Camera dei deputati - Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa) |
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Autore: | Servizio Studi - Dipartimento Istituzioni |
Titolo: | Disposizioni urgenti per le consultazioni elettorali dell'anno 2024 |
Serie: | Progetti di legge Numero: 245/1 |
Data: | 13/03/2024 |
Organi della Camera: | Assemblea |
Servizio Studi
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Dossier n. 227/1
Servizio Studi
Dipartimento istituzioni
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Progetti di legge n. 245/1
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I N D I C E
Articolo 1, comma 4-bis (Differimento delle elezioni provinciali 2024)
Articolo 1-bis (Disposizione in materia di Commissioni e Sottocommissioni elettorali circondariali)
Articolo 1-ter (Voto degli studenti ‘fuori sede’ nelle elezioni europee 2024)
Articolo 2-bis (Registrazione di simboli politici come marchio d’impresa)
Articolo 3 (Norme elettorali applicabili ai capoluoghi di provincia e relativa denominazione)
Articolo 4 (Disposizioni in materia di elezione del sindaco e del consiglio comunale)
Articolo 4-bis (In materia di esenzione dalla sottoscrizione di firme per le elezioni europee)
Articolo 4-ter (Ineleggibilità dei dipendenti della regione alla carica di consigliere regionale)
Articolo 4-quater (Autenticazioni delle sottoscrizioni di proposte referendarie in ambito locale)
Articolo 4-sexies (Modifica alla legge 2 luglio 2004, n. 165 (elezioni regionali))
Articolo 5 (Disposizioni finanziarie)
Articolo 6 (Entrata in vigore)
Articolo 1, commi 1-4
(Disposizioni urgenti per il prolungamento delle operazioni di votazione relative all’anno 2024 e per il contemporaneo svolgimento delle elezioni europee, regionali amministrative)
L’articolo 1 modificato nel corso dell’esame in sede referente, dispone il prolungamento delle operazioni di voto delle elezioni 2024 anche nella giornata di lunedì, oltre alla domenica, ovvero, per le elezioni europee 2024 ed eventuali consultazioni elettorali e referendarie ad esse abbinate, la loro anticipazione nella giornata di sabato, oltre alla domenica (commi 1 e 2).
Inoltre, disciplina il procedimento elettorale in caso di abbinamento delle elezioni europee con un turno di elezioni amministrative e con elezioni regionali, nonché con altre consultazioni elettorali o referendarie (comma 3).
Infine, in considerazione del prolungamento delle operazioni di votazione vengono incrementati gli onorari dei componenti degli uffici elettorali di sezione (comma 4).
Il comma 1 prevede che - ad esclusione delle consultazioni già indette alla data di entrata in vigore del provvedimento in esame - per l’anno 2024 le operazioni di votazione relative alle consultazioni elettorali e referendarie si svolgono nella giornata di domenica, dalle ore 7 alle ore 23, e nella giornata di lunedì, dalle ore 7 alle ore 15, ad eccezione di quanto previsto dai successivi commi 2 e 3, lett. a) per le elezioni europee e per le elezioni amministrative e regionali che si dovessero svolgere contestualmente alle europee.
La disposizione deroga esplicitamente a quanto stabilito dall’articolo 1, comma 399, della legge n. 147 del 2013, che - nell'ambito di misure volte a conseguire risparmi di spesa per le consultazioni elettorali - ha infatti disposto che, a decorrere dal 2014, le operazioni di votazione in occasione delle consultazioni elettorali e referendarie si svolgono nella sola giornata della domenica, dalle ore 7 alle ore 23 (art.1, comma 399).
Si ricorda che fino al 1993 la legge prevedeva che le operazioni di voto si svolgessero nella giornata di domenica, per estendersi alla mattina (fino alle 14) del lunedì successivo.
La previsione che le operazioni di voto si svolgessero in una sola giornata, più precisamente dalle ore 7 alle ore 22 della domenica, è stata introdotta, una prima volta, con la riforma elettorale del 1993: legge n. 276/1993, per il Senato, legge n. 277/1993, per la Camera (Nuove norme per l'elezione della Camera) per le elezioni politiche, e legge n. 81/1993, per le elezioni amministrative in ambito comunale e provinciale. Parziali correzioni sono state apportate dal D.Lgs. n. 534/1993 (art. 3, co. 1, lettera g).
Le elezioni politiche che si sono svolte in una unica giornata, dunque sono state quelle del 21 aprile 1996 e del 13 maggio 2001 (quest'ultime in coincidenza con il turno annuale delle elezioni amministrative, tra cui quelle per l'elezione del sindaco e per il rinnovo dei consigli comunali di Roma, Napoli, Torino e Milano).
Successivamente, la legge n. 62/2002 ha ripristinato l'orario di votazione in due giornate: la domenica dalle 8 alle 22 e il lunedì dalle 7 alle 15, fino a quando è intervenuta la citata legge n. 147 del 2013 che ha nuovamente ridotto ad un solo giorno l'orario di votazione.
Nel corso della emergenza sanitaria causata dalla epidemia di Covid-19, in occasione dei turni elettorali del 2020 e del 2021, è stato disposto, con provvedimenti di urgenza, il prolungamento dell'orario di votazione anche alla giornata di lunedì (si vedano i decreti legge n. 26/2020 e n. 25/2021).
L'estensione della possibilità di esercitare il voto anche al lunedì era finalizzato a diluire i tempi della consultazione, onde agevolare il distanziamento sociale in relazione alla situazione epidemiologica.
Nel 2022 le elezioni si sono svolte invece secondo la disciplina ordinaria in un solo giorno: il 12 giugno, per le elezioni amministrative, e il 25 settembre, per le elezioni politiche.
Anche per l’anno 2023 si è disposto il prolungamento delle operazioni di voto nella giornata di lunedì ad opera del decreto-legge 190/2022.
Come accennato, la disposizione in commento esclude dall’ambito di applicazione della norma le consultazioni già indette alla data di entrata in vigore del provvedimento in esame, ossia prima del 31 gennaio 2024.
Si tratta delle elezioni regionali in Sardegna e in Abruzzo in quanto indette prima di tale data: le elezioni per il rinnovo del consiglio regionale della Sardegna e per l’elezione del Presidente della Regione si sono tenute il 25 febbraio 2024, come stabilito dal Presidente della Regione, con proprio decreto n. 70 del 14 dicembre 2023; in Abruzzo l’elezione del Presidente della Giunta Regionale e del Consiglio Regionale d’Abruzzo si è svolta il 10 marzo 2024, come stabilito con Decreto del Presidente della Giunta regionale n. 84 del 19 ottobre 2023.
La disposizione in commento si applicherà, invece, alle elezioni regionali in Basilicata indette con il Decreto del Presidente della Giunta regionale 19 febbraio 2024, n. 41, per il 21 e 22 aprile 2024 e a quelle in Umbria, non ancora indette e che si terranno in autunno.
Il comma 2 dispone un analogo prolungamento delle operazioni di voto per l’elezione dei rappresentanti italiani al Parlamento europeo stabilendo che esse si svolgano nella giornata di sabato, dalle ore 15 alle ore 23 (come stabilito in sede referente in luogo dell’orario 14-22 previsto dal testo originale) e nella giornata di domenica, dalle ore 7 alle 23.
Si ricorda che le elezioni del Parlamento europeo del 2024 si svolgeranno nel periodo compreso tra il 6 e il 9 giugno 2024.
La procedura per la determinazione delle date di norma applicabili per le elezioni del Parlamento europeo è stabilita all'articolo 11, paragrafo 1, dell'atto del 1976, il quale recita: "Il periodo elettorale è precisato, per la prima elezione, dal Consiglio, che delibera all'unanimità, previa consultazione del Parlamento europeo". A norma dell'articolo 11, paragrafo 2, primo comma, "[l]e elezioni successive hanno luogo nello stesso periodo dell'ultimo anno del periodo quinquennale di cui all'articolo 3". Dato che il Consiglio, in una decisione del 25 luglio 1978 (G.U. L 205 del 29 luglio 1978, pag. 75), ha fissato il periodo elettorale per le prime elezioni dal 7 al 10 giugno 1979, le elezioni successive devono aver luogo nello stesso periodo, fatti salvi gli adattamenti volti a garantire che le elezioni si svolgano entro un periodo compreso tra un giovedì e una domenica (Comunicato del consiglio dell’Unione europea 12 maggio 2023, n. 8239/23).
Come anticipato dal Governo in risposta di un atto di sindacato ispettivo, in Italia le elezioni europee si svolgeranno l'8 e il 9 giugno e il 20 aprile è il termine ultimo per l'emanazione del decreto di convocazione dei comizi elettorali (Camera dei deputati, seduta del 31 gennaio 2024).
Contestualmente alle elezioni europee, si terranno presumibilmente anche le elezioni regionali in Piemonte - dal momento che le precedenti elezioni si svolsero in abbinamento con le elezioni europee del 26 maggio 2019 - e il primo turno delle elezioni amministrative.
Pertanto, ai sensi della disposizione in commento, sabato 8 e domenica 9 giugno, si svolgeranno le elezioni europee e, in caso di abbinamento, le regionali in Piemonte e le amministrative.
Ai sensi della legge elettorale regionale del Piemonte (LR 12/2023), le elezioni del Consiglio e del Presidente della Giunta regionale del Piemonte sono indette con decreto del Presidente della Giunta, pubblicato sul Bollettino ufficiale della Regione almeno 60 giorni prima del giorno delle elezioni. Le elezioni hanno luogo a decorrere dalla quarta domenica precedente il compimento del quinquennio della legislatura e, comunque, non oltre la quarta domenica successiva. Se è possibile, le elezioni si svolgono nel rispetto del principio dell’election day (secondo quanto disposto dall'articolo 7, commi 1 e 2, del D.L 98/2011. Tale disposizione prevede che le consultazioni elettorali per le elezioni dei sindaci, dei Presidenti delle province e delle regioni, dei Consigli comunali, provinciali e regionali, del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati, si svolgono, compatibilmente con quanto previsto dai rispettivi ordinamenti, in un'unica data nell'arco dell'anno. Se nel medesimo anno si svolgano le elezioni dei membri del Parlamento europeo spettanti all'Italia le consultazioni si effettuano nella data stabilita per le elezioni del Parlamento europeo.
Le elezioni amministrative si svolgono in un turno annuale da tenersi in una domenica compresa tra il 15 aprile e il 15 giugno. La data delle elezioni è fissata dal Ministro dell’interno (L. 182/1991).
Il comma 3 disciplina il caso di abbinamento delle consultazioni per l’elezione dei membri del Parlamento europeo spettanti all’Italia con un turno di elezioni amministrative e con elezioni regionali, nonché con altre consultazioni elettorali o referendarie.
In particolare, il comma 3 prevede:
§ lo svolgimento delle operazioni di votazione nella giornata di sabato dalle ore 15 alle ore 23 (come stabilito in sede referente mentre il testo originario fissa l’orario di votazione dalle ore 14 alle ore 22) e nella giornata di domenica dalle ore 7 alle ore 23;
§ ai fini del computo dei termini del procedimento elettorale (presentazione dei simboli elettorali, delle liste di candidati ecc.) si considera giorno della votazione quello della domenica;
§ la consegna del materiale destinato agli uffici elettorali di sezione (bollo della sezione, lista degli elettori, manifesto con le liste dei candidati, schede elettorali, verbali di nomina degli scrutatori, matite copiative, urne, designazioni dei rappresentanti di lista) è effettuata entro le ore 7.30 del sabato di inizio delle operazioni di votazione e l’ufficio elettorale di sezione è costituito alle ore 9;
§ una volta completate le operazioni di votazione e di riscontro dei votanti per ciascuna consultazione, l’ufficio elettorale di sezione procede dapprima allo scrutinio per l’elezione dei membri del Parlamento europeo spettanti all’Italia, mentre lo spoglio delle schede relative alle elezioni regionali e a quelle comunali e circoscrizionali ha inizio alle ore 14 del lunedì, dando la precedenza allo spoglio delle schede per le regionali;
§ l’entità degli onorari fissi forfetari spettanti ai componenti degli uffici elettorali di sezione è quella stabilita per le elezioni politiche e amministrative dall’articolo 1, commi 1, 2 e 4 della legge 13 marzo 1980, 70;
§ per gli adempimenti comuni alle diverse tipologie di consultazione si applicano le disposizioni previste per l’elezione dei membri del Parlamento europeo spettanti all’Italia e il riparto delle relative spese tra gli enti interessati (Stato, regioni e comuni) è disciplinato dall’articolo 17, nono comma, della legge 23 aprile 1976, n. 136.
In base a tale norma da ultimo citata, fermo restando che le spese sono ripartite in misura proporzionale tra gli enti medesimi, l’importo massimo da rimborsare a ciascun comune – fatta eccezione per il trattamento economico dei componenti dei seggi – è stabilito con decreto del Ministero dell’interno con distinti parametri per sezione elettorale e per elettore, calcolati rispettivamente nella misura del 40 per cento e del 60 per cento del totale da ripartire. Per i comuni aventi fino a 3 sezioni elettorali, le quote sono maggiorate del 40 per cento.
Ai sensi del comma 4 in considerazione del prolungamento delle operazioni di votazione, per l’anno 2024 viene disposto un incremento del 15 per cento degli onorari fissi forfetari spettanti ai componenti degli uffici elettorali di sezione e dei seggi speciali istituiti negli ospedali, case di cura e luoghi di detenzione ai sensi dell’articolo 1 della legge 70/1980.
La determinazione degli onorari dei componenti gli uffici elettorali è disciplinata dall’articolo 1 della legge 70/1980. Ai sensi del comma 1 al presidente dell'ufficio elettorale di sezione è corrisposto, dal comune nel quale l'ufficio ha sede, un onorario fisso forfettario di euro 150, oltre al trattamento di missione. Mentre agli scrutatori ed al segretario dell'ufficio elettorale di sezione spetta un onorario fisso forfettario di euro 120 (comma 2).
È prevista una maggiorazione in caso di più consultazioni contemporanee: per ognuna di queste (sino alla quinta elezione), gli onorari di cui sopra sono maggiorati, rispettivamente, di euro 37 e di euro 25 (comma 3).
Al presidente ed ai componenti dei seggi speciale istituiti negli ospedali, case di cura e luoghi di detenzione, spetta un onorario fisso forfettario, quale che sia il numero delle consultazioni che hanno luogo nei medesimi giorni, rispettivamente di euro 90 e di euro 61 (comma 4).
Disposizioni specifiche sono previste per i referendum (comma 5) e per le elezioni europee (comma 6). Per quanto riguarda quest’ultime, gli onorari per i presidenti e i componenti di seggio degli uffici di sezione ordinari sono determinati, rispettivamente, in 120 ed in 96 euro, mentre quelli per i componenti dei seggi speciali in 72 e 49 euro.
Come riportato nella relazione tecnica, nel caso di contemporaneo svolgimento delle elezioni europee ed amministrative a giugno 2024 gli oneri finanziari sarebbero pari a circa 63 milioni, di cui quasi 13,5 per la spedizione delle cartoline avviso agli elettori all’estero, con un risparmio di spesa di 17,5 milioni rispetto ad elezioni separate. Ovviamente, in caso di abbinamento di elezioni regionali, il risparmio di spesa sarebbe ancora maggiore.
I limiti ai decreti-legge in materia elettorale
L'art. 15, co. 2, lett. b), della L. 400/1998 stabilisce che il Governo non può mediante decreto-legge provvedere nelle materie indicate nell'art. 72, quarto comma, della Costituzione. Fra queste ultime vi è ricompresa la materia elettorale.
A partire dalla VI legislatura si sono peraltro registrati diversi precedenti di interventi in materia elettorale con tale strumento normativo che, in ogni caso, hanno avuto ad oggetto prevalentemente aspetti del procedimento elettorale e non la disciplina del sistema elettorale in senso sostanziale. Anche dalla giurisprudenza costituzionale si ricava come il divieto di intervenire con decreto-legge in materia elettorale riguardi in modo particolare la determinazione della rappresentanza in base ai voti ottenuti e non riguardi la legislazione elettorale di contorno.
