Camera dei deputati - Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento Affari Comunitari
Titolo: Disposizioni urgenti per l'attuazione di obblighi derivanti da procedure di infrazione europee
Serie: Progetti di legge   Numero: 124/1
Data: 18/07/2023
Organi della Camera: Assemblea

 


 

XIX Legislatura

 

Disposizioni urgenti per l'attuazione di obblighi derivanti da atti dell'Unione europea e da procedure di infrazione e pre-infrazione pendenti nei confronti dello Stato italiano

D.L. n. 69/2023 - A.S. n. 755-A

18 luglio 2023

 

 

 

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Dossier n. 103/1

 

 

 

 

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Progetti di legge n. 124/1

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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I N D I C E

 

 

Introduzione. 7

Schede di lettura. 11

Articolo 1 (Modifiche al Testo Unico Bancario. Caso EU Pilot 2021/10083/FISMA) 13

Articolo 1-bis (Disposizioni transitorie in materia di crisi d’impresa) 19

Articolo 2 (Imposta di registro-Procedura di infrazione 2014/4075) 26

Articolo 3 (Modifiche al decreto legislativo 27 gennaio 2010, n. 39 in materia di revisioni legali dei conti annuali e dei conti consolidati. Procedura di infrazione 2021/2170) 28

Articolo 3-bis (Modifiche al decreto legislativo 27 maggio 2022, n. 82, recante attuazione della direttiva UE 2019/882 del Parlamento europeo e del. Consiglio, del 17 aprile 2019, sui requisiti di accessibilità dei prodotti e dei servizi. Procedura di infrazione n. 2023/2015) 32

Articolo 4 (Persone da informare nel caso di arresto o fermo di minorenni) 33

Articolo 5 (Cumulo dei periodi di contribuzione maturati presso organizzazioni internazionali. Caso EU Pilot (2021) 10047-Empl) 36

Articolo 6 (Disposizioni in materia di pubblicità nel settore sanitario. Caso NIF 2020/4008) 39

Articolo 7  (Istituzione del Fondo per la individuazione delle aree prioritarie di cui all’articolo 11 del decreto legislativo 31 luglio 2020, n. 101. Procedura di infrazione 2018/2044. Caso Ares (2022) 1775812) 41

Articolo 8 (Istituzione del Fondo per la prevenzione e riduzione del radon in ambienti chiusi e per rendere compatibili le misure di efficientamento energetico, di qualità dell’aria in ambienti chiusi con gli interventi di prevenzione e riduzione del radon indoor. Procedura di infrazione 2018/2044. Caso Ares (2022) 1775812) 44

Articolo 9 (Misure in materia di circolazione stradale finalizzate al miglioramento della qualità dell’aria. Procedure di infrazione n. 2014/2147, n. 2015/2043 e n. 2020/2299) 45

Articolo 9-bis (Disposizioni in materia di misure e delle attività di tutela ambientale e sanitaria e di interventi di decarbonizzazione negli stabilimenti di interesse strategico nazionale. Procedure di infrazione n. 2013/2177, n. 2014/2147, n. 2015/2043 e n. 2020/2299) 50

Articolo 10 (Pratiche di raggruppamento e abbruciamento di materiali vegetali nel luogo di produzione. Procedura d’infrazione n. 2014/2147) 57

Articolo 11 (Disposizioni in materia di riconoscimento del servizio agli effetti della carriera per il personale delle Istituzioni di alta formazione artistica musicale e coreutica. Procedura di infrazione n. 2014/4231) 64

Articoli 12 e 13 (Corpo nazionale dei vigili del fuoco: incremento di alcune dotazioni organiche  e disciplina del personale volontario) 75

Articolo 14 (Modifiche al testo unico delle disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione. Procedura d’infrazione n. 2014/4231) 81

Articolo 15 (Estensione della Carta del docente ai docenti non di ruolo) 90

Articolo 16 (Autorità per la verifica dell’autenticità delle decisioni sulle spese emesse dall’Ufficio UE per la proprietà intellettuale) 94

Articolo 17 (Adeguamento al regolamento UE 1157/2019, sul rafforzamento della sicurezza delle carte di identità dei cittadini dell’Unione e dei titoli di soggiorno rilasciati ai cittadini dell’Unione e ai loro familiari che esercitano il diritto di libera circolazione) 96

Articolo 18  (Frontiere Schengen: adeguamenti normativi  ad intervenuti regolamenti dell’Unione europea) 98

Articolo 18-bis (Modifiche in materia di mandato di arresto europeo) 111

Articolo 18-ter  (Titoli di soggiorno per familiari non italiani di cittadini italiani) 117

Articolo 19  (Modifica dell’articolo 1, commi 185 e 187, della legge 30 dicembre 2021, n. 234) 119

Articolo 20 (Modifiche alla legge 21 novembre 1967, n. 1185, in materia di rilascio dei passaporti. Caso Ares (2019)3110724) 122

Articolo 21 (Modifica all’art. 30 della legge 23 luglio 2009, n. 99 in materia di regime di interrompibilità elettrica. Caso SA.50274 (2018/EO)) 125

Articolo 22 (Verifica dell’efficienza degli investimenti nella rete di distribuzione del gas ai fini della copertura tariffaria. Caso EU Pilot 2022/10193/ENER) 127

Articolo 22-bis (Modifiche al decreto legislativo 8 novembre 2021, n. 210) 130

Articolo 22-ter (Disposizioni per l’adeguamento alla disciplina europea in materia di aiuti di Stato a favore del clima, dell’ambiente e dell’energia 2022) 132

Articolo 23 (Adattamento dell’ordinamento nazionale al regolamento (UE) 2019/125 in materia di commercio di merci utilizzabili per infliggere la pena di morte o la tortura e al regolamento (UE) 2021/821 in materia di controllo delle esportazioni, dell’intermediazione, dell’assistenza tecnica, del transito e del trasferimento di prodotti a duplice uso) 135

Articolo 24 (Car rental) 139

Articolo 24-bis (Modifiche al decreto legislativo n. 70 del 2014 in tema di diritti e obblighi dei passeggeri ferroviari) 143

Articolo 24-ter (Modifiche all’articolo 48 del decreto-legge 31 maggio 2021, n. 77. Procedura di infrazione n. 2018/2273) 153

Articolo 25 (Modifica al decreto legislativo 8 novembre 2021, n. 198, in materia di pratiche commerciali sleali nei rapporti tra imprese nella filiera agricola e alimentare. Caso EU Pilot 10375/22/AGRI) 155

Articolo 25-bis (Attuazione della direttiva delegata 2022/2100/UE della Commissione che modifica la direttiva 2014/40/UE del Parlamento europeo e del Consiglio per quanto riguarda la revoca di talune esenzioni per i prodotti del tabacco riscaldato) 159

Articolo 26  (Disposizioni finanziarie) 162

Articolo 27 (Entrata in vigore) 164

 


Introduzione

 

L’adeguamento periodico dell’ordinamento nazionale a quello dell'Unione europea è disciplinato dalla legge n. 234 del 2012.

Gli strumenti ordinari per operare tale adeguamento (art.29) sono la legge europea e la legge di delegazione europea.

Ai sensi dell’articolo 30, comma 3, la legge europea contiene:

a) disposizioni modificative o abrogative di disposizioni statali vigenti in contrasto con gli obblighi Ue;

b) disposizioni modificative o abrogative di disposizioni statali vigenti oggetto di procedure d'infrazione o di sentenze della Corte di giustizia;

c) disposizioni per dare attuazione o assicurare l'applicazione di atti dell'Unione europea;

d) disposizioni per dare esecuzione ai trattati internazionali conclusi nel quadro delle relazioni esterne dell'Unione europea;

e) disposizioni emanate nell'esercizio del potere sostitutivo ex articolo 117, comma 5, della Costituzione (in caso di inadempienza di regioni e province autonome)

Nella legge europea vengono poi inserite norme volte a prevenire l'apertura, o a consentire la chiusura, di procedure di infrazione, nonché norme volte a permettere l'archiviazione dei casi di pre-contenzioso c.d. EU Pilot.

La legge di delegazione europea (art. 30, co. 2), che il Governo deve presentare alle Camere entro il 28 febbraio di ogni anno [1] , contiene invece disposizioni per il conferimento al Governo di deleghe legislative per il recepimento o attuazione degli atti dell'Unione europea che richiedono trasposizione negli ordinamenti nazionali

La legge n.234 del 2012 individua anche altri strumenti per assicurare l'adempimento degli obblighi derivanti dall'appartenenza all'UE

L'articolo 38, in tema di “Attuazione di singoli atti normativi dell'Unione europea”,  prevede che "in casi di particolare importanza politica, economica e sociale, tenuto conto anche di eventuali atti parlamentari di indirizzo, il Presidente del Consiglio dei Ministri o il Ministro per gli affari europei, di concerto con il Ministro degli affari esteri e con gli altri Ministri interessati, presenta alle Camere un apposito disegno di legge recante le disposizioni occorrenti per dare attuazione o assicurare l'applicazione di un atto normativo emanato dagli organi dell'Unione europea riguardante le materie di competenza legislativa statale".

Per il provvedimento in esame rileva invece l'articolo 37 della legge 234/2012 (che viene espressamente richiamato in premessa) [2] .

Tale disposizione prevede che "il Presidente del Consiglio dei ministri o il Ministro per gli affari europei può proporre al Consiglio dei ministri l'adozione dei provvedimenti, anche urgenti, diversi dalla legge di delegazione europea e dalla legge europea, necessari a fronte di atti normativi dell'Unione europea o di sentenze della Corte di giustizia dell'Unione europea ovvero dell'avvio di procedure di infrazione nei confronti dell'Italia che comportano obblighi statali di adeguamento, qualora il termine per provvedervi risulti anteriore alla data presunta di entrata in vigore della legge di delegazione europea o della legge europea relativa all'anno di riferimento". Qualora si ricorra a tali ulteriori provvedimenti, "il Presidente del Consiglio dei ministri o il Ministro per i rapporti con il Parlamento assume le iniziative necessarie per favorire un tempestivo esame parlamentare" (art. 37, comma 2).

Tra i decreti-legge, approvati dopo l’entrata in vigore della legge n. 234 del 2012, connessi con l’attuazione di obblighi derivanti dall’appartenenza all’Unione europea o con la definizione di procedure di infrazione, l’art.37 è citato nel decreto-legge 4 giugno 2013, n. 63, recante disposizioni urgenti per il recepimento della direttiva 2010/31/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 19 maggio 2010, sulla prestazione energetica nell'edilizia per la definizione delle procedure d'infrazione avviate dalla Commissione europea, nonché altre disposizioni in materia di coesione sociale (convertito nella legge n. 90 del 3 agosto 2013).


 

Le procedure di infrazione

Le procedure di infrazione sono disciplinate dagli articoli 258-260 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE).

La procedura prevede preliminarmente una fase pre-contenziosa, durante la quale la Commissione indirizza allo Stato membro interessato:

1)      una lettera di messa in mora, atto di apertura formale della procedura di infrazione. La Direzione generale competente in materia vi identifica la violazione contestata e pone un termine entro il quale lo Stato può comunicare osservazioni ed argomentazioni di risposta;

2)      un parere motivato, nel caso in cui non pervenga alcuna risposta o quest'ultima sia considerata insoddisfacente. Nel parere si constata la sussistenza della violazione e si invita lo Stato, entro un termine preciso, ad adottare le misure necessarie.

Nel caso in cui lo Stato non si conformi al parere della Commissione può aprirsi la fase contenziosa vera e propria (articolo 258, par. 2), che ha luogo di fronte alla Corte di giustizia. In caso di accertamento, con sentenza, che effettivamente vi è stata un'infrazione del diritto dell'Unione, lo Stato membro interessato dovrà prendere tutti i provvedimenti necessari per dare esecuzione alla sentenza. Qualora ciò non avvenga, la Commissione ha la facoltà di adire nuovamente la Corte di giustizia, chiedendo l'applicazione di una sanzione pecuniaria (articolo 260, paragrafo 2).

Come accennato, si ricorda che allo stato (Fonte banca dati EUR-infra del Dipartimento per le politiche europee) le procedure di infrazione aperte a carico dell'Italia risultano pari a 82 (62 per violazione del diritto dell'Unione e 20 per mancato recepimento di direttive).

In linea generale, si può osservare che mentre tra il 2014 e il 2017 si è registrata una costante diminuzione del numero delle procedure aperte nei confronti del nostro Paese, a partire dal 2018 esso è tornato ad aumentare, come si evince dal grafico che segue, elaborato dalla Commissione europea, che riassume l’andamento delle procedure di infrazione che hanno coinvolto l’Italia dal 2003 al dicembre 2021, mettendole a confronto con la media europea.

Italia: Evoluzione dei casi di infrazione. Fonte: Commissione europea.

Si segnala, inoltre, che dall'aprile 2008 è attivo "EU-Pilot", un sistema di comunicazione tra Commissione europea e Stati membri - basato su un sito Internet - che permette la condivisione informale di informazioni e fornisce agli Stati membri la possibilità di risolvere eventuali infrazioni senza ricorrere alla procedura formale di contestazione prevista dai Trattati.

Qualora la Commissione europea - di propria iniziativa o su segnalazione esterna - ritenga opportuno verificare che il diritto dell'Unione sia applicato in maniera corretta, può inviare una richiesta alle autorità nazionali dello Stato interessato attraverso EU-Pilot. Lo Stato membro dispone di un periodo di dieci settimane per rispondere e la Commissione, dal canto suo, effettua una valutazione nelle dieci settimane successive. Nel caso in cui la risposta ricevuta non sia considerata soddisfacente, la Commissione ha facoltà di dare inizio alle procedure di infrazione regolate dai Trattati.

Per informazioni organiche sulle procedure di infrazione che coinvolgono l’Italia, si rinvia al Single Market Scoreboard, sul sito della Commissione europea.

 

 


Schede di lettura


Articolo 1
(Modifiche al Testo Unico Bancario. Caso EU Pilot 2021/10083/FISMA)

 

 

L’articolo 1 introduce una nuova procedura che rafforza le garanzie dei depositanti nell’ipotesi del mancato rimborso dei medesimi da parte di una banca. Si prevede infatti che qualora una banca, in ragione della sua situazione finanziaria, risulti inadempiente all’obbligo di restituire i propri depositi, ancorché non sia stata aperta nei suoi confronti la procedura di liquidazione coatta amministrativa, la Banca d’Italia, dopo aver verificato che l’istituto di credito non è in grado di rimborsare i propri depositi e non ha la ragionevole prospettiva di ripristinare a breve l’accessibilità ai depositi stessi, dichiari l’esistenza di tale inadempimento, con la conseguenza che i depositanti potranno accedere al recupero dei propri depositi, entro i limiti ordinariamente previsti, tramite i sistemi di garanzia. Sono previste altresì le necessarie modifiche di coordinamento nell’ambito del Testo Unico bancario.

Sono infine introdotte due modifiche dirette a recepire ulteriori richieste di rettifica della normativa nazionale in merito ai limiti entro i quali i sistemi di garanzia rispondono per i depositanti coperti (importo del deposito al netto di quanto recuperabile dall’attivo della banca) e alla base di calcolo da prendere in considerazione per l’applicazione di compensazioni con riferimento ad eventuali debiti del depositante (l’ammontare complessivo del deposito e non esclusivamente il limite di 100.000 euro).

Gli interventi descritti sono stati effettuati a seguito dei rilievi formulati nel Caso EU Pilot 2021/10083/FISMA.

 

Il fondamento dell’intervento normativo, come risulta dalla relazione illustrativa, risiede nella necessità di far fronte ad alcuni rilievi sul recepimento della direttiva (UE) 2014/49 sui sistemi di garanzia dei depositi, avvenuto in Italia con l’introduzione di modifiche al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385. In particolare, la Commissione europea ha rilevato la mancanza nell’ordinamento interno della previsione in base alla quale l’autorità nazionale deve effettuare, entro il termine di 5 giorni lavorativi dall’accertamento del mancato rimborso di depositi da parte della banca, una valutazione relativa all’incapacità, attuale e prospettica, della banca medesima di effettuare i rimborsi per cause connesse con la sua situazione finanziaria (c.d. indisponibilità dei depositi). Dalla dichiarazione di indisponibilità effettuata dall’autorità decorre il termine di 7 giorni lavorativi entro i quali deve avvenire il rimborso dei depositi da parte del sistema di garanzia dei depositanti. Ciò deve avvenire anche nel caso in cui venga assunto il provvedimento di sospensione dei pagamenti ai sensi dell’articolo 74 del Testo Unico bancario – come affermato dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea (sentenza Kantarev del 4 ottobre 2018 nella causa C-571/16).

 

L’articolo 2, paragrafo 1, punto 8 della Direttiva definisce “deposito indisponibile” un deposito in scadenza ed esigibile che non è stato rimborsato da un ente creditizio secondo le condizioni legali e contrattuali a esso applicabili, in presenza delle seguenti condizioni:

a) le autorità competenti hanno concluso che a loro avviso l'ente creditizio interessato, per motivi direttamente connessi con la sua situazione finanziaria, non è per il momento in grado di rimborsare il deposito e l'ente non ha, a breve, la prospettiva di poterlo fare; ovvero

b) un'autorità giudiziaria ha adottato una decisione per motivi direttamente connessi con la situazione finanziaria dell'ente creditizio, con effetto di sospendere l'esercizio dei diritti dei depositanti nei confronti dello stesso;

Ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 2 della direttiva, l'autorità amministrativa competente trae la conclusione sull’indisponibilità del deposito non appena possibile e, in ogni caso, non oltre cinque giorni lavorativi dall'aver stabilito per la prima volta che un ente creditizio non ha restituito i depositi venuti a scadenza ed esigibili.

L’articolo 8, paragrafo 1 prevede che i sistemi di garanzia dei depositi assicurino che l’importo rimborsabile sia disponibile entro sette giorni lavorativi a decorrere dalla data in cui un'autorità amministrativa pertinente giunge alla conclusione che l'ente creditizio interessato, per motivi direttamente connessi con la sua situazione finanziaria, non è per il momento in grado di rimborsare il deposito e l'ente non ha, a breve, la prospettiva di poterlo fare, ovvero dall’adozione della decisione da parte dell’autorità giudiziaria di sospendere l'esercizio dei diritti dei depositanti nei confronti dello stesso, per motivi direttamente connessi con la situazione finanziaria dell'ente creditizio.

 

A questo scopo l’articolo 1, comma 1, lettera d), n. 1) introduce all’articolo 96-bis.2 del Testo Unico delle leggi bancarie (TUB) - che disciplina la modalità di rimborso dei depositi - un nuovo comma 01, ai sensi del quale quando una banca, per la quale non è stata già disposta la liquidazione coatta amministrativa - ai sensi dell’articolo 80, comma 1, del TUB - si rende inadempiente all’obbligo di restituire i propri depositi per cause direttamente connesse con la sua situazione finanziaria, la Banca d’Italia verifica se la banca è al momento in grado di rimborsare i propri depositi o se ha la ragionevole prospettiva di ripristinare a breve l’accessibilità ai depositi stessi. Ove entrambe queste condizioni non risultino verificate, la Banca d’Italia lo dichiara con provvedimento adottato entro cinque giorni lavorativi dal momento in cui accerta l’inadempimento.

Il provvedimento è pubblicato sul sito internet della Banca d’Italia e sulla Gazzetta Ufficiale e i suoi effetti decorrono dal momento indicato dalla Banca d'Italia nel provvedimento stesso.

 

Tale strumento di protezione con riferimento alla tutela dei depositanti produce sostanzialmente gli stessi effetti derivanti dall’apertura della procedura di liquidazione coatta amministrativa e, infatti, le modifiche contenute ai numeri 2, 3 e 4 della lettera d) del comma 1 dell’articolo in commento estendono a tale nuova fattispecie le disposizioni contenute all’articolo 96-bis.2 con riferimento al rimborso dei depositi tramite gli strumenti di garanzia.

In particolare il numero 2 della lettera d) modifica il comma 1 dell’articolo 96-bis.2, al fine di prevedere che il rimborso in capo ai sistemi di garanzia sia effettuato entro sette giorni lavorativi dal provvedimento di cui al nuovo comma 01 dell’articolo 96-bis.2.

 

Alla luce di questa disposizione si segnala che la formulazione del nuovo comma 01 (vedi supra) da un lato prevede che la Banca d’Italia dichiari tempestivamente (entro 5 giorni) il mancato pagamento dei depositi da parte della banca precisando che gli effetti del provvedimento decorrano dal momento che la stessa Banca d’Italia indica nel medesimo.

 

Il riferimento al “momento” (e non alla data) sembra definire il dato temporale esatto dal quale decorrono gli effetti del provvedimento (ossia anche l’orario) fermo restando che la data dovrebbe comunque coincidere con quella di pubblicazione del provvedimento medesimo.

Ciò appare rilevante in ragione del fatto che l’articolo 8, paragrafo 1, della direttiva prescrive espressamente che i sistemi di garanzia dei depositi assicurino che l'importo rimborsabile sia disponibile entro sette giorni lavorativi a decorrere dalla data in cui un'autorità amministrativa pertinente giunge alla conclusione che l'ente creditizio interessato, per motivi direttamente connessi con la sua situazione finanziaria, non è per il momento in grado di rimborsare il deposito e l'ente non ha, a breve, la prospettiva di poterlo fare.

 

Il numero 3 della lettera d) modifica il comma 4 dell’articolo 96-bis.2, al fine di prevedere che il diritto al rimborso si estingua decorsi cinque anni dalla data in cui si producono gli effetti del provvedimento di cui al nuovo comma 01 (in termini analoghi a quello decorrente dalla data in cui si producono gli effetti della liquidazione coatta amministrativa).

Il numero 4 della lettera d) modifica infine il comma 5 dell’articolo 96-bis.2, al fine di limitare il diritto di preferenza del credito dei sistemi di garanzia nel riparto degli attivi alla sola ipotesi di liquidazione coatta amministrativa di una banca.

 

Sotto il profilo della formulazione della norma si valuti, a tal fine, l’opportunità di sopprimere il riferimento alla liquidazione coatta amministrativa al primo periodo della disposizione, come risultante dalle modifiche effettuate.

 

Le ulteriori modifiche effettuate dall’articolo in commento alle lettere a), b) e c) del comma 1, hanno funzione di coordinamento rispetto all’introduzione della nuova procedura di tutela dei depositi, ovvero introducono alcuni ulteriori elementi di protezione dei depositanti derivanti dalle richieste formulate dalla Commissione europea.

 

In particolare l’articolo 1, comma 1, lettera a) introduce un comma 3-bis all’articolo 74 del Testo Unico Bancario, che disciplina la moratoria nel corso della procedura straordinaria. Si dispone in particolare che quando è disposta, in sede di amministrazione straordinaria, da parte dei commissari, la sospensione del pagamento delle passività della banca di qualsiasi genere, ovvero la restituzione degli strumenti finanziari ai clienti relativi ai servizi previsti delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, la Banca d’Italia effettua la valutazione di cui all’articolo 96-bis.2, comma 01, entro il termine ivi indicato (cinque giorni), che decorre da quando la sospensione disposta dai commissari diventa efficace.

 

L’articolo 1, comma 1, lettera b) modifica l’articolo 96-bis, comma 1-bis del TUB, in particolare la lettera a) e la lettera c). Il comma individua le attività svolte dai sistemi di garanzia.

 

Secondo il citato comma 1, i sistemi di garanzia effettuano rimborsi nei casi di liquidazione coatta amministrativa delle banche italiane e delle succursali italiane di banche extracomunitarie e, nel caso di previo intervento del sistema di garanzia dello Stato di appartenenza, per le succursali di banche comunitarie operanti in Italia che abbiano aderito in via integrativa a un sistema di garanzia italiano (lett. a); contribuiscono al finanziamento della risoluzione delle banche italiane e delle succursali italiane di banche extracomunitarie secondo le modalità e nei limiti previsti dal decreto legislativo 16 novembre 2015, n. 180 che istituisce un quadro di risanamento e risoluzione degli enti creditizi e delle imprese di investimento (lett, b); se previsto dallo statuto, possono intervenire in operazioni di cessione di attività, passività, aziende, rami d'azienda, beni e rapporti giuridici individuabili in blocco se il costo dell'intervento non supera il costo che il sistema, secondo quanto ragionevolmente prevedibile in base alle informazioni disponibili al momento dell'intervento, dovrebbe sostenere per il rimborso dei depositi (lett. c); se previsto dallo statuto, possono effettuare interventi nei confronti di banche italiane e succursali italiane di banche extracomunitarie per prevenire o superare lo stato di dissesto o di rischio di dissesto (lett. d).

 

In particolare con la modifica introdotta alla lettera a) dell’articolo 96-bis, comma 1-bis, si estende alla nuova ipotesi di dichiarazione di mancato rimborso dei depositi l’obbligo di intervento dei sistemi di garanzia a beneficio dei titolari di depositi, secondo le modalità previste per i rimborsi nella liquidazione coatta amministrativa.

La modifica alla lettera c) dell’articolo 96-bis, comma 1-bis precisa che, ai fini della valutazione dei costi dell’intervento del sistema di garanzia in operazioni di cessione di attività, passività, aziende, rami d'azienda, beni e rapporti giuridici individuabili in blocco, gli oneri che il sistema dovrebbe sostenere per il rimborso dei depositi debba essere calcolato al netto di quanto esso recupererebbe dalla banca in liquidazione per il credito per il quale gode di preferenza ai sensi dell’articolo 91, comma 1-bis, lett. b), n. 2.

 

L’articolo 91, comma 1-bis, lett. b), n. 2 del TUB prevede che, in fase di ripartizione dell’attivo, siano soddisfatti con preferenza rispetto ai crediti chirografari, anche privilegiati, i crediti vantati dai sistemi di garanzia dei depositanti a seguito della surroga nei diritti e negli obblighi dei depositanti protetti.

 

Secondo quanto riportato dalla relazione illustrativa, l’intervento è volto a porre rimedio al rilievo concernente il non corretto recepimento dell’articolo 11, paragrafo 6, della direttiva, che specifica espressamente che il sistema di garanzia per finanziare misure volte a preservare l’accesso dei depositanti ai depositi coperti sia responsabile solo per l'importo netto dell’indennizzo dei depositi.

 

L’articolo 1, comma 1, lettera c), modificata in termini formali nel corso dell’esame in Senato, infine interviene sull’articolo 96-bis1, che concerne i depositi ammissibili al rimborso e l’ammontare massimo rimborsabile.

 

In dettaglio la prima modifica al comma 1 dell’articolo 96-bis1 estende anche all’ipotesi di dichiarazione di mancato rimborso dei depositi, di cui al nuovo comma 01 dell’articolo 96-bis.2, l’ammissibilità al rimborso dei crediti che possono essere fatti valere nei confronti della banca in liquidazione coatta amministrativa, alle medesime condizioni.

La seconda modifica è effettuata al comma 5 dell’articolo 96-bis1, che disciplina le modalità di calcolo delle somme ai fini del rispetto del limite massimo di centomila euro previsto dal comma 3 della medesima disposizione.

In primo luogo si prevede, modificando la lettera c) del comma 5, che qualora sia possibile la compensazione con debiti che il depositante ha con la banca debba prendersi in considerazione, ai fini del calcolo del limite sopra indicato, “l’ammontare complessivo del deposito”.

Pertanto, la compensazione deve essere fatta con riferimento all’intero importo di cui è creditore il depositante, comprendendosi quindi anche la parte eventualmente eccedente i centomila euro.

In tal modo viene recepita l’osservazione della Commissione in merito al corretto recepimento dell’articolo 7 della direttiva (UE) 2014/49 sui sistemi di garanzia dei depositi, che richiedeva che venisse preso in considerazione l’importo cumulato degli attivi del depositante (e non quello rimborsabile) da cui applicare la deduzione delle passività del depositante. Ciò produce un effetto favorevole per il depositante stesso, elevando la base su cui è calcolata la quota compensabile

La seconda modifica estende anche all’ipotesi di dichiarazione di mancato rimborso dei depositi, di cui al nuovo comma 01 dell’articolo 96-bis.2, gli effetti della medesima lettera c) fissando alla data nella quale si produrranno gli effetti della dichiarazione di mancato rimborso dei depositi, il momento nel quale debba verificarsi la sussistenza dell’esigibilità dei crediti nei confronti del depositante.

 

Per un approfondimento relativo al contenuto della direttiva (UE) 2014/49, recepita con il decreto legislativo n. 30 del 2016, si rinvia al dossier predisposto in sede di parere parlamentare sull’atto del Governo 241.

 

Si segnala infine che lo scorso 18 aprile la Commissione europea ha presentato un pacchetto di misure per riformare il quadro dell'UE per la gestione delle crisi bancarie e l'assicurazione dei depositi.

Il pacchetto include anche una proposta di direttiva (non ancora tradotta in italiano) volta a modificare la direttiva 2014/49/UE relativa ai sistemi di garanzie dei depositi, per il cui incompleto recepimento è aperto il caso EU-Pilot 2021/10083/FISMA in oggetto.

Il livello di copertura di 100 mila euro per depositante e per banca, fissato nella direttiva 2014/49/UE, viene mantenuto per tutti i depositanti dell'UE ammissibili; tuttavia, la proposta estende la tutela dei depositanti agli enti pubblici (per esempio ospedali, scuole, comuni), nonché al denaro dei clienti depositato in determinati tipi di fondi dei clienti (per esempio da società di investimento, istituti di pagamento, istituti di moneta elettronica). La proposta comprende tra l’altro ulteriori misure volte ad armonizzare la protezione dei saldi di conto bancario temporaneamente elevati, quando superano 100 mila euro in ragione di particolari eventi della vita (come le successioni o gli indennizzi assicurativi).

La proposta intende altresì migliorare la qualità delle informazioni fornite ai cittadini in merito alla protezione dei loro depositi attraverso l'istituzione di una scheda informativa armonizzata paneuropea, nonché migliorare l’efficienza del sistema in caso di un rimborso di tutti i depositanti coperti.

 

 


Articolo 1-bis
(Disposizioni transitorie in materia di crisi d’impresa)

 

 

L’articolo 1-bis, in attesa di un intervento più strutturale sul Codice della crisi d’impresa, introduce una disciplina transitoria dell’omologazione degli accordi di ristrutturazione anche in assenza di adesione da parte dell’amministrazione finanziaria o degli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatorie.

 

La disposizione, introdotta nel corso dell’esame in Commissione, alla luce delle prime applicazioni del Codice della crisi d’impresa (d.lgs. n. 14 del 2019) e al fine di evitare rilevanti effetti finanziari negativi sulla finanza pubblica, nel prevedere che, fino alla data di entrata in vigore del decreto legislativo integrativo o correttivo dell’articolo 63 del Codice stesso, per i creditori pubblici non aderenti non si applichino le disposizioni di cui all’ultimo periodo del comma 2 e di cui al comma 2-bis del predetto articolo 63 in materia di accordi di ristrutturazione, detta la disciplina transitoria da adottare nel medesimo periodo.

 

Il Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza (art. 63 D.Lgs. 14/2019, di seguito il “Codice”), entrato in vigore il 15 luglio 2022, nel solco di quanto già prevedeva la legge fallimentare, regola la transazione di crediti tributari e contributivi. La disciplina della transazione dei crediti contributivi e tributari (art. 63 del Codice) prevede che il debitore possa proporre il pagamento, parziale o anche dilazionato, dei tributi e dei relativi accessori amministrati dalle agenzie fiscali (Agenzia delle Entrate; Agenzia del Demanio; Agenzia delle Dogane e dei Monopoli; Agenzia delle Entrate-Riscossione) e dei contributi amministrati dagli enti gestori di forme di previdenza, assistenza e assicurazione per l'invalidità, la vecchiaia e i superstiti obbligatorie e dei relativi accessori (in buona sostanza INPS e INAIL). Il Codice disciplina anche per i crediti tributari e contributivi, l'accesso agli strumenti stragiudiziali e consente, in presenza di determinate condizioni, l'omologazione degli accordi anche in mancanza di adesione da parte degli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatorie o delle amministrazioni fiscali interessate.

Un ruolo centrale ai fini della transazione dei crediti contributivi e tributari lo svolge il professionista indipendente, il quale deve dare contezza della convenienza del trattamento proposto rispetto a quello che ne deriverebbe dalla liquidazione giudiziale, allo scopo di consentire al tribunale l'omologa degli accordi in ipotesi della mancata pronuncia favorevole da parte degli enti previdenziali.

Per dare efficacia alla transazione dei crediti suddetti è prevista l'omologazione forzosa (cd. cram down: articolo 63, comma 2- bis, del Codice), ovvero il tribunale omologa gli accordi di ristrutturazione anche in mancanza di adesione da parte degli enti previdenziali interessati:

La transazione è risolta di diritto se entro 60 giorni dalle scadenze previste il debitore non esegue integralmente i pagamenti dovuti agli enti.

 

Il comma 2 prevede quindi una serie di condizioni che devono ricorrere congiuntamente affinché il tribunale proceda all’omologazione degli accordi di ristrutturazione, anche in mancanza di adesione da parte dell’amministrazione finanziaria o degli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatorie.

 

La disposizione contempla le seguenti condizioni:

 

a) gli accordi non hanno carattere liquidatorio;

 

b) l’adesione è determinante ai fini del raggiungimento delle percentuali di cui agli articoli 57, comma 1 (60 per cento dei crediti), e 60, comma 1, (30 per cento dei crediti, rectius percentuale di cui all’articolo 57, comma 1, ridotta della metà) dello stesso Codice della crisi d’impresa;

 

c) il credito complessivo vantato dagli altri creditori aderenti agli accordi di ristrutturazione è pari ad almeno un quarto dell’importo complessivo dei crediti;

 

d) la proposta di soddisfacimento dell’amministrazione finanziaria o dei

predetti enti, tenuto conto delle risultanze della relazione del professionista indipendente, è conveniente rispetto alla alternativa liquidatoria e tale circostanza costituisce oggetto di specifica valutazione da parte del tribunale in sede di omologa;

 

e) il soddisfacimento dei crediti dell’amministrazione finanziaria e degli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatorie è almeno pari al trenta per cento dell’ammontare dei rispettivi crediti, sanzioni e interessi inclusi.

 

Al comma 3, dispone che se l’ammontare complessivo dei crediti vantati dagli altri creditori aderenti agli accordi di ristrutturazione sia inferiore a un quarto dell’importo complessivo dei crediti, la disciplina testé illustrata possa trovare applicazione, se la percentuale di soddisfacimento dei crediti dell’amministrazione finanziaria e degli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatorie non sia inferiore al quaranta per cento dell’ammontare dei rispettivi crediti, sanzioni e interessi inclusi, e la dilazione di pagamento richiesta non ecceda il periodo di dieci anni.

 

A ben vedere quindi i commi 2 e 3 individuano due differenti soglie che segnano i limiti di soddisfazione dei crediti dell’amministrazione finanziaria e previdenziale nelle transazioni fiscali innestate in accordi di ristrutturazione.

         

I commi 4 e 5 dettano alcune disposizioni tecniche con riguardo al procedimento di omologazione. Nel dettaglio, ai sensi del comma 4, in caso di deposito della domanda di omologazione di accordi di ristrutturazione, con annessa transazione fiscale, il debitore è tenuto ad avvisare dell’iscrizione della domanda nel registro delle imprese l’amministrazione finanziaria e gli enti gestori di forme di previdenza e assistenza obbligatorie, competenti sulla base dell’ultimo domicilio fiscale dell’istante, a mezzo PEC. Il termine di cui all’articolo 48, comma 4, del Codice della crisi dimpresa decorre, per l’amministrazione finanziaria e gli enti gestori di forme di previdenza e assistenza obbligatorie, dalla ricezione dell’avviso.

 

Ai sensi del comma 4 dell’articolo 48, quando è depositata una domanda di omologazione di accordi di ristrutturazione, i creditori e ogni altro interessato possono proporre opposizione con memoria depositata entro trenta giorni dall'iscrizione della domanda nel registro delle imprese. Il tribunale fissa l'udienza in camera di consiglio per la comparizione delle parti e del commissario giudiziale, se nominato, disponendo che il provvedimento sia comunicato, a cura del debitore, al commissario giudiziale, ai creditori e ai terzi che hanno proposto opposizione. Il tribunale, assunti i mezzi istruttori richiesti dalle parti o disposti d'ufficio, anche delegando uno dei componenti del collegio, e sentito il commissario giudiziale, omologa con sentenza gli accordi.

 

Il comma 5 fissa il termine entro cui debba intervenire l’eventuale adesione alla proposta di transazione in novanta giorni.

 

Infine, il comma 6 prevede che la disciplina transitoria introdotta si applichi retroattivamente anche alle proposte di transazione fiscale depositate in data successiva all’entrata in vigore del presente decreto.

La direttiva (UE) 2019/1023, del 20 giugno 2019 - alla quale è stata data attuazione nel nostro ordinamento con il decreto legislativo n. 83 del 2022 - è volta a contribuire al corretto funzionamento del mercato interno nonché a eliminare gli ostacoli all'esercizio delle libertà fondamentali, quali la libera circolazione dei capitali e la libertà di stabilimento, che derivano dalle differenze tra le legislazioni e procedure nazionali in materia di ristrutturazione preventiva, insolvenza, esdebitazione e interdizioni.

 

L’obiettivo principale della direttiva, il cui testo è suddiviso in sei Titoli, è quello di garantire «alle imprese e agli imprenditori sani che sono in difficoltà finanziarie la possibilità di accedere a quadri nazionali efficaci in materia di ristrutturazione preventiva che consentano loro di continuare a operare, agli imprenditori onesti insolventi o sovraindebitati di poter beneficiare di una seconda opportunità mediante l'esdebitazione dopo un ragionevole periodo di tempo, e a conseguire una maggiore efficacia delle procedure di ristrutturazione, insolvenza ed esdebitazione, in particolare attraverso una riduzione della loro durata» (Considerando n. 1).

Per conseguire tale risultato, la direttiva (art. 1) individua tre settori di intervento:

·     quadri di ristrutturazione preventiva per il debitore che versa in difficoltà finanziarie e per il quale sussiste una probabilità di insolvenza, al fine di impedire l'insolvenza;

·     procedure che portano all'esdebitazione dai debiti contratti dall'imprenditore insolvente;

·     misure per aumentare l'efficienza delle procedure di ristrutturazione, insolvenza ed esdebitazione.

 Sempre nel quadro del Titolo I, che contiene le disposizioni generali, la direttiva (art. 3) impegna gli Stati membri a favorire l’accesso dei debitori a uno o più strumenti di allerta precoce chiari e trasparenti in grado di individuare situazioni che potrebbero comportare la probabilità di insolvenza e di segnalare al debitore la necessità di agire prontamente.

Gli strumenti di allerta precoce possono includere:

·     meccanismi di allerta nel momento in cui il debitore non abbia effettuato determinati tipi di pagamento;

·     servizi di consulenza forniti da organizzazioni pubbliche o private;

·     incentivi a norma del diritto nazionale rivolti a terzi in possesso di informazioni rilevanti sul debitore, come i contabili e le autorità fiscali e di sicurezza sociale, affinché segnalino al debitore gli andamenti negativi.

Inoltre, gli Stati membri devono introdurre norme finalizzate a consentire che sia i debitori che i rappresentanti dei lavoratori abbiano accesso a informazioni aggiornate sugli strumenti di allerta precoce disponibili, come pure sulle procedure di ristrutturazione e di esdebitazione.

E’ consentito agli Stati membri di introdurre una disciplina tesa a fornire sostegno ai rappresentanti dei lavoratori nella valutazione della situazione economica del debitore, allo scopo di assumere in maniera consapevole le iniziative ritenute più utili per la tutela dei crediti da lavoro dipendente.

 Il Titolo II contiene disposizioni concernenti i quadri di ristrutturazione preventiva. In particolare, gli Stati membri (art. 4) devono provvedere affinché, qualora sussista una probabilità di insolvenza, il debitore abbia accesso a un quadro di ristrutturazione preventiva che gli consenta la ristrutturazione del debito, al fine di impedire l'insolvenza, tutelare i posti di lavoro e preservare l'attività imprenditoriale.

Gli Stati membri provvedono altresì (artt 5-7) affinché il debitore che accede alle procedure di ristrutturazione preventiva:

·     mantenga il controllo totale o almeno parziale dei suoi attivi e della gestione corrente dell'impresa.

·     possa beneficiare della sospensione delle azioni esecutive individuali al fine di agevolare le trattative sul piano di ristrutturazione nel contesto di un quadro di ristrutturazione preventiva.

Norme specifiche sono dedicate:

·     al contenuto del piano di ristrutturazione con particolare riferimento: all’identità del debitore; alle sue attività e passività al momento della presentazione del piano, compreso il valore delle attività; a una descrizione della situazione economica del debitore e della posizione dei lavoratori; alle parti interessate, denominate individualmente o descritte mediante categorie di debiti a norma del diritto nazionale e ai relativi crediti o interessi coperti dal piano di ristrutturazione; ai valori rispettivi dei crediti e degli interessi di ciascuna classe (art. 8);

·     alle procedure di adozione del piano, prevedendosi che lo stesso sia adottato dalle parti interessate purché in ciascuna classe sia ottenuta la maggioranza dell'importo dei crediti o degli interessi. Inoltre gli Stati membri possono richiedere che in ciascuna classe sia ottenuta la maggioranza del numero di parti interessate (art.9);

·     all’omologazione dello stesso (art. 10).

In particolare l'omologazione del piano di ristrutturazione da parte dell'autorità giudiziaria o amministrativa serve per garantire che la riduzione dei diritti dei creditori o delle quote dei detentori di strumenti di capitale sia proporzionata ai benefici della ristrutturazione e che tali soggetti abbiano accesso a un ricorso effettivo.

L'omologazione è particolarmente necessaria quando:

·     vi siano parti interessate dissenzienti;

·     il piano di ristrutturazione contenga disposizioni su nuovi finanziamenti;

·     il piano comporti una perdita di più del 25 % della forza lavoro.

L'omologazione di un piano che comporti una perdita di più del 25 % della forza lavoro dovrebbe essere necessaria solo se il diritto nazionale ammette che i quadri di ristrutturazione preventiva prevedano misure aventi effetti diretti sui contratti di lavoro.

Disposizioni ulteriori (artt. 17-18) concernono l’obbligo per Stati membri di provvedere affinché i nuovi finanziamenti e i finanziamenti temporanei siano adeguatamente tutelati, così come le altre operazioni connesse alla ristrutturazione.

Sono inoltre previsti obblighi (art. 19) a carico dei dirigenti qualora sussista una probabilità di insolvenza. In particolare gli stessi devono tenere conto come minimo dei seguenti elementi: gli interessi dei creditori, e dei detentori di strumenti di capitale e degli altri portatori di interessi; la necessità di prendere misure per evitare l'insolvenza; la necessità di evitare condotte che, deliberatamente o per grave negligenza, mettono in pericolo la sostenibilità economica dell'impresa.

 

Il Titolo III (artt. 20-24) è dedicato alle esdebitazioni e alle interdizioni e contiene disposizioni volte a ridurre gli effetti negativi del sovraindebitamento o dell'insolvenza sugli imprenditori che sono persone fisiche, in particolare consentendo l'esdebitazione integrale dai debiti dopo un certo periodo di tempo e limitando la durata dei provvedimenti di interdizione emessi a causa del sovraindebitamento o dell'insolvenza del debitore.

In particolare gli Stati membri provvedono affinché:

·     il periodo trascorso il quale l'imprenditore insolvente può essere liberato integralmente dai propri debiti non sia superiore a tre anni a decorrere al più tardi: nel caso di una procedura che comprende un piano di rimborso, dalla data della decisione adottata da un’autorità giudiziaria o amministrativa per l'omologazione del piano o dalla data d'inizio dell'attuazione del piano; oppure nel caso di qualsiasi altra procedura, dalla data della decisione adottata dall'autorità giudiziaria o amministrativa per l'apertura della procedura o dalla determinazione della massa fallimentare dell'imprenditore.

·     qualora l'imprenditore insolvente ottenga l'esdebitazione, qualsiasi interdizione dall'accesso a un’attività commerciale, imprenditoriale, artigianale o professionale e dal suo esercizio per il solo motivo dell'insolvenza dell'imprenditore cessi di avere effetto, al più tardi, alla scadenza dei termini per l'esdebitazione

·     alla scadenza dei termini per l'esdebitazione, l'interdizione cessi di avere effetto senza necessità di rivolgersi all'autorità giudiziaria o amministrativa.

Sono inoltre previste specifiche deroghe alle regole comuni sulle esdebitazioni, in forza delle quali gli Stati membri mantengono o introducono disposizioni che negano o limitano l'accesso all'esdebitazione o che revocano il beneficio di tale esdebitazione o che prevedono termini più lunghi per l'esdebitazione integrale dai debiti o periodi di interdizione più lunghi quando, nell'indebitarsi, durante la procedura di insolvenza o il pagamento dei debiti, l'imprenditore insolvente ha agito nei confronti dei creditori o di altri portatori di interessi in modo disonesto o in malafede ai sensi del diritto nazionale, fatte salve le norme nazionali sull'onere della prova.

Inoltre è data la possibilità agli Stati membri di mantenere o introdurre disposizioni che negano o limitano l'accesso all'esdebitazione, revocano il beneficio dell’esdebitazione, o prevedono termini più lunghi per l'esdebitazione integrale o periodi di interdizione più lunghi in determinate circostanze ben definite e nei casi in cui tali deroghe siano debitamente giustificate.

Il Titolo IV contiene le misure comuni per aumentare l’efficienza delle procedure di ristrutturazione preventiva, di insolvenza e di esdebitazione. Al riguardo (artt. 25 e 26) si stabilisce che le normative nazionali dovranno assicurare che le autorità giudiziarie e amministrative, come pure i professionisti che si occupano delle procedure di ristrutturazione, insolvenza ed esdebitazione, «ricevano una formazione adeguata e possiedano le competenze necessarie per adempiere alle loro responsabilità».

Inoltre, le procedure tese alla nomina, alla revoca e alle dimissioni dei professionisti debbono essere «chiare, trasparenti ed eque», tenendo conto delle esperienze e competenze maturate da questi ultimi, nonché delle specificità del caso; la direttiva inoltre al fine di evitare il permanere di una qualsiasi situazione di conflitto di interessi, consente sia ai debitori che ai creditori di opporsi alla scelta o alla nomina del professionista, ovvero di chiederne la sostituzione quando si verifichi una tale evenienza.

Gli Stati membri devono altresì introdurre norme tese a garantire che il lavoro dei professionisti sia adeguatamente vigilato dall’autorità giudiziaria o amministrativa, in modo da assicurarne l’efficacia e la competenza, oltre che la sua imparzialità e indipendenza; per raggiungere tale obbiettivo è prevista espressamente la possibilità di avviare azioni di responsabilità nei confronti dei professionisti che non abbiano adempiuto ai propri obblighi.

Quanto ai compensi spettanti ai professionisti, la remunerazione dovrà essere regolamentata in modo da raggiungere l’obiettivo di espletare in modo efficiente le procedure, mentre devono essere istituite procedure adeguate per risolvere le eventuali controversie sui compensi liquidati ai professionisti. Un ulteriore mezzo individuato dalla direttiva per rendere più efficienti le procedure di ristrutturazione, insolvenza ed esdebitazione all’interno degli Stati europei, si fonda sulla generalizzata informatizzazione dei depositi e delle notifiche degli atti; si dispone infatti (art. 28) che gli Stati membri assicurino a tutte le parti coinvolte nelle procedure concorsuali di utilizzare i moderni strumenti telematici per depositare le domande di insinuazione al passivo, dei piani di ristrutturazione o di quelli di rimborso, nonché per presentare le contestazioni e le impugnazioni da parte dei creditori e per eseguire le notifiche di rito ai creditori.

 

Il Titolo V è dedicato al monitoraggio delle procedure di ristrutturazione, insolvenza ed esdebitazione, con particolare riguardo alla raccolta e conservazione dei dati (art. 29).

 

Il Titolo VI contiene le disposizioni finali.

La direttiva è entrata in vigore il 16 luglio 2019 e gli Stati membri hanno avuto tempo fino al 17 luglio 2021 per adottare le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla normativa comunitaria. Peraltro, la stessa Direttiva, all’art. 34, par. 2, ha consentito agli Stati membri che avessero dovuto incontrare particolari difficoltà nell'attuazione della direttiva, di beneficiare a richiesta di una proroga di un anno.

 


Articolo 2
(Imposta di registro-Procedura di infrazione 2014/4075)

 

L’articolo 2 modifica i criteri necessari per avvalersi dell’imposta di registro agevolata (aliquota del 2 per cento) per gli atti traslativi a titolo oneroso della proprietà di case di abitazione non di lusso e agli atti traslativi o costitutivi della nuda proprietà, dell'usufrutto, dell'uso e dell'abitazione relativi alle stesse, previsti per gli acquirenti che si sono trasferiti all'estero per ragioni di lavoro.

 

Con la procedura di infrazione 2014/4075 sono stati sollevati dubbi in ordine alla previsione di cui all'articolo 1 della tariffa, parte prima, allegata al testo unico delle disposizioni concernenti l'imposta di registro (decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131), nota II-bis), comma 1, lettera a), nella parte in cui prevede l’applicazione dell’aliquota agevolata dell’imposta di registro al 2 per cento (analoga a quella prevista per l’acquisto della prima casa di residenza) se l’acquirente, cittadino italiano, si è trasferito all'estero per ragioni di lavoro (anche se non elegge la residenza nel comune ove tale immobile è ubicato).

 

La Commissione ravvisa, in tale trattamento differenziato applicato al cittadino di altro Stato UE, una discriminazione fondata sulla nazionalità (art. 18 TFUE). Inoltre, - considerando l'acquisto della proprietà immobiliare una forma di "stabilimento" - la Commissione ravvisa, nella fattispecie, la violazione della "libertà di stabilimento" di cui all'art. 49 TFUE, in base alla quale le possibilità di stabilimento, in ogni Stato UE, debbono essere le stesse e per gli operatori "interni" a tale Stato e per quelli "transfrontalieri”.

 

La modifica in esame, comma 1, rispondendo ai rilievi della Commissione, sopprime pertanto l’individuazione soggettiva dell’agevolazione, ovvero la qualifica di cittadino italiano emigrato all'estero, legandola ad un criterio oggettivo non legato più alla cittadinanza.

In particolare, la norma modifica la disposizione nella parte in cui prevede che l’aliquota agevolata si applica anche all’acquirente di un immobile trasferitosi all'estero per ragioni di lavoro, nel territorio del comune in cui ha sede o esercita l'attività il soggetto da cui dipende ovvero, nel caso in cui l'acquirente sia cittadino italiano emigrato all'estero, che l'immobile sia acquistato come prima casa sul territorio italiano. Con le nuove norme introdotte l’aliquota agevolata si applica se l’acquirente si è trasferito all'estero per ragioni di lavoro e abbia risieduto o svolto la propria attività in Italia per almeno cinque anni, nel comune di nascita o in quello in cui aveva la residenza o svolgeva la propria attività prima del trasferimento.

 

Nella Relazione illustrativa il Governo specifica che essendo stata contestata l’individuazione soggettiva dell’agevolazione, in quanto non risulta sufficientemente identificato lo status di migrante che non potrebbe essere collegato alla cittadinanza italiana, viene pertanto previsto che dell’agevolazione possano godere anche soggetti con un legame con l’Italia di natura lavorativa (svolgimento di attività lavorativa per almeno 5 anni), pur essendo stati costretti ad allontanarsene per motivi lavorativi. L’agevolazione viene in tal modo ancorata a un criterio oggettivo svincolandola dal criterio di cittadinanza, oggetto della contestazione. L’agevolazione inoltre non sarebbe fruibile su tutto il territorio nazionale ma in un comune con cui si manifesta un vincolo, individuato dalla nascita, residenza o attività lavorativa.

 

Il comma 2 provvede alla copertura finanziaria stabilendo che agli oneri derivanti dal comma 1, valutati in 10,95 milioni di euro per l’anno 2023 e 21,9 milioni di euro a decorrere dall’anno 2024, si provvede ai sensi dell’articolo 26 (alla cui scheda di lettura si rimanda).


Articolo 3
(Modifiche al decreto legislativo 27 gennaio 2010, n. 39 in materia di revisioni legali dei conti annuali e dei conti consolidati. Procedura di infrazione 2021/2170)

 

 

L’articolo 3, al fine della risoluzione della procedura di infrazione 2021/2170, in tema di mancato recepimento di disposizioni UE in materia di revisione contabile, consente alla Consob di trasmettere alle autorità competenti di un paese terzo:

-  carte di lavoro o altri documenti detenuti da legali o da imprese di revisione contabile abilitati in Italia;

- relazioni su ispezioni o indagini relative alle revisioni contabili.

La trasmissione di tali dati può avvenire a condizione che vengano rispettati i requisiti specificamente previsti dalla normativa europea e nel rispetto delle disposizioni sul trattamento dei dati personali contenute nel regolamento GDPR.

