Camera dei deputati - Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa) |
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Autore: | Servizio Studi - Dipartimento Bilancio |
Titolo: | Misure urgenti di carattere fiscale, proroghe di termini normativi ed interventi di carattere economico |
Serie: | Progetti di legge Numero: 339 |
Data: | 04/09/2024 |
Organi della Camera: | V Bilancio, VI Finanze |
Misure urgenti di carattere fiscale, proroghe di termini normativi ed interventi di carattere economico
D.L. n. 113/2024 - A.S. n. 1222
Edizione provvisoria
4 settembre 2024
Servizio Studi Senato
Ufficio ricerche nei settori economico e finanziario
Tel. 066706-2451 - studi1@senato.it - @SR_Studi
Dossier n. 333
Servizio Studi
Dipartimento Bilancio
Tel. 066760-2233 - st_bilancio@camera.it - @CD_bilancio
Progetti di legge n. 339
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Articolo 3 (Disposizioni in materia di associazioni e società sportive dilettantistiche)
Articolo 6 (Tassazione dei redditi di talune categorie di lavoratori frontalieri)
Articolo 8 (Misure in materia di Piano nazionale complementare)
Articolo 9, comma 3 (Risorse per il Fondo per il miglioramento dell’offerta formativa)
Articolo 10, comma 1 (Disposizione concernente società a partecipazione pubblica quotate)
Articolo 10, commi 3-12 (Riforma 1.15 PNRR del sistema di contabilità pubblica)
Articolo 10, comma 13 (Disposizioni relative alla Società Autostrade Alto Adriatico S.p.A.)
Articolo 11, commi 1 e 2 (Rifinanziamento del Fondo per le emergenze nazionali)
Articolo 11, comma 3 (Incremento del FISPE)
Articolo 13 (Misure economiche urgenti in materia di collegi di merito)
Articolo 14 (Misure urgenti in materia di finanziamento di attività culturali)
Articolo 15, comma 1 (Misure urgenti a favore degli investimenti nei paesi africani)
Articolo 15, comma 2 (Risorse per fondo rotativo per le operazioni di venture capital)
Articolo 16 (Utilizzo delle somme dell'organo commissariale di ILVA S.p.A.)
Articolo 19 (Misure in materia di revisione della spesa in favore delle regioni)
Articolo 22 (Entrata in vigore)
Schede di lettura
Articolo 1
(Disposizioni in materia di credito d'imposta per investimenti nella Zona economica speciale per il Mezzogiorno - ZES unica)
L’articolo 1 integra le modalità per l’erogazione del contributo sotto forma di credito di imposta per la realizzazione di investimenti nella ZES unica (comma 1); stabilisce una procedura di calcolo dell’ammontare massimo del credito di imposta fruibile da ciascun beneficiario ai fini del rispetto del limite di spesa prevedendo la possibilità che l’autorizzazione di spesa sia incrementata nel limite massimo complessivo di 1.600 milioni di euro per l’anno 2024 (comma 2); i versamenti all’entrata possono essere disposti direttamente alla contabilità speciale n. 1778 intestata all’Agenzia delle entrate (comma 3); si integrano i contenuti del provvedimento del direttore dell’Agenzia delle entrate di cui al comma 2 (comma 4); si disciplina l’ipotesi in cui il credito di imposta riconosciuto alle regioni Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia, Sardegna e Molise ed alle zone assistite della regione Abruzzo con il provvedimento di cui ai commi 2 e 4 sia inferiore a quello massimo riconoscibile (comma 5); si interviene sulla disposizione sia gli impianti fotovoltaici, sia le relative celle devono essere prodotte negli Stati membri dell’UE.
L’articolo 16 del decreto-legge n. 124 del 2023 ha introdotto, per l’anno 2024, il credito di imposta per investimenti nella ZES unica, nel rispetto della normativa europea in materia di aiuti di Stato, a favore delle imprese che effettuano l'acquisizione dei beni strumentali indicati nel comma 2 del medesimo articolo, destinati a strutture produttive ubicate nelle zone assistite delle regioni Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia, Sardegna e Molise. Il comma 3 dell’articolo 16 individua i settori esclusi dall’agevolazione, il comma 4 indica i criteri di determinazione della misura del contributo, il comma 5 specifica la base giuridica europea per la compatibilità della misura e il comma 6 stabilisce che il credito di imposta per investimenti nella ZES unica è riconosciuto nel limite di spesa complessivo di 1.800 milioni di euro per l'anno 2024. Gli importi sono versati alla contabilità speciale n. 1778 intestata all'Agenzia delle entrate. Il comma rinvia quindi a un decreto del Ministro per gli affari europei, il Sud, le politiche di coesione e il PNRR da adottare di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, per la definizione delle modalità di accesso al beneficio, nonché i criteri e le modalità di applicazione e di fruizione del credito d'imposta e dei relativi controlli, anche al fine di assicurare il rispetto del limite di spesa di cui al primo periodo (si veda il decreto del Ministro per gli affari europei, il Sud, le politiche di coesione e il PNRR 17 maggio 2024, pubblicato nella Gazzetta ufficiale n. 117 del 21 maggio 2024). La suddetta autorizzazione di spesa è stata successivamente rideterminata dall’articolo 1, commi 8 e 9, del decreto-legge n. 63 del 2024, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 101 del 2024.
Il comma 1 dell’articolo 1 in esame integra la procedura per l’erogazione del credito di imposta per la realizzazione di investimenti in beni strumentali nella ZES unica previsto dall’articolo 16 del decreto-legge n. 124 del 2023.
In particolare, esso dispone che, a pena di decadenza dall’agevolazione, gli operatori economici che hanno presentato la comunicazione di cui all’articolo 5, comma 1, del decreto del Ministro per gli affari europei, il Sud, le politiche di coesione e il PNRR 17 maggio 2024, pubblicato nella Gazzetta ufficiale n. 117 del 21 maggio 2024, inviano dal 18 novembre 2024 al 2 dicembre 2024 all’Agenzia delle entrate, una comunicazione integrativa attestante l’avvenuta realizzazione entro il termine del 15 novembre 2024 degli investimenti indicati nella comunicazione presentata ai sensi del predetto articolo 5, comma 1.
La comunicazione di cui al primo periodo, a pena dello scarto della comunicazione stessa, reca, altresì, l’indicazione dell’ammontare del credito di imposta maturato in relazione agli investimenti effettivamente realizzati e delle relative fatture elettroniche ed è corredata dagli estremi della certificazione prevista dall’articolo 7, comma 14, del predetto decreto ministeriale.
La comunicazione integrativa indica un ammontare di investimenti effettivamente realizzati non superiore a quello riportato nella comunicazione inviata ai sensi dell’articolo 5, comma 1, del predetto decreto ministeriale.
Le disposizioni di cui al presente comma si applicano anche qualora la comunicazione inviata ai sensi dell’articolo 5, comma 1, del citato decreto ministeriale rechi l’indicazione di investimenti agevolabili e già realizzati alla data di trasmissione della medesima comunicazione.
Il comma rinvia a un provvedimento adottato dal direttore dell’Agenzia delle entrate entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, sono approvati il modello di comunicazione integrativa, con le relative istruzioni, da utilizzare per le finalità di cui al presente comma e sono definite le relative modalità di trasmissione telematica.
Il comma 2 stabilisce una procedura di calcolo dell’ammontare massimo del credito di imposta fruibile da ciascun beneficiario ai fini del rispetto del limite di spesa di cui all’articolo 16, comma 6, del decreto-legge n. 124 del 2023, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 162 del 2023.
In particolare, l’ammontare massimo del credito d’imposta fruibile da ciascun beneficiario è pari all’importo del credito d’imposta risultante dalla comunicazione integrativa di cui al comma 1, moltiplicato per la percentuale resa nota con provvedimento del direttore dell’Agenzia delle entrate, da emanare entro dieci giorni dalla scadenza del termine di presentazione delle comunicazioni integrative.
Detta percentuale è ottenuta rapportando il limite di spesa all’ammontare complessivo dei crediti di imposta indicati nelle comunicazioni integrative di cui al citato comma 1.
Qualora il credito di imposta fruibile, come determinato ai sensi del primo periodo, risulti inferiore alla misura definita ai sensi del comma 1 del suddetto articolo 16, l’autorizzazione di spesa di cui al comma 6 del medesimo articolo è incrementata, ferma restando la predetta misura e nel limite massimo complessivo di 1.600 milioni di euro per l’anno 2024, mediante versamento all’entrata del bilancio dello Stato e successiva riassegnazione in spesa, nel seguente ordine, delle risorse di cui:
a) all’articolo 8 del presente decreto nel limite massimo di 750 milioni di euro per l’anno 2024, attingendo in modo proporzionale alle relative autorizzazioni di spesa;
b) all’articolo 1, comma 177 (Fondo per lo sviluppo e la coesione, per il periodo di programmazione 2021-2027), della legge di bilancio 2021 (legge n. 178 del 2020), con imputazione alla quota afferente alle amministrazioni centrali ai sensi dell’articolo 1, comma 178, lettera b), numero 1), della medesima legge n. 178 del 2020, nel limite massimo di 560 milioni di euro per l’anno 2024;
c) all’articolo 26, comma 7 (Fondo per l'avvio di opere indifferibili), del decreto-legge n. 50 del 2022, convertito con modificazioni dalla legge n. 91 del 2022, nel limite massimo di 290 milioni di euro per l’anno 2024.
Il comma 4 integra i contenuti del provvedimento del direttore dell’Agenzia delle entrate di cui al comma 2, prescrivendo l’indicazione, per ciascuna regione della Zona economica speciale per il Mezzogiorno - ZES Unica ed in modo distinto per ciascuna delle categorie di micro imprese, di piccole imprese, di medie imprese e di grandi imprese come definite dalla Carta degli aiuti a finalità regionale 2022-2027:
a) il numero delle comunicazioni inviate entro i termini indicati al comma 2;
b) la tipologia di investimenti realizzati entro la data del 15 novembre 2024;
c) l’ammontare complessivo del credito di imposta complessivamente richiesto.
Il comma 5 disciplina l’ipotesi in cui il credito di imposta riconosciuto alle regioni Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia, Sardegna e Molise ed alle zone assistite della regione Abruzzo con il provvedimento di cui ai commi 2 e 4 sia inferiore a quello massimo riconoscibile.
Sotto tale ipotesi, fermo restando quanto previsto dall’articolo 16, comma 5, secondo periodo (cumulabilità del credito di imposta con aiuti de minimis e con altri aiuti di Stato che abbiano ad oggetto i medesimi costi ammessi al beneficio, a condizione che tale cumulo non porti al superamento dell'intensità o dell'importo di aiuto più elevati consentiti dalle pertinenti discipline europee di riferimento), del decreto-legge n. 124 del 2023, qualora il provvedimento di cui ai commi 2 e 4 indichi un credito di imposta inferiore a quello massimo riconoscibile nelle zone assistite delle regioni Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia, Sardegna e Molise, ammissibili alla deroga prevista dall’articolo 107, paragrafo 3, lettera a), del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, e nelle zone assistite della regione Abruzzo, ammissibili alla deroga prevista dall’articolo 107, paragrafo 3, lettera c), del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, come individuate dalla Carta degli aiuti a finalità regionale 2022-2027, il Ministero delle imprese e del made in Italy e le regioni delle ZES Unica per il Mezzogiorno rendono nota entro il 15 gennaio 2025, mediante apposita comunicazione inviata al Dipartimento per le politiche di coesione e il Sud della Presidenza del Consiglio dei ministri, la possibilità di agevolare i medesimi investimenti a valere sulle risorse dei programmi della politica di coesione europea relativi al periodo di programmazione 2021-2027 di loro titolarità, ove ne ricorrano i presupposti e nel rispetto delle procedure, dei vincoli territoriali, programmatici e finanziari previsti da detti programmi, indicando l’entità delle risorse finanziarie disponibili per il finanziamento della misura.
Il Ministero delle imprese e del made in Italy e le regioni, che intendono avvalersi di tale facoltà, definiscono con propri provvedimenti le modalità di riconoscimento dell’agevolazione e gli adempimenti richiesti agli operatori economici, anche tenendo conto di quanto previsto dall’articolo 16 del decreto-legge n. 124 del 2023 e dal decreto del Ministro per gli affari europei, il sud, le politiche di coesione e il PNRR 17 maggio 2024.
Il comma 6 modifica la disciplina del registro per le tecnologie del fotovoltaico curato dall’ENEA, di cui all’articolo 12, comma 1, del decreto-legge n. 181 del 2023, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 11 del 2024.
Il menzionato articolo 12 del decreto-legge n. 181 del 2023 al comma 1 previgente affida all’ENEA (Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile) il compito di istituire e curare la tenuta di un registro per le tecnologie del fotovoltaico composto da tre diverse sezioni, in cui sono iscritti, su istanza del produttore o del distributore interessato, i prodotti che rispondono ai seguenti requisiti di carattere territoriale e qualitativo:
a) moduli fotovoltaici prodotti negli Stati membri dell’Unione europea con un’efficienza a livello di modulo almeno pari al 21,5%;
b) moduli fotovoltaici con celle, prodotti negli Stati membri dell’Unione europea con un’efficienza a livello di cella almeno pari al 23,5%;
c) moduli prodotti negli Stati membri dell’Unione europea composti da celle bifacciali ad eterogiunzione di silicio o tandem prodotte nell’Unione europea con un’efficienza di cella almeno pari al 24,0%.
Il comma 2 della disposizione prevede che l’ENEA, sentiti il Ministero delle imprese e del Made in Italy e il Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica, definisca e pubblichi sul proprio sito istituzionale, entro 30 giorni dall’entrata in vigore del decreto legge, le modalità di invio della richiesta di inserimento nel registro dei prodotti in possesso dei requisiti previsti dal comma 1, fornendo altresì la documentazione da presentare ai fini dell’iscrizione.
Al comma 3 si prevede che l’ENEA pubblichi sul proprio sito istituzionale l’elenco dei prodotti, dei produttori e dei distributori che hanno ottenuto l’inserimento nel registro. Ai fini dell’iscrizione, la stessa Agenzia può procedere a controlli documentali e prestazionali sui prodotti indicati come rientranti nelle categorie di cui alle tre sezioni del registro.
Gli eventuali oneri derivanti da tali controlli sono posti a carico dei richiedenti l’iscrizione.
Il comma 4 è relativo agli oneri finanziari, e stabilisce che l’ENEA provveda all’attuazione della disposizione in esame nei limiti delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente e, comunque, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.
Per effetto del comma 6 in esame si chiarisce che sia gli impianti fotovoltaici, sia le relative celle devono essere prodotte negli Stati membri dell’UE (non solo gli impianti fotovoltaici, come previsto dalla disposizione vigente).
Come chiarito dal Governo nella relazione illustrativa, la disposizione è volta a incentivare il credito di imposta transizione 5.0.
Articolo 2
(Misure in materia di imposta sostitutiva sui redditi prodotti all’estero realizzati da persone fisiche che trasferiscono la propria residenza fiscale in Italia)
L’articolo 2 eleva da 100.000 a 200.000 euro l’importo dell’imposta sostitutiva sui redditi prodotti all'estero realizzati da persone fisiche che trasferiscono la propria residenza fiscale in Italia successivamente alla data di entrata in vigore del presente decreto-legge.
Nel dettaglio, il comma 1, attraverso la modifica dell’articolo 24-bis, comma 2, primo periodo, del TUIR (D.P.R. n. 917 del 1986) eleva da 100.000 a 200.000 euro l’importo dell’imposta sostitutiva sui redditi prodotti all'estero realizzati da persone fisiche che trasferiscono la propria residenza fiscale in Italia.
Il citato articolo 24-bis del TUIR prevede, al comma 1, che le persone fisiche che trasferiscono la propria residenza in Italia possono optare per l'assoggettamento all'imposta sostitutiva dei redditi prodotti all'estero individuati secondo i criteri di cui all'articolo 165, comma 2, a condizione che non siano state fiscalmente residenti in Italia per un tempo almeno pari a nove periodi d'imposta nel corso dei dieci precedenti l'inizio del periodo di validità dell'opzione.
Ai sensi del comma 2, per effetto dell'esercizio dell'opzione di cui al comma 1, relativamente ai redditi prodotti all'estero di cui al comma 1 è dovuta un'imposta sostitutiva dell'imposta sui redditi delle persone fisiche calcolata in via forfetaria, a prescindere dall'importo dei redditi percepiti, nella misura di euro 100.000 per ciascun periodo d'imposta in cui è valida la predetta opzione. Tale importo è ridotto a euro 25.000 per ciascun periodo d'imposta per ciascuno dei familiari di cui al comma 6. L'imposta è versata in un'unica soluzione entro la data prevista per il versamento del saldo delle imposte sui redditi. Per l'accertamento, la riscossione, il contenzioso e le sanzioni si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni previste per l'imposta sul reddito delle persone fisiche. L'imposta non è deducibile da nessun'altra imposta o contributo.
Il comma 2 precisa che le disposizioni di cui al comma 1 si applicano ai soggetti che hanno trasferito nel territorio dello Stato la residenza ai fini dell’articolo 43 del codice civile successivamente alla data di entrata in vigore del presente decreto-legge.
L’articolo 43 del codice civile stabilisce che il domicilio di una persona è nel luogo in cui essa ha stabilito la sede principale dei suoi affari e interessi, mentre la residenza è nel luogo in cui la persona ha la dimora abituale.
Articolo 3
(Disposizioni in materia di associazioni e società sportive dilettantistiche)
L’articolo 3 chiarisce che, ai fini IVA, fino al 31 dicembre 2024, le associazioni e le società sportive dilettantistiche possono continuare a porre fuori dal campo di applicazione dell’IVA le prestazioni di cui all’articolo 5, comma 15-quater, del decreto-legge n. 146 del 2021.
In particolare, il comma 1 chiarisce che fino alla data di entrata in vigore delle disposizioni di cui all’articolo 5, comma 15-quater, del decreto-legge n. 146 del 2021, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 215 del 2021 (fissata al 1° gennaio 2025), possono continuare a essere poste fuori dal campo di applicazione dell’IVA le prestazioni indicate dal medesimo comma 15-quater, come previsto dall’articolo 4, quarto comma, del D.P.R. n. 633 del 1972 (Istituzione e disciplina dell’IVA), da parte delle associazioni sportive dilettantistiche e, in virtù di quanto previsto dall’articolo 90, comma 1, della legge finanziaria 2003 (legge n. 289 del 2002), da parte delle società sportive dilettantistiche.
Sono fatti salvi i comportamenti dei contribuenti adottati prima della data di entrata in vigore del presente decreto.
Come chiarito dal Governo nella relazione illustrativa, resta inteso che la modifica normativa non è applicabile alle prestazioni effettuate prima della sua entrata in vigore e già assoggettate al regime di esenzione IVA previsto dall’articolo 36-bis del decreto-legge n. 75 del 2023, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 112 del 2023.
Inoltre, per effetto della modifica, il richiamato articolo 36-bis, il quale prevede che “Le prestazioni di servizi strettamente connessi con la pratica dello sport, compresi quelli didattici e formativi, rese nei confronti delle persone che esercitano lo sport o l’educazione fisica da parte di organismi senza fine di lucro, compresi gli enti sportivi dilettantistici di cui all’articolo 6 del decreto legislativo n. 36 del 2021, sono esenti dall’imposta sul valore aggiunto”, deve applicarsi alle sole prestazioni rese dalle associazioni sportive dilettantistiche e società sportive dilettantistiche diverse da quelle riconducibili all’articolo 4, quarto comma, del D.P.R. n. 633 del 1972, che resta pertanto in vigore, nell’attuale formulazione, fino al 31 dicembre 2024, per effetto del combinato disposto dell’articolo 5, comma 15-quater, del decreto-legge n. 146 del 2021 e dell’articolo 3, del decreto-legge n. 215 del 2023.
Ne consegue, prosegue il Governo, che fino a tale data possono essere considerate fuori campo IVA, ai sensi del citato articolo 4, quarto comma, le prestazioni ivi previste rese dalle associazioni sportive dilettantistiche e dalle società sportive dilettantistiche nei confronti dei soggetti individuati dallo stesso quarto comma del richiamato articolo 4, del D.P.R. n. 633 del 1972.
A partire dal 1° gennaio 2025, data di entrata in vigore dell’articolo 5, comma 15-quater, del decreto-legge n. 146 del 2021, verrà meno la previsione del “fuori campo IVA” e le prestazioni rese dalle associazioni e dalle società sportive in esame saranno esenti da IVA a condizione che gli statuti prevedano che non siano distribuibili utili, condizione questa che qualifica gli enti come soggetti non lucrativi.
Il menzionato comma 15-quater dell’articolo 5 del decreto-legge n. 146 del 2021, al fine di rendere l’ordinamento interno conforme ai rilievi mossi con la procedura d’infrazione n. 2008/2010, è intervenuto sull’articolo 10 del DPR n. 633 del 1972, inserendo i commi quarto, quinto e sesto, al fine di integrare l’elenco delle operazioni esenti da IVA e stabilendo le condizioni necessarie affinché le nuove ipotesi di esenzione siano conformi agli articoli 132, 133 e 134 della Direttiva IVA.
In particolare, il comma 15-quater ha apportato una serie di modificazioni al D.P.R. n. 633 del 1972 (Istituzione e disciplina dell'IVA).
a) ha modificato l'articolo 4 (Esercizio di imprese) come segue:
1) si mira a ricomprendere tra le cessioni effettuate nell'esercizio di imprese le cessioni di beni e le prestazioni di servizi nell'esercizio di attività commerciali o agricole ai soci, associati o partecipanti verso pagamento di corrispettivi specifici, o di contributi supplementari determinati in funzione delle maggiori o diverse prestazioni alle quali danno diritto anche quelle prestazioni (escluse dal testo previgente dell'articolo 4, comma 4, del D.P.R. n. 633 del 1972) effettuate in conformità alle finalità istituzionali da associazioni politiche, sindacali e di categoria, religiose, assistenziali, culturali, sportive dilettantistiche, di promozione sociale e di formazione extra-scolastica della persona, anche se rese nei confronti di associazioni che svolgono la medesima attività e che per legge, regolamento o statuto fanno parte di una unica organizzazione locale o nazionale, nonché dei rispettivi soci, associati o partecipanti e dei tesserati dalle rispettive organizzazioni nazionali;
2) si mira a considerare in ogni caso commerciali, ancorché esercitate da enti pubblici, agli effetti delle disposizioni sull'esercizio di imprese di cui all'articolo 4 del D.P.R. n. 633 del 1972, anche le cessioni di pubblicazioni delle associazioni politiche, sindacali e di categoria, religiose, assistenziali, culturali, sportive dilettantistiche, di promozione sociale e di formazione extra-scolastica della persona cedute prevalentemente ai propri associati, nonché le cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate in occasione di manifestazioni propagandistiche dai partiti politici rappresentati nelle Assemblee nazionali e regionali. Ai sensi del testo previgente dell'articolo 4, comma 5, del D.P.R. n. 633 del 1972, tali cessioni di pubblicazioni e beni e servizi effettuate in occasione di manifestazioni propagandistiche non sono considerate attività commerciali;
3) per le associazioni di promozione sociale ricomprese tra gli enti di cui all'articolo 3, comma 6, lettera e), della legge n. 287 del 1991 (si tratta di mense aziendali e spacci annessi ai circoli cooperativi ed enti a carattere nazionale le cui finalità assistenziali sono riconosciute dal Ministero dell'interno), le cui finalità assistenziali siano riconosciute dal Ministero dell'interno, si mira a considerare commerciale, anche se effettuata verso pagamento di corrispettivi specifici, la somministrazione di alimenti e bevande effettuata, presso le sedi in cui viene svolta l'attività istituzionale, da bar ed esercizi similari, sempreché tale attività sia strettamente complementare a quelle svolte in diretta attuazione degli scopi istituzionali e sia effettuata nei confronti dei soci, associati o partecipanti verso pagamento di corrispettivi specifici, o di contributi supplementari determinati in funzione delle maggiori o diverse prestazioni alle quali danno diritto. Inoltre, si intende far considerare fatte nell'esercizio di attività commerciali anche le cessioni di beni e le prestazioni di servizi ai soci, associati o partecipanti verso pagamento di corrispettivi specifici, o di contributi supplementari determinati in funzione delle maggiori o diverse prestazioni alle quali danno diritto;
b) si sono inseriti all'articolo 10 del D.P.R. n. 633 del 1972, dopo il terzo comma, due commi in base ai quali:
- l'esenzione dall'IVA prevista dall'articolo 10 (Operazioni esenti dall'imposta) si applica inoltre alle seguenti operazioni, a condizione di non provocare distorsioni della concorrenza a danno delle imprese commerciali soggette all'IVA:
1) le prestazioni di servizi e le cessioni di beni ad esse strettamente connesse effettuate in conformità alle finalità istituzionali da associazioni politiche, sindacali e di categoria, religiose, assistenziali, culturali, di promozione sociale e di formazione extra-scolastica della persona, verso pagamento di corrispettivi specifici, o di contributi supplementari fissati in conformità dello statuto, in funzione delle maggiori o diverse prestazioni alle quali danno diritto, nei confronti di soci, associati o partecipanti, di associazioni che svolgono la medesima attività e che per legge, regolamento o statuto fanno parte di un'unica organizzazione locale o nazionale, nonché dei rispettivi soci, associati o partecipanti e dei tesserati dalle rispettive organizzazioni nazionali;
2) le prestazioni di servizi strettamente connesse con la pratica dello sport o dell'educazione fisica rese da associazioni sportive dilettantistiche alle persone che esercitano lo sport o l'educazione fisica ovvero nei confronti di associazioni che svolgono la medesima attività e che per legge, regolamento o statuto fanno parte di un'unica organizzazione locale o nazionale, nonché dei rispettivi soci, associati o partecipanti e dei tesserati dalle rispettive organizzazioni nazionali;
3) le cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate in occasione di manifestazioni propagandistiche dagli enti e dagli organismi di cui al numero 1 del presente comma, organizzate a loro esclusivo profitto;
4) la somministrazione di alimenti e bevande nei confronti di indigenti dalle associazioni di promozione sociale ricomprese tra gli enti di cui all'articolo 3, comma 6, lettera e), della legge n. 287 del 1991 (si tratta di mense aziendali e spacci annessi ai circoli cooperativi ed enti a carattere nazionale le cui finalità assistenziali sono riconosciute dal Ministero dell'interno), le cui finalità assistenziali siano riconosciute dal Ministero dell'interno, sempreché tale attività di somministrazione sia strettamente complementare a quelle svolte in diretta attuazione degli scopi istituzionali, effettuata presso le sedi in cui viene svolta l'attività. Le disposizioni di cui al quarto comma si applicano a condizione che le associazioni interessate abbiano il divieto di distribuire, anche in modo indiretto, utili o avanzi di gestione nonché fondi, riserve o capitale durante la vita dell'associazione, salvo che la destinazione o la distribuzione non siano imposte dalla legge, e si conformino alle seguenti clausole, da inserire nei relativi atti costitutivi o statuti redatti nella forma dell'atto pubblico o della scrittura privata autenticata o registrata, ovvero alle corrispondenti clausole previste dal decreto legislativo n. 117 del 2017:
a. obbligo di devolvere il patrimonio dell'ente, in caso di suo scioglimento per qualunque causa, ad altra associazione con finalità analoghe o ai fini di pubblica utilità, sentito l'organismo di controllo e salvo diversa destinazione imposta dalla legge;
b.disciplina uniforme del rapporto associativo e delle modalità associative volte a garantire l'effettività del rapporto medesimo, escludendo espressamente ogni limitazione in funzione della temporaneità della partecipazione alla vita associativa e prevedendo per gli associati o partecipanti maggiori d'età il diritto di voto per l'approvazione e le modificazioni dello statuto e dei regolamenti e per la nomina degli organi direttivi dell'associazione;
c. obbligo di redigere e di approvare annualmente un rendiconto economico e finanziario secondo le disposizioni statutarie;
d.eleggibilità libera degli organi amministrativi, principio del voto singolo di cui all'articolo 2532, secondo comma, del codice civile, sovranità dell'assemblea dei soci, associati o partecipanti e i criteri di loro ammissione ed esclusione, criteri e idonee forme di pubblicità delle convocazioni assembleari, delle relative deliberazioni, dei bilanci o rendiconti; è ammesso il voto per corrispondenza per le associazioni il cui atto costitutivo, anteriore al 1 gennaio 1997, preveda tale modalità di voto ai sensi dell'articolo 2532, ultimo comma, del codice civile e sempreché le stesse abbiano rilevanza a livello nazionale e siano prive di organizzazione a livello locale;
e. intrasmissibilità della quota o contributo associativo ad eccezione dei trasferimenti a causa di morte e non rivalutabilità della stessa.
Le disposizioni di cui alle lettere b) e d) del quarto comma non si applicano alle associazioni religiose riconosciute dalle confessioni con le quali lo Stato ha stipulato patti, accordi o intese, nonché alle associazioni politiche, sindacali e di categoria.
Ai sensi dell’articolo 1, comma 683, della legge di bilancio 2022 (legge n. 234 del 2021), le disposizioni di cui al comma 15-quater si applicano a decorrere dal 1° gennaio 2025.
Articolo 4
(Credito di imposta per investimenti pubblicitari in favore di leghe e società sportive professionistiche e di società e associazioni sportive dilettantistiche)
L’articolo 4, al fine di sostenere gli operatori del settore sportivo, ripropone alcune agevolazioni fiscali, precedentemente introdotte durante la crisi pandemica, per gli investimenti pubblicitari effettuati dalla data di entrata in vigore del presente decreto fino al 15 novembre 2024.
In particolare, il comma 1, al fine di sostenere gli operatori del settore sportivo, ripropone le agevolazioni fiscali previste dall’articolo 81 del decreto-legge n. 104 del 2020, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 126 del 2020, per gli investimenti pubblicitari effettuati dalla data di entrata in vigore del presente decreto fino al 15 novembre 2024.