La Corte costituzionale, in particolare, per quanto concerne la delimitazione della materia elettorale, nella sentenza n. 104 del 1973 ha evidenziato come in tale materia “va ricompreso anche ciò che attiene alla organizzazione della funzione elettorale, ossia tutta quella normazione positiva riguardante lo svolgimento delle elezioni”. Successivamente, la Corte si è espressa sulla materia con la sentenza n. 161 del 1995, pronunciata nell’ambito di un giudizio su un conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato riguardante il decreto-legge n. 83 del 1995, in materia di parità di accesso ai mezzi di informazione durante le campagne referendarie; il conflitto era stato sollevato dai promotori di alcuni referendum, ad avviso dei quali il citato decreto-legge risultava “viziato “per cattivo uso del potere di cui all’art. 77 della Costituzione” essendo stato adottato, senza che ricorressero gli estremi della necessità e dell’urgenza, in materia referendaria, da ritenersi preclusa al decreto-legge”. La Corte, dopo aver riaffermato, in linea con la sentenza n. 29 del 1995, che spetta ad essa il sindacato sull’esistenza dei presupposti costituzionali ed aver rilevato che nel caso di specie “non ricorre quella ‘evidente mancanza’ dei requisiti di validità costituzionale relativi alla preesistenza di tali presupposti”, si è pronunciata sul “limite oggettivo che, rispetto alla decretazione d’urgenza, viene dedotto nel ricorso con riferimento alla materia referendaria”, rilevando “che tale limite non risulta desumibile, né direttamente né indirettamente, dalla disciplina costituzionale”.
“Il rilievo può valere – argomenta la Corte – anche per quanto concerne il divieto – desunto dall’art. 72, quarto comma, della Costituzione e richiamato dall’art. 15, secondo comma, lettera b), della legge 23 agosto 1988, n. 400 – relativo alla materia elettorale: e, invero, anche a voler ammettere, ai fini dell’operatività di detto limite rispetto al caso in esame, una piena equiparazione tra materia elettorale e materia referendaria, resterebbe pur sempre il fatto che il decreto in questione ha inteso porre una disciplina che non viene a toccare né il voto né il procedimento referendario in senso proprio, ma le modalità della campagna referendaria. La sfera regolata dal decreto-legge n. 83 del 1995, pur connessa alla materia referendaria – in quanto funzionalmente collegata all’applicazione dell’art. 75 della Costituzione – risulta, pertanto, distinta, nei suoi contenuti, da tale materia, il cui oggetto va identificato nel voto e nel procedimento referendario”.
La Corte ha in tale sede quindi fatto riferimento in modo particolare al “nucleo essenziale” della legge elettorale, principalmente quello che regola la determinazione della rappresentanza politica in base ai voti ottenuti, distinto dalla cosiddetta legislazione elettorale di contorno o dalla disciplina di aspetti di carattere procedimentale o organizzativo.
Articolo 1, comma 4-bis
(Differimento delle elezioni provinciali 2024)
L'articolo 1, comma 4-bis, introdotto nel corso dell'esame in sede referente, rinvia al 29 settembre 2024 le elezioni dei presidenti di provincia e dei consigli provinciali in scadenza nel 2024. La disposizione si applica esclusivamente alle province in cui il numero dei consigli comunali interessati al turno annuale elettorale sia tale da far superare la soglia del 50 per cento degli aventi diritto al voto dell’intera provincia. Conseguentemente, la durata del mandato degli organi provinciali è prorogata fino al loro rinnovo.
La disposizione deroga a quanto previsto dall'articolo 1, comma 79, lettera b), secondo periodo, della legge 56/2014, il quale dispone che le elezioni per il rinnovo degli organi provinciali siano differite al 45° giorno successivo all'ultima proclamazione degli eletti dei consigli comunali, per quelle province in cui i consigli comunali interessati al turno annuale elettorale siano tali da far superare la soglia del 50 per cento degli aventi diritto al voto.
La disposizione in esame sostituisce il termine mobile - e diverso da provincia a provincia - stabilito dalla legge in via ordinaria (45° giorno successivo all'ultima proclamazione degli eletti dei consigli comunali), con uno fisso e valido per tutte le province (29 settembre 2024), esclusivamente per le elezioni provinciali da tenersi nel 2024.
Nel caso in cui non si superi la soglia del 50 per cento, l'articolo 1, comma 79, lettera b), primo periodo, della citata legge 56/2014 dispone in via generale che le elezioni per il rinnovo degli organi provinciali siano indette entro 90 giorni dalla scadenza per fine del mandato ovvero dalla decadenza o scioglimento anticipato degli organi provinciali, termine differito, come si è visto sopra dal secondo periodo, in presenza delle condizioni citate.
Il sistema elettorale delle province è disciplinato dalla legge 56/2014, che è intervenuta in materia di riordino delle province e ha istituito le città metropolitane.
Gli organi della provincia sono il presidente della provincia, il consiglio provinciale e l'assemblea dei sindaci. Il presidente della provincia e il consiglio provinciale sono organi elettivi di secondo grado e vengono eletti dai sindaci e dai consiglieri dei comuni della provincia. Sono eleggibili i sindaci della provincia il cui mandato scada non prima di 18 mesi dalla data delle elezioni. Il presidente della provincia dura in carica quattro anni, mentre il consiglio provinciale due anni.
Hanno diritto di elettorato attivo e passivo i sindaci e i consiglieri dei comuni della provincia. La cessazione della carica comunale comporta la decadenza da consigliere provinciale.
Come anticipato sopra, per quanto concerne le scadenze elettorali, si prevede che le elezioni per il rinnovo degli organi provinciali sono indette entro 90 giorni dalla scadenza per fine del mandato ovvero dalla decadenza o scioglimento anticipato degli organi provinciali. Si dispone inoltre che i termini previsti per lo svolgimento delle elezioni provinciali, sono differiti al 45° giorno successivo all'ultima proclamazione degli eletti dei consigli comunali, ma solo per quelle province in cui i consigli comunali interessati al turno annuale elettorale siano tali da far superare la soglia del 50 per cento degli aventi diritto al voto (art. 1, comma 79, lett. b) della legge 56/2014).
Sulla corretta interpretazione e applicazione della disposizione da ultimo citata, oggetto di proroga da parte della disposizione in esame, la Conferenza Stato – Città ed autonomie locali, nella riunione dell’8 novembre 2023, ha deliberato un atto di orientamento condiviso con il Ministero dell’interno e con il Dipartimento per gli affari regionali e le autonomie locali della Presidenza del Consiglio.
In relazione alla questione della applicabilità della disposizione nelle sole ipotesi in cui la scadenza degli organi provinciali si verifichi nel medesimo anno solare in cui ha luogo il turno elettorale ordinario per un numero di comuni che comprendano la maggioranza degli aventi diritto al voto nelle elezioni provinciali, l’atto di orientamento rappresenta che il differimento riguarda tutte le province nelle quali il termine di 90 giorni per la convocazione e lo svolgimento delle elezioni per il rinnovo degli organi venga a scadere nel medesimo anno solare in cui si debbono tenere le elezioni comunali che interessino la metà più uno degli aventi diritto al voto nel procedimento elettorale di secondo grado.
Pertanto, sulla base dell’orientamento deliberato in Conferenza, le province che devono convocare e svolgere le elezioni dei consigli provinciali e dei presidenti di Provincia tra il mese di dicembre 2023 e i primi mesi del 2024, dovranno rinviare le elezioni a dopo il turno di elezioni comunali della prossima primavera se oltre il 50 per cento dei sindaci e dei consiglieri comunali giungono a scadenza nel 2024 e devono essere rinnovati con le elezioni degli organi di governo dei rispettivi comuni.
Complessivamente, sono 41 le province i cui organi consiliari saranno automaticamente prorogati poiché oltre il 50 per cento dei sindaci e dei consiglieri comunali del loro territorio giungono a scadenza nel 2024 e devono essere rinnovati con le elezioni degli organi di governo dei rispettivi comuni. Le altre 33 Province devono invece indire e svolgere le elezioni entro 90 giorni dalla scadenza degli organi.
Si ricorda che è all’esame della 1a Commissione del Senato la proposta di legge A.S. 57 ed abbinate in materia di funzioni fondamentali, organi di governo e sistema elettorale delle province e delle città metropolitane. Nel testo unificato proposto dalla relatrice si prevede il ripristino dell’elezione a suffragio universale e diretto degli organi della provincia e della città metropolitana.
Il Ministro per gli affari regionali e le autonomie ha confermato alla Camera che è intenzione della maggioranza parlamentare di reintrodurre l'elezione diretta dei presidenti e degli organi consiliari delle province, a suffragio universale, diretto, libero, segreto e paritario. Parimenti, il Ministro ha chiarito che il Governo è consapevole del fatto che, nel caso venga approvata tale riforma elettorale si “possa determinare la coesistenza di enti che svolgono funzioni corrispondenti ma che sono eletti in base a sistemi elettorali completamente diversi”, e che “è disponibile ad attuare gli indirizzi che le Camere vorranno eventualmente impartire al fine di adottare tutte le iniziative opportune […], anche mediante l'adozione di un provvedimento normativo che preveda il differimento delle elezioni per il rinnovo degli organi consiliari anche per quelle province che non rientrino nell'ambito applicativo del citato comma 79, lettera b) della legge n. 56 del 2014” (Camera dei deputati, I Commissione, Risposta all’interrogazione a risposta in commissione 5-01513, seduta del 28 novembre 2023).
Negli ultimi anni le elezioni provinciali sono state già oggetto di proroga ad opera di provvedimenti di urgenza.
Con il D.L. 91/2018 recante disposizioni in materia di proroga dei termini in materia di enti territoriali, è stato disposto che il mandato dei presidenti di provincia e dei consigli provinciali in scadenza tra il 26 luglio (entrata in vigore del decreto) e il 31 ottobre 2018 fosse prorogato fino a tale data, e si è previsto che le elezioni per il rinnovo degli organi provinciali in scadenza entro la data del 31 dicembre 2018 avessero luogo contestualmente il 31 ottobre 2018 (art. 1, comma 2).
Il D.L. 26/2020, in considerazione della situazione epidemiologica da COVID-19, ha previsto che le consultazioni elettorali provinciali previste nel 2020, si svolgessero entro 90 giorni dalle elezioni dei consigli comunali di cui all’art. 1, comma 79, lettera b) della L. 56/2014 (art. 1, comma 1, lett. d-bis). Tale termine è stato prorogato, prima al 31 marzo 2021 (D.L. 125/2020, art. 1, comma 4-quinquiesdecies) e poi a 60 giorni dalla data dell'ultima proclamazione degli eletti nei comuni della provincia che partecipano al turno annuale ordinario delle elezioni amministrative relative all'anno 2021 o, comunque, nel caso in cui nella provincia non si svolgano elezioni comunali, entro sessanta giorni dallo svolgimento del predetto turno di elezioni, mediante l'integrale rinnovo del relativo procedimento elettorale (D.L. 183/2020, art. 2, comma 4-bis).
Articolo 1-bis
(Disposizione in materia di Commissioni e Sottocommissioni elettorali circondariali)
La disposizione specifica che i funzionari statali, da nominare componenti aggiunti delle Commissioni e Sottocommissioni elettorali circondariali, possano essere sia in servizio sia a riposo.
L’articolo 1-bis – introdotto in sede referente – reca una puntuale disposizione, quale novella del primo periodo del comma 1 dell’articolo 1 del decreto-legge n. 37 del 2011.
La materia di cui si tratta è la composizione delle Commissioni e Sottocommissioni elettorali circondariali.
Più in particolare, la disposizione novellata prevede che, al fine di assicurare il quorum necessario al funzionamento delle Commissioni e Sottocommissioni elettorali circondariali, il prefetto designi al presidente della Corte d'appello (senza maggiori oneri per la finanza pubblica) funzionari statali da nominare componenti aggiunti.
I funzionari statali partecipano ai lavori in caso di assenza dei componenti titolari o supplenti (o nelle more dell'eventuale procedimento di loro decadenza).
Ebbene, la novella viene a specificare che tali funzionari statali siano “in servizio o a riposo”.
Le Commissioni elettorali circondariali trovano disciplina nel d.P.R. n. 223 del 1967, recante il Testo unico delle leggi per la disciplina dell'elettorato attivo e per la tenuta e la revisione delle liste elettorali.
In ogni Comune capoluogo di circondario giudiziario, dopo l'insediamento del Consiglio provinciale, è costituita, con decreto del presidente della Corte di appello, una Commissione elettorale circondariale presieduta dal prefetto (o da un suo delegato) e composta da quattro componenti effettivi e da quattro componenti supplenti, di cui uno effettivo ed uno supplente designati dal prefetto, e tre effettivi e tre supplenti designati dal Consiglio provinciale (art. 21).
Nei circondari che abbiano una popolazione superiore ai 50.000 abitanti possono essere costituite, su proposta del presidente della Commissione circondariale, Sottocommissioni elettorali, in proporzione di una per ogni 50.000 abitanti (o frazione di 50.000) (art. 25).
Ogni cittadino può ricorrere alla Commissione elettorale circondariale contro qualsiasi iscrizione, cancellazione, diniego di iscrizione od omissione di cancellazione negli elenchi proposti dalla Commissione comunale (art. 20).
Siffatti elenchi sono approvati semestralmente dalla medesima Commissione elettorale circondariale.
Pertanto tale organo si configura quale ‘seconda istanza’ e vaglio rispetto all’operato della Commissione elettorale comunale. La Commissione elettorale circondariale ne esamina le operazioni condotte ai fini della formazione delle liste elettorali, decide sui ricorsi avverso tali operazioni, approva gli elenchi degli elettori e, giunta la convocazione dei comizi elettorali, predispone l’elenco definitivo degli aventi diritto al voto (cfr. artt. 32-bis, 32-ter e 33).
Quanto alle Commissioni elettorali comunali, il Consiglio comunale, nella sua prima seduta, elegge (con voto limitato) tra i propri componenti la Commissione elettorale comunale, presieduta dal sindaco e composta da tre componenti effettivi e tre supplenti (art. 12). Essa provvede altresì alla tenuta e revisione dell'albo delle persone idonee all'ufficio di scrutatore di seggio elettorale, ed alla nomina degli scrutatori (così la legge n. 95 del 1989, all’articolo 6).
L'incarico di componente delle Commissioni elettorali comunali e delle Commissioni e Sottocommissioni elettorali circondariali è gratuito, ad eccezione delle spese di viaggio effettivamente sostenute (così la legge n. 244 del 2007, all’articolo 2, comma 30).
Articolo 1-ter
(Voto degli studenti ‘fuori sede’ nelle elezioni europee 2024)
L’articolo 1-ter introduce in via sperimentale una disciplina dell’esercizio del voto da parte degli studenti ‘fuori sede’, con riferimento alle elezioni europee del 2024.
Questo articolo – introdotto in sede referente – tratta la materia del voto degli elettori ‘fuori sede’, limitatamente al voto degli studenti per le elezioni europee del 2024.
È disciplina che si dichiara, a leggere l’intestazione dell’articolo, “sperimentale”.
Ad essere disciplinato è il voto – si è ricordato, per l’elezione nel 2024 dei membri del Parlamento europeo spettanti all’Italia – degli elettori che per motivi di studio si trovino ad avere un temporaneo domicilio per un periodo di almeno tre mesi in un Comune italiano situato in una Regione diversa da quella in cui si trova il Comune nelle cui liste elettorali siano iscritti.
Sono condizioni scandite dal comma 1. Si intende che i tre mesi siano lasso temporale nel quale si collochi la data di svolgimento della consultazione elettorale.
La previsione differenzia il caso in cui il temporaneo domicilio si situi in Comune diverso da quello di iscrizione elettorale ed in Regione diversa, ma entro la medesima circoscrizione elettorale, dal caso in cui il temporaneo domicilio si situi in circoscrizione elettorale altra.
Qualora sia medesima la circoscrizione elettorale, il voto è esercitabile nel Comune di temporaneo domicilio (comma 2).
Se invece sia diversa la circoscrizione elettorale, il voto è esercitabile nel Comune capoluogo della Regione in cui si trovi il Comune di temporaneo domicilio (comma 3). Il voto è esercitato in tal caso presso sezioni elettorali speciali, si intende per liste e candidati della circoscrizione di appartenenza dell’elettore.
Il territorio nazionale è, ai fini delle elezioni europee, suddiviso in cinque circoscrizioni, ciascuna delle quali raggruppa più Regioni: la circoscrizione Italia nord-occidentale (che comprende Valle d’Aosta, Piemonte, Liguria e Lombardia con capoluogo Milano); la circoscrizione Italia nord-orientale (che comprende Trentino-Alto Adige, Veneto, Friuli-Venezia Giulia ed Emilia-Romagna con capoluogo Venezia); la circoscrizione Italia centrale (che comprende Toscana, Umbria, Marche e Lazio con capoluogo Roma); la circoscrizione Italia meridionale (che comprende Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Basilicata e Calabria con capoluogo Napoli); la circoscrizione Italia insulare (che comprende Sicilia e Sardegna con capoluogo Palermo). Il complesso delle circoscrizioni forma il collegio unico nazionale.