 

 

L’articolo 3 apporta modifiche al decreto legislativo 27 gennaio 2010, n. 39 in materia di revisioni legali, conti annuali e conti consolidati, al fine della risoluzione della procedura di infrazione 2021/2170.

Il Governo, nella relazione illustrativa, evidenzia che tali modifiche scaturiscono dall’esigenza di conformare il diritto nazionale alle osservazioni formulate dalla Commissione europea nell’ambito della procedura di infrazione 2021/2170, con la quale è stato contestato all’Italia l’incompleto recepimento della direttiva 2014/56/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 aprile 2014, che modifica la direttiva 2006/43/CE relativa alle revisioni legali dei conti annuali e dei conti consolidati.

 

Il Parlamento europeo ed il Consiglio dell’Unione europea hanno approvato, rispettivamente il 3 ed il 14 aprile 2014, la riforma della revisione legale dei bilanci d’esercizio e consolidati attraverso l’adozione dei seguenti atti:

- la direttiva 2014/56/UE, che modifica la direttiva 2006/43/CE relativa alle revisioni legali dei conti annuali e dei conti consolidati;

- il regolamento (UE) n. 537/2014 del 16 aprile 2014 sui requisiti relativi alla revisione legale dei conti di enti di interesse pubblico e che abroga la decisione 2005/909/CE della Commissione.

La 'direttiva revisione' contiene una serie di misure applicabili alla generalità delle revisioni contabili, nonché alcune previsioni, riguardanti il comitato per il controllo interno e la revisione contabile, applicabili esclusivamente agli enti di interesse pubblico. Il regolamento prevede ulteriori e più stringenti regole applicabili unicamente alle revisioni dei bilanci dei citati enti.

Il termine di recepimento è il 17 giugno 2016; l’Italia ha recepito nell’ordinamento la normativa UE attraverso l’adozione del decreto legislativo n. 135 del 17 luglio 2016.

In estrema sintesi, la direttiva 2014/56/UE modifica anzitutto alcune definizioni rilevanti contenuti nella normativa previgente.

Quanto al riconoscimento delle imprese di revisione contabile, essa introduce alcune deroghe alla disciplina generale relativa all’abilitazione dei revisori, che opera per le società di revisione già abilitate in uno Stato membro che intendano effettuare revisioni presso uno Stato membro diverso da quello di origine.

Le norme UE hanno previsto l’introduzione del concetto di 'scetticismo professionale', locuzione con cui si intende un atteggiamento, da adottare durante tutto il corso della revisione legale, caratterizzato da un approccio dubitativo, attento alle condizioni che possano indicare possibili errori dovuti a comportamenti o eventi non intenzionali o a frodi e una valutazione critica degli elementi probativi.

Per quanto attiene alle regole sull’indipendenza, la direttiva in commento contiene, per alcuni aspetti, un grado di dettaglio maggiore rispetto alla previgente normativa, anche se i requisiti fondamentali rimangono sostanzialmente invariati. Particolare attenzione viene posta sulla posizione dell’ex revisore assunto dalla società revisionata; la direttiva vieta al revisore o al responsabile della revisione, prima che sia trascorso almeno un anno dalla cessazione delle sue attività in qualità di revisione (2 anni nel caso di revisione di un ente di interesse pubblico), di assumere specifiche funzioni presso l’ente revisionato. Viene concesso poi agli Stati membri di prevedere disposizioni semplificate per le revisioni delle piccole imprese.

Inoltre la direttiva ha introdotto regole relative all’organizzazione interna del revisore o società di revisione e del suo lavoro.

Le norme europee hanno confermato il meccanismo di adozione dei princìpi di revisione internazionali da parte della Commissione europea.

Rinviando alle regole più specifiche contenute nei princìpi di revisione internazionali, sono poi elencati i requisiti minimi della relazione di revisione.

Altro elemento di novità rispetto al passato è l’ipotesi della revisione congiunta, effettuata da più di un revisore o società di revisione (c.d. joint audit).

Le norme europee hanno poi introdotto il concetto di proporzionalità dei controlli di qualità rispetto alla complessità dell’attività di revisione o della società di revisione o dell’ente revisionato. Sono state poi introdotte ulteriori specifiche relative ai criteri per la selezione dei soggetti incaricati di eseguire le verifiche di qualità, finalizzate a garantire l’assenza di conflitti di interesse tra gli stessi e il revisore o la società di revisione da sottoporre a verifica.

È stata poi ampliata la disciplina relativa alle indagini e sanzioni; in particolare, sono state previste misure e sanzioni amministrative minime, graduate in relazione alla gravità della violazione; sono state disciplinate le modalità di pubblicazione delle sanzioni comminate, nonché introdotti meccanismi di segnalazione delle violazioni alle autorità competenti.

Oltre agli incarichi specifici, la direttiva ha introdotto esplicitamente l’opzione per gli Stati membri di delegare, o consentire all’autorità competente di delegare, i propri compiti ad altre autorità o organismi designati o altrimenti autorizzati dalla legge a svolgere tali compiti. Inoltre, la direttiva ha previsto il divieto di clausole contrattuali che possono in ogni modo limitare o condizionare la scelta, da parte dell’assemblea, di uno specifico revisore o società di revisione.

In materia di revoca del revisore o società di revisione di un ente di interesse pubblico, la direttiva del 2014 ha disposto la facoltà in capo agli azionisti che rappresentano il 5% del capitale sociale o alle autorità competenti di adire un giudice nazionale per la revoca del revisore o società di revisione.

Per ulteriori informazioni sulla direttiva e sulle norme di recepimento in Italia, si rinvia al dossier di documentazione predisposto in occasione della presentazione dello schema di decreto legislativo (A.G. 295 della XVII Legislatura).

 

A seguito dell’avvio della procedura d’infrazione, la Commissione europea ha adottato un parere motivato ex articolo 258 TFUE, nel quale è segnalato, tra l’altro, il mancato recepimento dell’articolo 47, paragrafo 1, frase introduttiva e lettera a), paragrafo 2, lettera b-bis) e lettera d), secondo e terzo trattino, della direttiva 2006/43/CE sulla revisione legale, come modificata dalla direttiva 2014/56/UE.

 

L’articolo 47, al primo paragrafo, consente agli Stati membri di autorizzare la trasmissione alle autorità competenti di un paese terzo di carte di lavoro o altri documenti detenuti da revisori legali o da imprese di revisione contabile da loro abilitati, e di relazioni su ispezioni o indagini relative alle revisioni in esame, a specifiche condizioni. Tra le condizioni previste dalla norma vi è quella che le carte di lavoro o altri documenti richiesti riguardino la revisione dei conti di società che hanno emesso valori mobiliari in tale paese terzo o che fanno parte di un gruppo che presenta il bilancio consolidato nel paese terzo in questione.

Il paragrafo 2 dell’articolo 47 prevede che gli accordi di cooperazione sottoscritti a tal fine, basati sulla reciprocità tra le autorità competenti interessate, devono garantire vari requisiti, tra cui:

-        che non sia compromessa la protezione degli interessi commerciali dell'ente sottoposto a revisione, inclusi i diritti di proprietà industriale e intellettuale (lettera b-bis));

-        che sia possibile rifiutare di soddisfare la richiesta dell'autorità competente del paese terzo, qualora (tra l’altro) sia già stato avviato un procedimento giudiziario per gli stessi fatti e contro le stesse persone dinanzi alle autorità dello Stato membro destinatario della richiesta, o qualora le autorità competenti dello Stato membro destinatario della richiesta abbiano già pronunciato una sentenza definitiva per gli stessi fatti e a carico degli stessi revisori legali o delle stesse imprese di revisione contabile (lettera d), secondo e terzo trattino).

 

Il Governo, al riguardo, riferisce che nel parere motivato viene rilevato che, benché gli scambi con le autorità dei paesi terzi siano consentiti dalla legislazione nazionale (ai sensi dell’articolo 33 del decreto legislativo 27 gennaio 2010, n. 39) le menzionate prescrizioni della direttiva sono recepite solo in parte nel medesimo articolo 33 del decreto legislativo 27 gennaio 2010, n. 39, che individua, al comma 1, la Consob quale autorità competente a prestare la cooperazione internazionale.

La Commissione rammenta che ciò è stato confermato dalla risposta delle autorità italiane alla lettera di costituzione in mora.

Ritiene pertanto che il diritto nazionale non definisca le condizioni stabilite per tali scambi dall’articolo 47 paragrafo 1, frase introduttiva e lettera a), paragrafo 2, lettera b-bis) e lettera d), secondo e terzo trattino della direttiva. Conclude invitando l’Italia ad adottare le misure necessarie per conformarsi al parere motivato entro due mesi dal suo ricevimento.

 

Alla luce di quanto illustrato, le norme in esame inseriscono nell’articolo 33 del decreto legislativo n. 39 del 2010 un nuovo comma 2-bis, volto a recepire integralmente i paragrafi 1 e 2 dell’articolo 47 della direttiva 2006/43/CE modificata dalla direttiva 2014/56/UE, e non per le sole lettere indicate nel parere motivato della Commissione europea.

 

Il richiamato articolo 33 del D. Lgs. n. 39 del 2010 – come anticipato - individua la Consob quale Autorità competente a prestare la cooperazione internazionale nelle materie della revisione legale e come punto di contatto per la ricezione delle richieste di informazione provenienti da autorità competenti di altri Stati membri dell'Unione europea e di Paesi terzi in materia di revisione legale. Si chiarisce che lo svolgimento di indagini nel territorio della Repubblica per conto dell'autorità estera richiedente è soggetto al controllo della Consob o del Ministero dell'economia e delle finanze, secondo le rispettive competenze.

 

Ai sensi del nuovo comma 2-bis, introdotto dalle norme in esame, si consente alla Consob di trasmettere alle autorità competenti di un paese terzo carte di lavoro o altri documenti detenuti da legali o da imprese di revisione contabile abilitati in Italia, e relazioni su ispezioni o indagini relative alle revisioni, a condizione che vengano rispettati i requisiti di cui al già richiamato articolo 47, paragrafo 1, lettere a), b), c) e d), e paragrafo 2 della direttiva 2006/43/CE, così come modificata dalla direttiva 2014/56/UE.

Si precisa che la trasmissione dei dati personali è effettuata ai sensi del regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016 sulla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali e alla libera circolazione di tali dati (regolamento GDPR).

 

La Relazione illustrativa chiarisce che la formulazione del testo deriva dalla comparazione con altri testi normativi di attuazione della direttiva 2006/43/CE come modificata dalla direttiva 2014/56/UE (Belgio, Lussemburgo, Spagna e Germania). Come avvenuto negli altri Paesi membri, il punto e) del paragrafo 1 dell’articolo 47 è stato recepito con riferimento alle analoghe disposizioni vigenti, ovvero al regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016 sulla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali e alla libera circolazione di tali dati.

 

 


Articolo 3-bis
(Modifiche al decreto legislativo 27 maggio 2022, n. 82, recante attuazione della direttiva UE 2019/882 del Parlamento europeo e del. Consiglio, del 17 aprile 2019, sui requisiti di accessibilità dei prodotti e dei servizi. Procedura di infrazione n. 2023/2015)

 

 

L’articolo 3-bis, introdotto nel corso dell’esame in sede referente, reca alcune modifiche al decreto legislativo n. 82 del 2022, relativo all’attuazione della direttiva (UE) 2019/882 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 aprile 2019, sui requisiti di accessibilità dei prodotti e dei servizi, al fine di addivenire alla chiusura della procedura di infrazione n. 2023/2015.

 

A tale riguardo è utile ricordare come la direttiva (UE) 2019/882 (European accessibility act), recepita nel nostro ordinamento con il decreto legislativo di cui sopra, ha lo scopo di contribuire al corretto funzionamento del mercato interno mediante l'armonizzazione dei requisiti di accessibilità per determinati prodotti o servizi immessi sul mercato o forniti ai consumatori dopo il 28 giugno 2025. Per dettagli sulla direttiva, sulle valutazioni d'impatto condotte prima e durante la sua approvazione e sulle consultazioni condotte con i portatori di interesse, si rinvia al sito internet della Commissione europea e al Briefing predisposto dal servizio studi del Parlamento europeo nel 2019. Si tratta di prodotti e servizi destinati a persone con disabilità, il cui numero peraltro - secondo le previsioni - dovrebbe aumentare nell'Unione europea in modo significativo anche in virtù del progressivo invecchiamento della popolazione. Anche altre persone con limitazioni funzionali beneficerebbero della direttiva in titolo, come ad esempio gli anziani, le donne in gravidanza ma anche coloro che viaggiano con bagaglio.

 

Passando quindi alle modifiche apportate dall’articolo in questione al decreto legislativo n. 82 del 2022, si segnala che lo stesso prevede come nei casi di avvio della procedura, a norma dell'articolo 20 della direttiva (11E) 882/2019, da parte dell'autorità di un altro Stato membro, il Ministero delle imprese e del made in Italy comunica senza ritardo alla Commissione e agli altri Stati membri tutte le misure adottate, tutte le altre informazioni a sua disposizione sulla non conformità del prodotto interessato e, in caso di disaccordo con la misura nazionale notificata, le sue obiezioni.


Articolo 4
(Persone da informare nel caso di arresto o fermo di minorenni)

 

 

L’articolo 4 introduce nelle disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni una norma volta a prevedere che, nel caso di arresto o fermo di minorenne, la polizia giudiziaria informi, in luogo dell’esercente la responsabilità genitoriale, altra persona idonea maggiorenne, qualora ciò risulti necessario a salvaguardare il superiore interesse del minore.

 

L’articolo in commento modifica l’articolo 18, comma 1, del DPR 448/1988, recante disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni.

 

Il citato comma 1 prevede che gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria che hanno eseguito l’arresto o il fermo di un minorenne ne diano immediata notizia al pubblico ministero nonché all’esercente la responsabilità genitoriale e all’eventuale affidatario e informino tempestivamente i servizi minorili dell’amministrazione della giustizia.

 

L’articolo in esame aggiunge alle comunicazioni previste dal citato comma, anche la possibilità che sia informata, in luogo dell’esercente la responsabilità genitoriale, un’altra persona idonea maggiorenne, qualora risulti necessario a salvaguardare il superiore interesse del minore.

 

In tal modo, secondo quanto precisato nella relazione illustrativa, viene data attuazione alla direttiva 2013/48/UE (relativa al diritto di avvalersi di un difensore nel procedimento penale e nel procedimento di esecuzione del mandato di arresto europeo, al diritto di informare un terzo al momento della privazione della libertà personale e al diritto delle persone private della libertà personale di comunicare con terzi e con le autorità consolari) e, in particolare, all’art. 5, paragrafo 2, il quale prevede che gli Stati membri garantiscano, nel caso in cui indagato o imputato sia un minore, che il titolare della potestà genitoriale sia informato quanto prima della privazione della libertà personale e dei relativi motivi e che, nel caso in cui ciò sia contrario all’interesse superiore del minore, ne sia informato un altro adulto idoneo.

Il mancato recepimento nell’ordinamento interno dell’art. 5, paragrafo 2 – nella parte in cui prevede che sia informato della privazione della libertà del minore e dei relativi motivi altro adulto idoneo, qualora sia contrario all’interesse superiore del minore informare il titolare della potestà genitoriale - costituiva oggetto della procedura di infrazione n. 2021/2075.

Si segnala che la citata procedura d’infrazione n. 2021/2075 è stata archiviata dalla Commissione europea. Difatti, come riportato dal Governo, “la Commissione europea ha archiviato la procedura di infrazione il 15 febbraio 2023 a seguito dell'impegno assunto dalle autorità italiane a adottare la norma di adeguamento. Pertanto, in caso di mancata adozione della norma, la Commissione aprirebbe una nuova procedura di infrazione”.

 

 

Decreto del Presidente della Repubblica 22 settembre 1988, n. 448

Approvazione delle disposizioni sul processo penale

a carico di imputati minorenni

Art. 18

Provvedimenti in caso di arresto o fermo del minorenne

1. Gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria che hanno eseguito l'arresto o il fermo del minorenne ne danno immediata notizia al pubblico ministero nonché all'esercente la responsabilità genitoriale e all'eventuale affidatario e informano tempestivamente i servizi minorili dell'amministrazione della giustizia.

1. Gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria che hanno eseguito l'arresto o il fermo del minorenne ne danno immediata notizia al pubblico ministero nonché all'esercente la responsabilità genitoriale e all'eventuale affidatario e informano tempestivamente i servizi minorili dell'amministrazione della giustizia. Quando risulta necessario a salvaguardare il superiore interesse del minorenne, in luogo dell’esercente la responsabilità genitoriale, dell’arresto o del fermo è informata altra persona idonea maggiorenne.

2. Quando riceve la notizia dell'arresto o del fermo, il pubblico ministero dispone che il minorenne sia senza ritardo condotto presso un centro di prima accoglienza o presso una comunità pubblica o autorizzata che provvede a indicare. Qualora, tenuto conto delle modalità del fatto, dell'età e della situazione familiare del minorenne, lo ritenga opportuno, il pubblico ministero può disporre che il minorenne sia condotto presso l'abitazione familiare perché vi rimanga a sua disposizione.

Identico.

3. Oltre nei casi previsti dall'articolo 389 del codice di procedura penale, il pubblico ministero dispone con decreto motivato che il minorenne sia posto immediatamente in libertà quando ritiene di non dovere richiedere l'applicazione di una misura cautelare.

Identico.

4. Al fine di adottare i provvedimenti di sua competenza, il pubblico ministero può disporre che il minorenne sia condotto davanti a sé.

Identico.

5. Si applicano in ogni caso le disposizioni degli articoli 390 e 391 del codice di procedura penale.

Identico.

 

 

 


Articolo 5
(Cumulo dei periodi di contribuzione maturati presso organizzazioni internazionali. Caso EU Pilot (2021) 10047-Empl)

 

 

L’articolo 5 modifica la disciplina del computo (su domanda) dei periodi di contribuzione pensionistica maturati, in base a rapporti di lavoro dipendente svolti, nel territorio dell'Unione europea o della Confederazione svizzera [3] , presso organizzazioni internazionali. Tale possibilità - già introdotta [4] , con decorrenza dal 1° gennaio 2016, per il caso in cui il computo sia necessario al fine del conseguimento del diritto alla pensione di vecchiaia o di invalidità o in favore dei superstiti - viene estesa dalla novella di cui al presente articolo 5 all’ipotesi in cui il computo sia necessario per il conseguimento del diritto alla pensione anticipata; restano ferme le altre condizioni previste per il computo e resta fermo che quest’ultimo non ha effetti sulla misura del trattamento pensionistico (il quale è quindi calcolato senza tener conto dei periodi in oggetto). L’articolo 5 provvede altresì alla quantificazione dell’onere finanziario derivante dalla novella in esame e rinvia, per la relativa copertura, alle disposizioni di cui al successivo articolo 26.

 

La possibilità summenzionata di computo - possibilità oggetto dell’estensione di cui al comma 1 del presente articolo 5 - è stata introdotta, con decorrenza, come detto, dal 1° gennaio 2016, in seguito all’apertura della procedura di infrazione n. 2014/4168, avviata con la lettera di messa in mora del 27 febbraio 2015 della Commissione europea; quest’ultimo atto faceva seguito della sentenza della Corte di giustizia dell'Unione europea del 4 luglio 2013 (causa C?233/12). Tale sentenza ha dichiarato incompatibile con il principio [5] sulla libera circolazione dei lavoratori all'interno dell'Unione europea la normativa di uno Stato membro che non consenta almeno una delle seguenti due possibilità: il trasferimento del capitale rappresentativo dei diritti a pensione già maturati in uno Stato membro presso il regime pensionistico dell'organizzazione internazionale interessata; la "considerazione" dei periodi di lavoro svolti presso un'organizzazione internazionale (situata nel territorio di un altro Stato membro), al fine del riconoscimento del "diritto alla pensione di vecchiaia".

La novella di cui al comma 1 del presente articolo 5 - come osservano le relazioni illustrativa e tecnica allegate al disegno di legge di conversione del presente decreto [6] - è introdotta in seguito all’apertura del caso EU Pilot (2021) 10047-Empl, apertura con cui la Direzione generale per l’Occupazione, gli affari sociali e l'inclusione della Commissione europea (con comunicazione del 17 dicembre 2021) ha rilevato la necessità - in base al summenzionato principio sulla libera circolazione dei lavoratori - che il computo in esame sia ammesso anche per il conseguimento del diritto alla pensione anticipata (il testo precedente la novella di cui all’articolo 5 in esame era stato adottato in relazione alla suddetta sentenza - causa C?233/12 -, la quale faceva riferimento al riconoscimento del diritto alla pensione di vecchiaia).

Più in particolare, si ricorda che la possibilità di computo in esame riguarda i soggetti (anche non italiani) iscritti o già iscritti ad una delle forme pensionistiche obbligatorie di base previste nella normativa italiana, ivi comprese quelle gestite da persone giuridiche di diritto privato, a condizione della sussistenza di almeno 52 settimane di contribuzione maturate negli ordinamenti pensionistici interni.

Sono esclusi dalla possibilità di computo: i periodi che si sovrappongano a periodi già riconosciuti negli ordinamenti pensionistici interni (e rientranti tra quelli su cui si basa la domanda di pensione); i periodi che siano stati oggetto di rimborso.

I trattamenti pensionistici derivanti dalla domanda di computo in esame decorrono dal primo giorno del mese successivo a quello di presentazione della domanda medesima ovvero, in caso di pensione ai superstiti, dal primo giorno del mese successivo a quello del decesso del dante causa (decorrenza, quest’ultima, retroattiva).

Resta ferma - in alternativa alla domanda di computo - la possibilità di riscatto - secondo la normativa relativa al riscatto dei periodi di lavoro svolti all'estero [7] - dei periodi contributivi inerenti a rapporti di lavoro presso un'organizzazione internazionale.

Si ricorda inoltre che, in base alla disciplina sul computo in esame, lo scambio di informazioni e notizie in materia con le organizzazioni internazionali può avvenire anche attraverso modalità informatiche; i dati personali trasmessi sono tenuti riservati e possono essere impiegati esclusivamente al fine di applicare la disciplina pensionistica in esame, nel rispetto della normativa in vigore sulla protezione dei dati.

In sede referente si è operata una modifica esclusivamente formale nella novella di cui al comma 1 in esame.

Il successivo comma 2 reca la quantificazione degli oneri a carico della finanza pubblica, derivanti dalla novella di cui al precedente comma 1, rinviando, per la relativa copertura, alle disposizioni di cui al successivo articolo 26 (per gli importi annui degli oneri stimati cfr. il summenzionato comma 2). Restano ferme - come già previsto dalla disciplina oggetto della novella parziale di cui al comma 1 - la clausola di monitoraggio degli oneri e la clausola secondo cui, qualora si verifichino o siano in procinto di verificarsi scostamenti rispetto alle previsioni di spesa, il Ministro dell'economia e delle finanze, sentito il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, provvede con decreto alla riduzione, nella correlata misura necessaria, in via prioritaria del Fondo nazionale per le politiche sociali ed eventualmente del Fondo sociale per occupazione e formazione (tali clausole sono anche richiamate dal comma 2 in oggetto).

 


Articolo 6
(Disposizioni in materia di pubblicità nel settore sanitario. Caso NIF 2020/4008)

 

 

L’articolo 6 reca modifiche alla disciplina legislativa in materia di pubblicità nel settore sanitario, finalizzate a superare le criticità evidenziate dalla Commissione europea nell’ambito del caso NIF 2020/4008, in ordine alla violazione del principio della libera concorrenza.

 

In particolare, è integralmente sostituito l’articolo 1, comma 525, della legge di bilancio 2019 [8] , che prevedeva - nel testo previgente - che le comunicazioni informative da parte delle strutture sanitarie private di cura e degli iscritti agli albi degli Ordini delle professioni sanitarie [9] (in qualsiasi forma giuridica svolgano la loro attività [10] ) potessero contenere unicamente  le informazioni [11] funzionali a garantire la sicurezza dei trattamenti sanitari, escluso qualsiasi elemento di carattere promozionale o suggestivo, nel rispetto della libera e consapevole determinazione del paziente, a tutela della salute pubblica, della dignità della persona e del suo diritto a una corretta informazione sanitaria.

Tale disciplina è stata oggetto di osservazioni della Commissione europea, secondo la quale il divieto di fornire informazioni a carattere promozionale o suggestivo, così come configurato dalla legge di bilancio 2019, sarebbe incompatibile con le norme unionali in tema di diritto di stabilimento e prestazione di servizi.

In base al nuovo testo introdotto dall’articolo in esame, ad essere vietata ai soggetti summenzionati è la veicolazione di elementi a carattere attrattivo e suggestivo, tra cui comunicazioni contenenti offerte, sconti e promozioni, che possano determinare il ricorso improprio a trattamenti sanitari. Viene specificato che le comunicazioni informative devono essere funzionali a garantire il diritto ad una corretta informazione sanitaria; è richiamato inoltre il rispetto della libera e consapevole determinazione dell’assistito, della dignità della persona e del principio di appropriatezza delle prestazioni sanitarie.

Secondo quanto osservato dal Governo in sede di relazione illustrativa, in virtù del nuovo testo in commento è “garantita la proporzionalità delle limitazioni rispetto a quelle informazioni decettive nei confronti del peculiare consumatore a cui si rivolgono, che è di fatto un paziente e quindi un soggetto certamente in asimmetria informativa e di norma in una naturale situazione di debolezza e di necessità”.

Pertanto, la novella appare intesa a vietare solo le comunicazioni aventi concreta idoneità decettiva [12] , mentre in base al testo precedentemente in vigore - come riferito - risultava esclusa la possibilità di fornire qualsiasi elemento di carattere promozionale o suggestivo, a prescindere dal fatto che la relativa comunicazione potesse o meno determinare ricorsi impropri a trattamenti sanitari.

Inoltre, se il testo previgente specificava che le comunicazioni ammesse erano quelle funzionali a garantire la “sicurezza dei trattamenti sanitari”, ora si attribuisce a dette comunicazioni la funzione di garanzia del “diritto ad una corretta informazione sanitaria”, ferme restando le tipologie di informazioni consentite (cfr supra, in nota).

 

Si ricorda che, in caso di violazione delle disposizioni sulle comunicazioni informative sanitarie, spetta agli ordini professionali sanitari territoriali, anche su segnalazione delle rispettive Federazioni, procedere in via disciplinare nei confronti dei professionisti o delle società iscritti e segnalare tali violazioni all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni ai fini dell'eventuale adozione dei provvedimenti sanzionatori di competenza. (cfr art. 1, co. 536, della legge di bilancio 2019).

Si ricorda, inoltre, che una disposizione in tema di libera concorrenza e pubblicità informativa è contenuta nel D.P.R. 7 agosto 2012, n. 137 [13] , che all’art. 4 stabilisce che è ammessa con ogni mezzo la pubblicità informativa avente ad oggetto l'attività delle professioni regolamentate, le specializzazioni, i titoli posseduti attinenti alla professione, la struttura dello studio professionale e i compensi richiesti per le prestazioni, purché tale pubblicità sia funzionale all'oggetto, veritiera e corretta, non in contrasto con l'obbligo del segreto professionale né equivoca, ingannevole o denigratoria.

Si ricorda, altresì, che il già citato art. 2, comma 1, del decreto-legge 223/2006 aveva in precedenza abrogato le disposizioni legislative e regolamentari prevedenti, con riferimento alle attività libero professionali e intellettuali, il divieto, anche parziale, di svolgere pubblicità informativa circa i titoli e le specializzazioni professionali, le caratteristiche del servizio offerto, nonché il prezzo e i costi complessivi delle prestazioni secondo criteri di trasparenza e veridicità del messaggio.

Si ricorda, infine, che la Corte di giustizia dell’Unione europea ha stabilito che l’articolo 56 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE) [14] deve essere interpretato nel senso che osta a una normativa nazionale che vieta “in modo generale e assoluto” ogni tipo di pubblicità relativa a prestazioni di cura (sentenza 4 maggio 2017, terza sezione, causa C-339/15) [15] .


Articolo 7
(Istituzione del Fondo per la individuazione delle aree prioritarie di cui all’articolo 11 del decreto legislativo 31 luglio 2020, n. 101. Procedura di infrazione 2018/2044. Caso Ares (2022) 1775812)

 

 

L’articolo 7 istituisce, nello stato di previsione del Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica, un fondo con una dotazione di 10 milioni di euro per ciascuno degli anni 2023, 2024 e 2025, per il finanziamento degli interventi di individuazione delle aree, in cui si stima che la concentrazione media annua di attività di radon in aria superi il livello di riferimento in un numero significativo di edifici.

 

A tale proposito è utile ricordare come il radon è un gas radioattivo classificato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), attraverso l’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (AIRC), nel gruppo 1 delle sostanze per le quali vi è la massima evidenza di cancerogenicità e rappresenta uno dei principali fattori di rischio di tumore ai polmoni, dopo il fumo.

La direttiva 2013/59/Euratom, che stabilisce norme fondamentali di sicurezza relative alla protezione contro i pericoli derivanti dall’esposizione alle radiazioni ionizzanti, obbliga gli Stati membri dell’Unione europea a predisporre un Piano d’azione per il radon che affronta i rischi a lungo termine dovuti alle esposizioni al radon nelle abitazioni, negli edifici pubblici e nei luoghi di lavoro per qualsiasi fonte di radon, sia essa il suolo, i materiali da costruzione o l'acqua.

Il Piano d'azione deve essere aggiornato periodicamente.

La sopra citata direttiva è stata recepita anche se risulta ancora in corso la procedura per l’adozione del Piano nazionale d’azione per il radon.

 

La mancata adozione e attuazione del Piano nazionale, prevista dalla direttiva 2013/59/Euratom, ha comportato l’avvio della procedura di infrazione 2018/2044/ENER con l’invio della lettera di richiesta di informazioni da parte della DG ENER della Commissione europea che ha, tra l’altro, chiesto di essere costantemente informata sull’attuazione del Piano nazionale. Più recentemente la DG ENER della Commissione europea ha avviato una richiesta di informazioni ARES (2022)1775812, con carattere d’urgenza, al fine di evitare una procedura di infrazione.

 

Per quanto concerne, nello specifico, i contenuti del Piano nazionale d’azione per il radon, si ricorda che lo stesso dovrà contenere i seguenti elementi:

 

Ø  strategia per l'esecuzione di indagini sulle concentrazioni di radon in ambienti chiusi o concentrazioni di gas radon nel suolo al fine di stimare la distribuzione delle concentrazioni di radon in ambienti chiusi, per la gestione dei dati di misurazione e per la determinazione di altri parametri pertinenti (quali suolo e tipi di roccia, permeabilità e contenuto di radio-226 della roccia o del suolo);

Ø  metodologie, dati e criteri utilizzati per la classificazione delle aree prioritarie o per la determinazione di altri parametri che possano essere utilizzati come indicatori specifici di situazioni caratterizzate da un'esposizione al radon potenzialmente elevata;

Ø  identificazione delle tipologie di luoghi di lavoro ed edifici pubblici, ad esempio scuole, luoghi di lavoro sotterranei e luoghi di lavoro o edifici pubblici ubicati in determinate zone in cui sono necessarie misurazioni della concentrazione di radon sulla base di una valutazione del rischio, tenendo conto, ad esempio, delle ore di occupazione;

Ø  identificazione delle tipologie di attività lavorative per le quali i lavoratori effettuano prestazioni in uno o più luoghi di lavoro, gestiti anche da terzi, la cui esposizione cumulativa al radon può comportare un rischio che non può essere trascurato dal punto di vista della radioprotezione;

Ø  strategie per la riduzione dell'esposizione al radon nelle abitazioni;

Ø  strategie volte a facilitare interventi di risanamento dopo la costruzione;

Ø  strategia, compresi i metodi e gli strumenti, per prevenire l'ingresso del radon nei nuovi edifici, inclusa l'identificazione di materiali da costruzione con esalazione di radon significativa;

Ø  strategia per la comunicazione finalizzata a sensibilizzare maggiormente l'opinione pubblica e a informare i responsabili delle decisioni a livello locale, i datori di lavoro e i dipendenti in merito ai rischi del radon, anche associati al consumo di tabacco;

Ø  orientamenti riguardanti i metodi e gli strumenti per le misurazioni e gli interventi correttivi;

Ø  orientamenti per la qualificazione dei servizi di dosimetria e dei servizi esperti in interventi di risanamento da radon;

Ø  sostegno alle indagini finalizzate al rilevamento del radon e agli interventi di risanamento, soprattutto per quanto concerne le abitazioni private con concentrazioni di radon estremamente elevate;

Ø  obiettivi di lungo termine in termini di riduzione del rischio di cancro dei polmoni attribuibile all'esposizione al radon (per fumatori e non fumatori);

Ø  presa in considerazione di altre questioni associate e programmi corrispondenti, quali programmi sul risparmio energetico e la qualità dell'aria in ambienti chiusi.

 

La responsabilità per l’attuazione del Piano nazionale è affidata al Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica e al Ministero della salute che, nell’ambito delle proprie competenze, hanno una funzione di definizione dei contenuti e di monitoraggio della realizzazione delle attività.

 

L’istituzione del fondo in questione, pertanto, consentirà il finanziamento da un lato degli interventi di individuazione delle aree, in cui si stima che la concentrazione media annua di attività di radon in aria superi il livello di riferimento in un numero significativo di edifici e, dall’altro, di dare attuazione al Piano nazionale d’azione per il radon.


Articolo 8
(
Istituzione del Fondo per la prevenzione e riduzione del radon in ambienti chiusi e per rendere compatibili le misure di efficientamento energetico, di qualità dell’aria in ambienti chiusi con gli interventi di prevenzione e riduzione del radon indoor. Procedura di infrazione 2018/2044. Caso Ares (2022) 1775812)

 

 

L’articolo 8 istituisce, nello stato di previsione del Ministero dell'ambiente e della sicurezza energetica, un fondo con una dotazione di 10 milioni di euro ogni anno dall’anno 2023 all’anno 2031, per il finanziamento degli interventi di riduzione e prevenzione del radon negli ambienti chiusi e per interventi sinergici di efficientamento energetico, qualità dell’aria negli ambienti chiusi e prevenzione e riduzione del gas radon indoor.

 

Per quanto concerne il tema della prevenzione e della riduzione del gas radon e i contenuti della procedura di infrazione 2018/2044, che la disposizione in questione mira a superare, si rinvia a quanto illustrato, in maniera più diffusa, nella scheda di lettura dell’articolo 7.


Articolo 9
(Misure in materia di circolazione stradale finalizzate al miglioramento della qualità dell’aria. Procedure di infrazione n. 2014/2147, n. 2015/2043 e n. 2020/2299)

 

 

L’articolo 9 modifica il codice della strada, consentendo alle regioni e alle province autonome di Trento e Bolzano di stabilire riduzioni, anche permanenti, della velocità di circolazione sulle autostrade e sulle strade extraurbane principali, limitatamente ai tratti che attraversano centri abitati ovvero che sono ubicati in prossimità degli stessi, finalizzato a ridurre le emissioni inquinanti connesse ai trasporti.

Si introduce, inoltre, la possibilità, per i comuni, di stabilire diversi tempi di permanenza massimi all’interno di una determinata ZTL, anche differenziati in relazione alle categorie di veicoli o utenti.

 

L’articolo 9 modifica gli articoli 6 e 7 del codice della strada, di cui al decreto legislativo n. 285 del 1992, al fine di introdurvi misure volte alla limitazione delle emissioni nocive derivanti dal traffico veicolare e al miglioramento della qualità dell’aria.

 

Un primo gruppo di modifiche (lettera a)) interessa, come anticipato, l’articolo 6, che regolamenta la circolazione fuori dei centri abitati, al quale sono aggiunti i nuovi commi da 1-bis a 1-quinquies.

Il comma 1-bis consente alle regioni e alle province autonome di Trento e Bolzano, nell’ambito delle rispettive competenze, nei casi in cui risulti necessario limitare le emissioni derivanti dal traffico veicolare in relazione ai livelli delle sostanze inquinanti nell’aria, di disporre riduzioni, anche permanenti, della velocità di circolazione dei veicoli sulle strade extraurbane di cui all’articolo 2, comma 2, lettere A e B, del medesimo codice, e quindi su:

·       autostrade e

·       strade extraurbane principali,

limitatamente ai tratti stradali che attraversano centri abitati ovvero che sono ubicati in prossimità degli stessi.

 

A norma dell’articolo 2, comma 3, del codice della strada, deve intendersi per:

*     autostrada, una strada extraurbana o urbana a carreggiate indipendenti o separate da spartitraffico invalicabile, ciascuna con almeno due corsie di marcia, eventuale banchina pavimentata a sinistra e corsia di emergenza o banchina pavimentata a destra, priva di intersezioni a raso e di accessi privati, dotata di recinzione e di sistemi di assistenza all'utente lungo l'intero tracciato, riservata alla circolazione di talune categorie di veicoli a motore e contraddistinta da appositi segnali di inizio e fine; deve essere attrezzata con apposite aree di servizio ed aree di parcheggio entrambe con accessi dotati di corsie di decelerazione e di accelerazione;

*     strada extraurbana principale, una strada a carreggiate indipendenti o separate da spartitraffico invalicabile, ciascuna con almeno due corsie di marcia e banchina pavimentata a destra, priva di intersezioni a raso, con accessi alle proprietà laterali coordinati, contraddistinta dagli appositi segnali di inizio e fine, riservata alla circolazione di talune categorie di veicoli a motore; per eventuali altre categorie di utenti devono essere previsti opportuni spazi. Deve essere attrezzata con apposite aree di servizio, che comprendano spazi per la sosta, con accessi dotati di corsie di decelerazione e di accelerazione.

 

L’art. 142 del medesimo codice fissa i limiti di velocità su tali strade a:

§  130 km/h per le autostrade (110 km/h in caso di precipitazioni atmosferiche). Tuttavia, sulle autostrade a tre corsie più corsia di emergenza per ogni senso di marcia, dotate di apparecchiature debitamente omologate per il calcolo della velocità media di percorrenza su tratti determinati, gli enti proprietari o concessionari possono elevare tale limite fino a 150 km/h sulla base delle caratteristiche progettuali ed effettive del tracciato, previa installazione degli appositi segnali, sempreché lo consentano l'intensità del traffico, le condizioni atmosferiche prevalenti ed i dati di incidentalità dell'ultimo quinquennio;

§  110 km/h per le strade extraurbane principali (90 km/h in caso di precipitazioni atmosferiche).

 

La procedura prevede che la decisione di introdurre limiti di velocità inferiori sia adottata sentiti:

ü  il prefetto o i prefetti competenti per territorio limitatamente agli aspetti di sicurezza della circolazione stradale;

ü  gli enti proprietari o gestori dell’infrastruttura stradale.

 

Si ricorda, in proposito, che, ai sensi dell’articolo 6, comma 1, del codice della strada, il prefetto è l’autorità competente ad adottare la decisione di sospendere temporaneamente la circolazione di tutte o di alcune categorie di utenti sulle strade o su tratti di esse, per motivi di sicurezza pubblica o inerenti alla sicurezza della circolazione, di tutela della salute, nonché per esigenze di carattere militare, conformemente alle direttive del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti.

Il prefetto, inoltre, nei giorni festivi o in particolari altri giorni fissati con apposito calendario, da emanarsi con decreto del Ministro delle infrastrutture

e dei trasporti, può vietare la circolazione dei veicoli adibiti al trasporto di cose. Nel regolamento sono stabilite le condizioni e le eventuali deroghe. Sui poteri del sindaco, in ordine agli aspetti disciplinati dall’art. 6, v. anche la Corte di cassazione, sez. I civ., 28 agosto 2001, n. 11278

 

Ai sensi del nuovo comma 1-ter, l’ente proprietario o gestore dell’infrastruttura stradale è tenuto a rendere noti all’utenza i provvedimenti adottati ai sensi del comma 1-bis, in conformità a quanto previsto dall’articolo 5, comma 3 del Codice della strada, e con le modalità di cui al comma 5.

 

L’articolo 5, comma 3, richiamato stabilisce che i provvedimenti per la regolamentazione della circolazione sono emessi dagli enti proprietari, attraverso gli organi competenti a norma degli articoli 6 e 7, con ordinanze motivate e rese note al pubblico mediante i prescritti segnali.

Il comma 5 cui la disposizione fa rinvio dispone che le ordinanze così adottate dall’ente proprietario della strada e aventi ad oggetto le prescrizioni, i divieti e le imposizioni di obblighi elencate al precedente comma 4, sono emanate:

a)     per le strade e le autostrade statali, dal capo dell'ufficio periferico dell'A.N.A.S. competente per territorio;

b)     per le strade regionali, dal presidente della giunta;

c)     per le strade provinciali, dal presidente della provincia;

d)     per le strade comunali e le strade vicinali, dal sindaco.

 

Si valuti l’opportunità di meglio specificare il riferimento alle “modalità di cui al comma 5”, da un lato, chiarendo che il rinvio è al comma 5 del medesimo articolo 6, al fine di evitare confusioni con il vicino rinvio al comma 3 dell’articolo 5 e, dall’altro, sostituendo il termine “modalità” con altro che dia conto del contenuto del comma 5, il quale non descrive modalità, bensì stabilisce competenze.

 

Il comma 1–quater consente di effettuare l’accertamento del controllo della velocità nelle aree individuate ai sensi del comma 1-bis con i dispositivi o mezzi tecnici di controllo del traffico non presidiati, utilizzati o installati dagli organi di polizia stradale per il rilevamento delle infrazioni alla guida e di cui viene data informazione agli automobilisti, a mente del combinato disposto dell’articolo 201, comma 1-bis, lettera f), del Codice della strada e dell’articolo 4 del decreto-legge n. 121 del 2002.

 

Il comma 1-quinquies stabilisce, per l’ipotesi di mancata osservanza dei limiti di velocità stabiliti con i provvedimenti di cui al comma 1-bis, l’applicabilità delle sanzioni previste dall’articolo 142 del Codice della strada.

 

Tali sanzioni sono diversamente modulate in ragione della gravità della violazione commessa (commi da 7 a 10), prevedendosi che:

ü  chiunque non osserva i limiti minimi di velocità, ovvero supera i limiti massimi di velocità di non oltre 10 km/h, è soggetto alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da € 42 a € 173 (comma 7);

ü  chiunque supera di oltre 10 km/h e di non oltre 40 km/h i limiti massimi di velocità è soggetto alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da € 173 a € 694 (comma 8);

ü  chiunque supera di oltre 40 km/h ma di non oltre 60 km/h i limiti massimi di velocità è soggetto alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da € 543 a € 2.170. Dalla violazione consegue la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida da uno a tre mesi (comma 9);

ü  chiunque supera di oltre 60 km/h i limiti massimi di velocità è soggetto alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da € 845 a € 3.382. Dalla violazione consegue la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida da sei a dodici mesi (comma 9-bis);

ü  chiunque viola le disposizioni di cui al comma 4 (indicazione nella parte posteriore dei veicoli pesanti delle velocità massime consentite) è soggetto alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da € 26 a € 102 (comma 10).

 

La seconda modifica (lettera b)) concerne l’articolo 7, che regolamenta la circolazione nei centri abitati, a cui viene aggiunto un nuovo comma 9-ter, volto a consentire ai comuni di stabilire, all’interno di una determinata zona a traffico limitato (ZTL), diversi tempi massimi di permanenza, tra l’ingresso e l’uscita, anche differenziati per categoria di veicoli o di utenti.

 

Nella relazione illustrativa, che specifica che le misure dell’articolo 9 in esame sono deputate al miglioramento della qualità dell’aria, viene citata la direttiva 2008/50/CE, relativa alla qualità dell’aria e per un’aria più pulita in Europa, che impone agli Stati membri di limitare le emissioni inquinanti e che risulta oggetto di tre procedure di infrazione:

Ø  la prima, 2014/2147, ha ad oggetto la contestazione circa il superamento nelle zone interessate dei valori limite giornaliero e annuale applicabili alle concentrazioni di particelle PM10 e la mancata adozione delle misure appropriate per garantire il rispetto dei valori limite fissati per le particelle PM10 nell’insieme delle zone interessate (Campania, Emilia Romagna, Lazio, Lombardia, Piemonte, Puglia, Sicilia, Toscana, Umbria, Veneto). In relazione a tale procedura, l’Italia è stata condannata dalla Corte di giustizia europea nella causa 644/18;

Ø  la seconda, 2015/2043, ha ad oggetto il superamento e la mancata adozione di misure finalizzata a ridurre i valori limite del biossido di azoto (NO2) nei territori interessati (Lazio, Liguria, Lombardia, Piemonte, Sicilia, Toscana). Nell’ambito di tale procedura, è stata pronunciata dalla Corte europea di giustizia sentenza di condanna nella causa n. 573/2019;

Ø  nel 2020, la Commissione ha aperto la procedura 2020/2299, relativamente al PM2,5.

La relazione illustrativa evidenzia, inoltre, che tra le varie iniziative intraprese dall’Italia per la risoluzione delle procedure si inserisce il Protocollo “Aria Pulita” sottoscritto, nell’ambito del Clean Air Dialogue, a Torino in data 4 giugno 2019, recante un Piano d’azione della durata di 24 mesi per il miglioramento della qualità dell’aria.  In particolare, nell’ambito di intervento 3 Mobilità”, sono delineate quali azioni di intervento:

1)     Azione 1. - Introduzione dei criteri ambientali nella disciplina della circolazione in ambito extraurbano che prevede quale misura attuativa: “A) formulare una proposta di modifica del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, volta ad introdurre il criterio ambientale per l’adozione di provvedimenti di limitazione della circolazione, limitatamente ai tratti autostradali adiacenti ai centri urbani, con particolare riferimento alla riduzione dei limiti di velocità”;

2)     Azione 2 – Controllo delle aree a traffico limitato che individua quale misura attuativa “formulare una proposta di modifica della legge n.127 del 1997 e del successivo decreto del Presidente della Repubblica 22 giugno 1999, n. 250 e congiuntamente dell’articolo 201 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 al fine di meglio precisare la possibilità dell’utilizzo dei dispositivi per il controllo delle aree a traffico limitato anche all’interno di tali aree e non solo nelle zone di varco”.

La richiamata Relazione illustrativa specifica che, in tale contesto, si inserisce la disposizione in esame, che è finalizzata ad attuare le misure indicate dal Protocollo di Torino, strumentali al superamento delle contestazioni all’Italia oggetto delle procedure di infrazioni citate.

Sul tema, si rinvia a quanto illustrato da ISPRA nel documento “Le emissioni da trasporto Serie storiche e scenari” presentato nel corso  del convegno “La mobilità sostenibile nelle aree urbane: la situazione attuale e le prospettive future”, tenutosi a Roma nel mese di ottobre 2022.

 


Articolo 9-bis
(Disposizioni in materia di misure e delle attività di tutela ambientale e sanitaria e di interventi di decarbonizzazione negli stabilimenti di interesse strategico nazionale. Procedure di infrazione n. 2013/2177, n. 2014/2147, n. 2015/2043 e n. 2020/2299)

 

 

L'articolo 9-bis, introdotto nel corso dell’esame in sede referente, reca delle disposizioni urgenti finalizzate a favorire la realizzazione delle misure e delle attività di tutela ambientale e sanitaria di cui all'articolo 1, commi 5 e 7, del decreto-legge 4 giugno 2013, n. 61, e di interventi di decarbonizzazione negli stabilimenti di interesse strategico nazionale, agevolando la definizione delle procedure di infrazione n. 2013/2177, n. 2014/2147, n. 2015/2043 e n. 2020/2299.

 

A tale riguardo è utile ricordare come la procedura di infrazione n. 2013/2177, avviata il 26 settembre 2013, riguarda l'asserita mancata adozione, da parte delle competenti Autorità italiane, delle misure necessarie a ridurre l'impatto ambientale dell'ex stabilimento siderurgico ILVA di Taranto, in violazione della direttiva 2010/ 75/UE relativa alle emissioni industriali (c.d. direttiva IED).

L'ultimo atto formale della Commissione europea risale al 16 ottobre 2014, con l'adozione di un parere motivato, ex articolo 258 TFUE. Dopo tale parere, le Autorità italiane hanno avviato una interlocuzione con i Servizi competenti della Commissione europea, tuttora in corso, nell'ambito della quale sono stati aggiornati, con cadenza semestrale, sui progressi relativi agli interventi di risanamento previsti nel nuovo Piano Ambientale del 2017 di cui all'articolo 1, commi 5 e 7, del decreto-legge 4 giugno 2013, n. 61. Il Piano ambientale - adottato nell'ambito della procedura di cessione dei complessi aziendali dello stabilimento ILVA e con DPCM del 29 settembre 2017 - ha modificato ed integrato il precedente Piano Ambientale del 14 marzo 2014, prevedendo un dettagliato cronoprogramma di interventi (articolato su un arco temporale di cinque anni ­fino al 23 agosto 2023) e limitando la quantità di produzione annua di acciaio a 6 milioni di tonnellate, fino al completamento di tutti gli interventi di risanamento ambientale (a fronte degli 8 milioni di tonnellate annue consentite dall'Autorizzazione Integrata Ambientale ­AIA - del 2012).

Per quanto concerne la disciplina europea relativa alla qualità dell'aria ambiente e per un'aria più pulita in Europa si evidenzia come la direttiva 2008/50/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 maggio 2008, impone agli Stati membri di limitare le emissioni inquinanti ed è alla base di tre diverse procedure di infrazione:

·           la prima infrazione n. 2014/2147 ha ad oggetto la contestazione circa il superamento nelle zone interessate, dei valori limite giornaliero e annuale applicabili alle concentrazioni di particelle PM10 e la mancata adozione delle misure appropriate per garantire il rispetto dei valori limite fissati per le particelle PM10 nell'insieme delle zone interessate. In relazione a tale procedura, l'Italia è stata condannata dalla Corte di giustizia europea nella causa 644/18;

·           la seconda infrazione n. 2015/2043 ha ad oggetto il superamento e la mancata adozione di misure finalizzata a ridurre i valori limite del biossido di azoto. Nell'ambito di tale procedura, è stata pronunciata dalla Corte europea di giustizia la sentenza di condanna nella causa n. 573/2019;

·           nel 2020 la Commissione apre la procedura di infrazione n. 2020/2299 relativamente al PM 2,5.In alcune delle zone interessate dal superamento dei sopra menzionati valori limite sono ubicati stabilimenti di interesse strategico nazionale, tra cui il comune di Taranto, ove è ubicato lo stabilimento produttivo ILVA.

Passando, quindi, al contenuto dell’articolo in esame, si segnala che il comma 1, lettera a), prevede l'applicazione, in caso di confisca degli impianti o delle infrastrutture di ILVA s.p.a. in amministrazione straordinaria delle disposizioni di cui all'articolo 104-bis, commi 1-septies, 1-octies, 1-novies e 1-decies, delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale (su cui si dirà in seguito), mentre con la lettera b) dello stesso comma, viene aggiornata la disciplina relativa alla realizzazione degli interventi di decarbonizzazione nel sito ILVA di Taranto.

In primo luogo, si prevede che i criteri di valutazione, approvazione e attuazione dei progetti di decarbonizzazione, nonché l'entità delle risorse, pari a 150 milioni di euro, vengano determinate non più con decreto del Ministro dello sviluppo economico e del Ministro dell’ambiente e della sicurezza energetica, da adottare di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, sentito il Presidente della regione Puglia, bensì con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, adottato su proposta del Ministro dell’ambiente e della sicurezza energetica di concerto con i Ministri delle imprese e del made in Italy e dell'economia e delle finanze e con l'Autorità politica delegata in materia di Sud e di politiche della coesione, sentito il Presidente della regione Puglia. Si prevede, inoltre, che l'organo commissariale di ILVA possa procedere alla loro realizzazione avvalendosi non solo degli organismi in house dello Stato ma anche del gestore dello stabilimento (che, in base alle vigenti disposizioni, può soltanto formulare delle proposte) al fine di velocizzarne l'attuazione.

In secondo luogo, si stabilisce che il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri recante i criteri e le modalità di valutazione, approvazione e attuazione dei progetti di decarbonizzazione a progetti di decarbonizzazione del ciclo produttivo dell'acciaio presso lo stabilimento siderurgico di Taranto, contenga anche l'indicazione del termine massimo per la realizzazione dei citati progetti.

Da ultimo, si consente al gestore dello stabilimento di presentare ulteriori progetti di decarbonizzazione ad integrazione di quelli previsti dal citato decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, secondo le modalità ivi previste, da attuarsi con oneri a proprio carico e sottoposti alla valutazione ed approvazione da parte dell'organo commissariale di ILVA S.p.A.

 

Il comma 2 aggiunge quattro ulteriori commi (da 1-septies a 1-decies nell’articolo 104-bis delle disp.att.c.p.p.