Si rammenta che l’articolo 81 del decreto-legge n. 104 del 2020 ha istituito per le imprese, lavoratori autonomi ed enti non commerciali un credito d’imposta pari al 50% delle spese di investimento in campagne pubblicitarie, effettuate a decorrere dal 1° luglio 2020 e fino al 31 dicembre 2020, a favore delle leghe che organizzano campionati nazionali a squadre nell’ambito delle discipline olimpiche e paralimpiche ovvero società sportive professionistiche e società ed associazioni sportive dilettantistiche iscritte al registro CONI operanti in discipline ammesse ai Giochi olimpici e paralimpici e che svolgono attività sportiva giovanile. Il contributo è concesso nel limite complessivo di 90 milioni di euro nel 2020, che costituisce tetto di spesa per il medesimo anno.
L'articolo 10, comma 1, del decreto-legge n. 73 del 2021 ha esteso tale agevolazione alle spese sostenute durante l’anno di imposta 2021, relativamente agli investimenti sostenuti dal 1° gennaio 2021 al 31 dicembre 2021[1].
Successivamente, l’articolo 9, comma 1, del decreto-legge n. 4 del 2022 ha esteso la medesima agevolazione anche agli investimenti sostenuti dal 1° gennaio al 31 marzo 2022.
Per l’attuazione del presente comma è autorizzata la spesa di 7 milioni di euro per l’anno 2024, che costituisce limite di spesa.
Ai relativi oneri, pari a 7 milioni di euro per l’anno 2024, si provvede mediante corrispondente versamento all’entrata del bilancio dello Stato da parte della Presidenza del Consiglio dei ministri a valere sulle risorse affluite sul suo bilancio autonomo per effetto dell’articolo 10, comma 3, del decreto-legge n. 73 del 2021, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 luglio n. 106 del 2021.
Al riguardo, si segnala che il citato articolo 10, comma 3, del DL n.73 del 2021 ha istituito, per l'anno 2021, nello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per il successivo trasferimento al bilancio autonomo della Presidenza del Consiglio dei ministri, un fondo con una dotazione di 86 milioni di euro, da considerare come limite di spesa, con cui finanziare un contributo a fondo perduto da riconoscere a ristoro delle spese sanitarie sostenute da società sportive professionistiche e da società e associazioni sportive dilettantistiche (che rispondano a determinati requisiti) per la sanificazione e prevenzione, nonché per l'effettuazione di test di diagnosi dell'infezione da Covid-19.
Detto contributo era diretto al ristoro delle spese sanitarie per l'effettuazione di test di diagnosi dell'infezione da Covid-19, nonché di sanificazione e prevenzione che fossero state sostenute da:
- società sportive professionistiche che nell'esercizio 2020 non avevano superato il valore della produzione di 100 milioni di euro;
- società e associazioni sportive dilettantistiche iscritte al registro del Comitato olimpico nazionale italiano (CONI) operanti in discipline ammesse ai Giochi olimpici e paralimpici.
La dotazione del fondo è stata successivamente incrementata di 20 milioni di euro per l’anno 2022 dall’articolo 9, comma 2, del decreto-legge n. 4 del 2022.
Alla compensazione degli effetti finanziari in termini di fabbisogno e di indebitamento netto derivanti dall’attuazione del primo periodo, pari a 7 milioni di euro per l’anno 2024, si provvede mediante corrispondente riduzione del fondo per la compensazione degli effetti finanziari non previsti a legislazione vigente conseguenti all’attualizzazione di contributi pluriennali, di cui all’articolo 6, comma 2, del decreto-legge n. 154 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 189 del 2008.
Il comma 2 precisa che l’investimento di cui al comma 1 in campagne pubblicitarie deve essere di importo complessivo non inferiore a 10.000 euro e rivolto a leghe e società sportive professionistiche e società ed associazioni sportive dilettantistiche con ricavi, di cui all’articolo 85, comma 1, lettere a) (corrispettivi delle cessioni di beni e delle prestazioni di servizi alla cui produzione o al cui scambio è diretta l'attività dell'impresa) e b) (corrispettivi delle cessioni di materie prime e sussidiarie, di semilavorati e di altri beni mobili, esclusi quelli strumentali, acquistati o prodotti per essere impiegati nella produzione), del TUIR (Testo Unico delle imposte sui redditi approvato con D.P.R. n. 917 del 1986) relativi al periodo d’imposta 2023, e comunque prodotti in Italia, almeno pari a 150.000 euro e fino a un massimo di 15 milioni di euro. Qualora l’investimento sia rivolto a leghe e società sportive professionistiche e società ed associazioni sportive dilettantistiche che si siano costituite a decorrere dal 1° gennaio 2023, il requisito di cui al primo periodo relativo ai ricavi non trova applicazione. Le società sportive professionistiche e società ed associazioni sportive dilettantistiche, oggetto della presente disposizione, certificano di svolgere attività sportiva giovanile.
Ai sensi del comma 3, nel caso in cui le risorse disponibili risultino insufficienti rispetto alle richieste ammesse, è prevista la ripartizione tra i beneficiari in misura proporzionale al credito di imposta spettante calcolato ai sensi del presente articolo, con un limite individuale per soggetto pari al 5% del totale delle risorse annue.
Sono esclusi dalla disposizione di cui al presente articolo gli investimenti in campagne pubblicitarie, incluse le sponsorizzazioni, nei confronti di soggetti che aderiscono al regime previsto dalla legge n. 398 del 1991.
La legge n. 398 del 1991 offre alle associazioni e alle società sportive dilettantistiche senza fini di lucro che, nel corso del periodo d’imposta precedente, hanno conseguito proventi derivanti da attività commerciale per un importo non superiore a 400.000 euro, la possibilità di optare per un regime fiscale agevolato. Tale regime agevolativo prevede modalità di determinazione forfetaria del reddito imponibile e dell’IVA nonché previsioni di favore in materia di adempimenti contabili, di certificazione dei corrispettivi e dichiarativi.
Il comma 4 disciplina le modalità di concessione del contributo. In particolare:
§ il credito d'imposta è utilizzabile esclusivamente in compensazione, ai sensi dell'articolo 17 del decreto legislativo n. 241 del 1997;
§ la previa istanza deve essere presentata direttamente al Dipartimento dello sport della Presidenza del Consiglio dei ministri;
§ si applica, nei limiti di compatibilità, il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 30 dicembre 2020, n. 196 concernente “Regolamento recante modalità per la concessione di un contributo, sotto forma di credito di imposta, sugli investimenti pubblicitari in favore di leghe e società sportive professionistiche e di società e associazioni sportive dilettantistiche”. Sul sito web del Dipartimento per lo sport della Presidenza del Consiglio dei ministri, è pubblicato con efficacia di pubblicità notizia apposito avviso di fissazione dei termini per la presentazione delle domande secondo quanto già previsto dall’articolo 3, comma 1, del citato decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 30 dicembre 2020, n. 196.
Si ricorda che in ambito fiscale la compensazione, prevista dall'articolo 17 del decreto legislativo n. 241 del 1997, consiste nella possibilità di fruire di una posizione fiscale creditoria per compensare una situazione debitoria. In particolare, la compensazione dei crediti fiscali può essere di due tipi:
compensazioni verticali (o interne), ovvero le c.d. compensazioni imposta da imposta, ossia quelle compensazioni attuate all'interno della medesima tipologia di imposta;
compensazioni orizzontali (o esterne), ovvero quelle che consentono di compensare imposte di natura diversa, ad esempio, un credito IVA con un debito IRES e/o contributivo.
Si ricorda che il contribuente ha la facoltà di compensare nei confronti dei diversi enti impositori (Stato, INPS, Enti Locali, INAIL, ENPALS) i crediti e i debiti risultanti dalla dichiarazione e dalle denunce periodiche contributive. Il modello di pagamento unificato F24 permette di indicare in apposite sezioni sia gli importi a credito utilizzati sia gli importi a debito dovuti. Il pagamento si esegue per la differenza tra debiti e crediti. A partire dall'anno 2014 il limite massimo dei crediti di imposta rimborsabili in conto fiscale e/o compensabili è di euro 700.000, per ciascun anno solare. Qualora l'importo dei crediti spettanti sia superiore a tali limiti, la somma in eccesso può essere chiesta a rimborso nei modi ordinari oppure può essere portata in compensazione nell'anno solare successivo. I soggetti che intendono effettuare la compensazione dei crediti relativi alle imposte sui redditi e alle relative addizionali, alle ritenute alla fonte, alle imposte sostitutive delle imposte sul reddito e dei crediti d'imposta da indicare nel quadro RU della dichiarazione dei redditi sono tenuti ad utilizzare esclusivamente i servizi telematici messi a disposizione dall'Agenzia delle entrate. Per approfondimenti sull'istituto si rinvia alla relativa pagina web del sito dell'Agenzia delle entrate.
Il comma 5 precisa che le agevolazioni di cui al presente articolo sono concesse ai sensi e nei limiti del regolamento (UE) n. 1407/2013 della Commissione, del 18 dicembre 2013, relativo all'applicazione degli articoli 107 e 108 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea agli aiuti «de minimis», del regolamento (UE) n. 1408/2013 della Commissione, del 18 dicembre 2013, relativo all’applicazione degli articoli 107 e 108 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea agli aiuti «de minimis» nel settore agricolo, e del regolamento (UE) n. 717/2014 della Commissione, del 27 giugno 2014, relativo all’applicazione degli articoli 107 e 108 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea agli aiuti «de minimis» nel settore della pesca e dell’acquacoltura.
Il Trattato sul funzionamento dell'Unione europea prevede un divieto generale di concedere aiuti di Stato (articolo 107, par. 1) al fine di evitare che, concedendo vantaggi selettivi a talune imprese, venga falsata la concorrenza nel mercato interno. Gli Stati membri sono tenuti a comunicare alla Commissione eventuali aiuti di Stato che intendano concedere, a meno che essi siano coperti da un'esenzione generale per categoria o siano di minore importanza, con un impatto appena percettibile sul mercato (principio "de minimis").
Il regolamento (UE) n. 1407/2013 della Commissione, del 18 dicembre 2013, esenta dal monitoraggio sulle sovvenzioni statali i piccoli contributi elargiti dallo Stato per un importo massimo di 200.000 euro per ciascuna impresa, per un periodo di 3 anni (articolo 3, par. 2, c. 1). Tale importo è ridotto a 100.000 euro per imprese che effettuano trasporto di merci su strada per conto terzi (articolo 3, par. 2, c. 2).
Nel settore della produzione primaria di prodotti agricoli, il regolamento (UE) n. 1408/2013 della Commissione, del 18 dicembre 2013, stabilisce di regola un massimale di 20.000 euro per impresa nell'arco di 3 esercizi finanziari (articolo 3, par. 2), che può essere incrementato a 25.000 euro nei casi e alle condizioni previste dall'articolo 3-bis. Da ultimo il decreto del Ministro delle politiche agricole e forestali del 19 maggio 2020 ha confermato per l'Italia il limite triennale di 25.000 euro per impresa. Viene inoltre fissato un importo complessivo massimo nazionale, per l'Italia pari a 840.502.950 euro su tre anni (articolo 3, par. 3, All. II).
Il massimale applicabile ai settori della pesca e dell'acquacoltura, ai sensi del regolamento (UE) n. 717/2014 della Commissione, del 27 giugno 2014, è invece pari a 30.000 euro, su base triennale (articolo 3, par. 2), con un limite cumulativo nazionale che per l'Italia è fissato a 96.310.000 euro, sempre su tre esercizi finanziari (articolo 3, par. 3, All. I).
Il comma 6 chiarisce la natura della spesa di cui al comma 1 specificando che il corrispettivo sostenuto per le spese costituisce, per il soggetto erogante, spesa di pubblicità, volta alla promozione dell'immagine, dei prodotti o servizi del soggetto erogante mediante una specifica attività della controparte.
I pagamenti degli investimenti pubblicitari dovranno essere necessariamente effettuati con versamento bancario o postale ovvero mediante altri sistemi di pagamento previsti dall'articolo 23 del decreto legislativo n. 241 del 1997 (carte di debito, di credito e prepagate, assegni bancari e circolari).
Il comma 7 dispone che il Dipartimento dello sport della Presidenza del Consiglio dei ministri trasmetta mensilmente, al Ministero dell’economia e delle finanze - Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato, le informazioni relative ai contributi riconosciuti, sotto forma di crediti d’imposta, in attuazione del comma 1, al fine di consentire la verifica dell’andamento della spesa complessiva.
Nella relazione illustrativa, il Governo fornisce alcuni chiarimenti in merito alle finalità dell’articolo in esame. Le società sportive professionistiche e società e associazioni sportive dilettantistiche che svolgono attività sportiva giovanile e rispettano determinati limiti dimensionali (con norme specifiche per le società e associazioni sportive costituite a partire dall’anno 2023) operano in un settore, come quello sportivo e in particolare locale, caratterizzato da un’alta visibilità e da una significativa funzione sociale, e che è attraversato da difficoltà finanziarie tali da poter metterne in discussione la continuità aziendale. L’estensione, prevista dal comma 1, al periodo compreso tra la data di entrata in vigore del decreto e il 15 novembre 2024 dell’incentivo agli investimenti in campagne pubblicitarie, in analogia con quanto già previsto in passato, è volta ad innescare un circolo virtuoso in cui l’attività di promozione e sponsorizzazione possa contribuire al sostegno degli operatori sportivi, promuovendo lo sviluppo dell’attività di advertising resa da tali soggetti anche in funzione del rispettivo brand, a livello locale e su scala più ampia.
Articolo 5, commi 1-3
(Modifiche alla disciplina in materia di IVA -
erogazione di corsi di attività sportiva invernale)
L’articolo 5, ai commi da 1 a 3, prevede l’applicazione dell’aliquota ridotta al 5 per cento per l’erogazione di corsi di attività sportiva invernale, in forma organizzata, al ricorrere di specifici requisiti soggettivi ed oggettivi nelle ipotesi nelle quali tale attività non siano esenti da imposta (commi 1 e 2). Viene inoltre disciplinato il regime IVA applicabile alle prestazioni di cui al comma 1 rese prima del 10 agosto 2024.
In particolare il comma 1 dell’articolo in commento, aggiungendo un nuovo numero (1-septies) alla tabella II-bis del Testo unico IVA (decreto del Presidente della Repubblica n.633 del 1972), prevede l’assoggettamento all’aliquota IVA del 5 per cento dell’erogazione di corsi di attività sportiva invernale, come individuata dalle Federazioni di sport invernali riconosciute dal CONI, impartiti, anche in forma organizzata, da iscritti in appositi albi regionali o nazionali, nella misura in cui tali corsi non siano esenti dall’imposta sul valore aggiunto.
Con riferimento a tale ultima ipotesi l’articolo 4 del Testo unico IVA vigente fino al 31 dicembre 2024, esclude dalla qualificazione come attività commerciale (e quindi dal regime IVA), tra l’altro, le prestazioni di servizi rese dalle associazioni sportive dilettantistiche. L’esclusione di tali prestazioni (e delle ulteriori indicate al comma 4, dell’articolo 4) da quelle aventi natura commerciale aveva dato luogo ad una procedura d’infrazione n. 2008/2010 per il non corretto recepimento della Direttiva Iva 2006/112/CE, con particolare riferimento all’articolo 132, paragrafo 1, lettera m), che prevede l’esenzione dall’IVA per talune prestazioni di servizi strettamente connesse con la pratica dello sport o dell’educazione fisica, fornite da organismi senza fini di lucro alle persone che esercitano lo sport o l’educazione fisica.
Con l’articolo 5, comma 15-quater, del decreto-legge 21 ottobre 2021, n. 146, per superare i rilevi della Commissione europea è stato modificato sia il testo dell’articolo 4 (eliminando i riferimenti all’esclusione della natura commerciale di alcune prestazioni di beni e servizi, tra le quali anche quelle delle associazioni sportive dilettantistiche) sia quello dell’articolo 10 che ha previsto specifiche ipotesi di esenzione dall’IVA, a condizione che tali esenzioni non provochino distorsioni della concorrenza a danno di imprese commerciali assoggettate ad IVA.
Nell’ambito di tali esenzioni rientrano le prestazioni di servizi strettamente connesse con la pratica dello sport o dell'educazione fisica rese da associazioni sportive dilettantistiche alle persone che esercitano lo sport o l'educazione fisica ovvero nei confronti di associazioni che svolgono le medesime attività e che per legge, regolamento o statuto fanno parte di un'unica organizzazione locale o nazionale, nonché dei rispettivi soci, associati o partecipanti e dei tesserati dalle rispettive organizzazioni nazionali.
Con riferimento al regime di esenzione dall’IVA va segnalato anche quanto disposto dall’articolo 36-bis del decreto-legge n. 75 del 2023 che ha disposto che le prestazioni di servizi strettamente connessi con la pratica dello sport, compresi quelli didattici e formativi, rese nei confronti delle persone che esercitano lo sport o l’educazione fisica da parte di organismi senza fine di lucro, compresi gli enti sportivi dilettantistici, sono esenti dall'imposta sul valore aggiunto. La medesima disposizione ha altresì disposto che le prestazioni dei servizi didattici e formativi sopra indicate, rese prima del 17 agosto 2023 (data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge n. 75 del 2023), si intendono comprese nell'ambito di applicazione dell’articolo 10, primo comma, numero 20), del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, che prevede l’esenzione di imposta per le prestazioni educative dell'infanzia e della gioventù e quelle didattiche di ogni genere, anche per la formazione, l'aggiornamento, la riqualificazione e riconversione professionale, rese da istituti o scuole riconosciuti da pubbliche amministrazioni e da enti del Terzo settore di natura non commerciale, comprese le prestazioni relative all'alloggio, al vitto e alla fornitura di libri e materiali didattici, ancorché fornite da istituzioni, collegi o pensioni annessi, dipendenti o funzionalmente collegati, nonché le lezioni relative a materie scolastiche e universitarie impartite da insegnanti a titolo personale. Le prestazioni di cui al periodo precedente non comprendono l'insegnamento della guida automobilistica ai fini dell'ottenimento delle patenti di guida per i veicoli delle categorie B e C1.
Affinché sia applicabile l’aliquota agevolata al 5 per cento - possibilità prevista dalla nuova formulazione dell’Allegato III della direttiva IVA, che consente l’applicazione di un’aliquota ridotta non inferiore al 5% per i corsi di attività sportiva o fisica - occorre che la disciplina oggetto di insegnamento sia stata riconosciuta come disciplina sportiva dalle Federazioni di sport invernali affiliate al CONI e che l’insegnamento sia impartito, anche in forma organizzata, da iscritti in appositi albi regionali o nazionali (l’ipotesi più frequente riguarda l’insegnamento dei maestri di sci).
La relazione tecnica precisa, in merito all’impatto della disposizione sopra indicata, come il riferimento alla forma “organizzata” va intesa come formula residuale nella quale sono inquadrabili anche i soggetti che operano in forma associata con scopo di lucro. In tal modo la norma che prevede l’imponibilità ad aliquota ridotta si applica sia agli individui sia ai soggetti, come associazioni e società, che operano con finalità lucrative.
Viene chiarito che, prima dell’entrata in vigore dal 1° gennaio 2025 dell’articolo 5, comma 15-quater e seguenti del decreto-legge 146 del 2021, che ha modificato gli articoli 4 e 10 del Testo unico IVA, la quasi totalità delle prestazioni delle scuole di sci (disciplina sportiva principalmente interessata dalla modifica) erano rese in regime di esenzione e che la riduzione dell’aliquota IVA potrebbe essere produttiva di effetti solamente in relazione alle attività di insegnamento degli sport invernali svolte dai singoli maestri di sci in forma autonoma, che non siano associati tra di loro (e che pertanto sarebbero assoggettati all’aliquota ordinaria del 22 per cento).
Rispetto a questi ultimi, inoltre, gli eventuali effetti si avrebbero solamente per i pochi soggetti che non hanno aderito al regime agevolativo dei forfetari, che non prevede adempimenti IVA. Ne consegue che, secondo quanto riportato dalla relazione tecnica, le casistiche interessate sarebbero più teoriche che pratiche, tanto da non avere impatti sul tendenziale delle entrate relative all’IVA.
Il comma 2 precisa l’ambito applicativo della disposizione di cui al comma 1 fino alla data di entrata in vigore dell'articolo 5, comma 15-quater, del decreto-legge 21 ottobre 2021, n. 146 (vedi supra), le cui norme, secondo quanto previsto dall’articolo 1, comma 683, della legge di bilancio 2022 (legge n. 234 del 2021), si applicano dal 1° gennaio 2025 (vedi supra).
In particolare si prevede che l’IVA al 5% nelle ipotesi contemplate al comma 1 si applichi salvo che le prestazioni erogate non rientrino tra quelle esenti ai sensi dell'articolo 4, quarto comma, del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, tenendo conto anche di quanto previsto dall'articolo 90, comma 1, della legge 27 dicembre 2002, n. 289.
L’articolo 4, comma quarto, del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, nel testo vigente fino al 1° gennaio 2025, dispone che, con riferimento ai quei soggetti che non abbiano ad oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciale o agricola, si considerano effettuate nell’esercizio di imprese soltanto le cessioni di beni e le prestazioni di servizi fatte nell'esercizio di attività commerciali o agricole. Si considerano fatte nell'esercizio di attività commerciali anche le cessioni di beni e le prestazioni di servizi ai soci, associati o partecipanti verso pagamento di corrispettivi specifici, o di contributi supplementari determinati in funzione delle maggiori o diverse prestazioni alle quali danno diritto, ad esclusione, tra l’altro, delle prestazioni rese dalle associazioni sportive dilettantistiche.
Tale disposizione di favore, si applica altresì, ai sensi dell'articolo 90, comma 1, della legge 27 dicembre 2002, n. 289, espressamente richiamato dal comma in commento, anche alle società sportive dilettantistiche costituite in forma di società di capitali senza fini di lucro.
Il comma 3 dispone infine che le prestazioni di cui al comma 1 rese prima della data di entrata in vigore del presente decreto, si intendono comprese tra le prestazioni esenti ovvero, qualora ne ricorrano le condizioni, tra quelle di cui all’articolo 4, quarto comma, del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, tenendo conto anche di quanto previsto dall'articolo 90, comma 1, della legge n. 289 del 2002 (vedi supra).
Sono inoltre fatti salvi i comportamenti dei contribuenti adottati prima della data di entrata in vigore del presente decreto.
Articolo 5, commi 4 e 5
(Modifiche alla disciplina in materia IVA – cessioni cavalli vivi destinati a finalità diverse da quelle alimentari entro diciotto mesi dalla nascita)
L’articolo 5, commi 4-5, allo scopo di sostenere la filiera equina, dispone l’applicazione dell’aliquota IVA del 5 per cento alle cessioni di cavalli vivi destinati a finalità diverse da quelle alimentari effettuate entro diciotto mesi dalla nascita, nonché le modalità di copertura del conseguente minor onere.
Con l’espressa finalità di sostenere la filiera equina, l’articolo 5, comma 4, introduce quindi il numero 1-octies) alla Tabella A, parte II-bis, del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972.
Nello specifico, a decorrere dal 10 agosto 2024 (data di entrata in vigore del decreto-legge), si rende applicabile l’aliquota IVA del 5 per cento - in luogo di quella ordinaria del 22 per cento - alle cessioni di cavalli vivi che soddisfano determinati requisiti:
a) destinazione a finalità diverse da quelle alimentari;
b) cessioni che avvengono entro diciotto mesi dalla nascita.
Il successivo comma 5 dispone sulle modalità di copertura del minor gettito derivante dalla misura de qua, stimabile nella misura di 1,54 milioni di euro per l’anno 2024 e di 3,08 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2025. In particolare, secondo la disposizione in commento, si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento del fondo speciale di parte corrente iscritto, ai fini del bilancio triennale 2024-2026, nell’ambito del programma “Fondi di riserva e speciali” della missione “Fondi da ripartire” dello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze per l’anno 2024.
Con riguardo alla stima del minor onere conseguente alla misura in commento, nella Relazione tecnica si precisa che, al fine di valutare gli effetti dell’accoglimento della modifica, sono state analizzate le dichiarazioni IVA per l’anno di imposta 2022 relativamente ai codici di attività 01.43.00 (allevamento di cavalli e altri equini) rilevando una perdita di gettito complessiva pari a 3,08 milioni di euro, a regime, in considerazione delle operazioni oggetto dell’intervento precedentemente assoggettate all’aliquota ordinaria del 22 per cento.
Articolo 6
(Tassazione dei redditi di talune categorie di lavoratori frontalieri)
L’articolo 6 reca disposizioni inerenti al nuovo regime fiscale opzionale riconosciuto, a decorrere dal periodo d’imposta 2024, ai lavoratori frontalieri residenti nei comuni italiani situati nella zona di venti chilometri dal confine svizzero che, in base al nuovo Accordo tra l’Italia e la Svizzera sull’imposizione dei lavoratori frontalieri del 23 dicembre 2020, sono considerati “nuovi frontalieri”.
Nello specifico, tale regime consiste nell’applicazione, sui redditi da lavoro dipendente percepiti in Svizzera, di una imposta sostitutiva dell’IRPEF e delle addizionali pari al 25 per cento delle imposte applicate nel Paese elvetico, senza diritto al credito d’imposta in Italia.
La presente disposizione introduce uno speciale regime opzionale di tassazione sostitutiva per una specifica categoria di lavoratori frontalieri residenti in alcuni comuni italiani compresi nella zona di venti chilometri dal confine svizzero, esercenti attività di lavoro dipendente nell’area di frontiera svizzera per un datore di lavoro residente nel Paese elvetico.
Si tratta, in particolare, dei contribuenti residenti nei comuni italiani situati in prossimità del confine della Svizzera che, in base al nuovo Accordo tra l’Italia e la Svizzera sull’imposizione dei lavoratori frontalieri del 23 dicembre 2020, sono considerati frontalieri, pur non essendo stati tali in precedenza.
Preliminarmente, si rammenta che il suddetto Accordo è stato ratificato a seguito di autorizzazione parlamentare concessa con la legge, 13 giugno 2023, n. 83.
Esso sostituisce il precedente Accordo tra Italia e Svizzera risalente al 1974 ed è finalizzato all’eliminazione delle doppie imposizioni sui salari, sugli stipendi e sulle altre remunerazioni analoghe ricevute dai lavoratori frontalieri.
Sul punto, si segnala che, in materia di redditi da lavoro dipendente, l’articolo 15 della Convenzione tra Italia e Svizzera per evitare le doppie imposizioni del 1976 stabilisce che i salari, gli stipendi e le altre remunerazioni analoghe che un residente di uno Stato contraente riceve in corrispettivo di un’attività dipendente sono imponibili soltanto in detto Stato, a meno che tale attività non venga svolta nell’altro Stato contraente, con conseguente imposizione delle remunerazioni percepite a tal titolo in questo altro Stato.
L’Accordo tra Italia e Svizzera sui lavoratori frontalieri del 1974
L’Accordo tra l’Italia e la Svizzera relativo alla imposizione dei lavoratori frontalieri e alla compensazione finanziaria a favore dei comuni italiani di confine fu firmato a Roma il 3 ottobre 1974.
Con riferimento al regime fiscale dei lavoratori frontalieri, ai sensi dell’articolo 1 del predetto Accordo, rimasto in vigore tra il 1° gennaio 1976 e il 31 dicembre 2023, i salari, gli stipendi e ogni altra remunerazione analoga percepita dal lavoratore residente nel comune italiano di frontiera a titolo di corrispettivo di una attività di lavoro dipendente svolta in Svizzera erano tassati esclusivamente in tale ultimo Paese, a fronte di una compensazione finanziaria a favore degli stessi comuni italiani (cd. meccanismo dei ristorni).
Preme evidenziare che l’Accordo del 1974, tuttavia, non prevedeva una definizione particolare di “lavoratore frontaliere”, né, tantomeno, di “Comune di confine”. Per tale ragione, ciascuno dei tre Cantoni svizzeri, in modo unilaterale, aveva provveduto alla redazione di un proprio elenco di comuni italiani di confine, includendo in ciascuna lista unicamente quei comuni che erano entro i venti chilometri dal confine tra l’Italia e il proprio Cantone e non entro i venti chilometri dal confine tra Italia e Svizzera.
A tal proposito, l’Agenzia delle entrate, con la risoluzione 38/E del 28 marzo 2017, era intervenuta sul tema al fine di chiarire la qualificazione di “frontaliere”, affermando che per l’Italia esisteva un unico elenco dei comuni di confine, formato da tutte quelle località che erano poste entro i venti chilometri tra i due Stati, senza dunque il requisito ulteriore che il comune fosse limitrofo al Cantone in cui lavorava il frontaliere.
Nello specifico, rientrano nell’ambito di applicazione del nuovo Accordo le persone fisiche residenti di uno dei due Stati contraenti che lavorano, in qualità di frontalieri, nell’area di frontiera dell’altro Stato contraente.
In via generale, una delle principali novità apportate dal nuovo Accordo del 2020 è rappresentata dal differente trattamento fiscale tra i cc.dd. “nuovi frontalieri”, coloro i quali entrano nel mercato del lavoro come frontalieri successivamente alla data di entrata in vigore del nuovo Accordo (1° gennaio 2024) e i cc.dd. “vecchi frontalieri”, ossia i soggetti residenti in Italia che lavorano o hanno lavorato nei Cantoni dei Grigioni, del Ticino o del Vallese nel periodo compreso tra il 31 dicembre 2018 e la predetta data.
Invero, è stata introdotta una duplice modalità di tassazione:
§ ai cc.dd. “nuovi frontalieri” si applica, ai sensi dell’articolo 3 del nuovo Accordo, un regime di tassazione concorrente in forza del quale, conformemente all’articolo 15 della Convenzione contro le doppie imposizioni del 1976, i salari, gli stipendi e le altre remunerazioni analoghe da essi ricevute sono imponibili nello Stato contraente di svolgimento dell’attività lavorativa (Svizzera), non potendo, tuttavia, l’imposta eccedere l’80 per cento di quanto dovuto in base alle disposizioni sulle imposte domestiche sui redditi delle persone fisiche, incluse le imposte locali. Successivamente, lo Stato di residenza (Italia) assoggetta tale reddito a tassazione progressiva ai fini IRPEF, riconoscendo al lavoratore italiano, al fine di eliminare la doppia imposizione, un credito d’imposta per quanto versato in Svizzera ex articolo 165 del decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986 (TUIR);
§ i cc.dd. “vecchi frontalieri” rientrano nel regime transitorio di cui all’articolo 9 del nuovo Accordo, continuando, pertanto, ad essere soggetti a imposizione esclusiva in Svizzera.