Sulla base della tabella di assegnazione dei seggi alle circoscrizioni allegata al d.P.R. 22 marzo 2019 (emanato in occasione delle scorse elezioni europee), i 76 seggi spettanti all’Italia nel Parlamento europeo erano così ripartiti: 20 seggi alla circoscrizione Italia nord-occidentale; 15 seggi alla circoscrizione Italia nord-orientale; 15 seggi all’Italia centrale; 18 seggi all’Italia meridionale; 8 seggi all’Italia insulare.
L’elezione dei membri del Parlamento europeo spettanti all’Italia è disciplinata dalla legge n. 18 del 1979, che ha introdotto nell’ordinamento nazionale l’elezione a suffragio universale e diretto del Parlamento europeo.
L’articolo 2 della legge n. 18 del 1979 istituisce le sopra ricordate circoscrizioni elettorali (stabilite in composizione, numero e relativi capoluoghi dalla tabella A allegata alla legge). I seggi sono assegnati alle singole circoscrizioni (sulla base dei risultati del censimento generale della popolazione), con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro dell'interno, da emanarsi contemporaneamente al decreto di convocazione dei comizi.
La novella disciplina riguarda dunque, con riferimento alle elezioni europee del 2024, il voto di chi si trovi ‘fuori sede’ per motivi di studio.
Può ricordarsi come la relazione intitolata: “Per la partecipazione dei cittadini. Come ridurre l’astensionismo e agevolare il voto”, consegnata da una Commissioni di esperti istituita con decreto dell’allora Ministro per i rapporti con il Parlamento con delega alle riforme istituzionali, riportasse un dato (riferito al 2018) di circa 591.000 studenti elettori ‘fuori sede’ (su un totale di circa 4,9 milioni di elettori svolgenti la propria attività lavorativa o di studio in luoghi diversi dalla Provincia o Città metropolitana di residenza).
L’esercizio del voto ‘fuori sede’ è su domanda. Essa può essere presentata – prevede il comma 4 – secondo una triplice modalità: personalmente, tramite persona delegata o “mediante l'utilizzo di strumenti telematici”. Essa deve essere indirizzata al Comune nelle cui liste elettorali si sia iscritti, almeno trentacinque giorni prima della data di svolgimento della consultazione elettorale (ed è revocabile, con le stesse modalità, entro il venticinquesimo giorno antecedente la medesima data).
La domanda deve contenere allegata la certificazione o altra documentazione attestante l'iscrizione presso un'istituzione scolastica, universitaria o formativa (oltre alla copia di un documento di riconoscimento in corso di validità e della tessera elettorale personale, ed all’indirizzo completo di temporaneo domicilio e, ove possibile, un recapito di posta elettronica; così il comma 5).
La presentazione della domanda di esercizio ‘fuori sede’ del voto innesca alcuni adempimenti da parte delle amministrazioni comunali.
Il Comune di residenza, il quale riceve la domanda, verifica il possesso da parte dell'elettore fuori sede del diritto di elettorato attivo, entro il ventesimo giorno antecedente la data della consultazione, e ne dà notizia al Comune ‘ricevente’ l’elettore: ossia, si è sopra ricordato, il Comune di temporaneo domicilio, se questo ricada nella medesima circoscrizione elettorale del Comune di residenza; il Comune capoluogo della Regione in cui è situato il Comune di temporaneo domicilio, se questo ricada in circoscrizione elettorale diverse da quella del Comune di residenza.
Inoltre – prosegue il comma 6 – l'ufficiale elettorale del Comune di residenza annota nella lista sezionale nella quale è iscritto l'elettore fuori sede, che quest'ultimo eserciterà il voto per le elezioni europee in altro Comune.
Il Comune ‘ricevente’ l’elettore – dunque quello di temporaneo domicilio oppure il capoluogo della Regione, a seconda che medesima o diversa sia la circoscrizione elettorale – rilascia all'elettore fuori sede, anche mediante l'utilizzo di strumenti telematici, un'attestazione di ammissione al voto, con l'indicazione del numero e dell'indirizzo della sezione presso cui votare (comma 7). Tale attestazione deve essere prodotta dall’elettore al momento del voto ‘fuori sede’, oltre beninteso al documento di riconoscimento ed alla tessera elettorale (così il comma 12).
Specifiche disposizioni concernono le sezioni elettorali speciali, istituite in ogni capoluogo di Regione. In esse vota lo studente ‘fuori sede’ (che ne abbia fatto domanda) nel caso di un cui il Comune di temporaneo domicilia sia ubicato in circoscrizione elettorale diversa da quella del Comune di residenza nelle cui liste elettorali egli sia iscritto.
Ebbene, le sezioni elettorali speciali sono istituite in ogni capoluogo di Regione nel numero di una sezione elettorale per ogni 800 elettori (o frazione di essi) ammessi al voto. Sono aggregati nella stessa sezione (ove possibile) gli elettori della medesima circoscrizione elettorale (comma 8).
I nominativi degli elettori ammessi al voto in ogni sezione elettorale speciale sono annotati nell'apposita lista elettorale sezionale predisposta dal Comune capoluogo di Regione. Tale lista riceve il visto della competente Commissione elettorale circondariale[1] (comma 9).
Fatto salvo un generale rinvio al Testo unico delle leggi per le elezioni della Camera dei deputati, vale a dire il d.P.R. n. 361 del 1957, in ordine alla composizione, costituzione e funzionamento delle sezioni elettorali speciali, il comma 10 specifica che il presidente della sezione elettorale speciale è nominato dal sindaco del Comune capoluogo di Regione preferibilmente tra gli iscritti all'albo delle persone idonee tenuto presso la cancelleria della competente Corte d'appello. I componenti sono nominati dallo stesso sindaco preferibilmente tra gli iscritti all'albo delle persone idonee all'ufficio di scrutatore elettorale tenuto dal Comune capoluogo di regione compresi nella graduatoria degli scrutatori ‘ulteriori’[2].
Peraltro “ove necessario” il sindaco nomina il presidente e gli altri componenti di seggio anche tra gli studenti elettori che hanno presentato istanza di voto fuori sede.
Quanto al segretario, è nominato dal presidente della sezione elettorale speciale tra gli iscritti nelle liste elettorali del Comune capoluogo di regione o tra gli elettori che hanno presentato istanza di voto fuori sede.
Aggiunge il comma 11 che presso ogni sezione elettorale speciale è collocata un'urna per la votazione per ciascuna delle circoscrizioni elettorali di appartenenza degli elettori fuori sede assegnati alla sezione.
Per quanto concerne la concreta modalità di esercizio del voto, dispone il comma 13 che l’elettore fuori sede riceva dal presidente della sezione elettorale speciale la scheda, predisposta dal Ministero dell'interno e stampata in sede locale, relativa alla circoscrizione elettorale alla quale appartiene il Comune nelle cui liste elettorali l'elettore sia iscritto.
Una volta votata, la scheda è restituita al presidente, il quale la introduce nell'urna relativa alla circoscrizione elettorale di appartenenza dell'elettore.
Le operazioni di voto presso le sezioni elettorali speciali si svolgono contemporaneamente alle operazioni di voto presso le sezioni elettorali ordinarie del territorio nazionale (comma 14).
Le operazioni di scrutinio presso le sezioni elettorali speciali si svolgono subito dopo la chiusura delle operazioni di voto e l'accertamento del numero dei votanti per ciascuna circoscrizione elettorale, procedendo secondo l'ordine numerico delle circoscrizioni elettorali di cui alla Tabella A allegata alla legge n. 18 del 1979 (comma 15).
La sezione elettorale speciale – aggiunge il comma 16 – ultimate le operazioni di voto e quelle di scrutinio, forma i plichi contenenti gli atti relativi a tali operazioni e li rimette all'Ufficio elettorale provinciale, costituito presso il tribunale nel Comune capoluogo di regione[3].
L’Ufficio elettorale provinciale completa, ove necessario ed in via surrogatoria, le operazioni di scrutinio che la sezione elettorale speciale non abbia potuto ultimare per cause di forza maggiore. E riesamina le schede contenenti voti contestati e provvisoriamente non assegnati dalla sezione elettorale speciale. Indi procede, per ciascuna circoscrizione elettorale, al riepilogo dei voti di lista e dei voti di preferenza (comma 17).
Ancora l’Ufficio elettorale provinciale – prevede il comma 18 – ultimate le operazioni di sua competenza e la relativa verbalizzazione, forma un estratto del proprio verbale, con la certificazione dei risultati complessivi dello scrutinio per ogni circoscrizione elettorale. Tale estratto del verbale è immediatamente oggetto di trasmissione per via telematica al competente Ufficio elettorale circoscrizionale[4].
Specifica il comma 19 che se le schede votate presso una sezione elettorale speciale dagli elettori di una medesima circoscrizione elettorale siano inferiori a cinque, esse sono immesse dal presidente della sezione (previa annotazione a verbale con indicazione anche del loro numero) nella corrispondente urna di altra sezione, se costituita.
Ove il numero delle schede di una circoscrizione rimanga comunque inferiore a cinque, le schede stesse, senza essere aperte, vengono racchiuse in un plico sigillato ed inviate all'Ufficio elettorale circoscrizionale costituito presso la Corte di appello del capoluogo della predetta circoscrizione elettorale.
L'Ufficio elettorale circoscrizionale, dopo avere riunito i plichi provenienti dalle sezioni elettorali speciali, procede allo scrutinio delle schede ivi contenute.
Il comma 20 aggiunge, per quanto non specificamente disciplinato dalle disposizioni sopra sunteggiate, un generale rinvio alla disciplina del Testo unico per l’elezione della Camera dei deputati nonché alla legge n. 18 del 1979 per l’elezione dei membri del Parlamento europeo spettanti all’Italia.
Ai sensi del comma 21, gli studenti elettori che esercitino il voto ‘fuori sede’ (non già nel Comune di temporaneo domicilio bensì) nel Comune capoluogo di Regione, hanno diritto alle vigenti agevolazioni di viaggio, dal Comune di temporaneo domicilio al capoluogo di Regione e ritorno, per l'esercizio del diritto di voto presso la sezione elettorale speciale di assegnazione.
Il comma 22 quantifica gli oneri derivanti dall’istituzioni delle sezioni elettorali speciali presso ogni capoluogo di Regione.
Sono pari a 614,149 euro, per l’anno 2024.
La correlativa copertura è attinta dal Fondo da ripartire per fronteggiare le spese derivanti dalle elezioni politiche, amministrative, del Parlamento europeo e dell'attuazione dei referendum, iscritto nello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze.
Il tema dell’esercizio di voto da parte degli elettori ‘fuori sede’ non richiede qui particolari approfondimenti, in quanto già dibattuto ampiamente in sede parlamentare, presso la Camera dei deputati nella scorsa legislatura e nell’attuale, tanto che essa è giunta all’approvazione di un disegno di legge, trasmesso al Senato e qui preso in esame (referente) dalla Commissione Affari costituzionali – quale A.S. n. 787 – insieme con diversi altri disegni di legge d’iniziativa parlamentare. Si rinvia pertanto alla Nota breve n. 46 del Servizio Studi del Senato: Voto degli elettori ‘fuori sede’.
Articolo 2
(Disposizioni urgenti in materia di revisione delle anagrafi della popolazione residente e di determinazione della popolazione legale)
Il comma 1 dell’articolo 2 modifica le norme della legge di bilancio 2018 concernenti l’attività dell’ISTAT in merito al censimento permanente della popolazione e delle abitazioni (articolo 1, commi da 227 a 237), al fine di integrare le disposizioni sull’aggiornamento delle anagrafi comunali (lett. a); disciplinare le modalità di diffusione e comunicazione dei risultati del censimento permanente per determinare l’ammontare della popolazione (lett. b); introdurre una diversa definizione e tempistica in relazione al dato della popolazione da utilizzare nei procedimenti elettorali e referendari (lett. c).
Il comma 2 rinvia ad un regolamento da emanare entro 6 mesi dall’entrata in vigore del decreto legge in esame, al fine di adeguare il vigente regolamento anagrafico della popolazione residente (D.P.R. n. 223 del 1989) all’introduzione del censimento permanente della popolazione e delle abitazioni e all’evoluzione delle tecniche e delle fonti informative disponibili.
Aggiornamento dell’anagrafe comunale
La lettera a) interviene nel comma 233 della legge n. 205 del 2017 (l. di bilancio per il 2018), concernente le modalità di restituzione ai comuni dei dati raccolti dall’ISTAT nell’ambito del censimento. La suddetta norma stabilisce che l’ISTAT d’intesa con il Ministero dell’interno definisce, tramite il Piano generale del censimento permanente, le circolari e le istruzioni tecniche, le modalità di trasmissione dei dati in forma aggregata ai comuni ai fini dell’aggiornamento delle anagrafi della popolazione residente.
Si rammenta che la tenuta e l’aggiornamento dell’anagrafe della popolazione residente è disciplinata dal Regolamento anagrafico della popolazione residente, adottato con d.P.R. n. 223 del 1989, in particolare l’articolo 46 disciplina le revisioni da effettuarsi in occasione dei censimenti e altri adempimenti statistici. Secondo quanto stabilito dal comma 2 dell’articolo in esame, il regolamento deve essere adeguato alle innovazioni conseguenti il censimento permanente.
La lettera a) in esame integra la disposizione sopra illustrata aggiungendo la dicitura “e in forma individuale”, in maniera tale che i dati raccolti dall’ISTAT dovranno essere trasmessi ai comuni anche in forma individuale, sempre secondo le specifiche definite nel Piano generale del censimento permanente, nelle circolari e nelle istruzioni tecniche.
Nel Piano generale di censimento-2022 (PGC), approvato nel marzo 2022[5], il capitolo 7 è dedicato alla revisione delle anagrafi comunali, secondo cui i dati che l’Istat restituisce in forma aggregata ai comuni, sono inerenti le variabili di rilevazione, elencate nell’allegato C al PGC, e riguardano le informazioni su alloggi, edifici, diponibilità di auto e posto auto e le informazioni individuali per singolo cittadino.
La correzione apportata dalla norma in esame, che prevede la comunicazione ai comuni dei dati anche ‘in forma individuale’, è tale da consentire ai comuni, come illustrato nella relazione che accompagna il disegno di legge, di effettuare in maniera completa la revisione qualitativa delle anagrafi, in modo tale che i dati della popolazione risultanti dal censimento e i dati della popolazione risultanti dalle anagrafi possano essere allineati.
Diffusione e pubblicazione dei dati del censimento permanente
La lettera b) sostituisce interamente il comma 236 della legge n. 205 del 2017, che definisce la popolazione legale e la lettera c) inserisce i commi 236-bis e 236-ter concernenti la pubblicazione dei dati censuari da utilizzare nelle procedure elettorali e referendari.
In merito al censimento permanente e alla popolazione legale si rammenta che, fino al 2018, in Italia, il censimento generale della popolazione e delle abitazioni è consistito in una rilevazione decennale effettuata dall’Istat, l’ultima delle quali è stata eseguita nel 2011[6].
La legge di bilancio per il 2018 (legge 205 del 2017, commi 227-237) ha previsto, invece, che a partire dal medesimo anno, l’Istat proceda ad effettuare il censimento permanente della popolazione e delle abitazioni (comma 227), che come specificato dalla norma stessa, è basato sull’utilizzo integrato di fonti amministrative e di altre fonti di dati utili a fini censuari e sullo svolgimento di rilevazioni periodiche. La legge stabilisce inoltre che gli enti, le amministrazioni e gli organismi titolari delle basi di dati elencati nella norma stessa sono tenuti a metterle a disposizione dell'ISTAT (comma 228).
Le operazioni necessarie per lo svolgimento dei censimenti permanenti sono disciplinate dai Piani generali di censimento, che stabiliscono in particolare la data di riferimento dei dati, gli obiettivi, il campo di osservazione, le metodologie di indagine e le modalità di organizzazione ed esecuzione delle operazioni censuarie, i compiti e gli adempimenti cui sono tenuti gli organi intermedi di rilevazione, nonché le modalità di svolgimento delle procedure sanzionatorie per mancata o erronea risposta (comma 232).