 

Occorre ricordare che l'articolo 6 del decreto legge n. 2 del 2023 (conv.legge n. 17 del 2023) ha inserito due nuovi commi all’articolo 104-bis disp.att.c.p.p., in materia di amministrazione dei beni sottoposti a sequestro preventivo e a sequestro e confisca in casi particolari, nonché in materia di tutela dei terzi nel relativo giudizio. Più nel dettaglio, il comma 1-bis.1 dell’articolo 104-bis disp. att. c.p.p. prevede che quando il sequestro abbia ad oggetto stabilimenti industriali o parti di essi dichiarati di interesse strategico nazionale ai sensi dell’articolo 1 del decreto-legge n. 207 del 2012 (c.d. Decreto ILVA), convertito, con modificazioni, dalla legge n. 231 del 2012, ovvero impianti o infrastrutture necessari ad assicurarne la continuità produttiva, il giudice disponga la prosecuzione dell’attività avvalendosi di un amministratore giudiziario nominato ai sensi del comma 1 dello stesso articolo 104-bis disp. att. c.p.p.. In caso di imprese che, dopo il verificarsi dei reati che danno luogo all’applicazione del provvedimento di sequestro, sono state ammesse all’amministrazione straordinaria, anche in via temporanea, la prosecuzione dell’attività è affidata al commissario già nominato nell’ambito della procedura di amministrazione straordinaria. La disposizione specifica inoltre che, ove necessario per realizzare un bilanciamento tra le esigenze di continuità dell’attività produttiva e di salvaguardia dell’occupazione e la tutela della sicurezza sul luogo di lavoro, della salute, dell’ambiente e degli altri eventuali beni giuridici lesi dagli illeciti commessi, il giudice detti le prescrizioni necessarie, tenendo altresì conto del contenuto dei provvedimenti amministrativi a tal fine adottati dalle competenti autorità. Le disposizioni di cui al nuovo comma 1-bis.1 non si applicano quando dalla prosecuzione può derivare un concreto pericolo per la salute o l’incolumità pubblica ovvero per la salute o la sicurezza dei lavoratori non evitabile con alcuna prescrizione.

Al di fuori di questi casi di concreto pericolo non altrimenti evitabile con alcuna prescrizione, il giudice autorizza la prosecuzione dell’attività se, nell’ambito della procedura di riconoscimento dell’interesse strategico nazionale, sono state adottate misure con le quali si è ritenuto realizzabile il bilanciamento tra le esigenze di continuità dell’attività produttiva e di salvaguardia dell’occupazione e la tutela della sicurezza sul luogo di lavoro, della salute e dell’ambiente e degli altri eventuali beni giuridici lesi dagli illeciti commessi.

In ogni caso, i provvedimenti del giudice adottati ai sensi del nuovo comma 1-bis.1, anche se negativi, sono trasmessi, entro il termine di quarantotto ore, alla Presidenza del Consiglio dei ministri, al Ministero delle imprese e del made in Italy e al Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica.

Il comma 1-bis.2 dell’articolo 104-bis disp. att. c.p.p. dispone che il provvedimento del giudice che abbia escluso o revocato l’autorizzazione alla prosecuzione dell’attività produttiva, o negato la stessa in sede di istanza di revoca, modifica o rivalutazione del sequestro precedentemente disposto, nonostante le misure di bilanciamento adottate nell’ambito della procedura di riconoscimento dell’interesse strategico nazionale, può essere oggetto di impugnazione ai sensi dell’articolo 322-bis c.p.p., anche da parte della Presidenza del Consiglio dei ministri, del Ministero delle imprese e del made in Italy o del Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica. Sull’appello avverso il provvedimento di cui al primo periodo decide, in composizione collegiale, il tribunale di Roma.

Sull'appello decide, in composizione collegiale, il tribunale del capoluogo della provincia nella quale ha sede l'ufficio che ha emesso il provvedimento (comma 1-bis). L’appello non ha efficacia sospensiva dell’esecuzione del provvedimento impugnato. Si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni previste dall'articolo 310 c.p.p. in materia di appello avverso i provvedimenti cautelari personali.

 

Il nuovo comma 1-septies prevede che nei casi contemplati dal comma 1-bis.1, nel caso in cui la prosecuzione dell’attività sia stata autorizzata dopo l’adozione del provvedimento di sequestro, l’amministratore giudiziario ovvero il commissario straordinario, è autorizzato a proseguire l’attività anche quando il provvedimento di confisca è divenuto definitivo. Devono essere in ogni caso rispettate le prescrizioni del giudice ex comma 1-bis.1 (vedi supra) ovvero le misure adottate nell’ambito della proceduta di riconoscimento dell’interesse strategico nazionale. La competenza spetta al giudice dell’esecuzione.

 

Il comma 1-octies prevede poi che, in caso di imprese ammesse all’amministrazione straordinaria il sequestro preventivo non impedisce il trasferimento dei beni in sequestro, se essi sono costituiti da stabilimenti industriali o parti di essi dichiarati di interesse strategico nazionale; da impianti o infrastrutture necessari ad assicurarne la continuità produttiva, purché ricorrano le seguenti condizioni:

 

·             l’ammissione alla amministrazione straordinaria è intervenuta dopo il verificarsi dei reati che hanno dato luogo all’applicazione del provvedimento di sequestro (lett.a);

·             dopo l'adozione del provvedimento di sequestro, è stata autorizzata la prosecuzione dell'attività (lett.b);

·             sono in corso di attuazione ovvero sono state attuate le prescrizioni impartite dal giudice ai sensi del comma 1-bis.1, ovvero le misure indicate nell'ambito della procedura di riconoscimento dell'interesse strategico nazionale ai fini del bilanciamento tra esigenze di continuità dell'attività produttiva e beni giuridici lesi dagli illeciti oggetto del giudizio penale, ovvero le prescrizioni dettate da provvedimenti amministrativi che autorizzino la prosecuzione dell'attività dettando misure dirette a tutelare i beni giuridici protetti dalle norme incriminatrici oggetto del giudizio penale (lett.c);

·             il soggetto cui i beni vengono trasferiti non risulta controllato, controllante o collegato ai sensi dell'articolo 2359 c.c., né altrimenti riconducibile, direttamente o indirettamente, al soggetto che ha commesso i reati per i quali il sequestro è stato disposto, ovvero all'ente che ha commesso gli illeciti amministrativi per i quali il sequestro è stato disposto, ovvero al soggetto per conto o nell'interesse del quale essi hanno agito (lett.d);

·             la congruità del prezzo è attestata mediante apposita perizia giurata, ivi compresa quella utilizzata ai fini della determinazione del valore del bene ai sensi degli articoli 62 e 63 del decreto legislativo 8 luglio 1999, n. 270 ovvero di altre disposizioni di legge applicabili alla procedura di amministrazione straordinaria, tenendo comunque conto delle valutazioni fatte nell'ambito delle procedure competitive per la cessione a terzi dei complessi aziendali (lett.e).

 

L'amministrazione straordinaria è la procedura concorsuale della grande impresa commerciale insolvente, con finalità conservative del patrimonio produttivo, mediante prosecuzione, riattivazione o riconversione delle attività imprenditoriali. La disciplina è contenuta nel D.lgs. 8 luglio 1999 n. 270, cd. “Legge Prodi-bis” e nel D.L. 23 dicembre 2003, n. 347, convertito dalla legge 18 febbraio 2004, n. 39, e successive modificazioni e integrazioni (cd. “Legge Marzano”).

 

Le medesime disposizioni si applicano nel caso in cui sia intervenuto un provvedimento di confisca nei casi previsti dal comma 1-septies.

 

Il sequestro preventivo è disciplinato dagli articoli 321, 322 (riesame del decreto di sequestro preventivo), 322-bis (l’appello) e 323 (perdita di efficacia del sequestro preventivo) del codice di rito. Occorre ricordare che l’articolo 53 del decreto legislativo n. 231 del 2001, richiamando la disciplina processual-penalistica, prevede che il giudice possa disporre il sequestro delle cose di cui è consentita la confisca (a norma dell'articolo 19 dello stesso decreto legislativo).

 

Ai sensi del comma 1-novies nelle ipotesi contemplate dal comma 1-octies il corrispettivo della cessione è depositato dagli organi dell'amministrazione straordinaria presso la Cassa delle ammende, con divieto di utilizzo per finalità diverse dall'acquisto di titoli di Stato, fino alla conclusione del procedimento penale, salvo il caso in cui il sequestro sia revocato. Dal momento del deposito del corrispettivo presso la Cassa delle ammende, gli effetti del sequestro sui beni cessano definitivamente.

 

Nel caso in cui il giudice disponga la confisca, essa ha ad oggetto esclusivamente le somme depositate, che vengono acquisite al Fondo unico giustizia. In caso di revoca del sequestro o di mancata adozione del provvedimento di confisca, le somme sono immediatamente restituite ai commissari straordinari e dagli stessi utilizzabili per le finalità di ripartizione dell’attivo (Capo VI del Titolo III del decreto legislativo 8 luglio 1999, n. 270). Al fine di poter utilizzare il bene, dopo che la confisca è divenuta definitiva, l'acquirente e i successivi aventi causa devono rispettare le prescrizioni impartite dal giudice ovvero le misure adottate nell'ambito della procedura di riconoscimento dell'interesse strategico nazionale, salvo che il giudice dell'esecuzione accerti, su istanza dell'interessato, la cessazione dei rischi conseguenti alla libera disponibilità del bene medesimo. Nel caso in cui la cessione avvenga nei casi previsti dal comma 1-sexies.2, ultimo periodo, la confisca dei beni perde efficacia e si traferisce sul corrispettivo versato.

 

Il comma 1-decies prevede che per le finalità di cui al comma 1-octies, lettera c), la verifica relativa all'attuazione delle misure indicate nell'ambito della procedura di interesse strategico nazionale è effettuata da un comitato di cinque esperti, scelti tra soggetti di comprovata esperienza e competenza in materia di tutela dell'ambiente e della salute e di ingegneria impiantistica nominato con decreto del Ministro dell'ambiente e della sicurezza energetica, adottato sentiti i Ministri delle imprese e del made in Italy, della salute e per gli affari europei, il Sud, le politiche di coesione e il PNRR, nonché la Regione nel cui territorio sono ubicati gli impianti o le infrastrutture. Allo stesso decreto è demandata la determinazione del compenso riconosciuto a ciascun componente del comitato, in ogni caso non superiore ad euro 50.000 in ragione d'anno, con oneri posti a carico esclusivo dei terzi gestori dell'impianto o dell'infrastruttura. Sull’attività di verifica effettuata dal comitato di esperti, il Ministro dell’ambiente e della sicurezza energetica è tenuto a trasmettere una relazione alle Camere.

 

Il comma 3 dell’articolo 9-bis modifica il decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, recante disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica. In particolare la lett.a) inserisce un ulteriore comma, comma 2.bis, nell’articolo 19, in materia di confisca. Il comma suddetto prevede che nel caso in cui la confisca ha ad oggetto stabilimenti industriali o parti di essi che siano stati dichiarati di interesse strategico nazionale, ovvero impianti o infrastrutture necessari ad assicurarne la continuità produttiva, si applica la nuova disciplina dettata dall'articolo 104-bis, commi 1-sexies.1, 1-sexies.2, 1-sexies.3 e 1-sexies.4, disp.att.c.p.p.  Il comma 3, poi, alla lett. b), modifica, per coordinamento anche l'articolo 53, comma 1- ter, del decreto legislativo in materia di sequestro preventivo.

 

Ai sensi del comma 4 dell’articolo 9-bis le disposizioni di cui ai commi 1, 2 e 3, si applicano anche ai provvedimenti di sequestro o di confisca aventi ad oggetto stabilimenti industriali o parti di essi dichiarati di interesse strategico nazionale, ovvero impianti o infrastrutture necessari ad assicurarne la continuità produttiva, non ancora definitivi alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto.

 

Il comma 5 estende l'ambito di applicazione delle disposizioni di cui all'articolo 7 del decreto - legge 5 gennaio 2023, n. 2 alla realizzazione degli interventi di decarbonizzazione del ciclo produttivo dell'acciaio presso lo stabilimento siderurgico di Taranto approvati dai commissari straordinari di ILVA s.p.a. in applicazione dei criteri e delle modalità previste dal decreto di cui all'articolo 3, comma 1, del decreto - legge 5 gennaio 2015, n. 1.

Il comma 6, infine, contiene una disposizione finalizzata ad assicurare il bilanciamento tra le esigenze di continuità dell'attività produttiva e di salvaguardia dell'occupazione e la tutela della sicurezza sul luogo di lavoro, della salute, dell'ambiente, dell'incolumità pubblica e della sicurezza urbana, consentendo, in conformità all'orientamento del Consiglio di Stato in materia (si veda, a tale proposito, la pronuncia del Consiglio di  Stato, sez. IV, 23 giugno 2021, n. 4802) l'adozione di ordinanze sindacali, incidenti sull'operatività di stabilimenti industriali o parti di essi dichiarati di interesse strategico nazionale, in relazione ai quali sia stata rilasciata un'autorizzazione integrata ambientale.

A tale riguardo si evidenzia che le sopramenzionate ordinanze sindacali possono essere adottate esclusivamente qualora ricorrano situazioni di pericolo ulteriori da quelle ordinariamente collegate allo svolgimento dell'attività produttiva in conformità all'autorizzazione integrata ambientale. Tale previsione trova applicazione anche in caso di riesame e di rinnovo dell'autorizzazione integrata ambientale.


Articolo 10
(Pratiche di raggruppamento e abbruciamento di materiali vegetali nel luogo di produzione. Procedura d’infrazione n. 2014/2147)

 

 

L’articolo 10 prevede, a decorrere dal 1° ottobre 2023 (comma 8), il divieto di raggruppamento e abbruciamento, nel luogo di produzione, di paglia e altro materiale vegetale agricolo o forestale naturale non pericoloso (quali ad esempio gli sfalci e le potature), nelle zone delle regioni Piemonte, Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto in cui risultano superati i valori limite giornaliero o annuale di qualità dell’aria ambiente previsti per il PM10, limitatamente ai mesi di novembre, dicembre, gennaio, febbraio, luglio e agosto (commi 1 e 2). Sono disciplinate inoltre le esclusioni dall’ambito di applicazione del divieto (comma 3) e le sanzioni applicabili in caso di inosservanza dello stesso (comma 4), nonché recate disposizioni per l’incentivazione dell’uso sostenibile del materiale vegetale in luogo dell’abbruciamento (commi 5-7).

 

Si fa notare che, in realtà, la formulazione dell’articolo in esame non è posta in termini di divieto ma in termini di individuazione dei casi in cui le attività in questione sono ammesse. Tuttavia, al fine di rendere maggiormente chiara la finalità della norma in esame – che ha chiaramente una funzione impeditiva, volta a limitare l’esercizio di una attività in generale tendenzialmente consentita, come dimostrato anche dalla previsione di sanzioni per l’inosservanza delle limitazioni poste –, nella presente scheda di lettura si è preferito dare risalto agli aspetti interdittivi della norma.

In relazione alle finalità dell’articolo in esame, la relazione illustrativa sottolinea che le disposizioni recate dall’articolo medesimo sono volte “ad evitare l’aggravamento della procedura d’infrazione n. 2014/2147, relativa al superamento dei valori limite fissati per il PM10” (v. infra) e, nel contempo, orientare l’utilizzo dei residui vegetali agricoli e forestali verso pratiche circolari, quali la “trasformazione degli stessi in un prodotto (pellet o combustibile per teleriscaldamento ad esempio)”.

La stessa relazione sottolinea che l’impegno a limitare progressivamente la pratica dell’abbruciamento dei residui vegetali, anche nell’ottica del recupero e valorizzazione di tali residui, era stato assunto nel “Protocollo Aria Pulita sottoscritto il 4 giugno 2019 a Torino, in occasione del Clean Air Dialogue tra l’Italia e la Commissione europea”.

Viene altresì evidenziato che la limitazione prevista dall’articolo in esame è legata al Programma nazionale di controllo dell’inquinamento atmosferico (PNCIA) adottato, in attuazione di quanto previsto dal PNRR (M2C4.3-R.3.1-7), con il D.P.C.M. 23 dicembre 2021.

 

Ciò premesso, si illustra di seguito, nel dettaglio, il contenuto dell’articolo in esame.

 

Divieto di abbruciamento di materiale vegetale agricolo o forestale (comma 1)

Il comma 1 prevede, nei casi indicati dal medesimo comma (v. infra), il divieto di raggruppamento e abbruciamento, nel luogo di produzione, di paglia e altro materiale vegetale agricolo o forestale naturale non pericoloso, quali ad esempio gli sfalci e le potature.

Per la precisione, nell’individuare le attività vietate, la norma in esame fa riferimento alle pratiche agricole di cui all’art. 182, comma 6-bis, del D.Lgs. 152/2006 (c.d. Codice dell’ambiente).

L’art. 182, comma 6-bis, del Codice dell’ambiente, dispone, in particolare, che “le attività di raggruppamento e abbruciamento in piccoli cumuli e in quantità giornaliere non superiori a tre metri steri per ettaro dei materiali vegetali di cui all'articolo 185, comma 1, lettera f), effettuate nel luogo di produzione, costituiscono normali pratiche agricole consentite per il reimpiego dei materiali come sostanze concimanti o ammendanti, e non attività di gestione dei rifiuti”.

I materiali vegetali contemplati dalla richiamata lettera f) sono “la paglia e altro materiale agricolo o forestale naturale non pericoloso quali, a titolo esemplificativo e non esaustivo, gli sfalci e le potature effettuati nell'ambito delle buone pratiche colturali”.

 

Ambito di applicazione del divieto (commi 1 e 2)

Il divieto in questione si applica, in base al disposto del comma 1:

·     nelle zone individuate ai sensi del D.Lgs. 155/2010 (v. infra), appartenenti alle regioni Piemonte, Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto in cui risultano superati i valori limite giornaliero o annuale di qualità dell’aria ambiente previsti per il materiale particolato PM10 dall’allegato XI al medesimo decreto legislativo (v. infra);

·     e limitatamente ai mesi di novembre, dicembre, gennaio, febbraio, luglio e agosto.

 

Come si è già avuto modo di sottolineare, al fine di rendere maggiormente chiara la finalità della norma in esame, la stessa è stata finora descritta in termini di divieto. In realtà, però, tale norma non è formulata come divieto ma nel senso di stabilire che, nelle zone indicate, le attività di raggruppamento e abbruciamento sono consentite nei soli mesi di marzo, aprile, maggio, giugno, settembre e ottobre.

Ebbene, nel consentire tali attività nei mesi indicati, il comma 1 precisa che:

- resta fermo quanto previsto all’art. 182, comma 6-bis, del D.Lgs. 152/2006 (c.d. Codice dell’ambiente);

Il riferimento sembra essere alla parte del citato comma 6-bis in cui si dispone che nei periodi di massimo rischio per gli incendi boschivi, dichiarati dalle regioni, la combustione di residui vegetali agricoli e forestali è sempre vietata” e che “i comuni e le altre amministrazioni competenti in materia ambientale hanno la facoltà di sospendere, differire o vietare la combustione del materiale di cui al presente comma all'aperto in tutti i casi in cui sussistono condizioni meteorologiche, climatiche o ambientali sfavorevoli e in tutti i casi in cui da tale attività possano derivare rischi per la pubblica e privata incolumità e per la salute umana, con particolare riferimento al rispetto dei livelli annuali delle polveri sottili (PM10).

- è inoltre fatta salva la possibilità di adottare speciali deroghe (quindi sostanzialmente ulteriori divieti) per motivi sanitari e di sicurezza e per altri motivi previsti dalla normativa vigente.

 

Il comma 2 precisa ulteriormente l’ambito di applicazione del divieto in questione, stabilendo che la disposizione recata dal comma 1 si applica

·     alle zone interessate da superamenti del valore limite comunicati alle competenti autorità europee entro il 30 settembre dell’anno successivo a quello di monitoraggio (v. infra);

·     e per il periodo che intercorre tra il 1° ottobre di tale anno e il 30 settembre dell’anno seguente.

 

Lo stesso comma 2 prevede la pubblicazione entro il 30 settembre di ciascun anno – da parte del Ministero dell'ambiente e della sicurezza energetica (MASE) e delle regioni, nei propri siti internet istituzionali – dell’elenco delle zone in cui si applica il divieto a decorrere dal giorno successivo.

 

Si fa notare che il divieto introdotto dai commi in esame riguarda il raggruppamento e l’abbruciamento di piccole quantità.

Oltre i limiti quantitativi giornalieri indicati dal comma 6-bis dell’art. 182 del Codice dell’ambiente (pari a 3 metri steri [16] per ettaro), già era vietato, anche prima dell’emanazione del presente decreto-legge, l’abbruciamento all’aria aperta di residui vegetali configurandosi come smaltimento di rifiuti. L’art. 185, comma 1, lettera f), del medesimo Codice, esclude infatti dalla rigida disciplina dei rifiuti “la paglia e altro materiale agricolo o forestale naturale non pericoloso quali, a titolo esemplificativo e non esaustivo, gli sfalci e le potature effettuati nell'ambito delle buone pratiche colturali” ma solo a condizione che il materiale sia utilizzato “in agricoltura, nella silvicoltura o per la produzione di energia da tale biomassa, anche al di fuori del luogo di produzione ovvero con cessione a terzi, mediante processi o metodi che non danneggiano l'ambiente né mettono in pericolo la salute umana”.

 

Esclusioni dall’ambito di applicazione del divieto (comma 3)

Il comma 3 esclude dall’applicazione del divieto previsto dal comma 1 le zone montane e agricole svantaggiate (v. infra) ai sensi del Regolamento europeo sul sostegno allo sviluppo rurale da parte del Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale – FEASR (v. infra) vigente al momento dell’esercizio delle pratiche agricole oggetto del presente articolo.

Sanzioni (comma 4)

Il comma 4 prevede una sanzione amministrativa pecuniaria da euro 300 a euro 3.000 per chiunque brucia materiali vegetali nel luogo di produzione in violazione di quanto previsto al comma 1.

 

Incentivazione dell’uso sostenibile del materiale vegetale (commi 5-7)

Il comma 5 reca disposizioni finalizzate:

- a limitare progressivamente le pratiche agricole di cui al comma 1 (vale a dire il raggruppamento e l’abbruciamento, nel luogo di produzione, di paglia e altro materiale vegetale agricolo o forestale naturale non pericoloso, quali ad esempio gli sfalci e le potature);

- nonché a creare filiere di valorizzazione del materiale vegetale naturale.

 

Per tali finalità, il comma 5 (che ha subito modifiche di carattere formale durante l'esame in sede referente) prevede che le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano possono incentivare l’attività di raccolta, trasformazione e impiego di tale materiale per fini energetici nel rispetto dell’allegato X alla parte V del decreto legislativo n. 152 del 2006, per la produzione di materiali e prodotti e per altre finalità.

L’allegato X alla parte V del D.Lgs. 152/2006 (Codice dell’ambiente) elenca e disciplina i combustibili di cui è consentito l'utilizzo negli impianti assoggettati alle disposizioni della medesima parte V sul controllo delle emissioni in atmosfera. In base a tale allegato X, tra i combustibili consentiti sono inclusi la “legna da ardere alle condizioni previste nella parte II, sezione 4” e le “biomasse combustibili individuate nella parte II, sezione 4, alle condizioni ivi previste”.

 

Il comma 6 prevede che il Ministero dell'ambiente e della sicurezza energetica (MASE), il Ministero dell'agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste (MASAF) e le autorità competenti possono promuovere accordi di programma con soggetti pubblici e privati, incluse le associazioni di categoria del settore, per le finalità previste dal comma 5, nei quali possono essere individuati anche criteri e prassi relativi ai pertinenti utilizzi del materiale vegetale.

 

Il comma 7 reca disposizioni finalizzate al finanziamento delle attività e degli utilizzi di cui ai commi 5 e 6.

Tale comma stabilisce infatti che tali attività e utilizzi sono presi in considerazione nella previsione delle misure nazionali e regionali di incentivazione e di finanziamento in materia di qualità dell’aria e di sviluppo rurale.

Lo stesso comma dispone altresì che i provvedimenti relativi al Programma nazionale di controllo dell’inquinamento atmosferico (PNCIA), di cui al D.P.C.M. 23 dicembre 2021, e al Piano Strategico nazionale della politica agricola comune (PAC) per il periodo 2023-2027 assicurano una priorità al finanziamento di tali attività.

Decorrenza del divieto (comma 8)

In base al comma 8, il divieto previsto dal comma 1 si applica per la prima volta al periodo 1° ottobre 2023-30 settembre 2024 in riferimento alle zone interessate da superamenti dei valori limite comunicati alle competenti autorità europee entro il 30 settembre 2023.

Si fa notare che, in realtà, il mese di ottobre è uno dei mesi nei quali l’attività di abbruciamento è consentita dal comma 1 dell’articolo in esame; quindi di fatto il divieto in questione decorrerà effettivamente dal 1° novembre 2023.

 

Clausola di invarianza finanziaria (comma 9)

Il comma 9 reca l’usuale clausola di invarianza finanziaria stabilendo che dall’attuazione del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

 

 

 

Il decreto legislativo n. 155/2010

Con il D.Lgs. 155/2010 si è provveduto al recepimento nell’ordinamento nazionale delle disposizioni della direttiva 2008/50/CE relativa alla qualità dell'aria ambiente. In attuazione di tale direttiva, tale decreto ha istituito un quadro normativo unitario in materia di valutazione e di gestione della qualità dell'aria ambiente finalizzato, in particolare, a valutare la qualità dell'aria ambiente sulla base di metodi e criteri comuni su tutto il territorio nazionale e a disciplinare le azioni per mantenere la qualità dell'aria ambiente, laddove buona, e migliorarla negli altri casi. Per le citate finalità, tale decreto legislativo stabilisce i valori limite per le concentrazioni nell'aria di una serie di inquinanti, tra i quali il PM10. Lo stesso decreto stabilisce (all’art. 3) che l'intero territorio nazionale è suddiviso in zone “da classificare ai fini della valutazione della qualità dell'aria ambiente” e prevede, per le zone in cui si hanno superamenti delle soglie previste dal medesimo decreto, l’adozione di piani per il miglioramento della qualità dell’aria. In base all’art. 19 del medesimo decreto, il Ministero dell'ambiente comunica alla Commissione europea una serie di informazioni, tra le quali (entro il 30 settembre di ciascun anno) le zone in cui si hanno superamenti dei valori limite.

I valori limite per il PM10 e la situazione nazionale

In relazione al PM10, il D.Lgs. 155/2010 prevede (all’allegato XI) un valore limite giornaliero di 50 ?g/m³, da non superare più di 35 volte all’anno, e un limite annuale di 40 ?g/m³.

Secondo i dati più recenti diffusi dal Sistema Nazionale di Protezione dell’Ambiente (SNPA) nel febbraio di quest’anno, il valore limite giornaliero del PM10 (50 µg/m³ come media giornaliera, da non superare più di 35 volte in un anno) è stato superato, nel 2022, “in 113 stazioni, pari al 20% dei casi” e “in particolare, i superamenti sono diffusi nelle regioni del bacino padano sia negli agglomerati che nelle zone pianeggianti suburbane e rurali. Come noto nel bacino padano esistono condizioni meteoclimatiche e orografiche uniche, anche rispetto al contesto europeo, che favoriscono, in particolare nei mesi invernali, l’accumulo degli inquinanti in atmosfera e i processi chimico-fisici che determinano la formazione di particolato secondario”.

La procedura d’infrazione n. 2014/2147 (a cura dell’Ufficio Rapporti con l’UE)

Nell’ambito della procedura di infrazione 2014/2147, avviata per cattiva applicazione della direttiva 2008/50/CE relativa alla qualità dell’aria ambiente e superamento dei valori limite di PM10, il 10 novembre 2020 è stata adottata da parte della Corte di giustizia dell’Unione europea (causa 644/18) una sentenza di condanna nei confronti dell’Italia.

Secondo la Corte l’Italia ha superato, in maniera sistematica e continuativa, i valori limite giornaliero e annuale applicabili alle concentrazioni di particelle PM10 e non ha adottato misure appropriate per garantire il rispetto di tali soglie in alcune zone del proprio territorio. Le regioni interessate sono: Campania, Emilia-Romagna, Lazio, Lombardia, Piemonte, Puglia, Sicilia, Toscana, Umbria, Veneto.

La citata direttiva dispone all’articolo 13 che, in ogni Stato dell’UE, le concentrazioni di sostanze inquinanti nell’aria ambiente non superino determinati valori limite, indicati dall’allegato XI, che indica anche le scadenze entro cui ogni Stato membro deve riportare ogni elemento inquinante menzionato nell’allegato stesso, entro le soglie prescritte. In base alla precedente direttiva 1999/30/CE, non più in vigore, alcune sostanze inquinanti dovevano essere ricondotte nei limiti stabiliti già entro il maggio 2005. Il livello di altre sostanze, menzionate per la prima volta dalla direttiva del 2008, doveva essere ricondotto a norma entro l’inizio del 2010. L’art. 23 della direttiva del 2008 stabilisce che laddove in uno Stato membro dell’UE - alla scadenza dei termini cronologici stabiliti dall’allegato XI - i livelli di inquinamento dell’aria ambiente risultino superiori ai valori-limite, tale Stato deve approntare un “piano di gestione dell’aria”, recante le misure “appropriate” per ricondurre tali livelli di inquinamento, nel tempo “più breve possibile”, entro i suddetti massimali.

La Corte di Giustizia ha ritenuto l’Italia inadempiente, sia per il costante superamento dei valori soglia fissati dalla normativa europea, sia per l’inefficacia delle misure adottate, rispetto all’obbligo di attuare piani di azione.

 

 

 

Zone montane e agricole svantaggiate

Sono designate zone montane le superfici - individuate ai sensi dell'art. 32, comma 1, lettera a) del regolamento (UE) n. 1305/2013 - caratterizzate da una notevole limitazione delle possibilità di utilizzazione della terra e da un considerevole aumento dei costi di produzione, dovuti: all'esistenza di condizioni climatiche molto difficili a causa dell'altitudine, che si traducono in un periodo vegetativo nettamente abbreviato; in zone a più bassa altitudine, all'esistenza nella maggior parte del territorio di forti pendii che rendono impossibile la meccanizzazione o richiedono l'impiego di materiale speciale assai oneroso, ovvero a una combinazione dei due fattori, quando i vincoli derivanti da ciascuno di questi fattori presi separatamente sono meno accentuati, ma la loro combinazione comporta vincoli equivalenti. Le zone situate a nord del 62° parallelo e talune zone limitrofe sono considerate zone montane.

Sono designate zone svantaggiate le superfici - individuate ai sensi dell'art.  32, comma 1, lettere b) e c) del regolamento (UE) n. 1305/2013 - soggette a vincoli naturali significativi, diverse dalle zone montane, nonché altre zone soggette a vincoli specifici.

Si ricorda che l’articolo 72 del reg. (UE) 2021/2115 prevede che gli Stati membri possono concedere pagamenti per svantaggi territoriali specifici imposti da requisiti derivanti dall’applicazione delle direttive 92/43/CEE, 2009/147/CE o 2000/60/CE e come ulteriormente specificato nei rispettivi piani strategici della PAC, al fine di contribuire al conseguimento di uno o più degli obiettivi specifici di cui all’articolo 6, paragrafi 1 e 2, tra cui, contribuire alla mitigazione dei cambiamenti climatici e all’adattamento agli stessi, anche riducendo le emissioni di gas a effetto serra e migliorando il sequestro del carbonio, nonché promuovere l’energia sostenibile; promuovere lo sviluppo sostenibile e un’efficiente gestione delle risorse naturali, come l’acqua, il suolo e l’aria, anche riducendo la dipendenza dalle sostanze chimiche. Nel determinare le zone svantaggiate, gli Stati membri possono includere una o più delle zone seguenti: le zone agricole e forestali Natura 2000 designate ai sensi delle direttive 92/43/CEE e 2009/147/CE; altre zone naturali protette delimitate soggette a vincoli ambientali relativi all’attività agricola o silvicola, che contribuiscono all’attuazione dell’articolo 10 della direttiva 92/43/CEE, a condizione che tali zone non superino il 5% delle zone Natura 2000 designate ricomprese nel territorio di ciascun piano strategico della PAC; le zone agricole incluse nei piani di gestione dei bacini idrografici ai sensi della direttiva 2000/60/CE. Gli Stati membri possono concedere pagamenti a norma del presente articolo solo al fine di compensare, in tutto o in parte, i beneficiari per i costi aggiuntivi e il mancato guadagno dovuti agli svantaggi territoriali specifici nella zona interessata, compresi i costi di transazione. I pagamenti sono concessi annualmente per ettaro.

FEASR (Fondo Europeo Agricolo per lo Sviluppo Rurale)

Il FEASR è gestito in regime di gestione concorrente tra gli Stati membri e l'Unione e finanzia il contributo agli interventi di sviluppo rurale (titolo III, capo IV, regolamento (UE) 2021/2115) - tra cui interventi in materia di ambiente e di clima, vincoli naturali e altri vincoli territoriali specifici, svantaggi territoriali specifici derivanti da determinati requisiti obbligatori, investimenti, compresi gli investimenti nell'irrigazione, insediamento dei giovani agricoltori e dei nuovi agricoltori, e l'avvio di imprese rurali, gestione del rischio, cooperazione, scambio di conoscenze e la diffusione dell'informazione- specificati nei piani strategici della PAC e alle azioni di cui all'articolo 125 del medesimo regolamento, tra cui azioni necessarie per una gestione e un'attuazione efficaci del sostegno in relazione al piano strategico della PAC, ivi compresa la creazione e la gestione delle reti nazionali della PAC.

 


Articolo 11
(Disposizioni in materia di riconoscimento del servizio agli effetti della carriera per il personale delle Istituzioni di alta formazione artistica musicale e coreutica. Procedura di infrazione n. 2014/4231)

 

 

I commi 1 e 2 dell’articolo 11 estendono al personale docente e a quello tecnico e amministrativo delle istituzioni AFAM il diritto al riconoscimento per intero come servizio di ruolo, ai fini giuridici ed economici, del servizio non di ruolo prestato presso le predette istituzioni. In relazione al personale docente, si richiede che lo stesso sia stato immesso e confermato in ruolo, mentre per il personale tecnico e amministrativo si richiede la sola avvenuta immissione in ruolo. Il comma 3 prevede che, ai fini previdenziali, le suddette disposizioni operano con effetto sulle anzianità contributive maturate a decorrere dal 14 giugno 2023 (data di entrata in vigore del presente decreto; il testo originario faceva invece riferimento all'entrata in vigore “delle medesime disposizioni”). Il comma 3-bis, inserito nel corso dell’esame in sede referente, consente alle istituzioni AFAM di indire, a determinate condizioni, “procedure di reclutamento straordinarie”, distinte per istituzione e settore artistico-disciplinare. Il comma 4 rinvia all’articolo 26 del provvedimento in esame per quanto riguarda la copertura degli oneri derivanti dall’attuazione delle disposizioni di cui ai commi 1 e 2 del presente articolo.

 

Come segnala la relazione illustrativa, gli articoli 485, comma 1, e 569, comma 1, del decreto legislativo n. 297 del 1994, recante: “Testo Unico delle disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione, relative alle scuole di ogni ordine e grado” continuano ad applicarsi al personale docente e tecnico amministrativo delle AFAM che, prima dell’intervento normativo della legge n. 508 del 1999 (che ha previsto all’articolo 2, comma 6, un apposito Comparto), era disciplinato dal contratto collettivo nazionale del personale della scuola. Poiché, anche successivamente all’approvazione della legge n. 508 del 1999, né la disciplina specifica di comparto né i regolamenti di attuazione della medesima legge istitutiva hanno disposto alcunché in materia di riconoscimento del servizio in pre-ruolo, svolto dal personale delle Istituzioni, a fini di carriera, (…) si è continuato, sino ad oggi, ad applicare al personale dipendente delle predette Istituzioni la normativa vigente al momento in cui faceva parte del comparto scuola, laddove non diversamente disciplinato.

Secondo quanto si evince dalla stessa relazione illustrativa (oltre che dalla rubrica dell’articolo in esame), «la disposizione [l’articolo 11, commi 1 e 2] mira a superare le criticità constatate nella procedura di infrazione n. 2014/4231, nell’ambito della quale la Commissione UE ha evidenziato che l’Italia abbia violato le clausole 4 e 5 dell’“Accordo quadro” allegato alla direttiva 1999/70/CE, in base al quale il contratto di lavoro a tempo determinato” può essere utilizzato - in quanto meno vantaggioso per il lavoratore di quello “a tempo indeterminato” - solo al fine di fronteggiare esigenze straordinarie ed occasionali, chiedendo, pertanto, che si ponga fine alla prassi di perpetuare forme contrattuali destinate a situazioni del tutto eccezionali, in violazione della normativa nazionale e di quella europea».

Sulla procedura di infrazione n. 2014/4231 si veda la scheda relativa all’articolo 14 del presente provvedimento.

In particolare, la clausola 4 (Principio di non discriminazione) dell’accordo quadro CES-UNICE-CEEP sul lavoro a tempo determinato allegato alla direttiva 1999/70/CE stabilisce che, per quanto riguarda le condizioni di impiego, i lavoratori a tempo determinato non possono essere trattati in modo meno favorevole dei lavoratori a tempo indeterminato comparabili per il solo fatto di avere un contratto o rapporto di lavoro a tempo determinato, a meno che non sussistano ragioni oggettive. Se del caso, si applicherà il principio del pro rata temporis. Le disposizioni per l'applicazione di questa clausola saranno definite dagli Stati membri, previa consultazione delle parti sociali e/o dalle parti sociali stesse, viste le norme comunitarie e nazionali, i contratti collettivi e la prassi nazionali. I criteri del periodo di anzianità di servizio relativi a particolari condizioni di lavoro dovranno essere gli stessi sia per i lavoratori a tempo determinato sia per quelli a tempo indeterminato, eccetto quando criteri diversi in materia di periodo di anzianità siano giustificati da motivazioni oggettive.

A sua volta la clausola 5 (Misure di prevenzione degli abusi) prevede che per prevenire gli abusi derivanti dall'utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato, gli Stati membri, previa consultazione delle parti sociali a norma delle leggi, dei contratti collettivi e della prassi nazionali, e/o le parti sociali stesse, dovranno introdurre, in assenza di norme equivalenti per la prevenzione degli abusi e in un modo che tenga conto delle esigenze di settori e/o categorie specifici di lavoratori, una o più misure relative a: a) ragioni obiettive per la giustificazione del rinnovo dei suddetti contratti o rapporti; b) la durata massima totale dei contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato successivi; c) il numero dei rinnovi dei suddetti contratti o rapporti. Gli Stati membri, previa consultazione delle parti sociali, e/o le parti sociali stesse dovranno, se del caso, stabilire a quali condizioni i contratti e i rapporti di lavoro a tempo determinato: a) devono essere considerati "successivi"; b) devono essere ritenuti contratti o rapporti a tempo indeterminato.

Nella causa C?466/17, la Corte di giustizia ha ricordato che (…) la Corte ha già statuito che la clausola 4 dell’accordo quadro deve essere interpretata nel senso che essa osta a una normativa nazionale, la quale escluda totalmente che i periodi di servizio compiuti da un lavoratore a tempo determinato alle dipendenze di un’autorità pubblica siano presi in considerazione per determinare l’anzianità del lavoratore stesso al momento della sua assunzione a tempo indeterminato, da parte di questa medesima autorità, come dipendente di ruolo nell’ambito di una specifica procedura di stabilizzazione del suo rapporto di lavoro, a meno che la citata esclusione sia giustificata da «ragioni oggettive» ai sensi dei punti 1 e/o 4 della clausola di cui sopra. Il semplice fatto che il lavoratore a tempo determinato abbia prestato detti periodi di servizio in base a un contratto o a un rapporto di lavoro a tempo determinato non configura una ragione oggettiva di tal genere (sentenza del 18 ottobre 2012, Valenza e a., da C 302/11 a C 305/11, EU:C:2012:646, punto 71)” (punto 39). Pertanto, gli obiettivi invocati dal governo italiano consistenti, da un lato, nel rispecchiare le differenze nell’attività lavorativa tra le due categorie di lavoratori in questione e, dall’altro, nell’evitare il prodursi di discriminazioni alla rovescia nei confronti dei dipendenti pubblici di ruolo assunti a seguito del superamento di un concorso generale, possono essere considerati come configuranti una «ragione oggettiva», ai sensi della clausola 4, punti 1 e/o 4, dell’accordo quadro, nei limiti in cui essi rispondano a una reale necessità, siano idonei a conseguire l’obiettivo perseguito e siano necessari a tale fine (v., in tal senso, sentenza del 18 ottobre 2012, Valenza e a., da C 302/11 a C 305/11, EU:C:2012:646, punto 62) (punto 47). Fatte salve le verifiche rientranti nella competenza esclusiva del giudice del rinvio, si deve ammettere che gli obiettivi invocati dal governo italiano nel caso di specie possono essere legittimamente considerati rispondenti a una reale necessità (punto 48).

Essa ha quindi concluso che alla luce delle suesposte considerazioni, occorre rispondere alle questioni sollevate dichiarando che la clausola 4 dell’accordo quadro deve essere interpretata nel senso che essa non osta, in linea di principio, a una normativa nazionale come quella di cui al procedimento principale, la quale, ai fini dell’inquadramento di un lavoratore in una categoria retributiva al momento della sua assunzione in base ai titoli come dipendente pubblico di ruolo, tenga conto dei periodi di servizio prestati nell’ambito di contratti di lavoro a tempo determinato in misura integrale fino al quarto anno e poi, oltre tale limite, parzialmente, a concorrenza dei due terzi” (punto 54). Alla luce di tali elementi, non si può ritenere che una normativa nazionale come quella di cui al procedimento principale, la quale consente di tener conto dell’anzianità eccedente i quattro anni maturata nell’ambito di contratti di lavoro a tempo determinato solo nella misura dei due terzi, vada oltre quanto è necessario per conseguire gli obiettivi precedentemente esaminati e raggiungere un equilibrio tra i legittimi interessi dei lavoratori a tempo determinato e quelli dei lavoratori a tempo indeterminato, nel rispetto dei valori di meritocrazia e delle considerazioni di imparzialità e di efficacia dell’amministrazione su cui si basano le assunzioni mediante concorso (punto 51).

Sul versante della giurisprudenza nazionale, si è osservato che, nel calcolo dell'anzianità occorre, quindi, tener conto del solo servizio effettivo prestato, maggiorato, eventualmente, degli ulteriori periodi nei quali l'assenza è giustificata da una ragione che non comporta decurtazione di anzianità anche per l'assunto a tempo indeterminato (congedo ed aspettativa retribuiti, maternità e istituti assimilati), con la conseguenza che non possono essere considerati né gli intervalli fra la cessazione di un incarico di supplenza ed il conferimento di quello successivo, né, per le supplenze diverse da quelle annuali, i mesi estivi, in relazione ai quali questa Corte da tempo ha escluso la spettanza del diritto alla retribuzione (…), sul presupposto che il rapporto cessa al momento del completamento delle attività di scrutinio. Si dovrà, invece, tener conto del servizio prestato in un ruolo diverso da quello rispetto al quale si domanda la ricostruzione della carriera, in presenza delle condizioni richieste dall'art. 485, perché il medesimo beneficio è riconosciuto anche al docente a tempo indeterminato che transiti dall'uno all'altro ruolo, con la conseguenza che il meccanismo non determina alcuna discriminazione alla rovescia. Qualora, all'esito del calcolo effettuato nei termini sopra indicati, il risultato complessivo dovesse risultare superiore a quello ottenuto con l'applicazione dei criteri di cui al D.lgs. n. 297 del 1994, art. 485, la norma di diritto interno deve essere disapplicata ed al docente va riconosciuto il medesimo trattamento che, nelle stesse condizioni qualitative e quantitative, sarebbe stato attribuito all'insegnante assunto a tempo indeterminato, perché l'abbattimento, in quanto non giustificato da ragione oggettiva, non appare conforme al diritto dell'Unione (Cass. civ., sez. lavoro, 28 novembre 2019, n. 31149, punti 9.2 e 9.3).

Tra i principi di diritto affermati dalla richiamata sentenza della Corte di cassazione (punto 11, lettera a) rientra quindi anche quello per cui il d.lgs. n. 297 del 1994, art. 485, che anche in forza del rinvio operato dalle parti collettive disciplina il riconoscimento dell'anzianità di servizio dei docenti a tempo determinato poi definitivamente immessi nei ruoli dell'amministrazione scolastica, viola la clausola 4 dell'Accordo Quadro allegato alla direttiva 1999/70/CE, e deve essere disapplicato, nei casi in cui l'anzianità risultante dall'applicazione dei criteri dallo stesso indicati, unitamente a quello fissato dall'art. 489 dello stesso decreto, come integrato dalla L. n. 124 del 1999, art. 11, comma 14, risulti essere inferiore a quella riconoscibile al docente comparabile assunto ab origine a tempo indeterminato.

 

Il comma 1 prevede espressamente che al personale docente delle istituzioni di cui all’articolo 1 della L. n. 508/1999 si applica l’articolo 485, comma 1, del testo unico delle disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione, relative alle scuole di ogni ordine e grado (d.lgs. n. 297/1994), come modificato dall’articolo 14, comma 1, lettera a), del decreto in esame (alla cui scheda di lettura si rinvia), ad eccezione delle parole: «a far data dall’anno scolastico 2023-2024».

Con una modifica approvata nel corso dell’esame in sede referente, la locuzione “ad eccezione delle parole: «a far data dall’anno scolastico 2023-2024»” è stata sostituita con l’espressione “ad eccezione della previsione della decorrenza dell'immissione in ruolo a far data dall'anno scolastico 2023/2024”.

Come sopra segnalato, per effetto di tale disposizione, al personale docente delle istituzioni AFAM, immesso in ruolo e confermato in ruolo, il servizio prestato presso le predette istituzioni, in qualità di docente non di ruolo, è riconosciuto come servizio di ruolo, ai fini giuridici ed economici, per intero.

 

Le istituzioni menzionate nel richiamato articolo 1 della L. n. 508/1999 sono le Accademie di belle arti, l'Accademia nazionale di danza, l'Accademia nazionale di arte drammatica, gli Istituti superiori per le industrie artistiche (ISIA), i Conservatori di musica e gli Istituti musicali pareggiati.

Si ricorda al riguardo che la previgente formulazione dell’articolo 485, comma 1, del d.lgs. n. 297/1994 stabiliva che al personale docente delle scuole di istruzione secondaria ed artistica, il servizio prestato presso le predette scuole statali e pareggiate, comprese quelle all’estero, in qualità di docente non di ruolo, fosse riconosciuto come servizio di ruolo, ai fini giuridici ed economici, per intero solamente per i primi quattro anni e per i due terzi del periodo eventualmente eccedente, nonché ai soli fini economici per il rimanente terzo. La novella disposta dall’articolo 14, comma 1, lettera a), del decreto in esame, mantiene quindi ferma la previsione per cui i diritti economici derivanti da detto riconoscimento sono conservati e valutati in tutte le classi di stipendio successive a quella attribuita al momento del riconoscimento medesimo.

Occorre inoltre tener conto anche delle sottoindicate disposizioni.

Secondo la versione finora vigente dell’articolo 489 del d.lgs. n. 297/1994 (modificato dall’articolo 14, comma 1, lettera b), del provvedimento in esame, alla cui scheda di lettura si rinvia), ai fini del riconoscimento di cui al presente capo (III), cioè del servizio agli effetti della carriera, si valuta il servizio di insegnamento effettivamente prestato e non trova applicazione la disciplina sulla validità dell'anno scolastico prevista dall'ordinamento scolastico al momento della prestazione. I periodi di congedo e di aspettativa retribuiti e quelli per gravidanza e puerperio sono considerati utili ai fini del computo del periodo richiesto per il riconoscimento.

In secondo luogo, l’articolo 11, comma 14, della L. 124/1999 prevede che il comma 1 dell'articolo 489 del testo unico è da intendere nel senso che il servizio di insegnamento non di ruolo prestato a decorrere dall'anno scolastico 1974-1975 è considerato come anno scolastico intero se ha avuto la durata di almeno 180 giorni oppure se il servizio sia stato prestato ininterrottamente dal 1° febbraio fino al termine delle operazioni di scrutinio finale.

In relazione agli effetti giuridici della modifica all’articolo 489, comma 1, del d.lgs. n. 297/1994 sull’articolo 11, comma 14, della L. 124/1999 si rinvia alla scheda relativa all’articolo 14 del provvedimento in esame.

L’articolo 66, comma 6, del CCNL del 4 agosto 1995, relativo al comparto scuola, ha previsto che restano confermate, al fine del riconoscimento dei servizi di ruolo e non di ruolo eventualmente prestati anteriormente alla nomina in ruolo e alla conseguente stipulazione del contratto individuale di lavora tempo indeterminato, le norme di cui al D.L. 19 giugno 1970, n. 370, convertito, con modificazioni dalla legge 26 luglio 1970, n. 576, e successive modificazioni e integrazioni, nonché le relative disposizioni di applicazione, così come definite dall'art. 4 del D.P.R. 23 agosto 1988, n. 399.

Il riferimento al D.L. n. 370/1970 deve essere ora inteso al d.lgs. 297/1994 nel quale il primo è stato trasposto.

I successivi contratti collettivi hanno confermato la vigenza della predetta disposizione (CCNL 26 maggio 1999, articolo 48, e 24 luglio 2003, articolo 142, comma 1, n. 8).

Infine, l’articolo 4, comma 3, del DPR 399/1988, sopra richiamato, prevede che, al compimento del sedicesimo anno per i docenti laureati della scuola secondaria superiore, del diciottesimo anno per i coordinatori amministrativi, per i docenti della scuola materna ed elementare, della scuola media e per i docenti diplomati della scuola secondaria superiore, del ventesimo anno per il personale ausiliario e collaboratore, del ventiquattresimo anno per i docenti dei conservatori di musica e delle accademie, l'anzianità utile ai soli fini economici è interamente valida ai fini dell'attribuzione delle successive posizioni stipendiali.

 

Analogamente, il comma 2 prevede che al personale tecnico e amministrativo delle istituzioni di cui all’articolo 1 della stessa L. n. 508/1999, si applica l’articolo 569, comma 1, del testo unico delle disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione, relative alle scuole di ogni ordine e grado (d.lgs. n. 297/1994), come modificato dall’articolo 14, comma 1, lettera c), del decreto in esame (alla cui scheda di lettura si rinvia), ad eccezione delle parole: «a far data dall’anno scolastico 2023-2024».

Con una modifica approvata nel corso dell’esame in sede referente, la locuzione “ad eccezione delle parole: «a far data dall’anno scolastico 2023-2024»” è stata sostituita con l’espressione “ad eccezione della previsione della decorrenza dell'immissione in ruolo a far data dall'anno scolastico 2023/2024”.

Discende da tale previsione che al suddetto personale, una volta immesso in ruolo, il servizio non di ruolo prestato nelle stesse istituzioni AFAM è riconosciuto per intero agli effetti giuridici ed economici.

 

Nella previgente formulazione l’articolo 569, comma 1, del d.lgs. n. 297/1994 stabiliva invece che al personale amministrativo, tecnico ed ausiliario (delle istituzioni scolastiche), il servizio non di ruolo prestato nelle scuole e istituzioni educative statali fosse riconosciuto sino ad un massimo di tre anni agli effetti giuridici ed economici e, per la restante parte, nella misura di due terzi, ai soli fini economici. Si facevano inoltre salve le eventuali disposizioni più favorevoli contenute nei contratti collettivi già stipulati ovvero in quelli da stipulare ai sensi del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29. Tale clausola è stata soppressa dall’articolo 14, comma 1, lettera c), del decreto in esame.

Si ricorda che, nella sentenza n. 31150/2019 della Corte di cassazione (punto 12), è stato enunciato il seguente principio di diritto: "il D.Lgs. n. 297 del 1994, art. 569, relativo al riconoscimento dei servizi preruolo del personale amministrativo tecnico ed ausiliario della scuola si pone in contrasto con la clausola 4 dell'Accordo Quadro CES, UNICE e CEEP allegato alla direttiva 1999/70/CE nella parte in cui prevede che il servizio effettivo prestato, calcolato ai sensi dell'art. 570 dello stesso decreto, sia utile integralmente a fini giuridici ed economici solo limitatamente al primo triennio e per la quota residua rilevi a fini economici nei limiti dei due terzi. Il giudice, una volta accertata la violazione della richiamata clausola 4, è tenuto a disapplicare la norma di diritto interno in contrasto con la direttiva ed a riconoscere ad ogni effetto al lavoratore a termine, poi immesso nei ruoli dell'amministrazione, l'intero servizio effettivo prestato".

 

Il comma 3 prevede che, ai fini previdenziali, le suddette disposizioni operano con effetto sulle anzianità contributive maturate a decorrere dalla data della loro entrata in vigore (ovvero il 14 giugno 2023).

Per effetto di una modifica approvata nel corso dell’esame in sede referente, l’originario riferimento all'entrata in vigore “delle medesime disposizioni” di cui all’articolo 11 qui in esame è stato sostituito con quello alla “data di entrata in vigore del presente decreto”.

