Camera dei deputati - Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa) |
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Autore: | Servizio Studi - Dipartimento Istituzioni |
Titolo: | Disposizioni urgenti in materia di processo penale, processo civile, di contrasto agli incendi boschivi, di recupero dalle tossicodipendenze, di salute e di cultura nonché in materia di personale della Magistratura e della Pubblica amministrazione |
Riferimenti: | AC N.1373/XIX |
Serie: | Progetti di legge Numero: 160/1 |
Data: | 25/09/2023 |
Organi della Camera: | Assemblea |
Servizio Studi
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Dossier n. 126/1
Servizio Studi
Dipartimento Istituzioni
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Dipartimento Giustizia
Tel. 066760-9148 st_giustizia@camera.it - @CD_giustizia
Progetti di legge n. 160/1
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D23105a.pdf
INDICE
Schede di lettura
§ Articolo 1 (Disposizioni in materia di intercettazioni).................................. 5
§ Articolo 2 (Istituzione delle infrastrutture digitali centralizzate per le intercettazioni e disciplina della registrazione delle spese per le intercettazioni).................................. 12
§ Articolo 2-bis (Disposizioni urgenti in urgenti in materia di contrasto alla criminalità informatica e di cybersicurezza).................................................................. 19
§ Articolo 3 (Delega di atti al giudice onorario nei procedimenti civili davanti al tribunale per i minorenni).................................................................................................... 28
§ Articolo 4 (Corsi di formazione per accedere ad incarichi semidirettivi e direttivi della magistratura)................................................................................................ 32
§ Articolo 5 (Disciplina transitoria per gli incarichi dirigenziali dei ruoli EPE e IPM) 36
§ Articolo 5-bis (Dirigenza penitenziaria)...................................................... 39
§ Articolo 6 (Modifiche al reato di incendio boschivo).................................. 41
§ Articolo 6-bis (Disposizioni penali a tutela dell’orso bruno marsicano).... 45
§ Articolo 6-ter (Reati ambientali e responsabilità amministrativa degli enti derivante da reato) 47
§ Articolo 7 (Destinazione della quota dell'otto per mille dell’IRPEF relativa alle scelte effettuate dai contribuenti a favore dello Stato senza l'indicazione della tipologia di intervento) 52
§ Articolo 8 (Modifiche agli articoli 47 e 48 della legge 20 maggio 1985, n. 222, in tema di destinazione della quota dell'otto per mille dell’imposta sul reddito delle persone fisiche) 55
§ Articolo 9 (Abolizione degli obblighi in materia di isolamento e autosorveglianza e modifica della disciplina del monitoraggio della situazione epidemiologica derivante dalla diffusione del virus SARS-CoV-2)....................................................................................... 59
§ Articolo 10, commi 1-3 e 5-bis (Riordino delle aree funzionali e riorganizzazione su base dipartimentale del Ministero della cultura)................................................. 65
§ Articolo 10, comma 4 (Modifiche alla disciplina del riparto del contributo per le celebrazioni dell'ottavo centenario della morte di San Francesco d'Assisi).................... 75
§ Articolo 10, comma 5 (Proroga dell’incremento del costo dei biglietti d’ingresso nei luoghi e istituti della cultura)..................................................................................... 77
§ Articolo 11, commi 1 e 2 (Trattenimenti in servizio di dirigenti pubblici).. 80
§ Articolo 11, comma 3 (Esclusione dai divieti di conferimento di incarichi a soggetti in quiescenza)................................................................................................... 82
§ Articolo 11, comma 3-bis (Riserva nei concorsi enti locali)....................... 84
§ Articolo 12 (Disposizioni finanziarie)......................................................... 86
§ Articolo 13 (Entrata in vigore).................................................................... 87
L’articolo 1 stabilisce che la disciplina speciale in materia di intercettazioni, attualmente contemplata per lo svolgimento delle indagini in relazione ai delitti di criminalità organizzata o di minaccia col mezzo del telefono, che prevede condizioni meno stringenti per l'autorizzazione e la proroga delle intercettazioni stesse, si applichi anche ai delitti, consumati o tentati, di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti e di sequestro di persona a scopo di estorsione, o commessi con finalità di terrorismo o avvalendosi delle condizioni previste dall'articolo 416-bis c.p. o al fine di agevolare l'attività delle associazioni di tipo mafioso. Nel corso dell’esame in Commissione sono stati aggiunti ulteriori commi, i quali intervengono: sul contenuto del decreto autorizzativo di intercettazioni tra presenti mediante inserimento di captatore informatico; in materia di modalità esecutive delle intercettazioni; in tema di utilizzabilità dei risultati delle intercettazioni in un procedimento diverso.
L’articolo 1, comma 1, prevede che la disciplina derogatoria in materia di intercettazioni dettata dall’articolo 13 del decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152 (conv. legge n. 203 del 1991) si applichi anche nei procedimenti per i delitti, consumati o tentati, di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti (art. 452-quaterdecies c.p.) e sequestro di persona a scopo di estorsione (art. 630 c.p.), ovvero commessi con finalità di terrorismo o avvalendosi delle condizioni previste dall’articolo 416-bis c.p. (forza di intimidazione del vincolo associativo e condizione di assoggettamento e di omertà che ne derivano) o per agevolare l'attività delle associazioni previste dallo stesso articolo (associazioni di tipo mafioso).
Con riguardo all’intervento legislativo in esame la relazione illustrativa osserva che “l’estensione di questa disciplina realizza un allineamento di sistema, in quanto relativo ad istituti comuni alle investigazioni in materia di criminalità organizzata.
L’inclusione dei reati di criminalità organizzata e di quelli indicati nell’articolo 1 in esame nel catalogo previsto dall’articolo 51, commi 3-bis e 3-quater, c.p.p. rende irragionevole il disallineamento della disciplina in materia di intercettazioni, determinando la necessità di introdurre senza ritardo la norma in commento, per garantire un’efficace azione di contrasto a gravi forme di criminalità e rendere più organico il sistema processuale, anche in ragione dei numerosi procedimenti in corso in cui si registrano indirizzi non univoci”.
È opportuno rammentare che l'articolo 13 del decreto-legge n. 152 del 1991 reca una deroga alla disciplina contenuta nell'art. 267 c.p.p., stabilendo un allargamento delle possibilità di ricorso alle intercettazioni per indagini relative a delitti di criminalità organizzata o di minaccia con il mezzo del telefono. In queste ipotesi, infatti, l'autorizzazione all’intercettazione è soggetta a limiti meno stringenti, potendo essere concessa:
Nelle stesse ipotesi le intercettazioni ambientali sono consentite nel domicilio o altro luogo di dimora privata anche se non vi è motivo di ritenere che nei luoghi predetti si stia svolgendo l'attività criminosa. La relativa durata è di 40 giorni, prorogabile per periodi successivi di 20 giorni.
L’art. 13 d.l. n. 152/1991 fa generico riferimento al concetto di delitti di “criminalità organizzata”, senza richiamare un preciso elenco di norme incriminatrici. Se, da un lato, è pacifico che nel concetto di criminalità organizzata rientrano le fattispecie associative (come l’associazione per delinquere e l’associazione di tipo mafioso), dall’altro, la giurisprudenza si è interrogata se alla nozione di “delitti di criminalità organizzata” possano essere ricondotti i delitti monosoggettivi (quale l’omicidio) aggravati ai sensi dell’art. 416-bis.1 c.p. per l’impiego del c.d. metodo mafioso o dalla finalità di agevolare un’associazione di tipo mafioso, ovvero, ancora, le ipotesi di mero concorso nei delitti facenti capo a un’associazione a delinquere.
A tal proposito è necessario ricordare che le Sezioni Unite della Cassazione, nella sentenza Scurato (n. 26889 del 2016), hanno affermato che “in tema di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, ai fini dell'applicazione della disciplina derogatoria delle norme codicistiche prevista dall’art. 13 del d.l. n. 152 del 1991, convertito dalla legge n. 203 del 1991, per procedimenti relativi a delitti di criminalità organizzata devono intendersi quelli elencati nell'art. 51, commi 3-bis e 3-quater c.p.p. nonché quelli comunque facenti capo ad un’associazione per delinquere, con esclusione del mero concorso di persone nel reato”. Tra i delitti di cui all’art. 51, co. 3-bis e 3-quater c.p.p., sono ricompresi anche quelli monosoggettivi aggravati dal c.d. metodo mafioso o dalla finalità di agevolare un’associazione mafiosa o commessi con finalità di terrorismo. Ne consegue che, secondo le Sezioni Unite, la disciplina derogatoria dell’ordinario regime di autorizzazione delle intercettazioni dovrebbe trovare applicazione anche in relazione a quei reati.
Più recentemente sempre la Cassazione (Prima sezione) nella decisione n. 34895/2022, ha, tuttavia, sottolineato come la sentenza delle Sezioni Unite Scurato, nel richiamare l’art. 51, comma 3-bis e 3-quater c.p.p., avrebbe inteso riferirsi solo ai delitti associativi annoverati nel relativo elenco e non agli altri (quelli monosoggettivi aggravati dal metodo mafioso, come nel caso di specie l’omicidio). Secondo la Prima sezione quindi, “in tema di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, per delitti di “criminalità organizzata”, di cui all’art. 13 d.l. 13 maggio 1991 n. 152, conv., con modif., dalla l. 12 luglio 1991, n. 203, devono intendersi tutti i reati di tipo associativo, anche comuni, correlati ad attività criminose più diverse, ai quali è riferito il richiamo ai delitti elencati nell’art. 51, commi 3-bis e 3-quater, c.p.p., con esclusione delle ipotesi di mero concorso nei delitti commessi avvalendosi delle condizioni di cui all’art. 416-bis c.p. ovvero al fine di agevolarne l’attività”. In questo modo è stata esclusa la possibilità di disporre intercettazioni secondo il doppio binario ‘agevolato’ antimafia per i delitti aggravati ai sensi dell’art. 416 bis.1 c.p. e, cioè, perché commessi o con metodo mafioso o con la finalità di agevolare un sodalizio mafioso.
Il comma 2 prevede che la disposizione del comma 1 si applica anche nei procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto.
A riguardo si ricorda che, in linea generale, in riferimento alla successione di leggi nel tempo, alla disciplina di carattere processuale si applica di norma il principio generale del tempus regit actum, in forza del quale le nuove disposizioni processuali possono essere applicate anche a fatti commessi in precedenza purché riguardino atti processuali non già conclusi ed esauriti negli effetti. A tal proposito, la disposizione in esame, prevedendo che tale nuova disciplina si applichi anche ai procedimenti in corso, non specifica in quale fase tali procedimenti debbano trovarsi affinché essa possa trovare applicazione, e cioè se essa, ad esempio, trovi applicazione solo per i procedimenti in cui non sia ancora stata chiesta l’autorizzazione allo svolgimento di intercettazioni o per quelli nei quali non si sia ancora deciso sulla utilizzabilità del materiale probatorio acquisito.
Nel corso dell’esame in Commissione, sono stati aggiunti ulteriori commi (commi da 2-bis a 2-quinquies) all’articolo 1.
Il nuovo comma 2-bis apporta modifiche al comma 1 dell’articolo 267 c.p.p. nella parte in cui disciplina le intercettazioni mediante uso del captatore informatico.
Ai sensi dell’articolo 267 c.p.p., ai fini dell’intercettazione di conversazioni o comunicazioni telefoniche, di colloqui tra presenti, anche nei luoghi di domicilio, ovvero di comunicazioni di qualsiasi specie (come l’intercettazione del flusso di comunicazioni relativo a sistemi informatici o telematici di cui all’articolo 266-bis c.p.p.) è necessario che l’autorizzazione per le operazioni venga concessa dal G.I.P. con decreto motivato, su richiesta del P.M, ove ricorrano le due seguenti condizioni: la presenza di gravi indizi di reato e l’assoluta indispensabilità per la prosecuzione delle indagini (non è, quindi, sufficiente la semplice utilità). Il decreto, nel caso di intercettazione tra presenti mediante inserimento di captatore informatico su dispositivo elettronico portatile, deve indicare le specifiche ragioni che rendono necessaria tale modalità per lo svolgimento delle indagini; nonché se si procede per delitti diversi da quelli di cui all’articolo 51, commi 3 bis e 3 quater, e dai delitti dei pubblici ufficiali o degli incaricati di pubblico servizio contro la pubblica amministrazione per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni, i luoghi e il tempo, anche indirettamente determinati, in relazione ai quali è consentita l’attivazione del microfono (articolo 267, comma 1, c.p.p.).
Il comma 2-bis modifica la disciplina del decreto autorizzativo di intercettazioni tra presenti mediante inserimento di captatore informatico, prevedendo che, in esso debbano essere esposte con “autonoma valutazione” le specifiche ragioni che rendono necessaria “in concreto” tale modalità per lo svolgimento delle indagini.
Il comma 2-ter modifica l’articolo 268 c.p.p. in materia di modalità esecutive delle intercettazioni.
L’art. 268 c.p.p. impone la verbalizzazione delle operazioni captative compiute. Nel verbale – precisa il vigente comma 2 dell’articolo 268 c.p.p. – deve essere trascritto, anche sommariamente, il contenuto delle comunicazioni intercettate. Ai sensi dell'art. 89 disp. att., inoltre il verbale deve contenere: «gli estremi del decreto che ha disposto l'intercettazione, la descrizione delle modalità di registrazione, l'annotazione del giorno e dell'ora di inizio e di cessazione della intercettazione nonché i nominativi delle persone che hanno preso parte alle operazioni»
Alla generale previsione dettata dal comma 2 dell’art. 268 c.p.p., per la quale, come detto, nel verbale deve essere trascritto, anche sommariamente il contenuto delle comunicazioni intercettate, il d.l. n. 161 del 2019, conv. legge n. 7 del 2020 (la c.d. riforma Bonafede) ha affiancato, nel comma 2-bis, la prescrizione al PM di dare indicazioni e di vigilare sull’attività dell’ufficiale di polizia giudiziaria, affinché nei verbali non siano riportate espressioni lesive della reputazione delle persone o quelle che riguardano dati personali definiti sensibili dalla legge, salvo che risultino rilevanti ai fini delle indagini.
Il comma 2-ter modifica (lett. a) il comma 2 dell’articolo 268 c.p.p. limitando la trascrizione nel verbale “soltanto” al contenuto delle intercettazioni, rilevante per le indagini, anche a favore dell’indagato. Si precisa inoltre che il contenuto non rilevante ai fini delle indagini non può essere trascritto neppure sommariamente e nessuna menzione ne può essere riportata nei verbali e nelle annotazioni della polizia giudiziaria. In questi casi nelle annotazioni della PG deve essere apposta la dicitura “La conversazione omessa non è utile alle indagini”.
La lett. b) del comma 2-ter modifica, poi anche il comma 2-bis dell’art.268 c.p.p., prescrivendo al PM di dare indicazione e di vigilare sull’attività dell’ufficiale di polizia giudiziaria affinché i verbali vengano redatti in conformità alle prescrizioni del comma 2, come modificato, e che in essi non vengano riportati fatti e circostanze afferenti alla vita privata degli interlocutori.
È opportuno segnalare che la disciplina delle modalità esecutive delle intercettazioni è oggetto di modifica anche da parte dell’art.2, comma 1, lett. c) del disegno di legge n. 808, di iniziativa governativa, attualmente in esame in Commissione giustizia del Senato. In particolare il disegno di legge oltre a modificare il comma 2-bis dell’articolo 268 c.p.p. prevedendo che non debbano essere riportate nei verbali neppure espressioni che riguardano dati personali sensibili relativi a soggetti diversi dalle parti, interviene (lett. c) n. 2) anche sul comma 6 dell’articolo 268 c.p.p. prevedendo l’obbligo di stralcio anche delle registrazioni e dei verbali che riguardano soggetti diversi dalle parti, salvo -ovviamente – che non ne sia dimostrata la rilevanza.
Il comma 2-quater interviene invece sull’articolo 270 c.p.p. in materia di utilizzabilità dei risultati delle intercettazioni in un procedimento “diverso”.
Il comma 1 dell’articolo 270 c.p.p., nella formulazione vigente prima dell’entrata in vigore del decreto-legge n. 161 del 2019 (conv. legge n. 7 del 2020), prevedeva che i risultati delle intercettazioni non potessero essere utilizzati in procedimenti diversi da quelli nei quali l’intercettazione era stata disposta, salvo che risultassero indispensabili per l'accertamento di delitti per i quali è obbligatorio l'arresto in flagranza.
Il decreto-legge n. 161 del 2019, intervenendo proprio sul comma 1 dell’art. 270 c.p.p., ha esteso la possibilità di usare i risultati delle intercettazioni in procedimenti penali diversi: oltre che per l’accertamento di delitti per i quali è obbligatorio l’arresto in flagranza, tale possibilità è stata prevista anche per l’accertamento dei reati inclusi nel catalogo di cui all’art. 266 c.p.p. In sostanza, a legislazione vigente, se si procede per un delitto per il quale l’art. 266 c.p.p. consente l’uso delle intercettazioni, i risultati già acquisiti nell’ambito delle indagini per un diverso delitto, potranno essere utilizzati. Affinché l’uso in procedimenti diversi sia consentito, è richiesto che i risultati delle intercettazioni siano non solo rilevanti ma anche indispensabili per l’accertamento della responsabilità penale.
Il comma 2-quater, ripristinando il testo vigente prima del decreto-legge n. 161 del 2019 (vedi supra), esclude, se si procede per un delitto per il quale l’art. 266 c.p.p., l’uso dei risultati delle intercettazioni già acquisiti nell’ambito delle indagini per un diverso delitto. Pertanto i risultati delle intercettazioni possano essere utilizzati in procedimenti diversi da quelli nei quali l’intercettazione è stata disposta, soltanto se risultino indispensabili per l'accertamento di delitti per i quali è obbligatorio l'arresto in flagranza.
Occorre ricordare che la Corte costituzionale, nel giustificare le limitazioni all’utilizzo, ha sottolineato che nel diverso procedimento nel quale si usano le intercettazioni come prova manca la garanzia del previo intervento autorizzativo da parte del giudice, con il rischio che il primo provvedimento finisca per diventare una sorta di “autorizzazione in bianco” ad eseguire intercettazioni (Corte costituzionale, sentenza 23 luglio 1991, n. 366 e sentenza 24 febbraio 1994, n.63). La giurisprudenza ha però di fatto depotenziato l’area operativa di questo divieto di utilizzazione. È stata infatti accolta una nozione sostanziale di “diverso procedimento”, per la quale tale concetto va collegato al dato della alterità o non uguaglianza del procedimento, in quanto instaurato in relazione ad una notizia di reato che deriva da un fatto storicamente diverso da quello oggetto di indagine nell’ambito di altro, differente procedimento (Cass., sez. IV, Sentenza 19 gennaio 2010 n. 7320). Da ultimo le Sezioni Unite (Cass, SU, Sentenza 2 gennaio 2020, n. 51, la c.d Sentenza Cavallo) hanno affermato che: «il divieto di cui all’art. 270 cod. proc. pen. di utilizzazione dei risultati di intercettazioni di conversazioni in procedimenti diversi da quelli per i quali siano state autorizzate le intercettazioni – salvo che risultino indispensabili per l’accertamento di delitti per i quali è obbligatorio l’arresto in flagranza – non opera con riferimento ai risultati relativi a reati che risultino connessi ex art. 12 cod. proc. pen. a quelli in relazione ai quali l’autorizzazione era stata ab origine disposta, sempreché rientrino nei limiti di ammissibilità previsti dalla legge».
Sempre con riguardo al tema della utilizzabilità dei risultati delle intercettazioni in un procedimento “diverso”, si segnala che nel documento conclusivo della indagine conoscitiva sulle intercettazioni, svolta dalla Commissione giustizia del Senato, si rileva quanto segue: “La Commissione ritiene, dunque, che sia necessario riguardare la materia in esame alla luce dei principi espressi dalla richiamata decisione delle Sezioni Unite, valorizzando l’ottica del contemperamento tra interessi costituzionali tendenzialmente contrapposti. In questa prospettiva, la Commissione conviene circa l’opportunità di rendere costituzionalmente ragionevole l’utilizzabilità delle intercettazioni in relazione ad un reato diverso da quello per il quale sono state disposte. Ai fini di una piena tutela dei diritti fondamentali, si ritiene infatti necessario salvaguardare il principio generale per cui la deroga alla garanzia costituzionale, autorizzata dal giudice, deve intervenire con riguardo a una ben definita fattispecie criminosa”.
Ai sensi del nuovo comma 2-quinquies, infine, la modifica apportata all’articolo 270 troverà applicazione con riguardo ai procedimenti iscritti successivamente alla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge in esame.
Articolo 2
(Istituzione delle infrastrutture digitali centralizzate per le intercettazioni e disciplina della registrazione delle spese per le intercettazioni)
L’articolo 2, modificato in sede referente, istituisce le infrastrutture digitali centralizzate per le intercettazioni. La disposizione traccia quindi un graduale percorso, segnato dall’emanazione di una serie di decreti ministeriali, al fine di consentire di localizzare presso le suddette infrastrutture digitali l'archivio digitale previsto dalle norme vigenti e, successivamente, di effettuare le stesse intercettazioni mediante tali infrastrutture. Inoltre, con una modifica apportata in sede referente, si prevede che le spese relative all’intercettazioni siano indicate.
Il comma 1 dell’articolo 2 istituisce apposite infrastrutture digitali interdistrettuali con l’obiettivo di assicurare più elevati e uniformi livelli di sicurezza, aggiornamento tecnologico, efficienza, economicità e capacità di risparmio energetico dei sistemi informativi funzionali alle attività di intercettazione eseguite da ciascun ufficio del pubblico ministero.
In proposito la relazione illustrativa osserva che l’intervento in esame, pur senza incidere sul principio per cui le attività di intercettazione sono di pertinenza del singolo ufficio del pubblico ministero, prevede l’istituzione di apposite infrastrutture digitali interdistrettuali, dirette a consentire più elevati ed uniformi livelli di sicurezza, un aggiornamento tecnologico adeguato alla delicatezza della materia, ma anche una maggiore efficienza, economicità e capacità di risparmio energetico dei sistemi informativi funzionali alle predette attività. A ben vedere infatti - rileva sempre la relazione - “la previsione di un apposito archivio digitale, localizzato presso ogni singola procura, per la conservazione integrale dei verbali e delle registrazioni relativi alle attività di intercettazione (e di ogni altro atto ad esse pertinenti), introdotto nell’ordinamento dall’art. 269 c.p.p. e dall’art. 89-bis disp. att. c.p.p., sta facendo emergere rilevanti e urgenti problematiche attinenti alla sua gestione, sul piano della capienza e delle esigenze di assoluta sicurezza che l’archivio e il sistema complessivo delle intercettazioni devono garantire. Tali esigenze sono state rappresentate anche dalla procura nazionale antimafia e antiterrorismo e da numerose procure della Repubblica”.
La definizione dei requisiti tecnici essenziali per assicurare una migliore capacità tecnologica e un più elevato livello di sicurezza e interoperabilità dei sistemi è demandata a un successivo decreto del Ministro della giustizia, da adottarsi entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del decreto legge in conversione e quindi entro il 10 ottobre 2023 (comma 2).
Ai sensi del comma 3 con un ulteriore decreto del Ministro della giustizia, da adottarsi entro i novanta giorni successivi alla scadenza del termine di cui al comma 2, sono definiti i requisiti tecnici specifici per la gestione dei dati, che assicurano l’autenticità, l’integrità e la riservatezza dei dati medesimi anche in relazione al conferimento e ai sistemi di ripristino, ed è disciplinato il collegamento telematico tra le infrastrutture digitali interdistrettuali e i luoghi di ascolto presso le procure della Repubblica, garantendo il massimo livello di sicurezza e riservatezza.
Presso ogni Ufficio di Procura trovano allocazione delle sale ascolto - poste sotto il controllo diretto del Procuratore della Repubblica – presso le quali la polizia giudiziaria delegata alle operazioni ex art. 267, comma 4, c.p.p. può ascoltare le intercettazioni. La polizia giudiziaria può procedere all’ascolto anche presso i propri uffici a mezzo della cosiddetta “remotizzazione”. Più precisamente la remotizzazione consente l’ascolto presso gli uffici della P.G. di ciò che materialmente viene registrato e continua a risiedere negli impianti esistenti presso la procura: si tratta praticamente di una forma di streaming. Per costante giurisprudenza “in tema di captazione di flussi comunicativi, la condizione necessaria per l’utilizzabilità delle intercettazioni è che l’attività di registrazione sia avvenuta nei locali della Procura della Repubblica mediante l’utilizzo di impianti ivi esistenti, mentre l’ascolto può avvenire “in remoto” presso gli uffici della polizia giudiziaria, senza che, in questo caso, sia necessaria l’autorizzazione prevista dall’art. 268, terzo comma, cod. proc. pen. […] in quanto il mezzo di prova è costituito esclusivamente dalla registrazione delle conversazioni che viene effettuata presso gli uffici di Procura e non dall’ascolto delle stesse che viene eseguito contestualmente dalla P. G. in luogo diverso, ai fini della prosecuzione delle indagini” (da ultimo Cass. Sez. V, n. 1781 del 28.10.2021).
Si valuti l’opportunità di demandare all’adottando decreto ministeriale anche la disciplina del collegamento telematico con le infrastrutture digitali interdistrettuali nel caso di remotizzazione dell’ascolto.
Il comma 4 precisa che i requisiti tecnici delle infrastrutture garantiscono l’autonomia delle funzioni del procuratore della Repubblica di direzione, organizzazione e sorveglianza sulle attività di intercettazione e sui relativi dati, nonché sugli accessi e sulle operazioni compiute sui dati stessi. Fermi il segreto investigativo e le garanzie di riservatezza e sicurezza dei dati, il Ministero della giustizia assicura l’allestimento e la manutenzione delle infrastrutture nel rispetto delle predette funzioni e, in ogni caso, con esclusione dell’accesso ai dati in chiaro.
Ed ancora con un successivo decreto del Ministro della giustizia, da adottarsi entro il 1° marzo 2024, è disposta l’attivazione presso le infrastrutture digitali interdistrettuali, previo accertamento della loro piena funzionalità, dell’archivio digitale di cui agli articoli 269, comma 1, c.p.p. e 89-bis delle disp.att.c.p.p. (comma 5).
Il d.lgs. 29.12.2017 n. 216 (cd. riforma Orlando) ha delineato un nuovo assetto in materia di intercettazioni di conversazioni o di comunicazioni, prevedendo, tra l’altro, l’istituzione di un archivio riservato. Tale assetto è stato oggetto di modifiche ad opera del decreto-legge n. 161 del 2019 (convertito peraltro con significative modifiche dalla legge n. 77). I cambiamenti hanno riguardato anche le previsioni in tema di archivio, rinominato «archivio» (nel codice di rito) e «archivio digitale» (nelle norme di attuazione). In ragione del forte impatto applicativo dello strumento, sono stati successivamente emanati due atti recanti indicazioni pratico-operative: il decreto 20.4.2018 del Ministero della Giustizia in tema di accesso all’archivio e il provvedimento del 5.12.2019 del Direttore generale dei servizi informativi automatizzati di adozione delle specifiche tecniche per il conferimento nell’archivio delle intercettazioni, le cui disposizioni hanno cessato di avere efficacia a seguito dell’ulteriore Provvedimento del Direttore Generale dei Servizi Informativi Automatizzati datato 1° luglio 2020.
Con riguardo all’archivio delle intercettazioni occorre ricordare come esso sia stato istituito per dare attuazione al provvedimento del 18 luglio 2013 del Garante per la protezione dei dati personali. Quest’ultimo provvedimento era stato emesso a seguito di riscontri effettuati dallo stesso Garante, i quali avevano mostrato come le Procure adottassero misure differenti in rapporto alla protezione dei dati personali e dei sistemi di gestione di tali dati. Il significativo impatto del trattamento di dati nell’ambito delle intercettazioni sul piano dei diritti fondamentali, connesso ai rischi derivanti dal mutato contesto tecnologico, nonché la necessità di adottare misure in materia di protezione dei dati personali quanto più possibile uniformi tra le Procure aveva determinato il Garante a prescrivere l’adozione di una serie di interventi volti a rafforzare il controllo preventivo e la sicurezza nel trattamento dei dati personali e dei sistemi nell’attività di intercettazione di conversazioni o comunicazioni elettroniche, anche informatiche o telematiche.
Sul piano pratico, l’archivio delle intercettazioni si articola in tre componenti:
· archivio riservato Trattamento Informatico Atti Processuali (TIAP),
· archivio documentale,
· archivio digitale delle intercettazioni
Più nel dettaglio, il TIAP è un applicativo informatico, sviluppato dal Ministero della Giustizia al fine di pervenire ad una gestione digitale dei fascicoli, idonea ad implementarne il contenuto in rapporto alle varie fasi processuali, mediante atti, documenti e supporti multimediali, con l’obiettivo di semplificare la classificazione, la codifica, l’indicizzazione dei fascicoli e le attività sugli stessi, come la ricerca o la consultazione. All’interno di esso è stato creato l’archivio riservato TIAP, che rappresenta lo spazio digitale in cui conservare la documentazione inerente alle intercettazioni. Tale documentazione non è, allo stato, una documentazione nativa digitale, i documenti in esso inseriti infatti esistono dapprima in forma cartacea e, poi, vengono scannerizzati ed inseriti in TIAP. Proprio perché, allo stato, in attesa del pieno funzionamento del processo penale telematico, la documentazione cartacea continua a sussistere è operativo anche il cd. archivio documentale, che è un archivio tradizionale nel quale è conservato il materiale cartaceo che riguarda le intercettazioni. Da ultimo, l’archivio digitale delle intercettazioni (ADI) coincide con i server che custodiscono, dopo il conferimento da parte del PM, le registrazioni disposte nell’ambito del procedimento ed i verbali, i quali ultimi si caratterizzano per la pluralità delle informazioni che riportano (dalla trascrizione anche sommaria del contenuto delle comunicazioni intercettate agli estremi del decreto che ha disposto l’intercettazione; al giorno e ora di inizio e di cessazione delle intercettazioni).
La gestione e la tenuta dell’archivio, secondo quanto stabilito dal già citato d.l. n. 161 del 2019, sono affidate al Procuratore della Repubblica dell’ufficio che ha richiesto ed eseguito le intercettazioni. Al Procuratore compete anche la direzione e la sorveglianza dell’archivio (artt. 269 co. 1 e 268 co. 5 c.p.p.). In ragione della delicatezza del materiale custodito nell’archivio, gli art. 269, comma 1, c.p.p. e 89-bis, comma 3, disp.att.c.p.p. si occupano di disciplinarne gli accessi, che andranno annotati in un registro, denominato modello 37-bis, «gestito con modalità informatiche» (vedi amplius infra).
Ai sensi dell’art. 269, comma 1, c.p.p., i verbali e le registrazioni, e ogni altro atto ad esse relativo, sono conservati integralmente nell'apposito "archivio digitale" delle intercettazioni gestito e tenuto sotto la direzione e la sorveglianza del Procuratore della Repubblica dell'ufficio che ha richiesto ed eseguito le intercettazioni. Tutti gli atti ivi custoditi sono coperti dal segreto, con l'eccezione soltanto dei verbali e delle registrazioni delle comunicazioni e conversazioni acquisite al fascicolo delle indagini, o comunque utilizzati nel corso delle indagini preliminari che non sono invece coperti da segreto. ?Al Gip è sempre consentito l'accesso all'archivio e l'ascolto delle conversazioni o comunicazioni registrate, mentre ai difensori delle parti tale diritto è riconosciuto, per l'esercizio dei loro diritti e facoltà, soltanto successivamente al deposito per la difesa di verbali e registrazioni. Tale deposito può avvenire in tre casi: dopo la conclusione delle operazioni di intercettazione, ai sensi dell'art. 268 c.p.p., oppure con l'avviso di conclusione delle indagini ex art. 415 bis c.p.p. ovvero nel caso di giudizio immediato richiesto dal PM a norma dell'art. 454, comma 2 bis, c.p.p.
Ai sensi del comma 6, dalla data di entrata in vigore del decreto con il quale è disposta l’attivazione dell’archivio presso le istituende infrastrutture, è autorizzata la migrazione dei dati dalle singole procure della Repubblica e il conferimento dei nuovi dati. Anche in questo caso è prevista l’adozione di un decreto ministeriale per la definizione dei tempi, delle modalità e dei requisiti di sicurezza della migrazione e del conferimento. Le operazioni sono effettuate dalla direzione generale per i sistemi informativi automatizzati, di intesa con i singoli procuratori della Repubblica.
Il comma 7 precisa che le attività di cui all’articolo 89-bis delle disp.att.c.p.p. sono effettuate presso la procura della Repubblica che ha disposto le operazioni di intercettazione.
Come già anticipato, l'art. 89 bis disp. att. c.p.p reca una dettagliata regolamentazione dell'archivio delle intercettazioni, stabilendo che nell'archivio digitale istituito dall'art. 269, comma 1, c.p.p. (vedi amplius supra) e tenuto sotto la direzione e la sorveglianza del Procuratore della Repubblica, sono custoditi i verbali, gli atti e le registrazioni delle intercettazioni a cui afferiscono. L'archivio è gestito con modalità tali da assicurare la segretezza della documentazione relativa alle intercettazioni non necessarie per il procedimento, ed a quelle irrilevanti o di cui è vietata l'utilizzazione ovvero riguardanti categorie particolari di dati personali come definiti dalla legge o dal regolamento in materia. Il Procuratore della Repubblica impartisce, con particolare riguardo alle modalità di accesso, le prescrizioni necessarie a garantire la tutela del segreto su quanto ivi custodito. All'archivio possono accedere, "secondo quanto stabilito dal codice", il giudice che procede e i suoi ausiliari, il pubblico ministero e i suoi ausiliari, ivi compresi gli ufficiali di polizia giudiziaria delegati all'ascolto, i difensori delle parti, assistiti, se necessario, da un interprete. Ogni accesso è annotato in apposito registro, gestito con modalità informatiche; in esso sono indicate data, ora iniziale e finale, e gli atti specificamente consultati. I difensori delle parti possono ascoltare le registrazioni con apparecchio a disposizione dell'archivio e possono ottenere copia delle registrazioni e degli atti "quando acquisiti" a norma degli artt. 268, 415 bis e 454 c.p.p. Ogni rilascio di copia è annotato in apposito registro, gestito con modalità informatiche; in esso sono indicate data e ora di rilascio e gli atti consegnati in copia.
Ai sensi del comma 8 le intercettazioni relative ai procedimenti penali iscritti successivamente alla data del 28 febbraio 2025 saranno effettuate mediante le istituende infrastrutture digitali.
Il comma 9 disciplina il procedimento di adozione dei decreti ministeriali previsti dalla disposizione in commento. Tali decreti sono adottati sentiti il Consiglio superiore della magistratura, il Garante per la protezione dei dati personali e il Comitato interministeriale per la cybersicurezza. Ciascuno dei pareri è espresso entro venti giorni dalla trasmissione della richiesta, decorsi i quali il provvedimento può essere comunque adottato.
Il comma 10 reca la copertura finanziaria dell’intervento in esame.
È autorizzata la spesa di 43 milioni di euro per l’anno 2023 e di 50 milioni di euro annui per ciascuno degli anni 2024 e 2025 per la realizzazione delle infrastrutture informatiche, nonché di 3 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2023 per la gestione, la manutenzione evolutiva e l'assistenza informatica. A tali oneri si provvede per quanto attiene a 43 milioni di euro mediante corrispondente riduzione dello stanziamento del fondo speciale di conto capitale iscritto, ai fini del bilancio triennale 2023-2025, nell'ambito del programma "Fondi di riserva e speciali" della missione "Fondi da ripartire" dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2023, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al Ministero della giustizia (comma 10 lett. a). Quanto a 3 milioni di euro a decorrere dall’anno 2023, mediante corrispondente riduzione dello stanziamento del fondo speciale di parte corrente iscritto, ai fini del bilancio triennale 2023-2025, nell'ambito del programma "Fondi di riserva e speciali" della missione "Fondi da ripartire" dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2023, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al Ministero della giustizia (comma 10 lett. b). Il Ministro dell'economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio (comma 11).
Il comma 9-bis, aggiunto nel corso dell’esame in sede referente, introducendo il nuovo comma 3-bis all’art. 168-bis del T.U. in materia di spese di giustizia (d.P.R. n. 115 del 2002), prevede che nel foglio notizie di cui all’art. 280 del medesimo d.P.R. (v. infra) sia annotato l’importo delle spese relative alle operazioni di intercettazioni.
L’art. 168-bis, introdotto nel citato testo unico dal d.lgs. n. 120 del 2018, prevede che le spese relative alle prestazioni -obbligatorie - a fini di giustizia effettuate a fronte di richieste di intercettazioni e di informazioni da parte delle competenti autorità giudiziarie e di quelle funzionali all'utilizzo delle prestazioni medesime siano liquidata con decreto di pagamento del PM che ha eseguito o richiesto l'autorizzazione a disporre le operazioni captative (comma 1).
Nell'ipotesi in cui sussiste il segreto sugli atti di indagine o sulla iscrizione della notizia di reato, il decreto di pagamento è titolo provvisoriamente esecutivo ed è comunicato alle parti e al beneficiario in conformità a quanto previsto dal comma 3 dell'articolo 168 (comma 2).
Il comma 3 dell’art. 168-bis stabilisce che avverso il decreto di pagamento possa essere proposta opposizione, ex art. 170.
L’art. 280 del d.p.r n. 115 del 2002, prevede, tra l’altro, che nel fascicolo processuale sia tenuto un foglio delle notizie ai fini del recupero del credito (comma 1). L'ufficio che procede all'annotazione sul registro delle spese pagate dall'erario o delle spese prenotate a debito riporta nel foglio delle notizie solo i pagamenti delle spese ripetibili e le spese prenotate a debito (comma 2).
L’articolo 2-bis, introdotto in sede referente, reca numerosi interventi normativi volti ad implementare il contrasto alla criminalità informatica e ad aumentare la cybersicurezza.
In particolare sono integrati i compiti dell’Agenzia per la cybersicurezza nazionale, prevendo, da un lato, l’obbligo per l’Agenzia di trasmettere al procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo i dati e le informazioni rilevanti per l’esercizio delle funzioni e dei poteri sui reati informatici, nonché un obbligo di collaborazione con l’Agenzia dei soggetti pubblici o privati che hanno subìto incidenti di sicurezza informatica o attacchi informatici (commi 1 e 2).
Inoltre, vengono estesi i poteri e le prerogative conferiti al procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo in ordine ai delitti di cui all’art. 51, commi 3-bis e 3-quater, c.p.p., anche ai procedimenti riguardanti taluni gravi delitti di criminalità informatica (commi 3, 4, lettere b) e c), 5 e 6).
L’articolo in commento si compone di 6 commi, che recano interventi finalizzati al rafforzamento dell’azione di contrasto alla criminalità informatica e al miglioramento della protezione dei sistemi informatici e telematici, in particolare di quelli in uso allo Stato o ad enti pubblici o ad imprese esercenti servizi pubblici o di pubblica necessità.
In particolare, i commi 1 e 2 intervengono ad integrare funzioni e compiti svolti dall'Agenzia per la cybersicurezza nazionale (ACN), mediante puntuali modifiche al decreto-legge n. 82 del 2021[1], con cui è stata definita l'architettura nazionale del sistema di sicurezza cibernetica ed istituita l'Agenzia in attuazione di precisi obiettivi del PNRR.
L’Agenzia per la cybersicurezza nazionale (ACN) è volta alla tutela degli interessi nazionali nel campo della cybersicurezza, ha personalità giuridica di diritto pubblico ed è dotata di autonomia regolamentare, amministrativa, patrimoniale, organizzativa, contabile e finanziaria.
All'Agenzia spetta in particolare il compito di predisporre la strategia nazionale di cybersicurezza.
L'Agenzia inoltre assume le iniziative idonee a valorizzare la crittografia come strumento di cybersicurezza, provvede alla qualificazione dei servizi cloud per la pubblica amministrazione, promuove iniziative di partenariato pubblico-privato, onde rendere effettive le capacità di prevenzione e rilevamento e risposta ad incidenti ed attacchi informatici, sostiene negli ambiti di competenza lo sviluppo di competenze e capacità industriali, tecnologiche e scientifiche, assicura il necessario raccordo con le altre amministrazioni a cui la legge attribuisca competenze in materia di cybersicurezza e, in particolare, con il Ministero della difesa per gli aspetti inerenti alla ricerca militare.
Essa, inoltre, assume compiti in precedenza attribuiti a diversi soggetti, quali il Ministero dello sviluppo economico, la Presidenza del Consiglio, il Dipartimento delle informazioni e della sicurezza, l'Agenzia per l'Italia digitale.
Ad esempio, all’ACN sono stati trasferiti i compiti già dell’AgID relativi alla sicurezza delle reti e dei servizi di comunicazione elettronica accessibili al pubblico e alla protezione dalle minacce informatiche delle comunicazioni elettroniche, assicurandone la disponibilità, la confidenzialità e l'integrità e garantendone altresì la resilienza (D.Lgs. 207/2021, Codice europeo delle comunicazioni elettroniche, art. 6, comma 1).
L’art. 7 del D.L. 152/2021 prevede che Sogei S.p.A. eroghi servizi in qualità di infrastruttura cloud nazionale a favore di diversi soggetti tra cui l’Agenzia per la cybersicurezza nazionale.
Nel dettaglio, il comma 1, aggiungendo un nuovo comma (4-bis) all’articolo 17 del citato decreto-legge n. 82 del 2021, stabilisce che l’Agenzia è incaricata di trasmettere al procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo i dati, le notizie e le informazioni rilevanti per l’esercizio delle funzioni e dei poteri di impulso e coordinamento delle indagini relative a gravi reati informatici, di cui all’articolo 371-bis c.p.p., come modificato dal decreto in esame (si v. infra, comma 3, lettera b).
L’integrazione della norma lascia immutato quanto già previsto dal comma 4 dell’art. 17, D.L. 82/2021, ai sensi del quale il personale dell'Agenzia addetto al CSIRT Italia, nello svolgimento delle proprie funzioni, riveste la qualifica di pubblico ufficiale. La trasmissione delle notifiche di incidente, che rientra tra i compiti del CSIRT, è inquadrata tra gli obblighi di denuncia fissati dall’articolo 331 del codice di procedura penale, concernente appunto la denuncia da parte di pubblici ufficiali e incaricati di un pubblico servizio.
La novella, come esplicitato nel corpo della disposizione mediante il rinvio alle finalità di cui all’art. 2, comma 1 del decreto in esame, è volta ad assicurare i più elevati e uniformi livelli di sicurezza, aggiornamento tecnologico, efficienza ed economicità dei sistemi informativi.
Il comma 2 integra l’elenco delle funzioni attribuite all’Agenzia dall’articolo 7 del D.L. n. 82/2021, con particolare riferimento a quanto stabilito dalla lettera n) del comma 1, in base al quale l’ACN sviluppa capacità nazionali di prevenzione, monitoraggio, rilevamento, analisi e risposta, per prevenire e gestire gli incidenti di sicurezza informatica e gli attacchi informatici, anche attraverso il CSIRT Italia.
Si ricorda che a tal fine l'Agenzia si avvale anche del CSIRT Italia, originariamente istituito presso il Dipartimento delle informazioni per la sicurezza della Presidenza del Consiglio e poi trasferito presso l’Agenzia.
L'acronimo CSIRT sta per Computer Security Incident Response Team (gruppo di gestione degli incidenti di sicurezza informatica). I suoi compiti sono: il monitoraggio degli incidenti a livello nazionale; l’emissione di preallarmi, allerte, annunci e divulgazione di informazioni alle parti interessate in merito a rischi e incidenti; l'intervento in caso di incidente; l'analisi dinamica dei rischi e degli incidenti; la sensibilizzazione situazionale; la partecipazione alla rete dei CSIRT (che interloquisce con l'Agenzia dell'Unione europea per cibersicurezza).
La disposizione in esame prevede che nell’ambito di tali funzioni, l’Agenzia svolge ogni attività diretta all'analisi e al supporto per il contenimento e il ripristino dell'operatività dei sistemi compromessi, con la collaborazione dei soggetti pubblici o privati che hanno subìto incidenti di sicurezza informatica o attacchi informatici (nuova lettera n-bis) del comma 1, dell’art. 7, del D.L. 82/2021).
La mancata collaborazione è valutata ai fini dell'applicazione delle sanzioni previste dal c.d. decreto-legge perimetro (decreto-legge n. 105/2019) all'articolo 1, commi 10 e 14, ossia rispettivamente:
§ l'applicazione della sanzione amministrativa accessoria della incapacità ad assumere incarichi di direzione, amministrazione e controllo nelle persone giuridiche e nelle imprese, per un periodo di tre anni a decorrere dalla data di accertamento della violazione;
§ in caso di dipendenti pubblici, la responsabilità disciplinare e amministrativo-contabile.
Tali sanzioni possono essere applicate ai soggetti specificamente individuati dalla disposizione tramite rinvii normativi e, dunque:
§ amministrazioni pubbliche, enti e operatori pubblici e privati aventi una sede nel territorio nazionale, inclusi nel perimetro di sicurezza nazionale cibernetica e tenuti al rispetto delle misure e degli obblighi previsti dall’art. 1, co. 2 del decreto-legge perimetro (ossia i soggetti di cui all'articolo 1, comma 2-bis, del medesimo decreto);
§ gli operatori di servizi essenziali, soggetto pubblico o privato, e i fornitori di servizio digitale ai sensi dell’articolo 3, comma 1, lettere g) e i), del c.d. decreto legislativo NIS (D.lgs. 18 maggio 2018, n. 65, di attuazione della direttiva dell’Unione europea “NIS”, cioè in materia di Network and Information Security, la direttiva (UE) 2016 n. 1148);
§ le imprese che forniscono reti pubbliche di comunicazioni o servizi di comunicazione elettronica accessibili al pubblico (ossia i soggetti di cui di cui all'articolo 40, comma 3, alinea, del Codice delle comunicazioni elettroniche, di cui al D.Lgs. 1° agosto 2003, n. 259).
La disposizione precisa, infine, che non possono essere sanzionati in caso di mancata collaborazione gli organi dello Stato preposti alla prevenzione, all'accertamento e alla repressione dei reati, alla tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica e alla difesa e sicurezza militare dello Stato, nonché gli organismi di informazione per la sicurezza di cui agli articoli 4, 6 e 7 della legge n. 124/2007 (Dipartimento delle informazioni per la sicurezza - DIS, Agenzia informazioni e sicurezza esterna – AISE, e Agenzia informazione e sicurezza interna – AISI).
Il comma 3 reca modifiche al codice di procedura penale, intervenendo sui poteri del procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo al fine di renderli maggiormente incisivi nell’ambito della lotta alla criminalità organizzata in campo informatico. L’articolo in esame individua infatti (si v. comma 1, lett. b) una serie di gravi reati informatici in relazione ai quali il procuratore nazionale antimafia potrà esercitare i medesimi poteri e avrà le medesime prerogative che già gli sono riconosciuti per i delitti di cui all’art. 51, commi 3-bis e 3-quater, c.p.p[2].
Le modifiche riguardano:
§ l’art. 54-ter, in materia di contrasto tra pubblici ministeri circa le indagini (lett. a);
§ l’art. 371-bis, in materia di poteri di coordinamento delle attività investigative (lett. b);
§ gli artt. 724 e 727, in materia, rispettivamente, di obbligo di trasmissione delle richieste di rogatoria provenienti dall’estero e delle richieste indirizzate all’estero (lett. c) e d).
Più nel dettaglio, la lettera a) interviene sul comma 1 dell’art. 54-ter c.p.p., in base al quale, in caso di contrasto tra pubblici ministeri aventi ad oggetto indagini relative ai reati di cui all’art. 51, commi 3-bis e 3-quater, c.p.p., il procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo:
· deve essere sentito dal procuratore generale presso la Corte di cassazione ai fini della decisione sul contrasto tra pubblici ministeri appartenenti a distretti diversi;
· deve essere informato dei provvedimenti adottati dal procuratore generale presso la corte d’appello sul contrasto tra p.m. appartenenti al medesimo distretto.
Si ricorda che, ai sensi degli artt. 54 e 54-bis c.p.p., i contrasti tra pubblici ministeri possono essere negativi o positivi: il primo caso può verificarsi quando il p.m. ritiene che il reato appartenga alla competenza di un giudice diverso da quello presso cui egli esercita le funzioni e provvede a trasmettergli gli atti, il secondo quando il p.m. riceve notizia che presso un altro ufficio sono in corso indagini preliminari a carico della stessa persona e per il medesimo fatto in relazione al quale egli procede e pertanto richiede che gli siano trasmessi gli atti. In entrambi i casi, se il p.m. che riceve gli atti oppure la richiesta di trasmissione degli atti è di diverso avviso, il contrasto che si è determinato dovrà essere risolto con decisione del procuratore generale presso la corte di appello, se i due p.m. appartengono allo stesso distretto, ovvero dal procuratore generale presso la Corte di cassazione qualora appartengano a distretti diversi.
La modifica recata dalla lettera in commento è volta ad estendere tale procedura ai gravi reati informatici in relazione ai quali il comma 4-bis dell’art. 371-bis c.p.p., introdotto dalla lettera b) del comma 1, dispone che il procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo eserciti le funzioni di impulso conferitegli per delitti di cui all’art. 51, commi 3-bis e 3-quater, c.p.p.
L’art. 371-bis c.p.p., rubricato attività di coordinamento del procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo, delinea il quadro dei poteri e delle prerogative del procuratore medesimo. In particolare, ai sensi del comma 2, specificamente richiamato dal nuovo comma 4-bis, il procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo esercita funzioni di impulso nei confronti dei procuratori distrettuali al fine di rendere effettivo il coordinamento delle attività di indagine, di garantire la funzionalità dell'impiego della polizia giudiziaria nelle sue diverse articolazioni e di assicurare la completezza e tempestività delle investigazioni.
In particolare, nel nuovo comma 4-bis sono specificamente individuati alcuni gravi delitti informatici; nei procedimenti ad essi relativi al procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo sono riconosciute le predette funzioni di impulso. Si tratta dei seguenti delitti contenuti nel codice penale:
· 615-ter, terzo comma (accesso abusivo a sistemi informatici o telematici di interesse militare o relativi all'ordine pubblico o alla sicurezza pubblica o alla sanità o alla protezione civile o comunque di interesse pubblico);
· 635-ter c.p. (danneggiamento di informazioni, dati e programmi informatici utilizzati dallo Stato o da altro ente pubblico o comunque di pubblica utilità);
· 635-quinquies (danneggiamento di sistemi informatici o telematici di pubblica utilità);
· 617-quater (intercettazione, impedimento o interruzione illecita di comunicazioni informatiche o telematiche);
· 617-quinquies (detenzione, diffusione e installazione abusiva di apparecchiature e di altri mezzi atti a intercettare, impedire o interrompere comunicazioni informatiche o telematiche);
· 617-sexies (falsificazione, alterazione o soppressione del contenuto di comunicazioni informatiche o telematiche del codice penale).
Per i procedimenti aventi ad oggetto i delitti di cui agli artt. 617-quater, 617-quinquies e 617-sexies le funzioni del procuratore sono riconosciute limitatamente ai fatti commessi in danno di un sistema informatico o telematico utilizzato dallo Stato o da altro ente pubblico o da impresa esercente servizi pubblici o di pubblica necessità.
Inoltre, l’ultimo periodo del comma 4-bis prevede altresì l’applicazione dei commi 3 e 4 del medesimo art. 371-bis, con la conseguente estensione della sfera dei poteri riconosciuti al Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo anche ai procedimenti riguardanti i suddetti delitti informatici. Tra tali poteri, connessi al ruolo di coordinamento del procuratore (tra cui rientrano l’impartire direttive ai procuratori distrettuali, l’acquisire e l'elaborare notizie, informazioni e dati attinenti alla criminalità organizzata, l’assicurare il collegamento investigativo tra Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo e procuratori interessati) è di particolare rilievo quello dell’avocazione delle indagini (commi 3, lettera h), e 4 dell’art. 371-bis c.p.p.), esperibile in caso di perdurante e ingiustificata inerzia nella attività di indagine e ingiustificata e reiterata violazione dei doveri previsti ai fini del coordinamento delle indagini.
Le lettere c) e d) del comma 3 sono accomunate dall’identica finalità di ampliare gli obblighi di trasmissione al procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo delle rogatorie internazionali, già previsti in ordine ai procedimenti concernenti i delitti di cui all’art. 51, commi 3-bis e 3-quater, c.p.p., alle rogatorie relative ai delitti informatici indicati nel neo introdotto comma 4-bis.
In particolare:
· la lettera c) modifica l’art. 724, comma 9, c.p.p., che disciplina il procedimento di esecuzione delle rogatorie provenienti dall’estero;
· la lettera d) modifica l’art. 727, comma 8, c.p.p., che concerne la trasmissione di rogatorie ad autorità straniere.
In entrambi i casi la trasmissione deve avvenire senza ritardo.
Il comma 4 apporta alcune modificazioni alla legge 16 marzo 2006, n. 146, con la quale è stata ratificata ed è stata data esecuzione alla Convenzione e dei Protocolli delle Nazioni Unite contro il crimine organizzato transnazionale, nota come Convenzione di Palermo. Gli interventi emendativi riguardano in particolare l’articolo 9, concernente le operazioni sotto copertura, e sono finalizzati:
· ad ampliare il perimetro di non punibilità degli ufficiali di polizia giudiziaria che si occupano di contrasto al terrorismo che, al fine di acquisire elementi di prova, compiono atti di “pirateria informatica”, ovvero, a titolo di esempio, si introducono in sistemi informatici o telematici, li danneggiano, cancellano dati in essi contenuti, utilizzano domini e identità altrui (lett. a), n. 1), che modifica il comma 1, lett. a), dell’art. 9);
· ricomprendere tra gli ufficiali autorizzati a compiere operazioni sotto copertura gli ufficiali di polizia giudiziaria dell’organo del Ministero dell’interno per la sicurezza e la regolarità dei servizi di telecomunicazione[3] che si occupano di contrastare i reati informatici commessi ai danni delle infrastrutture critiche informatizzate individuate dalla normativa nazionale ed internazionale i quali, al fine di acquisire elementi di prova, compiono i medesimi atti sopra indicati ovvero gli atti di cui al comma 1, lettera a)[4], dell’art. 9 (lett. a), n. 2), che introduce al comma 1 dell’art. 9 la lettera b-ter);
· stabilire che, qualora siano disposte operazioni sotto copertura relative ai reati di cui agli articoli 51, commi 3-bis e 3-quater, c.p.p. e al neo introdotto comma 4-bis dell’art. 371-bis c.p.p., l’organo responsabile ne dia immediata comunicazione al procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo (lett. b), che modifica il comma 4 dell’art. 9);
· introdurre l’obbligo per il p.m. responsabile delle indagini di comunicare al procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo i provvedimenti adottati nell’ambito delle operazioni sotto copertura quando queste riguardino i reati di cui al neo introdotto comma 4-bis dell’art. 371-bis c.p.p. (in questo caso la norma vigente prevede già l’obbligo di comunicazione per i reati di cui agli articoli 51, commi 3-bis e 3-quater, c.p.p.) (lett. c), che modifica il comma 8 dell’art. 9).
I commi 5 e 6 recano degli interventi di coordinamento volti ad estendere le prerogative già riconosciute al procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo in ordine ai reati di cui agli articoli 51, commi 3-bis e 3-quater, c.p.p. anche ai reati informatici di cui al neo introdotto comma 4-bis dell’art. 371-bis c.p.p. I citati commi rispettivamente prevedono che:
· copia della richiesta di riconoscimento ed esecuzione di provvedimenti di blocco o di sequestro di beni proveniente da altro Stato dell’Unione europea sia trasmessa al procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo (comma 3, che modifica l’art. 5, comma 3, del d.lgs. n. 35 del 2016[5]);
· il procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo sia informato della ricezione di un ordine europeo di indagine penale, ai fini del coordinamento investigativo (comma 4, che modifica l’art. 4, comma 1, d.lgs. n. 108 del 2017[6]).
Articolo 3
(Delega di atti al giudice onorario nei procedimenti civili davanti al tribunale per i minorenni)
L’articolo 3, modificato in sede referente, prevede che, fino al 30 dicembre 2024, nei procedimenti davanti al tribunale per i minorenni aventi ad oggetto la responsabilità genitoriale, il giudice abbia la facoltà di delegare taluni specifici adempimenti, tra cui l’audizione delle parti e l’ascolto del minore, ad un giudice onorario.
Nello specifico, il comma 1 deroga a quanto stabilito dall’art. 473-bis.1, secondo comma, c.p.c. in ordine alla possibilità di delegare al giudice onorario alcuni adempimenti (dai quali il citato articolo esplicitamente esclude l'ascolto del minore[7], l'assunzione delle testimonianze e altri atti riservati al giudice), consentendo che tali adempimenti possano essere svolti anche dal giudice onorario, purché questi venga delegato con provvedimento motivato del giudice in cui siano precisamente indicati le modalità di svolgimento e le circostanze oggetto dell’atto.
Al fine del più efficace utilizzo delle risultanze derivanti dall’esame diretto del minore o delle parti, la norma specifica inoltre che il giudice onorario cui sia stato delegato l’ascolto del minore o lo svolgimento di attività istruttorie dovrà essere un componente del collegio chiamato a decidere sul procedimento o ad adottare provvedimenti temporanei.
L’art. 473-bis.1 c.p.c. fa parte delle norme per il procedimento in materia di persone, minorenni e famiglie di cui al Titolo IV-bis, introdotto nel Libro II del codice di procedura penale dall’art. 1, comma 33, del d.lgs. n. 149/2022 (c.d. riforma Cartabia), e segnatamente delle disposizioni generali di cui al Capo I. Il citato articolo, in particolare, stabilisce che il nuovo tribunale per le persone, i minorenni e le famiglie (v. infra) giudica in composizione collegiale, mentre l’istruzione e la trattazione possono essere delegate ad uno dei componenti del collegio (primo comma). È inoltre previsto che alcuni adempimenti possano essere delegati ad un giudice onorario nell’ambito dei procedimenti riguardanti la responsabilità genitoriale, ad eccezione dell'ascolto del minore, dell'assunzione delle testimonianze e degli altri atti riservati al giudice, e che la prima udienza, l'udienza di rimessione della causa in decisione e le udienze all'esito delle quali sono assunti provvedimenti temporanei si tengano davanti al collegio o al giudice relatore (secondo comma).
L’ultimo periodo del comma 1 ribadisce quanto già previsto in materia di udienze dall’art. 473-bis.1, ovvero che la prima udienza, l'udienza di rimessione della causa in decisione e le udienze nelle quali si adottano provvedimenti temporanei debbano tenersi davanti al collegio o al giudice relatore.
La deroga ha comunque carattere temporaneo: ne è infatti limitata l’operatività al 30 aprile 2024.
La data del 30 aprile 2024 è risultante da una modifica apportata nel corso dell’esame in sede referente, in quanto la versione originaria del decreto-legge individuava la vigenza della disposizione derogatoria sino al 31 dicembre 2023.
La riforma Cartabia ha profondamente inciso sul ruolo dei giudici onorari nell’ambito del processo minorile (ora sostituito dal rito unico per le persone, per i minorenni e per le famiglie), circoscrivendone la presenza ai collegi riguardanti i procedimenti penali e quelli relativi ad adottabilità e adozione. In particolare, il d.lgs. n. 151 del 2022 (artt. da 12 a 15)che detta norme sull'ufficio per il processo in attuazione tanto della legge n. 206 del 2021 per la riforma del processo civile, quanto della legge n. 134 del 2021 per la riforma del processo penale, ha stabilito che i giudici onorari facenti parte dei tribunali per i minorenni al momento dell’istituzione del tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie siano assegnati all'ufficio per il processo già esistente presso il tribunale ordinario; pertanto soltanto coloro che saranno assegnati alle sezioni distrettuali potranno assumere ruoli “decisori” nell’ambito dei collegi che decidono in materia penale o di adozione, mentre quelli che saranno assegnati alle sezioni circondariali di fatto opereranno solo all’interno dell’ufficio del processo, essendo le altre materie riservate ai giudici togati del tribunale (in composizione monocratica o collegiale). Lo stesso articolo 473-bis.1 c.p.c., come si è visto, limita i compiti dei giudici onorari, escludendoli da funzioni che in precedenza esercitavano, in primis proprio l’ascolto dei minori, in virtù di competenze specialistiche in campi diversi da quello strettamente giuridico (in particolare in campi quali la psicologia minorile o la neuropsichiatria infantile).
Come si osserva nella relazione illustrativa, tale esclusione avrebbe rischiato non solo di creare nell’immediato un sovraccarico di lavoro per i giudici togati, sui quali sarebbero ricaduti adempimenti prima svolti anche dai giudici onorari, ma soprattutto di compromettere quello che è l’interesse superiore dei minori coinvolti in procedimenti di particolare delicatezza. Tra l’altro, il principio della salvaguardia del superiore interesse del minore è stato ribadito dalla risoluzione del Parlamento europeo del 5 aprile 2022 sulla tutela dei diritti dei minori nei procedimenti di diritto civile, amministrativo e di famiglia, intervenuta successivamente all’entrata in vigore della legge delega, nella quale si ribadisce la necessità «di garantire che l’audizione del minore sia condotta da un giudice o da un esperto qualificato», «fornendo nel contempo tutte le garanzie tese ad assicurare il rispetto dell’integrità emotiva e dell’interesse superiore del minore». In particolare, si sottolinea nella risoluzione, «nell’ambito di procedimenti di diritto familiare in cui vi è un sospetto di violenza domestica, familiare o "assistita", l’audizione del minore dovrebbe essere sempre condotta in presenza di professionisti qualificati, medici o psicologi, compresi professionisti specializzati in neuropsichiatria infantile, per non aggravare il suo trauma o causargli ulteriori danni».
L’istituzione del tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie, destinato a sostituire l’attuale tribunale per i minorenni, è una delle principali innovazioni introdotte dalla c.d. “riforma Cartabia”, di cui al D. Lgs. 149/2022 (Capo IV, sezione III, art. 30 ss.), nell’ambito della riforma del processo civile.
Secondo quanto previsto dall’art. 30, che reca modifiche all’ordinamento giudiziario di cui al RD 12/1941, il nuovo tribunale avrà giurisdizione: in primo e in secondo grado, in materia civile nei procedimenti aventi ad oggetto lo stato e la capacità delle persone, ivi compresa la materia tutelare, la famiglia, l'unione civile, le convivenze, i minori; in primo grado in materia penale e nella materia della sorveglianza minorile.
Il tribunale sarà costituito in ogni sede di corte d’appello (o di sezione distaccata di corte d’appello) e sarà articolato in una sezione distrettuale, avente sede nel capoluogo del distretto, con giurisdizione su tutto il territorio della corte d’appello (o della sezione distaccata di corte d’appello) e in una o più sezioni distaccate circondariali, costituite in ogni sede di tribunale ordinario del distretto, con giurisdizione sul circondario.
La riforma distingue poi le materie che dovranno essere trattate dalla sede distrettuale del tribunale (tutta la materia penale e il secondo grado della materia civile trattata dalla sezione circondariale; alcune questioni civili in primo grado) e quelle di competenza della sede circondariale e conferma nella sezione di corte d’appello la competenza a trattare le impugnazioni avverso le decisioni della sezione distrettuale del tribunale. Per ciascun organo giudicante è stabilita una diversa composizione (nella sezione circondariale il giudice è monocratico), anche in ragione delle materie trattate, e una specifica disciplina è riservata all’ufficio del pubblico ministero presso il tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie, costituito presso sezione distrettuale del tribunale.
Il tribunale è diretto da un presidente e, se le dimensioni del tribunale lo richiederanno, potrà avere sezioni e presidenti di sezione. Vi saranno addetti più giudici, dotati di specifiche competenze nelle materie attribuite al tribunale, che eserciteranno le funzioni in via esclusiva; ad essi non si applicherà il limite di permanenza nell'incarico presso lo stesso ufficio e potranno svolgere funzioni presso la sezione distrettuale e presso una o più sezioni circondariali del medesimo tribunale.
Al tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie sono inoltre addetti giudici onorari esperti, nominati (ai sensi dell’art. 6 del RDL n. 1404/1934 come sostituito dall’art. 31 del d. lgs. 149/2022) con decreto del Ministro della giustizia su proposta del CSM. Non viene modificata la normativa vigente per quanto riguarda le categorie di esperti, che dovranno infatti sempre essere tratti tra “i cultori di biologia, di psichiatria, di antropologia criminale, di pedagogia, di psicologia, che abbiano compiuto il trentesimo anno di età”.
Le richiamate disposizioni della riforma sul tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie hanno effetto, ai sensi dell’art. 49, comma 1, del citato d. lgs. 149, decorsi due anni dalla data di pubblicazione del decreto legislativo medesimo (il decreto è stato pubblicato il 17 ottobre 2022).
Articolo 4
(Corsi di formazione per accedere ad incarichi semidirettivi e direttivi della magistratura)
L’articolo 4, modificato nel corso dell’esame in sede referente, modifica la disciplina riguardante i corsi di formazione per partecipare ai concorsi per l’attribuzione di incarichi direttivi e semidirettivi per magistrati (art. 26-bis d.lgs. n. 26/2006), prevedendo che il materiale documentale relativo ai corsi di formazione sia inviato al CSM anche in riferimento all’attribuzione di incarichi semidirettivi e non solo di quelli direttivi; modificando il termine di decorrenza dal quale calcolare a ritroso il periodo di cinque anni in cui maturare il requisito della partecipazione al corso ed escludendo dall’obbligo di partecipazione al corso i magistrati che nel medesimo periodo (o per parte di esso) abbiano già svolto incarichi direttivi o semidirettivi. Si prevede che tali disposizioni si applichino anche alle procedure bandite a decorrere dal 21 giugno 2022, non ancora concluse.
L’articolo 4 reca modifiche all’art. 26-bis del d.lgs. n. 26 del 2006 (Istituzione della Scuola superiore della magistratura, nonché disposizioni in tema di tirocinio e formazione degli uditori giudiziari, aggiornamento professionale e formazione dei magistrati), in riferimento ai requisiti necessari per la partecipazione ai concorsi per il conferimento di un incarico direttivo o semidirettivo, di primo o di secondo grado.
Il capo II-bis, composto dal solo art. 26-bis, del citato d.lgs. 26/2016 disciplina i corsi di formazione per il conferimento degli incarichi direttivi di primo e di secondo grado. L’art. 26-bis, da ultimo modificato dalla l. n.71 del 2022 (legge delega sull’ordinamento giudiziario), nella versione precedente all’intervento normativo in esame, disciplina i corsi di formazione relativa al conferimento di incarichi direttivi, e semidirettivi, organizzati dalla Scuola superiore della magistratura.
Secondo quanto previsto dal comma 1 del citato art. 26-bis, tali corsi di formazione sono mirati allo studio della materia ordinamentale e dei criteri di gestione delle organizzazioni complesse nonché all'acquisizione delle competenze riguardanti la capacità di analisi ed elaborazione dei dati statistici, la conoscenza, l'applicazione e la gestione dei sistemi informatici e dei modelli di gestione delle risorse umane e materiali utilizzati dal Ministero della giustizia per il funzionamento dei propri servizi.
Il comma 1-bis prevede che i corsi, che durano almeno tre settimane, si concludano con una prova finale diretta ad accertare le capacità acquisite. Inoltre, in base alle schede redatte dai docenti dei corsi, sono indicati per ogni magistrato che ha partecipato al corso elementi di valutazione in ordine al conferimento degli incarichi direttivi e semidirettivi (comma 2), che vengono inviate, insieme alle prove finali, al Consiglio superiore della Magistratura (CSM), per le valutazioni di competenza in ordine al conferimento dell'incarico direttivo (comma 3); tali dati hanno validità per 5 anni (comma 4). Al comma 5 si prevede che possono concorrere all'attribuzione degli incarichi direttivi e semidirettivi, di primo che di secondo grado, soltanto i magistrati che abbiano partecipato al corso di formazione in data non risalente a più di cinque anni prima della scopertura dell'incarico oggetto della domanda. Infine, si prevede che corsi di formazione analoghi siano riservati ai magistrati ai quali è stata conferita nell'anno precedente la funzione direttiva o semidirettivi (comma 5-bis).
L’intervento normativo recato dall’articolo 3 in esame interviene sulla disciplina di tali corsi di formazione apportando alcune modifiche sostanziali e correzioni di coordinamento normativo.
Nello specifico, la lettera a), numero 1, aggiunge, al comma 3 del citato art. 26-bis, la previsione secondo cui gli elementi di valutazione, le schede valutative redatte dai docenti e la documentazione relativa alla prova finale del corso sono valutati dal CSM anche con riferimento al conferimento di incarichi semidirettivi, e non solo per quelli direttivi.
Si ricorda che con la l’art. 10 della l. n. 71 del 2022 aveva esteso il campo di applicazione della disposizione riguardante originariamente solo i corsi di formazione per incarichi direttivi anche agli incarichi semi-direttivi, ma non si era proceduto, al comma 3, a prevedere che i documenti relativi al corso (elementi di valutazione, schede valutative e documentazione della prova finale) fossero inviati al CSM anche con riferimento al conferimento di tali incarichi.
La lettera a), numero 2, con un intervento solo formalmente integralmente sostitutivo, apporta alcune modifiche al comma 5. In particolare:
· si modifica l’individuazione della data a decorrere dalla quale viene calcolato, a ritroso, il quinquennio entro cui deve essere stato frequentato il corso di formazione per poter ambire ad incarichi direttivi o semidirettivi. La norma nella sua versione originaria individuava tale data in quella di scopertura dell’incarico. Secondo la relazione illustrativa, tale criterio avrebbe potuto comportare ripercussioni negative dal punto di vista pratico “dal momento che con riferimento allo stesso bando, relativo a posti con data di scopertura diversa, lo stesso magistrato potrebbe essere esonerato dalla partecipazione al corso per uno dei posti messi a concorso, ma non esserlo con riguardo ad altro posto cui ugualmente aspiri”. Pertanto, a seguito della modifica, il quinquennio decorre dalla scadenza del termine per la presentazione delle domande indicato nel bando di concorso.
· aggiungendo un periodo finale al comma 5, si prevede che siano esonerati dall’obbligo di partecipare al corso di formazione, potendo partecipare direttamente al concorso, coloro che abbiano svolto funzioni direttive o semidirettive nel medesimo lasso di tempo di validità del corso (o per una sua porzione).
Come indicato nella relazione illustrativa, la previsione relativa a una porzione del quinquennio, e non necessariamente per tutta la durata dello stesso, si giustifica in ragione dal vincolo di permanenza di quattro anni nella sede e nelle funzioni previsto per i magistrati per gli incarichi direttivi e semidirettivi (artt. 45 e 46 d.lgs. 160 del 2006). Pertanto, sempre secondo il governo, potrebbe verificarsi il caso che nei quattro anni antecedenti alla domanda il magistrato sia stato destinato ad altre funzioni, ma in precedenza abbia svolto funzioni direttive o semidirettive per più anni, compreso il quinto anno antecedente alla domanda.
Inoltre, il nuovo periodo del comma 5 specifica che l’esonero dalla partecipazione al corso è subordinata alla circostanza che il magistrato interessato non abbia ricevuto una valutazione negativa in sede di conferma nelle funzioni direttive e semidirettive.
Si ricorda che i citati artt. 45 e 46 del decreto legislativo n. 160 del 2006 prevedono che le funzioni direttive e semidirettive sono conferite per la durata di quattro anni, al termine dei quali il magistrato può essere confermato (previo concerto con il Ministro della giustizia, solo per quelle direttive) per ulteriori quattro anni a seguito di valutazione da parte del CSM. In caso di valutazione negativa, il magistrato non confermato nelle funzioni direttive non potrà partecipare a concorsi per il conferimento di altri incarichi direttivi per cinque anni, mentre il magistrato non confermato nelle funzioni semidirettive non potrà partecipare, per lo stesso lasso di tempo, o a quelli per incarichi direttivi e semidirettivi.
La lettera b), infine, per ragioni di coordinamento normativo, aggiunge il riferimento agli incarichi semidirettivi nella rubrica del capo II-bis, che contiene l’articolo 26-bis.
Il comma 1-bis, introdotto nel corso dell’esame in sede referente, prevede che le disposizioni del comma 1 si applichino anche alle procedure bandite a decorrere dal 21 giugno 20022 e non ancora conclusesi.
Articolo 5
(Disciplina transitoria per gli incarichi dirigenziali
dei ruoli EPE e IPM)
L’articolo 5, modificato in sede referente, reca una disciplina transitoria, in vigore sino al 31 marzo 2033, per cui, in deroga alla disciplina generale, gli incarichi dirigenziali superiori nell’ambito della esecuzione penale esterna (EPE) e degli istituti penali minorili (IPM) possono essere conferiti ai dirigenti penitenziari del ruolo di istituto penitenziario, in possesso della anzianità di nove anni e sei mesi. Inoltre, si prevede, per la medesima durata, che ai dirigenti penitenziari dell’esecuzione penale esterna e di istituto penale minorile, non ancora in possesso dell’anzianità prevista, possa essere conferito l’incarico di direttore aggiunto.
L’articolo 5 reca una disciplina transitoria per il conferimento degli incarichi superiori nell’ambito della esecuzione penale esterna (EPE) e degli istituti penali minorili (IPM).
In particolare, al comma 1, si consente – in deroga a quanto previsto dall’art. 3 del decreto d.lgs. n. 63 del 2006 - che tali incarichi possano essere conferiti ai dirigenti penitenziari del ruolo di istituto penitenziario in possesso della anzianità di nove anni e sei mesi di servizio (secondo quanto previsto dall’art. 7 del d.lgs. n. 63/2006).
L’ordinamento della carriera dirigenziale penitenziaria, dettato dal decreto legislativo n. 63 del 2006 (Ordinamento della carriera dirigenziale penitenziaria), prevede agli articoli 3 e 4 tre distinti ruoli dirigenziali: i dirigenti di istituto penitenziario, i dirigenti di esecuzione penale esterna ed i dirigenti medici psichiatri e dispone che alla carriera si acceda dalla qualifica iniziale di ciascun ruolo, unicamente mediante pubblico concorso.
L’art. 7 prevede che il conferimento dei c.d. “incarichi superiori”, indicati nella tabella A allegata al medesimo decreto, avviene mediante valutazione comparativa alla quale sono ammessi i dirigenti penitenziari con almeno nove anni e sei mesi di effettivo servizio senza demerito dall’ingresso in carriera.
Si ricorda, a tal proposito, che già l’art. 3, comma 1-bis, del DL n. 146 del 2013 ha previsto una deroga in parte sovrapponibile a quella in esame, che consentiva che le funzioni di dirigente dell’esecuzione penale esterna fossero svolte, in deroga alla disciplina generale, da funzionari inseriti nel ruolo dei dirigenti di istituto penitenziario, in attesa dell'espletamento dei concorsi pubblici finalizzati alla copertura dei posti vacanti nell'organico del ruolo dei dirigenti dell'esecuzione penale esterna.
Nelle more dell’espletamento dei concorsi per dirigente di esecuzione penale esterna, il legislatore ha dunque consentito di coprire tali posti attingendo al ruolo dei dirigenti di istituto penitenziario.
La deroga era originariamente introdotta per un periodo di tre anni dall’entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge n. 146 del 2013, e dunque fino al 22 febbraio 2017. La disposizione è stata quindi prorogata dal decreto-legge n. 244 del 2016 (fino al 31 dicembre 2018), dall'art. 1, comma 1139, lett. b), della legge di bilancio 2019 (l. n. 145 del 2018), fino al 31 dicembre 2019, dal decreto-legge n. 162 del 2019 (fino al 31 dicembre 2020), dal decreto-legge n. 183 del 2020 (fino al 31 dicembre 2021), dal decreto legge n. 228 del 2021 (fino al 31 dicembre 2022) e da ultimo dal decreto legge n. 198 del 2022 (fino al 31 dicembre 2023).
Analogamente a quanto disposto per lo svolgimento delle funzioni di dirigente dell’esecuzione penale esterna da parte dei dirigenti di istituto penitenziario, l’art. 1, comma 311, della legge n. 145 del 2018 (legge di bilancio per il 2019) consentiva che le funzioni di direttore di istituti penali per i minorenni fossero svolte, in deroga alla disciplina generale, nelle more dell’espletamento dei concorsi per la copertura di posti di livello dirigenziale non generale del Dipartimento per la giustizia minorile e di comunità, da funzionari inseriti nel ruolo dei dirigenti di istituto penitenziario. La disposizione originariamente introdotta fino al 31 dicembre 2020, è stata oggetto di proroga da parte del decreto legge n. 183 del 2020 (fino al 31 dicembre 2021), del decreto legge n. 228 del 2021, (fino al 31 dicembre 2021) e, da ultimo, del decreto legge n. 198 del 2022 (fino al 31 dicembre 2023).
Pertanto, la disposizione in esame interviene superando di fatto le due norme di deroga, più volte prorogate, - senza che però queste vengano abrogate - prevedendo che fino al 31 marzo 2033 – e quindi per una durata temporale di 10 anni – gli incarichi dirigenziali superiori nell’ambito della esecuzione penale esterna e degli istituti penali minorili possano essere attribuiti, anche a titolo di reggenza, ai dirigenti penitenziari del diverso ruolo di dirigente di istituto penitenziario in possesso della anzianità necessaria per l’assunzione di tali incarichi.
La durata decennale della norma derogatoria parrebbe giustificata dalla necessità che i dirigenti dell’azione penale esterna e di istituto penale minorile acquistino l’anzianità necessaria per ricoprire gli incarichi dirigenziali superiori. Difatti, secondo quanto riportato dalla relazione illustrativa, al momento non sussisterebbe un numero sufficiente di dirigenti di esecuzione penale esterna e di dirigenti di istituto penale minorile con l’anzianità necessaria ad assumere incarichi superiori, né tale anzianità sarebbe raggiungibile nel breve periodo dai dirigenti assunti all’esito delle procedure di reclutamento in corso. Si ricorda difatti che con due D.D., entrambi del 28 agosto 2020, sono stati banditi due concorsi per i profili dirigenziali in esame. In particolare, è stato bandito un concorso per l'assunzione di 5 dirigenti di livello dirigenziale non generale, appartenenti alla carriera dirigenziale penitenziaria, ruolo di dirigente di istituto penale minorile, e un concorso per l’accesso alla carriera dirigenziale penitenziaria per 18 posti di dirigente del ruolo di esecuzione penale esterna di livello dirigenziale non generale.
Si valuti l’opportunità di abrogare le analoghe disposizioni derogatorie riguardanti i direttori di IPM già previste dall’ordinamento e in vigore sino al 31 dicembre 2023.
Il comma 2 prevede che fino alla medesima data del 31 marzo 2033 ai dirigenti penitenziari assunti nei ruoli di esecuzione penale esterna e di istituto penale minorile, a seguito delle procedure concorsuali di recente svolte o in corso di svolgimento, non ancora in possesso dell’anzianità di 9 anni e sei mesi, possa essere conferito l’incarico di direttore aggiunto negli uffici individuati come sede di incarico superiore.
Il comma 2-bis, introdotto nel corso dell’esame in sede referente, abroga il citato comma 1-bis, dell’art. 3 del DL 146/2013, che, come rammentato in precedenza, già prevedeva, sino al 31 dicembre 2023, una disposizione in parte sovrapponibile a quella recata dall’articolo in esame (vedi supra).
Articolo 5-bis
(Dirigenza penitenziaria)
L’articolo 5-bis, introdotto nel corso dell’esame in sede referente, prevede nell’ambito della dotazione organica della dirigenza penitenziaria, l’incremento da 45 a 70 dei posti di dirigente penitenziario con incarichi superiori, ferma restando la vigente dotazione organica della dirigenza penitenziaria.
L’articolo 5-bis, comma 1, modifica la tabella A allegata al D. Lgs. 63/2006 (Ordinamento della carriera dirigenziale penitenziaria) al fine di incrementare da 45 a 70 i posti di dirigente penitenziario con incarichi superiori.
Come rammentato in precedenza (si veda la scheda relativa all’articolo 5 del presente decreto), ai sensi dell’art. 3 del D. Lgs. 63/2006 i funzionari si ripartiscono nei ruoli di dirigente di istituto penitenziario, dirigente di esecuzione penale esterna e dirigente medico psichiatra (comma 1). Ogni ruolo prevede la qualifica di dirigente penitenziario e all'apice i ruoli convergono nella qualifica unitaria di dirigente generale (comma 2). La tabella A, su cui interviene l’articolo in commento, definisce la dotazione organica (comma 3).
Il conferimento degli incarichi superiori è disciplinato dall’art. 7 del medesimo D. Lgs. e ha luogo mediante valutazione comparativa alla quale sono ammessi i dirigenti penitenziari con almeno nove anni e sei mesi di effettivo servizio senza demerito dall'ingresso in carriera.
Il comma 2 prevede conseguentemente che con decreto del Ministro della giustizia si provveda all’adeguamento della tabella C allegata al decreto del Ministro della giustizia 22 settembre 2016 concernente l’individuazione dei posti di funzione che possono essere conferiti ai dirigenti penitenziari e ai dirigenti con incarico superiore nell’ambito degli uffici centrali e degli uffici territoriali dell’amministrazione penitenziaria.
Il comma 3 reca la copertura finanziaria ai fini della corresponsione dell’indennità di cui all’art. 14, c. 1, lett. a, DL 75/2023, autorizzando la spesa di euro 5.209 per l’anno 2023 e di euro 62.502 annui a decorrere dall’anno 2024, da coprire mediante corrispondente riduzione del Fondo speciale di parte corrente iscritto, ai fini del bilancio triennale 2023-2025 nell’ambito del Programma “Fondi di riserva e speciali” della Missione “Fondi da ripartire” dello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze per l’anno 2023 allo scopo parzialmente utilizzando l’accantonamento relativo al Ministero della giustizia.
L’art. 14, c. 1, lett. a, DL 75/2023 (conv. con modificaz. dalla L. 112/2023) prevede la corresponsione di un'indennità annua lorda aggiuntiva rispetto agli attuali istituti retributivi nella misura di euro 13.565 ai dirigenti di istituto penitenziario per adulti e per minorenni e ai dirigenti di esecuzione penale esterna con posto di funzione di direzione di primo livello con incarico superiore.
Il comma 4 autorizza il Ministro dell’economia e delle finanze ad apportare con propri decreti le occorrenti variazioni di bilancio.
Articolo 6
(Modifiche al reato di incendio boschivo)
L’articolo 6, modificato in sede referente, apporta alcune modifiche al reato di incendio boschivo, di cui all’art. 423-bis c.p., aumentando il minimo edittale della pena sia nel caso si integri la fattispecie colposa che quella dolosa e prevedendo un’aggravante ad effetto speciale nel caso in cui tale fattispecie sia commessa con abuso di poteri o violazione di propri doveri inerenti alla prevenzione e al contrasto degli incendi o per trarne profitto.
L’articolo in esame apporta alcune modifiche al reato di incendio boschivo di cui all’art. 423-bis c.p.
Il codice penale, all’art. 423-bis, da ultimo modificato con il DL n. 120 del 2021, nella versione precedente all’entrata in vigore del presente decreto-legge, puniva con la reclusione da 4 a 10 anni chiunque, al di fuori dei casi di uso legittimo delle tecniche di controfuoco e di fuoco prescritto, cagioni un incendio su boschi, selve o foreste ovvero su vivai forestali destinati al rimboschimento, propri o altrui (primo comma). In caso di incendio colposo, la pena è la reclusione da 1 a 5 anni (secondo comma). Tanto la fattispecie dolosa che la colposa sono aggravate se dall'incendio deriva pericolo per edifici o danno su aree o specie animali o vegetali protette su animali domestici o di allevamento (terzo comma) e se dall'incendio deriva un danno grave, esteso e persistente all'ambiente (pena aumentata della metà, in base al quarto comma). Quindi per le aree o specie animali o vegetali protette e per animali domestici o di allevamento è richiesta la causazione di un danno effettivo mentre per gli edifici è sufficiente la sola presenza del pericolo. È, inoltre, prevista una circostanza attenuante ad effetto speciale, che comporta una diminuzione di pena dalla metà a due terzi, per l’ipotesi in cui il reo si sia adoperato per evitare che l'attività delittuosa venga portata a conseguenze ulteriori, ovvero, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, abbia provveduto concretamente alla messa in sicurezza e, ove possibile, al ripristino dello stato dei luoghi (quinto comma). Infine, è prevista una circostanza attenuante ad effetto speciale, che comporta una diminuzione di pena da un terzo alla metà, per l’ipotesi in cui il reo abbia aiutato concretamente l'autorità di polizia o l'autorità giudiziaria nella ricostruzione del fatto, nell'individuazione degli autori o nella sottrazione di risorse rilevanti per la commissione dei delitti (sesto comma).
Nello specifico, l’art. 423-bis c.p. viene modificato:
Ø estendendo – a seguito di una modifica apportata in sede referente - la fattispecie al fine di punire anche chi cagiona un incendio su zone di interfaccia urbano-rurali (comma 1, lettera a);
L'art. 5 del citato D.L. 120/2021 ha introdotto nella legge quadro n. 353/2000 sugli incendi boschivi, la definizione di zone di interfaccia urbano-rurale, intese come zone, aree o fasce nelle quali l'interconnessione tra le abitazioni o altre strutture antropiche e le aree naturali o la vegetazione combustibile è molto stretta.
Conseguentemente, in base a quanto previsto dall'art. 3 della medesima Legge quadro 353/2000, modificato anch'esso dall'art. 5 del citato D.L. 120/2021, nei Piani regionali di lotta agli incendi boschivi, sottoposti a revisione annuale, sono individuati interventi volti ad evitare lo sviluppo di incendi anche in tali zone.
Per approfondire si rinvia a quanto previsto nel comunicato sull'attività antincendio boschivo per la stagione estiva 2023.
Ø innalzando la pena edittale minima per l’ipotesi di incendio doloso, prevista dal primo comma, da quattro anni a sei anni di reclusione (comma 1, lettera a);
Ø innalzando la pena edittale minima per l’ipotesi di incendio colposo, prevista dal secondo comma, da uno a due anni di reclusione (comma 1, lettera b);
Ø inserendo un nuovo comma (nuovo quarto comma) all’art. 423-bis c.p., che prevede un’ulteriore circostanza aggravante ad effetto speciale dell’ipotesi dolosa, con un aumento di pena da un terzo alla metà, per avere commesso il fatto «con abuso dei poteri o con violazione dei doveri inerenti allo svolgimento di servizi nell’ambito della prevenzione e della lotta attiva contro gli incendi boschivi o al fine di trarne profitto per sé o per altri» (comma 1, lettera c).
Come osservato dalla relazione illustrativa, la previsione risulterebbe coerente con l’423-ter, comma 2, c.p., che prevede, quale conseguenza della condanna per il reato di cui all’articolo 423-bis, comma 1, la sanzione accessoria della interdizione «da cinque a dieci anni dall’assunzione di incarichi o dallo svolgimento di servizi nell’ambito della prevenzione e della lotta attiva contro gli incendi boschivi o al fine di trarne profitto per sé o per altri» (su cui v. infra).
Si ricorda, per completezza, che il citato DL n. 120 del 2021 ha introdotto nel codice penale due nuovi articoli che hanno completato il regime sanzionatorio del delitto di incendio boschivo, quando commesso dolosamente (art. 423-bis, primo comma), prevedendo per l’autore del reato pene accessorie e confisca.
In particolare, ferma l’applicabilità delle pene accessorie previste dalla parte generale del codice penale (e segnatamente dell’interdizione dai pubblici uffici e dalle professioni) l’articolo 423-ter c.p., rubricato “Pene accessorie”, prevede che la condanna per il delitto di incendio boschivo comporti:
· l'estinzione del rapporto di lavoro pubblico (presso amministrazioni o enti pubblici ovvero di enti a prevalente partecipazione pubblica), in caso di condanna alla reclusione per almeno 2 anni (primo comma);
· l’interdizione dall'assunzione di incarichi o dallo svolgimento di servizi nell'ambito della lotta attiva contro gli incedi boschivi, per una durata da 5 a 10 anni (secondo comma).
L’articolo 423-quater c.p., rubricato “Confisca”, ha introdotto una nuova ipotesi di confisca penale obbligatoria, anche per equivalente, dei profitti del reato di incendio boschivo.
Si tratta di una disposizione che ricalca sostanzialmente il contenuto dell’art. 452-undecies c.p., relativo alla confisca nei delitti contro l’ambiente.
In particolare, per le sole ipotesi dolose (art. 423-bis, primo comma), in caso di condanna o di patteggiamento della pena, è sempre ordinata la confisca dei beni che costituiscono il prodotto o il profitto del reato e delle cose che servirono a commettere il reato, salvo che appartengano a persone estranee al reato (primo comma). Se la confisca non è possibile, il giudice individua beni di valore equivalente di cui il condannato abbia anche indirettamente o per interposta persona la disponibilità e ne ordina la confisca (secondo comma). I beni così confiscati sono assegnati all’amministrazione competente che dovrà impiegarli per il ripristino dei luoghi danneggiati dall’incendio (terzo comma). Non si procede a confisca se l'imputato ha efficacemente provveduto al ripristino dello stato dei luoghi (quarto comma).
Infine, si ricorda che il medesimo DL n. 120/2021 ha esteso l’applicabilità della pena accessoria dell’incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione, di cui all’art. 32-quater c.p., a chi cagiona un incendio boschivo per danneggiare o avvantaggiare un’attività imprenditoriale, o comunque in relazione ad essa.
Inoltre, il comma 1-bis, inserito a seguito dell’esame in sede referente, modificando l’art. 423-ter c.p., ha aggiunto quale pena accessoria alla condanna per il reato di incendio boschivo anche l’interdizione dai pubblici uffici e l’incapacità di contrarre con la pubblica amministrazione, salvo che per ottenere prestazioni di un pubblico servizio, per la durata di 5 anni.
Conseguentemente, il comma 1-ter, ugualmente aggiunto in sede referente, elimina il riferimento al reato di incendio boschivo dall’elenco dei reati (di cui all’art. 32-quater) per cui è prevista, in via generale, la pena accessoria dell’incapacità di contrarre con la PA.
L’art. 32-quater c.p. prevede l’elenco dei reati per quali alla condanna consegue l'incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione, di cui all’art. 32-ter c.p. Tale articolo prevede che l'incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione importa il divieto di concludere contratti con la pubblica amministrazione, salvo che per ottenere le prestazioni di un pubblico servizio (primo comma).
Il secondo comma prevede che essa non possa avere durata inferiore ad un anno né superiore a cinque anni.
Articolo 6-bis
(Disposizioni penali a tutela dell’orso bruno marsicano)
L’articolo 6-bis, inserito in sede referente, introduce una sanzione penale per chi abbatte, cattura o detiene orsi bruni marsicani.
Più in dettaglio, l’articolo in commento modifica l’articolo 30 della legge n. 157 del 1992, recante sanzioni penali a protezione della fauna selvatica, inserendovi al comma 1 la lettera c-bis), volta a punire le seguenti condotte poste in essere nei confronti di esemplari di orso bruno marsicano:
Ø abbattimento;
Ø cattura;
Ø detenzione.
Si tratta di un reato di natura contravvenzionale, che prevede congiuntamente:
· l’arresto da 6 mesi a 2 anni e
· l’ammenda da 4.000 a 10.000 euro.
Il citato articolo 30 stabilisce una serie di sanzioni penali di tipo contravvenzionale, punendo con l’arresto e/o l’ammenda di varia durata ed entità una serie di condotte, che vanno dall’esercizio della caccia in periodo di divieto all’uccellaggione, dall’abbattimento, cattura o detenzione di determinate specie animali al commercio delle stesse. Tali sanzioni si applicano non solo per la violazione delle disposizioni contenute nella legge n. 157 del 1992 (in materia di protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio), ma anche per la violazione di disposizioni contenute in leggi regionali, nonché alle corrispondenti fattispecie disciplinate nelle leggi provinciali delle province autonome di Trento e di Bolzano.
Le stesse sanzioni comminate per l'abbattimento degli animali si applicano altresì alle violazioni in materia di imbalsamazione e tassidermia.
Nei casi previsti da tale articolo non si applicano le disposizioni in materia di furto, furto aggravato e furti minori di cui agli artt. 624, 624-bis e 626 del codice penale.
La piccola popolazione di orsi bruni degli Appennini è stata caratterizzata da un prolungato periodo di isolamento (400-600 anni) che ha determinato una significativa differenziazione genetica e morfologica delle popolazioni di orsi dell’arco alpino del resto d’Europa. Pertanto la residua popolazione Appenninica di orsi bruni va considerata un’unità evolutiva e conservazionistica a sé stante.
Inoltre, la popolazione di orso bruno dell’Italia centrale, il cui areale è quasi completamente all’interno dei parchi nazionali più antichi d’Italia, rappresenta una delle specie più a rischio di estinzione d’Europa.
Per un ulteriore approfondimento si segnala il documento dell’ISPRA “Piano d’azione nazionale per la tutela dell’orso bruno marsicano”.
Si ricorda, inoltre, che sono all’esame della Commissione XIII (Agricoltura) alcune proposte di legge in materia di fauna carnivora e selvatica, tra le quali quella che ha ad oggetto il conferimento alle regioni e alle province autonome di Trento e Bolzano della facoltà di adottare, autonomamente, misure di deroga previste dalla direttiva europea 92/43/CEE in materia di conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche, al cui iter e dossier del Servizio studi si rinvia per un ulteriore approfondimento.
Articolo 6-ter
(Reati ambientali e responsabilità amministrativa degli enti derivante da reato)
L’articolo 6-ter, introdotto nel corso dell’esame in sede referente, reca modifiche:
- al D. Lgs. 152/2006 (cd. codice dell’ambiente), al fine di trasformare in reati contravvenzionali taluni illeciti amministrativi in materia di rifiuti;
- al D. Lgs. 231/2001, al fine di estendere i reati presupposto della responsabilità amministrativa degli enti derivante da reato ai delitti di turbata libertà degli incanti e in materia di strumenti di pagamento diversi dai contanti;
- al codice penale, al fine di inasprire il trattamento sanzionatorio in materia di delitti contro l’ambiente.
Nello specifico, il comma 1 dell’articolo 6-bis modifica il comma 1 dell’articolo 255 (Abbandono di rifiuti) del D. Lgs. 152/2006, prevedendo la trasformazione da illecito amministrativo a reato contravvenzionale la fattispecie di abbandono di rifiuti, punito con l’ammenda da 1.000 a 10.000 euro, aumentata fino al doppio se l’abbandono riguarda rifiuti pericolosi.
Pertanto, a seguito dell’intervento normativo si passa dalla sanzione amministrativa da 300 a 3.000 euro alla previsione della pena dell’ammenda da 1.000 a 10.000 euro. La disposizione in commento mantiene inalterata la fattispecie prevista dal vigente art. 255.
L’art. 255, comma 1, del D. Lgs. 152/2006 nel testo precedente alle citate modifiche - fatto salvo quanto disposto dall’art. 256, c. 2, in materia di responsabilità penale per abbandono di rifiuti dei responsabili di enti o imprese - punisce con la sanzione amministrativa da 300 a 3.000 euro chiunque abbandoni o depositi rifiuti ovvero li immetta nelle acque superficiali o sotterranee in violazione degli artt. 192, c. 1 e 2 (che vietano l’abbandono e il deposito incontrollati di rifiuti sul suolo e nel suolo e l'immissione di rifiuti di qualsiasi genere, allo stato solido o liquido, nelle acque superficiali e sotterranee), 226 c. 2 (che vieta l’immissione di taluni imballaggi nel normale circuito di raccolta dei rifiuti urbani), e 231, c. 1 e 2 (in materia di demolizione di veicoli fuori uso), del medesimo D. Lgs. La sanzione è aumentata fino al doppio se l’abbandono riguarda rifiuti pericolosi.
Il comma 2 apporta alcune modifiche al D. Lgs. 231/2001 sulla responsabilità amministrativa degli enti derivante da reato.
In particolare, la lett. a interviene sull’art. 24 (concernente la responsabilità amministrativa da reato per indebita percezione di erogazioni, truffa in danno dello Stato, di un ente pubblico o dell'Unione europea o per il conseguimento di erogazioni pubbliche, frode informatica in danno dello Stato o di un ente pubblico e frode nelle pubbliche forniture), al fine di inserire fra i reati presupposto della responsabilità amministrativa i delitti di turbata libertà degli incanti (art. 353 c.p.) e di turbata libertà del procedimento di scelta del contraente (art. 353-bis c.p.).
L’art. 24 del D. Lgs. 231/2001 nel testo precedente all’intervento normativo in esame prevede quali reati presupposto la malversazione di erogazioni pubbliche (art. 316-bis c.p.), indebita percezione di erogazioni pubbliche (art. 316-ter c.p.), frode nelle pubbliche forniture (art. 356 c.p.), truffa ai danni dello Stato, di un ente pubblico o dell’Unione europea (art. 640, secondo comma, numero 1), truffa per il conseguimento di erogazioni pubbliche e frode informatica ai danni dello Stato, di un ente pubblico o dell’Unione europea (art. 640-bis e 640-ter c.p.). La sanzione applicata all’ente è fino a 500 quote (da 200 a 600 quote se l'ente ha conseguito un profitto di rilevante entità o è derivato un danno di particolare gravità).
L’art. 353 c.p. (Turbata libertà degli incanti) punisce con la reclusione da 6 mesi a 5 anni e con la multa da 103 a 1.032 euro chiunque, con violenza o minaccia, o con doni, promesse, collusioni o altri mezzi fraudolenti, impedisce o turba una gara pubblica o ne allontana gli offerenti.
È prevista una circostanza aggravante (reclusione da 1 a 5 anni e multa da 516 a 2.065 euro) se il colpevole è persona preposta alla gara.
L’art. 353-bis c.p. (Turbata libertà del procedimento di scelta del contraente) punisce con la reclusione da 6 mesi a 5 anni e con la multa da 103 a 1.032 euro chiunque, con violenza o minaccia, o con doni, promesse, collusioni o altri mezzi fraudolenti turba il procedimento amministrativo al fine di condizionare le modalità di scelta del contraente da parte della pubblica amministrazione.
La lett. b, numero 1, interviene sull’art. 25.octies.1 (concernente la responsabilità amministrativa da reato per delitti in materia di strumenti di pagamento diversi dai contanti), inserendo un comma 1-bis volto a prevedere tra i reati presupposto il delitto di trasferimento fraudolento di valori (art. 512-bis c.p.), con sanzione amministrativa da 250 a 600 quote.
L’art. 25.octies.1 del D. Lgs. 231/2001 nel testo vigente prevede, al comma 1, quali reati presupposto l’indebito utilizzo e falsificazione di strumenti di pagamento diversi dai contanti (art. 493-ter c.p.), con sanzione amministrativa da 300 a 800 quote, la detenzione e diffusione di dispositivi diretti a commettere reati riguardanti strumenti di pagamento diversi dai contanti (art. 493-quater c.p.) e la frode informatica (art. 640-ter c.p.) aggravata dal trasferimento di denaro, con sanzione amministrativa fino a 500 quote.
Il comma 2 prevede quale reato presupposto ogni altro delitto contro la fede pubblica, contro il patrimonio o che comunque offende il patrimonio previsto dal codice penale, quando ha ad oggetto strumenti di pagamento diversi dai contanti, salvo che il fatto costituisca più grave illecito amministrativo, con sanzioni amministrative graduate a seconda della pena edittale prevista dal codice penale.
Il comma 3 prevede che, nei casi di condanna per i delitti di cui al comma 1 e 2 si applichino all’ente le sanzioni interditti dell'interdizione dall'esercizio dell’attività; della sospensione o della revoca delle autorizzazioni, licenze o concessioni; del divieto di contrattare con la pubblica amministrazione, dell’esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi; del il divieto di pubblicizzare beni o servizi (di cui all’art. 9 comma 2, del citato d.lgs. n. 231/2001).
Si evidenzia che l’applicazione di tali sanzioni interiettive è estesa dalla disposizione in commento anche alle nuove fattispecie in esame (v. infra)
La medesima lett. b), numeri 2 e 3, introduce conseguenti modifiche di coordinamento al comma 3 e alla rubrica del medesimo art. 25.octies.1.
Il comma 3 apporta alcune modifiche al codice penale.
La lett. a) interviene sull’art. 240-bis, primo comma, c.p. relativo ai reati che consentono, nel caso di condanna o patteggiamento, la confisca del denaro o dei beni di cui il condannato non possa giustificare la provenienza e di cui abbia la disponibilità in valore sproporzionato rispetto al proprio reddito (confisca in casi particolari), al fine di aggiungere ai reati che consentono tale confisca:
Ø l’inquinamento ambientale (art. 452-bis c.p.);
Ø la morte o lesioni come conseguenza del delitto di inquinamento ambientale (art. 452-ter c.p.);
Ø il traffico e abbandono di materiale ad alta radioattività (art. 452-sexies c.p.);
Ø le attività organizzate per il traffico illecito dei rifiuti 8art. 452-quaterdecies c.p.).
In base al testo vigente dell’art. 240-bis, primo comma, c.p. la confisca in casi particolari, nell’ambito dei delitti contro l’ambiente, è già prevista per i delitti di disastro ambientale (art. 452-quater c.p.), e di associazione a delinquere finalizzata alla commissione di delitti contro l’ambiente (art. 452-octies, primo comma, c.p.).
L’art. 452-bis c.p. (Inquinamento ambientale) punisce la reclusione da 2 a 6 anni e la multa da 10.000 a 100.000 chiunque abusivamente cagioni una compromissione o un deterioramento significativi e misurabili delle acque o dell’aria, di porzioni estese o significative di suolo o sottosuolo, di un ecosistema, della biodiversità anche agraria, della flora o della fauna.
L’art. 452-ter c.p. prevede, nel caso di morte o lesioni come conseguenza non voluta del delitto di inquinamento ambientale: la reclusione da 2 anni a 6 mesi a 7 anni nel caso di lesione che determini una malattia superiore a venti giorni; da 3 a 8 anni nel caso di lesione grave; da 4 a 9 anni nel caso di lesione gravissima; da 5 a 10 anni nel caso di morte. Sulla circostanza aggravante, vedi infra.
L’art. 452-sexies c.p. punisce il traffico e l’abbandono di materiale ad alta radioattività con la reclusione da 2 a 6 anni e con la multa da 10.000 a 50.000 euro. La pena è aumentata nel caso di pericolo di compromissione o deterioramento delle acque o dell’aria, di porzioni estese o significative di suolo o sottosuolo, di un ecosistema, della biodiversità anche agraria, della flora o della fauna. La pena è aumentata fino alla metà nel caso di pericolo per la vita o l’incolumità delle persone.
L’art. 452-quaterdecies c.p. punisce le attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti con la reclusione da 1 a 6 anni (da 3 a 8 anni nel caso di rifiuti ad alta radioattività).
La lett. b) modifica il secondo comma dell’art. 452-bis, in materia di circostanze aggravanti del delitto di inquinamento ambientale, al fine di:
· trasformare in circostanza aggravante a effetto speciale del delitto di disastro ambientale, con aumento della pena da un terzo alla metà, l’aver prodotto il disastro in un’area naturale protetta o sottoposta a vincolo paesaggistico, ambientale, storico, artistico o archeologico ovvero in danno di specie animali o vegetali protette.
La medesima fattispecie è attualmente prevista come circostanza aggravante a effetto comune, vale a dire con aumento della pena fino a un terzo.
· prevedere quale ulteriore circostanza aggravante a effetto speciale, con aumento della pena da un terzo a due terzi, il deterioramento, la compromissione o la distruzione di un habitat causati, nelle aree predette, dall’inquinamento.
Si tratta di un’aggravante introdotta ex novo dalla disposizione in commento.
La lett. c) interviene sull’art. 452-quater, terzo comma, c.p. al fine di trasformare in circostanza aggravante a effetto speciale del delitto di disastro ambientale, con aumento della pena da un terzo alla metà, l’aver prodotto il disastro in un’area naturale protetta o sottoposta a vincolo paesaggistico, ambientale, storico, artistico o archeologico ovvero in danno di specie animali o vegetali protette.
La medesima fattispecie è attualmente prevista come circostanza aggravante a effetto comune, vale a dire con aumento della pena fino a un terzo.
Conseguentemente all’introduzione dell’articolo in commento, nel corso dell’esame in sede referente è stata introdotta una modifica della rubrica del Capo IV del decreto-legge.
Articolo 7
(Destinazione della quota dell'otto per mille dell’IRPEF relativa alle scelte effettuate dai contribuenti a favore dello Stato senza l'indicazione della tipologia di intervento)
L’articolo 7 reca misure relative alla destinazione della quota dell’otto per mille dell'IRPEF attribuita alla diretta gestione statale, oggetto di ripartizione nell’anno 2023, riferita alle scelte non espresse dai contribuenti in sede di dichiarazione annuale dei redditi, prevedendo che essa sia utilizzata prioritariamente per finanziare interventi straordinari per il recupero dalle tossicodipendenze e dalle altre dipendenze patologiche (comma 1).
Il comma 2 reca disposizioni di dettaglio in merito ai parametri di valutazione per la selezione dei progetti, alla composizione della Commissione valutativa e di monitoraggio e alla quantificazione delle risorse da destinare al finanziamento dei progetti. In sede referente, sono stati aggiunti alla composizione delle Commissione due rappresentanti designati dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano.
Il comma 1 dell’articolo in esame dispone che la quota parte del gettito dell’otto per mille dell’IRPEF di diretta gestione statale, riferita a scelte non espresse dai contribuenti, oggetto di ripartizione nell’anno 2023, sia utilizzata prioritariamente per finanziare interventi straordinari per il recupero dalle tossicodipendenze e dalle altre dipendenze patologiche. La parte eventualmente rimanente continua ad essere ripartita in proporzione alle scelte espresse.
Il comma fissa il termine per la presentazione delle relative domande entro il 31 ottobre 2023.
Si ricorda, al riguardo, che l’articolo 46-bis, comma 4, del decreto-legge n. 124 del 2019 – integrando l’articolo 47, terzo comma, della legge n. 222 del 1985 – ha introdotto la possibilità di scelta diretta da parte del contribuente tra le cinque tipologie di intervento in sede di dichiarazione dei redditi, a decorrere dalla dichiarazione dei redditi per l'anno 2019.
Tale facoltà – che ha trovato applicazione per la prima volta nelle dichiarazioni dei redditi 2019, effettuate nel 2020 – consentirà l’assegnazione della quota statale dell’otto per mille IRPEF dell’annualità 2022, oggetto di ripartizione nell’anno 2023, alle cinque finalità di intervento direttamente da parte dei contribuenti.
Nel marzo 2023 si è proceduto all’ultimo riparto della quota dell’otto per mille IRPEF a diretta gestione statale dell’annualità 2021. Per un approfondimento sui DPCM del 21 aprile 2023 con i quali si è proceduto al riparto della predetta quota alle categorie di intervento “Assistenza ai rifugiati e ai minori stranieri non accompagnati”, “Calamità naturali”, “Conservazione dei beni culturali” e “Fame nel mondo”, si rinvia al dossier curato dal Servizio Studi della Camera dei deputati.
La disposizione in esame è da leggersi in combinato disposto con il successivo articolo 8 del decreto-legge in esame, il quale - attraverso modifiche agli artt. 47 e 48 della legge 20 maggio 1985, n. 222 (che disciplinano la quota dell’otto per mille Irpef di competenza statale) -aggiunge gli interventi straordinari di recupero dalle tossicodipendenze e dalle altre dipendenze patologiche tra le finalità di destinazione della quota dell’otto per mille dell'IRPEF attribuita alla diretta gestione statale, per le scelte effettuate dai contribuenti con riferimento alle dichiarazioni dei redditi presentate dall'anno 2023 (che saranno oggetto di ripartizione nel 2028).
Nel periodo di transizione, dall’anno 2024 fino all’anno 2027, tali interventi partecipano al riparto della quota dell’otto per mille dell’IRPEF a diretta gestione statale per la quale i contribuenti non hanno effettuato una scelta, sulla base di quanto stabilito annualmente con deliberazione del Consiglio dei ministri (cfr. la scheda di lettura dell’articolo 8).
Per il 2023, gli interventi in questione partecipano alla ripartizione della quota parte dell’otto per mille dell’IRPEF riferita a scelte non espresse dai contribuenti, secondo la disciplina dettata dall’articolo in esame,
Il comma 2 rinvia ad un successivo decreto del Segretario generale della Presidenza del Consiglio dei ministri, da adottarsi entro il 15 settembre 2023, l’individuazione:
- dei parametri di valutazione delle istanze riferite alla nuova tipologia di interventi “recupero dalle tossicodipendenze e dalle altre dipendenze patologiche”;
- le modalità di istituzione della Commissione valutativa e di monitoraggio, che dovrà valutare le richieste, composta da tre rappresentanti della Presidenza del Consiglio dei ministri, uno dei quali con funzioni di Presidente, da cinque rappresentanti del MEF e da cinque rappresentanti delle amministrazioni statali competenti per materia.
Nel corso dell’esame in sede referente, nella composizione della Commissione di valutazione sono stati aggiunti due rappresentanti designati dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano.
Ai componenti della Commissione non spettano compensi, gettoni di presenza, rimborsi di spesa o altri emolumenti comunque denominati.
Con successivo decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, da adottarsi entro il 30 novembre 2023, è individuata la quota da rendere disponibile per il finanziamento dei progetti attinenti agli interventi straordinari relativi al recupero dalle tossicodipendenze e dalle altre dipendenze patologiche.
La parte eventualmente rimanente continua ad essere ripartita, come già sopra ribadito, in proporzione alle scelte espresse.
Per approfondimenti sulla disciplina dell’otto per mille IRPEF di competenza dello Stato, si rinvia alla scheda di lettura del successivo articolo 8 e al relativo box in fondo alla scheda.
Articolo 8
(Modifiche agli articoli 47 e 48 della legge 20 maggio 1985, n. 222, in tema di destinazione della quota dell'otto per mille dell’imposta sul reddito delle persone fisiche)
L’articolo 8 reca modifiche agli artt. 47 e 48 della legge 20 maggio 1985, n. 222, in materia di ripartizione della quota dell’otto per mille dell'IRPEF di diretta gestione statale, prevedendo, in particolare:
- l’inserimento di una nuova finalità di destinazione della quota di risorse di competenza statale, relativa ad interventi straordinari per il recupero dalle tossicodipendenze e dalle altre dipendenze patologiche. Tale ulteriore finalità rientra nelle scelte effettuate dai contribuenti a partire dalle dichiarazioni dei redditi presentate dall'anno 2023 (che saranno oggetto di ripartizione nel 2028);
- che le risorse relative alla quota a diretta gestione statale per le quali i contribuenti non hanno effettuato una scelta vengano ripartite tra gli interventi di cui all’articolo 48 secondo finalità stabilite annualmente con deliberazione del Consiglio dei ministri o, in assenza, in proporzione alle scelte espresse. Dall’anno 2024 all’anno 2027, in via transitoria, la deliberazione del Consiglio dei ministri include tra gli interventi tra cui ripartire le risorse anche quelli relativi al recupero dalle tossicodipendenze e dalle altre dipendenze patologiche.
In particolare, il comma 1 apporta le seguenti modifiche alla legge n. 222 del 1985:
- la lettera a), modificando l'articolo 47, terzo comma, terzo periodo, dispone che le risorse relative alla quota a diretta gestione statale, per le quali i contribuenti non hanno effettuato una scelta tra le cinque categorie di interventi di cui all’articolo 48, sono ripartite tra gli interventi di cui al medesimo articolo 48 secondo le finalità stabilite annualmente con deliberazione del Consiglio dei ministri ovvero, in assenza di tale deliberazione, in proporzione alle scelte espresse.
Si ricorda, al riguardo, che l’articolo 46-bis, comma 4, del D.L. n. 124/2019 – integrando a sua volta l’articolo 47, terzo comma, della legge n. 222/1985 - ha introdotto la possibilità di scelta diretta da parte del contribuente tra le cinque tipologie di intervento in sede di dichiarazione dei redditi, a partire dalla dichiarazione dei redditi per l'anno 2019.
Tale facoltà – che ha trovato applicazione per la prima volta nelle dichiarazioni dei redditi 2019, effettuate nel 2020 - consentirà l’assegnazione della quota statale dell’otto per mille IRPEF dell’annualità 2022, oggetto di ripartizione nell’anno 2023, alle cinque finalità di intervento direttamente da parte dei contribuenti;
- la lettera b), con una modifica all’articolo 48, introduce una nuova categoria di interventi cui destinare la quota parte delle risorse dell’otto per mille di competenza dello Stato, relativi al recupero dalle tossicodipendenze e dalle altre dipendenze patologiche.
I commi 2 e 3 dispongono i termini per l’applicazione delle predette modifiche alla disciplina dell’otto per mille dell’IRPEF devoluta alla diretta gestione statale.
In particolare, il comma 2 dispone che la disposizione introdotta con la modifica dell’articolo 47 - che consente la ripartizione delle risorse della quota statale per le quali i contribuenti non hanno effettuato una scelta tra gli interventi di cui all’articolo 48 secondo le finalità stabilite annualmente con deliberazione del Consiglio dei ministri - produce effetti con riferimento alle risorse dell’otto per mille oggetto di ripartizione nell’anno 2023.
Sulla base di quanto disposto dal precedente articolo 7 del decreto in esame (alla cui scheda di lettura si rinvia), si osserva che tale quota di risorse oggetto di ripartizione nel 2023 deve essere utilizzata prioritariamente per finanziare interventi straordinari per il recupero dalle tossicodipendenze e dalle altre dipendenze patologiche (secondo le procedure previste dall’articolo 7).
Dall’anno 2024 all’anno 2027, tali interventi relativi al recupero dalle tossicodipendenze e da altre dipendenze patologiche sono inclusi tra quelli di cui alla deliberazione del Consiglio dei ministri, ai fini del riparto della quota non espressa.
Si tratta di una disposizione transitoria, in attesa che entri a regime la modifica apportata all’articolo 48, che fa rientrare tali interventi tra le finalità di destinazione della quota statale dell’otto per mille, oggetto di scelta diretta dei contribuenti. Tale modifica, in base a quanto disposto dal successivo comma 3, produce effetti con riferimento alle scelte che saranno effettuate dai contribuenti a partire dalle dichiarazioni dei redditi presentate dall’anno 2023 (che, in base alla normativa vigente, sarà oggetto di ripartizione nell’anno 2028[8]).
La disciplina dell’otto per mille IRPEF si fonda sulle disposizioni della legge 20 maggio 1985, n. 222, la quale ha stabilito che a decorrere dal 1990 una quota pari all'otto per mille del gettito dell’IRPEF – come determinata sulla base degli incassi relativi all’imposta sui redditi delle persone fisiche, risultanti dal rendiconto generale dello Stato - è destinata in parte, a scopi di interesse sociale o di carattere umanitario a diretta gestione statale e, in parte, a scopi di carattere religioso a diretta gestione della Chiesa cattolica o di altre confessioni religiose.
La scelta relativa all'effettiva destinazione viene effettuata dai contribuenti all'atto della presentazione della dichiarazione annuale dei redditi; in caso di scelte non espresse dai contribuenti, la destinazione viene stabilita in proporzione alle scelte espresse (articolo 47, terzo comma). La quota di pertinenza statale è iscritta nel bilancio dello Stato (cap. 2780 dello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze). L’articolo 48 della legge n. 222/1985 prevede che la quota dell’otto per mille di competenza dello Stato è utilizzata per interventi di carattere straordinario nei seguenti cinque settori:
§ fame nel mondo,
§ calamità naturali,
§ assistenza ai rifugiati ed ai minori stranieri non accompagnati;
§ conservazione dei beni culturali,
§ ristrutturazione, miglioramento, messa in sicurezza, adeguamento antisismico ed efficientamento energetico degli immobili adibiti all'istruzione scolastica di proprietà pubblica (Stato, enti territoriali).
§ L’articolo 8, comma 2, del decreto legge in esame aggiunge una nuova finalità di destinazione delle risorse della quota dell’otto per mille Irpef di competenza statale, relativa ad interventi straordinari per il recupero dalle tossicodipendenze e dalle altre dipendenze patologiche. Tale ulteriore finalità rientra nelle scelte effettuate dai contribuenti a partire dalle dichiarazioni dei redditi presentate dall'anno 2023 (che saranno oggetto di ripartizione nel 2028).
Le procedure per l’utilizzo della quota dell’otto per mille dell’IRPEF a diretta gestione statale sono disciplinati dal D.P.R. 10 marzo 1998, n. 76, come successivamente riformulato con il D.P.R. 26 aprile 2013, n. 82 e, più di recente, con il D.P.R. 17 novembre 2014, n. 172, che vi ha apportato le integrazioni atte a garantire l’utilizzo della quota dell’otto per mille IRPEF a diretta gestione statale per gli interventi relativi ad immobili scolastici, finalità quest’ultima introdotta dall’art. 1, comma 206, della legge n. 147/2013.
I soggetti che possono accedere alla ripartizione, previa apposita richiesta alla Presidenza del Consiglio, sono le pubbliche amministrazioni; le persone giuridiche e gli enti pubblici e privati. Sono escluse, dunque, le persone fisiche e i soggetti che operano per fine di lucro. Per gli interventi relativi ad immobili scolastici, i soggetti che possono accedere alla ripartizione sono: le amministrazioni statali, il Fondo edifici di culto, gli enti locali territoriali, proprietari di immobili adibiti all'istruzione scolastica.
Riguardo ai criteri di ripartizione, il citato D.P.R. prevede che la quota dell'otto per mille di diretta gestione statale sia ripartita, di regola, in quote uguali per le tipologie di interventi ammesse a contributo.
Per la quota destinata ai beni culturali è previsto un ulteriore criterio di riparto geografico, al fine di perseguire un'equa distribuzione territoriale delle risorse tra cinque aree geografiche espressamente indicate. Per gli interventi di conservazione dei beni culturali, si ricorda che il D.L. n. 8/2017, ha introdotto una deroga al suesposto criterio geografico di ripartizione per un periodo di dieci anni (a partire dalle somme derivanti dalle dichiarazioni dei redditi relative agli anni dal 2016 al 2025), stabilendone la destinazione esclusivamente agli interventi di ricostruzione e di restauro dei beni culturali danneggiati o distrutti dagli eventi sismici verificatisi a far data dal 24 agosto 2016.
Per gli interventi di ristrutturazione e messa in sicurezza degli immobili adibiti all’istruzione scolastica, l’articolo 1, comma 172, della legge n. 107/2015 (c.d. “La buona scuola”) ha assegnato al Ministro dell'istruzione la competenza al riparto delle risorse, da destinare agli interventi di edilizia scolastica individuati annualmente con decreto del Ministro dell’istruzione. Più di recente, l’articolo 46-bis del D.L. n. 124/2019 ha introdotto anche per tali interventi uno specifico criterio di riparto geografico delle risorse.
Qualora in sede di riparto, il Consiglio dei Ministri, su proposta del suo Presidente, intenda derogare al criterio di ripartizione in quote di pari importo – nel caso in cui si voglia concentrare le risorse per specifici interventi, per questioni di eccezionalità, necessità ed urgenza dei medesimi, ovvero nel caso in cui l'importo delle risorse a disposizione sia inferiore o uguale a 1 milione di euro - il Governo è tenuto a trasmettere alla Camere una relazione che dia conto delle ragioni per cui ha derogato ai criteri suddetti (art. 2-bis, co. 5, del D.P.R. n. 76).
Si rammenta, da ultimo, che l’art. 46-bis, comma 4, del D.L. n. 124/2019 - integrando l’articolo 47, terzo comma, della legge n. 222/1985 - ha introdotto la possibilità di scelta diretta da parte del contribuente tra le categorie di intervento in sede di dichiarazione dei redditi, a decorrere dalla dichiarazione dei redditi per l'anno 2019. Tale facoltà – che ha trovato applicazione nelle dichiarazioni dei redditi 2019, effettuate nel 2020 - consentirà l’assegnazione della quota statale dell’otto per mille IRPEF dell’annualità 2022, oggetto di ripartizione nell’anno 2023, alle cinque finalità di intervento direttamente da parte dei contribuenti.
Articolo 9
(Abolizione degli obblighi in materia di isolamento e autosorveglianza e modifica della disciplina del monitoraggio della situazione epidemiologica derivante dalla diffusione del virus SARS-CoV-2)
Il comma 1 dell’articolo 9 reca l’abolizione degli obblighi in materia di isolamento delle persone positive al SARS-COV-2 e di autosorveglianza dei contatti stretti di soggetti confermati positivi al medesimo virus. Viene inoltre esplicitamente soppressa la disciplina sanzionatoria concernente la violazione degli obblighi in materia di autosorveglianza.
Il successivo comma 2 rivede la disciplina sul monitoraggio della situazione epidemiologica derivante dal virus suddetto, prevedendo che la comunicazione dei relativi dati da parte delle regioni e delle province autonome avvenga non più con cadenza quotidiana, come già stabilito a livello legislativo, bensì secondo periodicità da individuarsi con provvedimento del Ministero della salute – Direzione generale della prevenzione sanitaria. Viene specificato che il Ministero della salute, anche sulla base dei dati ricevuti, verifica l'andamento della situazione epidemiologica. Si precisa, inoltre, che resta fermo il potere del Ministro della salute di emettere ordinanze di carattere contingibile e urgente, in materia di igiene e sanità pubblica, con efficacia estesa all'intero territorio nazionale o a parte di esso comprendente più regioni, ai fini dell'adozione delle misure eventualmente necessarie al contenimento e al contrasto della diffusione del virus SARS-CoV-2.
L’abolizione degli obblighi succitati in materia di isolamento e di autosorveglianza, disposta dal comma 1, lettera a) dell’articolo in esame, è da porre in relazione al mutato quadro epidemiologico[9] e all’evoluzione del quadro clinico dei casi di COVID-19.
Si ricorda che la misura dell’isolamento - prevista dall’articolo 10-ter, comma 1, del decreto-legge 22 aprile 2021, n. 52[10] e succ. mod., articolo abrogato dalla disposizione in esame - comportava il divieto di mobilità dalla propria abitazione o dimora alle persone risultate positive al SARS-CoV-2, fino all'accertamento della guarigione, salvo che per il ricovero in una struttura sanitaria o in altra struttura allo scopo destinata. La violazione di tale divieto costituiva un reato, sanzionato con l'arresto da 3 mesi a 18 mesi e con l'ammenda da euro 500 ad euro 5.000 (cfr, quanto al trattamento sanzionatorio, art. 13, comma 2-bis, del D.L. 52/2021, comma al quale l’articolo in esame non apporta modifiche). La definizione delle modalità attuative dell’isolamento era demandata a circolari del Ministero della salute[11].
Il regime dell’autosorveglianza[12] - previsto invece dal comma 2 dell’abrogato articolo 10-ter del D.L. 52/2021 - comportava l'obbligo di indossare, in determinati contesti, dispositivi di protezione delle vie respiratorie di tipo FFP2 fino al quinto giorno successivo alla data dell'ultimo contatto stretto con soggetti confermati positivi al SARS-CoV-2. La violazione di tale obbligo costituiva un illecito ammnistrativo, punito con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 400 a euro 1.000: tale trattamento era comminato dall’art. 13, comma 1, del D.L. 52/2021, comma modificato dalla lettera b) del comma 1 dell’articolo in esame nel senso di sopprimere la previsione della predetta sanzione amministrativa.
Ricapitolando, il comma 1 dell’articolo in commento, nell’abolire alla lettera a) gli istituti dell’isolamento e dell’autosorveglianza e gli obblighi connessi, alla lettera b) abroga in maniera esplicita la correlata disciplina sanzionatoria solo con riguardo all’autosorveglianza[13]. Si valuti l’opportunità di considerare tale profilo.
Quanto alla successione nel tempo di disposizioni in materia penale e di illeciti amministrativi, si ricorda che: nel settore penale, l’articolo 2 c.p. prevede, in estrema sintesi, la retroattività della legge posteriore più favorevole per il reo, sia pure con alcuni rilevanti limiti ed eccezioni[14]; nell’ambito degli illeciti amministrativi, l’articolo 1 della legge 24 novembre 1981, n. 689[15], secondo interpretazione giurisprudenziale, stabilisce un principio di irretroattività, anche con riferimento alla legge più mite eventualmente sopravvenuta. La relazione illustrativa allegata al provvedimento in esame non fornisce elementi riguardo all’intenzione del legislatore, relativamente al profilo dell’eventuale portata retroattiva delle abrogazioni in questione.
Secondo la Corte di Cassazione (v. Cass. civ., Sez. II, n. 16276 del 2022), l’indirizzo tradizionale della giurisprudenza di legittimità afferma che, in tema di sanzioni amministrative, i principi di cui alla Legge 689/1981, art. 1, comportano l’assoggettamento della condotta illecita alla legge del tempo del suo verificarsi, con conseguente inapplicabilità della disciplina posteriore più favorevole, sia che si tratti di illeciti amministrativi derivanti da depenalizzazione, sia che essi debbano considerarsi tali sin dall’origine, senza che possano trovare applicazione analogica, per la differenza qualitativa delle situazioni considerate, gli opposti principi di cui all’art. 2 c.p., commi secondo e terzo, i quali, recando deroga alla regola generale dell’irretroattività della legge, possono, al di fuori della materia penale, trovare applicazione solo nei limiti in cui siano espressamente previsti dal legislatore. La sentenza della Corte Costituzionale n. 193 del 2016 ha ritenuto il suddetto indirizzo non in contrasto con gli artt. 3 e 117, comma primo, Cost., quest’ultimo in relazione agli artt. 6 e 7 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. Riguardo all’art. 3 Cost., la Corte ha osservato che, in materia di sanzioni amministrative, non è dato rinvenire un vincolo costituzionale nel senso dell’applicazione in ogni caso della legge successiva più favorevole, rientrando nella discrezionalità del legislatore – nel rispetto del limite della ragionevolezza – modulare le proprie determinazioni secondo criteri di maggiore o minore rigore in base alle materie oggetto di disciplina. Riguardo all’art. 117, comma primo, Cost., è stato rilevato che non si rinviene nel quadro delle garanzie apprestato dalla Convenzione anzidetta, come interpretate dalla Corte europea di Strasburgo, l’affermazione di un vincolo di matrice convenzionale in ordine alla previsione generalizzata, da parte degli ordinamenti interni dei singoli Stati aderenti, del principio della retroattività della legge più favorevole, da trasporre nel sistema delle sanzioni amministrative. È stato altresì rilevato come la giurisprudenza di Strasburgo non abbia mai avuto ad oggetto il sistema delle sanzioni amministrative complessivamente considerato, bensì singole e specifiche discipline sanzionatorie, ed in particolare quelle che, pur qualificandosi come amministrative ai sensi dell’ordinamento interno, siano idonee ad acquisire caratteristiche “punitive” alla luce dell’ordinamento convenzionale.
Nella successiva sentenza n. 63 del 2019 la Corte costituzionale ha ritenuto “punitiva” una sanzione amministrativa pecuniaria “che può giungere, oggi, sino a cinque milioni di euro (a loro volta elevabili sino al triplo ovvero al maggior importo di dieci volte il profitto conseguito o le perdite evitate)”, sanzione reputata “di elevatissima carica afflittiva”[16] e quindi necessariamente assistita dalla garanzia della retroattività della successiva lex mitior.
I criteri individuati dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo per determinare il carattere sostanziale di una sanzione (cosiddetti criteri di Engel)[17] sono: la qualificazione giuridica operata dalla legislazione nazionale, che tuttavia costituisce unicamente il punto di partenza del percorso interpretativo; la natura dell’infrazione[18]; la severità della sanzione.
Il comma 2 dell’articolo in disamina reca modifiche alla disciplina relativa alla raccolta di dati per la sorveglianza integrata del SarS-CoV-2 e per il monitoraggio della situazione epidemiologica, di cui all’articolo 13 del D.L. 24 marzo 2022, n. 24[19]. In particolare, è rivista la parte di disciplina concernente il monitoraggio della situazione epidemiologica, “tenuto conto delle mutate condizioni epidemiologiche” (così la relazione illustrativa), attraverso modifiche testuali al comma 7 del citato articolo 13 del D.L. 24/2022. Il comma in questione, nel testo previgente, stabiliva che, per garantire lo svolgimento in sicurezza delle attività economiche produttive e sociali, dovevano essere monitorati con cadenza giornaliera, da parte delle regioni e delle province autonome, l’andamento della situazione epidemiologica nei propri territori e, in relazione a tale andamento, le condizioni di adeguatezza del sistema sanitario regionale. Ai medesimi fini, sempre con cadenza quotidiana, le regioni e le province autonome dovevano comunicare al Ministero della salute e all'Istituto superiore di sanità - secondo criteri indicati con specifica circolare del Ministero della salute[20] – i dati raccolti in esito al monitoraggio.
In virtù delle modifiche introdotte dal comma in esame, fermo restando il monitoraggio quotidiano, le comunicazioni dei dati da parte delle regioni e delle province autonome devono avvenire non più con cadenza quotidiana, bensì secondo una periodicità da stabilirsi con provvedimento del Ministero della salute – Direzione generale della prevenzione sanitaria. Nel testo novellato si specifica, inoltre, che il Ministero della salute, “anche” sulla base dei dati ricevuti, verifica l'andamento della situazione epidemiologica[21]. Si precisa, altresì, che resta fermo il potere del Ministro della salute di emettere ordinanze di carattere contingibile e urgente, in materia di igiene e sanità pubblica, con efficacia estesa all'intero territorio nazionale o a parte di esso comprendente più regioni, ai fini dell'adozione delle misure eventualmente necessarie al contenimento e al contrasto della diffusione del virus SARS-CoV-2. Il testo richiama, in proposito, quanto previsto dall'articolo 32, comma 1[22], della legge 23 dicembre 1978, n. 833 (Istituzione del servizio sanitario nazionale). La relazione illustrativa allegata al provvedimento in esame non si sofferma sulla ratio di tale disposizione a carattere confermativo.
Quanto alla nuova cadenza delle predette comunicazioni da parte di regioni e province autonome, con circolare del Ministero della salute - Direzione generale della prevenzione sanitaria[23] è stato stabilito che, “in prima applicazione”, la periodicità della trasmissione dei dati al Ministero della salute ed all’Istituto superiore di sanità “diviene settimanale con decorrenza dal giorno 11-08-2023”.
Articolo 10, commi 1-3 e 5-bis
(Riordino delle aree funzionali e riorganizzazione su base dipartimentale del Ministero della cultura)
I commi 1, 2 e 3 dell’art. 10 modificano il D.LGS. 300/1999 operando in due direzioni: da un lato, riordinano e aggiornano le aree funzionali del Ministero della cultura, senza mutarne le attribuzioni; dall’altro lato, modificano il modello organizzativo, attualmente incentrato sulle direzioni generali, coordinate da un segretario generale, optando per il modello articolato in dipartimenti (che non potranno essere più di 4). Il procedimento di attuazione della riorganizzazione avverrà con DPCM da adottarsi entro il 31 dicembre 2023. La cessazione dei precedenti incarichi avverrà nel momento in cui subentreranno i nuovi dirigenti.
Il comma 5-bis, introdotto in sede di conversione alla Camera, amplia, a livello di requisiti, la platea dei soggetti esperti cui possono essere conferiti gli incarichi, di livello dirigenziale, relativi ai poli museali e agli istituti della cultura statali di rilevante interesse nazionale.
Si ricorda, in via preliminare, che il gruppo di disposizioni in commento ricalca nella sostanza un emendamento governativo già presentato, e poi ritirato, in sede di conversione del D.L. 75/2023, successivamente trasfuso nell’ordine del giorno 9/1239-A/61, accolto dal Governo presso la Camera nell’ambito del procedimento di conversione del medesimo decreto, con l’impegno ad «adottare con la massima urgenza, entro il mese di settembre, un provvedimento normativo volto a prevedere che il Ministero della cultura si articoli in non più di cinque dipartimenti con un numero di posizioni di livello dirigenziale generale non superiore a trentadue, ivi inclusi i capi dei dipartimenti medesimi».
Prendendo le mosse dal comma 1, riguardante il riordino delle aree funzionali (elencate dall’art. 53 del D.LGS. 300/1999), nella relazione illustrativa all’emendamento presentato dal Governo da cui la disposizione in commento trae origine viene evidenziato come la modifica lasci invariato il quadro delle complessive attribuzioni spettanti al Ministero (stabilite dall’art. 52 del medesimo D.LGS. 300/1999), perseguendo uno sforzo di aggiornamento e razionalizzazione in vista della parallela trasformazione sul modello dipartimentale.
Per completezza, quanto alle attribuzioni (cioè l’insieme complessivo delle competenze attribuite al dicastero nell’ambito dell’apparato amministrativo statale) si ricorda che esse sono definite ex art. 52 del D.LGS. 300/1999, ai sensi del quale il ministero della cultura esercita, anche in base alle norme del decreto legislativo 20 ottobre 1998, n. 368, e del testo unico approvato con decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490, le attribuzioni spettanti allo Stato in materia di beni culturali, beni paesaggistici, spettacolo, cinema e audiovisivo, eccettuate quelle attribuite, anche dal presente decreto, ad altri ministeri o ad agenzie, e fatte in ogni caso salve, ai sensi e per gli effetti degli articoli 1, comma 2, e 3, comma 1, lettere a) e b), della legge 15 marzo 1997, n. 59, le funzioni conferite dalla vigente legislazione alle regioni ed agli enti locali. Al ministero sono altresì trasferite, con le inerenti risorse, le funzioni esercitate dal dipartimento per l'informazione e l'editoria, istituito presso la presidenza del consiglio dei ministri, in materia di diritto d'autore e disciplina della proprietà letteraria e promozione delle attività culturali.
Fra le modifiche apportate alle aree funzionali si segnalano fra l’altro, giusta la lettera del testo: la distinta indicazione, rispettivamente, della tutela e della valorizzazione dei beni culturali e paesaggistici; la menzione esplicita degli archivi, del diritto d’autore e delle imprese culturali e creative; il riferimento alla vigilanza sull'Istituto per il credito sportivo e culturale Spa, soppresso nel testo originario, è stato re-inserito nel procedimento di conversione.
Per una più completa disamina, si mettono qui di seguito a confronto il testo vigente e il testo modificato:
Testo vigente Art. 53 – Aree funzionali 1. Il ministero, in particolare, svolge le funzioni di spettanza statale in materia di tutela, gestione e valorizzazione dei beni culturali e dei beni ambientali; promozione delle attività culturali; promozione dello spettacolo (attività teatrali, musicali, cinematografiche, di danza, circensi, dello spettacolo viaggiante), anche tramite la promozione delle produzioni cinematografiche, radiotelevisive e multimediali; promozione del libro e sviluppo dei servizi bibliografici e bibliotecari nazionali; promozione della cultura urbanistica e architettonica e partecipazione alla progettazione di opere destinate ad attività culturali; studio, ricerca, innovazione ed alta formazione nelle materie di competenza, anche mediante sostegno all'attività degli istituti culturali; vigilanza sul CONI e sull'Istituto del credito sportivo. |
Testo modificato Art. 53 – Aree funzionali 1. Il Ministero, in particolare, svolge le funzioni e i compiti di spettanza dello Stato nelle seguenti aree funzionali: ???a) tutela dei beni culturali e paesaggistici; ???b) gestione e valorizzazione del patrimonio culturale, degli istituti e dei luoghi della cultura; ???c) promozione dello spettacolo, delle attività cinematografiche, teatrali, musicali, di danza, circensi, dello spettacolo viaggiante; promozione delle produzioni cinematografiche, audiovisive, radiotelevisive e multimediali; ???d) promozione delle attività culturali; sostegno all’attività di associazioni, fondazioni, accademie e altre istituzioni di cultura; e) studio, ricerca, innovazione ed alta formazione nelle materie di competenza; f) promozione del libro e sviluppo dei servizi bibliografici e bibliotecari nazionali; tutela del patrimonio bibliografico; gestione e valorizzazione delle biblioteche nazionali; g) tutela del patrimonio archivistico; gestione e valorizzazione degli archivi statali; h) diritto d'autore e disciplina della proprietà letteraria; i) promozione delle imprese culturali e creative, della creatività contemporanea, della cultura urbanistica e architettonica e partecipazione alla progettazione di opere destinate ad attività culturali; l) vigilanza sull' Istituto per il credito sportivo e culturale Spa, per quanto di competenza. |
Per quanto attiene, invece, al passaggio dal modello organizzativo incentrato sulle direzioni generali, coordinate dal segretario generale, a quello articolato in dipartimenti, la disposizione, modificando l’art. 54 del D.LGS. 300/1999, prevede che questi debbano riferirsi alle aree funzionali di cui all’art. 53 (contestualmente novellato) e non possano essere più di 4; si prevede, inoltre, che il numero delle posizioni di livello dirigenziale generale non possa essere superiore a 32, ivi inclusi i capi dei dipartimenti.
L’organizzazione dei Ministeri, fra modello dipartimentale e modello incentrato sulle direzioni generali: focus
A livello d’inquadramento normativo, si ricorda che ex art. 3 del D.LGS. 300/1999 nei Ministeri costituiscono strutture di primo livello, alternativamente:
a) i dipartimenti;
b) le direzioni generali.
Nei Ministeri in cui le strutture di primo livello sono costituite da dipartimenti non può essere istituita la figura del segretario generale.
Nel momento in cui si licenzia il presente dossier, ai sensi del menzionato D.LGS. 300/1999 risultano articolati in dipartimenti: il Ministero dell’interno; il Ministero della giustizia; il Ministero dell’economia e delle finanze; il Ministero dell'agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste; Ministero dell'ambiente e della sicurezza energetica; il Ministero dell’istruzione e del merito; il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti; il Ministero della salute; a essi vanno aggiunti poi il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, il Ministero delle imprese e del made in Italy che di recente hanno adottano il modello dipartimentale in forza del decreto-legge 75/2023, come modificato in sede di conversione.
Si articolano invece in direzioni generali: il Ministero degli esteri; il Ministero della difesa; il Ministero dell’università e della ricerca; il Ministero del turismo.
Con riferimento al Ministero della cultura, la struttura incentrata sulle direzioni generali e sulla presenza di un segretario generale era prevista nel testo originario dell’art. 54 del D.LGS. 300/1999; fra il 2004 e il 2007 (in virtù di quanto previsto prima dall’art. 1 del D.LGS. 3/2004 e poi dall’art. 1, comma 19-ter, del D.L. 181/2006) si è optato per il modello dipartimentale; l’art. 2, comma 94, del D.L. 262/2006 ha di nuovo ricondotto l’organizzazione ministeriale, fino a oggi, sul modello delle direzioni generali con presenza del segretario generale.
Con riferimento al limite massimo delle posizioni di livello dirigenziale generale, la relazione illustrativa presentata dal Governo sottolinea come l’intervento non importi modifiche rispetto alla situazione esistente: alla soglia di 27 prevista dal testo vigente dell’art. 54 devono infatti aggiungersi le 5 previste dal D.L. 44/2023. Cfr. per approfondimenti al riguardo l’apposito dossier.
Anche qui, per comodità di lettura, si comparano il testo vigente e quello modificato:
Testo vigente |
Testo modificato |
Art. 54 – Ordinamento 1. Il Ministero si articola in uffici dirigenziali generali centrali e periferici, coordinati da un segretario generale, e in non più di due uffici dirigenziali generali presso il Gabinetto del Ministro. Il numero degli uffici dirigenziali generali, incluso il segretario generale, non può essere superiore a ventisette. 2. L’individuazione e l’ordinamento degli uffici del Ministero sono stabiliti ai sensi dell’articolo 4. 2-bis. A seguito del verificarsi di eventi calamitosi di cui all' articolo 2, comma 1, lettera c), della legge 24 febbraio 1992, n. 225, per i quali sia vigente o sia stato deliberato nei dieci anni antecedenti lo stato d'emergenza, il Ministro, con proprio decreto, può, in via temporanea e comunque per un periodo non superiore a cinque anni, riorganizzare gli uffici del Ministero esistenti nelle aree colpite dall'evento calamitoso, ferma rimanendo la dotazione organica complessiva e senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.
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Art. 54 – Ordinamento 1. Il Ministero si articola in dipartimenti, disciplinati ai sensi degli articoli 4 e 5. Il numero dei dipartimenti non può essere superiore a cinque, in riferimento alle aree funzionali di cui all'articolo 53, e il numero delle posizioni di livello dirigenziale generale non può essere superiore a trentadue, ivi inclusi i capi dei dipartimenti. 2. Identico 2-bis. Identico |
Il comma 2 ha riguardo ai tempi di attuazione della riorganizzazione e alla disciplina intertemporale. Nel dettaglio, si prevede che:
a) i regolamenti di organizzazione dovranno essere adottati entro il 31 dicembre 2023, mediante le procedure di cui all’art. 13 del D.L. 173/2022.
La procedura in questione prefigura un iter di riorganizzazione dei ministeri che prende corpo in un DPCM, in deroga al procedimento ordinario stabilito dall’art. 17, comma 4-bis, della L. 400/1988 (nonché dall’art. 4 del D.lgs. 300/1999) che prevede invece regolamenti governativi di delegificazione, adottati con DPR.
In particolare, per quanto concerne il procedimento di adozione del D.P.C.M., la disposizione in esame richiede la proposta del Ministro competente di concerto con il Ministro per la pubblica amministrazione e con il Ministro dell’economia e delle finanze, nonché la delibera da parte del Consiglio dei ministri. La disposizione esplicita altresì che sui decreti di organizzazione è richiesto il parere del Consiglio di Stato, che pertanto risulta obbligatorio, come nel caso dei regolamenti adottati con D.P.R. ai sensi dell'articolo 17, comma 4-bis, della legge 23 agosto 1988, n. 400. Ancorché non richiamato esplicitamente, si ricorda che sul D.P.C.M. è previsto il controllo preventivo di legittimità della Corte dei Conti in virtù della norma generale che lo estende a tutti i provvedimenti emanati a seguito di deliberazione del Consiglio dei Ministri (art. 3, co. 1, L. n. 20/1994). Rispetto alla procedura prevista per i D.P.R. di organizzazione dei Ministeri, di cui al citato comma 4-bis, per i D.P.C.M. in questione non è previsto il parere delle Commissioni parlamentari.
Si evidenzia, a margine, che l’art. 13 del D.L. 173/2022, così come novellato dal D.L. 75/2023, prevede in via generale l’utilizzo della procedura in questione fino al 30 ottobre 2023; la disposizione in commento introduce una deroga speciale sotto il profilo temporale, prevedendo – come detto – al 31 dicembre 2023 il termine per l’adozione dei regolamenti di organizzazione del Ministero della cultura.
Per approfondimenti, cfr. il dossier predisposto dal Servizio studi.
b) nelle more, continua ad applicarsi il regolamento di cui al DPCM 2 dicembre 2019, n. 169, e dunque l’attuale sistema strutturato sulle direzioni generali;
c) gli incarichi dirigenziali generali e non generali in corso decadono (o meglio, cessano) con la conclusione delle procedure di conferimento dei nuovi incarichi ai sensi dell'articolo 19 del D.LGS. 165/2001;
d) con una clausola di salvaguardia/deroga, è comunque previsto che sono in ogni caso fatte salve le funzioni delle strutture preposte all’attuazione degli interventi del PNRR di cui all’art. 1, comma 1, del D.L. 13/2023 (cioè delle strutture di livello dirigenziale generale e delle strutture di missione ad hoc: cfr. per approfondimenti l’apposito dossier), nonché della Soprintendenza speciale per il PNRR, di cui all’art. 29 del D.L. 77/2021 (anche qui per approfondimenti cfr. l’apposito dossier).
Infine, il comma 3 concerne le coperture della riorganizzazione. Ai relativi oneri, pari a 171.460 euro annui a decorrere dall'anno 2024, si provvede in accordo al testo mediante corrispondente riduzione delle proiezioni dello stanziamento del fondo speciale di parte corrente iscritto, ai fini del bilancio triennale 2023-2025, nell'ambito del programma «Fondi di riserva e speciali» della missione «Fondi da ripartire» dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2023, alte scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al Ministero della cultura.
Nella relazione tecnica si spiega che tale quantificazione è «pari alla differenza, moltiplicata per le tre posizioni apicali aggiuntive – a invarianza del numero complessivo di posizioni dirigenziali generali – tra la retribuzione di un direttore generale di prima posizione retributiva e la retribuzione prevista per il Segretario generale, attualmente unica figura apicale del Ministero della cultura […] la retribuzione massima prevista per un direttore generale di prima posizione retributiva del Ministero della cultura ammonta complessivamente a 270.786,53 euro lordo stato, mentre la retribuzione massima prevista per il Segretario generale […] ammonta complessivamente a euro 327.938,99 lordo stato. Pertanto, per ogni posizione apicale aggiuntiva la differenza massima è pari a 57.152,46».
Alla relazione tecnica è acclusa altresì una tabella che si riporta in calce per comodità di lettura.
Ministero della cultura |
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Dirigenti I Fascia
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57.892,87 |
37.593,20 |
86.127,17 |
181.613,24 |
69.703,16 |
251.316,40 |
48.449,11 |
15.842,86 |
315.608,37 |
11.930,00 |
400,62 |
327.938,99 |
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57.892,87 |
37.593,20 |
61.815,00 |
157.301,07 |
60.372,15 |
217.673,22 |
32.301,71 |
10.562,66 |
260.537,59 |
9.848,32 |
400,62 |
270.786,53 |
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Differenza singola posizione |
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Totale maggiori oneri per 3 posizioni apicali aggiuntive |
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In sede di conversione è stato introdotto il comma 555 $$$ che novella l’art. 14 del D.L. 83/2014, sostituendo il secondo periodo del comma 2-bis. La disposizione amplia la platea dei soggetti cui possono essere conferiti gli incarichi, di livello dirigenziale, relativi ai poli museali e agli istituti della cultura statali di rilevante interesse nazionale.
Si ricorda che l’art. 2 del medesimo art. 14, nell’ambito di un complesso di disposizioni riorganizzative dell’allora MIBACT, che con decreto di questo, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e con il Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, i poli museali, gli istituti e luoghi della cultura statali e gli uffici competenti su complessi di beni distinti da eccezionale valore archeologico, storico, artistico o architettonico, possono essere trasformati in soprintendenze dotate di autonomia scientifica, finanziaria, contabile e organizzativa, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica e nel rispetto delle dotazioni organiche. È successivamente intervenuto, in sede attuativa, il DM 9 aprile 2016, recante «Disposizioni in materia di aree e parchi archeologici e istituti e luoghi della cultura di rilevante interesse nazionale».
Le istituzioni in parola, dotate di autonomia speciale, sono ora menzionate nel DPCM 2 dicembre 2019, n. 169, all’art. 33, comma 3.
Per approfondimenti più generali sull’art. 14, comma 2-bis, cfr. l’apposita scheda.
Essa ora viene a comprendere non più solo i soggetti dotati «di particolare e comprovata qualificazione professionale in materia di tutela e valorizzazione dei beni culturali e in possesso di una documentata esperienza di elevato livello nella gestione di istituti e luoghi della cultura» bensì anche i soggetti esperti nella gestione e valorizzazione del patrimonio culturale, nella gestione di istituti e luoghi della cultura o nella gestione di strutture, enti, organismi pubblici e privati, nonché gli esperti di riconosciuta fama nelle materie afferenti allo specifico istituto o luogo della cultura o in materie attinenti alla gestione del patrimonio culturale. La disposizione, che come in precedenza consente il conferimento in deroga anche all’art. 19, comma 6, fa salvo, oltre all’osservanza delle dotazioni finanziarie vigenti, anche quanto previsto dall’art. 22, comma 7, del D.L. 50/2017, ai sensi del quale gli incarichi di direttore di istituti e luoghi della cultura conferiti a seguito delle procedure di selezione pubblica internazionale di cui all'articolo 14, comma 2-bis, del D.L. 83/2014, possono essere rinnovati una sola volta, con decisione motivata sulla base di una valutazione positiva dei risultati ottenuti, per ulteriori quattro anni.
Testo vigente |
Testo modificato |
2-bis. Al fine di adeguare l'Italia agli standard internazionali in materia di musei e di migliorare la promozione dello sviluppo della cultura, anche sotto il profilo dell'innovazione tecnologica e digitale, con il regolamento di cui al comma 3 sono individuati, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica e nel rispetto delle dotazioni organiche definite in attuazione del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, i poli museali e gli istituti della cultura statali di rilevante interesse nazionale che costituiscono uffici di livello dirigenziale. I relativi incarichi possono essere conferiti, con procedure di selezione pubblica, per una durata da tre a cinque anni, a persone di particolare e comprovata qualificazione professionale in materia di tutela e valorizzazione dei beni culturali e in possesso di una documentata esperienza di elevato livello nella gestione di istituti e luoghi della cultura, anche in deroga ai contingenti di cui all'articolo 19, comma 6, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, e comunque nei limiti delle dotazioni finanziarie destinate a legislazione vigente al personale dirigenziale del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo. |
2-bis. Al fine di adeguare l'Italia agli standard internazionali in materia di musei e di migliorare la promozione dello sviluppo della cultura, anche sotto il profilo dell'innovazione tecnologica e digitale, con il regolamento di cui al comma 3 sono individuati, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica e nel rispetto delle dotazioni organiche definite in attuazione del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, i poli museali e gli istituti della cultura statali di rilevante interesse nazionale che costituiscono uffici di livello dirigenziale. I relativi incarichi possono essere conferiti, con procedure di selezione pubblica, per una durata da tre a cinque anni, a persone di particolare e comprovata qualificazione professionale, con documentata esperienza di elevato livello nella gestione e valorizzazione del patrimonio culturale, nella gestione di istituti e luoghi della cultura o nella gestione di strutture, enti, organismi pubblici e privati, nonché tra esperti di riconosciuta fama nelle materie afferenti allo specifico istituto o luogo della cultura o in materie attinenti alla gestione del patrimonio culturale, anche in deroga ai contingenti di cui all'articolo 19, comma 6, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, e comunque nei limiti delle dotazioni finanziarie destinate a legislazione vigente al personale dirigenziale del Ministero della cultura. Resta fermo quanto previsto dall’articolo 22, comma 7, del decreto legge 24 aprile 2017, n. 50 convertito, con modificazioni, nella legge 21 giugno 2017, n. 96. |
Articolo 10, comma 4
(Modifiche alla disciplina del riparto del contributo per le celebrazioni dell'ottavo centenario della morte di San Francesco d'Assisi)
Il comma 4 dell’art. 10 modifica la L. 140 del 2022 (recante «Disposizioni per la celebrazione dell'ottavo centenario della morte di San Francesco d'Assisi») sopprimendone l’art. 2, comma 3. Per effetto della modifica, viene meno la previsione che rinvia a un DPCM per stabilire i criteri di assegnazione e riparto annuale del contributo economico disposto dalla legge medesima.
Si ricorda che la L. 140/2022, novellata dalla disposizione in commento, si compone di cinque articoli ed è volta a celebrare la ricorrenza, nell'anno 2026, dell'ottavo centenario della morte di San Francesco d'Assisi (articolo 1). A tal fine istituisce il Comitato nazionale per la richiamata celebrazione, cui è attribuito un contributo complessivo di 4.510.000 euro per il periodo compreso fra il 2022 e il 2028 (articoli 2 e 5). Al Comitato, di cui si disciplinano composizione e funzionamento (articolo 3), è affidato il compito elaborare un programma culturale relativo alla vita, all'opera e ai luoghi legati alla figura di San Francesco, con l'obiettivo di favorire la diffusione della conoscenza del pensiero, dell'opera, della cultura e dell'eredità del Santo (articolo 4).
Per approfondimenti, cfr. l’apposito dossier predisposto dal Servizio studi.
In particolare, l’art. 2 prevede, al comma 1, l'istituzione, per le richiamate finalità, del Comitato nazionale per la celebrazione dell'ottavo centenario della morte di San Francesco d'Assisi. Ad esso è assegnato un contributo complessivo di 4.510.000 euro per il periodo compreso fra il 2022 e il 2028. Il comma 2 reca le autorizzazioni di spesa per ciascuno degli anni dal 2022 al 2028. Nello specifico, esse sono pari a 200.000 euro per l'anno 2022, 500.000 euro per l'anno 2023, 500.000 euro per l'anno 2024, 1 milione di euro per l'anno 2025, 2 milioni di euro per l'anno 2026, 300.000 euro per l'anno 2027 e 10.000 euro per l'anno 2028.
Il comma 3 demanda l'individuazione dei criteri di assegnazione e di ripartizione annuale del richiamato contributo - da effettuare nei limiti delle risorse autorizzate per ciascun anno e in ragione delle esigenze connesse al programma culturale (di cui all'articolo 4, comma 2) - ad un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri. Tale decreto è adottato su proposta del Ministro della cultura di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e con il Ministro del turismo, sentita la Conferenza unificata (di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281).
Tale comma 3 viene soppresso dall’art. 10, comma 4, del D.L. 105/2023 qui in commento: per effetto della modifica, dunque, non è più previsto che sia un DPCM a stabilire i criteri di assegnazione e riparto annuale del contributo.
Il comma 4 stabilisce, infine, che al Comitato nazionale possono altresì essere destinati contributi di enti pubblici e privati, lasciti, donazioni e liberalità di ogni altro tipo.
Articolo 10, comma 5
(Proroga dell’incremento del costo dei biglietti d’ingresso nei luoghi e istituti della cultura)
Il comma 5 dell’art. 10 modifica l’art. 14, comma 1, del D.L. 61/2023, prorogando di 3 mesi (dal 15 settembre al 15 dicembre 2023) il termine ultimo di efficacia dell’incremento di 1 euro del costo dei biglietti di ingresso negli istituti e luoghi della cultura di appartenenza statale, al fine di finanziare e avviare gli interventi di tutela e ricostruzione del patrimonio culturale, pubblico e privato, inclusi i musei, danneggiato in conseguenza degli eventi alluvionali.
A livello d’inquadramento normativo, si ricorda che l’art. 14, comma 1, del D.L. 61/2023 ha incrementato di 1 euro, dal 15 giugno 2023 al 15 settembre 2023, il costo dei biglietti di ingresso negli istituti e luoghi della cultura di appartenenza statale, al fine di finanziare e avviare gli interventi di tutela e ricostruzione del patrimonio culturale, pubblico e privato, inclusi i musei, danneggiato in conseguenza degli eventi alluvionali verificatisi a partire dal 1° maggio 2023, per i quali è stato dichiarato lo stato di emergenza[24].
La disposizione, per le strutture interessate dall’incremento, rinvia espressamente all’art. 101 del Codice dei beni culturali e del paesaggio (D.LGS. 42/2004).
Tale disposizione definisce quali istituti e luoghi della cultura i musei, le biblioteche e gli archivi, le aree e i parchi archeologici, i complessi monumentali. Si intende per: a) «museo», una struttura permanente che acquisisce, cataloga, conserva, ordina ed espone beni culturali per finalità di educazione e di studio; b) «biblioteca», una struttura permanente che raccoglie, cataloga e conserva un insieme organizzato di libri, materiali e informazioni, comunque editi o pubblicati su qualunque supporto, e ne assicura la consultazione al fine di promuovere la lettura e lo studio; c) «archivio», una struttura permanente che raccoglie, inventaria e conserva documenti originali di interesse storico e ne assicura la consultazione per finalità di studio e di ricerca; d) «area archeologica», un sito caratterizzato dalla presenza di resti di natura fossile o di manufatti o strutture preistorici o di età antica; e) «parco archeologico», un ambito territoriale caratterizzato da importanti evidenze archeologiche e dalla compresenza di valori storici, paesaggistici o ambientali, attrezzato come museo all'aperto; f) «complesso monumentale», un insieme formato da una pluralità di fabbricati edificati anche in epoche diverse, che con il tempo hanno acquisito, come insieme, una autonoma rilevanza artistica, storica o etnoantropologica. Gli istituti ed i luoghi della cultura, come sopra definiti, che appartengono a soggetti pubblici sono destinati alla pubblica fruizione ed espletano un servizio pubblico. Le strutture espositive e di consultazione nonché i luoghi della cultura sopra indicati che appartengono a soggetti privati e sono aperti al pubblico espletano un servizio privato di utilità sociale.
Come anticipato, per effetto della novella oggi in commento apportata dall’10, comma 5, del D.L. 105/2023, il termine ultimo di efficacia dell’incremento è prorogato di 3 mesi, fino al 15 dicembre 2023. La relazione tecnica della novella richiama la relazione tecnica già presentata a corredo del D.L. 61/2023, la quale, basandosi su dati dell’anno 2022, prevedeva d’introitare, nel periodo di riferimento di 3 mesi, quale maggiorazione, circa 1,4 mln di euro.
Per completezza, si rammenta che il comma 2 dell’art. 14 ha istituito, nello stato di previsione del Ministero della cultura, un apposito Fondo destinato a: interventi di tutela e ricostruzione del patrimonio culturale, pubblico e privato, inclusi i musei, danneggiato in conseguenza degli eventi alluvionali sopra indicati; attività di supporto tecnico e amministrativo-contabile da attuare, nei territori interessati dagli stessi eventi alluvionali, anche attraverso la società in house del Ministero della cultura «Ales – Arte Lavoro e Servizi S.p.A.»; sostegno ai settori dello spettacolo dal vivo e delle attività delle sale cinematografiche nei territori interessati dagli eventi alluvionali.
Il comma 3 ha disposto la riassegnazione, con appositi decreti del Ministero dell’economia e delle finanze, della maggiorazione prevista dal comma 1, previo versamento all’entrata del bilancio dello Stato, al Fondo di cui al comma 2. Esso autorizza quindi il Ministro dell’economia e delle finanze ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.
Il comma 4 ha demandato a un decreto del Ministro della cultura, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, da adottarsi entro 30 giorni dalla data di entrata in vigore del decreto in esame, la definizione dei criteri di determinazione, delle modalità di assegnazione e delle procedure di erogazione delle risorse per le finalità di cui al comma 1, nel rispetto della normativa europea in materia di aiuti di Stato.
Per tutti i necessari approfondimenti, cfr. l’apposito dossier predisposto dal Servizio studi.
Articolo 11, commi 1 e 2
(Trattenimenti in servizio di dirigenti pubblici)
Il comma 1 dell’articolo 11 reca una norma transitoria che consente alle pubbliche amministrazioni[25], per un periodo in ogni caso non eccedente il 31 dicembre 2026, il trattenimento in servizio – oltre il limite anagrafico per il collocamento a riposo di ufficio – dei dirigenti generali titolari della direzione di dipartimenti, o di strutture corrispondenti a questi ultimi (secondo i rispettivi ordinamenti); la possibilità è posta con esclusivo riferimento ai dipartimenti o strutture che siano attuatori di interventi previsti nel Piano nazionale di ripresa e resilienza. In sede referente, è stata inserita una clausola finale finanziaria. Il successivo comma 2 abroga una precedente norma transitoria[26] sulla possibilità di trattenimento in servizio – norma che faceva riferimento, sempre con il termine ultimo del 31 dicembre 2026, ai soggetti in possesso di specifiche professionalità e titolari di incarichi di livello dirigenziale generale (senza distinzioni ulteriori nell’ambito delle relative strutture) –; sono fatti salvi gli incarichi dirigenziali già conferiti o confermati in base alla norma abrogata – la quale era entrata in vigore il 22 giugno 2023 –.
La possibilità di trattenimento in servizio prevista dalla norma transitoria di cui al comma 1 concerne, come detto, i dirigenti generali titolari della direzione di dipartimenti, o di strutture corrispondenti a questi ultimi (secondo i rispettivi ordinamenti), a condizione che tali dipartimenti o strutture siano attuatori di interventi previsti nel Piano nazionale di ripresa e resilienza[27]. Dall’ambito della possibilità sono in ogni caso esclusi i soggetti già collocati in quiescenza. Il trattenimento in servizio costituisce una deroga rispetto al collocamento a riposo di ufficio per il compimento del relativo limite di età – limite che, fatte salve le norme relative a specifiche categorie di dipendenti pubblici, è attualmente pari a 65 anni, ovvero a 67 o 71 anni per i soggetti con una ridotta anzianità contributiva –.
Il riferimento suddetto ai dipartimenti o alle strutture corrispondenti designa gli uffici articolati al loro interno in una pluralità di uffici di livello dirigenziale generale; in tale ambito, sono esplicitamente compresi nel comma 1 anche gli uffici apicali (quale, per esempio, l’ufficio, ove esistente, di segretario generale del Ministero)[28]. Come accennato, il successivo comma 2 abroga una precedente norma transitoria sulla possibilità di trattenimento in servizio, norma che faceva riferimento, sempre con il termine ultimo del 31 dicembre 2026, ai soggetti in possesso di specifiche professionalità e titolari di incarichi di livello dirigenziale generale (senza distinzioni ulteriori nell’ambito delle relative strutture); sono fatti salvi, fino alla naturale scadenza, gli incarichi dirigenziali conferiti o confermati prima dell’entrata in vigore del presente decreto (dunque, prima dell’11 agosto 2023); come già ricordato, la norma abrogata era entrata in vigore il 22 giugno 2023.
Riguardo al termine del 31 dicembre 2026, si ricorda che nel corso del medesimo anno 2026 devono essere completati gli interventi del Piano nazionale di ripresa e resilienza. Questi ultimi, più precisamente, devono essere completati entro i singoli termini previsti dal medesimo Piano e in ogni caso non oltre il 31 agosto 2026, ai sensi dell'articolo 18, paragrafo 4, lettera i), e dell'articolo 20, paragrafo 5, lettera d), del regolamento (UE) 2021/241 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 febbraio 2021.
In sede referente, è stata inserita nel comma 1 una clausola finale finanziaria; tale clausola era implicita, in base alla relazione tecnica allegata all’originario disegno di legge di conversione del presente decreto[29], secondo la quale i trattenimenti in servizio consentiti dal comma 1 si inseriscono, per definizione, nell’ambito delle capacità assunzionali già disponibili a legislazione vigente (con il computo di ogni trattenimento ai fini dell’applicazione delle eventuali misure restrittive in materia di turn over).
Articolo 11, comma 3
(Esclusione dai divieti di conferimento di incarichi a soggetti in quiescenza)
Il comma 3 dell’articolo 11 introduce un’esclusione dalla disciplina restrittiva sugli incarichi ai soggetti già lavoratori pubblici o privati e collocati in quiescenza; l’esclusione concerne il conferimento di incarichi di vertice degli uffici di diretta collaborazione di autorità politiche. Il comma, inoltre, esplicita che resta ferma l’applicazione (ove ne sussistano i presupposti) delle norme limitative del cumulo degli emolumenti derivanti da incarichi pubblici con i trattamenti pensionistici.
Il presente comma 3 esclude, come accennato, gli incarichi di vertice degli uffici di diretta collaborazione di autorità politiche dall’ambito di applicazione della disciplina restrittiva[30] che, per le pubbliche amministrazioni e altri soggetti[31], vieta:
- il conferimento di incarichi a titolo oneroso[32] a soggetti già lavoratori pubblici o privati e collocati in quiescenza; tale divieto concerne gli incarichi dirigenziali o direttivi, quelli di studio o consulenza, le cariche in organi di governo delle amministrazioni;
- il conferimento ai soggetti in quiescenza (già lavoratori pubblici o privati) di incarichi dirigenziali o direttivi a titolo gratuito aventi durata superiore a un anno (entro il suddetto limite temporale, l’incarico a titolo gratuito è ammesso, presso ciascuna amministrazione, senza possibilità di proroga o di rinnovo)[33].
Gli incarichi di vertice degli uffici di diretta collaborazione di autorità politiche – incarichi oggetto dell’esclusione introdotta dal presente comma 3 – rientravano – prima dell’esclusione medesima – nell’ambito della suddetta disciplina restrittiva, come indicato nella circolare del Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione n. 4 del 10 novembre 2015, la quale richiama, sul punto, la precedente circolare del medesimo Ministro, n. 6 del 4 dicembre 2014; secondo tali circolari, nell’ambito della disciplina restrittiva in oggetto erano inclusi (prima dell’intervento di cui al presente comma 3) gli incarichi dirigenziali, direttivi, di studio e di consulenza conferiti nell’ambito degli uffici di diretta collaborazione di organi politici.
Gli incarichi di vertice oggetto dell’esclusione di cui al comma 3 sono individuabili in base alla disciplina (in genere, di natura regolamentare) dei medesimi uffici di diretta collaborazione di autorità politiche[34] (gli incarichi non inerenti alla titolarità dell’ufficio e non aventi natura dirigenziale, direttiva, di studio o di consulenza restano comunque esclusi, per definizione, dalla disciplina restrittiva in oggetto).
Il comma 3, inoltre, come accennato, esplicita[35] che resta ferma l’applicazione (ove ne sussistano i presupposti) delle norme limitative del cumulo degli emolumenti derivanti da incarichi pubblici con i trattamenti pensionistici; tali limitazioni sono inerenti all’importo totale derivante dal cumulo o alla specifica tipologia del trattamento pensionistico (se liquidato in base ad una delle cosiddette quote 100, 102 e 103).
Articolo 11, comma 3-bis
(Riserva nei concorsi enti locali)
Il comma 3-bis dell’articolo 11 estende a tutti gli enti locali la possibilità di prevedere riserve di posti per personale interno nell'ambito di concorsi per il reclutamento di personale dirigenziale, possibilità attualmente prevista, ai sensi del decreto-legge n. 75 del 2023, per i soli comuni.
Il comma 1-bis dell’articolo 28 del decreto-legge n. 75 del 2023 (cd. “decreto PA-2”), che viene modificato dalla disposizione in commento, ha introdotto la possibilità di istituire una riserva di posti, non superiore al 50 per cento dei posti, nei concorsi per dirigente comunale, per il personale dirigenziale e non dirigenziale assunto a tempo determinato per almeno trentasei mesi di servizio negli ultimi cinque anni ed in possesso di determinati requisiti o per il personale non dirigenziale assunto a tempo indeterminato per lo stesso periodo di tempo. La riserva può essere prevista nel limite dei posti disponibili della vigente dotazione organica e in coerenza con il piano triennale dei fabbisogni. Le assunzioni sono effettuate a valere sulle facoltà assunzionali di ciascuna amministrazione disponibili a legislazione vigente.
Il piano triennale dei fabbisogni è stato istituito dall’articolo 6 del decreto legislativo n. 165 del 2001 (Testo unico delle pubbliche amministrazioni). In base a tale disposizione, allo scopo di ottimizzare l'impiego delle risorse pubbliche disponibili e perseguire obiettivi di performance organizzativa, efficienza, economicità e qualità dei servizi ai cittadini, le amministrazioni pubbliche adottano il piano triennale dei fabbisogni di personale, in coerenza con la pianificazione pluriennale delle attività e della performance. Il piano è ora confluito in un’apposita sezione del Piano integrato di attività e organizzazione (PIAO) ai sensi del DPR n. 81 del 2022.
I requisiti che il personale a tempo determinato deve avere per accedere alla riserva sono:
• avere maturato i trentasei mesi di servizio con pieno merito;
• essere stato assunto a tempo indeterminato a seguito di procedure selettive e comparative ad evidenza pubblica.
Con la disposizione in commento, la riserva potrà essere effettuata non solo nei concorsi comunali ma anche in quelli degli altri enti locali e cioè province, città metropolitane, unione di comuni, comunità montane, comunità isolane[36]
Articolo 12
(Disposizioni finanziarie)
L’articolo 12 dispone la clausola di invarianza finanziaria del decreto in esame, con eccezione di quanto previsto dagli articoli 2, 5-bis e 10, i quali provvedono alla copertura finanziaria degli oneri ivi previsti.
In particolare la norma dispone che dall’attuazione delle disposizioni previste dal decreto in esame – con eccezione di quanto previsto dagli articoli 2 (Istituzione delle infrastrutture digitali centralizzate per le intercettazioni), 5-bis (Incremento dei posti della dirigenza penitenziaria) e 10 (Disposizioni in materia di cultura e di organizzazione del Ministero della cultura) – non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.
Le amministrazioni interessate provvedono ai relativi adempimenti nell'ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.
Articolo 13
(Entrata in vigore)
L’articolo 13 dispone che il decreto-legge in esame entri in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.
Il decreto-legge è dunque vigente dal 11 agosto 2023.
[1] Il decreto n. 82 del 2021, è stato convertito, con modificazioni, dalla legge n. 109 del 2021.
[2] Il comma 3-bis dell’art. 51 c.p.p. richiama l’associazione a delinquere finalizzata alla commissione di delitti concernenti schiavitù, tratta, traffico di organi, prostituzione minorile, pedopornografia, violenza sessuale, immigrazione clandestina, contraffazione, associazione di tipo mafioso, scambio elettorale politico-mafioso, il traffico illecito di rifiuti; il sequestro di persona a scopo di estorsione; i delitti commessi avvalendosi del vincolo associativo di tipo mafioso; i delitti commessi al fine di agevolare l’attività dell’associazione di tipo mafioso; l’associazione finalizzata al traffico di stupefacenti; l’associazione finalizzata al contrabbando di tabacchi. Il comma 3-quater richiama i delitti per finalità di terrorismo. Nei procedimenti per i delitti richiamati dai predetti commi le funzioni del pubblico ministero sono esercitate dal procuratore distrettuale (vale a dire dal procuratore della Repubblica presso il tribunale del capoluogo del distretto di corte d’appello).
[3] Ai sensi dell’articolo 7-bis del decreto-legge n. 144 del 2005, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 155 del 2005, l’organo del Ministero dell’interno per la sicurezza e la regolarità dei servizi di telecomunicazione ha il compito di assicurare i servizi di protezione informatica delle infrastrutture critiche informatizzate di interesse nazionale individuate con decreto del Ministro dell'interno, operando mediante collegamenti telematici definiti con apposite convenzioni con i responsabili delle strutture interessate.
[4] Gli atti indicati all’art. 9, comma 1, lett. a), sono: dare rifugio o comunque prestare assistenza agli associati, acquistare, ricevere, sostituire od occultare denaro o altra utilità, armi, documenti, sostanze stupefacenti o psicotrope, beni ovvero cose che sono oggetto, prodotto, profitto, prezzo o mezzo per commettere il reato o accettarne l'offerta o la promessa o altrimenti ostacolare l'individuazione della loro provenienza o consentirne l'impiego ovvero corrispondere denaro o altra utilità in esecuzione di un accordo illecito già concluso da altri, promettere o dare denaro o altra utilità richiesti da un pubblico ufficiale o da un incaricato di un pubblico servizio o sollecitati come prezzo della mediazione illecita verso un pubblico ufficiale o un incaricato di un pubblico servizio o per remunerarlo o compiere attività prodromiche e strumentali.
[5] Il decreto legislativo 15 febbraio 2016, n. 35, reca attuazione della decisione quadro 2003/577/GAI del Consiglio, del 22 luglio 2003, relativa all'esecuzione nell'Unione europea dei provvedimenti di blocco dei beni o di sequestro probatorio
[6] Il decreto legislativo 21 giugno 2017, n. 108, reca norme di attuazione della direttiva 2014/41/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 3 aprile 2014, relativa all'ordine europeo di indagine penale
[7] L’ascolto del minore nel nuovo rito è disciplinato dall’art. 473-bis.4 c.p.c., il quale prescrive che il minore di età superiore ai 12 anni (o anche di età inferiore se capace di discernimento) deve essere ascoltato dal giudice nei procedimenti nei quali devono essere adottati provvedimenti che lo riguardano e le sue opinioni devono essere tenute in considerazione avuto riguardo alla sua età e al suo grado di maturità. L’ascolto è escluso, con atto motivato del giudice, se è in contrasto con l'interesse del minore o manifestamente superfluo, in caso di impossibilità fisica o psichica del minore o se quest'ultimo manifesta la volontà di non essere ascoltato. Il successivo art. 473-bis.5 c.p.c. stabilisce le modalità dell’ascolto, disponendo che l’ascolto è condotto dal giudice, che può farsi assistere da esperti e altri ausiliari, in luoghi idonei alla sua età (anche diversi dal tribunale) fissandone l’orario in orari compatibili con gli impegni scolastici del minore e garantendo la serenità e la riservatezza. Ai sensi dell’art. 473-bis.8 c.p.c., dell’ascolto del minore è effettuata una registrazione audiovisiva (sostituita dal processo verbale se la registrazione non sia possibile per motivi tecnici).
[8] Al riguardo, l’articolo 47, quinto comma, della legge n. 222/1985 stabilisce che la quota pari all'otto per mille dell'imposta sul reddito delle persone fisiche - da destinare alla Chiesa cattolica - è calcolata sull’importo liquidato dagli uffici sulla base delle dichiarazioni dei redditi annuali, relative al terzo periodo d'imposta precedente.
[9] V. in proposito la relazione illustrativa allegata al provvedimento in esame. Si fa ivi riferimento, in particolare, alla dichiarazione di cessazione dello stato di emergenza sanitaria mondiale a causa della pandemia di Covid-19, emessa dall’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) il 5 maggio 2023. Si ricorda che in data 11 marzo 2020 fu dichiarato dall’OMS l’inizio della pandemia. Precedentemente, il 30 gennaio 2020, dopo la seconda riunione del Comitato di sicurezza, l’OMS aveva dichiarato il focolaio internazionale da SARS-CoV-2 un’emergenza di sanità pubblica di rilevanza internazionale (Public Health Emergency of International Concern - PHEIC).
[10] D.L. convertito, con modificazioni, dalla legge 17 giugno 2021, n. 87. Il citato art. 10-ter era stato inserito ivi dall'art. 4, comma 1, del D.L. 24 marzo 2022, n. 24, convertito, con modificazioni, dalla L. 19 maggio 2022, n. 52, a decorrere dal 1° aprile 2022, e successivamente modificato dall'art. 7-quater del D.L. 31 ottobre 2022, n. 162, convertito, con modificazioni, dalla L. 30 dicembre 2022, n. 199. Nella presente scheda si ricostruiscono gli istituti dell’isolamento e dell’autosorveglianza quali risultanti dalle modifiche introdotte dal menzionato art. 7-quater del D.L. n. 162/2022.
[11] V. circolare del Ministero della salute n. 51961 del 31 dicembre 2022, recante aggiornamento delle modalità di gestione dei casi e dei contatti stretti di caso COVID-19, adottata alla luce della succitata legge 199/2022 di conversione del D.L. 162/1999 (v. nota precedente). All’interno di detta circolare vi è anche un riepilogo delle precedenti circolari in materia. Dopo la pubblicazione del D.L. in esame è stata emanata la circolare del Ministero della salute n. 25613 dell’11 agosto 2023, recante aggiornamento delle misure di prevenzione della trasmissione di SARS-CoV-2.
[12] Regime cui erano soggetti i contatti stretti. Il “contatto stretto” (esposizione ad alto rischio) è stato definito dal Ministero della salute come: una persona che vive nella stessa casa di un caso COVID-19; una persona che ha avuto un contatto fisico diretto con un caso COVID-19; una persona che ha avuto un contatto diretto non protetto con le secrezioni di un caso COVID-19; una persona che ha avuto un contatto diretto (faccia a faccia) con un caso COVID-19, a distanza minore di 2 metri e di almeno 15 minuti; una persona che si è trovata in un ambiente chiuso (ad esempio aula, sala riunioni, sala d'attesa dell'ospedale) con un caso COVID-19 in assenza di DPI idonei; un operatore sanitario o altra persona che fornisce assistenza diretta ad un caso COVID-19 oppure personale di laboratorio addetto alla manipolazione di campioni di un caso COVID-19 senza l’impiego dei DPI raccomandati o mediante l’utilizzo di DPI non idonei; una persona che ha viaggiato seduta in treno, aereo o qualsiasi altro mezzo di trasporto entro due posti in qualsiasi direzione rispetto a un caso COVID-19 (erano considerati contatti stretti anche i compagni di viaggio e il personale addetto alla sezione dell’aereo/treno dove il caso indice era seduto).
[13] Nella relazione illustrativa, nella parte concernente il comma in esame, il Governo afferma che la norma prevede l’abrogazione della disciplina sull’isolamento e sull’autosorveglianza e “delle correlate disposizioni sanzionatorie”.
[14] E’ fatto salvo il limite del giudicato (la salvezza del giudicato non vale peraltro in caso di abolizione del reato: in tale evenienza, se vi è stata condanna, ne cessano l’esecuzione e gli effetti penali) e - si noti - sono escluse dall’ambito di operatività del principio di retroattività della norma posteriore più mite le leggi eccezionali e temporanee. Per “leggi eccezionali”, nella prospettiva dell’art. 2 c.p., s’intendono le leggi adottate in situazioni eccezionali, quali, ad esempio, guerre, epidemie e terremoti. Tale deroga al principio di retroattività della legge più mite comporta che nelle ipotesi contemplate dalle leggi eccezionali e temporanee “si applica sempre la disposizione che era in vigore nel tempo in cui il fatto è stato commesso, anche se la successiva lo punisce meno gravemente o addirittura non lo consideri più reato” (Antolisei).
[15] Modifiche al sistema penale.
[16] La Corte, al riguardo, evidenzia che “Una simile carica afflittiva si spiega soltanto in chiave di punizione dell’autore dell’illecito in questione, in funzione di una finalità di deterrenza, o prevenzione generale negativa, che è certamente comune anche alle pene in senso stretto.”
[17] Elaborati dalla Corte EDU a partire dal caso Engel ed altri c. Paesi Bassi del 1976.
[18] La quale può essere valutata sulla base di molteplici fattori, quali, per esempio: l’accertamento della funzione repressiva/dissuasiva della norma (Öztürk c Germania del 1984; Bendenoun c. Francia del 1994); il raffronto con la qualificazione attribuita agli analoghi procedimenti/sanzioni negli altri Paesi membri del Consiglio d’Europa (Öztürk c. Germania del 1984); l’accertamento della provenienza dell’azione, se cioè sia stata posta in essere da una pubblica autorità in virtù di poteri legalmente riconosciuti (Benham c. Regno Unito del 1996); la verifica della portata della norma, della sua generalità (Bendenoun c. Francia del 1994).
[19] Disposizioni urgenti per il superamento delle misure di contrasto alla diffusione dell'epidemia da COVID-19, in conseguenza della cessazione dello stato di emergenza, e altre disposizioni in materia sanitaria, convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 19 maggio 2022, n. 52.
[20] V. Circolare n. 8045 dell'8 aprile 2022.
[21] Si ricorda che, in generale, sono attribuite al Ministero della salute, tra le altre, le funzioni spettanti allo Stato in materia di contrasto di ogni emergenza sanitaria, nonché ogni iniziativa volta alla cura delle patologie epidemico-pandemiche emergenti (art. 47-bis, co. 2, del d. lgs. n. 300 del 1999).
[22] Il citato comma 1 dell’art. 32 L. 833/1978 stabilisce che il Ministro della sanità può emettere ordinanze di carattere contingibile e urgente, in materia di igiene e sanità pubblica e di polizia veterinaria, con efficacia estesa all'intero territorio nazionale o a parte di esso comprendente più regioni. Il successivo comma 3 prevede che nelle medesime materie sono emesse dal presidente della giunta regionale e dal sindaco ordinanze di carattere contingibile ed urgente, con efficacia estesa rispettivamente alla regione o a parte del suo territorio comprendente più comuni e al territorio comunale.
[23] Circolare n. 25616 dell’11 agosto 2023, adottata a seguito della pubblicazione in G.U. del D.L. in esame. Si segnala una successiva rettifica apportata con circolare n. 26136 del 21 agosto 2023, che non ha tuttavia riguardato la cadenza delle comunicazioni, ma un aspetto specifico delle modalità di conferimento dei dati.
[24] Circa l’individuazione geografica delle aree interessate dall’alluvione, con delibera del Consiglio dei ministri del 4 maggio 2023, è stato dichiarato, per 12 mesi dalla data di deliberazione, lo stato di emergenza in conseguenza delle avverse condizioni meteorologiche che, a partire dal giorno 1° maggio 2023, hanno colpito il territorio delle province di Reggio-Emilia, di Modena, di Bologna, di Ferrara, di Ravenna e di Forlì-Cesena. Come rilevato nelle premesse, a partire dalla serata del giorno 1° maggio 2023 il territorio delle province di Reggio-Emilia, di Modena, di Bologna, di Ferrara, di Ravenna e di Forlì-Cesena è stato interessato da eventi meteorologici di elevata intensità che hanno determinato una grave situazione di pericolo per l’incolumità delle persone, la perdita di vite umane e l'evacuazione di numerose famiglie dalle loro abitazioni. Con successiva delibera del Consiglio dei ministri del 23 maggio 2023, gli effetti dello stato di emergenza, dichiarato con delibera del 4 maggio 2023, sono stati estesi al territorio delle province di Reggio-Emilia, di Modena, di Bologna, di Ferrara, di Ravenna, di Forlì-Cesena e di Rimini in conseguenza delle ulteriori ed eccezionali avverse condizioni meteorologiche verificatesi a partire dal 16 maggio 2023. Con distinte delibere del 25 maggio 2023: - è stato dichiarato, per 12 mesi dalla data di deliberazione, lo stato di emergenza in conseguenza degli eccezionali eventi meteorologici verificatisi a partire dal 16 maggio 2023 nel territorio dei comuni di Fano, di Gabicce Mare, di Monte Grimano Terme, di Montelabbate, di Pesaro, di Sassocorvaro Auditore e di Urbino della provincia di Pesaro e Urbino; - è stato dichiarato, per dodici mesi dalla data di deliberazione, lo stato di emergenza in conseguenza degli eccezionali eventi meteorologici verificatisi nei giorni dal 15 al 17 maggio 2023 nel territorio dei Comuni di Firenzuola, di Marradi, di Palazzuolo sul Senio e di Londa della Città metropolitana di Firenze.
[25] Il presente comma 1 fa riferimento alle pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni. Si ricorda che, in base al suddetto articolo 1, comma 2, per "amministrazioni pubbliche si intendono tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane, e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale, l'Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN) e le Agenzie di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300", nonché (fino ad una revisione organica della disciplina di settore) il CONI.
[26] Di cui all’articolo 1, comma 4-bis, del D.L. 22 aprile 2023, n. 44, convertito, con modificazioni, dalla L. 21 giugno 2023, n. 74.
[27] Resta ferma l’applicazione delle norme sulla durata degli incarichi e sul loro rinnovo.
[28] Si ricorda che, nella disciplina dell’organizzazione dei Ministeri, i dipartimenti, ove esistenti, sono articolati in una pluralità di uffici di livello dirigenziale generale (cfr. l’articolo 5 del D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 300); nei Ministeri in cui non sono previsti i dipartimenti, può essere istituito l'ufficio del segretario generale (cfr. l’articolo 6 del citato D.Lgs. n. 300 del 1999, e successive modificazioni).
[29] La suddetta relazione tecnica è reperibile nell’A.C. n. 1373.
[30] Di cui all'articolo 5, comma 9, del D.L. 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 135, e successive modificazioni. Tale disciplina concerne le pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, nonché quelle inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall'ISTAT, e le autorità amministrative indipendenti.
Riguardo agli incarichi dirigenziali o direttivi e alle cariche in organi di governo delle amministrazioni, rientrano nel divieto anche gli enti e società controllati dalle amministrazioni summenzionate; il divieto non si applica con riferimento alle giunte degli enti territoriali e agli organi elettivi degli ordini o collegi professionali (o dei relativi organismi nazionali) e degli enti aventi natura associativa. La normativa prevede altre esclusioni o deroghe rispetto alla disciplina restrittiva in oggetto. Riguardo ad esse, si ricorda che l'articolo 19-ter del D.L. 16 ottobre 2017, n. 148, convertito, con modificazioni, dalla L. 4 dicembre 2017, n. 172, esclude dai divieti in esame gli enti di previdenza di diritto privato i cui organi di governo siano eletti in via diretta o indiretta da parte degli iscritti.
Il citato articolo 5, comma 9, specifica che gli organi costituzionali si adeguano alle disposizioni dello stesso comma nell'ambito della propria autonomia.
[31] Riguardo all'ambito di essi, cfr. supra, in nota.
[32] Il divieto di cui al citato articolo 5, comma 9, del D.L. n. 95 del 2012 non concerne eventuali rimborsi di spese, a condizione che essi siano corrisposti nei limiti fissati dall'organo competente dell'amministrazione interessata. Tali rimborsi devono essere rendicontati.
[33] Riguardo alla possibilità di rimborsi di spese, cfr. supra, in nota.
[34] Riguardo alle norme legislative generali sugli uffici di diretta collaborazione, rispettivamente, dei Ministri e degli organi di direzione politica degli enti locali, cfr. l’articolo 7 del D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 300, e l’articolo 90 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, e successive modificazioni.Riguard
[35] Mediante il richiamo dell’articolo 1, comma 489, della L. 27 dicembre 2013, n. 147, e dell’articolo 14, comma 3, e dell’articolo 14.1, comma 3, del D.L. 28 gennaio 2019, n. 4, convertito, con modificazioni, dalla L. 28 marzo 2019, n. 26, e successive modificazioni.
[36] Questo l’elenco degli enti locali presente nell’articolo 2 del decreto legislativo n. 267 del 2000 (Testo unico dell’ordinamento sugli enti locali).