La medesima legge di bilancio 2018, al comma 236, ha poi stabilito che la popolazione legale è determinata con decreto del Presidente della Repubblica, sulla base dei risultati del censimento permanente della popolazione e delle abitazioni, secondo la metodologia e la cadenza temporale indicate nel Piano generale di censimento. Il Piano generale di censimento[7] che il Consiglio dell’ISTAT ha adottato nel marzo 2018, a seguito del parere reso dal Ministero dell’economia e delle finanze e dell’intesa raggiunta in sede di Conferenza unificata, ha stabilito che il medesimo Istituto fornisse i risultati del censimento permanente della popolazione e delle abitazioni finalizzati a determinare la popolazione legale del Paese, assumendo come riferimento temporale l’anno 2021. In tal modo è stata confermata, di fatto, la cadenza decennale della determinazione della popolazione legale della Repubblica.
Nell’ultimo Piano generale di censimento-2022, approvato nel marzo 2022[8], in relazione alla popolazione legale viene specificato che in assenza di modifiche normative, la cadenza annuale o pluriennale di pubblicazione della popolazione legale viene determinata sulla base di un’integrazione al Piano generale stesso.
Il testo del comma 236 proposto dalla norma in esame stabilisce che l’ISTAT pubblica annualmente, nel proprio sito internet istituzionale, i dati relativi al conteggio della popolazione a livello regionale, provinciale e comunale e i risultati del censimento permanente della popolazione riferiti all’anno precedente, insieme alla metodologia di calcolo. La norma specifica inoltre che i dati pubblicati nel sito internet sono presi a riferimento ai fini dell'applicazione delle disposizioni di legge e di regolamento che rinviano all’ammontare della popolazione.
L’ultimo periodo precisa che l’ISTAT svolge le suddette attività senza ulteriori oneri per la finanza pubblica, con le risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente.
I commi 236-bis e 236-ter introdotti dal decreto legge in esame lettera c) riguardano i risultati del censimento permanente della popolazione da considerare ai fini dell’applicazione delle norme in materia elettorale e referendaria.
Il comma 236-bis stabilisce che, ai soli fini dell’applicazione delle norme in materia elettorale e referendaria, con decreto del Presidente della Repubblica, emanato con cadenza quinquennale, e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana, sono riportati i risultati del censimento permanente della popolazione a livello comunale.
Il comma 236-ter stabilisce che per i prossimi 5 anni dall’entrata in vigore del decreto legge in esame, la popolazione ai fini delle norme in materia elettorale e referendaria è determinata dal decreto del Presidente della Repubblica 20 gennaio 2023, pubblicato nel Supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 53 del 3 marzo 2023, recante i risultati del censimento permanente riferito all’anno 2021.
La definizione di popolazione legale, pertanto, non è più presente nel testo della legge; al suo posto vi sono due definizioni:
§ i risultati del censimento permanente della popolazione riferiti all’anno precedente, pubblicati annualmente dall’ISTAT sul sito internet sono presi a riferimento ogni qual volta nelle disposizioni di legge vi siano riferimenti all’ammontare della popolazione (comma 236, come modificato);
§ «ai fini dell’applicazione delle norme in materia di procedimenti elettorali e referendari» l’ammontare della popolazione censuaria da prendere in considerazione è indicato con un apposito decreto del Presidente della Repubblica, emanato con cadenza quinquennale e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale (comma 236-bis).
Si segnala in proposito che la rubrica dell’articolo in esame reca la dicitura «popolazione legale», mentre nel testo della norma, come illustrato sopra, tale dicitura non è più presente.
In merito ai procedimenti elettorali, il dato della popolazione residente è utilizzato principalmente per due scopi:
1. ripartire il numero complessivo dei seggi di cui è composto un organo nelle circoscrizioni, costituite ai fini dell’elezione dello stesso, in proporzione alla popolazione;
2. individuare soglie di popolazione e definire classi demografiche al fine di differenziare la normativa.
Ripartizione dei seggi nelle circoscrizioni
§ Per la Camera dei deputati e per il Senato della Repubblica, gli articoli 56 e 57 della Costituzione prescrivono che la ripartizione rispettivamente di 392 e 196 seggi si effettua in proporzione alla popolazione «sulla base dell’ultimo censimento generale della popolazione». La norma è ripresa dai rispettivi testi unici (D.P.R. n. 361 del 1957, articoli 1 e 3 e D.lgs. n. 533 del 1993, articolo 1) che stabiliscono altresì la ripartizione del totale dei collegi uninominali nelle suddette circoscrizioni e la determinazione del numero complessivo di seggi da attribuire in ciascuna circoscrizione nei collegi plurinominali; è inoltre specificato che le disposizioni sono attuate «sulla base dei risultati dell'ultimo censimento generale della popolazione, riportati dalla più recente pubblicazione ufficiale dell'Istituto nazionale di statistica» con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro dell'interno, da emanare contestualmente al decreto di convocazione dei comizi;
§ identica espressione è utilizzata nella legge n. 18 del 1979, all’articolo 2, in relazione all’elezione dei rappresentanti italiani al Parlamento europeo, per la ripartizione dei 76 seggi spettanti all’Italia nelle 5 circoscrizioni in proporzione alla popolazione; anche nel caso delle elezioni europee la ripartizione è effettuata con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro dell'interno, da emanare contestualmente al decreto di convocazione dei comizi;
§ per le elezioni del consiglio regionale e del Presidente della Regione, secondo le disposizioni recate dalla normativa regionale.
Le soglie di popolazione rilevano ai fini di determinare:
§ il sistema di elezione dei consigli comunali; la legge disciplina infatti per i comuni con popolazione inferiore ai 15.000 abitanti, un sistema elettorale integralmente maggioritario e votazione in un unico turno, mentre se la popolazione del comune è pari o superiore a 15.000 abitanti, il consiglio è eletto con sistema proporzionale, correzione maggioritaria ed eventuale doppio turno di votazione; in entrambi i casi l’elezione del sindaco è contestuale a quella del consiglio comunale (D. Lgs. n. 267 del 2000, artt. 71, 72 e 73); si segnala in proposito l’articolo 3 del decreto legge in esame che estende il sistema proporzionale con correzione maggioritaria ai comuni capoluoghi di provincia, indipendentemente dalla dimensione demografica;
§ la soglia dei 15.000 abitanti è rivelante anche per la disciplina inerente la nomina degli assessori da parte del sindaco e la disciplina delle incompatibilità (D. Lgs. n. 267 del 2000, artt. 47 e 64);
§ il divieto del terzo mandato consecutivo per i sindaci dei comuni superiori alla soglia dei 5.000 abitanti e il divieto del quarto mandato consecutivo per sindaci dei comuni con popolazione inferiore a tale soglia; il divieto è stabilito dal testo unico degli enti locali (D. Lgs. n. 267 del 2000, art. 51, comma 2), norma che l’articolo 4 del decreto legge in esame modifica al fine di aumentare a 15.000 abitanti la soglia superata la quale scatta il divieto del terzo mandato consecutivo e di sopprimere i limiti per i mandati dei sindaci dei comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti (vedi infra);
§ la causa di ineleggibilità alla carica di deputato o senatore per i sindaci dei comuni con popolazione superiore ai 20.000 abitanti (D.P.R. n. 361 del 1957 e D.lgs. 533 del 1993, art. 5).
La legge, inoltre, stabilisce classi demografiche per i comuni, ai fini dell’applicazione delle procedure e formalità relative alle candidature e alla elezione degli organi di governo degli stessi. In particolare l’appartenenza del comune ad una classe demografica è rilevante per:
§ il numero di componenti del consiglio comunale (D. Lgs. n. 267 del 2000, art. 37 e D.L. n. 138 del 2000, art. 16, comma 17, modificato dalla legge n. 56 del 2014, art. 1, co. 135) e, conseguentemente, per la composizione delle liste di candidati alla carica di consigliere regionale, compreso le norme sulla parità di genere (D. Lgs. n. 267 del 2000, art. 71, commi 3, 3-bis e art. 73 comma 1);
§ il numero di sottoscrizioni necessarie alla presentazione delle liste di candidati al consiglio comunale e delle collegate candidature alla carica di sindaco (legge n. 81 del 1993, art. 3);
§ il numero massimo di componenti della giunta comunale, fissato ora ad un quarto del numero dei consiglieri del comune per i comuni oltre i 10.000 abitanti (legge n. 191 del 2009, art. 2, co. 185) e stabilito in numero di 2 per i comuni fino a 3000 abitanti e in numero di 4 per quelli tra i 3.000 e i 10.000 abitanti (D.L. n. 138 del 2000, art. 16, comma 17, modificato dalla legge n. 56 del 2014, art. 1, co. 135).
I procedimenti referendari per i quali rileva l’ammontare della popolazione, sono quelli previsti dall’articolo 132 della Costituzione che riguardano le modifiche territoriali delle regioni. Nello specifico, la richiesta di referendum, in caso di modifiche territoriali delle regioni, deve essere corredata delle deliberazioni, identiche nell’oggetto, di tanti consigli comunali che rappresentino almeno un terzo della popolazione complessiva delle regioni interessate sia che si tratti di fusione di regioni, sia che si tratti di distacco da una regione, di una o più province ovvero di uno o più comuni. In questo caso oltre le deliberazioni dei consigli provinciali o comunali di cui si chiede il distacco, sono richieste le deliberazioni di tanti consigli provinciali o di tanti consigli comunali che rappresentino almeno un terzo della popolazione della regione alla quale si chiede che siano aggregati, o della regione da cui si chiede il distacco nel caso sia diretto alla creazione di una regione a sé stante (legge n. 352 del 1970, articolo 42).
Aggiornamento del regolamento anagrafico
Il comma 2 dell’articolo 2 in esame dispone l’adozione di un regolamento governativo al fine di aggiornare il «Regolamento anagrafico della popolazione residente» adottato con decreto del Presidente della Repubblica n. 223 del 1989, alle innovazioni conseguenti all’introduzione del censimento permanente e all’evoluzione delle tecniche e delle fonti informative disponibili.
Il regolamento è adottato entro sei mesi dall’entrata in vigore del decreto legge, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri, di concerto con i Ministri dell’interno, della giustizia e dell’economia e delle finanze, sentito l’ISTAT. la norma specifica che il nuovo regolamento deve tener conto dell’Anagrafe nazionale della popolazione residente e della digitalizzazione dei servizi anagrafici.
Il regolamento adottato con il d.P.R. n. 223 del 1989 disciplina le modalità di gestione e gli adempimenti connessi alla tenuta dell’anagrafe della popolazione residente quali la registrazione anagrafica, le iscrizioni, mutazioni e cancellazioni anagrafiche, nonché la formazione ed ordinamento delle schede anagrafiche della popolazione residente e degli italiani residenti all'estero. Il regolamento disciplina altresì gli adempimenti topografici ed ecografici e le revisioni da effettuarsi in occasione dei censimenti ed altri adempimenti statistici. Con le modifiche apportate con il d.P.R. n. 126 del 2015, il regolamento è stato adeguato alla disciplina istitutiva dell'anagrafe nazionale della popolazione residente.
Articolo 2-bis
(Registrazione di simboli politici come marchio d’impresa)
L’articolo 2-bis dispone l’irrilevanza ai fini della disciplina elettorale, della registrazione come marchio d’impresa di simboli utilizzati in campo politico.
L’articolo 2-bis, introdotto in sede referente, prevede che la registrazione come marchio d’impresa di simboli o emblemi usati in campo politico, o di marchi comunque contenenti parole, figure o segni con significazione politica, non rileva ai fini della disciplina elettorale, ed in particolare ai fini della disciplina del deposito dei contrassegni e delle liste nonché della propaganda elettorale.
Il simbolo rappresenta il principale segno distintivo attraverso il quale il partito o gruppo politico esprime la propria identità e viene reso riconoscibile dall’elettorato.
In quanto segno distintivo, il simbolo o contrassegno politico assume rilievo sia nell’ambito della disciplina elettorale sia, sotto certi profili, in quello della disciplina a tutela della proprietà industriale.
La disposizione in esame ‘legifica’ e positivizza l’orientamento, già diffuso in dottrina e in giurisprudenza, che le due discipline debbano mantenersi distinte quanto ad ambito di applicabilità.
La normativa elettorale relativa al deposito dei contrassegni è contenuta nel d.P.R 30 marzo 1957, n. 361, recante il Testo unico delle leggi recanti norme per la elezione della Camera dei deputati.
Di seguito gli articoli rilevanti in materia di simbolo:
Art. 14: I partiti o i gruppi politici organizzati, che intendono presentare liste di candidati, debbono depositare presso il Ministero dell'interno il contrassegno col quale dichiarano di volere distinguere le liste medesime. Non è ammessa la presentazione di contrassegni identici o confondibili con quelli presentati in precedenza ovvero con quelli riproducenti simboli, elementi e diciture, o solo alcuni di essi, usati tradizionalmente da altri partiti. Non è ammessa, altresì, la presentazione di contrassegni effettuata con il solo scopo di precludere surrettiziamente l'uso ad altri soggetti politici interessati a farvi ricorso.
Non è ammessa inoltre la presentazione da parte di altri partiti o gruppi politici di contrassegni riproducenti simboli o elementi caratterizzanti simboli che per essere usati tradizionalmente da partiti presenti in Parlamento possono trarre in errore l'elettore.
Art. 15: Il deposito del contrassegno di cui all'articolo 14 deve essere effettuato non prima delle ore 8 del 44° e non oltre le ore 16 del 42° giorno antecedente quello della votazione, da persona munita di mandato, autenticato da notaio, da parte del presidente o del segretario del partito o del gruppo politico organizzato.
Art. 16: Qualora i partiti o gruppi politici presentino un contrassegno che non sia conforme alle norme di cui all'art. 14, il Ministero dell'interno invita il depositante a sostituirlo nel termine di 48 ore dalla notifica dell'avviso. Sono sottoposte all'Ufficio centrale nazionale le opposizioni presentate dal depositante avverso l'invito del Ministero a sostituire il proprio contrassegno o dai depositanti di altro contrassegno avverso l'accettazione di contrassegno che ritengano facilmente confondibile: a quest'ultimo effetto, tutti i contrassegni depositati possono essere in qualsiasi momento presi in visione da chi abbia presentato un contrassegno a norma degli articoli precedenti. Sono altresì sottoposte all'Ufficio centrale nazionale le opposizioni presentate dal depositante avverso l'invito del Ministero ad integrare la dichiarazione che individua gli elementi minimi di trasparenza di cui all'articolo 14, primo comma.
Le opposizioni devono essere presentate al Ministero dell'interno entro 48 ore dalla sua decisione e, nello stesso termine, devono essere notificate ai depositanti delle liste che vi abbiano interesse. Il Ministero trasmette agli atti all'Ufficio centrale nazionale, che decide entro le successive 48 ore, dopo aver sentito i depositanti delle liste che vi abbiano interesse.
Alla disciplina contenuta in tali articoli fanno rinvio il decreto legislativo n. 533 del 1993 (Testo unico delle leggi recanti norme per l'elezione del Senato della Repubblica) e la legge n. 18 del 1979 (Elezione dei membri del Parlamento europeo spettanti all'Italia). La disciplina del simbolo nelle elezioni comunali è, invece, contenuta nel d.P.R. n. 132 del 1993.
La normativa speciale vigente in materia elettorale nulla dispone in punto di disciplina dell'utilizzo e tutela dei segni distintivi di partito, se non riguardo al momento della presentazione delle candidature e delle liste (cfr. art. 14 d.P.R. n. 361 del 1957). Nella materia, la giurisprudenza amministrativa si è formata sotto il profilo della tutela di tali segni distintivi, intesi quali insieme di elementi grafici essenziali in cui si riassume la configurazione identitaria del partito, nonché la sua capacità di rendersi riconoscibile agli elettori. A titolo esemplificativo, si veda il Parere del Consiglio di Stato n. 281 del 19 febbraio 1992 in tema di confondibilità dei contrassegni elettorali.
Ad ogni modo, la tutela dell’identità delle formazioni politiche, espressa nelle denominazioni e nei relativi segni distintivi, trova il suo fondamento costituzionale negli articoli. 2, 21 e 49 della Costituzione, e si traduce nella facoltà di richiedere la cessazione di eventuali condotte di usurpazione e indebita assunzione di tali segni, al fine di evitare, proprio in relazione al dibattito politico, che si crei confusione sugli elementi che individuano i partiti quali centri autonomi di espressione di idee e di azioni.
