in corso di validità, da restituire al momento della partenza;
b) obbligo di dimora in un luogo preventivamente individuato, dove possa essere agevolmente rintracciato;
c) obbligo di presentazione, in giorni ed orari stabiliti, presso un ufficio della forza pubblica territorialmente competente.
Testo unico immigrazione (D.Lgs. 286/1998) |
|
Testo previgente |
Modificazioni apportate dall’art. x del D.L. xxx/2024 |
Art. 14-ter |
Art. 14-ter |
1. Omissis |
1. Identico. |
2. Con decreto del Ministro dell'interno sono definite le linee guida per la realizzazione dei programmi di rimpatrio volontario ed assistito, fissando criteri di priorità che tengano conto innanzitutto delle condizioni di vulnerabilità dello straniero di cui all'articolo 19, comma 2-bis, nonché i criteri per l'individuazione delle organizzazioni, degli enti e delle associazioni di cui al comma 1 del presente articolo. |
2. Con decreto del Ministro dell'interno sono definite le linee guida per la realizzazione dei programmi di rimpatrio volontario ed assistito, fissando criteri di priorità che tengano conto innanzitutto delle condizioni di vulnerabilità dello straniero di cui all'articolo 19, comma 2-bis e della provenienza da Stati o territori con i quali non sono in vigore accordi di riammissione, nonché i criteri per l'individuazione delle organizzazioni, degli enti e delle associazioni di cui al comma 1 del presente articolo. |
3. Omissis |
3. Identico |
4. Omissis |
4. Identico |
5. Le disposizioni del presente articolo non si applicano agli stranieri che: a) hanno già beneficiato dei programmi di cui al comma 1; b) si trovano nelle condizioni di cui all'articolo 13, comma 4, lettere a), d) e f) ovvero nelle condizioni di cui all'articolo 13, comma 4-bis, lettere d) ed e); c) siano destinatari di un provvedimento di espulsione come sanzione penale o come conseguenza di una sanzione penale ovvero di un provvedimento di estradizione o di un mandato di arresto europeo o di un mandato di arresto da parte della Corte penale internazionale. |
5. Le disposizioni del presente articolo non si applicano agli stranieri che: a) hanno già beneficiato dei programmi di cui al comma 1; b) si trovano nelle condizioni di cui all’articolo 13, comma 4, lettere a) e f), ovvero non hanno ottemperato ad uno dei provvedimenti emessi dalla competente autorità in applicazione dell’articolo 13, comma 13; c) siano destinatari di un provvedimento di espulsione come sanzione penale o come conseguenza di una sanzione penale ovvero di un provvedimento di estradizione o di un mandato di arresto europeo o di un mandato di arresto da parte della Corte penale internazionale. |
6. Omissis |
6. Identico |
7. Omissis |
7. Identico |
L’articolo 15-quater, introdotto in sede referente, integra l’articolo 4, comma 2-bis, del TUI, stabilendo che la notifica del provvedimento che reca la decisione di rilascio, di rifiuto, di annullamento o di revoca dell’autorizzazione ai viaggi ETIAS avvenga mediante il servizio di posta elettronica.
L’articolo 4 del Testo unico sull’immigrazione regola l’ingresso nel territorio dello Stato italiano, consentendolo, nel rispetto delle condizioni previste dal codice frontiere Schengen, allo straniero che sia in possesso del passaporto o di un documento di viaggio equipollente in corso di validità, nonché del visto d'ingresso o dell'autorizzazione ai viaggi, o di un permesso di soggiorno, anch'essi in corso di validità.
La citata autorizzazione ai viaggi viene rilasciata nel contesto del Sistema europeo di informazione e autorizzazione ai viaggi (European travel information ad authorisation system, ETIAS), un sistema informatico automatizzato istituito dal regolamento (UE) 2018/1240 con l’obiettivo di rafforzare i controlli di sicurezza su cittadini di Paesi terzi, ovvero non appartenenti all’Unione europea, che viaggiano senza visto nello spazio Schengen, contribuendo a garantire:
§ un elevato livello di sicurezza;
§ la prevenzione dell’immigrazione illegale;
§ la protezione della salute pubblica;
§ controlli di frontiera più efficaci;
§ il raggiungimento degli obiettivi del sistema di informazione Schengen;
§ la prevenzione, l’accertamento e l’indagine di reati di terrorismo e altri reati gravi.
L’articolo 2 del menzionato regolamento individua l’ambito soggettivo di applicazione della disciplina dal medesimo recata, circoscrivendola alle seguenti categorie di cittadini di Paesi terzi:
- i cittadini dei Paesi terzi che sono esenti dall’obbligo di visto per soggiorni previsti sul territorio degli Stati membri la cui durata non sia superiore a 90 giorni su un periodo di 180 giorni[80];
- le persone dispensate dall’obbligo di visto per soggiorni previsti sul territorio degli Stati membri la cui durata non sia superiore a 90 giorni su un periodo di 180 giorni, ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 2, del regolamento (CE) n. 539/2001[81];
- i cittadini di Paesi terzi che sono esenti dall’obbligo di visto e che soddisfano alcune condizioni[82].
Ai sensi dell’articolo 4, comma 2-bis del TUI – oggetto della modifica apportata dalla disposizione in esame –, l’autorizzazione ai viaggi deve essere richiesta dai cittadini di Paesi terzi esenti dall’obbligo di possedere un visto al momento dell’attraversamento delle frontiere esterne, secondo le modalità previste dagli articoli 15, 17 e 18 del regolamento (UE) 2018/1240, e viene rilasciata, rifiutata, annullata o revocata dall'Unità nazionale ETIAS.
L’intervento normativo in commento specifica che la comunicazione relativa al rilascio, al rifiuto, all’annullamento o alla revoca dell’autorizzazione di cui al comma 1 è effettuata, secondo le modalità previste dagli articoli 38 e 42 del Regolamento (UE) 2018/1240, esclusivamente tramite il servizio di posta elettronica ed è inviata all’indirizzo di posta di cui all’articolo 17, paragrafo 2, lettera g), del medesimo regolamento, fornito dal richiedente nel modulo di domanda. La notifica si intende perfezionata nel momento dell’avvenuto invio del messaggio di posta elettronica.
L’articolo 15-quinquies, inserito nel corso dell’esame in sede referente, al comma 1, prevede che a coloro che abbiano presentato la domanda di protezione internazionale, senza un giustificato motivo, oltre il termine di novanta giorni dall’ingresso in Italia, si applica la procedura accelerata di esame. Al contempo, al comma 2 stabilisce che il richiedente che non abbia presentato domanda di protezione internazionale, senza giustificato motivo, entro il termine di 90 giorni dal suo ingresso nel territorio nazionale è escluso, con provvedimento motivato del prefetto, dall’applicazione delle misure di accoglienza. Infine, si prevede un criterio di priorità in favore di coloro che sono giunti nel territorio nazionale a seguito di operazioni di salvataggio in mare ai fini dell’accesso ai centri governativi e nelle strutture straordinarie di accoglienza (c.d. CAS).
Il comma 1 introduce una nuova fattispecie in cui può essere applicata la procedura accelerata per l’esame della domanda di protezione internazionale. A tal fine si propone la modifica del più volte citato articolo 28-bis del decreto procedure (D.Lgs. n. 25/2008), che prevede tutti i casi di esame accelerato della domanda.
Si ricorda in proposito che né la direttiva europea né il decreto procedure contengono una definizione di «procedura accelerata», espressione con la quale pertanto si intende una procedura caratterizzata da termini ridotti, rispetto alla procedura generale o ordinaria, per l’adozione della decisione finale.
Ai sensi dell’articolo 28-bis del decreto procedure, come modificato da ultimo con il D.L. n. 20/2023, esistono due tipi di procedure accelerate.
La prima, contemplata al comma 1, comporta l’obbligo della Commissione territoriale per il diritto di asilo di adottare la decisione entro 5 giorni dal ricevimento della documentazione da parte della questura e si applica nei seguenti casi:
- domanda reiterata, ovvero presentata dopo che sia stata presa una decisione, senza addurre nuovi elementi: tale domanda è inammissibile ai sensi dell’art. 29, comma 1, lett. b);
- domanda presentata da straniero sottoposto a procedimento penale ovvero condannato, anche con sentenza non definitiva per alcuni gravi reati, la cui condanna preclude l’acquisizione dello status di rifugiato (articolo 12, comma 1, lettera c), del D.Lgs. 251/2007) e della protezione sussidiaria (articolo 16, comma 1, lett. d-bis, D.Lgs. 251/2007). In presenza di questi reati per la procedura accelerata deve essere espletata previamente l’audizione del richiedente e devono ricorrere anche una delle gravi condizioni che consentono il trattenimento del richiedente nei centri di permanenza e rimpatrio di cui all'articolo 6, comma 2, lettere a), b) e c), del D.Lgs. n. 142/2015.
Il comma 2 dell’art. 28-bis disciplina la procedura accelerata di 9 giorni che prevede entro 7 giorni l’audizione dell’interessato e la decisione entro i successivi 2 giorni. Questa si applica alle seguenti fattispecie:
- domande presentate da richiedenti per i quali è stato disposto il trattenimento in un hotspot a seguito dell’attraversamento irregolare delle frontiere (art. 10-ter TUI) o in un centro di permanenza per i rimpatri (art. 14 TUI) a meno che non si tratti di persona sottoposta a procedimento penale, o condannata per i gravi reati di cui sopra, nel qual caso il termine è ridotto da nove a cinque giorni;
- domanda manifestamente infondata ex art. 28-ter del decreto procedure;
- domanda presentata dal richiedente dopo essere stato fermato in condizioni di soggiorno irregolare, al solo scopo di ritardare o impedire l'esecuzione di un provvedimento di espulsione o respingimento.
- domanda presentata da richiedente direttamente alla frontiera o nelle zone di transito, dopo essere stato fermato per avere eluso o tentato di eludere i relativi controlli;
- domanda presentata direttamente alla frontiera o nelle zone di transito da richiedente proveniente da un Paese di origine sicuro.
In queste due ultime ipotesi (lett. b) e b-bis), co. 2, dell’articolo 28-bis), la procedura può essere svolta direttamente alla frontiera o nelle zone di transito e la Commissione territoriale decide nel termine di sette giorni dalla ricezione della domanda (c.d. procedura accelerata di frontiera).
Si ricorda infine che i minori stranieri non accompagnati e i soggetti portatori di esigenze particolari (quali minori, donne, disabili, anziani, vittime di tratta, ecc.) sono esclusi dall’applicazione della procedura accelerata delle domande.
Aggiungendo una nuova lettera e-bis) al novero delle ipotesi già enumerate dall’articolo 28-bis, comma 2, del decreto procedure, si stabilisce che la procedura accelerata (secondo lo schema dello svolgimento dell’audizione entro sette giorni dal ricevimento della domanda, e dell’adozione della decisione nei successivi due giorni) si applica al richiedente che, “è entrato, o si è trattenuto, irregolarmente in Italia ed ha presentato domanda di protezione internazionale, senza giustificato motivo, oltre il termine di novanta giorni dall’ingresso in Italia”.
I presupposti per l’applicazione della procedura accelerata sono pertanto:
§ l’ingresso senza valido titolo nel territorio nazionale o, in caso di ingresso regolare, il trattenimento illegale;
§ la presentazione tardiva, e senza un giustificato motivo, della domanda di protezione internazionale, ritenendo tale quella presentata oltre novanta giorni dopo l’ingresso.
La fattispecie che si intende introdurre si inquadra nella previsione della direttiva 2013/32/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, di cui il D.Lgs. n. 25/2008 costituisce recepimento, laddove riconosce la facoltà degli Stati membri di prevedere una procedura d’esame sia accelerata e/o svolta alla frontiera o in zone di transito se “il richiedente è entrato illegalmente nel territorio dello Stato membro o vi ha prolungato illegalmente il soggiorno e, senza un valido motivo, non si è presentato alle autorità o non ha presentato la domanda di protezione internazionale quanto prima possibile rispetto alle circostanze del suo ingresso” (art. 31, comma 8, lett. h)).
Il comma 2 modifica il decreto accoglienza (D.Lgs. n. 142 del 2015) con due interventi sull’ambito di applicazione soggettivo delle misure di accoglienza.
In questo senso, la lett. a) stabilisce che le misure di accoglienza non si applicano al richiedente che non abbia presentato domanda di protezione internazionale, senza giustificato motivo, entro il termine di 90 giorni dal suo ingresso nel territorio nazionale (nuovo comma 2-bis dell’articolo 1). La novella prevede ulteriormente che la decisione di esclusione sia adottata in forma scritta e motivata, tenendo conto delle condizioni di vulnerabilità del richiedente (che sono oggetto della previsione di cui all’articolo 17 del decreto[83]). Essa spetta al prefetto competente per territorio, in ragione del luogo ove è presentata la domanda.
Tale disposizione incide sull’ambito di applicazione del decreto n. 142/2015 che, come è noto, considera “richiedente” sia lo straniero che ha presentato domanda di protezione su cui non è stata ancora adottata una decisione definitiva, sia lo straniero che ha manifestato la volontà di chiedere protezione (quindi senza averla ancora formalizzata): anche quest’ultimo ha tiolo per rimanere nel territorio nazionale fino alla decisione (art. 7, D.Lgs. 25/2008), nonché ha diritto di accedere alle misure di accoglienza per esplicita previsione dell’articolo 1, co. 2, dal momento della manifestazione della volontà di chiedere la protezione.
Si consideri inoltre che l’art. 6, co. 3-bis, del d.lgs. n. 25/2008 prevede che ove lo straniero non si presenti presso l’ufficio di polizia territorialmente competente per la verifica dell’identità dal medesimo dichiarata e la formalizzazione della domanda di protezione internazionale, la manifestazione di volontà precedentemente espressa non costituisce domanda e il procedimento non s’intende instaurato.
La nuova disposizione trova applicazione, come esplicitato nella nuova diposizione, nel rispetto dell’articolo 20 della direttiva 2013/33/UE sull’accoglienza, che il D.Lgs. n. 142/2015 recepisce nell’ordinamento interno.
Nella disposizione richiamata, e in particolare nel suo paragrafo 2, si fa riferimento alla possibilità per gli Stati membri di ridurre le condizioni materiali di accoglienza qualora si accerti che “il richiedente, senza un giustificato motivo, non ha presentato la domanda di protezione internazionale non appena ciò era ragionevolmente fattibile dopo il suo arrivo in tale Stato membro”. Nel caso in lo Stato prevede tale possibilità, le decisioni di ridurre le condizioni di accoglienza devono essere adottate in modo individuale, obiettivo e imparziale, nonché devono essere motivate.
Nonostante l’esplicito richiamo all’articolo 20 della direttiva 2013/33/UE si valuti un approfondimento sulla novella di cui al comma 2-bis proprio alla luce del dettato della citata norma unionale, che in relazione all’ipotesi di domanda di protezione non tempestivamente presentata, prevede la possibilità di una riduzione delle condizioni materiali di accoglienza, non di una revoca o di una esclusione tout court dall’applicazione delle stesse.
Con il secondo intervento, recato dalla lett. b) del comma 2, si stabilisce, per l’accesso ai centri governativi e nelle strutture straordinarie di accoglienza (c.d. CAS), di cui agli articoli 9 e 11 del D.Lgs. n. 142/2015, di un criterio di priorità in favore di coloro che sono giunti nel territorio nazionale a seguito di operazioni di salvataggio in mare, specificando che ciò si giustifica in ragione delle preminenti esigenze di soccorso e assistenza ad esse connesse. La disposizione non indica con quali modalità potrà essere attuato il criterio di priorità.
In base alla disciplina vigente, i richiedenti protezione internazionale sono accolti – fino alla decisione definitiva sulla domanda di protezione internazionale – nei centri di accoglienza governativi di cui agli articoli 9 e 11 e non anche, come prima delle modifiche introdotte con il D.L. n. 20/2023, nell’ambito del sistema di accoglienza e integrazione (SAI), costituito dalla rete degli enti locali[84].
I centri governativi di cui all’articolo 9 sono strutture dislocate sull'intero territorio nazionale, istituite per rispondere alle esigenze di prima assistenza e per il completamento delle operazioni necessarie alla definizione della posizione giuridica dello straniero che abbia manifestato la volontà di chiedere asilo in Italia, quando queste non siano state terminate negli hotspot. L’invio del richiedente in queste strutture è disposto dal prefetto, sentito il Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno.
In caso di esaurimento dei posti in tali centri, a causa di massicci afflussi di richiedenti, questi possono essere ospitati in strutture temporanee, denominate CAS (centri di accoglienza straordinaria), la cui individuazione viene effettuata dalle Prefetture, sentito l’ente locale nel cui territorio è situata la struttura (articolo 11). I dati degli ultimi anni relativi alle presenze dei migranti nelle strutture di accoglienza evidenzia come la maggior parte dei rifugiati sia ospitata in strutture provvisorie (ossia i CAS), poiché i servizi convenzionali a livello centrale e locale hanno capienza limitata.
Nei centri governativi (art. 9) e nelle strutture temporanee straordinarie di accoglienza (art. 11) devono essere assicurate alcune condizioni e prestazioni, che comprendono, oltre all’accoglienza materiale: l’assistenza sanitaria, l’assistenza sociale e la mediazione linguistico-culturale (così dopo la riformulazione ad opera del DL 20/2023).
L’articolo 15-sexies, inserito nel corso dell’esame in sede referente, introduce alcune disposizioni in materia di personale per lo svolgimento dei compiti istruttori funzionali alle esigenze della Commissione nazionale per il diritto di asilo e delle commissioni e sezioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale (comma 1). Inoltre elimina dai compiti della Direzione centrale per le risorse finanziarie, articolazione del Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell’interno, la gestione degli affari finanziari e contabili di competenza della Commissione nazionale per il diritto di asilo (comma 2).
Infine stabilisce che, limitatamente al periodo tra l’entrata in vigore del provvedimento in esame e il 31 dicembre 2025, le modifiche al regolamento di organizzazione del Ministero dell’interno siano adottate tramite d.P.C.m. anziché tramite d.P.R. (comma 3).
In particolare, il comma 1 introduce alcune modifiche agli articoli 4 (lettera a)) e 5 (lettera b)) del c.d. decreto procedure (D.Lgs. n. 25/2008) che dettano la disciplina, rispettivamente, delle Commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale (di seguito Commissioni territoriali) e della Commissione nazionale per il diritto di asilo (di seguito Commissione nazionale).