Inoltre, ai fini della presente trattazione, assumono rilevanza le definizioni di “area di frontiera” e di “frontaliere”, le quali, a differenza dell’Accordo del 1974, risultano specificate nell’articolo 2 del nuovo Accordo.
La definizione “area di frontiera” comprende:
§ per l’Italia, le Regioni Lombardia, Piemonte, Valle d’Aosta e la Provincia Autonoma di Bolzano;
§ per la Svizzera, i Cantoni dei Grigioni, del Ticino e del Vallese.
La definizione di “frontaliere” può desumersi dal combinato disposto degli articoli 2, 3 e 9 del nuovo Accordo.
Nello specifico, l’articolo 2, lettera b), definisce quale “lavoratore frontaliere”, un residente di uno Stato contraente che:
§ è fiscalmente residente in un Comune il cui territorio si trova, totalmente o parzialmente, nella zona di venti chilometri dal confine con l’altro Stato contraente;
§ svolge un’attività di lavoro dipendente nell’area di frontiera dell’altro Stato contraente per un datore di lavoro residente, una stabile organizzazione o una base fissa di detto altro Stato;
§ ritorna, in linea di principio, quotidianamente al proprio domicilio principale nello Stato di residenza.
Per ulteriori approfondimenti in merito al suddetto Accordo si rinvia al dossier redatto sul disegno di legge di recepimento dell’Accordo.
Nello specifico, la relazione illustrativa del Governo osserva che il previgente Accordo sui lavoratori frontalieri del 3 ottobre 1974 non riportava alcun elenco dei comuni frontalieri. La Svizzera, invece, ha applicato le relative disposizioni sulla base degli elenchi predisposti dai cantoni dei Grigioni, del Ticino e del Vallese.
Il Governo rileva che, in seguito alla esatta definizione dell’elenco dei comuni frontalieri da parte di Italia e Svizzera in sede di predisposizione del nuovo Accordo, è emerso un numero di 72 comuni compresi nella fascia di venti chilometri dal confine con la Svizzera che non erano stati precedentemente inclusi negli elenchi predisposti dai citati cantoni svizzeri.
Ciò in quanto, fin dalla vigenza del precedente Accordo del 1974, sussiste una discrasia interpretativa tra Italia e Svizzera in merito alla definizione di lavoratore frontaliere.
Invero, per l’Italia, come confermato dalla Agenzia delle entrate con la citata la risoluzione 38/E del 28 marzo 2017 e come emerge, altresì, dall’articolo 2 del nuovo Accordo del 2020, per frontaliere si intende il soggetto fiscalmente residente in un comune situato, totalmente o parzialmente, nella zona di venti chilometri dal confine svizzero, senza, dunque, l’ulteriore requisito che il comune sia limitrofo al Cantone in cui lavora il frontaliere (c.d. “Cantone frontista”). Per la Svizzera, invece, frontaliere è esclusivamente colui che vive in un comune posto entro i venti chilometri dal confine tra l’Italia e il Cantone specifico.
Pertanto, alla luce dell’entrata in vigore dell’Accordo del 2020, istitutivo di un nuovo e speciale regime fiscale per i cc.dd. “nuovi frontalieri”, tale divergenza esegetica sulla nozione di frontaliere ha influito sulla problematica inerente alla qualificazione di “vecchio frontaliere”, il quale, come detto, non rientra nel campo di applicazione del nuovo regime impositivo, ma continua a essere assoggettato a tassazione esclusivamente in Svizzera.
Invero, è stato osservato come la diversità di vedute tra Italia e Svizzera, concretizzatasi nella mancata inclusione negli elenchi predisposti dai Cantoni svizzeri di diversi comuni italiani situati entro i venti chilometri dal confine svizzero i cui residenti lavoratori frontalieri hanno sempre assolto le imposte esclusivamente in Svizzera, avrebbe potuto fare emergere un rischio di discriminazione in punto di trattamento fiscale per coloro che, ai sensi della interpretazione italiana di frontaliere, sarebbero rientrati nel novero di “vecchi frontalieri”, ma che, invece, secondo l’interpretazione elvetica, sarebbero stati qualificati come “nuovi frontalieri”, con conseguente assoggettamento al nuovo regime fiscale di cui all’articolo 3 dell’Accordo del 2020 in luogo della tassazione esclusiva da parte dell’erario elvetico.
A tal fine, come rilevato dalla relazione illustrativa del Governo, i redditi percepiti dai c.d. “nuovi frontalieri”, ai sensi del predetto articolo 3, sono assoggettati a tassazione in Svizzera nella misura dell’80 per cento dell’imposta applicata, invece, per intero agli analoghi redditi dei lavoratori rientranti nel regime transitorio di cui all’articolo 9 dell’accordo medesimo.
In relazione a tale questione sono state presentate, e sono attualmente oggetto di discussione presso la Commissione VI della Camera dei deputati, due risoluzioni (la risoluzione 7/00201 dell’8 marzo 2024 a firma Del Barba e Ricciardi e la risoluzione 7/00207 del 21 marzo 2024 a prima firma Centemero), le quali impegnano il Governo “ad intervenire al fine di chiarire le discrasie interpretative tra le autorità fiscali di Italia e Svizzera, circa la corretta definizione dei “comuni di confine” e della platea di soggetti che avranno diritto alle disposizioni del “regime transitorio”, nonché “al fine di chiarire che, in riferimento ai “Vecchi frontalieri”, i cui redditi resteranno quindi soggetti a tassazione imponibile soltanto in Svizzera, resta confermata la definizione, peraltro coincidente con quella prevista dal richiamato articolo 2 dell’Accordo sottoscritto in data 23 dicembre 2020 e oggetto di ratifica con legge n. 83 del 2023, contenuta nella citata risoluzione dell’Agenzia delle Entrate n. 38 del 2017, ovvero che i vecchi frontalieri continuano a considerarsi tali in virtù della distanza dal confine svizzero e non dal confine del Cantone presso cui prestano attività lavorativa”.
Di analogo tenore è, altresì, l’interrogazione a risposta immediata 5/02061 del 26 febbraio 2014 presentata sempre in Commissione Finanze con cui sono stati chiesti chiarimenti al Governo in merito al regime impositivo dei lavoratori frontalieri sulle imposte sul reddito e sul patrimonio, con particolare riferimento ai cc.dd. “vecchi frontalieri”. Sul punto, il Governo ha affermato che “nell’opzione esegetica privilegiata dell’Agenzia delle entrate, la definizione declinata nella cennata risoluzione resti valida ai fini dell’individuazione dei “vecchi frontalieri” da parte dello Stato italiano, dovendosi qualificare lavoratore frontaliere colui che “esercita un’attività dipendente sul territorio di uno dei Cantoni del Ticino, dei Grigioni e del Vallese, e non si richiede l’ulteriore condizione che l’attività sia prestata in un Cantone “frontista” rispetto al comune di residenza”. Tale opzione esegetica deve essere messa, peraltro, in connessione con i contenuti della procedura amichevole del 22 dicembre 2023, che esplica efficacia solo dal primo gennaio 2024. Dal che consegue che la definizione di lavoratore frontaliere richiamata nella risoluzione 38 del 2017, non è da sola sufficiente a qualificare i vecchi frontalieri, occorrendo altresì, a tal fine, in coerenza con la prassi applicativa dell’Accordo previgente, che il comune di residenza del lavoratore, oltre ad essere compreso nella fascia dei 20 km dal confine, risulti inserito nelle liste redatte dai tre cantoni della Svizzera”.
Pertanto, come evidenzia la relazione illustrativa del Governo, al fine di prevenire discriminazioni di natura fiscale tra i lavoratori frontalieri residenti nei predetti 72 comuni non inclusi negli elenchi dei cantoni svizzeri e i soggetti rientranti nel regime transitorio di cui al sopra citato articolo 9, con la disposizione in commento si è provveduto a istituire un nuovo regime fiscale opzionale di imposizione sostitutiva, con il precipuo scopo di assicurare ai suddetti lavoratori un carico fiscale corrispondente a quello che avrebbero subito se fossero rientrati nel regime transitorio, così eliminando in radice la problematica derivante dalla discrepanza interpretativa in merito alla qualificazione di “vecchio frontaliere”.
Ciò premesso, il comma 1 della disposizione in esame introduce un nuovo regime fiscale opzionale per una specifica categoria di lavoratori frontalieri residenti in alcuni comuni italiani compresi nella zona di venti chilometri dal confine svizzero, i quali svolgono la propria attività di lavoratore dipendente nell’area di frontiera svizzera per un datore di lavoro residente nel Paese elvetico.
Si tratta dei contribuenti residenti nei comuni italiani situati nei pressi della Svizzera che, in base al nuovo Accordo tra l’Italia e la Svizzera sull’imposizione dei lavoratori frontalieri del 23 dicembre 2020, ratificato dall’Italia con legge n. 83 del 2023, sono considerati “frontalieri” pur non essendo stati considerati tali in precedenza.
In particolare, ad essi viene riconosciuta la facoltà di assoggettare i propri redditi da lavoro dipendente percepiti in Svizzera a una imposta sostitutiva dell’IRPEF e delle addizionali regionali e comunali pari al 25 per cento delle imposte applicate nel Paese elvetico sugli stessi redditi, senza diritto al credito d’imposta ex articolo 165 del TUIR.
Tuttavia, affinché detta opzione sia esercitabile, è necessaria la sussistenza delle seguenti condizioni:
§ il lavoratore si qualifica come frontaliero ai sensi dell’articolo 2 del richiamato Accordo tra Italia e Svizzera relativo all’imposizione dei lavoratori frontalieri;
§ il lavoratore, alla data di entrata in vigore del predetto Accordo svolgeva, ovvero tra il 31 dicembre 2018 e la predetta data aveva svolto, un’attività di lavoro dipendente in Svizzera nei cantoni dei Grigioni, del Ticino e del Vallese per un datore di lavoro ivi residente o ivi avente una stabile organizzazione o una base fissa;
§ i redditi sono assoggettati a tassazione in Svizzera secondo i criteri indicati nell’articolo 3 del citato Accordo.
Pertanto, il nuovo regime sostitutivo consente la sostanziale equiparazione del regime fiscale dei soggetti optanti per tale regime a quello dei “vecchi frontalieri” rientranti, come detto, nel regime transitorio di cui al citato articolo 9.
Il comma 2 esclude, in deroga all’articolo 11, comma 4, del TUIR, la detrazione delle imposte assolte in Svizzera in caso di opzione per l’imposizione sostitutiva.
Il comma 3 dispone che l’opzione per l’imposizione sostitutiva debba essere esercitata nella dichiarazione dei redditi, con conseguente versamento dell’imposta sostitutiva entro il termine per il versamento a saldo delle imposte sui redditi.
Il comma 4 stabilisce, per l’ammontare delle imposte applicate in Svizzera, la conversione in euro sulla base del cambio medio annuale del periodo d’imposta in cui i redditi sono percepiti.
Inoltre, all’accertamento, alla riscossione, alle sanzioni e al contenzioso, è estesa l’applicazione, in quanto compatibili, delle ordinarie disposizioni in materia di imposte dirette.
Il comma 5 prende in considerazione i lavoratori frontalieri residenti nei comuni delle province di Brescia e Sondrio inclusi nell’elenco di cui all’allegato 2.
Tali lavoratori, laddove alla data di entrata in vigore del citato Accordo svolgevano, oppure tra il 31 dicembre 2018 e la predetta data di entrata in vigore avevano svolto, un’attività di lavoro dipendente in Svizzera nel cantone dei Grigioni per un datore di lavoro ivi residente, rientrano nel regime transitorio di cui all’articolo 9 dell’Accordo medesimo, con conseguente imposizione esclusiva in Svizzera. Al contrario, i lavoratori che, nel medesimo periodo temporale, svolgevano o avevano svolto un’attività di lavoro dipendente nei cantoni del Ticino e del Vallese possono optare per l’imposta sostitutiva.
Sul punto, la relazione illustrativa del Governo evidenzia che la ragione di tale specificazione per le province di Brescia e Sondrio risiede nel fatto che, a differenza dei comuni cui fa riferimento il comma 1, i quali non risultavano inclusi negli elenchi dei cantoni dei Grigioni, del Ticino e del Vallese, i comuni della provincia di Brescia erano invece precedentemente inclusi, salvo un comune, nell’elenco del cantone dei Grigioni. Analogamente, i comuni della provincia di Sondrio erano precedentemente inclusi, salvo due comuni, nell’elenco del cantone dei Grigioni. Per chiarezza, il sopra citato allegato 2 elenca i comuni delle province di Brescia e di Sondrio inclusi nell’Allegato B alla procedura amichevole del 22 dicembre 2023 pubblicata sul sito del Ministero dell’Economia e delle Finanze - Dipartimento delle Finanze.
Il comma 6 stabilisce che, alla luce della loro equiparazione ai frontalieri soggetti al regime transitorio, i lavoratori destinatari del regime di favore di cui ai commi 1 e 5 della presente disposizione sono tenuti al pagamento del contributo di cui all’articolo 1, commi da 237 a 239, della legge, 30 dicembre 2023, n. 213.
Il comma 7 dispone che, in deroga all’articolo 10, comma 1, lettera e), del TUIR, il contributo suddetto è detraibile dall’imposta sostitutiva nella misura del 20 per cento.
Infine, il comma 8 prevede che il nuovo regime fiscale sostitutivo trovi applicazione per i redditi prodotti a decorrere dal periodo d’imposta 2024.
Articolo 7, commi 1 e 2
(Differimento dei termini di versamento delle imposte dovute per l'adeguamento del magazzino e delle relative rilevazioni contabili)
L’articolo 7, commi 1 e 2, prorogano i termini per il versamento dell’imposta sostitutiva sull’adeguamento delle esistenze di bilancio iniziali previsto dall’articolo 1, commi da 78 a 85, della legge di bilancio 2024.
L’articolo 1, commi da 78 a 85, della legge di bilancio 2024 (legge n. 213 del 2023) dispone circa l’adeguamento delle esistenze fiscali, per gli esercenti attività di impresa, che non adottano i principi contabili internazionali per la redazione del bilancio d’esercizio. L’adeguamento, relativo al solo periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2023, può essere effettuato mediante eliminazione delle esistenze iniziali di quantità o valori superiori rispetto a quelli effettivi o mediante l’iscrizione delle esistenze iniziali precedentemente omesse. A seconda che venga effettuato tramite l’eliminazione o l’iscrizione di valori, dà luogo al pagamento di diverse imposte, non rilevando, in ogni caso, a fini sanzionatori di alcun genere.
Nel dettaglio, il comma 78 riconosce agli esercenti attività d’impresa che non adottano i principi contabili internazionali nella redazione del bilancio la facoltà, relativamente al periodo d’imposta in corso al 30 settembre 2023, di adeguamento delle esistenze iniziali dei beni di cui all’articolo 92 (Variazioni delle rimanenze) del testo unico delle imposte sui redditi (TUIR) di cui al D.P.R. n. 917 del 1986.
Il comma 79 prevede che l’adeguamento di cui al comma 78 possa essere effettuato attraverso due metodi. Il primo consiste nell’eliminazione delle esistenze iniziali di quantità o valori superiori rispetto a quelli effettivi. Il secondo metodo consiste, invece, nella registrazione delle esistenze iniziali omesse precedentemente.
Il comma 80, suddiviso in lettera a) e b), dispone circa gli effetti dell’adeguamento rispetto all’eliminazione dei valori.
In base alla lettera a), l’adeguamento comporta il pagamento dell’imposta sul valore aggiunto, determinata applicando l’aliquota media riferibile all’anno 2023 all’ammontare che si ottiene moltiplicando il valore eliminato per il coefficiente di maggiorazione stabilito, per le diverse attività, con apposito decreto dirigenziale. L’aliquota media tenendo conto della esistenza di operazioni non soggette ad imposta ovvero soggette a regimi speciali è quella risultante dal rapporto tra l’imposta, relativa alle operazioni, diminuita di quella relativa alle cessioni di beni ammortizzabili, e il volume di affari dichiarato.
Ai sensi della lettera b), l’adeguamento comporta il pagamento di una imposta sostitutiva dell’imposta sul reddito delle persone fisiche, dell’imposta sul reddito delle società e dell’imposta regionale sulle attività produttive, in misura pari al 18 per cento da applicare alla differenza tra l’ammontare calcolato con le modalità indicate alla lettera a) ed il valore eliminato.
Il comma 81 dispone che l’adeguamento effettuato con la procedura di iscrizione di valori comporta il pagamento di una imposta sostitutiva dell’imposta sul reddito delle persone fisiche, dell’imposta sul reddito delle società e dell’imposta regionale sulle attività produttive, in misura pari al 18 per cento da applicare al valore iscritto.
Il comma 82 stabilisce che l’adeguamento deve essere richiesto nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo d’imposta di cui al comma 78 (quello in corso al 30 settembre 2023). Le imposte dovute sono versate in due rate di pari importo, di cui la prima con scadenza entro il termine previsto per il versamento a saldo delle imposte sui redditi relative al periodo d’imposta di cui al comma 78 e la seconda entro il termine di versamento della seconda o unica rata dell’acconto delle imposte sui redditi relativa al periodo d’imposta successivo. Al mancato pagamento nei termini consegue l’iscrizione a ruolo a titolo definitivo delle somme non pagate e dei relativi interessi nonché delle sanzioni conseguenti all’adeguamento effettuato.
L’articolo 7, comma 1, in esame differisce il termine di versamento della prima rata delle imposte dovute, di cui al menzionato articolo 1, comma 82, della legge di bilancio 2024 (legge n. 213 del 2023) al 30 settembre 2024 per i soggetti per i quali detto termine scade entro il 29 settembre 2024.
Se, in applicazione del primo periodo, il termine di versamento della prima rata scade successivamente a quello previsto per il versamento della seconda rata, quest’ultimo termine è differito anch’esso al 30 settembre 2024.
Nella relazione illustrativa, il Governo chiarisce la motivazione della disposizione con riferimento alle complessità operative connesse al reperimento delle informazioni necessarie per la determinazione dei coefficienti di maggiorazione contenuti nel decreto del Ministero dell’economia e delle finanze del 24 giugno 2024 e al fine di consentire ai soggetti interessati dalla misura di avere più tempo a disposizione per le opportune valutazioni in merito all’accesso alla summenzionata disciplina dell’adeguamento del magazzino. In sostanza, prosegue il Governo, il differimento del versamento rileva per i soggetti con periodo d’imposta coincidente con l’anno civile (differimento di tre mesi) e per i soggetti con periodo d’imposta non coincidente con l’anno civile per i quali la scadenza del termine di versamento del saldo delle imposte sui redditi dovute per il periodo di imposta in corso al 30 settembre 2023 è antecedente alla data del 30 settembre 2024.
Il comma 2 stabilisce che, ai fini dell’adeguamento delle esistenze iniziali di beni di cui all’articolo 1, commi da 78 a 85, della legge di bilancio 2024, per i soggetti per i quali il termine di approvazione del bilancio relativo all’esercizio in corso al 30 settembre 2023 scade entro la data del 29 settembre 2024, l’adeguamento delle esistenze iniziali può essere effettuato entro il 30 settembre 2024 nelle scritture contabili relative all’esercizio successivo.
Nella relazione illustrativa, il Governo chiarisce il comma 2 consente, in deroga alle disposizioni del codice civile e dei principi contabili nazionali (OIC), di adeguare le esistenze iniziali entro il 30 settembre 2024 per i soggetti per i quali l’approvazione del bilancio relativo all’esercizio in corso al 30 settembre 2023 scade entro la data del 29 settembre 2024. In tali casi, l’adeguamento può essere effettuato nell’esercizio successivo a quello in corso al 30 settembre 2023 (2024 per i soggetti con esercizio coincidente con l’anno civile) senza, pertanto, incidere sui bilanci eventualmente già approvati. La fruizione di tale facoltà di iscrizione delle rettifiche relative al magazzino non determina alcun effetto sui termini di versamento dell’imposta sostitutiva, così come differiti (al 30 settembre 2024) con le disposizioni di cui al comma 1.
Articolo 7, commi 3 e 5
(Rideterminazione dei valori di acquisto di terreni e partecipazioni negoziate e non negoziate nei mercati regolamentati)
L’articolo 7, comma 3, proroga dal 30 giugno 2024 al 30 novembre 2024 i termini di versamento dell’imposta sostitutiva e di redazione della perizia giurata di stima in materia di rideterminazione dei valori di acquisto delle partecipazioni negoziate e non negoziate in mercati regolamentati o in sistemi multilaterali di negoziazione e dei terreni edificabili e con destinazione agricola, posseduti alla data del 1°gennaio 2024. Il comma 5 reca la quantificazione degli oneri derivanti dal comma 3 e ne indica le fonti di copertura finanziaria.
L’articolo 1, commi 52 e 53, della legge di bilancio 2024 (legge n. 213 del 2023) hanno esteso le disposizioni in materia di rivalutazione dei valori di acquisto delle partecipazioni negoziate e non negoziate in mercati regolamentati o in sistemi multilaterali di negoziazione e dei terreni edificabili e con destinazione agricola - disposizioni già previste in passato e più volte prorogate nel tempo - anche agli asset posseduti alla data del 1° gennaio 2024, stabilendo anche per tali operazioni un’imposta sostitutiva con aliquota al 16%.
Analogamente a quanto già previsto in passato, le disposizioni in esame prevedono la facoltà di assumere, ai fini del computo di plusvalenze e minusvalenze finanziarie, anche riferite a titoli o partecipazioni negoziate in mercati regolamentari, il valore normale di tali asset, purché posseduti alla data del 1° gennaio 2024, in luogo del loro costo o valore di acquisto dietro il versamento di un’imposta sostitutiva con aliquota al 16%.
In particolare, il comma 52 estende l’applicazione delle disposizioni dei commi da 5 a 7 dell’articolo 5 della legge n. 448 del 2001 anche alla rideterminazione dei valori di acquisto delle partecipazioni negoziate e non negoziate in mercati regolamentati o in sistemi multilaterali di negoziazione e dei terreni edificabili e con destinazione agricola posseduti alla data del 1° gennaio 2024.
I commi da 5 a 7 dell’articolo 5 della legge n. 448 del 2001 stabiliscono le modalità di applicazione delle disposizioni in materia di rivalutazione delle partecipazioni e dei terreni, secondo le quali il valore da assumere in luogo del costo o valore di acquisto deve essere determinato sulla base di una perizia giurata di stima redatta da specifiche categorie di soggetti. In particolare il comma 5 dispone che se la relazione giurata di stima è predisposta per conto della stessa società o dell’ente nel quale la partecipazione è posseduta, la relativa spesa è deducibile dal reddito d’impresa in quote costanti nell’esercizio in cui è stata sostenuta e nei quattro successivi. Se la relazione giurata di stima è predisposta per conto di tutti o di alcuni dei possessori dei titoli, quote o diritti la relativa spesa è portata in aumento del valore di acquisto della partecipazione in proporzione al costo effettivamente sostenuto da ciascuno dei possessori. L’assunzione del valore così definito quale valore di acquisto non consente il realizzo di minusvalenze utilizzabili ai sensi dei commi 3 e 4 dell’articolo 82 del testo unico delle imposte sui redditi (TUIR) (comma 6). Infine il comma 7 stabilisce gli intermediari abilitati all’applicazione dell’imposta sostitutiva a norma degli articoli 6 e 7 del decreto legislativo n. 461 del 1997 tengono conto del nuovo valore, in luogo di quello del costo o del valore di acquisto, soltanto se prima della realizzazione delle plusvalenze e delle minusvalenze ricevono copia della perizia, unitamente ai dati identificativi dell’estensore della perizia stessa e al codice fiscale della società periziata.
Si dispone inoltre che le imposte sostitutive, ivi previste, possano essere rateizzate fino ad un massimo di tre rate annuali di pari importo, a decorrere dalla data del 30 giugno 2024, prevedendo un interesse, da versarsi contestualmente, pari al 3% sull’importo delle rate successive alla prima.
Si prevede inoltre che la redazione e il giuramento della perizia, previsti dalle citate norme, debbano essere effettuati entro la predetta data del 30 giugno 2024.
La disposizione consente poi di rideterminare a fini fiscali le plusvalenze e minusvalenze di natura finanziaria relative ai titoli, alle quote o ai diritti negoziati nei mercati regolamentati o nei sistemi multilaterali di negoziazione (di cui all’articolo 67, comma 1, lettere c) e c-bis), TUIR di cui al D.P.R. n. 917 del 1986), posseduti alla data del 1° gennaio 2024.
La rideterminazione consiste nell’assumere, a fini fiscali, il valore normale degli stessi al mese di dicembre 2023.
L’articolo 7, comma 3, in esame, attraverso la modifica dell’articolo 1, comma 52, della legge di bilancio 2024 (legge n. 213 del 2023) proroga dal 30 giugno 2024 al 30 novembre 2024 i termini di versamento dell’imposta sostitutiva e di redazione della perizia giurata di stima, previsti dal citato articolo 1, comma 52, della legge di bilancio 2024 in materia di rideterminazione dei valori di acquisto delle partecipazioni negoziate e non negoziate in mercati regolamentati o in sistemi multilaterali di negoziazione e dei terreni edificabili e con destinazione agricola, posseduti alla data del 1°gennaio 2024.
Il comma 5 reca innanzitutto la quantificazione delle minori entrate derivanti dal comma 3, valutate in 19,2 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2024 al 2033.
Il comma dispone inoltre che alla relativa copertura finanziaria si provvede per ciascuno degli anni dal 2024 al 2026 mediante utilizzo di quota parte delle maggiori entrate derivanti dal comma 3 e per ciascuno degli anni dal 2027 al 2033, mediante corrispondente riduzione del Fondo per interventi strutturali di politica economica, di cui all’articolo 10, comma 5, del decreto-legge n. 282 del 2004, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 307 del 2004.
Articolo 7, comma 4
(Adeguamento capitale sociale per soggetti iscritti all’albo accertamento e riscossione enti locali)
L’articolo 7, comma 4, diretta a consentire ai soggetti che alla data del 1° gennaio 2020 erano già iscritti nell’albo dei privati abilitati all’accertamento e alla riscossione delle entrate locali, di adeguare il proprio capitale sociale entro il 31 dicembre 2025 anziché entro il 31 dicembre 2024 previsto dalla normativa previgente.
Preliminarmente si ricorda che l’articolo 1, commi 807 e 808, della legge di bilancio 2020 (legge n. 160 del 2019) recano la disciplina dei requisiti patrimoniali richiesti per l’iscrizione nell'albo dei privati abilitati all’accertamento e alla riscossione delle entrate locali.
In particolare, il comma 807 stabilisce che per l'iscrizione nell'albo per l'accertamento e riscossione delle entrate degli enti locali (di cui all'articolo 53, comma 1, del decreto legislativo n. 446 del 1997) o nella sezione separata del medesimo albo prevista per i soggetti che svolgono esclusivamente le funzioni e le attività di supporto propedeutiche all'accertamento e alla riscossione delle entrate degli enti locali e delle società da essi partecipate, sono richieste le seguenti misure minime di capitale interamente versato in denaro o tramite polizza assicurativa o fideiussione bancaria:
a) 2.500.000 euro per l'effettuazione, anche disgiuntamente, delle attività di accertamento dei tributi e di quelle di riscossione dei tributi e di altre entrate nei comuni con popolazione fino a 200.000 abitanti;
b) 5 milioni di euro per l'effettuazione, anche disgiuntamente, delle attività di accertamento dei tributi e di quelle di riscossione dei tributi e di altre entrate nelle province e nei comuni con popolazione superiore a 200.000 abitanti;
b-bis) 150.000 euro per lo svolgimento delle funzioni e delle attività di supporto propedeutiche all'accertamento e alla riscossione delle entrate locali, nei comuni con popolazione fino a 100.000 abitanti;
c) 500.000 euro per lo svolgimento delle funzioni e delle attività di supporto propedeutiche all'accertamento e alla riscossione delle entrate locali, nei comuni con popolazione superiore a 100.000 e fino a 200.000 abitanti;
d) un milione di euro per lo svolgimento delle funzioni e delle attività di supporto propedeutiche all'accertamento e alla riscossione delle entrate locali, nelle province e nei comuni con popolazione superiore a 200.000 abitanti.
Il comma 808 prevede che i soggetti iscritti alla sezione separata e quelli iscritti all'albo per l'accertamento e riscossione delle entrate degli enti locali devono adeguare alle condizioni e alle misure minime previste al citato comma 807 il proprio capitale sociale entro il 30 giugno 2021.
Tale termine è stato prorogato successivamente al 30 giugno 2021 dall’articolo 1, comma 1093, della legge di bilancio 2021 (legge n. 178 del 2020) e al 31 dicembre 2024 dall’articolo 3, comma 5-quaterdecies, del decreto-legge n. 228 del 2021, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 15 del 2022.
Il comma in esame, attraverso una modifica dell’articolo 1, comma 808, della legge di bilancio 2020 (legge n. 160 del 2019), differisce dal 31 dicembre 2024 al 31 dicembre 2025 il termine valevole, per i soggetti iscritti all’albo e alla relativa sezione speciale, per adeguare il proprio capitale sociale alle condizioni e alle misure richieste dalle predette norme.
Nella relazione illustrativa, il Governo chiarisce che la disposizione in esame è diretta a consentire ai soggetti che alla data del 1° gennaio 2020 erano già iscritti nell’albo di cui all’articolo 53 del decreto legislativo n. 446 del 1997, di adeguare il proprio capitale sociale in tempi più lunghi, vale a dire entro il 31 dicembre 2025, rispetto a quelli che si iscrivono per la prima volta nell’albo stesso. Tale ulteriore proroga si fonda sulla circostanza che la legge di delega n. 111 del 2023 prevede, all’articolo 14, comma 1, lett. f), la revisione del sistema della riscossione delle entrate degli enti locali che deve riguardare, tra l’altro, anche il sistema di vigilanza sui soggetti abilitati ad effettuare l’attività di accertamento e di riscossione delle entrate degli enti locali, nonché sui soggetti che svolgono esclusivamente le relative funzioni e attività di supporto propedeutiche all’accertamento e alla riscossione delle entrate degli enti locali e delle società da essi partecipate. Pertanto, la proroga dell’adeguamento appare necessaria proprio in virtù dei tempi richiesti per l’emanazione del decreto delegato concernente i tributi locali.