 

Il comma 3-bis, inserito nel corso dell’esame in sede referente con l’approvazione dell’emendamento 11.4 (testo 2) e di altri identici, introduce il nuovo comma 9-ter all'articolo 59 del D.L. 73/2021 (L. n. 106/2021).

 

Con decreto dirigenziale n. 8472 del 7 luglio 2023 si è provveduto al riparto delle facoltà assunzionali relative ai docenti AFAM per l’a.a. 2023/24.

 

La nuova disposizione consente alle istituzioni AFAM l’indizione di “procedure di reclutamento straordinarie”, distinte per istituzione e settore artistico-disciplinare.

Tali procedure possono essere indette:

- a decorrere dall'anno accademico 2024/2025 e fino all'entrata in vigore del regolamento disciplinante le procedure di reclutamento del personale;

 

L’emanazione di tale regolamento è stata prevista dall'articolo 2, comma 7, lettera e), della L. n. 508/1999. In attuazione di tale disposizione è stato quindi emanato il DPR n. 143/2019 (regolamento recante le procedure e le modalità per la programmazione e il reclutamento del personale docente e del personale amministrativo e tecnico del comparto AFAM). Successivamente, l’art. 3-quater, comma 1, del D.L. 1/2020 (L. 12/2020), come da ultimo modificato dall'art. 6, comma 4, lett. a), del D.L. n. 198/2022 (L. n. 14/2023), ha stabilito che le disposizioni del regolamento in questione si applicano a decorrere dall'anno accademico 2024/2025 ad esclusione delle disposizioni di cui all'articolo 8, comma 5, del medesimo regolamento, che si applicano a decorrere dall'anno accademico 2021/2022. In sede di prima attuazione la programmazione del reclutamento del personale di cui all'articolo 2 del medesimo regolamento è approvata dal consiglio di amministrazione su proposta del consiglio accademico entro il 31 dicembre 2023.

Nel proprio parere favorevole del 7 luglio 2022 in merito allo schema di regolamento in materia di reclutamento del personale delle Istituzioni di alta formazione artistica, musicale e coreutica, in riforma del decreto del Presidente della Repubblica 7 agosto 2019, n. 143, il CNAM ha tra l’altro auspicato e raccomandato che, attraverso un parallelo intervento legislativo volto ad accrescere le facoltà assunzionali attualmente previste dalla Legge, si consenta alle istituzioni AFAM di effettuare il reclutamento a tempo indeterminato su ogni posto della dotazione organica anziché il reclutamento a tempo determinato, peraltro limitato dall'articolo 10 comma 1 del regolamento. Con tale intervento legislativo, attraverso la programmazione di cui all'articolo 3 e la previsione di cui all'articolo 16 comma 7, si azzererebbero infatti le oltre 1.100 posizioni di precariato ancora residue, condizione essenziale per la piena attuazione del nuovo modello di reclutamento.

Lo schema di regolamento in materia di reclutamento del personale delle istituzioni di alta formazione artistica, musicale e coreutica, è stato approvato in deliberazione preliminare dal Consiglio dei Ministri nella riunione del 1° settembre 2022.

 

- prioritariamente rispetto alle selezioni pubbliche di cui all'articolo 6, comma 4-ter, del D.L. n. 198/2022 (L. n. 14/2023);

 

La disposizione sopra espressamente richiamata consente alle istituzioni dell’alta formazione artistica musicale e coreutica di reclutare, per l'a.a. 2023/2024 e nei limiti delle facoltà assunzionali autorizzate e successivamente ripartite dal Ministero dell'università e della ricerca, personale docente a tempo indeterminato, nelle more della piena attuazione del regolamento disciplinante le procedure di reclutamento del personale delle medesime istituzioni. Il reclutamento deve essere prioritariamente effettuato a valere: sulle vigenti graduatorie formate nell'ambito dei processi di statizzazione delle istituzioni alta formazione artistica musicale e coreutica non statali; nonché sulle vigenti graduatorie nazionali per titoli; e, in subordine, mediante selezioni pubbliche per titoli ed esami, nonché di criteri, modalità e requisiti di partecipazione definiti con decreto del Ministro dell'università e della ricerca, da adottarsi entro 30 giorni dal 28 febbraio 2023 (data di entrata in vigore della legge di conversione del D.L. 198/2022). In attuazione di tale disposizione è stato quindi adottato il DM n. 180 del 29 marzo 2023.

Per ulteriori approfondimenti si rinvia al dossier sull’AC 888.

 

- a valere sui posti che residuano dalle immissioni in ruolo ai sensi delle vigenti graduatorie nazionali per titoli e delle vigenti graduatorie di cui all'articolo 14, comma 4-quater del D.L. n. 36/2022 (L. n. 79/2022).

 

Tale disposizione prevede che, nell'ambito dei processi di statizzazione di cui all'articolo 22-bis del D.L. n. 50/2017 (L. n. 96/2017), l'Elenco A e l'Elenco B previsti dal DPCM 9 settembre 2021 (GU n. 258 del 28 ottobre 2021), sono mantenuti, con vigenza triennale a decorrere dalla data di approvazione, quali graduatorie valide ai fini del reclutamento a tempo indeterminato di personale per la sola istituzione che li costituisce, nonché quali graduatorie d'istituto valide ai fini del reclutamento a tempo determinato da parte di tutte le istituzioni dell'alta formazione artistica, musicale e coreutica. Ai fini dell'inquadramento nei ruoli dello Stato del personale delle istituzioni AFAM non statali, il DPCM del 9 settembre 2021 ha stabilito che ciascuna istituzione predisponga due distinti elenchi. Nell'«Elenco A» è collocato il personale, che, presentata apposita istanza, risulta in possesso dei seguenti requisiti: a) essere in servizio presso l'istituzione alla data del 24 giugno 2017 con contratto di lavoro a tempo indeterminato o determinato relativo al medesimo profilo professionale e, per i docenti, al medesimo settore disciplinare per i quali si presenta istanza; b) per il personale docente, se in servizio alla data del 24 giugno 2017 con contratto non a tempo indeterminato, aver maturato, al momento della presentazione dell'istanza, un'anzianità pari ad almeno tre anni, anche non continuativi, negli ultimi otto anni, intendendo, a tal fine, l'aver prestato servizio per tre anni accademici, con svolgimento per ciascuno di tali anni di almeno 125 ore di insegnamento (comprensive delle ore per la partecipazione agli esami di ammissione, promozione, idoneità, licenza e diploma nel corso del medesimo anno accademico, e computando, a tal fine, tutte le ore di contratto o incarico previste per l'anno accademico 2020/2021, ancorché non ancora svolte); c) per il personale tecnico amministrativo, se in servizio con contratto non a tempo indeterminato, aver maturato, al momento della presentazione dell'istanza, un'anzianità pari ad almeno trentasei mesi, anche non continuativi, negli ultimi otto anni.

Nell'«Elenco B» è collocato il personale non iscritto nell'«Elenco A», il quale, presentata apposita istanza, risulta in possesso dei seguenti requisiti: a) essere in servizio presso l'istituzione alla data del 1° dicembre 2020 con contratto di lavoro a tempo indeterminato o determinato o con contratto di lavoro flessibile relativo al medesimo profilo professionale e, per i docenti, al medesimo settore disciplinare per i quali si presenta istanza; b) per il personale docente, se in servizio con contratto non a tempo indeterminato, aver maturato, al momento della presentazione dell'istanza, un'anzianità pari ad almeno tre anni, anche non continuativi, negli ultimi otto anni, intendendo, a tal fine, l'aver prestato servizio per tre anni accademici, con svolgimento, per ciascuno di tali anni, di almeno 125 ore di insegnamento (comprensive delle ore per la partecipazione agli esami di ammissione, promozione, idoneità, licenza e diploma nel corso del medesimo anno accademico, e computando, a tal fine, tutte le ore di contratto o incarico previste per l'anno accademico 2020/2021 ancorché non ancora svolte); c) per il personale tecnico-amministrativo, se in servizio con contratto non a tempo indeterminato, aver maturato, al momento della presentazione dell'istanza, un'anzianità pari ad almeno trentasei mesi, anche non continuativi, negli ultimi otto anni.

Il passaggio nei ruoli avviene, prioritariamente, per il personale collocato nell'«Elenco A» e, in subordine, per il personale collocato nell'«Elenco B», secondo l'ordine delle graduatorie di cui all'art. 5, nei limiti della dotazione organica approvata con decreto di statizzazione e delle risorse a tal fine stanziate.

 

Le suddette procedure straordinarie di reclutamento sono riservate ai docenti che, entro il termine previsto per la presentazione delle istanze di partecipazione, hanno maturato negli ultimi otto anni, presso le istituzioni statali di cui all'articolo 1 della L. n. 508/1999 (Accademie di belle arti, Accademia nazionale di danza, Accademia nazionale di arte drammatica, ISIA, Conservatori di musica e Istituti musicali pareggiati), almeno tre anni accademici di insegnamento, anche non continuativi, nei corsi di diploma accademico di primo e di secondo livello, di specializzazione, di formazione alla ricerca e di perfezionamento [17] , e nei percorsi formativi preordinati all'insegnamento delle discipline artistiche, musicali e coreutiche della scuola secondaria di primo grado e di secondo grado [18] .

Ai fini dell'accertamento dei predetti requisiti, per anno accademico si considera l'aver svolto almeno centottanta giorni di servizio con incarico a tempo determinato o con contratto di collaborazione di cui all'articolo 273 del d.lgs. n. 297/1994, nell'ambito dello stesso anno accademico.

 

Tale disposizione prevede che i conservatori di musica, per lo svolgimento di attività didattiche ed artistiche per le quali non sia possibile provvedere con personale di ruolo, possono stipulare contratti di collaborazione con il personale dipendente da enti lirici o da altre istituzioni di produzione musicale, previa autorizzazione dei rispettivi competenti organi di amministrazione. Analogamente possono provvedere i predetti enti e istituzioni di produzione musicale nei confronti del personale docente dipendente dai conservatori, previa autorizzazione del competente organo di amministrazione del conservatorio. Tali contratti di collaborazione, se stipulati dai conservatori di musica, vengono disposti secondo l'ordine di apposite graduatorie compilate in base alle norme relative al conferimento delle supplenze. I contratti medesimi possono riferirsi esclusivamente all'insegnamento di discipline corrispondenti all'attività artistica esercitata. I contratti di collaborazione hanno durata annuale e si intendono tacitamente rinnovati nel caso in cui il posto non venga occupato da un docente di ruolo. I titolari dei contratti assumono gli stessi obblighi di servizio dei docenti. Il compenso per le attività previste nel contratto di collaborazione ha carattere onnicomprensivo e deve essere pari all'entità del trattamento economico complessivo che compete ad un docente di ruolo alla prima classe di stipendio con esclusione della tredicesima mensilità, delle quote di aggiunta di famiglia e di ogni altra indennità di cui le norme vigenti vietano il cumulo. Dopo un quinquennio anche non consecutivo di attività contrattuale il compenso viene calcolato con le modalità di cui al precedente comma sulla base della seconda classe di stipendio del personale di ruolo. Gli enti possono stipulare con il personale docente dei conservatori di musica e delle accademie di belle arti contratti annuali o biennali, rinnovabili per le attività di rispettiva competenza. Nello stato di previsione del Ministero della pubblica istruzione è iscritto, in apposito capitolo, uno stanziamento per far fronte all'onere derivante ai conservatori per la stipula dei contratti di collaborazione. Il Ministero della pubblica istruzione (ora dell’istruzione e del merito) provvede ogni anno alla ripartizione di tale stanziamento tra i conservatori in relazione alle esigenze accertate.

 

Ai fini del computo dei giorni di servizio sono ritenuti utili i periodi di insegnamento, nonché i periodi ad esso equiparati per legge o per disposizioni del contratto collettivo nazionale di lavoro, prestati durante il periodo di attività didattica stabilito dal calendario accademico, ivi compresa la partecipazione agli esami di ammissione, promozione, idoneità, licenza e di diploma.

In materia di computo del periodo di servizio non di ruolo, è fatto salvo quanto stabilito dell'articolo 11, comma 14, della L. n. 124/1999.

 

La disposizione testé richiamata stabilisce, mediante interpretazione del comma 1 dell'articolo 489 del testo unico (d.lgs. 297/1994), che il servizio di insegnamento non di ruolo prestato a decorrere dall'anno scolastico 1974-1975 è considerato come anno scolastico intero se ha avuto la durata di almeno 180 giorni oppure se il servizio sia stato prestato ininterrottamente dal 1° febbraio fino al termine delle operazioni di scrutinio finale. Il comma 1 della disposizione interpretata stabilisce che, ai fini del riconoscimento del servizio agli effetti della carriera, si valuta il servizio di insegnamento effettivamente prestato e non trova applicazione la disciplina sulla validità dell'anno scolastico prevista dall'ordinamento scolastico al momento della prestazione.

 

Ciascun candidato può partecipare alla procedura in un'unica istituzione e limitatamente a un settore disciplinare per il quale abbia maturato almeno un anno di servizio presso tale istituzione, valutato ai sensi dei periodi precedenti.

Le graduatorie di merito per istituzione sono predisposte sulla base dei titoli posseduti e del punteggio conseguito in una prova selettiva, le cui modalità di svolgimento sono definite nel bando di concorso secondo le modalità, in quanto compatibili, di cui all'articolo 4, comma 1, del DM n. 180 del 29 marzo 2023.

 

La disposizione in questione prevede che le istituzioni di cui all’articolo 1 della L. n. 508/1999 (Accademie di belle arti, Accademia nazionale di danza, Accademia nazionale di arte drammatica, ISIA, Conservatori di musica e Istituti musicali pareggiati) reclutano personale docente a tempo indeterminato:

- nei limiti delle facoltà assunzionali;

- mediante selezioni pubbliche per titoli ed esami;

- nel rispetto dei principi di pubblicità, imparzialità, economicità, celerità di espletamento, trasparenza, oggettività dei meccanismi di verifica dei requisiti attitudinali e professionali, rispetto delle pari opportunità tra lavoratici e lavoratori, - nonché di una serie di altri criteri, modalità e requisiti di partecipazione stabiliti dallo stesso articolo 4, comma 1, del DM n. 180 del 29 marzo 2023.

 

Il bando prevede altresì un contributo di partecipazione a carico di ciascun candidato relativo agli oneri di svolgimento della procedura, definito dal Ministero dell'università e della ricerca.

A seguito del superamento della prova di cui al periodo precedente, il docente è assunto a tempo indeterminato e confermato in ruolo, con decorrenza giuridica ed economica dal 1° novembre successivo, nella medesima istituzione accademica che ha bandito la procedura.

 

Si segnala che l’articolo 59 (Misure straordinarie per la tempestiva nomina dei docenti di posto comune e di sostegno e semplificazione delle procedure concorsuali del personale docente) del D.L. 73/2021 (L. n. 106/2021), qui novellato, contiene disposizioni che non si riferiscono specificamente al personale delle istituzioni AFAM bensì a quello delle istituzioni scolastiche.

In secondo luogo, l’articolo 59 del D.L. 73/2021(L. n. 106/2021) già contiene, nella formulazione attualmente vigente, un comma 9-ter, inserito dall'art. 1, comma 958, della L. n. 234/2021 (legge di bilancio per il 2022) e successivamente modificato dall'art. 5, comma 3-sexies, del D.L. n. 228/2021 (L. n. 15/2022).

 

Il comma 4 rinvia all’articolo 26 del provvedimento in esame per quanto riguarda la copertura degli oneri derivanti dall’attuazione delle disposizioni di cui ai commi 1 e 2 del presente articolo, pari a 785.361 euro per l’anno 2023, 948.193 euro per l’anno 2024, 1.144.694 euro per l’anno 2025 e 1.341.196 euro annui a decorrere dall’anno 2026.


Articoli 12 e 13
(Corpo nazionale dei vigili del fuoco:
incremento di alcune dotazioni organiche
e disciplina del personale volontario)

 

 

In risposta a procedura di infrazione relativa al personale volontario impiegato per le necessità delle strutture centrali e periferiche del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, l’articolo 12 riserva a tale personale un incremento di dotazione organica e corrispettiva assunzione straordinaria di complessive 550 unità; nonché pone a favore di tale personale una riserva del 30 per cento dei posti per le altre già previste assunzioni straordinarie nella qualifica di vigile del fuoco relative all’anno 2023.

L’articolo 13 aggiunge, ancora per tale tipologia di personale volontario, una riserva del 30 per cento dei posti disponibili nelle venture assunzioni straordinarie nella qualifica di vigile del fuoco.

E fa salva la disciplina vigente del personale volontario solo per la parte concernente i volontari impiegati per le esigenze dei distaccamenti volontari del Corpo, ponendo al contempo alcune disposizioni transitorie o di raccordo con le sollecitazioni giungenti dalla Commissione europea.

 

Distinti ma connessi, gli articoli 12 e 13 prevedono l’uno un incremento delle dotazioni organiche nelle qualifiche di vigile del fuoco e di operatore, l’altro specifiche disposizioni relative al personale volontario.

L’incremento delle dotazioni organiche – per 350 unità di vigili del fuoco e 200 unità di operatori – e le correlative assunzioni straordinarie (decorrenti dal 1° ottobre 2023, con deroga alle ordinarie facoltà assunzionali) sono intesi come ‘sostitutivi’ dei richiami dei volontari cd. ‘discontinui’, sul cui utilizzo si sono appuntati i rilievi critici della Commissione europea, la quale vi ravvisa una sostanziale elusione della configurazione propria di un rapporto di lavoro a tempo determinato.

Risiede in tale profilo l’elemento di intersezione tra i due articoli del decreto-legge qui considerati.

Le disposizioni dell’articolo 12, in particolare, sono tese a far venire meno i richiami dei volontari ‘discontinui’ (tali da aver innescato l’avvio di una procedura di infrazione verso l’Italia: la n. 2014/4231), senza per questo tramutarli in rapporti a tempo determinato, rispetto al quale essi sono ritenuti mantenere, in sede operativa e applicativa, elementi di differenziazione.

Vale ricordare, preliminarmente, come nella disciplina vigente (recata dal decreto legislativo n. 97 del 2017, attuativo del riordino del Corpo nazionale dei vigili del fuoco quale disposto dalla legge delega n. 124 del 2015) si ponga una distinzione, per il personale volontario.

Siffatto personale (che era iscritto un tempo in un unico elenco tenuto presso i Comandi provinciali dei vigili del fuoco) ha potuto chiedere l'iscrizione in appositi nuovi elenchi, distinti in due tipologie, per le necessità dei distaccamenti volontari del Corpo nazionale (sono questi i volontari ‘puri’) o per le necessità delle strutture centrali e periferiche del Corpo stesso (sono i volontari cd. ‘discontinui’). Solo questi ultimi (il cui elenco è ad esaurimento, con ciò prefigurandosi una ventura cessazione di tale modalità di impiego) sono suscettibili di assunzioni in deroga. Così l’articolo 6, comma 1 del decreto legislativo n. 139 del 2006, come novellato dal richiamato decreto legislativo n. 97 del 2017.

Posto tale impianto normativo nonché la sopravvenuta apertura di una procedura d’infrazione europea – relativa esclusivamente al personale volontario ‘discontinuo’ – l’articolo 12 in esame mira a ‘scongiurare’ i richiami in servizio di esso, potenziando in via corrispettiva l’assetto organizzativo e funzionale con unità di personale assunte a tempo indeterminato (incrementali rispetto alle dotazioni organiche, conseguentemente ampliate numericamente).

La determinazione numerica di 550 unità aggiuntive di personale a tempo indeterminato scaturisce dalla considerazione delle “ore di servizio annue mediamente prestate dal personale discontinuo fino al 2020 (circa 720.000)”, si legge nella relazione illustrativa che correda il provvedimento.     

L’assunzione di queste 550 unità aggiuntive prevede il comma 2 dell’articolo 12 in commento è integralmente a valere sulla graduatoria del personale volontario costituita ai fini delle assunzioni straordinarie autorizzate per il periodo 2018-2022 dalla legge n. 205 del 2017 (la quale ha previsto al comma 295, per quelle assunzioni, una riserva del 30 per cento dei contingenti annuali, a favore del personale volontario). Ne risulterebbe una stabilizzazione del personale volontario ‘discontinuo’ in graduatoria.

Solo per le unità nella qualifica di operatore (200 unità, delle 550 complessive: le restanti sono nella qualifica di vigile del fuoco, ai sensi del comma 1), si aggiunge la previsione (ancora recata dal comma 2) che le modalità di svolgimento della selezione siano stabilite con apposito bando, onde accertare l’idoneità dei candidati a svolgere le funzioni proprie della qualifica di operatore (che l’articolo 70 del decreto legislativo n. 217 del 2005 definisce come svolgente funzioni di supporto operativo e tecnico-professionale).

Nella medesima direzione dell’assorbimento del personale volontario ‘discontinuo’ esistente muove altresì previsione dettata dal comma 8, che pone a favore di tale personale iscritto nella graduatoria sopra ricordata (di cui al comma 295 dell’articolo 1 della legge n. 205 del 2017) una riserva di posti del 30 per cento, per le altre assunzioni straordinarie nella qualifica di vigile del fuoco relative all’anno 2023, previste dalla legge di bilancio 2021.

Infatti quest’ultima legge n. 178 del 2020 – ha disposto (al comma 877 dell’articolo 1) assunzioni (queste nel limite della dotazione organica, benché in aggiunta alle facoltà assunzionali a legislazione vigente) nel ruolo iniziale di vigile del fuoco, per un numero massimo di 250 unità non prima del 1° ottobre 2023 (che si aggiungono a quelle ancor lì previste: 250 unità non prima del 1° ottobre 2021; 250 unità non prima del 1° ottobre 2022 per un ammontare complessivo di 750 unità).

La riserva sopra ricordata è del 30 per cento, per il personale volontario. Il restante 70 per cento, prosegue il comma 8, è attinto mediante scorrimento di altra graduatoria, quella del concorso pubblico per accedere alla qualifica di vigile del fuoco.

I commi 3 e 5 quantificano gli oneri complessivi conseguenti alle assunzioni delle 550 unità e ne individuano la copertura finanziaria.

Si tratta di: circa 6 milioni per il 2023; 23,2 milioni per il 2024; 24,5 per ciascun anno 2025 e 2026; con una progressione a seguire, fino a circa 26 milioni a decorrere dall’anno 2032.

Le risorse sono reperite secondo le modalità previste dall’articolo 26 del decreto legge (dunque in parte mediante la riduzione degli stanziamenti di spesa per la retribuzione del personale volontario del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, iscritti nello stato di previsione del Ministero dell’Interno (nell’ambito della missione “Soccorso civile”, ed in parte mediante corrispondente riduzione del Fondo per il recepimento della normativa europea, di cui all’articolo 41-bis della legge n. 234 del 2012).

La copertura finanziaria vale altresì per le spese di funzionamento connesse alle assunzioni (incluse quelle per mense e buoni pasto), che il comma 4 autorizza per 703.630 euro per l’anno 2023 e 550.000 euro a decorrere dall’anno 2024, e che sono ricomprese nella copertura sopra ricordata.

Solo nel limite dell’autorizzazione di spesa annuale di 10,6 milioni a decorrere dal 2023, è consentito – prevede il comma 6 – il richiamo in servizio temporaneo del personale volontario.

Si ricorda che l’articolo 9 del decreto legislativo n. 139 del 2006 espressamente prevede che il personale volontario possa essere richiamato in servizio temporaneo in occasione di calamità naturali o catastrofi e destinato in qualsiasi località, o possa essere richiamato in servizio: a) in caso di necessità delle strutture centrali e periferiche del Corpo nazionale motivate dall'autorità competente che opera il richiamo (in tal caso nel limite di centosessanta giorni all'anno per le emergenze di protezione civile e per le esigenze dei comandi nei quali il personale volontario sia numericamente insufficiente); b) per le esigenze dei distaccamenti volontari del Corpo nazionale, connesse al servizio di soccorso pubblico; c) per frequentare periodici corsi di formazione, secondo i programmi stabiliti dal Ministero dell'interno.

Si è sopra ricordato, peraltro, come taluni profili di siffatta disciplina normativa abbiano riscosso rilievi critici da parte della Commissione europea.

 

L’articolo 13 detta disposizioni relative alla disciplina del personale volontario del Corpo nazionale dei vigili del fuoco.

La vicenda sopra ricordata a proposito dell’articolo 12, circa il personale volontario ‘discontinuo’ ed i suoi reiterati richiami in servizio oggetto di una procedura di infrazione europea, ne costituisce l’antefatto.

Si intende pertanto come il comma 1, lettera b) (per comodità espositiva si considererà infra la lettera a)) si volga a mantenere ‘in vita’ la disciplina vigente del personale volontario solo per la parte concernente i cd. volontari ‘puri’ (ossia quelli impiegati per le esigenze dei distaccamenti volontari del Corpo, iscritti pertanto nel correlativo elenco), usciti indenni dal vaglio critico della Commissione europea.

Dunque soltanto a loro si prescrive si applichi la disciplina del volontariato prevista dal decreto legislativo n. 139 del 2006 (agli articoli 8-12; ed un novello articolo 12-bis si viene ora a prevedere, quale ‘contenitore’ della disposizione che qui si va a sunteggiare) nonché dal d.P.R. n. 76 del 2004 (che è il regolamento disciplinante le procedure per il reclutamento, l'avanzamento e l'impiego del personale volontario). Questo, finché un nuovo regolamento non intervenga (autorizzato già dall’articolo 8 del citato decreto legislativo n. 139).

Rimane ferma, ancora per tale personale volontario (diverso da quello ‘discontinuo’), l’esclusione di un rapporto di lavoro derivante da un contratto di lavoro a tempo determinato. Così prevede il comma 2. Siffatta esclusione è sancita dall’articolo 29, comma 1, lettera c), del decreto legislativo n. 81 del 2015 recante disciplina organica dei contratti di lavoro.

Peraltro le disposizioni dell’articolo 13 del decreto-legge in esame concernono non il solo personale volontario ‘puro’ ma anche quello ‘discontinuo’, perché sono fatti salvi – dal comma 3 – così l’elenco del personale volontario istituito per le necessità delle strutture centrali e periferiche (cfr. articolo 6 del decreto legislativo n. 139 del 2006) come la correlativa graduatoria (formata ai sensi dell’articolo 1, comma 295, della legge n. 205 del 2017).

L’elenco rileva ai fini della riserva di posti nei concorsi pubblici per l’accesso ai ruoli del personale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco. E la graduatoria rileva ai fini delle assunzioni in deroga (consentita solo per i volontari ‘discontinui’, si è ricordato).

Si ricorda che una riserva di posti è dalla disciplina vigente in via generale variamente modulata, a seconda si tratti di concorso pubblico per l’assunzione nella qualifica di vigile del fuoco (in tal caso, il 35 per cento dei posti è riservato al personale volontario, secondo l’articolo 5 del decreto legislativo n. 217 del 2005) o ad altri ruoli (riserva del 10 per cento dei posti).

O in alternativa alla riserva di posti, è disposta dalla normativa vigente una precedenza per il personale volontario, per l’accesso al ruolo degli operatori e degli assistenti (che avviene mediante selezione tra i cittadini italiani inseriti nell’elenco anagrafico presente presso i centri per l’impiego).

Peraltro il comma 1, lettera a) novella il decreto legislativo n. 139 del 2006 con una modifica dunque ‘strutturale’ – aggiungendo al suo articolo 6 la previsione di una riserva del 30 per cento dei posti disponibili nelle assunzioni straordinarie nella qualifica di vigile del fuoco, a favore degli iscritti nella graduatoria dei volontari ‘discontinui’ (formata ai sensi dell’articolo 1, comma 295, della legge n. 205 del 2017 più volte citata).

Tal tipo di volontari (gli unici a poter essere oggetto di assunzioni straordinarie, secondo la normativa vigente) fruisce di siffatta aggiuntiva previsione, volta a concorrere ad un complessivo processo di stabilizzazione del personale volontario ‘discontinuo’.

La graduatoria per tale tipologia di personale volontario, si legge nella relazione illustrativa, registra 8.946 idonei, dei quali sono stati finora assunti 754 unità (giungendo alla posizione 2.045 della graduatoria, posto che in diversi casi i volontari non si presentano alla prova, pur restando, previa giustificazione, iscritti in graduatoria).

Dalla suddetta graduatoria dunque si conta di attingere per il 30 per cento delle venture assunzioni straordinarie nella qualifica di vigile del fuoco, cui si aggiungono le 550 unità previste dall’articolo 12, comma 1 del presente decreto-legge, nonché l’analoga riserva del 30 per cento dei posti previsto dall’articolo 12, comma 8 del presente decreto-legge per le residue assunzioni straordinarie previste per il 2023 (previste dall’articolo 1, comma 877 della legge n. 178 del 2020, legge di bilancio 2021).

 

Ricorda ancora la relazione illustrativa che il personale volontario ‘discontinuo’ altresì ha fruito di una riserva di posti (per il 30 per cento) ad alcune assunzioni straordinarie. Sono quelle previste dall’articolo 1, commi 287, 289 e 295, della legge n. 205 del 2017 (legge di bilancio 2018) ossia: 350 assunzioni nel 2018, 100 assunzioni nel 2019, 383 assunzioni nel 2020, 383 assunzioni nel 2021 e 384 assunzioni nel 2022; quelle previste  dall’articolo 1, comma 389, della legge n. 145 del 2018 (legge di bilancio 2019) ossia: 650 assunzioni dal 10 maggio 2019, 200 assunzioni dal 1° settembre 2019 e 650 assunzioni dal 1° aprile 2020 (parte di tali assunzioni è stata riservata per esaurire definitivamente la graduatoria del concorso pubblico a 814 posti indetto nel 2008); quelle previste dall’articolo 1, commi 136 e 137 della legge n. 160 del 2019 (legge di bilancio 2020): 60 assunzioni a decorrere dal 1° aprile 2020, 40 assunzioni dal 1° ottobre 2021 e 100 assunzioni dal 1° ottobre di ciascuno degli anni dal 2022 al 2025.

 

Il comma 4 prevede, ai fini dello scorrimento della graduatoria dei volontari ‘discontinui’ onde procedere alle assunzioni straordinarie loro riservate, che l’assenza ingiustificata o la mancata partecipazione per due volte, anche se giustificata, all’accertamento dell’idoneità o dei requisiti di idoneità psico-fisica e attitudinale, determinino l’esclusione del candidato dalla graduatoria.

 

Riporta la relazione illustrativa: “Si è infatti verificato, ad esempio, il fenomeno di reiterata presentazione di certificati medici da parte delle stesse persone chiamate ad effettuare i predetti accertamenti, che costituiscono condizione necessaria per l’assunzione. Tale fenomeno, oltre ad appesantire le procedure assunzionali generando una permanenza senza fine nella graduatoria, costituisce un evidente segnale di mancanza dei requisiti necessari all’assunzione o di non interesse alla stessa”.

 

Il comma 5 pone una disciplina transitoria, prevedendo che la nuova disciplina del personale volontario si applichi al compimento delle procedure assunzionali straordinarie (dettate dall’articolo 12 del decreto-legge, sopra illustrato) per le 550 nuove unità, e comunque entro il 30 ottobre 2024.

Inoltre prevede che, di quelle unità, le 350 assunte nella qualifica di vigili del fuoco continuino a svolgere le funzioni relative alle capacità professionali acquisite come volontario, nelle more dell'avvio del corso di formazione per allievi vigili del fuoco (corso di formazione richiesto per acquisire poi la nomina a vigile del fuoco, ai sensi dell'articolo 6 del decreto legislativo n. 217 del 2005).

Il periodo di espletamento di tali capacità professionali viene comunque computato ai fini dell’espletamento dell’applicazione pratica (che costituisce una seconda trimestrale tranche del corso di formazione per allievi vigili del fuoco, dopo i sei mesi di formazione teorico-pratica, secondo la scansione disegnata dal medesimo articolo 6 del decreto legislativo n. 217 del 2005).

Infine il comma 6 stabilisce che a decorrere dal 31 dicembre 2023, il personale volontario del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, iscritto nell’elenco e nella graduatoria sopra ricordate, vi permanga solo se iscritto nell’elenco anagrafico presso i centri per l’impiego (alla medesima data del 31 dicembre 2023).

L’intento è corrispondere ad indicazioni della Commissione europea circa la natura della prestazione di lavoro resa dal personale ‘discontinuo’, da essa ritenuto assimilabile ad un rapporto di lavoro a tempo determinato.

 


Articolo 14
(Modifiche al testo unico delle disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione. Procedura d’infrazione n. 2014/4231)

 

 

L’articolo 14 – cui sono state apportate alcune modifiche formali in sede di conversione – reca disposizioni in materia di riconoscimento del servizio, agli effetti della carriera, per il personale docente e ATA delle istituzioni scolastiche, immesso in ruolo a far data dall’anno scolastico 2023-2024. In particolare, esso prevede che i servizi cosiddetti “pre-ruolo” del personale scolastico, non integralmente considerati dalle norme finora vigenti, vengano riconosciuti per intero, ai fini delle ricostruzioni di carriera, in coerenza con quanto previsto dalla direttiva n. 99/70/CE sul lavoro a tempo determinato, a seguito dell’avvio di una procedura d’infrazione nei confronti dell’Italia.

 

La relazione illustrativa del provvedimento in esame – alla cui lettura integrale si rinvia - rileva che l’articolo in commento interviene sulle previsioni del decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297 per quanto di competenza del personale scolastico, affinché i servizi “pre-ruolo”, non integralmente considerati dalle norme vigenti, vengano riconosciuti per intero ai fini delle ricostruzioni di carriera, in coerenza con quanto previsto dalla direttiva n. 99/70/CE. La modifica – precisa la relazione - si rende necessaria al fine di allineare l’ordinamento nazionale alla clausola 4 dell’Accordo quadro sul rapporto di lavoro a tempo determinato recepito (nel suo allegato) dalla direttiva 99/70/CE che impone di riconoscere integralmente l’anzianità di servizio del personale di comparto assunto con contratti a termine. La non conformità alla direttiva – prosegue la relazione - è oggetto della procedura d’infrazione 2014/4231, in ragione del principio di non discriminazione dei lavoratori a tempo indeterminato e a tempo determinato.

Si ricorda che la citata clausola 4 del suddetto Accordo quadro sul rapporto di lavoro a tempo determinato, recepito dalla direttiva 99/70/CE, regola il principio di non discriminazione.

 

Il paragrafo 1 di tale clausola prevede che, per quanto riguarda le condizioni di impiego, i lavoratori a tempo determinato non possono essere trattati in modo meno favorevole dei lavoratori a tempo indeterminato comparabili per il solo fatto di avere un contratto o rapporto di lavoro a tempo determinato, a meno che non sussistano ragioni oggettive.

Il paragrafo 2 dispone che, se del caso, si applicherà il principio del pro rata temporis.

A mente del paragrafo 3, le disposizioni per l'applicazione di questa clausola saranno definite dagli Stati membri, previa consultazione delle parti sociali e/o dalle parti sociali stesse, viste le norme comunitarie e nazionali, i contratti collettivi e la prassi nazionali.

Il paragrafo 4, infine, prevede che i criteri del periodo di anzianità di servizio relativi a particolari condizioni di lavoro dovranno essere gli stessi sia per i lavoratori a tempo determinato sia per quelli a tempo indeterminato, eccetto quando criteri diversi in materia di periodo di anzianità siano giustificati da motivazioni oggettive.

In relazione alla citata procedura d’infrazione 2014/4231, si ricorda che la Commissione europea ha deciso, il 19 aprile 2023, di inviare un parere motivato all'Italia (INFR(2014)4231) per il recepimento non corretto nell'ordinamento nazionale della direttiva 1999/70/CE del Consiglio, che vieta discriminazioni a danno dei lavoratori a tempo determinato e obbliga gli Stati membri a disporre di misure atte a prevenire e sanzionare l'utilizzo abusivo di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato. La normativa italiana - secondo il comunicato della Commissione (si veda la sezione 9. Lavoro e diritti sociali) -  non previene né sanziona in misura sufficiente l'utilizzo abusivo di una successione di contratti a tempo determinato per diverse categorie di lavoratori del settore pubblico in Italia. Tra questi, insegnanti e personale amministrativo, tecnico e ausiliario della scuola pubblica, operatori sanitari, lavoratori del settore dell'alta formazione artistica, musicale e coreutica e del settore operistico, personale degli istituti pubblici di ricerca, lavoratori forestali e volontari dei vigili del fuoco nazionali. Nel comunicato - fra l'altro - si legge che "alcuni di questi lavoratori hanno anche condizioni di lavoro meno favorevoli rispetto ai lavoratori a tempo indeterminato, situazione che costituisce una discriminazione e contravviene al diritto dell'Unione. La Commissione ha avviato la procedura di infrazione inviando una lettera di costituzione in mora alle autorità italiane nel luglio 2019, seguita da una lettera complementare di costituzione in mora nel dicembre 2020. Sebbene l'Italia abbia fornito spiegazioni sulle proprie norme nazionali, la Commissione le ha ritenute non soddisfacenti e dà ora seguito all'esame con un parere motivato. L'Italia dispone ora di 2 mesi per rimediare alle carenze individuate dalla Commissione, trascorsi i quali la Commissione potrà decidere di deferire il caso alla Corte di giustizia dell'UE".

Con numerose e univoche pronunce – prosegue la relazione illustrativa - (sentenze e ordinanze nn. 22552/2016, 22558/2016, 29791/2018, 31149/2019, 15231/2020, 24201/2020, 4877/2020), la Suprema Corte di Cassazione ha affermato il principio giurisprudenziale in base al quale, ai fini delle ricostruzioni di carriera, la clausola 4 dell’Accordo Quadro sul rapporto a tempo determinato recepito dalla Direttiva n. 99/70/CE, di diretta applicazione, impone di riconoscere integralmente l’anzianità di servizio maturata dal personale del comparto assunto con contratti a termine. In particolare – precisa la relazione - la sentenza n. 31149 della Corte di Cassazione, IV Sezione Lavoro, del 28 novembre 2019, ha statuito che “L’art. 485 del d.lgs. n. 297/1994, che anche in forza del rinvio operato dalle parti collettive, disciplina il riconoscimento dell'anzianità di servizio dei docenti a tempo determinato poi definitivamente immessi nei ruoli dell'amministrazione scolastica, viola la clausola 4 dell'Accordo Quadro allegato alla direttiva 1999/70/CE, e deve essere disapplicato, nei casi in cui l'anzianità risultante dall'applicazione dei criteri dallo stesso indicati, unitamente a quello fissato dall'art. 489 dello stesso decreto, come integrato dall’art. 11, comma 14, della legge n. 124/1999, risulti essere inferiore a quella riconoscibile al docente comparabile assunto ab origine a tempo indeterminato”.

Per quanto concerne il personale tecnico-amministrativo – prosegue la relazione illustrativa - con la sentenza n. 31150/2019 della Suprema Corte è stato disapplicato l’art. 569 del d.lgs n. 297 del 1994, sulla base del seguente principio di diritto: “Nel settore scolastico, l’art. 569 del d.lgs n. 297 del 1994, nella parte in cui limita il riconoscimento al personale ATA assunto con contratti a termine, e definitivamente immesso in ruolo, di un’anzianità pari al servizio effettivo prestato, si pone in contrasto con la clausola 4 dell’Accordo quadro allegato alla direttiva n. 99/70/CE e va disapplicato”.

Al momento – rileva la relazione - l’applicazione della clausola 4 come interpretata dalle pronunce della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, e dei principi giurisprudenziali della Suprema Corte di Cassazione è lasciata alla decisione del Giudice del lavoro, cui si rivolge il personale delle istituzioni scolastiche impugnando la ricostruzione di carriera effettuata dalle scuole.

L’intervento – precisa la relazione - non si limita ad allineare la normativa nazionale alla Direttiva, bensì consente di prevenire il contenzioso e di ridurre gli esborsi ad esso connessi e gravanti sul bilancio dello Stato.

 

Nello specifico, ciò avviene, al comma 1, tramite una serie di novelle al decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297 recante il testo unico delle disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione, relative alle scuole di ogni ordine e grado, in relazione agli articoli:

-         485, commi 1, 3, 4 e 5 (sul riconoscimento dei periodi di servizio del personale docente - in particolare non di ruolo - ai fini della carriera);

-         489, comma 1 (che indica – nel testo finora vigente - qual è la durata del periodo di insegnamento che si può considerare come anno scolastico intero);

-        569, comma 1 (relativo ai periodi di servizio utili del personale amministrativo, tecnico ed ausiliario – cosiddetto ATA –, non di ruolo, per il riconoscimento agli effetti della carriera).

 

A)   In relazione alle modifiche all’art. 485 del decreto legislativo n. 297 del 1994 (lettera a)), composto di 7 commi, si ricorda che esso prevedeva, nel testo finora vigente, al comma 1 - modificato dalla disposizione in commento - che al personale docente delle scuole di istruzione secondaria ed artistica, il servizio prestato presso le predette scuole statali e pareggiate, comprese quelle all'estero, in qualità di docente non di ruolo, è riconosciuto come servizio di ruolo, ai fini  giuridici  ed economici, per intero per i primi quattro anni e per i due terzi del periodo eventualmente eccedente, nonché ai soli fini economici per il rimanente terzo. I diritti economici – prosegue il comma 1 - derivanti da detto riconoscimento sono conservati e valutati in tutte le classi di stipendio successive a quella attribuita al   momento del riconoscimento medesimo.

Ora, la disposizione in commento modifica il comma 1 dell’art. 485, prevedendo che, ai docenti ivi indicati, immessi in ruolo a far data dall’anno scolastico 2023-2024 e confermati in ruolo, il servizio prestato presso le scuole statali e pareggiate, comprese quelle all'estero, in qualità di docente non di ruolo, è riconosciuto per intero come servizio di ruolo, ai fini giuridici ed economici.

 

Il comma 2 dell’art. 485 del decreto legislativo n. 297 del 1994 – non modificato dall’articolo in esame – prevede che, agli stessi fini e nella identica misura, di cui al comma 1, è riconosciuto, al personale ivi contemplato, il servizio prestato presso le scuole degli educandati femminili statali e quello prestato in qualità di docente elementare di  ruolo  e  non  di  ruolo nelle scuole elementari statali, o parificate, comprese quelle dei predetti educandati e quelle all'estero,  nonché nelle  scuole  popolari, sussidiate o sussidiarie.

 

Il comma 3 del medesimo art. 485modificato con finalità di coordinamento con quanto precedentemente disposto – prevede, nel testo novellato, che al personale docente delle scuole elementari è  riconosciuto, agli stessi fini di cui al comma 1 (e non più nei limiti fissati dal comma 1, non più sussistenti per coloro che sono immessi in ruolo a far data dall’anno scolastico 2023-2024 e confermati in ruolo), il servizio prestato in qualità di docente non di  ruolo  nelle  scuole elementari statali o degli educandati  femminili statali, o parificate, nelle scuole  secondarie ed artistiche statali o pareggiate, nelle scuole popolari, sussidiate o sussidiarie, nonché i servizi di ruolo e non  di  ruolo  prestati  nelle  scuole  materne statali o comunali.

 

Il comma 4 dell’art. 485 viene abrogato (anch’esso - precisa la relazione illustrativa - al fine di adeguamento dei riferimenti interni presenti nelle altre disposizioni sulla disciplina della ricostruzione di carriera per il personale docente, conseguenti alla modifica del comma 1 del medesimo articolo).

Tale comma prevedeva che ai docenti di cui al comma 1, che siano privi della vista, ed al personale docente delle scuole elementari statali o parificate per ciechi il servizio non di ruolo comunque prestato è riconosciuto per intero ai fini giuridici ed economici.

 

Il comma 5 dell’art. 485 – modificato anch’esso a fini di coordinamento - prevede che, al personale docente contemplato nel medesimo art. 485, è riconosciuto, agli stessi fini precedentemente indicati (e non più negli stessi limiti), il servizio prestato in qualità di docente incaricato o di assistente incaricato o straordinario nelle università.

 

Il comma 6 del medesimo art. 485, non modificato, prevede che i servizi di cui ai precedenti commi sono riconosciuti purché prestati senza demerito e con il possesso, ove richiesto, del titolo di studio prescritto o comunque riconosciuto valido per effetto di apposito provvedimento legislativo.

Il comma 7 del medesimo articolo, infine, anch’esso non modificato dalla disposizione in commento, prevede che il periodo di servizio militare di leva o per richiamo e il servizio civile sostitutivo di quello di leva è valido a tutti gli effetti.

 

La relazione illustrativa rileva che con la modifica in esame dell’art. 485 del d.lgs. n. 297/1994 si supera la disciplina precedente, con la conseguenza che, il personale docente immesso in ruolo a far data dall’anno scolastico 2023/24, dopo aver superato il periodo di prova e ottenuta la conferma in ruolo, potrà, dietro richiesta, avere riconosciuto subito tutto il periodo di servizio pre-ruolo svolto, ai fini giuridici ed economici.

 

B)   In relazione alle modifiche all’art. 489, comma 1 del decreto legislativo n. 297 del 1994 (lettera b)), si ricorda che tale articolo, composto di 2 commi, prevedeva, nel testo finora vigente, al comma 1, che, ai fini del riconoscimento di cui ai precedenti articoli, il servizio di insegnamento è da considerarsi come anno scolastico intero se ha avuto la durata prevista agli effetti della validità dell'anno dall'ordinamento scolastico vigente al momento della prestazione.

 
      
          
      
Con riferimento a questa disposizione, l’art. 11, comma 14, della legge  3 maggio 1999, n. 124 ha disposto che "il comma 1 dell'articolo 489 del testo unico è da intendere nel senso che il servizio  di  insegnamento  non  di ruolo prestato a decorrere dall'anno scolastico 1974-1975 è considerato come anno scolastico intero se ha avuto la durata di almeno 180 giorni oppure se il servizio sia stato prestato ininterrottamente dal  1° febbraio fino al termine delle operazioni di scrutinio finale". 
      
 
      
          
      
Ora, la disposizione in commento sostituisce integralmente il comma 1 dell’art. 489 del decreto legislativo n. 297/1994, prevedendo che, ai fini del riconoscimento del servizio agli effetti della carriera, di cui alla sezione IV del Capo III del medesimo decreto (composto dagli articoli 485-490), si valuta il servizio di insegnamento effettivamente prestato e non trova applicazione la disciplina sulla validità dell’anno scolastico prevista dall’ordinamento scolastico al momento della prestazione. 
      
 
      
          
      

Il comma 2 del medesimo art. 489 – non modificato dalla disposizione in commento - prevede che i periodi di congedo e di aspettativa retribuiti e quelli per gravidanza e puerperio sono considerati utili ai fini del computo del periodo richiesto per il riconoscimento.

 

La relazione illustrativa, in relazione alla modifica dell’art. 489 del d.lgs. n. 297/1994, rileva – come anticipato - che, in base alla (pre)vigente formulazione dell’art. 489 del Testo unico istruzione, al docente con servizio pre-ruolo l’anno e? computato per intero ai fini del riconoscimento se il contratto o i vari contratti cumulati raggiungono almeno 180 giorni ovvero se il servizio e? stato svolto, senza nessuna interruzione, dal 1° febbraio fino agli scrutini compresi.

Il riferimento introdotto dalla normativa in esame – prosegue la relazione - al “servizio effettivamente prestato” ai fini del riconoscimento del servizio pre-ruolo fa sì che non si possa più fare applicazione del citato art. 11, comma 14, della legge n. 124/1999, alla ricostruzione di carriera.

 

In relazione a quanto previsto dall’art. 14, comma 1, lettera b) del provvedimento in esame, che sostituisce il comma 1 dell’art. 489 del decreto legislativo n. 297/1994, la relazione illustrativa osserva espressamente che, data la nuova formulazione di tale comma 1, introdotta dal provvedimento in esame, non si può più fare applicazione dell’art. 11, comma 14, della legge n. 124/1999, al fine della ricostruzione di carriera dei docenti, disposizione quest’ultima che reca una norma di interpretazione autentica del suddetto art. 489, comma 1.

 

In sede di conversione del presente provvedimento, è stato inserito il comma 1-bis all’art. 14 in commento, il quale novella il suddetto art. 11, comma 14 della legge n. 124 del 1999.

In base a tale modifica, non si prevede più che "il comma 1 dell'articolo 489 del testo unico è da intendere nel senso che il servizio  di  insegnamento  non  di ruolo prestato a decorrere dall'anno scolastico 1974-1975 è considerato come anno scolastico intero se ha avuto la durata di almeno 180 giorni oppure se il servizio sia stato prestato ininterrottamente dal  1° febbraio fino al termine delle operazioni di scrutinio finale”, bensì che “Fatto salvo quanto disposto dall'articolo 489 del decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297 in materia di riconoscimento del servizio preruolo, ai soli fini della partecipazione a procedure selettive il servizio  di  insegnamento  non  di ruolo prestato a decorrere dall'anno scolastico 1974-1975 è considerato come anno scolastico intero se ha avuto la durata di almeno 180 giorni oppure se il servizio sia stato prestato ininterrottamente dal  1° febbraio fino al termine delle operazioni di scrutinio finale”.

 

Tale modifica normativa – rileva la relazione - trova la sua ratio nel venir meno, a seguito dell’introduzione del principio del riconoscimento integrale del servizio pre-ruolo dei docenti, del correttivo previsto dall’articolo 489 del TUI.

Ciò è reso evidente – prosegue la relazione - anche alla luce delle statuizioni della giurisprudenza. In particolare, la Corte di Cassazione ha affermato che “un problema di trattamento discriminatorio può fondatamente porsi nelle sole ipotesi in cui l’anzianità effettiva di servizio, non quella virtuale ex art. 489 d.lgs. n. 297/1994, prestata con rapporti a tempo determinato, risulti superiore a quella riconoscibile ex art. 485 d.lgs. n. 297/1994, perché solo in tal caso l’attività svolta sulla base del rapporto a termine viene ad essere apprezzata in misura inferiore rispetto alla valutazione riservata all’assunto a tempo indeterminato” (cfr. Cass., sez. lav., sent. n. 31149/2019). Conseguentemente, la sentenza precisa che, ai fini della determinazione del calcolo dell’anzianità: “…occorre, quindi, tener conto del solo servizio effettivo prestato, maggiorato, eventualmente, degli ulteriori periodi nei quali l’assenza è giustificata da una ragione che non comporta decurtazione di anzianità anche per l’assunto a tempo indeterminato (congedo ed aspettativa retribuiti, maternità e istituti assimilati), con la conseguenza che non possono essere considerati né gli intervalli fra la cessazione di un incarico di supplenza ed il conferimento di quello successivo, né, per le supplenze diverse da quelle annuali, i mesi estivi, in relazione ai quali questa Corte da tempo ha escluso la spettanza del diritto alla retribuzione (Cass. n. 21435/2011, Cass. n. 3062/2012, Cass. n. 17892/2015), sul presupposto che il rapporto cessa al momento del completamento delle attività di scrutinio…” (cfr. Cass., sez. lav., sent. n. 31149/2019). Ai fini di tale verifica, la Corte di Cassazione ha comunque specificato che non vanno presi in considerazione gli intervalli non lavorati, né va applicato il criterio dell’equivalenza di cui all’art. 489 dello stesso decreto. Affinché il docente si possa dire discriminato dall’applicazione dell’art. 485 d.lgs. 297/1994 (con conseguente disapplicazione della stessa per contrarietà con la clausola n. 4) – prosegue la relazione illustrativa - deve emergere che l’anzianità calcolata ai sensi della suddetta norma (anno intero per i primi 4 anni di servizio e 2/3 per i successivi), sia inferiore a quella che nello stesso arco temporale avrebbe maturato il docente assunto con contratto a tempo indeterminato per svolgere le stesse mansioni. Per svolgere tale comparazione, secondo la Suprema Corte, è necessario eliminare dal computo complessivo dell’anzianità del lavoratore a tempo determinato il meccanismo di compensazione a lui favorevole costituito dalla regola di cui all’art. 489 del d.lgs. 297/1994 (secondo il quale: “...I periodi di congedo e di aspettativa retribuiti e quelli per gravidanza e puerperio sono considerati utili ai fini del computo del periodo richiesto per il riconoscimento...”).

In buona sostanza, secondo la Suprema Corte – rileva la relazione - una situazione di discriminazione determinata dall’art. 485 del d.lgs. 297/1994 si pone nel caso in cui l’anzianità di effettivo servizio svolto dal lavoratore a tempo determinato (e non l’anzianità virtuale determinata ai sensi dell’art. 489) risulti superiore a quella riconoscibile con il criterio di cui al medesimo art. 485. Alla luce di ciò, nel calcolo dell’anzianità la Suprema Corte ha ritenuto che debba essere considerato il servizio effettivamente svolto, nonché il servizio non svolto che non comporta la decurtazione dell’anzianità per l’assunto a tempo indeterminato (es. congedo ed aspettativa retribuiti, maternità ed istituiti assimilabili). Non può, viceversa, essere computato l’intervallo fra la cessazione di un incarico di supplenza ed il conferimento del successivo, così come, pure, il periodo, per le supplenze diverse da quelle annuali, dei mesi estivi.