La lettera a) riguarda i funzionari amministrativi che sono assegnati alle Commissioni territoriali, ovvero i Collegi competenti al riconoscimento delle varie forme di protezione internazionale, per lo svolgimento di compiti istruttori.
Sul punto è utile ricordare che, sulla base del vigente quadro normativo (art. 4, co. 1-bis), del decreto procedure) a ciascuna Commissione territoriale è assegnato un contingente di almeno quattro unità di personale con compiti istruttori, che è individuato:
a) nell’ambito del contingente di personale altamente qualificato per l'esercizio di funzioni di carattere specialistico, appositamente assunto (nel limite complessivo di 250 unità) per effetto del decreto-legge n. 13 del 2017 (articolo 12), ovvero;
b) nell’ambito del personale “dell’area dei funzionari o delle elevate professionalità” dell’Amministrazione civile dell’interno, che sia appositamente formato in materia di protezione internazionale, a cura dell’amministrazione, successivamente all’ingresso in ruolo. Questa integrazione del contingente è stata prevista con il D.L. n. 20/2023 (art. 7-bis, co. 1, lett. a)).
Si ricorda ulteriormente che le Commissioni territoriali sono fissate nel numero massimo di venti, distribuite sull’intero territorio nazionale (articolo 4, comma 2); presso ciascuna Commissione possono essere istituite - al verificarsi di un eccezionale incremento delle domande di asilo connesso all’andamento dei flussi migratori, e per il tempo strettamente necessario - una o più sezioni, fino a un numero massimo complessivo di trenta per l’intero territorio nazionale (comma 2-bis). Attualmente le sezioni istituite sono 21.
Le Commissioni sono composte (“nel rispetto del principio di equilibrio di genere”) da:
- un funzionario della carriera prefettizia (con funzioni di presidente, nominato con decreto del Ministro dell'interno, sentita la Commissione nazionale),
- un esperto in materia di protezione internazionale e di tutela dei diritti umani designato dall'UNHCR e
- dai funzionari amministrativi con compiti istruttori, nominati con provvedimento del Capo Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno, sentita la Commissione nazionale (comma 3).
L'incarico ha durata triennale ed è rinnovabile.
Le Commissioni territoriali possono essere integrate da un funzionario del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale come componente a tutti gli effetti, quando, in relazione a particolari afflussi di richiedenti protezione internazionale, sia necessario acquisire specifiche valutazioni di competenza del predetto Ministero in merito alla situazione dei Paesi di provenienza. Al presidente ed ai componenti effettivi o supplenti è corrisposto, per la partecipazione alle sedute della Commissione, un gettone giornaliero di presenza.
Con una prima modifica, recata dalla lettera a), n. 1, che integra l’articolo 4, co. 1-bis, del decreto procedure, si prevede che per le attività di formazione in materia di protezione internazionale dirette al personale dell’area dei funzionari e delle elevate professionalità interne al Ministero, in relazione alla loro assegnazione alle commissioni territoriali, l’Amministrazione possa avvalersi anche del Centro Alti Studi del Ministero dell’interno.
Il Centro è stato istituito dal D.L. n. 113/2018 con compiti di promozione, organizzazione e realizzazione di iniziative finalizzate allo studio e all'approfondimento dei profili normativi e amministrativi attinenti all'esercizio delle funzioni e dei compiti dell'Amministrazione civile dell'interno, nonché alla realizzazione di studi e ricerche nelle materie relative alle attribuzioni del Ministero dell'interno.
La lettera a), al n. 2, interviene sul comma 3 dell’articolo 4 del decreto procedure, che disciplina la composizione delle Commissioni territoriali.
In primo luogo, integra la composizione delle Commissioni, prevedendo che ne fanno parte non solo i funzionari amministrativi con compiti istruttori designati ai sensi del citato comma 1-bis, ma anche lavoratori con contratto a tempo determinato di adeguata professionalità, nonché personale dell’Agenzia dell’Unione Europea per l’Asilo, anch’essi appositamente formati in materia di protezione internazionale a cura dell’Amministrazione dell’interno (lettera a), numero 2.1). Pur non specificato, è da intendersi che tale personale, temporaneamente assegnato alle Commissioni territoriali, sia preposto allo svolgimento dei compiti istruttori.
La partecipazione alle Commissioni di tale personale è pertanto stabilita in via temporanea.
Come è noto, l'Agenzia dell’Unione europea per l'asilo (EUAA) è un’agenzia decentrata dell'UE, istituita con regolamento 2021/2303 del 15 dicembre 2021 e subentrata all’Ufficio europeo di sostegno per l’asilo (EASO), che fornisce sostegno operativo e tecnico e formazione alle autorità nazionali dei paesi dell’UE, aiutandoli ad attuare il diritto dell'UE in materia di asilo e a favorire una maggiore convergenza nelle procedure di asilo e nelle condizioni di accoglienza.
In secondo luogo, si prevede che, al pari dei funzionari amministrativi individuati dal comma 1-bis dell’articolo 4, anche il personale con contratto a tempo determinato ed il personale dell’EUAA assegnato alle Commissioni territoriali ai sensi del primo periodo del comma 3, come riformulato, partecipa alle sedute della Commissione. Inoltre, i criteri per l’assegnazione delle istanze al personale con compiti istruttori e per la partecipazione dello stesso alle sedute sono stabiliti dal Presidente della Commissione. A tale fine sono opportunamente modificati i riferimenti al settimo e ottavo periodo del citato comma 3, sostituendo l’espressione “funzionari amministrativi con compiti istruttori”, presente nella vigente formulazione, con quella di “componenti con compiti istruttori”, che include sia i funzionari amministrativi di cui al comma 1-bis, sia il personale impiegato temporaneamente di cui al primo periodo del comma 3, come riformulato (lettera a), numero 2.2).
Tale modifica si completa con quanto previsto dalla lettera c) del comma 1 dell’articolo in esame, che parallelamente aggiorna la formulazione dell’art. 12, comma 1-bis del decreto procedure, che individua i soggetti abilitati a svolgere il colloquio personale con il richiedente asilo, sostituendo l’espressione “funzionari amministrativi con compiti istruttori”, presente nella vigente formulazione, con quella di “componenti con compiti istruttori”. Ciò lascia intendere che anche il personale con contratto a tempo determinato e il personale dell’Agenzia potranno svolgere il colloquio con il richiedente protezione internazionale.
La Commissione Territoriale decide sulla domanda di protezione internazionale in seguito al colloquio personale con il richiedente, che rappresenta uno dei momenti più rilevanti dell’intera procedura di valutazione della protezione internazionale. Il colloquio personale è solitamente condotto da un funzionario altamente specializzato in servizio presso la Commissione. In seguito al colloquio, la decisione sulla domanda di protezione internazionale non è assunta autonomamente dal funzionario istruttore che ha condotto l’audizione, bensì mediante una discussione collegiale dell’intera Commissione.
In relazione alla novità che si intende introdurre con la disposizione in esame, si segnala che la direttiva 2013/32/UE (c.d. Direttiva procedure) riconosce agli Stati membri la possibilità di disporre che il personale di un’altra autorità partecipi temporaneamente allo svolgimento dei colloqui, qualora le domande simultanee di protezione internazionale da parte di un numero elevato di cittadini di paesi terzi o apolidi rendano impossibile all’atto pratico all’autorità accertante svolgere tempestivamente colloqui sul merito di ogni domanda (articolo 14, par. 1, secondo periodo). In tal caso, il personale di cui ci si avvale riceve in anticipo la formazione pertinente.
La disposizione di cui al comma 1, lettera a), numero 2.3, consente che la funzione di Presidente di Commissione territoriale possa essere svolta, ove necessario, anche da funzionari della carriera prefettizia che siano in posizione di collocamento a riposo anche da un periodo superiore a due anni, eliminando il limite previsto attualmente dall’articolo 4, comma 3, decimo periodo del decreto procedure.
Con le modifiche introdotte al comma 1, lettera b), si interviene sulla disciplina della Commissione nazionale per il diritto d’asilo recata dall’articolo 5 del decreto procedure.
Si ricorda che la Commissione Nazionale per il Diritto di Asilo opera nell’ambito del Dipartimento per le Libertà Civili e l’Immigrazione del Ministero dell’Interno, avvalendosi del suo supporto organizzativo e logistico, e costituisce l’autorità di riferimento del Sistema italiano di protezione internazionale, avendo compiti di indirizzo e coordinamento delle Commissioni e delle Sezioni Territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale. Inoltre, ha competenza esclusiva in materia di cessazione e revoca della protezione internazionale, riconosciuta dalle Commissioni e dalle Sezioni Territoriali o dagli organi giurisdizionali.
In particolare, la Commissione Nazionale è nominata, nel rispetto del principio di equilibrio di genere, con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta congiunta dei Ministri dell’Interno e degli Affari Esteri. È presieduta da un Prefetto ed è composta da un dirigente in servizio presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, da un funzionario della carriera diplomatica, da un funzionario della carriera prefettizia in servizio presso il Dipartimento per le Libertà Civili e l’Immigrazione e da un dirigente del Dipartimento della Pubblica Sicurezza del Ministero dell’Interno. L’incarico ha durata triennale ed è rinnovabile. Inoltre, alle riunioni partecipa senza diritto di voto un rappresentante del delegato in Italia dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR).
In particolare, la lettera b), n. 2 introduce un nuovo comma 2-bis al citato articolo 5, ai sensi del quale, analogamente al modello organizzativo proprio delle Commissioni territoriali, le attività istruttorie per i procedimenti amministrativi di competenza della Commissione nazionale (ossia procedimenti di revoca e cessazione dello status di protezione internazionale), ivi inclusa l’audizione dell’interessato, sono svolte dai componenti della Commissione medesima ovvero da funzionari amministrativi con compiti istruttori ad essa assegnati, la cui presenza non era finora prevista. La disposizione non specifica le modalità di reclutamento di siffatto personale.
Inoltre si attribuisce al Presidente della Commissione nazionale il compito di fissare i criteri per l’assegnazione dei procedimenti e per la partecipazione dei funzionari amministrativi alle sedute della Commissione.
Infine, l’ultimo periodo del nuovo comma 2-bis dell’articolo 5 richiama l’applicabilità anche ai funzionari assegnati alla Commissione nazionale delle disposizioni di cui all’articolo 4, comma 3, undicesimo e dodicesimo periodo, del decreto procedure, che prevedono il versamento di un gettone giornaliero di presenza, il cui ammontare è determinato con decreto ministeriale, per la partecipazione alle sedute della Commissione.
Parallelamente, la lettera b), n. 1, con una modifica all’articolo 5, co. 2, prevede che alle riunioni della Commissione nazionale partecipano senza diritto di voto, oltre al rappresentante del delegato in Italia dell’UNHCR, come già avviene attualmente, anche i funzionari amministrativi di cui al nuovo comma 2-bis.
Il comma 2, al primo periodo, tramite un intervento testuale all’articolo 5, comma 2, lettera e-bis), del d.P.C.m. 11 giugno 2019, n. 78, contenente il regolamento di organizzazione degli Uffici centrali di livello dirigenziale generale del Ministero dell'interno, interviene sulle competenze della Direzione centrale per le risorse finanziarie del Dipartimento per le libertà civili e l’Immigrazione del Ministero dell’interno. In particolare, si espunge dalle sue funzioni la gestione finanziaria delle spese della Commissione nazionale per il diritto di asilo.
Stante la formulazione della norma, sembrerebbe intendersi che in tal modo venga attribuita autonomia di gestione della spesa alla stessa Commissione nazionale per il diritto di asilo. Si valuti l’opportunità di chiarire tale punto.
È opportuno ricordare che l’organizzazione del Ministero dell'interno è disciplinata, oltre che da alcune disposizioni del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300 (Riforma dell'organizzazione del Governo, a norma dell'articolo 11 della legge 15 marzo 1997, n. 59), dal regolamento adottato con d.P.C.m. 11 giugno 2019, n. 78, in attuazione dell'articolo 12, comma 1-bis, del decreto-legge 17 febbraio 2017, n. 13 (Disposizioni urgenti per l'accelerazione dei procedimenti in materia di protezione internazionale, nonché per il contrasto dell'immigrazione illegale), convertito con modificazioni dalla legge 13 aprile 2017, n. 46.[85]
Il Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione è disciplinato dall’articolo 5 del citato d.P.C.m., che reca disposizioni relative alle sue funzioni e alla sua articolazione. In particolare, il comma 2, lettera e-bis), disciplina la Direzione centrale per le risorse finanziarie, i cui compiti sono essenzialmente quelli della programmazione, formazione, variazione del bilancio, monitoraggio e gestione della spesa e dei fondi di competenza del Dipartimento.
Al fine di dare attuazione a quanto disposto dal primo periodo, si prevede inoltre l’adozione di un regolamento ai sensi dell’articolo 17, comma 4-bis, della legge 23 agosto 1988, n. 400, atto a provvedere alle modifiche di adeguamento necessarie del d.P.C.m. di cui sopra, tra cui si richiama esplicitamente l’abrogazione di quanto disposto dal primo periodo del comma in commento, a decorrere dall’entrata in vigore del regolamento.
Ancora in tema di organizzazione del Ministero dell’interno, il comma 3, stabilisce che, a decorrere dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto e fino al 31 dicembre 2025, le modifiche al regolamento di organizzazione del Ministero dell'interno sono adottate con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, in deroga al procedimento ordinario stabilito dall’articolo 17, comma 4-bis, della L. 400/1988 (nonché dall’articolo 4 del D.lgs. 300/1999), che prevede regolamenti governativi di delegificazione.
In proposito si ricorda che negli ultimi anni il legislatore ha più volte fatto ricorso a procedure di semplificazione e accelerazione dei processi di riorganizzazione ministeriale mediante l’adozione di d.P.C.m., in deroga alle procedure ordinarie ed in ogni caso in via transitoria, conseguentemente all'attuazione di misure di contenimento della spesa e di riduzione della dotazione organica ovvero in occasione di complessivi riordini degli assetti ministeriali o di singoli dicasteri. Tali modalità sono state sempre autorizzate in via transitoria.
In particolare, tra le disposizioni di carattere generale si ricordano: l’art. 2, comma 10-ter, del D.L. 95/2012 (c.d. spending review); l’art. 16, co. 4, D.L. 66/2014; l’articolo 4-bis, del D.L 86/2018 (L. 97/2018). Successivamente, si possono confrontare: artt. 1, co. 4; 2, co. 16; 4, co. 5; 5, co. 2, e 6 D.L. 104/2019 (L. 132/2019); art. 16-ter, co. 7, D.L. 124/2019 (L. 157/2019); art. 1, co. 167, L. 160/2019; art. 3, comma 6, D.L. 1/2020 (L. 12/2020); art. 116, D.L. 18/2020 (L. 27/2020); art. 10, D.L. 22/2021(L. 55/2021). Da ultimo si ricorda l’art. 13, D.L. 173/2022 (L. 204/2022), che ha autorizzato tutti i ministeri, fino al 30 ottobre 2023, ad adottare i regolamenti di organizzazione con d.P.C.M.
Le disposizioni sopra richiamate sono state oggetto di rilievi critici da parte del Comitato per la legislazione della Camera: si rinvia al parere del 2 agosto 2018 sul decreto-legge n. 86/2018, al parere del 12 novembre 2019 sul decreto-legge n. 104/2019, al parere del 4 marzo 2020 sul decreto-legge n. 1/2020 e al parere del 10 marzo 2021 sul decreto-legge n. 22/2021.
Anche il Consiglio di Stato ha avuto modo di esprimersi sulla stagione derogatoria e transitoria dei d.P.C.M. di organizzazione dei Ministeri, sottolineando le difficoltà derivanti dalla concatenazione di due diverse fonti di regolazione in questa materia: il regolamento governativo emanato con D.P.R. secondo lo schema ordinario e il d.P.C.M. di organizzazione, utilizzato in via eccezionale e provvisoria. Nel caso di specie, relativo ad un DPR che interveniva a modificare un d.P.C.M., il Consiglio proponeva di considerare l'opportunità di ricondurre le norme dei d.P.C.M. nell’alveo della fonte ordinaria del regolamento governativo, anche per mero recepimento testuale e senza la necessità di modificazioni nel contenuto, quando non dovuto a norme di legge sopravvenute o a esigenze di coordinamento. Più in generale, il Consiglio di Stato, ricordando che la semplificazione dell’ordinamento passa anche attraverso la stabilità della fonte individuata in via ordinaria per l’intervento normativo di volta in volta interessato, auspicava l’avvio di una riflessione sistemica e generale per favorire un atteggiamento uniforme sulla questione per tutti i Ministeri. A tal fine, trasmetteva il relativo parere al Presidente del Consiglio dei Ministri e al DAGL, per le valutazioni di competenza (si cfr. parere n. 1375/2021 sullo schema di DPR recante modifiche al regolamento di organizzazione degli uffici centrali del Ministero dell’interno).
Per quanto concerne il procedimento di adozione del d.P.C.M., la disposizione in esame richiede la proposta del Ministro dell’interno di concerto con il Ministro per la pubblica amministrazione e con il Ministro dell’economia e delle finanze, nonché la delibera da parte del Consiglio dei ministri.
La disposizione esplicita altresì che è richiesto il parere del Consiglio di Stato, che pertanto risulta obbligatorio, come nel caso dei regolamenti adottati con D.P.R. ai sensi dell'articolo 17, comma 4-bis, della legge 23 agosto 1988, n. 400.
Ancorché non richiamato esplicitamente, si ricorda che sul d.P.C.M. è previsto il controllo preventivo di legittimità della Corte dei Conti in virtù della norma generale che lo estende a tutti i provvedimenti emanati a seguito di deliberazione del Consiglio dei Ministri (art. 3, co. 1, L. n. 20/1994).
Rispetto alla procedura prevista per i D.P.R. di organizzazione dei Ministeri, di cui al citato comma 4-bis, per il d.P.C.M. in questione non è previsto il parere delle Commissioni parlamentari.
Come precisato nel primo periodo del comma in esame, la procedura speciale è diretta al fine di semplificare e accelerare la riorganizzazione del Ministero dell’interno, anche per quel che concerne l’adeguamento alle modifiche della dotazione organica intervenute con la legge di bilancio 2024 (legge 30 dicembre 2023, n. 213).