Articolo 8
(Misure in materia di Piano nazionale complementare)
L’articolo 8 tratta la gestione delle risorse riferibili al Piano nazionale per gli investimenti complementari al PNRR, per gli importi di cui all’allegato 3 del decreto-legge n. 113 del 2024, disponendo l’accantonamento e l’indisponibilità fino al 30 settembre 2024 delle risorse oggetto dell’informativa congiunta presentata in data 9 luglio 2024 dal Ministro dell'economia e delle finanze e dal Ministro per gli affari europei, il Sud, le politiche di coesione e il PNRR al CIPESS. Si prevede una deroga a tale previsione per far fronte alle obbligazioni di spesa giuridicamente vincolanti esistenti alla data di entrata in vigore del presente decreto nonché la copertura degli eventuali oneri derivanti dalle previsioni di cui all’articolo 1 in materia di credito d’imposta per investimenti nella Zona economica speciale per il Mezzogiorno - ZES unica, fino a 750 milioni.
Il comma 1 dell’articolo 8 prevede che le risorse relative ai costi afferenti alla realizzazione degli interventi del Piano nazionale per gli investimenti complementari al PNRR (PNC) oggetto dell’informativa congiunta presentata in data 9 luglio 2024 dal Ministro dell'economia e delle finanze e dal Ministro per gli affari europei, il Sud, le politiche di coesione e il PNRR al Comitato interministeriale per la programmazione economica e lo sviluppo sostenibile (CIPESS), in relazione agli importi dettagliati nell’allegato 3 del decreto-legge in esame, accantonate e rese indisponibili nei rispettivi stati di previsione della spesa fino al 30 settembre 2024.
L’allegato 3 riporta una tabella con l’indicazione per ciascun programma del Piano nazionale complementare degli importi oggetto di accantonamento, per un totale di 756,7 milioni di euro.
Tale vincolo viene meno qualora le amministrazioni assegnatarie dimostrino la sussistenza di obbligazioni di spesa giuridicamente vincolanti alla data di entrata in vigore del decreto-legge in esame, anche mediante i sistemi di monitoraggio del Ministero dell’economia e delle finanze e quelli ad essi collegati. In tal caso, le risorse volte a garantire la conclusione dei relativi interventi sono da considerarsi disaccantonate e disponibili in misura pari all’importo necessario.
Si prevede infine per il 2024 che una quota fino a 750 milioni delle suddette risorse sia destinata alla copertura degli eventuali oneri derivanti dalle previsioni di cui all’articolo 1 in materia di credito d’imposta per investimenti nella Zona economica speciale per il Mezzogiorno - ZES unica.
Al comma 2 si dispone che, con riferimento alle risorse del Piano nazionale complementare diverse da quelle di cui al comma 1, il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di cui all’articolo 1, comma 3, del decreto-legge n. 19 del 2024, con il quale sono individuati gli eventuali interventi oggetto di definanziamento in ragione del mancato perfezionamento delle obbligazioni giuridicamente vincolanti e sono contestualmente rese indisponibili le relative risorse, può essere adottato entro il 15 novembre 2024.
Il Piano nazionale per gli investimenti complementari al Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR), finalizzato al finanziamento di specifiche azioni che integrino e completino il PNRR, è stato approvato con una dotazione originaria complessiva di circa 30,6 miliardi di euro dal 2021 al 2026.
Il Piano nazionale di ripresa e resilienza prevedeva espressamente la propria integrazione mediante il Piano nazionale complementare, da realizzare con la messa in opera di strumenti attuativi comuni e di un sistema di monitoraggio unitario.
Con il decreto-legge n.59 del 2021 si è pertanto provveduto in primis all’assegnazione delle risorse ai Ministeri competenti e alla definizione di 30 progetti e interventi: 24 finanziati esclusivamente dal PNC e 6 ricompresi anche nel PNRR (cofinanziati con risorse aggiuntive). Per ciascun programma sono stati dunque individuati l'amministrazione titolare, l'importo del finanziamento e, con riferimento ai programmi cofinanziati, la componente del PNRR a cui afferiscono.
Il decreto del Ministro dell’economia e delle finanze del 15 luglio 2021, in attuazione decreto-legge n. 59 del 2021, ha successivamente individuato per i 24 interventi e programmi del PNC gli obiettivi iniziali, intermedi e finali, determinati in relazione al cronoprogramma finanziario e coerenti con gli impegni assunti nel PNRR con la Commissione europea.
Tale disciplina ha costituito, peraltro, attuazione del PNRR, il quale prevedeva l'istituzione, entro il 31 dicembre 2021, di un sistema semplificato di traguardi e obiettivi simile a quello del dispositivo per la ripresa e la resilienza (RRF) per la pianificazione, l'esecuzione e il finanziamento di progetti nell'ambito del Piano per gli investimenti complementari.
Gli obiettivi iniziali, intermedi e finali dei 6 programmi cofinanziati dal PNRR sono stati individuati con il decreto del Ministro dell’economia e delle finanze del 1° agosto 2022.
Il decreto-legge n.77 del 2021 ha in seguito disposto l’estensione al Piano nazionale complementare di alcune procedure previste per il PNRR.
In particolare, l'articolo 14 ha previsto che le misure e le procedure di accelerazione e semplificazione introdotte per l'attuazione degli interventi del PNRR si potessero applicare anche agli investimenti contenuti nel Piano nazionale complementare, al fine di garantirne una efficace e tempestiva attuazione. L'estensione riguarda anche l'applicazione delle disposizioni relative al rafforzamento della capacità amministrativa delle amministrazioni e delle stazioni appaltanti, il meccanismo di superamento del dissenso e l'esercizio dei poteri sostitutivi.
Per quanto concerne il sistema di monitoraggio il decreto del Ministro dell’economia e delle finanze del 15 luglio 2021 ha disciplinato il monitoraggio dei programmi e degli interventi del PNC e delle relative procedure di attuazione, prevedendo l'utilizzo delle procedure di monitoraggio sullo stato di attuazione delle opere pubbliche (MOP) previste dal decreto legislativo n. 229 del 2011.
In particolare, il monitoraggio è effettuato per gli interventi cofinanziati dal PNRR attraverso Regis, il sistema unitario per la programmazione, attuazione, monitoraggio, controllo e rendicontazione del PNRR; trimestralmente la Ragioneria generale dello Stato provvede inoltre ad effettuare il monitoraggio dell'attuazione del Piano nazionale complementare mediante apposite relazioni.
In ambito parlamentare il decreto-legge n. 59 del 2021 prevede che sia presentata una relazione annuale alle Camere sulla ripartizione territoriale dei programmi e degli interventi compresi nel Piano nazionale per gli investimenti complementari (art. 1, comma 7-quinquies).
Sul tema è intervenuta anche la legge n.108 del 2021 (legge di conversione del decreto-legge n. 77 del 2021), disciplinando all'articolo 1, commi 2-7, il monitoraggio parlamentare sull'attuazione del PNRR e del Piano complementare, prevedendo obblighi di trasmissione alle Camere della documentazione necessaria ad assicurare il controllo sull'attuazione dei progetti previsti dal PNRR e dal PNC e sulle relative scadenze.
Il decreto-legge 2 marzo 2024, n. 19 (Ulteriori disposizioni urgenti per l'attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR)) ha infine previsto misure in materia di governance del PNRR e del PNC. L'articolo 1 ha introdotto una serie di disposizioni di carattere finanziario per la realizzazione degli investimenti del PNRR, come modificato dalla Decisione del Consiglio ECOFIN dell'8 dicembre 2023, oltre a misure per la realizzazione degli investimenti non più finanziati a valere sulle risorse del PNRR e misure di revisione del Piano nazionale per gli investimenti complementari.
La norma, in sostanza, ha determinato una rimodulazione del PNC, programmando alcune misure in anni successivi, e una riduzione di circa 1,1 miliardi del PNC utilizzati a copertura (congiuntamente ad altre risorse) del rifinanziamento del Fondo di rotazione per l'attuazione degli interventi inclusi nel PNRR.
Articolo 9, commi 1 e 2
(Assicurazione INAIL contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali nei settori dell’istruzione e della formazione)
Il comma 1 dell’articolo 9 amplia il periodo di estensione transitoria ai settori dell’istruzione e della formazione – ivi comprese la formazione superiore (anche universitaria) e la formazione aziendale – dell’ambito di applicazione dell’assicurazione INAIL contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali; l’ampliamento di cui al presente comma concerne l’anno scolastico e l’anno accademico 2024-2025, mentre la previsione già vigente – di cui all’articolo 18, commi 1 e 2, del D.L. 4 maggio 2023, n. 48, convertito, con modificazioni, dalla L. 3 luglio 2023, n. 85[2]– fa riferimento all’anno scolastico e anno accademico 2023-2024. In base all’estensione transitoria ora oggetto di proroga, le categorie di soggetti analiticamente individuati dal citato comma 2 dell’articolo 18 – operanti nei suddetti settori come docenti o con altre funzioni o ivi attivi come studenti o allievi – sono comprese nel regime assicurativo in relazione agli eventuali infortuni o malattie professionali occorsi in occasione delle attività di insegnamento-apprendimento. La norma vigente a regime comprende invece nell’ambito dell’assicurazione INAIL, con riferimento ai summenzionati settori dell’istruzione e della formazione, esclusivamente gli infortuni o malattie professionali occorsi in occasione di esperienze tecnico-scientifiche, esercitazioni pratiche o esercitazioni di lavoro[3] – ferma restando l’inclusione nel regime assicurativo di alcune categorie di soggetti in relazione alle specifiche attività lavorative svolte[4] –.
Il comma 2 del presente articolo 9 reca la stima degli oneri derivanti dalla proroga di cui al comma 1 e la relativa copertura finanziaria, nonché una norma di natura contabile.
Il citato comma 1 dell’articolo 18 del D.L. n. 48 del 2023 enuncia, per la sperimentazione in esame, oggetto di proroga da parte del comma 1 del presente articolo 9, il fine della valutazione dell’impatto dell’estensione assicurativa ai settori in oggetto.
Si ricorda che, in relazione ai commi 1 e 2 del medesimo articolo 18 del D.L. n. 48, la circolare dell’INAIL n. 45 del 26 ottobre 2023 (emanata previo parere dell’ufficio legislativo del Ministero del lavoro e delle politiche sociali) ha indicato, tra l’altro, che:
- l’applicazione transitoria in oggetto concerne anche le scuole non paritarie;
- per i lavoratori interessati dall’estensione transitoria in esame, la tutela assicurativa concerne anche gli infortuni in itinere (mentre tale tutela non si applica ad alunni e studenti)[5];
- per i dipendenti, interessati dall’estensione transitoria, di scuole e istituti di istruzione di qualsiasi ordine e grado statali, non è riconosciuta l'indennità giornaliera per l'inabilità temporanea assoluta, in conformità al criterio giuridico di applicazione della tutela assicurativa INAIL per i dipendenti statali (per i quali il datore di lavoro provvede direttamente all’erogazione di un trattamento economico)[6];
- la medesima indennità per inabilità temporanea assoluta non è erogata agli alunni e studenti (salvo i casi di studenti lavoratori), in quanto la stessa ha natura sostitutiva della retribuzione corrisposta dal datore di lavoro all’assicurato infortunato[7].
Il comma 2 del presente articolo 9 provvede, in primo luogo, alla stima degli oneri derivanti dalla proroga di cui al comma 1 e alla relativa copertura finanziaria. Gli oneri sono valutati in 17,49 milioni di euro per l’anno 2024 e in 29,98 milioni per l’anno 2025. Agli oneri si fa fronte riducendo, per gli identici importi (relativi, rispettivamente, ai suddetti due anni), il limite di spesa per il beneficio economico inerente all’istituto del Supporto per la formazione e il lavoro[8]; al riguardo, la relazione tecnica allegata al disegno di legge di conversione del presente decreto[9] osserva che, sulla base degli esiti del monitoraggio già svolto e di quanto conseguentemente prevedibile in via prospettica, la suddetta riduzione non compromette il riconoscimento del beneficio economico agli interessati.
Il medesimo comma 2 prevede che, nell’ambito delle risorse corrispondenti agli oneri così valutati, quelle relative ai rimborsi da parte dello Stato all’INAIL, se non utilizzate alla chiusura dell’esercizio finanziario statale, sono conservate nel conto dei residui per essere utilizzate nell’esercizio successivo fino alla rendicontazione (da parte dell’INAIL) dell’effettiva spesa. Al riguardo, la suddetta relazione tecnica ricorda che, nella cosiddetta Gestione per conto dello Stato, le amministrazioni non pagano un premio assicurativo all’INAIL, ma rimborsano al medesimo Istituto le prestazioni da quest’ultimo erogate e le spese per accertamenti medico-legali e per prestazioni integrative, oltre a versare una somma a copertura delle spese generali di amministrazione.
Articolo 9, comma 3
(Risorse per il Fondo per il miglioramento dell’offerta formativa)
L’articolo 9, comma 3, statuisce che le risorse finanziarie destinate ai compensi dei componenti dei gruppi per l’inclusione scolastica, rimaste inutilizzate e provenienti da esercizi pregressi, confluiscono, nell’anno 2024, nel Fondo per il miglioramento dell’offerta formativa al fine della loro utilizzazione nella contrattazione integrativa senza l’originario vincolo di destinazione.
Il comma in esame novella l’articolo 20 del decreto legislativo n. 66 del 2017, mediante l’inserimento, dopo il comma 4, del comma 4-bis, con il quale si prevede che le risorse finanziarie di cui al precedente comma 4, ossia le risorse destinate ai compensi dei componenti dei gruppi per l’inclusione scolastica, rimaste non utilizzate e provenienti da esercizi pregressi, confluiscano, nell’anno 2024, nel Fondo per il miglioramento dell’offerta formativa per essere utilizzate nella contrattazione integrativa senza l’originario vincolo di destinazione, e che a tal fine esse siano conservate nel conto residui.
Si ricorda che il comma 4 dell’articolo 20 del decreto legislativo n. 66 del 2017 prevede che i componenti dei gruppi per l'inclusione scolastica non sono esonerati dalle attività didattiche e che a essi spetta un compenso per le funzioni svolte, avente natura accessoria, da definire con apposita sessione contrattuale nazionale nel limite complessivo di spesa di 0,67 milioni di euro per l'anno 2020 e di 2 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2021.
La relazione tecnica evidenzia che, tenuto conto della mancata sottoscrizione dei contratti integrativi nazionali (anni scolastici 2020-21, 2021-22, 2022-23 e 2023-24), le risorse finanziarie afferenti agli stanziamenti di bilancio degli esercizi finanziari 2022 e 2023 sono conservate in lettera F sul capitolo 1282 (“Fondo per il miglioramento dell’offerta formativa”), piano gestionale 2, dello stato di previsione del Ministero dell’istruzione e del merito.
La relazione illustrativa sottolinea che l’obiettivo dell’intervento è svincolare tali risorse dalla loro destinazione originaria, al fine di poterle utilizzare per dare copertura ai numerosi istituti gravanti sul Fondo del miglioramento dell’offerta formativa (MOF). La disposizione è definita dalla relazione illustrativa “urgente e necessaria, posto che l’utilizzo di dette risorse è indispensabile per poter avviare la contrattazione integrativa per l’anno scolastico 2024/2025”.
In ordine ai gruppi per l’inclusione scolastica, si rammenta che essi sono stati introdotti dall’articolo 9 del decreto legislativo n. 66 del 2017, mediante la sostituzione dell’articolo 15 della legge n. 104 del 1992. Essi si articolano a loro volta in: Gruppi di lavoro interistituzionali regionali (GLIR), istituiti presso ogni ufficio scolastico regionale; Gruppi per l'inclusione territoriale (GIT), costituiti per ciascun ambito territoriale provinciale ovvero a livello delle città metropolitane; Gruppi di lavoro per l'inclusione (GLI) e Gruppi di lavoro operativo per l'inclusione (GLO), nominati presso ciascuna istituzione scolastica.
Più nello specifico, i GLIR, presieduti dal direttore dell’ufficio scolastico regionale di competenza, sono composti con la partecipazione paritetica dei rappresentanti delle regioni, degli enti locali e delle associazioni delle persone con disabilità maggiormente rappresentative a livello regionale nel campo dell'inclusione scolastica. Essi svolgono compiti di: a) consulenza e proposta all’ufficio scolastico regionale per la definizione, l'attuazione e la verifica degli accordi di programma, con particolare riferimento alla continuità delle azioni sul territorio, all'orientamento e ai percorsi integrati scuola-territorio-lavoro; b) supporto ai gruppi per l'inclusione territoriale (GIT); c) supporto alle reti di scuole per la progettazione e la realizzazione dei Piani di formazione in servizio del personale della scuola.
I GIT sono composti da personale docente esperto nell'ambito dell'inclusione, anche con riferimento alla prospettiva bio-psico-sociale, e nelle metodologie didattiche inclusive e innovative. Essi, in coordinamento con l'ufficio scolastico regionale, supportano le istituzioni scolastiche nella definizione dei piani educativi personalizzati (PEI) secondo la prospettiva bio-psico-sociale alla base della classificazione ICF, nell'uso ottimale dei molteplici sostegni disponibili, previsti nel Piano per l'inclusione della singola istituzione scolastica, nel potenziamento della corresponsabilità educativa e delle attività di didattica inclusiva.
I GLI sono composti da docenti curricolari, docenti di sostegno e, eventualmente, da personale ATA, nonché da specialisti dell’ASL e del territorio di riferimento dell'istituzione scolastica. Essi hanno il compito di supportare il collegio dei docenti nella definizione e realizzazione del Piano per l'inclusione nonché i docenti contitolari e i consigli di classe nell'attuazione dei PEI.
I GLO sono composti dal team dei docenti contitolari o dal consiglio di classe, con la partecipazione dei genitori degli alunni con disabilità, delle figure professionali specifiche, interne ed esterne all'istituzione scolastica, nonché con il necessario supporto dell'unità di valutazione multidisciplinare. Essi si occupano della definizione dei PEI e della verifica del processo di inclusione per i singoli alunni, compresa la proposta di quantificazione di ore di sostegno.
In relazione al Fondo per il miglioramento dell'offerta formativa (MOF), si ricorda che esso è disciplinato dall’articolo 40 del Contratto collettivo nazionale relativo al personale del comparto istruzione e ricerca – triennio 2016/2018. Al suo interno sono ricompresi:
a) il Fondo per l’Istituzione Scolastica;
b) le risorse destinate ai compensi per le ore eccedenti del personale insegnante di educazione fisica nell’avviamento alla pratica sportiva;
c) le risorse destinate alle funzioni strumentali al piano dell’offerta formativa;
d) le risorse destinate agli incarichi specifici del personale ATA;
e) le risorse destinate alle misure incentivanti per progetti relativi alle aree a rischio, a forte processo immigratorio e contro l’emarginazione scolastica;
f) le risorse destinate alle ore eccedenti per la sostituzione dei colleghi assenti;
g) le risorse indicate nell’articolo 1, comma 126, della legge n. 107 del 2015, oggi fondo di valorizzazione del personale scolastico;
h) le risorse per turni notturni e festivi svolti dal personale ATA ed educativo presso i Convitti e gli Educandati.
Il Fondo MOF è in particolare finalizzato a remunerare il personale per le seguenti finalità:
a) finalità già previste per il Fondo per l'Istituzione scolastica ai sensi dell'art. 88 del CCNL 29 novembre 2007;
b) i compensi per le ore eccedenti del personale insegnante di educazione fisica nell'avviamento alla pratica sportiva;
c) le funzioni strumentali al piano dell'offerta formativa;
d) gli incarichi specifici del personale ATA;
e) le misure incentivanti per progetti relativi alle aree a rischio, a forte processo immigratorio e contro l'emarginazione scolastica;
f) i compensi ore eccedenti per la sostituzione dei colleghi assenti;
g) la valorizzazione del merito del personale docente, ai sensi dell'articolo 1, commi da 126 a 128, della legge n. 107 del 2015;
h) le finalità di cui all'articolo 1, comma 593, della legge n. 205 del 2017, di valorizzazione della professionalità dei docenti delle istituzioni scolastiche statali impegnati in attività di formazione, ricerca e sperimentazione didattica, dei docenti che diffondono modelli per una didattica per lo sviluppo delle competenze, dei docenti che garantiscono l'interesse dei propri alunni e studenti alla continuità didattica, e dei docenti che prestano servizio in zone caratterizzate da rischio di spopolamento o da dispersione scolastica.
Il Fondo MOF è ripartito tra le diverse finalità di cui sopra e tra le singole istituzioni scolastiche ed educative, in sede di contrattazione integrativa di livello nazionale ed il relativo contratto collettivo è stipulato, di norma, con cadenza triennale.
Articolo 9, comma 4
(Risorse per la riduzione del divario digitale e per il supporto tecnologico e digitale all’implementazione della filiera
tecnologico-professionale)
L’articolo 9, comma 4, destina risorse pari a 20 milioni di euro, già stanziate nel periodo pandemico ma mai utilizzate, alla realizzazione di infrastrutture e piattaforme tecnologiche, all’innovazione digitale e al potenziamento di laboratori innovativi connessi a Industria 4.0, al fine di ridurre il fenomeno del divario digitale e di consentire il supporto tecnologico e digitale all’implementazione della filiera tecnologico-professionale.
Il comma in esame novella l’articolo 1 della legge n. 178 del 2020 (legge di bilancio 2021), mediante la sostituzione integrale del comma 623, il quale, nel nuovo testo, stabilisce che, al fine di ridurre il fenomeno del divario digitale e consentire il supporto tecnologico e digitale al piano nazionale per la sperimentazione della filiera tecnologico-professionale di cui al decreto del Ministero dell’istruzione e del merito n. 240 del 7 dicembre 2023, le risorse di cui al comma 624 dell’articolo 1 della medesima legge di bilancio 2021 (pari a 20 milioni di euro) sono destinate alla realizzazione di infrastrutture e piattaforme tecnologiche, e all’innovazione digitale, nonché al potenziamento di laboratori innovativi connessi a Industria 4.0.
A tale scopo, si prevede che, con decreto del Ministero dell’istruzione e del merito, da adottarsi entro sessanta giorni dall’entrata in vigore della disposizione, sono individuati i criteri e le modalità di assegnazione delle risorse di cui al periodo precedente.
Si ricorda che il comma 623 dell’articolo 1 della legge n. 178 del 2020, adottato nel corso della pandemia da COVID-19, nel testo previgente all’entrata in vigore del decreto-legge in esame consentiva alle istituzioni scolastiche, al fine di ridurre il fenomeno del divario digitale e di favorire la fruizione della didattica digitale integrata, di chiedere contributi per la concessione di dispositivi digitali dotati di connettività in comodato d'uso gratuito agli studenti appartenenti a nuclei familiari con un ISEE non superiore a 20.000 euro annui, e che il successivo comma 624 stanziava a tal fine 20 milioni di euro per l’anno 2021, tramite pari incremento della dotazione del Fondo per il funzionamento delle istituzioni scolastiche, di cui all'articolo 1, comma 601, della legge n. 296 del 2006.
La relazione illustrativa rappresenta che la richiamata dotazione di 20 milioni di euro, “inizialmente finalizzata a ridurre il fenomeno del divario digitale e favorire la didattica digitale integrata nel periodo pandemico, non è stata impiegata per tale finalità, in quanto sono stati adottati ulteriori decreti che hanno soddisfatto integralmente tale esigenza”. Pertanto – continua la relazione illustrativa – con la norma in esame si procede a “destinare tali risorse per continuare a ridurre il fenomeno del divario digitale e accompagnare la sperimentazione relativa all’istituzione della filiera tecnologico-professionale, di cui al D.M. 7 dicembre 2023, n. 240, attesa la prossima approvazione in via definitiva del disegno di legge di istituzione della stessa”.
La necessità e l’urgenza della norma sono rinvenute nel fatto che l’avvio della sperimentazione afferente all’istituzione della filiera tecnologico-professionale, al cui supporto e rafforzamento sono destinate le risorse in parola, è previsto a decorrere dall’anno scolastico 2024/2025.
La relazione tecnica sottolinea che la proposta non comporta nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, in quanto, allo stato, i 20 milioni di euro in parola “sono stanziati cassa e competenza a seguito di accodamento nel 2022 sul capitolo 8107, pagina 3, Spese per l’acquisto di dispositivi digitali individuali da mettere a disposizione degli studenti meno abbienti”.
Quanto alla filiera formativa tecnologico-professionale si ricorda che, con il citato decreto ministeriale 7 dicembre 2023, n. 240 e con l’avviso di cui al decreto direttoriale 7 dicembre 2023, n. 2608, il Ministero dell'istruzione e del merito ha promosso, ai sensi dell'articolo 11 del decreto del Presidente della Repubblica n. 275 del 1999, un piano nazionale di sperimentazione relativo all'istituzione della filiera formativa tecnologico-professionale, finalizzato a verificare l'efficacia della progettazione di un'offerta formativa integrata in ambito tecnologico-professionale, capace di garantire ampie opportunità di scelta di istruzione e formazione all'interno di una filiera che coinvolga gli istituti tecnici e professionali che si impegnino nella progettazione e attivazione di nuovi percorsi quadriennali sperimentali, le istituzioni formative accreditate dalle Regioni ai sensi del Capo III del decreto legislativo n. 226/2005 e gli ITS Academy di cui alla legge n. 99 del 2022, prevedendo al contempo sinergie con il sistema delle imprese e delle professioni.
Ai fini della proposta di candidatura è richiesta, in coerenza con la programmazione regionale della filiera formativa: la dichiarazione di impegno a partecipare ad un accordo di rete da parte di istituzioni scolastiche dell'istruzione tecnica e professionale, istituzioni formative accreditate dalle Regioni, laddove presenti, e istituti tecnologici superiori (ITS Academy); la progettazione di almeno un percorso quadriennale di istruzione tecnica o professionale e l’integrazione con almeno un percorso per il conseguimento del diploma professionale di IeFP, ove esistente e affine o correlato alla filiera, e un percorso biennale di ITS Academy di area tecnologica coerente con l’indirizzo di riferimento; l'attivazione di un partenariato con almeno un'impresa. La rete può, altresì, prevedere la partecipazione delle università, delle istituzioni dell'alta formazione artistica, musicale e coreutica o di altri soggetti pubblici e privati intenzionati a contribuire alla realizzazione del progetto sperimentale, in partenariato con i rappresentanti delle imprese e delle professioni.
L’adozione di una sperimentazione ai sensi dell'articolo 11 del decreto del Presidente della Repubblica n. 275 del 1999 ha consentito alle istituzioni scolastiche interessate di avviare nei tempi dovuti le procedure necessarie ad attivare il nuovo modello sperimentale a partire dall'anno scolastico 2024-2025.
Parallelamente, tuttavia, come evidenziato dalle stesse relazioni di accompagnamento al decreto-legge in esame, il Ministero ha promosso la presentazione di un disegno di legge governativo che prevede, sempre a decorrere dall'anno scolastico 2024/2025, la vera e propria istituzione, a regime, della filiera formativa tecnologico-professionale. Il disegno di legge in questione (da ultimo, AC 1691), per l’illustrazione del cui contenuto si rinvia al relativo dossier e al relativo tema provvedimento pubblicato nell’area della documentazione parlamentare del sito istituzionale della Camera dei deputati, è stato approvato definitivamente il 31 luglio 2024 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 22 agosto 2024 (legge 8 agosto 2024, n. 121, con entrata in vigore il 6 settembre 2024).
Si valuti l’opportunità, alla luce della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale della legge istitutiva della filiera formativa tecnologico-professionale, di sostituire, con un riferimento a tale legge, il riferimento - presente nel testo vigente del comma in esame - alla sperimentazione di cui al decreto del Ministero dell’istruzione e del merito n. 240 del 7 dicembre 2023, che risulta a questo punto superata.
Articolo 10, comma 1
(Disposizione concernente società a partecipazione pubblica quotate)
L’articolo 10, comma 1, prevede che continuino ad applicarsi alcune disposizioni che escludono le società emittenti strumenti finanziari, diversi dalle azioni, quotati in mercati regolamentati dall’ambito di applicazione della disciplina del testo unico in materia di società a partecipazione pubblica (TUSP), in virtù della proroga dello strumento finanziario o di successive emissioni effettuate in sostanziale continuità.
L’articolo 10, comma 1, modifica l’articolo nell’articolo 26 (contenente disposizioni di carattere transitorio) del decreto legislativo n. 175 del 2016, recante il testo unico in materia di società a partecipazione pubblica - TUSP.
Il nuovo comma 5-bis di tale articolo 26 del TUSP, introdotto dal comma in epigrafe, prevede, in primo luogo, che continui ad applicarsi l’art. 1, comma 5 del TUSP alle società a partecipazione pubblica emittenti strumenti finanziari, diversi dalle azioni, quotati in mercati regolamentati.
L’articolo 1, comma 5 del TUSP, qui richiamato, stabilisce che le disposizioni contenute nel medesimo testo unico si applicano alle società quotate, e alle società da esse controllate, “se espressamente previsto”. La definizione di “società quotate” recata dall'articolo 2, comma 1, lettera p) del TUSP include, oltre alle società a partecipazione pubblica che emettono azioni quotate in mercati regolamentati, anche le società che hanno emesso, alla data del 31 dicembre 2015[10], strumenti finanziari, diversi dalle azioni, quotati in mercati regolamentati.
In secondo luogo, lo stesso comma 5-bis dell’articolo 26 del TUSP prevede che alle medesime società a partecipazione pubblica emittenti strumenti finanziari, diversi dalle azioni, quotati in mercati regolamentati, continui ad applicarsi il comma 5 dell’articolo 26 TUSP. Tale comma stabilisce, tra l’altro, che nei dodici mesi successivi all’entrata in vigore del TUSP (23 settembre 2016), il TUSP medesimo non si applica alle società a partecipazione pubblica che, entro la data del 30 giugno 2016, abbiano adottato atti volti all'emissione di strumenti finanziari, diversi dalle azioni, quotati in mercati regolamentati.
La norma in esame stabilisce che le richiamate disposizioni (ossia i citati articolo 1, comma 5, e articolo 26, comma 5 TUSP), continuano ad applicarsi alle suddette società emittenti strumenti finanziari, diversi dalle azioni, quotati in mercati regolamentati, in virtù della proroga dello strumento finanziario o di successive emissioni effettuate in sostanziale continuità.
