Camera dei deputati - Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa) |
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Autore: | Servizio Studi - Dipartimento Istituzioni |
Titolo: | Disposizioni urgenti in materia di immigrazione e protezione internazionale, nonché per il supporto alle politiche di sicurezza e la funzionalità del Ministero dell'interno |
Serie: | Progetti di legge Numero: 184/2 |
Data: | 29/11/2023 |
Disposizioni urgenti in materia di immigrazione e protezione internazionale, nonché per il supporto alle politiche di sicurezza e la funzionalità del Ministero dell’interno
D.L. 133/2023 – A.S. 951
29 novembre 2023
Servizio Studi
Ufficio ricerche sulle questioni istituzionali, giustizia e cultura
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Dossier n. 166/2
Servizio Studi -
Dipartimento Istituzioni
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Progetti di legge n. 184/2
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D23133a.docx
INDICE
Schede di lettura
§
Articolo 01 (Disposizioni in materia di ingresso nel territorio dello Stato)
5
§
Articolo 1 (Disposizioni in materia di espulsioni per motivi di ordine pubblico, pubblica sicurezza o sicurezza dello Stato)....................................
7
§
Articolo 2 (Potenziamento dei controlli sulle domande di visto di ingresso)
19
§
Articolo 3, comma 1, lett. a) (Modifiche in materia di domanda reiterata in fase di esecuzione di un provvedimento di allontanamento)...................
21
§
Articolo 3, comma 1, lett. b) e c) e comma 2 (Procedure di impugnazione delle decisioni in materia di protezione internazionale e disposizioni in materia di gratuito patrocinio).....................................................................
25
§
Articolo 4 (Presentazione della domanda di protezione internazionale e sospensione dell’esame per allontanamento ingiustificato)........................
30
§
Articolo 5 (Disposizioni in materia di minori stranieri non accompagnati)
34
§
Articolo 6 (Conversione dei permessi di soggiorno per minori stranieri non accompagnati).......................................................................................
60
§
Articolo 7 (Strutture di accoglienza)...........................................................
63
§
Articolo 8 (Misure di sostegno per i comuni interessati da arrivi consistenti e ravvicinati di migranti)...........................................................
67
§
Articolo 9 (Supporto delle Forze Armate per esigenze di pubblica sicurezza)......................................................................................................
70
§
Articolo 9-bis (Accesso alla carriera dei funzionari tecnici di Polizia)......
74
§
Articolo 9-ter (Consistenze organiche dei volontari del Corpo delle capitanerie di porto e arruolamento di contingenti aggiuntivi)..................
77
§
Articolo 10 (Misure relative al pagamento delle prestazioni di lavoro straordinario del personale delle Forze di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco).......................................................................................
79
§
Articolo 11, commi 1, 2 e 2-bis (Risorse per Polizia di Stato e Corpo nazionale dei vigili del fuoco)......................................................................
81
§
Articolo 11, commi 3 e 4 (Risorse per Forze Armate e Arma dei carabinieri)...................................................................................................
84
§
Articolo 11, commi 5 e 6 (Interventi a supporto del Corpo della Guardia di finanza).....................................................................................................
85
§
Articolo 12 (Disposizioni finanziarie)..........................................................
87
§
Articolo 13 (Entrata in vigore)....................................................................
88
Articolo 01
(Disposizioni in materia di ingresso nel territorio dello Stato)
L’articolo 01, introdotto nel corso dell’esame alla Camera, prevede che non sia ammesso l’ingresso in Italia dello straniero che risulti condannato, anche con sentenza non definitiva, per il reato di lesione personale commesso contro persona incapace, per età o infermità, che causi una malattia superiore a venti giorni (art. 582, secondo comma, secondo periodo c.p.), nonché per i reati relativi a pratiche di mutilazione genitale femminile e per il reato di deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso, previsti dal codice penale (artt. 583-bis e 583-quinquies, c.p.).
A tal fine la disposizione novella l’articolo 4, comma 3, terzo periodo del TU delle disposizioni in materia di immigrazione (D.Lgs. n. 286 del 1998), che disciplina le condizioni che consentono l’ingresso regolare di uno straniero nel territorio nazionale.
In particolare, ai sensi della disposizione richiamata per entrare in modo regolare in Italia è necessario che lo straniero dimostri di essere in possesso di idonea documentazione atta a confermare lo scopo e le condizioni del soggiorno, nonché la disponibilità di mezzi di sussistenza sufficienti per la durata del soggiorno e, fatta eccezione per i permessi di soggiorno per motivi di lavoro, anche per il ritorno nel Paese di provenienza. Non è ammesso in Italia chi non soddisfa questi requisiti, o è considerato una minaccia per la sicurezza nazionale o di uno dei Paesi con cui l'Italia ha siglato accordi per la libera circolazione delle persone tra le frontiere interne o che risulti condannato anche in via non definitiva per alcuni reati tassativamente individuati; sono poi individuati alcuni reati ostativi all’ingresso solo in seguito a condanna definitiva.
Per quanto riguarda le fattispecie di reato che, in caso di condanna anche non definitiva, impediscono l’ingresso in Italia ai sensi della normativa richiamata, la novella le individua mediante richiamo a singole disposizioni del codice penale. Segnatamente, si fa riferimento a:
- l’art. 582 del codice penale, secondo comma, secondo periodo; in generale, l’articolo 582 punisce con la reclusione da sei mesi a tre anni chiunque cagiona ad alcuno una lesione personale, dalla quale deriva una malattia nel corpo o nella mente; il secondo comma, secondo periodo fa riferimento al caso specifico in cui la lesione provoca una malattia non inferiore a venti giorni a una persona incapace, per età o per infermità (in questa ipotesi, peraltro, si procede d’ufficio);
- l’art. 583-bis del codice penale, introdotto dalla legge n. 7/2006, che contempla due distinte figure di reato, che costituiscono rispettivamente il primo e il secondo comma: la prima consistente nella mutilazione degli organi genitali femminili e la seconda nelle lesioni a tali organi, diverse dalle mutilazioni, da cui derivi una malattia;
- l’art. 583-quinquies del codice penale, introdotto dalla legge n. 69/2019, che punisce chiunque cagiona ad alcuno lesione personale dalla quale derivano la deformazione o lo sfregio permanente del viso è punito con la reclusione da otto a quattordici anni.
L’articolo 1, modificato nel corso dell’esame presso la Camera dei deputati, interviene sulla disciplina dell’espulsione dello straniero sotto diversi profili.
In primo luogo, incide sull’espulsione dei titolari di permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo. Vengono aggiornati i riferimenti normativi alla base delle situazioni soggettive che devono essere considerate nel valutare la pericolosità per l’ordine pubblico o la sicurezza dello Stato del richiedente il permesso di soggiorno ai fini del rilascio del permesso facendo riferimento alle categorie sottoposte a misure di prevenzione indicate agli articoli 1, 4 e 15 del Codice delle leggi antimafia. Inoltre, si stabilisce che è il Ministro dell’interno l’autorità deputata a decretare l’espulsione dello straniero soggiornante di lungo periodo che costituisce una minaccia per l’ordine pubblico o per la sicurezza dello Stato, mentre, nei casi in cui ricorrano gravi motivi di pubblica sicurezza, l’espulsione è disposta dal prefetto. Viene poi ribadita la competenza del giudice amministrativo nell’esame dei ricorsi contro i provvedimenti di espulsione disposti dal Ministro dell’interno e quella del giudice ordinario contro quelli del prefetto.
In secondo luogo, viene disciplinata la procedura di espulsione dello straniero nei casi in cui sia destinatario di una delle misure amministrative di sicurezza di cui al Titolo VIII del codice penale. Si tratta di una fattispecie non prevista in precedenza dall’ordinamento, che prevedeva esclusivamente l’ipotesi di espulsione dello straniero sottoposto a procedimento penale non in stato di custodia cautelare in carcere.
In terzo luogo, l’articolo modifica la disciplina relativa al diritto di difesa dello straniero parte offesa ovvero sottoposto a procedimento penale che sia stato espulso prevedendo che il questore ha la facoltà di negare l’autorizzazione al rientro in Italia qualora la presenza dell'interessato possa procurare gravi turbative o grave pericolo all'ordine pubblico o alla sicurezza pubblica. Nella formulazione previgente l’autorizzazione era concessa in modo automatico.
Nel corso dell’esame presso la Camera sono state apportate le seguenti modifiche e integrazioni:
- viene circoscritto il margine di discrezionalità del giudice nel comminare la misura dell’espulsione quale misura di sicurezza dello straniero di un Paese terzo che sia condannato per uno dei delitti per i quali è previsto l’arresto in flagranza prevedendo che il giudice ordina (e non “può ordinare” come stabilito dalla norma vigente) l’espulsione dello straniero condannato per quei delitti, fermo restando che egli risulti socialmente pericoloso;
- viene ridotto da 30 a 15 giorni (e da 60 a 40 giorni se il ricorrente risiede all’estero) il termine del deposito del ricorso avverso il provvedimento di espulsione dei cittadini stranieri, compresi quelli in possesso del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo;
- è introdotta la possibilità dell’espulsione del cittadino di altro Stato membro dell’Unione europea a titolo di sanzione sostitutiva alla detenzione, come già previsto per il cittadino non UE.
Un primo gruppo di disposizioni riguarda l’espulsione dei titolari di permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo.
La materia del soggiorno di lungo periodo degli stranieri provenienti da Paesi terzi è disciplinata dalla direttiva 2003/109/CE, recepita nell’ordinamento italiano dal D.Lgs. 3/2007 che ha novellato il testo unico in materia di immigrazione (D.Lgs. 286/1998, artt. 9 e 9-bis).
I cittadini di Paesi terzi, soggiornanti legalmente e ininterrottamente per cinque anni nel territorio di uno Stato membro, acquistano lo status di soggiornante di lungo periodo e hanno diritto ad un permesso di soggiorno speciale detto "permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo", che ha sostituito la "carta di soggiorno", dal contenuto analogo, prevista in precedenza.
Ai fini del rilascio del permesso UE lo straniero deve dimostrare, salvo determinati casi, la disponibilità di un reddito non inferiore all'importo annuo dell'assegno sociale e, nel caso di richiesta relativa ai familiari, di un reddito sufficiente e di un alloggio idoneo che rientri nei parametri minimi previsti dalla legge regionale per gli alloggi di edilizia residenziale pubblica ovvero che sia fornito dei requisiti di idoneità igienico-sanitaria accertati dall'Azienda unità sanitaria locale competente per territorio.
Il permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo è a tempo indeterminato, salva revoca o perdita a date condizioni, ed è rilasciato entro novanta giorni dalla richiesta. Il permesso non può essere rilasciato agli stranieri pericolosi per l'ordine pubblico o la sicurezza dello Stato.
Oltre a quanto previsto per lo straniero regolarmente soggiornante nel territorio dello Stato, lo status di soggiornante di lungo periodo reca con sé alcuni diritti, quali la parità di trattamento nell'esercizio di un'attività lavorativa, la tutela contro l'allontanamento, il soggiorno negli altri Stati membri, il ricongiungimento con i familiari.
Il permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo è rilasciato anche agli stranieri titolari dello status di protezione internazionale.
Il rilascio del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo è subordinato al superamento, da parte del richiedente, di un test di conoscenza della lingua italiana, tranne alcuni casi specificamente previsti (quale il permesso di soggiorno rilasciato per lo svolgimento di attività di ricerca e quello per lo straniero titolare di protezione internazionale).
L’articolo 1, comma 1, lettera a), n. 1), incide sulle situazioni soggettive che devono essere considerate nel valutare la pericolosità per l’ordine pubblico o la sicurezza dello Stato del richiedente il permesso di soggiorno ai fini del rilascio del permesso. L’articolo 9, comma 4, del TUIM, prevede, nella formulazione previgente, che nel valutare la pericolosità si tenga conto dell’appartenenza ad una delle categorie di soggetti considerati pericolosi indicati all’art. 1 della L. 1423/1956 e art. 1 della L. 575/1965. Ora le due disposizioni da ultimo citate sono state abrogate dal D.Lgs. 159/2011 e sono, in parte, confluite nel medesimo D.Lgs. 159.
La disposizione in esame modifica il citato art. 9, comma 4, facendo riferimento alle categorie sottoposte a misure di prevenzione indicate agli articoli 1, 4 e 15 del Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione (D.Lgs. 159/2011) ed in particolare a:
§ i soggetti destinatari di misure di prevenzione personali applicate dal questore in quanto ritenuti dediti a traffici delittuosi o che vivono dei proventi di tali attività o che sono dediti alla commissione di reati che offendono o mettono in pericolo l'integrità fisica o morale dei minorenni, la sanità, la sicurezza o la tranquillità pubblica (art. 1, L. 1423/1956 abrogato dal D.Lgs. 159/2011 e confluito nell’art. 1 del medesimo D.Lgs. 159/2011);
§ i soggetti destinatari di misure di prevenzione personali applicate dall'autorità giudiziaria in quanto indiziati di reati di particolare gravità quali associazione mafiosa, terrorismo ecc. (art. 1, L. 575/1965 abrogato dal D.lgs. 159/2011 e confluito, con alcune modifiche, nell’art. 4 del medesimo D.Lgs. 159/2011);
§ i soggetti destinatari di misure di prevenzione patrimoniali (art. 16).
Rimangono immutate le altre condizioni da considerare nel valutare la pericolosità del soggetto richiedente previste dal TUIM, ossia le eventuali condanne, anche non definitive per i gravi reati per i quali il codice di procedura penale prevede l’arresto obbligatorio in flagranza, o, limitatamente ai delitti non colposi, l’arresto facoltativo in flagranza (artt. 380 e 381 cpp).
Il comma 1, lettera a), n. 2), modifica l’articolo 9, comma 7, del TUIM che elenca le cause di revoca del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo. Nel testo previgente al decreto-legge, si prevede, tra l’altro, che il permesso fosse revocato in caso di espulsione di cui al successivo comma 9. Tuttavia, il comma 9 riguarda l’ipotesi in cui se non si può procedere all’espulsione, allo straniero cui è stato revocato il permesso di soggiorno UE deve essere rilasciato un permesso di soggiorno ad altro titolo. La disposizione in esame fa invece ora più correttamente riferimento al comma 10 del medesimo articolo 9, che riguarda appunto l’espulsione del titolare del permesso di soggiorno UE.
Il citato comma 10 è oggetto di modifica del comma 1, lett. a), n. 3).
Come accennato, l’art. 9, comma 10, del TUIM disciplina l’espulsione del titolare del permesso di soggiorno UE di lungo periodo. Nella formulazione previgente, tale disposizione prevede l’espulsione in tre casi tassativamente indicati:
§ per gravi motivi di ordine pubblica o sicurezza dello Stato;
§ in presenza di fondati motivi di ritenere che la permanenza nel territorio dello Stato dell’interessato (già indiziato per reati di terrorismo) possa in qualsiasi modo agevolare organizzazioni o attività terroristiche, anche internazionali (ai sensi dell’art. 3, comma 1, D.L. 144/2005, secondo cui è il prefetto che ne può disporre l’espulsione);
§ quando lo straniero appartiene ad una delle categorie di soggetti considerati pericolosi in quanto sottoposti a misure di prevenzione indicati all’art. 1 della L. 1423/1956 e art. 1 della L. 575/1965 (v. sopra il commento al comma 1, lett. a), n. 1).
Di questi tre casi, la disposizione in esame mantiene solo la prima, gravi motivi di ordine pubblica o sicurezza dello Stato, a cui affianca i gravi motivi di pubblica sicurezza.
In particolare, stabilisce che è il Ministro dell’interno (dandone preventiva notizia al Presidente del Consiglio dei ministri e al Ministro degli affari esteri) l’autorità deputata a decretare l’espulsione dello straniero soggiornante di lungo periodo che costituisce una minaccia per l’ordine pubblico o per la sicurezza dello Stato.
Si tratta di una disposizione già presente nell’ordinamento e prevista per tutti gli stranieri, l’art. 13, comma 1, del TUIM prevede infatti che: “Per motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato, il Ministro dell'interno può disporre l'espulsione dello straniero anche non residente nel territorio dello Stato, dandone preventiva notizia al Presidente del Consiglio dei ministri e al Ministro degli affari esteri”.
La disposizione in esame prevede che nei casi in cui ricorrano gravi motivi di pubblica sicurezza l’espulsione è invece disposta dal prefetto.
Una definizione legislativa di motivi di sicurezza dello Stato e di pubblica sicurezza si rinviene nel D.Lgs. 30/2007 relativa al diritto dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri:
Art. 20 “1. Salvo quanto previsto dall'articolo 21, il diritto di ingresso e soggiorno dei cittadini dell'Unione o dei loro familiari, qualsiasi sia la loro cittadinanza, può essere limitato con apposito provvedimento solo per: motivi di sicurezza dello Stato; motivi imperativi di pubblica sicurezza; altri motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza.
2. I motivi di sicurezza dello Stato sussistono quando la persona da allontanare appartiene ad una delle categorie di cui all'articolo 18 della legge 22 maggio 1975, n. 152, e successive modificazioni, ovvero vi sono fondati motivi di ritenere che la sua permanenza nel territorio dello Stato possa, in qualsiasi modo, agevolare organizzazioni o attività terroristiche, anche internazionali. Ai fini dell'adozione del provvedimento di cui al comma 1, si tiene conto anche di eventuali condanne pronunciate da un giudice italiano per uno o più delitti riconducibili a quelli indicati nel libro secondo, titolo primo del codice penale.
3. I motivi imperativi di pubblica sicurezza sussistono quando la persona da allontanare abbia tenuto comportamenti che costituiscono una minaccia concreta, effettiva e sufficientemente grave ai diritti fondamentali della persona ovvero all'incolumità pubblica. Ai fini dell'adozione del provvedimento, si tiene conto, quando ricorrono i comportamenti di cui al primo periodo del presente comma, anche di eventuali condanne, pronunciate da un giudice italiano o straniero, per uno o più delitti non colposi, consumati o tentati, contro la vita o l'incolumità della persona, ovvero di eventuali condanne per uno o più delitti corrispondenti alle fattispecie indicate nell'articolo 8 della legge 22 aprile 2005, n. 69, o di eventuali ipotesi di applicazione della pena su richiesta a norma dell'articolo 444 del codice di procedura penale per i medesimi delitti o dell'appartenenza a taluna delle categorie di cui all'articolo 1 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, e successive modificazioni, o di cui all'articolo 1 della legge 31 maggio 1965, n. 575, e successive modificazioni, nonché di misure di prevenzione o di provvedimenti di allontanamento disposti da autorità straniere”.
Inoltre, la disposizione in esame richiama l’applicazione del comma 3 dell’articolo 13 del TUIM, in cui è disposto che il provvedimento di espulsione deve essere motivato ed è immediatamente esecutivo e individua i termini di rilascio del nulla osta da parte dell’autorità giudiziaria, nel caso in cui lo straniero sia sottoposto a procedimento penale e non si trovi in stato di custodia cautelare in carcere (ma si veda anche la lett. c) che modifica l’art. 13, comma 3, TUIM).
In caso di espulsione dello straniero con permesso di soggiorno UE per gravi motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato, la disposizione in esame prevede la possibilità di ricorrere davanti al giudice amministrativo, mentre in caso di espulsione per gravi motivi di pubblica sicurezza è competente alla trattazione del ricorso l’autorità giudiziaria ordinaria e le relative controversie sono regolate dall’articolo 17 del decreto legislativo 1 settembre 2011, n. 150.
Si ricorda in proposito, che l’art. 13, comma 8, del TUIM dispone, in generale, che avverso il decreto di espulsione dello straniero può essere presentato ricorso all'autorità giudiziaria ordinaria e che le relative controversie sono disciplinate dall'articolo 18 del decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150, mentre è devoluta al giudice amministrativo la tutela giurisdizionale in materia di espulsione disposta dal Ministro dell’interno per motivi di ordine pubblico e di sicurezza dello Stato (art. 13, comma 11, TUIM).
L’articolo 17 del D.Lgs. 150/2011 disciplina le controversie aventi ad oggetto l'impugnazione del provvedimento di allontanamento dei cittadini degli altri Stati membri dell'Unione europea o dei loro familiari per motivi imperativi di pubblica sicurezza e per gli altri motivi di pubblica sicurezza, disponendo che siano regolate dal rito semplificato di cognizione e che la competenza spetta al tribunale sede della sezione specializzata in materia di immigrazione protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell'Unione europea del luogo in cui ha sede l'autorità che ha adottato il provvedimento impugnato. L’articolo 18 disciplina le controversie aventi ad oggetto l'impugnazione del decreto di espulsione pronunciato dal prefetto disponendo che siano regolate dal rito semplificato di cognizione e che sia competente il giudice di pace del luogo in cui ha sede l'autorità che ha disposto l'espulsione.
Una modifica dello stesso tenore di quella di cui all’articolo1, comma 1, lett. a), n. 1 (vedi sopra) è disposta dall’articolo 1, comma 1, lettera b) in relazione all’espulsione degli stranieri in possesso di un permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo rilasciato da un altro Stato membro dell’Unione.
Gli interventi di cui alle lettere c), nn. 2) e 3), e d), recano disposizioni di aggiornamento normativo conseguenti alla modifica operata all’articolo 9, comma 10 TUIM; queste sono volte ad inserire il riferimento all’espulsione del cittadino straniero titolare di permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo nelle seguenti previsioni del TUIM:
§ art. 13, comma 11, che prevede che contro il decreto di espulsione dello straniero disposto dal Ministero dell’interno per motivi ordine pubblico e sicurezza dello Stato è possibile ricorrere presso il giudice amministrativo;
§ art. 13, comma 14, che prevede la possibilità di disporre il divieto di rientrare nel territorio nazionale per un periodo superiore (oltre 5 anni) a quello ordinario (da 3 a 5 anni), anche per il cittadino in possesso di permesso UE di lungo periodo che sia stato espulso ai sensi dell’art, 9, comma 10, come modificato dal provvedimento in esame;
§ art. 14, comma 1-bis, che include anche gli stranieri in possesso di permesso UE di lungo periodo espulsi ai sensi dell’art, 9, comma 10, come modificato dal provvedimento in esame, dalle categorie di stranieri espulsi per i quali non sono applicabili le misure alternative al trattenimento nei centri di permanenza per il rimpatrio in attesa di espulsione (consegna del passaporto, obbligo di dimora, obbligo di firma).