Ai fini dell’ulteriore rafforzamento della tutela del simbolo del partito politico, negli anni è emersa la pratica della richiesta di registrazione del simbolo come marchio all’Ufficio italiano brevetti e marchi (UIBM), costituito presso il Ministero delle imprese e del Made in Italy, ai sensi della disciplina dettata dal Codice della proprietà industriale (decreto legislativo n. 30 del 2005).
La disciplina relativa alla registrazione come marchio di impresa di simboli o emblemi di significazione politica è contenuta nel decreto legislativo n. 30 del 2005 (Codice della proprietà industriale), in particolare agli articoli 8 e 10.
Art. 8, comma 3: Se notori, possono essere registrati o usati come marchio solo dall'avente diritto, o con il consenso di questi, o dei soggetti di cui al comma 1: i nomi di persona, i segni usati in campo artistico, letterario, scientifico, politico o sportivo, le immagini che riproducono trofei, le denominazioni e sigle di manifestazioni e quelli di enti ed associazioni non aventi finalità economiche, nonché gli emblemi caratteristici di questi.
Art. 10: I segni contenenti simboli, emblemi e stemmi che rivestano un interesse pubblico non possono essere registrati come marchi senza l’autorizzazione dell’autorità competente. Per i marchi contenenti parole, figure o segni con significazione politica o valore simbolico, l’Ufficio italiano brevetti e marchi, prima della registrazione, chiede avviso all’amministrazione pubblica interessata o competente. Se quest’ultima esprime avviso contrario alla registrazione, l’ufficio brevetti respinge la domanda.
Invero non mancano in dottrina circa la funzionalità della registrazione del simbolo politico come marchio, per due ordini di ragioni.
In primo luogo, riguardo all’attività politica dei partiti, la disciplina prevista dalle regole in materia elettorale sul deposito del contrassegno prevale sulla disciplina applicabile ai segni distintivi registrati come marchio nell’ambito del diritto commerciale. La titolarità civile di un emblema non si sovrappone alla sua titolarità elettorale, e non offre tutela nell’ambito dell’uso politico dei simboli. In tal senso si veda la sentenza n. 19113 del 2009 del Tribunale di Roma, sez. III Civile, secondo la quale la registrazione del simbolo di partito come marchio – tentata dalla “nuova” Democrazia cristiana, ma respinta dall’Ufficio italiano brevetti e marchi – potesse avere effetti nel caso in discussione, sia perché il simbolo non è un marchio di impresa, sia perché la (richiesta di) registrazione non comporta il diritto all’uso di denominazione ed emblema, che nel caso di specie mancava alla radice.
Tuttavia, la tutela giuridica derivante dalla registrazione del marchio continua a rilevare quando il partito politico svolga attività di carattere commerciale.
In secondo luogo, la tutela del segno distintivo è già assicurata dal riconoscimento dei diritti della personalità in capo alle associazioni giuridiche non riconosciute.
Rimane, infatti, comunque esperibile un doppio binario di tutela contro l’uso indebito del simbolo politico da parte di soggetti che non ne abbiano titolo, costituito da un lato dalla disciplina elettorale in tema di deposito dei contrassegni, e dall’altro, dalla disciplina civilistica in tema di tutela dei diritti della personalità, ed in primis del diritto al nome ex artt. 6 e 7 del codice civile.
Fin dagli anni Settanta, infatti, la giurisprudenza ha esteso anche alle associazioni non riconosciute alcuni diritti tipici delle persone giuridiche, con la conseguente possibilità di ricondurre il simbolo del partito nell’ambito della tutela dei diritti della personalità e del diritto al nome, in quanto strumento attraverso il quale il partito viene individuato dal pubblico.
Il riconoscimento alle associazioni non riconosciute del godimento dei diritti della personalità si traduce nella possibilità di chiedere la cessazione dei fatti di usurpazione (ossia, di indebita assunzione di nomi e denominazioni altrui quali segni distintivi), la connessa reintegrazione patrimoniale, nonché il risarcimento del danno ex art. 2059 c.c., comprensivo di qualsiasi conseguenza pregiudizievole della lesione dei diritti della personalità, quali sono il diritto al nome, all’identità ed all’immagine dell’ente.
In tal senso, si veda Cass. Civile, Sez. I, n. 11635/2020 e n. 23401/2015.
Secondo quest’ultima, in particolare: “L'associazione non riconosciuta, quale centro di imputazione di situazioni giuridiche e, come tale, soggetto di diritto distinto dagli associati, beneficia della tutela della propria denominazione, che si traduce nella possibilità di chiedere la cessazione di fatti di usurpazione (cioè di indebita assunzione di nomi e denominazioni altrui quali segni distintivi), la connessa reintegrazione patrimoniale, nonché il risarcimento del danno ex art. 2059 c.c., comprensivo di qualsiasi conseguenza pregiudizievole della lesione dei diritti immateriali della personalità, compatibile con l'assenza di fisicità e costituzionalmente protetti, quali sono il diritto al nome, all'identità ed all'immagine dell'ente.”
In conclusione, gli istituti del simbolo elettorale e del marchio d’impresa, oltre ad essere gestiti da due autorità diverse, seguono due discipline differenti che riguardano due diversi ambiti di tutela, la cui separazione viene definita per legge dall’emendamento in esame.
La questione riveste un interesse spiccatamente pratico, poiché ha di recente dato vita a controversie, anche giudiziarie, che hanno coinvolto vari soggetti politici.
La registrazione del simbolo presso l’Ufficio brevetti e marchi è stata perseguita da diversi partiti. Ad esempio, hanno avuto esito positivo le richieste presentate dal MoVimento 5 Stelle (2018), dal PD (rinnovata nel 2019) e dal PSI (rinnovata nel 2020); esito negativo le richieste presentate dal Partito per il Nord, dal Partito Gay e dal Partito liberale europeo.
Quest’ultimo, in particolare, è stato coinvolto in una controversia giudiziaria avente ad oggetto l’utilizzo del proprio simbolo e nome. Nel 2021 il Tribunale di Roma, sez. imprese, si è pronunciato sulla richiesta del Partito liberale italiano di cessazione dell’utilizzo del marchio figurativo e denominativo da parte del Partito liberale europeo, in quanto sosteneva che questo fosse stato operato in violazione del marchio “Partito liberale italiano”, precedentemente registrato. Il Tribunale, sulla base di una valutazione circa la confondibilità tra le due denominazioni, ha ordinato la cessazione dell’utilizzo del marchio figurativo e denominativo del PLE, fondando la propria decisione sul rilievo che l’estrema somiglianza tra i due nomi potesse generare confusione ed inganno nel pubblico.
O ancora, il dibattito attorno alla registrazione del simbolo di un partito come marchio ha visto protagonisti il Movimento sociale italiano-Destra nazionale e Alleanza Nazionale. Il primo, infatti, ha ottenuto nel 2011 (e rinnovato nel 2022) la registrazione del proprio simbolo come marchio (fiamma tricolore con e senza l’acronimo M.S.I.). Dalla vicenda è scaturita una controversia giudiziaria riguardante l’accertamento del diritto all’uso esclusivo della denominazione “M.S.I.” e del simbolo della fiamma, contenuto nell’emblema di entrambe le parti in causa. La Corte d’appello di Firenze aveva, in un primo momento, respinto la domanda di AN di ottenere l’accertamento del diritto all’uso esclusivo dell’emblema della fiamma e dell’acronimo M.S.I. Tale decisione è stata tuttavia annullata con rinvio dal Giudice di legittimità, con ordinanza n. 11635 del 2020. L’assenza di legittimazione all’uso esclusivo del simbolo da parte del Movimento sociale italiano-Destra nazionale è stata da ultimo ribadita dal Tribunale di Roma, nella sentenza n. 16221 del 2021.
Articolo 3
(Norme elettorali applicabili ai capoluoghi di provincia e relativa denominazione)
L’articolo 3, comma 1, prevede che, a decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto legge in conversione, per l’elezione del sindaco e del consiglio comunale dei comuni capoluogo di provincia si applicano, indipendentemente dalla relativa dimensione demografica (e quindi anche nel caso in cui i predetti comuni abbiano una popolazione non superiore a 15.000 abitanti), gli articoli 72 e 73 del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267.
Il successivo comma 2 stabilisce che i capoluoghi di provincia sono individuati dalla legge, mentre il comma 3 dispone che, nelle province la cui denominazione è composta dal nome di più comuni, il capoluogo è individuato in ciascuno dei comuni medesimi e lo statuto stabilisce quale delle città capoluogo è sede legale della provincia. Il comma 4 prevede poi che l’applicazione del comma 3 non comporta l’istituzione di nuovi uffici provinciali delle amministrazioni dello Stato e degli altri enti pubblici.
Infine il comma 5 prevede che per le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano resta fermo quanto previsto dalla rispettiva legislazione.
L’articolo 3, secondo quanto evidenziato nella relazione di accompagnamento del disegno di legge di conversione, intende garantire uniformità in tutto il territorio nazionale sia in ordine alla determinazione dei capoluoghi di provincia, sia con riferimento al sistema elettorale agli stessi applicabile.
In tal senso, il comma 1 dispone che il sistema elettorale applicabile a tutti i comuni capoluoghi di provincia, indipendentemente dal relativo numero di abitanti, è quello previsto dagli articoli 72 e 73 del Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, per i comuni con popolazione superiore a 15.000 abitanti. In base a tale sistema, il consiglio comunale è eletto con metodo proporzionale e per l’elezione del sindaco si fa luogo a un turno di ballottaggio, ove nessun candidato abbia ottenuto al primo turno la maggioranza assoluta dei voti.
Il comma 2 prevede che l’individuazione dei predetti capoluoghi avvenga con legge, escludendo al riguardo la competenza statutaria[9].
Il comma 3 disciplina l’ipotesi in cui la denominazione della provincia sia costituita dal nome di più comuni, stabilendo che in tal caso il capoluogo è individuato in ciascuno dei comuni medesimi. La relazione di accompagnamento del disegno di legge di conversione evidenzia come tale previsione sia volta a valorizzare lo status degli enti locali da cui la provincia deriva la propria denominazione e riprenda quanto già previsto dalla legge 11 giugno 2004, n. 148 istitutiva della provincia di Barletta-Andria-Trani[10]. La relazione rileva altresì che, a oggi, la disposizione troverebbe applicazione limitatamente a tre province: Pesaro e Urbino, Massa-Carrara e Forlì-Cesena. Allo Statuto viene demandata l’individuazione della città capoluogo che costituisce sede legale della Provincia.
Il comma 4 precisa che l’applicazione del comma 3 non comporta l’istituzione di nuovi uffici provinciali delle amministrazioni dello Stato e degli altri enti pubblici.
Infine il comma 5 prevede che per le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano resta fermo quanto previsto dalla rispettiva legislazione.
Articolo 4
(Disposizioni in materia di elezione del sindaco e del consiglio comunale)
L’articolo 4, comma 1, sostituisce il secondo periodo del comma 2 dell’articolo 51, comma 2, del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, stabilendo che per i sindaci dei comuni con popolazione fino a 15.000 abitanti, il limite previsto dal primo periodo del medesimo comma 2 – relativo al divieto di ricandidarsi immediatamente dopo due mandati consecutivi - si applica allo scadere del terzo mandato (invece che allo scadere del secondo mandato come previsto in generale per i sindaci e i presidenti di provincia). Si dispone inoltre che le disposizioni del predetto comma 2 – e cioè appunto il divieto di ricandidarsi - non si applicano ai comuni con popolazione fino a 5.000 abitanti e che i mandati svolti o in corso di svolgimento alla data di entrata in vigore del decreto legge in conversione sono computati ai fini dell’applicazione delle nuove disposizioni.
L’articolo 4, comma 2, stabilisce poi che, limitatamente all’anno 2024, per l’elezione del sindaco e del consiglio comunale nei comuni con popolazione fino a 15.000 abitanti, in deroga a quanto previsto dalle disposizioni di cui all’articolo 71, comma 10, del citato testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, ove sia stata ammessa e votata una sola lista, sono eletti tutti i candidati compresi nella lista e il candidato a sindaco collegato, purché essa abbia riportato un numero di voti validi non inferiore al 50 per cento dei votanti e il numero dei votanti non sia stato inferiore al 40 per cento degli elettori iscritti nelle liste elettorali del comune. Qualora non siano raggiunte tali percentuali, l’elezione è nulla. Si prevede infine che, per la determinazione del numero degli elettori iscritti nelle liste elettorali del comune, non si tiene conto degli elettori iscritti all’Anagrafe degli italiani residenti all’estero (AIRE) che non abbiano esercitato il diritto di voto.
Nel corso dell’esame in sede referente è stato aggiunto all’articolo 4 il comma 2-bis, volto a modificare il comma 20-ter dell’articolo 1 del decreto-legge 29 dicembre 2022, n. 198. Quest’ultima disposizione ha previsto che le risorse stanziate dalla legge di bilancio 2022 per l’incremento dell’indennità dei sindaci e degli amministratori locali sono riconosciute ai comuni beneficiari anche qualora si tratti di comuni che abbiano adottato deliberazioni di rinuncia, parziale o totale, alla misura massima dell’indennità (prevista dalla normativa all’epoca vigente), a condizione che le risorse siano state utilizzate da tali comuni ai fini del predetto incremento. La disposizione, nella formulazione attualmente vigente, trova applicazione fino al 31 dicembre 2023. Il comma 2-bis in commento proroga il termine del 31 dicembre 2023 fino al 31 dicembre 2025.
L’articolo 4, al comma 1, modifica l’articolo 51, comma 2[11], del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, dettando una nuova disciplina in tema di terzo mandato consecutivo del sindaco per i comuni con popolazione sino a 15.000 abitanti. La norma, così come di recente modificata (cfr. articolo 3, comma 1, lettera a), numeri 1) e 2), della legge 12 aprile 2022, n. 35), ha previsto che chi ha ricoperto per due mandati consecutivi la carica di sindaco e di presidente della provincia non è, allo scadere del secondo mandato, immediatamente ricandidabile alle medesime cariche. Per i sindaci dei comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti, è stato previsto che tale limite si applicasse allo scadere del terzo mandato[12]. Secondo quanto evidenziato nella relazione di accompagnamento del disegno di legge di conversione, nei comuni di minore dimensione demografica risulta di fatto spesso problematico individuare candidature per la carica di primo cittadino, per cui il divieto di rielezione per un terzo mandato comporta rilevanti criticità. Il comma in esame innalza pertanto il limite da due a tre mandati per gli enti che si collocano nella fascia demografica da 5.001 a 15.000 abitanti eliminando, al contempo, ogni limite di mandato per i comuni fino a 5.000 abitanti. Rimane peraltro ferma la disposizione di cui al comma 3 dell’articolo 51 del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267. Conseguentemente, nei comuni con più di 15.000 abitanti, sarà comunque consentito un terzo mandato consecutivo se uno dei due mandati precedenti ha avuto durata inferiore a due anni, sei mesi e un giorno, per causa diversa dalle dimissioni volontarie. Viene infine previsto esplicitamente che i mandati svolti o in corso di svolgimento alla data di entrata in vigore del decreto legge in conversione sono computati ai fini dell’applicazione delle nuove disposizioni.
L’articolo 4, comma 2, in deroga all’articolo 71, comma 10[13], del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, dispone che per l’anno 2024, per l’elezione del sindaco e del consiglio comunale nei comuni sino a 15.000 abitanti, ove sia stata ammessa e votata una sola lista, sono eletti tutti i candidati compresi nella lista e il candidato a sindaco collegato, purché essa abbia riportato un numero di voti validi non inferiore al 50 per cento dei votanti e il numero dei votanti non sia stato inferiore al 40 per cento degli elettori iscritti nelle liste elettorali del comune (in luogo del 50 per cento richiesto dal predetto comma 10). Si prevede altresì che, qualora non siano raggiunte tali percentuali, l’elezione è nulla (come stabilito in generale anche dal comma 10 citato) e che però per la determinazione del numero degli elettori iscritti nelle liste elettorali del comune non si tiene conto degli elettori iscritti all’Anagrafe degli italiani residenti all’estero (AIRE) che non esercitano il diritto di voto. La disposizione intende quindi agevolare il raggiungimento del quorum di partecipazione al voto per le elezioni comunali, laddove sia stata ammessa e votata una sola lista, salvaguardando la validità della consultazione elettorale e la regolare costituzione degli organi politici di governo dell’ente. Sul punto, la relazione di accompagnamento rammenta che il Consiglio di Stato, con ordinanza del 31 maggio 2011, aveva sollevato questione di legittimità costituzionale del citato articolo 71, comma 10, proprio evidenziando come il computo degli elettori AIRE ai fini del calcolo della percentuale necessaria per la validità della elezione potesse determinare un’eccessiva compromissione del diritto di voto degli elettori residenti nel comune, considerato che i residenti all’estero non partecipano alla vita locale e non subiscono direttamente gli effetti delle scelte compiute dagli organi di governo dell’ente. Con sentenza 31 ottobre 2012, n. 242, la Corte Costituzionale ha giudicato infondata l’eccezione di costituzionalità ritenendo la norma non manifestamente irragionevole, ma la Corte ha sottolineato l’opportunità di una rimeditazione, da parte del legislatore, del bilanciamento di interessi attuato in quella norma. La disposizione introdotta dal comma in esame appare, sempre secondo la richiamata relazione di accompagnamento, in linea con gli esiti del richiamato contenzioso costituzionale[14].