Per un inquadramento generale sulle ocietà partecipate e sul TUSP, si veda il temaweb Le società partecipate pubbliche e l'attuazione della riforma del 2016 sul portale della documentazione della Camera dei deputati.
L’articolo 10, comma 2, lettera a), abroga l’articolo 8, comma 2-quater, della legge n. 287 del 1990. Tale comma 2-quater prevedeva l’obbligo per le imprese che, per disposizioni di legge, esercitano la gestione di servizi di interesse economico generale ovvero operano in regime di monopolio sul mercato, di rendere accessibili beni o servizi anche informativi, di cui abbiano la disponibilità esclusiva in dipendenza delle attività svolte, anche ad imprese concorrenti in mercati diversi, in condizioni equivalenti rispetto alle proprie società partecipate o controllate che operano in tali mercati.
La lettera b) reca una novella di coordinamento.
La legge n. 287 del 1990 reca “Norme per la tutela della concorrenza e del mercato”. Il suo articolo 8, al comma 2, esclude dalla disciplina dettata dalla medesima legge n. 287 le imprese che, per disposizioni di legge, esercitano la gestione di servizi di interesse economico generale (SIEG) ovvero operano in regime di monopolio legale sul mercato, per tutto quanto strettamente connesso all'adempimento degli specifici compiti loro affidati (per cui la limitazione all’applicazione alla normativa cosiddetta “antitrust” risulta strettamente connessa alla missione esercitata dall’impresa).
Il comma 2-bis del medesimo articolo 8 stabilisce che tali imprese devono agire mediante società separate nei mercati diversi da quelli in cui esercitano la propria attività in qualità di gestori SIEG o in regime di monopolio legale. In tali casi, secondo il previgente comma 2-quater abrogato dalla lettera a) del comma in esame, le medesime imprese dovevano assicurare alle imprese concorrenti pari condizioni rispetto alle loro partecipate o controllate, rendendo accessibili, a pari condizioni, i beni e i servizi di cui avessero avuto la disponibilità esclusiva e quindi resi eventualmente disponibili alle società partecipate o controllate a danno delle imprese concorrenti.
Secondo quanto rappresentato dalla relazione illustrativa, tale disposizione sarebbe “ampiamente assorbita” dalle specifiche discipline di settore (energia elettrica, gas naturale, telecomunicazioni, servizio postale) le quali richiedono, “che i nuovi entranti debbano, ad esempio, dimostrare che tali beni sono non replicabili e non sostituibili (e quindi non vi è alternativa valida)”. Tali limitazioni, prosegue la relazione illustrativa, non sono invece previste dall’abrogato comma 2-quater, il quale dispone l’obbligo di legge, da parte della società che gestisce SIEG o in regime di monopolio, di rendere disponibili beni e servizi alle che accedono in un determinato settore. Secondo la relazione illustrative, tale obbligo potrebbe indurre effetti negativi sul mercato, in quanto i “nuovi entranti” risulterebbero disincentivati ad esperire valide alternative disponibili sul mercato di riferimento oppure operare semplici “azioni di disturbo” nei confronti della società sottoposta agli obblighi previsti dalla norma finora vigente.
La lettera b) reca una novella di coordinamento espungendo il riferimento all’abrogato comma 4-quater contenuto nel comma 4-quinquies del medesimo articolo 8 della legge n. 287, sui poteri dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato.
L’Autorità garante della concorrenza e del mercato (AGCM), con provvedimento n. 25795 del 2015, aveva applicato la disposizione oggetto di abrogazione accertandone la violazione da parte di Poste italiane S.p.A., la quale non aveva concesso alla società H3G S.p.A. l’accesso ai beni e servizi di cui aveva la disponibilità esclusiva in dipendenza del servizio universale postale a condizioni equivalenti a quelle applicate a Poste Mobile.
Si segnala inoltre che la violazione dell’articolo l’articolo 8, comma 2-quater, della legge n. 287 del 1990 è stata nuovamente accertata dall’AGCM con provvedimento n. 31280 del 2024, nei confronti di Poste italiane S.p.A., per non aver offerto, dietro esplicita richiesta, a concorrenti della controllata PostePay S.p.A. l’accesso, a condizioni equivalenti, ai beni e servizi di cui Poste Italiane S.p.A. stessa ha la disponibilità esclusiva in dipendenza delle attività rientranti nel
Servizio Universale postale.
Articolo 10, commi 3-12
(Riforma 1.15 PNRR del sistema di contabilità pubblica)
L’articolo 10, commi 3-12, disciplina gli adempimenti relativi alla fase sperimentale della riforma del PNRR del sistema di contabilità pubblica (riforma 1.15) la quale prevede l’elaborazione di schemi di bilancio per competenza economica (c.d. accrual) con riferimento all’esercizio 2025 per gli enti pubblici che coprono almeno il 90 per cento della spesa primaria dell’intero settore pubblico.
In particolare, il comma 3 elenca le amministrazioni pubbliche assoggettate agli adempimenti della fase pilota della riforma, tenute alla produzione e trasmissione degli schemi di bilancio per competenza economica per l’esercizio 2025.
Il comma 4 esclude da tali adempimenti della fase pilota talune società ed enti, se di limitate dimensioni. Sono esclusi, inoltre: gli istituti scolastici, gli istituti di alta formazione artistica, coreutica e musicale (AFAM), i musei, le soprintendenze e gli istituti autonomi della cultura, le amministrazioni in liquidazione, gli organi costituzionali e a rilevanza costituzionale.
Il comma 5 prevede che l’elenco puntuale delle amministrazioni assoggettate alla fase pilota della riforma sia individuato con determina del Ragioniere Generale dello Stato da adottare entro sessanta giorni.
Il comma 6 stabilisce che nella fase pilota le amministrazioni devono predisporre gli schemi di bilancio relativi all'esercizio 2025, in osservanza dei principi e delle regole del sistema contabile economico-patrimoniale unico della riforma 1.15, adottati con determina del Ragioniere generale dello Stato n. 176775 del 27 giugno 2024. Gli schemi di bilancio devono includere il conto economico di esercizio e lo stato patrimoniale a fine anno.
Il comma 7 specifica che gli schemi di bilancio per l’esercizio 2025 sono predisposti esclusivamente per finalità di sperimentazione nell’ambito della fase pilota e, pertanto, non sostituiscono gli schemi di bilancio e di rendiconto prodotti per lo stesso esercizio, in applicazione delle disposizioni e dei regolamenti contabili vigenti.
Il comma 8 stabilisce che le amministrazioni interessate provvedono ad una analisi degli interventi di adeguamento dei propri sistemi informativi per il recepimento degli standard contabili della riforma, sulla base dei requisiti generali individuati con decreto del Ministero dell’economia e delle finanze da adottare entro il 31 marzo 2025.
Il comma 9 specifica che, per la fase pilota, in attesa del completamento degli interventi di adeguamento dei sistemi informativi, le amministrazioni riclassificano i propri saldi contabili secondo il piano dei conti multidimensionale e apportano le integrazioni e le rettifiche necessarie per l’applicazione dei nuovi principi contabili.
Il comma 10 stabilisce l’obbligo del completamento della formazione di base (primo ciclo di formazione) per tutti gli enti pubblici, con esclusione delle società. La formazione di base verrà erogata mediante il portale della formazione, accessibile tramite il sito web della Ragioneria generale dello Stato.
Il comma 11 prevede l’adozione di uno o più decreti del Ministero dell’economia delle finanze con il quale saranno fornite istruzioni di natura procedurale e tecnico contabile.
Il comma 12, infine, dispone che per l’attuazione dei commi da 3 a 11 in esame, le amministrazioni si avvalgono delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente e, comunque, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.
Le norme in esame disciplinano gli adempimenti relativi alla fase pilota della riforma del sistema di contabilità pubblica del PNRR (riforma 1.15 del PNRR), che prevede per gli enti pubblici che coprono almeno il 90 per cento della spesa primaria dell'intero settore pubblico l’elaborazione degli schemi di bilancio per competenza economico-patrimoniale (c.d. contabilità accrual), con riferimento all’esercizio 2025.
La riforma mira ad implementare un sistema di contabilità unico per il settore pubblico, basato sul principio di competenza economica (accrual), in linea con il percorso delineato a livello internazionale ed europeo per la definizione di principi e standard contabili nelle pubbliche amministrazioni (IPSAS/EPSAS) e in attuazione della Direttiva 2011/85/UE del Consiglio così come modificata dalla Direttiva EU 1265/2024: l’assetto contabile accrual costituisce un supporto essenziale per gli interventi di valorizzazione del patrimonio pubblico, grazie ad un sistema di imputazione, omogeneo e completo, del valore contabile dei beni delle pubbliche amministrazioni.
Per attuare tale riforma presso la Ragioneria generale dello Stato è stata costituita una struttura di governance[11] con lo scopo di definire l'impianto e le regole per l'adozione di un sistema unico di contabilità basato sul principio accrual (contabilità economico-patrimoniale), sulla base di un corpus di principi contabili generali, ispirati agli IPSAS (International Public Sector Accounting Standards) secondo le caratteristiche qualitative definite da Eurostat (gruppo di lavoro EPSAS - European Public Sector Accounting Standards), in coerenza con il processo di definizione degli standard nell'ambito degli specifici tavoli di lavoro dell'Unione Europea (articolo 9, comma 14, del D.L. n. 152 del 2021)[12].
Sul sito della Ragioneria Generale dello Stato è stato istituito un portale dedicato alla contabilità accrual che costituisce un punto di accesso istituzionale alle attività connesse alla Riforma 1.15 del PNRR, nel quale sono messe a disposizione tutte le informazioni e la documentazione prodotta nell’ambito dei lavori della Struttura di governance per la realizzazione della Riforma stessa; è stato aperto, all’interno dello stesso sito, il portale della formazione accrual, dedicato alle amministrazioni incluse nel perimetro di attuazione della Riforma 1.15.
La riforma 1.15 contempla due traguardi e un obiettivo.
Il traguardo (milestone) M1C1-108 prevede, entro il 30 giugno 2024, il completamento e l’approvazione di:
- un quadro concettuale di riferimento;
- un unico set di standard contabili, denominati ITAS (Italian public sector Accounting Standards) basati sul principio accrual e ispirati agli IPSAS (International Public Sector Accounting Standards) e agli elaborandi EPSAS (European Public Sector Accounting Standards), in coerenza con le indicazioni del gruppo di lavoro Eurostat impegnato nella definizione degli EPSAS;
- un piano dei conti multidimensionale.
In attuazione di tale traguardo con Determina del Ragioniere Generale dello Stato n. 176775 del 27 giugno 2024 sono stati formalmente approvati il Quadro Concettuale, gli Standard contabili ITAS e il Piano dei conti multidimensionale. Gli Standard contabili italiani (ITAS), insieme al Quadro concettuale e al Piano dei conti, rappresentano un corpus unico di regole per la rendicontazione e per la redazione del bilancio di esercizio delle amministrazioni pubbliche.
In particolare, Il 30 novembre 2023 il Comitato Direttivo della Struttura di Governance ha approvato il piano dei conti multidimensionale. Inoltre, sono stati elaborati i diciotto standard contabili, denominati ITAS, gli ultimi dei quali sono stati approvati dal Comitato Direttivo in data 26 giugno 2024. Contestualmente all’approvazione degli ultimi standard contabili ITAS, il 26 giugno 2024 il Comitato Direttivo ha anche approvato l’aggiornamento del piano dei conti. Con Determina del Ragioniere Generale dello Stato n. 176775 del 27 giugno 2024 sono stati formalmente recepiti il Quadro concettuale, i diciotto standard contabili ITAS e il Piano dei Conti Multidimensionale, ai fini della rendicontazione della milestone M1C1-108.
L’obiettivo (target) M1C1-117 prevede, entro il 31 marzo 2026, la conclusione del primo ciclo di formazione per la transizione al nuovo sistema contabile accrual per i rappresentanti delle amministrazioni pubbliche che coprano almeno il 90% della spesa pubblica primaria.
Il traguardo (milestone) M1C1-118 dispone che, entro il 30 giugno 2026 siano pubblicati in via sperimentale schemi di bilancio accrual coerenti con i principi e le regole contabili del nuovo sistema, riferiti all’esercizio 2025, da parte di un numero di amministrazioni pubbliche che coprano almeno il 90 % della spesa pubblica primaria; si prevede, inoltre, che sia adottato un atto legislativo che disciplini l'introduzione del nuovo sistema di contabilità per competenza economica, a partire dal 2027, accompagnato da un piano formativo e dalla predisposizione dei manuali operativi[13].
Da quanto emerge dalla relazione illustrativa, successivamente al raggiungimento del traguardo M1C1-108 si è reso necessario adottare la normativa in esame per disciplinare gli adempimenti relativi all’elaborazione degli schemi di bilancio accrual, con riferimento all’esercizio 2025, da parte di un numero di amministrazioni che coprano almeno il 90% della spesa pubblica primaria (come previsto dal traguardo M1C1-118); ciò come fase preparatoria e propedeutica alla adozione, entro il secondo trimestre 2026, del provvedimento legislativo che disciplinerà l’introduzione della riforma stessa a partire dal 2027. La norma disciplina, tra l’altro, il completamento della formazione di base per le amministrazioni assoggettate alla fase pilota (obiettivo M1C1-117).
Il comma 3 contiene l’indicazione delle amministrazioni pubbliche assoggettate agli adempimenti della fase pilota, di cui al milestone M1C1-118 della Riforma 1.15. In particolare, sono elencate le seguenti amministrazioni che dovranno produrre gli schemi di bilancio accrual per la fase pilota, con riferimento all’esercizio 2025:
a) le amministrazioni centrali incluse nel bilancio dello Stato, la Presidenza del Consiglio dei ministri e le agenzie fiscali (la relazione governativa sottolinea come i ministeri sono considerati parte di una unica reporting entity; sono, invece, considerate come distinte reporting entities la Presidenza del Consiglio dei ministri e le agenzie fiscali);
b) gli enti e le istituzioni nazionali di ricerca;
c) le regioni e le province autonome;
d) le province e le città metropolitane;
e) i comuni con popolazione residente pari o superiore a cinquemila abitanti al 1° gennaio 2024;
f) gli enti e le aziende del servizio sanitario nazionale;
g) le università e gli istituti di istruzione universitaria pubblici;
h) le camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e le loro unioni regionali;
i) le autorità di sistema portuale;
l) gli enti nazionali di previdenza e assistenza;
m) in via residuale gli altri enti e amministrazioni pubbliche inclusi nell’elenco redatto dall’ISTAT (di cui all'articolo 1, comma 2, della legge 31 dicembre 2009, n. 196), fatto salvo quanto disposto dal comma 4.
Il comma 4 elenca i soggetti esclusi dalla predisposizione degli schemi di bilancio, per l'esercizio 2025, secondo gli adempimenti previsti dalla fase pilota:
· le società e gli enti pubblici che, con riferimento alle risultanze del bilancio di esercizio o rendiconto del 2023, hanno un numero di dipendenti a tempo indeterminato inferiore a cinquanta unità e, contestualmente, un volume complessivo annuo di entrate correnti ed in conto capitale, per le amministrazioni in contabilità finanziaria, ovvero un valore della produzione annua, per le amministrazioni in contabilità economico-patrimoniale, inferiore a 8,8 milioni di euro;
La relazione governativa evidenzia che le dimensioni sono state individuate in base a due parametri analoghi a quelli utilizzati dal codice civile (art. 2435-bis) per individuare le società che redigono un bilancio di esercizio in forma abbreviata (numero dipendenti inferiore a 50 e volume entrate inferiore a 8,8 milioni annui);
· gli istituti scolastici di ogni ordine e grado,
· gli istituti di alta formazione artistica, coreutica e musicale (AFAM),
· i musei, le soprintendenze e gli istituti autonomi della cultura;
· le amministrazioni assoggettate a procedure di liquidazione.
· gli organi costituzionali e a rilevanza costituzionale.
Il comma 5 dispone che l’elenco puntuale delle amministrazioni assoggettate alla fase pilota della riforma 1.15 è individuato con determina del Ragioniere Generale dello Stato da adottare entro sessanta giorni all’entrata in vigore del decreto-legge in esame. L’elenco delle amministrazioni così individuate sarà pubblicato inoltre nella sezione del sito web della Ragioneria generale dello Stato dedicata alla Riforma 1.15 del PNRR.
Il comma 6 stabilisce che le amministrazioni coinvolte nella fase pilota devono predisporre gli schemi di bilancio relativi all’esercizio 2025, in osservanza dei principi e delle regole del sistema contabile economico-patrimoniale unico adottati con determina del Ragioniere generale dello Stato n. 176775 del 27 giugno 2024. Gli schemi di bilancio devono includere il conto economico di esercizio e lo stato patrimoniale a fine anno.
Come anticipato, con la determina del Ragioniere generale dello Stato n. 176775 del 27 giugno 2024 sono stati formalmente approvati il quadro concettuale, gli standard contabili ITAS e il Piano dei conti multidimensionale, i quali rappresentano un corpus unico di regole per la rendicontazione e per la redazione del bilancio di esercizio delle amministrazioni pubbliche.
Il comma 7 specifica che, nelle more dell’adozione del sistema di contabilità economico-patrimoniale unico previsto dal traguardo M1C1-118 della riforma 1.15 del PNRR, gli schemi di bilancio per l’esercizio 2025 sono predisposti, esclusivamente, per finalità di sperimentazione e, pertanto, non sostituiscono gli schemi di bilancio e di rendiconto prodotti, per lo stesso esercizio, in applicazione delle disposizioni e dei regolamenti contabili vigenti.
Il comma 8 stabilisce che le amministrazioni interessate individuano le misure necessarie per adeguare i propri sistemi informativi agli standard contabili previsti dalla riforma, sulla base dei requisiti generali che saranno indicati con decreto del Ministero dell’economia e delle finanze da adottare entro il 31 marzo 2025.
Il comma 9 specifica che, per la fase pilota, in attesa del completamento degli interventi di adeguamento dei sistemi informativi, le amministrazioni riclassificano i propri saldi contabili alla fine del 2025 secondo il piano dei conti multidimensionale e apportano a tali saldi le integrazioni e le rettifiche necessarie per l’applicazione dei criteri di valorizzazione e di rilevazione contabile stabiliti dal quadro concettuale e dagli standard contabili.
Il comma 10 stabilisce l’obbligo del completamento della formazione di base (primo ciclo di formazione) per tutti gli enti pubblici indicati nell’elenco ISTAT (di cui all’articolo 1, comma 2, della legge n. 196 del 2009) con esclusione delle società. Tali soggetti, infatti, sono tenuti a concorrere al raggiungimento entro il 31 marzo 2026 dell’obiettivo M1C1-117 del PNRR il quale richiede che entro tale data sia completato il primo ciclo di formazione per la transizione al nuovo sistema contabile per competenza per i rappresentanti degli enti pubblici che coprono almeno il 90 per cento della spesa primaria dell'intero settore pubblico.
La norma dispone, infine, che il primo ciclo di formazione sia erogato esclusivamente in modalità telematica tramite il portale dedicato, accessibile dalla sezione del citato sito web della Ragioneria Generale dello Stato.
Al riguardo la relazione illustrativa rende noto che il 27 giugno 2024 è stata firmata la Convenzione n. 176832 tra la Scuola Nazionale dell’Amministrazione (SNA) e il Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato (RGS) avente per oggetto la validazione e certificazione dei corsi multimediali costituenti il programma formativo di base previsto dall’obiettivo M1C1-117.
Il comma 11 prevede l’adozione, entro sessanta giorni dall’entrata in vigore del decreto-legge in esame, di uno o più decreti del Ministero dell’economia delle finanze con il quale saranno fornite istruzioni di natura procedurale e tecnico contabile in relazione:
· all’utilizzo dei modelli di raccordo fra il Piano dei conti multidimensionale e le voci dei principali piani dei conti e modelli contabili vigenti;
· alle modalità di erogazione del primo ciclo di formazione di base;
· alle modalità di trasmissione telematica degli schemi di bilancio alla Ragioneria Generale dello Stato.
Il comma 12, infine, dispone che all’attuazione delle disposizioni di cui ai commi da 3 a 11 si provvede nell’ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente e, comunque, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.
Articolo 10, comma 13
(Disposizioni relative alla Società Autostrade Alto Adriatico S.p.A.)
L’articolo 10, comma 13, prevede la non applicazione alla società Autostrade Alto Adriatico S.p.A., di disposizioni in materia di contenimento della spesa, sino alla durata dello stato di emergenza nel settore del traffico e della mobilita? nell'autostrada A4 (tratta Quarto d'Altino-Trieste) e nel raccordo autostradale Villesse-Gorizia, e comunque non oltre il 31 dicembre 2024.
Il comma 13 introduce in favore della società Autostrade Alto Adriatico S.p.A. una deroga alle seguenti disposizioni nonché gli eventuali ulteriori provvedimenti normativi o regolamentari che dovessero comunque disciplinare le medesime materie:
a) l’art. 62 del decreto-legge n.112 del 2008, relativo al contenimento dell'uso degli strumenti derivati e dell'indebitamento delle regioni e degli enti locali;
b) l’art. 6, comma 14, del decreto-legge n. 78 del 2010, e l’art. 5, commi 2, 3 e 7, del decreto-legge n. 95 del 2012, sulla riduzione dei costi degli apparati amministrativi, con particolare riferimento al limite di spesa per le autovetture;
c) l’art. 1, commi 2, 3 e 4, del decreto-legge n. 101 del 2013, sulla riduzione della spesa per le auto di servizio e le consulenze nella pubblica amministrazione.
Il comma in esame precisa che la citata deroga opera sino alla durata dello stato di emergenza nel settore del traffico e della mobilita? nell'autostrada A4 (tratta Quarto d'Altino-Trieste) e nel raccordo autostradale Villesse-Gorizia, e comunque non oltre il 31 dicembre 2024.
In proposito, si ricorda che con il D.P.C.M. 16 dicembre 2022, recante “Proroga dello stato di emergenza determinatosi nel settore del traffico e della mobilità nell'asse autostradale Corridoio V dell'autostrada A4 nella tratta Quarto d'Altino-Trieste e nel raccordo autostradale Villesse-Gorizia”, lo stato di emergenza in questione è stato prorogato fino al 31 dicembre 2024.
La ratio delle deroghe suddette, secondo quanto chiarito dal comma in esame, risiede nel fatto che la concessionaria Autostrade Alto Adriatico S.p.A., ai sensi dell'art. 6 dell'ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri 8 settembre 2008, n. 3702, provvede alla copertura economica e finanziaria dei lavori di competenza del Commissario delegato per l'emergenza in questione, garantendo altresì al medesimo il necessario supporto tecnico-operativo-logistico per la progettazione e la realizzazione di tali lavori.
Con la citata ordinanza n. 3702/2008 sono state dettate disposizioni urgenti di protezione civile per fronteggiare l'emergenza determinatasi nel settore del traffico e della mobilità nell'asse autostradale Corridoio V dell'autostrada A4 nella tratta Quarto d'Altino-Trieste e nel raccordo autostradale Villesse Gorizia. In particolare l’articolo 6 di tale ordinanza (come riscritto dall'art. 13, comma 8, dell’ordinanza 6 maggio 2009, n. 3764) dispone, tra l’altro, che agli oneri derivanti dall'applicazione della medesima ordinanza relativamente alla realizzazione degli interventi di competenza del Commissario delegato (indicati nell’art. 1 della stessa ordinanza), si provvede a carico della concessionaria Autovie Venete S.p.A., nei limiti delle somme previste nel piano economico-finanziario. Si fa notare che l’attuale concessionario, subentrato al precedente concessionario Autovie Venete S.p.A., è la società in house Autostrade Alto Adriatico S.p.A., costituita il 17 aprile 2018 tra le Regioni Friuli Venezia Giulia e Veneto.
Articolo 11, commi 1 e 2
(Rifinanziamento del Fondo per le emergenze nazionali)
L’articolo 11, commi 1 e 2, incrementa di 200 milioni di euro per l’anno 2024 la dotazione del Fondo per le emergenze nazionali.
Il comma 1 dell’articolo in esame destina al Fondo per le emergenze nazionali le risorse affluite al bilancio autonomo della Presidenza del Consiglio dei ministri per fronteggiare le straordinarie esigenze connesse allo stato di emergenza da COVID-19 (dichiarato con la delibera del Consiglio dei ministri del 31 gennaio 2020 e provvedimenti conseguenti), per un importo pari a 150 milioni di euro per l'anno 2024.
Lo stesso comma precisa che tale incremento di risorse del Fondo in questione è destinato alle finalità generali di cui agli articoli 23, 24 e 29 del Codice della protezione civile (D.Lgs. 1/2018).
Si ricorda che, in base al disposto dell’art. 44 del D.Lgs. 1/2018, per gli interventi conseguenti agli eventi calamitosi relativamente ai quali il Consiglio dei ministri delibera la dichiarazione dello stato di emergenza di rilievo nazionale, si provvede con l'utilizzo delle risorse del Fondo per le emergenze nazionali, istituito presso la Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento della protezione civile. Le risorse del Fondo sono allocate nel capitolo 7441 dello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze. Per il 2024, lo stanziamento assestato di competenza del capitolo citato è pari a 783,3 milioni di euro.
Si ricorda altresì che i succitati articoli 23 e 24 del D.Lgs. 1/2018 disciplinano la dichiarazione dello stato di mobilitazione del Servizio nazionale della protezione civile e la deliberazione dello stato di emergenza di rilievo nazionale, mentre l’articolo 29 del medesimo decreto disciplina la partecipazione del Servizio nazionale alle operazioni di emergenza in ambito internazionale e al meccanismo di protezione civile dell’UE.
Il comma 2 incrementa di ulteriori 50 milioni di euro, per l’anno 2024, la dotazione del Fondo per le emergenze nazionali. La copertura dei relativi oneri è disciplinata dal successivo comma 5, alla cui scheda di lettura si rinvia.
Alla copertura dei relativi oneri si provvede ai sensi del comma 5 del medesimo articolo 11 (v. infra).
Articolo 11, comma 3
(Incremento del FISPE)
Il comma 3 dell’articolo 11 incrementa la dotazione del Fondo per interventi strutturali di politica economica (FISPE) di 23 milioni di euro per l'anno 2024 e di 7,8 milioni di euro per ciascuno degli anni 2025 e 2026.
Si tratta del Fondo istituito dall'articolo 10, comma 5, del decreto-legge n. 282 del 2004, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 307 del 2004, con la finalità “di agevolare il perseguimento degli obiettivi di finanza pubblica”, iscritto nello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze (cap. 3075).
Alla copertura dei relativi oneri si provvede ai sensi del comma 5 del medesimo articolo 11 (v. infra).
Articolo 11, commi 4 e 5
(Contributo una tantum per la fondazione Santa Lucia IRCCS di Roma e relativa norma di copertura)
Il comma 4 dell’articolo 11 prevede l’assegnazione, nell'anno 2024, di un contributo di 11 milioni di euro per la fondazione Santa Lucia IRCCS di Roma (di seguito “Santa Lucia”). Alla copertura dell’onere finanziario derivante da tale assegnazione provvede il successivo comma 5.
Il comma 4 dell’articolo in esame non esplicita la finalità del previsto contributo, né elementi in proposito si desumono dal preambolo del provvedimento, o dalle relative relazioni d’accompagnamento, illustrativa e tecnica. La RT evidenzia che trattasi, comunque, di contributo una tantum per l’esercizio 2024.
Da elementi informativi reperiti aliunde emerge che l’intervento economico in questione rappresenta un “contributo straordinario” per il “salvataggio” del Santa Lucia, onde evitarne la chiusura e affrontare la profonda crisi finanziaria dell’istituto (risultano a suo carico debiti per circa 150 milioni di euro, accumulati negli ultimi 10 anni). Al riguardo, è stata data notizia di una riunione tra il Ministro delle imprese e del made in Italy[14], la proprietà dell’ospedale, il Presidente della Regione Lazio e i rappresentanti dei sindacati: l’ipotesi più accreditata per continuare a fare funzionare il Santa Lucia sarebbe quella dell’amministrazione straordinaria, per arrivare poi alla creazione di un soggetto giuridico nuovo, con la partecipazione della Regione e di un privato non profit.[15]
Si ricorda che il Santa Lucia è un istituto di ricovero e cura a carattere scientifico (IRCCS) di natura privata[16], avente la forma giuridica di fondazione e specializzato nell’area di ricerca “riabilitazione neuromotoria con l'estensione al settore delle neuroscienze”. Con Decreto del 19 luglio 2022[17] a firma del Sottosegretario pro tempore alla salute ne è stato confermato il riconoscimento del carattere scientifico.
L’attività ospedaliera del Santa Lucia è “rivolta e fruita da pazienti affetti da gravi lesioni del sistema nervoso quali esiti di ictus di tipo sia ischemico che emorragico, coma, lesioni del midollo spinale nonché patologie infiammatorie e/o neurodegenerative quali sclerosi multipla e Parkinson, che comportano programmi di assistenza ad elevato grado di personalizzazione della prestazione o del servizio reso alla persona.” (fonte: relazione sulla sussistenza dei requisiti di cui all’art. 13 - comma 3 del D.lgs.288/2003 s.m.i. per la conferma del carattere scientifico dell’IRCCS Fondazione Santa Lucia di Roma[18]).
Il Santa Lucia risulta coinvolto in un “complesso contenzioso instaurato con la Regione Lazio – ASL ROMA 2 (ex RMC), che si protrae già da diversi anni, relativo a prestazioni sanitarie erogate e fatturate dalla struttura ma non riconosciute (e quindi non pagate) dalla ASL, e che mina la stabilità finanziaria della Fondazione” (ibidem).
Il Santa Lucia eroga prestazioni sanitarie anche in convenzione con il Servizio Sanitario Nazionale. E’ autorizzato e accreditato per le seguenti attività sanitarie[19]: 1) Assistenza in post acuzie riabilitativa; 2) Assistenza Specialistica Ambulatoriale (Angiologia, Cardiologia, Dermatologia, Medicina dello Sport, Medicina Fisica e Riabilitativa; Neurologia/Neurofisiopatologia, Oculistica, Ortopedia e Traumatologia; Otorinolaringoiatria, Pneumologia, Urologia; Reumatologia, Psichiatria, Ginecologia e Ostetricia, Geriatria); 3) Servizi presenti nel Presidio Sanitario aperti a pazienti esterni (Risonanza Magnetica Nucleare, Diagnostica per Immagini, Laboratorio Generale di base con settori specializzati). La capacità ricettiva complessiva è di 325 posti letto (293 per ricoveri ordinari e 32 di day hospital).