Il comma 1, lettera c), n. 1), disciplina l’espulsione dello straniero nei casi in cui sia destinatario di una delle misure amministrative di sicurezza di cui al Titolo VIII del codice penale.
A tal fine modifica l’art. 13, comma 3, del TUIM. Tale disposizione, nella formulazione previgente, fa riferimento alle ipotesi di espulsione dello straniero sottoposto a procedimento penale e che non si trova in stato di custodia cautelare in carcere, e non anche all’ipotesi in cui invece sia destinatario di misure di sicurezza (ricovero in casa di cura, libertà vigilate, divieto di soggiorno ecc.) disciplinate dal Titolo VIII del codice penale.
La disposizione in esame estende dunque anche a questa seconda ipotesi la possibilità di espulsione, in considerazione di quanto disposto dal quarto comma dell’articolo 200 c.p., in cui si prevede che l’applicazione di misure di sicurezza allo straniero non impedisce l’espulsione dal territorio dello Stato, a norma delle leggi di pubblica sicurezza.
Sono poi inseriti ulteriori due periodi al comma 3, allo scopo di disciplinare la procedura. In particolare, si prevede che il nulla osta deve essere richiesto dal questore al magistrato di sorveglianza che ha adottato la misura e che si applichino le disposizioni di cui ai periodi quinto e sesto del medesimo comma 3 dell’articolo 13 del TUIM, secondo i quali il nulla osta si intende concesso qualora l’autorità giudiziaria non provveda entro sette giorni dalla data di ricevimento della richiesta e, nell’attesa della decisione sulla richiesta di nulla osta, il questore possa adottare la misura del trattenimento presso uno dei centri di cui all’articolo 14 del TUIM.
La disposizione in esame fa salvo quanto disposto dall’art. 235 del codice penale che prevede l’espulsione dello straniero comunitario a seguito di condanna superiore a due anni.
Il comma 1, lettera d)-bis, introdotta nel corso dell’esame presso la Camera dei deputati, riduce il margine di discrezionalità del giudice nel comminare la misura dell’espulsione dello straniero di un Paese terzo che sia condannato per uno dei delitti per i quali è previsto l’arresto obbligatorio (art. 380 c.p.) o facoltativo (art. 381 c.p.) in flagranza. Infatti, nella formulazione attuale, l’art. 15 del TUIM, oggetto di novella della disposizione introdotta dalla Camera dei deputati, prevede che, fuori dei casi previsti dal codice penale, il giudice può ordinare l'espulsione dello straniero condannato per taluno dei delitti previsti dagli articoli 380 e 381 del codice di procedura penale, sempre che risulti socialmente pericoloso. L’esecuzione dell’espulsione è eseguita dal questore subito dopo la cessazione del periodo di custodia cautelare o di detenzione.
Con la modifica in esame, si prevede che il giudice ordina (e non “può ordinare”) l’espulsione dello straniero condannato per quei delitti, fermo restando che egli risulti socialmente pericoloso. La pericolosità sociale, pertanto, diventa l’unico criterio di valutazione che il giudice può prendere in considerazione ai fini della decisione in ordine all’espulsione.
Secondo la giurisprudenza costituzionale, (sent. 58/1995): «vige il principio che "tutte le misure di sicurezza personali sono ordinate, previo accertamento che colui il quale ha commesso il fatto, è persona socialmente pericolosa". Rispetto a tale principio generale dell'ordinamento penale, un'ipotesi di presunzione ex lege della qualità di persona socialmente pericolosa, come è configurata dall'interpretazione contestata dal giudice a quo, dev'essere sottoposta, sotto il profilo dell'accertamento della legittimità costituzionale, al vaglio di un rigoroso scrutinio. Infatti, qualunque sia la natura che ontologicamente si intende assegnare alle misure di sicurezza, è indubitabile che le misure di sicurezza personali comportano comunque la privazione o la limitazione della libertà personale e, quindi, incidono in ogni caso su un valore che l'art. 13 della Costituzione riconosce come diritto inviolabile dell'uomo, sia esso cittadino o straniero (v., da ultimo, sent. n. 62 del 1994). Ed è giurisprudenza di questa Corte che, di fronte all'incisione di beni di tal pregio, il controllo di costituzionalità delle norme di legge contestate deve avvenire in modo da garantire che il sacrificio della libertà sia giustificato dall'effettiva realizzazione di altri valori costituzionali o non vada incontro a ostacoli insormontabili costituiti dalla protezione di altri valori costituzionali (v., ad esempio, sentt. nn. 63 del 1994, 81 del 1993, 368 del 1992, 366 del 1991)».
Il comma 1, lettera e), modifica la disciplina relativa al diritto di difesa dello straniero recato dall’art. 17 TUIM che, nella formulazione previgente, prevede che lo straniero non comunitario parte offesa ovvero sottoposto a procedimento penale che sia stato espulso è automaticamente autorizzato dal questore a rientrare in Italia per il tempo necessario per esercitare il suo diritto alla difesa.
La disposizione in esame introduce un elemento di discrezionalità prevedendo che il questore ha la facoltà di negare l’autorizzazione al rientro in Italia qualora la presenza dell'interessato possa procurare gravi turbative o grave pericolo all'ordine pubblico o alla sicurezza pubblica.
Si tratta di una disposizione già prevista per gli stranieri comunitari dal D.Lgs. 30/2007 (art. 20-bis, comma 5).
La disposizione in esame, inoltre, specifica, che contro il diniego di autorizzazione può essere proposta opposizione, nel termine perentorio di 60 giorni, al giudice davanti al quale pende il procedimento penale. Il giudice, sentito il pubblico ministero, decide con decreto non impugnabile entro 30 giorni dal deposito dell'opposizione. Nel corso delle indagini preliminari decide il giudice delle indagini preliminari.
I commi 2 e 3 integrano altrettante disposizioni normative al fine di adeguarle alla modifica dell’articolo 9, comma 10, operato dal provvedimento in esame (v. sopra comma 1, lett. a), n. 3).
Il comma 2 dispone che il rito abbreviato, previsto dal codice del processo amministrativo (decreto legislativo n. 104 del 2010), si applichi anche nei giudizi aventi ad oggetto le controversie relative ai provvedimenti di espulsione dei cittadini stranieri in possesso del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo, disposti dal Ministro dell’interno nei confronti dei titolari di permesso UE di lungo periodo per gravi motivi di ordine pubblico e sicurezza dello Stato, di cui all’art. 9, comma 10, primo periodo del TUIM, come modificato dal provvedimento in esame (D.Lgs. 104/2010, art. 119, comma 1, lett. m-sexies).
Il comma 3 modifica l’art. 3, comma 1, del D.L. 144/2005 che - nell’elencare i motivi per l’adozione di un provvedimento di espulsione dei cittadini stranieri in possesso del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo, da parte del Ministro dell’interno o per sua delega dal prefetto - fa riferimento all’articolo 9, comma 5, del TUIM (che riguarda le modalità di calcolo del periodo di possesso del permesso di soggiorno). Tale riferimento è sostituito con quello dell’art. 9, comma 10, primo periodo.
Il comma 4 (lett. a) e b) prevede che le controversie aventi ad oggetto l'impugnazione del provvedimento di espulsione dei cittadini stranieri in possesso del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo, disposta dal prefetto per gravi motivi di pubblica sicurezza, ai sensi dell'articolo 9, comma 10, secondo periodo, del TUIM, come modificato dal provvedimento in esame (che come si è detto sopra competono al giudice ordinario), siano regolate dal rito semplificato di cognizione (D.Lgs. 150/2011, art. 17).
Il procedimento semplificato di cognizione è previsto e disciplinato dal Capo III-quater del Libro II, Titolo I, c.p.c. (artt. 281-decies e seguenti), inserito dall’art. 3, comma 21, del D.Lgs. 149/2022 (cd. “riforma Cartabia”).
Il giudizio è introdotto nella forma del procedimento semplificato quando i fatti della causa siano solo parzialmente controversi e l'istruzione si basi su prova documentale o non richieda un'attività complessa e può sempre essere introdotto nella forma semplificata davanti al tribunale in composizione monocratica (art. 281-decies).
Il procedimento semplificato è caratterizzato da termini e tempi prevedibili e ridotti rispetto a quelli previsti per il rito ordinario e si conclude sempre con la pronuncia di una sentenza, impugnabile nei modi ordinari.
La successiva lettera b-bis), inserita nel corso dell’esame in Commissione, riduce da 30 a 15 giorni (e da 60 a 40 giorni se il ricorrente risiede all’estero) il termine del deposito del ricorso avverso il provvedimento di espulsione dei cittadini stranieri in possesso del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo.
Una riduzione analoga viene operata con il comma 4-ter, introdotto anch’esso dalla Camera, nei confronti del termine del deposito del ricorso avverso il provvedimento di espulsione dei cittadini stranieri di Paesi terzi che non sono in possesso del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo.
Il comma 4-bis, inserito nel corso dell’esame presso la Camera dei deputati, introduce la possibilità dell’espulsione del cittadino di altro Stato membro dell’Unione europea a titolo di sanzione sostitutiva alla detenzione entro il limite di 3 anni della pena, così come già previsto dall’ordinamento per i cittadini di Paesi terzi (entro il limite di 2 anni della pena).
A tal fine, la disposizione in commento interviene sul D.Lgs. 30/2007, recante la disciplina della condizione giuridica dello straniero dell’Unione europea: la lettera a) del comma in esame introduce i commi 3-bis e 3-ter all’articolo 20 del D.Lgs. 30/2007 citato, secondo cui il giudice, nel pronunciare nei confronti di un cittadino di un altro Stato membro dell'Unione europea una sentenza di condanna o di applicazione della pena su richiesta a norma dell'articolo 444 del codice di procedura penale (c.d. patteggiamento) per un reato non colposo, può sostituire la pena della reclusione con la misura dell'allontanamento immediato. L’espulsione è accompagnata dal divieto di reingresso nel territorio nazionale per un periodo corrispondente al doppio della pena irrogata. L’espulsione può essere disposta solo in caso di pena della reclusione entro il limite di 3 anni e sempre che non ricorrano le condizioni per ordinare la sospensione condizionale della pena ai sensi dell'articolo 163 del codice penale.
L'allontanamento è immediatamente eseguito dal questore, anche se la sentenza non è definitiva. Si prevede poi l’applicazione delle disposizioni dell'articolo 13, comma 5-bis, TUIM, che a sua volta rinvia a quelle dell’articolo 13, comma 4 TUIM (espulsione con accompagnamento coatto alla frontiera).
Come accennato sopra, il comma in esame ha un contenuto in parte analoga alla disposizione prevista per il cittadino di un Paese terzo dall’art. 16, comma 1 del TUIM.
La lettera b) del comma in esame estende anche alla fattispecie dell’espulsione del cittadino UE le disposizioni previste dall’art. 13-bis del TUIM per i cittadini non UE in caso di espulsione amministrativa disposta dal prefetto conseguente ad arresto in flagranza o di fermo.
In particolare, si tratta delle seguenti disposizioni:
§ nel caso di arresto in flagranza o di fermo, il giudice rilascia il nulla osta all'atto della convalida, salvo che applichi la misura della custodia cautelare in carcere ai sensi dell'articolo 391, comma 5, del c.p.p., o che ricorra una delle ragioni per le quali il nulla osta può essere negato (comma 3-bis);
§ le disposizioni di cui sopra si applicano anche allo straniero sottoposto a procedimento penale, dopo che sia stata revocata o dichiarata estinta per qualsiasi ragione la misura della custodia cautelare in carcere applicata nei suoi confronti. Il giudice, con lo stesso provvedimento con il quale revoca o dichiara l'estinzione della misura, decide sul rilascio del nulla osta all'esecuzione dell'espulsione. Il provvedimento è immediatamente comunicato al questore. (comma 3-ter)
§ il giudice, acquisita la prova dell'avvenuta espulsione, se non è ancora stato emesso il provvedimento che dispone il giudizio, pronuncia sentenza di non luogo a procedere (comma 3-quater);
§ se lo straniero espulso rientra illegalmente nel territorio dello Stato prima del termine previsto, si applica l'articolo 345 del codice di procedura penale, ossia la riproponibilità dell'azione penale. Se lo straniero era stato scarcerato per decorrenza dei termini di durata massima della custodia cautelare, quest'ultima è ripristinata (comma 3-quiquies).
Articolo 2
(Potenziamento dei controlli sulle domande di visto di ingresso)
L’articolo 2 autorizza l’assegnazione fino a 20 unità di personale dei ruoli degli ispettori e dei sovrintendenti della Polizia di Stato, presso le rappresentanze diplomatiche o gli uffici consolari.
Ne disciplina il trattamento economico, disponendo altresì il previo collocamento fuori ruolo.
Finalità dichiarata dal comma 1 è il potenziamento dei controlli sulle domande di visto di ingresso in Italia.
Pertanto si autorizza la destinazione presso le rappresentanze diplomatiche o gli uffici consolari di un contingente fino a venti unità di personale della Polizia di Stato, tratto dai ruoli degli ispettori e dei sovrintendenti.
Tale personale, si viene a prevedere, è collocato fuori ruolo presso il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, ed opera altresì secondo le linee di indirizzo del Dipartimento della pubblica sicurezza del Ministero dell'interno.
Con una modifica apportata durante l’esame alla Camera è stato previsto che, all'atto del collocamento fuori ruolo, nella dotazione organica dell'amministrazione di provenienza è reso indisponibile, per tutta la durata del collocamento stesso, un numero di posti equivalente dal punto di vista finanziario.
Il periodo minimo di permanenza è pari a due anni; il periodo massimo, a quattro anni (ma rimane salva l’assegnazione breve, non superiore ad un anno, con relativa riduzione degli assegni, prevista dall’articolo 170, quinto comma del d.P.R. n. 18 del 1967, il quale reca l’ordinamento dell’Amministrazione degli affari esteri).
Il trattamento economico di tale contingente, prevede il comma 2, è pari a quello previsto dal citato ordinamento amministrativo degli affari esteri per gli assistenti amministrativi (se si tratti di ispettori) ed i coadiutori (se si tratti di sovrintendenti)
[1]
. All’erogazione provvede il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale. Esso è autorizzato a corrispondere anticipazioni per l'intero ammontare spettante, nel lasso temporale intercorrente fino all’istituzione dei posti in organico (secondo le modalità prescritte ancora dall’ordinamento amministrativo degli affari esteri: cfr. articolo 32 del d.P.R. n. 18 del 1967).
Aggiunge il comma 3 che il trattamento economico previsto per il servizio prestato in Italia rimane a carico dell'amministrazione di appartenenza e continua a essere erogato dagli uffici che vi provvedevano all'atto del collocamento fuori ruolo.
Il comma 4 quantifica la spesa ai fini della copertura finanziaria. Essa è determinata in 125.000 euro per l'anno 2023 e 3,7 milioni annui a decorrere dall'anno 2024.
Il più contenuto importo per l’anno 2023 è calibrato su una previsione di destinazioni effettive da novembre di questo anno, per non più del venti per cento delle sedi previste.
Agli oneri si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento del fondo speciale di parte corrente iscritto, ai fini del bilancio triennale 2023-2025, nell'ambito del programma “Fondi di riserva e speciali” della missione “Fondi da ripartire” dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2023, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale.
Riporta la relazione tecnica di accompagnamento dell’A.C. 1458 come in sede di prima applicazione sia ipotizzata un’assegnazione di queste unità di personale della Polizia di Stato presso le sedi di: Islamabad (Pakistan); Karachi (Pakistan); Colombo (Sri Lanka); Dhaka (Bangladesh); Manila (Filippine); Algeri (Algeria); Baku (Azerbaigian); Yaoundé (Camerun); Abidjian (Costa d’Avorio); Il Cairo (Egitto); Accra (Ghana); Astana (Kazakistan); Nairobi (Kenya); Calcutta (India); Teheran (Iran); Baghdad (Iraq); Rabat (Marocco); Lagos (Nigeria); Dakar (Senegal); Tunisi (Tunisia).
La quantificazione degli oneri assume i coefficienti di sede di ciascuna località.
Articolo 3, comma 1, lett. a)
(Modifiche in materia di domanda reiterata in fase di esecuzione di un provvedimento di allontanamento)
L’articolo 3, comma 1, lett. a), prevede che in caso di reiterazione di domanda di riconoscimento di protezione internazionale presentata nella fase di esecuzione di un provvedimento di allontanamento dello straniero dal territorio nazionale, già convalidato dall’autorità giudiziaria, il questore, sulla base del parere del presidente della commissione territoriale per l’esame della domanda di asilo, procede con immediatezza all’esame preliminare della domanda e qualora non sussistano nuovi elementi rilevanti ai fini del riconoscimento della protezione internazionale ne dichiara l’inammissibilità, senza pregiudizio per l’esecuzione della procedura di allontanamento. Se invece emergono nuovi elementi rilevanti ai fini del riconoscimento della protezione internazionale la commissione territoriale procede all’ulteriore esame. Allo stesso modo, la commissione territoriale procede all’esame in caso emergano elementi rilevanti ai fini del divieto di espulsione stabilito dall’art. 19 del testo unico immigrazione, quali, ad esempio il pericolo di espulsione verso uno Stato in cui lo straniero possa essere oggetto di persecuzione.
La disposizione in esame modifica l’articolo 29-bis del D.Lgs. 25/2008 che disciplina la procedura di trattazione della richiesta di una prima domanda reiterata di protezione internazionale presentata dal richiedente nella fase di esecuzione di un provvedimento di allontanamento dal territorio nazionale.
Occorre ricordare che per domanda reiterata si intende un'ulteriore domanda di protezione internazionale presentata dopo che è stata adottata una decisione definitiva su una domanda precedente, anche nel caso in cui il richiedente abbia esplicitamente ritirato la domanda e nel caso in cui la Commissione territoriale abbia adottato una decisione di estinzione del procedimento o di rigetto della domanda qualora il richiedente si è allontanato senza giustificato motivo dalle strutture di accoglienza ovvero si sottrae alla misura del trattenimento negli hotspot o nei centri di permanenza per il rimpatrio centri (art. 2, lett. b-bis), D.Lgs. 25/2008).
La disposizione in esame introduce un comma 1-bis al citato articolo 29-bis per disciplinare il caso di trattazione di una domanda reiterata di riconoscimento di protezione internazionale e presentata nella fase di esecuzione di un provvedimento di allontanamento dello straniero dal territorio nazionale, già convalidato dall’autorità giudiziaria ai sensi dell’articolo 13, comma 5-bis, TUIM (convalida da parte del giudice di pace del provvedimento di espulsione tramite accompagnamento alla frontiera mediante forza pubblica) e dell’articolo 14, comma 4, TUIM (convalida del giudice di pace del provvedimento di trattenimento in un centro permanente per i rimpatri qualora non sia possibile procedere immediatamente all’espulsione).
Una disposizione analoga a quella in commento è recata dal comma 1 del medesimo articolo 29-bis laddove prevede che se lo straniero presenta una prima domanda reiterata nella fase di esecuzione di un provvedimento che ne comporterebbe l'imminente allontanamento dal territorio nazionale, la domanda è trasmessa con immediatezza al presidente della Commissione territoriale competente, che procede all'esame preliminare entro tre giorni, valutati anche i rischi di respingimento diretti e indiretti, e contestualmente ne dichiara l'inammissibilità ove non siano stati addotti nuovi elementi.
Rispetto alla disposizione del comma 1 di cui sopra, il comma 1-bis in esame, dal momento che fa esplicito rifermento alla convalida ai sensi dell’articolo 13, comma 5-bis, TUIM, sembra costituire una ipotesi particolare di domanda reiterata in presenza di un provvedimento di espulsione con accompagnamento alla frontiera in fase di esecuzione, previa convalida del giudice di pace regolata appunto dall’art. 13, comma 5-bis del TUIM.
Residuerebbe pertanto nell’ambito di applicazione del comma 1 la domanda di protezione internazionale reiterata in presenza di un provvedimento esecutivo di espulsione attraverso l’intimazione a lasciare volontariamente il territorio nazionale (di cui sempre all’art. 13, ma comma 5, del TUIM).
In base alla disposizione in esame, nel caso di espulsione con accompagnamento alla frontiera in fase di esecuzione, previa convalida del giudice di pace regolata appunto dall’art. 13, comma 5-bis del TUIM, a decidere dell’ammissibilità dell’istanza non è la commissione territoriale competente all’esame della domanda di asilo, bensì il questore, ossia l’autorità locale di pubblica sicurezza, previo parere della commissione territoriale per la protezione internazionale.
L’articolo 29-bis è stato introdotto con il D.L. 113/2018, successivamente modificato dal D.L. 130/2020.
L’articolo 29 del D.Lgs. 25/2008 disciplina i casi di inammissibilità della domanda di protezione internazionale. Esso prevede due ipotesi per le quali la commissione territoriale dichiara inammissibile la domanda e non procede all'esame:
- il richiedente è già stato riconosciuto rifugiato da uno Stato firmatario della Convenzione di Ginevra e può ancora avvalersi di tale protezione;
- il richiedente ha reiterato identica domanda dopo che sia stata presa una decisione da parte della Commissione stessa senza addurre nuovi elementi in merito alle sue condizioni personali o alla situazione del suo Paese di origine.
In tali casi, la domanda è sottoposta ad esame preliminare da parte del presidente della commissione, per accertare se emergono nuovi elementi, rilevanti ai fini del riconoscimento della protezione internazionale.
L’obbligo di sottoporre la domanda reiterata all’esame dell’autorità competente è previsto dalla normativa europea. La direttiva 2013/32/UE (direttiva procedure, recepita dal D.Lgs. 142/2015 di modifica del D.Lgs. 25/2008) prevede che una domanda di protezione internazionale reiterata è anzitutto sottoposta a esame preliminare per accertare se siano emersi o siano stati addotti dal richiedente elementi o risultanze nuovi rilevanti per l’esame dell’eventuale qualifica di beneficiario di protezione. Se l’esame preliminare permette di concludere che sono emersi o sono stati addotti dal richiedente elementi o risultanze nuovi che aumentano in modo significativo la probabilità che al richiedente possa essere attribuita la qualifica di beneficiario di protezione internazionale, la domanda è sottoposta a ulteriore esame (art. 40, §§ 2 e 3).