Nel corso dell’esame in sede referente è stato aggiunto all’articolo 4 il comma 2-bis, volto a modificare il comma 20-ter dell’articolo 1 del decreto-legge 29 dicembre 2022, n. 198. Quest’ultima disposizione ha previsto che le risorse stanziate dalla legge di bilancio 2022 per l’incremento dell’indennità dei sindaci e degli amministratori locali sono riconosciute ai comuni beneficiari anche qualora si tratti di comuni che abbiano adottato deliberazioni di rinuncia, parziale o totale, alla misura massima dell’indennità (prevista dalla normativa all’epoca vigente), a condizione che le risorse siano state utilizzate da tali comuni ai fini del predetto incremento. La disposizione, nella formulazione attualmente vigente, trova applicazione fino al 31 dicembre 2023. Il comma 2-bis in commento proroga il termine del 31 dicembre 2023 fino al 31 dicembre 2025.
Si rammenta al riguardo che la legge di bilancio 2022 (L. 30 dicembre 2021, n. 234) ha previsto, ai commi da 583 a 587, un incremento delle indennità di funzione dei sindaci dei comuni sede di città metropolitana e dei sindaci dei comuni delle Regioni a statuto ordinario in una misura percentuale, proporzionata alla popolazione, rapportata al trattamento economico complessivo dei Presidenti delle Regioni. Il comma 583 citato ha stabilito, più specificamente, che, a decorrere dall’anno 2024, l'indennità di funzione dei sindaci metropolitani e dei sindaci dei comuni ubicati nelle regioni a statuto ordinario è parametrata al trattamento economico complessivo dei presidenti delle regioni - come stabilito dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano - il cui importo massimo è attualmente fissato in euro 13.800 mensili per dodici mensilità. L’indennità predetta è determinata in relazione alla popolazione risultante dall’ultimo censimento ufficiale e nelle seguenti percentuali, rapportate rispetto all’importo massimo di cui sopra, per ciascuna tipologia di ente individuata: 100 per cento (pari a 13.800 euro) per i sindaci dei comuni capoluogo di città metropolitana; 80 per cento (pari a 11.040 euro) per i sindaci dei comuni capoluogo di regione e per i sindaci dei comuni capoluogo di provincia con popolazione superiore a 100.000 abitanti; 70 per cento (pari a 9.660 euro) per i sindaci dei comuni capoluogo di provincia con popolazione fino a 100.000 abitanti; 45 per cento (pari a 6.210 euro) per i sindaci dei comuni con popolazione superiore a 50.000 abitanti; 35 per cento (pari a 4.830 euro) per i sindaci comuni con popolazione da 30.001 a 50.000 abitanti; 30 per cento (pari a 4.140 euro) per i sindaci dei comuni con popolazione da 10.001 a 30.000 abitanti; 29 per cento (pari a 4.002 euro) per i sindaci dei comuni con popolazione da 5.001 a 10.000 abitanti; 22 per cento (pari a 3.036 euro) per i sindaci dei comuni con popolazione da 3.001 a 5.000 abitanti; 16 per cento (pari a 2.208 euro) per i sindaci dei comuni con popolazione fino a 3.000 abitanti.? Il comma 584 ha previsto che l’incremento dell’indennità di funzione dei sindaci fosse adottato in misura graduale per il 2022 e 2023. Per la prima applicazione si è disposto che la predetta indennità di funzione fosse adeguata al 45 per cento nell'anno 2022 e al 68 per cento nell'anno 2023. Al contempo la disposizione relativa alla fase di prima applicazione ha previsto che, a decorrere dall’anno 2022, l’indennità potesse essere corrisposta nelle integrali misure di cui sopra, nel “rispetto pluriennale dell’equilibrio di bilancio”. Il comma 585 ha previsto quindi che anche le indennità di funzione dei vicesindaci, assessori e presidenti dei consigli comunali fossero adeguate alle indennità di funzione dei corrispondenti sindaci come incrementate per effetto di quanto sopra, con l’applicazione delle percentuali vigenti previste dal decreto del Ministro dell’interno del 4 aprile 2000, n. 119. Alla copertura del maggior onere sostenuto dai comuni per la corresponsione dell'incremento dell’indennità di funzione, la medesima legge di bilancio 2022 (art. 1, comma 586) ha provveduto, a titolo di concorso, all’incremento di 100 milioni di euro per l’anno 2022, 150 milioni di euro per l’anno 2023, e 220 milioni di euro a decorrere dall’anno 2024, di un fondo già istituito nello stato di previsione del Ministero dell’interno, per coprire l’incremento dell’indennità di funzione dei sindaci dei piccoli comuni disposta dal decreto-legge 26 ottobre 2019, n. 124 (art. 57- quater, comma 2). La ripartizione del fondo tra i comuni interessati è stata demandata ad un decreto del Ministro dell’interno, adottato di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, d’intesa con la Conferenza Stato-città ed autonomie locali; il comune beneficiario è tenuto a riversare ad apposito capitolo di entrata del bilancio dello Stato l’importo del contributo non utilizzato nell’esercizio finanziario (art. 1, comma 587). In tale contesto normativo, si inserisce la disposizione di cui al richiamato comma 20-ter dell’articolo 1 del decreto-legge n. 198 del 2022, la quale ha specificato che fino al 31 dicembre 2023 possono beneficiare del riparto delle risorse anche quei comuni che “abbiano adottato specifiche deliberazioni di rinuncia, parziale o totale, della misura massima dell’indennità di funzione prevista dalla normativa al tempo vigente”. Come già evidenziato, con il comma 2-bis in commento il predetto termine viene prorogato al 31 dicembre 2025.
Articolo 4-bis
(In materia di esenzione dalla sottoscrizione di firme
per le elezioni europee)
L’articolo 4-bis riscrive la disposizione vigente in materia di esenzione di firme richieste per la presentazione di liste alle elezioni europee.
L’esenzione vale per il partito che abbia ottenuto con il suo contrassegno un seggio nelle ultime elezioni europee - in una circoscrizione italiana si viene a specificare.
L’esenzione diviene condizionata all’affiliazione a un partito politico europeo che sia costituito in Gruppo parlamentare al Parlamento europeo nella legislatura in corso al momento della convocazione dei comizi elettorali. Dunque non è più sufficiente il requisito (che permane) di aver conseguito un eletto nel Parlamento europeo.
Introdotto in sede referente, questo articolo modifica la legge n. 18 del 1979 (“Elezione dei membri del Parlamento europeo spettanti all'Italia”) là dove essa prevede l’esenzione, a determinate condizioni, dall’obbligo di sottoscrizione di firme ai fini della presentazione delle liste di candidati.
Secondo l’articolo 12 di quella legge, le liste dei candidati per le elezioni europee devono essere presentate, per ciascuna circoscrizione, alla cancelleria della Corte d'appello presso la quale è costituito l'Ufficio elettorale circoscrizionale (dalle ore 8 del quarantesimo giorno alle ore 20 del trentanovesimo giorno antecedenti quello della votazione), con la sottoscrizione di non meno di 30.000 e non più di 35.000 elettori.
I sottoscrittori devono risultare iscritti nelle liste elettorali di ogni Regione della circoscrizione per almeno il 10 per cento del minimo fissato, pena la nullità della lista.
Una esenzione da tale obbligo di sottoscrizione, tuttavia, è prevista dal comma 4 del medesimo articolo 12 della legge n. 18 del 1979.
Su quel comma 4 incide la novella ora prevista, che lo modifica nel modo che segue:
Legge 24 gennaio 1979, n. 18 Elezione dei membri del Parlamento europeo spettanti all'Italia |
|
Testo vigente |
Nuovo testo |
Art. 12, quarto comma |
Articolo 12, quarto comma |
Nessuna sottoscrizione è richiesta per i partiti o gruppi politici costituiti in gruppo parlamentare nella legislatura in corso al momento della convocazione dei comizi anche in una sola delle Camere o che nell'ultima elezione abbiano presentato candidature con proprio contrassegno e abbiano ottenuto almeno un seggio in una delle due Camere. |
Nessuna sottoscrizione è richiesta per i partiti o gruppi politici costituiti in gruppo parlamentare nella legislatura in corso al momento della convocazione dei comizi anche in una sola delle due Camere o che nell'ultima elezione abbiano presentato candidature con proprio contrassegno e abbiano ottenuto almeno un seggio in ragione proporzionale o in un collegio uninominale in una delle due Camere. |
Nessuna sottoscrizione è richiesta altresì per i partiti o gruppi politici che nell'ultima elezione della Camera dei deputati abbiano presentato liste per l'attribuzione dei seggi in ragione proporzionale con le quali si sia collegato, ai sensi dell'articolo 18, comma 1, del testo unico delle leggi recanti norme per la elezione della Camera dei deputati, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, pur sotto un diverso contrassegno, un candidato risultato eletto in un collegio uninominale. |
(Periodo soppresso) |
Nessuna sottoscrizione è richiesta altresì per i partiti o gruppi politici che nell'ultima elezione abbiano presentato candidature con proprio contrassegno ed abbiano ottenuto almeno un seggio al Parlamento europeo. |
Nessuna sottoscrizione è richiesta altresì per i partiti o gruppi politici che nell'ultima elezione abbiano presentato candidature con proprio contrassegno ed abbiano ottenuto almeno un seggio in una delle circoscrizioni italiane al Parlamento europeo, e che siano affiliati a un partito politico europeo costituito in gruppo parlamentare al Parlamento Europeo nella legislatura in corso al momento della convocazione dei comizi elettorali. L'affiliazione è certificata a mezzo di dichiarazione sottoscritta dal Presidente del gruppo Parlamentare europeo autenticata da un notaio o da un'autorità diplomatica o consolare italiana. |
Nessuna sottoscrizione è richiesta, altresì, nel caso in cui la lista sia contraddistinta da un contrassegno composito, nel quale sia contenuto quello di un partito o gruppo politico esente da tale onere. |
(Periodo identico) |
La novellazione dunque incide sul dettato normativo per distinti profili, a seconda che si abbia riguardo all’esenzione per il partito (o gruppo politico costituito in Gruppo parlamentare) che abbia conseguito un eletto (in una delle due Camere) nelle elezioni politiche ovvero un eletto nelle elezioni europee, immediatamente precedenti la consultazione considerata.
Per il primo riguardo, il seggio conseguito (sotto il proprio contrassegno) nelle elezioni politiche ultime presso la Camera dei deputati o il Senato può essere tanto ‘in quota’ proporzionale quanto uninominale (tenuto conto della configurazione ‘mista’ del sistema elettorale disegnato dalla legge elettorale vigente, la legge n. 165 del 2017).
È contestualmente soppresso il periodo relativo alla sottoscrizione delle firme per il partito presentatore nell'ultima elezione della Camera dei deputati di liste per l'attribuzione dei seggi in ragione proporzionale, il quale sia solo collegato ad un candidato risultato eletto (pur sotto diverso contrassegno) in un collegio uninominale. Tale periodo faceva riferimento a disposizione – l’articolo 18, comma 1, del d.P.R. n. 361 del 1957 – non più vigente (abrogato dalla legge n. 270 del 2005: cfr. suo articolo 6, comma 4).
Per il secondo riguardo, l’esenzione dalla sottoscrizione delle firme per il partito o gruppo politico che abbia ottenuto almeno un seggio al Parlamento europeo – ed in una delle circoscrizioni italiane, si viene a specificare – è mantenuta a condizione che il partito o gruppo politico siano affiliati a un partito politico europeo costituito in Gruppo parlamentare al Parlamento europeo nella legislatura in corso al momento della convocazione dei comizi elettorali.
L'affiliazione dev’essere certificata, si viene inoltre a prevedere.
La certificazione è a mezzo di dichiarazione sottoscritta dal presidente del gruppo parlamentare europeo, autenticata da un notaio o da un'autorità diplomatica o consolare italiana.
Per la costituzione in gruppo, il regolamento del Parlamento europeo (all’articolo 33) prescrive un quorum di ventitré componenti, eletti in almeno un quarto degli Stati membri (dunque sette).
Non occorre ricordare come la legge n. 18 del 1979 ponga, per accedere alla rappresentanza europea, una soglia di sbarramento pari al 4 per cento dei voti validi espressi (cfr. suo articolo 21, comma 1-bis).
Si rammenta che, in base ad alcune decisioni dell’Ufficio centrale elettorale, sono, inoltre, esenti dall’onere di allegare le sottoscrizioni delle proprie liste i partiti politici nazionali per i quali sia dimostrato da una serie di elementi, a partire dalla chiara evidenziazione nel contrassegno, il collegamento concordato con un partito politico europeo rappresentato al Parlamento europeo con un proprio Gruppo parlamentare (cfr. Ufficio elettorale nazionale, decisioni 18 aprile 2014, n. 2 e 21 aprile 2014, n. 9, 13 e 17. Si segnalano anche i “considerato” della decisione n. 1 del 2019, di rigetto).
Articolo 4-ter
(Ineleggibilità dei dipendenti della regione
alla carica di consigliere regionale)
L’articolo 4-ter, introdotto in sede referente, prevede che la disposizione che stabilisce l’ineleggibilità a consigliere regionale dei dipendenti della regione per il rispettivo consiglio si applica esclusivamente a coloro che svolgono, al momento della candidatura, funzioni e attività amministrative.
La disposizione in esame incide sull’articolo 2 della legge 154/1981 che reca le cause di ineleggibilità a consigliere regionale; tra queste vi è quella che prevede che non siano eleggibili i dipendenti della regione per i rispettivi consigli (art. 2, comma 1, n. 7).
La formulazione originaria dell’articolo 2 disciplinava, oltre alle ineleggibilità a consigliere regionale, anche quelle a consigliere provinciale, comunale e circoscrizionale. Successivamente, queste ultime sono state trasfuse nel testo unico degli enti locali (TUEL) che ha provveduto ad abrogare la legge 154/1981, mantenendo però in vigore le disposizioni ivi previste per i consiglieri regionali (art. 275, comma 1, lett. l) del D.Lgs. 267/2000). La disposizione da ultimo citata è fatta salva dall’articolo in commento.
L’articolo 60 del TUEL, come anticipato sopra, ha riprodotto le cause di ineleggibilità recate dalla legge 154/1981 riferendole agli amministratori locali prevedendo che non sono eleggibili a sindaco, presidente della provincia, consigliere comunale, consigliere metropolitano, provinciale e circoscrizionale i dipendenti del comune e della provincia per i rispettivi consigli.
Pertanto, con la disposizione in esame si viene a creare un diverso regime tra i dipendenti regionali, che possono essere eletti nel consiglio della medesima regione qualora non svolgano attività amministrative, e i dipendenti comunali e locali che non possono essere eletti in consiglio comunale in ogni caso, a prescindere da quale attività svolgano.
Si ricorda in proposito che dal 1° aprile 2023 è in vigore il nuovo sistema di classificazione del personale del comparto Funzioni locali (che comprende anche il personale non dirigente dipendente delle regioni ai sensi del contratto collettivo nazionale quadro del 22 febbraio 2024); ai sensi dell’articolo 12 del CCNL del 16 novembre 2022 il personale del comparto funzioni locali è articolato in quattro aree denominate, rispettivamente:
- Area degli operatori (ex categoria A)
- Area degli operatori esperti (ex categoria B)
- Area degli istruttori (ex categoria C)
- Area dei funzionari e dell’elevata qualificazione (ex categoria D)
La disposizione in esame è stata introdotta con l’approvazione di un emendamento in sede referente. Nel corso dell’esame in commissione, il rappresentante del Governo ha espresso parere favorevole sull'emendamento a condizione che sia riformulato in un testo “volto a specificare che la condizione di ineleggibilità al consiglio regionale troverà applicazione solo "pro futuro" e con riguardo ai dipendenti che svolgono funzioni e attività amministrative” (Senato della Repubblica, 1a Commissione, seduta del 5 marzo 2024).
Al riguardo, si valuti l’opportunità di circoscrivere in termini più puntuali la fattispecie “funzioni amministrative”.
Le cause di ineleggibilità impediscono l'elezione ma possono essere rimosse e pertanto il diritto di elettorato passivo del soggetto interessato non è perso ma non può essere validamente esercitato fino a quando non siano rimosse.
La Corte costituzionale ha più volte affermato che la previsione della ineleggibilità tende a prevenire che il candidato ponga in essere, in ragione della carica ricoperta o delle funzioni svolte, indebite pressioni sugli elettori (sentenza n. 217 del 2006), esercitando una captatio benevolentiae o inducendo un metus publicae potestatis, idonei ad alterare la par condicio tra i candidati. Tale funzione distingue l’istituto in questione da quello dell’incompatibilità, che è volta, invece, ad evitare il conflitto di interessi nel quale venga a trovarsi il soggetto che sia stato eletto (citata sentenza n. 217 del 2006, sentenze n. 288 del 2007 e n. 235 del 1988,
La Corte ha anche precisato che le limitazioni al diritto di elettorato passivo rientrano fra quelli «inviolabili» riconosciuti dall’art. 2 Cost., per cui la sua restrizione è ammissibile soltanto nei limiti strettamente necessari alla tutela di altri interessi costituzionalmente protetti e secondo le regole della necessità e della ragionevole proporzionalità (sentenze n. 240 del 2008 e n. 141 del 1996). Da ciò deriva che le norme che derogano al principio della generalità di tale diritto elettorale passivo sono di stretta interpretazione e devono essere applicate nei limiti di quanto sia necessario a soddisfare le esigenze di pubblico interesse cui sono preordinate (sentenze n. 306 del 2003, n. 364 del 1996 e n. 257/2020). È vero che l'art. 51 Cost. rimette alla legge di stabilire i requisiti di eleggibilità, i quali possono essere così positivi come negativi od ostativi; ma, proprio perché questi ultimi, risolvendosi in cause di ineleggibilità, formano altrettante eccezioni al generale e fondamentale principio, enunciato in apertura dello stesso art. 51, del libero accesso, in condizione di eguaglianza, di tutti i cittadini alle cariche elettive, è necessario che siano tipizzati dalla legge con determinatezza e precisione sufficienti ad evitare, quanto più possibile, situazioni di persistente incertezza (cfr. sentt. nn. 46 e 108 del 1969, nn. 38 e 189 del 1971, nn. 58 e 166 del 1972, n. 166/1972, n. 45 del 1996).
Articolo 4-quater
(Autenticazioni delle sottoscrizioni di proposte referendarie
in ambito locale)
Nel corso dell’esame in sede referente è stato introdotto l’articolo 4-quater. L’articolo modifica l’articolo 14, comma 1, della legge n. 53 del 1990 estendendo l’applicabilità della disposizione, che individua una serie di soggetti ulteriori rispetto ai notai per l’autenticazione delle sottoscrizioni nei procedimenti elettorali, anche all’autenticazione delle sottoscrizioni di proposte referendarie in ambito locale.
Nel corso dell’esame in sede referente è stato introdotto l’articolo 4-quater, volto a modificare l’articolo 14, comma 1, della legge n. 53 del 1990 recante misure urgenti atte a garantire maggiore efficienza al procedimento elettorale.
In particolare si rammenta che il richiamato comma 1 dell’articolo 14 della legge n. 53 del 1990 stabilisce che sono competenti ad eseguire le autenticazioni che non siano attribuite esclusivamente ai notai e che siano previste dalla legge 6 febbraio 1948, n. 29, dalla legge 8 marzo 1951, n. 122, dal testo unico delle leggi recanti norme per l’elezione della Camera dei deputati, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, dal testo unico delle leggi per la composizione e la elezione degli organi delle Amministrazioni comunali, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 16 maggio 1960, n. 570, dalla legge 17 febbraio 1968, n. 108, dal decreto-legge 3 maggio 1976, n. 161, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 maggio 1976, n. 240, dalla legge 24 gennaio 1979, n. 18, e dalla legge 25 maggio 1970, n. 352, nonché per le elezioni previste dalla legge 7 aprile 2014, n. 56, i notai, i giudici di pace, i cancellieri e i collaboratori delle cancellerie delle corti d'appello e dei tribunali, i segretari delle procure della Repubblica, i membri del Parlamento, i consiglieri regionali, i presidenti delle province, i sindaci metropolitani, i sindaci, gli assessori comunali e provinciali, i componenti della conferenza metropolitana, i presidenti dei consigli comunali e provinciali, i presidenti e i vice presidenti dei consigli circoscrizionali, i consiglieri provinciali, i consiglieri metropolitani e i consiglieri comunali, i segretari comunali e provinciali e i funzionari incaricati dal sindaco e dal presidente della provincia. Sono altresì competenti ad eseguire le predette autenticazioni gli avvocati iscritti all'albo che hanno comunicato la propria disponibilità all'ordine di appartenenza, i cui nominativi sono tempestivamente pubblicati nel sito internet istituzionale dell'ordine[15].
L’articolo in commento modifica l’ambito di applicazione della previsione del comma 1 del richiamato articolo 14 estendendolo anche ai referendum previsti dal testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267[16]
Articolo 4-quinquies
(Status degli amministratori delle forme particolari e più accentuate
di decentramento comunale)
L’articolo 4-quinquies chiarisce i termini entro cui ai comuni superiori ai 300.000 abitanti è consentito derogare alla normativa applicabile in materia di status dei componenti delle proprie forme particolari e più accentuate di decentramento. In primo luogo, dispone che i trattamenti relativi ad aspettative, permessi e indennità finora riconosciuti, in deroga alle disposizioni vigenti, non sono soggetti a ripetizione; in secondo luogo, demanda ad un decreto del Ministero dell’interno il compito di stabilire, per il futuro, i criteri e le modalità con cui i citati comuni possono riconoscere indennità e gettoni di presenza a tali amministratori.
L’articolo 4-quinquies, introdotto in sede referente e riformulato a seguito del parere espresso dalla Commissione Bilancio, interviene sulla disciplina dello status degli amministratori locali delle forme particolari e più accentuate di decentramento comunale che la legge consente di istituire, al proprio interno, ai comuni con una popolazione superiore ai 300.000 abitanti.
In materia, si ricorda che l’articolo 17, comma 5, del testo unico enti locali di cui decreto legislativo n. 267 del 2000, dispone che, nei comuni con popolazione superiore a 300.000 abitanti, lo statuto possa prevedere particolari e più accentuate forme di decentramento di funzioni e di autonomia organizzativa e funzionale, determinando, altresì, anche con il rinvio alla normativa applicabile ai comuni aventi uguale popolazione, gli organi di tali forme di decentramento, lo status dei componenti e le relative modalità di elezione, nomina o designazione.
Tra le materie che i comuni con più di 300.000 abitanti possono disciplinare in relazione alle proprie forme particolari e più accentuate di decentramento, vi è dunque anche lo status dei componenti di queste ultime. Tale disciplina, come recita il testo del citato articolo 17, comma 5, può consistere “anche” – ma non solo - in un mero “rinvio alla normativa applicabile ai comuni aventi uguale popolazione”. Ai citati comuni è stato dunque riconosciuto il potere di disciplinare la materia dello status degli amministratori delle proprie forme di decentramento in deroga rispetto alla normativa applicabile in via generale agli amministratori circoscrizionali.
La normativa applicabile in materia è contenuta nel medesimo decreto legislativo n. 267 del 2000, ed in particolare nel Capo IV del Titolo III (articoli da 77 a 87), rubricato appunto “Status degli amministratori locali”. Ai sensi dell’articolo 77, comma 2, del TUEL, il citato Capo IV è volto a disciplinare il regime delle aspettative, dei permessi e delle indennità. Il medesimo comma 2 dell’articolo 77 del TUEL, nell’elencare tutti coloro che si intendono ricompresi nella categoria di “amministratori locali” ai fini del Capo IV, cita testualmente i “componenti degli organi di decentramento”.
Con riguardo al tema delle indennità, le disposizioni rilevanti nell’ambito del citato Capo IV del Titolo III del TUEL sono in particolare quelle di cui all’articolo 82 che, in relazione ai componenti degli organi di decentramento comunale, dispone quanto segue:
§ agli organi esecutivi di tutte le articolazioni comunali spetta, ai sensi dell’articolo 82, comma 1, l’indennità di funzione;
§ ai presidenti dei consigli circoscrizionali dei soli comuni capoluogo di provincia spetta, ai sensi dell’articolo 82, comma 1, l’indennità di funzione;
§ ai consiglieri circoscrizionali delle sole città metropolitane spetta, ai sensi dell’articolo 82, comma 2, il gettone di presenza. L’ammontare del gettone di presenza non può superare l'importo pari ad un quarto dell'indennità prevista per il rispettivo presidente.
Ricostruita la normativa vigente in materia e chiarito che l’articolo 17, comma 5, del TUEL consente ai comuni superiori ai 300.000 abitanti di derogarvi, veniamo a quanto disposto dall’articolo ora in commento.
Esso dispone, al primo periodo del comma unico che lo compone, che i trattamenti relativi ad aspettative, permessi e indennità che siano stati determinati e riconosciuti, fino alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, in deroga alle disposizioni vigenti sopra descritte (l’articolo 82, commi 1 e 2, del TUEL), dai comuni superiori ai 300.000 abitanti in favore degli amministratori delle proprie forme particolari e più accentuate di decentramento, non sono soggetti a ripetizione.
Il secondo periodo del comma unico dell’articolo in commento reca invece disposizioni volte a chiarire quale sarà il regime da applicare alla materia in futuro. In particolare, attribuisce ad un decreto del Ministero dell’interno il compito di stabilire i criteri e le modalità con cui i comuni con popolazione superiore a 300.000 abitanti possono riconoscere agli amministratori delle forme particolari e più accentuate di decentramento, indennità e gettoni di presenza, specificando che comunque, tali emolumenti non dovranno determinare, nel loro complesso, una spesa superiore a quella che il comune può sostenere applicando le tipologie di indennità e i tetti di spesa previsti dall’articolo 82, commi 1 e 2, agli amministratori dei consigli circoscrizionali. Il decreto in questione deve essere emanato, entro sessanta giorni, di concerto con il Ministero dell’economia e delle finanze e sentita la Conferenza Stato Città.
In sostanza, pertanto, ai sensi della norma in commento, i comuni superiori ai 300.000 abitanti restano per il futuro titolari del potere di derogare alle disposizioni vigenti in materia di indennità dei componenti delle proprie forme particolari e più accentuate di decentramento, ma a parità di spesa complessiva.
Articolo 4-sexies
(Modifica alla legge 2 luglio 2004, n. 165 (elezioni regionali))
Nel corso dell’esame in sede referente è stato introdotto l’articolo 4-sexies. L’articolo modifica l’articolo 4, comma 1, della legge n. 165 del 2004, recante disposizioni di attuazione dell'articolo 122, primo comma, della Costituzione in materia di sistema di elezione, aggiungendo allo stesso la lettera c-ter) con la quale si prevede – quale principio fondamentale ai fini della disciplina da parte delle leggi regionali dei procedimenti elettorali per l’elezione del Presidente della Giunta regionale e dei consiglieri regionali - l’esenzione dalla sottoscrizione degli elettori per le liste che, al momento dell’indizione delle elezioni regionali, sono espressione di forze politiche o movimenti corrispondenti a gruppi parlamentari presenti in almeno uno dei due rami del Parlamento nazionale, sulla base di attestazione resa dal segretario o Presidente del partito rappresentato nel Parlamento.
Nel corso dell’esame in sede referente è stato introdotto l’articolo 4-sexies, volto a modificare l’articolo 4, comma 1, della legge n. 165 del 2004, recante disposizioni di attuazione dell'articolo 122, primo comma, della Costituzione in materia di sistema di elezione [17].
In particolare l’articolo 4, comma 1, della citata legge n. 165 del 2004 stabilisce che le regioni disciplinano con legge il sistema di elezione del Presidente della Giunta regionale e dei consiglieri regionali nei limiti dei seguenti principi fondamentali:
a) individuazione di un sistema elettorale che agevoli la formazione di stabili maggioranze nel Consiglio regionale e assicuri la rappresentanza delle minoranze;
b) contestualità dell'elezione del Presidente della Giunta regionale e del Consiglio regionale, se il Presidente è eletto a suffragio universale e diretto. Previsione, nel caso in cui la regione adotti l'ipotesi di elezione del Presidente della Giunta regionale secondo modalità diverse dal suffragio universale e diretto, di termini temporali tassativi, comunque non superiori a novanta giorni, per l'elezione del Presidente e per l'elezione o la nomina degli altri componenti della Giunta;
c) divieto di mandato imperativo;
c-bis) promozione delle pari opportunità tra donne e uomini nell'accesso alle cariche elettive, disponendo che:
1) qualora la legge elettorale preveda l'espressione di preferenze, in ciascuna lista i candidati siano presenti in modo tale che quelli dello stesso sesso non eccedano il 60 per cento del totale e sia consentita l'espressione di almeno due preferenze, di cui una riservata a un candidato di sesso diverso, pena l'annullamento delle preferenze successive alla prima;
2) qualora siano previste liste senza espressione di preferenze, la legge elettorale disponga l'alternanza tra candidati di sesso diverso, in modo tale che i candidati di un sesso non eccedano il 60 per cento del totale;
3) qualora siano previsti collegi uninominali, la legge elettorale disponga l'equilibrio tra candidature presentate col medesimo simbolo in modo tale che i candidati di un sesso non eccedano il 60 per cento del totale.
L’articolo in commento aggiunge al richiamato articolo 4, comma 1, la lettera c-ter) con la quale si prevede – quale principio fondamentale ai fini della disciplina da parte delle leggi regionali dei procedimenti elettorali per l’elezione del Presidente della Giunta regionale e dei consiglieri regionali - l’esenzione dalla sottoscrizione degli elettori per le liste che, al momento dell’indizione delle elezioni regionali, sono espressione di forze politiche o movimenti corrispondenti a gruppi parlamentari presenti in almeno uno dei due rami del Parlamento nazionale, sulla base di attestazione resa dal segretario o Presidente del partito rappresentato nel Parlamento.
Articolo 5
(Disposizioni finanziarie)
L’articolo 5 reca la copertura finanziaria degli oneri, pari a euro 7.573.859, per l’anno 2024.
L’articolo 5, comma 1, quantifica in euro 7.573.859 le risorse per gli onorari fissi forfettari dei componenti degli uffici elettorali di sezione e dei seggi speciali (di cui all’articolo 1, comma 4), mediante utilizzo delle risorse del Fondo da ripartire per fronteggiare le spese derivanti dalle elezioni politiche, amministrative, del Parlamento europeo e dall'attuazione dei referendum, iscritto nello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze.
In base al comma 2, dall’attuazione delle altre disposizioni di cui al presente decreto non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.
Articolo 6
(Entrata in vigore)
L'articolo 6 dispone che il decreto-legge entri in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione in Gazzetta Ufficiale.
Il decreto-legge è dunque vigente dal 30 gennaio 2024.
Si ricorda che, ai sensi dell'articolo 1 del disegno di legge di conversione, quest'ultima entra in vigore il giorno successivo a quello della propria pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.
[1] Sulle Commissioni elettorali circondariali, maggiori notizie supra, nella scheda di lettura riferita all’articolo 1-bis introdotto nel presente decreto-legge in esame.
[2] Si fa qui riferimento a quanto previsto dalla legge n. 89 del 1989 (recante le norme per l'istituzione dell'albo e per il sorteggio delle persone idonee all'ufficio di scrutatore di seggio elettorale), all’articolo 6, comma 1, lettera b). Tale comma prevede che tra il venticinquesimo e il ventesimo giorno antecedenti la data stabilita per la votazione, la Commissione elettorale comunale, in pubblica adunanza, proceda: a) alla nomina degli scrutatori, per ogni sezione elettorale del Comune, scegliendoli tra i nominativi compresi nell'albo degli scrutatori in numero pari a quello occorrente; b) alla formazione di una graduatoria di ulteriori nominativi, compresi nel predetto albo, per sostituire gli scrutatori nominati, in caso di eventuale rinuncia o impedimento; c) alla nomina degli ulteriori scrutatori, scegliendoli fra gli iscritti nelle liste elettorali del Comune stesso, qualora il numero dei nominativi compresi nell'albo degli scrutatori non sia sufficiente per gli adempimenti. La graduatoria cui si fa riferimento nella disposizione citata nel testo è quella indicata dalla lettera b).
[3] Previsto dall’articolo 10 della legge n. 18 del 1979, secondo cui: presso il tribunale nella cui circoscrizione è compreso il Comune capoluogo della Provincia, è costituito (non prima del decimo e non oltre il quinto giorno antecedente la data della votazione) l'Ufficio elettorale provinciale. Esso è composto da tre magistrati, dei quali uno con funzioni di presidente, nominati dal presidente del tribunale. Sono nominati anche magistrati supplenti, per sostituire i titolari in caso di assenza o impedimento. Un cancelliere del tribunale è designato ad esercitare le funzioni di segretario.
[4] Previsto dall’articolo 9 della legge n. 19 del 1079, secondo cui: presso la Corte d'appello nella cui giurisdizione è il capoluogo della circoscrizione, è costituito (entro cinque giorni dalla data di pubblicazione del decreto di convocazione dei comizi) l'Ufficio elettorale circoscrizionale. Esso è composto da tre magistrati, dei quali uno con funzioni di presidente, nominati dal presidente della corte d'appello (sono nominati anche magistrati supplenti per sostituire i titolari in caso di assenza o impedimento; un cancelliere della corte d'appello è designato ad esercitare le funzioni di segretario).
[5] Il Piano generale del Censimento permanente della popolazione e delle abitazioni 2022-2031 è stato adottato dal Consiglio dell’Istituto con deliberazione n. 4/2022 del 22 marzo 2022, a seguito del parere del Ministero dell’Economia e delle Finanze e dell’intesa con la Conferenza Unificata, sancita nella seduta del 2 marzo 2022, ai sensi di quanto disposto dall’art. 1, comma 232, lett. a), della legge n. 205/2017.
[6] D.P.R. 6 novembre 2012. Determinazione della popolazione legale della Repubblica in base al 15° censimento generale della popolazione e delle abitazioni del 9 ottobre 2011, ai sensi dell'articolo 50, comma 5, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122 (Pubblicato nella Gazz. Uff. 18 dicembre 2012, n. 294, S.O.)
[7] Testo approvato dal Consiglio d’Istituto nella seduta del 26 marzo 2018 con deliberazione n. CDLIII, giusta Intesa Conferenza Unificata del 21 marzo 2018.
[8] Il Piano generale del Censimento permanente della popolazione e delle abitazioni 2022-2031 è stato adottato dal Consiglio dell’Istituto con deliberazione n. 4/2022 del 22 marzo 2022, a seguito del parere del Ministero dell’Economia e delle Finanze (nota MEF-GAB n. 1297 del 25 gennaio 2022) e dell’intesa con la Conferenza Unificata, sancita nella seduta del 2 marzo 2022, ai sensi di quanto disposto dall’art. 1, comma 232, lett. a), della legge n. 205/2017.
[9] Le disposizioni di carattere generale sugli statuti provinciali e comunali sono contenute nell’articolo 6 del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, che si riporta qui di seguito:
“Articolo 6 (Statuti comunali e provinciali)
1. I comuni e le province adottano il proprio statuto.
2. Lo statuto, nell'ambito dei princìpi fissati dal presente testo unico, stabilisce le norme fondamentali dell'organizzazione dell'ente e, in particolare, specifica le attribuzioni degli organi e le forme di garanzia e di partecipazione delle minoranze, i modi di esercizio della rappresentanza legale dell'ente, anche in giudizio. Lo statuto stabilisce, altresì, i criteri generali in materia di organizzazione dell'ente, le forme di collaborazione fra comuni e province, della partecipazione popolare, del decentramento, dell'accesso dei cittadini alle informazioni e ai procedimenti amministrativi, lo stemma e il gonfalone e quanto ulteriormente previsto dal presente testo unico.
3. Gli statuti comunali e provinciali stabiliscono norme per assicurare condizioni di pari opportunità tra uomo e donna ai sensi della legge 10 aprile 1991, n. 125, e per garantire la presenza di entrambi i sessi nelle giunte e negli organi collegiali non elettivi del comune e della provincia, nonché degli enti, aziende ed istituzioni da essi dipendenti.
4. Gli statuti sono deliberati dai rispettivi consigli con il voto favorevole dei due terzi dei consiglieri assegnati. Qualora tale maggioranza non venga raggiunta, la votazione è ripetuta in successive sedute da tenersi entro trenta giorni e lo statuto è approvato se ottiene per due volte il voto favorevole della maggioranza assoluta dei consiglieri assegnati. Le disposizioni di cui al presente comma si applicano anche alle modifiche statutarie.
5. Dopo l'espletamento del controllo da parte del competente organo regionale, lo statuto è pubblicato nel bollettino ufficiale della regione, affisso all'albo pretorio dell'ente per trenta giorni consecutivi ed inviato al Ministero dell'interno per essere inserito nella raccolta ufficiale degli statuti. Lo statuto entra in vigore decorsi trenta giorni dalla sua affissione all'albo pretorio dell'ente.
6. L'ufficio del Ministero dell'interno, istituito per la raccolta e la conservazione degli statuti comunali e provinciali, cura anche adeguate forme di pubblicità degli statuti stessi.”.
[10] In particolare l’articolo 1 della citata legge n. 148 del 2004 ha stabilito che “Art. 1. 1. Nell'àmbito della regione Puglia è istituita la provincia di Barletta-Andria-Trani.
2. La circoscrizione territoriale della provincia di Barletta-Andria-Trani è costituita dai seguenti comuni: Andria, Barletta, Bisceglie, Canosa di Puglia, Margherita di Savoia, Minervino Murge, San Ferdinando di Puglia, Spinazzola, Trani e Trinitapoli.
3. Il capoluogo della nuova provincia è situato nelle città di Barletta, Andria e Trani.
4. Lo statuto stabilisce quale delle tre città capoluogo è sede legale della provincia.”.
[11] Si riporta qui di seguito il testo del comma 2 del citato articolo 51 vigente anteriormente alle modifiche apportate dal decreto legge in conversione: “Chi ha ricoperto per due mandati consecutivi la carica di sindaco e di presidente della provincia non è, allo scadere del secondo mandato, immediatamente ricandidabile alle medesime cariche. Per i sindaci dei comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti, il limite previsto dal primo periodo si applica allo scadere del terzo mandato.”.
[12] Le modifiche introdotte con il richiamato articolo 3 della legge n. 35 del 2012, più specificamente:
- hanno disposto che i sindaci che abbiano svolto un numero di mandati consecutivi superiore al limite previsto non siano ricandidabili, mentre nel testo previgente dell'art. 51, comma 2, del TUEL essi erano considerati non rieleggibili;
- hanno stabilito che i sindaci dei comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti possano svolgere tre mandati consecutivi;
- hanno correlativamente abrogato l'articolo 1, comma 138, della legge n.56 del 2014, che riservava (solo) ai sindaci di comuni fino a 3.000 abitanti la possibilità di essere rieletti per un terzo mandato.
[13] Il comma 10 del citato articolo 71 stabilisce che “Ove sia stata ammessa e votata una sola lista, sono eletti tutti i candidati compresi nella lista, ed il candidato a sindaco collegato, purché essa abbia riportato un numero di voti validi non inferiore al 50 per cento dei votanti ed il numero dei votanti non sia stato inferiore al 50 per cento degli elettori iscritti nelle liste elettorali del comune. Qualora non si siano raggiunte tali percentuali, la elezione è nulla.”.
[14] Il punto 5 del Considerato in diritto della richiamata sentenza n. 242 del 2012, più in particolare, rileva che “Nell’operare il bilanciamento del diritto elettorale degli abitanti con quello dei cittadini residenti all’estero, tra le due soluzioni possibili – quella di garantire con pienezza il diritto dei non residenti iscritti all’AIRE alla appartenenza al corpo elettorale locale sì da concorrere al calcolo del quorum per la validità delle elezioni in condizioni di perfetta parità con i cittadini residenti, e quella di assicurare ampia ed incondizionata garanzia ai diritti politici di questi ultimi – il legislatore del 2000 ha optato per la prima soluzione, emanando la norma la cui legittimità costituzionale è revocata in dubbio con l’ordinanza di rimessione.
Le considerazioni del rimettente sugli inconvenienti derivanti dalla assenza (cui è auspicabile che il legislatore ponga rimedio) di una normativa agevolativa del voto dei residenti all’estero con riguardo alle elezioni amministrative, e i rilievi dello stesso giudice diretti ad una «diversa formulazione» della norma in esame, anche in ragione dei segnalati suoi profili di non piena coerenza, nel testo attuale, con la disciplina di settore, se inducono a ritenere opportuna, da parte del legislatore, una rimeditazione del bilanciamento di interessi attuato in detta norma, tuttavia non ne evidenziano un tasso di irragionevolezza manifesta, tale da comportarne la caducazione da parte di questa Corte.
Ciò in quanto, come già sottolineato, «la determinazione delle formule e dei sistemi elettorali costituisce un ambito nel quale si esprime con un massimo di evidenza la politicità della scelta legislativa, censurabile in sede di giudizio di costituzionalità solo quando risulti manifestamente irragionevole» (sentenza n. 260 del 2002).
Né è sostenibile che un tal tasso di irragionevolezza della disposizione denunciata possa desumersi, a contrario, dalla precedente richiamata pronuncia di questa Corte n. 173 del 2005. La quale ha bensì ritenuto compatibile con i precetti di cui agli articoli 3 e 48 Cost. la norma, di segno opposto, adottata in materia (nell’ambito, per altro, della sua competenza primaria) dalla Regione Friuli-Venezia Giulia (art. 1, comma 2, legge reg. 11 dicembre 2003 n. 21), con esclusione degli elettori iscritti all’AIRE ai fini del computo del quorum partecipativo. Ma ciò ha fatto, detta sentenza, valutando la ragionevolezza di quel «regime speciale» e ravvisando «la sua giustificazione nell’alto tasso di emigrazione che caratterizza alcune aree della Regione Friuli-Venezia Giulia».
Il che, all’evidenza, non comporta, specularmente, l’irragionevolezza, che rileverebbe solo ove manifesta, della non coincidente soluzione adottata dal legislatore statale, basata su una ponderazione di interessi non mirata a circoscritte specifiche realtà territoriali, ma riferita ad un quadro più generale (sentenza n. 107 del 1996), e volta ad un (non irragionevole, appunto) bilanciamento del diritto al voto dei residenti con quello degli iscritti all’AIRE.
Non risultano, di conseguenza, violati – nell’ambito della discrezionalità di scelte riservata al legislatore – i principi di partecipazione democratica, eguaglianza, effettività del diritto di voto, di cui agli articoli 1, secondo comma, 3, 48, primo comma e 51, primo comma, Cost., come richiamati, in reciproca combinazione, dal ricorrente.”.
[15] I successivi commi 2 e 3 della citata legge n. 53 prevedono poi che l'autenticazione deve essere compiuta con le modalità di cui all'articolo 21, comma 2, del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445 (comma 2) e che le sottoscrizioni e le relative autenticazioni sono nulle se anteriori al centottantesimo giorno precedente il termine fissato per la presentazione delle candidature (comma 3).
[16] Al riguardo, in particolare, l’articolo 8 del citato Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali prevede che “1. I comuni, anche su base di quartiere o di frazione, valorizzano le libere forme associative e promuovono organismi di partecipazione popolare all'amministrazione locale. I rapporti di tali forme associative sono disciplinati dallo statuto.
2. Nel procedimento relativo all'adozione di atti che incidono su situazioni giuridiche soggettive devono essere previste forme di partecipazione degli interessati secondo le modalità stabilite dallo statuto, nell'osservanza dei princìpi stabiliti dalla legge 7 agosto 1990, n. 241.
3. Nello statuto devono essere previste forme di consultazione della popolazione nonché procedure per l'ammissione di istanze, petizioni e proposte di cittadini singoli o associati dirette a promuovere interventi per la migliore tutela di interessi collettivi e devono essere, altresì, determinate le garanzie per il loro tempestivo esame. Possono essere, altresì, previsti referendum anche su richiesta di un adeguato numero di cittadini.
4. Le consultazioni e i referendum di cui al presente articolo devono riguardare materie di esclusiva competenza locale e non possono avere luogo in coincidenza con operazioni elettorali provinciali, comunali e circoscrizionali.
5. Lo statuto, ispirandosi ai principi di cui alla legge 8 marzo 1994, n. 203, e al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, promuove forme di partecipazione alla vita pubblica locale dei cittadini dell'Unione europea e degli stranieri regolarmente soggiornanti.”.
[17] Si riporta di seguito il testo del primo comma dell’articolo 122 della Costituzione: “Il sistema d’elezione e i casi di ineleggibilità e di incompatibilità1 del Presidente e degli altri componenti della Giunta regionale nonché dei consiglieri regionali sono disciplinati con legge della Regione nei limiti dei princìpi fondamentali stabiliti con legge della Repubblica, che stabilisce anche la durata degli organi elettivi.”. Al riguardo la Corte costituzionale ha ulteriormente precisato: che “…il primo comma dell’art. 122 della Costituzione determina, in parte esplicitamente ma in parte implicitamente, un complesso riparto della materia elettorale fra le diverse fonti normative statali e regionali.
Anzitutto dispone che la legge della Repubblica stabilisce i principi fondamentali in tema di "sistema di elezione” e di determinazione dei "casi di ineleggibilità e di incompatibilità del Presidente e degli altri componenti della Giunta regionale, nonché dei consiglieri regionali”; e sui medesimi temi viene al contempo riconosciuta una competenza del legislatore regionale per tutta la parte residua.
Inoltre, lo stesso primo comma dell’art. 122 prevede che la legge statale "stabilisce anche la durata degli organi elettivi” ed in questo caso sembra trattarsi di una competenza legislativa piena.
In questo quadro la fonte statutaria è chiamata a svolgere un ruolo necessariamente ridotto, seppur significativo: questa stessa Corte, ad esempio, ha riconosciuto che spetta allo statuto regionale "la disciplina della eventuale prorogatio degli organi elettivi regionali dopo la loro scadenza o scioglimento o dimissioni”, … Ma poi, più in generale, sono le scelte statutarie in tema di fonti normative (come, ad esempio, la prescrizione, inserita proprio nel primo comma dell’art. 38, che la legge elettorale regionale debba essere approvata a maggioranza assoluta) e di forma di governo regionale che possono indirettamente condizionare la legislazione elettorale regionale.
A questo proposito, peraltro, occorre prendere atto che non si può pretendere, in nome della competenza statutaria in tema di "forma di governo”, di disciplinare la materia elettorale tramite disposizioni statutarie, dal momento che il primo comma dell’art. 123 ed il primo comma dell’art. 122 sono disposizioni tra loro pariordinate: anche se sul piano concettuale può sostenersi che la determinazione della forma di governo può (o addirittura dovrebbe) comprendere la legislazione elettorale, occorre prendere atto che, invece, sul piano della Costituzione vigente, la potestà legislativa elettorale è stata attribuita ad organi ed a procedure diverse da quelli preposti alla adozione dello statuto regionale e che quindi lo statuto regionale non può disciplinare direttamente la materia elettorale o addirittura contraddire la disposizione costituzionale che prevede questa speciale competenza legislativa.
Anzi, il fatto che la legge statale è chiamata a determinare i principi fondamentali nelle materie di cui al primo comma dell’art. 122 della Costituzione inevitabilmente riduce la stessa possibilità della fonte statutaria di indirizzare l’esercizio della potestà legislativa regionale in queste stesse materie.
Sono quindi inammissibili norme statutarie che – come nella lettera a) del primo comma dell’art. 38 – determinino direttamente, almeno in parte, il sistema di elezione che dovrà invece essere disciplinato dalla legge o che – come nella lettera e) del primo comma dell’art. 38 – determinino in modo diverso dal primo comma dell’art. 122 della Costituzione, sia sul piano soggettivo che su quello oggettivo, quanto dovrà essere disciplinato dal legislatore regionale sulla base dei principi fondamentali stabiliti dal legislatore statale…” (Corte costituzionale n. 2 del 2004).