Il Santa Lucia, quale ente non profit[20] che intrattiene rapporti economici con le pubbliche amministrazioni, pubblica annualmente nel proprio sito web le informazioni relative a sovvenzioni, contributi, incarichi retribuiti e comunque vantaggi economici di qualunque genere, ricevuti dalle medesime pubbliche amministrazioni nell’anno precedente[21] (ai sensi della legge 124/2017, “Legge annuale per il mercato e la concorrenza”, art. 1, commi 125-129).
In tema di applicazione della disciplina eurounitaria sugli aiuti di Stato[22], anche gli enti senza scopo di lucro, secondo la Commissione UE, possono offrire beni e servizi su un mercato, e in tal caso sono soggetti alla predetta disciplina[23].
In relazione ai fondi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza per il 2023, consta che il Santa Lucia abbia ottenuto un totale di 11 progetti finanziati del Ministero della salute, per un ammontare complessivo di oltre 10 milioni di Euro[24]. Tutti i progetti in questione sono “declinazioni del vasto ambito delle neuroscienze”.
Il Santa Lucia risulta avere rapporti di collaborazione nel settore della ricerca con oltre 100 enti tra Università, Centri di Ricerca e altre organizzazioni in Italia e all'estero, in particolare con le Università di Roma Tor Vergata, La Sapienza e Campus Bio-Medico. Partecipa alle reti dell'Istituto Superiore di Sanità IATRIS (Italian Advanced Translational Research Infrastructure) ed EATRIS (Europan Advanced Translational Research Infrastructure in Medicine) e alla Rete degli IRCCS specializzati nel settore delle Neuroscienze, di cui coordina la Piattaforma di Genomica.
Il comma 5 dell’articolo in esame stabilisce che alla copertura degli oneri derivanti dal precedente comma 4, così come alla copertura degli oneri derivanti dai commi 2 e 3 dello stesso articolo 11 (v. sopra le relative schede di lettura), si provvede mediante utilizzo di quota parte delle maggiori entrate attese dal comma 3 dell'articolo 7 del presente provvedimento (v. sopra la pertinente scheda di lettura).
Articolo 12, comma 1
(Destinazione delle risorse per la ricerca e la competitività per l’anno 2024 alla integrazione della quota base del fondo
per il finanziamento ordinario)
L’articolo 12, comma 1, dispone che, per l’anno 2024, la totalità delle risorse per la promozione dell’attività di ricerca e per la valorizzazione del contributo del sistema universitario alla competitività del Paese, stanziate ai sensi dell’articolo 238, comma 5, del decreto-legge n. 34 del 2020, siano destinate alla integrazione della quota base del fondo per il finanziamento ordinario delle università statali. È confermato, invece, il sopra citato vincolo di destinazione delle risorse stanziate, ai sensi della medesima norma, per gli anni 2025 e 2026.
Il comma 1 dell’articolo 12 dispone, al primo periodo, che, per l’anno 2024, le risorse stanziate sul fondo per il finanziamento ordinario delle università statali ai sensi dell’articolo 238, comma 5, del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34, sono destinate alla integrazione della quota base del medesimo fondo di cui all’articolo 12 del decreto-legge 20 giugno 2017, n. 91.
Il secondo periodo del comma in esame dispone che le università statali concorrono al conseguimento degli obiettivi di promozione dell’attività di ricerca e alla valorizzazione del contributo (del sistema universitario alla competitività) del Paese in coerenza con le linee generali d’indirizzo della programmazione triennale 2024-26, adottate con decreto del Ministro dell’università e della ricerca n. 773 del 10 giugno 2024, ai sensi dell’articolo 1-ter del decreto-legge 31 gennaio 2005, n. 7, utilizzando le risorse a tal fine destinate per gli anni 2025 e 2026.
La relazione illustrativa precisa che la disposizione è volta a “svincolare”, cioè a destinare alla integrazione della quota base del fondo per il finanziamento ordinario delle università, i 50 milioni di euro del “fondo per la ricerca e competitività” di cui all’articolo 238, comma 5, del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34, attualmente destinati, per il 2024, alla presentazione e valutazione dei progetti della programmazione triennale di cui al decreto ministeriale n. 773 del 2024 relativi alle linee B (Promuovere le reti della ricerca e valorizzare la competitività del Paese) ed E (Valorizzare il personale delle università, anche attraverso gli incentivi alla mobilità).
In commento alla norma in esame, merita in primo luogo ricordare che l’articolo 238, comma 5, del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34 ha incrementato di 100 milioni di euro per l’anno 2021 e di 200 milioni di euro a decorrere dall’anno 2022, il Fondo per il finanziamento ordinario delle università, al fine di promuovere l'attività di ricerca svolta dalle università e valorizzare il contributo del sistema universitario alla competitività del Paese.
Tali risorse risultano tra quelle destinate al conseguimento degli obiettivi della programmazione triennale 2024-26, di cui al decreto del Ministro dell’università e della ricerca n. 773 del 10 giugno 2024.
Si ricorda che, ai sensi dell’articolo 1-ter del decreto-legge 31 gennaio 2005, n. 7, le università, entro il 30 giugno di ogni anno, adottano programmi triennali coerenti con le linee generali di indirizzo definite con decreto del Ministro dell'università e della ricerca, sentiti la Conferenza dei rettori delle università italiane, il Consiglio universitario nazionale e il Consiglio nazionale degli studenti universitari. I programmi triennali individuano in particolare i corsi di studio da istituire e attivare e da sopprimere, il programma di sviluppo della ricerca scientifica, le azioni per il sostegno ed il potenziamento dei servizi e degli interventi a favore degli studenti, i programmi di internazionalizzazione, il fabbisogno di personale docente e non docente. I programmi delle università sono valutati dal Ministero dell'università e della ricerca e periodicamente monitorati; di essi si tiene conto nella ripartizione del fondo per il finanziamento ordinario delle università.
Le modalità di utilizzo delle risorse del “fondo per la ricerca e la competitività”, pari come si è visto a 200 milioni di euro per ciascuno degli anni 2024-2026, sono in particolare disciplinate dall’articolo 4 del citato decreto ministeriale recante le linee generali di indirizzo della programmazione triennale 2024-26. Le citate risorse sono ripartite nei seguenti termini:
- per una quota pari al 25 per cento (50 milioni di euro annui), alla valutazione dei risultati dei programmi degli atenei, in riferimento alle azioni relative al conseguimento degli obiettivi B - Promuovere le reti della ricerca e valorizzare la competitività del Paese ed E - Valorizzare il personale delle università, anche attraverso gli incentivi alla mobilità, di cui al precedente articolo 1, comma 3;
Ai sensi del medesimo articolo 4 del decreto del Ministro dell’università e della ricerca n. 773 del 10 giugno 2024, gli obiettivi B ed E sono per l’appunto articolati in azioni.
Le azioni proprie dell’obiettivo B - Promuovere le reti della ricerca e valorizzare la competitività del Paese, sono le seguenti:
§ acquisizione di competenze per il mondo del lavoro fino al dottorato di ricerca (B.1);
§ trasferimento tecnologico e valorizzazione delle conoscenze (B.2);
§ miglioramento delle infrastrutture e degli strumenti per la ricerca al fine dell’integrazione della ricerca nelle reti internazionali ed europee (B.3);
§ federazione o fusione tra atenei (B.4).
Le azioni proprie dell’obiettivo E - Valorizzare il personale delle università, anche attraverso gli incentivi alla mobilità, sono le seguenti:
§ miglioramento dell’ecosistema della ricerca e incentivi alla mobilità dei ricercatori e dei professori (E.1);
§ sviluppo delle competenze del personale docente, anche in considerazione dei TLC, e integrazione del Fondo per la premialità (E.2);
§ sviluppo delle competenze del personale tecnico-amministrativo, anche in considerazione della dematerializzazione e del potenziamento del lavoro agile, e integrazione del Fondo per la premialità (E.3);
- per una quota pari al 75 per cento (150 milioni di euro annui), al sostegno degli obiettivi generali di sviluppo delle attività di ricerca libera e di base degli atenei; in relazione a tale quota, è disposto (in particolare, dall’articolo 4, comma 2, del decreto ministeriale n. 773 del 2024) che essa sia ripartita tra gli atenei statali in proporzione al peso del costo standard degli anni 2024, 2025 e 2026 ad integrazione della parte della quota base del fondo di finanziamento ordinario degli anni di riferimento.
Pertanto, il quadro vigente prevede già che il 75 per cento delle risorse del “fondo per la ricerca e la competitività” siano devolute “ad integrazione della parte della quota base del fondo di finanziamento ordinario”. La norma in commento, come del resto affermato anche dalla relazione illustrativa, è pertanto volta a devolvere a tale destinazione, per il solo 2024, anche il restante 25 per cento di tali risorse, pari a 50 milioni di euro, al contempo chiarendo che al conseguimento degli obiettivi di promozione dell’attività di ricerca e alla valorizzazione del contributo alla competitività del Paese, le università statali continuano a concorrere utilizzando le risorse, pari a 100 milioni di euro annui, a tal fine già destinate per gli anni 2025 e 2026.
In relazione alla “quota base” del fondo di finanziamento ordinario delle università, si ricorda che essa è la porzione del fondo non ripartita con i meccanismi premiali di cui all’articolo 2 del decreto-legge 10 novembre 2008, n. 180, ma sulla base di criteri oggettivi che siano in grado di rappresentare il “peso effettivo” degli atenei.
Al fine di individuare una modalità di calcolo efficace del peso effettivo degli atenei, l’articolo 12 del decreto-legge 20 giugno 2017, n. 91, disciplina il costo standard per studente quale parametro di riferimento da introdurre gradualmente per la ripartizione annuale della quota base del fondo.
In particolare, ai sensi del citato articolo 12, per costo standard per studente delle università statali si intende il costo di riferimento attribuito al singolo studente iscritto entro la durata normale dei corsi di studio, tenuto conto della tipologia di corso, delle dimensioni dell'ateneo e dei differenti contesti economici, territoriali e infrastrutturali in cui opera l'università.
La determinazione e l'eventuale aggiornamento del modello di calcolo del costo standard di ateneo, cui si provvede con decreto del Ministro dell’università e della ricerca, da adottare con cadenza triennale, previo parere di CRUI e ANVUR, sono definiti sulla base di criteri quali il costo del personale docente, il costo della docenza a contratto, il costo del personale tecnico amministrativo, i costi di funzionamento e di gestione delle strutture didattiche, di ricerca e di servizio dei diversi ambiti disciplinari.
Il costo standard di ateneo è integrato da due importi di natura perequativa, pari ciascuno ad un massimo del 10 per cento del costo standard, calcolati l’uno sulla base della capacità contributiva degli studenti iscritti determinata tenendo conto del reddito medio familiare della ripartizione territoriale, di norma a livello regionale, ove ha sede l'ateneo, e l’altro sulla base della diversa accessibilità di ogni università in funzione della rete dei trasporti e dei collegamenti.
In linea generale il costo standard per studente di ateneo è moltiplicato per il numero di studenti regolarmente iscritti al corso di studi da un numero di anni accademici non superiore alla sua durata normale, cui si aggiungono gli studenti iscritti al primo anno fuori corso.
La ripartizione della quota base del fondo per il finanziamento ordinario delle università effettuata tramite le metodologie sopra esposte trova applicazione dall'anno 2018, ed è incrementata progressivamente di una quota compresa tra il 2 e il 5 per cento all'anno, in modo da sostituire gradualmente la quota di finanziamento determinata sulla base del trasferimento storico, e fino ad un massimo del 70 per cento.
Le percentuali di riparto tra le varie voci di riferimento del finanziamento statale per il triennio 2024-26 sono da ultimo riportate, distintamente per le Università statali e non statali, in allegato al decreto del Ministro dell’università e della ricerca n. 773 del 10 giugno 2024.
Nel 2023, come risulta dal decreto ministeriale n. 809 del 7 luglio 2023, la quota base ammontava a 4.321.518.994 euro su un totale di 9.204.808.794 euro disponibili sul capitolo 1694 del stato di previsione della spesa del Ministero (comprensivo dei finanziamenti con vincolo di destinazione previsti da specifiche disposizioni legislative).
Articolo 12, comma 2
(Modificazioni all’articolo 15, commi 1-bis e 1-quinquies, del decreto-legge n. 71 del 2024, in materia di chiamata nel ruolo di professore di seconda fascia di ricercatori universitari a tempo indeterminato e di finanziamento degli oneri stipendiali
del personale docente e non docente)
L’articolo 12, comma 2, reca modificazioni all’articolo 15 del decreto-legge n. 71 del 2024. Le novelle apportate sono volte: in primo luogo, a disporre che le procedure per la chiamata nel ruolo di professore di seconda fascia riservate ai ricercatori universitari a tempo indeterminato abilitati, autorizzate e finanziate dal comma 1-bis del citato articolo 15, debbano concludersi, con la presa di servizio del personale assunto, entro il 31 dicembre del 2026; in secondo luogo, a chiarire, tramite talune modifiche al comma 1-quinquies del medesimo articolo 15, a decorrere da quali termini, a quali fini e in riferimento a quali destinatari, sarà possibile utilizzare le risorse ivi rese disponibili a copertura dei maggiori oneri stipendiali del personale universitario.
Il comma 2 dell’articolo 12, composto da due lettere, reca altrettante modificazioni all’articolo 15 del decreto legge 31 maggio 2024, n. 71, come modificato in sede di conversione in legge (legge 29 luglio 2024, n. 106).
La lettera a) reca modificazioni al comma 1-bis del citato articolo 15, in materia di procedure per la chiamata nel ruolo di professore di seconda fascia riservate ai ricercatori universitari a tempo indeterminato abilitati.
Si ricorda, più nel dettaglio, che il comma 1-bis dell’articolo 15 del decreto legge n. 71 del 2024 autorizza le università statali a bandire, in deroga alle vigenti facoltà assunzionali, procedure per la chiamata nel ruolo di professore di seconda fascia riservate ai ricercatori universitari a tempo indeterminato in possesso di abilitazione scientifica nazionale, entro il 31 dicembre 2025 e nel limite di spesa di 8.103.894 euro annui a decorrere dall'anno 2024.
Ebbene, la modifica apportata dal comma in esame è volta a disporre che, fermo restando il 31 dicembre 2025 quale termine per l’emissione del bando delle citate procedure assunzionali, esse dovranno concludersi, con la presa di servizio del personale assunto, entro il 31 dicembre del 2026.
Per completezza, si ricorda che il comma 1-ter dell’articolo 15 provvede alla copertura degli oneri connessi a quanto disposto dal comma 1-bis, e che il comma 1-quater del medesimo articolo 15 dispone in ordine alla destinazione delle risorse stanziate ai sensi del comma 1-bis nel caso in cui esse non vengano utilizzate entro i termini ivi previsti, prevedendo che in tal caso esse vengano attribuite con decreto ministeriale, nell’ambito della ripartizione del fondo per il finanziamento ordinario delle università, a cofinanziamento degli eventuali maggiori oneri stipendiali del personale docente delle università.
La lettera b) reca modificazioni al comma 1-quinquies, primo periodo, del citato articolo 15 del decreto legge n. 71 del 2024, in materia di finanziamento degli oneri stipendiali del personale docente e non docente delle università.
Si rammenta che il primo periodo del comma 1-quinquies dell’articolo 15, nel testo vigente fino all’entrata in vigore del decreto-legge in commento, consentiva l’utilizzo a copertura dei maggiori oneri stipendiali del personale docente derivanti dall'applicazione del medesimo articolo 15, delle risorse per il reclutamento del personale docente e non docente già assegnate alle università con i decreti del Ministro dell'università e della ricerca n. 445 del 6 maggio 2022, e n. 795 del 26 giugno 2023, e non utilizzate dalle università nei previsti termini.
I due decreti ministeriali appena citati sono volti ad assegnare alle istituzioni universitarie statali le risorse di cui al comma 297, lettera a), della legge 30 dicembre 2021, n. 234, relativamente ai primi due piani straordinari di reclutamento finanziati tramite tali risorse: il piano A, per un totale di 375 milioni di euro stanziati, con periodo di reclutamento tra il 1° ottobre 2022 e il 31 ottobre 2024 (ripartito con il decreto ministeriale n. 445 del 6 maggio 2022); e il piano B, per un totale di 340 milioni di euro stanziati, con periodo di reclutamento tra il 1° gennaio 2024 e il 31 ottobre 2025 (ripartito con il decreto ministeriale n. 795 del 26 giugno 2023).
Si ricorda che il comma 297, lettera a), della legge 30 dicembre 2021, n. 234, nel rifinanziare il fondo per il finanziamento ordinario delle università, ha destinato 75 milioni di euro per l'anno 2022, 300 milioni di euro per l'anno 2023, 640 milioni di euro per l'anno 2024, 690 milioni di euro per l'anno 2025 e 740 milioni di euro a decorrere dall'anno 2026 all'assunzione di professori universitari, di ricercatori e di personale tecnico-amministrativo delle università, in deroga alle vigenti facoltà assunzionali, al fine di favorire il graduale raggiungimento degli standard europei in ordine al rapporto tra il numero dei docenti e del personale tecnico-amministrativo delle università e quello degli studenti.
Ora, la disposizione in commento interviene sul periodo appena illustrato nei termini seguenti:
§ in primo luogo, chiarisce che i termini allo scadere dei quali sarà possibile utilizzare le risorse assegnate con i decreti del Ministro dell'università e della ricerca n. 445 del 6 maggio 2022, e n. 795 del 26 giugno 2023, e non utilizzate, non sono quelli “indicati dai medesimi provvedimenti”, e cioè rispettivamente il 31 ottobre 2024 e il 31 ottobre 2025, ma sono, rispettivamente, il 31 dicembre 2026 e il 31 dicembre 2027;
La relazione illustrativa specifica che, in entrambi i casi, lo spostamento in avanti dei termini non impatta sulla platea dei soggetti destinatari, e che l’obiettivo della norma è stabilire un termine “certo e adeguato” in relazione al quale possa essere dispiegato il piano straordinario di reclutamento, tenuto conto delle conseguenze stabilite dalla norma stessa in caso di mancato reclutamento (vedi subito infra).
§ in secondo luogo, tramite una ulteriore modifica, prevede che le risorse in parola siano utilizzabili non, come diceva il testo previgente, “a copertura dei maggiori oneri stipendiali del personale docente derivanti dall'applicazione del presente articolo” ma “a copertura dei maggiori oneri stipendiali del personale docente e non docente”. Da una parte dunque, si prevede che le risorse citate possano essere destinate alla copertura degli oneri stipendiali del personale in generale e non, come disponeva il testo previgente, alla sola copertura degli oneri derivanti dall’applicazione dei precedenti commi dell’articolo 15 che, si ricorda, autorizzano e finanziano nuove procedure assunzionali; dall’altra si chiarisce che tali risorse potranno essere utilizzate anche a copertura dei maggiori oneri stipendiali del personale non docente.
La relazione illustrativa chiarisce la portata normativa complessiva del comma 1-quinquies, primo periodo, dell’articolo 15 del decreto-legge n. 71 del 2024 (che, si ricorda, è stato inserito nel testo del citato decreto-legge durante l’iter di conversione), come modificato dalle novelle in esame. Esso dispone che, al contrario di quanto previsto dal precedente comma 1-quater in relazione alle risorse stanziate per nuove procedure assunzionali autorizzate dal comma 1-bis (di cui si è dato conto sopra), con riferimento ai due piani straordinari per il reclutamento del personale docente e non docente che sono già in itinere, citati appunto dal comma 1-quinquies, primo periodo, una volta decorsi i termini per l’utilizzo delle risorse stanziate per il reclutamento del personale, le risorse non utilizzate non saranno riassegnate a tutti gli atenei, ma resteranno in capo ai medesimi atenei cui erano state originariamente assegnate. Questi ultimi potranno decidere di non utilizzare tali risorse per il reclutamento di ulteriore personale, e di utilizzarle per fare fronte all’incremento degli oneri stipendiali del personale in servizio. Qualora invece intendessero utilizzare le risorse assegnate per il reclutamento di ulteriore personale, questo sarà possibile esclusivamente entro i limiti delle facoltà assunzionali già assegnate.
Articolo 13
(Misure economiche urgenti in materia di collegi di merito)
L’articolo 13, comma 1, autorizza la spesa di 1 milione di euro per il 2024, per i collegi di merito accreditati. Il comma 2 stabilisce che possono accedere al contribuito di cui al comma 1 solo gli enti che erogano un numero di borse di studio o agevolazioni a favore degli studenti del collegio di merito per un importo globale superiore a un terzo della sommatoria delle rette per l'anno accademico di riferimento. In sede di verifica dei requisiti di accredito, il Ministero verifica il rispetto di cui al primo periodo per l'accesso al contributo. Il comma 3 reca la clausola di copertura finanziaria.
Come sopra segnalato, il comma 1 autorizza la spesa di 1 milione di euro per il 2024, per i collegi di merito accreditati di cui all'articolo 13 del d.lgs. n. 68/2012.
Le strutture residenziali destinate agli studenti universitari e i collegi universitari legalmente riconosciuti sono disciplinati dal Capo III (articoli da 13 a 17) del decreto legislativo n. 68 del 2012.
In particolare, costituiscono requisiti necessari ai fini della qualificazione come "struttura residenziale universitaria" la presenza di adeguate dotazioni di spazi e servizi e la capacità di garantire agli studenti le condizioni di permanenza nella sede universitaria per consentire loro la frequenza dei corsi, favorendone l'integrazione sociale e culturale nello specifico contesto.
Le strutture residenziali universitarie si differenziano in collegi universitari (strutture ricettive, dotate di spazi polifunzionali, idonee allo svolgimento di funzioni residenziali, con servizi alberghieri connessi, funzioni formative, culturali e ricreative) e residenze universitarie (strutture ricettive, dotate di spazi polifunzionali, idonee allo svolgimento di funzioni residenziali, anche con servizi alberghieri, strutturate in maniera tale che siano ottemperate entrambe le esigenze di individualità e di socialità. Le strutture in questione possono altresì svolgere funzioni di carattere formativo e ricreativo, ritenute più idonee per la specificità di ciascuna struttura) (art. 13).
Con specifico riguardo ai collegi universitari legalmente riconosciuti, si prevede che, nell'ambito delle proprie finalità istituzionali, essi sostengano gli studenti meritevoli e siano aperti a studenti di atenei italiani o stranieri, di elevata qualificazione formativa e culturale, che perseguono la valorizzazione del merito e l'interculturalità della preparazione.
L'ammissione ai collegi universitari legalmente riconosciuti, a seguito di partecipazione a una procedura concorsuale, è riservata a studenti universitari dotati di comprovate capacità e meriti curriculari, che risultino iscritti a corsi di laurea di primo e di secondo livello ovvero a corsi promossi dalle istituzioni di alta formazione artistica, musicale e coreutica ovvero a corsi di specializzazione di livello universitario ovvero a corsi di dottorato e master universitari, o, infine, che partecipino a programmi di mobilità e scambio di studenti universitari, in ambito nazionale e internazionale (art. 15).
L'art. 16 disciplina la procedura di riconoscimento dei collegi universitari, a seguito della quale i medesimi acquisiscono la qualifica di "collegio universitario di merito".
Le modalità di dimostrazione dei requisiti per il riconoscimento sono state definite con decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca 8 settembre 2016, n. 672.
Decorsi almeno cinque anni dal riconoscimento, i collegi universitari di merito possono richiedere l'accreditamento, il quale costituisce condizione necessaria per la concessione del finanziamento statale (art. 17).
I parametri per la dimostrazione dei requisiti per l'accreditamento sono stati definiti con decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca 8 settembre 2016, n. 673, il quale ha altresì stabilito le modalità di verifica della permanenza dei requisiti medesimi nonché di revoca dell'accreditamento all'esito negativo della predetta verifica (ex art. 17, comma 1, del decreto legislativo n. 68 del 2012).
Al riguardo, si è tuttavia da ultimo previsto che - in considerazione del protrarsi dell'emergenza epidemiologica da Covid-19 e del relativo impatto sul sistema universitario - i collegi universitari di merito riconosciuti nonché quelli accreditati mantengano il loro status con riferimento al monitoraggio dei requisiti di riconoscimento e dei requisiti di accreditamento basato sui dati relativi all'anno accademico 2020/2021, a prescindere dal loro rispetto (art. 31, comma 1-bis, del decreto-legge n. 41 del 2021, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 69 del 2021).
In relazione all’elenco dei Collegi universitari di merito si veda l’articolo 2 del Decreto Direttoriale n.2164/2019.
Con riguardo all’elenco dei Collegi universitari di merito accreditati, si veda l’articolo 2 del Decreto Direttoriale n. 2165/2019.
Il comma 3 dispone in relazione agli oneri, pari a 1 milione di euro per l'anno 2024, ai quali si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento del fondo speciale di parte corrente iscritto, ai fini del bilancio triennale 2024-2026, nell'ambito del programma “Fondi di riserva e speciali” della missione “Fondi da ripartire” dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2024, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al Ministero dell'università e della ricerca.
Articolo 14
(Misure urgenti in materia di finanziamento di attività culturali)
L’articolo 14 reca diposizioni diverse in materia di attività culturali.
Il comma 1 istituisce il Comitato nazionale «Neapolis 2500», al fine di celebrare la città di Napoli nella ricorrenza del venticinquesimo centenario della sua fondazione, contestualmente stanziando, per il suo funzionamento, 1 milione di euro per il 2024.
Il comma 2 stanzia a favore del comune di Gorizia un contributo pari a 3 milioni di euro per il 2024, al fine di sostenere la realizzazione degli eventi culturali nell'ambito delle iniziative per la capitale europea della cultura 2025.
Il comma 3 dispone che le Direzioni regionali musei trasformate in uffici dotati di autonomia speciale nell’ambito della riorganizzazione in corso del Ministero della cultura possono esaurire le disponibilità iscritte nelle contabilità ordinarie loro intestate entro il 31 dicembre 2024.
Il comma 4 consente l’utilizzo del fondo di garanzia istituito presso l’Istituto per il credito sportivo dalla n. 289 del 2002 per i finanziamenti in favore dell’aggiudicazione e dell’organizzazione di grandi eventi internazionali, anche per gli eventi in svolgimento dopo il 30 giugno 2026.
Il comma 5 reca la copertura finanziaria degli oneri derivanti dall’attuazione dell’articolo in esame, ed in particolare da quanto disposto dai commi 1 e 2.
L’articolo in commento, composto da 5 commi, contiene disposizioni diverse in materia di attività culturali.
Il comma 1 istituisce il Comitato nazionale «Neapolis 2500», al fine di celebrare la storia, la cultura e l'arte della città di Napoli e il suo contributo allo sviluppo del patrimonio storico e artistico della Nazione, nonché alla formazione dell'identità italiana, nella ricorrenza, che cade nel 2025, del venticinquesimo centenario della fondazione dell'antica Neapolis da parte dei Cumani, avvenuta, secondo la tradizione, il 21 dicembre dell'anno 475 a.C.
Ai sensi del medesimo comma 1, sarà un decreto del Ministro della cultura, da adottare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del decreto-legge, a procedere alla nomina del Comitato e a determinarne i compiti e le modalità di funzionamento e di scioglimento.
Si prevede che ai componenti del Comitato non sia corrisposto alcun compenso, gettone di presenza o altro emolumento comunque denominato e che essi abbiano diritto al solo rimborso delle spese effettivamente sostenute e documentate per le attività strettamente connesse al funzionamento del Comitato.
Le spese per il funzionamento del Comitato sono poste a carico di un contributo pari a 1 milione di euro, per l'anno 2024, cui possono aggiungersi ulteriori contributi di enti pubblici e privati, lasciti, donazioni e liberalità di ogni altro tipo.
Il comma 2 dell’articolo in commento stanzia, a favore del comune di Gorizia, un contributo pari a 3 milioni di euro per il 2024, al fine di sostenere la realizzazione degli eventi culturali nell'ambito delle iniziative per la capitale europea della cultura 2025.
La Decisione n. 445/2014/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 aprile 2014 ha istituito l'azione “Capitali europee della cultura” per gli anni dal 2020 al 2033, una volta esauritosi il periodo di tempo disciplinato dal precedente quadro normativo (Decisone n. 1622/2006/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 24 ottobre 2006). La Decisione n. 445/2014/UE è stata, poi, modificata dalla Decisione n. 2017/1545/UE del 13 settembre 2017.
In base al calendario vigente, l'Italia – avendo espresso Matera nel 2019 - potrà partecipare nuovamente alla selezione solo nel 2033. Tuttavia, a seguito della presentazione, da parte della città slovena di Nova Gorica, di una candidatura, poi risultata vincitrice, incentrata sulla cooperazione transfrontaliera con la vicina Gorizia, le due città risultano, di fatto, entrambe Capitali della cultura per il 2025.
Qui maggiori informazioni sul programma degli eventi connessi all’iniziativa.
Il comma 3 dell’articolo in esame dispone che le Direzioni regionali Musei trasformate in uffici dotati di autonomia speciale, anche mediante accorpamento a uffici già esistenti, ai sensi dell'articolo 24 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 15 marzo 2024, n. 57, possono esaurire le disponibilità iscritte nelle contabilità ordinarie loro intestate entro il 31 dicembre 2024.
Il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 15 marzo 2024, n. 57, di recente emanazione, reca il nuovo regolamento di organizzazione del Ministero della cultura, degli uffici di diretta collaborazione del Ministro e dell'Organismo indipendente di valutazione della performance.