Il D.L. 113/2018, con il nuovo articolo 29-bis, ha previsto una specifica disciplina per l’ipotesi di reitera di domanda presentata nella fase di esecuzione di un provvedimento che ne comporterebbe l’imminente allontanamento dal Paese stabilendo che la domanda sia considerata inammissibile nel presupposto che essa sia stata presentata al solo scopo di ritardare l’espulsione.
Successivamente, il D.L. 130/2020 ha eliminato l’automatismo nella dichiarazione di inammissibilità della domanda, prevedendo che il presidente della commissione sia comunque tenuto al suo esame, entro tre giorni, e ne dichiari l’inammissibilità se non siano stati addotti nuovi elementi.
In ordine ai soggetti competenti all’esame delle domande di protezione internazionale la direttiva procedure 2013/32/UE prevede che “le decisioni in merito a tutte le domande di protezione internazionale siano adottate sulla base dei fatti e, in primo grado, da autorità il cui organico dispone di conoscenze adeguate o ha ricevuto la formazione necessaria in materia di protezione internazionale” (considerato n. 16).
Inoltre, la direttiva stabilisce che gli Stati membri designino “per tutti i procedimenti” un’autorità competente “per l’esame adeguato delle domande a norma della presente direttiva. Gli Stati membri provvedono affinché tale autorità disponga di mezzi appropriati, in particolare di personale competente in numero sufficiente, per assolvere ai suoi compiti ai sensi della presente direttiva” (art. 4). La direttiva ammette una deroga a tale principio solamente in due circostanze:
§ trattamento dei casi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide (Regolamento UE 604/2013., c.d. Regolamento Dublino III);
§ per accordare o rifiutare il permesso di ingresso nell’ambito della procedura di frontiera di cui all’articolo 43.
L’articolo 43 della direttiva consente agli Stati membri di prevedere procedure per decidere alla frontiera o nelle zone di transito dello Stato membro sull’ammissibilità di una domanda ivi presentata e sul merito di una domanda nell’ambito di una procedura accelerata in determinati casi (provenienza del richiedente da Paese di origine sicuro, falsificazione di documenti ecc.).
In questi due casi, le domande possono essere esaminate da un'altra autorità. Ma anche in caso di una autorità diversa gli “Stati membri provvedono affinché il relativo personale disponga delle conoscenze adeguate o riceva la formazione necessaria per ottemperare agli obblighi che ad esso incombono nell’applicazione della presente direttiva”.
Tali disposizioni sono state recepite nel diritto interno dall’art. 3 del D.Lgs. 25/2008, ai sensi del quale le autorità competenti all'esame delle domande di protezione internazionale sono le commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale, mentre l'ufficio di polizia di frontiera e la questura sono competenti a ricevere la domanda.
L’Unità Dublino, operante presso il Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno e le sue articolazioni territoriali operanti presso le prefetture, sono le autorità preposte alla determinazione dello Stato competente all'esame della domanda di protezione internazionale in applicazione del regolamento Dublino.
L’articolo 3, comma 1, lett. b) e c), introdotte nel corso dell’esame presso l’altro ramo del Parlamento, prevede che il questore, una volta eseguita l’espulsione nei casi di domanda reiterata di protezione internazionale senza addurre nuovi motivi e di domanda manifestamente infondata, ne deve dare comunicazione alle commissioni territoriali che a loro volta la trasmettono tempestivamente al giudice ai fini della dichiarazione della cessata ammissione al patrocinio a spese dello Stato.
Inoltre, si prevede che il giudice, in caso di rigetto reiterata in fase di esecuzione di un provvedimento di allontanamento, nel liquidare il compenso del difensore deve motivare espressamente la sussistenza dei requisiti per l'ammissione al gratuito patrocinio nel decreto di pagamento dell'onorario e delle spese spettanti al difensore.
Il giudice dichiara cessata l’ammissione al gratuito patrocinio a spese dello Stato quando rigetta l’istanza di sospensione dell’efficacia esecutiva della decisione adottata dalla commissione territoriale in caso di domanda di protezione internazionale presentata direttamente alla frontiera da un richiedente proveniente da un Paese designato Paese sicuro e quando rigetta l’istanza di sospensione dell’efficacia esecutiva della decisione adottata dalla commissione territoriale e perviene, prima dell’adozione del decreto decisorio di rigetto, la comunicazione dell’avvenuta espulsione da parte della commissione territoriale.
Il comma 2, intervenendo in materia di gratuito patrocinio, modifica la disciplina generale riguardante l’esclusione dal diritto alla liquidazione del compenso del difensore in caso di impugnazione inammissibile.
La lett. b) dell’art. 3, comma 1, modifica l’articolo 35 del D.Lgs. 25/2008 che disciplina la procedura di impugnazione delle decisioni di rigetto della domanda di protezione internazionale prese dalle commissioni territoriali (art. 32 del medesimo D.Lgs. 25/2008) e dei provvedimenti di revoca e cessazione della protezione internazionale prese dalla Commissione nazionale (di cui all’art. 33 del medesimo D.Lgs. 25/2008).
La disposizione in esame introduce una nuova fase in tale procedimento prevedendo che il questore, una volta eseguita l’espulsione nei casi di domanda reiterata di protezione internazionale senza addurre nuovi motivi e di domanda manifestamente infondata, ne deve dare comunicazione alle commissioni territoriali che a loro volta la trasmettono tempestivamente al giudice ai fini del nuovo comma 17-bis dell’art. 35-bis del D.lgs. 25/2008 introdotto dalla successiva lettera c), numero 2 (vedi infra).
Il citato articolo 32 del D.lgs. 25/2008 prevede che le commissioni territoriali possono prendere una delle seguenti decisioni a seguito dell’esame delle domande di protezione internazionale:
§ riconosce lo status di rifugiato o la protezione sussidiaria;
§ rigetta la domanda qualora non sussistano i presupposti per il riconoscimento della protezione internazionale;
§ rigetta la domanda per manifesta infondatezza nei casi di cui all'articolo 28-ter, ossia:
- il richiedente ha sollevato esclusivamente questioni che non hanno alcuna attinenza con i presupposti per il riconoscimento della protezione internazionale ai sensi del decreto legislativo 19 novembre 2007, n. 251;
- il richiedente proviene da un Paese designato di origine sicuro;
- il richiedente ha rilasciato dichiarazioni palesemente incoerenti e contraddittorie o palesemente false;
- il richiedente ha indotto in errore le autorità presentando informazioni o documenti falsi;
- il richiedente è entrato illegalmente nel territorio nazionale, o vi ha prolungato illegalmente il soggiorno;
- il richiedente ha rifiutato di adempiere all'obbligo del rilievo dattiloscopico;
- il richiedente è stato condannato per gravi reati, rappresenta un pericolo per l’ordine e la sicurezza pubblica, o esiste pericolo di fuga.
§ rigetta la domanda se, in una parte del territorio del Paese di origine, il richiedente non ha fondati motivi di temere di essere perseguitato o non corre rischi effettivi di subire danni gravi o ha accesso alla protezione contro persecuzioni o danni gravi, può legalmente e senza pericolo recarvisi ed esservi ammesso e si può ragionevolmente supporre che vi si ristabilisca.
La Commissione nazionale per il diritto di asilo ha competenza in materia di revoca e cessazione degli status di protezione internazionale riconosciuti (art. 5, D.Lgs. 25/2008) e la esercita nel rispetto dei principi fondamentali e le garanzie previste dalla legge (art. 33 D.Lgs. 25/2008).
Avverso la decisione della commissione territoriale e la decisione della Commissione nazionale sulla revoca o sulla cessazione dello status di rifugiato o di persona cui è accordata la protezione sussidiaria è ammesso ricorso dinanzi all'autorità giudiziaria ordinaria (art. 35, comma 1, D.Lgs. 25/2008) secondo la procedura indicata dall’art. 35-bis del D.Lgs. 25/2008).
La lettera c), n. 1 modifica il comma 17 dell’articolo 35-bis del D.lgs. 25/2008, che riguarda le spese legali.
Nella formulazione attuale, il comma 17 prevede che quando la decisione della commissione territoriale impugnata ha rigettato la domanda di protezione internazionale perché inammissibile o manifestamente infondata, il giudice, ove il ricorso sia integralmente respinto, nel liquidare il compenso del difensore deve motivare espressamente la sussistenza dei requisiti per l'ammissione al gratuito patrocinio nel decreto di pagamento dell'onorario e delle spese spettanti al difensore (ex art. 82 DPR 115/2002).
La disposizione in esame prevede l’applicazione della norma anche in caso di domanda reiterata in fase di esecuzione di un provvedimento di allontanamento (ex art. 29-bis D.Lgs. 25/2008). Inoltre, ribadisce che viene assicurato il patrocinio nel processo civile, amministrativo, contabile, tributario e negli affari di volontaria giurisdizione, per la difesa del cittadino non abbiente solamente quando le sue ragioni risultino non manifestamente infondate (art. 74, comma 2, DPR 115/2002) e chiarisce che il giudice procede alla revoca del procedimento di ammissione in conformità all’art. 136, comma 2, del DPR 115/2002 (che prevede la revoca del patrocinio se risulta l'insussistenza dei presupposti per l'ammissione ovvero se l'interessato ha agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave).
Viene mantenuto l’obbligo del giudice, ove il ricorso sia integralmente respinto, nel liquidare il compenso del difensore, di motivare espressamente la sussistenza dei requisiti per l'ammissione al gratuito patrocinio, tuttavia tale motivazione non è più da esplicitare nel decreto di pagamento (di cui al DPR 115/2002), bensì nel decreto di rigetto del ricorso (ex art. 13, D.Lgs. 25/2008).
La lettera c), n. 2 introduce il nuovo comma 17-bis dell’articolo 35-bis del D.Lgs. 25/2008 secondo il quale il giudice dichiara cessata l’ammissione al gratuito patrocinio a spese dello Stato nei seguenti casi:
§ quando rigetta l’istanza di sospensione dell’efficacia esecutiva della decisione adottata dalla commissione territoriale in caso di domanda di protezione internazionale presentata direttamente alla frontiera da un richiedente proveniente da un Paese designato Paese sicuro (ai sensi dell’articolo 28-bis, comma 2, lettera b-bis) del D.Lgs. 25/2008);
§ quando è stata rigettata l’istanza di sospensione dell’efficacia esecutiva della decisione adottata dalla commissione territoriale e perviene, prima dell’adozione del decreto decisorio di rigetto, la comunicazione dell’avvenuta espulsione da parte della commissione territoriale (di cui all’articolo 35, comma 2-bis, comunicazione introdotta dalla lettera b) di cui sopra).
Il comma 2, integralmente sostituito nel corso dell’esame alla Camera rispetto al testo originario, apporta delle modifiche all’articolo 130-bis del d.P.R. n. 155 del 2002 (T.U. spese di giustizia), in materia di gratuito patrocinio.
Il comma 1 dell’articolo 130-bis - inserito nel Titolo IV del citato T.U riguardante disposizioni particolari sul gratuito patrocinio nel processo civile, amministrativo, contabile e tributario - prevede che quando l'impugnazione, anche incidentale, è dichiarata inammissibile, al difensore non è liquidato alcun compenso. Si ricorda che tale articolo è stato introdotto nel citato testo unico dal DL n. 113 del 2018, con l’intento di responsabilizzare il difensore escludendo il diritto al compenso (come gratuito patrocinio) nel caso in cui l’impugnazione sia dichiarata inammissibile. Difatti, la ratio di tale disposizione appare quella di evitare ricorsi palesemente infondati o ex ante evidentemente privi dei necessari requisiti di ammissibilità. Tale previsione riprende quanto già previsto dall’art. 106 del TU spese di giustizia per il gratuito patrocinio nel settore penale.
In particolare, la novella in esame specifica, con una disposizione di portata generale, che, nel caso in cui l’impugnazione sia dichiarata inammissibile, il difensore non ha diritto alla liquidazione del compenso e che il giudice dell’impugnazione ne dia atto nel provvedimento decisorio.
A tal proposito, si ricorda che l’articolo 124 del citato T.U. prevede che l’istanza di accesso al patrocinio a spese dello Stato sia presentata esclusivamente dall'interessato o dal difensore, ovvero inviata, a mezzo raccomandata, al consiglio dell'ordine degli in cui ha sede il magistrato davanti al quale pende il processo. Nel caso in cui proceda la Corte di cassazione il consiglio dell'ordine competente è quello del luogo ove ha sede il magistrato che ha emesso il provvedimento impugnato. Parimenti, competente a provvedere sulla revoca dell’ammissione al gratuito patrocinio, nel caso in cui a procedere sia la Corte di cassazione, è il magistrato che ha emesso il provvedimento impugnato.
Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia (D.P.R. 30/05/2002, n. 115)
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Testo previgente
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Modificazioni apportate dall’art. 3 del D.L. 133/2023, come modificato dalla Camera
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Art. 130-bis |
Art. 130-bis |
1. Quando l'impugnazione, anche incidentale, è dichiarata inammissibile, al difensore non è liquidato alcun compenso.
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1. Quando l'impugnazione, anche incidentale, è dichiarata inammissibile, il difensore non ha diritto alla liquidazione del compenso e il giudice dell’impugnazione ne dà atto nel provvedimento decisorio.
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2. Non possono essere altresì liquidate le spese sostenute per le consulenze tecniche di parte che, all'atto del conferimento dell'incarico, apparivano irrilevanti o superflue ai fini della prova.
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2. Identico.
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Articolo 4
(Presentazione della domanda di protezione internazionale e sospensione dell’esame per allontanamento ingiustificato)
L’articolo 4 stabilisce che la domanda di protezione internazionale non si perfezioni in caso di mancata presentazione del cittadino straniero presso la questura per gli adempimenti richiesti. Si dispone inoltre la riduzione da dodici a nove mesi del periodo di sospensione della domanda, prevista nei casi di allontanamento ingiustificato del richiedente dai centri di accoglienza o di sua sottrazione al trattenimento negli hotspot e nei Centri di permanenza per il rimpatrio (CPR). Durante l’esame alla Camera, è stata anche stabilita l'estinzione automatica del procedimento in caso di mancata richiesta di riapertura da parte del soggetto interessato.
Con una modifica approvata dalla Camera si prevede inoltre l’applicazione della disciplina in materia di domanda manifestamente infondata anche alle persone qualificate come vulnerabili.
Più in dettaglio, la lettera a) dell’unico comma dell’articolo in commento integra le previsioni del vigente articolo 6 del D.Lgs. n. 25/2008 (c.d. decreto procedure), che disciplina la presentazione della domanda di protezione internazionale da parte dello straniero, per stabilire che ove lo straniero non si presenti presso l’ufficio di polizia territorialmente competente per la verifica dell’identità dal medesimo dichiarata e la formalizzazione della domanda di protezione internazionale, la manifestazione di volontà precedentemente espressa non costituisce domanda e il procedimento non s’intende instaurato.
A tale riguardo, si ricorda che la fase di avvio della procedura di riconoscimento della protezione internazionale (diretta ad ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato o lo status di protezione sussidiaria) concerne la registrazione della domanda ed è di competenza della Polizia di Stato.
La procedura prevede che il cittadino straniero che voglia chiedere asilo si presenti alla polizia di frontiera all’atto di ingresso nel territorio nazionale o presso la questura territorialmente competente (art. 6, D.Lgs. n. 25/2008). Tuttavia, nel caso di presentazione della domanda all'ufficio di frontiera è previsto che il richiedente sia inviato presso la questura, perché solo presso le questure la domanda può essere inoltrata (art. 26, D.Lgs. n. 25/2008).
In base al citato articolo 26, spetta alla questura, una volta ricevuta la domanda di protezione internazionale, redigere il verbale delle dichiarazioni del richiedente su appositi modelli predisposti dalla Commissione nazionale per il diritto di asilo (c.d. modello C-3). Il verbale è approvato e sottoscritto dal richiedente cui ne è rilasciata copia, unitamente alla copia della documentazione allegata.
Il verbale della domanda deve essere redatto entro tre giorni lavorativi dalla manifestazione della volontà di chiedere la protezione ovvero entro sei giorni lavorativi nel caso in cui la volontà è manifestata all'Ufficio di polizia di frontiera. I termini sono prorogati di dieci giorni lavorativi in presenza di un elevato numero di domande in conseguenza di arrivi consistenti e ravvicinati di richiedenti (art. 26, D.Lgs. n. 25/2008).
Al riguardo si ricorda che la direttiva n. 2013/32/UE (articolo 6, paragrafo 1) richiede agli Stati membri di garantire che le autorità preposte a ricevere le domande di protezione internazionale, ma non competenti per la registrazione a norma del diritto nazionale, abbiano le pertinenti informazioni e che il loro personale riceva il livello necessario di formazione adeguato ai loro compiti e alle loro responsabilità e le istruzioni per informare i richiedenti dove e in che modo possono essere inoltrate le domande di protezione internazionale.
L’articolo 6 del D.Lgs. n. 25/2008 stabilisce che la domanda di protezione internazionale deve essere presentata personalmente dal richiedente presso l'ufficio di polizia di frontiera all'atto dell'ingresso nel territorio nazionale o presso l'ufficio della questura competente in base al luogo di dimora del richiedente. La domanda presentata da un genitore si intende estesa anche ai figli minori non coniugati presenti sul territorio nazionale con il genitore all'atto della presentazione della stessa. In caso di minore non accompagnato, la domanda può essere presentata direttamente dal minore ovvero dal tutore sulla base di una valutazione individuale della situazione personale del minore.
In base al citato articolo 26, spetta alla questura, una volta ricevuta la domanda di protezione internazionale, redigere il verbale delle dichiarazioni del richiedente su appositi modelli predisposti dalla Commissione nazionale per il diritto di asilo (c.d. modello C-3). Il verbale è approvato e sottoscritto dal richiedente cui ne è rilasciata copia, unitamente alla copia della documentazione allegata.
La lettera b), con una modifica all’articolo 23-bis del medesimo decreto, riduce da dodici a nove mesi il termine entro il quale il richiedente può chiedere la riapertura del procedimento di esame della domanda di protezione internazionale che sia stata sospesa dalla Commissione territoriale a seguito di un suo allontanamento senza giustificato motivo dalle strutture di accoglienza ovvero in quanto si sia sottratto alla misura del trattenimento negli hotspot o nei Centri di permanenza per i rimpatri (CPR).
L’articolo 23-bis (comma 2) prevede attualmente che la riapertura del procedimento sospeso possa essere richiesta una sola volta entro il termine originario di dodici mesi, ora abbreviati a nove, trascorso il quale la Commissione territoriale dichiara l’estinzione del procedimento. Nel corso dell’esame alla Camera è stata approvata una ulteriore modifica in base alla quale l’estinzione del procedimento si produce in via automatica in seguito allo spirare del termine di nove mesi, senza necessità di una dichiarazione di estinzione del procedimento da parte della Commissione territoriale.
Resta fermo che lo straniero potrà comunque successivamente (ri)manifestare l’intenzione di chiedere la protezione internazionale e la domanda sarà trattata come domandata reiterata ai sensi dell’articolo 29-bis del D.Lgs. n. 25/2008.
Sul punto si ricorda che in base alla normativa europea (articolo 28 della direttiva 2013/32/UE) gli Stati membri possono fissare termini od orientamenti in materia di ritiro implicito della domanda o di rinuncia ad essa. Al contempo, però, si stabilisce che gli Stati sono tenuti a garantire al richiedente che si ripresenta all'autorità competente dopo che è stata presa la decisione di sospendere l’esame della sua domanda, il diritto di chiedere la riapertura del suo caso o di presentare una nuova domanda. In particolare gli Stati possono prevedere un termine di almeno nove mesi dopo il quale un caso non può più essere riaperto oppure la nuova domanda può essere trattata come domanda reiterata. Gli Stati membri possono prevedere che il caso del richiedente sia riaperto solo una volta così come possono autorizzare l'autorità accertante a riprendere l'esame della domanda dal momento in cui è stato sospeso.
La lettera b-bis), introdotta durante l’esame alla Camera, prevede l’applicazione della disciplina in materia di domande di protezione internazionale manifestatamente infondate anche ai richiedenti portatori di esigenze particolari.
La lettera abroga infatti il comma 1-bis dell’art. 28-ter del c.d. decreto procedure (decreto legislativo n. 25 del 2008) [2] . Tale disposizione attualmente esclude i richiedenti protezione internazionale portatori di esigenze particolari indicate nell’articolo 17 del decreto legislativo 18 agosto 2015, n. 142 (quali minori, disabili, anziani, donne, vittime di tratta, ecc.) dall’applicazione della disciplina in materia di domande manifestatamente infondate.
Si ricorda in proposito che ai sensi dell’articolo 28-ter, comma 1, le domande sono da considerare manifestamente infondate, e quindi da rigettare, qualora ricorra una delle seguenti ipotesi:
- il richiedente ha sollevato esclusivamente questioni che non hanno alcuna attinenza con i presupposti per il riconoscimento della protezione internazionale;
- il richiedente proviene da un Paese designato di origine sicuro;
- il richiedente ha rilasciato dichiarazioni palesemente incoerenti e contraddittorie o false, che contraddicono informazioni verificate sul Paese di origine;
- il richiedente ha indotto in errore le autorità presentando informazioni o documenti falsi o omettendo informazioni o documenti riguardanti la sua identità o cittadinanza che avrebbero potuto influenzare la decisione negativamente, ovvero ha dolosamente distrutto o fatto sparire un documento di identità o di viaggio che avrebbe permesso di accertarne l'identità o la cittadinanza;
- il richiedente è entrato illegalmente nel territorio nazionale, o vi ha prolungato illegalmente il soggiorno, e senza giustificato motivo non ha presentato la domanda tempestivamente rispetto alle circostanze del suo ingresso;
- il richiedente ha rifiutato di adempiere all'obbligo del rilievo dattiloscopico;
- il richiedente si trova in una delle condizioni (di cui all'articolo 6, commi 2, lettere a), b) e c), e 3, del decreto legislativo 142/2015) che consentono il trattenimento del richiedente nei centri di permanenza e rimpatrio.
Conseguentemente, la rubrica dell’articolo in esame è stata modificata per includervi le disposizioni in materia di manifesta infondatezza.
Articolo 5
(Disposizioni in materia di minori stranieri non accompagnati)
L’articolo 5, modificato nel corso dell’esame alla Camera, introduce alcune novità in materia di accoglienza dei minori stranieri non accompagnati (MSNA) nonché di accertamento dell’età nell’ambito della procedura di identificazione del minore.