“Ebbene – rileva la relazione illustrativa - una volta riconosciuta per intero l’anzianità di servizio pre-ruolo non ha più ragion d’essere il meccanismo di compensazione favorevole costituito dalla regola di cui all’art. 489 del d.lgs. 297/1994 che pertanto viene modificato dall’articolo (…) in esame recependo i principi sopra enunciati e prevedendo che sia riconosciuta l’anzianità di effettivo servizio svolto dal lavoratore a tempo determinato (e non l’anzianità virtuale determinata ai sensi dell’art. 489 pre-modifica)”.

 

C)   In relazione alle modifiche all’art. 569, comma 1 del decreto legislativo n. 297 del 1994 (lettera c)), si ricorda che tale articolo, composto di 4 commi, prevedeva – nel testo finora vigente - al comma 1 che al personale amministrativo, tecnico ed ausiliario (cosiddetto ATA), il servizio non di ruolo prestato nelle scuole e istituzioni educative statali è riconosciuto sino ad un massimo di tre anni agli effetti giuridici ed economici e, per la restante parte, nella misura di due terzi, ai soli fini economici.

 

Sono fatte salve – prosegue tale comma - le eventuali  disposizioni più favorevoli contenute nei  contratti  collettivi  già  stipulati ovvero in quelli da stipulare ai  sensi  del  decreto  legislativo  n. 29 del 1993, recante “Razionalizzazione della organizzazione delle Amministrazioni pubbliche e revisione della disciplina in materia di pubblico impiego” (decreto legislativo abrogato dall’art. 72, comma 1, lettera t) del decreto legislativo n. 165 del 2001, recante “Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche”).

 

Ora, la disposizione in commento sostituisce integralmente il comma 1 dell’art. 569 del decreto legislativo n. 297 del 1994, prevedendosi che, al personale amministrativo, tecnico e ausiliario, immesso in ruolo a far data dall’anno scolastico 2023/2024, il servizio non di ruolo prestato nelle scuole e istituzioni educative statali è riconosciuto per intero agli effetti giuridici ed economici.

 

Ai sensi del comma 2 dell’art. 569, non modificato, il servizio di ruolo prestato nella carriera immediatamente inferiore è riconosciuto, ai fini giuridici ed economici, in ragione della metà.

Il comma 3 del medesimo articolo 569 poi, dispone che il periodo di servizio militare di leva o per richiamo o il servizio civile sostitutivo di quello di leva è valido a tutti gli effetti.

Il comma 4 dell’art. 569, infine, prevede che i riconoscimenti di servizi già effettuati in applicazione di norme più favorevoli sono fatti salvi e sono cumulati con quelli previsti dal medesimo art. 569, se relativi a periodi precedentemente non riconoscibili.

 

Il comma 2 dell’articolo in esame, poi, prevede che, ai fini previdenziali le disposizioni di cui al medesimo articolo operano con effetto sulle anzianità contributive maturate a decorrere dall’entrata in vigore del presente decreto-legge (entrato in vigore il 14 giugno 2023).

 

Il comma 3 dell’articolo in commento, infine, prevede che agli oneri derivanti dall’attuazione delle disposizioni di cui al comma 1, lettera a) (relativi ai docenti), per coloro che sono stati immessi in ruolo a decorrere dall’anno scolastico 2023/2024 e confermati in ruolo, pari a euro 17.305.441 per l’anno 2024, euro 26.604.529 per l’anno 2025 ed euro 17.305.441 annui a decorrere dall’anno 2026 e agli oneri derivanti dalle disposizioni di cui al comma 1, lettera c) (relativi al personale ATA), per coloro che sono stati immessi in ruolo a decorrere dall’anno scolastico 2023-24, pari a euro 1.518.396 per l’anno 2023 ed euro 4.555.187 annui a decorrere dal 2024, si provvede ai sensi dell’articolo 26, che reca le disposizioni finanziarie del presente provvedimento (alla cui scheda di lettura si rinvia).

 

La relazione tecnica, alla cui lettura integrale si rinvia, rileva, preliminarmente, che l’impatto  finanziario  dell’articolo 14 deve  necessariamente  essere  stimato  considerando  che  le ricostruzioni di carriera del personale scolastico sono sistematicamente impugnate dinanzi al giudice, anche con cause collettive, e che a seguito di tale contenzioso la maggior parte delle ricostruzioni di carriera che hanno luogo non utilizzano i parametri indicati dagli articoli 485 e 569 del d.lgs. 297/1994 oggetto di riforma, bensì quello dell’integrale riconoscimento del servizio pre-ruolo  al  quale  si sommano poi i costi delle spese di lite. Pertanto – prosegue la relazione tecnica - di fatto la norma nel medio lungo periodo avrà un impatto finanziario positivo sul bilancio dello  Stato,  determinando  il  venir  meno  del  contenzioso  e  quindi  evitando  allo  Stato  il  connesso pagamento delle spese di lite (il cui impatto finanziario è consistente ma non quantificabile ex ante essendo rimesso alle statuizioni dei giudici) e prevenendo altresì le cause relative al risarcimento del danno comunitario da abuso di contratti a termine, che verosimilmente potranno diminuire laddove non sia più necessario per i lavoratori ricorrere al giudice per vedersi riconosciuta la ricostruzione di carriera.

La norma – precisa la relazione tecnica - non avendo efficacia retroattiva, si applica alle richieste di ricostruzione di carriera che perverranno dagli immessi in ruolo dall’anno scolastico 2023/24 in poi, con riferimento ai docenti confermati in ruolo.

 

 

 


Articolo 15
(Estensione della Carta del docente ai docenti non di ruolo)

 

 

L’articolo 15, per l’anno 2023, estende il riconoscimento della Carta elettronica per l’aggiornamento e la formazione dei docenti di ruolo delle istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado (Carta del docente), prevista dalla L. 107/2015 per un importo di 500 euro annui a persona, anche ai docenti con contratto di supplenza annuale su posto vacante e disponibile, stanziando a tal fine 10,9 milioni di euro. L’intervento è volto a recepire l’ordinanza del 18 maggio 2022 della Corte di giustizia dell’Unione europea, Sezione VI, nella causa C-450-21 (UC c. Ministero dell’istruzione), resa in sede di rinvio pregiudiziale.

 

Come anticipato, la disposizione in commento, per l’anno 2023, estende il riconoscimento della Carta elettronica per l’aggiornamento e la formazione dei docenti di ruolo delle istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado, prevista dall’art. 1, comma 121, primo periodo, della L. 107/2015, anche ai docenti con contratto di supplenza annuale su posto vacante e disponibile. Corrispondentemente, per tali finalità, l’apposita autorizzazione di spesa prevista dall’art. 1, comma 123, della medesima L. 107/2015 viene incrementata di 10,9 milioni per il 2023. Le relative coperture sono individuate dall’art. 26 del decreto-legge in esame, alla cui scheda di lettura si rinvia.  

 

Si ricorda che, ai sensi dell’art. 1, comma 121, della L. 107/2015, al fine di sostenere la formazione continua dei docenti e di valorizzarne le competenze professionali, è istituita, nel rispetto del limite di spesa di cui al successivo comma 123, la Carta elettronica per l'aggiornamento e la formazione del docente di ruolo delle istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado. La Carta, dell'importo nominale di euro 500 annui per ciascun anno scolastico, può essere utilizzata per l'acquisto di libri e di testi, anche in formato digitale, di pubblicazioni e di riviste comunque utili all'aggiornamento professionale, per l'acquisto di hardware e software, per l'iscrizione a corsi per attività di aggiornamento e di qualificazione delle competenze professionali, svolti da enti accreditati presso il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca (ora MIM), a corsi di laurea, di laurea magistrale, specialistica o a ciclo unico, inerenti al profilo professionale, ovvero a corsi post lauream o a master universitari inerenti al profilo professionale, per rappresentazioni teatrali e cinematografiche, per l'ingresso a musei, mostre ed eventi culturali e spettacoli dal vivo, nonché  per iniziative coerenti con le attività individuate nell'ambito del piano triennale dell'offerta formativa delle scuole e del Piano nazionale di formazione di cui al successivo comma 124. La somma di cui alla Carta non costituisce retribuzione accessoria né reddito imponibile.

In base all’art. 1, comma 122, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, di concerto con il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca (ora MIM) e con il Ministro dell'economia e delle finanze, da adottare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge, sono definiti i criteri e le modalità di assegnazione e utilizzo della Carta di cui al comma 121, l'importo da assegnare nell'ambito delle risorse disponibili di cui al comma 123, tenendo conto del sistema pubblico per la gestione dell'identità digitale, nonché le modalità per l'erogazione delle agevolazioni e dei benefici collegati alla Carta medesima.

In sede attuativa, è stato adottato il DPCM 28 novembre 2016, recante «Disciplina delle modalità di assegnazione e utilizzo della Carta elettronica per l'aggiornamento e la formazione del docente di ruolo delle istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado».

Infine, secondo il comma 123, per le finalità di cui al comma 121 è autorizzata la spesa di euro 381,137 milioni annui a decorrere dall'anno 2015.

Per i necessari approfondimenti, cfr. il dossier e il tema dedicati predisposti dal Servizio studi nonché l’apposita pagina del Ministero.

 

L’intervento del legislatore – come evidenziato anche nella relazione illustrativa – è volto ad adattare l’ordinamento nazionale rispetto a quanto statuito dalla Corte di giustizia dell’Unione europea, Sezione VI, con ordinanza del 18/5/2022, nella causa C-450-21, a definizione di un rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE. La pronuncia ha ritenuto non compatibile con il diritto eurounitario – e in particolare, con l’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999 (in prosieguo: l’«accordo quadro»), che figura nell’allegato della direttiva 1999/70/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato (GU 1999, L 175, pag. 43), nonché con i principi generali di parità di trattamento e di non discriminazione – la limitazione del beneficio (finanziario) della Carta elettronica ai soli docenti di ruolo, e non anche ai docenti non di ruolo o comunque a tempo determinato, in considerazione dell’analogia di situazione in cui le due categorie versano rispetto alla specifica esigenza di aggiornamento e formazione continua che lo strumento è teso a soddisfare.  

 

In particolare, il Tribunale di Vercelli, con ordinanza del 16 luglio 2021, nell’ambito di una controversia instaurata da una docente a tempo determinato nei confronti del Ministero dell’istruzione, ha investito la Corte di giustizia della questione pregiudiziale d’interpretazione della clausola 4, punto 1, e della clausola 6 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999, che figura nell’allegato della direttiva 1999/70/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, nonché dei principi generali di parità di trattamento e di non discriminazione, al fine di sapere se essi, nella loro portata così come ricostruita dal giudice europeo, ostino a una norma nazionale quale quella prevista dall’art. 1, comma 121, primo periodo, della L. 107/2015, che accorda il beneficio economico ai soli docenti di ruolo e non anche agli altri.

La clausola 4 dell’accordo quadro, intitolata «Principio di non discriminazione», al punto 1 stabilisce quanto segue: «per quanto riguarda le condizioni di impiego, i lavoratori a tempo determinato non possono essere trattati in modo meno favorevole dei lavoratori a tempo indeterminato comparabili per il solo fatto di avere un contratto o rapporto di lavoro a tempo determinato, a meno che non sussistano ragioni oggettive». La clausola 6 dell’accordo quadro, intitolata «Informazione e possibilità di impiego», al punto 2, prevede invece che «nella misura del possibile, i datori di lavoro dovrebbero agevolare l’accesso dei lavoratori a tempo determinato a opportunità di formazione adeguate, per aumentarne le qualifiche, promuoverne la carriera e migliorarne la mobilità occupazionale».

Per quanto qui interessa, la Corte ha rilevato come «la clausola 4, punto 1, dell’accordo quadro sancisce il divieto, per quanto riguarda le condizioni di impiego, di trattare i lavoratori a tempo determinato in modo meno favorevole rispetto ai lavoratori a tempo indeterminato che si trovano in una situazione comparabile, per il solo fatto che essi lavorano a tempo determinato, a meno che non sussistano ragioni oggettive». Muovendo da questa premessa, ha osservato come «dagli elementi del fascicolo forniti dal giudice del rinvio risulta, in sostanza, che nel procedimento principale è pacifico, da un lato, che la situazione di UC [la ricorrente] e quella dei docenti a tempo indeterminato, assunti dal Ministero nell’ambito di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, sono comparabili dal punto di vista della natura del lavoro e delle competenze professionali richieste, e, dall’altro, che esiste una differenza di trattamento tra tali docenti a tempo indeterminato e i docenti assunti dal Ministero nell’ambito di rapporti di lavoro a tempo determinato, in quanto questi ultimi non beneficiano del vantaggio finanziario di cui al procedimento principale». Secondo una giurisprudenza costante della Corte, «la nozione di «ragioni oggettive» richiede che la disparità di trattamento constatata sia giustificata dalla sussistenza di elementi precisi e concreti, che contraddistinguono il rapporto di impiego di cui trattasi, nel particolare contesto in cui s’inscrive e in base a criteri oggettivi e trasparenti, al fine di verificare se tale disparità risponda a una reale necessità, sia idonea a conseguire l’obiettivo perseguito e risulti necessaria a tal fine. Tali elementi possono risultare, segnatamente, dalla particolare natura delle funzioni per l’espletamento delle quali sono stati conclusi contratti a tempo determinato e dalle caratteristiche inerenti alle medesime o, eventualmente, dal perseguimento di una legittima finalità di politica sociale di uno Stato membro». Sennonché «il riferimento alla mera natura temporanea del lavoro degli impiegati amministrativi a contratto, come UC, non è conforme a tali requisiti e non può dunque costituire di per sé una ragione oggettiva, ai sensi della clausola 4, punto 1, dell’accordo quadro. Infatti, ammettere che la mera natura temporanea di un rapporto di lavoro sia sufficiente a giustificare una differenza di trattamento tra lavoratori a tempo determinato e lavoratori a tempo indeterminato priverebbe di contenuto gli obiettivi della direttiva 1999/70 e dell’accordo quadro ed equivarrebbe a perpetuare il mantenimento di una situazione svantaggiosa per i lavoratori a tempo determinato».

All’esito del giudizio, la Corte ha dunque così statuito: «la clausola 4, punto 1, dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999, che figura nell’allegato della direttiva 1999/70/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, deve essere interpretata nel senso che essa osta a una normativa nazionale che riserva al solo personale docente a tempo indeterminato del Ministero dell’istruzione, e non al personale docente a tempo determinato di tale Ministero, il beneficio di un vantaggio finanziario dell’importo di EUR 500 all’anno, concesso al fine di sostenere la formazione continua dei docenti e di valorizzarne le competenze professionali, mediante una carta elettronica che può essere utilizzata per l’acquisto di libri e di testi, anche in formato digitale, di pubblicazioni e di riviste comunque utili all’aggiornamento professionale, per l’acquisto di hardware e software, per l’iscrizione a corsi per attività di aggiornamento e di qualificazione delle competenze professionali, a corsi di laurea, di laurea magistrale, specialistica o a ciclo unico, inerenti al profilo professionale, ovvero a corsi post lauream o a master universitari inerenti al profilo professionale, per rappresentazioni teatrali e cinematografiche, per l’ingresso a musei, mostre ed eventi culturali e spettacoli dal vivo, ad altre attività di formazione e per l’acquisto di servizi di connettività al fine di assolvere l’obbligo di effettuare attività professionali a distanza».

 

La relazione tecnica, oltre ai profili finanziari, aiuta a comprendere l’ambito di applicazione e la portata esatta dell’intervento.

Nel rinviare alla lettura del documento, si evidenzia qui come esso, nel prevedere l’estensione per l’anno 2023 del riconoscimento della c.d. carta docenti al personale docente con contratto di supplenza annuale, «prende in considerazione solo la tipologia di posti che fanno parte dell’organico di diritto e quindi danno origine ad un contratto continuativo di durata annuale che copre l’intero anno scolastico», e dunque i «soli docenti con contratto a tempo determinato fino al 31/8, supplenti annuali».

Con riguardo all’estensione della platea degli interessati, la relazione tecnica precisa ancora come la disposizione «estende il beneficio della carta ad un numero di supplenti annuali pari a 67.497 unità, a cui si aggiungono 16.470 docenti di religione cattolica, per un totale di 83.967 docenti, corrispondente ad una spesa ipotetica di 41.983.500 (83.967 x 500 €) euro per l’erogazione della carta. Il personale docente con contratto a tempo indeterminato è di 698.894 unità, a cui si aggiungono 10.490 docenti di religione cattolica, per un totale di 709.384. Aggiungendo il contingente dei docenti con contratto di supplenza annuale al 31/8 su posto vacante e disponibile, al numero di personale attualmente beneficiario della carta si giungerebbe ad una platea complessiva di 793.351 unità di personale beneficiario».

Infine, per quanto attiene alla quantificazione delle risorse, la tabella 3 della relazione tecnica, dando conto del nuovo numero di beneficiari, stima in 10,9 mln di euro le risorse aggiuntive da stanziare.

 

 


Articolo 16
(Autorità per la verifica dell’autenticità delle decisioni sulle spese emesse dall’Ufficio UE per la proprietà intellettuale)

 

 

L’articolo 16 individua il Ministero della giustizia quale Autorità per la verifica dell’autenticità delle decisioni sulle spese emesse dall’Ufficio dell’Unione europea per la proprietà intellettuale (EUIPO).

 

L’articolo in commento prevede che alle formalità previste dall’art. 110 del Regolamento (UE) 2017/1001 provveda il Ministero della giustizia.

 

L’art. 110 del citato Regolamento prevede che le decisioni definitive sulle spese adottate dall’Ufficio per la proprietà intellettuale nell’ambito di procedure di opposizione, decadenza, nullità o ricorso costituiscano titolo esecutivo (paragrafo 1).

Il paragrafo 2 precisa che l’esecuzione forzata è regolata dalle norme di procedura civile vigenti nello Stato nel cui territorio viene effettuata e che ciascuno Stato membro designa un’Autorità responsabile della verifica dell’autenticità della decisione (dandone comunicazione all’Ufficio, alla Corte di giustizia e alla Commissione). Tale Autorità appone alla decisione la sola formula esecutiva, previa la sola verifica dell’autenticità.

Assolte le predette formalità la parte interessata può ottenere l’esecuzione forzata adendo l’organo competente secondo la legislazione nazionale (paragrafo 3).

L’esecuzione forzata non può essere sospesa se non su decisione della Corte di giustizia, fermo restando che il controllo sulla regolarità degli atti esecutivi è di competenza delle giurisdizioni nazionali (paragrafo 4).

 

L’articolo in commento precisa che il Ministero della giustizia provvede alla verifica dell’autenticità delle decisioni sulle spese emesse dall’Ufficio dell’Unione europea per la proprietà intellettuale (EUIPO) e, solo in base all’adempimento di tale formalità, vi appone la formula esecutiva.

Secondo quanto riportato dalla relazione illustrativa, lo Stato italiano non aveva ancora provveduto a designare l’Autorità competente all’espletamento delle suddette formalità. Pertanto, la norma in commento è adottata al fine di evitare l’apertura di procedure di infrazione.

 

A tal proposito, si rileva che con la cd. “riforma Cartabia” del processo civile (D. Lgs. 149/2022), in attuazione dell’art. 1, comma 12, della legge delega (L. 206/2021), la formula esecutiva è stata abolita, con l’abrogazione delle disposizioni legislative che ad essa facevano riferimento, ed è stata sostituita dalla mera attestazione di conformità della copia al titolo originale (art. 475 c.p.c.).

 

Si ricorda che ai sensi dell’art. 474, primo comma, c.p.c. l’esecuzione forzata non può aver luogo se non in virtù di un titolo esecutivo per un diritto certo, liquido ed esigibile.

Ai sensi del secondo comma, n. 1, del medesimo articolo sono titoli esecutivi le sentenze, i provvedimenti e gli altri atti ai quali la legge attribuisce espressamente efficacia esecutiva.

Ai sensi dell’art. 475 c.p.c., come sostituito dall’art. 3, comma 34, lett. b), del D. Lgs. n. 149 del 2022, gli atti dell’autorità giudiziaria, nonché gli atti ricevuti da notaio o altro pubblico ufficiale, per valere come titolo esecutivo devono essere rilasciati in copia attestata conforme all’originale, salvo che la legge disponga altrimenti.

 

Si valuti quindi l’opportunità di adeguare la disposizione in commento con la disciplina dell’esecuzione forzata conseguente all’entrata in vigore del D. Lgs. 149/2022, che non prevede più la formula esecutiva.

 


Articolo 17
(Adeguamento al
regolamento UE 1157/2019, sul rafforzamento della sicurezza delle carte di identità dei cittadini dell’Unione e dei titoli di soggiorno rilasciati ai cittadini dell’Unione e ai loro familiari che esercitano il diritto di libera circolazione)

 

 

L’articolo 17 attribuisce la qualifica di “carte valori” agli attestati di iscrizione e alle attestazioni di soggiorno permanente rilasciati ai cittadini dell'Unione europea che intendano soggiornare in Italia per un periodo superiore a tre mesi o permanentemente. Tali attestazioni sono prodotte e fornite dall’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, secondo caratteristiche e modalità definiti con apposita convenzione tra il medesimo Istituto e il Ministero dell’interno. Sono altresì soggette ad imposta di bollo e ai diritti fissi e di segreteria. L’articolo in esame dispone, infine, circa la quantificazione degli oneri e la relativa copertura.

 

Il comma 1 fa riferimento alle attestazioni rilasciate ai sensi degli articoli 8 e 19 della direttiva 2004/38/CE. Tale direttiva, concernente il diritto dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, è stata recepita dal decreto legislativo n. 30 del 2007, invero non richiamato dal comma in esame.

Le medesime attestazioni sono esplicitamente incluse dall’articolo 2, lettera b), regolamento (UE) 1157/2019 [19] tra i documenti che richiedono specifiche caratteristiche di sicurezza e anticontraffazione.

 

L’articolo 8 (rubricato “Formalità amministrative per i cittadini dell'Unione”) della direttiva 2004/38/CE prevede che lo Stato membro ospitante possa richiedere ai cittadini dell'Unione l'iscrizione presso le autorità competenti, per soggiorni di durata superiore a tre mesi. L’attestato d'iscrizione, prosegue la direttiva, è rilasciato immediatamente. Esso contiene l'indicazione del nome e del domicilio della persona iscritta e la data dell'avvenuta iscrizione. L'inadempimento dell'obbligo di iscrizione rende l'interessato passibile di sanzioni che dovranno essere proporzionate e non discriminatorie. Il medesimo articolo 8 elenca i documenti che possono essere richiesti dallo Stato membro all’interessato e ai suoi familiari, ai fini dell’ottenimento delle attestazioni in parola.

L’articolo 19 della medesima direttiva concerne il documento che attesta il soggiorno permanente per i cittadini dell'Unione, rilasciato “nel più breve tempo possibile”.

 

Le attestazioni in oggetto sono quindi qualificate - dal medesimo comma 1 –carte valori”, secondo la disciplina recata dall’articolo 2, comma 10-bis, della legge 13 luglio 1966, n. 559, sull’ordinamento dell'Istituto Poligrafico dello Stato. Vi si prevede che le carte valori – destinate, tra l’altro, ad attestare il rilascio, da parte dello Stato o di altre pubbliche amministrazioni, di autorizzazioni, certificazioni, abilitazioni, documenti di identità e riconoscimento – siano realizzate in modo da assicurare un'idonea protezione dalle contraffazioni e dalle falsificazioni. Per tale finalità la carta valori è realizzata con specifiche tecniche di sicurezza, con impiego di carte filigranate o similari o di altri materiali di sicurezza, ovvero con elementi o sistemi magnetici ed elettronici.

Si rammenta che le carte valori sono elencate dal decreto del Ministro dell'economia e delle finanze del 23 dicembre 2013 (G.U. 31 dicembre 2013, n. 305).

 

Il comma 2 attribuisce all’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato il compito di produrre e fornire i suddetti attestati e documenti. Trova applicazione, a tal fine, la normativa nazionale che disciplina la produzione delle carte valori e dei documenti di sicurezza. Si applica quanto previsto dal regolamento (UE) 1157/2019 all’articolo 2, lettera b) (vedi supra) e articolo 6. Quest’ultimo elenca gli elementi minimi da riportare sui titoli di soggiorno rilasciati dagli Stati membri ai cittadini dell'Unione.

Le caratteristiche tecniche e grafiche degli attestati, i costi di produzione e di distribuzione ai Comuni, nonché le relative modalità della distribuzione sono stabiliti con apposita convenzione tra il Ministero dell’interno e l’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato (comma 3). Con una modifica in sede referente, è stato integrato il testo di tale comma 3, al fine di specificare che gli attestati in oggetto sono distribuiti dai Comuni ai cittadini dell'Unione europea aventi diritto di soggiorno o diritto di soggiorno permanente in Italia nelle ipotesi previste rispettivamente agli articoli 9 e 16 del decreto legislativo n. 30 del 2007.

 

L’articolo 9, qui richiamato, prevede che al cittadino dell’Unione che intende soggiornare in Italia per più di tre mesi sia in ogni caso richiesta l’iscrizione all’anagrafe, trascorsi i tre mesi dall'ingresso. È rilasciata immediatamente una attestazione contenente l'indicazione del nome e della dimora del richiedente, nonché la data della richiesta. L’articolo 16 riguarda l’attestazione di soggiorno permanente per i cittadini dell'Unione europea.

 

Il comma 4 prevede l’applicazione dell’imposta di bollo nonché - ai fini delle dichiarazioni e iscrizioni anagrafiche (come specificato in sede referente) dei diritti fissi e di segreteria, che restano di spettanza del Comune.

 

Si rammenta che la disciplina dell’imposta di bollo è contenuta nel decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 642.

La disciplina dei diritti di segreteria, dovuti all’ente che svolge l’attività istruttoria, è contenuta negli articoli da 40 a 42 della legge n. 604 del 1962.

 

Il comma 5 quantifica gli oneri in 120.000 euro per l’anno 2023 e 200.000 euro a decorrere dell’anno 2024. Per la copertura finanziaria di tali oneri il medesimo comma fa rinvio all’articolo 26 del presente decreto-legge (cfr. la relativa scheda).


Articolo 18
(Frontiere Schengen: adeguamenti normativi
ad intervenuti regolamenti dell’Unione europea)

 

 

L’articolo 18 provvede ad una serie di adeguamenti della normativa italiana ad alcuni regolamenti dell’Unione europea. Tra i contenuti precettivi di questi ultimi, rilevano in particolare entro la cornice normativa posta dal codice delle frontiere Schengen – l’istituzione di un sistema europeo di informazione e autorizzazione ai viaggi (ETIAS); l’istituzione di un sistema di ingressi/uscite (EES), con registrazione dei dati di ingresso e di uscita nonché relativi al respingimento, per i cittadini di Paesi terzi; l’istituzione di un quadro per l'interoperabilità tra i sistemi di informazione dell'Unione europea nel settore delle frontiere e dei visti e nel settore della cooperazione di polizia e giudiziaria, asilo e migrazione.

Tra le disposizioni dettate da questo articolo del decreto-legge figurano l’attribuzione espressamente in capo al tribunale amministrativo regionale della competenza a decidere quale autorità giudiziaria sul ricorso avverso il provvedimento di diniego, annullamento o revoca delle “autorizzazioni di viaggio” od il provvedimento di divieto di reingresso del cittadino di Paese terzo ‘fuori-termine’ identificato, durante i controlli alla frontiera, in uscita dal territorio nazionale. Nel corso dell’esame in sede referente, si è aggiunta l’attribuzione al tribunale amministrativo regionale della competenza a decidere sul ricorso contro i provvedimenti di respingimento dalla frontiera di immediata applicazione per lo straniero sprovvisto dei requisiti di ingresso.

 

Il presente articolo reca un novero di disposizioni volte a dare attuazione a previsioni di più regolamenti dell’Unione europea, irradiantisi dal ‘nucleo’ normativo costituito dal cd. codice delle frontiere Schengen – ossia il regolamento UE 2016/399 del Parlamento europeo e del Consiglio, istitutivo di un codice unionale relativo al regime di attraversamento delle frontiere da parte delle persone.

Il comma 1 incide, per questo riguardo, novellando il decreto legislativo n. 286 del 1998, il quale reca, com’è noto, il Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero (di seguito TUI).

Posta la complessità dell’ordito di novelle, vale considerarle partitamente.

Alcune novelle investono l’articolo 4 del TUI, il quale disciplina l’ingresso nel territorio dello Stato italiano.

Una prima sua previsione (art. 4 citato, comma 1) recitava: “L’ingresso nel territorio dello Stato è consentito allo straniero in possesso di passaporto valido o documento equipollente e del visto d’ingresso, salvi i casi di esenzione, e può avvenire, salvi i casi di forza maggiore, soltanto attraverso i valichi di frontiera appositamente istituiti”.

La riscrittura della disposizione (effettuata dal comma 1, lettera a), nn. 1 e 2), se ne mantiene ferma l’intelaiatura per così dire, la integra al contempo con alcuni riferimenti:

-        il richiamo normativo al ricordato codice delle frontiere Schengen, circa le condizioni [20] in cui sia consentito l’ingresso nel territorio dello Stato (e si intende che a quella fonte si debba far riferimento, per i “casi di esenzione” dalla documentazione richiesta nella previa formulazione del TUI);

-        il richiamo: al “documento di viaggio” quale equipollente rispetto al passaporto (beninteso, in corso di validità); alla “autorizzazione di viaggio” quale equipollente al visto di ingresso; o al “permesso di soggiorno” (in corso di validità). Siffatte integrazioni conseguono al regolamento UE 2018/1240 del Parlamento europeo e del Consiglio, istitutivo di un sistema europeo di informazione e autorizzazione ai viaggi (ETIAS), là dove esso (cfr. suo articolo 3) annovera, tra i suoi elementi definitori, appunto l’autorizzazione ai viaggi (quale decisione adottata affinché i cittadini di Paesi terzi soddisfino la condizione d’ingresso poste dal codice delle frontiere Schengen) ed il documento di viaggio (passaporto o altro documento equivalente che autorizza il titolare ad attraversare le frontiere esterne e sul quale può essere apposto un visto). Quanto al richiamo al permesso di soggiorno, esso consegue ad atto più risalente ma comunque successivo al TUI, ossia il regolamento CE n. 1030/2002, istitutivo di un modello uniforme per i permessi di soggiorno rilasciati a cittadini di Paesi terzi;

-        il richiamo – nella prescrizione che l’ingresso nello Stato italiano possa avvenire, salvo i casi di forza maggiore, solo attraverso i valichi di frontiera appositamente istituiti – agli ulteriori “casi di eccezione” previsti dal codice delle frontiere Schengen (il citato regolamento UE 2016/399 all’articolo 5, par. 2 prevede che possano essere poste eccezioni all’obbligo di attraversare le frontiere esterne ai valichi di frontiera e durante gli orari di apertura, per i casi lì indicati in via generale nonché per altri più specifici, concernenti aeromobili – cfr. suo allegato VI, punto 2.1.4. o imbarcazioni da diporto – ibidem, punto 3.2.5 – o determinate categorie di persone – cfr. suo allegato VII).

 

Ancora il comma 1, lettera a), n. 2 del presente articolo del decreto-legge reca novelle all’articolo 4 del TUI, introducendovi disposizioni ex novo aggiuntive.

Un novello comma 1-ter prevede per i cittadini di Paesi terzi, salvi i casi di esenzione, l’obbligo di fornire i dati biometrici, ove richiesti, per la costituzione del fascicolo individuale nel sistema EES e per l’effettuazione di verifiche di frontiera, precisando che, in caso di rifiuto, si adotti il provvedimento di respingimento (di cui all’articolo 10 del TUI).

L’acronimo EES sta per Entry/Exit System: “sistema di ingressi/uscite”. Ad istituirlo è stato il regolamento UE 2017/2226 del Parlamento europeo e del Consiglio, per la registrazione dei dati di ingresso e di uscita nonché relativi al respingimento, dei cittadini di Paesi terzi che attraversano le frontiere esterne degli Stati membri. Il suo articolo 2 definisce l’ambito di applicazione (dunque a quali cittadini di Paesi terzi il regolamento si applichi) e l’articolo 50 prevede un obbligo di comunicazione al cittadino di Paese terzo interessato che l’ingresso sarà negato se egli rifiuti di fornire i dati biometrici (relativi alle impronte digitali e all’immagine del volto) necessari per la registrazione, la verifica o l’identificazione nel sistema ingressi/uscite nel sistema ingressi/uscite (EES).

Anche il novello comma 1-quater ha riguardo alla registrazione dei dati nel sistema ingressi/uscite (EES).

Essa è assicurata dall’autorità di frontiera prevede la disposizione – la quale altresì provvede, in caso di ingresso sul territorio nazionale, ad informare il cittadino straniero (anche mediante attrezzature installate ai valichi di frontiera) della durata massima del soggiorno autorizzato.

Ai cittadini di Paesi terzi titolari di un permesso di soggiorno rilasciato dalle autorità italiane in corso di validità, il personale addetto ai controlli di frontiera provvede ad apporre sul passaporto un timbro recante l’indicazione della data di ingresso o di uscita.

Quest’ultima disposizione ‘legifica’ analoga previsione dettata dal d.P.R. n. 394 del 1999 (recante il regolamento attuativo del TUI) per l’ingresso (art. 7, comma 2) e per l’uscita (art. 8, comma 1) dello straniero dal territorio dello Stato (disposizioni regolamentari che conseguentemente sono abrogate dal comma 2 del presente articolo del decreto-legge). Il mantenimento della timbratura sul documento non risulta incompatibile col meccanismo di registrazione dei dati nel sistema EES sopra ricordato, in quanto legittimata da previsione del codice delle frontiere Schengen (ossia l’articolo 11 del citato regolamento UE 2016/399).

Ancora, il novello comma 1-quinquies del pari introdotto entro l’articolo 4 del TUI prevede l’adozione di uno più regolamenti (decreti del Ministro dell’interno, di concerto con i Ministri degli affari esteri e della giustizia) per dare attuazione a taluni profili del regolamento UE 2017/2226 istitutivo del sistema ingressi/uscite (EES).

In particolare, la decretazione ministeriale è chiamata determinare le “autorità di frontiera”, nonché quelle “competenti in materia di immigrazione” (preposte alla verifica all’interno del territorio dello Stato italiano se siano soddisfatte le condizioni d’ingresso o di soggiorno nello spazio Schengen, nonché all’esame delle condizioni di residenza dei cittadini di Paesi terzi nel territorio ad alle relative decisioni, e titolate a provvedere all’eventuale rimpatrio). Inoltre deve indicare “l’autorità designata responsabile della prevenzione, accertamento e indagine di reati di terrorismo o altri reati gravi”. A seguito di modifica approvata in sede referente presso il Senato, è stata introdotta la determinazione (da parte del decreto ministeriale) altresì delle modalità di adempimento del punto 22) dell’articolo 3 del regolamento UE 2017/2226 citato – punto che menziona i dati conservati nel sistema centrale di ingressi/uscite (EES).

Si tratta, in altri termini, di dare concreta specificazione a diciture definitorie presenti nel regolamento UE istitutivo del sistema EES.

La decretazione ministeriale sopra ricordata inoltre è chiamata a rendere disciplina delle modalità tecniche di accesso, consultazione, inserimento, modifica e cancellazione dei dati nel sistema di ingressi/uscite (EES) a cura dei soggetti autorizzati, di eventuale conservazione negli archivi o sistemi nazionali, nonché di comunicazione dei dati a Paesi terzi od organizzazioni internazionali (ove consentita, in via derogatoria, dall’articolo 41 del medesimo regolamento UE 2017/2226).

 

Ulteriori disposizioni sono introdotte dal comma 1, lettera a), n. 3 – nel corpo del TUI.

Un novello comma 2-bis dell’articolo 4 del TUI declina profili applicativi inerenti alla “autorizzazione ai viaggi”, oggetto del regolamento UE 2018/1240 del Parlamento europeo e del Consiglio, istitutivo di un “sistema di informazione e autorizzazione ai viaggi” (ETIAS l’acronimo) per i cittadini di Paesi terzi esenti dall’obbligo di possedere un visto al momento dell’attraversamento delle frontiere esterne.

La disposizione fa espresso rinvio, per tale autorizzazione ai viaggi, alle disposizioni del regolamento europeo citato da ultimo (suoi articoli 15, 17 e 18, rispettivamente) relative alle modalità pratiche di presentazione della domanda, al modulo di domanda e correlativi dati personali richiesti, al pagamento dei diritti per l’autorizzazione.

Precisa inoltre che la decisione circa l’autorizzazione ­(sia essa positiva o, al contrario, di diniego, annullamento o revoca: tutte fattispecie considerate dal capo VI del medesimo regolamento europeo) sia presa dall’Unità nazionale ETIAS (la quale, si ricorda, è presso la Direzione centrale dell’immigrazione e della polizia delle frontiere, entro il Dipartimento della pubblica sicurezza del Ministero dell’Interno).

Nonché esplicita che la decisione circa l’autorizzazione ai viaggi così adottata, sia impugnabile innanzi al giudice amministrativo. Siffatta tutela giurisdizionale rimane collocata entro la generale disciplina prevista dal codice del processo amministrativo (ossia il decreto legislativo n. 104 del 2010).

Un novello comma 2-ter dell’articolo 4 del TUI demanda ad uno o più regolamenti ministeriali la determinazione di alcuni aspetti applicativi (quali siano le autorità di frontiera, le autorità competenti in materia di immigrazione, le autorità responsabili per finalità di prevenzione, accertamento e indagine di reati di terrorismo o altri reati gravi), inclusa la disciplina delle modalità tecniche di accesso, consultazione, inserimento, modifica e cancellazione dei dati nel sistema europeo di informazione e autorizzazione di viaggi (ETIAS) a cura dei soggetti autorizzati, di eventuale conservazione negli archivi o sistemi nazionali, nonché di comunicazione dei dati ove consentita (dall’articolo 65 del medesimo regolamento n. 1240 del 2018).

Altra novella (recata dal comma 1, lettera b)) incide sull’articolo 5, comma 8-bis del TUI, onde introdurvi la menzione della “autorizzazione ai viaggi” (e documenti strumentali ad essa) tra i titoli di ingresso la cui contraffazione o alterazione comporti la sanzione penale lì prevista.

Dunque la novella mira a ‘trasporre’ il meccanismo disegnato dal regolamento ETIAS sopra ricordato, entro la strumentazione sanzionatoria vigente nell’ordinamento italiano. A tal fine, prevede che la contraffazione o alterazione della comunicazione del rilascio di un’autorizzazione ai viaggi, o di documenti preordinati al rilascio di tale autorizzazione, siano sanzionati (secondo dispone l’articolo 5, comma 8-bis del TUI) con la reclusione da uno a sei anni (ma se la falsità concerna un atto o parte di un atto che faccia fede fino a querela di falso, la reclusione è da tre a dieci anni), salvo incremento della pena se il fatto sia commesso da un pubblico ufficiale.

In tal modo, la “comunicazione del rilascio di un’autorizzazione ai viaggi”, menzionata dalla novella, risulta assimilata agli altri “documenti giustificativi” menzionati dall’articolo 17 del citato regolamento (UE) 2018/1240 (il quale prevede che il richiedente l’ingresso nello spazio Schengen possa essere invitato a presentare “i pertinenti documenti giustificativi all’atto di ciascun ingresso”).

Una novellazione (recata dal comma 1, lettera c)) incide altresì sull’articolo 10 del TUI, il quale ha ad oggetto, com’è noto, il respingimento.

Il suo comma 1 prescrive che la polizia di frontiera respinga gli stranieri che si presentino ai valichi di frontiera sprovvisti dei requisiti previsti per l’ingresso dal medesimo TUI.

La novella pone, circa i requisiti di ingresso, un rinvio altresì al codice delle frontiere Schengen (il più volte citato regolamento UE 2016/399) – giacché esso è la fonte normativa di riferimento per l’ingresso dei cittadini di Paesi terzi nel territorio degli Stati membri.

Modifica approvata in sede referente altresì introduce, entro l’articolo 10 del TUI, un novello comma 1-bis. Prevede che contro i provvedimenti di respingimento alla frontiera di applicazione immediata (per gli stranieri che si presentino ai valichi di frontiera sprovvisti dei requisiti per l’ingresso) è ammesso ricorso al Tribunale amministrativo regionale (quello nella cui circoscrizione abbia sede l’ufficio di frontiera che ha disposto il respingimento).

Si tratta di previsione volta a superare alcuni orientamenti applicativi, profilatisi a legislazione vigente, in ordine all’individuazione dell’autorità giudiziaria invece ordinaria quale titolare della competenza alla trattazione del ricorso sul respingimento in frontiera (v. infra il riquadro su Le competenze del giudice amministrativo).

Possibile ratio di tale attribuzione di competenza, quale prevista dalla novella, in ordine al gravame giurisdizionale (previsto, quest’ultimo, dal regolamento dell’Unione europea n. 2226 del 2017, all’articolo 54, che dunque si viene a ‘recepire’), potrebbe ritenersi una configurabilità del potere amministrativo di espulsione alla frontiera quale ‘vincolato’, a tutela di un interesse pubblico, rispetto al quale lo straniero sia ritenuto detenere un interesse legittimo, vagliabile appunto dal giudice amministrativo.

Secondo la disciplina che la novella viene ad introdurre, si avrebbe una competenza del giudice amministrativo non discosta da quella prevista (dall’articolo 13, comma 11 del decreto legislativo n. 286 del 1998) per il provvedimento di espulsione amministrativa per motivi di ordine pubblico o sicurezza dello Stato recante il divieto al reingresso nel territorio degli Stati membri dell’Unione europea o dell’acquis di Schengen.

La novella così introdotta in sede referente inoltre prevede che la procura al difensore possa essere rilasciata dall’interessato innanzi all’autorità consolare italiana competente nel territorio.

 

Novellato risulta (per effetto del comma 1, lettera d)) anche l’articolo 13 del TUI, il quale ha per oggetto l’espulsione amministrativa.

Di quell’articolo 13, il comma 2 tratta dell’espulsione disposta dal prefetto, quando lo straniero si sia trattenuto nel territorio dello Stato senza averne titolo.

La novella viene a ricomprendere, tra i casi sanzionati dall’espulsione amministrativa disposta dal prefetto, il soggiorno del cittadino di Paese terzo cui sia stata annullata o revocata la “autorizzazione ai viaggi” o si ritrovi ‘fuori termine’ (ossia, nella dicitura dell’articolo 3 del regolamento UE 2017/2226, non soddisfi o non soddisfi più le condizioni relative alla durata del suo soggiorno di breve durata autorizzato nel territorio degli Stati membri).

Anche in questo caso si tratta di un ‘riallineamento’ normativo della disciplina vigente rispetto ad un intervenuto meccanismo unionale in questo caso relativo al sistema ingressi/uscite (EES). E vale rammentare come l’articolo 12 del citato regolamento UE 2017/2226 espressamente includa nell’ESS l’individuazione automatica delle cartelle di ingresso/uscita che non contengano dati di uscita immediatamente successivi alla data di scadenza di un soggiorno autorizzato, nonché delle cartelle per le quali sia stata superata la durata massima di soggiorno autorizzato.

Altra novella (incidente sul comma 2-ter dell’articolo 13 del TUI) dispone invece per il caso in cui lo straniero ‘fuori termine’ rintracciato sia in uscita dalla frontiera italiana.

Si prevede in tal caso che egli possa essere destinatario di un divieto di reingresso, decorrente dalla data di uscita dal territorio nazionale, valevole per un lasso temporale non inferiore ad un anno e non superiore a tre anni (disposto dal questore del luogo in cui ha sede l’ufficio di frontiera).

In caso di trasgressione lo straniero è punito con la reclusione da uno a quattro anni ed è espulso con accompagnamento immediato alla frontiera (disposizione che si applica per il rinvio normativo al comma 13 di questo medesimo articolo 13 del TUI).

Ulteriori novelle introducono commi aggiuntivi entro l’articolo 13 del TUI.

Un novello comma 2-quater prevede per i cittadini di Paesi terzi, salvi i casi di esenzione, l’obbligo di fornire i dati biometrici, ove richiesti, ai fni delle verifiche di frontiere previste in uscita dal codice delle frontiere Schengen.

In caso di rifiuto, l'espulsione non è disposta né eseguita coattivamente qualora il provvedimento sia stato già adottato, nei confronti dello straniero identificato in uscita dal territorio nazionale durante i controlli di polizia alle frontiere esterne, impartendosi piuttosto un divieto di reingresso, secondo i termini poco sopra ricordati.

Un novello comma 2-quinquies ancora entro l’articolo 13 del TUI prevede che l’autorità di frontiera, all’atto della registrazione in uscita dello straniero, informi l’interessato che il divieto di reingresso è disposto dal questore del luogo in cui ha sede l’ufficio di frontiera, entro 120 giorni (“tenendo conto di tutte le circostanze pertinenti il singolo caso”).

L’autorità di frontiera informa altresì lo straniero che, nel caso in cui, in occasione del controllo in uscita, non sia dichiarato un domicilio diverso, le comunicazioni relative all’adozione del provvedimento di divieto saranno notificate, anche con ricorso a modalità telematiche, all’indirizzo fornito in occasione della compilazione del modulo di domanda di autorizzazione ai viaggi o di richiesta del visto, ovvero alla rappresentanza diplomatica o consolare italiana del Paese di appartenenza o di stabile residenza ovvero, qualora assenti, del Paese limitrofo.

Si applicano comunque le disposizioni relative alla protezione diplomatica (di cui all’articolo 2, comma 7, del TUI).

L’autorità di frontiera comunica allo straniero che entro il termine di sessanta giorni (decorrenti dalla data del rintracciamento in frontiera) egli potrà far pervenire al questore le proprie osservazioni o deduzioni (anche a mezzo del servizio postale o per il tramite della rappresentanza diplomatica o consolare italiana all’estero).

Ed un novello comma 2-sexies individua nel tribunale amministrativo regionale l’autorità giudiziaria competente alla trattazione del ricorso al provvedimento (del questore) di divieto di reingresso.

Anche in tal caso la procura al difensore può essere rilasciata innanzi all’autorità consolare italiana competente per territorio (onde azionare un procedimento impugnatorio dall’estero, sulla scorta di quanto previsto in tema di ricorsi ai provvedimenti di espulsione dagli articoli 18 e 19 del d.P.R. n. 394 del 1999).

Ancora una novella incide sul medesimo articolo 14 del TUI, al comma 14-bis.

Talché il divieto di reingresso è registrato nel sistema di informazione Schengen dall’autorità di pubblica sicurezza, anche ove si tratti di espulsione disposta dal giudice.

La competenza ad inserire il divieto di reingresso nel sistema di informazione permane così ‘centralizzata’ in capo all’autorità di pubblica sicurezza.

Tale iscrizione nel sistema di informazione Schengen (istituito dal regolamento CE n. 1987/2006) ha effetti giuridici non marginali, comportando il divieto di ingresso e soggiorno nel territorio degli Stati membri della Unione europea (nonché degli Stati non membri cui si applichi l'acquis di Schengen).

 

Il comma 3 detta disposizioni in materia di accesso all’archivio comune di dati di identità.

A rilevare qui sono i due regolamenti UE del Parlamento europeo e del Consiglio, entrambi del 2019, n. 817 istitutivo di un quadro per l'interoperabilità tra i sistemi di informazione dell'Unione europea nel settore delle frontiere e dei visti – e n. 818 – istitutivo di un quadro per l'interoperabilità tra i sistemi di informazione dell'Unione europea nel settore della cooperazione di polizia e giudiziaria, asilo e migrazione.

Tali fonti hanno previsto, quali componenti della interoperabilità, l’istituzione di: un portale di ricerca europeo (ESP); un servizio comune di confronto biometrico (BMS comune); un rilevatore di identità multiple (MID); un archivio comune di dati di identità (CIR, acronimo che sta per Common Identity Repository).

La disposizione del decreto-legge viene a specificare che l’accesso a tale archivio comune dei dati di identità sia consentito (va da sé, in conformità a quanto previsto dai due regolamenti UE sopra menzionati) alle autorità di polizia.

Per l’individuazione di quali siano tali “autorità di polizia”, è fatto rinvio al decreto legislativo n. 51 del 2018 (il quale ha dato attuazione alla direttiva (UE) 2016/680 del Parlamento europeo e del Consiglio, relativa alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali da parte delle autorità competenti a fini di prevenzione, indagine, accertamento e perseguimento di reati o esecuzione di sanzioni penali, nonché alla libera circolazione di tali dati).

Del resto, sono i medesimi regolamenti UE n. 817 e 818 del 2019 a definire come “autorità di polizia” le autorità competenti di cui alla direttiva n. 680 del 2016.

Pertanto, del decreto legislativo n. 51 del 2018 una previsione è richiamata (recata dal suo articolo 2, comma 1, lettera g), n. 1), secondo la quale competente è “qualsiasi autorità pubblica dello Stato, di uno Stato membro dell'Unione europea o di uno Stato terzo competente in materia di prevenzione, indagine, accertamento e perseguimento di reati o esecuzione di sanzioni penali, incluse la salvaguardia contro e la prevenzione di minacce alla sicurezza pubblica”.

Inoltre, si viene a richiamare l’insieme delle disposizioni recate dal decreto legislativo n. 51, in ordine al trattamento dei dati.

 

Il comma 4 prescrive sia sentito il Garante per la protezione dei dati personali nonché un termine di emanazione – 180 giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto-legge – per i regolamenti ministeriali previsti (se ne è trattato a proposito del comma 1, lettera a), n. 2 e n. 3).

Il comma 5, reca una clausola di invarianza finanziaria.

 

Infine il comma 6, reca una disposizione transitoria.

Essa ‘ripartisce’ le disposizioni recate da questo articolo del decreto-legge in immediatamente applicabili od applicabili a decorrere dalla data di avvio in esercizio – comunicata ufficialmente dalla Commissione europea – dei relativi sistemi informativi per le frontiere, l’immigrazione e la sicurezza.

 Immediatamente applicabili sono:

ü  la disposizione secondo cui l’ingresso in Italia può avvenire, salvi i casi di forza maggiore e quelli di eccezioni previsti dal codice delle frontiere Schengen, soltanto attraverso i valichi di frontiera appositamente istituiti (è il comma 1, lettera a), n. 2);

ü  le novelle (recate dal comma 1, lettera c)) all’articolo 10 del TUI sul respingimento, ossia il rinvio, circa i requisiti di ingresso, al codice delle frontiere Schengen, e l’attribuzione al tribunale amministrativo regionale (nella cui circoscrizione abbia sede l’ufficio di polizia di frontiera che ha disposto il respingimento) della competenza a decidere quale autorità giudiziaria sul ricorso avverso il respingimento in frontiera;

ü  la disposizione (recata dal comma 1, lettera d), n. 2) relativa allo straniero ‘fuori termine’ rintracciato in uscita dalla frontiera italiana, reso perciò destinatario di un divieto di reingresso (non inferiore ad un anno e non superiore a tre anni);

ü  la previsione (di cui al comma 1, lettera d), n. 4) circa la registrazione del divieto di reingresso nel sistema di informazione Schengen, effettuata dall’autorità di pubblica sicurezza anche in caso di espulsione disposta dal giudice.

Applicabili invece in via differita e condizionata sono tutte le altre previsioni del presente articolo del decreto-legge.

 

 

In tema di competenze del giudice amministrativo

 

Tra le disposizioni del presente articolo del decreto-legge, figurano – si è ricordato – l’attribuzione al giudice amministrativo della competenza a decidere sia sul ricorso contro la decisione (presa dall’Unità nazionale ETIAS) di diniego, annullamento o revoca delle “autorizzazioni di viaggio” (novello comma 2-bis dell’articolo 4 del TUI) sia sul ricorso contro il divieto di reingresso adottato nei confronti del cittadino di Paese terzo ‘fuori-termine’ identificato, durante i controlli alla frontiera, in uscita dal territorio nazionale (novello comma 2-sexies dell’articolo 13 del TUI: è l’articolo avente ad oggetto l’espulsione amministrativa).

Sono fattispecie diverse dal respingimento in frontiera, di cui all’articolo 10 del medesimo TUI.

Per quest’ultimo riguardo, l’attribuzione al giudice amministrativo della competenza è recata da una previsione introdotta in Senato nel corso dell’esame referente del disegno di legge di conversione.

Su questa materia, l’orientamento giurisprudenziale in ordine alla competenza a giudicare pare essere stata fin qui di segno difforme.

A titolo meramente esemplificativo, potrebbe rammentarsi la sentenza del TAR per il Piemonte, sez. I, 3 febbraio 2023, che afferma il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, in favore del giudice ordinario, su un ricorso contro il respingimento alla frontiera effettuato dalla Polizia di frontiera aerea all’aeroporto di Torino (art. 10, comma 1, del decreto legislativo. n. 286 del 1998). Vi si legge la seguente ricostruzione dei precedenti giurisprudenziali. “Invero, la giurisprudenza prevalente ritiene che l'impugnativa dei provvedimenti di respingimento alla frontiera possa essere proposta solo innanzi all'autorità giudiziaria ordinaria (sul punto, C.d.S., Sez. III, 13 settembre 2013, n. 4543; T.A.R. Lazio, Roma, Sez. I-ter, 29 aprile 2020, n. 4359; T.A.R. Lombardia, Brescia, Sez. II, 13 settembre 2019, n. 815; T.A.R. Sicilia, Catania, Sez. IV, 20 febbraio 2019, n. 269).

“È stato, infatti, rilevato che «Il provvedimento del Questore - diretto al respingimento oltre i confini dell'extracomunitario - incide su temi soggettivi aventi consistenza di diritto soggettivo, in ragione dell'inesistenza di margini di ponderazione di interessi in gioco da parte dell'Amministrazione; in mancanza di norma derogatrice che assegni al giudice amministrativo la cognizione della impugnazione dei respingimenti, deve trovare applicazione il criterio generale secondo cui la giurisdizione sulle controversie aventi ad oggetto diritti soggettivi, proprio in ragione della inesistenza di margini di ponderazione di interessi in gioco da parte della Amministrazione, spetta al giudice ordinario; il provvedimento di respingimento alla frontiera, che rappresenta - per omogeneità contenutistica e funzionale - una species appartenente al genus provvedimento di espulsione, rientra, ex art. 13 d.lgs. n. 286 del 1998, nella giurisdizione del g.o. in relazione alle controversie aventi ad oggetto l'espulsione dello straniero» (cfr. T.A.R. Sicilia, Catania, Sez. IV, 20 febbraio 2019, n. 269).

“In tal senso, milita anche la giurisprudenza della Corte di cassazione (Sez. un., 10 giugno 2013, n. 14502, e 17 giugno 2013, n. 15115), che ha affermato la giurisdizione del giudice ordinario, osservando che il provvedimento di respingimento incide su situazioni giuridiche soggettive che sono riconducibili alla categoria dei diritti umani fondamentali e «in quanto coperti dalla garanzia apprestata dall'art. 2 Cost., deve escludersi che tali situazioni giuridiche soggettive possano essere degradate a interessi legittimi per effetto di valutazioni discrezionali affidate al potere amministrativo, al quale può essere affidato solo l'accertamento dei presupposti di fatto che legittimano la protezione, nell'esercizio di una mera discrezionalità tecnica, essendo il bilanciamento degli interessi e delle situazioni costituzionalmente tutelate riservate al legislatore ordinario, nel rispetto della costituzione e degli obblighi internazionali» (in termini, Cass., Sez. un., 10 giugno 2013, n. 14502)”.


 

Il codice frontiere Schengen

 

Il codice frontiere Schengen è stato istituito con il regolamento (UE) 2016/399 [21] , in base al quale si prevede l’assenza del controllo di frontiera sulle persone che attraversano le frontiere interne fra gli Stati membri dell’Unione europea. Il regolamento stabilisce altresì le norme applicabili al controllo di frontiera sulle persone che attraversano le frontiere esterne degli Stati membri dell’Unione.

La cooperazione Schengen, iniziata fra cinque Stati membri in un quadro intergovernativo con la firma dell'"Accordo di Schengen" il 14 giugno 1985, si è da allora notevolmente ampliata. Lo spazio Schengen  comprende attualmente 23 Stati membri dell'Unione europea, nonché Islanda, Norvegia, Svizzera e Liechtenstein (i cosiddetti "Paesi associati Schengen"). L'Irlanda non vi fa parte, ma applica in modo parziale l'acquis di Schengen dal 1° gennaio 2021. Bulgaria, Cipro e Romania sono vincolate dall'acquis di Schengen, anche se per tali Stati membri i controlli alle frontiere interne non sono ancora stati revocati. La Croazia ha aderito allo spazio Schengen il 1º gennaio 2023.

L'acquis di Schengen comprende le disposizioni integrate nell'ambito dell'Unione ai sensi del protocollo n. 19 allegato al Trattato sull'Unione europea (TUE) e al Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE), e gli atti basati sull'acquis o a esso altrimenti connessi. Include quindi: 1) misure relative alle frontiere esterne (gestione delle frontiere esterne); 2) misure compensative (politica comune dei visti, cooperazione di polizia, politica di rimpatrio e sistema di informazione Schengen); 3) un meccanismo di valutazione e monitoraggio. L'acquis di Schengen prevede inoltre norme in materia di protezione dei dati e il rispetto di altri diritti fondamentali.

Per quanto riguarda il regime delle frontiere esterne, il codice stabilisce che i cittadini dei Paesi extra UE siano sottoposti a controlli in conformità delle condizioni di ingresso nel Paese, comprese la consultazione sistematica delle banche dati pertinenti - in particolare il Sistema di informazione Schengen (SIS) e il sistema d’informazione visti (VIS) - qualora la persona sia soggetta all'obbligo del visto. In caso di un soggiorno previsto nel territorio di un Paese Schengen per non più di 90 giorni in un periodo di 180 giorni, i cittadini dei Paesi extra UE devono: essere in possesso di un documento di viaggio valido e di un visto, se richiesto; giustificare lo scopo e le condizioni del soggiorno previsto e dimostrare di disporre di sufficienti mezzi di sussistenza; non essere segnalati nel SIS ai fini della non ammissione; non essere considerati una minaccia per l’ordine pubblico, la sicurezza interna, la salute pubblica comunitari o le relazioni internazionali di qualsiasi Paese dell’UE. Il respingimento di cittadini di Paesi terzi (Paesi extra UE o esterni allo spazio Schengen) che non godono della libertà di circolazione ai sensi del diritto dell’UE può essere disposto solo mediante una decisione presa da un’autorità nazionale competente e indicante le ragioni precise della non ammissione. Tale decisione può essere oggetto di ricorso.

 

Nello spazio senza controlli alle frontiere interne (ovvero lo spazio Schengen), qualsiasi persona di qualsiasi nazionalità può attraversare qualsiasi frontiera interna senza essere sottoposta ai controlli di frontiera [22] . Tuttavia, le autorità di polizia nazionali hanno il diritto di effettuare controlli di polizia anche nelle zone di frontiera, in base a regole e limitazioni specifiche.

Il codice stabilisce inoltre le condizioni per il ripristino temporaneo dei controlli alle frontiere interne in caso di minaccia grave per l’ordine pubblico o la sicurezza interna.

Nello specifico, i controlli alle frontiere interne possono essere ripristinati “in via eccezionale” all’interno dello spazio Schengen per un periodo limitato di tempo, laddove:

 

§  vi sia una grave minaccia per l’ordine pubblico o la sicurezza interna. In tal caso i controlli alla frontiera possono essere ripristinati dai Paesi Schengen interessati per una durata massima di sei mesi in caso di eventi prevedibili, ad esempio importanti avvenimenti sportivi o convegni, e per un massimo di due mesi in caso di eventi che richiedano un’azione immediata (articoli 25, 26, 27 e 28);

§  il “meccanismo di valutazione Schengen” [23]  riscontri gravi e persistenti carenze nei controlli alle frontiere esterne, che mettano a rischio il funzionamento complessivo dello spazio Schengen. In tali circostanze, il Consiglio può raccomandare che uno o più Paesi dell’UE ripristinino i controlli di frontiera in tutte le loro frontiere interne o in parti specifiche delle stesse per un massimo di due anni Il regolamento specifica che, in ogni caso, il ripristino del controllo alle frontiere interne dovrebbe costituire una misura di ultima istanza, con una durata strettamente limitata, da adottarsi in base a criteri obiettivi specifici e previa valutazione della sua necessità monitorata a livello di Unione (articoli 29 e 30).

 

Il 14 dicembre 2021 la Commissione ha proposto norme aggiornate volte a rafforzare la governance dello spazio Schengen [24] . La proposta di regolamento, tuttora al vaglio delle istituzioni europee, intende: migliorare la messa in opera di meccanismi di coordinamento; dotare gli Stati membri di strumenti per affrontare le sfide emergenti nella gestione sia della frontiera esterna comune dell'UE che delle frontiere interne nello spazio Schengen; garantire che la reintroduzione dei controlli alle frontiere interne resti una misura di ultima istanza, sulla base di una valutazione approfondita e unicamente per il tempo necessario; offrire strumenti comuni per gestire in modo più efficiente le frontiere esterne in caso di crisi sanitaria pubblica, sulla base di quanto appreso dalla pandemia di Covid-19 [25] ; affrontare la strumentalizzazione dei migranti [26] .


Articolo 18-bis
(Modifiche in materia di mandato di arresto europeo)

 

 

L’articolo 18-bis reca modifiche alla legge n. 69 del 2005 con particolare riguardo alla disciplina dei motivi di non esecuzione di un mandato di arresto europeo.

 

L’articolo 18-bis, introdotto nel corso dell’esame in sede referente, apporta una serie di modifiche alla legge n. 69 del 2005, recante disposizioni in materia di mandato di arresto europeo e di procedure di consegna tra Stati membri, in attuazione della decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio Europeo.

 

La decisione quadro del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato d'arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri ("decisione quadro") è il primo strumento giuridico dell'UE riguardante la cooperazione in materia penale fondata sul principio di riconoscimento reciproco. Nel febbraio 2009 la decisione quadro è stata modificata dalla decisione quadro 2009/299/GAI del Consiglio relativa ai processi in absentia, che ha introdotto un motivo chiaro e comune per la non esecuzione delle decisioni pronunciate in assenza dell'interessato al processo. Inoltre i diritti procedurali delle persone arrestate sulla base di un mandato d'arresto europeo sono stati rafforzati da sei direttive: sul diritto all'interpretazione e alla traduzione (Direttiva 2010/64/UE); sul diritto all'informazione (Direttiva 2012/13/UE); sul diritto di avvalersi di un difensore (Direttiva 2013/48/UE); sul rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza e del diritto di presenziare al processo nei procedimenti penali (Direttiva (UE) 2016/343); sulle garanzie procedurali per i minori (Direttiva (UE) 2016/800) e sull'ammissione al patrocinio a spese dello Stato (Direttiva (UE) 2016/1919).

 

La lett. a) del comma 1, modifica l'articolo 18-bis della legge n. 69 del 2005.

L'articolo 18-bis - inserito dalla legge n. 117 del 2019, legge di delegazione europea 2018 e successivamente modificato dal decreto legislativo n. 10 del 2021 - disciplina i motivi di rifiuto facoltativo della consegna.

La norma prevede che, quando il mandato di arresto europeo è stato emesso al fine dell'esercizio di azioni giudiziarie in materia penale, la Corte d'appello possa rifiutare la consegna:

§  se, per lo stesso fatto che è alla base del mandato d'arresto europeo, nei confronti della persona ricercata, è in corso un procedimento penale in Italia (co. 1, lett. b);

§  se il mandato d'arresto europeo riguarda reati che dalla legge italiana sono considerati reati commessi in tutto o in parte nel suo territorio, o in luogo assimilato al suo territorio; ovvero reati che sono stati commessi al di fuori del territorio dello Stato membro di emissione, se la legge italiana non consente l'azione penale per gli stessi reati commessi al di fuori del suo territorio (co. 1 lett. a);

§  se il mandato d'arresto europeo è stato emesso ai fini della esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza privative della libertà personale, qualora la persona ricercata sia cittadino italiano o cittadino di altro Stato membro dell'Unione europea, che legittimamente ed effettivamente abbia residenza o dimori nel territorio italiano, sempre che la corte di appello disponga che tale pena o misura di sicurezza sia eseguita in Italia conformemente al suo diritto interno (co. 2). La disposizione in commento interviene proprio sul comma 2 prevedendo che la possibilità di rifiutare l’esecuzione di un mandato di arresto europeo affinché la pena sia eseguita nello Stato membro di residenza trovi applicazione anche con riguardo ai cittadini di paesi terzi (sul piano testuale il riferimento “al cittadino di altro Stato membro” viene sostituito con quello “alla persona”) che dimorino o risiedano in Italia da almeno cinque anni.

 

L'articolo 4 della decisione quadro 2002/584/GAI indica i motivi per i quali lo Stato membro di esecuzione può rifiutare di eseguire il mandato di arresto europeo. Innanzitutto, se lo Stato si è avvalso della facoltà di prevedere la doppia incriminazione per i fatti "fuori lista", può rifiutare l’esecuzione qualora il fatto posto a base del mandato di arresto europeo non costituisca reato in base alla propria legislazione. Fanno eccezione i reati fiscali: in questi casi, infatti, il rifiuto non può basarsi sul fatto che la legislazione interna non impone lo stesso tipo di tasse o imposte o non contiene lo stesso tipo di normativa in materia di reati fiscali rispetto alla legislazione dello Stato emittente. Tale eccezione si ricollega a quanto previsto dal Secondo protocollo alla Convenzione europea di estradizione ove peraltro si richiede altresì che il reato sia della medesima natura e quindi un reato fiscale (n. 1). Lo Stato membro di esecuzione può altresì rifiutare l'esecuzione del mandato di arresto europeo se contro la persona destinataria del mandato sia in corso un’azione nello Stato membro di esecuzione per il medesimo fatto (n.2); se le autorità giudiziarie dello Stato membro di esecuzione hanno deciso di non esercitare l’azione penale per il reato oggetto del mandato di arresto europeo o di porvi fine oppure se la persona ricercata è già stata giudicata in uno Stato membro con una sentenza definitiva che osta all'esercizio di ulteriori azioni (n. 3).

In relazione alla situazione descritta da ultimo (art. 4 n.3), si crea una sovrapposizione con l'ipotesi di rifiuto obbligatorio prevista dall’articolo 3 n.2 [27] :  nel caso in cui per una sentenza di condanna definitiva non sussistano le condizioni richieste dall'articolo 3, n. 2, il motivo di rifiuto obbligatorio dovrebbe trasformarsi in facoltativo.  Nel caso in cui la situazione contemplata dal citato n. 2 dell'articolo 3 come caso di rifiuto obbligatorio riguardi una sentenza definitiva emessa in un Paese terzo si verifica un caso di rifiuto soltanto facoltativo (n. 5).

 Un ulteriore motivo di rifiuto facoltativo riguarda l’ipotesi di azione penale o di pena prescritta secondo la legislazione dello Stato membro di esecuzione purché i fatti rientrano nella sua competenza in base al diritto penale interno (n. 4).

L’autorità giudiziaria può, inoltre rifiutare di eseguire il mandato qualora la persona ricercata "dimori nello Stato membro di esecuzione, ne sia cittadino o vi risieda", se tale Stato si impegni a eseguire la pena o la misura di sicurezza conformemente al proprio diritto interno (n. 6).

L’ultimo caso di rifiuto concerne la situazione in cui oggetto del mandato di arresto europeo siano reati che dalla legge dello Stato membro di esecuzione "sono considerati commessi in tutto in parte nel suo territorio o il nuovo adesso assimilato" oppure che sono stati commessi al di fuori del territorio (n.7).

 

Sull'interpretazione dell'articolo 4 della decisione quadro importanti precisazioni sono state fornite dalla giurisprudenza della Corte di Lussemburgo.  Con particolare riguardo proprio ai motivi di rifiuto facoltativi, la Corte di giustizia (Ordinanza 25 settembre 2015, C-463/15 PPU) ha precisato che gli articoli 2 e 4, n. 1 della decisione quadro 2002/584/GAI devono essere interpretati nel senso che si impediscono allo Stato membro di esecuzione di subordinare la consegna non solo alla condizione che il fatto per il quale il mandato di arresto è stato emesso costituisca reato secondo la legge di tale Stato, ma anche alla condizione che sia punibile, in base alla stessa legge, con una pena detentiva non inferiore nel massimo a dodici mesi. 

Oggetto di reiterati interventi della Corte di giustizia è stata poi l'interpretazione dell'articolo 4, n. 6. Con una prima decisione (Sentenza 17 luglio 2008, C-66/08) la Corte ha chiarito le nozioni di "dimora" e di "residenza", specificando che esse costituiscono nozioni autonome del diritto dell'Unione e che pertanto gli Stati membri, nelle loro norme attuative, non possono conferire a tali termini una portata più ampia di quella risultante dall'interpretazione uniforme adottata dalla Corte.

Secondo il Giudice europeo una persona ricercata "risiede" nello Stato membro di esecuzione "qualora abbia ivi stabilita la propria residenza effettiva", mentre vi "dimora" quando "a seguito di un soggiorno stabile di una certa durata nel medesimo abbia acquisito legami di collegamento con tale Stato di intensità simile a quella dei legami di collegamento che si instaurano in caso di residenza". Al fine di verificare la "dimora" compete all’autorità giudiziaria di esecuzione effettuare una valutazione complessiva di un certo numero degli elementi oggettivi caratterizzanti la situazione della persona fra i quali, a titolo esemplificativo, la natura, la durata e le modalità del suo soggiorno.

La Corte ha, poi, evidenziato, nella Sentenza 6 ottobre 2009 (C-123/08), che finalità dell’articolo 4 n. 6 è quella di "accrescere le opportunità di reinserimento sociale della persona ricercata, una volta scontata la pena". Sempre secondo la Corte gli Stati membri sono tenuti comunque a rispettare il principio che vieta ogni discriminazione basata sulla nazionalità. Date queste premesse la giurisprudenza ha ritenuto compatibile con tali disposizioni una normativa nazionale sulla cui base l’autorità giudiziaria competente, da un lato, rifiuta di eseguire un mandato di arresto in executivis contro un suo cittadino e, dall'altro, condiziona il rifiuto quando si tratta di cittadino di un altro Stato membro, avente un diritto di soggiorno al fatto che quest’ultimo abbia soggiornato legalmente in via continuativa per cinque anni nello Stato membro di esecuzione. In altre parole, secondo la Corte, è legittimo per lo Stato membro di esecuzione perseguire il reinserimento sociale soltanto nei confronti delle persone che abbiano dimostrato "un sicuro grado" di inserimento. Per analoghe ragioni la Corte ha invece ritenuto non compatibile con la normativa europea, per violazione del principio di non discriminazione basata sulla nazionalità, la disciplina nazionale che limita il motivo di non esecuzione ai propri cittadini, escludendo "in maniera assoluta e automatica" i cittadini di altri Stati membri che dimorano o risiedono nel loro territorio a prescindere dai legami che si presentano con quest’ultimo (Sentenza 5 settembre 2012, C-42/11).

Più recentemente – e proprio in linea con tale orientamento si colloca l’intervento legislativo – la Corte di giustizia UE, Grande Sezione, sentenza 6 giugno 2023, C-700/21 ha precisato, in sede di rinvio pregiudiziale [28] , che il diritto dell’Unione osta a una normativa di uno Stato membro che escluda in maniera assoluta e automatica dal beneficio di detto motivo di non esecuzione facoltativa del MAE qualsiasi cittadino di un paese terzo che dimori o risieda nel territorio di tale Stato membro, senza che l’autorità giudiziaria dell’esecuzione possa valutare i legami di tale cittadino con detto Stato membro. Siffatta normativa nazionale è contraria al principio di parità di trattamento sancito dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, poiché tratta in maniera diversa, da un lato, i cittadini dello Stato membro richiesto e gli altri cittadini dell’Unione e, dall'altro, i cittadini dei paesi terzi, senza tenere conto della circostanza che questi ultimi possono anch’essi presentare un grado di integrazione sufficiente nella società di detto Stato membro, idoneo a giustificare che vi scontino una pena pronunciata nello Stato membro di emissione. L’applicazione del motivo di non esecuzione facoltativa in questione è subordinata al verificarsi di due condizioni. La prima è che la persona ricercata dimori nello Stato membro di esecuzione, ne sia cittadina o vi risieda. La seconda è che tale Stato si impegni a eseguire esso stesso, conformemente al suo diritto interno, la pena per la quale il MAE è stato emesso. Per quanto attiene alla prima condizione, la Corte ha precisato che nulla osta a che uno Stato membro subordini, per i cittadini di paesi terzi, il beneficio del motivo di non esecuzione al requisito che tale cittadino vi dimori o vi risieda in via continuativa da un periodo di tempo minimo. Ove abbia constatato che le due condizioni sono soddisfatte, l’autorità giudiziaria dell’esecuzione deve ancora valutare se esista un legittimo interesse idoneo a giustificare che la pena inflitta nello Stato membro di emissione venga eseguita nel territorio dello Stato membro di esecuzione. Tale valutazione consente di tenere conto dell’obiettivo perseguito dalla decisione quadro relativa al MAE, che consiste nell’aumentare le possibilità di reinserimento sociale della persona ricercata una volta che quest’ultima ha scontato la pena a cui è stata condannata. Spetta quindi all’autorità giudiziaria dell’esecuzione effettuare una valutazione complessiva di tutti gli elementi concreti caratterizzanti la situazione della persona ricercata, idonei a indicare se esistano tra tale persona e lo Stato membro di esecuzione legami tali per cui l’esecuzione della pena in quest’ultimo Stato, nel quale essa dimora o risiede, contribuirà al suo reinserimento sociale. Tra tali elementi vanno annoverati i legami familiari, linguistici, culturali, sociali o economici che il cittadino del paese terzo intrattiene con lo Stato membro di esecuzione, nonché la natura, la durata e le condizioni del suo soggiorno in tale Stato membro.

 

Riguardo alla nozione di "residenza" e "dimora", la Cassazione penale ha rilevato (Sez. VI, Sentenza, 30 ottobre 2018, n. 49992) che la nozione di "residenza" che viene in considerazione per l'applicazione dei diversi regimi di consegna previsti dalla legge 22 aprile 2005, n. 69, presuppone l'esistenza di un radicamento reale e non estemporaneo dello straniero nello Stato, tra i cui indici concorrenti vanno indicati la legalità della sua presenza in Italia, l'apprezzabile continuità temporale e stabilità della stessa, la distanza temporale tra quest'ultima e la commissione del reato e la condanna conseguita all'estero, la fissazione in Italia. Ancora, la Corte (Cass. pen. Sez. VI, Sentenza 21 giugno 2018, n. 29290) ha precisato che l'art. 18, lett. r), della legge del 2005 che consente il rifiuto della consegna del soggetto destinatario di un mandato d'arresto europeo all'autorità giudiziaria procedente trova applicazione solo con riferimento ai cittadini italiani ed ai cittadini di un altro Paese membro dell'UE che legittimamente ed effettivamente abbia residenza o dimora nel territorio italiano. Per quel che concerne, invece, la facoltà riconosciuta alla corte di appello di rinviare la consegna per consentire alla persona richiesta in consegna di essere sottoposta a procedimento penale in Italia per un reato diverso da quello oggetto del mandato d'arresto, questa implica una valutazione di opportunità, che deve tener conto non solo dei criteri desumibili dalla L. n. 69 del 2005, art. 20 (ossia, la gravità dei reati e la loro data di consumazione), ma anche di altri parametri pertinenti, quali lo stato di restrizione della libertà, la complessità dei procedimenti, la fase o il grado in cui essi si trovano, l'eventuale definizione con sentenza passata in giudicato, l'entità della pena da scontare e le prevedibili modalità della sua esecuzione.

 

Sempre la lett. a) del comma 1 dell’articolo 18-bis aggiunge, poi, all’articolo 18-bis un ulteriore comma. Ai sensi del nuovo comma 2-bis, ai fini della verifica della legittima ed effettiva residenza o dimora sul territorio italiano della persona richiesta in consegna, la corte di appello accerta se l'esecuzione della pena o della misura di sicurezza sul territorio sia in concreto idonea ad accrescerne le opportunità di reinserimento sociale, tenendo conto:

·       della durata, della natura e delle modalità della residenza o della dimora;

·       del tempo intercorso tra la commissione del reato in base al quale il mandato d'arresto europeo è stato emesso e l'inizio del periodo di residenza o di dimora;

·       della commissione di reati e del regolare adempimento degli obblighi contributivi e fiscali durante tale periodo;

·       del rispetto delle norme nazionali in materia di ingresso e soggiorno degli stranieri;

·       dei legami familiari, linguistici, culturali, sociali, economici o di altra natura che la persona intrattiene sul territorio italiano;

nonché di ogni altro elemento rilevante.

 

La sentenza è nulla se non contiene la specifica indicazione degli elementi di cui al primo periodo e dei relativi criteri di valutazione.

 

La lett. b) modifica invece l'articolo 19 della legge del 2005 in tema di garanzie richieste allo Stato membro di emissione in casi particolari.

 

Tali modifiche si rendono necessarie per il pieno adeguamento alla disciplina della decisione quadro – come interpretata dalla Corte di giustizia - a seguito degli interventi sull’articolo 18-bis in tema di motivi di rifiuto facoltativo.

 

La novella riscrive quindi l'articolo 19:

§  sopprimendo, con riguardo alla esecuzione del mandato, il riferimento all’autorità giudiziaria italiana;

§  sostituendo il riferimento “al cittadino di altro Stato membro” con quello “alla persona legittimamente ed effettivamente residente in via continuativa” in Italia (attuale comma 2, già comma 1, lett.b);

§  inserendo il richiamo alla disciplina procedurale dettata dall’articolo 18-bis, comma 2-bis (attuale comma 2, già comma 1, lett.b).

 

 


Articolo 18-ter
(Titoli di soggiorno per familiari non italiani di cittadini italiani)

 

 

L’articolo 18-ter dispone circa il titolo di soggiorno di familiari non aventi la cittadinanza italiana di cittadini italiani, a seconda che questi abbiano esercitato o meno il diritto di libera circolazione nell’Unione.

 

L’articolo – introdotto in sede referente in Senato – inserisce alcune previsioni entro il decreto legislativo n. 30 del 2007, recante attuazione di una direttiva europea (2004/38/CE) relativa al diritto dei cittadini dell'Unione europea e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri.

In particolare, è inciso, del decreto legislativo n. 30 citato, l’articolo 23, relativo all’applicabilità ai soggetti non aventi la cittadinanza italiana che siano familiari di cittadini italiani.

Quell’articolo, finora composto di un unico comma, prevede che le disposizioni del decreto legislativo n. 30, se più favorevoli, si applichino ai familiari di cittadini italiani non aventi la cittadinanza italiana.

La novella viene a specificare che tale previsione valga per i familiari di cittadini italiani non aventi la cittadinanza italiana, i quali abbiano esercitato il diritto di libera circolazione “in ambito europeo” (così recita la disposizione, che invero parrebbe dover menzionare il territorio dell’Unione europea).

Se invece si tratti di familiari (non aventi cittadinanza di Stato membro dell’Unione) di cittadini italiani, i quali non abbiano esercitato il diritto alla libera circolazione, è previsto dalla novella il rilascio, a tali familiari, del permesso di soggiorno per motivi di famiglia, valido cinque anni, rinnovabile, convertibile in permesso di soggiorno per motivi di lavoro.

Esso è rilasciato – aggiunge la novella - a seguito della prima richiesta avanzata o a seguito della presentazione dell’istanza di aggiornamento delle informazioni trascritte ovvero della fotografia (nonché è rilasciato mediante utilizzo di mezzi a tecnologia avanzata con caratteristiche anticontraffazione, recando inoltre i dati personali previsti: questo per effetto del rinvio all’articolo 5, comma 8 del decreto legislativo n. 286 del 1998).

La novella infine dispone che, in tal caso, non si applichi quanto previsto dall’articolo 5, comma 2-ter del decreto legislativo n. 286 del 1998 (il Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione).

Quest’ultimo comma menzionato prevede, si ricorda, che la richiesta di rilascio e di rinnovo del permesso di soggiorno sia sottoposta al versamento di un contributo (il cui importo è fissato fra un minimo di 80 e un massimo di 200 euro con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze), fatta eccezione per alcune tipologie di permessi di soggiorno, esenti dal contributo (il permesso per asilo, per richiesta di asilo, per protezione sussidiaria, per “protezione speciale”, per cure mediche, per protezione sociale, per le vittime di violenza domestica, per calamità, per particolare sfruttamento lavorativo, per atti di particolare valore civile).


Articolo 19
(Modifica dell’articolo 1, commi 185 e 187, della legge 30 dicembre 2021, n. 234)

 

 

L’articolo 19 modifica la legge di bilancio 2022 al fine di prevedere che le agevolazioni fiscali concesse in favore delle federazioni sportive nazionali riconosciute dal CONI siano subordinate alla destinazione del 100 per cento (anziché del 20) degli utili al finanziamento delle attività statutarie non commerciali.

 

In particolare, l’articolo 19 in esame modifica l’articolo 1, commi 185 e 187 della legge di bilancio 2022 (legge n. 234 del 2021).

 

Il testo pre-vigente del suddetto comma 185 prevede che, in via sperimentale per gli anni 2022, 2023 e 2024, per le Federazioni Sportive Nazionali riconosciute dal Comitato Olimpico Nazionale Italiano (CONI), gli utili derivanti dall'esercizio di attività commerciale non concorrono a formare il reddito imponibile ai fini IRES e il valore della produzione netta ai fini dell'imposta sull'attività regionale (IRAP), a condizione che in ciascun anno le Federazioni Sportive destinino almeno il 20% degli stessi allo sviluppo, diretto o per il tramite dei soggetti componenti le medesime Federazioni, delle infrastrutture sportive, dei settori giovanili e della pratica sportiva dei soggetti con disabilità.

La misura è finalizzata a favorire il diritto allo svolgimento dell'attività sportiva, tenuto conto dei contenuti sociali, educativi e formativi dello sport, con particolare riferimento alla fase post-pandemica e in attesa che trovino piena applicazione i principi di riordino del settore contenuti nella legge delega n. 86 del 2019 (si veda per un'illustrazione il relativo tema di documentazione curato dalla Camera dei deputati).

 

La lettera a) dell’articolo 19 in esame sostituisce interamente, mantenendone ferme le finalità sopra ricordate, il comma 185 prevedendo che, in via sperimentale per gli anni 2022, 2023 e 2024, per le federazioni sportive nazionali riconosciute dal Comitato olimpico nazionale italiano, gli utili derivanti dall’esercizio di attività commerciale non concorrono a formare il reddito imponibile ai fini dell’imposta sul reddito delle società (IRES) e il valore della produzione netta ai fini dell’imposta regionale sulle attività produttive (IRAP), a condizione che in ciascun anno le federazioni sportive destinino integralmente gli stessi allo sviluppo delle attività statutarie non commerciali.

Quindi, l’esenzione degli utili dall’IRES e dall’IRAP è garantita a fronte della destinazione del 100 per cento (anziché del 20 per cento) di tali utili al finanziamento delle attività statutarie non commerciali. Contrariamente a quanto avviene nel testo pre-vigente del comma 185, tali attività non commerciali non sono espressamente elencate.

 

Nella relazione illustrativa, il Governo specifica che l’obiettivo della modifica è quello di escludere che la misura possa falsare, o minacciare di falsare la concorrenza, ossia che la stessa possa in qualche modo favorire le attività commerciali svolte dalle federazioni sportive (impregiudicata la valutazione se tali attività siano o meno esercitate in concorrenza con altri operatori). Secondo il Governo, inoltre, l’assenza di una elencazione delle attività non commerciali a cui vanno destinati gli utili serve a meglio evidenziare che si tratta di una misura che non deve avere effetti di mercato, e che le attività verso cui si devono impiegare gli utili commerciali non devono avere natura commerciale. Secondo il Governo, inoltre, tale modifica chiarisce che la misura di agevolazione fiscale disciplinata dal comma 185 non rientra nella nozione di aiuto di Stato di cui all’articolo 107, par. 1, del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE).

Si rammenta che l’articolo 107, par. 1, del TFUE prevede un divieto generale di concedere aiuti di Stato al fine di evitare che, concedendo vantaggi selettivi a talune imprese, venga falsata la concorrenza nel mercato interno. Gli Stati membri sono tenuti a comunicare alla Commissione eventuali aiuti di Stato che intendano concedere, a meno che essi siano coperti da un'esenzione generale per categoria o siano di minore importanza, con un impatto appena percettibile sul mercato (principio "de minimis").

 

In conseguenza delle modifiche apportate al comma 185, la lettera b) dell’articolo 19 in esame dispone l’abrogazione del comma 187 dell’articolo 1 della legge di bilancio 2022.

 

Si rammenta che il testo pre-vigente del suddetto comma 187 condiziona l'efficacia della misura di cui al comma 185 all'autorizzazione della Commissione europea, ai sensi dell'articolo 108, paragrafo 3, del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE).

L'articolo 108 del TFUE disciplina, insieme al precedente articolo 107, gli aiuti di Stato da parte dei paesi membri come segue:

1. La Commissione procede con gli Stati membri all'esame permanente dei regimi di aiuti esistenti in questi Stati. Essa propone a questi ultimi le opportune misure richieste dal graduale sviluppo o dal funzionamento del mercato interno.

2. Qualora la Commissione, dopo aver intimato agli interessati di presentare le loro osservazioni, constati che un aiuto concesso da uno Stato, o mediante fondi statali, non è compatibile con il mercato interno a norma dell'articolo 107, oppure che tale aiuto è attuato in modo abusivo, decide che lo Stato interessato deve sopprimerlo o modificarlo nel termine da essa fissato.

Qualora lo Stato in causa non si conformi a tale decisione entro il termine stabilito, la Commissione o qualsiasi altro Stato interessato può adire direttamente la Corte di giustizia dell'Unione europea, in deroga agli articoli 258 e 259.

A richiesta di uno Stato membro, il Consiglio, deliberando all'unanimità, può decidere che un aiuto, istituito o da istituirsi da parte di questo Stato, deve considerarsi compatibile con il mercato interno, in deroga alle disposizioni dell'articolo 107 o ai regolamenti di cui all'articolo 109, quando circostanze eccezionali giustifichino tale decisione. Qualora la Commissione abbia iniziato, nei riguardi di tale aiuto, la procedura prevista dal presente paragrafo, primo comma, la richiesta dello Stato interessato rivolta al Consiglio avrà per effetto di sospendere tale procedura fino a quando il Consiglio non si sia pronunciato al riguardo.

Tuttavia, se il Consiglio non si è pronunciato entro tre mesi dalla data della richiesta, la Commissione delibera.

3. Alla Commissione sono comunicati, in tempo utile perché presenti le sue osservazioni, i progetti diretti a istituire o modificare aiuti. Se ritiene che un progetto non sia compatibile con il mercato interno a norma dell'articolo 107, la Commissione inizia senza indugio la procedura prevista dal paragrafo precedente. Lo Stato membro interessato non può dare esecuzione alle misure progettate prima che tale procedura abbia condotto a una decisione finale.

4. La Commissione può adottare regolamenti concernenti le categorie di aiuti di Stato per le quali il Consiglio ha stabilito, conformemente all'articolo 109, che possono essere dispensate dalla procedura di cui al paragrafo 3 del presente articolo.


Articolo 20
(Modifiche alla legge 21 novembre 1967, n. 1185, in materia di rilascio dei passaporti. Caso Ares (2019)3110724)

 

 

L’articolo 20 reca modifiche alla legge 21 novembre 1967, n. 1185, in materia di rilascio dei passaporti, introducendo una nuova disciplina relativa al rilascio e al ritiro del passaporto a genitori che abbiano figli di minore età e non adempiano, o vi sia fondato pericolo di mancato adempimento, a precisi doveri stabiliti dall’autorità giudiziaria nei confronti dei figli medesimi o di altri soggetti non autosufficienti, anche sotto il profilo economico, o individuati dalla legge. Nel corso dell’esame in sede referente, è stata approvata una modifica alle disposizioni concernenti la trasmissione della copia del provvedimento che inibisce il rilascio del passaporto alle autorità interessate.

 

L’articolo 20 modifica in primo luogo (comma 1, lett. a)) l’articolo 3 della legge 21 novembre 1967, n. 1185 (recante “Norme sui passaporti”) riscrivendone la lettera b).

Viene così soppressa la previsione, sinora vigente, secondo cui non possono ottenere il passaporto i genitori di prole minore che non hanno ottenuto l’autorizzazione del giudice tutelare o l’assenso dell’altro genitore, sostituendola con quella secondo cui non possono ottenere il documento coloro nei confronti dei quali il rilascio di questo sia stato inibito (vedi infra) con provvedimento dell’autorità giudiziaria.

 

Nella relazione illustrativa si evidenzia come la disposizione nella sua formulazione vigente prima dell’entrata in vigore del decreto-legge ponesse dubbi di incompatibilità con i principi eurounitari, e in particolare con la libertà di circolazione che può tollerare limitazioni solo quando queste siano rispondenti al principio di proporzionalità. Ciò in ragione anche della lunghezza dei tempi per l’ottenimento dell’autorizzazione del giudice tutelare.

 

La lettera b) introduce nella citata legge n. 1185 del 1967 un nuovo articolo 3-bis.

La nuova disposizione prevede che il PM o l’altro genitore (ovvero, ove nominato, il terzo che esercita la responsabilità genitoriale) possano chiedere al giudice di inibire il rilascio del passaporto in favore del genitore di prole minorenne. Il rilascio del passaporto può essere inibito quando vi sia concreto e attuale pericolo che a causa del trasferimento all’estero egli possa sottrarsi all’adempimento dei suoi obblighi verso i figli.

La disposizione richiede espressamente che il provvedimento debba essere adottato tenendo conto del principio di proporzionalità e della normativa eurounitaria e internazionale sulla cooperazione giudiziaria in tema di rapporti familiari e conseguenti diritti e doveri, con riguardo al riconoscimento e all’esecuzione, tra l’altro, delle decisioni in materia di responsabilità genitoriale, obbligazioni alimentari, sottrazione internazionale di minori.

L’inibitoria deve avere una durata determinata dal giudice e non superiore a due anni.

 

L’espressione «concreto e attuale pericolo» è mutuata, come precisa la relazione illustrativa, dall’articolo 274 del codice di procedura penale, al fine di restringere l’applicazione della norma alle sole ipotesi in cui vi sia un effettivo pericolo di lesione dell’interesse del minore. Nello stesso senso va anche il riferimento al «trasferimento all’estero» come «causa» del pericolo, che dovrebbe indurre il giudice ad una particolare prudenza nell’emettere l’inibitoria.

 

L’articolo 3-bis in oggetto individua il giudice competente nel tribunale ordinario del luogo di residenza abituale del minore. Per il caso in cui il minore sia residente all’estero, è prevista la competenza del tribunale del luogo di ultima residenza in Italia o del tribunale nel cui circondario si trova il suo comune di iscrizione AIRE (Anagrafe Italiani Residenti all’Estero).

 

 Nel caso in cui è già pendente altro procedimento relativo allo stato delle persone, ai minori o alla famiglia la domanda deve essere proposta al giudice che procede.

 

Al riguardo la relazione sottolinea come ciò potrà “comportare, per evidenti motivi di concentrazione delle tutele, l’attribuzione della competenza al tribunale per i minorenni, quando sia pendente un procedimento avente ad oggetto la decadenza o la limitazione della responsabilità genitoriale, o al diverso tribunale ordinario davanti al quale penda un procedimento di separazione, di divorzio, di regolamentazione dell’affido di figli nati fuori dal matrimonio, di revisione delle relative condizioni. Sarà poi il giudice adito a valutare l’opportunità di riunire i procedimenti”.

 

Il procedimento si deve svolgere nelle forme del rito camerale previsto dagli articoli 737 e seguenti c.p.c., in modo da assicurarne celerità e snellezza. Il richiamo al rito camerale fa poi sì che sia sempre possibile proporre il reclamo previsto dall’articolo 739 c.p.c. e che l’inibitoria già emessa possa essere sempre modificata o revocata ai sensi dell’articolo 742. Nel corso dell’esame in sede referente è stato specificato che il giudice procede “sentite le parti”.

 

La norma in esame, inoltre, stabilisce che copia del provvedimento che inibisce il rilascio del documento debba essere trasmessa, a cura della cancelleria, al Dipartimento della pubblica sicurezza del Ministero dell’interno, all’ufficio competente per il rilascio del passaporto (Questura o rappresentanza diplomatica del luogo di residenza, come stabilito dall’art. 5 della legge n. 1185 qui novellata). La copia del provvedimento è, altresì trasmessa al Comune in cui risiede l’interessato. Con una modifica approvata in sede referente, si prevede, inoltre, che se il genitore destinatario del provvedimento o il minore risiedono all’estero, una copia debba essere trasmessa anche alla questura in cui ha sede il tribunale competente sulla decisione di inibitoria, ossia il tribunale ordinario del luogo in cui il minore ha la residenza abituale, come stabilito dal comma 2 del nuovo articolo 3-bis in commento.

 

La lettera c) novella l’articolo 4 della legge n. 1185 citata, recando una disposizione di coordinamento conseguente all’introduzione dell’articolo 3-bis. Si prevede che quando il cittadino italiano è residente all’estero, i provvedimenti autorizzatori contemplati dall’articolo 3 sono emessi dal capo dell'ufficio consolare di prima categoria, nella cui giurisdizione territoriale risiede. Viene inoltre sostituito il riferimento normativo al d.P.R. n. 200 del 1967 ormai obsoleto, con quello al decreto legislativo 3 febbraio 2011, n. 71.

Si segnala che in sede referente è stato corretto il presente riferimento normativo, in quanto in G.U. è riportato il seguente riferimento normativo non corretto: «decreto legislativo 3 aprile 2011, n. 71».

 

Si rammenta che il d.P.R. n. 200 del 1967 è stato abrogato e sostituito dalla legge consolare di cui al decreto legislativo 3 febbraio 2011, n. 71.

 

Con la novella si precisa, inoltre, che l’emissione del provvedimento di inibitoria è in ogni caso di esclusiva competenza dell’autorità giudiziaria.

 

La lettera d) è infine volta ad aggiornare le disposizioni di cui al secondo comma dell’articolo 12, il quale oggi prevede che il passaporto è ritirato «quando il titolare si trovi all'estero e, ad istanza degli aventi diritto, non sia in grado di offrire la prova dell'adempimento degli obblighi alimentari che derivano da pronuncia della autorità giudiziaria o che riguardino i discendenti di età minore ovvero inabili al lavoro, gli ascendenti e il coniuge non legalmente separato». La modifica introdotta si propone di specificare che gli obblighi alimentari la cui violazione comporti il ritiro del passaporto non sono unicamente quelli previsti dagli articoli 433 e seguenti c.c. (obblighi alimentari che derivano da pronuncia dell'autorità giudiziaria o che riguardino i discendenti di età minore ovvero inabili al lavoro, gli ascendenti e il coniuge non legalmente separato) ma anche quelli aventi ad oggetto: il contributo al mantenimento dei figli; l’assegno di mantenimento per il coniuge legalmente separato; l’assegno divorzile e quello determinato dall’autorità giudiziaria in favore della parte dell’unione civile successivamente allo scioglimento di questa.

Viene infine recepita anche in questo contesto normativo l’equiparazione dei figli maggiorenni portatori di handicap grave ai figli minorenni, già introdotta nel codice civile (articolo 337-septies, secondo comma) e che con il decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 149, attuativo della delega di cui alla legge 26 novembre 2021, n. 206 (c.d. riforma Cartabia), è stata introdotta anche nel codice di rito.


Articolo 21
(
Modifica all’art. 30 della legge 23 luglio 2009, n. 99 in materia di regime di interrompibilità elettrica. Caso SA.50274 (2018/EO))

 

 

L’articolo 21 reca disposizioni in materia di regime di interrompibilità del carico elettrico.

 

Lo strumento della cosiddetta interrrompibilità consente al Gestore della rete di trasmissione nazionale dell’energia elettrica (TERNA S.p.A.) di intervenire con delle interrompibilità del servizio al fine di mantenere in equilibrio la rete e, quindi, il sistema elettrico nazionale nel suo complesso.

Tale servizio è attualmente disciplinato, da un punto di vista normativo, dai commi 18 e 19 dell’articolo 30 della legge 23 luglio 2009, n. 99, mentre dal punto di vista tecnico e operativo, come detto in precedenza, è gestita da TERNA S.p.A., nel rispetto del quadro regolatorio definito dall’ARERA, la quale, in particolare, organizza le aste per la selezione dei carichi interrompibili di durata triennale (l’asta principale triennale è effettuata entro la fine dell’anno precedente al nuovo triennio, a cui si aggiungono poi aste annuali, nonché aste trimestrali di aggiustamento).

Il servizio italiano di interrompibilità del carico elettrico è uno degli strumenti più efficaci, a disposizione di TERNA S.p.A., in qualità di gestore della rete di trasmissione nazionale dell’energia elettrica, per assicurare la sicurezza del sistema elettrico italiano.

Esso è parte integrante del sistema di difesa della rete nazionale e consente di mitigare il rischio di disalimentazioni diffuse in presenza di eventi improvvisi (perdita di gruppi di generazione e/o guasti su componenti di rete importanti).

 

Per quanto riguarda le interlocuzioni con le Istituzioni europee in merito alla misura in esame, si segnala che sin dal 2018, la Commissione europea ha manifestato attenzione in merito alle modalità con cui è disciplinato e gestito il meccanismo italiano dell’interrompibilità elettrica. L’indagine della Commissione, che ha riguardato contemporaneamente anche altri Stati membri, è stata aperta nell’aprile del 2018.

Le determinazioni finali della Commissione sull’indagine avviata sono state ufficializzate nel mese di settembre 2020. Nel documento della Commissione sono state evidenziate alcune criticità relative al meccanismo di interrompibilità finora operativo, ritenuto non compatibile con la normativa europea in materia di aiuti di stato, invitando il Ministero competente a procedere alle modifiche necessarie. In particolare, secondo la Commissione, la misura attuata dal Governo italiano potrebbe configurarsi come un aiuto di stato distorsivo della concorrenza nel mercato interno dell’energia e, pertanto, configurare un aiuto “illegale”.

 

In particolare, la Commissione ha, tra le altre cose, chiesto espressamente, con riguardo alla legge n. 99 del 2009 di:

Ø  rimuovere l’esenzione dal pagamento degli oneri di cui all’articolo 30, comma 19;

Ø  eliminare il riferimento a “risorse interrompibili istantaneamente ed interrompibili con preavviso” di cui all’articolo 30, comma 18;

Ø  riconoscere espressamente la possibilità per l’accumulo di fornire il servizio di interrompibilità;

Ø  eliminare la restrizione della fornitura del servizio di interrompibilità alle sole “società utenti finali” di cui all’articolo 30, comma 18.

 

La modifica normativa in esame al comma 1 recepisce quindi le puntuali osservazioni della Commissione in quanto, relativamente al comma 18, elimina il riferimento a più servizi di interrompibilità e alle “società utenti finali”, nonché estende la partecipazione al servizio anche agli accumuli.

Per quanto attiene al comma 19, invece, come richiesto dalla Commissione, ne viene prevista l’abrogazione. A tale riguardo si segnala che, a seguito delle modifiche apportate durante l’esame del provvedimento dalla Commissione di merito, si prevede che l’abrogazione in questione decorra dal 1° gennaio 2024.

 

Il comma 2, infine, prevede che la società Terna S.p.A., sulla base degli indirizzi del Ministro dell’ambiente e della sicurezza energetica e dei criteri e delle modalità definite dall’Autorità di regolazione per energia reti e ambiente, possa implementare meccanismi innovativi per la gestione in sicurezza del sistema elettrico nazionale, anche mediante il ricorso a interruzioni istantanee dei carichi.


Articolo 22
(Verifica dell’efficienza degli investimenti nella rete di distribuzione del gas ai fini della copertura tariffaria. Caso EU Pilot 2022/10193/ENER)

 

 

L’articolo 22 abroga la norma in base alla quale gli investimenti sulle reti di distribuzione del gas in comuni montani in zona climatica “F” o in comuni del Mezzogiorno da metanizzare sarebbero stati automaticamente ammessi al riconoscimento di una remunerazione a valere sulle tariffe a carico dei consumatori, senza necessità di una valutazione da parte dell’Arera dei criteri di efficienza normalmente applicati.

 

L'articolo 22 modifica l’articolo 23 del D.Lgs. n. 164/2000, che disciplina le modalità con cui l’Arera determina le voci tariffarie per la remunerazione dei servizi di trasporto, dispacciamento, stoccaggio e distribuzione del gas.

La competenza a determinare le tariffe di distribuzione è attribuita all’Arera, oltre che dall’articolo 23 del D.Lgs. n. 164/2000, in base all’articolo 2 della legge n. 481/1995 e all’articolo 41 della Direttiva n. 2009/73/CE, secondo il quale l’autorità di regolazione ha il compito di “stabilire o approvare, in base a criteri trasparenti, tariffe di trasporto o distribuzione o le relative metodologie di calcolo”. La medesima direttiva prevede che gli Stati membri garantiscano l'indipendenza dell'autorità di regolazione (art. 39) e indica gli obiettivi generali che l’autorità persegue nell’esercizio delle proprie funzioni. Questi comprendono il riconoscimento ai gestori del sistema e agli utenti del sistema di incentivi adeguati per migliorare l’efficienza delle prestazioni del sistema e la tutela dei consumatori (art. 40).

La regolazione delle tariffe di distribuzione di attuazione delle sopra citate disposizioni è contenuta nella Parte II del Testo Unico delle disposizioni della regolazione della qualità e delle tariffe dei servizi di distribuzione e misura del gas per il periodo di regolazione 2020-2025 (TUDG), recante “Regolazione delle tariffe dei servizi di distribuzione e misura del gas per il periodo di regolazione 2020-2025” (RTDG), approvata con la deliberazione 570/2019/R/GAS, come successivamente modificata e integrata.

La disciplina è improntata al principio generale secondo cui possano essere ammessi a riconoscimento tariffario solo i costi riferiti a investimenti supportati da adeguate analisi costi-benefici (efficienza allocativa) e che riflettano condizioni di efficienza produttiva. Solo il capitale investito in iniziative che rispondono ai criteri così determinati è, quindi, ammesso a remunerazione a valere sulle tariffe applicate ai consumatori.

 

L’articolo 22 del decreto-legge abroga il comma 4-bis dell’articolo 23 del D.Lgs. n. 164/2000, introdotto con la legge n. 77/2020 di conversione del D.L. n. 34/2020, in base al quale devono essere considerati efficienti e già valutati positivamente ai fini dell’analisi dei costi e dei benefici per i consumatori gli investimenti relativi al potenziamento o alla nuova costruzione di reti e di impianti in comuni montani già metanizzati o da metanizzare appartenenti alla zona climatica “F” (comuni che presentano un numero di gradi – giorno maggiore di 3.000), nonché in comuni che hanno presentato nei termini previsti la domanda di contributo relativamente al completamento del programma di metanizzazione del Mezzogiorno ai sensi della deliberazione del Comitato interministeriale per la programmazione economica (ora Comitato interministeriale per la programmazione economica e lo sviluppo sostenibile) n. 5 del 2015.

Si rammenta che la delibera CIPE 28 gennaio 2015, n. 5 ha stanziato 140 milioni di euro dal 2014 al 2020 per il completamento del Programma generale di metanizzazione del Mezzogiorno di cui all’articolo 11 della legge n. 784/1980. A tale scopo autorizza la concessione ai Comuni e loro consorzi di contributi in conto capitale pari ad una percentuale tra il 45 e il 50 per cento della spesa preventivata per la realizzazione delle opere di distribuzione del gas metano. Quanto alla classificazione dei comuni come montani, si osserva che la norma vigente rinvia alla legge n. 1102/1971, il cui articolo 3 “Classifica e ripartizione dei territori montani” è stato abrogato dall’articolo 29 della legge n. 142/1990.

 

La norma abrogata dall’articolo 22 del decreto-legge, quindi, obbligava l’Arera a riconoscere una integrale copertura tariffaria, senza necessità di una previa valutazione circa il rispetto di criteri di efficienza, degli investimenti sulle reti di distribuzione del gas di cui sopra.

A seguito dell’entrata in vigore della citata disposizione l’Arera ha avviato, con delibera 3 novembre 2020 435/2020/R/gas un procedimento per la sua attuazione. Nel testo della delibera, riteneva, tuttavia, che anche per il riconoscimento degli investimenti realizzati nei Comuni individuati nel medesimo articolo 114-ter debbano comunque essere rispettate condizioni di efficienza (produttiva) nella loro realizzazione; in altri termini, secondo l’Arera, le decisioni di investimento in tali aree possono essere prese senza aver svolto le consuete analisi volte a valutare la sussistenza delle condizioni di efficienza allocativa ma, una volta prese le decisioni di investimento, devono comunque essere rispettati i generali principi di efficienza nella loro realizzazione.

 

La relazione illustrativa rammenta che la norma introdotta dall’articolo 114-ter del d.l. n. 34/2020 è attualmente oggetto del caso EU Pilot n. (2022)10193 ENER, nell’ambito del quale i servizi della Commissione hanno rilevato che la procedura istituita sembra configurare una violazione dell'articolo 41, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2009/73/CE, per quanto concerne le competenze esclusive attribuite alle autorità nazionali di regolazione, atteso che la determinazione delle metodologie per calcolare o per stabilire le condizioni di connessione e di accesso alle reti nazionali, comprese le tariffe applicabili, rientra nelle competenze riservate direttamente alle predette autorità dalla direttiva.

Ad avviso della Commissione, infatti, l'obbligo imposto ad ARERA di ammettere a integrale riconoscimento tariffario gli investimenti le impedirebbe di esercitare il proprio potere discrezionale nella fissazione delle tariffe, privando così l'autorità delle competenze che la direttiva sul gas le attribuisce in via esclusiva.

A seguito della risposta fornita dal Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica, la Commissione ha confermato i propri dubbi circa la compatibilità della legislazione nazionale con la direttiva sul gas, rilevando che “qualsiasi interferenza, anche circoscritta, nelle prerogative delle ANR è da considerarsi una violazione delle norme sostanziali stabilite dalla direttiva 2009/73/CE e della recente sentenza della Corte di giustizia dell'Unione europea (nella causa C-718/18), giacché i suoi effetti e le sue conseguenze travalicano i limiti temporali e di finalità”.

La Commissione ha quindi chiesto se l’Italia intenda “adottare un'interpretazione formale della disciplina introdotta dall'articolo 114-ter, che precisi l'interpretazione "europeisticamente" orientata e conferisca ad ARERA poteri discrezionali di applicazione”, ovvero se stia valutando l’opportunità di abrogare la norma, viste le problematiche di compatibilità con la normativa europea e la disapplicazione de facto da parte di ARERA.


Articolo 22-bis
(Modifiche al decreto legislativo 8 novembre 2021, n. 210)

 

 

L’articolo 22-bis, inserito nel corso dell’esame in sede referente, limita la facoltà del fornitore di energia elettrica di imporre ai propri clienti il pagamento di una somma di denaro in caso di recesso anticipato da un contratto di fornitura ai soli contratti a tempo determinato e a prezzo fisso (comma 1, let. a)). Abroga, inoltre, la disposizione che consente a Terna di realizzare sistemi di accumulo per una capacità pari a quella non aggiudicata tramite asta (comma 1, let. b)).

 

L'articolo 22-bis, inserito nel corso dell’esame in sede referente, reca modifiche al D.lgs. n. 210/2021, di attuazione della direttiva 2019/944/UE relativa a norme comuni per il mercato interno dell’energia elettrica.

 

Il comma 1, lett. a), in particolare, modifica l’articolo 7 del D.Lgs. n. 210/2021 per precisare che il fornitore di energia elettrica può imporre ai propri clienti, singoli o aggregati, il pagamento di una somma di denaro in caso di recesso anticipato da un contratto di fornitura, purché esso sia congiuntamente a tempo determinato e a prezzo fisso.

 

Tale facoltà è riconosciuta, nei medesimi termini, dall’articolo 12 della direttiva n. 2019/944/UE in deroga al principio generale in base al quale i clienti civili e le piccole imprese non devono, di norma, pagare alcun onere per il cambio fornitore. Attualmente, invece, la norma nazionale di attuazione prevede tale facoltà nei casi, disgiunti, di contratto a tempo determinato o a prezzo fisso.

 

Il comma 1, lett. b), invece, modifica l’articolo 18, che prevede una ricognizione da parte del gestore della rete di trasmissione (Terna) del fabbisogno di capacità di stoccaggio dell’energia elettrica e il suo approvvigionamento mediante l’assegnazione della medesima capacità di stoccaggio mediante aste concorrenziali, trasparenti, non discriminatori, svolte dal medesimo gestore.

Segnatamente, il comma 1, let. b) abroga le disposizioni (comma 4 e comma 7, let. c)) che consentono a Terna di sottoporre all’approvazione del Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica un piano di realizzazione diretta dei sistemi di accumulo, previo parere favorevole e secondo le modalità definite dall’Arera, per la capacità che non risulti assegnata a seguito dello svolgimento delle predette aste.

 

Si rammenta, a tal proposito, che gli articoli 36 e 54 della direttiva 2019/944/UE prevedono che, di norma, i gestori dei sistemi di distribuzione e trasmissione non possano possedere, sviluppare, gestire o esercire impianti di stoccaggio dell’energia. In deroga a tale divieto, gli Stati membri possono autorizzare i gestori dei sistemi di distribuzione (art. 36, par. 2) e di trasmissione (art. 54, par. 2) a possedere, sviluppare, gestire o esercire impianti di stoccaggio dell'energia purché siano componenti di rete pienamente integrate e l'autorità di regolazione abbia concesso la sua approvazione o se siano soddisfatte determinate condizioni.

 

Per i gestori di sistemi di distribuzione, dette condizioni sono soddisfatte se:

a) a seguito di una procedura di appalto aperta, trasparente e non discriminatoria, soggetta a riesame e approvazione da parte dell'autorità di regolazione, parti terze non hanno ottenuto il diritto di possedere, sviluppare, esercire o gestire tali impianti, o non si sono dimostrate in grado di fornire tali servizi a un costo ragionevole e in maniera tempestiva;

b) detti impianti sono necessari affinché i gestori dei sistemi di distribuzione possano adempiere agli obblighi previsti dalla direttiva europea in materia di funzionamento efficiente, affidabile e sicuro del sistema di distribuzione e non sono utilizzati per l'acquisto o la vendita dell'energia elettrica sui mercati dell'energia elettrica; e

c) l'autorità di regolazione ha valutato la necessità di detta deroga e ha effettuato una valutazione della procedura di appalto, comprese le condizioni di tale procedura di appalto, e l'ha approvata.

Per i gestori di sistemi di trasmissione, le sopra citate condizioni sono soddisfatte se:

a) altre parti, a seguito di una procedura di appalto aperta, trasparente e non discriminatoria, soggetta a riesame e approvazione da parte dell'autorità di regolazione non hanno espresso interesse a possedere, sviluppare, gestire o esercire tali impianti o non si sono dimostrate in grado di fornire tali servizi a un costo ragionevole e in maniera tempestiva;

b) tali impianti o servizi ausiliari non relativi alla frequenza servono al gestore del sistema di trasmissione per adempiere gli obblighi che gli incombono a norma della direttiva europea per il funzionamento efficiente, affidabile e sicuro del sistema di trasmissione e non sono utilizzati per l'acquisto o la vendita dell'energia elettrica sui mercati dell'energia elettrica;

c) l'autorità di regolazione ha valutato la necessità di tale deroga, ha effettuato l'esame ex ante dell'applicabilità di una procedura di appalto, comprese le condizioni di tale procedura di appalto, e ha concesso la sua approvazione.

 

 

 


Articolo 22-ter
(Disposizioni per l’adeguamento alla disciplina europea
in materia di aiuti di Stato a favore del clima, dell’ambiente e dell’energia 2022)

 

L’articolo 22-ter, introdotto nel corso dell’esame in Commissione, abroga la norma che demandava all’ARERA di provvedere – entro il 12 dicembre 2012 - ad adeguare il sistema delle tariffe di trasporto del gas naturale secondo criteri volti a rendere più flessibile ed economico il relativo servizio a vantaggio dei soggetti a maggiore consumo di gas naturale.

 

Più nel dettaglio, l’articolo in esame abroga il comma 2-bis dell’articolo 38 del D.L. n. 83/2012 (L. n. 134/2012), il quale ha demandato all’ARERA di provvedere - entro il 12 dicembre 2012 (quattro mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del D.L. n. 83) - ad adeguare il sistema delle tariffe di trasporto del gas naturale secondo criteri che rendano più flessibile ed economico il servizio di trasporto a vantaggio dei soggetti con maggiore consumo di gas naturale.

Nella relazione tecnica allegata all’articolo aggiuntivo, si afferma che si intende così adeguare le disposizioni nazionali alla disciplina europea in materia di aiuti di Stato e, in particolare, di aiuti di Stato a favore del clima, dell’ambiente e dell’energia.

 

Sul punto, si segnala che il Consiglio di Stato, con le sentenze 6096 e 6098 del 18 luglio 2022 ha rilevato che all’articolo 38, comma 2-bis del D.L. n. 83/2012 non è stata data piena e congrua attuazione dalla successiva regolazione tariffaria adottata dall’Arera.

Al fine di ottemperare alle citate sentenze, l’Arera ha avviato, con la deliberazione 448/2022/R/gas un procedimento finalizzato ad adottare le misure di flessibilità ed economicità del sistema delle tariffe di trasporto del gas naturale per i soggetti a maggior consumo di gas naturale.

Si evidenzia, d’altra parte, come la disposizione oggetto dell’abrogazione, nel prevedere un sistema tariffario di trasporto del gas naturale che renda più flessibile ed economico il servizio a vantaggio dei soggetti con maggiore consumo di gas naturale abbia come effetto quello di attribuire un vantaggio economico prevalentemente alle imprese ad alto consumo di gas naturale. Di qui la necessità di una valutazione circa la sussistenza di un obbligo di notifica della misura alla Commissione europea ai sensi dell’articolo 108 del TFUE e la sua conformità al diritto europeo sugli aiuti di Stato.

Si rammenta, a tal proposito, che analoghe agevolazioni sono già riconosciute a vantaggio delle imprese a forte consumo di gas naturale. Esse consistono, in particolare, nella riduzione dei corrispettivi a loro carico a copertura degli oneri generali del sistema gas. La loro disciplina è stata riformata dall’articolo 21 della legge 20 novembre 2017, n. 167, “Legge europea 2017” al fine di renderla conforme alla disciplina UE che era nel frattempo intervenuta (Comunicazione 2014/C 200/01 “Disciplina in materia di aiuti di Stato a favore dell’ambiente e dell’energia 2014-2020”). L’articolo 21, in particolare, ha demandato ad un nuovo decreto del Ministro dell’ambiente e sicurezza energetica, sentita l’ARERA, la definizione di imprese a forte consumo di gas naturale (cd. gasivore) e ad un provvedimento dell’ARERA, sulla base degli indirizzi ministeriali, la definizione delle relative agevolazioni, in conformità con la disciplina europea sugli aiuti di stato in materia di ambiente ed energia. In attuazione di quanto sopra, sono stati adottati il Decreto del Ministro della Transizione Ecologica del 21 dicembre 2021 n. 541 e la delibera ARERA 541/2022/R/gas del 2 novembre 2022. Le nuove agevolazioni tariffarie alle imprese gasivore sono entrate a regime dal 1° gennaio 2023. Si rinvia, più in dettaglio, alla scheda tecnica ARERA.

 

 

I nuovi Orientamenti in materia di aiuti di Stato a favore del clima, dell’ambiente e dell’energia, sono stati adottati dalla Commissione con la Comunicazione COM (2022) 481 final del 27 gennaio 2022 e sono applicabili a decorrere dal 27 gennaio 2022. I nuovi orientamenti hanno sostituito i precedenti, approvati, come sopra accennato con la Comunicazione (2014/C 200/01).

Rispetto al precedente periodo programmatorio, gli orientamenti sono stati rivisti per garantirne la coerenza con i principi, sia consolidati che nuovi, del Green Deal europeo, cui sono informati il Piani nazionali di ripresa e resilienza: si pensi al principio "chi inquina paga" e al principio "non arrecare un danno significativo (DNSH)" [29] .

Per quanto qui interessa, i nuovi Orientamenti dedicano uno specifico paragrafo agli aiuti agli “energivori elettrici” (Par. 4.11, punti 399-419), mentre, per i gasivori, cui sono praticati sgravi in ordine alle componenti tariffarie degli oneri generali di sistema destinate a finanziare progetti di efficienza, si applica, come nei precedenti orientamenti, il paragrafo relativo agli Aiuti sotto forma di sgravi da tasse o prelievi parafiscali ambientali (paragrafo 4.7.1 punti 293-309 dei nuovi Orientamenti). Ai sensi di tale paragrafo, gli aiuti in questione sono ammissibili se lo Stato membro dimostra, fornendo le appropriate informazioni, che sono soddisfatte entrambe le seguenti condizioni:

a)     gli sgravi sono destinati alle imprese più colpite dalla tassa o dal prelievo ambientale, che non sarebbero in grado di proseguire le loro attività economiche in maniera sostenibile in assenza degli sgravi;

b)     il livello di tutela ambientale effettivamente raggiunto attraverso l'applicazione degli sgravi è maggiore di quello che sarebbe stato raggiunto se gli sgravi non fossero stati applicati.

La Commissione riterrà necessari e proporzionati gli aiuti sotto forma di sgravi da tasse armonizzate a condizione che (condizioni cumulative):

a)     i beneficiari devono corrispondano almeno il livello minimo di imposizione prescritto;

b)     i beneficiari siano selezionati in base a criteri oggettivi e trasparenti;

c)     gli aiuti siano, in linea di principio, concessi secondo modalità identiche per tutte le imprese dello stesso settore, se sono in una situazione di fatto simile; e

d)     lo Stato verifichi la necessità dell'aiuto volto a contribuire indirettamente a un livello più elevato di tutela ambientale mediante una consultazione pubblica ex ante in cui è fornito un elenco dei principali beneficiari per ciascun settore.

La Commissione verificherà quindi, ai fini dell’ammissibilità che:

·       la tassa o il prelievo parafiscale ambientale comporterebbe, se non fosse applicato lo sgravio, un aumento sostanziale dei costi di produzione, calcolati in proporzione al valore aggiunto lordo per ciascun settore o categoria di beneficiari

·        che non sarebbe possibile trasferire ai clienti l'aumento sostanziale dei costi di produzione senza che si verifichi una contrazione notevole dei volumi di vendita.

La Commissione autorizzerà regimi di aiuto di questo tipo per un periodo di 10 anni. Dopo, la misura potrà essere nuovamente notificata, dopo avere nuovamente valutato l'adeguatezza delle misure di aiuto in questione.

Gli aiuti sono proporzionati se è soddisfatta almeno una delle seguenti condizioni:

a)     ciascun beneficiario versa almeno il 20% dell'importo nominale della tassa o del prelievo parafiscale ambientale che sarebbe altrimenti applicabile in assenza di sgravio;

b)     lo sgravio non deve superare il 100% della tassa o del prelievo parafiscale ambientale nazionale e deve essere subordinato alla conclusione di accordi tra lo Stato e i beneficiari (o le associazioni di beneficiari) con i quali questi ultimi si impegnano a conseguire obiettivi di tutela ambientale aventi lo stesso effetto del versamento di almeno il 20% della tassa o del prelievo nazionale. Gli accordi o impegni possono prevedere, tra l'altro, una riduzione di consumo energetico, di emissioni e di altri inquinanti, o qualsiasi altra misura di tutela ambientale e devono soddisfare specifiche condizioni cumulative (di cui al punto 309).


Articolo 23
(Adattamento dell’ordinamento nazionale al regolamento (UE) 2019/125 in materia di commercio di merci utilizzabili per infliggere la pena di morte o la tortura e al regolamento (UE) 2021/821 in materia di controllo delle esportazioni, dell’intermediazione, dell’assistenza tecnica, del transito e del trasferimento di prodotti a duplice uso)

 

 

L’articolo 23 reca l’adeguamento dell’ordinamento nazionale ai regolamenti UE n. 2019/125 e n. 2021/821, rispettivamente in materia di commercio di merci utilizzabili per infliggere la pena di morte o la tortura e in materia di controllo delle esportazioni, dell’intermediazione, dell’assistenza tecnica, del transito e del trasferimento di prodotti a duplice uso (cioè beni ad utilizzo prevalentemente civile, ma tali da poter essere utilizzati anche a fini militari).

 

L’articolo in esame interviene sul decreto legislativo 221/2017, che raccoglie la disciplina sia sui prodotti utilizzabili per infliggere la tortura che sui prodotti a duplice uso. Per la prima categoria di prodotti le modifiche sono essenzialmente formali. Per la seconda categoria l’intervento normativo, che adeguando l’ordinamento interno a una serie di modifiche intervenute negli ultimi anni nel diritto UE, ha un carattere più marcatamente innovativo.

 

In sede referente, sono stati accolti alcuni emendamenti Comitato per la legislazione

 

Di seguito le previsioni di maggior interesse.

 

La lettera b), chiarisce la differenza tra prodotti a duplice uso listati e non listati (già definiti dal decreto legislativo 221/2017) e definisce la nozione di operatore come esportatore, intermediario o prestatore di assistenza tecnica

 

La lettera c), dispone che siano subordinati a controllo e autorizzazioni anche le operazioni concernenti prodotti a duplice uso non listati, qualora gli stessi siano o possano essere destinati, in tutto o in parte, ad un'utilizzazione prevista dagli articoli 4 e 9 del regolamento duplice uso. Con un emendamento governativo, approvato in sede referente, le procedure di controllo sono estese anche ai prodotti di sorveglianza informatica (art5 regolamento duplice uso).

 

La lettera d), chiarisce che l’organismo cui è affidata l’applicazione  del decreto è l’Autorità nazionale UAMA (Unità per le autorizzazioni dei materiali d’armamento),  articolazione del  Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale (Maeci), precisando altresì  che il personale di tale autorità include anche le unità già ivi distaccate per lo svolgimento delle attività connesse al rilascio delle autorizzazioni ai sensi della legge n. 185/1990 (sul controllo dell'esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento). 

 

La lettera e), oltre ad aggiornare le denominazioni del Ministero delle imprese e del made in Italy e del Ministero della cultura, reca alcune modifiche al Comitato Consultivo presso l’Autorità UAMA, prevedendo in particolare che esso esprima un parere obbligatorio sull’irrogazione delle sanzioni amministrative.

 

La lettera f), specifica l’applicabilità delle restrizioni al transito sul territorio nazionale per entrambe le categorie dei prodotti a duplice uso (listati e non listati) e dispone che l’Agenzia delle dogane e dei monopoli sospenda le operazioni di transito vietate di prodotti a duplice uso, di merci soggette al regolamento antitortura e di prodotti listati per effetto di misure restrittive Ue.

 

La lettera g) specifica che, salva diversa previsione nei regolamenti UE concernenti misure restrittive, l’Autorità UAMA rilascia autorizzazioni specifiche individuali in merito ai prodotti listati per effetto di sanzioni, senza distinguere tra operazioni di esportazione o di fornitura di assistenza tecnica.

 

La lettera h) chiarisce che il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale può vietare l’esportazione di prodotti a duplice uso non listati per motivi di pubblica sicurezza, prevenzione di atti di terrorismo e rispetto dei diritti umani. L'esportazione di prodotti a duplice uso non listati (e la prestazione di servizi accessori) possono essere subordinate al rilascio di un’autorizzazione anche su richiesta del Ministero dell'interno, del Ministero della difesa o dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli. La norma dispone anche che gli operatori che intendano esportare prodotti di sorveglianza informatica (anche se non compresi negli elenchi di cui all’allegato I del regolamento duplice uso), hanno l’obbligo di informare l’Autorità UAMA quando sussistono motivi per sospettare che tali prodotti sono o possono essere destinati, in tutto o in parte, a usi come la  produzione di armi chimiche, biologiche o nucleari o  a scopi militari in violazione di  embarghi o di norme interne del Paese di importazione. Si prevede anche che l’Autorità UAMA comunichi l’informativa fornita dagli operatori economici al Ministero dell'interno, al Ministero della difesa e all'Agenzia delle dogane e dei monopoli.

 

La lettera i), contiene norme sui termini di durata delle autorizzazioni specifiche individuali prevedendo anche che, su richiesta dell’operatore, la loro scadenza possa essere prorogata più di una volta dall’Autorità UAMA. La procedura di richiesta dell’autorizzazione viene semplificata, sopprimendo il riferimento all’obbligo di timbratura della dichiarazione della parte acquirente (end user statement).

 

La lettera l), precisa che un’autorizzazione globale individuale può essere rilasciata all’esportatore che abbia già ottenuto autorizzazioni individuali per uno o più prodotti a duplice uso o per merci soggette al regolamento antitortura. Viene inoltre soppresso il riferimento alla predisposizione, da parte del Maeci, di linee guida per individuare i Paesi di destinazione verso cui gli operatori possono esportare i prodotti a duplice uso o le merci soggette al regolamento antitortura. Si prevede inoltre che l’Autorità UAMA possa accordare una o più proroghe della durata di un’autorizzazione globale individuale.

 

La lettera m), precisa che l’Autorità UAMA rilascia licenze solo in riferimento a prodotti a duplice uso listati.

 

La lettera o), sopprime l’obbligo di ritiro dell’originale dell'autorizzazione rilasciata dall’Autorità UAMA, nei casi in cui l’operatore economico non si conformi ai requisiti stabiliti dall’Autorità o sopravvengano motivi di sicurezza dello Stato e di rispetto degli obblighi internazionali assunti dall'Italia in materia di non proliferazione.

 

La lettera p), prevede una specifica procedura per le richieste di autorizzazione al trasferimento di informazioni classificate incluse in prodotti a duplice uso da trasferire all’interno dell’Unione europea, che prevede il coinvolgimento del Dipartimento per le informazioni e la sicurezza (DIS).

 

La lettera r), inserisce anche gli importatori tra i soggetti che possono essere destinatari di misure ispettive. Si prevede anche l’Autorità UAMA possa svolgere tali attività anche in collaborazione con gli organi preposti alla tutela dell'ordine e sicurezza pubblica ed al controllo doganale, fiscale e valutario, nonché con l'eventuale apporto dei Servizi di informazione per la sicurezza. Viene di conseguenza eliminato il riferimento ad un apposito decreto del Maeci per disciplinare tale collaborazione.

 

La lettera s), riformula l’art.18 del decreto legislativo 221/2017, in materia di sanzioni per le operazioni illecite di esportazione, transito o trasferimento all'interno dell'Unione europea, di prodotti duplice uso.   La modifica chiarisce l’applicabilità della norma ai prodotti a duplice uso sia listati che non listati; estenda la portata delle disposizioni ai prestatori di assistenza tecnica e aggiorna alcuni riferimenti normativi. L’impianto sanzionatorio viene inasprito, sia per le pene detentive che per le pene pecuniarie. Si prevede inoltre che la pena detentiva e la pena pecuniaria siano comminate congiuntamente e non più in alternativa. Con un emendamento governativo, approvato in sede referente, le sanzioni sono estese anche agli operatori che non presentino la documentazione richiesta dal regolamento duplice uso. 
      

 

La lettera t), opera un intervento analogo a quello della lettera precedente, per le violazioni del regolamento anti tortura. La nuova formulazione colma il divario tra l’importo massimo della pena pecuniaria e la soglia minima della pena detentiva e prevede chele due pene siano comminate congiuntamente. La norma precisa, inoltre, i termini stabiliti per la comunicazione delle informazioni e della conservazione della documentazione relativa alle operazioni, in linea con quanto disposto per i prodotti a duplice uso.  La presente modifica dovrà essere notificata alla Commissione europea ai sensi dell’articolo 33, comma 2, del regolamento antitortura (2019/125).

 

La lettera u), in materia di sanzioni per relative a prodotti listati per effetto di misure restrittive UE, riformula i comportamenti illeciti, in armonia con quanto previsto per prodotti duplice uso e regolamento anti tortura. La disposizione introduce una sanzione amministrativa (da 15.000 a 90.000 euro) per le violazioni degli obblighi di informazione, conservazione ed esibizione di documenti relativi ad operazioni che hanno ad oggetto tali prodotti (uniformando così il regime sanzionatorio a quello previsto per le operazioni illecite relative ai prodotti a duplice uso ed alle merci soggette al regolamento antitortura).

 

La lettera v), allinea la formulazione delle sanzioni relative all'assistenza tecnica riguardante taluni fini militari alle modifiche operate alle disposizioni sanzionatorie precedenti. Anche in questo caso, si colma il divario tra l’importo massimo della pena pecuniaria e la soglia minima della pena detentiva e si introduce la cumulatività delle due pene.

 

La lettera z) introduce nel decreto legislativo 221/2017 un nuovo articolo 21-bis, che riunisce le previsioni già vigenti in materia di confisca. La nuova formulazione precisa i riferimenti all’articolo 240 del codice penale e chiarisce in maniera il carattere obbligatorio della confisca (“è sempre ordinata la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere i reati di cui agli articoli 18, commi 1 e 2, 19, commi 1 e 2, o 20, commi 1 e 2, del presente decreto, nonché delle cose che ne sono il prodotto o il profitto”). La norma precisa anche che, nei casi in cui non sia possibile procedere alla confisca del denaro, dei beni e delle altre utilità, il giudice ordina la confisca di altre somme di denaro, di beni e di altre utilità di legittima provenienza per un valore equivalente, delle quali il condannato ha la disponibilità, anche per interposta persona.


Articolo 24
(Car rental)

 

 

L’articolo 24 attua la Direttiva 2022/738/UE, la quale a sua volta modifica la Direttiva 2006/1/CE in tema di noleggio di veicoli senza conducente (cosiddetto car rental), onde consentire la locazione anche di autocarri e altri veicoli diversi dalle autovetture.  

 

L’articolo 24, comma 1, del decreto legge in commento – anche a seguito dell’approvazione di emendamenti in sede referente - modifica l’articolo 84 del codice della strada, in attuazione della Direttiva 2022/738/UE. Per una migliore comprensione dell’intervento legislativo si premette un testo a fronte.

 

Articolo 84 del Codice della strada vigente

Testo novellato

Agli effetti del presente articolo un veicolo si intende adibito a locazione senza conducente quando il locatore, dietro corrispettivo, si obbliga a mettere a disposizione del locatario, per le esigenze di quest'ultimo, il veicolo stesso.

1.       Identico

2. È ammessa, nell'ambito delle disposizioni che regolano i trasporti internazionali tra Stati membri delle Comunità europee, l'utilizzazione di autocarri, trattori, rimorchi e semirimorchi, autotreni ed autoarticolati locati senza conducente, dei quali risulti locataria un'impresa stabilita in un altro Stato membro delle Comunità europee, a condizione che i suddetti veicoli risultino immatricolati o messi in circolazione conformemente alla legislazione dello Stato membro.

2. È ammessa, nell'ambito del trasporto di merci su strada per conto di terzi, l'utilizzazione di autocarri, trattori, rimorchi e semirimorchi, autotreni e autoarticolati locati senza conducente, dei quali risulti locataria un'impresa stabilita in uno Stato membro dell'Unione europea, a condizione che i suddetti veicoli risultino immatricolati o messi in circolazione conformemente alla legislazione di qualsiasi Stato membro.

3. L'impresa italiana iscritta all'albo degli autotrasportatori di cose per conto terzi e titolare di autorizzazioni può utilizzare autocarri, rimorchi e semirimorchi, autotreni ed autoarticolati muniti di autorizzazione, acquisiti in disponibilità mediante contratto di locazione ed in proprietà di altra impresa italiana iscritta all'albo degli autotrasportatori e titolare di autorizzazioni.

3. L'impresa italiana iscritta all'albo degli autotrasportatori di cose per conto terzi, in conformità a quanto disposto dalla legge 6 giugno 1974, n. 298, e, se del caso, al Registro elettronico nazionale delle imprese che esercitano la professione di trasportatore su strada di cui all'articolo 16 del regolamento (CE) n. 1071/2009 può utilizzare autocarri, trattori, rimorchi e semirimorchi, autotreni ed autoarticolati, acquisiti in disponibilità mediante contratto di locazione ed in proprietà di impresa avente sede in uno Stato membro dell'Unione europea, incluse le imprese di autotrasporto di cose per conto di terzi o di locazione senza conducente regolarmente abilitata.

3-bis. L'impresa esercente attività di trasporto di viaggiatori effettuato mediante noleggio di autobus con conducente sopra i 9 posti, iscritta al Registro elettronico nazionale e titolare di autorizzazione, può utilizzare i veicoli in proprietà di altra impresa esercente la medesima attività ed iscritta al Registro elettronico nazionale, acquisendone la disponibilità mediante contratto di locazione.

Identico

4. Possono, inoltre, essere destinati alla locazione senza conducente:

a) i veicoli ad uso speciale ed i veicoli destinati al trasporto di cose, la cui massa complessiva a pieno carico non sia superiore a 6 t (v. nuova lett. b) e comma 4-bis);

b) i veicoli, aventi al massimo nove posti compreso quello del conducente, destinati al trasporto di persone, i veicoli di cui all'articolo 87, comma 2, adibiti ai servizi di linea di trasporto di persone nonché i veicoli per il trasporto promiscuo e le autocaravan, le caravan ed i rimorchi destinati al trasporto di attrezzature turistiche e sportive.

4. Possono essere destinati alla locazione senza conducente:

a) i veicoli ad uso speciale, la cui massa complessiva a pieno carico non sia superiore a 6 t.;

b) i veicoli destinati al trasporto di cose;

b-bis) i veicoli, aventi al massimo nove posti compreso quello del conducente, destinati al trasporto di persone, i veicoli di cui all’articolo 87, comma 2, i veicoli per il trasporto promiscuo, le autocaravan, le caravan ed i rimorchi destinati al trasporto di attrezzature turistiche e sportive.

 

4-bis. L’utilizzo in conto proprio dei veicoli destinati al trasporto di cose di cui al comma 4, lettera b), è ammesso qualora gli stessi abbiano massa complessiva a pieno carico non superiore a 6 t.

 

4-ter. L’utilizzazione di veicoli in locazione senza conducente di cui ai commi 2 e 3, è consentita a condizione che:

a) il contratto di locazione preveda unicamente la messa a disposizione del veicolo senza conducente e non sia abbinato ad un contratto di servizio concluso con la stessa impresa e riguardante il personale di guida o di accompagnamento;

b) il veicolo locato sia esclusivamente a disposizione dell’impresa che lo utilizza, per la durata del contratto di locazione;

c) il veicolo locato sia guidato dal personale proprio dell’impresa che lo utilizza.

 

4-quater. Al fine del rispetto delle condizioni di cui al comma 4-ter, è necessario il possesso, a bordo del veicolo oggetto del contratto di locazione, della seguente documentazione in formato cartaceo o elettronico: a) contratto di locazione o estratto autenticato del medesimo contratto; b) qualora non sia il conducente a locare il veicolo, contratto di lavoro del conducente o estratto autenticato del medesimo contratto.

 

4-quinquies. I documenti di cui al comma 4-quater, lettere a) e b), possono eventualmente essere sostituiti da un documento equivalente secondo le disposizioni vigenti.

5. La carta di circolazione di tali veicoli è rilasciata sulla base della prescritta licenza.

5. Per i veicoli destinati a locazione senza conducente di cui al comma 4, la carta di circolazione è rilasciata alle imprese che esercitano l’attività in conformità a quanto previsto dall'articolo 1 del decreto del Presidente della Repubblica 19 dicembre 2001, n. 481.

6. Il Ministro dei trasporti con proprio decreto, d'intesa con il Ministro dell'interno, è autorizzato a stabilire eventuali criteri limitativi e le modalità per il rilascio della carta di circolazione.

6. Il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, con decreto adottato di concerto con il Ministro dell'interno, può stabilire eventuali ulteriori criteri limitativi, nonché le modalità per il rilascio della carta di circolazione e per l'utilizzo dei veicoli di cui ai commi 2 e 3.

7. Chiunque adibisce a locazione senza conducente un veicolo non destinato a tale uso è soggetto alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 430 ad euro 1.731 se trattasi di autoveicoli o rimorchi ovvero da euro 42 ad euro 173 se trattasi di altri veicoli.

7. Fuori dai casi indicati dai commi 2, 3 e 3-bis, chiunque adibisce a locazione senza conducente un veicolo non destinato a tale uso è soggetto alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 430,00 a euro 1.731,00 se trattasi di autoveicoli o rimorchi ovvero da euro 42,00 a euro 173,00 se trattasi di altri veicoli. Alle stesse sanzioni soggiace chiunque circola con un veicolo adibito a locazione senza conducente e non destinato a tale uso.

 

7-bis. Chiunque utilizza un veicolo in locazione senza conducente di cui ai commi 2 e 3, senza rispettare le condizioni di cui al comma 4-ter è soggetto alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 430,00 a euro 1.731,00.

8. Alla suddetta violazione consegue la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della carta di circolazione per un periodo da due a otto mesi, secondo le norme del capo I, sezione II, del titolo VI.

8. Alle violazioni dei commi 7 e 7-bis consegue la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della carta di circolazione per un periodo da due a otto mesi, secondo le norme del capo I, sezione II, del titolo VI.


In via di sintesi, le nuove disposizioni esplicitano la vigenza del principio di libero stabilimento e circolazione delle imprese di trasporto merci che utilizzino servizi di locazione di mezzi senza conducente. Da questo punto di vista, sono aggiornati e coordinati tutti i rinvii e i riferimenti normativi.

 

Più nel dettaglio:

ü  il nuovo comma 3 dell’art. 84 del codice della strada prevede la possibilità di locare senza conducente anche i trattori;

ü  il nuovo comma 4-ter:

a.     vieta che alla locazione sia collegato un contratto di servizio che includa prestazioni di personale di guida o di accompagnamento;

b.    prescrive l’esclusiva in favore dell’impresa locataria per la durata del contratto;

c.     impone che il veicolo locato sia guidato da personale proprio dell’impresa locataria.

La violazione di queste norme è assistita dalla sanzione amministrativa pecuniaria di euro da 430 a 1.731 (v. comma 7-bis);

ü  il nuovo comma 4-quater, a sua volta, prevede che, in formato cartaceo o elettronico, restino sempre a bordo del veicolo locato:

i)    il contratto di locazione o un suo estratto autenticato;

ii)  se il conducente non sia egli stesso il locatario, il suo contratto di lavoro o un suo estratto autenticato. Tali documenti possono essere sostituiti da documentazione equivalente secondo le disposizioni vigenti;

ü  il nuovo comma 5, prevede che per i veicoli destinati a locazione senza conducente di cui al comma 4, la carta di circolazione è rilasciata alle imprese che esercitano l’attività in conformità a quanto previsto dall'articolo 1 del decreto del Presidente della Repubblica 19 dicembre 2001, n. 481.

 

Quanto invece al testo del decreto-legge, il comma 5, ai sensi dell’articolo 16 del Regolamento 2009/1071/CE, prevede che la targa di immatricolazione del veicolo locato sia iscritta nell’apposito registro elettronico nazionale, a cura del CED del MIT.

 

Il comma 6 indica, ai fini della normativa europea, quale punto di contatto nazionale, la Direzione generale del MIT per la sicurezza stradale e l’autotrasporto, incardinata nel Dipartimento per la mobilità sostenibile.

 

I commi 7 e 8 prevedono rispettivamente l’abrogazione del decreto ministeriale (politiche comunitarie) n. 601 del 1987 e la clausola di invarianza finanziaria.

 


Articolo 24-bis
(Modifiche al decreto legislativo n. 70 del 2014 in tema di diritti e obblighi dei passeggeri ferroviari)

 

 

L’art. 24-bis reca un’ampia novella al decreto legislativo n. 70 del 2014 in materia di diritti e doveri dei passeggeri ferroviari, onde adeguare l’ordinamento italiano al regolamento 2021/782/UE.

 

Introdotto in sede referente al Senato, l’art. 24-bis è volto ad adeguare l’ordinamento interno al regolamento 2021/782/UE in tema di diritti e obblighi dei passeggeri ferroviari, il quale costituisce la rifusione (vale a dire il testo coordinato con le modifiche) del previgente regolamento 2007/1371/CE.

Esso, infatti, reca una ampia modifica al decreto legislativo n. 70 del 2014, il quale conteneva disposizioni di adeguamento a tale ultimo regolamento.

Per ragguagli sul decreto legislativo n. 70 del 2014, si v. il dossier sullo schema, esaminato dalle Commissioni Trasporti di Camera e Senato nella XVII legislatura (atto del Governo n. 75).

 

Premesso che la novella introdotta sostituisce l’espressione “Organismo di controllo” – ovunque ricorra nel testo – con la parola “Organismo”, per una migliore comprensione, si riporta una tabella con testo a fronte.

 

Testo vigente del decreto legislativo n. 70 del 2014

Testo novellato dall’art. 24-bis

Art. 1

Art. 1

1.                Il presente decreto reca la disciplina sanzionatoria per le violazioni delle disposizioni del regolamento (CE) n. 1371/2007 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 ottobre 2007, relativo ai diritti e agli obblighi dei passeggeri del trasporto ferroviario effettuato su tutta la rete sia nazionale che regionale e locale.

Il presente decreto reca la disciplina sanzionatoria per le violazioni delle disposizioni del regolamento 2021/782/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2021, relativo ai diritti e agli obblighi dei passeggeri del trasporto ferroviario (rifusione) effettuato su tutta la rete sia nazionale che regionale e locale.

2. Le disposizioni del presente decreto attengono ai livelli essenziali delle prestazioni di cui all'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione, al fine di garantire uniformi livelli di tutela su tutto il territorio nazionale dei diritti dei passeggeri del trasporto ferroviario indipendentemente dalla tipologia e dall'ambito territoriale in cui è effettuato.

Identico

 

2-bis. Le sanzioni amministrative di cui al presente decreto non si applicano ai servizi prestati esclusivamente per storici o turistici con esclusione delle sanzioni per l’inosservanza degli obblighi di all’art. 14 del regolamento.

Art. 2

Art. 2

Ai fini del presente decreto si applicano le seguenti definizioni:

a) regolamento: regolamento (CE) n. 1371/2007 del Parlamento europeo e del Consiglio del 23 ottobre 2007 in materia di diritti e doveri dei passeggeri del trasporto ferroviario;

b) Autorità: l'Autorità di regolazione dei trasporti istituita dall'articolo 37 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, come modificato dall'articolo 36 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27;

c) Ministero: Ministero delle infrastrutture e dei trasporti;

d) Agenzia: Agenzia nazionale per la sicurezza delle ferrovie, di cui all'articolo 4 del decreto legislativo 10 agosto 2007, n. 162;

e) Organismo di controllo: l'Autorità di cui alla lettera b);

f) CIRSRT: sistema telematico di informazioni e prenotazioni per il trasporto ferroviario;

g) STI: specifiche tecniche di interoperabilità;

h) Condizioni generali di trasporto: le condizioni del vettore, sotto forma di condizioni generali o tariffe legalmente in vigore, che sono diventate, con la conclusione del contratto, parte integrante dello stesso;

i) gestore di stazione: il gestore dell'infrastruttura competente;

l) tour operator: l'organizzatore o il rivenditore, diverso da un'impresa ferroviaria, ai sensi dell'articolo 2, punti 2 e 3, della direttiva 90/314/CEE;

m) venditore di biglietti: qualsiasi rivenditore di servizi di trasporto ferroviario che concluda contratti di trasporto e venda biglietti per conto dell'impresa ferroviaria o per conto proprio;

n) contratto di trasporto: un contratto di trasporto, a titolo oneroso o gratuito, concluso tra un'impresa ferroviaria o un venditore di biglietti e un passeggero, per la fornitura di uno o più servizi di trasporto;

o) impresa ferroviaria: qualsiasi impresa pubblica o privata titolare di una licenza, la cui attività principale consiste nella prestazione di servizi per il trasporto di merci e/o di persone per ferrovia e che garantisce obbligatoriamente la trazione; sono comprese anche le imprese che forniscono la sola trazione;

p) gestore dell'infrastruttura: qualsiasi organismo o impresa incaricati in particolare della creazione e della manutenzione della infrastruttura ferroviaria o di parte di essa, quale definita all'articolo 3 della direttiva 91/440/CEE, compresa eventualmente la gestione dei sistemi di controllo e di sicurezza della infrastruttura.

 

Ai fini del presente decreto si applicano le definizioni di cui al regolamento (UE) n. 2021/782 del Parlamento europeo e del Consiglio del 29 aprile 2021 in materia di diritti e doveri dei passeggeri del trasporto ferroviario nonché le seguenti:

a) regolamento: regolamento (UE) n. 2021/782 del Parlamento europeo e del Consiglio del 29 aprile 2021 in materia di diritti e doveri dei passeggeri del trasporto ferroviario (rifusione);

b) Autorità: l'Autorità di regolazione dei trasporti istituita dall'articolo 37 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, come modificato dall'articolo 36 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27;

c) Ministero: Ministero delle infrastrutture e dei trasporti;

d) Agenzia: Agenzia nazionale per la sicurezza delle ferrovie e delle infrastrutture stradali e autostradali, di cui all'articolo 12 del decreto-legge 28 settembre 2018, convertito nella legge 16 novembre 2018, n. 130;

e) Organismo: Organismo nazionale di applicazione di cui all’art. 31 del regolamento;

f) CIRSRT: sistema telematico di informazioni e prenotazioni per il trasporto ferroviario;

g) STI: specifiche tecniche di interoperabilità;

h) Condizioni generali di trasporto: le condizioni del vettore, sotto forma di condizioni generali o tariffe legalmente in vigore, che sono diventate, con la conclusione del contratto, parte integrante dello stesso;

i) gestore di stazione: il gestore dell'infrastruttura competente;

l) tour operator: l'organizzatore o il rivenditore, diverso da un'impresa ferroviaria, ai sensi dell'articolo 2, punti 2 e 3, della direttiva 90/314/CEE;

m) venditore di biglietti: qualsiasi rivenditore di servizi di trasporto ferroviario che concluda contratti di trasporto e venda biglietti per conto dell'impresa ferroviaria o per conto proprio;

n) contratto di trasporto: un contratto di trasporto, a titolo oneroso o gratuito, concluso tra un'impresa ferroviaria o un venditore di biglietti e un passeggero, per la fornitura di uno o più servizi di trasporto;

o) impresa ferroviaria: qualsiasi impresa pubblica o privata titolare di una licenza, la cui attività principale consiste nella prestazione di servizi per il trasporto di merci e/o di persone per ferrovia e che garantisce obbligatoriamente la trazione; sono comprese anche le imprese che forniscono la sola trazione;

p) gestore dell'infrastruttura: qualsiasi organismo o impresa incaricati in particolare della creazione e della manutenzione della infrastruttura ferroviaria o di parte di essa, quale definita all'articolo 3 della direttiva 91/440/CEE, compresa eventualmente la gestione dei sistemi di controllo e di sicurezza della infrastruttura.

Art. 3

Art. 3

1. L'Organismo di controllo, di cui all'articolo 30 del regolamento, competente per lo svolgimento delle funzioni di cui all'articolo 4 è individuato nell'Autorità di regolazione dei trasporti.

1. L'Organismo, competente per lo svolgimento delle funzioni di cui all'articolo 4 è individuato nell'Autorità di regolazione dei trasporti. Essa è altresì responsabile dell’applicazione del regolamento 2017/2394/UE, relativamente alla materia disciplinata dal regolamento 2021/782/UE.

Art. 4

Art. 4

1.L'Organismo di controllo vigila sulla corretta applicazione del regolamento e può effettuare monitoraggi e indagini conoscitive sui servizi di cui al regolamento stesso, per quanto ivi previsto. L'Organismo è, altresì, responsabile dell'accertamento delle violazioni delle disposizioni del regolamento e dell'irrogazione delle sanzioni previste dal presente decreto.

1.L'Organismo vigila sulla corretta applicazione del regolamento e adotta le misure necessarie per assicurare il rispetto dei diritti dei passeggeri. E’ responsabile dell'accertamento delle violazioni delle disposizioni del regolamento e dell'irrogazione delle sanzioni previste dal presente decreto. Esercita le funzioni di cui agli artt. 6, paragrafo 4, ultimo comma, 18, paragrafo 5, e 19, paragrafo 6, del regolamento.

2. Per le funzioni di cui al comma 1, l'Organismo di controllo può acquisire dalle imprese ferroviarie, dal gestore dell'infrastruttura o da qualsiasi altro soggetto interessato o coinvolto informazioni e documentazione e può effettuare verifiche e ispezioni presso le imprese ferroviarie o il gestore dell'infrastruttura.

2.Ai fini di cui al comma 1, l’Organismo può:

a) effettuare monitoraggi e indagini conoscitive sui servizi di cui al regolamento stesso, per quanto ivi previsto;

b) acquisire dalle imprese ferroviarie, dai gestori delle stazioni, dai gestori dell'infrastruttura, dai venditori di biglietti, dai tour operator e da qualsiasi altro soggetto interessato o coinvolto informazioni e documentazione e può effettuare verifiche e ispezioni;

c) prescrivere la cessazione delle condotte in contrasto con il regolamento, disponendo se del caso le misure opportune di ripristino. 

3. L'Organismo di controllo riferisce al Parlamento in ordine all'applicazione del regolamento ed all'attività espletata con riferimento all'anno solare precedente nell'ambito della relazione di cui all'articolo 37, comma 5, primo periodo, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, e successive modificazioni. Ogni volta che lo ritenga necessario, l'Organismo di controllo può avanzare al Parlamento e al Governo proposte di modifica del presente decreto, anche con riferimento alla misura delle sanzioni irrogate.

Identico

4.  Ogni passeggero, dopo aver presentato un reclamo all'impresa ferroviaria, trascorsi trenta giorni dalla presentazione può presentare un reclamo all'Organismo di controllo di cui all'articolo 3 per presunte infrazioni al regolamento, anche avvalendosi di strumenti telematici e di semplificazione, secondo modalità tecniche stabilite con provvedimento dell'Organismo di controllo adottato entro sessanta giorni dalla pubblicazione del presente decreto. L'Organismo di controllo istruisce e valuta i reclami pervenuti ai fini dell'accertamento dell'infrazione.

4.  Ogni passeggero, dopo aver presentato reclamo ai sensi dell’art. 28 del regolamento, può presentare, entro tre mesi dal ricevimento della risposta al predetto reclamo ritenuta non satisfattiva, un reclamo all'Organismo, anche avvalendosi di strumenti telematici e di semplificazione, secondo modalità tecniche stabilite con provvedimento dell'Organismo.

5.  Per i servizi di competenza regionale e locale i reclami possono essere inoltrati anche alle competenti strutture regionali che provvedono a trasmetterli, unitamente ad ogni elemento utile ai fini della definizione del procedimento per l'accertamento e l'irrogazione delle sanzioni di cui all'articolo 5, all'Organismo di controllo con periodicità mensile. Con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti sono individuate le predette strutture regionali sulla base delle indicazioni fornite dalle singole regioni. Per tutti gli altri servizi il reclamo è inoltrato direttamente all'Organismo di controllo.

5. L'Organismo istruisce e valuta i reclami pervenuti ai fini dell'accertamento dell'infrazione.

Art. 5

Art. 5

1. Per l'accertamento e l'irrogazione delle sanzioni amministrative pecuniarie da parte dell'Organismo si osservano, in quanto compatibili con quanto previsto dal presente articolo, le disposizioni contenute nel capo I, sezioni I e II, della legge 24 novembre 1981, n. 689. L'Organismo, con proprio regolamento, da adottare entro sessanta giorni dalla pubblicazione del presente decreto, nel rispetto della legislazione vigente in materia, disciplina i procedimenti per l'accertamento e l'irrogazione delle sanzioni, in modo da assicurare agli interessati la piena conoscenza degli atti istruttori, il contraddittorio in forma scritta e orale, la verbalizzazione e la separazione tra funzioni istruttorie e funzioni decisorie. Il regolamento disciplina i casi in cui, con l'accordo dell'impresa destinataria dell'atto di avvio del procedimento sanzionatorio, possono essere adottate modalità procedurali semplificate di irrogazione delle sanzioni amministrative pecuniarie.

1. Per l'accertamento e l'irrogazione delle sanzioni amministrative pecuniarie da parte dell'Organismo si osservano, in quanto compatibili con quanto previsto dal presente articolo, le disposizioni contenute nel capo I, sezioni I e II, della legge 24 novembre 1981, n. 689, fatto salvo quanto previsto dall’art. 20 del presente decreto con riferimento all’art. 16 della medesima legge. L'Organismo, con proprio regolamento, da adottare entro sessanta giorni dalla pubblicazione del presente decreto, nel rispetto della legislazione vigente in materia, disciplina i procedimenti per l'accertamento e l'irrogazione delle sanzioni, in modo da assicurare agli interessati la piena conoscenza degli atti istruttori, il contraddittorio in forma scritta e orale, la verbalizzazione e la separazione tra funzioni istruttorie e funzioni decisorie. Il regolamento disciplina i casi in cui, con l'accordo dell'impresa destinataria dell'atto di avvio del procedimento sanzionatorio, possono essere adottate modalità procedurali semplificate di irrogazione delle sanzioni amministrative pecuniarie.

2. L'Organismo, valutati gli elementi comunque in suo possesso e quelli portati a sua conoscenza da chiunque vi abbia interesse, dà avvio al procedimento sanzionatorio mediante contestazione immediata o la notificazione degli estremi della violazione.

Identico

3. L'Organismo di controllo determina l'importo delle sanzioni amministrative pecuniarie nell'ambito del minimo e massimo edittale previsto per ogni fattispecie di violazione dal presente decreto, nel rispetto dei principi di effettività e proporzionalità ed in funzione:

a) della gravità della violazione;

b) della reiterazione della violazione;

c) dalle azioni poste in essere per la eliminazione o attenuazione delle conseguenze della violazione;

d) del rapporto percentuale dei passeggeri coinvolti dalla violazione rispetto a quelli trasportati.

 

Identico

 

4. Le somme derivanti dal pagamento delle sanzioni sono versate all'entrata del bilancio dello Stato per la successiva riassegnazione in un apposito fondo da istituire nello stato di previsione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, per il finanziamento di progetti a vantaggio dei consumatori dei settori dei trasporti. Con successivo decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, su proposta dell'Organismo di controllo, adottato d'intesa con la Conferenza Stato-regioni e province autonome, il predetto fondo è assegnato a progetti del predetto Ministero, e alle regioni, in misura tale che a ciascuna regione sia trasferito l'importo corrispondente all'ammontare derivante dal pagamento delle sanzioni, applicate in relazione ai servizi di trasporto ferroviario di competenza regionale e locale, riferibili al proprio territorio.

Identico

5. L'Organismo di controllo, qualora venga a conoscenza di violazioni ai sensi del presente articolo che appaiono suscettibili di mettere in pericolo la sicurezza ed il buon funzionamento dell'esercizio ferroviario, ne informa tempestivamente l'Agenzia.

5. L'Organismo, qualora venga a conoscenza di violazioni ai sensi del presente articolo che appaiono suscettibili di mettere in pericolo la sicurezza della circolazione e il buon funzionamento dell'esercizio ferroviario, ne informa tempestivamente l'Agenzia.

6. Tutte le notizie, le informazioni o i dati riguardanti i soggetti passivi interessati dalla fase istruttoria del procedimento sanzionatorio sono tutelati dal segreto d'ufficio.

6. Tutte le notizie, le informazioni o i dati riguardanti i soggetti passivi interessati dal procedimento sanzionatorio e comunque acquisti durante il medesimo procedimento sanzionatorio sono tutelati dal segreto d'ufficio.

Art. 6

Art. 6

1. In caso di inosservanza dell'obbligo di cui all'articolo 5 del regolamento relativo alla possibilità di trasporto delle biciclette a bordo del treno, le imprese ferroviarie sono soggette al pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria da 200 euro a 1.000 euro.

1. In caso di inosservanza degli obblighi di cui agli articoli 5 e 6, da 8 a 11, 12, ad eccezione del paragrafo 7, da 14 a 17, 18, ad eccezione del paragrafo 5, 19, ad eccezione del paragrafo 7, 20, 27, 28, paragrafi 1, 3 e 4, nonché agli articoli 29 e 30 del regolamento, l'impresa ferroviaria, il gestore di infrastruttura, il gestore della stazione, il tour operator, il venditore di biglietti, sono soggetti al pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria da 5.000 euro a 50.000 euro.

 

2. Con riferimento all'articolo 11, paragrafo 4, ultimo comma, del regolamento, fatto salvo quanto previsto al comma 3 del presente articolo, qualora anche solo temporaneamente non sia disponibile nella stazione di partenza o in prossimità della stessa alcuna modalità di vendita dei biglietti e l'acquisto riguardi un servizio ricompreso nell'ambito di un contratto di servizio pubblico, il biglietto è rilasciato a bordo treno senza alcun sovrapprezzo comunque denominato. In caso di inosservanza del divieto di applicare detto sovrapprezzo, l'impresa ferroviaria è soggetta al pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria da euro 2.000 a euro 10.000. Ai fini della valutazione della violazione si tiene conto delle esigenze delle persone con disabilità o a mobilità ridotta. Non è da ritenersi prossima la modalità di vendita posta ad una distanza superiore a un chilometro dalla stazione.

 

3. Le imprese ferroviarie che non intendano offrire la possibilità di ottenere biglietti a bordo treno, qualora ciò sia limitato o negato per motivi di sicurezza o di politica antifrode o a causa dell'obbligo di prenotazione o per ragionevoli ragioni commerciali, ai sensi dell'articolo 11, paragrafo 4, comma 1, del regolamento, ne danno motivata informazione all'Organismo e rendono pubblica tale decisione, anche mediante pubblicazione nelle Condizioni generali di trasporto.

 

Art. 6-bis

 

1. In caso di inosservanza degli obblighi di cui agli articoli 12, paragrafo 7, 18, paragrafo 5, 19, paragrafo 7, e 28, paragrafo 2, del regolamento, il venditore di biglietti, il tour operator, l'impresa ferroviaria e il gestore della stazione sono soggetti al pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria da 1.000 euro a 5.000 euro.

Art. 7

Art. 7

1. Sono inefficaci le clausole derogatorie o restrittive degli obblighi nei confronti dei passeggeri che siano introdotte nel contratto di trasporto in violazione dell'articolo 6, paragrafo 1, del regolamento.

1. Sono inefficaci le clausole derogatorie o restrittive degli obblighi nei confronti dei passeggeri che siano introdotte nel contratto di trasporto in violazione dell'articolo 7 del regolamento. L'Organismo può ordinare la modifica della clausola derogatoria o restrittiva.

Art. 8

Art. 8

1. Nel caso in cui spetti all'impresa ferroviaria rendere preventivamente pubblica la propria decisione di sopprimere un servizio, ai sensi dell'articolo 7 del regolamento, e tale obbligo risulti inosservato, l'impresa ferroviaria è soggetta al pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria da 2.000 euro a 20.000 euro.

Abrogato

Art. 9

Art. 9

1. In caso di inosservanza di ciascuno degli obblighi informativi relativi ai viaggi oggetto del contratto di trasporto di cui all'allegato II, parte I, del regolamento, ai sensi dell'articolo 8, paragrafo 1, del regolamento, le imprese ferroviarie e i venditori di biglietti che offrono contratti di trasporto per conto di una o più imprese ferroviarie sono soggetti al pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria da 1.000 euro a 5.000 euro. Alla stessa sanzione sono soggetti i venditori di biglietti che offrono contratti di trasporto per conto proprio e i tour operator qualora abbiano la disponibilità delle suddette informazioni.

Abrogato

2. In caso di inosservanza di ciascuno degli obblighi di cui all'allegato II, parte II, del regolamento, ai sensi dell'articolo 8, paragrafo 2, del regolamento, le imprese ferroviarie sono soggette al pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria da 1.000 euro a 5.000 euro.

 

Art. 10

Art. 10

1. I canali e le modalità di vendita dei biglietti devono presentare ampie accessibilità e facilità di fruizione. Le imprese ferroviarie forniscono informazione al pubblico adeguata e trasparente, anche mediante servizi telematici, in ordine ai canali ed alle modalità di vendita dei biglietti nonché alle condizioni e ai prezzi applicati.

Abrogato

2. In caso di inosservanza dell'obbligo di cui all'articolo 9, paragrafo 2, del regolamento, relativo alle modalità di distribuzione dei biglietti per i servizi di trasporto non oggetto di contratto di servizio pubblico, le imprese ferroviarie sono soggette al pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria da 5.000 euro a 20.000 euro.

 

3. In caso di inosservanza dell'obbligo di cui all'articolo 9, paragrafo 3, del regolamento, relativo alle modalità di distribuzione dei biglietti per i servizi oggetto di contratti di servizio pubblico, le imprese ferroviarie sono soggette al pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria da 5.000 euro a 20.000 euro.

 

4. Fatto salvo quanto previsto al comma 5, qualora anche solo temporaneamente non sia disponibile nella stazione di partenza o in prossimità della stessa alcuna modalità di vendita dei biglietti e l'acquisto riguardi un servizio ricompreso nell'ambito di un contratto di servizio pubblico, il biglietto è rilasciato a bordo treno senza alcun sovrapprezzo comunque denominato. In caso di inosservanza del divieto di applicare detto sovrapprezzo, l'impresa ferroviaria è soggetta al pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria da 1.000 euro a 5.000 euro.

 

5. Le imprese ferroviarie che non intendano offrire la possibilità di ottenere biglietti a bordo treno, qualora ciò sia limitato o negato per motivi di sicurezza o di politica antifrode o a causa dell'obbligo di prenotazione o per ragionevoli ragioni commerciali, ai sensi dell'articolo 9, paragrafo 4, del regolamento, ne danno motivata informazione all'Organismo di controllo e rendono pubblica tale decisione, anche mediante pubblicazione nelle Condizioni generali di trasporto.

 

6. In caso di inosservanza dell'obbligo di informare i viaggiatori della mancanza di biglietteria o distributore automatico in stazione, di cui all'articolo 9, paragrafo 5, del regolamento, le imprese ferroviarie sono soggette al pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria da 1.000 euro a 5.000 euro.

 

Art. 11

Art. 11

1. Le imprese ferroviarie che violano l'obbligo imposto dall'articolo 10, paragrafo 4, del regolamento, sono soggette al pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria da 5.000 euro a 20.000 euro.

Abrogato

2. In caso di inosservanza del divieto di non fornire informazioni personali su singole prenotazioni ad altre imprese ferroviarie o venditori di biglietto ovvero ad entrambi, di cui all'articolo 10, paragrafo 5, del regolamento, fatta salva l'applicazione delle norme vigenti in materia di tutela della riservatezza, le imprese ferroviarie o venditori di biglietto sono soggetti al pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria da 1.000 euro a 5.000 euro. L'Organismo di controllo, qualora venga a conoscenza di inosservanze ai sensi del presente comma, ne informa tempestivamente il Garante per la protezione dei dati personali di cui al decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196.

 

Art. 12

Art. 12

1. In caso di inosservanza dell'obbligo di copertura assicurativa minima definita ai sensi dell'articolo 12, paragrafo 2, del regolamento, le imprese ferroviarie sono soggette al pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria da 50.000 euro a 150.000 euro.

Abrogato

Art. 13

Art. 13

1. In caso di inosservanza dell'obbligo di corrispondere il pagamento anticipato per il decesso o ferimento del passeggero, di cui all'articolo 13, paragrafi 1 e 2, del regolamento, le imprese ferroviarie sono soggette al pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria da 10.000 euro a 20.000 euro in caso di lesioni del passeggero e da 20.000 euro a 40.000 euro in caso di decesso. L'importo della sanzione applicata non è detraibile dalla somma dovuta a titolo di risarcimento qualora sia accertata la responsabilità dell'impresa ferroviaria.

Abrogato

Art. 14

Art. 14

1. L'impresa ferroviaria rende conoscibili ai passeggeri, secondo forme e con mezzi idonei, ed anche mediante l'istituzione di servizi su portali internet, le disposizioni concernenti le modalità di indennizzo e di risarcimento in caso di responsabilità per ritardi, perdite di coincidenze o soppressione di treni, come previsti dagli articoli 15, 16 e 17 del regolamento. In caso di inosservanza di tale obbligo l'impresa ferroviaria è soggetta al pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria da 1.000 euro a 5.000 euro.

Abrogato

2. Per ogni singolo evento con riferimento al quale l'impresa abbia omesso di adempiere agli obblighi di cui agli articoli 15, 16 e 17 del regolamento, previsti in caso di ritardi, coincidenze perse o soppressioni, l'impresa ferroviaria è soggetta al pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria da 2.000 euro a 10.000 euro.

 

3. Per ogni singolo caso di ritardo nella corresponsione dei rimborsi e degli indennizzi previsti dagli articoli 16 e 17 del regolamento che superino di tre volte il termine di un mese dalla presentazione della domanda previsto dall'articolo 17, paragrafo 2, del regolamento, l'impresa ferroviaria è soggetta al pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria da 150 euro a 500 euro.

 

Art. 15

Art. 15

1. Salvo quanto previsto al comma 2, in caso di inosservanza di ciascuno degli obblighi di cui all'articolo 18 del regolamento, in materia di assistenza al viaggiatore in caso di ritardo o interruzione del viaggio, l'impresa ferroviaria è soggetta al pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria da 2.000 euro a 10.000 euro per ogni evento verificatosi.

Abrogato

2. In caso di inosservanza dell'obbligo di fornire servizi di trasporto alternativo nel caso in cui il viaggio non possa essere proseguito, ai sensi dell'articolo 18, paragrafo 3, del regolamento, le imprese ferroviarie sono soggette al pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria da 2.000 euro a 10.000 euro per ogni evento verificatosi.

 

Art. 16

Art. 16

1. Le imprese ferroviarie ed i gestori di stazione, entro sessanta giorni dall'entrata in vigore del presente decreto, sono tenuti a dare comunicazione all'Organismo di controllo delle norme di accesso non discriminatorie adottate per garantire il diritto di trasporto di persone con disabilità e persone a mobilità ridotta in conformità a quanto previsto dalle disposizioni del capo V del regolamento e dagli articoli 18 e 21, paragrafo 1, del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea. In caso di inosservanza di tale obbligo, le imprese ferroviarie o i gestori di stazione sono soggetti al pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria di 500 euro per ogni giorno di ritardo e sino ad un massimo di 100.000 euro.

Abrogato

2. Per ogni singolo caso di inosservanza degli obblighi previsti dalle disposizioni di cui agli articoli 19, paragrafo 2, 20, 21, paragrafo 2, 22, paragrafi 1 e 3, 23, paragrafo 1, 24 e 25, del regolamento, concernenti le prenotazioni e le vendite dei biglietti, le informazioni, l'accessibilità al trasporto ferroviario, l'assistenza nelle stazioni e l'assistenza a bordo di persone con disabilità e persone a mobilità ridotta, le imprese ferroviarie, i gestori di stazione il venditore di biglietti o il tour operator in ragione dei rispettivi obblighi sono soggetti al pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria da 200 euro a 1.000 euro.

 

3. Nel caso di mancato o non conforme adeguamento alle STI previste a tutela dell'accessibilità delle stazioni, delle banchine, del materiale rotabile e degli altri servizi alle persone a mobilità ridotta, ai sensi dell'articolo 21, paragrafo 1, del regolamento, da valutarsi anche in relazione al piano pluriennale di interventi per l'accessibilità delle stazioni e alla relativa copertura economico-finanziaria, da definire nell'ambito del contratto di programma stipulato con lo Stato, le imprese ferroviarie e i gestori di stazione sono soggetti al pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria da 2.000 euro a 10.000 euro, per ogni singolo caso.

 

Art. 17

Art. 17

1. Le imprese ferroviarie, i gestori delle infrastrutture e i gestori delle stazioni adottano le misure idonee, stabilite di concerto con le autorità pubbliche, allo scopo di assicurare la sicurezza personale dei passeggeri come prescritto dall'articolo 26 del regolamento. In caso di inosservanza del predetto obbligo le imprese ferroviarie, i gestori delle infrastrutture e i gestori delle stazioni sono soggetti al pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria da 1.000 euro a 5.000 euro. Restano fermi in ogni caso i compiti e gli interventi di esclusiva responsabilità degli organi di polizia e di pubblica sicurezza, come stabiliti dalle norme vigenti.

Abrogato

Art. 18

Art. 18

1. Le imprese ferroviarie, entro centottanta giorni dalla entrata in vigore del presente decreto, sono tenute a regolare, ai sensi dell'articolo 27, paragrafo 1, del regolamento, la raccolta dei reclami presentati in relazione ai diritti ed agli obblighi contemplati dal regolamento ed istituiscono meccanismi e strutture per il loro trattamento. In caso di inosservanza di tale obbligo le imprese ferroviarie sono soggette al pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria da 5.000 euro a 20.000 euro. Alla stessa sanzione sono soggette le imprese ferroviarie che non provvedano a diffondere tra i passeggeri informazioni sulle modalità di organizzazione del servizio preposto alla raccolta ed al trattamento degli esposti in caso.

Abrogato

2. Per ogni singolo caso accertato di inosservanza degli obblighi previsti dall'articolo 27, paragrafo 2, del regolamento, le imprese ferroviarie sono soggette al pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria da 200 euro a 1.000 euro.

 

3. Le imprese ferroviarie rendono pubbliche, tramite inserimento nella relazione annuale sulla qualità del servizio di cui all'articolo 19, comma 2, le informazioni relative al numero e alle categorie degli esposti ricevuti e trattati, ai tempi di risposta e alle misure adottate per migliorare eventualmente le procedure, ai sensi dell'articolo 27, paragrafo 3, del regolamento. Nel caso di inosservanza di tale obbligo l'impresa è soggetta al pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria da 200 euro a 1.000 euro.

 

Art. 19

Art. 19

1. Le imprese ferroviarie, entro centottanta giorni dall'entrata in vigore del presente decreto, hanno l'obbligo di comunicare all'Organismo di controllo le norme adottate in materia di qualità del servizio ai sensi dell'articolo 28, paragrafo 1, del regolamento, che devono contenere almeno gli elementi di cui all'allegato III del regolamento. Per l'inosservanza di tale obbligo l'impresa ferroviaria è soggetta al pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria da 2.000 euro a 10.000 euro.

Abrogato

2. Le imprese ferroviarie sono tenute a pubblicare sul loro sito internet e a mettere a disposizione sul sito internet dell'ERA - Agenzia ferroviaria europea, una relazione annuale sulle prestazioni in materia di qualità del servizio, ai sensi dell'articolo 28, paragrafo 2, del regolamento. In caso di inosservanza le imprese sono soggette al pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria pari a 2.000 euro a 10.000 euro.

 

Art. 20

Art. 20

1. In caso di violazione degli obblighi di cui all'articolo 29, paragrafi 1 e 2, del regolamento, in materia di informazioni ai passeggeri in merito ai diritti di cui beneficiano e agli obblighi che su loro incombono, le imprese ferroviarie, i gestori delle stazioni e i tour operator, sono soggetti al pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria da 200 euro a 1.000 euro.

1. In caso di inosservanza degli obblighi di cui agli articoli da 21 a 26 del regolamento, l'impresa ferroviaria, il gestore di infrastruttura, il gestore della stazione, il tour operator, il venditore di biglietti, sono soggetti al pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria da 5.000 euro a 50.000 euro.

 

2. Alle sanzioni di cui al comma 1 non si applica l'articolo 16 della legge 24 novembre 1981, n. 689.

 

Art. 20-bis

 

1. In caso di mancata ottemperanza agli ordini di cui all'articolo 7 del presente decreto nonché agli ordini di cessazione delle condotte lesive di cui all'articolo 4, comma 2, lettera c), disposti dall'Organismo, il soggetto passivo è tenuto al pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria da euro 500 a 2.000 per ogni giorno di ritardo nella rimozione della condotta lesiva.

 

Art. 20-ter

 

1. I destinatari di una richiesta formulata, ai sensi dell'articolo 32, paragrafo 2, del regolamento, dall'Organismo, che forniscono informazioni inesatte, fuorvianti o incomplete ovvero non forniscano le informazioni nel termine stabilito, sono soggetti al pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria da euro 5.000 a euro 50.000.

 

2. Le modifiche di cui al comma 1 si applicano alle violazioni del regolamento (UE) n. 2021/782 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2021, a decorrere dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto. Per le violazioni delle disposizioni del regolamento (CE) n. 1371/2007 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 ottobre 2007, precedenti alla data del 7 giugno 2023 continua a trovare applicazione il decreto legislativo 17 aprile 2014, n. 70, nel testo vigente prima dell'approvazione delle modifiche di cui al comma 1.

 

3. L'Organismo adegua i propri regolamenti alle modifiche di cui al comma 1 entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, nel rispetto della legislazione vigente in materia e in modo da assicurare ai soggetti passivi la piena conoscenza degli atti istruttori, il contraddittorio in forma scritta e orale, la verbalizzazione e la separazione tra funzioni istruttorie e funzioni decisorie. Il regolamento disciplina i casi in cui, con l'accordo dell'impresa destinataria dell'atto di avvio del procedimento sanzionatorio, possono essere adottate modalità procedurali semplificate di irrogazione delle sanzioni amministrative pecuniarie.

 

4. Dall'attuazione delle disposizioni del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. Le Amministrazioni interessate provvedono all'adempimento dei compiti derivanti dal presente articolo avvalendosi delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.

 

 In definitiva e in sintesi, il decreto legislativo n. 70 del 2014 come novellato:

 

Ø  dà all’Organismo poteri più incisivi (v. per esempio artt. 4, comma 2, e 7);

Ø  ridisegna il meccanismo dei reclami degli utenti dei servizi ferroviari, adeguandolo all’art. 28 del nuovo regolamento UE. In particolare, il combinato disposto di quest’ultima disposizione con l’art. 4, comma 4, del testo legislativo novellato prevede che:

 

o   le imprese ferroviarie e i gestori di stazione che abbiano in media un flusso di più di 10 mila passeggeri al giorno nel corso di un anno, sono tenute a un'ampia diffusione tra i passeggeri delle loro informazioni di contatto e della loro lingua, o lingue, di lavoro e a istituire un meccanismo per la gestione dei reclami (eccezione fatta per quel che concerne i bagagli);

o   i passeggeri possono presentare un reclamo entro tre mesi dall'inconveniente. Entro un mese dalla ricezione del reclamo il destinatario fornisce una risposta motivata o, in casi giustificati, informa il passeggero che riceverà una risposta nell'ambito di un periodo inferiore a tre mesi dalla data di ricezione del reclamo. Le imprese ferroviarie e i gestori delle stazioni conservano i dati necessari per esaminare il reclamo per la durata dell'intera procedura;

o   entro tre mesi dal ricevimento della risposta ritenuta non satisfattiva, l’utente può proporre reclamo all’Organismo;

 

Ø  prevede tutele speciali per i passeggeri con disabilità o con mobilità ridotta;

Ø  semplifica l’apparato delle sanzioni amministrative. In particolare, è prevista la sanzione pecuniaria di euro da:

o   5000 a 50.000 per tutte le violazioni del regolamento indicate nell’art. 6, per quelle inerenti alla tutela delle persone con disabilità o mobilità ridotta (e, in questi casi, non è consentito il pagamento in misura ridotta ex art. 16 della legge n. 689 del 198) e per la resa all’Organismo di informazioni inesatte, fuorvianti, incomplete o intempestive;

o   2000 a 10.000 per la violazione del divieto di praticare sovraprezzi;

o   1000 a 5000 per la violazione delle norme in tema di biglietti cumulativi, itinerari alternativi, rimborsi, indennizzi e reclami;

o   500 a 2000 al giorno di ritardo, per la violazione delle prescrizioni dell’Organismo in tema di rimozione di condotte lesive.     


Articolo 24-ter
(Modifiche all’articolo 48 del decreto-legge 31 maggio 2021, n. 77. Procedura di infrazione n. 2018/2273)

 

 

L’articolo 24-ter, inserito durante l'esame in sede referente, modifica le condizioni per l’utilizzo, ai fini dell’affidamento di alcuni contratti pubblici (in particolare quelli relativi al PNRR-PNC), della procedura negoziata senza pubblicazione del bando di gara.

 

 

L’articolo in esame riscrive il comma 3 dell’art. 48 del D.L. 77/2021, che amplia le possibilità di ricorso, ai fini dell’affidamento di alcuni contratti pubblici (in particolare quelli relativi al PNRR-PNC), della procedura negoziata senza pubblicazione del bando di gara.

La riscrittura in esame opera modifiche solo relativamente al primo periodo del comma 3 in questione, ove sono appunto contenute le condizioni che – in aggiunta a quelle previste dalla disciplina ordinaria dei contratti pubblici – consentono il ricorso alla succitata procedura negoziata senza bando. Viene inoltre inserito un periodo (tra i vigenti periodi primo e secondo) volto a regolare la transizione tra il “vecchio” Codice dei contratti pubblici (di cui al D.Lgs. 50/2016) e il “nuovo” Codice (D.Lgs. 36/2023).

In relazione al testo vigente del primo periodo del comma 3 dell’art. 48 del D.L. 77/2021, si ricorda che lo stesso prevede che le stazioni appaltanti possono ricorrere alla procedura in questione (che all’epoca dell’entrata in vigore di tale decreto-legge era disciplinata dagli articoli 63 e 125 del D.Lgs. 50/2016, rispettivamente per i settori ordinari e per quelli speciali) “nella misura strettamente necessaria, quando, per ragioni di estrema urgenza derivanti da circostanze imprevedibili, non imputabili alla stazione appaltante, l'applicazione dei termini, anche abbreviati, previsti dalle procedure ordinarie può compromettere la realizzazione degli obiettivi o il rispetto dei tempi di attuazione di cui al PNRR nonché al PNC e ai programmi cofinanziati dai fondi strutturali dell'Unione Europea”.

Il nuovo testo, risultante dalle modifiche operate dall'articolo in esame:

·     precisa l’ambito di applicazione delle disposizioni recate dal comma 3, specificando che le stesse si applicano per la realizzazione degli investimenti di cui al comma 1 del medesimo articolo 48, cioè “gli investimenti pubblici, anche suddivisi in lotti funzionali, finanziati, in tutto o in parte, con le risorse previste dal PNRR e dal PNC e dai programmi cofinanziati dai fondi strutturali dell'Unione europea, e alle infrastrutture di supporto ad essi connesse, anche se non finanziate con dette risorse”;

·     elimina le possibilità aggiuntive di ricorso alla procedura negoziata introdotte dal testo vigente del comma 3 (illustrate in precedenza), consentendo quindi l’applicazione di tale procedura ai soli casi previsti dalla disciplina ordinaria dei contratti pubblici; il nuovo testo prevede infatti l’applicabilità della procedura di cui agli articoli 63 e 125 del “vecchio” Codice dei contratti pubblici (D.Lgs. 50/2016) qualora sussistano i relativi presupposti;

·     precisa che trova applicazione l’art. 226, comma 5, del D.Lgs. 36/2023.

Tale comma 5 stabilisce che ogni richiamo in disposizioni legislative, regolamentari o amministrative vigenti al decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, o al codice dei contratti pubblici vigente alla data di entrata in vigore del “nuovo” Codice, si intende riferito alle corrispondenti disposizioni del “nuovo” Codice o, in mancanza, ai principi desumibili dallo stesso.

Si fa notare che la disciplina relativa alla procedura negoziata senza bando nei settori ordinari e speciali recata, rispettivamente, dagli articoli 63 e 125 del D.Lgs. 50/2016 è stata trasposta, con limitate modifiche, negli articoli 76 e 158 del D.Lgs. 36/2023.

 


Articolo 25
(Modifica al decreto legislativo 8 novembre 2021, n. 198, in materia di pratiche commerciali sleali nei rapporti tra imprese nella filiera agricola e alimentare. Caso EU Pilot 10375/22/AGRI)

 

 

L'articolo 25 modifica le norme di attuazione della disciplina europea in materia di pratiche commerciali sleali nei rapporti tra imprese nella filiera agricola e alimentare. In primo luogo, vengono espressamente incluse nel relativo ambito di applicazione le cessioni di prodotti agricoli ed alimentari eseguite da fornitori che siano stabiliti in altri Stati membri o in Paesi terzi quando l’acquirente è stabilito in Italia. In secondo luogo, viene modificata la disciplina relativa all’annullamento degli ordini di prodotti agricoli e alimentari deperibili, mantenendo il divieto in caso di preavviso inferiore a 30 giorni, ma non escludendo che l’annullamento dell’ordine con un preavviso superiore a tale termine possa essere ugualmente classificato come pratica commerciale sleale, ove il preavviso sia considerato talmente breve da far ragionevolmente presumere che il fornitore non possa trovare destinazioni alternative per i propri prodotti. Infine, viene previsto che le denunce relative all’attuazione di pratiche commerciali vietate possono essere presentate all’ICQRF, anche da parte di fornitori stabiliti in altri Stati membri o Paesi terzi quando l’acquirente è stabilito nel territorio nazionale.

 

L’articolo in esame modifica il decreto legislativo n. 198 del 2021, emanato in attuazione della direttiva (UE) 2019/633 in materia di pratiche commerciali sleali nei rapporti tra imprese nella filiera agricola e alimentare, alla luce dei rilievi formulati dalla Commissione nell’ambito del caso EUP (2022) 10375.

Tali rilievi riguardano i seguenti profili:

1)    l’articolo 1 del decreto legislativo n. 198 del 2021 non include nell’ambito di applicazione le cessioni in cui solo l’acquirente sia stabilito in Italia mentre il fornitore è stabilito in un altro Stato membro;

2)    l’articolo 4 omette di recepire la disposizione della direttiva secondo cui sono sleali anche gli annullamenti comunicati con un preavviso superiore a 30 giorni ma talmente breve da far ragionevolmente presumere che i fornitori non possano trovare destinazioni alternative per i loro prodotti;

3)    l’articolo 9 non riflette pienamente quanto disposto dall’articolo 5 della direttiva, poiché non consente ai fornitori di altri Stati membri o di Paesi terzi di presentare la denuncia all’Autorità italiana quando l’acquirente è stabilito nel territorio nazionale.

 

Pertanto, l’articolo in esame in primo luogo modifica l’articolo 1, comma 2, del decreto, includendo espressamente nell’ambito di applicazione, oltre alle cessioni di prodotti agricoli ed alimentari eseguite da fornitori che siano stabiliti nel territorio nazionale, anche quelle eseguite da fornitori che siano stabiliti in altri Stati membri o in Paesi terzi quando l’acquirente è stabilito in Italia, indipendentemente dal fatturato dei fornitori e degli acquirenti (lettera a) del comma 1).

 

In secondo luogo, viene sostituita la lettera c) del comma 1 dell’articolo 4 che includeva fra le pratiche soggette a divieto l’annullamento di ordini di prodotti agricoli e alimentari deperibili con un preavviso inferiore a 30 giorni, salvo eccezioni da individuare con decreto del Ministro dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste. La nuova formulazione della lettera c) vieta l'annullamento da parte dell'acquirente di ordini di prodotti agricoli e alimentari deperibili con un preavviso talmente breve da far ragionevolmente presumere che il fornitore non possa trovare destinazioni alternative per i propri prodotti specificando che un preavviso inferiore a trenta giorni deve essere sempre considerato breve. Viene pertanto ampliato il perimetro della norma, eliminando l’automatismo per cui l’annullamento di un ordine con un preavviso non inferiore a 30 giorni veniva comunque escluso dalle pratiche commerciali scorrette. La formulazione vigente della norma continua a classificare come scorretto (e quindi vietato) l’annullamento dell’ordine di prodotti agricoli e alimentari deperibili con un preavviso inferiore a 30 giorni, ma non esclude che l’annullamento  dell’ordine con un preavviso superiore a tale termine possa essere ugualmente classificato come pratica commerciale sleale, ove il preavviso sia considerato talmente breve da far ragionevolmente presumere che il fornitore non possa trovare destinazioni alternative per i propri prodotti (lettera b) del comma 1).

Per effetto delle modifiche inserite in sede referente, l’individuazione di casi particolari, nonché dei settori nei quali le parti di un contratto di cessione possono stabilire termini di preavviso inferiori a trenta giorni è demandata a un regolamento del Ministro dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste, da adottare ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge n. 400 del 1988, entro novanta giorni dall’entrata in vigore della legge di conversione del decreto in esame.

 

Infine, viene integrato il primo comma dell’articolo 9, stabilendo che, le denunce relative all’asserita attuazione di pratiche commerciali vietate possono essere presentate all’Ispettorato centrale della tutela della qualità e della repressione frodi dei prodotti agroalimentari del Ministero dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste (ICQRF), anche da parte di fornitori stabiliti in altri Stati membri o Paesi terzi quando l’acquirente è stabilito nel territorio nazionale.

 

Il citato decreto legislativo n. 198 del 2021 ha introdotto norme finalizzate a contrastare e impedire le pratiche commerciali sleali negli scambi tra gli operatori della filiera agroalimentare, nonché a garantire un livello minimo di tutela comune a tutta l'Unione europea, a partire dalla individuazione di un elenco di pratiche commerciali sleali vietate e di un elenco di pratiche che autorizzate solo se concordate in termini chiari e univoci tra le parti al momento della conclusione dell'accordo di fornitura. La "naturale" debolezza dei produttori nelle relazioni con gli altri attori della filiera deriva anche dalla deperibilità e delle stagionalità delle produzioni. L’articolo 27 interviene, in particolare, su tre articoli del decreto: 1, 4 e 9. L’articolo 1 individua l'oggetto del decreto, che definisce le pratiche commerciali vietate in quanto contrarie ai principi di buona fede e correttezza e imposte unilateralmente da un contraente alla sua controparte. Il testo del decreto si applica alle cessioni di prodotti agricoli ed alimentari indipendentemente dal fatturato dei fornitori e degli acquirenti, ma non riguarda i contratti di cessione direttamente conclusi tra fornitori e consumatori. Di rilievo il comma 4, che dispone che le previsioni di cui agli articoli 3 (Principi ed elementi essenziali dei contratti di cessione), 4 (Pratiche commerciali sleali vietate), 5 (Altre pratiche commerciali sleali) e 7 (Disciplina delle vendite sottocosto di prodotti agricoli ed alimentari) costituiscano norme imperative e quindi prevalgono sulle eventuali discipline di settore con esse contrastanti. L'articolo 4 introduce la disciplina delle pratiche sleali distinguendo, ai commi 1 e 4, le pratiche commerciali sleali vietate della cosiddetta "black list", che sono sempre vietate, da quelle della "grey list", che si presumono vietate salvo che siano state precedentemente concordate dal fornitore e dall'acquirente, nel contratto di cessione, nell'accordo quadro ovvero in un altro accordo successivo, in termini chiari ed univoci. Tra i comportamenti sleali, si segnala il ritardato versamento del corrispettivo. La disposizione alla lettera a) affronta i casi di consegna pattuita su base periodica, mentre alla lettera b) regola i contratti di cessione con consegna pattuita su base non periodica. In sintesi, per i prodotti agricoli e alimentari deperibili, il termine di pagamento non può superare i trenta giorni dal termine del periodo di consegna. Per i prodotti non deperibili, il termine non può eccedere i sessanta giorni dal termine della consegna. Sono consentite esenzioni per la distribuzione di prodotti ortofrutticoli e di latte destinati alle scuole, per gli enti pubblici che forniscono assistenza sanitaria, nell'ambito di contratti di cessione tra fornitori di uve o mosto per la produzione di vino e i loro acquirenti diretti. Sleale è anche considerato l'annullamento, da parte dell'acquirente, di ordini di prodotti agricoli e alimentari deperibili con un preavviso breve. Tra gli altri casi di comportamenti sleali, si segnalano: la modifica unilaterale, da parte dell'acquirente o del fornitore, delle condizioni di un contratto di cessione di prodotti agricoli e alimentari (frequenza, metodo, luogo, tempi o volume della fornitura o della consegna, norme di qualità, termini di pagamento, prezzi, servizi accessori rispetto alla cessione dei prodotti);la richiesta al fornitore, da parte dell'acquirente, di pagamenti che non sono connessi alla vendita dei prodotti agricoli e alimentari; l'inserimento, da parte dell'acquirente, di clausole contrattuali che obbligano il fornitore a farsi carico dei costi per il deterioramento o la perdita di prodotti agricoli e alimentari che si verifichino presso i locali dell'acquirente o comunque dopo che tali prodotti siano stati consegnati; l'acquisizione, l'utilizzo o la divulgazione illecita, da parte dell'acquirente, di segreti commerciali del fornitore; la messa in atto o la minaccia di mettere in atto ritorsioni commerciali nei confronti del fornitore quando quest'ultimo esercita i diritti contrattuali e legali di cui gode. In base al comma 4, sono vietate, salvo che esse siano state precedentemente concordate da fornitore e acquirente, nel contratto di cessione, nell'accordo quadro ovvero in un altro accordo successivo, in termini chiari ed univoci, clausole contrattuali volte a porre a carico del fornitore rischi propri del venditore. In questo senso, il decreto elenca la restituzione di prodotti rimasti invenduti e una serie di ipotesi di inversione del costo in situazioni particolari (costi per l'immagazzinamento, l'esposizione, e la messa in commercio dei prodotti del fornitore, ovvero per gli sconti sui prodotti venduti come parte di una promozione, salvo che non si tratti di una fornitura specificamente destinata, costi di pubblicità e marketing dei prodotti, costi del personale incaricato di organizzare gli spazi destinati alla vendita dei prodotti del fornitore). L'articolo 9 stabilisce che le denunce relative alle pratiche sleali vietate siano presentate all'ICQRF, consentendo l'attività di denuncia anche alle organizzazioni di produttori e alle organizzazioni di fornitori. A tutela dell'identità del denunciante, lo stesso può chiedere che alcune informazioni restino riservate. I commi 4, 5, 6 e 7 regolano la procedura delle denunce, fermo restando il potere dell’Ispettorato di agire di ufficio. È previsto il ricorso a procedure di mediazione o di risoluzione alternativa delle controversie.


Articolo 25-bis
(Attuazione della direttiva delegata 2022/2100/UE della Commissione che modifica la direttiva 2014/40/UE del Parlamento europeo e del Consiglio per quanto riguarda la revoca di talune esenzioni per i prodotti del tabacco riscaldato)

 

 

L’articolo in titolo, introdotto in sede referente, è volto ad attuare la direttiva delegata 2022/2100/UE della Commissione che modifica la direttiva 2014/40/UE del Parlamento europeo e del Consiglio per quanto riguarda la revoca di talune esenzioni per i prodotti del tabacco riscaldato.

 

La succitata direttiva delegata [30] ha introdotto due innovazioni sostanziali nel quadro normativo dell’Unione europea:

-         (a) ha esteso ai prodotti del tabacco riscaldato il divieto, già esistente per le sigarette e il tabacco da arrotolare, di immissione sul mercato dei prodotti del tabacco con un aroma caratterizzante o contenenti aromi in qualsiasi dei loro elementi quali i filtri, le cartine, le confezioni, le capsule o le caratteristiche tecniche che consentono di modificare l’odore o il gusto dei prodotti del tabacco interessati o la loro intensità di fumo;

-        (b) ha revocato la possibilità per gli Stati membri di concedere per i prodotti del tabacco riscaldato, nella misura in cui si tratta di prodotti del tabacco da fumo, esenzioni dall’obbligo di recare il messaggio informativo stabilito all’articolo 9, paragrafo 2 [31] , e le avvertenze combinate relative alla salute stabilite all’articolo 10.

-

Tali innovazioni sono state introdotte sulla base di una relazione della Commissione che ha attestato un mutamento sostanziale della situazione per quanto riguarda i prodotti a base di tabacco riscaldato. Detta relazione contiene informazioni e statistiche sugli sviluppi del mercato che mostrano che i volumi di vendita dei prodotti del tabacco riscaldato sono aumentati di almeno il 10 % in almeno cinque Stati membri e che il volume delle vendite al dettaglio dei prodotti del tabacco riscaldato ha superato il 2,5 % delle vendite totali dei prodotti del tabacco a livello dell’Unione.

 

Ai sensi dell’attuanda direttiva delegata, per “prodotto del tabacco riscaldato” si intende un prodotto del tabacco di nuova generazione che è riscaldato per produrre un’emissione contenente nicotina e altre sostanze chimiche, che viene poi inalata dall’utilizzatore o dagli utilizzatori e che, a seconda delle caratteristiche, è un prodotto del tabacco non da fumo o un prodotto del tabacco da fumo.

 

Passando ai contenuti dell’articolo in esame, va preliminarmente evidenziato che esso apporta, anzitutto, alcune modifiche testuali ad atti normativi di rango legislativo relativi alla materia in oggetto.

 

Un primo gruppo di novelle, recate dal comma 1 dell’articolo, riguarda il decreto legislativo 12 gennaio 2016, n. 6 [32] .

In primo luogo, viene ivi introdotta la definizione di “prodotto del tabacco riscaldato”, secondo la quale quest’ultimo è “un prodotto del tabacco di nuova generazione che è riscaldato per produrre una emissione contenente nicotina e altre sostanze chimiche, che è poi inalata dall’utilizzatore e che, per le sue caratteristiche, è un prodotto del tabacco non da fumo, in quanto consumato senza processo di combustione” (nuova lettera j-bis) dell’articolo 2).

Viene inoltre estesa al prodotto del tabacco riscaldato l’applicabilità dei vigenti divieti in materia di immissione sul mercato di prodotti con determinati aromi o additivi (modifica al comma 7 dell’articolo 8).

Viene infine esteso al prodotto del tabacco riscaldato da fumo l’obbligo relativo al messaggio informativo e alle avvertenze combinate relative alla salute, di cui - rispettivamente - ai richiamati comma 2 dell’articolo 10 e articolo 11 (estensione realizzata attraverso modifiche all’articolo 12).

 

Si ricorda che il d. lgs. oggetto di novella, al richiamato comma 2 dell’articolo 10, stabilisce che ciascuna confezione unitaria e l'eventuale imballaggio esterno del tabacco da fumo devono recare il seguente messaggio informativo: «Il fumo del tabacco contiene oltre 70 sostanze cancerogene». Al successivo articolo 11, anch’esso richiamato, il d.lgs. dispone in ordine alle avvertenze combinate relative alla salute per i prodotti del tabacco da fumo.

 

Il comma 2 dell’articolo in esame apporta una modifica testuale al decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504 [33] , riguardo alla definizione di “tabacchi da inalazione senza combustione”.

L’articolo 39-bis del d.lgs. oggetto di novella, nel testo vigente, stabilisce che devono essere considerati tabacchi da inalazione senza combustione i prodotti del tabacco riscaldato non da fumo che “possono essere consumati” senza processo di combustione (comma 2, lettera e-bis)). In base alla modifica recata dal comma in esame, dovrebbero invece essere considerati tabacchi da inalazione senza combustione i prodotti del tabacco riscaldato non da fumo che “sono consumati” senza processo di combustione.

Si ricorda che l’articolo oggetto di novella prevede la sottoposizione ad accisa dei tabacchi lavorati, tra i quali - per quanto qui rileva - i tabacchi da inalazione senza combustione.

 

Il comma 3 dell’articolo in disamina stabilisce, in primo luogo, che le disposizioni di cui ai commi 1 e 2 “entrano in vigore” il 23 ottobre 2023 (riguardo al termine per il recepimento v. supra nota in calce). Dispone, inoltre, che i prodotti del tabacco riscaldato di cui ai medesimi commi, giacenti presso i produttori e i depositi fiscali alla predetta data del 23 ottobre 2023, non possano essere ceduti dai produttori ai depositi fiscali oltre il 31 dicembre 2023. Prevede, altresì, che gli stessi prodotti non possano essere ceduti dai depositi fiscali ai rivenditori oltre il 1° marzo 2024 e che questi ultimi possano effettuarne la vendita fino ad esaurimento delle scorte.

 

Si ricorda che con l’espressione “deposito fiscale” si indica l'impianto in cui vengono fabbricati, trasformati, detenuti, ricevuti o spediti prodotti sottoposti ad accisa, in regime di sospensione dei diritti di accisa, alle condizioni stabilite dall'Amministrazione finanziaria (v. art. 1, co. 2, lett. e)) del citato d.lgs. 504/1995).


Articolo 26
(Disposizioni finanziarie)

 

 

L’articolo 26 reca la quantificazione degli oneri e indica le corrispondenti fonti di copertura finanziaria.

 

In particolare, il comma 1 reca la quantificazione degli oneri derivanti dagli articoli 2, 7, 8, 11, 12, 14, 15 e 17, pari a:

-        euro 50.344.537 per l’anno 2023,

-        88.141.617 per il 2024,

-        98.949.185 per il 2025,

-        79.846.599 per il 2026,

-        80.116.134 per il 2027,

-        80.571.664 per ciascuno degli anni 2028, 2029 e 2030,

-        80.770.245 per il 2031,

-        71.364.752 annui a decorrere dal 2032

e agli oneri derivanti dall’articolo 5 valutati in:

-        euro 3.024.000 per l’anno 2023,

-        3.097.000 per il 2024,

-        3.286.000 per il 2025,

-        3.574.000 per il 2026,

-        4.097.000 per il 2027,

-        4.773.000 per il 2028,

-        5.258.000 per il 2029,

-        5.624.000 per il 2030,

-        5.694.000 per il 2031,

-        5.765.000 annui a decorrere dal 2032.

 

Il comma 1 prevede quindi le seguenti fonti di copertura finanziaria:

a)     quanto a euro 5.042.028 per l’anno 2023 ed euro 12.402.849 annui a decorrere dall’anno 2024, mediante la riduzione degli stanziamenti di spesa per la retribuzione del personale volontario del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, iscritti nello stato di previsione del Ministero dell’interno, nell’ambito della missione «Soccorso civile»;

 

nella relazione tecnica, il Governo chiarisce che tale missione presenta le necessarie disponibilità;

 

b)    quanto a 120.000 euro per l’anno 2023 e a 200.000 euro a decorrere dall’anno 2024 mediante corrispondente riduzione dello stanziamento del fondo speciale di parte corrente iscritto, ai fini del bilancio triennale 2023-2025, nell’ambito del programma «Fondi di riserva speciali» della missione «Fondi da ripartire» dello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze per l’anno 2023, allo scopo utilizzando l’accantonamento relativo al Ministero dell’interno;

 

nella relazione tecnica, il Governo chiarisce che tale missione presenta le necessarie disponibilità;

 

c)     quanto a euro 44.874.000 per l’anno 2023, a euro 44.997.000 per l’anno 2024, a euro 68.345.716 per l’anno 2025, a euro 70.817.750 per l’anno 2026, a euro 71.610.285 per l’anno 2027, a euro 72.741.815 per l’anno 2028, a euro 73.226.815 per l’anno 2029, a 73.592.815 per l’anno 2030, a euro 73.861.396 per l’anno 2031 e a euro 64.526.903 annui a decorrere dall’anno 2032 mediante corrispondente riduzione del fondo per il recepimento della normativa europea di cui all’articolo 41-bis della legge n. 234 del 2012;

 

nella relazione tecnica, il Governo chiarisce che tale missione presenta le necessarie disponibilità;

 

d)    quanto a euro 3.332.509 per l’anno 2023, a euro 33.638.768 per l’anno 2024 e a euro 21.286.620 per l’anno 2025 mediante corrispondente riduzione del fondo per le assunzioni di personale a tempo indeterminato a favore delle amministrazioni dello Stato, degli enti pubblici non economici nazionali e delle agenzie di cui all’articolo 1, comma 607, della legge di bilancio 2022 (legge n. 234 del 2021);

 

nella relazione tecnica, il Governo chiarisce che tale missione presenta le necessarie disponibilità.

 

Il comma 2 autorizza il Ministro dell’economia e delle finanze ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.

 

Il comma 3 reca la clausola di invarianza finanziaria, fatto salvo quanto previsto dal comma 1. Pertanto, dall’attuazione delle disposizioni di cui al presente decreto non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica e le amministrazioni e le autorità interessate provvedono alle attività ivi previste mediante utilizzo delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.


Articolo 27
(Entrata in vigore)

 

 

L'articolo 27 dispone che il decreto-legge entri in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione in Gazzetta Ufficiale.

 

Il decreto-legge è dunque vigente dal 14 giugno 2023.

 

Si ricorda che, ai sensi dell'articolo 1 del disegno di legge di conversione del presente decreto, quest'ultima legge (insieme con le modifiche apportate al decreto in sede di conversione) entra in vigore il giorno successivo a quello della propria pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.

 

 

 

 

 



[1]     Anche se poi, come recita l’art.38, co. 8 della legge: “Nel caso di ulteriori esigenze di adempimento di obblighi”, il Governo “può  presentare alle Camere, entro il 31 luglio di ogni  anno un  ulteriore  disegno di legge recante il titolo: «Delega al Governo per il recepimento  delle direttive europee e l'attuazione di altri atti dell'Unione  europea», completato dall'indicazione: «Legge di delegazione  europea»  seguita dall'anno di riferimento e  dalla  dicitura:  «secondo  semestre»,  e recante i contenuti di cui all'articolo 30, comma 2”

[2]     Premessa che riporta anche i seguenti considerata:

“CONSIDERATO che il numero complessivo delle procedure di infrazione avviate dalla Commissione europea nei confronti della Repubblica italiana è superiore alla media degli altri Stati membri dell’Unione europea comparabili con la Repubblica italiana e che, pertanto, è necessario adottare misure urgenti per ridurre il numero di dette procedure, nonché per evitare l’applicazione di sanzioni pecuniarie ai sensi dell’articolo 260, paragrafo 2, del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE);

CONSIDERATA, altresì, la straordinaria necessità ed urgenza di prevenire l’apertura di nuove procedure di infrazione o l’aggravamento di quelle esistenti, ai sensi degli articoli 258 e 260 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE), attraverso l’immediato adeguamento dell’ordinamento nazionale agli atti normativi dell’Unione europea e alle sentenze della Corte di giustizia dell’Unione europea”

[3]             Si ricorda che la Confederazione svizzera fa parte dello Spazio economico europeo.

[4]             Ai sensi dell’articolo 18 della L. 29 luglio 2015, n. 115 - articolo oggetto della novella parziale di cui al comma 1 del presente articolo 5 -. Riguardo alla disciplina di cui al medesimo articolo 18 (nel testo, naturalmente, precedente la novella suddetta), cfr. la circolare dell’INPS n. 71 dell’11 aprile 2017, come modificata dalla successiva circolare dell’INPS n. 50 del 21 aprile 2022. La summenzionata circolare n. 71 ha tra l’altro chiarito che con la locuzione "periodi assicurativi", adoperata dal suddetto articolo 18 con riguardo ai periodi oggetto dell’eventuale domanda di computo, si intendono solo quelli coperti da contribuzione (pensionistica).

[5]             Di cui all'articolo 45 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea.

[6] Le relazioni illustrativa e tecnica sono reperibili nell’A.S. n. 755.

[7] Riguardo a quest'ultima, cfr. la citata circolare dell’INPS n. 71 dell’11 aprile 2017.

[8]     Legge 30 dicembre 2018, n. 145.

[9]     Di cui al richiamato capo II (“Professioni sanitarie”) della legge 11 gennaio 2018, n. 3, recante “Delega al Governo in materia di sperimentazione clinica di medicinali nonché disposizioni per il riordino delle professioni sanitarie e per la dirigenza sanitaria del Ministero della salute”.

[10]   Comprese le società operanti nel settore odontoiatrico, di cui al richiamato articolo 1, comma 153, della legge 4 agosto 2017, n. 124 (Legge annuale per il mercato e la concorrenza).

[11]   Informazioni di cui al richiamato articolo 2, comma 1, del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, ossia riguardanti i titoli e le specializzazioni professionali, le caratteristiche del servizio offerto, nonché il prezzo e i costi complessivi delle prestazioni secondo criteri di trasparenza e veridicità del messaggio.

[12]   Il divieto, come evidenziato dalla relazione illustrativa, viene “limitato ai casi in cui la comunicazione commerciale abbia ad oggetto offerte, sconti o promozioni che possano determinare il ricorso improprio a trattamenti sanitari per carattere attrattivo e suggestivo”.

[13]   Regolamento recante riforma degli ordinamenti professionali, a norma dell'articolo 3, comma 5, del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148.

[14]   L’articolo 56 TFUE concerne la libera prestazione dei servizi all'interno dell'Unione europea.

[15]   V. https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/ALL/?uri=CELEX%3A62015CJ0339.

[16]   Lo stero (secondo quanto riportato dall’enciclopedia Treccani) è un’unità di misura di volume usata (ufficialmente in Italia fino al 1° ottobre 1981) per la legna da ardere e per il carbone, equivalente a un metro cubo.

[17]    Previsti dall'articolo 3 del regolamento di cui al DPR n. 212/2005.

[18]    Di cui all'articolo 3, comma 3, del regolamento di cui al DM n. 249/2010.

[19]   “Sul rafforzamento della sicurezza delle carte d'identità dei cittadini dell'Unione e dei titoli di soggiorno rilasciati ai cittadini dell'Unione e ai loro familiari che esercitano il diritto di libera circolazione”.

[20]   Può valere ricordare che in caso di un soggiorno previsto nel territorio di un Paese Schengen per non più di 90 giorni in un periodo di 180 giorni, i cittadini dei paesi extra UE devono: essere in possesso di un documento di viaggio valido e di un visto, se richiesto; giustificare lo scopo e le condizioni del soggiorno previsto e dimostrare di disporre di sufficienti mezzi di sussistenza; non essere segnalati nel Sistema d’informazione Schengen ai fini della non ammissione; non essere considerati una minaccia per l’ordine pubblico, la sicurezza interna, la salute pubblica comunitari o le relazioni internazionali di qualsiasi Paese dell’Unione europea.

[21]   Regolamento (UE) 2016/399 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 marzo 2016, che istituisce un codice unionale relativo al regime di attraversamento delle frontiere da parte delle persone, da ultimo modificato con il regolamento (UE) 2019/817 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 maggio 2019, che istituisce un quadro per l'interoperabilità tra i sistemi di informazione dell'UE nel settore delle frontiere e dei visti (cfr. la versione consolidata).  

[22]   Il regolamento stabilisce che i Paesi che fanno parte dello spazio senza controlli alle frontiere interne devono eliminare tutti gli ostacoli allo scorrimento fluido del traffico ai valichi di frontiera interna stradali, e in particolare i limiti di velocità che non siano basati esclusivamente su considerazioni di sicurezza stradale.

[23]   Il meccanismo di valutazione Schengen è un sistema istituito dal regolamento (UE) n. 1053/2013, da ultimo abrogato e sostituito dal regolamento (UE) 2022/922 del Consiglio, del 9 giugno 2022.

[24]   Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio di modifica al regolamento (UE) 2016/399 che istituisce un codice unionale relativo al regime di attraversamento delle frontiere da parte delle persone (codice frontiere Schengen).

[25]   Le norme proposte includono un nuovo meccanismo di salvaguardia Schengen inteso a istituire una risposta comune alle frontiere interne nelle situazioni di minaccia che interessino la maggioranza degli Stati membri, come le minacce sanitarie o altre minacce alla sicurezza interna e all'ordine pubblico. Con questo meccanismo, che dovrebbe integrare il meccanismo esistente per le frontiere esterne, le verifiche alle frontiere interne in una maggioranza di Stati membri potrebbero essere autorizzate mediante una decisione del Consiglio in caso di minaccia comune, decisione che sostituirebbe qualsiasi misura nazionale in vigore. Tale decisione dovrebbe altresì identificare le misure atte a ridurre gli impatti negativi dei controlli. La proposta si pone tuttavia l'obiettivo di promuovere il ricorso a misure alternative ai controlli alle frontiere interne e a garantire che, se necessari, tali controlli restino una misura di ultima istanza.

[26]   La Commissione ha inoltre presentato una proposta parallela alla modifica del codice frontiere Schengen, volta ad affrontare le situazioni di strumentalizzazione nel settore della migrazione e dell'asilo (COM(2021) 890).

[27]    Il motivo di rifiuto di cui al n. 2 dell'articolo 3 della decisione quadro riguarda il mancato rispetto del ne bis in idem, se da informazioni in possesso dell'autorità giudiziaria dell'esecuzione risulta che la persona ricercata è stata giudicata con sentenza definitiva per gli stessi fatti da uno Stato membro, a condizione che, nel caso di condanna, "la sanzione sia stata applicata o sia in fase di esecuzione o non possa più essere eseguita in forza delle leggi dello Stato membro della condanna"

[28]    Con le ordinanze nn. 216 e 217 del 2021 la Corte costituzionale, aveva deciso di investire la Corte di giustizia di due rinvii pregiudiziali vertenti sull’interpretazione di alcune previsioni della decisione quadro 2002/584/GAI sul mandato di arresto europeo, lette alla luce di diverse disposizioni della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. In particolare la prima ordinanza (n. 216) riguardava la legittimità degli artt. 18 e 18-bis della l. 69/2005, di cui la Corte di appello di Milano prospettava un possibile profilo di contrasto rispetto alla tutela del diritto alla salute laddove essi non prevedono quale motivo di rifiuto della consegna «ragioni di salute croniche e di durata indeterminabile che comportino il rischio di conseguenze di eccezionale gravità per la persona richiesta». La seconda ordinanza (n. 217) atteneva ancora alla legittimità dell’art. 18 bis della l. 69/2005, censurato dalla Corte di appello di Bologna «nella parte in cui non prevede il rifiuto facoltativo della consegna del cittadino» di un Paese terzo «che legittimamente ed effettivamente abbia residenza o dimora nel territorio italiano» quando la pena o la misura di sicurezza irrogata nei suoi confronti potrà comunque essere eseguita in Italia. Ad opinione del giudice territoriale, tale previsione avrebbe pregiudicato infatti la funzione risocializzativa della pena nonché il diritto del condannato al rispetto della propria vita familiare.

[29]    Gli orientamenti si applicano alle misure di aiuto soggette a notifica ai sensi dell’articolo 108, par. 3, TFUE dunque a quelle misure che non integrano le condizioni e i criteri di applicazione del Regolamento “GBER” il quale, agli articoli da 36 a 49, prevede la possibilità di attuare alcuni regimi più piccoli senza la previa notifica e approvazione da parte della Commissione. Si rinvia al comunicato stampa della Commissione del 27 gennaio 2022.

[30]   Gli Stati membri sono chiamati ad adottare e pubblicare entro il 23 luglio 2023 le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla direttiva in questione, e ad applicarle a decorrere dal 23 ottobre 2023 (cfr. art. 2 della direttiva attuanda).

[31]   Il messaggio in questione concerne la presenza nel fumo del tabacco di oltre 70 sostanze cancerogene.

[32]   Recepimento della direttiva 2014/40/UE sul ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri relative alla lavorazione, alla presentazione e alla vendita dei prodotti del tabacco e dei prodotti correlati e che abroga la direttiva 2001/37/CE.

[33]   Testo unico delle disposizioni legislative concernenti le imposte sulla produzione e sui consumi e relative sanzioni penali e amministrative.