L’articolo 24 del citato decreto è dedicato agli uffici dotati di autonomia speciali: esso, al comma 3, lettera b), reca un elenco di 53 uffici di livello dirigenziale non generale dotati di autonomia speciale, tra cui si segnalano le seguenti 18 “Direzioni regionali Musei nazionali”:
§ le Residenze reali sabaude - Direzione regionale Musei nazionali Piemonte;
§ i Musei nazionali di Genova - Direzione regionale Musei nazionali Liguria;
§ il Museo storico e il Parco del Castello di Miramare - Direzione regionale Musei nazionali Friuli-Venezia Giulia;
§ i Musei nazionali di Bologna - Direzione regionale Musei nazionali Emilia-Romagna;
§ i Musei nazionali di Perugia - Direzione regionale Musei nazionali Umbria;
§ il Palazzo ducale di Urbino - Direzione regionale Musei nazionali Marche;
§ il Pantheon e Castel Sant'Angelo - Direzione Musei nazionali della città di Roma;
§ i Musei archeologici nazionali di Chieti - Direzione regionale Musei nazionali Abruzzo;
§ il Parco archeologico di Sepino e il Museo Sannitico di Campobasso - Direzione regionale Musei nazionali Molise;
§ il Castello Svevo di Bari - Direzione regionale Musei nazionali Puglia;
§ i Musei nazionali di Matera - Direzione regionale Musei nazionali Basilicata;
§ la Direzione regionale Musei nazionali Calabria;
§ la Direzione regionale Musei nazionali Campania;
§ la Direzione regionale Musei nazionali Lazio;
§ la Direzione regionale Musei nazionali Lombardia;
§ la Direzione regionale Musei nazionali Sardegna;
§ la Direzione regionale Musei nazionali Toscana;
§ la Direzione regionale Musei nazionali Veneto.
Ai sensi del medesimo articolo 24, gli uffici del Ministero dotati di autonomia speciale hanno autonomia scientifica, finanziaria, organizzativa e contabile.
Con decreti ministeriali di natura non regolamentare saranno definiti l'organizzazione e il funzionamento degli uffici dotati di autonomia speciale, nonché i relativi compiti e funzioni.
Gli incarichi di direzione dei musei sopra citati sono conferiti dal Direttore generale Musei ai dirigenti assegnati al suo ufficio o, con procedure di selezione pubblica, per una durata da tre a cinque anni, ad esperti esterni. Ai Direttori degli istituti e musei, con l'atto di conferimento dei relativi incarichi, possono essere altresì conferite le funzioni di direttore regionale Musei, senza ulteriori emolumenti accessori.
La relazione illustrativa, in ordine alla norma di cui al comma 3 dell’articolo in commento, sottolinea che essa ha il fine di agevolare la gestione contabile delle risorse erogate in favore degli istituti e luoghi della cultura afferenti alle Direzioni regionali musei divenute uffici dotati di autonomia speciale, anche mediante accorpamento a uffici già esistenti, e di assicurare la continuità operativa delle contabilità ordinarie a esse intestate, seppur temporaneamente, fino al 31 dicembre 2024. La relazione ricorda che le risorse iscritte nelle contabilità ordinarie intestate alle Direzioni regionali musei sono legate all’esistenza di obbligazioni giuridiche assunte anche a valere su finanziamenti già approvati, a favore di interventi di tutela del patrimonio culturale nazionale.
Come si ricava dalla stessa relazione illustrativa, il nuovo regolamento di organizzazione del Ministero della cultura completa, su questo punto specifico, un riassetto organizzativo già avviato con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 17 ottobre 2023, n. 167, e complessivamente teso a trasformare le Direzioni regionali musei da uffici di livello dirigenziale non generale periferici della Direzione generale musei in uffici dotati di autonomia speciale. Con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 17 ottobre 2023, n. 167 si era provveduto ad un primo accorpamento, ad altrettanti musei già dotati di autonomia speciale, di 5 Direzioni regionali musei (specificatamente, quelle di Liguria, Friuli Venezia Giulia, Marche, Umbria e Molise). Ora, il nuovo regolamento di organizzazione completa il percorso, in primo luogo disponendo 6 nuovi accorpamenti (relativamente alle Direzioni di Piemonte, Emilia-Romagna, Abruzzo, Puglia, Basilicata e alla Direzione Musei statali della città di Roma, equiparata a Direzione regionale), ed in secondo luogo provvedendo, negli altri 7 casi (Calabria, Campania, Lazio, Lombardia, Toscana, Veneto e Sardegna), ad una trasformazione diretta delle Direzioni regionali in uffici dotati di autonomia speciale.
Si segnala peraltro che, come messo in evidenza dalla stessa relazione illustrativa, già a seguito della prima fase del riassetto che si è appena descritto, quella relativa all’accorpamento delle prime 5 Direzioni regionali, si era dovuto procedere, su richiesta della Ragioneria generale dello stato, ad adottare una norma analoga a quella ora in commento, il comma 6-quater dell’articolo 7 del decreto-legge 30 dicembre 2023, n. 215 (qui il relativo dossier).
Il comma 4 dell’articolo in commento reca una modifica all'articolo 90, comma 12, lettera b) della legge 27 dicembre 2002, n. 289, volta a prevedere che le risorse del Fondo di garanzia istituito dalla norma novellata presso l’Istituto per il credito sportivo, possano essere concesse anche per l'aggiudicazione e l'organizzazione di grandi eventi internazionali che si svolgeranno successivamente al 30 giugno 2026.
In particolare, il Fondo di cui al citato comma 12 dell’articolo 90 della legge n. 289 del 2002, è stato istituito a garanzia dei seguenti finanziamenti:
§ quelli relativi alla costruzione, all'ampliamento, all'attrezzatura, al miglioramento o all'acquisto di impianti sportivi, ivi compresa l'acquisizione delle relative aree, da parte di società o associazioni sportive nonché di ogni altro soggetto pubblico o privato che persegua, anche indirettamente, finalità sportive;
§ quelli concessi a favore di soggetti pubblici o privati per le attività finalizzate alla promozione, all'aggiudicazione e all'organizzazione di grandi eventi internazionali “in svolgimento entro il 30 giugno 2026”.
Tali ultime parole sono soppresse dall’intervento normativo in esame.
Si ricorda che l’Istituto per il credito sportivo è un ente pubblico economico, istituito con la legge n. 1295 del 1957, e successivamente disciplinato dal decreto del Presidente della Repubblica 20 ottobre 2000, n. 453, che opera nel settore del credito per lo sport e per le attività culturali. La legge di bilancio per il 2023 (legge 29 dicembre 2022, n. 197), in particolare all’articolo 1, commi da 619 a 626, ne ha disposto la trasformazione in società per azioni di diritto singolare, denominata “Istituto per il credito sportivo e culturale Spa”, prevedendone contestualmente l’assoggettamento alle disposizioni del testo unico in materia bancaria e creditizia, nonché ai poteri di controllo della Corte dei conti.
Il comma 5 dell’articolo in esame reca la copertura finanziaria degli oneri derivanti dall’attuazione dei precedenti commi 1 e 2, pari ad un totale di 4 milioni di euro per il 2024. Ad essi si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento del fondo speciale di parte corrente iscritto, ai fini del bilancio triennale 2024-2026, nell'ambito del programma «Fondi di riserva e speciali» della missione «Fondi da ripartire» dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2024, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al Ministero della cultura.
Articolo 15, comma 1
(Misure urgenti a favore degli investimenti nei paesi africani)
L’articolo 15, comma 1 dispone misure di favore per le domande di finanziamento agevolato presentate da imprese che operano in Paesi africani o per attività imprenditoriali nel continente africano.
La disposizione esenta dalla prestazione della garanzia, a domanda del richiedente, le richieste di finanziamento relative:
a) agli strumenti ordinari del fondo di cui all’art.2 del decreto legge 28 maggio 1981, n.251, convertito con modificazioni, dalla legge 29 luglio 1981, n.394 (“Fondo 394/81”), che riguardino il continente africano, presentate entro il 31 dicembre 2025;
b) allo strumento finanziario introdotto dall’art.10 del decreto legge 29 giugno 2024, n. 89, convertito con modificazioni dalla L. 8 agosto 2024, n. 120 (anch’esso finanziato all’interno del Fondo 394/81).
Il Fondo 394/81 è uno strumento di finanziamento gestito da SIMEST (società del gruppo Cassa Depositi e Prestiti), in convenzione con il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, volto a supportare gli investimenti per la crescita estera delle imprese italiane.
Il fondo ha sei linee di intervento:
1.transizione digitale o ecologica;
2. partecipazione a fiere internazionali, mostre e missioni di sistema per promuovere la partecipazione delle imprese e del loro business a eventi internazionali;
3. inserimento mercati esteri (per agevolare l'apertura di strutture commerciali permanenti all'estero);
4. temporary manager (per supportare l'inserimento temporaneo di figure professionali specializzate in azienda);
5. e-commerce (attraverso l'utilizzo di market places o di piattaforme informatiche sviluppate in proprio);
6. certificazioni e consulenze (per agevolare consulenze specialistiche e studi di fattibilità per l’internazionalizzazione dell’impresa e l’ottenimento di certificazioni di prodotto, per la tutela di diritti di proprietà intellettuale, di certificazioni di sostenibilità e innovazione tecnologica).
Tutte le linee di intervento prevedono la concessione di finanziamenti a tassi agevolati, pari al 10% del tasso di riferimento UE (attualmente allo 0.51%).
Il provvedimento in esame prevede che le domande di finanziamento, a valere sul Fondo 394/81, siano esentate dalla prestazione della garanzia se riguardano investimenti per l’internazionalizzazione delle imprese italiane nel continente africano.
Come si legge nella relazione illustrativa, la misura si riferisce alle ipotesi in cui le domande di finanziamento agevolato - con esclusione dell’intervento “Transizione digitale o ecologica” che non è interessato dalla presente misura - siano caratterizzate dalle seguenti finalità:
a) finanziamento di una struttura promozionale (negozio, ufficio, showroom o corner commerciale) o potenziamento della stessa in un paese africano;
b) partecipazione ad uno o più eventi fieristici in un paese africano ovvero partecipazione in Italia ad un evento fieristico con carattere internazionale e focus su internazionalizzazione in Africa;
c) finanziamento di una piattaforma e-commerce propria o di terzi, con dominio di primo o secondo livello della piattaforma localizzato in uno o più paesi africani;
d) finanziamento di certificazioni e consulenze connesse ad un programma di internazionalizzazione in uno o più paesi africani;
e) finanziamento di un temporary manager per lo sviluppo di progettualità aziendali connesse ad un programma di internazionalizzazione in uno o più paesi africani.
La relazione precisa che tali fattispecie sono puntualmente disciplinate nella normativa di dettaglio relativa ai singoli strumenti adottata dal Comitato agevolazioni di cui all’articolo 1, comma 270, della legge 27 dicembre 2017, n. 205 (legge di bilancio 2028).
L’articolo 10 del decreto legge n. 89 del 2024, convertito con modificazioni dalla l. 8 agosto 2024, n. 120, prevede che, all’interno delle disponibilità del “Fondo 394/81”, una quota di 200 milioni di euro sia riservata a finanziamenti agevolati alle imprese operanti con il continente africano.
La riserva di 200 milioni non è riferita a una specifica annualità, ma opera fino a esaurimento. Per questo motivo la norma in esame, per questa seconda ipotesi, non fissa un termine per la presentazione delle domande di finanziamento.
La quota è riservata alle imprese che stabilmente sono presenti, esportano o si approvvigionano nel continente africano, ovvero che sono stabilmente fornitrici delle predette imprese, al fine di sostenerne spese di investimento per il rafforzamento patrimoniale, investimenti digitali, ecologici, nonché produttivi o commerciali.
In particolare, ai sensi dell’art.10, comma 2, del provvedimento citato, possono accedere alla quota riservata di 200 milioni di euro le imprese con sede legale in Italia che, alternativamente:
a) hanno realizzato un fatturato estero non inferiore alla quota minima stabilita con deliberazione del Comitato agevolazioni, di cui all’articolo 1 comma 270 della legge 27 dicembre, n. 205 (legge di bilancio 2018) e che:
1) sono stabilmente presenti sul mercato africano, oppure
2) hanno realizzato esportazioni verso i mercati africani o importazioni dai mercati africani in misura non inferiore a soglie stabilite dallo stesso Comitato;
b) sono parte di una filiera produttiva a vocazione esportatrice e il cui fatturato, in misura non inferiore alla soglia stabilita dal Comitato, deriva da comprovate operazioni di fornitura a beneficio di imprese che:
1) sono stabilmente presenti sul mercato africano, oppure
2) hanno realizzato esportazioni verso i mercati africani ovvero importazioni dai mercati africani, in misura non inferiore a soglie stabilite.
Anche per le domande di finanziamento a valere su tale quota di 200 milioni il provvedimento in esame prevede l’esenzione dalla presentazione della garanzia, sempre a domanda dell’impresa richiedente.
Gli oneri della misura in esame, come si legge nella relazione tecnica, derivano da un lato da maggiore rischio di non recuperare il finanziamento, stante la possibilità di non prestare la garanzia normalmente richiesta, e, dall’altro, sempre per lo stesso motivo, da un possibile aumento delle domande di finanziamento. Gli oneri sono pertanto valutati in 613.000 euro per l’anno 2025. Ad essi si provvede mediante corrispondente riduzione, per l’anno 2025, del fondo di cui all’articolo 72, comma 1, lettera d), del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 aprile 2020, n. 27, come rifinanziato dall’articolo 1, comma 49, lettera b), della legge 30 dicembre 2021, n., 234, per le finalità di cui alla lettera d) del comma 1 del suddetto articolo 72.
Articolo 15, comma 2
(Risorse per fondo rotativo per le operazioni di venture capital)
L’articolo 15, comma 2 prevede il rifinanziamento per 100 milioni di euro del fondo rotativo per operazioni di venture capital.
Nello specifico, il comma 2 dell’articolo 15 rifinanzia per 100 milioni di euro il fondo rotativo per operazioni di venture capital (di seguito “FVC”) di cui all’articolo 1, comma 932, della legge n. 297/2006 (legge finanziaria 2007).
L’articolo 10, comma 12, del decreto-legge n. 89/2024 (si rimanda al relativo dossier) aveva già disposto il trasferimento di euro 50 milioni al FVC, con una disposizione di analoga formulazione a quella qui in commento. Per garantire la continuità operativa del FVC e per sostenere l’incremento degli interventi attesi del FVC, precisa la relazione illustrativa, si è ritenuto necessario un ulteriore trasferimento di risorse finanziarie al FVC per euro 100 milioni, la cui dotazione ammonta così a euro 150 milioni.
Tale rifinanziamento del FVC è disposto mediante preliminare versamento all’entrata da parte di Simest s.p.a. (entro 30 giorni dalla data di entrata in vigore del decreto-legge in conversione) e successiva riassegnazione da parte del MEF (con decreto, da adottare entro 30 giorni dal versamento e comunque entro il 31/12/2024) al FVC delle disponibilità del conto corrente di tesoreria n. 22044 intestato a Simest s.p.a., a valere sulle risorse ivi confluite in base all’autorizzazione di spesa di cui all’articolo 1, comma 49, lettera b), della legge 30 dicembre 2021, n. 234 (legge di bilancio per il 2022), con il quale è stato rifinanziato il fondo per la promozione integrata.
Si ricorda che l’articolo 1, comma 49, lettera b), della legge n. 234/2021 (legge di bilancio per il 2022) ha incrementato la dotazione del fondo per la promozione integrata (di cui all’articolo 72, comma 1, del decreto-legge 18/2020) di 150 milioni di euro annui per ciascuno degli anni dal 2022 al 2026.
La relazione tecnica precisa che la disposizione in commento prevede la riassegnazione in favore di un fondo a carattere rotativo per la concessione di finanziamenti partecipativi riducendo le risorse destinate alla concessione di sovvenzioni a fondo perduto. Ai sensi della medesima relazione, il fondo per la promozione integrata, da cui appunto si attinge, risulta strutturalmente dotato di adeguate risorse finanziarie: in particolare, le risorse finanziarie del fondo per la promozione integrata destinate ai cofinanziamenti a fondo perduto a valere sul fondo ex legge 394/1981 disponibili al 31 maggio 2024, al netto degli impegni già assunti al 31 maggio 2024, sono pari a 691 milioni di euro. Nel mese di giugno 2024 sono state deliberate operazioni per 7 milioni di euro, e la stima di accoglimenti per il periodo luglio – dicembre 2024 è pari a circa 47 milioni di euro.
La legge finanziaria 2007 ha unificato in un unico fondo rotativo per operazioni di venture capital tutti i fondi rotativi gestiti, per conto del MAECI, dalla Società italiana per le imprese all’estero (Simest s.p.a.) e destinati ad operazioni di acquisizione di quote di capitale di rischio (venture capital) in Paesi non aderenti all’Unione europea, nonché il fondo rotativo, sempre gestito da Simest, per operazioni di venture capital in imprese costituite o da costituire nei Paesi dell’area balcanica di cui all’articolo 5, comma 2, lettera c), della L. n. 84/2001. Simest è società del Gruppo CDP e la sua mission è il sostegno alla crescita delle imprese italiane attraverso l’internazionalizzazione della loro attività.
Il fondo unico di venture capital viene impiegato al fine di garantire, in presenza di un progressivo esaurimento delle risorse finanziarie destinate a particolari aree geografiche, il sostegno alle attività di piccole e medie dimensioni e, nel contempo, di razionalizzare l’operatività dei diversi fondi anche alla luce dell’indirizzamento dei fondi medesimi verso nuovi Paesi ed aree geografiche.
L’intervento del FVC si sostanzia in investimenti, temporanei e di minoranza, per finalità di internazionalizzazione delle imprese italiane, mediante acquisizione di partecipazioni e sottoscrizione di strumenti finanziari o partecipativi, aggiuntivi alla partecipazione diretta di Simtest s.p.a. (ai sensi della legge 24 aprile 1990, n. 100 e s.m.i.), o di Finest s.p.a. (ai sensi della legge 9 gennaio 1991, n. 91), in società costituite da imprese nazionali all’estero.
Come ricordato dalla relazione illustrativa, a partire dalla sua costituzione, il FVC ha assunto gradualmente un ruolo strategico di supporto ai processi di internazionalizzazione delle imprese italiane in tutte le geografie estere e nei principali settori del made in Italy (es. automazione, agroalimentare) e recentemente nei settori innovativi (es. energie rinnovabili). Oggi il FVC è uno strumento centrale nel sostegno alle imprese, nel contesto delle attuali difficoltà di accesso al credito, per lo sviluppo di progetti di investimento all’estero, supportando operazioni strategiche (es. operazioni di M&A o investimenti con benefici per le filiere produttive) e progettualità sostenibili e a elevato contenuto innovativo
L’operatività del FVC, disciplinata dall’articolo 18-quater, comma 1, del decreto-legge 30 aprile 2019, n. 34, è stata ampliata ai sensi dell’articolo 1, comma 714, della legge 30 dicembre 2021, n. 234, per interventi anche in start-up, ivi incluse quelle innovative di cui all’articolo 25 del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, e in PMI innovative di cui all’articolo 4 del decreto-legge 24 gennaio 2015, n. 3, nonché in quote o azioni di uno o più fondi per il venture capital, come definiti dall’articolo 31, comma 2, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, o di uno o più fondi che investono in fondi per il venture capital, gestiti dalla società che gestisce anche le risorse di cui all’articolo 1, comma 116, della legge 30 dicembre 2018, n. 145, in ogni caso allo scopo di favorire il processo di internazionalizzazione delle imprese italiane oggetto di investimento e anche senza il coinvestimento di Simest s.p.a. o Finest s.p.a.
Da ultimo, sulla disciplina del FVC, il 13 aprile 2022 è intervenuto il decreto ministeriale del MAECI che detta le condizioni e modalità di intervento di tale fondo, aggiornandone l’operatività alla luce delle modifiche normative succedutesi nel tempo.
Dalla relazione illustrativa si evince che alla data del 31 maggio 2024 il FVC, al netto degli impegni già assunti e della riserva stabilita per gli interventi in start-up, non ha disponibilità residue per la sua operatività ordinaria di investimenti in finanziamenti partecipativi. Il rifinanziamento disposto dalla previsione in esame si rende pertanto necessario – dopo quello già disposto dal citato articolo 10, comma 12, del D.L. n. 89/2024 – per garantire la continuità operativa del FVC e per sostenere l’incremento degli interventi attesi del FVC, in considerazione dell’importanza assunta dallo strumento a supporto delle piccole e medie imprese italiane, che necessitano di sostegno finanziario per i loro processi di internazionalizzazione. La relazione tecnica precisa che tale trasferimento sia necessario per cogliere le potenziali opportunità di investimento già individuate o attualmente in valutazione, stimate per almeno 150 milioni di euro.
Articolo 16
(Utilizzo delle somme dell'organo commissariale di ILVA S.p.A.)
L’articolo 16 autorizza l’utilizzo delle somme derivanti dalla sottoscrizione delle obbligazioni emesse da ILVA S.p.A. in amministrazione straordinaria anche per le finalità di garanzia finanziaria per nuovi impianti di smaltimento e recupero dei rifiuti e per l’autorizzazione integrata ambientale.
L’articolo in esame autorizza l’utilizzo delle somme derivanti dalla sottoscrizione delle obbligazioni previste dall’articolo 3, comma 1, decimo periodo, del D.L. 1/2015, derivanti dall’impiego delle somme sottoposte a sequestro penale, anche per prestare le garanzie finanziarie previste dal D.lgs. 152/2006 (Codice dell’ambiente) nei seguenti casi:
§ garanzie finanziarie richieste per nuovi impianti di smaltimento e recupero dei rifiuti (articolo 208, comma 11, lettera g), del Codice);
§ garanzie finanziarie richieste ai fini dell’autorizzazione integrata ambientale (articolo 29-sexies, comma 9-septies, del Codice).
Si ricorda che l’articolo 11-quinquies del D.L. 61/2013 autorizza, qualora necessario ai fini dell'attuazione e della realizzazione del piano delle misure e delle attività di tutela ambientale e sanitaria dell'impresa soggetta a commissariamento, l'autorità giudiziaria procedente a trasferire all'impresa commissariata, su richiesta del commissario straordinario, le somme sottoposte a sequestro penale, nei limiti di quanto costituisce oggetto di sequestro a carico del titolare dell'impresa, ovvero, in caso di impresa esercitata in forma societaria, a carico dei soci di maggioranza o degli enti, ovvero dei rispettivi soci o amministratori, che abbiano esercitato attività di direzione e coordinamento sull'impresa commissariata prima del commissariamento.
Articolo 17
(Disposizione in materia di incasso da parte dei concessionari
della riscossione delle entrate degli enti locali)
L’articolo 17 contiene disposizioni in materia di riscossione e incasso delle entrate oggetto di affidamento degli enti locali. Si dispone l’obbligo, per gli enti locali che non abbiano già provveduto, di aprire conti correnti dedicati alla riscossione, funzionali al controllo e alla rendicontazione dei versamenti, entro il 31 dicembre 2025. Fino all’adempimento di tale obbligo non trovano applicazione le sanzioni relative alle violazioni commesse in materia di incasso diretto delle somme riscosse da parte di alcune categorie di concessionari della riscossione indicate dalla norma. Sono infine disciplinati i casi in cui i concessionari della riscossione ovvero gli enti locali siano inadempienti rispetto a quanto disposto.
L’articolo 15 al comma 1 dispone che gli enti locali che non abbiano attuato quanto previsto dalla legge di bilancio 2020 (comma 790, articolo 1, legge n. 160 del 2019) con riferimento all’apertura di conti correnti dedicati alla riscossione funzionali alla verifica e alla rendicontazione dei versamenti dei contribuenti da parte dei soggetti affidatari dei servizi, debbano adempiere a tale obbligo entro il 31 dicembre 2025.
Fino all’adempimento da parte degli enti locali dell’obbligo di cui sopra, per alcune categorie di soggetti interessati, cui siano state affidate le attività di riscossione dei tributi e che abbiano incassato direttamente le relative somme, non trovano applicazione le disposizioni in materia di cancellazione dall’albo dei soggetti abilitati ad effettuare attività di accertamento e di riscossione dei tributi e delle altre entrate delle province e dei comuni, con particolare riferimento alle previsioni relative alla cancellazione dall’albo per il mancato rispetto dell’obbligo di non incassare direttamente le somme riscosse, e la conseguente decadenza da tutte le gestioni.
Condizione richiesta ai suddetti soggetti affinché trovi applicazione la previsione suddetta è il riversamento, entro 10 giorni, delle somme incassate sul conto di tesoreria dell’ente locale cui spettano.
I soggetti abilitati ad effettuare attività di accertamento e di riscossione dei tributi e delle altre entrate delle province e dei comuni sono:
§ i soggetti iscritti all’albo dei soggetti privati abilitati ad effettuare attività di liquidazione e di accertamento dei tributi e quelle di riscossione dei tributi e di altre entrate delle province e dei comuni;
§ gli operatori degli Stati membri stabiliti in un Paese dell’Unione europea che esercitano le menzionate attività, i quali devono presentare una certificazione rilasciata dalla competente autorità del loro Stato di stabilimento dalla quale deve risultare la sussistenza di requisiti equivalenti a quelli previsti dalla normativa italiana di settore;
§ le società a capitale misto pubblico privato nelle quali il socio privato venga scelto attraverso l'espletamento di gare con procedure ad evidenza pubblica che abbiano dato garanzia di rispetto delle norme nazionali ed europee in materia di concorrenza secondo le linee di indirizzo emanate dalle autorità competenti attraverso provvedimenti o circolari specifiche, iscritte nell’albo dei soggetti privati abilitati ad effettuare attività di liquidazione e di accertamento dei tributi e quelle di riscossione dei tributi e di altre entrate delle province e dei comuni, i cui soci privati siano scelti, nel rispetto della disciplina e dei princìpi comunitari, tra:
-i soggetti iscritti all’albo dei soggetti privati abilitati ad effettuare attività di liquidazione e di accertamento dei tributi e quelle di riscossione dei tributi e di altre entrate delle province e dei comuni;
-gli operatori degli Stati membri stabiliti in un Paese dell’Unione europea che esercitano le menzionate attività, i quali devono presentare una certificazione rilasciata dalla competente autorità del loro Stato di stabilimento dalla quale deve risultare la sussistenza di requisiti equivalenti a quelli previsti dalla normativa italiana di settore;
a condizione che l’affidamento dei servizi di accertamento e di riscossione dei tributi e delle entrate avvenga sulla base di procedure ad evidenza pubblica.
Il comma 2 prevede che adempiuto l’obbligo nei termini previsti da parte degli enti locali di apertura dei conti correnti dedicati alla riscossione delle entrate oggetto di affidamento, qualora i soggetti interessati di cui al comma 1 continuino ad incassare direttamente le somme riscosse, decadono di diritto dalle singole gestioni in relazione alle quali tale incasso diretto viene protratto.
Qualora gli enti locali non adempiano all’obbligo nei termini previsti, restano sospesi di diritto fino all’adempimento dell’obbligo i rapporti di affidamento dei servizi di accertamento e di riscossione dei tributi e delle entrate in essere al 1° gennaio 2026.
Articolo 18
(Interpretazione autentica in materia di rinegoziazione dei mutui da parte degli enti territoriali)
L’articolo 18 include talune risorse - derivanti da rinegoziazioni di operazioni di finanziamento - nell’ambito di applicazione dell’articolo 7, comma 2, del decreto-legge n. 78 del 2015 (convertito dalla legge n. 215 del 2015). Quest’ultimo consente agli enti territoriali di utilizzare, senza vincoli di destinazione, le risorse derivanti da operazioni di rinegoziazione di mutui e dal riacquisto dei titoli obbligazionari emessi, per gli anni dal 2015 al 2026.
L’articolo 18 in esame reca una norma di interpretazione autentica del citato articolo 7, comma 2, del decreto-legge n. 78 del 2015.
Si prevede, in particolare, che tale comma 2 includa anche le risorse:
§ di cui all'articolo 2, comma 46, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (legge finanziaria per il 2008).
Esso prevede che, in attuazione degli accordi sottoscritti tra lo Stato e le regioni Lazio, Campania, Molise e Sicilia - ai sensi dell' articolo 1, comma 180, della legge 30 dicembre 2004, n. 311 - con i quali le regioni interessate si sono obbligate al risanamento strutturale dei relativi servizi sanitari regionali, anche attraverso la ristrutturazione dei debiti contratti, lo Stato è autorizzato ad anticipare alle predette regioni, nei limiti di un ammontare complessivamente non superiore a 9.100 milioni di euro, la liquidità necessaria per l'estinzione dei debiti contratti sui mercati finanziari e dei debiti commerciali cumulati fino al 31 dicembre 2005, determinata in base ai procedimenti indicati nei singoli piani e comunque al netto delle somme già erogate a titolo di ripiano dei disavanzi. Si rammenta, inoltre, che l’art. 1, comma 829, della legge di bilancio per il 2023 (legge n. 197 del 2022) ha stabilito che il suddetto comma 46 deve essere interpretato nel senso che l’anticipazione di liquidità in favore delle predette regioni non costituisce indebitamento ai sensi dell’articolo 3, comma 17, della legge n. 350 del 2003 (legge finanziaria 2004) e che non si applica a tale fattispecie l’articolo 62 del decreto legislativo n. 118 del 2011, che disciplina il ricorso delle regioni a mutui e altre forme di indebitamento (si veda, per approfondimenti, il vol. III del dossier di documentazione sulla citata legge di bilancio 2023).
§ di cui agli articoli 2 e 3 del decreto-legge 8 aprile 2013, n. 35, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 giugno 2013, n. 64.
Tali articoli recano disposizioni concernenti anticipazioni di liquidità in favore delle regioni e delle province autonome, per il pagamento di debiti contratti dai suddetti enti territoriali (articolo 2), anche con riferimento (articolo 3) ai debiti sanitari cumulati al 31 dicembre 2012.
Come rilevato dalla relazione illustrativa di accompagnamento dal provvedimento in esame, “la norma di interpretazione autentica ha l’obiettivo di porre sullo stesso piano, dal punto di vista della utilizzabilità dei risparmi conseguiti, le rinegoziazioni dei mutui e dei prestiti obbligazionari con le rinegoziazioni delle operazioni di finanziamento” previste dalle norme richiamate Tale interpretazione è coerente con l’utilizzazione dei risparmi già effettuata dagli enti territoriali ed è “volta a precisare il perimetro applicativo e a scongiurare ogni dubbio anche nelle sedi di controllo”.