In particolare, in tema di accoglienza, la disposizione (lettera a), n. da 1 a 4): estende da trenta a quarantacinque giorni il tempo massimo di permanenza dei minori nelle strutture governative di prima accoglienza a loro destinate; specifica che l’attivazione delle strutture di prima accoglienza avviene sulla base delle esigenze del territorio e dell’entità degli arrivi in frontiera o dei rintracci ed elimina la possibilità per gli enti locali di gestire tali strutture tramite convenzione con il Ministero dell'interno. Per quanto riguarda l’accoglienza dei minori nel SAI, si dispone che la capienza del Sistema è commisurata: 1) alle effettive presenze dei minori, anziché in generale sul territorio nazionale, nelle strutture di prima accoglienza e nelle strutture ricettive temporanee attivate dai prefetti (c.d. CAS minori); 2) nei limiti delle risorse non solo del Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell’asilo, come già previsto, ma anche del nuovo Fondo per l’immigrazione istituito dal D.L. n. 145 del 2023. Si stabilisce inoltre che l’assistenza e l’accoglienza del minore sono assicurate dai comuni in caso di temporanea indisponibilità non solo, come attualmente previsto, nelle strutture governative di prima accoglienza e delle strutture afferenti al SAI (art. 19, co. 2) ma anche nei CAS minori. Si consente di realizzare o ampliare i CAS minori, in deroga al limite di capienza, nella misura massima del 50 per cento e si prevede che in situazioni di momentanea mancanza di strutture di accoglienza per minori, incluse quelle temporanee, il prefetto dispone l'inserimento del minore di età non inferiore a sedici anni in una sezione specifica dei centri di accoglienza per adulti, per un periodo massimo di novanta giorni, prorogabili di ulteriori sessanta, nei limiti delle risorse disponibili a legislazione vigente allo scopo destinate.
Si introduce inoltre la possibilità per il giudice di disporre l’espulsione come sanzione sostitutiva in caso di condanna del presunto minore per il reato di false dichiarazioni sull’età (lettera b), n. 1).
In relazione alla procedura di identificazione dei minori (lettera b), n. 2 e n. 3), è introdotta la possibilità per l'autorità di pubblica sicurezza, in presenza di arrivi consistenti e ravvicinati, di ordinare l'effettuazione di misurazioni antropometriche o di altri esami sanitari, inclusi quelli radiografici, al fine di determinare l’età, informando immediatamente la Procura della Repubblica presso il tribunale per la persona, la famiglia ed i minorenni, che ne autorizza l'attuazione in forma scritta ovvero, in casi di particolare urgenza, oralmente con successiva conferma scritta.
In premessa, è utile ricordare che in attuazione della direttiva UE 2013/33/UE il sistema di accoglienza riservato sul territorio nazionale ai minori stranieri non accompagnati è disciplinato da specifiche disposizioni del D.Lgs. n. 142/2015 (articoli 19 e 19-bis), sinteticamente riassunte nel box che segue.
Con l'obiettivo di rafforzare gli strumenti di tutela garantiti dall'ordinamento, il decreto legislativo n. 142 del 2015 (cd. decreto accoglienza), in attuazione della direttiva 2013/32/UE, ha dettato per la prima volta disposizioni ad hoc sull'accoglienza dei minori non accompagnati, ai quali fino a quel momento si erano applicate le norme generali riferite ai minori in stato di abbandono. Tali disposizioni, come modificate ed implementate dalla legge n. 47 del 2017, rappresentano il quadro normativo di riferimento per l'accoglienza dei minori stranieri non accompagnati (si cfr. art. 18, 19, 19-bis e 21 del D.Lgs. n. 142/2015).
Il sistema che ne risulta, che si applica ai minori non accompagnati a prescindere dalla presentazione o meno della domanda di protezione internazionale, distingue tra una prima e una seconda accoglienza e stabilisce il principio in base al quale il minore non accompagnato non può in nessun caso essere trattenuto o accolto presso i centri di permanenza per i rimpatri (CPR) e i centri governativi di prima accoglienza.
L'accoglienza dei minori si fonda innanzitutto sull'istituzione di strutture governative di prima accoglienza per le esigenze di soccorso e di protezione immediata di tutti i minori non accompagnati. Come specificato dalla legge n. 47 del 2017, si tratta di strutture specificamente destinate ai minori (art. 19, comma 1, D.Lgs. 142/2015). Si tratta dunque di centri attivati dal Ministero dell'interno, in accordo con l'ente locale nel cui territorio è situata la struttura, gestiti dal Ministero, anche in convenzione con gli enti locali, finanziati con risorse a valere sul Fondo asilo Migrazione e Integrazione (FAMI).
Il decreto del Ministro dell'interno 1° settembre 2016, adottato di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze per i profili finanziari, stabilisce le modalità di accoglienza, gli standard strutturali e i servizi da erogare, in modo da assicurare un'accoglienza adeguata alla minore età.
Nelle strutture di prima accoglienza i minori sono accolti, dal momento della presa in carico, per il tempo strettamente necessario alla identificazione e all'eventuale accertamento dell'età, nonché a ricevere tutte le informazioni sui diritti del minore, compreso quello di chiedere la protezione internazionale. Con le modifiche introdotte dalla legge n. 47 del 2017, si stabilisce che le operazioni di identificazione del minore devono concludersi entro dieci giorni e devono essere svolte sulla base di una procedura unica sull'intero territorio nazionale disciplinata dalla legge all’art. 19-bis, D.Lgs. 142 del 2015 (v. infra).
In ogni caso, i minori possono restare nelle strutture di prima accoglienza non oltre trenta giorni (il termine originario era di sessanta, ulteriormente ridotto dalla L. 47/2017). All'interno delle strutture è garantito un colloquio con uno psicologo dell'età evolutiva, accompagnato se necessario da un mediatore culturale.
Per la prosecuzione dell'accoglienza del minore, si prevede che tutti i minori non accompagnati siano accolti nell'ambito del Sistema di accoglienza e integrazione – SAI (come ridenominato dal D.L. n. 130/2020), la cui capienza deve essere pertanto commisurata alle effettive presenze di minori stranieri nel territorio nazionale e comunque, nei limiti delle risorse del Fondo nazionale per le politiche ed i servizi dell'asilo. A tal fine, gli enti locali che partecipano alla ripartizione del Fondo prevedono specifici programmi di accoglienza riservati ai minori non accompagnati (art. 19, comma 2, D.Lgs. 142/2015).
Nella scelta del posto in cui collocare il minore, tra quelli disponibili, si deve tenere conto delle esigenze e delle caratteristiche dello stesso minore, in relazione alla tipologia dei servizi offerti dalla struttura di accoglienza. Le strutture nelle quali sono accolti i minori stranieri non accompagnati devono soddisfare gli standard minimi dei servizi e dell'assistenza forniti dalle strutture residenziali per minorenni ed essere autorizzate o accreditate ai sensi della normativa nazionale e regionale in materia. I richiedenti asilo che sono stati inseriti nel SAI durante la minore età, al compimento dei diciotto anni, restano in accoglienza fino alla definizione della domanda di protezione internazionale.
In caso di temporanea indisponibilità nei centri di prima accoglienza o nei centri di seconda accoglienza, l'assistenza e l'accoglienza del minore sono temporaneamente assicurate dal comune dove si trova il minore, secondo gli indirizzi stabiliti dal Tavolo di coordinamento nazionale istituito ai sensi dell'articolo 15 del D.Lgs. n. 142/2015 presso il Ministero dell'interno, che ha il compito di programmare gli interventi del sistema di accoglienza, compresi i criteri di ripartizione regionale dei posti disponibili (art. 19, comma 3, D.Lgs. 142/2015). È fatta salva la possibilità di trasferire il minore in altro comune, tenendo in considerazione prioritariamente il superiore interesse del minore. I comuni che assicurano l'attività di accoglienza accedono ai contributi disposti dal Ministero dell'interno a valere sul Fondo nazionale per i minori non accompagnati.
In materia l'Associazione nazionale dei comuni italiani (ANCI) promuove ogni due anni un'indagine nazionale che coinvolge tutti i Comuni italiani ai quali spetta la tutela e l'accoglienza dei minori non accompagnati presenti nel territorio. I dati quantitativi e qualitativi raccolti sul fenomeno sono disponibili nell'ultimo rapporto pubblicato (2023).
La disposizione di cui al comma 1, lettera a), che nel testo originario del decreto contiene una sola modifica all’articolo 19 del D.Lgs. n. 142/2015 (ora contenuta al n. 4 del citato comma 1, lett. a)), tesa a prevedere, a determinate condizioni, la possibilità di accoglienza dei minori nei centri governativi ordinari e straordinari di accoglienza, sostanzialmente riservati agli adulti, ma in una “sezione” appositamente dedicata ai minori, è stata interamente riscritta durante l’esame alla Camera, modificando parzialmente quanto già disposto ed introducendo ulteriori novità a tale articolo che, come anticipato (si v., supra, box), disciplina il sistema di accoglienza dei minori non accompagnati.
In particolare, la lettera a), come riformulata durante l’esame alla Camera, al n. 1, attraverso specifiche modifiche al comma 1 dell’articolo 19:
§ estende da trenta a quarantacinque giorni il tempo massimo di permanenza dei minori non accompagnati nelle strutture governative di prima accoglienza a loro destinate, in cui i minori dovrebbero rimanere per il tempo strettamente necessario all’identificazione, all’eventuale accertamento dell’età e alle prime informazioni per l’esercizio dei diritti loro riconosciuti, incluso quello di richiedere la protezione internazionale;
§ specifica che l’attivazione delle strutture di prima accoglienza da parte Ministero dell'interno in accordo con l'ente locale nel cui territorio è situata la struttura, avviene sulla base delle esigenze del territorio e dell’entità degli arrivi in frontiera o dei rintracci;
§ elimina la possibilità per gli enti locali di gestire tali strutture tramite convenzione con il Ministero dell'interno;
§ stabilisce che la normativa regolamentare che fissa le modalità e gli standard di accoglienza nelle citate strutture siano adottati non più in coerenza con la ‘normativa regionale’, bensì in attuazione della ‘normativa vigente’. Con quest’ultima espressione sembrerebbe intendersi ogni norma vigente, sia essa di fonte sovranazionale, statale o regionale.
Il n. 2 della lettera a), introdotto dalla Camera, sostituisce il comma 2 dell’articolo 19, che prevede l’accoglienza dei minori nell’ambito della rete SAI - Sistema di accoglienza e integrazione, gestita da comuni sulla base di finanziamenti statali. In proposito le modifiche introdotte sono finalizzate a:
§ precisare che i minori sono inseriti nella rete SAI una volta conclusa la fase di prima accoglienza nelle strutture governative di cui al comma 1 dell’articolo 19;
§ prevedere che la capienza del Sistema è commisurata alle effettive presenze dei minori nelle strutture di prima accoglienza (art. 19, co. 1) e nelle strutture ricettive temporanee attivate dai prefetti ex art. 19, co. 3-bis (c.d. CAS minori) e non in modo generale sul territorio nazionale, come attualmente disposto.
Si consideri in proposito che, secondo i dati del Ministero del lavoro, al 30 giugno 2023 sono 20.926 i minori stranieri non accompagnati presenti in Italia, di cui 8.357 accolti in strutture di prima accoglienza (tra le quali rientrano quelle di cui ai commi 1 e 3-bis dell’articolo 19 del D.Lgs. 142/2015), 6.574 in strutture di seconda accoglienza (tra cui rientra la rete SAI), 4.821 in famiglia e 1.174 in altre tipologie di collocamento.
Si aggiunge inoltre che la capienza del Sistema è comunque stabilita nei limiti delle risorse non solo del Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell’asilo, come già previsto dalla norma vigente, ma anche del nuovo Fondo per l’immigrazione istituito dall’art. 21, co. 1 del D.L. n. 145 del 2023 con una dotazione di circa 47 milioni di euro per il 2023 e che sarebbe rifinanziato dal ddl di bilancio 2024 (art. 66, co. 1), ora all’esame del Senato, per 190 milioni nel 2024; 290 milioni nel 2025; 200 milioni nel 2026.
La citata disposizione (articolo 21, comma 1, D.L. 145/2023) ha istituito un fondo presso il Ministero dell’interno (cap. 2350) con una dotazione iniziale di 46,859 milioni di euro per il 2023, destinato al finanziamento delle misure urgenti connesse all’accoglienza di migranti, nonché in favore dei minori stranieri non accompagnati. Il comma specifica che le risorse per l’accoglienza sono stanziate “anche a sostegno dei Comuni”. Demanda quindi a decreti ministeriali i criteri e le modalità di riparto della suddetta somma (entro 30 giorni dalla data di entrata in vigore del citato DL) e il successivo riparto delle risorse.
Si rammenta inoltre che il Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell’asilo (FNPSA) nello stato di previsione del Ministero dell’interno (cap. 2352) finanzia, con programmazione annuale, i progetti di accoglienza integrata afferenti al Sistema di accoglienza e integrazione (SAI). Il ddl di bilancio 2024-2026, all’esame del senato (S. 929) reca previsioni di spesa pari a 589,2 milioni di euro nel 2024 e 504,3 mln per ciascun anno 2025-2026.
Sulla base degli ultimi dati disponibili, alla fine del 2022, nell’ambito del SAI sono stati finanziati complessivamente 6.347 posti di accoglienza per MSNA (pari al 14,3% del Sistema).
La lettera a), n. 3, anch’essa introdotta durante l’esame presso la Camera, con una novella al comma 3 dell’articolo 19, stabilisce che l’assistenza e l’accoglienza del minore sono assicurate dai comuni tramite le proprie strutture di secondo livello accreditate o autorizzate in caso di temporanea indisponibilità anche delle strutture ricettive temporanee previste e disciplinate ai sensi dell’art. 19, co. 3-bis e non solo, come attualmente previsto, delle strutture specializzate riservate alla prima accoglienza (art. 19, co.1) e delle strutture afferenti al SAI (art. 19, co. 2).
In altre parole, le strutture comunali di cui al comma 3 divengono quelle alle quali ci si rivolge in assenza di ogni altra alternativa mentre nel sistema attuale tale ruolo è svolto dalle strutture temporanee di cui al comma 3-bis (per le quali cfr. infra)
Si ricorda che l’accoglienza garantita dai comuni ai sensi dell’articolo 19, comma 3 è finanziata dalle stesse amministrazioni locali, le quali possono accedere a tal fine al Fondo nazionale per l’accoglienza dei minori stranieri non accompagnati, gestito dal Ministero dell’interno, che riconosce un contributo all’accoglienza dei MSNA fuori dal SAI nei limiti e fino ad esaurimento delle risorse annualmente stanziate.
La lettera a), come riformulata in sede di esame alla Camera, al n. 4, interviene sulla previsione in base alla quale, qualora i comuni non riescano a garantire l’accoglienza nelle forme già previste dalla legge, in presenza di arrivi consistenti e ravvicinati di minori non accompagnati, i Prefetti possono attivare strutture di accoglienza temporanee esclusivamente dedicate ai minori (art. 19, co. 3-bis, D.Lgs. n. 142/2015, introdotto da art. 1-ter, D.L. n. 113/2016).
Si ricorda che la norma introdotta nel 2016 stabilisce che le strutture ricettive temporanee così attivate possono avere una capienza massima di 50 posti per ciascuna struttura. In tali strutture possono essere accolti solo i minori di età inferiore agli anni quattordici e per il tempo strettamente necessario al trasferimento nelle strutture di seconda accoglienza.
In base agli ultimi dati ufficiali disponibili, al 31 dicembre 2021 erano 25 le strutture temporanee di prima accoglienza, attivate dai Prefetti ai sensi dell’art. 19, comma 3-bis, D.lgs. 142/2015, per un totale di 571 posti disponibili (Ministero dell’Interno, Relazione sul funzionamento del sistema di accoglienza, Doc. LI, n. 2, tramessa il 29 novembre 2022).
L’articolo. 19, co. 3-bis, è poi interamente riscritto per introdurvi alcune novità.
In primo luogo, si prevede che, in casi di estrema urgenza connessi ad arrivi consistenti e ravvicinati di minori stranieri non accompagnati nel territorio nazionale, i prefetti possono realizzare o ampliare i c.d. CAS minori, anche in deroga al limite di capienza previsto (pari a 50 posti per singola struttura), nella misura massima del 50 per cento dei posti previsti. Pertanto la capienza massima potrà arrivare a 75 posti per struttura.
Tale disposizione, formulata come modifica al citato comma 3-bis e contenuta all’articolo 7, comma 1, lett. c), del testo originario del decreto-legge n. 133, durante l’esame alla Camera è stata collocata nell’ambito dell’articolo 5 che novella in più parti l’articolo 19. Conseguentemente il citato art. 7, comma 1, lett. c) è soppresso.
In secondo luogo, il nuovo comma 3-bis prevede che ove i CAS minori momentaneamente non risultino disponibili, il prefetto dispone (così nel testo modificato dalla Camera, il testo originario del decreto-legge prevede invece che il prefetto possa disporre) l’accoglienza dei minori nei centri governativi ordinari e straordinari di accoglienza di cui agli articoli 9 e 11 del medesimo decreto accoglienza, sostanzialmente riservati agli adulti, ma in una “sezione” appositamente dedicata ai minori.
La disposizione limita la possibilità di accoglienza in tali centri ai minorenni di età almeno pari a sedici anni e per un periodo comunque non superiore a novanta giorni. Durante l’esame alla Camera è stata aggiunta la possibilità di una proroga per un periodo massimo di ulteriori sessanta giorni, ma comunque nei limiti delle risorse disponibili a legislazione vigente.
In proposito si ricorda che in base alla normativa europea (direttiva n. 2013/33/UE, articolo 24, paragrafo 2) i minori non accompagnati che presentano domanda di protezione internazionale, dal momento in cui entrano nel territorio dello Stato membro in cui la domanda di protezione internazionale è stata presentata o é esaminata sino al momento in cui ne debbono uscire, sono alloggiati:
a) presso familiari adulti;
b) presso una famiglia affidataria;
c) in centri di accoglienza che dispongano di specifiche strutture per i minori;
d) in altri alloggi idonei per i minori.
La possibilità di alloggiare i minori non accompagnati in centri di accoglienza per adulti richiedenti è ammessa solo per i minori che abbiano compiuto i 16 anni e solo se, come prescritto dall’articolo 23, paragrafo 2, della medesima direttiva, tale decisione è assunta dagli Stati membri nell’interesse superiore del minore.
Infine, sempre durante l’esame presso la Camera il comma 3-bis dell’articolo 19 è stato ulteriormente modificato al fine di prevedere che l’attivazione dei CAS minori su iniziativa dei prefetti avvenga solo qualora l’accoglienza dei MSNA non possa essere garantita nei centri governativi di prima accoglienza (art. 19, co.1) né nelle strutture afferenti al SAI (art. 19, co. 2). Attualmente, invece, i CAS sono attivati nei casi in cui, oltre a ciò, non sono disponibili strutture comunali ai sensi dell’art. 19, co. 3.
Inoltre, si prevede che tali strutture ricettive temporanee possano essere realizzate anche in convenzione con gli enti locali e con oneri a valere sulle risorse del già citato Fondo per l’immigrazione istituito dal D.L. 145 del 2023 (art. 21, co. 1). Si prevede ancora che la presenza nei CAS è limitata al tempo strettamente necessario al trasferimento del minore nelle strutture del SAI, mentre attualmente dal CAS si può uscire anche quando si sia resa disponibile una struttura comunale.
La disposizione di cui al comma 1, lettera b), modifica in più parti la disciplina relativa alla procedura di identificazione del minore, che rappresenta uno degli adempimenti iniziali e tra i più delicati della prima accoglienza, a partire dall’accertamento dell’età che costituisce il presupposto per applicare le misure di protezione e assistenza stabilite dalla normativa vigente in favore dei minori non accompagnati.
La procedura di accertamento dell’età
La materia è regolata dall’articolo 19-bis del D.Lgs. n. 142/2015, che è stato introdotto dalla legge n. 47/2017 (art. 5) al fine di definire una procedura unica per l’intero territorio nazionale. Tale procedura prevede innanzitutto un colloquio del minore con personale qualificato, sotto la direzione dei servizi dell'ente locale.
Qualora sussista un dubbio circa l’età dichiarata, questa è accertata in via principale attraverso un documento anagrafico, anche avvalendosi della collaborazione delle autorità diplomatico-consolari. Per verificare l’età dichiarata le autorità consultano il Sistema informativo nazionale dei minori non accompagnati istituito presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali (art. 19-bis, commi 3 e 3-bis). L'intervento della rappresentanza diplomatico-consolare non deve essere richiesto nei casi in cui il presunto minore abbia espresso la volontà di chiedere protezione internazionale ovvero quando una possibile esigenza di protezione internazionale emerga.
Qualora permangano dubbi fondati in merito all’età dichiarata dal presunto minore, è previsto che l’accertamento dell’età venga disposto dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale per i Minorenni mediante esami socio-sanitari (art. 19-bis, comma 4).
L’accertamento è effettuato ai sensi del “Protocollo multidisciplinare per la determinazione dell’età dei minori stranieri non accompagnati” approvato il 9 luglio 2020 dalla Conferenza unificata.
L’articolo 19-bis stabilisce che l’accertamento socio-sanitario è condotto da professionisti adeguatamente formati, alla presenza di un mediatore culturale, con modalità meno invasive possibili e rispettose dell’età presunta, del genere e del sesso, dell’integrità fisica e psichica della persona, e con garanzie per il presunto minore di informativa sulla procedura, anche con l’ausilio del mediatore culturale, e possibilità di impugnativa.
Qualora, anche dopo l’accertamento permangano dubbi sulla minore età, questa è presunta ad ogni effetto di legge (art. 19-bis, comma 8).
Il provvedimento di attribuzione dell'età è emesso dal tribunale per i minorenni.
Il quadro normativo in materia è completato dalle prescrizioni del D.P.C.M. n. 234 del 2016 (adottato in attuazione del D.Lgs. n. 24 del 2014, art. 4, comma 2), che definisce i meccanismi per la determinazione dell'età dei minori non accompagnati vittime di tratta.
In proposito si ricorda infine che la Corte europea dei diritti dell’uomo nella sentenza del 21 luglio 2022 nella causa Darboe e Camara c. Italia (che riguardava un caso verificatosi nel 2016, precedentemente quindi alla legge n. 47 del 2017) ha rilevato che costituisce violazione degli articoli 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare), 3 (divieto di trattamenti inumani e degradanti) e 13 (diritto a un ricorso effettivo) della Convenzione europea dei diritti dell’uomo la mancata adozione, da parte delle autorità pubbliche, di misure di protezione di un ragazzo, che giunga non accompagnato in Italia dall’Africa e dichiari di essere minorenne e che ciononostante venga sistemato presso una struttura d’accoglienza per adulti. La successiva sentenza del 31 luglio 2023 nella causa M.A. c. Italia del 31 luglio 2023 (sempre relativa a un caso del 2016-2017) ha confermato che costituisce violazione dell’articolo 3 della Convenzione la collocazione di una minorenne in una struttura di accoglienza per adulti.
Rispetto a tale quadro normativo, le modifiche introdotte dalla disposizione in commento sono quattro.
Con la prima (comma 1, lettera b), n. 1) si prevede che qualora il presunto minore venga condannato, ai sensi dell’articolo 495 c.p., per false dichiarazioni o attestazioni a pubblico ufficiale sulla identità o su qualità personali proprie o altrui, in relazione all’età dichiarata o accertata mediante documento anagrafico (ai sensi dei commi 3 e 3-bis del citato articolo 19-bis), la pena prevista per tale reato dal codice penale può essere sostituita con l’espulsione dal territorio nazionale ai sensi dell’articolo 16 del T.U. immigrazione, che disciplina l'espulsione a titolo di sanzione sostitutiva o alternativa alla detenzione.
L’espulsione dello straniero come sanzione sostitutiva della detenzione è prevista dall'art. 16 del TU immigrazione, ai sensi del quale il giudice, nel pronunciare condanna o sentenza di patteggiamento, per un reato non colposo nei confronti dello straniero, privo del titolo di permanenza in Italia, oppure quando la condanna riguarda il reato previsto dall'art 10-bis (immigrazione clandestina) qualora non ricorrano le condizioni per applicare la sospensione condizionale della pena, può sostituire la pena detentiva, entro il limite di due anni, con la misura dell'espulsione per un periodo non inferiore a cinque anni. L’espulsione come sanzione sostitutiva non può tuttavia essere disposta in una serie di casi, ossia quando la condanna riguardi:
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uno o più delitti previsti dall'articolo 407, comma 2, lettera a), del codice di procedura penale, tra cui art. 575 (omicidio), art. 628 comma 3 (rapina aggravata), art. 629 (estorsione), art. 630 (sequestro di persona a scopo di estorsione);
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delitti previsti dallo stesso TU immigrazione, puniti con pena edittale superiore nel massimo a due anni;
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una delle categorie vulnerabili per le quali l'art. 19 del Testo Unico prevede il divieto di espulsione e di respingimento.
Quanto all’art. 495 c.p., si ricorda che tale disposizione punisce con la reclusione da 1 a 6 anni chiunque renda false attestazioni o dichiarazioni ad un pubblico ufficiale circa l’identità, lo stato o altre qualità propri o di altri.
Sono altresì previste due circostanze aggravanti specifiche, per le quali è stabilita la pena della reclusione non inferiore a 2 anni, qualora la falsa dichiarazione: 1) riguardi atti dello stato civile; 2) sia resa all'autorità giudiziaria da persona imputata o indagata ovvero se, per effetto della medesima dichiarazione, una decisione penale sia iscritta nel casellario giudiziale sotto falso nome.
Con la seconda modifica (comma 1, lettera b), n. 2) si stabilisce che la procedura di accertamento socio-sanitario dell’età di cui al comma 6 dell’articolo 19-bis debba concludersi entro il termine di sessanta giorni a decorrere dalla data in cui tale accertamento è stato disposto dalla Procura della Repubblica.
Si valuti l’opportunità di coordinare l’introduzione di tale termine con la previsione generale in base alla quale la permanenza dei minori nelle strutture di prima accoglienza dovrebbe essere per il tempo strettamente necessario e comunque non superiore a trenta giorni, di cui dieci necessari per concludere l’identificazione (art. 19, co. 1, D.Lgs. n. 142/2015). Inoltre l’accordo in Conferenza unificata sulla procedura unica da seguire per l’accertamento dell’età dei minori stabilisce che il protocollo multidisciplinare si deve attivare entro tre giorni dalla richiesta dell’Autorità giudiziaria e deve concludersi con la relazione multidisciplinare, preferibilmente entro dieci giorni e comunque non oltre venti giorni, al fine di favorire il corretto percorso di accoglienza.
In terzo luogo, la novella (comma 1, lettera b), n. 3) integra la normativa finora vigente stabilendo che l’accertamento socio-sanitario è effettuato dalle équipe multidisciplinari e multiprofessionali già previste dall'Accordo sancito in sede di Conferenza unificata, recante il Protocollo multidisciplinare per la determinazione dell'età dei minori stranieri non accompagnati (nuovo comma 6-bis dell’articolo 19-bis). Tali équipe devono essere costituite entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore del decreto-legge in esame (ossia a decorrere dal 6 ottobre 2023).
Si ricorda che in base al citato Protocollo, approvato dalla Conferenza unificata il 9 luglio 2020, tali équipe sono appositamente individuate e formate, sono composte da; un pediatra, con competenze auxologiche, in servizio presso il SSN; uno psicologo dell’età evolutiva o un neuropsichiatra infantile, in servizio presso il SSN; un mediatore culturale; un assistente sociale, in servizio presso il SSN o l’ente locale incardinati nei settori relativi alla materia.
L’accordo prevede che la distribuzione geografica e il numero delle équipe deve essere individuata dalle regioni in base alle caratteristiche e all’incidenza del fenomeno dell’afflusso di MSNA nel territorio regionale.
La procedura per la determinazione dell’età dei minori non accompagnati, è condotta dall’equipe multidisciplinare e consiste nello svolgimento di tre fasi successive e progressive ad invasività incrementale:
i) un colloquio sociale,
ii) una valutazione psicologica o neuropsichiatrica,
iii) una visita pediatrica auxologica, con ricorso ad accertamenti sanitari, utilizzando modalità il meno invasive possibili e rispettose dell’età presunta, del sesso e dell’integrità psico-fisica del minore, e secondo le modalità di seguito specificate.
La procedura deve essere effettuata in un ambiente idoneo, presso i luoghi di accoglienza in cui si trova il presunto minore o presso le strutture sanitarie pubbliche del Servizio Sanitario Nazionale (SNN), individuate dalle Regione e Provincie autonome sulla base delle specifiche competenze richieste e secondo le rispettive organizzazione territoriali.
Ove all’esito di ciascuna fase o stadio della procedura emergano elementi certi circa la minore età, non si procede ad accertamenti successivi.
Inoltre, sulla base del quadro normativo vigente, la Corte di Cassazione, a partire dalla sentenza n. 5936/2020 (Cass. Civ., I, 3 marzo 2020, n. 5936), ha osservato peraltro che "l'accertamento dell'età non può essere considerato valido ove:
a) faccia prevalere i risultati degli accertamenti sanitari rispetto ai dati anagrafici certificati dal passaporto o da altro documento di identità;
b) determini la maggiore età dell'interessato sulla base di un unico esame, ad es. la radiografia del polso-mano, anziché su una procedura multidisciplinare consistente nello svolgimento di un colloquio sociale, di una visita pediatrica auxologica e di una valutazione psicologica o neuropsichiatrica, alla presenza di un mediatore culturale, tenendo conto delle specificità relative all'origine etnica e culturale dell'interessato;
c) non specifichi il margine di errore insito nella variabilità biologica e nelle metodiche utilizzate ed i conseguenti valori minimo e massimo attribuibile: la mancata indicazione del margine di errore, infatti, impedisce di applicare il principio della presunzione di minore età in caso di dubbio. “Se sul referto a fronte dell'indicazione di un'età anagrafica stimata pari a 18 anni è indicato un margine di errore di + o - 2 anni, in ragione del principio di presunzione della minore età in caso di dubbio, l'interessato dovrà essere considerato come minorenne e là dove, invece, il margine di errore non viene indicato sul referto, il ragazzo sarà considerato come maggiorenne".
Infine, la disposizione di cui al comma 1, lettera b), n. 3 introduce il nuovo comma 6-ter all’articolo 19-bis del citato D.Lgs. n. 142 del 2015, che prevede la possibilità per l’autorità di pubblica sicurezza di procedere direttamente ad esami per accertare l’età di un presunto minore, in deroga a tutte le prescrizioni di cui al comma 6 (già descritte supra).
Tale possibilità è prevista in caso di arrivi consistenti, multipli e ravvicinati e a seguito di una delle seguenti attività:
§ ricerca e soccorso in mare;
§ rintraccio alla frontiera o nelle zone di transito;
Si ricorda in proposito che l’articolo 28, co. 4 del decreto procedure dispone che le zone di frontiera o di transito siano individuate con decreto del Ministro dell’interno nelle quali possono essere applicate procedure accelerate per le domande di protezione internazionale presentate nei casi previsti dall'art. 28-bis del medesimo decreto. Tali zone sono state individuate con D.M. 5 agosto 2019.
§ rintraccio nel territorio nazionale a seguito di ingresso avvenuto eludendo i controlli di frontiera sulle coste e nel territorio nazionale.
In tali casi, la disposizione consente che l’autorità di pubblica sicurezza, nel procedere ai rilievi dattiloscopici e fotografici, possa anche disporre lo svolgimento di “rilievi antropometrici o di altri accertamenti sanitari, anche radiografici”, volti all’individuazione dell’età.
L’esecuzione di tali operazioni deve essere autorizzata dalla procura della Repubblica presso il tribunale dei minorenni, a cui l’autorità di pubblica sicurezza deve dare immediata comunicazione. La disposizione specifica che l’autorizzazione deve essere data in forma scritta, fatti salvi i casi di particolare urgenza, in cui l’autorizzazione può essere data oralmente e successivamente essere confermata per iscritto.
Al riguardo, si valuti l’opportunità di specificare i termini temporali per l’autorizzazione da parte dell’autorità giudiziaria.
La novella richiama l’applicazione, in quanto compatibili, delle prescrizioni di cui al comma 3-ter del medesimo articolo 19-bis, introdotto dal presente decreto, sulla possibilità di espulsione a seguito di condanna per dichiarazioni false sull’età ed al comma 7, che prevede che il risultato dell'accertamento socio-sanitario sia comunicato allo straniero, in modo congruente con la sua età, con la sua maturità e con il suo livello di alfabetizzazione, in una lingua che possa comprendere, nonché all'esercente la responsabilità genitoriale e all'autorità giudiziaria che ha disposto l’accertamento.
La novella prevede, altresì, la redazione di un verbale delle attività poste in essere, che reca anche l’esito delle operazioni compiute e che deve essere notificato all’interessato (e al tutore ove nominato) e trasmesso all’autorità giudiziaria nelle quarantotto ore successive. Nel verbale, così come nella relazione finale dei professionisti che svolgono l’accertamento socio-sanitario ai sensi dell’articolo 19-bis, comma 6, deve essere indicato il margine di errore.
Il verbale può essere impugnato davanti al tribunale dei minorenni entro cinque giorni dalla notificazione, ai sensi degli articoli 737 e seguenti del codice di procedura civile (procedimenti in camera di consiglio)
Nel caso in cui sia proposta istanza di sospensione, il giudice, in composizione monocratica, decide in via d’urgenza entro cinque giorni. Fino alla decisione su tale istanza è sospeso ogni procedimento amministrativo e penale conseguente all’identificazione.
Valutata la normativa richiamata e alla luce altresì della collocazione della novella (nuovo comma 6-ter), sembrerebbe che resti sempre in capo al Tribunale dei minorenni, preso atto dell’esito degli accertamenti svolti dall’autorità di pubblica sicurezza di cui ha autorizzato l’esecuzione, la competenza di adottare un provvedimento di attribuzione dell’età, fermo restando che ove anche a seguito degli accertamenti disposti, permangano dubbi sulla minore età, questa si presume ad ogni effetto di legge.
D.Lgs. 18 agosto 2015, n. 142
Attuazione della direttiva 2013/33/UE recante norme relative all'accoglienza dei richiedenti protezione internazionale, nonché della direttiva 2013/32/UE, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale
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Testo previgente
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Modificazioni apportate dal D.L. 133/2023, come modificato dalla Camera
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[…]
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Articolo 19
(Accoglienza dei minori non accompagnati)
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Articolo 19
(Accoglienza dei minori non accompagnati)
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[articolo 5, comma. 1, lett. a), n. 1]
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1. Per le esigenze di soccorso e di protezione immediata, i minori non accompagnati sono accolti in strutture governative di prima accoglienza a loro destinate, istituite con decreto del Ministro dell'interno, sentita la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, per il tempo strettamente necessario, comunque non superiore a trenta giorni, all'identificazione, che si deve concludere entro dieci giorni, e all'eventuale accertamento dell'età, nonché a ricevere, con modalità adeguate alla loro età, ogni informazione sui diritti riconosciuti al minore e sulle modalità di esercizio di tali diritti, compreso quello di chiedere la protezione internazionale. Le strutture di prima accoglienza sono attivate dal Ministero dell'interno, in accordo con l'ente locale nel cui territorio è situata la struttura, e gestite dal Ministero dell'interno |
1. Per le esigenze di soccorso e di protezione immediata, i minori non accompagnati sono accolti in strutture governative di prima accoglienza a loro destinate, istituite con decreto del Ministro dell'interno, sentita la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, per il tempo strettamente necessario, comunque non superiore a quarantacinque giorni, all'identificazione, che si deve concludere entro dieci giorni, e all'eventuale accertamento dell'età, nonché a ricevere, con modalità adeguate alla loro età, ogni informazione sui diritti riconosciuti al minore e sulle modalità di esercizio di tali diritti, compreso quello di chiedere la protezione internazionale. Le strutture di prima accoglienza sono attivate dal Ministero dell'interno, in accordo con l'ente locale nel cui territorio è situata la struttura, secondo le esigenze del territorio medesimo, tenuto conto dell’entità degli arrivi alla frontiera ovvero dei rintracci, e gestite dal Ministero dell'interno. Con decreto del Ministro dell'interno, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze per i profili finanziari, sono fissati le modalità di accoglienza, gli standard strutturali, in attuazione della vigente normativa, e i servizi da erogare, in modo da assicurare un'accoglienza adeguata alla minore età, nel rispetto dei diritti fondamentali del minore e dei principi di cui all'articolo 18. Durante la permanenza nella struttura di prima accoglienza è garantito un colloquio con uno psicologo dell'età evolutiva, ove necessario in presenza di un mediatore culturale, per accertare la situazione personale del minore, i motivi e le circostanze della partenza dal suo Paese di origine e del viaggio effettuato, nonché le sue aspettative future. La prosecuzione dell'accoglienza del minore è assicurata ai sensi del comma 2.
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[articolo 5, comma. 1, lett. a), n. 2]
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2. I minori non accompagnati sono accolti nell'ambito del Sistema di protezione per richiedenti asilo, rifugiati e minori stranieri non accompagnati, di cui all'articolo 1-sexies del decreto-legge 30 dicembre 1989, n. 416, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 1990, n. 39, e in particolare nei progetti specificamente destinati a tale categoria di soggetti vulnerabili. La capienza del Sistema è commisurata alle effettive presenze dei minori non accompagnati nel territorio nazionale ed è, comunque, stabilita nei limiti delle risorse del Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell'asilo, di cui all'articolo 1-septies del decreto-legge 30 dicembre 1989, n. 416, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 1990, n. 39, da riprogrammare annualmente. A tal fine gli enti locali che partecipano alla ripartizione del Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell'asilo |
2. A conclusione della fase di prima accoglienza nelle strutture governative di cui al comma 1, i minori non accompagnati sono accolti nell'ambito del Sistema di accoglienza e integrazione, di cui all'articolo 1-sexies del decreto-legge 30 dicembre 1989, n. 416, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 1990, n. 39, e in particolare nei progetti specificamente destinati a tale categoria di soggetti vulnerabili. La capienza del Sistema è commisurata alle effettive presenze dei minori non accompagnati nelle strutture di cui ai commi 1 e 3-bis ed è, comunque, stabilita nei limiti delle risorse del Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell'asilo, di cui all'articolo 1-septies del citato decreto-legge n. 416 del 1989, da riprogrammare annualmente, e del fondo di cui all’articolo 21, comma 1, del decreto-legge 18 ottobre 2023, n. 145. A tal fine gli enti locali che partecipano alla ripartizione del Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell'asilo prevedono specifici programmi di accoglienza riservati ai minori non accompagnati.
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2-bis. Nella scelta del posto, tra quelli disponibili, in cui collocare il minore, si deve tenere conto delle esigenze e delle caratteristiche dello stesso minore risultanti dal colloquio di cui all'articolo 19-bis, comma 1, in relazione alla tipologia dei servizi offerti dalla struttura di accoglienza. Le strutture nelle quali vengono accolti i minori stranieri non accompagnati devono soddisfare, nel rispetto dell'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione, gli standard minimi dei servizi e dell'assistenza forniti dalle strutture residenziali per minorenni ed essere autorizzate o accreditate ai sensi della normativa nazionale e regionale in materia. La non conformità alle dichiarazioni rese ai fini dell'accreditamento comporta la cancellazione della struttura di accoglienza dal Sistema.
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Identico
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[articolo 5, comma. 1, lett. a), n. 3]
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3. In caso di temporanea indisponibilità nelle strutture di cui ai commi 1 e 2, l'assistenza e l'accoglienza del minore sono temporaneamente assicurate dalla pubblica autorità del Comune in cui il minore si trova, fatta salva la possibilità di trasferimento del minore in un altro comune, secondo gli indirizzi fissati dal Tavolo di coordinamento di cui all'articolo 16, tenendo in considerazione prioritariamente il superiore interesse del minore. I Comuni che assicurano l'attività di accoglienza ai sensi del presente comma accedono ai contributi disposti dal Ministero dell'interno a valere sul Fondo nazionale per l'accoglienza dei minori stranieri non accompagnati di cui all'articolo 1, comma 181, della legge 23 dicembre 2014, n. 190, nel limite delle risorse del medesimo Fondo e comunque senza alcuna spesa o onere a carico del Comune interessato all'accoglienza dei minori stranieri non accompagnati.
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3. In caso di temporanea indisponibilità nelle strutture di cui ai commi 1, 2 e 3-bis, l'assistenza e l'accoglienza del minore sono temporaneamente assicurate dalla pubblica autorità del Comune in cui il minore si trova, fatta salva la possibilità di trasferimento del minore in un altro comune, secondo gli indirizzi fissati dal Tavolo di coordinamento di cui all'articolo 16, tenendo in considerazione prioritariamente il superiore interesse del minore. I Comuni che assicurano l'attività di accoglienza ai sensi del presente comma accedono ai contributi disposti dal Ministero dell'interno a valere sul Fondo nazionale per l'accoglienza dei minori stranieri non accompagnati di cui all'articolo 1, comma 181, della legge 23 dicembre 2014, n. 190, nel limite delle risorse del medesimo Fondo e comunque senza alcuna spesa o onere a carico del Comune interessato all'accoglienza dei minori stranieri non accompagnati.
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[articolo 5, comma. 1, lett. a), n. 4]
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3-bis. In presenza di arrivi consistenti e ravvicinati di minori non accompagnati, qualora l'accoglienza non possa essere assicurata dai comuni ai sensi del comma 3, è disposta dal prefetto, ai sensi dell'articolo 11, l'attivazione di strutture ricettive temporanee esclusivamente dedicate ai minori non accompagnati, con una capienza massima di cinquanta posti per ciascuna struttura. Sono assicurati in ogni caso i servizi indicati nel decreto di cui al comma 1 del presente articolo. L'accoglienza nelle strutture ricettive temporanee non può essere disposta nei confronti del minore di età inferiore agli anni quattordici ed è limitata al tempo strettamente necessario al trasferimento nelle strutture di cui ai commi 2 e 3 del presente articolo. Dell'accoglienza del minore non accompagnato nelle strutture di cui al presente comma e al comma 1 del presente articolo è data notizia, a cura del gestore della struttura, al comune in cui si trova la struttura stessa, per il coordinamento con i servizi del territorio.
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3-bis. In presenza di arrivi consistenti e ravvicinati di minori non accompagnati, qualora l'accoglienza non possa essere assicurata dai comuni ai sensi dei commi 1 e 2, è disposta dal prefetto, ai sensi dell'articolo 11, l'attivazione di strutture ricettive temporanee esclusivamente dedicate ai minori non accompagnati, con una capienza massima di cinquanta posti per ciascuna struttura. Le strutture di cui al precedente periodo possono essere realizzate anche in convenzione con gli enti locali, con oneri a valere anche sul fondo di cui all’articolo 21, comma 1, del decreto-legge 18 ottobre 2023, n. 145. Nei casi di estrema urgenza la realizzazione o l’ampliamento delle strutture ricettive temporanee di cui al primo periodo sono consentiti in deroga al limite di capienza stabilito dalla medesima disposizione, nella misura massima del 50 per cento rispetto ai posti previsti. Sono assicurati in ogni caso i servizi indicati nel decreto di cui al comma 1 del presente articolo. L'accoglienza nelle strutture ricettive temporanee non può essere disposta nei confronti del minore di età inferiore agli anni quattordici ed è limitata al tempo strettamente necessario al trasferimento nelle strutture di cui al comma 2 del presente articolo. In caso di momentanea indisponibilità delle strutture ricettive temporanee di cui al presente comma, il prefetto dispone la provvisoria accoglienza del minore di età non inferiore a sedici anni in una sezione dedicata nei centri e nelle strutture di cui agli articoli 9 e 11, per un periodo comunque non superiore a novanta giorni, prorogabile al massimo di ulteriori sessanta giorni e comunque nei limiti delle risorse disponibili a legislazione vigente allo scopo destinate. Dell'accoglienza del minore non accompagnato nelle strutture di cui al presente comma e al comma 1 del presente articolo è data notizia, a cura del gestore della struttura, al comune in cui si trova la struttura stessa, per il coordinamento con i servizi del territorio.
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4. Il minore non accompagnato non può essere trattenuto o accolto presso i centri di cui agli articoli 6 e 9.
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Identico
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5. L'autorità di pubblica sicurezza dà immediata comunicazione della presenza di un minore non accompagnato al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni e al Tribunale per i minorenni per l'apertura della tutela e la nomina del tutore ai sensi degli articoli 343 e seguenti del codice civile e delle relative disposizioni di attuazione del medesimo codice, in quanto compatibili, e per la ratifica delle misure di accoglienza predisposte, nonché al Ministero del lavoro e delle politiche sociali, con mezzi idonei a garantirne la riservatezza, al fine di assicurare il censimento e il monitoraggio della presenza dei minori non accompagnati. Il provvedimento di nomina del tutore e gli altri provvedimenti relativi alla tutela sono adottati dal presidente del tribunale per i minorenni o da un giudice da lui delegato. Il reclamo contro tali provvedimenti si propone al collegio a norma dell'articolo 739 del codice di procedura civile. Del collegio non può far parte il giudice che ha emesso il provvedimento reclamato.
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Identico
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6. Il tutore possiede le competenze necessarie per l'esercizio delle proprie funzioni e svolge i propri compiti in conformità al principio dell'interesse superiore del minore. Non possono essere nominati tutori individui o organizzazioni i cui interessi sono in contrasto anche potenziale con quelli del minore. Il tutore può essere sostituito solo in caso di necessità.
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Identico
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7. Al fine di garantire il diritto all'unità familiare è tempestivamente avviata ogni iniziativa per l'individuazione dei familiari del minore non accompagnato richiedente protezione internazionale. Il Ministero dell'interno, sentiti il Ministero della giustizia e il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, stipula convenzioni, sulla base delle risorse disponibili del Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell'asilo, con organizzazioni internazionali, intergovernative e associazioni umanitarie, per l'attuazione di programmi diretti a rintracciare i familiari dei minori non accompagnati. Le ricerche ed i programmi diretti a rintracciare i familiari sono svolti nel superiore interesse dei minori e con l'obbligo della assoluta riservatezza, in modo da tutelare la sicurezza del richiedente e dei familiari.
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Identico
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7-bis. Nei cinque giorni successivi al colloquio di cui all'articolo 19-bis, comma 1, se non sussiste un rischio per il minore straniero non accompagnato o per i suoi familiari, previo consenso informato dello stesso minore ed esclusivamente nel suo superiore interesse, l'esercente la responsabilità genitoriale, anche in via temporanea, invia una relazione all'ente convenzionato, che avvia immediatamente le indagini.
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Identico
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7-ter. Il risultato delle indagini di cui al comma 7 è trasmesso al Ministero dell'interno, che è tenuto ad informare tempestivamente il minore, l'esercente la responsabilità genitoriale nonché il personale qualificato che ha svolto il colloquio di cui all'articolo 19-bis, comma 1.
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Identico
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7-quater. Qualora siano individuati familiari idonei a prendersi cura del minore straniero non accompagnato, tale soluzione deve essere preferita al collocamento in comunità.
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Identico
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Art. 19-bis
(Identificazione dei minori stranieri non accompagnati)
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Art. 19-bis
(Identificazione dei minori stranieri non accompagnati)
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1. Nel momento in cui il minore straniero non accompagnato è entrato in contatto o è stato segnalato alle autorità di polizia, ai servizi sociali o ad altri rappresentanti dell'ente locale o all'autorità giudiziaria, il personale qualificato della struttura di prima accoglienza svolge, sotto la direzione dei servizi dell'ente locale competente e coadiuvato, ove possibile, da organizzazioni, enti o associazioni con comprovata e specifica esperienza nella tutela dei minori, un colloquio con il minore, volto ad approfondire la sua storia personale e familiare e a far emergere ogni altro elemento utile alla sua protezione, secondo la procedura stabilita con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri da adottare entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione. Al colloquio è garantita la presenza di un mediatore culturale.
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Identico
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2. Nei casi di dubbi fondati relativi all'età dichiarata dal minore si applicano le disposizioni dei commi 3 e seguenti. In ogni caso, nelle more dell'esito delle procedure di identificazione, l'accoglienza del minore è garantita dalle apposite strutture di prima accoglienza per minori previste dalla legge; si applicano, ove ne ricorrano i presupposti, le disposizioni dell'articolo 4 del decreto legislativo 4 marzo 2014, n. 24.
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Identico
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3. L'identità di un minore straniero non accompagnato è accertata dalle autorità di pubblica sicurezza, coadiuvate da mediatori culturali, alla presenza del tutore o del tutore provvisorio se già nominato, solo dopo che è stata garantita allo stesso minore un'immediata assistenza umanitaria. Qualora sussista un dubbio circa l'età dichiarata, questa è accertata in via principale attraverso un documento anagrafico, anche avvalendosi della collaborazione delle autorità diplomatico-consolari. L'intervento della rappresentanza diplomatico-consolare non deve essere richiesto nei casi in cui il presunto minore abbia espresso la volontà di chiedere protezione internazionale ovvero quando una possibile esigenza di protezione internazionale emerga a seguito del colloquio previsto dal comma 1. Tale intervento non è altresì esperibile qualora da esso possano derivare pericoli di persecuzione e nei casi in cui il minore dichiari di non volersi avvalere dell'intervento dell'autorità diplomatico-consolare. Il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale e il Ministero dell'interno promuovono le opportune iniziative, d'intesa con gli Stati interessati, al fine di accelerare il compimento degli accertamenti di cui al presente comma.
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Identico
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3-bis. Le autorità di pubblica sicurezza consultano, ai fini dell'accertamento dell'età dichiarata, il sistema informativo nazionale dei minori stranieri non accompagnati istituito presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali nonché le altre banche dati pubbliche che contengono dati pertinenti, secondo le modalità di accesso per esse previste.
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Identico
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[articolo 5, comma. 1, lett. b), n. 1)]
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3-ter. Quando, sulla base degli accertamenti di cui ai commi 3 e 3-bis, il soggetto è condannato per il reato di cui all’articolo 495 del codice penale, la pena può essere sostituita con la misura dell’espulsione dal territorio nazionale ai sensi dell’articolo 16, comma 1, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286.
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4. Qualora permangano dubbi fondati in merito all'età dichiarata da un minore straniero non accompagnato, la Procura della Repubblica presso il tribunale per i minorenni può disporre esami socio-sanitari volti all'accertamento della stessa.
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Identico
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5. Lo straniero è informato, con l'ausilio di un mediatore culturale, in una lingua che possa capire e in conformità al suo grado di maturità e di alfabetizzazione, del fatto che la sua età può essere determinata mediante l'ausilio di esami socio-sanitari, del tipo di esami a cui deve essere sottoposto, dei possibili risultati attesi e delle eventuali conseguenze di tali risultati, nonché di quelle derivanti dal suo eventuale rifiuto di sottoporsi a tali esami. Tali informazioni devono essere fornite altresì alla persona che, anche temporaneamente, esercita i poteri tutelari nei confronti del presunto minore.
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Identico
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[articolo 5, comma. 1, lett. b), n. 2)]
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6. L'accertamento socio-sanitario dell'età deve essere svolto in un ambiente idoneo con un approccio multidisciplinare da professionisti adeguatamente formati e, ove necessario, in presenza di un mediatore culturale, utilizzando modalità meno invasive possibili e rispettose dell'età presunta, del sesso e dell'integrità fisica e psichica della persona. Non devono essere eseguiti esami sociosanitari che possano compromettere lo stato psico-fisico della persona.
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6. L'accertamento socio-sanitario dell'età è concluso entro sessanta giorni decorrenti dalla data del provvedimento di cui al comma 4 e deve essere svolto in un ambiente idoneo con un approccio multidisciplinare da professionisti adeguatamente formati e, ove necessario, in presenza di un mediatore culturale, utilizzando modalità meno invasive possibili e rispettose dell'età presunta, del sesso e dell'integrità fisica e psichica della persona. Non devono essere eseguiti esami sociosanitari che possano compromettere lo stato psico-fisico della persona.
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[articolo 5, comma. 1, lett. b), n.. 3)]
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6-bis. L’accertamento socio-sanitario è effettuato dalle équipe multidisciplinari e multiprofessionali previste dal Protocollo multidisciplinare per la determinazione dell’età dei minori stranieri non accompagnati, adottato con accordo sancito in sede di Conferenza unificata di cui all’articolo 9, comma 2, lettera c) del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, recante il, che sono costituite entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione.
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6-ter. In deroga al comma 6, in caso di arrivi consistenti, multipli e ravvicinati, a seguito di attività di ricerca e soccorso in mare, di rintraccio alla frontiera o nelle zone di transito di cui all’articolo 28 -bis, comma 4, del decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25, di rintraccio sul territorio nazionale a seguito di ingresso avvenuto eludendo i controlli di frontiera, l’autorità di pubblica sicurezza, nel procedere a rilievi dattiloscopici e fotografici, può disporre, nell’immediatezza, lo svolgimento di rilievi antropometrici o di altri accertamenti sanitari, anche radiografici, volti all’individuazione dell’età, dandone immediata comunicazione alla procura della Repubblica presso il tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie che ne autorizza l’esecuzione in forma scritta. Nei casi di particolare urgenza, l’autorizzazione può essere data oralmente e successivamente confermata per iscritto. Il verbale delle attività compiute, contenente anche l’esito delle operazioni e l’indicazione del margine di errore, è notificato allo straniero e, contestualmente, all’esercente i poteri tutelari, ove nominato, ed è trasmesso alla procura della Repubblica presso il tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie nelle quarantotto ore successive. Si applicano i commi 3-ter e 7, per quanto compatibili. Il predetto verbale può essere impugnato davanti al tribunale per la persona, la famiglia ed i minorenni entro 5 giorni dalla notificazione, ai sensi degli articoli 737 e seguenti del codice di procedura civile. Quando è proposta istanza di sospensione, il giudice, in composizione monocratica, decide in via d’urgenza entro 5 giorni. Ogni procedimento amministrativo e penale conseguente all’identificazione come maggiorenne è sospeso fino alla decisione su tale istanza.
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7. Il risultato dell'accertamento socio-sanitario è comunicato allo straniero, in modo congruente con la sua età, con la sua maturità e con il suo livello di alfabetizzazione, in una lingua che possa comprendere, all'esercente la responsabilità genitoriale e all'autorità giudiziaria che ha disposto l'accertamento. Nella relazione finale deve essere sempre indicato il margine di errore.
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Identico
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8. Qualora, anche dopo l'accertamento socio-sanitario, permangano dubbi sulla minore età, questa si presume ad ogni effetto di legge.
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Identico
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9. Il provvedimento di attribuzione dell'età è emesso dal tribunale per i minorenni ed è notificato allo straniero e, contestualmente, all'esercente i poteri tutelari, ove nominato, e può essere impugnato in sede di reclamo ai sensi dell'articolo 739 del codice di procedura civile. In caso di impugnazione, il giudice decide in via d'urgenza entro dieci giorni; ogni procedimento amministrativo e penale conseguente all'identificazione come maggiorenne è sospeso fino alla decisione. Il provvedimento è altresì comunicato alle autorità di polizia ai fini del completamento delle procedure di identificazione ed al Ministero del lavoro e delle politiche sociali ai fini dell'inserimento dei dati nel sistema informativo nazionale dei minori stranieri non accompagnati.
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Identico
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Articolo 6
(Conversione dei permessi di soggiorno
per minori stranieri non accompagnati)
L’articolo 6 interviene sulla disciplina della conversione del permesso di soggiorno per minori stranieri non accompagnati al compimento della maggiore età, come modificata dal decreto-legge n. 20/2023 (c.d. decreto Cutro). In particolare, la disposizione individua nei consulenti del lavoro e nelle organizzazioni dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative a livello nazionale i soggetti ai quali è demandata la verifica dei requisiti previsti dalla normativa vigente ai fini della conversione. Prevede, inoltre, la revoca del permesso di soggiorno nell’ipotesi di sopravvenuto accertamento dell’insussistenza dei requisiti.
In premessa è utile ricordare che il T.U. in materia di immigrazione (D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 32, co. 1-bis e 1-ter) prevede che al compimento dei diciotto anni, i minori stranieri non accompagnati possono ottenere il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi di studio, di accesso al lavoro, ovvero di lavoro subordinato o autonomo. Il decreto-legge n. 20/2023 ha specificato che tale permesso può essere rilasciato “previo accertamento dell'effettiva sussistenza dei presupposti e requisiti previsti dalla normativa vigente”, nonché ha limitato ad un anno il periodo massimo di validità del permesso che può essere concesso.
In base al TU, il permesso di soggiorno può essere rilasciato a condizione che i minori siano stati ammessi per un periodo non inferiore a due anni in un progetto di integrazione sociale e civile gestito da un ente pubblico o privato che abbia rappresentanza nazionale e che comunque sia iscritto nel registro delle associazioni e degli enti che svolgono attività a favore degli immigrati, istituito presso la Presidenza del Consiglio dei ministri (ai sensi dell'articolo 52 del d.P.R. n. 394 del 1999). In tale caso, l’ente gestore dei progetti deve garantire e provare con idonea documentazione, al momento del compimento della maggiore età del minore straniero, che l'interessato (art. 32, comma 1-ter):
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si trova sul territorio nazionale da non meno di tre anni;
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ha seguito il progetto per non meno di due anni;
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ha la disponibilità di un alloggio;
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frequenta corsi di studio ovvero svolge attività lavorativa retribuita nelle forme e con le modalità previste dalla legge italiana, ovvero è in possesso di contratto di lavoro anche se non ancora iniziato.
Con riferimento ai minori affidati o sottoposti a tutela, il rilascio del permesso di soggiorno al compimento della maggiore età è subordinato al parere positivo del Ministero del lavoro e delle politiche sociali - Direzione generale dell'immigrazione e delle politiche di integrazione. Il D.L. n. 20/2023 (art. 4-bis) ha abrogato la previsione che il mancato rilascio del parere da parte del Ministero del lavoro non possa legittimare il rifiuto del rinnovo del permesso di soggiorno, nonché la previsione dell’applicazione al procedimento di conversione dell’istituto del silenzio assenso.
I casi per i quali la richiesta di parere alla Direzione Generale dell’immigrazione e delle politiche di integrazione non deve essere inviata (Fonte Linee guida DG Immigrazione 24 febbraio 2017):
- per minori stranieri non accompagnati che risultino presenti in Italia da almeno tre anni, ammessi ad un progetto di integrazione sociale e civile per un periodo non inferiore a due anni;
- per minori stranieri affidati a parenti entro il 4° grado, anche se in possesso del permesso di soggiorno per minore età;
- per minori stranieri non accompagnati per i quali il Tribunale per i minorenni abbia ordinato il prosieguo amministrativo delle misure di protezione e di assistenza oltre il compimento del 18esimo anno di età;
- per minori stranieri non accompagnati che al compimento del 18esimo anno di età siano in possesso di un permesso di soggiorno per asilo, per protezione sussidiaria o per motivi umanitari.
La disposizione in commento, aggiungendo un nuovo comma all’art. 32 T.U. immigrazione, introduce due novità per l’ipotesi in cui si chieda la conversione per il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi di lavoro subordinato o di lavoro autonomo (nuovo comma 1-bis.1 dell’art. 32 TU immigrazione).
In primo luogo, si prevede che la verifica dei requisiti previsti dalla normativa vigente è demandata ai professionisti iscritti negli albi dei consulenti del lavoro, o degli avvocati e procuratori legali, o dei dottori commercialisti o dei ragionieri e periti commerciali (di cui all’art. 1 della L. 12/1979), ovvero alle organizzazioni dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale alle quali il datore di lavoro aderisce o conferisce mandato.
Il richiamato art. 1 della L. 12/1979 attribuisce ai professionisti iscritti nei suddetti albi la possibilità di svolgere gli adempimenti in materia di lavoro relativi al personale dipendente, quando questi non sono curati dal datore di lavoro.
Si ricorda che analoga previsione è contenuta nell’art. 44 del D.L. 73/2022 con riferimento alla verifica della sussistenza dei presupposti contrattuali richiesti dalla normativa vigente ai fini dell’assunzione di lavoratori stranieri e del rilascio del nulla osta al lavoro. Anche in tali casi, infatti, la verifica è affidata ai suddetti professionisti e alle suddette organizzazioni datoriali.
In secondo luogo, la novella stabilisce che il sopravvenuto accertamento dell’assenza dei requisiti determina la revoca del permesso di soggiorno e la conseguente comunicazione di ciò al pubblico ministero competente.
A tale riguardo si ricorda che il TU immigrazione (art. 5, co. 5, D.Lgs. n. 286/1998) stabilisce il principio generale in base al quale il permesso di soggiorno in corso di validità può essere revocato se vengono a mancare i requisiti previsti per l’ingresso e il soggiorno nel territorio dello Stato, e sempre che non siano sopraggiunti nuovi elementi che ne consentano il rilascio e che non si tratti di irregolarità amministrative sanabili.
Si ricorda, inoltre, che la normativa vigente esclude che si possa procedere a revoca del permesso di soggiorno del lavoratore straniero in caso di perdita del posto di lavoro, anche per dimissioni (art. 22 T.U. immigrazione). In questo caso, alla sua scadenza, il permesso di soggiorno verrà rinnovato per un periodo di un anno massimo, previa iscrizione nelle liste di collocamento da parte del cittadino straniero (permesso attesa occupazione).
La relazione illustrativa di accompagnamento all’A.C. 1458 individua la ratio delle nuove previsioni nell’esigenza di assicurare l’effettiva sussistenza in capo allo straniero delle condizioni che legittimano la conversione e nella individuazione di uno strumento per il contrasto al fenomeno della presenza irregolare di migranti sul territorio nazionale.
Articolo 7
(Strutture di accoglienza)
L’articolo 7, come modificato dalla Camera, introduce la possibilità di derogare, a determinate condizioni, ai limiti di capienza previsti dalle disposizioni amministrative degli enti territoriali per i centri governativi di accoglienza e nelle strutture temporanee di accoglienza; modifica l’elenco delle condizioni soggettive di cui tenere specificamente conto nell’ambito delle misure di accoglienza. In particolare, nel decreto legislativo n. 142 del 2015, relativo all’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale, si introduce il riferimento alle “donne, con priorità per le quelle in stato di gravidanza” in luogo di quello alle “donne in stato di gravidanza”. Nel decreto legislativo n. 25 del 2008, relativo invece alle procedure di esame delle domande di protezione internazionale, si introduce il riferimento alle “donne” in luogo di quello alle “donne in stato di gravidanza”.
L'articolo 7, comma 1, lettera a) introduce – attraverso una modifica all’articolo 11 del decreto legislativo n. 142 del 2015 – la possibilità di derogare, a determinate condizioni, ai limiti di capienza previsti dalle disposizioni amministrative degli enti territoriali per i centri governativi di accoglienza di cui all’articolo 9 del medesimo decreto legislativo e nelle strutture temporanee di accoglienza. In particolare, la deroga ai limiti di capienza:
· può avvenire solo in casi di “estrema urgenza” [3] ;
· non può comunque andare oltre il doppio dei limiti dei posti previsti dalle disposizioni amministrative degli enti territoriali;
· deve avvenire secondo le modalità definite da una commissione tecnica nominata dal prefetto e composta da referenti della prefettura, del comando provinciale dei Vigili del fuoco e dell’azienda sanitaria locale, nonché della regione, della provincia autonoma e dell’ente locale interessati (ai componenti della commissione non sono corrisposti compensi, gettoni di presenza, rimborsi spese o altri emolumenti).
La successiva lettera b) modifica l’elenco delle condizioni soggettive di cui tenere specificamente conto nell’ambito delle misure di accoglienza (ad esempio ai fini dell’accesso nelle strutture di accoglienza) disposte dal decreto legislativo n. 142 del 2015, elenco previsto dall’articolo 17, comma 1, del medesimo decreto legislativo. L’elenco previgente faceva riferimento alle “donne in stato di gravidanza”; il testo del decreto-legge emanato fa invece riferimento alle “donne”; nel corso dell’esame alla Camera, è stato specificato che il riferimento è alle “donne, con priorità per quelle in stato di gravidanza”
Le altre situazioni comprese nell’elenco sono: minori, minori non accompagnati, disabili, anziani, genitori singoli con figli minori, le vittime della tratta di esseri umani, le persone affette da gravi malattie o da disturbi mentali, le persone per le quali è stato accertato che hanno subito torture, stupri o altre forme gravi di violenza psicologica, fisica o sessuale o legata all'orientamento sessuale o all'identità di genere, le vittime di mutilazioni genitali.
Al tempo stesso, si ricorda che l’articolo 21 della direttiva 2013/33/UE afferma il principio generale in base al quale “nelle misure nazionali di attuazione della presente direttiva, gli Stati membri tengono conto della specifica situazione di persone vulnerabili quali i minori, i minori non accompagnati, i disabili, gli anziani, le donne in stato di gravidanza, genitori singoli con figli minori, le vittime della tratta degli esseri umani, le persone affette da gravi malattie o da disturbi mentali e le persone che hanno subito torture, stupri o altre forme gravi di violenza psicologica, fisica o sessuale, quali le vittime di mutilazioni genitali femminili.”
Durante l’esame alla Camera, con il nuovo comma 1-bis è stata introdotta una modifica analoga, nell’ambito della definizione di “persone vulnerabili” contenuta nel D.Lgs. n. 25 del 2008 (c.d. decreto procedure, art. 2, co. 1, lett. h-bis)), sostituendo il vigente riferimento alle “donne in stato di gravidanza” con quello alle “donne”. In tal caso, tuttavia non è precisata la priorità delle donne in stato in gravidanza.
Si ricorda in merito che nell’ambito del decreto procedure, l’articolo 28 richiama le categorie di persone vulnerabili così come definite ai sensi dell’articolo 2, co. 1, lett. h-bis), per stabilire che la domanda presentata da un richiedente appartenente a tali categorie è esaminata in via prioritaria.
Inoltre l’articolo 15 del medesimo decreto prescrive la formazione e l’aggiornamento periodico dei componenti delle Commissioni (nazionale e territoriali) che esaminano le domande di asilo, al fine di garantire la competenza necessaria perché il colloquio con il richiedente si svolga con la dovuta attenzione al contesto personale o generale in cui nasce la domanda, compresa l'origine culturale o la vulnerabilità del richiedente.
Nel corso dell’esame alla Camera è stata altresì soppressa la lettera c) dell’articolo in commento, nella formulazione originaria, relativo ai limiti di capienza delle strutture ricettive temporanee destinate all’accoglienza dei minori stranieri (c.d. CAS minori), in quanto tale disposizione è stata ricollocata nell’ambito dell’articolo 5 del decreto in esame che contiene le modifiche al sistema di accoglienza dei minori stranieri non accompagnati.
Per la descrizione si rinvia, supra, alla scheda di lettura dell’articolo 5.
Il sistema di accoglienza dei migranti nel territorio italiano si articola in diverse fasi.
La prima fase consiste nel soccorso e identificazione, nonché nella prima assistenza dei migranti, soprattutto nei luoghi di sbarco.
Le procedure di soccorso e identificazione dei cittadini irregolarmente giunti nel territorio nazionale si svolgono presso i c.d. punti di crisi (hotspot), allestiti nei luoghi dello sbarco per consentire assistenza, screening sanitario, identificazione e fornire informazioni circa le modalità di richiesta della protezione internazionale o di partecipazione al programma di relocation (D.Lgs. 286/1998, testo unico immigrazione, art. 10-ter).
Le funzioni di prima assistenza sono assicurate nei centri governativi di accoglienza, dove avvengono anche l'identificazione dello straniero (ove non sia stato possibile completare le operazioni negli hotspot), la verbalizzazione e l'avvio della procedura di esame della domanda di asilo, l'accertamento delle condizioni di salute e la sussistenza di eventuali situazioni di vulnerabilità.
In fase di prima applicazione, le funzioni dei centri governativi sono svolte dai centri di accoglienza già esistenti, come i Centri di accoglienza per i richiedenti asilo (CARA) e i Centri di accoglienza (CDA) - denominazioni oggi superate dall’inclusione nella più ampia categoria dei centri governativi. L'invio del richiedente in queste strutture è disposto dal prefetto, sentito il Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno (D.Lgs. 142/2015 c.d. decreto accoglienza, art. 9).
In caso di esaurimento dei posti nei centri governativi, a causa di massicci afflussi di richiedenti, questi possono essere ospitati in strutture temporanee denominate Centri di accoglienza straordinaria- CAS (D.Lgs. 142/2015 art. 11).
La fase di seconda accoglienza è garantita dai progetti del Sistema di accoglienza e integrazione – SAI (D.L. 416-1989, art. 1-sexies).
Accedono al SAI in primo luogo i titolari della protezione internazionale e i minori stranieri non accompagnati (tutti i minori, indipendentemente dallo status di richiedente protezione internazionale) e i titolari di permessi di soggiorno speciali (cure mediche, profughi per calamità naturali ecc.).
Il D.L. 20/2023, art. 5-ter, ha escluso dal SAI i richiedenti protezione internazionale. Possono continuare ad accedervi:
• i richiedenti protezione internazionale che hanno fatto ingresso nel territorio nazionale a seguito di protocolli per la realizzazione di corridoi umanitari ovvero in seguito ad evacuazioni o programmi di reinsediamento nel territorio nazionale;
• i richiedenti protezione internazionale che si trovano in una situazione di vulnerabilità;
• i cittadini afghani richiedenti protezione internazionale che fanno ingresso in Italia in attuazione delle operazioni di evacuazione effettuate dalle autorità italiane;
• i profughi ucraini.
Gli enti locali aderiscono al sistema su base volontaria e attuano i progetti con il supporto delle realtà del terzo settore. A coordinare il Sistema è il Servizio centrale, attivato dal Ministero dell'interno e affidato con convenzione all'Associazione nazionale dei comuni italiani (ANCI). I progetti della seconda accoglienza non si limitano ad interventi materiali di base (vitto e alloggio), ma assicurano una serie di attività funzionali alla riconquista dell'autonomia individuale, come l'insegnamento della lingua italiana, la formazione e la qualificazione professionale, l'orientamento legale, l'accesso ai servizi del territorio, l'orientamento e l'inserimento lavorativo, abitativo e sociale, oltre che la tutela psico-socio-sanitaria.
I progetti di accoglienza integrata vengono finanziati annualmente dal Ministro dell'interno, con l'indicazione del costo massimo di progetto sulla base del costo medio dei progetti della rete, relativo alla specifica tipologia di accoglienza. Il sostegno finanziario è assicurato dalle risorse iscritte al Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell'asilo - FNPS (D.L. 416-1989, art. 1-septies), nel quale confluiscono sia risorse nazionali, provenienti dallo stato di previsione del Ministero dell'interno sia assegnazioni annuali del Fondo europeo per i rifugiati. Le risorse stanziate sul relativo capitolo dello stato di previsione del Ministero dell’interno (cap. 2352) risultano pari a 692,4 milioni di euro per il 2023.
L’articolo 8, modificato durante l’esame alla Camera, prevede che, al fine di supportare i Comuni interessati da arrivi consistenti e ravvicinati di migranti sul proprio territorio, il servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti, anche speciali, connesso alle attività dei centri governativi e dei punti di crisi allestiti, anche occasionalmente, potrà essere assicurato dal prefetto fino al 31 dicembre 2025. Con la modifica apportata dalla Camera, la medesima disciplina si applica anche ai comuni di frontiera al confine con altri Paesi europei interessati dal transito dei migranti.
Il comma 1 riconosce, fino al 31 dicembre 2025, al prefetto territorialmente competente la possibilità di assicurare il servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti, anche speciali, prodotti presso i centri governativi di prima accoglienza, previsti dall’articolo 9 del D.Lgs. n. 142 (c.d. decreto accoglienza), e gli hotspot allestiti, anche occasionalmente, indicati dall’articolo 10-ter del TU immigrazione, più volte richiamati.
L’intervento previsto è volto a supportare i comuni interessati da arrivi consistenti e ravvicinati di migranti sul proprio territorio.
A seguito delle modifiche apportante dalla Camera, le competenze assegnate al prefetto in materia di raccolta di rifiuti si applicano nei comuni di frontiera al confine con altri Paesi europei interessati dal transito dei migranti.
La tassa sui rifiuti (TARI) è il tributo destinato a finanziare - mediante copertura integrale dei costi - il servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti ed è dovuta da chiunque possieda o detenga a qualsiasi titolo locali o aree scoperte suscettibili di produrre i rifiuti medesimi. In via transitoria, la superficie delle unità immobiliari assoggettabile alla TARI è costituita da quella calpestabile dei locali e delle aree suscettibili di produrre rifiuti urbani e assimilati. I comuni che hanno realizzato sistemi di misurazione puntuale della quantità di rifiuti conferiti al servizio pubblico hanno la facoltà di applicare, in luogo della TARI, che ha natura tributaria, una tariffa avente natura di corrispettivo. La TARI è stata introdotta dalla richiamata legge di stabilità del 2014, per sostituire il precedente tributo comunale sui rifiuti e sui servizi (TARES), che è stato vigente per il solo anno 2013 e che, a sua volta, aveva preso il posto di tutti i precedenti prelievi relativi alla gestione dei rifiuti, sia di natura patrimoniale sia di natura tributaria (TARSU, TIA1, TIA2). La legge di bilancio per il 2020, nel disciplinare l'imposizione immobiliare locale, ha fatto salve la TARI e la relativa disciplina. La TARI si compone di una parte fissa determinata applicando alla superficie imponibile le tariffe per unità di superficie riferite alla tipologia di attività svolta e una parte variabile relativa alla singola utenza e determinata applicando un coefficiente di adattamento stabilito dal Comune e rapportata alla quantità di rifiuti indifferenziati e differenziati prodotti e smaltiti.
Il comma 2 consente per le citate finalità il ricorso alle procedure di affidamento diretto, anche in deroga all’articolo 50 del Codice dei contratti pubblici (decreto legislativo 31 marzo 2023, n. 36).
Si ricorda che in virtù di quanto previsto dall’articolo 50 del Codice dei contratti pubblici, si può procedere all’affidamento diretto, per importi sotto-soglia:
- per appalti di lavori di importo inferiore a 150.000 euro, anche senza previa consultazione di più operatori economici, assicurando che i soggetti scelti siano in possesso di documentate esperienze pregresse idonee all’esecuzione delle prestazioni contrattuali;
- per appalti di servizi e forniture di importo inferiore a 140.000 euro, anche senza previa consultazione di più operatori economici, assicurando che i soggetti scelti siano in possesso di documentate esperienze pregresse idonee all’esecuzione delle prestazioni contrattuali.
Si procede invece con procedura negoziata senza bando:
- per appalti di lavori di importo pari o superiore a 150.000 euro e inferiore a 1 milione di euro: previa consultazione di almeno cinque operatori economici, ove esistenti, individuati in base a indagini di mercato o tramite elenchi di operatori economici;
- per lavori di importo pari o superiore a 1 milione di euro e fino alle soglie europee indicate all’articolo 14: previa consultazione di almeno dieci operatori economici, ove esistenti, individuati in base a indagini di mercato o tramite elenchi di operatori economici, salva la possibilità di ricorrere alle procedure ordinarie di scelta del contraente (artt. 70-76), previa adeguata motivazione;
- per appalti di servizi e forniture, ivi compresi i servizi di ingegneria e architettura e l’attività di progettazione, di importo pari o superiore a 140.000 euro e fino alle soglie di rilevanza europea indicate all’articolo 14, previa consultazione di almeno cinque operatori economici, ove esistenti, individuati in base ad indagini di mercato o tramite elenchi di operatori economici.
Il comma 3 prevede l’emanazione di un decreto del Ministro dell’interno, da adottare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto-legge, per individuare - sulla base di parametri relativi alla media degli ospiti accolti su base annua nelle strutture previste - gli ambiti territoriali, per i quali si applica la disposizione di cui al comma 1, e gli importi da attribuire ai prefetti interessati dalle procedure previste dal medesimo comma 1, nel limite delle risorse finanziarie stabilite al comma 4.
Alla Camera, è stato precisato che i previsti parametri per individuare i citati ambiti territoriali comprendano anche le presenze riscontrate sul territorio dei comuni di frontiera.
Il comma 4 quantifica gli oneri connessi alle previste attività, nella misura massima pari a euro 500.000,00 per l’anno 2023 e a euro 2.000.000,00 per ciascuno degli anni 2024 e 2025, provvedendo alla relativa copertura mediante corrispondente riduzione dello stanziamento del fondo speciale di parte corrente iscritto, ai fini del bilancio triennale 2023-2025, nell’ambito del programma “Fondi di riserva e speciali” della missione “Fondi da ripartire” dello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze per l’anno 2023, allo scopo parzialmente utilizzando l’accantonamento relativo al Ministero dell’interno.
Articolo 9
(Supporto delle Forze Armate per esigenze di pubblica sicurezza)
L’articolo 9 incrementa il contingente di personale delle Forze armate dell’operazione “Strade Sicure” di 400 unità dal 1° ottobre al 31 dicembre 2023 al fine di rafforzare i dispositivi di controllo e sicurezza dei luoghi ove insistono le principali infrastrutture ferroviarie del Paese, con una spesa complessiva quantificata in 2.819.426 euro, di cui euro 2.576.071 per l’anno 2023 ed euro 243.355 per l’anno 2024.
La disposizione in esame prevede, al comma 1, l’incremento di 400 unità di personale appartenente alle Forze armate facenti parte del dispositivo “Strade Sicure”, da impiegare per rafforzare i dispositivi di sicurezza delle infrastrutture ferroviarie del Paese. Tale personale svolgerà – come precisato dalla relazione illustrativa di accompagnamento dell’A.C. 1458 - attività di supporto alle Forze di polizia già impiegate nella cd. operazione “Stazioni sicure”, per la prevenzione e il contrasto di determinati illeciti, al fine di consentire la piena e sicura fruibilità dei servizi ferroviari alla cittadinanza e ai turisti, in particolare nelle principali stazioni ferroviarie. In considerazione della necessità di garantire più sicurezza nelle principali stazioni ferroviarie del paese (partendo da quelle di Milano, Roma e Napoli) il Governo ha infatti avviato il programma “Stazioni sicure”, con il dispiegamento di personale delle Forze dell’ordine al fine di controllare e rendere più sicure le stazioni ferroviarie delle principali città metropolitane, anche al fine di prevenire e perseguire reati come lo spaccio di droga, minacce, interruzione di pubblici servizi, etc.
Al momento, per l’Operazione “Strade sicure” è previsto, fino al 31 dicembre 2023, un dispositivo di 5.000 unità di personale delle Forze armate, per la vigilanza di siti e obiettivi sensibili, come disposto dall’articolo 1, comma 1023, della legge di bilancio per il 2021 (legge n. 178/2020), come modificata dall’articolo 1, comma 620, della legge di bilancio per il 2022 (legge n. 234/2021).
L'operazione "Strade sicure" rappresenta la più capillare e longeva operazione delle Forze armate, sul territorio nazionale, a fianco delle Forze dell'ordine, in funzione di contrasto alla criminalità e al terrorismo in numerose città italiane. L'operazione è svolta in massima parte dall'Esercito, con il contributo della Marina, dell'Aeronautica e dell'Arma dei Carabinieri, questi ultimi, in particolare, con funzioni di comando e controllo nelle sale operative.
Per l'Esercito rappresenta a tutt'oggi l'impegno più oneroso in termini di uomini, mezzi e materiali.
Il principale riferimento normativo in merito alle possibilità di impiego delle Forze armate in compiti di ordine pubblico è attualmente rappresentato dall'articolo 89 del Codice dell'ordinamento militare (di cui al decreto legislativo n. 66 del 2010) il quale include tra i compiti delle Forze Armate, oltre alla difesa della patria, il concorso alla "salvaguardia delle libere istituzioni" e lo svolgimento di "compiti specifici in circostanze di pubblica calamità e in altri casi di straordinaria necessità e urgenza".
La possibilità di fare ricorso alle Forze armate per far fronte a talune gravi emergenze di ordine pubblico sul territorio nazionale è stata contemplata per la prima volta nel corso della XI legislatura (1992-1994, Cfr. operazione "Forza Paris" in Sardegna 15 luglio 1992).
La legge di bilancio per l'anno 2020 (legge n. 160 del 2019) al comma 132 dell'articolo 1 della ha prorogato fino al 31 dicembre 2020 e limitatamente a 7.050 unità l'operatività del Piano di impiego concernente l'utilizzo di un contingente di personale militare appartenente alle Forze Armate per il controllo del territorio in concorso e congiuntamente alle Forze di polizia.
Scopo dell'intervento è quello di garantire la prosecuzione degli interventi delle Forze Armate nelle attività di vigilanza a siti e obiettivi sensibili (commi 74 e 75 dell'articolo 24 del D.L. n. 78 del 2009) anche in relazione alle straordinarie esigenze di prevenzione e di contrasto della criminalità e del terrorismo e di prevenzione dei fenomeni di criminalità organizzata e ambientale nella regione Campania (articolo 3, comma 2 del decreto-legge n. 136 del 2013).
A seguito dell'insorgere dell'emergenza COVID-19 i militari impegnati nell'operazione "Strade sicure" sono stati chiamati a svolgere, oltre ai tradizionali compiti assegnati al dispositivo, anche una serie di attività volte a fronteggiare il diffondersi del virus. Dapprima sono state autorizzate a questo scopo 253 unità dal D.L. n. 18/2020, poi incrementate dal D.L. 34/2020 (c.d. Rilancio) di 500 unità. L’operatività del “contingente COVID” di 753 unità di personale militare, in virtù di successive proroghe (da ultimo la legge di bilancio per il 2022, legge n. 234/2021, articolo 1, comma 621), si è prolungata fino al 31 marzo 2022.
La legge di bilancio per il 2021 (legge n. 178 del 2020 al comma 1023 dell'art. 1 ha prorogato nel dispositivo "Strade sicure" un contingente di personale delle Forze armate pari a:
§ 7.050 unità fino al 30 giugno 2021:
§ 6.000 unità dal 1° luglio 2021 al 30 giugno 2022;
§ 5.000 unità dal 1° luglio 2022 al 31 dicembre 2022.
Da ultimo, la legge di bilancio per il 2022 (legge n. 234/2021, comma 620) ha prorogato l'impiego del contingente di 5.000 militari fino 31 dicembre 2023.
Si ricorda che il D.L. 146/2021, art. 15 comma 3, ha incrementato di 400 unità il contingente per il potenziamento della sicurezza del Vertice G20 dal 25 ottobre al 3 novembre 2021.
Il Piano di impiego è stato adottato con decreto del Ministro dell'interno, di concerto con il Ministro della difesa, il 29 luglio 2008 ed è operativo dal 4 agosto 2008. Il Piano riguardava inizialmente un contingente massimo di 3.000 unità con una durata massima di sei mesi, rinnovabile per una sola volta. Il D.L. n. 151/2008 ha, successivamente, autorizzato, fino al 31 dicembre 2008, l'impiego di un ulteriore contingente massimo di 500 militari delle Forze Armate da destinare a quelle aree del Paese dove, in relazione a specifiche ed eccezionali esigenze di prevenzione della criminalità, risultava necessario assicurare un più efficace controllo del territorio. Il Piano è stato successivamente prorogato con appositi interventi normativi. Attualmente, come si è visto, la consistenza massima annuale impiegata per l'Operazione "Strade Sicure" è di 5.000 militari.
Per quanto concerne le disposizioni di carattere ordinamentale applicabili al personale militare impiegato nelle richiamate attività, il comma 1 dell’articolo 9 in esame rinvia ai commi 1, 2 e 3 dell’articolo 7-bis del decreto legge n. 92 del 2008, in base ai quali:
1) il personale militare è posto a disposizione dei prefetti interessati;
2) il piano di impiego del personale delle Forze armate è adottato con decreto del Ministro dell’interno, di concerto con il Ministro della difesa, sentito il Comitato nazionale dell’ordine e della sicurezza pubblica integrato dal Capo di stato maggiore della difesa e previa informazione al Presidente del Consiglio dei Ministri. Il Ministro dell'interno riferisce in proposito alle competenti Commissioni parlamentari;
3) nel corso delle operazioni i militari delle Forze armate agiscono con le funzioni di agenti di pubblica sicurezza.
Il comma 2 autorizza la spesa complessiva di euro 2.819.426, di cui 2.576.071 per l’anno 2023 ed euro 243.355 per l’anno 2024.
La relazione tecnica di accompagnamento dell’A.C. 1458 quantifica nel dettaglio gli oneri per l’impiego del contingente integrativo, precisando che euro 243.355 saranno spesi nell’anno 2024, dal momento che le attività si svolgono nell’ultimo trimestre dell’anno 2023, e quindi alcune spese di funzionamento saranno sostenute nell’anno 2024 (ad esempio le fatture per la fruizione del supporto logistico da parte di apprestamenti civili, i pedaggi autostradali connessi al ripiegamento del contingente integrativo, e altro).
Il comma 3 provvede alla copertura dei suddetti oneri mediante corrispondente riduzione dello stanziamento del fondo speciale di parte corrente relativo all’accantonamento del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti.
Articolo 9-bis
(Accesso alla carriera dei funzionari tecnici di Polizia)
L’articolo 9-bis, introdotto durante l’esame alla Camera, modifica il limite massimo di età previsto per la partecipazione al concorso pubblico di accesso alla qualifica iniziale della carriera dei funzionari tecnici di Polizia, stabilendo che non possa essere superiore a trentadue anni anziché a trenta, come attualmente stabilito.
Secondo quanto previsto all’art. 29 del decreto legislativo n. 334 del 2000, la carriera dei funzionari tecnici di Polizia, con sviluppo dirigenziale, si distingue nei ruoli degli ingegneri, dei fisici, dei chimici, dei biologi e degli psicologi, e si articola nelle qualifiche di commissario tecnico (limitatamente al periodo di frequenza del corso di formazione), commissario capo tecnico (anche durante il periodo di tirocinio operativo), direttore tecnico capo, direttore tecnico superiore, primo dirigente tecnico, dirigente superiore tecnico, dirigente generale tecnico.
In base all’art. 30 del medesimo provvedimento, il personale della carriera dei funzionari tecnici di Polizia esercita, in relazione alla specifica qualificazione professionale, «le funzioni tecnico-scientifiche inerenti ai compiti istituzionali dell'Amministrazione della pubblica sicurezza implicanti autonoma responsabilità decisionale e rilevante professionalità e quelle allo stesso attribuite dalle disposizioni vigenti, nonché la direzione di uffici o reparti, con le connesse responsabilità per le direttive e le istruzioni impartite e per i risultati conseguiti».
L’articolo 31, comma 1, – che la disposizione in esame si propone di modificare – subordina l'accesso alla qualifica iniziale della carriera dei funzionari tecnici di Polizia all’espletamento di un concorso pubblico, per titoli ed esami, al quale possono partecipare i cittadini italiani che godono dei diritti civili e politici e che sono in possesso dei requisiti previsti dai commi 2 e 3 del medesimo articolo (i quali richiamano, rispettivamente, il possesso della laurea magistrale o specialistica e l’abilitazione professionale, ove previste dalla legge, e l’accertamento dei requisiti di idoneità fisica, psichica e attitudinale).
La disposizione demanda a un regolamento – da adottarsi ai sensi dell'articolo 3, comma 6, della legge n. 127 del 1997, il quale esclude che la partecipazione ai concorsi indetti da pubbliche amministrazioni possa essere soggetta a limiti di età, salvo le deroghe dettate da regolamenti delle singole amministrazioni connesse alla natura del servizio o ad oggettive necessità dell'amministrazione stessa – la definizione del limite di età per la partecipazione al concorso, precisando che, in ogni caso, il limite in questione non possa essere superiore a trenta anni.
In attuazione di tale previsione è stato adottato il D.M. n. 103 del 2018, recante norme per l'individuazione dei limiti di età per la partecipazione ai concorsi pubblici per l'accesso a ruoli e carriere del personale della Polizia di Stato, il quale, all’art. 3, ha previsto che «[l]a partecipazione al concorso pubblico per l’accesso alla qualifica di commissario e di direttore tecnico della Polizia di Stato è soggetta al limite massimo di età di anni trenta».
Si segnala che, recentemente (sentenza n. 262 del 2022), la Corte costituzionale ha dichiarato l’incostituzionalità, per violazione dell'art. 3 Cost., del citato art. 31, comma 1, del decreto legislativo n. 334 del 2000, nella parte in cui prevede che il limite di età «non superiore a trenta anni» si applichi al concorso per l'accesso al ruolo dei funzionari tecnici psicologi della Polizia di Stato.
La Consulta ha precisato che, a fronte del generale principio di non discriminazione in base all'età vigente in materia di occupazione e lavoro, anche sotto il profilo dei criteri di selezione e delle condizioni di assunzione nel pubblico impiego, rientra pur sempre nella discrezionalità del legislatore la fissazione di requisiti d’età per l’accesso ai pubblici impieghi purché, però, tali requisiti non siano determinati in modo arbitrario o irragionevole e, comunque, siano immuni da ingiustificate disparità di trattamento.
La deroga al principio generale della parità di trattamento in base all’età operata dall’art. 31, comma 1, del d.lgs. n. 334 del 2000 con riferimento ai funzionari tecnici di Polizia con sviluppo dirigenziale è parsa alla Corte arbitraria e irragionevole, in quanto:
- il limite massimo di età per l’accesso al ruolo tecnico-logistico-amministrativo del Corpo della Guardia di finanza è attualmente fissato in trentadue anni, ai sensi dell’art. 9 del decreto legislativo n. 69 del 2001; ugualmente, quello per l’accesso al ruolo tecnico degli ufficiali dell’Arma dei carabinieri è determinato in trentadue anni dall’art. 664 del decreto legislativo n. 66 del 2016 (Codice dell’ordinamento militare);
- i commissari tecnici psicologi sono chiamati a svolgere funzioni di carattere non prettamente operativo, ma tecnico-scientifico, la cui peculiarità richiede un lungo e specializzato iter formativo;
- per l’esercizio dell’attività di competenza dei funzionari tecnici psicologi della Polizia di Stato non sono strettamente necessarie specifiche caratteristiche fisiche connesse all’età, il che è dimostrato anche dal fatto che per il loro reclutamento non è richiesto il superamento di prove di efficienza fisica.
Nel modificare, come anticipato, il limite massimo di età predetto, portandolo a trentadue anni, l’articolo in commento stabilisce che, al fine di dare immediata attuazione alla disposizione de qua, nelle more dell’adeguamento del regolamento adottato ai sensi dell'articolo 3, comma 6, della legge n. 127 del 1997, ferme restando le deroghe dal medesimo regolamento previste, i bandi dei concorsi pubblici per l’accesso alla qualifica di funzionario tecnico di Polizia che siano indetti a seguito dell’entrata in vigore del provvedimento in esame debbano prevedere, quale requisito di partecipazione, un limite di età non superiore a trentadue anni.
L’articolo 9-ter, introdotto durante l’esame alla Camera, prevede per il quinquennio 2024-2028 la determinazione annuale delle consistenze di ciascuna categoria di volontari di truppa del Corpo delle capitanerie di porto con decreto del Ministro della difesa, di concerto con i Ministri delle infrastrutture e dei trasporti, dell'economia e delle finanze e per la pubblica amministrazione e l'innovazione, in ragione dei maggiori impegni del Corpo delle capitanerie di porto-Guardia costiera nelle attività connesse al fenomeno migratorio. Per le medesime finalità viene autorizzato l’arruolamento, per l'anno 2024, di un contingente aggiuntivo fino a 200 volontari in ferma prefissata quadriennale e per ciascuno degli anni 2026, 2027 e 2028, di un contingente aggiuntivo fino a 100 volontari in ferma prefissata triennale.
Più in dettaglio, il comma 1 integra l’articolo 2217 del Codice dell'ordinamento militare (decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66 – COM), inserendo il comma 2-bis ai sensi del quale le disposizioni di cui ai precedenti commi 1 e 2 si applicano nuovamente dal 1° gennaio 2024 al 31 dicembre 2028.
L’articolo 2217 COM prevedeva – fino al 31 dicembre 2015 – la determinazione annuale delle consistenze di ciascuna categoria di volontari di truppa del Corpo delle capitanerie di porto con decreto del Ministro della difesa, di concerto con i Ministri delle infrastrutture e dei trasporti, dell'economia e delle finanze e per la pubblica amministrazione e l'innovazione. Tale determinazione deve avvenire secondo un andamento coerente con l'evoluzione degli oneri previsti, per l'anno di riferimento, dall'articolo 585 COM e ferme restando le dotazioni organiche complessive di cui all'articolo 815 COM.
Si ricorda che l’art. 815 COM riporta le dotazioni organiche dei volontari del Corpo delle capitanerie di porto:
a) 3.500 sino all'anno 2020, 3.600 per l'anno 2021, 3.730 per l'anno 2022, 3.880 per l'anno 2023, 4.080 per l'anno 2024, 4.280 per l'anno 2025, 4.380 per l'anno 2026, 4.450 per l'anno 2027 e 4.500 dall'anno 2028 in servizio permanente;
b) 1.775 in ferma ovvero in rafferma.
L’articolo 585 COM disciplina gli oneri riferiti alle consistenze di ciascuna categoria dei volontari di truppa. Tali oneri restano a carico del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti.
Su entrambi gli articoli citati è intervenuto recentemente il D.L. n. 44/2023 (cd. Decreto pubblica amministrazione).
Le eventuali carenze in una delle categorie di volontari possono essere devolute, senza ampliare i rispettivi organici, in aumento delle consistenze delle altre categorie del medesimo Corpo, entro i limiti delle risorse finanziarie previste dall'articolo 585 per l'anno di riferimento.
La reviviscenza di tali disposizioni è finalizzata a consentire il mantenimento di adeguati livelli operativi e un'opportuna flessibilità organizzativa per far fronte al costante coinvolgimento del Corpo delle capitanerie di porto-Guardia costiera nelle attività connesse al fenomeno migratorio e in ragione dei maggiori impegni connessi all'eccezionale afflusso migratorio.
Per le stesse finalità, il comma 2 autorizza l'arruolamento
§ per l'anno 2024, di un contingente aggiuntivo fino a 200 volontari in ferma prefissata quadriennale;
§ per ciascuno degli anni 2026, 2027 e 2028, di un contingente aggiuntivo fino a 100 volontari in ferma prefissata triennale, nei limiti della dotazione organica definita dall'articolo 815 COM e degli oneri determinati dall'articolo 585 COM.
Si ricorda che le figure del VFP1 (volontario in ferma prefissata di un anno) e del VFP4 (volontario in ferma prefissata quadriennale) erano state introdotte dalla legge n. 226 del 2004 (cd. Legge Martino).
Recentemente il sistema delle ferme è stato riformato dalla legge n. 119 del 2022, introducendo una prima ferma di tre anni, denominata "ferma prefissata iniziale" e una seconda tipologia di ferma, sempre di tre anni, definita "ferma prefissata triennale", in luogo della ferma annuale e della successiva ferma quadriennale previste a normativa vigente (cfr. nuovo articolo 696-bis COM).
Per approfondimenti si veda il relativo tema dell’attività parlamentare.
Articolo 10
(Misure relative al pagamento delle prestazioni di lavoro straordinario del personale delle Forze di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco)
L’articolo 10 incrementa, per il 2023, le risorse destinate alla remunerazione del lavoro straordinario delle forze di polizia (di 15 milioni di euro) e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco (di 2,147 milioni di euro).
Il comma 1 dell’articolo 10 incrementa di 15 milioni di euro per il 2023 le risorse destinate alla remunerazione del lavoro straordinario del personale delle forze di polizia. Si tratta delle forze di polizia richiamate dall’articolo 16 della legge n. 121 del 1981 e cioè polizia di Stato, carabinieri, guardia di finanza e polizia penitenziaria. L’incremento avviene in deroga all’articolo 23, comma 2, del decreto legislativo n. 75 del 2017, che stabilisce che le risorse per il trattamento accessorio del personale pubblico non possa superare l’importo determinato per l’anno 2016. L’incremento è finalizzato alle esigenze di tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica, anche alla luce dei maggiori impegni connessi all’eccezionale afflusso migratorio, ed è così ripartito:
· Alla polizia di Stato 5,7 milioni di euro;
· All’arma dei carabinieri 5,7 milioni di euro;
· Alla guardia di finanza 2,85 milioni di euro;
· Alla polizia penitenziaria 0,75 milioni di euro.
Il comma 1-bis, introdotto dalla Camera, incrementa invece di 2,147 milioni di euro per il 2023 le risorse destinate alla remunerazione delle prestazioni di lavoro straordinario svolte dal personale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, sempre in deroga all’articolo 23, comma 2, del decreto legislativo n. 75 del 2017. Tale incremento è finalizzato a garantire le esigenze di sicurezza nazionale, anche in relazione ai maggiori impegni connessi all'eccezionale afflusso migratorio.
In base al comma 2, così come modificato dalla Camera, la copertura dell’onere derivante dalla previsione di cui al comma 1 (15 milioni di euro) è assicurata mediante corrispondente riduzione del fondo per le assunzioni a tempo indeterminato di dipendenti pubblici delle amministrazioni statali, degli enti pubblici non economici nazionali e delle agenzie, istituito dall’articolo 1, comma 607, della legge di bilancio per il 2022 (legge n. 234 del 2021).
La disposizione da ultimo richiamata ha previsto per il fondo una dotazione iniziale di 100 milioni di euro per l'anno 2022, 200 milioni di euro per l'anno 2023, 225 milioni di euro per l'anno 2024, 210 milioni di euro per l'anno 2025 e 200 milioni di euro a decorrere dall'anno 2026.
Quanto ai 2,147 milioni di euro di cui al comma 1-bis, alla relativa copertura si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento del fondo speciale di parte corrente iscritto, ai fini del bilancio triennale 2023-2025, nell'ambito del programma “Fondi di riserva e speciali” della missione “Fondi da ripartire” dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2023, allo scopo utilizzando parzialmente l'accantonamento relativo al Ministero dell'interno.
Articolo 11, commi 1, 2 e 2-bis
(Risorse per Polizia di Stato e Corpo nazionale dei vigili del fuoco)
L’articolo 11, ai commi 1 e 2, destina risorse alla Polizia di Stato e al Corpo nazionale dei vigili del fuoco al fine di corrispondere alle contingenti e straordinarie esigenze connesse all’espletamento dei loro compiti istituzionali, anche alla luce dei maggiori impegni connessi all’eccezionale afflusso migratorio e – come specificato durante l’esame alla Camera – alla accresciuta necessità di presidiare obiettivi sensibili, tenuto conto, altresì, della crisi mediorientale.
Si tratta, complessivamente, di 5 milioni per il 2023 e di 20 milioni per ciascun anno dal 2024 al 2030, che affluiscono alla disponibilità del Ministero dell’interno.
Al comma 2-bis, introdotto dalla Camera, dispone l’abrogazione dell’articolo 13, comma 6, del DL n. 69/2023 (c.d. Salva Infrazioni).
Le disposizioni recate dai commi 1 e 2 dell’articolo 11 destinano complessivi 5 milioni per l'anno 2023, 20 milioni di per ciascuno degli anni dal 2024 al 2030 a Polizia di Stato e Corpo nazionale dei vigili del fuoco.
In particolare, le risorse sono destinate alla Polizia di Stato per l’acquisto e potenziamento dell’armamento speciale (per il contrasto alla criminalità organizzata e al terrorismo internazionale) e per interventi nei settori della motorizzazione, dell’armamento, dell’acquisto e manutenzione straordinaria e adattamento di strutture.
Esse ammontano a 3,75 milioni per l’anno 2023 ed a 15 milioni per ciascuno degli anni dal 2024 al 2030.
Le risorse sono altresì destinate (tramite il Dipartimento dei vigili del fuoco, del soccorso pubblico e della difesa civile) al Corpo nazionale dei vigili del fuoco per interventi nei settori dei dispositivi di protezione individuale e dell'innovazione tecnologica.
Esse ammontano a 1,25 milioni per l’anno 2023 ed a 5 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2024 al 2030.
L’autorizzazione di spesa, la quale è a favore del Ministero dell’interno, è coperta finanziariamente mediante corrispondente riduzione dello stanziamento del Fondo speciale di conto capitale iscritto, ai fini del bilancio triennale 2023-2025, nell'ambito del programma “Fondi di riserva e speciali” della missione “Fondi da ripartire” dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2023, allo scopo utilizzando l'apposito accantonamento relativo al Ministero dell'interno.
La relazione tecnica di accompagnamento dell’A.C. 1458 illustra una sotto-ripartizione di tali risorse.
Per quanto riguarda la Polizia di Stato: all’armamento speciale (quale, lì si legge, la pistola ad impulsi elettrici) sono destinati complessivi 9,5 milioni; alle spese inerenti la motorizzazione 61,75 milioni; alla gestione e manutenzione straordinaria di immobili 20 milioni, sia per manutenzione e adattamento funzionale (Udine, caserma Cavarzerani, per nuova sede di Questura e Polizia stradale; Torre Annunziata, Palazzo Fienga, per nuova sede del Commissariato; Fabriano, per nuova sede del Commissariato; Pesaro, caserma Cialdini e del Monte, per nuova sede della Questura; Ascoli Piceno, demolizione e ricostruzione dell’edificio della Questura; Macerata, per nuova sede di Questura e Polizia stradale; Civitanova Marche, per nuovo distaccamento di Polizia stradale; S. Benedetto del Tronto, per nuova sede del Commissariato e distaccamento della Polizia stradale) sia per alloggi di servizio (posta un’esigenza di circa un migliaio di alloggi); all’acquisto di immobili 17,5 milioni (Lecce, suolo comunale per nuova sede della Questura; Massa-Carrara, immobile della Banca d’Italia per nuova sede di Questura e Polizia statale; Cagliari, asta sulla ‘Cittadella finanziaria’ per nuova sede della Questura e uffici della caserma Carlo Alberto; Arezzo, terreno comunale per nuova sede della Polizia stradale).
Per quanto riguarda il Corpo nazionale dei vigili del fuoco: ai dispositivi di protezione individuale (inclusivi di strumenti quali i sensori ‘uomo a terra’ o apparati per la localizzazione e tracciamento dei percorsi) 24,5 milioni; a progetti inerenti i sistemi di comunicazione integrati complessivi 12 milioni (dei quali: 9 milioni per il parco mezzi con relative dotazioni tecnologiche da adibire a unità di comando locale, quali ‘sale operative’ in contesti di calamità naturali; 3 milioni per le misure di sicurezza informatica, posto che il Corpo è soggetto incluso nel Perimetro nazionale di sicurezza cibernetica).
La legge di bilancio per il 2023 reca uno stanziamento di competenza di 8.375,75 milioni di euro per il Centro di responsabilità “Dipartimento di pubblica sicurezza” (all’interno del programma “Contrasto al crimine, tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica”), nello stato di previsione del Ministero dell’interno. In sede di assestamento di bilancio, il medesimo stanziamento è stato incrementato fino a 8.701,56 milioni di euro. All’interno di tale stanziamento complessivo, l’Azione concernente “Potenziamento e ammodernamento della Polizia di Stato” (all’interno della quale ricadono taluni capitoli di spesa destinati alla manutenzione straordinaria e all’ammodernamento di impianti, nonché all’acquisto di impianti, armamenti, attrezzature e automezzi) reca, sempre per il 2023, uno stanziamento di competenza di 1.062,74 milioni di euro (previsioni iniziali e assestate).
Sempre per l’anno 2023, al centro di responsabilità “Dipartimento dei vigili del fuoco, del soccorso pubblico e della difesa civile” (all’interno del Programma “Gestione del sistema nazionale di difesa civile”) sono stati assegnati, dalla legge di bilancio, 6,92 milioni di competenza incrementati, in sede di assestamento del bilancio, 7,08 milioni.
Come anticipato, il comma 2-bis, introdotto durante l’esame alla Camera, dispone l’abrogazione dell’articolo 13, comma 6, del DL n. 69/2023 (c.d. Salva Infrazioni).
Tale disposizione stabilisce che, a decorrere dal 31 dicembre 2023, il personale volontario del Corpo nazionale dei vigili del fuoco iscritto nell'elenco istituito per le necessità delle strutture centrali e periferiche, ai sensi dell'articolo 6 del d.lgs. n. 139/2006, e nella graduatoria formata ai sensi dell'articolo 1, comma 295, della legge n. 205/2017, permane nei medesimi laddove alla data del 31 dicembre 2023 risulti iscritto nell'elenco anagrafico presso i centri per l'impiego.
Secondo l'articolo 6, comma 1, del d.lgs. n. 139/2006, il personale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco si distingue in personale di ruolo e volontario. Il personale volontario, in particolare, è iscritto in appositi elenchi, distinti in due tipologie, rispettivamente, per le necessità dei distaccamenti volontari del Corpo nazionale e per le necessità delle strutture centrali e periferiche del Corpo nazionale. Soltanto per il personale volontario iscritto nell'elenco istituito per le necessità delle strutture centrali e periferiche si prevede che possa essere oggetto di eventuali assunzioni in deroga, con conseguente trasformazione del rapporto di servizio in rapporto di impiego con l'amministrazione.
L’articolo 1, comma 295, della legge di Bilancio per il 2018 (n. 205/2017) riserva le assunzioni straordinarie relative al Corpo nazionale dei vigili del fuoco, nel limite massimo del 30 per cento dei contingenti annuali, al personale volontario che risulti iscritto nell'apposito elenco istituito per le necessità delle strutture centrali e periferiche del Corpo medesimo da almeno tre anni e che abbia effettuato non meno di centoventi giorni di servizio.
Articolo 11, commi 3 e 4
(Risorse per Forze Armate e Arma dei carabinieri)
I commi 3 e 4 finanziano - per il triennio 2023-2025 – una serie di interventi a favore di Forze armate e Arma dei carabinieri. Gli interventi sono diretti, tra l’altro, al supporto logistico, all'approvvigionamento di beni e servizi (equipaggiamento, armamento, strumenti telematici ecc.) nonché all'acquisto, alla manutenzione e all'adattamento di mezzi, infrastrutture e impianti. Per tali finalità sono previsti 2 milioni di euro per il 2023 e 9 milioni di euro per ciascuno degli anni 2024 e 2025, da ripartire fra le Forze armate e i Carabinieri.
Come si legge nella relazione illustrativa di accompagnamento dell’A.C. 1458, la misura si rende necessaria in quanto Forze armate e Carabinieri “sono chiamate sempre di più nel concorso alle attività di contrasto dell'immigrazione clandestina, sia rispetto al controllo dei flussi via mare sia con l'organizzazione di voli di trasferimento, sia con la sorveglianza dei CPR esistenti e di quelli da realizzare, sia, ancora, con l'attività specifica di controllo del territorio”.
Come indica la relazione tecnica di accompagnamento dell’A.C. 1458, per il 2023 la somma stanziata sarà ripartita tra il funzionamento e la manutenzione dei mezzi e materiali (1 milione) e il sostegno logistico (1 milione). Per gli anni 2024 e 2025 lo stanziamento è ripartito tra funzionamento e manutenzione (2 milioni per ciascun anno), sostegno logistico (1 milione) e manutenzione infrastrutture (1 milione).
Articolo 11, commi 5 e 6
(Interventi a supporto del Corpo della Guardia di finanza)
L’articolo 11, ai commi 5 e 6, riconosce - per il triennio 2023-2025 - un finanziamento diretto al supporto dei compiti istituzionali del Corpo della Guardia di finanza, in relazione all’incremento considerevole delle attività dovuto anche al rilevante aumento dei flussi migratori.
In particolare la norma, comma 5, autorizza, al fine di corrispondere alle contingenti e straordinarie esigenze connesse all'espletamento dei compiti istituzionali del Corpo della Guardia di finanza, anche alla luce dei maggiori impegni connessi all'eccezionale afflusso migratorio, la spesa complessiva di 1 milione di euro per l'anno 2023 e di 4 milioni di euro per ciascuno degli anni 2024 e 2025.
Tali risorse sono da destinarsi:
§ potenziamento e al finanziamento di interventi diretti all'ammodernamento;
§ al supporto logistico;
§ all'acquisto di beni e servizi nel settore dell'equipaggiamento, dell'armamento, degli strumenti telematici e di innovazione tecnologica;
§ all'acquisto, alla manutenzione e all'adattamento di mezzi, infrastrutture e impianti.
La relazione tecnica di accompagnamento dell’A.C. 1458 specifica che le risorse assegnate sono ripartite tra due “progetti”: il “Progetto 1” al quale sono destinati 3 milioni di euro (1 milione per ciascuno degli anni 2023-2025) per l’acquisto di combustibili energetici per il funzionamento delle caserme nonché per la manutenzione delle infrastrutture medesime; il “Progetto 2” al quale sono destinati 6 milioni di euro (3 milioni di euro per ciascuno degli 2024 e 2025) che è diretto alla copertura delle spese ricorrenti del servizio aereo e navale e all’acquisto di strumenti e di servizi telematici.
Il comma 6 provvede alla copertura finanziaria stabilendo che agli oneri derivanti dall'attuazione del comma 5, pari a 1 milione di euro per l'anno 2023 e a 4 milioni di euro per ciascuno degli anni 2024 e 2025, si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento dei fondi speciali di parte corrente iscritti, ai fini del bilancio triennale 2023-2025, nell'ambito del programma Fondi di riserva e speciali della missione Fondi da ripartire dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al Ministero dell'economia e delle finanze.
Articolo 12
(Disposizioni finanziarie)
L’articolo 12 autorizza il Ministro dell’economia e delle finanze ad apportare con propri decreti le occorrenti variazioni di bilancio, ai fini dell’immediata attuazione delle disposizioni recate dal provvedimento, nonché a disporre, ove necessario, il ricorso ad anticipazioni di tesoreria, la cui regolarizzazione è effettuata con l’emissione di ordini di pagamento sui pertinenti capitoli di spesa.
Articolo 13
(Entrata in vigore)
L’articolo 13 dispone che il decreto-legge entri in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione in Gazzetta Ufficiale. Il decreto-legge è dunque vigente dal 6 ottobre 2023.
[1] Tale equiparazione muove sulla falsariga di quanto previsto per il personale dipendente dal Ministero della difesa assegnato alle sedi diplomatiche e consolari, circa gli allineamenti economici delle indennità per posti-funzione, come stabiliti dalla tabella 2 allegata al decreto legislativo n. 62 del 1998 (il quale reca la disciplina del trattamento economico per i dipendenti delle pubbliche amministrazioni in servizio all’estero).
[2] Introdotto dal decreto-legge n. 130 del 2020
[3] La modifica prevede infatti, nell’inserire un nuovo terzo periodo nel comma 2 dell’articolo 11, che “in tali casi” si possa derogare ai limiti di capienza, cioè i casi indicati dal precedente periodo che sono appunto i casi di “estrema urgenza” in cui si può procedere, per la realizzazione delle strutture temporanee, con affidamento diretto.