In particolare, la legge di bilancio 2024 ha istituito, con l’articolo 1, commi 34 e 35, nell’ambito dell’ufficio di gabinetto del Ministro dell’interno, in aggiunta alla vigente dotazione organica del Ministero dell’interno, un posto di funzione dirigenziale di livello generale, con compiti di studio e di analisi in materia di valutazione delle politiche pubbliche e revisione della spesa, nonché per coadiuvare e supportare l'organo politico nelle funzioni strategiche di indirizzo e di coordinamento delle articolazioni ministeriali nel settore delle politiche di bilancio. Ulteriori modifiche alla dotazione organica sono state disposte dall’articolo 1, commi 352 e 353, relativamente alla carriera prefettizia. In particolare, è stata disposta una riduzione di 50 posti nella qualifica di viceprefetto e un incremento di 72 posti nella qualifica di viceprefetto aggiunto, a decorrere dal 1° gennaio 2024. Inoltre, la riconfigurazione ha previsto una riduzione di ulteriori 20 posti nella qualifica di viceprefetto e un incremento di ulteriori 29 posti nella qualifica di viceprefetto aggiunto, a decorrere dal 1° gennaio 2025. È, altresì, disciplinata una riduzione di ulteriori 30 posti nella qualifica di viceprefetto e un incremento di ulteriori 43 posti nella qualifica di viceprefetto aggiunto, a decorrere dal 1° dicembre 2025.
In relazione alla disposizione recata dal comma 2, che modifica puntualmente l’art. 5, del d.P.C.m. n. 78/2019, si ricorda che, come indicato nella circolare del Presidente della Camera del 20 aprile 2001 sulle regole e raccomandazioni per la formulazione tecnica dei testi legislativi, «non si ricorre all'atto legislativo per apportare modifiche frammentarie ad atti non aventi forza di legge, al fine di evitare che questi ultimi presentino un diverso grado di "resistenza" ad interventi modificativi successivi», regola ripetutamente ricordata nei pareri del Comitato per la legislazione. Pertanto, al fine di rispettare la coerenza all’interno del sistema delle fonti e valutato altresì che il successivo comma 3 autorizza a modificare il regolamento del Ministero dell’interno con d.P.C.M., andrebbe valutata l’opportunità di prevedere che, in sede di revisione, si proceda alla sottrazione dai compiti della Direzione centrale per le risorse finanziarie della gestione finanziaria della Commissione nazionale per il diritto di asilo.
Articolo 16
(Modifiche al procedimento di convalida del trattenimento del richiedente protezione internazionale)
L’articolo 16, integralmente sostituito nel corso dell’esame in sede referente, sposta dalla Sezione specializzata del Tribunale alla Corte di appello in composizione monocratica la competenza per i procedimenti di convalida del provvedimento di trattenimento ovvero di proroga del trattenimento disposto dal questore nei confronti del richiedente protezione internazionale.
In particolare, le modifiche recate dall’articolo in commento incidono sul decreto-legge 7 febbraio 2017, n. 13, recante disposizioni urgenti per l'accelerazione dei procedimenti in materia di protezione internazionale, nonché per il contrasto dell'immigrazione illegale, convertito, con modificazioni, dalla legge 13 aprile 2017, n. 46.
Come è noto, tale decreto-legge ha istituito, presso tutti i Tribunali distrettuali, sezioni specializzate in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’Unione europea, cui è affidata, ai sensi dell’articolo 3, la competenza a decidere:
§ le controversie in materia di mancato riconoscimento del diritto di soggiorno sul territorio nazionale in favore dei cittadini degli altri Stati membri dell'Unione europea o dei loro familiari (lett. a)[86];
§ le controversie aventi ad oggetto l'impugnazione del provvedimento di allontanamento dei cittadini degli altri Stati membri dell'Unione europea o dei loro familiari per motivi di sicurezza dello Stato, motivi imperativi di pubblica sicurezza, altri motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza di cui all'articolo 20 del decreto legislativo 6 febbraio 2007, n. 30, ovvero per cessazione delle condizioni che determinano il diritto di soggiorno, nonché i procedimenti di convalida dei provvedimenti di allontanamento adottati dal questore ai sensi dell'articolo 20-ter del decreto legislativo 6 febbraio 2007, n. 30 (lett. b)[87];
§ le controversie aventi ad oggetto l’impugnazione dei provvedimenti adottati dalla Commissione territoriale e dalla Commissione nazionale di riconoscimento e revoca della protezione internazionale[88]; nonché i procedimenti di convalida del provvedimento con il quale il questore dispone il trattenimento ovvero la proroga del trattenimento del richiedente protezione internazionale[89] (lett. c);
§ le controversie in materia di rifiuto di rilascio, diniego di rinnovo e di revoca del permesso di soggiorno per protezione speciale (lett. d)[90], nonché dei permessi di soggiorno previsti per motivi di protezione sociale, per le vittime di violenza domestica, per le donne in stato di gravidanza o nei sei mesi successivi alla nascita del figlio cui provvedono, per gli stranieri in condizioni di salute derivanti da patologie di particolare gravità, non adeguatamente curabili nel Paese di origine, per calamità, ovvero nelle ipotesi di particolare sfruttamento lavorativo (lett. d-bis)[91];
§ le controversie in materia di diniego del nulla osta al ricongiungimento familiare e del permesso di soggiorno per motivi familiari, nonché relative agli altri provvedimenti dell'autorità amministrativa in materia di diritto all'unità familiare, di cui all'articolo 30, comma 6, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (lett. e);
§ le controversie aventi ad oggetto l'impugnazione dei provvedimenti adottati dall'autorità preposta alla determinazione dello Stato competente all'esame della domanda di protezione internazionale, in applicazione del regolamento (UE) n. 604/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013 (lett. e-bis).
L’intervento normativo in commento è articolato in due novelle che provvedono:
§ da un lato, a sottrarre alle sezioni specializzate la competenza per i procedimenti di convalida del provvedimento con il quale il questore dispone il trattenimento ovvero la proroga del trattenimento del richiedente protezione internazionale (lettera a);
§ dall’altro lato, e conseguentemente, ad attribuire la relativa competenza alla Corte d’appello (lettera b).
Più precisamente, la disposizione in commento introduce, a quest’ultimo fine, un nuovo articolo 5-bis nel decreto-legge 13/2017, rubricato “Competenza della Corte d’appello”, che affida alla Corte di appello la competenza per i procedimenti concernenti:
§ la convalida del provvedimento con il quale il questore dispone il trattenimento o la proroga del trattenimento del richiedente a norma degli articoli 6, 6-bis e 6-ter, del decreto legislativo 18 agosto 2015, n. 142;
La disposizione richiama tutte le diverse ipotesi di trattenimento del richiedente protezione internazionale previste e sottoposte a discipline differenziate dal D.Lgs. n. 142/2015, che qui si riepilogano in sintesi:
- il trattenimento nei centri di permanenza (CPR), ove possibile in appositi spazi e nei limiti dei posti disponibili, disposto per la prima volta nei confronti di un richiedente sulla base di una valutazione caso per caso, in alcune ipotesi tassative, che sono connesse allo status di rifugiato, alla pericolosità per l'ordine e la sicurezza pubblica o al rischio di fuga (art. 6, co. 2);
- il trattenimento del richiedente che al momento della presentazione della domanda di protezione internazionale si trova già in un CPR in attesa dell’esecuzione di un provvedimento di respingimento o di espulsione (art. 6, co. 3);
- il trattenimento del richiedente a fini identificativi, ossia per la determinazione o la verifica dell'identità o della cittadinanza, che può essere disposto, per il tempo strettamente necessario, e comunque non superiore a 30 giorni, in appositi locali presso gli hotspot (art. 6, co. 3-bis);
- il trattenimento del richiedente asilo alla frontiera, durante lo svolgimento della procedura di frontiera (art. 28-bis, co. 2-bis, lett. b) e b-bis), decreto legislativo n. 25 del 2008), che può essere disposto al solo fine di accertare il diritto di entrare nel territorio qualora il richiedente non abbia consegnato il passaporto o altro documento equipollente in corso di validità o non presti idonea garanzia finanziaria (art. 6-bis). Il trattenimento, che ha luogo in appositi locali presso gli hotspot ovvero, in caso di arrivi consistenti, nei CPR, non può protrarsi oltre il tempo strettamente necessario per lo svolgimento della procedura in frontiera e la convalida comporta il trattenimento nel centro per un periodo massimo, non prorogabile, di quattro settimane;
- il trattenimento del richiedente asilo che sia in attesa del suo trasferimento nello Stato competente ad esaminare la sua domanda secondo la c.d. procedura Dublino (art. 6-ter).
§ la convalida del provvedimento con il quale il questore dispone il trattenimento o la proroga del trattenimento del richiedente protezione internazionale a norma dell'articolo 10-ter, comma 3, quarto periodo, del TU immigrazione di cui al decreto legislativo n. 286 del 1998;
Il riferimento è al trattenimento disposto nei confronti del richiedente che sia stato rintracciato in condizione di irregolarità in occasione dell’attraversamento irregolare della frontiera interna o esterna, o che sia giunto nel territorio nazionale a seguito di operazioni di salvataggio in mare, o che comunque sia stato rintracciato in posizione di irregolarità nel territorio nazionale, il quale rifiuti reiteratamente di sottoporsi ai rilievi fotodattiloscopici.
§ la convalida delle misure alternative al trattenimento adottate ai sensi dell’articolo 14, comma 6, del decreto legislativo n. 142 del 2015.
Ci si riferisce alle misure alternative al trattenimento, che, al ricorrere di determinati presupposti, possono essere imposte dal questore al richiedente che abbia ottenuto la sospensione del provvedimento impugnato, e che consistono in: consegna del passaporto o altro documento equipollente in corso di validità, da restituire al momento della partenza; obbligo di dimora in un luogo preventivamente individuato, dove possa essere agevolmente rintracciato; obbligo di presentazione, in giorni ed orari stabiliti, presso un ufficio della forza pubblica territorialmente competente. Ai sensi del citato articolo 14, co. 6, del decreto legislativo n. 142 del 2015, competente alla convalida di tali misure è il tribunale sede della sezione specializzata in materia di immigrazione. Ai fini di coordinamento, l’articolo 18 del decreto-legge in esame ha sostituito il riferimento al tribunale con quello alla corte d’appello (per approfondimenti v. infra la relativa scheda di lettura).
Quanto alla determinazione della competenza per territorio, il nuovo articolo 5-bis radica la competenza presso la Corte di appello «di cui all’articolo 5, comma 2, della legge 22 aprile 2005, n. 69, nel cui distretto ha sede il questore che ha adottato il provvedimento oggetto di convalida».
A tale proposito, si ricorda che la legge 69/2005, oggetto del rinvio contenuto nella disposizione in commento, disciplina la competenza della Corte di appello in ordine ai procedimenti relativi al mandato d'arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri.
In particolare, l’art. 5, comma 2, l. 69/2005, richiamato dalla disposizione, fa riferimento alla Corte di appello nel cui distretto l'imputato o il condannato ha la residenza, la dimora o il domicilio nel momento in cui il provvedimento è ricevuto dall'autorità giudiziaria.
Pertanto, la disposizione in commento radica la competenza, da un lato, presso la Corte di appello nel cui distretto l'imputato o il condannato ha la residenza, la dimora o il domicilio e, dall’altro lato, presso la Corte di appello nel cui distretto ha sede il questore che ha adottato il provvedimento oggetto di convalida.
Alla luce di tale ricostruzione, si valuti l’opportunità di chiarire il rapporto intercorrente tra i due diversi criteri di determinazione della competenza della Corte di appello richiamati dalla disposizione in commento.
Infine, il comma 2 del nuovo articolo 5-bis precisa che, nei casi oggetto dell’intervento normativo in esame, la Corte d’appello giudica in composizione monocratica.
Con riferimento a tale ultima previsione, si segnala che la sopra citata legge 69/2005 prevede all’articolo 13 un analogo procedimento per la convalida dell’arresto disposto nei confronti di soggetto destinatario di un mandato di arresto europeo, affidato al presidente della Corte di appello o ad un magistrato da lui delegato.
Articolo 17
(Modifiche al procedimento di impugnazione
in materia di protezione internazionale)
L’articolo 17, modificato nel corso dell’esame in sede referente, interviene sulla disciplina del procedimento per l’impugnazione dei provvedimenti in materia di protezione internazionale.
In particolare, l’articolo in commento, nell’ambito del quale sono confluite le disposizioni contenute nell’articolo 2 del decreto-legge 158 del 2024[92], reca modifiche al decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25, di attuazione della Direttiva (UE) 85/2005 (c.d. decreto procedure).
Anzitutto, la lettera a) contiene una modifica di mero coordinamento dell’articolo 3 del citato decreto, che disciplina il procedimento per l’impugnazione dei provvedimenti adottati dall’Unità Dublino, operante presso il Ministero dell’interno, quale autorità preposta alla determinazione dello Stato competente all'esame della domanda di protezione internazionale in forza del regolamento (UE) n. 604/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013 (c.d. regolamento Dublino III).
Nel dettaglio, l’articolo 3 oggetto dell’intervento normativo in commento prevede che, contro le decisioni di trasferimento adottate dall’Unità Dublino, è ammesso ricorso al tribunale sede della sezione specializzata, nel termine perentorio di 30 giorni, decorrenti dalla notificazione della decisione di trasferimento. L'efficacia esecutiva del provvedimento impugnato può essere sospesa, su istanza di parte, da presentare, a pena di inammissibilità, con il ricorso introduttivo. La sospensione viene disposta quando ricorrono gravi e circostanziate ragioni, con decreto motivato non impugnabile, pronunciato entro cinque giorni dalla presentazione dell'istanza.
Il procedimento è trattato in camera di consiglio, con fissazione eventuale dell’udienza di comparizione delle parti, e deve essere definito con decreto non reclamabile entro 60 giorni dalla presentazione del relativo ricorso. Avverso tale decisione, è ammesso ricorso per cassazione nel termine di 30 giorni.
La modifica riguarda, specificatamente, il comma 3-octies dell’articolo 3 che disciplina gli effetti dell’istanza di sospensione del provvedimento impugnato sul trasferimento. Nello specifico, si sostituisce il generico richiamo al «ricorso di cui ai precedenti commi» con l’indicazione puntuale del «ricorso di cui al comma 3-bis», il quale ne disciplina appunto le modalità di presentazione.
La lettera b) dell’articolo in commento, invece, incide su due profili del procedimento di impugnazione del provvedimento adottato dalla Commissione territoriale in materia di protezione internazionale dinnanzi alle sezioni specializzate del Tribunale:
§ la determinazione del termine perentorio previsto per la proposizione del ricorso;
§ la disciplina della sospensione del provvedimento impugnato.
A tale proposito, si ricorda che il decreto legislativo n. 25 del 2008 contempla una procedura unificata per tutte le forme di protezione internazionale.
A decidere sulla domanda di protezione è competente la Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, la cui decisione è impugnabile dinanzi alla sezione specializzata in materia di immigrazione del Tribunale ordinario che provvede, su istanza del richiedente, al riesame del provvedimento della Commissione non satisfattivo.
Quanto ai tempi di svolgimento della procedura, ai sensi dell’art. 27 del citato decreto, la Commissione territoriale provvede al colloquio con il richiedente entro 30 giorni dal ricevimento della domanda e decide entro i 3 giorni feriali successivi, ovvero entro 6 mesi, nell’ipotesi in cui, per la sopravvenuta esigenza di acquisire nuovi elementi, non abbia potuto adottare la decisione entro i termini ordinari. Sono previste alcune ipotesi di proroga.
Accanto a tale procedura “ordinaria”, l’art. 28-bis del citato decreto, introdotto con il d.lgs. 142/2015, prevede una serie di casi di procedura cd. accelerata, alcuni dei quali comportano una riduzione a 5 giorni del termine previsto per la decisione della Commissione (comma 1); altri impongono alla Commissione territoriale di provvedere all'audizione entro 7 giorni dalla data di ricezione della documentazione e di decidere entro i successivi 2 giorni (comma 2).
Con il decreto-legge 10 marzo 2023, n. 20, è stato previsto altresì che con riferimento alle domande di protezione internazionale presentate alla frontiera o nelle zone di transito da un richiedente che sia stato fermato per avere eluso o tentato di eludere i relativi controlli ovvero che sia proveniente da un Paese designato di origine sicuro, la procedura può essere svolta direttamente alla frontiera e la Commissione territoriale decide nel termine di 7 giorni dalla ricezione della domanda (comma 2-bis).
La Commissione può alternativamente decidere di riconoscere al richiedente lo status di rifugiato o la protezione sussidiaria ovvero di rigettare la domanda. Avverso la decisione non satisfattiva, il richiedente può proporre ricorso.
La disciplina applicabile a quest’ultima fase di carattere giurisdizionale è attualmente contenuta nell’articolo 35-bis del decreto procedure, così come modificato dal decreto-legge 17 febbraio 2017, n. 13, che prevede il rinvio agli articoli 737 e seguenti del codice di procedura civile. In forza di tale rinvio, le sezioni specializzate decidono con decreto motivato, all’esito di procedimento in camera di consiglio.
Il comma 2 dell’articolo 35-bis del decreto legislativo n. 28 del 2005 prevede che il ricorso deve essere proposto, a pena di inammissibilità, entro 30 giorni dalla notificazione del provvedimento, ovvero entro 60 giorni se il ricorrente si trova in un Paese terzo al momento della proposizione, e può essere depositato anche a mezzo del servizio postale ovvero per il tramite di una rappresentanza diplomatica o consolare italiana.
Il medesimo comma 2 stabiliva, per le ipotesi in cui si applica la procedura accelerata dinanzi alla Commissione territoriale, una riduzione alla metà del termine perentorio per la proposizione del ricorso avverso la decisione di quest’ultima.
La relativa previsione viene ora soppressa dalla disposizione in commento (n. 1), per essere riprodotta all’interno del nuovo comma 2-bis dell’art. 35-bis del decreto legislativo n. 25 del 2008. Le ipotesi di riduzione del termine precedentemente previste vengono, peraltro, rimodulate (n. 2).
Più precisamente, il nuovo comma 2-bis dell’art. 35-bis prevede una riduzione alla metà del termine ordinario per proporre ricorso con riferimento a taluni casi di procedura accelerata.
Si tratta nello specifico delle ipotesi previste dal comma 1 dell’art. 28-bis relative a:
§ le domande reiterate, identiche a precedenti già decise dalla Commissione, senza l’indicazione di nuovi elementi o nuove prove (lett. a);
§ le domande presentate da persona sottoposta a procedimento penale o condannata, con sentenza anche non definitiva, per gravi reati che integrano causa di diniego dello status di rifugiato o di esclusione dello status di protezione sussidiaria, ovvero da persona che costituisce pericolo per l’ordine pubblico, la sicurezza e la moralità pubblica oppure che appartiene ad associazioni di tipo mafioso (lett. b).
La riduzione alla metà del termine concerne, inoltre, le ipotesi di cui al comma 2 dell’art. 28-bis riguardanti le domande presentate da persona:
§ nei cui confronti è stato adottato un provvedimento di trattenimento nei c.d. punti di crisi (hotspot) ovvero nei Centri di permanenza per i rimpatri (CPR) (lett. a);
§ la cui domanda risulti manifestamente infondata (lett. d);
§ che abbia presentato la domanda di protezione dopo essere stato fermato in condizioni di soggiorno irregolare, al solo scopo di ritardare o impedire l'esecuzione di un provvedimento di espulsione o respingimento (lett. e).
Accanto a tali ipotesi specifiche, ai sensi della disposizione in commento i termini sono ridotti alla metà altresì nei casi in cui nei confronti del richiedente sia stato disposto un provvedimento di trattenimento, salvo che si ricada nell’ambito di applicazione del successivo comma 2-ter.
Si prevede, inoltre, l’inserimento di un nuovo comma 2-ter nel citato art. 35-bis, ai sensi del quale il termine per il deposito del ricorso viene ulteriormente ridotto a sette giorni. Tale previsione trova applicazione nelle residue ipotesi di procedura accelerata previste dal comma 2 dell’art. 28-bis. Si tratta, in particolare, dei casi in cui il ricorrente:
§ ha presentato la domanda di protezione direttamente alla frontiera o nelle zone di transito, dopo essere stato fermato per avere eluso o tentato di eludere i relativi controlli (lett. b);
§ ha presentato la domanda di protezione direttamente alla frontiera o nelle zone di transito e proviene da un Paese designato di origine sicura (lett. b-bis);
§ proviene da un Paese designato di origine sicura (lett. c).
La disposizione precisa che tale riduzione del termine si applica anche se il ricorrente si trova in stato di trattenimento, ovvero è sottoposto a misure alternative al trattenimento ai sensi dell’articolo 6-bis del decreto legislativo 18 agosto 2015, n. 142.
Al riguardo, si ricorda che l’articolo 6-bis, cui si riferisce la disposizione in commento, disciplina le ipotesi di trattenimento disposto nei confronti dello straniero durante lo svolgimento della procedura alla frontiera di cui all’art. 28-bis del decreto-legge n. 25 del 2008 (sulle quali, più ampiamente, si veda la scheda di lettura relativa all’articolo 16).
Un altro gruppo di novelle contenute nella medesima lettera b) è invece volto ad introdurre nell’art. 35-bis del decreto legislativo n. 28 del 2005 un reclamo, proponibile dinanzi alla Corte di appello, avverso il decreto motivato con cui il giudice decide sulla sospensione del provvedimento impugnato.
In particolare, l’intervento consta di due modificazioni: l’una sostituisce il comma 4 del citato art. 35-bis (n. 2.1), l’altra inserisce un nuovo comma 4-bis nel medesimo articolo (n. 2.2). Oggetto delle novelle è la disciplina della sospensione del provvedimento impugnato.
A tale proposito, il comma 3 dell’art. 35-bis prevede che la proposizione del ricorso avverso la decisione della Commissione territoriale sospende automaticamente l'efficacia esecutiva del provvedimento impugnato, ad eccezione dei casi in cui il ricorso sia stato presentato:
- da parte di un soggetto nei cui confronti è stato adottato un provvedimento di trattenimento nei c.d. punti di crisi (hotspot) di cui all'art. 10-ter del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico in materia di immigrazione- T.U.I), ovvero nei Centri di permanenza per i rimpatri (CPR) di cui all'articolo 14 del TU (lett. a);
- avverso il provvedimento che dichiara inammissibile o rigetta per manifesta infondatezza la domanda di riconoscimento della protezione internazionale (lett. b e c);
- avverso il provvedimento adottato nei confronti di richiedente proveniente da un Paese designato di origine sicura oppure che abbia presentato la domanda di protezione direttamente alla frontiera o nelle zone di transito, dopo essere stato fermato per avere eluso o tentato di eludere i relativi controlli ovvero dopo essere stato fermato in condizioni di soggiorno irregolare, al solo scopo di ritardare o impedire l'esecuzione di un provvedimento di espulsione o respingimento (lett. d);
- avverso il provvedimento relativo alla domanda di cui all'articolo 28-bis, comma 1, lettera b), (lett. d-bis).
Il comma 4 del citato articolo 35-bis, nella versione tuttora vigente, prevede che, nei casi delineati dal comma 3, la sospensione dell’efficacia esecutiva del provvedimento può essere richiesta in via cautelare al giudice, che vi provvede con decreto motivato, quando ricorrono gravi e circostanziate ragioni.
Rispetto alla norma previgente, le modifiche sostanziali apportate al comma 4 consistono:
§ nella previsione della necessità di depositare l’istanza di sospensione contestualmente alla presentazione del ricorso, a pena di inammissibilità dell’istanza medesima;
§ nella introduzione di un contraddittorio cartolare anticipato sull’istanza di sospensione.
Nello specifico, tale contraddittorio si articola nelle seguenti fasi:
§ il ricorso viene notificato, a cura della cancelleria, al Ministero dell'interno, presso la Commissione o la Sezione che ha adottato l'atto impugnato, nonché, limitatamente ai casi di cessazione o revoca della protezione internazionale, alla Commissione nazionale per il diritto di asilo[93];
§ entro 3 giorni dalla notifica, il Ministero dell’interno può depositare note difensive;
§ entro i successivi 3 giorni la parte ricorrente può depositare note di replica;
§ entro i successivi 5 giorni il giudice decide sull’istanza di sospensione.
Il termine di 5 giorni previsto per la decisione decorre, invece, dalla scadenza del temine per il deposito delle note difensive (3 giorni dalla notifica del ricorso), nei casi in cui il Ministero dell’interno non si avvale della facoltà di depositare note difensive.
Rimane ferma la previsione del rilascio di un permesso di soggiorno per richiesta asilo al ricorrente la cui istanza di sospensione sia stata accolta, nelle ipotesi di ricorso proposto:
§ avverso il provvedimento che dichiara inammissibile o rigetta per manifesta infondatezza la domanda di riconoscimento della protezione internazionale;
§ avverso il provvedimento adottato nei confronti di richiedente proveniente da un Paese designato di origine sicura oppure che abbia presentato la domanda di protezione direttamente alla frontiera o nelle zone di transito, dopo essere stato fermato per avere eluso o tentato di eludere i relativi controlli ovvero dopo essere stato fermato in condizioni di soggiorno irregolare, al solo scopo di ritardare o impedire l'esecuzione di un provvedimento di espulsione o respingimento.
Allo straniero che presenti domanda di protezione internazionale viene rilasciato un permesso di soggiorno per richiesta di asilo della durata di sei mesi, valido sul territorio dello Stato e rinnovabile fino alla decisione della Commissione Territoriale in merito alla richiesta del riconoscimento della protezione internazionale o comunque per il tempo in cui è autorizzato a rimanere nel territorio nazionale in caso di proposizione del ricorso giurisdizionale avverso la decisione della Commissione ai sensi di quanto disposto dall’articolo 35-bis, co. 3 e 4 del decreto procedure (si v. D.Lgs. n. 142/2015, art. 4).
Il n. 2.2) della lettera b) inserisce nell’art. 35-bis il nuovo comma 4-bis. La novella è volta ad introdurre la possibilità di proporre reclamo dinnanzi alla Corte di appello avverso la decisione sull’istanza di sospensiva adottata dal Tribunale.
Il termine perentorio per la proposizione del reclamo è pari a 5 giorni e decorre dalla comunicazione del decreto a cura della cancelleria, da effettuarsi anche nei confronti della parte non costituita.
La nuova disposizione rinvia agli articoli 737 e 738 del codice di procedura civile, che regolano, in via generale, il rito camerale.
Le caratteristiche essenziali del procedimento camerale di cui agli articoli 737 ss. del codice di procedura civile possono essere così riassunte: il procedimento si attiva con "ricorso" dell'interessato (art. 737 c.p.c.), si svolge senza seguire forme rituali, non richiede espressamente la forma del contraddittorio (l'art. 738, 3° comma, c.p.c. prevede solo l'eventualità che il giudice assuma informazioni) e termina con l'adozione di un decreto (art. 737 c.p.c.).
Il reclamo è comunicato, a cura della cancelleria, alla controparte e la sua proposizione non sospende l’efficacia esecutiva del provvedimento reclamato.
La Corte d’appello, sentite le parti, decide con decreto immediatamente esecutivo, entro 10 giorni dalla presentazione del reclamo. Il decreto adottato è comunicato alle parti a cura della cancelleria.
La disposizione prevede, infine, che, per tali procedimenti, non trova applicazione la sospensione dei termini processuali nel periodo feriale.
La lettera c) dell’articolo in commento reca modifiche all’articolo 35-ter del decreto legislativo n. 25 del 2008, riguardante il ricorso contro la decisione di diniego della protezione internazionale adottata dalla Commissione territoriale nella procedura di frontiera e la relativa richiesta di sospensione dell’efficacia esecutiva del provvedimento impugnato.
Si tratta, in particolare, della procedura, introdotta con il decreto-legge 10 marzo 2023, n. 20, per i casi di trattenimento dello straniero ai sensi dell’art. 6-bis del d.lgs. 142/2015, ovverosia quelli riguardanti lo straniero proveniente da un Paese di origine designato come “sicuro” oppure lo straniero fermato per aver eluso (o tentato di eludere) i controlli, che abbia presentato domanda di protezione internazionale direttamente alla frontiera o nelle zone di transito (per approfondimenti, si rinvia alla scheda di lettura relativa all’articolo 16).
L’intervento normativo provvede, in particolare, a sostituire il comma 1 del citato art. 35-ter (n. 1).
Rispetto alla norma previgente, le modifiche sostanziali riguardano tre profili.
Anzitutto, viene ridefinito l’ambito di applicazione della disposizione, non più circoscritto alle ipotesi di trattenimento dello straniero ai sensi dell’art. 6-bis del d.lgs. 142/2015, bensì riferito ai casi, previsti dall’art. 28-bis, comma 2, lett. b), b-bis) e c), in cui l’interessato:
- ha presentato la domanda di protezione direttamente alla frontiera o nelle zone di transito, dopo essere stato fermato per avere eluso o tentato di eludere i relativi controlli (lett. b);
- ha presentato la domanda di protezione direttamente alla frontiera o nelle zone di transito e proviene da un Paese designato di origine sicura (lett. b-bis);
- proviene da un Paese designato di origine sicura (lett. c).
La disposizione precisa, inoltre, che la disciplina ivi contenuta si applica anche se il ricorrente si trova in stato di trattenimento, ovvero è sottoposto a misure alternative al trattenimento ai sensi dell’articolo 6-bis del decreto legislativo 18 agosto 2015, n. 142 (sul quale v. supra).
In secondo luogo, si provvede ad una riduzione alla metà dei termini per la proposizione del ricorso (termini ridotti a 7 giorni, v. art. 35-bis, comma 2-ter, come introdotto dal comma 1, lett. b), n. 2).
In terzo luogo, viene precisato che la proposizione del ricorso o dell'istanza di sospensione non determina la sospensione dell’immediata esecutività del provvedimento impugnato. Viene invece confermata la necessità di presentare l’istanza di sospensione contestualmente alla presentazione del ricorso, pena l’inammissibilità della medesima.
Ulteriori modifiche all'articolo 35-ter sono previste dalla medesima lettera c), al fine di estendere anche a tale ipotesi la previsione del reclamo avverso il provvedimento di sospensione. A tal riguardo, viene novellato il comma 2 dell’articolo 35-ter sopprimendo il riferimento ivi contenuto alla non impugnabilità del decreto che decide sull’istanza di sospensione (n. 1-bis).
Conseguentemente, viene inserito un nuovo comma 2-bis (n. 1-ter) che:
§ ammette il reclamo dinnanzi alla Corte d’appello avverso il provvedimento che decide sull’istanza di sospensione;
§ estende a tale reclamo le disposizioni introdotte nell’articolo 35-bis, comma 4-bis (sulle quali, vedi supra).
Decreto legislativo 28/01/2008, n. 25 |
||
Testo previgente |
Testo come risultante dalle modificazioni apportate dall’articolo 17 del D.L. 145/2024 |
Testo come risultante all’esito delle modificazioni apportate dalla Commissione in sede referente |
(Autorità competenti) |
Art. 3 (idem) |
Art. 3 (idem) |
|
[comma 1, lett. a)] |
[comma 1, lett. a)] |
Commi da 1 a 3-sexies Omissis |
Commi da 1 a 3-sexies Omissis |
Commi da 1 a 3-sexies Omissis |
3-septies. Il procedimento è trattato in camera di consiglio. L'udienza per la comparizione delle parti è fissata esclusivamente quando il giudice lo ritenga necessario ai fini della decisione. Il procedimento è definito, con decreto non reclamabile, entro sessanta giorni dalla presentazione del ricorso. Il termine per proporre ricorso per cassazione è di trenta giorni e decorre dalla comunicazione del decreto, da effettuare a cura della cancelleria anche nei confronti della parte non costituita. La procura alle liti per la proposizione del ricorso per cassazione deve essere conferita, a pena di inammissibilità del ricorso, in data successiva alla comunicazione del decreto impugnato; a tal fine il difensore certifica la data di rilascio in suo favore della procura medesima. In caso di rigetto, la Corte di cassazione decide sull'impugnazione entro due mesi dal deposito del ricorso. |
3-septies. Il procedimento è trattato in camera di consiglio. L'udienza per la comparizione delle parti è fissata esclusivamente quando il giudice lo ritenga necessario ai fini della decisione. Il procedimento è definito, con decreto entro sessanta giorni dalla presentazione del ricorso. |
3-septies. Il procedimento è trattato in camera di consiglio. L'udienza per la comparizione delle parti è fissata esclusivamente quando il giudice lo ritenga necessario ai fini della decisione. Il procedimento è definito, con decreto non reclamabile, entro sessanta giorni dalla presentazione del ricorso. Il termine per proporre ricorso per cassazione è di trenta giorni e decorre dalla comunicazione del decreto, da effettuare a cura della cancelleria anche nei confronti della parte non costituita. La procura alle liti per la proposizione del ricorso per cassazione deve essere conferita, a pena di inammissibilità del ricorso, in data successiva alla comunicazione del decreto impugnato; a tal fine il difensore certifica la data di rilascio in suo favore della procura medesima. In caso di rigetto, la Corte di cassazione decide sull'impugnazione entro due mesi dal deposito del ricorso. |
3-octies. Quando con il ricorso di cui ai precedenti commi è proposta istanza di sospensione degli effetti della decisione di trasferimento, il trasferimento è sospeso automaticamente e il termine per il trasferimento del ricorrente previsto dall'articolo 29 del regolamento (UE) n. 604/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, decorre dalla comunicazione del provvedimento di rigetto della medesima istanza di sospensione ovvero, in caso di accoglimento, dalla comunicazione del decreto con cui il ricorso è rigettato. |
3-octies. Quando con il ricorso di cui al comma 3-bis è proposta istanza di sospensione degli effetti della decisione di trasferimento, il trasferimento è sospeso automaticamente e il termine per il trasferimento del ricorrente previsto dall'articolo 29 del regolamento (UE) n. 604/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, decorre dalla comunicazione del provvedimento di rigetto della medesima istanza di sospensione ovvero, in caso di accoglimento, dalla comunicazione del decreto con cui il ricorso è rigettato. |
Identico |
Commi da 3-novies a 3-undecies Omissis |
Commi da 3-novies a 3-undecies Omissis |
Commi da 3-novies a 3-undecies Omissis |
Art. 35-bis (Delle controversie in materia di riconoscimento della protezione internazionale) |
Art. 35-bis (idem) |
Art. 35-bis (idem) |
|
[comma 1, lett. b)] |
[comma 1, lett. b)] |
1. Le controversie aventi ad oggetto l'impugnazione dei provvedimenti previsti dall'articolo 35 anche per mancato riconoscimento dei presupposti per la protezione speciale a norma dell’articolo 32, comma 3, sono regolate dalle disposizioni di cui agli articoli 737 e seguenti del codice di procedura civile, ove non diversamente disposto dal presente articolo. |
Identico |
Identico |
2. Il ricorso è proposto, a pena di inammissibilità, entro trenta giorni dalla notificazione del provvedimento, ovvero entro sessanta giorni se il ricorrente si trova in un Paese terzo al momento della proposizione del ricorso, e può essere depositato anche a mezzo del servizio postale ovvero per il tramite di una rappresentanza diplomatica o consolare italiana. In tal caso l'autenticazione della sottoscrizione e l'inoltro all'autorità giudiziaria italiana sono effettuati dai funzionari della rappresentanza e le comunicazioni relative al procedimento sono effettuate presso la medesima rappresentanza. La procura speciale al difensore è rilasciata altresì dinanzi all’autorità consolare. Nei casi di cui all’articolo 28-bis, commi 1 e 2, e nei casi in cui nei confronti del ricorrente è stato adottato un provvedimento di trattenimento ai sensi dell’articolo 6 del decreto legislativo 18 agosto 2015, n. 142, i termini previsti dal presente comma sono ridotti della metà. |
2. Salvo quanto previsto dai commi 2-bis e 2-ter, il ricorso è proposto, a pena di inammissibilità, entro trenta giorni dalla notificazione del provvedimento, ovvero entro sessanta giorni se il ricorrente si trova in un Paese terzo al momento della proposizione del ricorso, e può essere depositato anche a mezzo del servizio postale ovvero per il tramite di una rappresentanza diplomatica o consolare italiana. In tal caso l'autenticazione della sottoscrizione e l'inoltro all'autorità giudiziaria italiana sono effettuati dai funzionari della rappresentanza e le comunicazioni relative al procedimento sono effettuate presso la medesima rappresentanza. La procura speciale al difensore è rilasciata altresì dinanzi all’autorità consolare. |
Identico |
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2-bis. Nei casi di cui all'articolo 28-bis, commi 1, 2 e 2-bis, e nei casi in cui nei confronti del ricorrente è stato adottato un provvedimento di trattenimento, i termini previsti dal comma 2 sono ridotti della metà, fatto salvo quanto previsto dal comma 2-ter. |
2-bis. Nei casi di cui all’articolo 28-bis, commi 1, e 2, lettere a), d) ed e), e nei casi in cui nei confronti del ricorrente è stato adottato un provvedimento di trattenimento, i termini previsti dal comma 2 sono ridotti della metà, fatto salvo quanto previsto dal comma 2-ter. |
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2-ter. Quando nei confronti del ricorrente è stato adottato un provvedimento di trattenimento ai sensi dell'articolo 6-bis del decreto legislativo n. 142 del 2015 il termine per il deposito del ricorso è di sette giorni, decorrente dalla data di notifica della decisione della Commissione territoriale. |
2-ter. Nei casi di cui all’articolo 28-bis, comma 2, lettere b), b-bis) e c), anche se il ricorrente si trova in stato di trattenimento, ovvero è sottoposto a misure alternative al trattenimento ai sensi dell’articolo 6-bis, comma 2-bis, del decreto legislativo 18 agosto 2015, n. 142, il termine per il deposito del ricorso è di sette giorni, decorrente dalla data di notifica della decisione della Commissione territoriale. |
3. La proposizione del ricorso sospende l'efficacia esecutiva del provvedimento impugnato, tranne che nelle ipotesi in cui il ricorso viene proposto: a) da parte di un soggetto nei cui confronti è stato adottato un provvedimento di trattenimento nelle strutture di cui all'articolo 10-ter del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, ovvero nei centri di cui all'articolo 14 del medesimo decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286; b) avverso il provvedimento che dichiara inammissibile la domanda di riconoscimento della protezione internazionale; c) avverso il provvedimento di rigetto per manifesta infondatezza ai sensi dell'articolo 32, comma 1, lettera b-bis); d) avverso il provvedimento adottato nei confronti dei soggetti di cui all'articolo 28-bis, comma 2, lettere b), b-bis), c) ed e); d-bis) avverso il provvedimento relativo alla domanda di cui all'articolo 28-bis, comma 1, lettera b). |
Identico |
Identico |
4. Nei casi previsti dal comma 3, lettere a), b), c), d) e d-bis), l'efficacia esecutiva del provvedimento impugnato può tuttavia essere sospesa, quando ricorrono gravi e circostanziate ragioni e assunte, ove occorra, sommarie informazioni, con decreto motivato, adottato ai sensi dell'articolo 3, comma 4-bis, del decreto-legge 17 febbraio 2017, n. 13, convertito, con modificazioni, dalla legge 13 aprile 2017, n. 46, e pronunciato entro cinque giorni dalla presentazione dell'istanza di sospensione e senza la preventiva convocazione della controparte. Il decreto con il quale è concessa o negata la sospensione del provvedimento impugnato è notificato, a cura della cancelleria e con le modalità di cui al comma 6, unitamente all'istanza di sospensione. Entro cinque giorni dalla notificazione le parti possono depositare note difensive. Entro i cinque giorni successivi alla scadenza del termine di cui al periodo precedente possono essere depositate note di replica. Qualora siano state depositate note ai sensi del terzo e quarto periodo del presente comma, il giudice, con nuovo decreto, da emettersi entro i successivi cinque giorni, conferma, modifica o revoca i provvedimenti già emanati. Il decreto emesso a norma del presente comma non è impugnabile. Nei casi di cui alle lettere b), c) e d), del comma 3 quando l'istanza di sospensione è accolta, al ricorrente è rilasciato un permesso di soggiorno per richiesta asilo. |
Identico |
4. Nei casi previsti dal comma 3 l'efficacia esecutiva del provvedimento impugnato può essere sospesa, su istanza di parte, con decreto motivato, quando ricorrono gravi e circostanziate ragioni. L'istanza di sospensione deve essere proposta, a pena di inammissibilità, con il ricorso introduttivo. Il ricorso è notificato, a cura della cancelleria e con le modalità di cui al comma 6. Il Ministero dell'interno può depositare note difensive entro tre giorni dalla notifica. Se il Ministero deposita note difensive la parte ricorrente può depositare note di replica entro i successivi tre giorni. Il giudice decide sull'istanza di sospensione entro i successivi cinque giorni. Se il Ministero dell'interno non si avvale della facoltà prevista dal quarto periodo il termine per la decisione decorre dalla scadenza del termine per il deposito delle note difensive. Nei casi previsti dalle lettere b), c) e d), del comma 3 quando l'istanza di sospensione è accolta, al ricorrente è rilasciato un permesso di soggiorno per richiesta asilo. |
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4-bis. Avverso il decreto di cui al comma 4 è ammesso reclamo alla corte d'appello nel termine di cinque giorni, decorrente dalla comunicazione del decreto a cura della cancelleria, da effettuarsi anche nei confronti della parte non costituita. Si applicano gli articoli 737 e 738 del codice di procedura civile. Il reclamo è comunicato, a cura della cancelleria, alla controparte. La proposizione del reclamo non sospende l'efficacia esecutiva del provvedimento reclamato. La corte d'appello, sentite le parti, decide con decreto immediatamente esecutivo, entro dieci giorni dalla presentazione del reclamo. Il decreto è comunicato alle parti a cura della cancelleria. La sospensione dei termini processuali nel periodo feriale non opera nei procedimenti di cui al presente comma. |
Commi da 5 a 12 Omissis |
Commi da 5 a 12 Omissis |
Commi da 5 a 12 Omissis |
13. Entro quattro mesi dalla presentazione del ricorso, il Tribunale decide, sulla base degli elementi esistenti al momento della decisione, con decreto che rigetta il ricorso ovvero riconosce al ricorrente lo status di rifugiato o di persona cui è accordata la protezione sussidiaria. Il decreto non è reclamabile. La sospensione degli effetti del provvedimento impugnato, di cui al comma 3, viene meno se con decreto, anche non definitivo, il ricorso è rigettato. La disposizione di cui al periodo precedente si applica anche relativamente agli effetti del provvedimento cautelare pronunciato a norma del comma 4. Il termine per proporre ricorso per cassazione è di giorni trenta e decorre dalla comunicazione del decreto a cura della cancelleria, da effettuarsi anche nei confronti della parte non costituita. La procura alle liti per la proposizione del ricorso per cassazione deve essere conferita, a pena di inammissibilità del ricorso, in data successiva alla comunicazione del decreto impugnato; a tal fine il difensore certifica la data di rilascio in suo favore della procura medesima. In caso di rigetto, la Corte di cassazione decide sull'impugnazione entro sei mesi dal deposito del ricorso. Quando sussistono fondati motivi, il giudice che ha pronunciato il decreto impugnato può disporre la sospensione degli effetti del predetto decreto, con conseguente ripristino, in caso di sospensione di decreto di rigetto, della sospensione dell'efficacia esecutiva della decisione della Commissione. La sospensione di cui al periodo precedente è disposta su istanza di parte da depositarsi entro cinque giorni dalla proposizione del ricorso per cassazione. La controparte può depositare una propria nota difensiva entro cinque giorni dalla comunicazione, a cura della cancelleria, dell'istanza di sospensione. Il giudice decide entro i successivi cinque giorni con decreto non impugnabile. |
13. Entro quattro mesi dalla presentazione del ricorso, il Tribunale decide, sulla base degli elementi esistenti al momento della decisione, con decreto che rigetta il ricorso ovvero riconosce al ricorrente lo status di rifugiato o di persona cui è accordata la protezione sussidiaria. La sospensione degli effetti del provvedimento impugnato, di cui al comma 3, viene meno se con decreto, anche non definitivo, il ricorso è rigettato. La disposizione di cui al periodo precedente si applica anche relativamente agli effetti del provvedimento cautelare pronunciato a norma del comma 4. |
13. Entro quattro mesi dalla presentazione del ricorso, il Tribunale decide, sulla base degli elementi esistenti al momento della decisione, con decreto che rigetta il ricorso ovvero riconosce al ricorrente lo status di rifugiato o di persona cui è accordata la protezione sussidiaria. Il decreto non è reclamabile. La sospensione degli effetti del provvedimento impugnato, di cui al comma 3, viene meno se con decreto, anche non definitivo, il ricorso è rigettato. La disposizione di cui al periodo precedente si applica anche relativamente agli effetti del provvedimento cautelare pronunciato a norma del comma 4. Il termine per proporre ricorso per cassazione è di giorni trenta e decorre dalla comunicazione del decreto a cura della cancelleria, da effettuarsi anche nei confronti della parte non costituita. La procura alle liti per la proposizione del ricorso per cassazione deve essere conferita, a pena di inammissibilità del ricorso, in data successiva alla comunicazione del decreto impugnato; a tal fine il difensore certifica la data di rilascio in suo favore della procura medesima. In caso di rigetto, la Corte di cassazione decide sull'impugnazione entro sei mesi dal deposito del ricorso. Quando sussistono fondati motivi, il giudice che ha pronunciato il decreto impugnato può disporre la sospensione degli effetti del predetto decreto, con conseguente ripristino, in caso di sospensione di decreto di rigetto, della sospensione dell'efficacia esecutiva della decisione della Commissione. La sospensione di cui al periodo precedente è disposta su istanza di parte da depositarsi entro cinque giorni dalla proposizione del ricorso per cassazione. La controparte può depositare una propria nota difensiva entro cinque giorni dalla comunicazione, a cura della cancelleria, dell'istanza di sospensione. Il giudice decide entro i successivi cinque giorni con decreto non impugnabile. |
Commi da 14 a 18 Omissis |
Commi da 14 a 18 Omissis |
Commi da 14 a 18 Omissis |
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Art. 35-bis.1 |
Soppresso |
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[comma1, lett. c)] |
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1. Contro il decreto adottato ai sensi degli articoli 3, comma 3-septies, e 35-bis, comma 13, è ammesso reclamo alla Corte d'appello nel termine perentorio di quindici giorni, decorrente dalla comunicazione del decreto a cura della cancelleria, da effettuarsi anche nei confronti della parte non costituita. Si applicano, salvo che sia diversamente disposto dal presente decreto, gli articoli 737 e 738 del codice di procedura civile. |
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2. La procura alle liti per la proposizione del reclamo deve essere conferita, a pena di inammissibilità del reclamo, in data successiva alla comunicazione del decreto impugnato. A tal fine il difensore certifica la data di rilascio in suo favore della procura medesima. |
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3. Il reclamo è comunicato, a cura della cancelleria, alla controparte. |
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4. La proposizione del reclamo o dell'istanza di sospensione ai sensi del comma 6 non sospende l'efficacia esecutiva del provvedimento reclamato. |
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5. L'efficacia esecutiva del provvedimento reclamato può essere sospesa, su istanza di parte, quando ricorrono gravi e circostanziate ragioni. L'istanza di sospensione deve essere proposta, a pena di inammissibilità, con il reclamo. La Corte decide sull'istanza entro cinque giorni con decreto non impugnabile, salvo che ritenga di procedere immediatamente ai sensi del comma 6. |
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6. La corte d'appello, sentite le parti, decide con decreto immediatamente esecutivo, entro venti giorni dalla presentazione del reclamo. Il decreto è comunicato alle parti a cura della cancelleria. |
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7. La sospensione dei termini processuali nel periodo feriale non opera nei procedimenti di cui al presente articolo e di cui all'articolo 35-bis.3. |
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Art. 35-bis.2 |
Soppresso |
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[comma 1, lett. c)] |
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1. Contro il decreto adottato ai sensi dell'articolo 35-bis.1 è ammesso ricorso per cassazione nel termine di trenta giorni decorrente dalla comunicazione ai sensi del comma 5 del predetto articolo. |
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2. La procura alle liti per la proposizione del ricorso per cassazione deve essere conferita, a pena di inammissibilità del ricorso, in data successiva alla comunicazione del decreto impugnato. A tal fine il difensore certifica la data di rilascio in suo favore della procura medesima. |
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3. Quando il decreto impugnato ha confermato il rigetto della domanda di protezione, la Corte di cassazione decide sull'impugnazione entro sei mesi dal deposito del ricorso. |
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4. Quando il decreto impugnato ha confermato la decisione di trasferimento adottata dall'autorità di cui all'articolo 3, comma 3, la Corte di cassazione decide sull'impugnazione entro due mesi dal deposito del ricorso. |
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Art. 35-bis.3 |
Soppresso |
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[comma 1, lett. c)] |
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1. Quando sussistono fondati motivi la corte d'appello, su istanza di parte, può sospendere gli effetti del decreto impugnato ai sensi dell'articolo 35-bis.2. |
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2. L'istanza di sospensione è proposta entro il termine previsto dall'articolo 35-bis.2, unitamente alla prova del deposito del ricorso in conformità all'articolo 369 del codice di procedura civile. La controparte può depositare una nota difensiva entro cinque giorni dalla comunicazione, a cura della cancelleria, dell'istanza di sospensione. |
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3. La corte d'appello decide in camera di consiglio entro i successivi cinque giorni con decreto non impugnabile.
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Art. 35-ter |
Art. 35-ter |
Art. 35-ter |
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[comma 1, lett. d)] |
[comma 1, lett. c)] |
1. Quando il richiedente è trattenuto ai sensi dell'articolo 6-bis del decreto legislativo 18 agosto 2015, n. 142, contro la decisione della Commissione territoriale è ammesso ricorso nel termine di quattordici giorni dalla notifica del provvedimento e si applica l'articolo 35-bis, comma 3, del presente decreto. L'istanza di sospensione dell'efficacia esecutiva del provvedimento impugnato è proposta, a pena di inammissibilità, con il ricorso introduttivo. |
1. Quando il richiedente è trattenuto ai sensi dell'articolo 6-bis del decreto legislativo 18 agosto 2015, n. 142, contro la decisione della Commissione territoriale è ammesso ricorso nel termine indicato dall'articolo 35-bis, comma 2-ter. La proposizione del ricorso o dell'istanza di sospensione non sospende l'efficacia esecutiva del provvedimento impugnato. L'istanza di sospensione dell'efficacia esecutiva del provvedimento impugnato è proposta, a pena di inammissibilità, con il ricorso introduttivo. |
1. Nei casi di cui all’articolo 28-bis, comma 2, lettere b), b-bis) e c), anche se il ricorrente si trova in stato di trattenimento, ovvero è sottoposto a misure alternative al trattenimento ai sensi dell’articolo 6-bis, comma 2-bis, del decreto legislativo 18 agosto 2015, n. 142, contro la decisione della Commissione territoriale è ammesso ricorso nel termine indicato dall'articolo 35-bis, comma 2-ter. La proposizione del ricorso o dell'istanza di sospensione non sospende l'efficacia esecutiva del provvedimento impugnato. L'istanza di sospensione dell'efficacia esecutiva del provvedimento impugnato è proposta, a pena di inammissibilità, con il ricorso introduttivo. |
2. Il ricorso è immediatamente notificato a cura della cancelleria al Ministero dell'interno presso la Commissione territoriale o la sezione che ha adottato l'atto impugnato e al pubblico ministero, che nei successivi due giorni possono depositare note difensive. Entro lo stesso termine, la Commissione che ha adottato l'atto impugnato è tenuta a rendere disponibili il verbale di audizione o, ove possibile, il verbale di trascrizione della videoregistrazione, nonché copia della domanda di protezione internazionale e di tutta la documentazione acquisita nel corso della procedura di esame. Alla scadenza del predetto termine il giudice in composizione monocratica provvede allo stato degli atti entro cinque giorni con decreto motivato non impugnabile. |
Identico |
2. Il ricorso è immediatamente notificato a cura della cancelleria al Ministero dell'interno presso la Commissione territoriale o la sezione che ha adottato l'atto impugnato e al pubblico ministero, che nei successivi due giorni possono depositare note difensive. Entro lo stesso termine, la Commissione che ha adottato l'atto impugnato è tenuta a rendere disponibili il verbale di audizione o, ove possibile, il verbale di trascrizione della videoregistrazione, nonché copia della domanda di protezione internazionale e di tutta la documentazione acquisita nel corso della procedura di esame. Alla scadenza del predetto termine il giudice in composizione monocratica provvede allo stato degli atti entro cinque giorni con decreto motivato. |
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2-bis. Avverso il provvedimento adottato ai sensi del comma 2 è ammesso reclamo alla corte d'appello e si applicano le disposizioni dell'articolo 35-bis, comma 4-bis. |
3. Dal momento della proposizione dell'istanza e fino all'adozione del provvedimento previsto dal comma 2, ultimo periodo, il ricorrente non può essere espulso o allontanato dal luogo nel quale è trattenuto. |
Identico |
Identico |
4. Quando l'istanza di sospensione è accolta il ricorrente è ammesso nel territorio nazionale e gli è rilasciato un permesso di soggiorno per richiesta di asilo. La sospensione degli effetti del provvedimento impugnato, disposta ai sensi del comma 3, perde efficacia se il ricorso è rigettato, con decreto anche non definitivo. |
Identico |
Identico |
5. Alla scadenza del termine di cui al comma 2, ultimo periodo, il giudice, in composizione collegiale, procede ai sensi dell'articolo 35-bis, commi 7 e seguenti, in quanto compatibili. |
5. Alla scadenza del termine di cui al comma 2, ultimo periodo, il giudice procede ai sensi dell'articolo 35-bis, commi 7 e seguenti, in quanto compatibili. |
5. Alla scadenza del termine di cui al comma 2, ultimo periodo, il giudice, in composizione collegiale, procede ai sensi dell'articolo 35-bis, commi 7 e seguenti, in quanto compatibili. |
Gli articoli 18, 18-bis e 18-ter, introdotti nel corso dell’esame in sede referente, recano norme di coordinamento con la disposizione, di cui all’articolo 16 del decreto-legge, che attribuisce alla corte d’appello la competenza per la convalida dei provvedimenti di trattenimento o proroga del trattenimento del richiedente protezione internazionale disposti dal questore.
Gli articoli 18, 18-bis e 18-ter intervengono, rispettivamente, sui decreti legislativi n. 142/2015 e n. 286/1998 e sulla legge 14/2024 al fine di coordinarne le disposizioni con l’attribuzione della competenza alla corte di appello per i procedimenti aventi ad oggetto la convalida del provvedimento con il quale il questore dispone il trattenimento o la proroga del trattenimento del richiedente protezione internazionale.
Per tali casi, infatti, l’art. 5-bis nel decreto-legge n. 13/2017, come inserito dall’art. 16 del decreto in esame (alla cui scheda si rinvia), prevede il passaggio della competenza dalla sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell'Unione europea del tribunale alla Corte d’appello.
Più nel dettaglio, l’articolo 18, integralmente sostituito in sede referente, modifica gli articoli 6 e 14 del d.lgs. 142/2015, in materia di trattenimento dello straniero, sostituendovi il riferimento al tribunale sede della sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell'Unione europea con quello alla corte d’appello, che in tal modo acquisisce la competenza:
§ a decidere sulla convalida dei provvedimenti di trattenimento, o di proroga degli stessi, adottati dal questore, che li deve trasmettere senza ritardo e comunque entro le quarantotto ore dalla sua adozione (art. 6, comma 5, primo periodo, modificato dalla lett. a), n. 1.1); contro tali provvedimenti è ammesso ricorso per cassazione nei limiti indicati dall’articolo 14, comma 6, del decreto legislativo n. 286 del 1998 (su cui si veda infra) (art. 6, comma 5-bis, introdotto dalla lett. a), n. 2);
§ a disporre la convalida di eventuali proroghe del trattenimento quando lo stesso è in corso al momento della presentazione della domanda di protezione internazionale (art. 6, comma 5, ultimo periodo, modificato dalla lett. a), n. 1.2) o quando lo straniero abbia presentato ricorso giurisdizionale avverso la decisione di rigetto della Commissione territoriale ai sensi dell'articolo 35-bis del decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25 (art. 6, comma 8, modificato dalla lett. a), n. 4);
§ a disporre la convalida delle misure alternative al trattenimento di cui all’art. 14, comma 1-bis, del d.lgs. 286/1998 (consegna del passaporto, obbligo di dimora, obbligo di presentazione) imposte allo straniero che abbia presentato domanda di protezione ma rappresenti un pericolo per l'ordine e la sicurezza pubblica[94] (art. 14, comma 6, modificato dalla lett. b).
L’articolo 18-bis, introdotto in sede referente, apporta alcune modifiche al testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al d.lgs. 286/1998, volte a:
§ attribuire alla corte d’appello la competenza per la convalida del trattenimento disposto nei confronti dello straniero richiedente protezione internazionale rintracciato in posizione di irregolarità sul territorio nazionale o soccorso nel corso di operazioni di salvataggio in mare, di cui all’art. 10-ter del citato testo unico, che abbia reiteratamente rifiutato di sottoporsi ai rilievi fotodattiloscopici e segnaletici prescritti per la sua identificazione (art. 10-ter, comma 3, modificato dalla lett. a));
§ stabilire, attraverso una modifica all’art. 14, comma 6, che contro i decreti di convalida e di proroga del trattenimento presso il centro di permanenza per i rimpatri, propedeutici all’espulsione dello straniero dal territorio dello Stato, è proponibile il ricorso per cassazione entro cinque giorni dalla comunicazione solo per i motivi indicati alle lettere a) (esercizio da parte del giudice di una potestà riservata dalla legge a organi legislativi o amministrativi ovvero non consentita ai pubblici poteri), b) (inosservanza o erronea applicazione della legge penale o di altre norme giuridiche, di cui si deve tener conto nell'applicazione della legge penale) e c) (inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullità, inutilizzabilità, inammissibilità o decadenza) del comma 1 dell’articolo 606 c.p.p. (art. 14, comma 6, primo periodo, modificato dalla lett. b), n. 1);
§ rinviare alla disciplina del ricorso per cassazione contenuta all’art. 22, comma 5-bis, secondo e quarto periodo, della legge 69/2005 (recante disposizioni per conformare il diritto interno alla decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato d'arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri), ove compatibile (art. 14, comma 6, ultimo periodo, introdotto dalla lett. b), n. 2).
La richiamata disciplina prevede: la trasmissione del ricorso, unitamente al provvedimento impugnato e agli atti del procedimento, alla Corte di cassazione da parte della corte d’appello con precedenza assoluta su ogni altro affare e comunque entro il giorno successivo; la decisione della Corte in camera di consiglio entro 7 giorni sui motivi di ricorso e sulle richieste del procuratore generale senza intervento dei difensori e il deposito della decisione stessa con la contestuale motivazione a conclusione dell'udienza.
L’articolo 18-ter, parimenti introdotto in sede referente, incide sull’art. 4 della legge n. 14/2024, con la quale è stato ratificato il Protocollo con l’Albania, per inserire la corte d’appello tra gli organi della giurisdizione italiana competenti per le procedure previste dalla normativa in materia di immigrazione e protezione internazionale, negli ambiti sopra illustrati, accanto alla sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell'Unione europea del tribunale di Roma e all'ufficio del giudice di pace di Roma, già previsti dalla disciplina vigente.
D.Lgs. 142/2015 Attuazione della direttiva 2013/33/UE recante norme relative all'accoglienza dei richiedenti protezione internazionale, nonché della direttiva 2013/32/UE, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale. |
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Testo vigente |
Modificazioni apportate dall’art. 18 del D.L. 145/2024 |
Art. 6 |
Art. 6 |
Commi 1 – 4-bis omissis |
Commi 1 – 4-bis omissis |
5. Il provvedimento con il quale il questore dispone il trattenimento o la proroga del trattenimento è adottato per iscritto, corredato da motivazione e reca l'indicazione che il richiedente ha facoltà di presentare personalmente o a mezzo di difensore memorie o deduzioni |
5. Il provvedimento con il quale il questore dispone il trattenimento o la proroga del trattenimento è adottato per iscritto, corredato da motivazione e reca l'indicazione che il richiedente ha facoltà di presentare personalmente o a mezzo di difensore memorie o deduzioni ed è trasmesso alla corte d’appello, di cui all’articolo 5-bis, decreto-legge 17 febbraio 2013, n. 17, convertito, con modificazioni, dalla legge 13 aprile 2017, n.46, senza ritardo e comunque entro le quarantotto ore dalla sua adozione. Il provvedimento è comunicato al richiedente nella prima lingua indicata dal richiedente o in una lingua che ragionevolmente si suppone che comprenda ai sensi dell'articolo 10, comma 4, del decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25, e successive modificazioni. Si applica, per quanto compatibile, l'articolo 14 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, comprese le misure alternative di cui al comma 1-bis del medesimo articolo 14. La partecipazione del richiedente all'udienza per la convalida avviene, ove possibile, a distanza mediante un collegamento audiovisivo, tra l'aula d'udienza e il centro di cui all'articolo 14 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 nel quale egli è trattenuto. Il collegamento audiovisivo si svolge in conformità alle specifiche tecniche stabilite con decreto direttoriale d'intesa tra i Ministeri della giustizia e dell'interno entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione, e, in ogni caso, con modalità tali da assicurare la contestuale, effettiva e reciproca visibilità delle persone presenti in entrambi i luoghi e la possibilità di udire quanto vi viene detto. È sempre consentito al difensore, o a un suo sostituto, di essere presente nel luogo ove si trova il richiedente. Un operatore della polizia di Stato appartenente ai ruoli di cui all'articolo 39, secondo comma, della legge 1° aprile 1981, n. 121, è presente nel luogo ove si trova il richiedente e ne attesta l'identità dando atto che non sono posti impedimenti o limitazioni all'esercizio dei diritti e delle facoltà a lui spettanti. Egli dà atto dell'osservanza delle disposizioni di cui al quinto periodo del presente comma nonché, se ha luogo l'audizione del richiedente, delle cautele adottate per assicurarne la regolarità con riferimento al luogo ove si trova. A tal fine interpella, ove occorra, il richiedente e il suo difensore. Delle operazioni svolte è redatto verbale a cura del medesimo operatore della polizia di Stato. Quando il trattenimento è già in corso al momento della presentazione della domanda, i termini previsti dall'articolo 14, comma 5, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, si sospendono e il questore trasmette gli atti alla corte d’appello competente per la convalida del trattenimento per un periodo massimo di ulteriori sessanta giorni, per consentire l'espletamento della procedura di esame della domanda. |
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5-bis. Contro i provvedimenti adottati ai sensi del comma 5 è ammesso ricorso per cassazione ai sensi dell’articolo 14, comma 6, del decreto legislativo n. 286 del 1998. |
6. Il trattenimento o la proroga del trattenimento non possono protrarsi oltre il tempo strettamente necessario all'esame della domanda ai sensi dell'articolo 28-bis, commi 1 e 2, del decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25, e successive modificazioni, come introdotto dal presente decreto, salvo che sussistano ulteriori motivi di trattenimento ai sensi dell'articolo 14 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286. Eventuali ritardi nell'espletamento delle procedure amministrative preordinate all'esame della domanda, non imputabili al richiedente, non giustificano la proroga del trattenimento. |
6. Identico. |
7. Il richiedente trattenuto ai sensi dei commi 2, 3 e 3-bis, secondo periodo che presenta ricorso giurisdizionale avverso la decisione di rigetto della Commissione territoriale ai sensi dell'articolo 35-bis del decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25, e successive modificazioni, rimane nel centro fino all'adozione del provvedimento di cui al comma 4 del medesimo articolo 35-bis, nonché per tutto il tempo in cui è autorizzato a rimanere nel territorio nazionale in conseguenza del ricorso giurisdizionale proposto. |
7. Identico. |
8. Ai fini di cui al comma 7, il questore chiede la proroga del trattenimento in corso per periodi ulteriori non superiori a sessanta giorni di volta in volta prorogabili da parte |
8. Ai fini di cui al comma 7, il questore chiede la proroga del trattenimento in corso per periodi ulteriori non superiori a sessanta giorni di volta in volta prorogabili da parte della corte d’appello, finché permangono le condizioni di cui al comma 7. In ogni caso, la durata massima del trattenimento ai sensi dei commi 5 e 7 non può superare complessivamente dodici mesi. |
Art. 14 |
Art. 14 |
Commi 1 – 5 omissis |
Commi 1 – 5 omissis |
6. Al richiedente di cui al comma 5, è prorogata la validità dell'attestato nominativo di cui all'articolo 4, comma 2. Quando ricorrono le condizioni di cui all'articolo 6, comma 2, lettere a), b) e c), al medesimo richiedente possono essere imposte le misure di cui all'articolo 14, comma 1-bis, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286. In tal caso competente alla convalida delle misure, se ne ricorrono i presupposti, è |
6. Al richiedente di cui al comma 5, è prorogata la validità dell'attestato nominativo di cui all'articolo 4, comma 2. Quando ricorrono le condizioni di cui all'articolo 6, comma 2, lettere a), b) e c), al medesimo richiedente possono essere imposte le misure di cui all'articolo 14, comma 1-bis, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286. In tal caso competente alla convalida delle misure, se ne ricorrono i presupposti, è la corte d’appello. |
Testo unico immigrazione (D.Lgs. 286/1998) |
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Testo vigente |
Modificazioni apportate dall’art. 18-bis del D.L. 145/2024 |
Art. 10-ter |
Art. 10-ter |
Commi 1 – 2-ter omissis |
Commi 1 – 2-ter omissis |
3. Il rifiuto reiterato dello straniero di sottoporsi ai rilievi di cui ai commi 1 e 2 configura rischio di fuga ai fini del trattenimento nei centri di cui all'articolo 14. Il trattenimento è disposto caso per caso, con provvedimento del questore, e conserva la sua efficacia per una durata massima di trenta giorni dalla sua adozione, salvo che non cessino prima le esigenze per le quali è stato disposto. Si applicano le disposizioni di cui al medesimo articolo 14, commi 2, 3 e 4. Se il trattenimento è disposto nei confronti di un richiedente protezione internazionale, come definita dall'articolo 2, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 19 novembre 2007, n. 251, è competente alla convalida |
3. Il rifiuto reiterato dello straniero di sottoporsi ai rilievi di cui ai commi 1 e 2 configura rischio di fuga ai fini del trattenimento nei centri di cui all'articolo 14. Il trattenimento è disposto caso per caso, con provvedimento del questore, e conserva la sua efficacia per una durata massima di trenta giorni dalla sua adozione, salvo che non cessino prima le esigenze per le quali è stato disposto. Si applicano le disposizioni di cui al medesimo articolo 14, commi 2, 3 e 4. Se il trattenimento è disposto nei confronti di un richiedente protezione internazionale, come definita dall'articolo 2, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 19 novembre 2007, n. 251, è competente alla convalida la corte d’appello. Lo straniero è tempestivamente informato dei diritti e delle facoltà derivanti dal procedimento di convalida del decreto di trattenimento in una lingua da lui conosciuta, ovvero, ove non sia possibile, in lingua francese, inglese o spagnola. |
Art. 14 |
Art. 14 |
Commi 1 -5-septies omissis. |
Commi 1 -5-septies omissis. |
6. Contro i decreti di convalida e di proroga di cui al comma 5 è proponibile ricorso per cassazione. Il relativo ricorso non sospende l'esecuzione della misura. |
6. Contro i decreti di convalida e di proroga di cui al comma 5 è proponibile ricorso per cassazione entro cinque giorni dalla comunicazione solo per i motivi di cui alle lettere a), b) e c) del comma 1 dell’articolo 606 del codice di procedura penale. Il relativo ricorso non sospende l'esecuzione della misura. Si osservano, in quanto compatibili, le disposizioni di cui all’articolo 22, comma 5-bis, secondo e quarto periodo, della legge 22 aprile 2005, n. 69. |
Legge n. 14/2024 Ratifica ed esecuzione del Protocollo tra il Governo della Repubblica italiana e il Consiglio dei ministri della Repubblica di Albania per il rafforzamento della collaborazione in materia migratoria, fatto a Roma il 6 novembre 2023, nonché norme di coordinamento con l'ordinamento interno. |
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Testo vigente |
Modificazioni apportate dall’art. 18-ter del D.L. 145/2024 |
Art. 4 |
Art. 4 |
1. Ai migranti di cui all'articolo 1, paragrafo 1, lettera d), del Protocollo si applicano, in quanto compatibili, il testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, il decreto legislativo 19 novembre 2007, n. 251, il decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25, il decreto legislativo 18 agosto 2015, n. 142, e la disciplina italiana ed europea concernente i requisiti e le procedure relativi all'ammissione e alla permanenza degli stranieri nel territorio nazionale. Per le procedure previste dalle disposizioni indicate al primo periodo sussiste la giurisdizione italiana e sono territorialmente competenti, in via esclusiva, la sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell'Unione europea del tribunale di Roma e l'ufficio del giudice di pace di Roma. Nei casi di cui al presente comma si applica la legge italiana. |
1. Ai migranti di cui all'articolo 1, paragrafo 1, lettera d), del Protocollo si applicano, in quanto compatibili, il testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, il decreto legislativo 19 novembre 2007, n. 251, il decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25, il decreto legislativo 18 agosto 2015, n. 142, e la disciplina italiana ed europea concernente i requisiti e le procedure relativi all'ammissione e alla permanenza degli stranieri nel territorio nazionale. Per le procedure previste dalle disposizioni indicate al primo periodo sussiste la giurisdizione italiana e sono territorialmente competenti, in via esclusiva, la corte d’appello, la sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell'Unione europea del tribunale di Roma e l'ufficio del giudice di pace di Roma. Nei casi di cui al presente comma si applica la legge italiana. |
Articolo 19
(Disposizioni transitorie)
L’articolo 19 stabilisce che le nuove norme in materia di impugnabilità dei decreti riguardanti il riconoscimento della protezione internazionale e la determinazione dello Stato competente all'esame della domanda di protezione internazionale entreranno in vigore decorsi 30 giorni dall’entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge.
L’articolo 19 dispone in merito all’applicazione delle disposizioni processuali dettate dal Capo IV del decreto-legge in esame, attraverso le quali è stata introdotta l’impugnabilità del decreto che decide uno dei ricorsi presentati a norma dell'articolo 3, comma 3-bis, e dell’art. 35 del d.lgs. 25/2008, stabilendo che le stesse si applicheranno a decorrere dai 30 giorni successivi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto in esame.
Gli articoli 3, comma 3-bis, e 35 del citato d.lgs. 25/2008 prevedono la possibilità di ricorrere all'autorità giudiziaria avverso i provvedimenti adottati, rispettivamente:
§ dall’“Unità Dublino”, aventi ad oggetto la determinazione dello Stato competente all'esame della domanda di protezione internazionale in applicazione del regolamento (UE) n. 604/2013;
§ dalla Commissione territoriale o della Commissione nazionale, aventi ad oggetto il riconoscimento dello status di rifugiato, anche nei casi in cui sia stata riconosciuta la protezione sussidiaria, la protezione speciale o un permesso di soggiorno speciale.
Per approfondimenti sui ricorsi presentati a norma delle disposizioni sopra citate, si rinvia alla scheda relativa all’art. 17.
Articolo 20
(Disposizioni finanziarie)
L’articolo 20 dispone che dall’attuazione del decreto-legge non debbano derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, ad eccezione di quanto previsto dagli articoli 4 e 6.
Il comma 1 dell’articolo 20 stabilisce che dall’attuazione del decreto-legge in esame non debbano derivare nuovi o maggiori oneri salvo quanto previsto dall’articolo 4, concernente disposizioni in materia di personale dell’Amministrazione civile dell’interno e degli uffici consolari, nonché dall’articolo 6, relativo alle misure di assistenza.
In sintesi, l’articolo 4 prevede un serie di misure che comportano nuovi o maggiori oneri, tra cui:
§ L’incremento delle risorse a disposizione del Ministero dell’interno finalizzate all’utilizzo di prestazioni di contratti a termine ai sensi del comma 683, articolo 1, legge n. 197 del 2022 (comma 1);
§ Il potenziamento del Fondo per le emergenze nazionali, di cui al decreto legislativo n. 1 del 2018 (comma 2);
§ La realizzazione di un programma di interventi straordinari di cooperazione di polizia con i Paesi terzi d’importanza prioritaria per le rotte migratorie (comma 3).
Il comma 4 dell’articolo 4 prevede che agli oneri derivanti dalle citate misure, pari a 20 milioni per l’anno 2024 e a euro 10.529.736 per il 2025, si provvede mediante: la rimodulazione delle risorse già stanziate a favore del Ministero dell’interno per le finalità di cui al comma 1 (5 milioni), l’utilizzo del fondo destinato alla prevenzione e al contrasto della criminalità di cui al comma5, articolo 6, legge n. 14 del 2024 (15 milioni) e la riduzione del fondo speciale di parte corrente iscritto, ai fini del bilancio triennale 2024-2026, nell'ambito del programma «Fondi di riserva e speciali» della missione «Fondi da ripartire» dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2024, ricorrendo parzialmente per lo scopo all'accantonamento relativo al Ministero dell’interno.
Il comma 5 dell’articolo 4 autorizza il Ministero dell’interno per il triennio 2025-2027 ad incrementare la propria dotazione di personale di 200 unità nell’area assistenti con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, prevedendo la copertura degli oneri derivanti pari a euro 4.540.328 per il 2025 e ad euro 8.184.655 annui a decorrere dal 2026. Il comma 6 dell’articolo 4 prevede la copertura di tali oneri mediante la riduzione del fondo speciale di parte corrente iscritto, ai fini del bilancio triennale 2024-2026, nell'ambito del programma «Fondi di riserva e speciali» della missione «Fondi da ripartire» dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2024, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al Ministero dell’interno e l'accantonamento relativo al Ministero dell’economia e finanze.
I commi 7 e 8 dell’articolo 4 prevedono rispettivamente:
§ con decorrenza 1° ottobre 2025 l’incremento della dotazione organica nell’area assistenti del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale per un numero pari a 200 unità con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, agli oneri connessi;
§ un incremento di 50 unità del contingente degli impiegati assunti a contratto dalle rappresentanze diplomatiche, dagli uffici consolari, dagli istituti italiani di cultura e dalle delegazioni diplomatiche speciali.
Infine, il comma 9 dell’articolo 4 dispone che agli oneri connessi alle anzidette misure pari a pari a euro 3.193.354 per l’anno 2025, euro 10.437.616 per l’anno 2026, euro 10.512.016 per l’anno 2027, euro 10.588.666 per l’anno 2028, euro 10.667.616 per l’anno 2029, euro 10.748.916 per l’anno 2030, euro 10.832.666 per l’anno 2031, euro 10.918.916 per l’anno 2032, euro 11.007.766 per l’anno 2033, euro 11.099.266 annui a decorrere dall’anno 2034, si provvede mediante riduzione per euro 3.193.354 per l’anno 2025 ed euro 11.099.266 annui a decorrere dall’anno 2026 del fondo speciale di parte corrente iscritto, ai fini del bilancio triennale 2024-2026, nell'ambito del programma «Fondi di riserva e speciali» della missione «Fondi da ripartire» dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2024, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale.
Per quanto concerne i profili finanziari relativi all’articolo 6, nell’ambito delle misure di assistenza per i lavoratori titolari di un permesso di soggiorno per casi speciali previste dal suddetto articolo si considera, per il 2024, l’incremento di 180.000 euro della dotazione del Fondo nazionale per le politiche migratorie di cui all’articolo 45 del decreto legislativo n. 286 del 1998. Si prevede che i relativi oneri siano coperti mediante riduzione dell’autorizzazione di spesa afferente ai controlli sugli enti del Terzo settore di cui all’articolo 96 del Codice del terzo settore (decreto legislativo n.117 del 2017). In particolare, per quanto riguarda il potenziamento delle misure di assistenza volte alla formazione e all’inserimento sociale e lavorativo di cui al comma 2 dell’articolo 6, si prevede che agli oneri derivanti dall’attuazione di tali misure, pari a 180.000 euro per l’anno 2024 e 800.000 euro annui a decorrere dall’anno 2025, si provvede a valere sul Fondo nazionale per le politiche migratorie di cui all’articolo 45 del Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero (decreto legislativo n. 286 del 1998).
Il comma 2 dell’articolo 20 stabilisce che le amministrazioni interessate provvedano agli adempimenti loro attribuiti nell’ambito delle risorse assegnate a legislazione vigente.
Articolo 21
(Entrata in vigore)
L’articolo 21 dispone che il decreto-legge in esame entri in vigore il giorno stesso della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.
Il decreto-legge è dunque vigente dall’11 ottobre 2024.
Ai sensi dell'articolo 1 del disegno di legge di conversione del presente decreto, la legge di conversione (insieme con le modifiche apportate al decreto in sede di conversione) entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.
[1] La novella di cui alla lettera c) concerne l’articolo 5-bis del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, mentre la novella di cui alla lettera e) riguarda l’articolo 22 del medesimo testo unico, e successive modificazioni.
[2] La novella concerne l’articolo 24-bis del citato testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero.
[3] Agenzia per le erogazioni in agricoltura.
[4] Riguardo agli altri documenti da allegare, cfr. infra.
[5] Riguardo all’indicazione di un domicilio digitale, cfr. anche la circolare interministeriale del 24 ottobre 2024.
[6] Lo sportello unico per l’immigrazione è istituito presso ogni prefettura-ufficio territoriale del Governo (comma 1 del citato articolo 22 del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero).
[7] Riguardo al contratto di soggiorno, cfr. la parte della presente scheda relativa alle novelle di cui ai numeri 3) e 5) della stessa lettera e).
[8] La citata circolare interministeriale del 24 ottobre 2024 specifica che la verifica in oggetto deve essere effettuata attraverso l’invio di una richiesta di personale al centro per l’impiego competente, attraverso l’apposito modulo predisposto dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali (modulo pubblicato nell’allegato 1 della medesima circolare).
[9] Di cui all’articolo 603-bis del codice penale.
[10] Di cui all’articolo 600 del codice penale.
[11] Di cui all’articolo 601 del codice penale.
[12] Di cui all’articolo 602 del codice penale.
[13] Riguardo alle modalità di svolgimento di tale fase, cfr. anche la citata circolare interministeriale del 24 ottobre 2024.
[14] Si ricorda che, ai sensi del citato articolo 5-bis del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, il contratto di soggiorno per lavoro subordinato deve contenere, oltre al suddetto impegno del datore di lavoro al pagamento delle spese di ritorno dello straniero nel Paese di provenienza, la garanzia, da parte del medesimo datore, della disponibilità di un alloggio per il lavoratore che rientri nei parametri minimi previsti dalla disciplina sugli alloggi di edilizia residenziale pubblica.
Si ricorda altresì che, ai sensi del comma 6-bis del suddetto articolo 22 del testo unico, nelle more della sottoscrizione del contratto di soggiorno il nulla osta consente lo svolgimento dell'attività lavorativa nel territorio nazionale.
[15] Ai sensi del richiamato articolo 47 del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa, di cui al D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445.
[16] Riguardo alle modalità di tale trasmissione, cfr. anche la citata circolare interministeriale del 24 ottobre 2024.
[17] Riguardo ai termini temporali, cfr. l’articolo 8, comma 2, del suddetto D.P.C.M.
[18] Agenzia per le erogazioni in agricoltura.
[19] Riguardo a tali controlli a campione, cfr. la nota dell'Ispettorato nazionale del lavoro del 21 marzo 2023, prot. n. 2066. La nota è reperibile alla seguente url: https://www.lavoro.gov.it/temi-e-priorita/immigrazione/focus-on/ingresso-e-soggiorno-per-lavoro-in-italia/Documents/INL_DL-10-marzo-2023_Misure_semplificazione_rilascio_nulla_osta_al_lavoro_Nota_prot_2066_del_21032023.pdf#:~:text=Agli%20Ispettorati%20Interregionali%20e%20Territoriali%20del%20Lavoro.%20OGGETTO:%20Decreto-legge%2010.
[20] Riguardo al comma 2, cfr. anche supra.
[21] La relazione tecnica è reperibile nell’A.C. n. 2088.
[22] Riguardo ad essi, cfr. la citata nota dell'Ispettorato nazionale del lavoro del 21 marzo 2023, prot. n. 2066.
[23] Riguardo a tali controlli a campione, cfr. supra, pure in nota.
[24] Cfr. il comma 5-quater del citato articolo 22 e l’articolo 23, comma 2-bis, del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero.
[25] "Regolamento recante norme di attuazione del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, a norma dell'articolo 1, comma 6, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286".
L’applicabilità della norma in oggetto è ricordata anche dalla citata nota dell'Ispettorato nazionale del lavoro del 21 marzo 2023, prot. n. 2066.
[26] Riguardo all’istituto del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo, cfr. l’articolo 9 del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni.
[27] La novella di cui alla presente lettera d) concerne l’articolo 9-bis del citato testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, e successive modificazioni.
Per i soggiorni di durata pari o inferiore a tre mesi, cfr. il comma 4 del suddetto articolo 9-bis.
[28] Quote (relative all’ingresso di lavoratori cittadini di Stati non appartenenti all'Unione europea o di apolidi) di cui all’articolo 3, comma 4, del citato testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, e successive modificazioni.
[29] Riguardo ai termini temporali, cfr. l’articolo 8, comma 2, del suddetto D.P.C.M.
[30] La relazione illustrativa è reperibile nell’A.C. n. 2088.
[31] Le novelle di cui alla presente lettera f) concernono l’articolo 24 del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni.
[32] Riguardo a tale piattaforma, cfr. infra, anche in nota.
[33] Riguardo al limite temporale, cfr. le parti di scheda relative al numero 1) e al numero 4) della presente lettera f), anche in nota.
[34] Quote (relative all’ingresso di lavoratori cittadini di Stati non appartenenti all'Unione europea o di apolidi) di cui all’articolo 3, comma 4, del citato testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, e successive modificazioni.
[35] Si ricorda infatti che il comma 11-bis dell’articolo 22 del suddetto testo unico è stato abrogato dall’articolo 1, comma 2, del D.Lgs. 11 maggio 2018, n. 71.
[36] La relazione illustrativa è reperibile nell’A.C. n. 2088.
[37] Cfr. il comma 7 del citato articolo 24 del testo unico, e successive modificazioni. Si ricorda altresì che, fermo restando il suddetto limite di nove mesi nell’arco di dodici mesi, il nulla osta al lavoro stagionale può anche essere di durata pluriennale, fino a un massimo di tre anni, secondo la disciplina di cui all’articolo 5, comma 3-ter, e del comma 11 del suddetto articolo 24 del testo unico, e successive modificazioni.
Si ricorda che, ai sensi del comma 6-bis del citato articolo 22 del testo unico, nelle more della sottoscrizione del contratto di soggiorno il nulla osta consente lo svolgimento dell'attività lavorativa nel territorio nazionale (tale norma si applica anche al nulla osta per lavoro stagionale in base alla summenzionata norma generale di richiamo).
[38] In merito a un profilo specifico del contratto di soggiorno nel caso di lavoro stagionale, cfr. il comma 3 del citato articolo 24 del testo unico, e successive modificazioni (comma oggetto della novella di coordinamento di cui al suddetto numero 2)).
[39] Piattaforma di cui all’articolo 5 del D.L. 4 maggio 2023, n. 48, convertito, con modificazioni, dalla L. 3 luglio 2023, n. 85, e al D.M. 8 agosto 2023. Si ricorda che l’ambito e le funzioni della piattaforma sono stati ampliati dagli articoli 25 e 26 del D.L. 7 maggio 2024, n. 60, convertito, con modificazioni, dalla L. 4 luglio 2024 n. 95.
Riguardo a tale piattaforma, cfr. anche la parte di scheda relativa al numero 4) della presente lettera f).
[40] Riguardo al limite di durata, cfr. altresì la parte di scheda relativa al numero 1) della presente lettera f), anche in nota.
[41] La relazione illustrativa è reperibile, come detto, nell’A.C. n. 2088.
[42] La novella fa salvo il disposto del comma 5 del citato articolo 24 del testo unico, e successive modificazioni, secondo cui il nulla osta al lavoro stagionale a più datori di lavoro che impiegano lo stesso lavoratore straniero, per periodi di lavoro complessivamente compresi nei limiti temporali summenzionati, deve essere unico, su richiesta, anche cumulativa, dei datori di lavoro presentata contestualmente ed è rilasciato a ciascuno di essi.
[43] Riguardo a tali quote, cfr. supra, in nota.
[44] La relazione illustrativa è reperibile, come detto, nell’A.C. n. 2088.
[45] Precedentemente, era consentito l’ingresso a tutti gli stranieri forniti di garanzia prestata da un garante residente in Italia per motivi di inserimento nel mercato del lavoro.
[46] Per quanto concerne la programmazione triennale, il più recente documento programmatico emanato è il d.P.R. 13 maggio 2005, relativo al triennio 2004-2006.
[47] Si segnala che tali decreti sono una facoltà e non un obbligo da parte del Governo. Diversamente, prima delle modifiche introdotte dal decreto-legge 21 ottobre 2020, n. 130 (Disposizioni urgenti in materia di immigrazione, protezione internazionale e complementare, modifiche agli articoli 131-bis, 391-bis, 391-ter e 588 del codice penale, nonché misure in materia di divieto di accesso agli esercizi pubblici ed ai locali di pubblico trattenimento, di contrasto all'utilizzo distorto del web e di disciplina del Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale), così come convertito dalla legge 18 dicembre 2020, n. 173, a norma dell’articolo 3, comma 4, del t.u.i era considerato obbligatoria l’emanazione annuale del “decreto flussi”. In caso di mancata adozione, infatti, entro la fine dell’anno, il numero massimo di stranieri da ammettere per motivi di lavoro sarebbe stato quello previsto nelle quote dell’ultimo decreto emanato. In altri termini, la "transitoria" determinazione numerica delle quote d'ingresso per lavoro subordinato e lavoro autonomo cessa di essere vincolata da quanto statuito nell'anno precedente e non è condizionata ai limiti numerici lì posti. Solo a seguito delle modifiche apportate, infatti, è stata introdotta la possibilità di provvedere con d.P.C.m. in via transitoria.
[48] L'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati è l’Agenzia delle Nazioni Unite preposta alla protezione ed all'assistenza dei rifugiati nel mondo ai sensi di quanto stabilito dalla normativa internazionale in materia (a partire dalla Convenzione di Ginevra relativa allo status dei rifugiati del 1951 e dal relativo Protocollo addizionale del 1967). Istituita dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 14 dicembre 1950, ha il compito primario di fornire e coordinare la protezione internazionale e l'assistenza materiale ai rifugiati ed alle altre categorie di persone incluse nella sua area di competenza (rimpatriati, richiedenti asilo, sfollati interni ed apolidi). Nell'esercizio del suo mandato e nel quadro delle attività di protezione internazionale e di assistenza, l'Agenzia assicura i seguenti compiti: la registrazione dei rifugiati; la consulenza per la documentazione; la raccolta dei dati anagrafici e biografici dei richiedenti asilo; la localizzazione sul territorio per fornire protezione e altre soluzioni durevoli alle esigenze derivanti dalla loro condizione, ovvero strumenti di assistenza ai rifugiati in fuga nel corso di crisi umanitarie; la promozione di programmi di istruzione, sanità ed alloggio ed operazioni di rimpatrio volontario, qualora possibili, nonché forme di sostegno per favorire l'autosufficienza dei rifugiati nei Paesi di asilo o per garantire loro condizioni per il reinsediamento in Paesi terzi, laddove essi non possano essere rimpatriati e non godano di sufficienti garanzie nel primo Paese di accoglienza.
[49] Il riferimento alla formazione di tipo civico-linguistica è stata introdotta dall’articolo 3, comma 1, lettera b), del decreto-legge n. 20 del 2023.
[50] Si tratta, in particolare, della Confederazione nazionale coltivatori diretti, della Confederazione italiana agricoltori, della Confederazione generale dell'agricoltura italiana, della Confederazione di produttori agricoli e dell'Alleanza delle cooperative italiane (Lega nazionale delle cooperative e mutue, Confederazione cooperative italiane e Associazione generale cooperative italiane).
[51] Secondo l’articolo 1, comma 4, lettera b) citata, ogni candidato può presentare domanda per un solo ambito provinciale (e per una sola posizione tra quelle messe a bando). Qualora una graduatoria provinciale risulti incapiente rispetto ai posti messi a concorso, l'amministrazione può coprire i posti ancora vacanti mediante scorrimento delle graduatorie degli idonei non vincitori per la medesima posizione di lavoro in altri ambiti provinciali, previo interpello e acquisito l'assenso degli interessati.
[52] Per approfondimenti sul tema si rinvia alla scheda di lettura relativa all’articolo 2 del decreto-legge in commento.
[53] Di cui all’art. 5 del D.L. 48/2023.
[54] Si ricorda che il permesso di soggiorno regolato dall’art. 18-ter del D.Lgs. n. 286/1998 è rivolto al lavoratore straniero, vittima del reato di cui all’art. 603-bis c.p., nonché ai membri del suo nucleo familiare, al fine di sottrarli alla violenza o allo sfruttamento.
[55] Si ricorda che analoga previsione è contenuta nell’art. 1, c. 445, lett. e), della L. 145/2018 ove, nei tre anni precedenti, il datore di lavoro sia stato destinatario di sanzioni amministrative o penali per i medesimi illeciti in materia di somministrazione di lavoro, di cui al richiamato art. 18 del D.Lgs. 276/2003.
Si ricorda inoltre che l’art. 1, c. 445, lett. d), n.3, della L. 145/2018 prevede che gli importi delle sanzioni in materia di lavoro e legislazione sociale sono aumentati nella misura del 20 per cento.
[56] Che, in caso di reiterazione della violazione commessa con l'utilizzo della medesima nave, prevede che si applichi la sanzione amministrativa accessoria della confisca della nave e che l'organo accertatore proceda immediatamente a sequestro cautelare.
[57] Il rilevamento fotodattiloscopico e segnaletico è materia oggetto di specifica disciplina in ambito europeo: cfr. il regolamento UE n. 603 del 2013. Verrà però abrogato, a partire dal 2026, dal regolamento (UE) 2024/1358 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 maggio 2024 (https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=OJ%3AL_202401358).
[58] La protezione internazionale comprende il riconoscimento dello status di rifugiato e quello di protezione sussidiaria (vd. infra).
[59] La convenzione di Ginevra relativa allo status dei rifugiati è stata firmata il 28 luglio 1951 e poi modificata dal protocollo di New York del 31 gennaio 1967. Il principio fondamentale è quello del non-refoulement, che afferma che nessun rifugiato può essere respinto verso un Paese in cui la propria vita o libertà potrebbero essere seriamente minacciate (principio considerato norma di diritto internazionale consuetudinario).
[60] Viene definito “minore non accompagnato” il minore che entra nel territorio degli Stati membri senza essere accompagnato da un adulto che ne sia responsabile per legge o per prassi dello Stato membro interessato, fino a quando non sia effettivamente affidato a un tale adulto. Il termine include inoltre il minore che viene abbandonato dopo essere entrato nel territorio degli Stati membri.
[61] Sono considerati danni gravi: a) la condanna o l’esecuzione della pena di morte; b) la tortura o altra forma di pena o trattamento inumano o degradante ai danni del richiedente nel suo paese di origine; c) la minaccia grave e individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale.
[62] Il codice frontiere Schengen è stato da ultimo modificato con il regolamento (UE) 2024/1717 (cfr. la versione consolidata).
[63] Nella specie, oppositori politici, dissidenti, difensori dei diritti umani o colore che possano ricadere nei motivi di persecuzione di cui all’art. 8, comma 1, lettera e) del decreto legislativo 19 novembre 2007, n. 251, nel caso dell’Egitto, e appartenenti alla comunità LGBTQ+, vittime di violenza di genere incluse le mutilazioni genitali femminili, minoranze etniche e religiose, accusati di crimini politici, condannati a morte, sfollati climatici, nel caso del Bangladesh.
[64] Il regolamento (UE) 2021/2303 relativo all’Agenzia dell’Unione europea per l’asilo ha abrogato il regolamento (UE) n. 439/2010 e ha trasformato l’Ufficio europeo per l’asilo (European Asylum Support Office - EASO) nell’Agenzia dell’UE per l’asilo (European Union Agency for Asylum – EUAA).
[65] L’articolo 12, paragrafo 2, stabilisce che un cittadino di un Paese terzo o un apolide è escluso dallo status di rifugiato ove sussistano fondati motivi per ritenere che: a) abbia commesso un crimine contro la pace, un crimine di guerra o un crimine contro l’umanità quali definiti dagli strumenti internazionali relativi a tali crimini; b) abbia commesso al di fuori del Paese di accoglienza un reato grave di diritto comune prima di essere ammesso come rifugiato, ossia prima del momento in cui gli è rilasciato un permesso di soggiorno basato sul riconoscimento dello status di rifugiato, abbia commesso atti particolarmente crudeli, anche se perpetrati con un dichiarato obiettivo politico, che possono essere classificati quali reati gravi di diritto comune; c) si sia reso colpevole di atti contrari alle finalità e ai principi delle Nazioni Unite quali stabiliti nel preambolo e negli articoli 1 e 2 della carta delle Nazioni Unite.
[66] Al considerando 79 si osserva che “criterio fondamentale per stabilire se la domanda di protezione internazionale sia fondata è la sicurezza del richiedente nel Paese di origine. In considerazione del fatto che il regolamento (UE) 2024/1347 mira a un elevato livello di convergenza riguardo all'attribuzione, a cittadini di Paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, il presente regolamento stabilisce criteri comuni in base ai quali i Paesi terzi siano designati Paesi di origine sicuri, data la necessità di rafforzare l'applicazione del concetto di Paese di origine sicuro come strumento essenziale a sostegno del rapido esame di domande probabilmente infondate”.
[67] Tuttavia, il considerando 81 precisa che “la designazione dei Paesi di origine sicuri e dei Paesi terzi sicuri a livello dell’Unione dovrebbe permettere di superare alcune divergenze tra gli elenchi nazionali dei Paesi sicuri. Sebbene sia opportuno che gli Stati membri conservino la facoltà di applicare o introdurre norme legislative che consentano di designare a livello nazionale Paesi terzi diversi da quelli designati Paesi terzi sicuri o Paesi di origine sicuri a livello dell’Unione, tale designazione o elenco comune dovrebbe garantire l'applicazione uniforme dei concetti da parte di tutti gli Stati membri nei confronti dei richiedenti il cui paese di origine è designato o per i quali esiste un paese terzo sicuro. In tal modo si dovrebbe favorire la convergenza nell'applicazione delle procedure, contribuendo altresì a scoraggiare i movimenti secondari dei richiedenti protezione internazionale”.
[68] Si definisce come sicuro un paese tale da non presentare, in via generale e costante, atti di persecuzione né tortura o altre forme di pena o trattamento inumano o degradante, né pericolo a causa di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale; la designazione di un Paese di origine sicuro può essere fatta, peraltro, con l'eccezione di parti del territorio o di categorie di persone.
[69] In tal caso di trattenimento alla frontiera, l’art. 35-ter del decreto procedure, introdotto nel 2023, ha previsto che avverso la decisione della Commissione territoriale il ricorrente possa proporre ricorso entro il termine ridotto di quattordici giorni (in luogo di quello ordinario di trenta, ovvero di sessanta se il richiedente si trovi in un Paese terzo al momento della presentazione del ricorso) e che l’istanza di sospensione dell’efficacia esecutiva sia proposta, a pena di inammissibilità, con il ricorso introduttivo. Tale procedimento è oggetto di novella ai sensi dell’articolo 17 del decreto in esame.
[70] L’articolo 5, co. 6, TUI, stabilisce che il rifiuto o la revoca del permesso di soggiorno possono essere adottati sulla base di convenzioni o accordi internazionali, resi esecutivi in Italia, quando lo straniero non soddisfi le condizioni di soggiorno applicabili in uno degli Stati contraenti, fatto salvo il rispetto degli obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano. Il richiamo all’articolo 19, co. 1.1. degli obblighi di cui all’art. 5, co. 6, opera come una clausola di salvaguardia, in forza della quale non è possibile negare il permesso di soggiorno per protezione speciale quando ciò comporterebbe la violazione del rispetto degli obblighi costituzionali o internazionali che vincolano lo Stato italiano.
[71] Per effetto di una disposizione intertemporale contenuta nell’articolo 7 del citato D.L. n. 20/2023, il divieto di conversione in permesso di soggiorno per lavoro autonomo o subordinato si applica al permesso di soggiorno per protezione speciale chiesto ed ottenuto dopo il 6 maggio 2023, data di entrata in vigore della legge di conversione del DL 20/2023.
[72] Sui problemi interpretativi e applicativi sorti dalle nuove disposizioni si v. la Relazione su novità normative del 22 novembre 2023, a cura dell’Ufficio del massimario e del ruolo della Corte suprema di Cassazione.
[73] Ai sensi della citata disposizione, gli Stati membri hanno la facoltà di revocare, di cessare o di rifiutare di rinnovare lo status riconosciuto a un rifugiato da un organismo statale, amministrativo, giudiziario o quasi giudiziario quando: a) vi sono fondati motivi per ritenere che la persona in questione costituisca un pericolo per la sicurezza dello Stato membro in cui si trova; b) la persona in questione, essendo stata condannata con sentenza passata in giudicato per un reato di particolare gravità, costituisce un pericolo per la comunità di tale Stato membro.
[74] L’articolo 33 della Convenzione di Ginevra sullo statuto dei rifugiati, dopo aver stabilito al paragrafo 1, che «nessuno Stato Contraente espellerà o respingerà, in qualsiasi modo, un rifugiato verso i confini di territori in cui la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate a motivo della sua razza, della sua religione, della sua cittadinanza, della sua appartenenza a un gruppo sociale o delle sue opinioni politiche», eccepisce che tale norma «non può tuttavia essere fatta valere da un rifugiato se per motivi seri egli debba essere considerato un pericolo per la sicurezza del paese in cui risiede oppure costituisca, a causa di una condanna definitiva per un crimine o un delitto particolarmente grave, una minaccia per la collettività di detto paese». Parzialmente difforme l’articolo 21 della direttiva qualifiche che nel primo paragrafo, sancisce il rispetto del principio di non respingimento in conformità agli obblighi internazionali esistenti in capo agli Stati membri. A tale richiamo fa riscontro il secondo paragrafo che, pur ammettendo alcune eccezioni al principio di non respingimento (tra cui l’essere un pericolo per la sicurezza dello Stato), fa ugualmente salvo il rispetto degli obblighi internazionali.
[75] La richiamata disposizione di cui al comma 2-bis dell’articolo 27 prevede che la Commissione territoriale, nel caso in cui ritenga che non sussistano i presupposti per il riconoscimento della protezione internazionale e non ricorrano le condizioni per la trasmissione degli atti al questore ai fini del rilascio di un permesso di soggiorno per protezione speciale o per cure mediche, acquisisce dal questore elementi informativi circa la non sussistenza di una delle cause impeditive di cui all’articolo 19, commi 1-bis e 2, del TU immigrazione.
[76] L’articolo 13, comma 4, lettera a) del TUI fa richiamo, a sua volta, alle ipotesi di cui ai commi 1 e 2, lettera c), dello stesso articolo 13 e a quella di cui all'articolo 3, comma 1, del DL 144/2005.
[77] E dunque coloro che debbano ritenersi, sulla base di elementi di fatto, abitualmente dediti a traffici delittuosi; coloro che per la condotta ed il tenore di vita debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che vivono abitualmente, anche in parte, con i proventi di attività delittuose; coloro che per il loro comportamento debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, comprese le reiterate violazioni del foglio di via obbligatorio, nonché dei divieti di frequentazione di determinati luoghi previsti dalla vigente normativa, che sono dediti alla commissione di reati che offendono o mettono in pericolo l'integrità fisica o morale dei minorenni, la sanità, la sicurezza o la tranquillità pubblica.
[78] Tra cui figurano gli indiziati di appartenere alle associazioni di tipo mafioso anche straniere, nonché di associazioni a delinquere dirette a commettere i reati di riduzione o mantenimento in schiavitù o in servitù, di tratta di persone, di traffico di organi, o di acquisto e alienazione di schiavi, gli indiziati di delitti consumati o tentati con finalità di terrorismo, nonché coloro che, operanti in gruppi o isolatamente, pongano in essere atti preparatori, obiettivamente rilevanti, ovvero esecutivi diretti a sovvertire l'ordinamento dello Stato, nonché alla commissione dei reati con finalità di terrorismo anche internazionale, ovvero a prendere parte ad un conflitto in territorio estero a sostegno di un'organizzazione che persegue le finalità terroristiche; coloro che abbiano fatto parte di associazioni politiche disciolte ai sensi della legge Scelba e nei confronti dei quali debba ritenersi, per il comportamento successivo, che continuino a svolgere una attività analoga a quella precedente; coloro che compiano atti preparatori, obiettivamente rilevanti, ovvero esecutivi diretti alla ricostituzione del partito fascista, in particolare con l'esaltazione o la pratica della violenza; gli istigatori, i mandanti e i finanziatori dei reati indicati; i soggetti indiziati del delitto di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche o di associazione a delinquere finalizzata alla commissione, tra l’altro, del delitto di peculato, di indebita percezione di erogazioni pubbliche, di concussione, di corruzione per l'esercizio della funzione e per un atto contrario ai doveri d'ufficio.
[79] Vale a dire le persone fisiche e giuridiche segnalate al Comitato per le sanzioni delle Nazioni Unite, o ad altro organismo internazionale competente per disporre il congelamento di fondi o di risorse economiche, quando vi sono fondati elementi per ritenere che i fondi o le risorse possano essere dispersi, occultati o utilizzati per il finanziamento di organizzazioni o attività terroristiche, anche internazionali.
[80] Si tratta dei Paesi elencati nell’allegato II del regolamento (CE) n. 539/2001 del Consiglio.
[81] Vale a dire: a) gli allievi di istituti scolastici di un Paese terzo che figura nell’elenco dell’allegato I, che risiedono in un Paese terzo che figura nell’elenco dell’allegato II o in Svizzera e in Liechtenstein, quando tali allievi partecipano a un viaggio scolastico di gruppo accompagnati da un insegnante dell’istituto; b) i rifugiati statutari e gli apolidi, se il Paese terzo in cui risiedono e che ha rilasciato il loro documento di viaggio è uno dei Paesi terzi dell’allegato II; c) i membri delle forze armate che si spostano nell’ambito della NATO e del Partenariato per la pace e titolari dei documenti d’identità e di missione previsti dalla convenzione tra gli Stati partecipanti all’organizzazione del trattato del Nord Atlantico sullo statuto delle loro forze armate del 19 giugno 1951.
[82] In particolare, l’essere familiari di un cittadino dell’Unione ai quali si applica la direttiva 2004/38/CE o di un cittadino di Paese terzo che gode di un diritto di libera circolazione equivalente a quello dei cittadini dell’Unione in virtù di un accordo concluso tra l’Unione e i suoi Stati membri, da una parte, e un Paese terzo, dall’altra; il non essere titolari della carta di soggiorno ai sensi della direttiva 2004/38/CE o di un permesso di soggiorno ai sensi del regolamento (CE) n. 1030/2002.
[83] Nell’ambito delle misure di accoglienza, il decreto n. 142/2015 riserva una particolare attenzione ai soggetti "portatori di esigenze particolari" (c.d. persone vulnerabili), il cui novero ricomprende: minori, i minori non accompagnati, i disabili, gli anziani, le donne (con priorità per quelle in stato di gravidanza), i genitori singoli con figli minori, le vittime della tratta di esseri umani, le persone affette da gravi malattie o da disturbi mentali, le persone per le quali è stato accertato che hanno subito torture, stupri o altre forme gravi di violenza psicologica, fisica o sessuale o legata all’orientamento sessuale o all'identità di genere, le vittime di mutilazioni genitali (articolo 17). Per tali soggetti sono introdotti specifici accorgimenti nella procedura di accoglienza e di assistenza. Così, nell'ambito dei centri governativi sono attivati servizi speciali di accoglienza, assicurati anche in collaborazione con la ASL competente per territorio, che devono garantire misure assistenziali particolari e un adeguato supporto psicologico.
[84] La c.d. accoglienza di secondo livello è riservata prioritariamente ai titolari di protezione internazionale e i minori stranieri non accompagnati, nonché, nei limiti dei posti disponibili, i titolari di specifiche categorie di permessi di soggiorno (permesso di soggiorno "per protezione speciale"; "per cure mediche"; "per protezione sociale"; "violenza domestica"; "per calamità"; "di particolare sfruttamento lavorativo"; "per atti di particolare valore civile": per casi speciali) i quali non accedano a sistemi di protezione specificamente dedicati; nonché i neo-maggiorenni affidati ai servizi sociali in prosieguo amministrativo. Possono continuare ad accedere ai servizi del SAI quei richiedenti che hanno fatto ingresso nel territorio nazionale a seguito di protocolli per la realizzazione di corridoi umanitari ovvero in seguito ad evacuazioni o programmi di reinsediamento nel territorio nazionale che prevedono l'individuazione dei beneficiari nei paesi di origine o di transito in collaborazione con l'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati. Inoltre, è fatta salva la possibilità di accesso ai servizi del SAI per i richiedenti che si trovano in una delle situazioni di vulnerabilità, individuate dal decreto accoglienza (art. 17, D.Lgs. n. 142/2015).
[85] Il regolamento contenuto nel d.P.C.m. ha stabilito una complessiva ridefinizione delle strutture del Ministero, abrogando contestualmente il precedente regolamento di organizzazione degli uffici centrali, adottato con il d.P.R. 7 settembre 2001, n. 398, che era stato più volte modificato (dapprima con d.P.R. 8 marzo 2006, n. 154 e, successivamente, con d.P.R. 24 novembre 2009, n. 210 e con d.P.R. 2 agosto 2018, n. 112).
[86] La disciplina di riferimento è contenuta negli articoli 6, 7 e 8 del decreto legislativo n. 30 del 2007, con il quale il nostro ordinamento ha dato attuazione alla direttiva 2004/38/CE relativa al diritto dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri.
[87] La disciplina di riferimento è contenuta negli articoli 20, 20-ter e 21 del decreto legislativo 6 febbraio 2007, n. 30.
[88] La relativa disciplina è contenuta nell’articolo 35 del decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25.
[89] Si tratta dei provvedimenti adottati a norma: dell'articolo 6, comma 5, del decreto legislativo 18 agosto 2015, n. 142; dell'articolo 10-ter del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286; dell'articolo 28 del regolamento UE n. 604/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013; nonché dell'articolo 14, comma 6, del predetto decreto legislativo n. 142 del 2015.
[90] La relativa disciplina è contenuta nell'articolo 32, comma 3, del decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25.
[91] La disciplina di riferimento è contenuta negli articoli 8, 18-bis, 19, comma 2, lettere d) e d-bis), 20-bis, 22, comma 12-quater, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286; si segnala che quest’ultima disposizione viene abrogata dal decreto legge in esame, all’art. 5, comma 1, lett. d), che prevede, altresì, che ogni richiamo alla disposizione abrogata va riferito all'articolo 18-ter del decreto legislativo n. 286 del 1998 introdotto dal decreto legge in esame e rubricato “Permesso di soggiorno per gli stranieri vittime di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro”.
[92] Per un approfondimento dell’iter legislativo in ordine a tale aspetto, si rinvia alla scheda di lettura dell’articolo 1.
[93] Il ricorso è altresì trasmesso al pubblico ministero, che, entro venti giorni, stende le sue conclusioni, a norma dell'articolo 738, secondo comma, del codice di procedura civile, rilevando l'eventuale sussistenza di cause ostative al riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria.
[94]I soggetti ai quali possono applicarsi le suddette misure sono indicate dall’art. 6, comma 2, del d.lgs. 142/2015: si tratta di persone indiziate di gravi delitti o di appartenere ad associazioni di tipo mafioso, anche straniere, o per le quali sussistono fondati motivi che abbiano commesso crimini di guerra o contro l’umanità o siano abitualmente dediti a traffici delittuosi o la cui permanenza sul territorio dello Stato possa agevolare organizzazioni o attività terroristiche, anche internazionali.