I commi 1 e 2 dell'articolo 7 del decreto-legge n. 78 del 2015 contengono disposizioni in materia di mutui degli enti locali, finalizzate da un lato a favorire l'accesso alle operazioni di rinegoziazione promosse da Cassa depositi e prestiti e, dall'altro, a garantire una maggiore flessibilità nell'utilizzo dei risparmi derivanti dalla rinegoziazione. Il comma 2, in particolare, è stato oggetto di numerose novelle. La facoltà di utilizzare, senza vincoli di destinazione, le risorse derivanti da operazioni di rinegoziazione di mutui e dal riacquisto dei titoli obbligazionari emessi, originariamente limitata al solo 2015, è stata poi estesa al 2016, con l'articolo 4, comma 1-bis, del decreto-legge n. 210 del 2015, e al 2017, con l'articolo 1, comma 440, della legge n. 232 del 2016. Successivamente, la predetta facoltà è stata estesa fino al 2020 con la legge di bilancio per il 2018 (articolo 1, comma 867, legge n. 205 del 2017), e fino al 2023 con l’articolo 57, comma 1-quater, del decreto-legge n. 124 del 2019. Da ultimo sulla disposizione, estendendone l'applicazione fino al 2024, è intervenuto l'articolo 3, comma 5-octies, del decreto-legge n. 228 del 2021, al 2025 dall’articolo 3-ter, comma 1, del decreto-legge n. 198 del 2022, “proroga termini”, come convertito dalla legge n. 14 del 2023.
Infine, al 2026 dall’art. 6-quinquies, comma 1, del decreto-legge. 29 settembre 2023, n. 132, convertito, con modificazioni, dalla L. 27 novembre 2023, n. 170.
L’eliminazione dei vincoli di destinazione, disposta dal predetto comma 2 dell’articolo 7 del decreto-legge n. 78 del 2015, consente agli enti locali di utilizzare le risorse che si liberano dalla rinegoziazione dei mutui anche per operazioni di copertura delle spese correnti, senza vincolarle necessariamente al finanziamento della spesa in conto capitale o all’estinzione di mutui.
I risparmi di linea capitale, infatti, pur in assenza di disposizioni restrittive espresse in tal senso, a differenza di quelli sulla linea interessi, dovrebbero essere destinati esclusivamente alla riduzione del debito o a nuovi investimenti. Sul punto, si ricorda che diversi pronunciamenti della magistratura contabile hanno indicato obblighi di utilizzo dei risparmi in questione a riduzione del debito, delineando una prassi non modificabile se non per via normativa.
Più in particolare, con riferimento al tema dei vincoli di destinazione dei proventi da rinegoziazione delle posizioni debitorie, prima dell’entrata in vigore della disciplina di cui al citato articolo 7, comma 2, del decreto-legge n. 78 del 2015, si era affermata l’interpretazione, sostenuta anche dalla Cassa depositi e prestiti (si veda in proposito la circolare n. 1283 del 28 aprile 2015, richiamata anche da una nota congiunta dell’11 maggio 2015 sottoscritta dal Direttore generale della CdP e dal Segretario generale dell’Anci), secondo cui le economie derivanti dal minore esborso annuale in linea capitale (conseguenti alla rinegoziazione dei mutui) devono essere destinate dagli enti locali alla copertura di spese di investimento o alla riduzione del debito. Gli eventuali risparmi in linea interessi non sono invece soggetti ad alcun vincolo e, pertanto, possono essere destinati alla spesa corrente.
Analoga interpretazione è stata condivisa in più occasioni dalla Corte dei Conti. Il consolidato orientamento della giurisprudenza contabile è infatti nel senso di ritenere dette economie come assoggettate al vincolo di destinazione del finanziamento degli investimenti posto dall’articolo 119, comma settimo, della Costituzione. Trattandosi di economie su risorse derivanti da indebitamento, infatti, soggiacciono agli stessi vincoli gravanti in origine sulle risorse stesse e, pertanto, devono essere destinate a spese in conto capitale, restando esclusa la possibilità di procedere con esse ad un automatico incremento della spesa corrente (in tal senso, tra le altre, Sezione controllo Piemonte n. 190/2014; Sezione controllo Emilia Romagna n. 145/2014, Sezione controllo Umbria n. 122/2015 e Sezione Controllo Marche, n. 12/2019).
Tuttavia, l'esigenza di agevolare gli enti territoriali nel pareggio della (sempre più sofferente) parte corrente del bilancio, impiegando i risparmi delle quote di ammortamento dei mutui rinegoziati, ha spinto il legislatore a consentire l'utilizzo libero delle risorse. Si tratta comunque, secondo la Corte, di una norma di natura eccezionale e temporanea, dovuta all’esigenza di introdurre misure di “alleggerimento” delle gestioni e che conferma la sussistenza del menzionato vincolo al di fuori delle ipotesi, temporalmente limitate, rientranti nella deroga.
Articolo 19
(Misure in materia di revisione della spesa in favore delle regioni)
L’articolo 19, costituito da un unico articolo, interviene nella disciplina del contributo alla finanza pubblica dovuto dalle regioni a statuto ordinario per gli anni dal 2024 al 2028, dettata dalla legge di bilancio per il 2024 (articolo 1, comma 527) al fine di:
? prorogare i termini previsti per la definizione del riparto del contributo tra le regioni, per gli anni dal 2025 al 2028, sia nel caso di autocoordinamento, sia in assenza di accordo tra le regioni (lettera a));
? modificare le modalità di realizzazione del contributo, per l’anno 2024, inserendo una specifica disciplina alla norma della legge di bilancio 2024 (commi da 527-bis a 527-quinques) che consente di utilizzare la quota di contributo dovuta per il 2024 come economia per il ripiano del disavanzo e conseguentemente provvede alla copertura del corrispondente onere attraverso la riduzione di risorse nello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze (lettera b));
? inserire la Tabella 1 (Allegato VI-bis alla legge di bilancio 2024) in cui sono stabilite le quote del contributo alla finanza pubblica riferite a ciascuna regione a statuto ordinario per l’anno 2024 (lettera c)).
Il concorso alla finanza pubblica del comparto delle regioni a statuto ordinario per gli anni dal 2024 al 2028 è disciplinato dall’art. 1, comma 527, della legge di bilancio per il 2024 (legge n. 213 del 2023), come modificato dal decreto-legge n. 215 del 2023, articolo 3, comma 12-octies. Nello specifico, tale comma stabilisce che le regioni a statuto ordinario concorrono alla finanza pubblica con un contributo annuo complessivo determinato in 305 milioni di euro per l’anno 2024 e in 350 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2025 al 2028. Secondo la disciplina vigente, nel caso di autocoordinamento il riparto è formalizzato con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro per gli affari regionali e le autonomie. In assenza di accordo in sede di autocoordinamento, il riparto è effettuato, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro per gli affari regionali e le autonomie, in proporzione agli impegni di spesa corrente risultanti dal rendiconto generale 2022 o, in caso di mancanza, dall’ultimo rendiconto approvato. Il riparto è operato, al netto delle spese correlate ai settori diritti sociali, politiche sociali e famiglia (Missione 12) e tutela della salute (Missione 13).
Prima delle modifiche introdotte dalla disposizione in esame, la legge di bilancio 2024 stabiliva il termine del 31 maggio 2024 per procedere, in sede di autocoordinamento, al riparto del contributo tra le regioni, ed il termine del 30 giugno 2024 per procedere in assenza di accordo tra le regioni. La lettera a), numeri 1) e 2), dell’articolo 19 posticipa i due termini per la ripartizione del contributo: il nuovo termine per definire il riparto in sede di autocoordinamento è quindi il 20 settembre 2024, mentre quello per il riparto del contributo in assenza di accordo è il 20 ottobre 2024.
La ripartizione del contributo di cui sopra è riferita agli anni dal 2025 al 2028; in relazione ai tempi e alle modalità di realizzazione del contributo per l’anno 2024 intervengono, invece, la lettera a), numero 3) e la lettera b) dell’articolo 19 in esame.
Secondo quanto stabilito dalla legge di bilancio 2024, infatti, ciascuna regione a statuto ordinario è tenuta a versare all’entrata del bilancio dello Stato – sul capo X – capitolo n. 3465 – art. 2 (“Rimborsi e concorsi diversi dovuti dalle regioni a statuto ordinario”) – gli importi del concorso alla finanza pubblica, come stabiliti con le modalità sopra descritte, entro il 31 luglio per l’anno 2024 ed entro il 30 giugno per ciascun anno dal 2025 al 2028. In caso di mancato versamento entro il termine stabilito, la Ragioneria generale dello Stato è autorizzata ad operare una corrispondente riduzione delle risorse spettanti alla regione inadempiente.
Il numero 3 della lettera a) in esame, sopprime la previsione del versamento all’erario entro il 31 luglio 2024 della quota stabilita per il medesimo anno, in quanto, le modalità di realizzazione del contributo alla finanza pubblica per il 2024 sono stabilite dai commi 527-bis, 527-ter, 527-quater e 527-quinques inseriti dalla lettera b) dell’art. 19 all’art. 1 della legge n. 213 del 2023.
Il comma 527-bis stabilisce che per l’anno 2024 le modalità di versamento del contributo sono stabilite dai commi 527-ter, 527-quater e 527-quinques.
I commi 527-ter e 527-quater recano la disciplina contabile che consente alle regioni che si trovano in disavanzo di amministrazione di utilizzare la quota di contributo che avrebbero dovuto versare allo Stato per il 2024, come economia per il ripiano del disavanzo. Il comma 527-quinques provvede alla copertura del relativo onere, in termini di saldo netto da finanziare, attraverso la corrispondente riduzione di risorse nello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze.
In particolare, il comma 527-ter dispone che le regioni a statuto ordinario che sono in disavanzo di amministrazione al 31 dicembre 2023 (rientra in questo anche il disavanzo dovuto a debito autorizzato e non contratto), autorizzano con legge regionale l’iscrizione dell’importo previsto nella Tabella 1, in un fondo, nella parte corrente del primo esercizio del bilancio di previsione 2024-2026. La Tabella 1, inserita nel testo in esame (lettera c) ripartisce l’importo complessivo di 305 milioni di euro dovuto dalle regioni a statuto ordinario a titolo di contributo alla finanza pubblica, come stabilito dal citato comma 527.
La legge regionale di autorizzazione deve essere emanata entro 30 giorni dall’entrata in vigore del provvedimento in esame e deve essere comunque rispettato l’equilibrio di bilancio di parte corrente. Alla fine dell’esercizio 2024 l’importo iscritto nel suddetto fondo è utilizzato come economia che concorre al ripiano del disavanzo di amministrazione, da effettuare per un importo pari a quello previsto nel bilancio di previsione per l’esercizio 2024 incrementato dal suddetto fondo.
Il comma 527-quater, nell’ipotesi che in sede di approvazione del rendiconto 2024, il disavanzo non sia migliorato rispetto all’anno precedente di una quota pari almeno a quanto iscritto definitivamente nel bilancio di previsione 2024 (come “Disavanzo di amministrazione”) incrementato della quota del fondo, stabilisce che le quote del disavanzo non recuperate sono interamente applicate al primo esercizio del bilancio previsione in corso di gestione in aggiunta alle quote del recupero prevista dai piani di rientro in corso di gestione per il medesimo esercizio. La norma specifica, inoltre, che il suddetto fondo è finanziato con risorse di parte corrente, ad esclusione delle risorse destinate ai redditi da lavoro dipendente, sanità e trasferimenti agli enti locali.
Il comma 527-quinques stabilisce, infine, che il concorso alla finanza pubblica in termini di saldo netto da finanziare per il 2024, per l’importo di 305 milioni di euro, è realizzato attraverso la riduzione delle risorse iscritte nello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze, missione «Politiche economico-finanziarie e di bilancio e tutela della finanza pubblica», programma «Oneri finanziari relativi alla gestione della tesoreria», azione «Interessi sui conti di tesoreria».
L’articolo 20 prevede il riconoscimento di un contributo a fondo perduto in favore di specifiche categorie di operatori economici che svolgono la propria attività nelle zone montane appenniniche e che hanno subito una significativa riduzione dei ricavi a causa della scarsità di neve nella stagione invernale 2023/2024. Per l’erogazione del contributo viene autorizzata la spesa di 13 milioni di euro per l’anno 2024. Il contributo non incide sul calcolo delle imposte sui redditi e dell'imposta regionale sulle attività produttive (IRAP). Le disposizioni attuative devono essere definite con decreto del Ministro del turismo, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze e sentita l’Autorità politica delegata in materia di sport, da adottare entro quarantacinque giorni dalla data di entrata in vigore del decreto (ovverosia entro il 24 settembre 2024).
L’articolo 20 prevede, al comma 1, il riconoscimento di un contributo a fondo perduto in favore di specifiche categorie di operatori economici che svolgono la propria attività nei comuni ubicati all’interno dei comprensori e delle aree sciistiche della dorsale appenninica che, come precisato dal comma 3, nel periodo dal 1° novembre 2023 al 31 marzo 2024 hanno subito una riduzione dei ricavi non inferiore al 30 per cento rispetto a quelli conseguiti nel periodo dal 1° novembre 2021 al 31 marzo 2022.
In particolare, possono accedere al contributo, presentando istanza al Ministero del turismo ai fini del rilascio dello stesso:
· gli esercenti attività di impianti di risalita a fune e di innevamento artificiale, nonché di preparazione delle piste da sci,
· i noleggiatori di attrezzature per sport invernali,
· i maestri di sci, iscritti negli appositi albi professionali,
· le scuole di sci presso le quali i medesimi maestri di sci risultano operanti,
· le agenzie di viaggio,
· i tour operator,
· i gestori di stabilimenti termali,
· le imprese turistico-ricettive,
· le imprese di ristorazione.
Il comma 1 dell’articolo 20 rappresenta che le relative norme sono finalizzate a contrastare la crisi causata dalla scarsità di precipitazioni nevose e dalla conseguente diminuzione delle presenze turistiche, nel periodo dal 1° novembre 2023 al 31 marzo 2024, nei comuni montani degli Appennini.
Per l’erogazione del contributo, il comma 1 autorizza la spesa di 13 milioni di euro per l’anno 2024, ai quali si provvede: a) quanto a 6.500.000 euro, mediante corrispondente riduzione dello stanziamento del fondo speciale di parte corrente iscritto, ai fini del bilancio triennale 2024-2026, nell’ambito del programma “Fondi di riserva e speciali” della missione “Fondi da ripartire” dello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze per l’anno 2024, allo scopo parzialmente utilizzando l’accantonamento relativo al Ministero del turismo; b) quanto a 6.500.000 euro, mediante corrispondente versamento all’entrata del bilancio dello Stato delle somme in conto residui del fondo a favore dei viaggiatori e degli operatori del settore turistico e ricettivo previsto dall’articolo 4 del decreto-legge n. 104 del 2023.
Tale norma ha istituito un fondo, con dotazione di 15 milioni di euro per il 2023, a favore dei viaggiatori e degli operatori del settore turistico e ricettivo che hanno subito danni economici a causa degli eventi eccezionali, determinati dai roghi e dagli incendi che, nel periodo tra il 17 luglio 2023 e il 7 agosto 2023, hanno colpito la Sicilia e la Sardegna.
Con riferimento alla quantificazione dei ricavi, il comma 2 precisa che devono essere considerati quelli di cui all’articolo 85, comma 1, lettere a) e b), del D.P.R. n. 917 del 1986 (Testo unico delle imposte sui redditi – TUIR), ovverosia i corrispettivi delle cessioni di beni e delle prestazioni di servizi alla cui produzione o al cui scambio è diretta l'attività dell'impresa; nonché i corrispettivi delle cessioni di materie prime e sussidiarie, di semilavorati e di altri beni mobili, esclusi quelli strumentali, acquistati o prodotti per essere impiegati nella produzione.
Il comma 4 specifica inoltre che il contributo in esame:
· non concorre alla formazione della base imponibile delle imposte sui redditi,
· non rileva altresì ai fini del rapporto tra l’ammontare dei ricavi e altri proventi che concorrono a formare il reddito d’impresa o che non vi concorrono in quanto esclusi e l’ammontare complessivo di tutti i ricavi e proventi in base al quale viene parametrata la deducibilità di interessi passivi e altri componenti negativi dagli articoli 61 e 109, comma 5, del TUIR,
· non concorre alla formazione del valore della produzione netta, ai fini del calcolo dell’imposta regionale sulle attività produttive (IRAP) di cui al decreto legislativo n. 446 del 1997.
Il comma 5 stabilisce, infine, che:
- i comuni interessati dalla misura
- i criteri per la quantificazione del sostegno nel rispetto della normativa europea in materia di aiuti di Stato,
- le procedure di erogazione, le modalità di ripartizione e di assegnazione, che consentano il rispetto del limite di spesa e l’erogazione delle risorse entro e non oltre il 31 dicembre 2024, nonché le procedure di verifica, di controllo e di revoca del contributo,
sono definiti con decreto del Ministro del turismo, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze e sentita l’Autorità politica delegata in materia di sport, da adottare entro quarantacinque giorni dalla data di entrata in vigore del decreto (ovverosia entro il 24 settembre 2024).
Articolo 21
(Contributi transitori ai nuclei familiari del complesso edilizio denominato Vela celeste B dell’area di Scampia)
L’articolo 21 riconosce contributi transitori ai nuclei familiari detentori di unità abitative nel complesso edilizio denominato Vela celeste B dell’area di Scampia (nel comune di Napoli), unità oggetto di sgombero in base agli atti amministrativi conseguenti al crollo verificatosi il 22 luglio 2024. I contributi sono riconosciuti su base mensile, a decorrere dalla data di esecuzione del provvedimento di sgombero dell’immobile e fino a che le esigenze abitative non siano state soddisfatte in modo stabile; in ogni caso, i contributi cessano il 31 dicembre 2025. I contributi sono riconosciuti entro i limiti massimi di spesa posti dal presente articolo, il quale provvede altresì alla relativa copertura finanziaria.
Per l’individuazione dei nuclei familiari ai quali può essere riconosciuto il contributo in oggetto, il comma 1 del presente articolo fa riferimento all’elenco di quelli risultanti detentori delle unità suddette negli elenchi definiti dall’unità operativa per la tutela del patrimonio della polizia locale del comune di Napoli (elenchi a cui fa riferimento il decreto dirigenziale n. 112 del 4 giugno 2024 della Direzione generale Governo del Territorio della Regione Campania).
La misura dei contributi – nel rispetto di un limite massimo di spesa pari a 934.000 euro per l’anno 2024 e a 2.101.200 euro per l’anno 2025 – non può essere superiore a: 400 euro mensili per i nuclei composti da una sola persona; 500 euro mensili per i nuclei familiari composti da due persone; 700 euro mensili per quelli composti da tre persone; 800 euro mensili per quelli composti da quattro persone; 900 euro mensili per quelli composti da cinque o più persone. Qualora nel nucleo familiare siano presenti persone di età superiore a 65 anni o persone con disabilità con una percentuale di invalidità civile non inferiore al 67 per cento, è concesso un contributo aggiuntivo nel limite di 200 euro mensili per ognuno di tali soggetti (anche oltre il suddetto limite di 900 euro).
I contributi spettano – fermi restando i limiti temporali sopra menzionati (di cui al comma 2) – esclusivamente per i periodi in cui l’esigenza abitativa non sia stata temporaneamente soddisfatta a titolo gratuito da una pubblica amministrazione (comma 2 citato).
Dalla data di erogazione dei contributi in esame cessa (comma 3) l’erogazione di altre forme di supporto temporaneo in favore dei soggetti beneficiari, eventualmente concesse con oneri a carico delle amministrazioni competenti; tale norma ricomprende esplicitamente anche le eventuali forme di sostegno rimborsate dallo Stato ad altre amministrazioni.
I contributi di cui al presente articolo 21 sono erogati dal comune di Napoli e rimborsati a quest’ultimo dal Ministero dell’interno, ai sensi del comma 4.
Secondo i dati del comune di Napoli indicati nella relazione tecnica allegata al disegno di legge di conversione del presente decreto[25], i nuclei familiari rientranti nell’ambito di applicazione dell’articolo 21 in esame sono 220, con un importo medio mensile del contributo pari a 175.100 euro.
Il comma 5 del presente articolo provvede alla copertura finanziaria degli oneri derivanti dai suddetti contributi, mediante corrispondente riduzione – entro i summenzionati limiti di 934.000 euro per l’anno 2024 e di 2.101.200 euro per l’anno 2025 – del fondo per far fronte ad esigenze indifferibili che si manifestano nel corso della gestione[26], di cui all’articolo 1, comma 200, della L. 23 dicembre 2014, n. 190, e successive modificazioni.
Articolo 22
(Entrata in vigore)
L'articolo 22 dispone che il decreto-legge entri in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione in Gazzetta Ufficiale.
Il decreto-legge è dunque vigente dal 10 agosto 2024.
Si ricorda che, ai sensi dell'articolo 1 del disegno di legge di conversione del presente decreto, quest'ultima legge (insieme con le modifiche apportate al decreto in sede di conversione) entra in vigore il giorno successivo a quello della propria pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.
[1] Per maggiori dettagli sulle caratteristiche dell'agevolazione fiscale, si rinvia alla scheda dell'articolo 81 del Dossier sul decreto-legge n. 104 del 2020 curato dai Servizi studi del Senato e della Camera. Per un approfondimento sui più recenti interventi in materia di organismi sportivi, si rinvia al relativo tema del portale della documentazione parlamentare della Camera.
[2] La proroga di cui al comma 1 del presente articolo 9 è operata mediante l’inserimento di un comma 4-bis nel suddetto articolo 18.
[3] Ai sensi dell’articolo 4, primo comma, numero 5), del testo unico delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, di cui al D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124; in tale norma, le fattispecie di esperienze ed esercitazioni variano parzialmente a seconda della tipologia di struttura.
[4] Ai sensi degli articoli 1 e 4 del citato testo unico di cui al D.P.R. n. 1124 del 1965.
[5] Cfr., per il medesimo indirizzo interpretativo, la relazione tecnica allegata al disegno di legge di conversione del presente D.L. n. 113 (la relazione tecnica è reperibile nell’A.S. n. 1222).
[6] Cfr., per il medesimo indirizzo interpretativo, la relazione tecnica allegata al disegno di legge di conversione del presente D.L. n. 113 (la relazione tecnica, come detto, è reperibile nell’A.S. n. 1222).
[7] Cfr., in senso conforme, la suddetta relazione tecnica (reperibile nell’A.S. n. 1222).
[8] Cfr. il richiamato articolo 13, comma 9, lettera a), del D.L. 4 maggio 2023, n. 48, convertito, con modificazioni, dalla L. 3 luglio 2023, n. 85. Le riduzioni sono operate dal presente comma 2, per coordinamento, anche con riferimento agli importi previsti nell’alinea del medesimo articolo 13, comma 9. Riguardo all’istituto del Supporto per la formazione e il lavoro, cfr. l’articolo 12 del suddetto D.L. n. 48 del 2023.
[9] Come detto, la relazione tecnica è reperibile nell’A.S. n. 1222.
[10] Si segnala che, in virtù dell’art. 52, comma 1-bis, del decreto-legge 17 maggio 2022, n. 50 (come convertito dalla legge 15 luglio 2022, n. 91) per le società del comparto energetico si applica il diverso termine del 31 dicembre 2021.
[11] La Struttura di governance, istituita con Determina del Ragioniere Generale dello Stato n. 35518 del 5 marzo 2020, è articolata nei seguenti organi: il Comitato Direttivo con funzioni di indirizzo e decisionali; lo Standard Setter Board con funzione propositiva; il Gruppo di consultazione interna RGS con funzione consultiva e la Segreteria tecnica con funzioni di coordinamento e supporto.
Le proposte elaborate dallo Standard Setter Board sono assoggettate, prima dell'approvazione definitiva da parte del Comitato Direttivo, a una fase di consultazione pubblica, rivolta a tutti gli stakeholder interessati alla futura implementazione della riforma contabile, al fine di acquisirne i relativi pareri e contributi.
[12] In sintesi, con il principio della contabilità economico-patrimoniale accrual le transazioni e gli altri eventi economici sono imputati in bilancio quando si verificano, indipendentemente dal momento in cui si manifestano le relative transazioni finanziarie. In tal modo gli atti e i fatti di gestione sono rilevati contabilmente nei bilanci dei periodi ai quali questi si riferiscono.
[13] Si evidenzia che a seguito del processo di revisione complessivo del PNRR sono state apportate delle modifiche all’obiettivo M1C1-117 e al traguardo M1C1-118 della Riforma 1.15, approvate dal Consiglio dell’UE con decisione dell’8 dicembre 2023 e con decisione del 14 maggio 2024.
Per quanto riguarda l’obiettivo M1C1-117 è stato sostituito il valore obiettivo dei rappresentanti degli enti pubblici da formare per il passaggio al nuovo sistema di contabilità, passando da un target di 18.000 unità a quello di “rappresentanti degli enti pubblici che coprono almeno il 90% della spesa primaria dell'intero settore pubblico”.
Per quanto riguarda il traguardo M1C1-118 è stato precisato che la pubblicazione dei bilanci relativi all’esercizio 2025 da parte degli enti pubblici che coprono almeno il 90 per cento della spesa primaria dell’intero settore pubblico costituisce una fase pilota della riforma.
[14] Il suddetto Ministro, a differenza del Ministro della salute, figura tra i contro-firmatari del d.l. in esame.
[15] Le informazioni riportate sono tratte da un articolo del Corriere della sera - Roma: v. https://roma.corriere.it/notizie/cronaca/24_agosto_10/santa-lucia-a-roma-11-milioni-dal-governo-per-salvare-l-eccellenza-della-riabilitazione-adfea87c-a7ef-4463-a7db-a516676f5xlk.shtml?refresh_ce
[16] Gli IRCCS sono ospedali di eccellenza che perseguono finalità di ricerca, prevalentemente clinica e traslazionale, nel campo biomedico ed in quello della organizzazione e gestione dei servizi sanitari ed effettuano prestazioni di ricovero e cura di alta specialità o svolgono altre attività aventi i caratteri di eccellenza di cui all’art. 13, comma 3, lett. d) del Decreto legislativo 16 ottobre 2003 n. 288 e s.m.i.. Gli IRCCS hanno natura giuridica pubblica o privata. Gli IRCCS pubblici sono enti pubblici a rilevanza nazionale sottoposti al controllo regionale e alla vigilanza del Ministero della salute. Al Ministro spetta la nomina del direttore scientifico degli IRCCS pubblici nell’ambito di una terna di candidati selezionata da una apposita commissione. Gli IRCCS di diritto pubblico, su istanza della Regione in cui l'Istituto ha la sede prevalente di attività clinica e di ricerca, possono essere trasformati in Fondazioni di rilievo nazionale, aperte alla partecipazione di soggetti pubblici e privati e sottoposte alla vigilanza del Ministero della salute e del Ministero dell'economia e delle finanze. Gli enti trasformati assumono la denominazione di Fondazione IRCCS. Gli IRCCS privati invece hanno una maggiore libertà di azione ed il controllo su di essi viene effettuato soltanto sulla valenza delle ricerche effettuate.
[17] Pubblicato in G.U., Serie Generale, n. 193 del 19 agosto 2022.
[18] Relazione consultabile sul sito web istituzionale del Ministero della salute: https://www.salute.gov.it/portale/temi/documenti/ricercaSanitaria/verbali_IRCCS/40.pdf
[19] Fonte: sito web istituzionale del Santa Lucia, https://www.hsantalucia.it/fondazione/accreditamento-servizio-sanitario-nazionale
[20] L’articolo 3 dello statuto del Santa Lucia stabilisce che la Fondazione de qua “non ha scopo di lucro” e “in nessun caso può distribuire avanzi di gestione”.
[21] V., riguardo all’anno 2023, https://hsantalucia.it/sites/default/files/elenco_somme_incassate_per_contributi_e_finanziamenti_2023.pdf
[22] L’articolo 107, par. 1, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea - TFUE prevede che, salvo deroghe contemplate dai Trattati, siano incompatibili con il mercato interno, nella misura in cui incidono sugli scambi tra Stati membri, gli aiuti concessi sotto qualsiasi forma dagli Stati, ovvero mediante fondi pubblici, che, favorendo talune imprese o talune produzioni, falsino o minaccino di falsare la concorrenza.
[23] Si veda la Comunicazione sulla nozione di aiuto di Stato (2016/C 262/01), con la quale la Commissione ha meglio specificato la nozione di aiuto di Stato, alla luce della giurisprudenza della Corte di giustizia dell’UE. Nell’ambito di tale Comunicazione, è anche evidenziato che, in alcuni Stati membri, gli ospedali pubblici fanno parte integrante dei servizi sanitari nazionali e sono quasi interamente basati sul principio di solidarietà. Tali ospedali sono direttamente finanziati dai contributi di sicurezza sociale e da altre risorse statali e prestano i propri servizi gratuitamente sulla base di una copertura universale. Gli organi giurisdizionali dell'Unione hanno confermato che, nel caso in cui esista una siffatta struttura, le pertinenti organizzazioni non agiscono come imprese. D’altro canto, nella Comunicazione predetta è anche posto in rilievo che, in molti altri Stati membri, gli ospedali e gli altri fornitori di assistenza sanitaria offrono i loro servizi contro pagamento di un prezzo, direttamente da parte dei pazienti oppure da parte della loro assicurazione. In tali sistemi, vi è un certo grado di concorrenza tra gli ospedali relativamente alla prestazione di servizi sanitari. In tal caso, il fatto che un servizio sanitario sia fornito da un ospedale pubblico non è sufficiente per qualificare l'attività come non economica (v. punti 24-26). Recentemente, la Commissione UE, in relazione alla disciplina degli aiuti di Stato, ha ribadito che il SSN italiano, anche a seguito delle riforme del 1992 e del 1999, ha “natura non economica” e che le sue attività non possono essere considerate esercitate da un’impresa, in quanto esse si fondano sul principio di universalità e di solidarietà e sono esercitate per tutti i pazienti a titolo gratuito o dietro pagamento di un importo molto esiguo e destinato a coprire unicamente in parte il costo del servizio (v. in proposito sentenza del 27 aprile 2023 resa dalla Corte di giustizia UE, nona sezione, causa C?492/21 P).
[24] V. https://www.hsantalucia.it/news/neuroscienze-la-fondazione-santa-lucia-irccs-vincitrice-di-11-progetti-pnrr
[25] La relazione tecnica è reperibile nell’A.S. n. 1222.
[26] Tale fondo è istituito nello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze.