Camera dei deputati - Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa) |
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Autore: | Servizio Studi - Dipartimento Istituzioni |
Titolo: | Disposizioni urgenti in materia di flussi di ingresso legale dei lavoratori stranieri e di prevenzione e contrasto all'immigrazione irregolare - Seconda Edizione |
Riferimenti: | AC N.1112/XIX |
Serie: | Progetti di legge Numero: 71/1 |
Data: | 28/04/2023 |
Organi della Camera: | I Affari costituzionali |
Servizio Studi
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Dossier n. 64/1
Servizio Studi
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Progetti di legge n. 71/1
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D23020a.docx
INDICE
Schede di lettura
§ Articolo 1 (Programmazione dei flussi di ingresso legale)........................... 5
§ Articolo 2 (Procedure per il rilascio di nulla osta al lavoro per stranieri ed effetti del nulla osta) 10
§ Articolo 3 (Riconoscimento di permessi di soggiorno per motivi di lavoro al di fuori delle quote, in relazione a precedenti attività di studio o di formazione)........................... 14
§ Articolo 4 (Durata del permesso di soggiorno per lavoro a tempo indeterminato, per lavoro autonomo e per ricongiungimento familiare)............................................................... 19
§ Articolo 4-bis (Disposizioni in materia di conversione dei permessi di soggiorno per i minori stranieri non accompagnati)....................................................................................... 24
§ Articolo 5 (Ingresso dei lavoratori del settore agricolo e contrasto alle agromafie) 29
§ Articolo 5-bis (Misure per il potenziamento tecnico-logistico del sistema di prima accoglienza e dei controlli di frontiera)................................................................................... 31
§ Articolo 5-ter (Modifiche al sistema di accoglienza).................................. 36
§ Articolo 5-quater (Riduzione o revoca delle condizioni di accoglienza).... 48
§ Articolo 6 (Misura straordinaria per la gestione dei centri per migranti).. 73
§ Articolo 6-bis (Attivazione di una postazione medicalizzata del 118 presso l'isola di Lampedusa) 77
§ Articolo 6-ter (Modifiche alla disciplina sulle modalità di accoglienza).... 80
§ Articolo 7 (Protezione speciale).................................................................. 82
§ Articolo 7-bis, comma 1 (Procedure accelerate alla frontiera per il riconoscimento della protezione internazionale)............................................................................................. 97
§ Articolo 7-bis, comma 2 (Trattenimento dei richiedenti protezione internazionale) 102
§ Articolo 7-ter (Disposizioni in materia di decisioni sul riconoscimento della protezione internazionale) 109
§ Articolo 7-quater (Disposizioni in materia di convalida dei provvedimenti di accompagnamento immediato alla frontiera e di trattenimento).............................................. 115
§ Articolo 7-quinquies (Procedura decisoria semplificata dei ricorsi depositati entro il 31 dicembre 2021) 116
§ Articolo 8 (Disposizioni penali)................................................................. 119
§ Articolo 9 (Disposizioni in materia di espulsione e ricorsi sul riconoscimento della protezione internazionale)........................................................................................... 128
§ Articolo 9-bis (Disposizioni in materia di delitti commessi nei centri di accoglienza per richiedenti protezione internazionale).......................................................................... 136
§ Articolo 9-ter (Revoca della protezione internazionale per rientro nel Paese di origine) 139
§ Articolo 10 (Disposizioni sui centri di permanenza per i rimpatri).......... 141
§ Articolo 10-bis (Estensione della durata massima del trattenimento dello straniero nei centri di permanenza per il rimpatrio)..................................................................... 147
§ Articolo 11 (Clausola di invarianza finanziaria)....................................... 148
§ Articolo 12 (Entrata in vigore).................................................................. 149
Articolo 1
(Programmazione dei flussi di ingresso legale)
L’articolo 1, modificato dal Senato, prevede che per il triennio 2023-2025, in deroga alla normativa vigente, siano definite con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri le quote massime di stranieri da ammettere in Italia per lavoro subordinato, anche per esigenze di carattere stagionale, e per lavoro autonomo.
Il comma 1 dell’articolo 1 dispone che per il triennio 2023-2025 siano definite con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri le quote massime di stranieri da ammettere in Italia per lavoro subordinato, anche per esigenze di carattere stagionale, e per lavoro autonomo. Ciò in deroga, precisa il medesimo comma, all’articolo 3 del Testo unico delle leggi in materia di immigrazione (decreto legislativo n. 286 del 1998). In estrema sintesi, tale articolo prevede infatti la seguente procedura per la programmazione dei flussi di ingresso:
· predisposizione ogni tre anni – salva la necessità di un termine più breve – del documento programmatico relativo alla politica dell’immigrazione; il documento è predisposto dal Presidente del Consiglio dei ministri, sottoposto al parere delle Commissioni parlamentari e quindi adottato con decreto del Presidente della Repubblica; il documento individua tra l’altro i criteri generali per la definizione dei flussi di ingresso;
· definizione con d.P.C.m. annuale delle quote di ingresso, con possibilità di adottare ulteriori decreti in corso d’anno, sulla base dei criteri generali adottati nel documento programmatico; in caso di mancata adozione del documento programmatico, il Presidente del Consiglio può provvedere in via transitoria; anche sullo schema di d.P.C.m. è previsto il parere delle competenti Commissioni parlamentari.
In base a quanto il citato Testo unico prevedeva prima dell’intervento normativo in commento, l’ingresso nel territorio dello Stato italiano per motivi di lavoro subordinato (anche stagionale) e di lavoro autonomo era possibile solo nell’ambito delle quote massime d’ingresso annualmente stabilite dagli appositi decreti di programmazione dei flussi di ingresso per motivi di lavoro (salvo per alcuni profili professionali, per i quali l'ingresso era consentito al di fuori delle menzionate quote).
A tal proposito, si ricorda che il decreto flussi pubblicato il 26 gennaio 2023 sulla Gazzetta ufficiale (d.P.C.m. del 29 dicembre 2022) ha ammesso in Italia, per motivi di lavoro subordinato stagionale e non stagionale e di lavoro autonomo, i cittadini non comunitari entro una quota massima di 82.705 unità (articolo 1 del d.P.C.m.).
Nell’ambito di tale quota massima, sono ammessi in Italia:
· per motivi di lavoro non stagionale e di lavoro autonomo, i cittadini non UE entro una quota di 38.705 unità, comprese le quote da riservare alla conversione in permessi di soggiorno per lavoro subordinato e per lavoro autonomo di permessi di soggiorno rilasciati ad altro titolo,
· per motivi di lavoro subordinato stagionale, nei settori agricolo e turistico-alberghiero, i cittadini non UE residenti all'estero entro una quota di 44.000 unità, da ripartire tra le regioni e le province autonome a cura del ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali.
Il comma 2, modificato dal Senato, indica la procedura per l’adozione del d.P.C.m. di programmazione dei flussi di cui al comma 1. In particolare si prevede:
- il parere dei ministri competenti per materia;
- il parere degli iscritti al registro delle associazioni che svolgono attività a favore dell'integrazione sociale degli stranieri, di cui all'articolo 42, comma 2, del Testo unico delle leggi in materia di immigrazione.
A tale proposito si segnala che il testo originario del decreto legge faceva un più generale riferimento agli enti e alle associazioni nazionali maggiormente attivi nell'assistenza e nell'integrazione degli immigrati e alle organizzazioni dei lavoratori e dei datori di lavoro maggiormente rappresentative sul piano nazionale.
- il parere del CNEL;
- il parere, da rendersi sullo schema di decreto, della Conferenza unificata e delle competenti Commissioni parlamentari, che si esprimono entro trenta giorni dal ricevimento della richiesta, decorsi i quali il decreto è comunque adottato;
- la deliberazione del decreto da parte del Consiglio dei ministri.
Al riguardo si valuti l'opportunità di approfondire la formulazione adottata con riferimento alla trasmissione dello schema di decreto alla Conferenza unificata e alle competenti commissioni parlamentari alla luce dell'esigenza "che il testo trasmesso alle Camere abbia completato la fase procedimentale interna all'Esecutivo", come richiesto dalla lettera dei Presidenti delle Camere al Presidente del Consiglio dei ministri del 12 febbraio 1998.
In proposito si ricorda che il testo vigente dell’articolo 1, comma 2, del decreto-legge prevede che lo schema di d.P.C.m. sia adottato dal Consiglio dei ministri sentita, tra gli altri, la Conferenza unificata e solo successivamente inviato alle competenti commissioni parlamentari per l’espressione del parere.
Si ricorda poi che l’articolo 1 della legge n. 13 del 1991 prevede in via generale che gli atti per i quali siano intervenute deliberazioni del Consiglio dei ministri siano adottati con decreto del Presidente della Repubblica e non con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri.
Il comma 3 specifica poi il contenuto del d.P.C.m.: indicazione dei criteri generali per la definizione dei flussi di ingresso che devono tenere conto dell’analisi del fabbisogno del mercato del lavoro effettuata dal Ministero del lavoro previo confronto con organizzazioni dei lavoratori e dei datori di lavoro maggiormente rappresentative sul piano nazionale; indicazione delle quote massime di ingresso dei lavoratori stranieri.
Rispetto all’articolo 3 del Testo unico dell’immigrazione, la procedura speciale introdotta per il triennio 2023-2025 prevede quindi – salva la possibilità di aggiornamenti di cui al successivo comma 4 – un unico documento che, oltre a definire i criteri generali, stabilisca anche direttamente le quote di ingresso in Italia.
Il comma 4 prevede la possibilità, quando se ne ravvisi l’opportunità, di adottare durante il triennio ulteriori d.P.C.m., con la medesima procedura di cui ai commi 2 e 3, stabilendo peraltro che le istanze eccedenti i limiti di un decreto possono essere esaminate nell’ambito degli ulteriori decreti adottati, senza necessità di ripresentare nuovamente la domanda.
Nel corso dell’esame presso il Sentao è stato precisato che le istanze a cui si riferisce il comma in esame sono quelle di cui agli articoli 22, 24 e 26 del Testo unico delle leggi in materia di immigrazione.
Si tratta, in particolare:
- dell’istanza che il datore di lavoro deve presentare allo sportello unico per l’immigrazione per poter instaurare in Italia un rapporto di lavoro subordinato a tempo determinato o indeterminato con uno straniero residente all'estero (articolo 22, comma 2);
- dell’istanza che il datore di lavoro (o le associazioni di categoria, per conto dei loro associati) deve presentare allo sportello unico per l’immigrazione per poter instaurare in Italia un rapporto di lavoro subordinato a carattere stagionale nei settori agricolo e turistico/alberghiero con uno straniero (articolo 24, comma 1);
- dell’istanza che i lavoratori stranieri, appartenenti e non all'Unione europea, devono presentare per poter esercitare nel territorio dello Stato un'attività non occasionale di lavoro autonomo. La rappresentanza diplomatica o consolare, accertato il possesso dei requisiti indicati dal medesimo articolo ed acquisiti i nulla osta del Ministero degli affari esteri, del Ministero dell'interno e del Ministero eventualmente competente in relazione all'attività che lo straniero intende svolgere in Italia, rilascia il visto di ingresso per lavoro autonomo, con l'espressa indicazione dell'attività cui il visto si riferisce, nei limiti numerici stabiliti a norma dell'articolo 3, comma 4, e dell'articolo 21 (articolo 26).
Il comma 5 prevede che i d.P.C.m. assegnino, in via preferenziale, quote riservate ai lavoratori di Stati che, anche in collaborazione con lo Stato italiano, promuovono per i propri cittadini campagne mediatiche sui rischi per l’incolumità personale derivanti dall’inserimento in traffici migratori irregolari.
A tale previsione si collega quella di cui al comma 5-ter, inserito dal Senato. Tale comma dispone che, per le medesime finalità di cui al comma 5, si modifichi l'articolo 21 del Testo unico delle leggi in materia di immigrazione, inserendovi il nuovo comma 1-bis. Secondo tale comma, al di fuori delle quote di cui all'articolo 3, comma 4, del Testo unico e secondo le procedure di cui agli articoli 22 e 24 del medesimo (le quali, come ricordato, presuppongono la presentazione di apposita istanza da parte dei datori di lavoro), in quanto compatibili, può essere autorizzato l'ingresso e il soggiorno per lavoro subordinato, anche a carattere stagionale, di stranieri cittadini di Paesi con i quali l'Italia ha sottoscritto intese o accordi in materia di rimpatrio.
Tale disposizione appare dunque volta ad introdurre a regime, nel Testo unico delle leggi in materia di immigrazione, una previsione analoga a quella di cui al comma 5. A tale riguardo si segnala, però, che mentre il comma 5 fa riferimento alla mera promozione di campagne mediatiche sui rischi per l’incolumità personale derivanti dall’inserimento in traffici migratori irregolari da parte degli Stati da cui provengono i lavoratori, il comma 5-ter presuppone che l’Italia abbia sottoscritto con quei medesimi Stati intese o accordi in materia di rimpatrio.
Si ricorda che i decreti flussi già attualmente prevedono quote riservate a specifici Paesi che abbiano sottoscritto o stiano per sottoscrivere accordi di cooperazione in materia migratoria finalizzati alla regolamentazione dei flussi di ingresso e delle procedure di riammissione, ma solo nell’ambito delle quote annuali. La disposizione in esame, invece, prevede che l'ingresso e il soggiorno per lavoro subordinato, anche a carattere stagionale, di stranieri cittadini di Paesi con i quali l'Italia ha sottoscritto intese o accordi in materia di rimpatrio possa essere autorizzato al di fuori delle quote annuali.
Il comma 5-bis, inserito dal Senato, stabilisce che nei decreti di cui all’articolo in esame possono essere assegnate quote dedicate ad apolidi e a rifugiati riconosciuti dall'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati o dalle autorità competenti nei Paesi di primo asilo o di transito.
L'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati è l’Agenzia delle Nazioni Unite preposta alla protezione ed all'assistenza dei rifugiati nel mondo ai sensi di quanto stabilito dalla normativa internazionale in materia (a partire dalla Convenzione di Ginevra relativa allo status dei rifugiati del 1951 e dal relativo Protocollo addizionale del 1967). Istituita dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 14 dicembre 1950, ha il compito primario di fornire e coordinare la protezione internazionale e l'assistenza materiale ai rifugiati ed alle altre categorie di persone incluse nella sua area di competenza (rimpatriati, richiedenti asilo, sfollati interni ed apolidi).
Nell'esercizio del suo mandato e nel quadro delle attività di protezione internazionale e di assistenza, l'Agenzia assicura i seguenti compiti: la registrazione dei rifugiati; la consulenza per la documentazione; la raccolta dei dati anagrafici e biografici dei richiedenti asilo; la localizzazione sul territorio per fornire protezione e altre soluzioni durevoli alle esigenze derivanti dalla loro condizione, ovvero strumenti di assistenza ai rifugiati in fuga nel corso di crisi umanitarie; la promozione di programmi di istruzione, sanità ed alloggio ed operazioni di rimpatrio volontario, qualora possibili, nonché forme di sostegno per favorire l'autosufficienza dei rifugiati nei Paesi di asilo o per garantire loro condizioni per il reinsediamento in Paesi terzi, laddove essi non possano essere rimpatriati e non godano di sufficienti garanzie nel primo Paese di accoglienza.
L’articolo 2 reca alcune modifiche[1] alla disciplina sulle procedure per il rilascio di nulla osta al lavoro per i cittadini di Stati non appartenenti all'Unione europea (nonché per gli apolidi) e sugli effetti del medesimo nulla osta. Le novelle di cui alla lettera a) del comma 1 concernono in particolare i profili temporali della suddetta procedura nonché i casi di accertamento di elementi ostativi successivo al nulla osta ed introducono il principio che, nelle more della sottoscrizione del contratto di soggiorno per lavoro subordinato (e del successivo rilascio del permesso di soggiorno), il nulla osta consente lo svolgimento di attività lavorativa nel territorio nazionale. La successiva lettera b) reca, con riferimento al lavoro stagionale, una novella di coordinamento con la suddetta lettera a). La novella di cui alla lettera c) pone a regime una disciplina transitoria[2], già stabilita con riferimento alle quote di ingresso di lavoratori stranieri relative agli anni 2021-2023; tale disciplina, in primo luogo, demanda la verifica - all'interno della procedura di rilascio di nulla osta - dei requisiti concernenti l'osservanza (nello schema di contratto) delle prescrizioni del contratto collettivo di lavoro e la congruità del numero delle richieste presentate dal datore di lavoro - verifica che, in base alla precedente disciplina generale, spetterebbe all'Ispettorato nazionale del lavoro - ad alcune categorie di professionisti o alle organizzazioni dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale (ai quali il datore di lavoro aderisca o conferisca mandato) e pone alcuni criteri specifici relativi alla medesima verifica; in secondo luogo, la disciplina in oggetto esclude la necessità di tale verifica per le richieste di nulla osta presentate dalle organizzazioni dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e sottoscrittrici con il Ministero del lavoro e delle politiche sociali di un apposito protocollo di intesa; la novella di cui alla lettera c) reca altresì una disposizione di coordinamento in relazione alla novella di cui alla precedente lettera a).
Le novelle di cui ai numeri 1) e 2) del comma 1, lettera a), costituiscono interventi di coordinamento in relazione ad altre novelle del presente comma.
La novella di cui al successivo numero 3) - nel quale il Senato ha operato una riformulazione meramente tecnica - introduce un limite temporale, oltre il quale, in mancanza dell’acquisizione e comunicazione di elementi ostativi da parte della questura competente e in presenza degli altri presupposti stabiliti dalla normativa, lo sportello unico per l’immigrazione[3] deve rilasciare il nulla osta al lavoro richiesto da un datore di lavoro per l’assunzione (a tempo determinato o indeterminato) di un soggetto residente all’estero e cittadino di uno Stato non appartenente all’Unione europea (o apolide); il limite introdotto coincide con il termine ordinatorio vigente, posto per il rilascio - in presenza dei relativi presupposti (tra i quali anche il rispetto dei limiti per i flussi di ingresso di lavoratori stranieri nel territorio nazionale)[4] - del medesimo nulla osta e pari a sessanta giorni (decorrenti dalla richiesta del datore di lavoro). La novella di cui al successivo numero 4) - nel quale il Senato ha operato una riformulazione meramente tecnica - prevede, per il caso in cui siano successivamente accertati elementi ostativi - in base ad informazioni assunte dalla questura o in base ai controlli a campione (sui rapporti di lavoro) svolti dall’Ispettorato del lavoro, in collaborazione con l’Agenzia delle entrate[5] -, la revoca del permesso di soggiorno, nonché la revoca del suddetto nulla osta e del visto di ingresso[6] e la risoluzione di diritto del contratto di soggiorno per lavoro subordinato[7].
La novella di cui al numero 5) della stessa lettera a) introduce il principio che, nelle more della sottoscrizione del contratto di soggiorno per lavoro subordinato, il suddetto nulla osta consente lo svolgimento di attività lavorativa nel territorio nazionale - fermo restando che, al fine dell’ingresso nel territorio nazionale, dopo il rilascio del nulla osta, gli uffici consolari italiani del Paese di residenza o di origine dello straniero devono rilasciare il visto d’ingresso
La novella di cui alla successiva lettera b) esplicita che le novelle poste dalla lettera a) si applicano anche per le procedure di ingresso relative al lavoro stagionale.
La relazione illustrativa del disegno di legge di conversione del presente decreto[8] osserva che le misure poste dalle novelle di cui alle suddette lettere a) e b) sono intese in particolare a consentire l’impiego in termini rapidi dei lavoratori in esame (anche al fine di soddisfare le relative esigenze dei datori di lavoro).
La novella di cui alla lettera c), come accennato, pone a regime una disciplina transitoria[9], già stabilita con riferimento alle quote di ingresso di lavoratori stranieri relative agli anni 2021-2023.
Tale disciplina, in primo luogo, demanda la verifica - all'interno della suddetta procedura di rilascio di nulla osta - dei requisiti concernenti l'osservanza (nello schema di contratto) delle prescrizioni del contratto collettivo di lavoro e la congruità del numero delle richieste presentate dal datore di lavoro - verifica che, in base alla precedente disciplina generale, spetterebbe all'Ispettorato nazionale del lavoro - ad alcune categorie di professionisti - consulenti del lavoro, avvocati, dottori commercialisti ed esperti contabili - o alle organizzazioni dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale (ai quali il datore di lavoro aderisca o conferisca mandato) e pone alcuni criteri specifici relativi alla medesima verifica. In base a questi ultimi[10], le verifiche in oggetto tengono anche conto della capacità patrimoniale, dell'equilibrio economico-finanziario, del fatturato, del numero dei dipendenti - ivi compresi quelli già richiesti ai sensi della disciplina sugli ingressi per lavoro di cittadini di Stati non appartenenti all'Unione europea (o di apolidi) - e del tipo di attività svolta dall'impresa. In caso di esito positivo delle verifiche, è rilasciata apposita asseverazione, che il datore di lavoro trasmette allo sportello unico per l'immigrazione unitamente alla richiesta di assunzione del lavoratore straniero (nell'ambito della procedura di richiesta di nulla osta).
In secondo luogo, la disciplina speciale in oggetto esclude la necessità della suddetta asseverazione per le richieste di nulla osta presentate dalle organizzazioni dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e sottoscrittrici con il Ministero del lavoro e delle politiche sociali di un apposito protocollo di intesa - protocollo con il quale le organizzazioni si impegnano a garantire il rispetto, da parte dei propri associati, dei requisiti in oggetto. La novella in esame specifica che anche in questi ultimi casi trovano applicazione le modifiche della procedura di rilascio di nulla osta introdotte dalla precedente lettera a) e il principio che, nelle more della sottoscrizione del contratto di soggiorno per lavoro subordinato, il suddetto nulla osta consente lo svolgimento di attività lavorativa nel territorio nazionale.
La disciplina speciale posta a regime dalla presente lettera c) fa salva - in conformità con la norma di salvezza già stabilita dalla disciplina transitoria -la possibilità, per l'Ispettorato nazionale del lavoro, di effettuare, in collaborazione con l'Agenzia delle entrate, controlli a campione sul rispetto dei requisiti e delle procedure di cui alla medesima disciplina[11].
Si ricorda che, ai sensi dell'articolo 30-bis, comma 8, del regolamento di cui al D.P.R. 31 agosto 1999, n. 394[12], la verifica della congruità in rapporto alla capacità economica del datore di lavoro non è richiesta per i soggetti che siano affetti da patologie o handicap che ne limitino l'autosufficienza e che intendano assumere, per la propria assistenza, un lavoratore straniero.
Le lettere da a) a d) e il capoverso 4-bis della lettera e) del comma 1 dell’articolo 3 recano alcune modifiche[13] alla disciplina sui programmi ministeriali di attività di istruzione e di formazione professionale nei Paesi di origine, rivolte a cittadini di Stati non appartenenti all'Unione europea (nonché agli apolidi); le novelle, in particolare: integrano l'ambito di tali attività, inserendo il riferimento alla formazione civico-linguistica (lettera b)); introducono il principio che il lavoratore straniero, dopo la completa partecipazione alle attività in esame che siano organizzate sulla base dei fabbisogni indicati al Ministero del lavoro e delle politiche sociali da parte delle associazioni di categoria del settore produttivo interessato, può rientrare nell'applicazione delle procedure di ingresso e soggiorno (per lo svolgimento di lavoro subordinato) al di fuori delle quote relative ai flussi di ingresso di lavoratori stranieri (lettera c), nella quale il Senato ha inserito uno specifico riferimento agli apolidi e ai rifugiati); prevedono la possibilità di promozione, da parte del suddetto Ministero, di accordi di collaborazione e intese tecniche con organizzazioni internazionali o con soggetti pubblici e privati operanti nel campo della formazione e dei servizi per il lavoro nei Paesi di origine (capoverso 4-bis della lettera e), nel quale il riferimento alle organizzazioni internazionali è stato inserito dal Senato).
Il capoverso 4-ter - inserito dal Senato - della suddetta lettera e) prevede, per gli anni 2023 e 2024, la possibilità di applicazione di particolari modalità e termini - da definire in via regolamentare - per il rilascio delle autorizzazioni al lavoro, dei visti di ingresso e dei permessi di soggiorno per lavoro subordinato per gli stranieri che abbiano svolto un corso di formazione professionale e civico-linguistica nei Paesi di origine, concordato da alcune organizzazioni nazionali dei datori di lavoro, o da articolazioni delle stesse, con determinati soggetti.
Il successivo comma 2 sopprime[14] la condizione secondo cui la possibilità di conversione del permesso di soggiorno per motivi di studio e formazione in permesso di soggiorno per motivi di lavoro è subordinata al rispetto delle quote relative ai flussi summenzionati.
Più in particolare, la novella di cui alla lettera a) del comma 1 modifica la rubrica dell'articolo[15] oggetto delle novelle di cui al medesimo comma 1, al fine di tener conto della portata delle stesse.
La lettera b) adegua il richiamo di alcuni Ministeri in relazione alle norme sopravvenute ed integra l'ambito delle attività dei programmi ministeriali in oggetto, aggiungendo - rispetto all'istruzione e alla formazione professionale - il riferimento alla formazione civico-linguistica; una delle novelle di cui alla successiva lettera c) demanda al Ministero del lavoro e delle politiche sociali l'adozione di linee guida che definiscano le modalità di predisposizione dei programmi di formazione professionale e civico-linguistica ed i criteri per la valutazione degli stessi.
Si ricorda che, in base alla disciplina già vigente, i programmi sono approvati, anche su proposta delle regioni e delle province autonome, dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali e dal Ministero dell'istruzione e del merito o - come specificato dalla novella di cui alla lettera b) - dal Ministero dell'università e della ricerca e sono realizzati anche in collaborazione con regioni, province autonome ed altri enti locali, organizzazioni nazionali degli imprenditori e datori di lavoro e dei lavoratori, organismi internazionali, enti ed associazioni operanti nel settore dell'immigrazione da almeno tre anni. Tali attività sono intese a: l'inserimento lavorativo mirato nei settori produttivi italiani che operano all'interno dello Stato; l'inserimento lavorativo mirato nei settori produttivi italiani che operano all'interno dei Paesi di origine; lo sviluppo delle attività produttive o imprenditoriali autonome nei Paesi di origine.
La novella di cui alla lettera c) introduce il principio che il lavoratore straniero, dopo la completa partecipazione alle attività in esame che siano organizzate sulla base dei fabbisogni indicati al Ministero del lavoro e delle politiche sociali da parte delle associazioni di categoria del settore produttivo interessato, può rientrare nell'applicazione delle procedure di ingresso e soggiorno (per lo svolgimento di lavoro subordinato) al di fuori delle quote relative ai flussi di ingresso di lavoratori stranieri. Per le attività che non rientrino in tale fattispecie continuano ad applicarsi (cfr. la novella di cui alla lettera d)), in favore dei partecipanti, i criteri di preferenza al fine dell'ingresso nell'ambito delle quote suddette già previsti dalla precedente disciplina[16]. Il Senato ha inserito, nell’ambito della fattispecie introdotta dalla suddetta lettera c), i riferimenti - in aggiunta a quello agli stranieri residenti all’estero - agli apolidi[17] e ai rifugiati riconosciuti dall'Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati o dalle autorità competenti nei Paesi di primo asilo o di transito. Mediante tali inserimenti, appare operata un’estensione a soggetti che non dimorino abitualmente nel Paese in cui si svolga il corso, ma che sono ivi rifugiati o in transito. Si valuti l’opportunità di una più chiara formulazione, considerato anche che la disciplina in oggetto concerne, letteralmente, corsi nei "Paesi di origine"[18].
La lettera c) in oggetto richiede, al fine del beneficio dell'esclusione dalle quote suddette, che la domanda di visto di ingresso - domanda successiva al rilascio del nulla osta da parte dello sportello unico per l'immigrazione - sia presentata (a pena di decadenza) entro sei mesi dalla conclusione del corso e che alla medesima istanza sia allegato un atto di conferma della disponibilità all'assunzione da parte del datore di lavoro. Resta fermo[19] che per il caso in cui siano successivamente accertati elementi ostativi al rilascio del nulla osta - in base ad informazioni assunte dalla questura o in base ai controlli a campione (sui rapporti di lavoro) svolti dall’Ispettorato del lavoro, in collaborazione con l’Agenzia delle entrate[20] -, hanno luogo la revoca del permesso di soggiorno, nonché la revoca del nulla osta e del visto di ingresso e la risoluzione di diritto del contratto di soggiorno per lavoro subordinato - il Senato ha operato una riformulazione meramente tecnica della presente disposizione. Al fine di consentire la verifica che non vi siano elementi ostativi al rilascio del nulla osta, la lettera c) prevede, con riferimento ai corsi oggetto della medesima lettera, che il Ministero del lavoro e delle politiche sociali comunichi, entro sette giorni dall’inizio dei corsi, al Ministero dell’interno e al Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale le generalità dei partecipanti. Resta fermo che per lo svolgimento della verifica e per il relativo termine temporale si applica la disciplina ordinaria, come modificata dall'articolo 2 del presente decreto[21] (si rinvia alla relativa scheda di lettura).
La novella del capoverso 4-bis della lettera e) prevede che, per la promozione di percorsi di qualificazione professionale e la selezione dei lavoratori direttamente nei Paesi di origine (nei confronti dei quali sussista tale interesse tale parte dell’Italia) e, in particolare, al fine dello svolgimento dei programmi ministeriali contemplati dalla novella di cui alla lettera c), il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, anche con il concorso di proprie agenzie strumentali e società in house, possa promuovere la stipulazione di accordi di collaborazione e intese tecniche con organizzazioni internazionali o con soggetti pubblici e privati operanti nel campo della formazione e dei servizi per il lavoro nei Paesi di origine; il riferimento alle organizzazioni internazionali è stato inserito dal Senato (il Senato ha operato anche una modifica formale del presente capoverso 4-bis).
Il capoverso 4-ter - inserito dal Senato - della lettera e) prevede, per gli anni 2023 e 2024, la possibilità di applicazione di particolari modalità e termini per il rilascio delle autorizzazioni al lavoro, dei visti di ingresso e dei permessi di soggiorno per lavoro subordinato per gli stranieri che abbiano svolto un corso di formazione professionale e civico-linguistica nei Paesi di origine, concordato da organizzazioni nazionali dei datori di lavoro presenti nel Consiglio Nazionale dell'Economia e del Lavoro (CNEL), o da articolazioni territoriali o di categoria delle stesse organizzazioni, con determinati soggetti. Questi ultimi possono essere costituiti da organismi formativi, da operatori dei servizi per il lavoro, accreditati a livello nazionale o regionale, o da enti e associazioni operanti nel settore dell'immigrazione, iscritti nel "Registro delle associazioni, degli enti e degli altri organismi privati che svolgono le attività a favore degli stranieri immigrati"[22]. La disciplina transitoria in esame prevede che, al termine del corso, previa verifica e attestazione da parte del soggetto che (nell’ambito di quelli summenzionati) abbia curato lo svolgimento del medesimo corso, possano trovare applicazione particolari modalità e termini per il rilascio delle autorizzazioni al lavoro, dei visti di ingresso e dei permessi di soggiorno per lavoro subordinato; a tal fine, l’ingresso in Italia deve in ogni caso aver luogo entro tre mesi dalla conclusione del corso. La definizione dei suddetti termini e modalità particolari per l’ingresso e il soggiorno (anche al di fuori dall’ambito delle quote relative ai flussi di ingresso di lavoratori stranieri) è implicitamente demandata all’adozione di norme regolamentari, così come prevede l’articolo 27 - richiamato dalla presente novella - del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni; la definizione è dunque rimessa ad un’integrazione del regolamento governativo di attuazione del medesimo testo unico (regolamento di cui al D.P.R. 31 agosto 1999, n. 394).
Il comma 2 del presente articolo 3 sopprime la condizione[23] secondo cui la possibilità di conversione del permesso di soggiorno per motivi di studio e formazione[24] in permesso di soggiorno per motivi di lavoro è subordinata al rispetto delle quote relative ai flussi di ingresso di lavoratori stranieri (cittadini di Stati non appartenenti all'Unione europea o apolidi). Resta fermo che la possibilità è subordinata alle condizioni che il permesso di soggiorno per motivi di studio e formazione sia ancora in corso di validità e che sia stato stipulato un contratto di soggiorno per lavoro subordinato o sia stata rilasciata la certificazione della sussistenza dei requisiti per il permesso di soggiorno per lavoro autonomo.
Articolo 4
(Durata del permesso di soggiorno per lavoro a tempo indeterminato, per lavoro autonomo e per ricongiungimento familiare)
L’articolo 4 apporta alcune modifiche al Testo unico sull’immigrazione in materia di durata dei permessi di soggiorno per lavoro a tempo indeterminato, per lavoro autonomo e per ricongiungimento familiare, stabilendo che il rinnovo di ciascuno di essi non possa superare la durata di tre anni e di fatto estendendo così la massima durata possibile del rinnovo rispetto ai due anni attualmente previsti.
L’articolo 4, composto del solo comma 1, apporta alcune mirate modifiche all’articolo 5 del Testo unico sull’immigrazione (d.lgs. n. 286 del 1998); in particolare, si interviene sulla durata delle seguenti tipologie di permesso di soggiorno:
a) permesso di soggiorno per motivi di lavoro, rilasciato a seguito della stipula di un contratto di soggiorno per lavoro a tempo indeterminato. Tale permesso ha durata pari a quella prevista dal contratto di soggiorno per lavoro, nei limiti di una durata massima di due anni (stipulato ai sensi dell’art. 5-bis T.U.).
Si ricorda che il permesso di soggiorno, disciplinato dall’art. 5 TU è il documento che legittima la permanenza dello straniero nel territorio italiano, rilasciato per un periodo variabile a seconda dei motivi del soggiorno.
Infatti, possono soggiornare nel territorio dello Stato gli stranieri, entrati regolarmente, che siano muniti di permesso di soggiorno, o di permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo, rilasciati, e in corso di validità, o di permesso di soggiorno o titolo equipollente rilasciato dalla competente autorità di uno Stato appartenente all'Unione europea, nei limiti ed alle condizioni previsti da specifici accordi (comma 1).
Una volta fatto ingresso nel territorio nazionale, ogni straniero deve fare richiesta del permesso di soggiorno entro otto giorni al questore della provincia in cui si trova ed esso è rilasciato per le attività previste dal visto di ingresso (comma 2).
La durata del permesso di soggiorno non rilasciato per motivi di lavoro è quella prevista dal visto d'ingresso, nei limiti stabiliti dal Testo unico o in attuazione degli accordi e delle convenzioni internazionali in vigore.
In particolare, il permesso di soggiorno per motivi di lavoro è rilasciato a seguito della stipula del contratto di soggiorno per lavoro di cui all'articolo 5-bis.
La durata del relativo permesso di soggiorno per lavoro è quella prevista dal contratto di soggiorno e comunque non può superare:
a) in relazione ad uno o più contratti di lavoro stagionale, la durata complessiva di nove mesi;
b) in relazione ad un contratto di lavoro subordinato a tempo determinato, la durata di un anno;
c) in relazione ad un contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, la durata di due anni.
Il contratto di soggiorno per lavoro subordinato di cui all’articolo 5-bis del Testo unico è stipulato fra un datore di lavoro italiano o straniero regolarmente soggiornante in Italia e un prestatore di lavoro, cittadino di uno Stato non appartenente all'Unione europea o apolide.
Per costituire titolo valido per il rilascio del permesso di soggiorno per motivi di lavoro, tale contratto deve contenere:
a) la garanzia da parte del datore di lavoro della disponibilità di un alloggio per il lavoratore che rientri nei parametri minimi previsti dalla legge per gli alloggi di edilizia residenziale pubblica;
b) l'impegno al pagamento da parte del datore di lavoro delle spese di viaggio per il rientro del lavoratore nel Paese di provenienza.
Il contratto di soggiorno per lavoro è sottoscritto presso lo sportello unico per l'immigrazione della provincia nella quale risiede o ha sede legale il datore di lavoro o dove avrà luogo la prestazione lavorativa secondo le modalità previste nel regolamento di attuazione.
b) permesso di soggiorno per lavoro autonomo, rilasciato sulla base della certificazione della competente rappresentanza diplomatica o consolare italiana della sussistenza dei requisiti per l’ingresso e il soggiorno per lavoro autonomo (previsti dall'art. 26 T.U.). Questo permesso di soggiorno non può avere validità superiore ad un periodo di due anni (ai sensi dell’art. 5, comma 3-quater T.U.);
L’articolo 26 del testo unico prevede che l'ingresso in Italia dei lavoratori stranieri non appartenenti all'Unione europea che intendono esercitare nel territorio dello Stato un'attività non occasionale di lavoro autonomo può essere consentito a condizione che l'esercizio di tali attività non sia riservato dalla legge ai cittadini italiani, o a cittadini di uno degli Stati membri dell'Unione Europea (comma 1).
In particolare, dispone che lo straniero che intenda esercitare in Italia una attività industriale, professionale, artigianale o commerciale, ovvero costituire società di capitale o di persone o accedere a cariche societarie deve altresì dimostrare (comma 2):
· di disporre di risorse adeguate per l'esercizio dell'attività che intende intraprendere in Italia;
· di essere in possesso dei requisiti previsti dalla legge italiana per l'esercizio della singola attività, compresi, ove richiesti, i requisiti per l'iscrizione in albi e registri;
· di essere in possesso di una attestazione dell'autorità competente in data non anteriore a tre mesi che dichiari che non sussistono motivi ostativi al rilascio dell'autorizzazione o della licenza prevista per l'esercizio dell'attività che lo straniero intende svolgere.
Il lavoratore non appartenente all'Unione europea deve comunque dimostrare di disporre di idonea sistemazione alloggiativa e di un reddito annuo, proveniente da fonti lecite, di importo superiore al livello minimo previsto dalla legge per l'esenzione dalla partecipazione alla spesa sanitaria (comma 3). Sono comunque fatte salve le norme più favorevoli previste da accordi internazionali in vigore per l'Italia (comma 4).
La rappresentanza diplomatica o consolare, accertato il possesso dei requisiti indicati dal presente articolo ed acquisiti i nulla osta del Ministero degli affari esteri, del Ministero dell'interno e del Ministero eventualmente competente in relazione all'attività che lo straniero intende svolgere in Italia, rilascia il visto di ingresso per lavoro autonomo, con l'espressa indicazione dell'attività cui il visto si riferisce, nei limiti stabiliti dalle quote massime di stranieri stabilite dal c.d. decreto flussi (ai sensi dell'articolo 3, comma 4 T.U.), nonché dei flussi di ingresso (di cui all’articolo 21 T.U.). La rappresentanza diplomatica o consolare rilascia, altresì, allo straniero la certificazione dell'esistenza dei requisiti previsti dal presente articolo ai fini degli adempimenti previsti per la concessione del permesso di soggiorno per lavoro autonomo (comma 5).
Si ricorda che l’ultimo decreto flussi, pubblicato il 26 gennaio 2023 sulla Gazzetta ufficiale il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri (d.P.C.m. del 29 dicembre 2022) ha ammesso in Italia, per motivi di lavoro subordinato stagionale e non stagionale e di lavoro autonomo, i cittadini non comunitari entro una quota massima di 82.705 unità (articolo 1 del d.P.C.m.).
Nell’ambito di tale quota massima, sono ammessi in Italia:
· per motivi di lavoro non stagionale e di lavoro autonomo, i cittadini non UE entro una quota di 38.705 unità, comprese le quote da riservare alla conversione in permessi di soggiorno per lavoro subordinato e per lavoro autonomo di permessi di soggiorno rilasciati ad altro titolo,
· per motivi di lavoro subordinato stagionale, nei settori agricolo e turistico-alberghiero, i cittadini non UE residenti all'estero entro una quota di 44.000 unità, da ripartire tra le regioni e le province autonome a cura del ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali.
c) permesso di soggiorno per ricongiungimento familiare, la cui durata non può essere superiore a due anni (ai sensi dell’art. 5, comma 3-sexies T.U.).
Ai sensi dell’articolo 29 del Testo unico, lo straniero può chiedere il ricongiungimento per i seguenti familiari (comma 1):
a) coniuge non legalmente separato e di età non inferiore ai diciotto anni;
b) figli minori, anche del coniuge o nati fuori del matrimonio, non coniugati, a condizione che l'altro genitore, qualora esistente, abbia dato il suo consenso;
c) figli maggiorenni a carico, qualora per ragioni oggettive non possano provvedere alle proprie indispensabili esigenze di vita in ragione del loro stato di salute che comporti invalidità totale;
d) genitori a carico, qualora non abbiano altri figli nel Paese di origine o di provenienza, ovvero genitori ultrasessantacinquenni, qualora gli altri figli siano impossibilitati al loro sostentamento per documentati, gravi motivi di salute.
Salvo quanto previsto per il ricongiungimento familiare dei rifugiati dall'articolo 29-bis, lo straniero che richiede il ricongiungimento deve dimostrare la disponibilità (comma 3):
a) di un alloggio conforme ai requisiti igienico-sanitari, nonché di idoneità abitativa, accertati dai competenti uffici comunali. Nel caso di un figlio di età inferiore agli anni quattordici al seguito di uno dei genitori, è sufficiente il consenso del titolare dell'alloggio nel quale il minore effettivamente dimorerà;
b) di un reddito minimo annuo derivante da fonti lecite non inferiore all'importo annuo dell'assegno sociale aumentato della metà dell'importo dell'assegno sociale per ogni familiare da ricongiungere. Per il ricongiungimento di due o più figli di età inferiore agli anni quattordici è richiesto, in ogni caso, un reddito non inferiore al doppio dell'importo annuo dell'assegno sociale. Ai fini della determinazione del reddito si tiene conto anche del reddito annuo complessivo dei familiari conviventi con il richiedente;
b-bis) di una assicurazione sanitaria o di altro titolo idoneo, a garantire la copertura di tutti i rischi nel territorio nazionale a favore dell'ascendente ultrasessantacinquenne ovvero della sua iscrizione al Servizio sanitario nazionale, previo pagamento di un contributo.
Al familiare autorizzato all'ingresso ovvero alla permanenza sul territorio nazionale, è rilasciato, in deroga alla disciplina di cui all’articolo 5, comma 3-bis per i permessi di soggiorno per motivi di lavoro, un permesso per assistenza minore, rinnovabile, di durata corrispondente a quella stabilita dal Tribunale per i minorenni. Il permesso di soggiorno consente di svolgere attività lavorativa ma non può essere convertito in permesso per motivi di lavoro (comma 6).
La novella interviene a disporre che ciascun rinnovo di uno dei predetti permessi non possa superare la durata di tre anni, di fatto estendendo la massima durata possibile del rinnovo.
Per le tre tipologie di permessi sopra richiamate si supera infatti l’attuale previsione generale (v. art. 5, comma 4, secondo periodo, T.U.) secondo la quale il permesso di soggiorno è rinnovato per una durata non superiore a quella stabilita con rilascio iniziale (e quindi massimo due anni per le tre tipologie indicate dalla norma).
Tale previsione fa salvi i diversi termini previsti dal Testo unico e dal regolamento di attuazione, tra i quali bisogna quindi annoverare anche i termini introdotti dalla novella in esame.
Come si legge nella relazione illustrativa del provvedimento, la ratio sottesa alla disposizione in commento sarebbe quella di alleggerire gli oneri amministrativi a carico dei beneficiari del permesso, snellendo al contempo il carico di lavoro degli uffici delle questure.
Ai sensi dell’articolo 5, comma 4, il rinnovo del permesso di soggiorno è richiesto dallo straniero al questore della provincia in cui dimora, almeno sessanta giorni prima della scadenza, ed è sottoposto alla verifica delle condizioni previste per il rilascio e delle diverse condizioni previste dal Testo unico. Fatti salvi i diversi termini previsti dal presente Testo unico e dal regolamento di attuazione, il permesso di soggiorno è rinnovato per una durata non superiore a quella stabilita con rilascio iniziale.
Ai sensi dell’articolo 5, comma 9, prevede che il permesso di soggiorno è rilasciato, rinnovato o convertito entro sessanta giorni dalla data in cui è stata presentata la domanda, se sussistono i requisiti e le condizioni previsti dal Testo unico e dal regolamento di attuazione per il permesso di soggiorno richiesto ovvero, in mancanza di questo, per altro tipo di permesso da rilasciare in applicazione del Testo unico.
L’articolo 4-bis interviene sulla disciplina del permesso di soggiorno per minori stranieri non accompagnati al compimento del diciottesimo anno d’età. In particolare si prevede che tale permesso di soggiorno ha la durata massima di un anno e la conversione è possibile previo accertamento dell’effettiva sussistenza dei presupposti e requisiti previsti dalla normativa vigente.
È inoltre disposta l’abrogazione della previsione in base alla quale il mancato rilascio del parere del Ministero del lavoro non può legittimare il rifiuto del rinnovo del permesso di soggiorno, nonché della previsione dell’applicazione al procedimento di conversione del c.d. silenzio assenso.
A tal fine, l’articolo in esame sostituisce integralmente il comma 1-bis dell’articolo 32 del Testo unico dell’immigrazione (D.Lgs. n. 286 del 1998), che insieme al comma 1-ter disciplina la c.d. conversione del permesso di soggiorno per minore età di minori stranieri non accompagnati.
L’articolo 32, comma 1, TU immigrazione, invece, disciplina la conversione del permesso di soggiorno al compimento della maggiore età di minori stranieri conviventi con genitori o affidati a stranieri. In proposito la norma dispone la possibilità di rilasciare un permesso di soggiorno per motivi di studio, di accesso al lavoro, di lavoro subordinato o autonomo, per esigenze sanitarie o di cura. In tale caso, si specifica che il permesso di soggiorno per accesso al lavoro prescinde dal possesso dei requisiti di cui all'articolo 23 TU relativi alla frequenza di corsi di istruzione e formazione professionali nei Paesi di origine.
In base alle norme richiamate, al compimento dei diciotto anni, i minori stranieri non accompagnati possono ottenere il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi di studio, di accesso al lavoro, ovvero di lavoro subordinato o autonomo. Ai fini dell’accertamento dei presupposti necessari per ottenere la conversione, il citato comma 1-bis distingue la posizione dei minori non accompagnati da quella dei minori non accompagnati che siano affidati ex art. 2 della legge n. 184/1983 o sottoposti a tutela, prevedendo per le due categorie una differente disciplina.
Solo per i primi, il permesso di soggiorno può essere rilasciato a condizione che i minori siano stati ammessi per un periodo non inferiore a due anni in un progetto di integrazione sociale e civile gestito da un ente pubblico o privato che abbia rappresentanza nazionale e che comunque sia iscritto nel registro delle associazioni e degli enti che svolgono attività a favore degli immigrati, istituito presso la Presidenza del Consiglio dei ministri (ai sensi dell'articolo 52 del d.P.R. n. 394 del 1999).
In tale caso, l’ente gestore dei progetti deve garantire e provare con idonea documentazione, al momento del compimento della maggiore età del minore straniero, che l'interessato (art. 32, comma 1-ter):
- si trova sul territorio nazionale da non meno di tre anni;
- ha seguito il progetto per non meno di due anni;
- ha la disponibilità di un alloggio;
- frequenta corsi di studio ovvero svolge attività lavorativa retribuita nelle forme e con le modalità previste dalla legge italiana, ovvero è in possesso di contratto di lavoro anche se non ancora iniziato.
Si ricorda, inoltre che la legge n. 47 del 2017, recante misure di protezione dei minori stranieri non accompagnati, ha previsto che qualora un minore straniero non accompagnato, al compimento della maggiore età, pur avendo intrapreso un percorso di inserimento sociale, necessita di un supporto prolungato volto al buon esito di tale percorso finalizzato all'autonomia, il tribunale per i minorenni può disporre, anche su richiesta dei servizi sociali, con decreto motivato, l'affidamento ai servizi sociali, comunque non oltre il compimento del ventunesimo anno di età (c.d. prosieguo amministrativo).
Per i minori affidati o sottoposti a tutela si richiede il parere positivo del Comitato per i minori stranieri (ora sostituito dal parere della Direzione generale dell'immigrazione e delle politiche di integrazione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali). Si tratta di un parere obbligatorio, ma non vincolante, come chiarito sia dalla prassi amministrativa (cfr. Linee guida della DG immigrazione e integrazione), sia dalla giurisprudenza in materia (cfr. Cons. St. sez. III, 25 marzo 2021, n. 2525[25]). Il comma 1-bis specifica inoltre in proposito che il mancato rilascio del parere non può legittimare il rifiuto del rinnovo del permesso di soggiorno.
Sulla base di tali presupposti, spetta alla questura decidere in merito all’istanza di conversione del titolo di soggiorno.
Le modifiche apportate a tale disciplina dall’articolo in commento sono tre.
Con la prima, si dispone che il permesso di soggiorno ottenibile dal minore non accompagnato al compimento della maggiore età può essere rilasciato per il periodo massimo di un anno. In tal senso, si differenzia la durata dei permessi di soggiorno per i minori non accompagnati di cui al citato articolo 32, comma 1-bis, rispetto ai minori conviventi con genitori stranieri ovvero affidati a genitori stranieri di cui all’articolo 31, comma 1, per i quali la durata del permesso di soggiorno è quella prevista in via generale dalle disposizioni vigenti per ciascuna tipologia di permesso.
In relazione alla introduzione della durata massima di un anno del permesso di soggiorno rilasciato al compimento della maggiore età, si valuti l’opportunità di chiarire i suoi effetti in relazione alla possibilità di rinnovo ovvero di sua conversione in altra tipologia di permesso.
Con la seconda modifica si introduce un inciso volto a specificare che la conversione del permesso per minore età in altro permesso di soggiorno è possibile previo accertamento dell’effettiva sussistenza dei presupposti e requisiti previsti dalla normativa vigente.
Al riguardo, si valuti l’opportunità di approfondire il coordinamento della modifica introdotta con quanto stabilito dal precedente comma 1 dell’articolo 32 TU immigrazione, con riferimento specifico al permesso di soggiorno per accesso al lavoro. Il comma 1 stabilisce infatti che, in caso di permesso di soggiorno rilasciato al compimento della maggiore età, si possa prescindere dagli specifici requisiti previsti per tale tipologia di permesso di soggiorno dall’articolo 23, comma 1 del Testo unico (vale a dire lo svolgimento di attività di istruzione e di formazione professionale e civico-linguistica nei Paesi di origine).
Con la terza modifica, si dispone l’abrogazione degli ultimi due periodi del comma 1-bis di quell'articolo 32, ossia della previsione che il mancato rilascio del parere da parte del Ministero del lavoro non possa legittimare il rifiuto del rinnovo del permesso di soggiorno - nonché della previsione dell’applicazione al procedimento di conversione dell’istituto del silenzio assenso (mediante la soppressione del rinvio all'articolo 20, commi 1, 2 e 3 della legge n. 241 del 1990).
L’art. 20, co. 1-3, della legge 241/1990 in materia di silenzio-assenso dispone che nei procedimenti ad istanza di parte per il rilascio di provvedimenti amministrativi il silenzio dell'amministrazione competente equivale a provvedimento di accoglimento della domanda, senza necessità di ulteriori istanze o diffide, se la medesima amministrazione non comunica all'interessato, nel termine di legge, il provvedimento di diniego. La possibilità di applicare nel caso di specie lo strumento del silenzio-assenso costituisce una deroga al principio stabilito dal comma 4 dell'art. 20 della medesima legge 241, in base al quale esso non si applica, tra gli altri, ai procedimenti riguardanti l'immigrazione, l'asilo e la cittadinanza.
In proposito, giova ricordare, che tali disposizioni sono state aggiunte al comma 1-bis dell’articolo 32 dalla legge n. 47 del 2017 (art. 13, comma 1).
Successivamente, i due ultimi periodi del comma 1-bis sono stati dapprima abrogati ad opera del decreto-legge n. 113 del 2018 (articolo 1, comma 1, lettera n-bis)) e poi reintrodotti dal decreto-legge n. 130 del 2020 (articolo 1, comma 1, lettera h)).
La disposizione in commento torna nuovamente a disporne l’abrogazione.
Testo unico immigrazione |
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Testo originale |
Testo modificato da D.L. 20/2023 |
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Art. 32 |
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1. Al compimento della maggiore età, allo straniero nei cui confronti sono state applicate le disposizioni di cui all'articolo 31, comma 1, e, fermo restando quanto previsto dal comma 1-bis, ai minori che sono stati affidati ai sensi dell'articolo 2 della legge 4 maggio 1983, n. 184, può essere rilasciato un permesso di soggiorno per motivi di studio di accesso al lavoro, di lavoro subordinato o autonomo, per esigenze sanitarie o di cura. Il permesso di soggiorno per accesso al lavoro prescinde dal possesso dei requisiti di cui all'articolo 23. |
1. Identico |
1-bis. Il permesso di soggiorno di cui al comma 1 può essere rilasciato per motivi di studio, di accesso al lavoro ovvero di lavoro subordinato o autonomo, al compimento della maggiore età, ai minori stranieri non accompagnati, affidati ai sensi dell'articolo 2 della legge 4 maggio 1983, n. 184, ovvero sottoposti a tutela, previo parere positivo del Comitato per i minori stranieri di cui all'articolo 33 del presente testo unico, ovvero ai minori stranieri non accompagnati che siano stati ammessi per un periodo non inferiore a due anni in un progetto di integrazione sociale e civile gestito da un ente pubblico o privato che abbia rappresentanza nazionale e che comunque sia iscritto nel registro istituito presso la Presidenza del Consiglio dei ministri ai sensi dell'articolo 52 del decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1999, n. 394. |
1-bis. Il permesso di soggiorno di cui al comma 1 può essere rilasciato, per il periodo massimo di un anno, per motivi di studio, di accesso al lavoro ovvero di lavoro subordinato o autonomo previo accertamento dell’effettiva sussistenza dei presupposti e requisiti previsti dalla normativa vigente, al compimento della maggiore età, ai minori stranieri non accompagnati, affidati ai sensi dell’articolo 2 della legge 4 maggio 1983, n. 184, ovvero sottoposti a tutela, previo parere positivo del Comitato per i minori stranieri di cui all'articolo 33 del presente testo unico, ovvero ai minori stranieri non accompagnati che siano stati ammessi per un periodo non inferiore a due anni in un progetto di integrazione sociale e civile gestito da un ente pubblico o privato che abbia rappresentanza nazionale e che comunque sia iscritto nel registro istituito presso la Presidenza del Consiglio dei ministri ai sensi dell'articolo 52 del decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1999, n. 394. |
Articolo 5
(Ingresso dei lavoratori del settore agricolo e contrasto alle agromafie)
L’articolo 5, al comma 1, riconosce ai datori di lavoro operanti nel settore agricolo che non siano risultati assegnatari di manodopera, pur avendo presentato regolare domanda ai sensi del decreto flussi, la possibilità di ottenerne l'assegnazione con priorità sulla base di quanto previsto dai successivi decreti sui flussi emanati nel corso del triennio 2023-2025. Il comma 2 sostituisce il comma 4-quater dell’articolo 1 del decreto legge n. 22 del 2005, per aggiornarne le disposizioni in funzione del nuovo sistema di classificazione del personale del Ministero dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste e della conseguente attribuzione della qualifica di ufficiale o agente di polizia giudiziaria, previsto dal CCNL comparto funzioni centrali 2019/2021.
Il comma 1 riconosce ai datori di lavoro che, ai sensi degli articoli 6, 7 e 9 del D.P.C.M. 29 dicembre 2022 n. 21, hanno presentato regolare domanda per l’assegnazione di lavoratori agricoli e che non sono risultati assegnatari di tutta o di parte della manodopera oggetto della domanda, la possibilità di ottenere, sulla base di quanto previsto dai successivi decreti sui flussi emanati nel corso del triennio 2023-2025 ai sensi dell’articolo 1, comma 4 del decreto in esame, l’assegnazione dei lavoratori richiesti con priorità rispetto ai nuovi richiedenti, nei limiti della quota assegnata al settore agricolo.
Il D.P.C.M. 29 dicembre 2022 reca la programmazione transitoria dei flussi d'ingresso dei lavoratori non comunitari nel territorio dello Stato per l'anno 2022 (cosiddetto "decreto flussi"). Il decreto prevede che, a titolo di programmazione transitoria dei flussi d'ingresso dei lavoratori stranieri residenti all'estero per l'anno 2022, sono ammessi in Italia, per motivi di lavoro subordinato stagionale e non stagionale e di lavoro autonomo, i cittadini stranieri residenti all'estero entro una quota complessiva massima di 82.705 unità (di cui 38.705 per motivi di lavoro subordinato non stagionale e di lavoro autonomo). L'articolo 6 stabilisce che sono ammessi in Italia per motivi di lavoro subordinato stagionale nei settori agricolo e turistico-alberghiero, entro una quota di 44.000 unità, i cittadini stranieri residenti in Albania, Algeria, Bangladesh, Bosnia-Erzegovina, Corea (Repubblica di Corea), Costa d'Avorio, Egitto, El Salvador, Etiopia, Filippine, Gambia, Georgia, Ghana, Giappone, Guatemala, India, Kosovo, Mali, Marocco, Mauritius, Moldova, Montenegro, Niger, Nigeria, Pakistan, Perù, Repubblica di Macedonia del Nord, Senegal, Serbia, Sri Lanka, Sudan, Tunisia e Ucraina. Una quota di 1.500 unità è riservata ai lavoratori stranieri che abbiano fatto ingresso in Italia per prestare lavoro subordinato stagionale almeno una volta nei cinque anni precedenti e per i quali il datore di lavoro presenti richiesta di nulla osta pluriennale per lavoro subordinato stagionale. È inoltre riservata per il settore agricolo, una quota di 22.000 unità ai lavoratori stranieri, cittadini dei suddetti Paesi, le cui istanze di nulla osta all'ingresso in Italia per lavoro stagionale anche pluriennale, siano presentate dalle organizzazioni professionali dei datori di lavoro di Cia, Coldiretti, Confagricoltura, Copagri, Alleanza delle cooperative (Lega cooperative e Confcooperative). A partire dalle ore 9:00 del 30 gennaio 2023 e fino al 22 marzo 2023 è disponibile l'applicativo per la precompilazione dei moduli di domanda sul Portale servizi del Ministero dell'Interno all'indirizzo https://portaleservizi.dlci.interno.it.
Il comma 2 sostituisce integralmente l’articolo 1, comma 4-quater, del decreto legge n. 22 del 2005, prevedendo il fine esplicito di dotare l’Ispettorato centrale della tutela della qualità e repressione frodi dei prodotti agroalimentari di adeguate professionalità per proteggere il mercato nazionale dalle attività internazionali di contraffazione e criminalità agroalimentare, anche connesse ai flussi migratori irregolari, fatto salvo il personale da inquadrare nella famiglia professionale ad esaurimento nell’ambito dell’area Assistenti del CCNI del Ministero dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste che hanno qualifica di ufficiale di polizia giudiziaria, in attuazione del nuovo sistema di classificazione del personale previsto dal CCNL comparto funzioni centrali 2019/2021.
A tal fine, viene assegnata al personale dirigenziale e non dirigenziale inquadrato nell’area delle Elevate professionalità e nell’area Funzionari, in servizio presso il Dipartimento dell’Ispettorato predetto, la qualifica di ufficiale di polizia giudiziaria nei limiti del servizio cui è destinato e secondo le attribuzioni ad esso conferite dalla legge e dai regolamenti. Il restante personale inquadrato nell’area Assistenti e nell’area Operatori è agente di polizia giudiziaria.
L’articolo 5-bis prevede diverse misure relative alla gestione dei punti di crisi (c.d. hotspot) e dei centri governativi di prima accoglienza.
La disposizione, in particolare: estende fino 31 dicembre 2025 le deroghe all’applicazione della normativa vigente, già previste per i CPR dall’articolo 10, alla realizzazione di nuovi hotspot e centri governativi; prevede che l’hotspot di Lampedusa possa essere gestito dalla Croce Rossa Italiana con facoltà di deroga alla normativa vigente; consente di trasferire gli stranieri ospitati presso gli hotspot in strutture analoghe sul territorio nazionale, per l’espletamento delle medesime attività; autorizza il prefetto a individuare strutture di accoglienza provvisoria in caso di indisponibilità di posti nei centri di accoglienza governativi; destina circa 8,8 milioni di euro per l’affidamento dei contratti di trasporto marittimo dei migranti.
Il comma 1 dispone che fino al 31 dicembre 2025, anche per la realizzazione dei punti di crisi (c.d. hotspot) di cui all’articolo 10-ter del TU immigrazione (decreto legislativo n. 286 del 1998) e dei centri governativi di prima accoglienza di cui all’articolo 9 del decreto legislativo n. 142 del 2015, si applichino le previsioni dell’articolo 10 del decreto legge in commento.
Tale disposizione prevede infatti che la realizzazione dei Centri di Permanenza per i Rimpatri (CPR, v. infra) possa essere effettuata, fino al 31 dicembre 2025, anche in deroga ad ogni disposizione di legge diversa da quella penale, fatto salvo il rispetto delle disposizioni del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, nonché dei vincoli inderogabili derivanti dall’appartenenza all’Unione europea (per i dettagli si veda infra la relativa scheda di lettura).
Per approfondimenti sul sistema di accoglienza dei migranti in Italia si rinvia al relativo box tematico contenuto nella scheda seguente (articolo 5-ter).
Per esigenze di chiarezza si anticipa, sin da ora, che i centri governativi di prima accoglienza di cui all’articolo 9 del decreto legislativo n. 142 del 2015 (c.d. decreto accoglienza) sono strutture dislocate sull’intero territorio nazionale, istituite per rispondere alle esigenze di prima accoglienza e per il completamento delle operazioni necessarie alla definizione della posizione giuridica dello straniero che abbia manifestato la volontà di chiedere asilo in Italia, quando queste non siano state terminate negli hotspot.
Gli hotspot, ovvero punti di crisi, come definiti dall’art 10-ter del Testo unico delle leggi in materia di immigrazione, sono invece delle aree di sbarco attrezzate nei pressi (o nelle immediate vicinanze) dei porti selezionati in cui vengono convogliati i flussi migratori in arrivo via mare. Si tratta, pertanto, di strutture di primo soccorso e accoglienza presso le quali i migranti permangono per il tempo strettamente necessario alla definizione delle operazioni di prima assistenza materiale e sanitaria e per le procedure di identificazione.
Secondo i dati resi noti nella Relazione sul funzionamento del sistema di accoglienza predisposto al fine di fronteggiare le esigenze straordinarie connesse all'eccezionale afflusso di stranieri nel territorio nazionale, riferita all'anno 2021, trasmessa il 29 novembre 2022 dal Ministero dell'interno al Parlamento (Doc. LI, n. 2), risultano attivi tre hotspot ubicati a Lampedusa, Pozzallo e Taranto. Tuttavia, a partire dall’emergenza epidemiologica, e in particolare a seguito dell’utilizzo delle navi ai fini dello svolgimento del prescritto periodo di quarantena, ha continuato ad essere destinato in via esclusiva alle funzioni di hotspot il solo centro di Lampedusa, che peraltro è il luogo maggiormente interessato dagli sbarchi.
Per le stesse finalità, e limitatamente ai punti di crisi e alle strutture di cui al citato articolo 10-ter, il comma 1 consente altresì di utilizzare le risorse già stanziate, ai fini della realizzazione dei Centri di Permanenza per i Rimpatri (CPR), nello stato di previsione del Ministero dell’interno dall’articolo 1, comma 679, della legge di Bilancio 2023 (legge n. 197 del 2022).
I Centri di Permanenza per i Rimpatri (CPR) sono strutture – istituite dall’articolo 14 del decreto legislativo n. 286 del 1998 – ove vengono trattenuti i migranti irregolari che non facciano richiesta di protezione internazionale o non ne abbiano i requisiti, in vista dell'esecuzione del provvedimento di espulsione da parte delle Forze dell'ordine.
Il comma 2 prevede che il Ministero dell’interno, al fine di assicurare adeguati livelli di accoglienza nel punto di crisi di Lampedusa a fronte di situazioni di particolare affollamento, possa, fino al 31 dicembre 2025, affidare alla Croce Rossa italiana la gestione della struttura, estendendo anche a tali casi le facoltà di deroga previste dall’articolo 10 del decreto legge in esame, già sopra richiamate.
La disposizione precisa che, per tale struttura, sono assicurate le prestazioni previste dallo schema di capitolato di cui all’articolo 12 del decreto legislativo n. 142 del 2015.
Tra le prestazioni che tale schema di capitolato, adottato in base all’articolo 12 del decreto legislativo n. 142 del 2015 con decreto del Ministro dell’interno del 24 febbraio 2021, prevede debbano essere assicurate dall’ente gestore figurano:
· il servizio di gestione amministrativa (che comprende, tra l’altro: la registrazione dello straniero e la tenuta di una scheda individuale con modalità anche informatiche; il rilascio allo straniero di un tesserino da utilizzare per la registrazione delle entrate e delle uscite; i servizi finalizzati alle attività di comunicazione e di notifica degli atti relativi ai procedimenti di esame delle domande di protezione internazionale);
· il servizio di assistenza generica alla persona (che comprende, tra l’altro: il servizio di mediazione linguistico–culturale; il servizio di informazione; il servizio di assistenza sociale; il servizio di distribuzione, conservazione e controllo dei pasti);
· il servizio di assistenza sanitaria (che comprende: l’adempimento delle procedure necessarie per l’iscrizione degli stranieri al servizio sanitario nazionale; la prestazione di un servizio complementare di assistenza sanitaria calibrato in relazione alla tipologia ed alla dimensione dei centri; la visita medica d'ingresso nonché, al ricorrere delle esigenze, gli interventi di primo soccorso sanitario);
· la fornitura, il trasporto e la consegna di beni (in particolare di effetti letterecci, prodotti per l’igiene personale, kit di primo ingresso -vestiario e scheda telefonica-, pocket money, materiale scolastico per i minori).
Il comma 3 modifica l’articolo 10-ter del Testo unico delle leggi sull'immigrazione inserendovi, dopo il comma 1, il nuovo comma 1-bis.
Secondo tale disposizione, al Ministero dell’interno è data facoltà di trasferire gli stranieri ospitati presso i punti di crisi in “strutture analoghe” sul territorio nazionale, per l’espletamento delle medesime attività (soccorso, prima assistenza e identificazione).
Per consentire una gestione coordinata degli adempimenti delle competenti autorità, la disposizione prevede altresì che l’individuazione di tali strutture analoghe – laddove siano destinate alle procedure di frontiera con trattenimento – e della loro capienza sia effettuata d’intesa con il Ministero della giustizia.
Sembra doversi desumere che a tali strutture analoghe si applicherà il medesimo regime giuridico degli hotspot. Al riguardo si valuti l’opportunità di una conferma.
Si ricorda in proposito che presso i punti di crisi il cittadino straniero, oltre alle procedure di accertamento delle condizioni di salute e di prima assistenza, è sottoposto alle procedure di identificazione, mediante operazioni di rilevamento fotodattiloscopico e segnaletico, anche ai fini del rispetto degli articoli 9 e 14 del regolamento Eurodac. Al contempo, lo straniero riceve informazioni sulla procedura di protezione internazionale, sul programma di ricollocazione in altri Stati membri dell'Unione europea e sulla possibilità di ricorso al rimpatrio volontario assistito.
Il D.L. n. 113 del 2018 (articolo 3) ha introdotto la possibilità di disporre il trattenimento dei richiedenti asilo in appositi locali degli hotspot per il tempo strettamente necessario, e comunque per un periodo massimo di 30 giorni, per la determinazione o la verifica dell'identità o della cittadinanza. Al contempo il medesimo decreto ha disposto l'inserimento (entro l'articolo 7, comma 5, lettera e) del decreto-legge n. 146 del 2013) delle strutture degli appositi punti di crisi - individuati dall'articolo 10-ter, comma 1, del Testo unico sull'immigrazione quali centri di prima accoglienza – quali luogo in cui il Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale possa condurre la verifica del rispetto degli adempimenti connessi a diritti dello straniero.
Il comma 4 modifica l’articolo 11 del decreto legislativo n. 142 del 2015, disciplinante i Centri di Accoglienza Straordinaria (CAS), inserendovi, dopo il comma 2, il nuovo comma 2-bis.
Secondo tale disposizione, in caso di temporanea indisponibilità di posti nei centri governativi di prima accoglienza di cui all’articolo 9 del medesimo decreto o nelle strutture di accoglienza straordinaria di cui allo stesso articolo 11, il prefetto può disporre che l’accoglienza avvenga, per il tempo strettamente necessario, in strutture di accoglienza provvisoria individuate ai sensi del comma 2 (vale a dire da parte delle prefetture-uffici territoriali del Governo, previo parere dell'ente locale nel cui territorio è situata la struttura, secondo le procedure di affidamento dei contratti pubblici e, nei casi di estrema urgenza, attraverso procedure di affidamento diretto) e, dunque, con le stesse modalità attualmente previste per l’istituzione dei CAS.
La disposizione prevede, altresì, che in tali strutture siano assicurate le prestazioni concernenti il vitto, l’alloggio, il vestiario, l’assistenza sanitaria e la mediazione linguistico-culturale, secondo le disposizioni contenute nello schema di capitolato di gara di cui all’articolo 12, già richiamato.
Al fine di assicurare adeguati livelli di accoglienza nei punti di crisi, il comma 5 autorizza il Ministero dell’interno a stipulare uno o più contratti per l’affidamento del servizio di trasporto marittimo dei migranti ivi presenti, nel limite massimo complessivo di euro 8.820.000 per l’anno 2023 e fatte salve le facoltà di deroga di cui all’articolo 10 del decreto in esame.
A tale onere il comma 5 dispone che si risponda mediante corrispondente riduzione dello stanziamento del fondo speciale di parte corrente iscritto, ai fini del bilancio triennale 2023-25, nell’ambito del programma “Fondi di riserva e speciali” della missione “Fondi da ripartire” dello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze per l’anno 2023, allo scopo parzialmente utilizzando quanto a euro 2.800.000 l’accantonamento relativo al medesimo ministero e quanto a euro 6.020.000 l’accantonamento relativo al Ministero dell’interno.
La disposizione in esame prevede altresì che, per lo svolgimento delle attività istruttorie di natura tecnico-amministrativa e delle procedure di affidamento del servizio sopra citato, il Ministero dell’interno possa avvalersi dei competenti uffici del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti.
Articolo 5-ter
(Modifiche al sistema di accoglienza)
L’articolo 5-ter interviene sulle disposizioni concernenti il Sistema di accoglienza e integrazione (c.d. SAI), escludendo dall’ambito di applicazione dei servizi della rete territoriale i richiedenti asilo (ossia gli stranieri che hanno presentato una domanda di protezione internazionale sulla quale non è ancora stata adottata una decisione definitiva). Al contempo si prevede una deroga per i richiedenti protezione internazionale che entrino in Italia in attuazione di protocolli sui corridoi umanitari, del programma di reinsediamento o di evacuazioni umanitarie, nonché per i richiedenti che appartengono alle c.d. categorie vulnerabili.
In secondo luogo, è individuata quale causa di decadenza dalle misure di accoglienza nel SAI la mancata presentazione del richiedente presso la struttura individuata entro sette giorni dalla comunicazione, salvo casi di forza maggiore o di ritardo motivato.
Alcune misure transitorie dispongono che le nuove disposizioni non trovano applicazione nei confronti dei richiedenti protezione internazionale presenti nel SAI al momento dell’entrata in vigore della legge di conversione del decreto in esame, così come ai cittadini afghani che entrano in Italia in attuazione delle evacuazioni umanitarie eseguite dalle autorità italiane, nonché ai profughi dall’Ucraina, ai quali continuano ad applicarsi le disposizioni speciali previste dalla normativa emergenziale seguita al conflitto in atto.
L’articolo in esame interviene principalmente sulla platea dei beneficiari dei servizi di accoglienza per i migranti prestati dagli enti locali nell’ambito del Sistema di accoglienza e integrazione (SAI), materia negli ultimi anni oggetto di ripetuti interventi normativi.
In via preliminare è utile ricordare sinteticamente la struttura del sistema di assistenza dei migranti nel territorio italiano, definito con il D.Lgs. n. 142 del 2015 in attuazione delle direttive europee 2013/32/UE e 2013/33/UE, in cui il SAI rappresenta il pilastro della c.d. seconda accoglienza.
Il sistema di accoglienza dei migranti nel territorio italiano è oggi disciplinato dal decreto legislativo n. 142/2015, adottato in attuazione delle direttive europee 2013/32/UE e 2013/33/UE. Successivamente, alcune integrazioni e modifiche sono state apportate dapprima dal D.L. 13/2017, che ha previsto alcuni interventi urgenti in materia di immigrazione, poi dalla L. n. 47/2017 sui minori stranieri non accompagnati e dal D.Lgs. n. 220/2017. Nella XVIII legislatura, dapprima il D.L. 113/2018 e successivamente il D.L. 130/2020 hanno introdotto ulteriori significative modifiche.
Le misure di accoglienza dei richiedenti asilo si articolano in diverse fasi. La primissima fase consiste nel soccorso e prima assistenza, nonché nelle operazioni di identificazione dei migranti, soprattutto nei luoghi di sbarco.
In base alle modifiche da ultimo introdotte dal D.L. 130 del 2020 le funzioni di prima assistenza sono assicurate nei centri governativi e nelle strutture temporanee previste dagli articoli 9 e 11 del decreto accoglienza (si v. infra), mentre le procedure di soccorso e identificazione dei cittadini irregolarmente giunti nel territorio nazionale si svolgono presso i c.d. punti di crisi (hotspot) di cui all'art. 10-ter del TU in materia di immigrazione, allestite nei luoghi dello sbarco in base agli impegni assunti dallo Stato italiano nell'ambito dell'Agenda europea sulla migrazione, adottata nel 2015, per consentire le operazioni di prima assistenza, screening sanitario, identificazione e somministrazione di informative in merito alle modalità di richiesta della protezione internazionale o di partecipazione al programma di relocation.
L'accoglienza vera e propria si articola a sua volta in due fasi:
· la fase di prima accoglienza per il completamento delle operazioni di identificazione del richiedente e per la presentazione della domanda di asilo, all'interno dei c.d. centri governativi di prima accoglienza ordinari e straordinari e:
· una fase di seconda accoglienza e di integrazione, assicurata, a livello territoriale, dai progetti degli enti locali (SAI).
Le attività di c.d. prima accoglienza, che comprendono l'identificazione dello straniero (ove non sia stato possibile completare le operazioni negli hotspot), la verbalizzazione e l'avvio della procedura di esame della domanda di asilo, l'accertamento delle condizioni di salute e la sussistenza di eventuali situazioni di vulnerabilità, sono assicurate dai centri governativi di nuova istituzione, previsti dal decreto legislativo n. 142/2015 sulla base della programmazione dei tavoli di coordinamento nazionale e interregionali (art. 9) e, in prima applicazione, dai centri di accoglienza già esistenti, come i Centri di accoglienza per i richiedenti asilo (CARA) e i Centri di accoglienza (CDA) - denominazioni oggi superate dall’inclusione nella più ampia categoria dei centri governativi. L'invio del richiedente in queste strutture è disposto dal prefetto, sentito il Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno.
In caso di esaurimento dei posti nei centri governativi, a causa di massicci afflussi di richiedenti, questi possono essere ospitati in strutture diverse dai centri governativi (art. 11). La natura di queste strutture, denominate CAS (centri di accoglienza straordinaria), è temporanea e l'individuazione viene effettuata dalle Prefetture, sentito l'ente locale nel cui territorio è situata la struttura. I dati degli ultimi anni relativi alle presenze dei migranti nelle strutture di accoglienza evidenzia come la maggior parte dei rifugiati sia ospitata in strutture provvisorie (ossia i CAS), poiché i servizi convenzionali a livello centrale e locale hanno capienza limitata.
Secondo i dati diffusi lo scorso 1° marzo dal Ministro dell’interno nel corso dell’audizione presso la Commissione affari costituzionali della Camera sulle linee programmatiche del dicastero, alla data del 21 febbraio 2023, la rete della prima accoglienza è costituita da:
· 9 centri governativi di prima accoglienza (CARA), che contano la presenza di 3.248 migranti;
· 5.408 strutture di accoglienza straordinaria (cd. CAS) dislocate nel territorio. Complessivamente tali centri ospitano la maggior parte dei richiedenti asilo, pari a 69.650 migranti.
La c.d. seconda accoglienza è garantita dai progetti del Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (SPRAR), istituito nel 2002 dalla legge n. 189 del 2002 (c.d. legge Martelli, che ha modificato il decreto-legge n. 416 del 1989), poi ridenominato Sistema di protezione per titolari di protezione internazionale e minori stranieri non accompagnati (SIPROIMI) a partire dalla fine del 2018, a seguito delle modifiche previste dall'art. 12 del D.L. 113/2018 e, da ultimo, riformato con il D.L. 130 del 2020 (art. 4, co. 3-4) che ha definito il nuovo "Sistema di accoglienza e integrazione" (SAI).
Gli enti locali aderiscono al sistema su base volontaria e attuano i progetti con il supporto delle realtà del terzo settore. A coordinare il Sistema è il Servizio centrale, attivato dal Ministero dell'interno e affidato con convenzione all'Associazione nazionale dei comuni italiani (Anci). I progetti della c.d. seconda accoglienza non si limitano ad interventi materiali di base (vitto e alloggio), ma assicurano una serie di attività funzionali alla riconquista dell'autonomia individuale, come l'insegnamento della lingua italiana, la formazione e la qualificazione professionale, l'orientamento legale, l'accesso ai servizi del territorio, l'orientamento e l'inserimento lavorativo, abitativo e sociale, oltre che la tutela psico-socio-sanitaria.
Ai sensi della normativa vigente i progetti di accoglienza integrata vengono finanziati annualmente dal Ministro dell'interno, con l'indicazione del costo massimo di progetto sulla base del costo medio dei progetti della rete, relativo alla specifica tipologia di accoglienza. Il sostegno finanziario è assicurato dalle risorse iscritte al Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell'asilo (FNPSA), istituito dalla legge n. 189 del 2002 modificativa del decreto legge n. 416 del 1989, nel quale confluiscono sia risorse nazionali, provenienti dallo stato di previsione del Ministero dell'interno sia assegnazioni annuali del Fondo europeo per i rifugiati. Le risorse stanziate sul relativo capitolo dello stato di previsione del Ministero dell’interno (cap. 2352) risultano pari a 692,4 milioni di euro per il 2023.
Il D.L. 130/2020 ha previsto una diversificazione dei servizi del SAI, che ora si articola in due livelli di prestazioni in relazione alle diverse categorie di utenza:
· i servizi di primo livello, cui accedono i richiedenti protezione internazionale, tra i quali si comprendono: prestazioni di accoglienza materiale, assistenza sanitaria, assistenza sociale e psicologica, mediazione linguistico-culturale, somministrazione di corsi di lingua italiana e i servizi di orientamento legale e al territorio. Si tratta degli stessi servizi che devono essere assicurati nei centri governativi di prima accoglienza;
· i servizi di secondo livello, cui accedono tutte le altre categorie di beneficiari del sistema, che già accedono ai servizi previsti al primo livello: si tratta di servizi aggiuntivi, finalizzati all'integrazione che, comprendono, l'orientamento al lavoro e la formazione professionale.
Infine, il medesimo decreto (art. 5) prevede che per i beneficiari di misure di accoglienza accolti nel Sistema di accoglienza e integrazione sono avviati ulteriori progetti di integrazione a cura delle amministrazioni competenti e nei limiti delle risorse disponibili, nonché ha individuato alcune linee prioritarie d'intervento per l'aggiornamento del Piano nazionale di integrazione dei titolari di protezione internazionale per il biennio 2020-2021.
Secondo i dati riportati dal Servizio centrale del Sistema, alla data del 28 febbraio 2023, risultano attivi ed ammessi a finanziamento del Ministero dell'interno 934 progetti che coinvolgono 793 enti locali per un totale di 43.923 posti finanziati, così distinti:
· 36.821 ordinari;
· 6.299 per minori non accompagnati;
· 803 per persone con disagio mentale o disabilità.
L’articolo in esame modifica in primo luogo l’ambito di applicazione soggettivo dei servizi di accoglienza del Sistema di accoglienza e integrazione (c.d. SAI), con puntuali novelle sia all’articolo 1-sexies del D.L. 416/1989, sia al decreto legislativo n. 142/2015 (c.d. decreto accoglienza).
Per il confronto testuale delle modifiche apportate alla normativa vigente, si rinvia, infra, al testo a fronte inserito in calce alla scheda di lettura dell’articolo 5-quater.
In base alla normativa vigente tali servizi sono destinati ai titolari della protezione internazionale e ai minori stranieri non accompagnati (tutti i minori, indipendentemente dallo status di richiedente protezione internazionale), nonché, nei limiti dei posti disponibili:
§ ai richiedenti la protezione internazionale;
§ ai titolari di specifiche categorie di permessi di soggiorno previste dal Testo unico dell’immigrazione (permesso di soggiorno "per protezione speciale"; "per cure mediche"; "per protezione sociale"; "violenza domestica"; "per calamità"; "di particolare sfruttamento lavorativo"; "per atti di particolare valore civile": per casi speciali) i quali non accedano a sistemi di protezione specificamente dedicati;
§ ai neo-maggiorenni affidati ai servizi sociali in prosieguo amministrativo.
Con una prima modifica al comma 1 dell’articolo 1-sexies del D.L. 416/1989, il comma 1, lett. a), dell’articolo in commento, esclude i richiedenti la protezione internazionale dall’accesso ai servizi del SAI, come già era stato disposto nella scorsa legislatura per effetto del decreto-legge n. 113 del 2018, successivamente superato dalle disposizioni del decreto-legge n. 130 del 2020.
Per quanto riguarda l’accesso ai servizi di accoglienza integrata, si ricorda che nell'impianto originario del D.Lgs. 142 del 2015, i servizi della cd. seconda accoglienza erano destinati a coloro che avevano già fatto richiesta della protezione internazionale (e anche coloro ai quali detto status era stato riconosciuto), privi di mezzi sufficienti di sostentamento. Con le novità introdotte dal decreto legge 113 del 2018, era stata modificata la tipologia di beneficiari che accedono al sistema di seconda accoglienza e le modalità di accesso. Quella riforma riservava i servizi di accoglienza degli enti locali che aderiscono allo SPRAR, ridenominato SIPROIMI ai titolari di protezione internazionale e ai minori stranieri non accompagnati, escludendo dalla possibilità di usufruire dei relativi servizi i richiedenti la protezione internazionale. Potevano inoltre essere accolti nel Sistema i cittadini stranieri titolari di permesso di soggiorno per casi speciali (protezione sociale e vittime di tratta, violenza domestica e grave sfruttamento lavorativo), per cure mediche, per calamità, per atti di particolare valore civile.
All'esito delle modifiche introdotte con il decreto-legge n. 130/2020, l'inserimento nelle strutture di tale circuito è stato ampliato, nei limiti dei posti disponibili, oltre che ai titolari di protezione internazionale e ai minori stranieri non accompagnati, ai richiedenti la protezione internazionale, che erano stati esclusi dal precedente D.L. 113 del 2018, nonché ai titolari di diverse categorie di permessi di soggiorno previsti dal TU immigrazione (qualora non accedano a sistemi di protezione specificamente dedicati) e ai neomaggiorenni affidati ai servizi sociali in prosieguo amministrativo. Tali soggetti sono trasferiti nelle strutture del Sistema di accoglienza e integrazione nei limiti dei posti disponibili: il D.L. 130 del 2020 ha tuttavia aggiunto un criterio di priorità nel trasferimento presso le strutture comunali per i richiedenti che rientrino in una delle categorie di vulnerabilità previste dall'art. 17 del decreto accoglienza.
Inoltre il decreto-legge n. 130 del 2020 ha diversificato i servizi, ora articolati in due livelli di prestazioni: il primo livello dedicato ai richiedenti protezione internazionale (con prestazioni di accoglienza materiale, assistenza sanitaria, assistenza sociale e psicologica, mediazione linguistico-culturale, somministrazione di corsi di lingua italiana e i servizi di orientamento legale e al territorio); il secondo livello rivolto a coloro che della protezione internazionale siano già titolari (con servizi aggiuntivi finalizzati all'integrazione, comprensivi dell'orientamento al lavoro e della formazione professionale).
Pertanto, all’esito di tale intervento, i richiedenti protezione internazionale, a meno che non ricorrano le condizioni che necessitino il trattenimento nei Centri di permanenza per i rimpatri (CPR), possono accedere solo alle misure previste nell’ambito dei centri di accoglienza governativi.
Si ricorda che ai sensi dell’articolo 9 del D.Lgs. 142/2015 i migranti che manifestano l'intenzione di chiedere la protezione internazionale, a meno che non ricorrano le condizioni che necessitino il trattenimento, sono accompagnati nei centri governativi di prima accoglienza, che hanno la funzione di completare l'identificazione dello straniero (ove non sia stato possibile completare le operazioni nei centri di primo soccorso dislocati nei luoghi di sbarco), la verbalizzazione e l'avvio della procedura di esame della domanda di asilo, l'accertamento delle condizioni di salute e la sussistenza di eventuali situazioni di vulnerabilità che comportino speciali misure di assistenza. I centri sono istituiti a livello regionale o interregionale con decreto del Ministro dell'interno, sentita la Conferenza unificata, anche mediante la riconversione dei preesistenti Centri di assistenza richiedenti asilo (CARA) e Centri di accoglienza (CDA). La gestione dei centri di prima accoglienza può essere affidata ad enti locali, ad enti pubblici e privati che operano nel settore dell'immigrazione o dell'assistenza sociale, secondo le procedure di affidamento dei contratti pubblici.
Si ricorda infine che i Centri di Permanenza per i Rimpatri (CPR) sono strutture – istituite dall’articolo 14 del decreto legislativo n. 286 del 1998 – ove vengono trattenuti i migranti irregolari che non facciano richiesta di protezione internazionale o non ne abbiano i requisiti, in vista dell'esecuzione del provvedimento di espulsione da parte delle Forze dell'ordine.
Stabilito tale principio sono al contempo fatte salve due possibilità di accoglienza nel SAI per i richiedenti asilo.
In primo luogo, possono continuare ad accedervi quei richiedenti protezione internazionale che hanno fatto ingresso nel territorio nazionale a seguito di protocolli per la realizzazione di corridoi umanitari ovvero in seguito ad evacuazioni o programmi di reinsediamento nel territorio nazionale (cfr. comma 1, lett. b), che aggiunge un comma 1-bis al menzionato art. 1-sexies, D.L. 416/1989). Per quanto riguarda i programmi di reinsediamento si fa riferimento a quelli che prevedono l’individuazione dei beneficiari nei paesi di origine o di transito in collaborazione con l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati.
Con l’espressione “corridoi umanitari” si intendono le iniziative di collaborazione tra settore pubblico e soggetti privati o non governativi, che consentono il trasferimento di persone bisognose di protezione internazionale dal paese di primo asilo, dove risiedono, in Italia.
I beneficiari sono accolti presso strutture individuate e finanziate dalle associazioni proponenti, che garantiscono anche i percorsi di integrazione socio-culturale, senza oneri a carico dello Stato.
Si distinguono dai “corridoi umanitari” altre forme di accesso legale di rifugiati e richiedenti asilo in Italia, che tuttavia presentano caratteristiche e procedure diverse. In primo luogo, il programma nazionale di reinsediamento, che consiste nel trasferimento di rifugiati, su richiesta dell’UNHCR dai paesi di primo asilo verso l’Italia, dove sono ospitati presso strutture SAI. Per il programma è previsto un sostegno finanziario da parte dei fondi FAMI (Fondo asilo, migrazione e integrazione) di 10.000 euro per ciascun rifugiato.
Un’ulteriore forma di ammissione legale e sicura si realizza con le c.d. evacuazioni umanitarie, finalizzate al trasferimento rapido di persone in situazioni di emergenza, potenzialmente bisognose di protezione internazionale.
La relazione di accompagnamento all’emendamento presentato dal Governo motiva tale eccezione in relazione al fatto che, per la maggior parte, si tratta di migranti per i quali sono state già espletate all’estero tutte le procedure preliminari alla definizione della loro posizione giuridica (che normalmente si svolgono nei centri di accoglienza governativi).
In secondo luogo, è fatta salva la possibilità di accesso ai servizi del SAI per i richiedenti protezione internazionale che si trovano in una delle situazioni di vulnerabilità, individuate ai sensi dell’articolo 17 del D.Lgs. n. 142/2015 (così dispone il comma 2, lett. b), n. 2), che aggiunge un comma 1-bis all’art. 9, D.Lgs. n. 142/2015).
Si ricorda che nell'ambito delle misure di accoglienza, il decreto n. 142/2015 riserva una particolare attenzione ai soggetti "portatori di esigenze particolari" (c.d. persone vulnerabili), il cui novero è ampliato rispetto al passato e ricomprende: minori, i minori non accompagnati, i disabili, gli anziani, le donne in stato di gravidanza, i genitori singoli con figli minori, le vittime della tratta di esseri umani, le persone affette da gravi malattie o da disturbi mentali, le persone per le quali è stato accertato che hanno subito torture, stupri o altre forme gravi di violenza psicologica, fisica o sessuale o legata all'orientamento sessuale o all'identità di genere, le vittime di mutilazioni genitali.
Per tali soggetti sono introdotti specifici accorgimenti nella procedura di accoglienza e di assistenza. Così, nell'ambito dei centri governativi sono attivati servizi speciali di accoglienza, assicurati anche in collaborazione con la ASL competente per territorio, che devono garantire misure assistenziali particolari e un adeguato supporto psicologico. Tra tutte le categorie di vulnerabilità, disposizioni particolari sono riservate all'accoglienza dei minori stranieri non accompagnati (MSNA).
Un’ulteriore novità riguardo al citato Sistema di accoglienza e integrazione è introdotta dalla disposizione di cui al comma 1, lett. c), la quale prevede che i titolari di protezione internazionale e i titolari degli altri permessi di soggiorno speciali che valgono ai fini dell’accesso alla rete SAI (art. 1-sexies, comma 1, D.L. 416/1989) decadono dalle relative misure di accoglienza ove non si presentino presso la struttura di destinazione entro sette giorni dalla comunicazione che viene loro trasmessa dal Servizio centrale
In proposito si ricorda che il vigente quadro normativo contempla alcune ipotesi di revoca dell’accoglienza nel SAI che sono previste dall’articolo 40 del decreto del Ministro dell’interno 18 novembre 2019 recante Modalità di accesso degli enti locali ai finanziamenti del Fondo nazionale per le politiche ed i servizi dell'asilo e di funzionamento del Sistema di protezione per titolari di protezione internazionale e per i minori stranieri non accompagnati (Siproimi, ora SAI) _allegato A (in G.U., 4 dicembre 2019, n. 284).
Tale disposizione prevede che l’accoglienza può essere revocata nei seguenti casi:
a) violazione grave o ripetuta del regolamento della struttura di accoglienza, compreso il danneggiamento doloso di beni mobili o immobili, ovvero comportamenti gravemente violenti;
b) ingiustificata mancata presentazione del beneficiario nella struttura individuata dal Servizio centrale;
c) ingiustificato allontanamento del beneficiario oltre le 72 ore, senza previa autorizzazione dell'ente locale;
d) applicazione nei confronti del beneficiario della misura della custodia cautelare in carcere.
La revoca delle misure di accoglienza è disposta con provvedimento adottato dall'ente locale, da comunicare tempestivamente al Servizio centrale.
La decadenza dalle misure di accoglienza in caso di mancata presentazione nella struttura indicata entro sette giorni prevista dalla disposizione in commento (la quale appare costituire un automatismo) sostituisce quindi quanto previsto dalla normativa vigente sulla revoca in caso di ingiustificata mancata presentazione del beneficiario nella struttura, senza indicazione di un termine temporale (la quale richiede invece un apposito provvedimento amministrativo, impugnabile in sede giurisdizionale).
La decadenza non opera:
§ in casi di forza maggiore o;
§ al ricorrere di obiettive e motivate ragioni di ritardo, valutate dal Prefetto della provincia di provenienza del beneficiario.
Ulteriori disposizioni del comma 1 e del comma 2 dell’articolo in esame, recano norme di coordinamento del D.L. 416/1989 e del D.Lgs. 142/2015, conseguenti alle modifiche descritte. In particolare:
§ il comma 1, lett. d), modifica il comma 2-bis dell’art. 1-sexies del D.L. 416/1989, concernente le tipologie di servizi previsti nell’ambito del SAI, aggiornando la previsione che riguarda i servizi di primo livello, destinati non più ai richiedenti protezione internazionale tout court, come ora previsto, bensì solo alle specifiche categorie di richiedenti individuate ai sensi del comma 1-bis del medesimo D.L. 416/1989 e del D.Lgs. n. 142/2015 (cfr. supra);
§ il comma 2, lett. a), modifica l’articolo 8 del D.Lgs. 142/2015 in modo da sopprimere la distinzione, ad oggi valevole per tutti i richiedenti protezione internazionale, tra prima assistenza nei centri governativi e seconda accoglienza nella rete SAI. A tal fine il comma 2 dell’articolo è riformulato disponendo che l’accoglienza dei richiedenti asilo è assicurata nei centri governativi, salve le eccezioni già viste (comma 2, lett. a), n. 1), mentre il comma 3 è abrogato (comma 2, lett. a), n. 2));
§ il comma 2, lett. b), n. 1, modifica l’articolo 9 del D.Lgs. 142/2015 che attualmente disciplina le misure di prima accoglienza al fine di eliminare, ovunque ricorra nel corpo dell’articolo, le parole “di prima accoglienza” per sostituirle con “accoglienza”;
§ il comma 2, lett. b), n. 3, sopprime il secondo periodo dell’articolo 9, comma 4, che attualmente disciplina le attività per l’espletamento delle quali il richiedente è accompagnato nei centri governativi di prima accoglienza e terminate le quali può essere trasferito in una struttura della rete SAI.
In base alla disciplina vigente, infatti, il richiedente è accolto nei centri di prima accoglienza per il tempo necessario all’espletamento delle operazioni di identificazione (ove non sia stato possibile completare le operazioni nei centri di primo soccorso dislocati nei luoghi di sbarco), alla verbalizzazione e all'avvio della procedura di esame della domanda di asilo, all'accertamento delle condizioni di salute e della sussistenza di eventuali situazioni di vulnerabilità che comportino speciali misure di assistenza.
§ il comma 2, lett. b), n. 4, dispone l’abrogazione dell’articolo 9, comma 4-bis, che disciplina appunto il trasferimento del richiedente nelle strutture del SAI una volta espletati tutti gli adempimenti da svolgere nei centri governativi;
§ il comma 2, lett. b), n. 5, reca una disposizione di mero coordinamento all’articolo 9, comma 4-ter, in materia di verifica di specifiche situazioni di vulnerabilità ai fini del trasferimento nelle strutture SAI (v. supra);
§ il comma 2, lett. c), abroga l’articolo 11, comma 3, che limita l’accoglienza nei Centri di accoglienza straordinaria (CAS) al tempo strettamente necessario al trasferimento del richiedente protezione internazionale nelle strutture del SAI.
Il comma 3 dell’articolo in esame reca una disposizione di carattere transitorio in base alla quale le nuove disposizioni sull’accoglienza integrata non trovano applicazione nei confronti di quei richiedenti protezione internazionale che alla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto in esame, siano presenti nel Sistema di accoglienza e integrazione.
Per effetto di tale disposizione, pertanto, tali richiedenti potranno continuare ad usufruire dei servizi integrati nell’ambito dei progetti in cui sono stati inseriti fino alla definizione della relativa domanda di protezione internazionale.
I commi 4 e 5 escludono dall’applicazione delle nuove disposizioni i migranti da due diversi contesti internazionali di crisi ed emergenza umanitaria.
In primo luogo, resta ferma la possibilità di accoglienza nel SAI dei cittadini afghani richiedenti protezione internazionale che fanno ingresso in Italia in attuazione delle operazioni di evacuazione effettuate dalle autorità italiane (comma 4).
In proposito si ricorda che in seguito alla crisi politica che ha interessato l’Afghanistan, da giugno a dicembre 2021, il Ministero della Difesa ha organizzato le evacuazioni umanitarie che hanno preso il nome di operazioni Aquila. Di queste operazioni hanno beneficiato, al 31 dicembre 2021, 4.797 cittadini afghani, ex collaboratori del contingente italiano e delle istituzioni europee, con le proprie famiglie, alle quali è stato garantito un ingresso regolare e sicuro in Italia (dati Ministero interno). In tale contesto, il Ministero dell’Interno ha assicurato l’inserimento nel sistema di accoglienza dei cittadini afghani evacuati. In relazione alla stessa emergenza umanitaria nel 2021 è stato altresì sottoscritto il Protocollo “Corridoi Umanitari – evacuazioni dall’Afghanistan”, nell’ambito del quale è stato previsto l’arrivo in Italia di 1.200 persone, potenziali beneficiarie di protezione internazionale.
Per far fronte a tale emergenza la rete SAI è stata oggetto di specifico ampliamento: il DL n. 139/2021 ha infatti previsto un incremento, per gli anni 2021- 2023, della dotazione finanziaria del Fondo Nazionale per le Politiche ed i Servizi dell’Asilo, al fine di aumentare di 3.000 posti la rete SAI, a favore dei nuclei familiari dei cittadini afghani. La legge di bilancio n. 234/2021 (legge di bilancio per l’anno 2022 e per il triennio 2022 – 2024) ha previsto, poi, un ulteriore incremento del fondo, per consentire l’attivazione di altri 2.000 posti.
Inoltre, altra specifica clausola di salvaguardia è prevista dal comma 5 per le misure di protezione temporanea stabilite in favore dei profughi dall’Ucraina, da ultimo sulla base delle disposizioni del decreto-legge n. 16/2023, tra le quali è prevista l’accoglienza nell’ambito della rete SAI, che continuerà ad essere disciplinata sulla base delle disposizioni speciali che la regolano.
In proposito si ricorda che in seguito all’avvio del conflitto russo-ucraino, è stato deliberato lo stato di emergenza di rilievo nazionale per assicurare soccorso ed assistenza alla popolazione ucraina sul territorio nazionale, la cui durata è da ultimo stata prorogata fino al 31 dicembre 2023.
In tale ambito dapprima il decreto-legge n. 16 del 2022 (articolo 3, poi confluito nel decreto-legge 25 febbraio 2022, n. 14, art. 5-quater), ha previsto l’accoglienza dei profughi dall’Ucraina sia nella rete SAI che nei centri governativi ordinari e straordinari, anche se non in possesso della qualità di richiedente protezione internazionale o degli altri titoli di accesso previsti dalla normativa vigente. A tal fine, in particolare il decreto ha disposto un potenziamento del sistema di accoglienza integrata (SAI) attraverso l'attivazione di ulteriori 3.000 posti. È stata inoltre estesa ai profughi provenienti dall'Ucraina la riserva di posti (complessivamente 5.000) del Sistema di Accoglienza e Integrazione (SAI) già prevista e finanziata per i cittadini afghani con il D.L. n. 139 del 2021 e la legge dì bilancio per il 2022. Ad integrazione di tali misure, il decreto-legge n. 115 del 2022 (art. 26, co. 1, lett. c-bis)) ha altresì previsto l'attivazione fino a un massimo di ulteriori 8.000 posti nel Sistema di accoglienza e integrazione, a partire da quelli già resi disponibili dai Comuni e non ancora finanziati. Da ultimo, il decreto-legge n. 16 del 2023 ha incrementato di circa 52,3 milioni per il 2023 il Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell'asilo per garantire la prosecuzione dell’accoglienza dei profughi provenienti dall’Ucraina nelle strutture territoriali della rete SAI.
Infine il comma 6 reca la clausola di invarianza finanziaria.
Articolo 5-quater
(Riduzione o revoca delle condizioni di accoglienza)
L’articolo 5-quater introduce, accanto alle ipotesi di revoca già previste dalla normativa vigente, la possibilità di adottare provvedimenti di riduzione delle condizioni di accoglienza nei casi di violazione grave e ripetuta, da parte del richiedente protezione internazionale, delle regole della struttura in cui è accolto ovvero in caso di comportamenti gravemente violenti, anche tenuti al di fuori della struttura di accoglienza.
A tal fine la disposizione in commento modifica in più parti l’articolo 23 del c.d. decreto accoglienza (D.Lgs. 142 del 2015), che attualmente disciplina le sole ipotesi di revoca dell’accoglienza all’interno dei centri di prima accoglienza (art. 9) o dei centri di accoglienza straordinaria – CAS (art. 11).
Per il confronto testuale delle modifiche apportate alla normativa vigente, si rinvia, infra, al testo a fronte inserito in calce alla scheda di lettura.
In base al vigente quadro normativo, ai sensi dell’articolo 23 del D.Lgs. n. 142/2015, le misure di accoglienza possono essere revocate con decreto del prefetto, qualora il richiedente asilo:
· non si presenti presso la struttura individuata o abbandoni immotivatamente la struttura stessa senza comunicarlo alla prefettura (lettera a);
· non si presenti all'audizione davanti all'organo che esamina la domanda (lettera b);
· abbia già in precedenza presentato in Italia domanda di protezione internazionale, reiterata ai sensi dell'articolo 29 del decreto legislativo n. 25 del 2008 (lettera c);
· abbia mezzi economici sufficienti e accertati (lettera d);
· abbia violato in modo grave o ripetutamente le regole della struttura di accoglienza ovvero abbia avuto comportamenti gravemente violenti (lettera e).
In ogni caso, in vista dell'adozione della revoca delle misure si deve prendere in considerazione la complessiva situazione del richiedente, specie in riferimento ad eventuali condizioni di vulnerabilità.
Avverso il provvedimento di revoca delle misure di accoglienza il richiedente può proporre ricorso giurisdizionale avanti al Tribunale amministrativo regionale competente.
Una ulteriore causa di revoca si verifica ove, successivamente all'invio in una struttura di accoglienza, emergano i presupposti per la valutazione di pericolosità del richiedente che giustifica il trattenimento nei Centri di permanenza per il rimpatrio (CPR). In tal caso, il prefetto dispone la revoca delle misure e ne dà comunicazione al questore ai fini dell'adozione del provvedimento di trattenimento.
In relazione alla citata normativa, è utile ricordare l’orientamento espresso dalla giurisprudenza europea e nazionale, che ha portato alla declaratoria di illegittimità dell’ipotesi di revoca prevista dall’art. 23, comma 1, lett. e), del d.lgs. n. 142/2015, per i casi in cui il richiedente abbia violato in modo grave o ripetuto le regole della struttura di accoglienza ovvero abbia avuto comportamenti gravemente violenti, in quanto ritenuta incompatibile con l’articolo 20, paragrafi 4 e 5, della direttiva 2013/33/UE (c.d. direttiva rimpatri), su cui, più diffusamente, si v. infra.
La giurisprudenza nazionale, considerata l’efficacia diretta delle pronunce della Corte UE nell’ordinamento interno, ha pertanto disapplicato la normativa nazionale in contrasto con il diritto euro-unitario determinando di fatto un vuoto normativo per la fattispecie contemplata dalla citata disposizione ed invitando il legislatore ad apprestare una disciplina che adegui il regime delle sanzioni sia alle esigenze di ordine pubblico e sicurezza dello Stato, sia al particolare status dei richiedenti protezione internazionale (cfr. Consiglio di Stato, III sezione, sentenza n. 11277/2022).
Dai principi di diritto affermati dalla Corte di Giustizia nelle sentenze del 12 novembre 2019 (resa nella causa C-233/2018) e del 1° agosto 2022 (resa nella causa C-422/2021) deriva che l’imposizione di una sanzione consistente nel revocare, seppur temporaneamente, il beneficio di tutte le condizioni materiali di accoglienza o delle condizioni materiali di accoglienza relative all’alloggio, al vitto o al vestiario è incompatibile con l’obbligo, derivante dall’articolo 20, paragrafo 5, della menzionata direttiva, di garantire al richiedente un tenore di vita dignitoso, giacché tale sanzione lo priverebbe della possibilità di far fronte ai suoi bisogni più elementari, quali nutrirsi, vestirsi, lavarsi e disporre di un alloggio.
In particolare, secondo le argomentazioni svolte dalla Corte di giustizia nella sentenza del 1° agosto 2022, l’art. 23, comma 1, lett. e), del d.lgs. n. 142/2015, prevedendo che in caso di comportamenti gravemente violenti del cittadino extracomunitario l’unica sanzione da applicare consista nella revoca, peraltro definitiva, delle misure di accoglienza originariamente riconosciute in favore dello straniero, si pone pertanto in contrasto con l’articolo 20, paragrafi 4 e 5, della menzionata direttiva, come interpretato dalla Corte di Giustizia. Infatti, la sanzione prevista dal Legislatore italiano e attuata dall’Amministrazione, da un lato, non lascia spazio ad alcuna graduazione, contravvenendo perciò al principio di proporzionalità, e, dall’altro, non consente di predisporre una tutela delle esigenze elementari dello straniero attinto dalla misura sanzionatoria, contrastando così con la necessaria tutela della dignità umana.
L’articolo in commento appare volto a colmare tale vuoto normativo. In primo luogo, la lettera a) modifica la rubrica dell’articolo intitolata alla “revoca” delle misure di accoglienza per introdurvi anche il riferimento alla “riduzione” delle misure.
Con le lettere b) e c) è introdotta nell’articolato la nuova previsione dei casi di riduzione delle misure di accoglienza.
In particolare si stabilisce (cfr. lettera c) che riformula il comma 2 del citato articolo 23) che nei casi di violazione grave o ripetuta da parte del richiedente delle regole della struttura in cui è accolto, ivi compresi il danneggiamento doloso di beni mobili o immobili, ovvero comportamenti gravemente violenti – ipotesi che finora rientrava tra le ipotesi di revoca (articolo 23, comma 1, lett. e)), soppressa dalla lettera b) dell’articolo in esame) – il prefetto competente, oltre a poter disporre il trasferimento in altra struttura, può adottare i seguenti provvedimenti di riduzione delle misure di accoglienza:
a) esclusione temporanea dalla partecipazione ad attività organizzate dal gestore del centro;
b) esclusione temporanea dall'accesso a uno o più dei servizi erogati nei centri di accoglienza ai sensi dell’articolo 10 del D.Lgs. 142/2015, fatto salvo che non si possono escludere i servizi di accoglienza materiale;
Ai sensi della disposizione richiamata, nei centri e nelle strutture di cui agli articoli 9 e 11, sono erogati, oltre alle prestazioni di accoglienza materiale, l'assistenza sanitaria, l'assistenza sociale e psicologica, la mediazione linguistico-culturale, la somministrazione di corsi di lingua italiana e i servizi di orientamento legale e al territorio, secondo le disposizioni analitiche contenute nel capitolato di gara di cui all'articolo 12.
c) sospensione, per un periodo non inferiore a trenta giorni e non superiore a sei mesi, o revoca dei benefici economici accessori previsti nel capitolato di gara d’appalto di cui all’articolo 12 del D.Lgs. 142/2015 (adottato sulla base dello schema definito con decreto del Ministro dell’interno in data 24 febbraio 2021)
In proposito si richiama il punto 52 della sentenza del 12 novembre 2019, Haqbin (C-233/18), in cui la Corte UE ha sottolineato gli Stati membri possono, nei casi di cui all'articolo 20, paragrafo 4, della direttiva 2013/33, imporre, a seconda delle circostanze del caso e fatto salvo il rispetto dei requisiti di cui all'articolo 20, paragrafo 5, di tale direttiva, sanzioni che non hanno l'effetto di privare il richiedente delle condizioni materiali di accoglienza, come la sua collocazione in una parte separata del centro di accoglienza, unitamente ad un divieto di contatto con taluni residenti del centro o il suo trasferimento in un altro centro di accoglienza o in un altro alloggio, ai sensi dell'articolo 18, paragrafo 1, lettera c), di tale direttiva.
Rispetto all’ipotesi di revoca prevista dal vigente art. 23, comma 1, lett. e), del d.lgs. n. 142/2015 (soppressa), la nuova fattispecie che giustificherebbe un provvedimento di riduzione delle condizioni di accoglienza vi riconduce il caso di comportamenti gravemente violenti “anche tenuti al di fuori della struttura di accoglienza”.
Sul punto merita ricordare che proprio la Corte di giustizia, nella attività di interpretazione dell’articolo 20 della direttiva, ha chiarito che le «gravi violazioni delle regole dei centri di accoglienza» e i «comportamenti gravemente violenti» costituiscono due ipotesi distinte, ciascuna delle quali è sufficiente a giustificare l'irrogazione di una sanzione. In mancanza, nel testo di detta disposizione, di una limitazione espressa in senso contrario e tenuto conto della necessità di interpretare le disposizioni del diritto dell'Unione in modo da preservare il loro effetto utile, secondo la Corte si deve ritenere che la nozione di «comportamenti gravemente violenti» comprenda qualsiasi comportamento di tale natura, indipendentemente dal luogo in cui si è manifestato.
La novella (comma 1, lettera d)) introduce inoltre nel corpo dell’articolo 23 un nuovo comma 2-bis, ai sensi del quale le misure di revoca o di riduzione devono essere adottate in modo individuale, nel rispetto del principio di proporzionalità, tenuto conto della situazione del richiedente, con riferimento ad eventuali condizioni di vulnerabilità di cui all’articolo 17 del decreto accoglienza.
La disposizione nella sostanza riproduce il contenuto del vigente comma 2 dell’articolo 20 ed aggiunge parte delle ulteriori statuizioni del paragrafo 4 dell’articolo 20 della direttiva rimpatri.
Si aggiunge inoltre che i provvedimenti adottati dal prefetto nei confronti del richiedente devono essere comunicati alla commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale competente.
Anche il comma 4 dell’articolo 23 viene modificato per effetto del comma 1, lettera e), al fine di prevedere che, nei casi di violazione delle regole del centro, il gestore richiami formalmente il richiedente e, laddove ritenga che sussistano i presupposti per l’applicazione delle misure previste, trasmetta tempestivamente alla prefettura una relazione sui fatti.
Da ultimo, la lettera f) reca disposizioni di coordinamento al comma 5 del citato articolo 23, estendendo ai provvedimenti di riduzione dell’accoglienza la disciplina sull’efficacia e sui ricorsi avvero i provvedimenti di revoca.
Ai sensi dell’articolo 20 della Direttiva accoglienza, gli Stati membri possono ridurre o, in casi eccezionali debitamente motivati, revocare le condizioni materiali di accoglienza qualora il richiedente:
• lasci il luogo di residenza determinato dall'autorità competente senza informare tali autorità, oppure, ove richiesto, senza permesso (art. 20, par. 1, lett. a);
• contravvenga all'obbligo di presentarsi alle autorità o alla richiesta di fornire informazioni o di comparire per un colloquio personale concernente la procedura d'asilo ((art. 20, par. 1, lett. b);
• abbia presentato domanda reiterata di protezione internazionale (art. 20, par. 1, lett. c);
• abbia occultato risorse finanziarie, beneficiando in tal modo indebitamente delle condizioni materiali di accoglienza (art. 20, par. 3);
Gli Stati membri possono inoltre ridurre le condizioni materiali di accoglienza quando possono accertare che il richiedente, senza un giustificato motivo, non ha presentato la domanda di protezione internazionale non appena ciò era ragionevolmente fattibile dopo il suo arrivo in tale Stato membro (art. 20, par. 2)
Gli Stati membri possono prevedere sanzioni applicabili alle gravi violazioni delle regole dei centri di accoglienza nonché ai comportamenti gravemente violenti (art. 20, par. 4).
Il paragrafo 5 prevede infine che:
- le decisioni di ridurre o revocare le condizioni materiali di accoglienza o le sanzioni sono adottate in modo individuale, obiettivo e imparziale e sono motivate;
- le decisioni sono basate sulla particolare situazione della persona interessata,
- i provvedimenti devono essere attuati secondo il principio di proporzionalità;
- gli Stati membri assicurano in qualsiasi circostanza l'accesso all'assistenza sanitaria e garantiscono un tenore di vita dignitoso per tutti i richiedenti.
Al fine di rispondere alle questioni pregiudiziali sollevate da diversi giudici di Stati membri, la Corte di giustizia si è espressa con due pronunce in particolare sull’effettiva interpretazione dell’art. 20 della direttiva rimpatri e sugli effetti che questa può avere nei confronti dei soggetti richiedenti asilo.
L’attenzione della Corte, nella sentenza della Grande Sezione del 12 novembre 2019 (resa nella causa C-233/2018) si è incentrata particolarmente su quanto previsto dall’art. 20, par. 4 della direttiva rimpatri, secondo il quale lo Stato accogliente ha il potere di imporre sanzioni ai soggetti richiedenti asilo che hanno infranto le regole del centro accoglienza e/o si sono resi protagonisti di episodi violenti e di turbamento dell’ordine pubblico. I giudici hanno osservato che sussiste un certo grado di discrezionalità per gli Stati in merito ai provvedimenti da adottare in tale ambito, poiché la direttiva in questione non fornisce una definizione specifica di “sanzione”.
L’esercizio di tale discrezionalità deve però rispettare una serie di criteri particolarmente stringenti per poter essere considerato legittimo. L’imposizione di un provvedimento sanzionatorio deve infatti rispettare i criteri di imparzialità, obbiettività, adeguata motivazione e proporzionalità rispetto alla particolare situazione del richiedente e deve, in ogni caso, salvaguardare il suo accesso all’assistenza sanitaria e un tenore di vita dignitoso; in particolar modo deve essere conforme a quanto previsto dall’art. 1 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione europea. Il richiedente asilo non può essere privato in alcun modo della possibilità di soddisfare i propri bisogni primari come nutrirsi o lavarsi e trovare un posto dove dormire, poiché una simile situazione risulterebbe incompatibile con il rispetto della dignità umana. Il rispetto del criterio della proporzionalità della sanzione vuole che gli Stati tengano maggiormente conto delle necessità delle persone coinvolte quando queste si trovano in uno stato di particolare bisogno, come i soggetti vulnerabili.
Alla luce di quanto esposto, la Corte di Giustizia ha concluso che l’art. 20 della direttiva 2013/33/UE impedisce ai Paesi membri di adottare sanzioni nei confronti di soggetti richiedenti asilo che includa la revoca a questi ultimi delle condizioni materiali di accoglienza, poiché sarebbe un provvedimento lesivo della dignità umana delle persone coinvolte.
Tale interpretazione è stata ribadita nella sentenza della Corte di giustizia, Decima sezione, del 1° agosto 2022 (TO/Italia), chiamata a pronunciarsi sulla questione pregiudizievole sollevata con ordinanza n. 8540 del 30 dicembre 2020 dalla Terza sezione del Consiglio di Stato italiano proprio in relazione all’art. 23, comma 1, lett. e), del d.lgs. n. 142/2015, per sapere se tale disposizione sia compatibile alla luce del parametro dell’art. 20, paragrafi 4 e 5, della direttiva 2013/33/Ue.
In punto di diritto, la citata pronuncia ha rafforzato la tutela dello standard minimo di vita, che era già stato affermato nella sentenza della Corte di Giustizia – Grande Sezione del 12 novembre 2019 – estendendolo a qualsiasi richiedente protezione internazionale, a prescindere cioè dall’appartenenza alle categorie delle persone vulnerabili ai sensi dell’art. 21 della direttiva 2013/33/Ue. Rispetto alla questione sollevata, la Corte ha inoltre dichiarato che l'articolo 20, paragrafi 4 e 5, della direttiva 2013/33 deve essere interpretato nel senso che esso osta all'irrogazione, a un richiedente protezione internazionale che abbia posto in essere comportamenti gravemente violenti nei confronti di funzionari pubblici, di una sanzione consistente nel revocare le condizioni materiali di accoglienza, ai sensi dell'articolo 2, lettere f) e g), di tale direttiva, riguardanti l'alloggio, il vitto o il vestiario, qualora ciò abbia l'effetto di privare detto richiedente della possibilità di far fronte ai suoi bisogni più elementari. L'irrogazione di altre sanzioni ai sensi del citato articolo 20, paragrafo 4, deve, in qualsiasi circostanza, rispettare le condizioni di cui al paragrafo 5 di tale articolo, in particolare quelle relative al rispetto del principio di proporzionalità e della dignità umana.
D.L. 30 dicembre 1989, n. 416 (conv. L. 39/1990) Norme urgenti in materia di asilo politico, di ingresso e soggiorno dei cittadini extracomunitari e di regolarizzazione dei cittadini extracomunitari ed apolidi già presenti nel territorio dello Stato |
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Testo originale |
Testo modificato da D.L. 20/2023 |
Art. 1-sexies |
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[art. 5-ter, comma 1] |
1. Gli enti locali che prestano servizi di accoglienza per i titolari di protezione internazionale e per i minori stranieri non accompagnati, che beneficiano del sostegno finanziario di cui al comma 2, possono accogliere nell'ambito dei medesimi servizi, nei limiti dei posti disponibili, |
1. Gli enti locali che prestano servizi di accoglienza per i titolari di protezione internazionale e per i minori stranieri non accompagnati, che beneficiano del sostegno finanziario di cui al comma 2, possono accogliere nell'ambito dei medesimi servizi, nei limiti dei posti disponibili, qualora non accedano a sistemi di protezione specificamente dedicati, i titolari dei permessi di soggiorno per: |
a) protezione speciale, di cui agli articoli 19, commi 1 e 1.1, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, ad eccezione dei casi per i quali siano state applicate le cause di esclusione della protezione internazionale, di cui agli articoli 10, comma 2, 12, comma 1, lettere b) e c), e 16 del decreto legislativo 19 novembre 2007, n. 251; b) protezione sociale, di cui all'articolo 18 del decreto legislativo n. 286 del 1998; a-bis) cure mediche, di cui all'articolo 19, comma 2, lettera d-bis), del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286; c) violenza domestica, di cui all'articolo 18-bis del decreto legislativo n. 286 del 1998; d) calamità, di cui all'articolo 20-bis del decreto legislativo n. 286 del 1998; e) particolare sfruttamento lavorativo, di cui all'articolo 22, comma 12-quater, del decreto legislativo n. 286 del 1998; f) atti di particolare valore civile, di cui all'articolo 42-bis del decreto legislativo n. 286 del 1998; g) casi speciali, di cui all'articolo 1, comma 9, del decreto-legge 4 ottobre 2018, n. 113, convertito, con modificazioni, dalla legge 1° dicembre 2018, n. 132. |
Identico |
1-bis. Possono essere altresì accolti, nell'ambito dei servizi di cui al precedente periodo, gli stranieri affidati ai servizi sociali, al compimento della maggiore età, con le modalità di cui all'articolo 13, comma 2, della legge 7 aprile 2017, n. 47. |
1-bis. Possono essere altresì accolti, nell'ambito dei servizi di cui al precedente periodo, gli stranieri affidati ai servizi sociali, al compimento della maggiore età, con le modalità di cui all'articolo 13, comma 2, della legge 7 aprile 2017, n. 47, nonché i richiedenti protezione internazionale che hanno fatto ingresso nel territorio nazionale a seguito di protocolli per la realizzazione di corridoi umanitari ovvero evacuazioni o programmi di reinsediamento nel territorio nazionale che prevedono la individuazione dei beneficiari nei paesi di origine o di transito in collaborazione con l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR). |
1-ter. L'accoglienza dei titolari dei permessi di soggiorno indicati alla lettera b) del comma l avviene con le modalità previste dalla normativa nazionale e internazionale in vigore per le categorie vulnerabili, con particolare riferimento alla Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, fatta a Istanbul l'11 maggio 2011, ratificata ai sensi della legge 27 giugno 2013, n. 77, e in collegamento con i percorsi di protezione dedicati alle vittime di tratta e di violenza domestica. |
Identico |
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1-quater. I titolari di protezione internazionale e i titolari dei permessi di soggiorno di cui alle lettere a), a-bis), b), c), d), e), f) e g) del comma 1, che, salvo casi di forza maggiore, non si presentano presso la struttura di destinazione individuata dal servizio centrale, di cui al comma 4, entro sette giorni dalla relativa comunicazione decadono dalle misure di accoglienza di cui al presente articolo, fatto salvo il ricorrere di obiettive e motivate ragioni di ritardo, secondo la valutazione del Prefetto della provincia di provenienza del beneficiario. |
2. Con decreto del Ministro dell'interno, sentita la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, che si esprime entro trenta giorni, sono definiti i criteri e le modalità per la presentazione da parte degli enti locali delle domande di contributo per la realizzazione e la prosecuzione dei progetti finalizzati all'accoglienza dei soggetti di cui al comma 1. Nei limiti delle risorse disponibili del Fondo di cui all'articolo 1-septies, il Ministro dell'interno, con proprio decreto, provvede all'ammissione al finanziamento dei progetti presentati dagli enti locali. |
Identico |
2-bis. Nell'ambito dei progetti di cui al comma 2, sono previsti: a) servizi di primo livello, cui accedono i richiedenti protezione internazionale, tra i quali si comprendono, oltre alle prestazioni di accoglienza materiale, l'assistenza sanitaria, l'assistenza sociale e psicologica, la mediazione linguistico-culturale, la somministrazione di corsi di lingua italiana e i servizi di orientamento legale e al territorio; |
2-bis. Nell'ambito dei progetti di cui al comma 2, sono previsti: a) servizi di primo livello, cui accedono i richiedenti protezione internazionale di cui al comma 1-bis e all’articolo 9, comma 1-bis, del decreto legislativo 18 agosto 2015, n. 142, tra i quali si comprendono, oltre alle prestazioni di accoglienza materiale, l'assistenza sanitaria, l'assistenza sociale e psicologica, la mediazione linguistico-culturale, la somministrazione di corsi di lingua italiana e i servizi di orientamento legale e al territorio; |
b) servizi di secondo livello, finalizzati all'integrazione, tra cui si comprendono, oltre quelli previsti al primo livello, l'orientamento al lavoro e la formazione professionale, cui accedono le ulteriori categorie di beneficiari, di cui al comma 1. |
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[3.] |
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4. Al fine di razionalizzare e ottimizzare il sistema di protezione dei soggetti di cui al comma 1, e di facilitare il coordinamento, a livello nazionale, dei servizi di accoglienza territoriali, il Ministero dell'interno attiva, sentiti l'Associazione nazionale dei comuni italiani (ANCI) e l'ACNUR, un servizio centrale di informazione, promozione, consulenza, monitoraggio e supporto tecnico agli enti locali che prestano i servizi di accoglienza di cui al comma 1. Il servizio centrale è affidato, con apposita convenzione, all'ANCI. |
Identico |
5. Il servizio centrale di cui al comma 4 provvede a: a) monitorare la presenza sul territorio dei soggetti di cui al comma 1; b) creare una banca dati degli interventi realizzati a livello locale in favore dei richiedenti asilo e dei rifugiati; c) favorire la diffusione delle informazioni sugli interventi; d) fornire assistenza tecnica agli enti locali, anche nella predisposizione dei servizi di cui al comma 1; e) promuovere e attuare, d'intesa con il Ministero degli affari esteri, programmi di rimpatrio attraverso l'Organizzazione internazionale per le migrazioni o altri organismi, nazionali o internazionali, a carattere umanitario. |
Identico |
6. Le spese di funzionamento e di gestione del servizio centrale sono finanziate nei limiti delle risorse del Fondo di cui all'articolo 1-septies. |
Identico |
D.Lgs. 18 agosto 2015, n. 142 Attuazione della direttiva 2013/33/UE recante norme relative all'accoglienza dei richiedenti protezione internazionale, nonché della direttiva 2013/32/UE, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale |
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Testo originale |
Testo modificato da D.L. 20/2023 |
Art 6 |
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[articolo 7, comma 2, lett. a)] |
1. Il richiedente non può essere trattenuto al solo fine di esaminare la sua domanda. |
Identico |
2. Il richiedente è trattenuto, ove possibile in appositi spazi, nei centri di cui all'articolo 14 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, sulla base di una valutazione caso per caso, quando:
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2. Il richiedente è trattenuto, ove possibile in appositi spazi, nei centri di cui all'articolo 14 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, nei limiti dei posti disponibili, sulla base di una valutazione caso per caso, quando:
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a) si trova nelle condizioni previste dall'articolo 1, paragrafo F della Convenzione relativa allo status di rifugiato, firmata a Ginevra il 28 luglio 1951, ratificata con la legge 24 luglio 1954, n. 722, e modificata dal protocollo di New York del 31 gennaio 1967, ratificato con la legge 14 febbraio 1970, n. 95, o nelle condizioni di cui agli articoli 12, comma 1, lettere b) e c), e 16 del decreto legislativo 19 novembre 2007, n. 251; |
Identico |
a-bis) si trova nelle condizioni di cui all'articolo 29-bis del decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25; |
Identico |
b) si trova nelle condizioni di cui all'articolo 13, commi 1 e 2, lettera c), del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e nei casi di cui all'articolo 3, comma 1, del decreto-legge 27 luglio 2005, n. 144, convertito, con modificazioni, dalla legge 31 luglio 2005, n. 155; |
Identico |
c) costituisce un pericolo per l'ordine e la sicurezza pubblica. Nella valutazione della pericolosità si tiene conto di eventuali condanne, anche con sentenza non definitiva, compresa quella adottata a seguito di applicazione della pena su richiesta ai sensi dell'articolo 444 del codice di procedura penale, per uno dei delitti indicati dall'articolo 380, commi 1 e 2, del codice di procedura penale ovvero per reati inerenti agli stupefacenti, alla libertà sessuale, al favoreggiamento dell'immigrazione clandestina o per reati diretti al reclutamento di persone da destinare alla prostituzione o allo sfruttamento della prostituzione o di minori da impiegare in attività illecite ovvero per i reati previsti dagli articoli 12, comma 1, lettera c), e 16, comma 1, lettera d-bis) del decreto legislativo 19 novembre 2007, n. 251; |
Identico |
d) sussiste rischio di fuga del richiedente. La valutazione sulla sussistenza del rischio di fuga è effettuata, caso per caso, quando il richiedente ha in precedenza fatto ricorso sistematicamente a dichiarazioni o attestazioni false sulle proprie generalità al solo fine di evitare l'adozione o l'esecuzione di un provvedimento di espulsione ovvero non ha ottemperato ad uno dei provvedimenti di cui all'articolo 13, commi 5, 5.2 e 13, nonché all'articolo 14 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286. |
d) è necessario determinare gli elementi su cui si basa la domanda di protezione internazionale che non potrebbero essere acquisiti senza il trattenimento e sussiste rischio di fuga, ai sensi dell’art. 13, comma 4-bis, lettere a), c), d) ed e), del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286. La valutazione sulla sussistenza del rischio di fuga è effettuata caso per caso. |
3. Al di fuori delle ipotesi di cui al comma 2, il richiedente che si trova in un centro di cui all'articolo 14 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, in attesa dell'esecuzione di un provvedimento di respingimento o di espulsione ai sensi degli articoli 10, 13 e 14 del medesimo decreto legislativo, rimane nel centro quando vi sono fondati motivi per ritenere che la domanda è stata presentata al solo scopo di ritardare o impedire l'esecuzione del respingimento o dell'espulsione. |
Identico |
3-bis. Salvo le ipotesi di cui ai commi 2 e 3, il richiedente può essere altresì trattenuto, per il tempo strettamente necessario, e comunque non superiore a trenta giorni, in appositi locali presso le strutture di cui all'articolo 10-ter, comma 1, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, per la determinazione o la verifica dell'identità o della cittadinanza. Ove non sia stato possibile determinarne o verificarne l'identità o la cittadinanza, il richiedente può essere trattenuto nei centri di cui all'articolo 14 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, con le modalità previste dal comma 5 del medesimo articolo 14, per un periodo massimo di novanta giorni, prorogabili per altri trenta giorni qualora lo straniero sia cittadino di un Paese con cui l'Italia abbia sottoscritto accordi in materia di rimpatri. |
3-bis. Salvo le ipotesi di cui ai commi 2 e 3, il richiedente può essere altresì trattenuto, per il tempo strettamente necessario, e comunque non superiore a trenta giorni, in appositi locali presso le strutture di cui all'articolo 10-ter, comma 1, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, per la determinazione o la verifica dell'identità o della cittadinanza, anche mediante il ricorso alle operazioni di rilevamento fotodattiloscopico e la verifica delle banche dati. Ove non sia stato possibile determinarne o verificarne l'identità o la cittadinanza, il richiedente può essere trattenuto nei centri di cui all'articolo 14 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, con le modalità previste dal comma 5 del medesimo articolo 14, per un periodo massimo di novanta giorni, prorogabili per altri trenta giorni qualora lo straniero sia cittadino di un Paese con cui l'Italia abbia sottoscritto accordi in materia di rimpatri. |
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[articolo 7, comma. 2, lett. b)] |
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Art. 6-bis Trattenimento dello straniero durante lo svolgimento della procedura in frontiera di cui all’articolo 28-bis del decreto legislativo 28 gennaio 2008, n.25 |
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1. Fuori dai casi di cui all’articolo 6, commi 2 e 3-bis e nel rispetto dei criteri definiti all’articolo 14, comma 1.1 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, il richiedente può essere trattenuto durante lo svolgimento della procedura in frontiera di cui all’articolo 28-bis, comma 2, lett. b) e b-bis), del decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25 e fino alla decisione dell’istanza di sospensione di cui all’articolo 35-bis, comma 4, al solo scopo di accertare il diritto ad entrare nel territorio dello Stato. |
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2. Il trattenimento di cui al comma 1 può essere disposto qualora il richiedente non abbia consegnato il passaporto o altro documento equipollente in corso di validità, ovvero non presti idonea garanzia finanziaria. Entro novanta giorni dall’entrata in vigore del presente comma, con decreto del Ministero dell’interno, di concerto con i Ministeri della giustizia e dell’economia e delle finanze, sono individuati l’importo e le modalità di prestazione della predetta garanzia finanziaria. |
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3. Il trattenimento non può protrarsi oltre il tempo strettamente necessario per lo svolgimento della procedura in frontiera ai sensi dell’articolo 28-bis del decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25. La convalida comporta il trattenimento nel centro per un periodo massimo, non prorogabile di quattro settimane. |
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4. Nei casi di cui al comma 1, il richiedente è trattenuto in appositi locali presso le strutture di cui all’articolo 10-ter, comma 1, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 ovvero, in caso di arrivi consistenti e ravvicinati, nei centri di cui all’articolo 14 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 situati in prossimità della frontiera o della zona di transito, per il tempo strettamente necessario all’accertamento del diritto ad entrare nel territorio dello Stato. Si applica in quanto compatibile l’art. 6, comma 5. |
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Art. 6-ter |
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1. In attesa del trasferimento previsto dal regolamento (UE) n. 604/2013, del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, lo straniero può essere trattenuto nei centri di cui all’articolo 14 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, ove sussista un notevole rischio di fuga e sempre che non possano disporsi le misure di cui al medesimo articolo 14, comma 1-bis. La valutazione sul notevole rischio di fuga è effettuata caso per caso. |
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2. Il notevole rischio di fuga sussiste quando il richiedente si sia sottratto a un primo tentativo di trasferimento, ovvero qualora ricorrano almeno due delle seguenti circostanze: a) mancanza di un documento di viaggio; b) mancanza di un indirizzo affidabile; c) inadempimento dell’obbligo di presentarsi alle autorità competente; d) mancanza di risorse finanziarie; e) quando il richiedente ha fatto ricorso sistematicamente a dichiarazioni o attestazioni false sulle proprie generalità anche al solo fine di evitare l’adozione o l’esecuzione di un provvedimento di espulsione. |
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3. Il trattenimento non può protrarsi oltre il tempo strettamente necessario per l’esecuzione del trasferimento. La convalida comporta il trattenimento nel centro per un periodo complessivo di sei settimane. In presenza di gravi difficoltà relative all’esecuzione del trasferimento, il giudice, su richiesta del questore, può prorogare il trattenimento per ulteriori trenta giorni, fino a un termine massimo di ulteriori sei settimane. Anche prima di tale termine, il questore esegue il trasferimento dandone comunicazione senza ritardo al giudice. Si applica in quanto compatibile l’art. 6, comma 5. |
[…] |
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Art. 8 |
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[art. 5-ter, comma 2, lett. a)] |
1. Il sistema di accoglienza per richiedenti protezione internazionale si basa sulla leale collaborazione tra i livelli di governo interessati, secondo le forme di coordinamento nazionale e regionale previste dall'articolo 16. |
Identico |
2. Le funzioni di prima assistenza sono assicurate nei centri di cui agli articoli 9 e 11, fermo restando quanto previsto dall'articolo 10-ter del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, per le procedure di soccorso e di identificazione dei cittadini stranieri irregolarmente giunti nel territorio nazionale. |
2. Fatto salvo quanto previsto dal comma 1-bis dell’articolo 9 e dall’articolo 1-sexies, comma 1-bis, del decreto-legge 30 dicembre 1989, n. 416, convertito con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 1990, n. 39, l’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale è assicurata nei centri di cui agli articoli 9 e 11, fermo restando quanto previsto dall'articolo 10-ter del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, per le procedure di soccorso e di identificazione dei cittadini stranieri irregolarmente giunti nel territorio nazionale. |
3. L'accoglienza dei richiedenti protezione internazionale è assicurata, nei limiti dei posti disponibili, nelle strutture del Sistema di accoglienza e integrazione, di cui all'articolo 1-sexies del decreto-legge 30 dicembre 1989, n. 416, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 1990, n. 39. |
Abrogato |
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[art. 5-ter, comma 2, lett. b)] |
Art. 9 |
Art. 9 |
1. Per le esigenze di |
1. Per le esigenze di accoglienza e per l'espletamento delle operazioni necessarie alla definizione della posizione giuridica, lo straniero è accolto nei centri governativi di accoglienza istituiti con decreto del Ministro dell'interno, sentita la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, secondo la programmazione e i criteri individuati dal Tavolo di coordinamento nazionale e dai Tavoli di coordinamento regionale ai sensi dell'articolo 16, che tengono conto, ai fini della migliore gestione, delle esigenze di contenimento della capienza massima. |
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1-bis. Il richiedente che si trova in una delle specifiche situazioni di cui all’articolo 17, comma 1, può essere accolto, sulla base delle specifiche esigenze e nel limite dei posti disponibili, nell’ambito del sistema di accoglienza di cui all’articolo 1-sexies del decreto-legge 30 dicembre 1989, n. 416, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 1990, n. 39. |
2. La gestione dei centri di cui al comma 1 può essere affidata ad enti locali, anche associati, alle unioni o consorzi di comuni, ad enti pubblici o privati che operano nel settore dell'assistenza ai richiedenti asilo o agli immigrati o nel settore dell'assistenza sociale, secondo le procedure di affidamento dei contratti pubblici. |
Identico |
3. Le strutture allestite ai sensi del decreto-legge 30 ottobre 1995, n. 451, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 dicembre 1995, n. 563, possono essere destinate, con decreto del Ministro dell'interno, alle finalità di cui al presente articolo. I centri di accoglienza per richiedenti asilo già istituiti alla data di entrata in vigore del presente decreto svolgono le funzioni di cui al presente articolo. |
Identico |
4. Il prefetto, informato il sindaco del comune nel cui territorio è situato il centro di |
4. Il prefetto, informato il sindaco del comune nel cui territorio è situato il centro di accoglienza e sentito il Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno, invia il richiedente nelle strutture di cui al comma 1. |
4-bis. Espletati gli adempimenti di cui al comma 4, il richiedente è trasferito, nei limiti dei posti disponibili, nelle strutture del Sistema di accoglienza e integrazione di cui all'articolo 1-sexies del decreto-legge 30 dicembre 1989, n. 416, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 1990, n. 39, in conformità a quanto previsto dall'articolo 8, comma 3, del presente decreto. Il richiedente che rientra nelle categorie di cui all'articolo 17, sulla base delle specifiche esigenze di vulnerabilità, è trasferito nelle strutture di cui al primo periodo in via prioritaria. |
Abrogato |
4-ter. La verifica della sussistenza di esigenze particolari e di specifiche situazioni di vulnerabilità, anche ai fini del trasferimento prioritario del richiedente di cui al comma 4-bis e dell'adozione di idonee misure di accoglienza di cui all'articolo 10, è effettuata secondo le linee guida emanate dal Ministero della salute, d'intesa con il Ministero dell'interno e con le altre amministrazioni eventualmente interessate, da applicare nei centri di cui al presente articolo e all'articolo 11. |
4-ter. La verifica della sussistenza di esigenze particolari e di specifiche situazioni di vulnerabilità, anche ai fini del trasferimento del richiedente di cui al comma 1-bis e dell'adozione di idonee misure di accoglienza di cui all'articolo 10, è effettuata secondo le linee guida emanate dal Ministero della salute, d'intesa con il Ministero dell'interno e con le altre amministrazioni eventualmente interessate, da applicare nei centri di cui al presente articolo e all'articolo 11. |
Art. 10 |
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[art. 6-bis] |
1. Nei centri di cui all'articolo 9, comma 1, e nelle strutture di cui all'articolo 11, devono essere assicurati adeguati standard igienico-sanitari, abitativi e di sicurezza nonché idonee misure di prevenzione, controllo e vigilanza relativamente alla partecipazione o alla propaganda attiva a favore di organizzazioni terroristiche internazionali, secondo i criteri e le modalità stabiliti con decreto adottato dal Ministro dell'interno, di concerto con il Ministro della salute, sentita la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, che si esprime entro trenta giorni. Sono altresì erogati, anche con modalità di organizzazione su base territoriale, oltre alle prestazioni di accoglienza materiale, l'assistenza sanitaria, l'assistenza sociale e |
1. Nei centri di cui all'articolo 9, comma 1, e nelle strutture di cui all'articolo 11, devono essere assicurati adeguati standard igienico-sanitari, abitativi e di sicurezza nonché idonee misure di prevenzione, controllo e vigilanza relativamente alla partecipazione o alla propaganda attiva a favore di organizzazioni terroristiche internazionali, secondo i criteri e le modalità stabiliti con decreto adottato dal Ministro dell'interno, di concerto con il Ministro della salute, sentita la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, che si esprime entro trenta giorni. Sono altresì erogati, anche con modalità di organizzazione su base territoriale, oltre alle prestazioni di accoglienza materiale, l’assistenza sanitaria, l’assistenza sociale e la mediazione linguistico-culturale, secondo le disposizioni analitiche contenute nel capitolato di gare di cui all’articolo 12. Sono inoltre assicurati il rispetto della sfera privata, comprese le differenze di genere, delle esigenze connesse all' età, la tutela della salute fisica e mentale dei richiedenti, l'unità dei nuclei familiari composti da coniugi e da parenti entro il primo grado, l'apprestamento delle misure necessarie per le persone portatrici di particolari esigenze ai sensi dell'articolo 17. Sono adottate misure idonee a prevenire ogni forma di violenza, anche di genere, e a garantire la sicurezza e la protezione dei richiedenti e del personale che opera presso i centri. |
2. E' consentita l'uscita dal centro nelle ore diurne secondo le modalità indicate nel regolamento di cui all'articolo 38 del decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25, con obbligo di rientro nelle ore notturne. Il richiedente può chiedere al prefetto un permesso temporaneo di allontanamento dal centro per un periodo di tempo diverso o superiore a quello di uscita, per rilevanti motivi personali o per motivi attinenti all'esame della domanda. Il provvedimento di diniego sulla richiesta di autorizzazione all'allontanamento è motivato e comunicato all'interessato ai sensi dell'articolo 10, comma 4, del decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25, e successive modificazioni. |
Identico |
3. E' assicurata la facoltà di comunicare con i rappresentanti dell'UNHCR, degli enti di tutela dei titolari di protezione internazionale con esperienza consolidata nel settore, con i ministri di culto, nonché con gli avvocati e i familiari dei richiedenti. |
Identico |
4. E' assicurato l'accesso ai centri dei soggetti di cui all'articolo 7, comma 2, nonché degli altri soggetti previsti dal regolamento di cui all'articolo 38 del decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25, fatte salve le limitazioni giustificate dalla necessità di garantire la sicurezza dei locali e dei richiedenti presenti nel centro. |
Identico |
5. Il personale che opera nei centri è adeguatamente formato ed ha l'obbligo di riservatezza sui dati e sulle informazioni riguardanti i richiedenti presenti nel centro. |
Identico |
Art. 11 |
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1. Nel caso in cui è temporaneamente esaurita la disponibilità di posti all'interno dei centri di cui all'articolo 9, a causa di arrivi consistenti e ravvicinati di richiedenti, l'accoglienza può essere disposta dal prefetto, sentito il Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno, in strutture temporanee, appositamente allestite, previa valutazione delle condizioni di salute del richiedente, anche al fine di accertare la sussistenza di esigenze particolari di accoglienza. |
Identico |
2. Le strutture di cui al comma 1 soddisfano le esigenze essenziali di accoglienza nel rispetto dei principi di cui all'articolo 10, comma 1, e sono individuate dalle prefetture-uffici territoriali del Governo, previo parere dell'ente locale nel cui territorio è situata la struttura, secondo le procedure di affidamento dei contratti pubblici. È consentito, nei casi di estrema urgenza, il ricorso alle procedure di affidamento diretto ai sensi del decreto-legge 30 ottobre 1995, n. 451, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 dicembre 1995, n. 563, e delle relative norme di attuazione. |
Identico |
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[art. 5-bis, comma 4] |
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2-bis. Nelle more dell’individuazione di disponibilità di posti nei centri governativi di cui all’articolo 9 o nelle strutture di cui al presente articolo, l’accoglienza può essere disposta dal prefetto, per il tempo strettamente necessario, in strutture di accoglienza provvisoria individuate con la modalità di cui al comma 2. In tali strutture sono assicurate le prestazioni concernenti il vitto, l’alloggio, il vestiario, l’assistenza sanitaria e la mediazione linguistico-culturale, secondo le disposizioni contenute nello schema di capitolato di gara di cui all’articolo 12. |
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[art. 5-ter, comma 2, lett. c)] |
3. L'accoglienza nelle strutture di cui al comma 1 è limitata al tempo strettamente necessario al trasferimento del richiedente nelle strutture del Sistema di accoglienza e integrazione, di cui all'articolo 1-sexies del decreto-legge 30 dicembre 1989, n. 416, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 1990, n. 39. Il trasferimento del richiedente che rientra nelle categorie di cui all'articolo 17 è effettuato in via prioritaria. |
Abrogato |
4. Le operazioni di identificazione e verbalizzazione della domanda sono espletate presso la questura più vicina al luogo di accoglienza. |
Identico |
[…] |
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[art. 5-quater, comma 1] |
Art. 23 |
Art. 23 |
1. Il prefetto della provincia in cui hanno sede le strutture di cui agli articoli 9 e 11, dispone, con proprio motivato decreto, la revoca delle misure d'accoglienza in caso di: |
Identico |
a) mancata presentazione presso la struttura individuata ovvero abbandono del centro di accoglienza da parte del richiedente, senza preventiva motivata comunicazione alla prefettura - ufficio territoriale del Governo competente; |
Identica |
b) mancata presentazione del richiedente all'audizione davanti all'organo di esame della domanda; |
Identica |
c) presentazione di una domanda reiterata ai sensi dell'articolo 29 del decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25, e successive modificazioni; |
Identica |
d) accertamento della disponibilità da parte del richiedente di mezzi economici sufficienti; |
d) accertamento della disponibilità da parte del richiedente di mezzi economici sufficienti. |
e) violazione grave o ripetuta delle regole delle strutture in cui è accolto da parte del richiedente asilo, compreso il danneggiamento doloso di beni mobili o immobili, ovvero comportamenti gravemente violenti. |
Soppressa |
2. Nell'adozione del provvedimento di revoca si tiene conto della situazione del richiedente con particolare riferimento alle condizioni di cui all'articolo 17. |
2. Nei casi di violazione grave o ripetuta, da parte del richiedente protezione internazionale, delle regole della struttura in cui è accolto, ivi compresi il danneggiamento doloso di beni mobili o immobili, ovvero in caso di comportamenti gravemente violenti, anche tenuti al di fuori della struttura di accoglienza, il prefetto, fatta salva la facoltà di disporre il trasferimento del richiedente in altra struttura, adotta una o più delle seguenti misure: a) esclusione temporanea dalla partecipazione ad attività organizzate dal gestore del centro; b) esclusione temporanea dall’accesso a uno o più servizi di cui all’articolo 10, comma 1, secondo periodo, ad eccezione dell’accoglienza materiale; c) sospensione, per un periodo non inferiore a trenta giorni e non superiore a sei mesi , o revoca dei benefici economici accessori previsti nel capitolato di gara d’appalto di cui all’articolo 12. |
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2-bis. Le misure di cui al presente articolo sono adottate in modo individuale, secondo il principio di proporzionalità e tenuto conto della situazione del richiedente, con particolare riferimento alle condizioni di cui all’articolo 17 e sono motivate. I provvedimenti adottati dal prefetto nei confronti del richiedente sono comunicati alla commissione territoriale competente all’esame della domanda di protezione internazionale. |
3. Nell'ipotesi di cui al comma 1, lettera a), il gestore del centro è tenuto a comunicare, immediatamente, alla prefettura - ufficio territoriale del Governo la mancata presentazione o l'abbandono della struttura da parte del richiedente. Se il richiedente asilo è rintracciato o si presenta volontariamente alle Forze dell'ordine o al centro di assegnazione, il prefetto territorialmente competente dispone, con provvedimento motivato, sulla base degli elementi addotti dal richiedente, l'eventuale ripristino delle misure di accoglienza. Il ripristino è disposto soltanto se la mancata presentazione o l'abbandono sono stati causati da forza maggiore o caso fortuito o comunque da gravi motivi personali. |
Identico |
4. Nell'ipotesi di cui al comma 1, lettera e), il gestore del centro trasmette alla prefettura - ufficio territoriale del Governo una relazione sui fatti che possono dare luogo all'eventuale revoca, entro tre giorni dal loro verificarsi. |
4. Nei casi di violazione delle regole del centro, il gestore richiama formalmente il richiedente e, quando ricorrano i presupposti per l’applicazione delle misure di cui al comma 2, trasmette tempestivamente alla prefettura una relazione sui fatti. |
5. Il provvedimento di revoca delle misure di accoglienza ha effetto dal momento della sua comunicazione, ai sensi dell'articolo 5, comma 2. Il provvedimento è comunicato altresì al gestore del centro. Avverso il provvedimento |
5. Il provvedimento di riduzione o revoca delle misure di accoglienza ha effetto dal momento della sua comunicazione, ai sensi dell'articolo 5, comma 2. Il provvedimento è comunicato altresì al gestore del centro. Avverso il provvedimento è ammesso ricorso al Tribunale amministrativo regionale competente. |
6. Nell'ipotesi di revoca, disposta ai sensi del comma 1, lettera d), il richiedente è tenuto a rimborsare i costi sostenuti per le misure di cui ha indebitamente usufruito. |
Identico |
7. Quando la sussistenza dei presupposti per la valutazione di pericolosità del richiedente ai sensi dell'articolo 6, comma 2, emerge successivamente all'invio nelle strutture di cui agli articoli 9 e 11, il prefetto dispone la revoca delle misure di accoglienza ai sensi del presente articolo e ne dà comunicazione al questore per l'adozione dei provvedimenti di cui all'articolo 6. |
Identico |
Articolo 6
(Misura straordinaria per la gestione dei centri per migranti)
L’articolo 6 reca disposizioni in materia di fornitura di beni e servizi relativi alla gestione e al funzionamento dei centri per migranti.
Prevede, in particolare, che il prefetto – in caso di grave inadempimento degli obblighi previsti dal capitolato di gara nonché di nocumento derivante dalla cessazione dell’esecuzione del contratto - nomini uno o più commissari, per la straordinaria e temporanea gestione dell’impresa (limitatamente all’esecuzione del contratto di appalto).
Insieme, dispone circa il compenso ai commissari e gli utili prodotti dalla gestione del contratto, oggetto della misura straordinaria.
E prevede che il prefetto, al contempo, avvii le procedure per l’affidamento diretto di un nuovo appalto per la gestione del centro, senza previa pubblicazione del bando.
L’articolo 6 detta disposizioni volte a fronteggiare situazioni straordinarie nella gestione dei centri per migranti, dovute ad inadempimento grave, da parte dell’impresa aggiudicataria, degli obblighi previsti dal capitolato di gara, ove l’immediata cessazione dell’esecuzione del contratto possa compromettere la continuità dei servizi indifferibili per la tutela dei diritti fondamentali nonché la salvaguardia dei livelli occupazionali.
I centri per migranti cui fa riferimento la disposizione sono:
ü i centri governativi di prima accoglienza (cfr. articolo 9 del decreto legislativo n. 142 del 2015 – l’atto che ha dato attuazione alle due direttive dell’Unione europea del 2013, n. 33 e n. 32, relative rispettivamente all’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale ed alle procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale);
ü le strutture temporanee di accoglienza (previste dall’articolo 11 del decreto legislativo n. 142 del 2015);
ü i punti di crisi (cd. Hotspot), dove affluiscono, per le esigenze di soccorso e di prima assistenza, gli stranieri giunti nel territorio nazionale a seguito di operazioni di salvataggio in mare (o rintracciati in occasione dell'attraversamento irregolare della frontiera) (cfr. articolo 10-ter del decreto legislativo n. 286 del 1998 – l’atto che reca il Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero);
ü i centri di permanenza per i rimpatri, ove sono trattenuti gli stranieri in attesa di esecuzione di provvedimento di espulsione (articolo 14 del decreto legislativo n. 286 del 1998).
Dunque è riguardo a tali centri e strutture, e per il caso dei gravi inadempimenti sopra ricordati nella fornitura di beni e servizi, che il comma 1 prescrive la nomina prefettizia di uno o più commissari, per la straordinaria e temporanea gestione dell’impresa, limitatamente all’esecuzione del contratto di appalto.
I commissari sono scelti dal prefetto (che li nomina con proprio decreto) tra funzionari della prefettura o di altre amministrazioni pubbliche, in possesso di “qualificate e comprovate” professionalità.
Si applicano, in quanto compatibili, i commi 3 e 4 dell’articolo 32 del decreto-legge n. 90 del 2014. Pertanto sono attribuiti ai commissari (per la durata della straordinaria e temporanea gestione) tutti i poteri e le funzioni degli organi di amministrazione dell'impresa ed è sospeso l'esercizio dei poteri di disposizione e gestione dei titolari dell'impresa. L'attività di temporanea e straordinaria gestione dell'impresa è considerata di pubblica utilità ad ogni effetto, e gli amministratori rispondono delle eventuali diseconomie dei risultati solo nei casi di dolo o colpa grave.
In effetti queste previsioni, poste dall’articolo 6 del decreto-legge in esame, ricalcano la misura sulla straordinaria e temporanea gestione dell’impresa quale dettata dal decreto-legge n. 90 del 2014 (al citato articolo 32) sul versante anti-corruzione e di prevenzione delle infiltrazioni mafiose negli appalti pubblici. Quella qui delineata è una fattispecie ulteriore rispetto a tale disciplina posta dal decreto-legge n. 90, la cui applicazione è comunque fatta salva, ove ne ricorrano i presupposti.
Il comma 2 disciplina un duplice profilo: il compenso ai commissari e gli utili prodotti dalla gestione del contratto oggetto della misura straordinaria.
Il compenso dei commissari – il quale è detratto da quanto versato come pagamento all’impresa – è quantificato nel decreto prefettizio di nomina, sulla base di parametri individuati da un decreto del Ministero dell’interno (di concerto con il Ministero dell’economia e delle finanze: non è indicato un termine per la sua emanazione), tenendo conto della capienza del centro e della durata della gestione.
L’utile di impresa derivante dal contratto è accantonato – secondo determinazione dei commissari anche in via presuntiva – in un apposito fondo ed è insuscettibile di pignoramento.
Esso vale quale garanzia per l’Amministrazione di risarcimento del danno conseguente al grave inadempimento.
Il comma 3 dispone che il prefetto, contestualmente alla misura straordinaria della nomina commissariale, avvii le procedure per l’affidamento diretto di un nuovo appalto, e che questo avvenga senza previa pubblicazione del bando.
L’uso della procedura negoziata senza previa pubblicazione di un bando di gara è consentito dal Codice dei contratti pubblici (decreto legislativo n. 50 del 2016) in taluni casi, tra cui la sussistenza di ragioni di estrema urgenza derivante da eventi imprevedibili, non imputabili all'amministrazione aggiudicatrice.
Così prevede l’articolo 63, comma 2, lettera c), di quel Codice, la quale è espressamente richiamata dalla disposizione in commento.
Da ultimo il comma 4 prevede che con l’affidamento e il subentro del nuovo aggiudicatario, il prefetto dichiari la risoluzione per inadempimento del contratto, la quale opera di diritto.
Conseguentemente i commissari nominati dal prefetto cessano dalle proprie funzioni.
I richiedenti protezione internazionale possono accedere ai centri governativi di prima accoglienza, che hanno la funzione di consentire l'identificazione dello straniero (ove non sia stato possibile completare le operazioni negli hotspot), la verbalizzazione e l'avvio della procedura di esame della domanda di asilo, l'accertamento delle condizioni di salute e la sussistenza di eventuali situazioni di vulnerabilità che comportino speciali misure di assistenza. Tali funzioni sono assicurate dai centri governativi disciplinati dall’ articolo 9 del decreto legislativo n. 142 del 2015, come modificato dal decreto-legge n. 130 del 2020 (convertito dalla legge n. 173 del 2020). L'invio del richiedente in queste strutture è disposto dal prefetto, sentito il Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno. Nel caso di esaurimento dei posti all'interno delle strutture di prima accoglienza, a causa di arrivi consistenti e ravvicinati di richiedenti cui l'ordinario sistema di accoglienza non sia in grado di far fronte, i richiedenti possono essere ospitati in strutture temporanee di emergenza (articolo 11 del medesimo decreto legislativo n. 142 del 2015). Tali strutture (denominate centri di accoglienza straordinaria - CAS) sono individuate dalle prefetture - uffici territoriali del Governo, previo parere dell'ente locale nel cui territorio è situata la struttura (secondo le procedure di affidamento dei contratti pubblici) e la permanenza in tali strutture è stabilita per un tempo limitato, in attesa del trasferimento nelle strutture di prima accoglienza.
L’articolo 10-ter del decreto legislativo n. 286 del 1998 (testo unico immigrazione), introdotto dall’articolo 17 del decreto-legge n. 13 nel 2017 (come convertito dalla legge n. 13 del 2017) prevede che lo straniero rintracciato in occasione dell'attraversamento irregolare della frontiera interna o esterna, oppure giunto nel territorio nazionale a seguito di operazioni di salvataggio in mare, sia condotto in appositi "punti di crisi”.
Si prevede che i punti di crisi possano essere allestiti:
- nell'ambito delle strutture istituite ai sensi del decreto-legge n. 451 del 1995, ossia i CDA (centri di accoglienza), istituiti per rispondere alle emergenze degli sbarchi dei profughi provenienti dall'ex Jugoslavia, oppure:
- all'interno delle strutture di prima accoglienza, come disciplinate dal decreto legislativo n. 142 del 2015, che adempiono anche alle esigenze di espletamento delle operazioni necessarie alla definizione della posizione giuridica dello straniero.
Presso i punti di crisi il cittadino straniero, oltre alle procedure di accertamento delle condizioni di salute e di prima assistenza, è sottoposto alle procedure di identificazione, mediante operazioni di rilevamento fotodattiloscopico e segnaletico, anche ai fini del rispetto degli articoli 9 e 14 del regolamento (UE) n. 603/2013 “Eurodac”. Al contempo, lo straniero riceve informazioni sulla procedura di protezione internazionale, sul programma di ricollocazione in altri Stati membri dell'Unione europea e sulla possibilità di ricorso al rimpatrio volontario assistito.
La “Relazione sul funzionamento del sistema di accoglienza predisposto al fine di fronteggiare le esigenze straordinarie connesse all'eccezionale afflusso di stranieri nel territorio nazionale”, trasmessa al Parlamento il 29 novembre 2022 (Doc. LI n. 2), riporta i dati sull’accoglienza riferiti al 2021. Tale documento riferisce che il sistema di prima accoglienza registra 9 centri governativi di prima accoglienza e 4.216 strutture temporanee di prima accoglienza (CAS) attivi al 31 dicembre 2021. I 9 centri governativi – situati a Bari, Brindisi, Caltanissetta, Crotone, Foggia, Gradisca d’Isonzo (GO). Messina, Treviso, Udine – hanno fatto registrare, nel corso del 2021, 4.216 presenze. Nello stesso anno, prosegue il documento, i CAS hanno registrato 50.038 presenze. Rispetto al 2020, il numero delle strutture è diminuito dell’8% (rimanendo comunque identico il numero delle nove strutture governative di accoglienza); le presenze sono invece diminuite del 3,6%.
Per quanto concerne i tre “punti di crisi”, situati a Lampedusa (AG), Pozzallo (RG) e Taranto, la medesima Relazione riferisce che, nel corso del 2022, il centro di Lampedusa sia stato interessato da interventi di ristrutturazione che ne hanno ampliato la capienza fino a 389 posti, rispetto ai 352 posti registrati alla fine del 2021. Il medesimo centro di Lampedusa, inoltre, è stato l’unico ad essere destinato in via esclusiva alle funzioni previste dalla legge, in quanto sono state utilizzate navi per il prescritto periodo di quarantena a seguito dell’emergenza da Covid-19. Il punto di crisi di Taranto è stato prevalentemente utilizzato come centro di quarantena. Anche il centro di Pozzallo è stato utilizzato per lo svolgimento della quarantena. Sempre nel corso del 2022 la capienza di tale centro è stata prima ridotta a 117 posti per favorire il rispetto delle misure di prevenzione da Covid-19, indi a 45 posti a seguito degli interventi sul padiglione centrale resisi necessari per l’incendio che ha interessato la struttura il 18 luglio. Riguardo alla capienza registrate al 31 dicembre 2021, il documento attribuisce 352 posti a Lampedusa, 234 a Pozzallo (RG), 244 posti a Taranto, per un totale di 830 posti. Quest’ultima cifra segna un incremento di 124 posti rispetto al 2020. Tale incremento è ascrivibile al centro di Lampedusa (con un aumento da 228 a 352 posti), mentre è rimasta invariata, tra il 2020 e il 2021, la capienza degli hotspot di Pozzallo e di Taranto.
Articolo 6-bis
(Attivazione di una postazione medicalizzata del 118
presso l'isola di Lampedusa)
L’articolo, introdotto nel corso dell’esame in Senato, prevede che sia attivata una postazione medicalizzata del 118 presso l'isola di Lampedusa, al fine espresso di garantire tempestività ed efficienza negli interventi di emergenza - urgenza, per tutelare la salute degli abitanti dell'isola e dei migranti.
In base al comma 1 dell’articolo in esame, l’attivazione della postazione anzidetta è correlata al fenomeno dei flussi migratori e alle particolari condizioni geografiche del territorio, e deve avvenire nell'ambito del sistema di soccorso della Regione siciliana, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto-legge.
Si ricorda che la postazione medicalizzata del 118 è contemplata dal Regolamento recante definizione degli standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi relativi all'assistenza ospedaliera (di cui al decreto del Ministro della salute 2 aprile 2015, n. 70). Detto Regolamento, al punto 9.1.5 del proprio Allegato, stabilisce che la funzione dei Punti di Primo Intervento è la trasformazione in postazione medicalizzata del 118 entro un arco temporale predefinito, implementando l'attività territoriale al fine di trasferire al sistema dell'assistenza primaria le patologie a bassa gravità e che non richiedono trattamento ospedaliero secondo protocolli di appropriatezza condivisi tra 118, DEA, hub o spoke di riferimento e Distretto, mantenendo rigorosamente separata la funzione di urgenza da quella dell'assistenza primaria. Nei punti di primo intervento non è prevista l'osservazione breve del paziente. Punti di Primo Intervento con casistica inferiore ai 6.000 passaggi annui sono direttamente affidati al 118 come postazione territoriale. Possono essere organizzati Punti di Primo Intervento anche per esigenze temporanee ed in occasione di manifestazioni di massa, gestiti funzionalmente e organizzativamente dal sistema 118. Tale disciplina si applica, nelle regioni a statuto speciale e nelle province autonome di Trento e di Bolzano, compatibilmente con gli statuti di autonomia e con le relative norme di attuazione e, per le regioni e le province autonome che provvedono autonomamente al finanziamento del Servizio sanitario regionale[26], esclusivamente con fondi del proprio bilancio, compatibilmente con le peculiarità demografiche e territoriali di riferimento nell'ambito della loro autonomia organizzativa (art. 3, co. 1 del citato D.M. 70/2015).
Lo Statuto speciale della Regione siciliana annovera, tra le materie attribuite alla potestà legislativa regionale[27] in via non esclusiva, l’igiene e sanità pubblica e l’assistenza sanitaria (art. 17, co. 1, lett. b) e c); in tema di potestà legislativa esclusiva dispone il precedente art. 14). Nell’ambito della Regione predetta, la disciplina della Rete dell'emergenza-urgenza sanitaria è dettata dall’art. 24[28] della legge regionale 14 aprile 2009, n. 5.
Si ricorda, infine, che la disciplina dell’assistenza sanitaria per gli stranieri è dettata dagli articoli 34 e 35 del d. lgs. n. 286 del 1998[29], concernenti, rispettivamente, gli iscritti al Servizio sanitario nazionale e i non iscritti. A questi ultimi, anche se non in regola con le norme relative all'ingresso ed al soggiorno, sono assicurate, nei presidi pubblici ed accreditati, le cure ambulatoriali ed ospedaliere urgenti o comunque essenziali, ancorché continuative, per malattia ed infortunio e sono estesi i programmi di medicina preventiva a salvaguardia della salute individuale e collettiva. Fermo restando il finanziamento delle prestazioni ospedaliere urgenti o comunque essenziali a carico del Ministero dell'interno, agli oneri recati dalle rimanenti prestazioni anzidette, nei confronti degli stranieri privi di risorse economiche sufficienti, si provvede nell'ambito delle disponibilità del Fondo sanitario nazionale, con corrispondente riduzione dei programmi riferiti agli interventi di emergenza.
Il comma 2 dell’articolo in esame prevede che l'Istituto Nazionale per la promozione della salute delle popolazioni Migranti ed il contrasto delle malattie della Povertà (INMP), sentito il Ministero della salute, stipuli – sempre entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto-legge - un protocollo d'intesa con il Ministero dell'Interno, la Regione Siciliana, il Comune di Lampedusa e la Capitaneria di Porto Guardia Costiera, finalizzato a garantire alla suddetta postazione medicalizzata l'apporto di adeguate professionalità, la strumentazione tecnica necessaria, nonché i protocolli di presa in carico e assistenza della popolazione migrante.
Si ricorda che, in base all’art. 14 del d.l. 13 settembre 2012, n. 158[30], l’INMP è un ente con personalità giuridica di diritto pubblico, dotato di autonomia organizzativa, amministrativa e contabile, vigilato dal Ministero della salute, con il compito di promuovere attività di assistenza, ricerca e formazione per la salute delle popolazioni migranti e di contrastare le malattie della povertà. L'INMP, inoltre, è centro di riferimento della rete nazionale per le problematiche di assistenza in campo socio-sanitario legate alle popolazioni migranti e alla povertà, nonché Centro nazionale per la mediazione transculturale in campo sanitario.
Il comma 3 dell’articolo in esame dispone che l'attivazione della postazione di cui al comma 1 avvenga nell'ambito del Servizio sanitario regionale della Regione siciliana con le risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente, nonché nel rispetto della normativa concernente la spesa per il personale degli enti del Servizio sanitario nazionale delle regioni[31]. Dispone, altresì, che all’attuazione del comma 2 si provveda mediante le risorse umane, strumentali e finanziarie già a disposizione dell'INMP a legislazione vigente.
Si consideri l’opportunità di valutare se sussista l’esigenza che dell’onere derivante dall’obbligo di cui al comma 1 - onere posto a carico della sola Regione siciliana - si tenga conto in sede di riparto tra le regioni delle risorse del finanziamento del Servizio sanitario nazionale.
Articolo 6-ter
(Modifiche alla disciplina sulle modalità di accoglienza)
L’articolo 6-ter espunge l’assistenza psicologica, la somministrazione di corsi di lingua italiana e i servizi di orientamento legale e al territorio, dalle prestazioni che devono essere assicurate nelle strutture di prima accoglienza.
La disposizione – introdotta dal Senato – novella l’articolo 10, relativo alle modalità di accoglienza, del decreto legislativo n. 142 del 2015, il quale ha disciplinato (in attuazione di direttive dell’Unione europea: n. 32 e n. 33 del 2013) sia l’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale sia le procedure relative al riconoscimento di essa.
Per quanto qui rileva, la disposizione vigente prevede che nei centri di prima accoglienza e nelle strutture temporanee straordinarie di accoglienza (cfr. l’articolo 9, comma 1, e l’articolo 11 del medesimo decreto legislativo) debbano essere assicurate alcune condizioni e prestazioni.
Queste ultime ricomprendono, tra le altre ed oltre all’accoglienza materiale: l'assistenza sanitaria, l'assistenza sociale e psicologica, la mediazione linguistico-culturale, la somministrazione di corsi di lingua italiana e i servizi di orientamento legale e al territorio.
Siffatta elencazione è incisa dalla novella, la quale detta una riformulazione nella quale non sono ricomprese l’assistenza psicologica, la somministrazione di lingua italiana e i servizi di orientamento legale e al territorio.
Questo l’articolo 10, comma 1, del decreto legislativo n. 142 del 2015, nel testo fin qui vigente: “Nei centri di cui all'articolo 9, comma 1, e nelle strutture di cui all'articolo 11, devono essere assicurati adeguati standard igienico-sanitari, abitativi e di sicurezza nonché idonee misure di prevenzione, controllo e vigilanza relativamente alla partecipazione o alla propaganda attiva a favore di organizzazioni terroristiche internazionali, secondo i criteri e le modalità stabiliti con decreto adottato dal Ministro dell'interno, di concerto con il Ministro della salute, sentita la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, che si esprime entro trenta giorni. Sono altresì erogati, anche con modalità di organizzazione su base territoriale, oltre alle prestazioni di accoglienza materiale, l'assistenza sanitaria, l'assistenza sociale e psicologica, la mediazione linguistico-culturale, la somministrazione di corsi di lingua italiana e i servizi di orientamento legale e al territorio, secondo le disposizioni analitiche contenute nel capitolato di gara di cui all'articolo 12. Sono inoltre assicurati il rispetto della sfera privata, comprese le differenze di genere, delle esigenze connesse all' età, la tutela della salute fisica e mentale dei richiedenti, l'unità dei nuclei familiari composti da coniugi e da parenti entro il primo grado, l'apprestamento delle misure necessarie per le persone portatrici di particolari esigenze ai sensi dell'articolo 17. Sono adottate misure idonee a prevenire ogni forma di violenza, anche di genere, e a garantire la sicurezza e la protezione dei richiedenti e del personale che opera presso i centri”.
Articolo 7
(Protezione speciale)
L’articolo 7, modificato al Senato, elimina il divieto di respingimento ed espulsione di una persona previsto nel caso vi sia fondato motivo di ritenere che l'allontanamento dal territorio nazionale della stessa comporti una violazione del diritto al rispetto della sua vita privata e familiare. Al Senato sono state poi introdotte ulteriori previsioni: l’impossibilità di convertire in permesso di soggiorno per motivi di lavoro il permesso di soggiorno per protezione speciale, il permesso di soggiorno per calamità e il permesso di soggiorno per cure mediche; l’inserimento dei procedimenti per il delitto di induzione al matrimonio (articolo 558-bis del codice penale), tra quelli per i quali, può essere rilasciato un permesso di soggiorno speciale per consentire alla vittima di sottrarsi alla violenza; la soppressione della possibilità di rilasciare permessi di soggiorno per protezione speciale, ove ne ricorrano i presupposti, quando sia stata presentata domanda per un’altra tipologia di permesso di soggiorno; la modifica delle condizioni di salute in presenza delle quali non è consentita l’espulsione; non si potrà procedere all’espulsione in presenza di “condizioni di salute derivanti da patologie di particolare gravità, non adeguatamente curabili nel paese di origine” e non più in presenza di “gravi condizioni psicofisiche o derivanti da gravi patologie”; la previsione che il permesso di soggiorno per calamità sia rilasciato quando il Paese verso il quale lo straniero dovrebbe far ritorno versa in una situazione di calamità “contingente ed eccezionale” e non “grave” come attualmente previsto; la previsione che il permesso di soggiorno per calamità sia rinnovabile solo per un periodo ulteriore di sei mesi (comma 1). Viene conseguentemente introdotta una disciplina transitoria che estende l’efficacia della normativa abrogata alle domande di riconoscimento della protezione speciale presentate in data anteriore all’entrata in vigore del decreto-legge in esame, nonché ai casi in cui lo straniero abbia già ricevuto dalla competente questura l’invito a presentare l’istanza di protezione speciale (comma 2). Si prevede che ai procedimenti di competenza della Commissione nazionale per il diritto di asilo pendenti alla data di entrata in vigore del presente decreto continua ad applicarsi la disciplina previgente (comma 2-bis). Si dispone, infine, che i permessi già rilasciati sulla base dei requisiti abrogati e in corso di validità siano rinnovati, per una sola volta e con durata annuale (comma 3).
L’articolo 7, al comma 1 nel testo originario e vigente del decreto-legge, (ora comma 1, lettera c) numero 1), abrogando il terzo periodo dell’articolo 19, comma 1.1, del Testo unico sull’immigrazione (di cui al decreto legislativo n. 286/1998), fa venir meno il divieto di respingimento ed espulsione di una persona in ragione del rispetto della sua vita privata e familiare, che consentiva poi l’ottenimento di un permesso per protezione speciale ai sensi del successivo comma 1.2.
Tale divieto, abrogato dal provvedimento in esame, trovava applicazione a meno che l’allontanamento dal territorio nazionale si rendesse necessario per ragioni di sicurezza nazionale, di ordine e sicurezza pubblica nonché di protezione della salute, nel rispetto della Convenzione di Ginevra del 1951 sullo statuto dei rifugiati e della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.
Conseguentemente, viene abrogata anche la previsione del quarto periodo, la quale, ai fini della valutazione del fondato rischio di violazione del diritto alla vita privata e familiare, dispone che si tenga conto della natura e dell’effettività dei vincoli familiari dell’interessato, del suo effettivo inserimento sociale in Italia, della durata del suo soggiorno nel territorio nazionale, nonché dell’esistenza di legami familiari, culturali o sociali con il paese di origine.
Per effetto del comma 1, vengono di fatto eliminate le modifiche apportate all’articolo 19, comma 1.1 ad opera del decreto-legge n. 130 del 2020, come si evince dal testo a fronte riportato qui di seguito.
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Testo unico sull’immigrazione vigente fino al dl 20/2023 |
Testo unico con le modifiche apportate dal D.L. 20/2023 |
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Articolo 19 |
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(…) |
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1.1. Non sono ammessi il respingimento o l'espulsione o l'estradizione di una persona verso uno Stato qualora esistano fondati motivi di ritenere che essa rischi di essere sottoposta a tortura. Nella valutazione di tali motivi si tiene conto anche dell'esistenza, in tale Stato, di violazioni sistematiche e gravi di diritti umani. |
1.1. Non sono ammessi il respingimento o l'espulsione o l'estradizione di una persona verso uno Stato qualora esistano fondati motivi di ritenere che essa rischi di essere sottoposta a tortura o a trattamenti inumani o degradanti o qualora ricorrano gli obblighi di cui all'articolo 5, comma 6. Nella valutazione di tali motivi si tiene conto anche dell'esistenza, in tale Stato, di violazioni sistematiche e gravi di diritti umani. Non sono altresì ammessi il respingimento o l'espulsione di una persona verso uno Stato qualora esistano fondati motivi di ritenere che l'allontanamento dal territorio nazionale comporti una violazione del diritto al rispetto della sua vita privata e familiare, a meno che esso sia necessario per ragioni di sicurezza nazionale, di ordine e sicurezza pubblica nonché di protezione della salute nel rispetto della Convenzione relativa allo statuto dei rifugiati, firmata a Ginevra il 28 luglio 1951, resa esecutiva dalla legge 24 luglio 1954, n. 722, e della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea. Ai fini della valutazione del rischio di violazione di cui al periodo precedente, si tiene conto della natura e della effettività dei vincoli familiari dell'interessato, del suo effettivo inserimento sociale in Italia, della durata del suo soggiorno nel territorio nazionale nonché dell'esistenza di legami familiari, culturali o sociali con il suo Paese d'origine. |
1.1. Non sono ammessi il respingimento o l'espulsione o l'estradizione di una persona verso uno Stato qualora esistano fondati motivi di ritenere che essa rischi di essere sottoposta a tortura o a trattamenti inumani o degradanti o qualora ricorrano gli obblighi di cui all'articolo 5, comma 6. Nella valutazione di tali motivi si tiene conto anche dell'esistenza, in tale Stato, di violazioni sistematiche e gravi di diritti umani. |
Introdotto dal D.L. 130/2020 |
1.2. Nelle ipotesi di rigetto della domanda di protezione internazionale, ove ricorrano i requisiti di cui ai commi 1 e 1.1., la Commissione territoriale trasmette gli atti al Questore per il rilascio di un permesso di soggiorno per protezione speciale. Nel caso in cui sia presentata una domanda di rilascio di un permesso di soggiorno, ove ricorrano i requisiti di cui ai commi 1 e 1.1, il Questore, previo parere della Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, rilascia un permesso di soggiorno per protezione speciale. |
Identico |
(…) |
Si segnala peraltro che la disposizione qui in esame riproduce alcune delle modifiche apportate all’articolo 19, comma 1.1 T.U. dall’A.C. 162 (di cui è stato disposto l’abbinamento con l’A.C. 127), di cui la Commissione Affari Costituzionali della Camera ha avviato l’esame in sede referente nella seduta del 9 marzo 2023.
Si segnala che il terzo periodo del comma 1.1. dell’articolo 19 era stato collegato in sede giurisprudenziale (Cass. civ. Sez. VI - 1, ordinanza n. 7861 del 2022) al principio di cui all'art. 8 CEDU, il quale riconosce ad ogni persona il diritto al rispetto della propria vita privata e familiare.
In questo senso - ad avviso della Corte - deponeva sia il tenore letterale della disposizione, sia il fatto che l’art. 5, comma 6, del Testo unico fa salvo il rispetto degli obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano nell’adozione di provvedimenti di rifiuto o revoca del permesso, adottati sulla base di convenzioni o accordi internazionali resi esecutivi in Italia, quando lo straniero non soddisfi le condizioni di soggiorno applicabili in uno degli Stati contraenti.
Al riguardo, la Suprema Corte afferma anche che il diritto di cui all'art. 8 CEDU, "alla vita privata e familiare" non è assoluto e deve essere bilanciato su base legale con una serie di altri valori tutelati: sicurezza nazionale e pubblica, benessere economico del paese, difesa dell'ordine e prevenzione di reati, protezione della salute, e della morale protezione dei diritti e delle libertà altrui.
La Corte di cassazione ha quindi specificato la portata dei tre parametri in base ai quali valutare la fondatezza del rischio di violazione del diritto alla vita privata e familiare, in connessione con il quarto periodo ora abrogato che, come si è visto, stabilisce che in tale valutazione si tenga conto della natura e della effettività dei vincoli familiari dell'interessato, del suo effettivo inserimento sociale in Italia, della durata del suo soggiorno nel territorio nazionale nonché dell'esistenza di legami familiari, culturali o sociali con il suo Paese.
Il primo parametro è familiare, espresso in relazione ai vincoli di tal genere esistenti in Italia, che devono essere effettivi (termine, non a caso, utilizzato due volte nell'ambito dello stesso periodo) ed esprimersi quindi in una relazione intensa e concreta che accompagni il rapporto di coniugio o il legame di sangue, anche se la legge non ha preteso un rapporto di convivenza.
Il secondo è sociale e si traduce nella necessità di un inserimento, ancora una volta richiesto nella sua dimensione di effettività.
Il terzo parametro è la durata del soggiorno del richiedente asilo sul territorio nazionale ed esprime un concorrente elemento di valenza presuntiva (dello sradicamento dal contesto di provenienza e del radicamento in Italia), che sembra difficile potersi apprezzare in via autonoma.
Nella richiamata ordinanza n. 7861 del 2022, la Cassazione si conforma ad un orientamento delle Sezioni Unite (Cass. civ. Sez. Unite sentenza n. 24413 del 2021) secondo il disposto dell'art. 8 CEDU è fondamentale per valutare il profilo di vulnerabilità legato alla comparazione tra il contesto economico, lavorativo e relazionale che il richiedente troverebbe rientrando nel paese di origine e la condizione di integrazione dal medesimo raggiunta in Italia nel tempo necessario al compimento dell'esame della sua domanda di protezione in sede amministrativa e giudiziaria. Al riguardo, le Sezioni Unite ribadiscono come l'art. 8 CEDU consideri, e dunque tuteli, separatamente la vita privata e la vita familiare, come chiarito dalla Corte EDU nella sentenza 14 febbraio 2019 Narjis c. Italia, là dove si afferma che "si deve accettare che tutti i rapporti sociali tra gli immigrati stabilmente insediati e la comunità nella quale vivono facciano parte integrante della nozione di "vita privata" ai sensi dell'art. 8. Indipendentemente dall'esistenza o meno di una "vita familiare", l'espulsione di uno straniero stabilmente insediato si traduce in una violazione del suo diritto al rispetto della sua vita privata".
Ne deriva, secondo la ricostruzione delle Sezioni Unite, che la protezione offerta dall'art. 8 CEDU concerne l'intera rete di relazioni che il richiedente si è costruito in Italia; relazioni familiari, ma anche affettive e sociali (si pensi alle esperienze di carattere associativo che il richiedente abbia coltivato) e, naturalmente, relazioni lavorative e, più genericamente, economiche (si pensi ai rapporti di locazione immobiliare), le quali pure concorrono a comporre la "vita privata" di una persona, rendendola irripetibile, nella molteplicità dei suoi aspetti, "sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità".
Il comma 1, lettera a), introdotto nel corso dell’esame al Senato, prevede poi l’impossibilità di convertire in permesso di soggiorno per motivi di lavoro il permesso di soggiorno per protezione speciale, il permesso di soggiorno per calamità e il permesso di soggiorno per cure mediche.
La lettera sopprime infatti dall’articolo 6, comma 1-bis, del Testo unico dell’immigrazione (decreto legislativo n. 286 del 1998), che disciplina appunto la conversione in permesso di soggiorno per motivi di lavoro di altre tipologie di permessi di soggiorno, le lettere a), b) ed h-bis) che alle specifiche di tipologie di permesso di soggiorno sopra richiamate fanno riferimento. In particolare, la lettera a) fa riferimento al permesso di soggiorno per protezione speciale disciplinato dall’articolo 32, comma 3, del decreto legislativo n. 25 del 2008, la lettera b) al permesso di soggiorno per calamità disciplinato dall’articolo 20-bis del Testo unico e la lettera h-bis) al permesso di soggiorno per cure mediche disciplinato dall’articolo 19, comma 2, lettera d-bis) del Testo unico. Il comma 1-bis dell’articolo 6 del Testo unico sul quale si interviene è stato introdotto dal decreto-legge n. 130 del 2020.
Per una ricostruzione delle diverse tipologie di permesso di soggiorno richiamate si rinvia al box alla fine della scheda di lettura.
La lettera b) del comma 1, introdotto al Senato, inserisce i procedimenti per il delitto di induzione al matrimonio (articolo 558-bis del codice penale), tra quelli per i quali, quando, nell’ambito del procedimento, siano accertate situazioni di violenza o abuso nei confronti di uno straniero ed emerga un concreto ed attuale pericolo per la sua incolumità, può essere rilasciato un permesso di soggiorno speciale per consentire alla vittima di sottrarsi alla violenza. Questo attraverso una modifica dell’articolo 18-bis, comma 1, del Testo unico sull’immigrazione, che disciplina appunto il rilascio di questa tipologia di permesso di soggiorno speciale.
Attualmente tale permesso di soggiorno speciale può essere rilasciato con riferimento ai procedimenti per i seguenti delitti previsti dal codice penale: maltrattamento del familiare o del convivente (articolo 572); lesioni personali e relative aggravanti (articoli 582 e 583); mutilazione degli organi genitali femminili (articolo 583-bis); sequestro di persona (articolo 605); violenza sessuale (articolo 609-bis); atti persecutori (612-bis).
L’articolo 558-bis del codice penale prevede che chiunque, con violenza o minaccia, costringe una persona a contrarre matrimonio o unione civile è punito con la reclusione da uno a cinque anni. La stessa pena si applica a chiunque, approfittando delle condizioni di vulnerabilità o di inferiorità psichica o di necessità di una persona, con abuso delle relazioni familiari, domestiche, lavorative o dell'autorità derivante dall'affidamento della persona per ragioni di cura, istruzione o educazione, vigilanza o custodia, la induce a contrarre matrimonio o unione civile. La pena è aumentata se i fatti sono commessi in danno di un minore di anni diciotto. La pena è da due a sette anni di reclusione se i fatti sono commessi in danno di un minore di anni quattordici. Il delitto è perseguito anche quando il fatto è commesso all'estero da cittadino italiano o da straniero residente in Italia ovvero in danno di cittadino italiano o di straniero residente in Italia.
La successiva lettera c), anch’essa introdotta al Senato, anche se il numero 1), come si è visto, riproduce il testo originario e vigente del comma 1, interviene sui divieti di espulsione e respingimento e sulle disposizioni in materia di categorie vulnerabili di cui all’articolo 19 del Testo unico.
In particolare:
· si sopprime la possibilità di rilasciare permessi di soggiorno per protezione speciale, ove ne ricorrano i presupposti, quando sia stata presentata domanda per un’altra tipologia di permesso di soggiorno (numero 2.2 che sopprime il secondo periodo del comma 1.2; il precedente numero 1.1 appare invece recare una modifica di carattere formale in quanto si inserisce nel primo periodo il riferimento normativo dei permessi per protezione speciale cioè l’articolo 32, comma 3, del decreto legislativo n. 25 del 2008);
Il comma 1.2 è stato inserito nell’articolo 19 dal decreto-legge n. 130 del 2020.
· si modificano le condizioni di salute in presenza delle quali non è consentita l’espulsione; non si potrà procedere all’espulsione in presenza di “condizioni di salute derivanti da patologie di particolare gravità, non adeguatamente curabili nel paese di origine” e non più in presenza di “gravi condizioni psicofisiche o derivanti da gravi patologie” (numero 3.1, che modifica l’articolo 19, comma 2, lettera d-bis);
L’espressione “gravi condizioni psicofisiche o derivanti da gravi patologie” è stata introdotta nella disposizione dal decreto-legge n. 130 del 2020 che ha sostituito in tal senso l’espressione “condizioni di salute di particolare gravità” prevista dal testo del decreto-legge n. 113 del 2018 (cd. decreto Sicurezza 1).
· si sopprime, coerentemente con la modifica di cui al comma 1, lettera a) dell’articolo in esame (cfr. supra) la possibilità di convertire il permesso di soggiorno per cure mediche in un permesso di soggiorno per motivi di lavoro (numero 3.2, che modifica l’articolo 19, comma 2, lettera d-bis);
Si tratta di una possibilità introdotta dal decreto-legge n. 130 del 2020.
La lettera d) del comma 1, introdotta al Senato, interviene sul permesso di soggiorno per calamità previsto dall’articolo 20-bis del Testo unico dell’immigrazione (articolo introdotto nel Testo unico dal decreto-legge n. 113 del 2018, cd. “decreto Sicurezza 1”).
In particolare:
· si prevede che il permesso di soggiorno per calamità sia rilasciato quando il Paese verso il quale lo straniero dovrebbe far ritorno versa in una situazione di calamità “contingente ed eccezionale” e non “grave” come attualmente previsto (numero 1); conseguentemente si prevede anche il permesso di soggiorno sia rinnovabile se permangono le condizioni di “eccezionale” calamità e non di “grave” calamità (numero 2.2);
Il riferimento ad una “grave calamità” era stato introdotto nell’articolo 20-bis dal decreto-legge n. 130 del 2020 sostituendo l’originario riferimento previsto a una “calamità contingente ed eccezionale” previsto dal decreto-legge n. 113 del 2018 che ora la disposizione in commento ripristina.
· si prevede che il permesso di soggiorno per calamità sia rinnovabile solo per un periodo ulteriore di sei mesi (numero 2.1);
Anche in questo caso si ripristina la specificazione sulla durata del possibile rinnovo contenuta nel testo originario introdotto dal decreto-legge n. 113 del 2018 e poi soppressa dal decreto-legge n. 130 del 2020.
· si sopprime, coerentemente con la modifica di cui al comma 1, lettera a) dell’articolo in esame (cfr. supra), la possibilità di convertire il permesso di soggiorno per calamità in permesso di soggiorno per motivi di lavoro (numero 2.3);
Anche in questo caso si ripristina il testo originario dell’articolo 20-bis introdotto dal decreto-legge n. 113 del 2018.
Nel sottostante testo a fronte è ricostruita la successione di interventi sugli articoli 19 e 20-bis del Testo unico dell’immigrazione (in ogni colonna sono evidenziate in grassetto o in grassetto barrato le differenze rispetto alla versione precedente):
Testo unico immigrazione (D.Lgs. 286/1998) con modifiche apportate dal D.L. 113/2018 |
Testo unico immigrazione con modifiche apportate dal D.L. 130/2020 |
Testo unico immigrazione con modifiche apportate dal D.L. 20/2023 |
Art. 19 |
Art. 19 |
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1. Omissis |
1. Omissis |
1. Omissis |
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1.1. Omissis |
1.1. Omissis |
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1.2. Nelle ipotesi di rigetto della domanda di protezione internazionale, ove ricorrano i requisiti di cui ai commi 1 e 1.1., la Commissione territoriale trasmette gli atti al Questore per il rilascio di un permesso di soggiorno per protezione speciale. Nel caso in cui sia presentata una domanda di rilascio di un permesso di soggiorno, ove ricorrano i requisiti di cui ai commi 1 e 1.1, il Questore, previo parere della Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, rilascia un permesso di soggiorno per protezione speciale. |
1.2. Nelle ipotesi di rigetto della domanda di protezione internazionale, ove ricorrano i requisiti di cui ai commi 1 e 1.1., la Commissione territoriale trasmette, ai sensi dell’articolo 32, comma 3, del decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25, gli atti al Questore per il rilascio di un permesso di soggiorno per protezione speciale. |
1-bis. In nessun caso può disporsi il respingimento alla frontiera di minori stranieri non accompagnati. |
1-bis. Identico |
1-bis. Identico |
2. Non è consentita l'espulsione, salvo che nei casi previsti dall'articolo 13, comma 1, nei confronti: |
2. Identico |
2. Identico |
a) omissis |
a) omissis |
a) omissis |
b) omissis |
b) omissis |
b) omissis |
c) omissis |
c) omissis |
c) omissis |
d) omissis |
d) omissis |
d) omissis |
d-bis) degli stranieri che versano in condizioni di salute di particolare gravità, accertate mediante idonea documentazione rilasciata da una struttura sanitaria pubblica o da un medico convenzionato con il Servizio sanitario nazionale, tali da determinare un rilevante pregiudizio alla salute degli stessi, in caso di rientro nel Paese di origine o di provenienza. In tali ipotesi, il questore rilascia un permesso di soggiorno per cure mediche, per il tempo attestato dalla certificazione sanitaria, comunque non superiore ad un anno, rinnovabile finche' persistono le condizioni di salute di particolare gravità debitamente certificate, valido solo nel territorio nazionale. |
d-bis) degli stranieri che versano in gravi condizioni psicofisiche o derivanti da gravi patologie, accertate mediante idonea documentazione rilasciata da una struttura sanitaria pubblica o da un medico convenzionato con il Servizio sanitario nazionale, tali da determinare un rilevante pregiudizio alla salute degli stessi, in caso di rientro nel Paese di origine o di provenienza. In tali ipotesi, il questore rilascia un permesso di soggiorno per cure mediche, per il tempo attestato dalla certificazione sanitaria, comunque non superiore ad un anno, rinnovabile finche' persistono le condizioni di cui al periodo precedente debitamente certificate, valido solo nel territorio nazionale e convertibile in permesso di soggiorno per motivi di lavoro. |
d-bis) degli stranieri che versano in condizioni di salute derivanti da patologie di particolare gravità, non adeguatamente curabili nel paese di origine, accertate mediante idonea documentazione rilasciata da una struttura sanitaria pubblica o da un medico convenzionato con il Servizio sanitario nazionale, tali da determinare un rilevante pregiudizio alla salute degli stessi, in caso di rientro nel Paese di origine o di provenienza. In tali ipotesi, il questore rilascia un permesso di soggiorno per cure mediche, per il tempo attestato dalla certificazione sanitaria, comunque non superiore ad un anno, rinnovabile finche' persistono le condizioni di cui al periodo precedente debitamente certificate, valido solo nel territorio nazionale. |
Art. 20-bis (Permesso di soggiorno per calamità) |
Art. 20-bis (Permesso di soggiorno per calamità) |
Art. 20-bis (Permesso di soggiorno per calamità) |
1. Fermo quanto previsto dall'articolo 20, quando il Paese verso il quale lo straniero dovrebbe fare ritorno versa in una situazione di contingente ed eccezionale calamità che non consente il rientro e la permanenza in condizioni di sicurezza, il questore rilascia un permesso di soggiorno per calamità. |
1. Fermo quanto previsto dall'articolo 20, quando il Paese verso il quale lo straniero dovrebbe fare ritorno versa in una situazione di grave calamità che non consente il rientro e la permanenza in condizioni di sicurezza, il questore rilascia un permesso di soggiorno per calamità. |
1. Fermo quanto previsto dall'articolo 20, quando il Paese verso il quale lo straniero dovrebbe fare ritorno versa in una situazione di contingente ed eccezionale calamità che non consente il rientro e la permanenza in condizioni di sicurezza, il questore rilascia un permesso di soggiorno per calamità. |
2. Il permesso di soggiorno rilasciato a norma del presente articolo ha la durata di sei mesi, ed è rinnovabile per un periodo ulteriore di sei mesi se permangono le condizioni di eccezionale calamità di cui al comma 1; il permesso è valido solo nel territorio nazionale e consente di svolgere attività lavorativa, ma non può essere convertito in permesso di soggiorno per motivi di lavoro. |
2. Il permesso di soggiorno rilasciato a norma del presente articolo ha la durata di sei mesi, ed è rinnovabile |
2. Il permesso di soggiorno rilasciato a norma del presente articolo ha la durata di sei mesi, ed è rinnovabile per un periodo ulteriore di sei mesi se permangono le condizioni di eccezionale calamità di cui al comma 1; il permesso è valido solo nel territorio nazionale e consente di svolgere attività lavorativa, ma non può essere convertito in permesso di soggiorno per motivi di lavoro. |
Il comma 2 introduce una disciplina transitoria, in base alla quale alle domande di riconoscimento della protezione speciale presentate in data anteriore all’entrata in vigore del decreto-legge in esame (11 marzo 2023), nonché ai casi in cui lo straniero abbia già ricevuto dalla competente questura l’invito a presentare l’istanza di protezione speciale, continuano ad applicarsi le norme abrogate dal comma 1.
Con riferimento ai profili di diritto intertemporale derivanti dall’entrata in vigore delle disposizioni di cui al DL 130/2020, le Sezioni Unite della Cassazione, nella sentenza n. 24413 del 2021 hanno affermato che le norme del DL 130/2020, relative al divieto di respingimento del richiedente asilo quando esistano fondati motivi di ritenere che l'allontanamento dello straniero dal territorio nazionale comporti una violazione del diritto al rispetto della sua vita privata e familiare, si applicano retroattivamente – come previsto dall’articolo 15 dello stesso decreto-legge - ai procedimenti che, alla data della sua entrata in vigore, fossero pendenti davanti alle commissioni territoriali, al questore e alle sezioni specializzate dei tribunali, ma non a quelli pendenti, alla stessa data, davanti al giudice di rinvio o alla Corte di cassazione.
Nel corso dell’esame al Senato è stato introdotto il comma 2-bis, il quale prevede che ai procedimenti di competenza della Commissione nazionale per il diritto di asilo pendenti alla data di entrata in vigore del presente decreto continua ad applicarsi la disciplina previgente.
Il Comitato per la legislazione della Camera, nel parere sul provvedimento reso nella seduta del 26 aprile 2023, ha invitato, con un’osservazione, la Commissione competente in sede referente a valutare l’opportunità di approfondire le disposizioni di cui ai commi 2 e 2-bis. Al riguardo, nelle premesse del parere, si invita infatti a valutare l’opportunità di “precisare, anche al fine di evitare contenziosi, quale sia il regime applicabile a istanze e procedimenti che non risultino pendenti alla data di entrata in vigore del decreto-legge ma che invece lo risultino alla data di entrata in vigore della legge di conversione, in particolare per le fattispecie oggetto di modifica nel corso dell’iter di conversione”.
Il comma 3 prevede un’ulteriore disposizione intertemporale riguardante la durata dei permessi di soggiorno già rilasciati ai sensi dell’articolo 19, comma 1.1, terzo periodo, T.U. (oggetto di abrogazione ad opera del comma 1 dell’articolo in esame) e in corso di validità. Per effetto del comma 3 tali permessi sono rinnovati, per una sola volta e con durata annuale, a decorrere dalla data di scadenza.
Si ricorda che, ai sensi dell’articolo 19, comma 1.2 (inserito dal DL 130/2020) del Testo unico, nelle ipotesi di rigetto della domanda di protezione internazionale, ove ricorrano i requisiti di cui ai commi 1 e 1.1., la Commissione territoriale trasmette gli atti al Questore per l’esame dell’eventuale domanda di un permesso di soggiorno per protezione speciale.
Nel caso in cui sia presentata tale domanda, ove ricorrano i requisiti di cui ai commi 1 e 1.1, il Questore, previo parere della Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, rilascia un permesso di soggiorno per protezione speciale, disciplinato dall’articolo 32, comma 3, del D.lgs. n. 25 del 2008. Tale permesso di soggiorno, di durata biennale, è rinnovabile, previo parere della Commissione territoriale, e consente di svolgere attività lavorativa.
Rispetto alla disciplina speciale che viene introdotta dal comma in commento, quindi, la disciplina generale riguardante la protezione speciale non pone un limite alla possibilità di rinnovo del permesso di soggiorno.
Come si legge nella relazione illustrativa, l’ulteriore disposizione transitoria di cui al comma 3 è finalizzata a consentire ai titolari di permesso di soggiorno per protezione speciale ex art. 19, comma 1.1, terzo periodo T.U., di fruire di un congruo periodo di tempo, anche ai fini della ricerca di un lavoro stabile, per accedere al titolo di soggiorno per motivi di lavoro, evitando il rischio di cadere in una posizione di irregolarità.
Al riguardo, si valuti l’opportunità di specificare la disciplina applicabile, in caso di rinnovo, per i permessi per protezione speciale che saranno eventualmente rilasciati ai sensi del comma 2 (quelli cioè che faranno seguito ad istanze presentate fino alla data di entrata in vigore del decreto-legge o ad inviti a presentare istanze ricevuti fino alla medesima data).
Il comma 3 in commento, infatti, disciplina il rinnovo unicamente per “i permessi di soggiorno già rilasciati” alla data di entrata in vigore del decreto-legge, senza fare riferimento ai casi pendenti del richiamato comma 2.
Il diritto di asilo previsto dall'art. 10, terzo comma, Cost. è attuato e regolato nel nostro ordinamento secondo diverse fattispecie: lo status di rifugiato, la protezione sussidiaria e protezione per esigenze umanitarie.
A dare impulso ad una maggiore articolazione della disciplina normativa interna è stata l'incidenza delle disposizioni comunitarie. L'asilo, infatti, nelle sue varie articolazioni, figura tra le materie di competenza dell'Unione europea, la quale vi persegue una "politica comune", mediante un "sistema europeo comune di asilo" (articolo 78 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea).
La normativa europea ha introdotto l'istituto della protezione internazionale che comprende due distinte categorie giuridiche:
· il riconoscimento dello status di rifugiato, disciplinato come dalla Convenzione di Ginevra, è accordato a chi sia esposto nel proprio Paese ad atti di persecuzione individuale, configuranti una violazione grave dei suoi diritti fondamentali.
· la protezione sussidiaria, di cui possono beneficiare i cittadini stranieri privi dei requisiti per il riconoscimento dello status di rifugiato, ossia che non sono in grado di dimostrare di essere oggetto di specifici atti di persecuzione, ma che, tuttavia, se ritornassero nel Paese di origine, correrebbero il rischio effettivo di subire un grave danno e che non possono o (proprio a cagione di tale rischio) non vogliono avvalersi della protezione del Paese di origine.
Una ulteriore fattispecie è la protezione temporanea che può essere concessa nei casi di afflusso massiccio o di imminente afflusso massiccio di sfollati provenienti da Paesi non appartenenti all'Unione europea che non possono rientrare nel loro Paese d'origine al fine di garantire una tutela immediata e temporanea, in particolare qualora sussista il rischio che il sistema d'asilo non possa far fronte a tale afflusso.
Il diritto dell'UE, infine, prevede la possibilità - non l'obbligo - per gli Stati membri di ampliare l'ambito delle forme di protezione tipiche (status di rifugiato e protezione sussidiaria) sino ad estenderlo ai motivi "umanitari", "caritatevoli" o "di altra natura", rilasciando un permesso di soggiorno autonomo o altra autorizzazione che conferisca il diritto di soggiornare a un cittadino di un Paese terzo il cui soggiorno sia irregolare (articolo 6, par. 4, della direttiva 115/2008/UE). Pertanto, mentre lo status di rifugiato e la protezione sussidiaria sono accordati, in osservanza di obblighi europei ed internazionali, il primo per proteggere la persona da atti di persecuzione, la seconda per evitare che questa possa subire un grave danno; la protezione umanitaria è rimessa, invece, in larga misura, alla discrezionalità dei singoli Stati, per rispondere ad esigenze umanitarie, caritatevoli o di altra natura.
Lo status di rifugiato è disciplinato dall'art. 2, comma 2, lett. e) e f) del decreto legislativo n. 251/2007 (modificato dal decreto legislativo n. 18/2014) e dall’art. 2, comma 1, lett. d) ed e), del decreto legislativo n. 25/2008.
In particolare la lett. e) dell'art. 2, comma 2, del decreto legislativo n. 251 definisce il rifugiato come "cittadino straniero il quale, per il timore fondato di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o opinione politica, si trova fuori dal territorio del Paese di cui ha la cittadinanza e non può o, a causa di tale timore, non vuole avvalersi della protezione di tale Paese, oppure apolide che si trova fuori dal territorio nel quale aveva precedentemente la dimora abituale per le stesse ragioni succitate e non può o, a causa di tale timore, non vuole farvi ritorno, ferme le cause di esclusione di cui all'articolo 10".
La protezione sussidiaria è disciplinata dall’art. 2, comma 1, lett. g) ed h) del decreto legislativo n. 251/2007 e dall'art. 2, comma 1, lett. f) e g) del decreto legislativo n. 25/2008. In particolare è ammissibile alla protezione sussidiaria il cittadino straniero che non possiede i requisiti per essere riconosciuto come rifugiato ma nei cui confronti sussistono fondati motivi di ritenere che, se ritornasse nel Paese di origine, o, nel caso di un apolide, se ritornasse nel Paese nel quale aveva precedentemente la dimora abituale, correrebbe un rischio effettivo di subire un grave danno e il quale non può o, a causa di tale rischio, non vuole avvalersi della protezione di detto Paese.
La richiesta di protezione internazionale, può essere presentata dal cittadino straniero presso l’Ufficio di Polizia di Frontiera all’atto dell’ingresso nel Territorio nazionale o presso l’Ufficio della Questura competente in base al luogo di dimora del richiedente.
Al richiedente protezione internazionale viene rilasciato un permesso di soggiorno per richiesta di asilo della durata di sei mesi, valido sul territorio dello Stato e rinnovabile fino alla decisione della Commissione Territoriale in merito alla richiesta del riconoscimento della protezione internazionale o comunque per il tempo in cui è autorizzato a rimanere nel territorio nazionale.
In caso di accoglimento della domanda di protezione internazionale, ai sensi dell’articolo 23 del D.Lgs. 251 del 2007, ai titolari dello status di rifugiato è rilasciato il permesso di soggiorno per asilo, che ha validità quinquennale ed è rinnovabile.
In via analoga, ai titolari dello status di protezione sussidiaria è rilasciato un permesso di soggiorno per protezione sussidiaria con validità quinquennale rinnovabile previa verifica della permanenza delle condizioni che hanno consentito il riconoscimento della protezione sussidiaria.
La protezione umanitaria è stata soppressa quale istituto generale dal decreto-legge n. 113/2018, il quale le ha sostituito una enumerazione diretta a tipizzare e delimitare le ipotesi umanitarie.
In tale ambito sono ricondotte alcune fattispecie già previste nel TU immigrazione, come i permesso di soggiorno per motivi di protezione sociale (già disciplinato al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 18) nonchè quello preesistente per le vittime di violenza domestica (art. 18 bis) e quello per particolare sfruttamento lavorativo (art. 22, comma 12 quater). Si tratta di titoli di soggiorno variamente modulati quanto alla durata ma tutti convertibili in permessi di lavoro.
Altre fattispecie non erano puntualmente disciplinate dal Testo unico (trovando semmai applicazione nelle prassi delle Commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale) e sono state tipizzate e disciplinate con il D.L. 113 del 2018. Sono:
a) permesso per cure mediche (D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, comma 2, lett. d-bis)) per cittadini stranieri che versano in condizioni di particolare gravità, della durata massima di un anno, rinnovabile solo se persiste la condizione di partenza;
b) permesso di soggiorno per contingente ed eccezionale calamità naturale (D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 20 bis) che non consenta il rientro e la permanenza in condizioni di sicurezza della durata di sei mesi, rinnovabile di altri sei se permane la condizione di partenza, che consente lo svolgimento di attività lavorativa ma non è convertibile in permesso di lavoro;
c) permesso di soggiorno per atti di particolare valore civile (D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 42 bis) di durata biennale, con accesso allo studio e allo svolgimento di attività lavorativa, rinnovabile e convertibile in permesso di soggiorno per lavoro subordinato ed autonomo.
Da ultimo è stato inoltre introdotto il permesso di soggiorno per «protezione speciale» per i casi in cui non sia stata accolta la domanda di protezione internazionale dello straniero e al contempo ne sia vietata l'espulsione o il respingimento, nell'eventualità che questi «possa essere oggetto di persecuzione per motivi di razza, di sesso, di lingua, di cittadinanza, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali o sociali, ovvero possa rischiare di essere rinviato verso un altro Stato nel quale non sia protetto dalla persecuzione», oppure esistano fondati motivi di ritenere che rischi di essere sottoposto a tortura. Con le correzioni introdotte dal decreto-legge n. 130 del 2020 (art. 1, co. 1, lett. a)) si esplicita nel testo unico che in ogni caso la possibilità di rifiutare o revocare il permesso di soggiorno incontra un limite nel "rispetto degli obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano". Inoltre, il medesimo decreto ha disposto per alcune tipologie di permessi di soggiorno (tra cui quello per protezione speciale e per calamità) la convertibilità in permessi di lavoro (art. 1, co. 1, lett. b)).
L’articolo 7-bis reca un insieme di disposizioni, su talune procedure relative al riconoscimento della protezione internazionale.
Il comma 1, in particolare, incide su profili concernenti le procedure accelerate alla frontiera.
L’articolo 7-bis – introdotto per iniziativa governativa nel corso dell’esame del Senato – reca un novero di novelle.
Quelle dettate dal comma 1, in particolare, incidono sul decreto legislativo n. 25 del 2008 avente ad oggetto (in attuazione di disposizioni comunitarie) le procedure ai fini del riconoscimento e della revoca della protezione internazionale.
Il medesimo decreto legislativo n. 25 è altresì inciso dalla novellazione recata dall’articolo 7-ter (anch’esso introdotto dal Senato per iniziativa governativa) ma di esso si dà conto infra, in altra correlativa scheda di lettura.
La lettera a) reca previsione relativa ai funzionari amministrativi delle Commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale.
Secondo la disposizione vigente (dettata dall’articolo 4, comma 1-bis del citato decreto legislativo n. 25 del 2008) siffatto personale, assegnato (in numero di almeno quattro unità) con compiti istruttori a ciascuna Commissione territoriale, è individuato entro il contingente di personale altamente qualificato per l'esercizio di funzioni di carattere specialistico, che fu appositamente assunto (nel limite complessivo di 250 unità) per effetto di disposizione del decreto-legge n. 13 del 2017 (“Disposizioni urgenti per l'accelerazione dei procedimenti in materia di protezione internazionale, nonché per il contrasto dell'immigrazione illegale”: cfr. il suo articolo 12).
La novella viene a ‘svincolare’ l’individuazione dei funzionari amministrativi delle Commissioni da quell’esclusivo specifico contingente di personale, consentendo di attingerli altresì “dall’area dei funzionari o delle elevate professionalità” dell’Amministrazione civile dell’interno, che sia appositamente formato in materia di protezione internazionale, a cura di quella medesima amministrazione, successivamente all’ingresso in ruolo.
Le Commissioni territoriali (le quali sono fissate nel numero massimo di venti; presso ciascuna Commissione possono essere istituite - al verificarsi di un eccezionale incremento delle domande di asilo connesso all'andamento dei flussi migratori, e per il tempo strettamente necessario - una o più sezioni, fino a un numero massimo complessivo di trenta per l'intero territorio nazionale), sono composte (“nel rispetto del principio di equilibrio di genere”) da un funzionario della carriera prefettizia (con funzioni di presidente, nominato con decreto del Ministro dell'interno, sentita la Commissione nazionale), un esperto in materia di protezione internazionale e di tutela dei diritti umani designato dall'UNHCR e dai funzionari amministrativi con compiti istruttori (nominati con provvedimento del Capo Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno, sentita la Commissione nazionale). L'incarico ha durata triennale ed è rinnovabile. Le Commissioni territoriali possono essere integrate da un funzionario del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale come componente a tutti gli effetti, quando, in relazione a particolari afflussi di richiedenti protezione internazionale, sia necessario acquisire specifiche valutazioni di competenza del predetto Ministero in merito alla situazione dei Paesi di provenienza. Al presidente ed ai componenti effettivi o supplenti è corrisposto, per la partecipazione alle sedute della Commissione, un gettone giornaliero di presenza.
La lettera b) reca previsioni relative alle procedure accelerate di esame della domanda di protezione internazionale, svolto dalle Commissioni territoriali.
Secondo la disposizione vigente (articolo 28-bis, comma 2, del decreto legislativo n. 25 del 2008), la Questura provvede senza ritardo alla trasmissione della documentazione necessaria alla Commissione territoriale la quale, entro sette giorni dalla data di ricezione della documentazione, provvede all'audizione e decide entro i successivi due giorni, per talune fattispecie (accomunate dall’elevata probabilità di respingimento della domanda).
La novella enuclea, quale distinta fattispecie, il caso di domanda di protezione internazionale presentata direttamente alla frontiera o nelle zone di transito da straniero proveniente da un Paese di origine designato come sicuro . Si definisce come sicuro un paese tale da non presentare, in via generale e costante, atti di persecuzione né tortura o altre forme di pena o trattamento inumano o degradante, né pericolo a causa di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale; la designazione di un Paese di origine sicuro può essere fatta, peraltro, con l'eccezione di parti del territorio o di categorie di persone.
La novella inoltre prevede per la domanda di protezione internazionale presentata direttamente alla frontiera o zona di transito da uno straniero proveniente da Paese di origine sicuro oppure fermato per avere eluso i relativi controlli (o tentato di eludere), che la procedura accelerata di esame della domanda possa essere svolta direttamente in loco (frontiera o zona di transito).
E prevede che, per quelle domande, la Commissione territoriale decida nel termine di sette giorni (dalla ricezione della domanda).
Ne risulta un abbreviamento del termine fin qui vigente (si è ricordato, sette giorni dalla data di ricezione della documentazione, più due giorni per la decisione).
La lettera c) interviene sulla disciplina dei casi di inammissibilità della domanda di protezione internazionale.
Secondo la disposizione vigente (articolo 29, comma 1, del decreto legislativo n. 25 più volte citato), in particolare, la Commissione territoriale dichiara inammissibile la domanda e non procede all'esame, allorché il richiedente abbia reiterato identica domanda, dopo che sia stata presa una decisione da parte della Commissione, e la reiterazione avvenga senza addurre “nuovi elementi” in merito alle condizioni personali o alla situazione del Paese di origine.
La novella aggiunge la dicitura “o nuove prove”. Nonché aggiunge la previsione (valevole così per gli “elementi” come per le “prove” da addurre in caso di reiterazione della domanda) che essi debbano rendere “significativamente più probabile” l’accoglimento della domanda (ossia che la persona possa beneficiare della protezione internazionale).
È peraltro posta – rispetto a siffatta previsione, mirante a rendere più stringente il controllo di ammissibilità della domanda di protezione, in caso di sua reiterazione – una ‘esimente’. Essa consiste nella fondata allegazione, da parte del richiedente, di essere stato, non per sua colpa, impossibilitato a presentare tali elementi o prove, in occasione della sua precedente domanda (o del successivo ricorso giurisdizionale).
Ancora secondo la disposizione vigente (articolo 29, comma 2, del decreto legislativo n. 25), la reiterata domanda è sottoposta ad esame preliminare da parte del Presidente della Commissione territoriale, onde accertare l’emersione di nuovi elementi, rilevanti ai fini del riconoscimento della protezione internazionale.
Anche per questo riguardo, la novella aggiunge il termine “o nuove prove”.
Ed aggiunge che il richiedente ha l’onere di allegazione specifica della non imputabilità a sua “colpa” del ritardo nella presentazione di tali nuovi elementi o prove, rispetto alla precedente domanda (o ricorso avverso il suo esito negativo).
La lettera d) reca previsione relativa alle controversie in materia di riconoscimento della protezione internazionale. Più esattamente, interviene sulla eccezione al principio della sospensione dell’efficacia esecutiva della decisione negativa della Commissione territoriale, conseguente alla proposizione del ricorso da parte dello straniero presentatore della domanda di protezione internazionale.
Secondo la disposizione vigente (articolo 35, comma 3, del decreto legislativo n. 25), la proposizione del ricorso sospende l'efficacia esecutiva del provvedimento impugnato, tranne che in alcune ipotesi. Tra queste eccezioni rientra la domanda di protezione internazionale presentata da un richiedente direttamente alla frontiera o nelle zone di transito, dopo essere stato fermato per avere eluso o tentato di eludere i relativi controlli.
La riformulazione dettata dalla novella amplia tale eccezione al principio della sospensione dell’efficacia esecutiva, sì da renderla inclusiva della domanda di protezione internazionale presentata direttamente alla frontiera o nelle zone di transito da un richiedente proveniente da un Paese di origine sicuro.
Ancora, la disposizione vigente (articolo 35-bis, comma 5, del decreto-legislativo n. 25) prevede che la proposizione del ricorso – o di istanza cautelare – non sospenda l'efficacia esecutiva del provvedimento che dichiara inammissibile una domanda di protezione internazionale.
La novella amplia tale eccezione alla sospensione dell’efficacia esecutiva del provvedimento della Commissione territoriale al caso che esso respinga (non solo dichiari inammissibile) la domanda, e al caso che il provvedimento investa un’altra domanda reiterata, a seguito di una decisione definitiva che respinga o dichiari inammissibile una prima domanda reiterata.
Parrebbe, dunque, che la novella disposizione abbia riguardo ad una ‘seconda’ domanda reiterata, facente seguito ad una prima domanda reiterata.
Si è ricordato, la disposizione concerne gli effetti così del ricorso come della istanza cautelare proposta dal richiedente in presenza di gravi e circostanziate ragioni. Della istanza cautelare tratta il comma 4 dell’articolo 35-bis citato.
La lettera e) introduce un articolo aggiuntivo, l’articolo 35-ter, che ha per specifico oggetto la sospensione della decisione sulla protezione internazionale, nella procedura di frontiera, quando il richiedente sia trattenuto (secondo le modalità previste da novelle disposizioni: v. scheda infra).
In tal caso di trattenimento alla frontiera, è configurata una specifica disciplina relativa alla controversia sulla decisione della Commissione territoriale.
Si viene a prevedere un termine per il ricorso avverso la decisione, di quattordici giorni (dalla notifica del provvedimento).
È dunque un termine più breve rispetto a quello ‘ordinario’ (pari a trenta giorni – ovvero sessanta giorni se il richiedente si trovi in un Paese terzo al momento della presentazione del ricorso – ai sensi dell’articolo 35-bis del decreto legislativo n. 25), onde calibrarlo sulla specifica situazione del trattenimento alla frontiera.
La sospensione dell’efficacia esecutiva del provvedimento della Commissione avviene secondo le modalità – e le eccezioni ad essa – disegnate dal già richiamato articolo 35-bis, comma 3 del decreto legislativo n. 25.
Si viene però a specificare che l’istanza di sospensione debba essere proposta con il ricorso introduttivo, a pena di inammissibilità (si valuti il coordinamento di tale previsione con quanto disposto dal comma 4 dell’articolo 35-bis, relativo alla proponibilità di istanza cautelare, non inciso qui da modifica o coordinamento normativo).
Il ricorso – ancora prevede il novello articolo 35-ter – è immediatamente notificato (a cura della cancelleria) al Ministero dell'interno, presso la Commissione territoriale (o sua sezione) che abbia adottato l'atto impugnato, nonché al pubblico ministero, che nei successivi due giorni possono depositare note difensive.
Nello stesso termine, la Commissione è tenuta a rendere disponibili il verbale di audizione o, dove possibile, il verbale di trascrizione della videoregistrazione, copia della domanda di protezione internazionale e di tutta la documentazione acquisita nel corso della procedura di esame.
Alla scadenza del termine, il giudice (in composizione monocratica) provvede allo stato degli atti entro cinque giorni con decreto motivato non impugnabile.
Dal momento della proposizione dell'istanza e fino all'adozione della decisione sul ricorso, il ricorrente non può essere espulso o allontanato dal luogo nel quale è trattenuto.
L’accoglimento dell’istanza di sospensione determina l’ammissione dello straniero nel territorio nazionale ed il rilascio di un permesso di soggiorno per richiesta asilo.
Viceversa la sospensione degli effetti del provvedimento impugnato perde efficacia se il ricorso sia rigettato (anche se con decreto non definitivo).
Quanto sopra ricordato concerne la decisione sulla sospensione dell’efficacia del provvedimento della Commissione territoriale. È su questo terreno che muove la procedimentalizzazione profilata da questo articolo aggiuntivo.
A seguire, si pone la decisione – ancora del giudice, stavolta però in composizione collegiale – sul ricorso. Per questo riguardo, non sono dettate modificazioni rispetto alla normativa vigente.
Articolo 7-bis, comma 2
(Trattenimento dei richiedenti protezione internazionale)
L’articolo 7-bis, comma 2, amplia le ipotesi di trattenimento dei richiedenti protezione internazionale. In primo luogo, si prevede che tali soggetti possano essere trattenuti nei centri di permanenza e rimpatrio (CPR), nei limiti dei posti disponibili e anche qualora ciò sia necessario per determinare gli elementi su cui si basa la domanda di protezione internazionale, che non potrebbero essere acquisiti senza il trattenimento, Inoltre, viene ampliato il novero delle circostanze per la valutazione del rischio di fuga, che comporta il trattenimento, prevedendo che esso sussista anche in caso di mancato possesso del passaporto e in caso di falsa attestazione delle proprie generalità da pare del richiedente asilo.
In secondo luogo, si introduce la possibilità del trattenimento del richiedente asilo - al solo scopo di accertare il diritto ad entrare nel territorio dello Stato - nel caso di presentazione della domanda alla frontiera dopo avere eluso i relativi controlli o se proviene da un Paese di origine sicuro. In questo caso il trattenimento avviene presso gli hotspot o, in caso di arrivi consistenti e ravvicinati, presso i CPR.
Infine, si introduce la possibilità del trattenimento nei CPR, se sussiste un notevole pericolo di fuga, del richiedente asilo in attesa del suo trasferimento nello Stato competente ad esaminare la domanda secondo la c.d. procedura Dublino.
La disposizione in esame apporta alcune modifiche al D.Lgs. 142/2015 nella parte in cui disciplina, in attuazione della direttiva 2013/33/UE, l’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale.
Per il confronto testuale delle modifiche apportate alla normativa vigente, si rinvia al testo a fronte inserito in calce alla scheda di lettura dell’articolo 5-quater.
In particolare, si interviene sulle modalità di trattenimento del richiedente asilo disciplinato dall’articolo 6 del citato D.Lgs. 142/2015 che prescrive che il trattenimento avvenga, ove possibile, in spazi appositamente dedicati ai richiedenti asilo all’interno nei centri di permanenza per i rimpatri (CPR).
La disposizione in esame aggiunge che il trattenimento in tali spazi avviene “nei limiti dei posti disponibili” (art. 7-bis, comma 2, lett. a), punto 1.1)[32].
Il medesimo articolo 6 prescrive che la decisione di trattenimento deve essere valutata caso per caso e può intervenire in una delle ipotesi tassativamente indicate dalla legge, ossia nel caso in cui il richiedente abbia commesso crimini particolarmente gravi, costituisca un pericolo per la sicurezza dello Stato o per l'ordine e la sicurezza pubblica, abbia presentato domanda nella fase di esecuzione dell’allontanamento dal territorio nazionale, ecc.
Tra i casi in cui è possibile disporre il trattenimento del richiedente asilo è incluso anche il pericolo di fuga. La sussistenza del pericolo di fuga è valutata, caso per caso (art. 6, comma 2, lett. d), D.Lgs. 142/2015).
Tale ultima previsione viene modifica dall’articolo in esame (art. 7-bis, comma 2, lett. a), punto 1.2). Si prevede che il trattenimento può essere disposto se sussiste il pericolo di fuga e, contestualmente, sia necessario determinare gli elementi su cui si basa la domanda di protezione internazionale che non potrebbero essere acquisiti senza il trattenimento.
Si ricorda che il richiedente asilo, ai sensi dell’articolo 6 del citato D.Lgs. 142/2015, non può essere trattenuto al solo fine di esaminare la sua domanda.
Inoltre, la disposizione in esame amplia il novero delle circostanze per la valutazione del rischio di fuga prevedendo che esso sussista anche nei seguenti casi:
§ mancato possesso del passaporto, o di altro documento equipollente, in corso di validità (art. 13, comma 4-bis, lett. a), D.Lgs. 286/1998, Testo unico immigrazione TUIM);
§ avere in precedenza dichiarato o attestato falsamente le proprie generalità (art. 13, comma 4-bis, lett. c), TUIM).
Queste circostanze si aggiungono a quelle già attualmente previste dalla normativa vigente e che
La disposizione in esame fa riferimento anche alle circostanze di cui alle lettere d) ed e) dell’articolo 13, comma 4, sostanzialmente analoghe a quelle previste dalla normativa vigente:
§ non avere ottemperato ad uno dei provvedimenti di espulsione emessi dalla competente autorità (in applicazione dell’articolo 13, commi 5 e 13, e dell'articolo 14, TUIM);
§ avere violato anche una delle misure (di cui all’articolo 13, comma 5.2, TUIM) disposte dal questore in caso di concessione di un termine per la partenza volontaria, ossia:
- consegna del passaporto;
- obbligo di dimora in un luogo preventivamente individuato;
- obbligo di presentazione, in giorni ed orari stabiliti, presso un ufficio della forza pubblica territorialmente competente.
Si tratta, nel complesso, delle medesime gravi fattispecie per la valutazione del rischio di fuga, previste dal TUIM, che consentono di disporre l’espulsione dell’immigrato irregolare non richiedente asilo mediante accompagnamento coatto alla frontiera, anziché con il foglio di via (art. 13, comma 4-bis, TUIM) che vengono applicate, secondo la disposizione in esame, anche al trattenimento del richiedente asilo.
Inoltre, viene introdotta la possibilità di fare ricorso alle operazioni di rilevamento fotodattiloscopico e alla verifica delle banche dati per la determinazione o la verifica dell'identità o della cittadinanza del richiedente protezione internazionale trattenuto proprio perché non è stato possibile procedere alla sua identificazione (art. 7-bis, comma 2, lett. a), punto 2).
L’articolo 7-bis, comma 2, lett. b), introduce un nuovo articolo 6-bis al D.Lgs. 25/2008 prevedendo che il richiedente asilo possa essere trattenuto durante la procedura accelerata di esame della domanda di asilo presentata alla frontiera al solo scopo di accertare il diritto ad entrare nel territorio dello Stato (comma 1 del nuovo art. 6-bis).
Si tratta della speciale procedura accelerata di esame della domanda di protezione internazionale che si applica qualora essa sia presentata direttamente alla frontiera o nelle zone di transito:
§ da parte di uno straniero dopo essere stato fermato per avere eluso o tentato di eludere i relativi controlli (articolo 28-bis, comma 2, lett. b) D.Lgs. 25/2008);
§ da parte di uno straniero proveniente da un Paese di origine sicuro (articolo 28-bis, comma 2, lett. b)-bis D.Lgs. 25/2008, la lettera b)-bis è stata introdotta dall’art. 7, comma 1, del provvedimento in esame).
Il trattenimento ha il solo scopo di “accertare il diritto ad entrare nel territorio dello Stato”.
Si ricorda che, come già si è accennato, l’art. 6, comma 1, del D.Lgs. 142/2015, prevede che il richiedente non può essere trattenuto al solo fine di esaminare la sua domanda. Tale principio discende dall’articolo 26 della direttiva 2013/32/UE (attuata con il D.Lgs. 142/2015) che vieta il trattenimento di una persona per il solo motivo che si tratta di un richiedente asilo.
La disposizione in esame, inoltre, fa salve le circostanze che consentono, in ogni caso, il trattenimento di cui si è accennato sopra, ossia il caso in cui il richiedente abbia commesso crimini particolarmente gravi, costituisca un pericolo per la sicurezza dello Stato o per l'ordine e la sicurezza pubblica, abbia presentato domanda nella fase di esecuzione dell’allontanamento dal territorio nazionale, ecc. (art. 6, commi 2 e 3-bis, D.Lgs. 142/2015).
Parimenti viene richiamato il rispetto del criterio di priorità per il trattenimento di coloro che siano considerati una minaccia per l'ordine e la sicurezza pubblica o che siano stati condannati, anche con sentenza non definitiva, per gravi reati, compreso quello di favoreggiamento alla immigrazione clandestina e di coloro che siano cittadini di Paesi terzi con i quali sono vigenti accordi di cooperazione o altre intese in materia di rimpatrio, o che provengano da essi (art. 14, comma 1.1, TUIM).
La disposizione in commento prevede la possibilità di trattenere il richiedente al momento della presentazione della domanda fino alla decisione sulla eventuale istanza di sospensione dell’efficacia esecutiva del provvedimento di rigetto della medesima domanda, ai sensi dell’articolo 35-bis del D.Lgs. 25/2008.
Contro le decisioni delle commissioni territoriale in materia di concessione della protezione internazionale è possibile ricorrere alla giustizia ordinaria (art. 35, D.Lgs. 25/2008). La proposizione del ricorso sospende l’efficacia esecutiva del provvedimento impugnato tranne in determinate circostanze tra cui il caso che il ricorso è proposto da un soggetto trattenuto negli hotspot o nei CPR (art. 35-bis, comma 3, D.Lgs. 25/2008). Tuttavia, anche in questi casi è possibile sospendere l’efficacia del provvedimento qualora ricorrano gravi e circostanziate ragioni. Entro al massimo 20 giorni il giudice si esprime sulla istanza di sospensione confermando, modificando o revocando il provvedimento impugnato (art. 35-bis, comma 3, D.Lgs. 25/2008).
Ai sensi del comma 2 del nuovo articolo 6-bis, il richiedente asilo alla frontiera può essere trattenuto qualora non abbia consegnato il passaporto o altro documento equipollente in corso di validità, ovvero non presti idonea garanzia finanziaria. L’individuazione dell'importo e delle modalità di prestazione della garanzia finanziaria è demandata ad un decreto del Ministero dell'interno, di concerto con i Ministeri della giustizia e dell'economia e delle finanze, da adottarsi entro 90 giorni dall'entrata in vigore della presente disposizione.
Il trattenimento non può protrarsi oltre il tempo strettamente necessario per lo svolgimento della procedura in frontiera e in ogni caso non può essere superiore ad un periodo di quattro settimane, non prorogabile (comma 3 del nuovo articolo 6-bis).
Il comma 4 specifica che il trattenimento deve avvenire in appositi locali presso i punti di crisi (i c.d. hotspot), i centri di soccorso e di prima assistenza istituiti per accogliere gli stranieri irregolari rintracciati nei pressi della frontiera o a seguito di operazione di salvataggio in mare (sono le strutture di cui all'articolo 10-ter, comma 1, del TUIM). In caso di arrivi consistenti e ravvicinati il trattenimento può avvenire nei centri di permanenza per i rimpatri (di cui art. 14 TUIM), per il tempo strettamente necessario all'accertamento del diritto ad entrare nel territorio dello Stato.
Si prevede, infine, l’applicazione, per quanto è compatibile, della procedura di adozione del provvedimento di trattenimento del questore prevista in via generale per i richiedenti asilo dall'articolo 6, comma 5, del D.Lgs. 25/2008.
La procedura prevede una serie di garanzie nei confronti del richiedente tra cui le seguenti:
- il provvedimento di trattenimento è adottato dal questore per iscritto, corredato da motivazione e reca l'indicazione che il richiedente ha facoltà di presentare personalmente o a mezzo di difensore memorie o deduzioni al tribunale sede della sezione specializzata in materia di immigrazione protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell'Unione europea competente alla convalida;
- il provvedimento è comunicato al richiedente nella prima lingua indicata dal richiedente o in una lingua che ragionevolmente si suppone che comprenda;
- si applicano le disposizioni relative al trattenimento nel CPR previste dall'articolo 14 del TUIM, comprese le misure alternative (vedi infra)
- la partecipazione del richiedente all'udienza per la convalida avviene, ove possibile, a distanza mediante un collegamento audiovisivo;
- al difensore deve essere garantito di poter essere presente nel luogo ove si trova il richiedente;
- quando il trattenimento è già in corso al momento della presentazione della domanda, i termini ordinari di trattenimento presso i CPR, si sospendono e il questore trasmette gli atti al tribunale per la convalida da parte dei giudice di pace del trattenimento per un periodo massimo di ulteriori 60 giorni, per consentire l'espletamento della procedura di esame della domanda.
Il nuovo articolo 6-ter del D.Lgs. 142/2015, introdotto dalla disposizione in esame, prevede la possibilità del trattenimento nei CPR, se sussiste un notevole pericolo di fuga, del richiedente asilo in attesa del suo trasferimento nello stato competente ad esaminare la sua domanda secondo la c.d. procedura Dublino.
Gli Stati membri dell’Unione europea seguono una procedura nota come “procedura di Dublino” per determinare quale Stato membro sia competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale. Tale procedura è attualmente disciplinata dal regolamento Dublino III (Regolamento (UE) n. 604/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide.
Ai sensi del regolamento, un unico Stato membro è competente per l’esame di una domanda d'asilo. Se un cittadino di un paese terzo chiede asilo in uno Stato membro diverso da quello che risulta competente ai sensi del regolamento, quest’ultimo prevede una procedura di trasferimento del richiedente asilo verso lo Stato membro competente, secondo i seguenti criteri: criteri relativi al principio dell'unità del nucleo familiare (se il richiedente asilo è un minore non accompagnato, è competente per l'esame della domanda di asilo lo Stato membro nel quale si trova legalmente un suo familiare); criteri relativi al rilascio di permessi di soggiorno o visti (lo Stato membro che ha rilasciato al richiedente asilo un permesso di soggiorno o un visto valido è competente per l’esame della domanda d'asilo); criteri relativi all'ingresso o al soggiorno illegali in uno Stato membro (se il richiedente asilo ha varcato illegalmente le frontiere di uno Stato membro, quest'ultimo è competente per l’esame della sua domanda di asilo; questa responsabilità cessa 12 mesi dopo la data di attraversamento clandestino della frontiera).
Per approfondire si veda EASO, Guida alla procedura di Dublino: norme operative e indicatori, 2020
Ai sensi del comma 1 del nuovo art. 6-ter il trattenimento è disposto qualora non possano applicarsi le misure alternative al trattenimento nei CPR previste in via generale dal TUIM (art. 14).
Si ricorda in proposito che il trattenimento nei CPR è disposto dal questore, e convalidato dal giudice di pace, quando non è possibile eseguire con immediatezza l'espulsione mediante accompagnamento alla frontiera o il respingimento, a causa di situazioni transitorie che ostacolano la preparazione del rimpatrio o l'effettuazione dell'allontanamento.
In alcuni casi particolari in alternativa al trattenimento il questore può disporre una o più delle seguenti misure:
- consegna del passaporto o altro documento equipollente in corso di validità, da restituire al momento della partenza;
- obbligo di dimora in un luogo preventivamente individuato, dove possa essere agevolmente rintracciato;
- obbligo di presentazione, in giorni ed orari stabiliti, presso un ufficio della forza pubblica territorialmente competente.
Il comma 2 del nuovo articolo 6-ter specifica che il notevole rischio di fuga sussiste quando il richiedente si sia sottratto a un primo tentativo di trasferimento, ovvero in presenza di almeno due delle seguenti circostanze:
· mancanza di un documento di viaggio;
· mancanza di un indirizzo affidabile;
· inadempimento dell'obbligo di presentarsi alle autorità competenti;
· mancanza di risorse finanziarie;
· ricorso sistematico a dichiarazioni o attestazioni false sulle proprie generalità anche al solo fine di evitare l'adozione o l'esecuzione di un provvedimento di espulsione.
Infine (comma 3 del nuovo art. 6-ter), si chiarisce che il trattenimento è effettuato per il tempo strettamente necessario per l'esecuzione del trasferimento e comunque non può superare un periodo complessivo di sei settimane che il giudice, su richiesta del questore e in presenza di gravi difficoltà relative all'esecuzione del trasferimento, può prorogare il trattenimento per ulteriori 30 giorni, fino a un termine massimo di ulteriori sei settimane Anche prima di tale termine, il questore esegue il trasferimento dandone comunicazione senza ritardo al giudice.
Si applica in quanto compatibile la procedura di convalida del trattenimento di cui all'articolo 6, comma 5, del D.Lgs. 142/2015 (vedi sopra).
L’articolo 7-ter interviene nella procedura di esame della domanda di protezione internazionale svolto dalle commissioni territoriali per il diritto di asilo prevedendo che la commissione, nel caso in cui ritenga che non sussistano i presupposti per il riconoscimento della protezione internazionale e non ricorrano neanche le condizioni per la trasmissione degli atti al questore ai fini del rilascio di un permesso di soggiorno per protezione speciale o per cure mediche, acquisisce dal questore elementi informativi circa la non sussistenza di una delle cause che impediscono il respingimento alla frontiera e l’espulsione.
Inoltre, modifica le ipotesi per cui all’esito dell’esame della domanda di asilo si applica l’obbligo per il richiedente di lasciare il territorio nazionale. Da un lato, si prevede l’obbligo di lasciare il territorio nazionale in due ulteriori ipotesi rispetto alla disciplina vigente: a) qualora la Commissione rigetta la domanda se, in una parte del territorio del Paese di origine, il richiedente non ha fondati motivi di temere di essere perseguitato o non corre rischi effettivi di subire danni gravi o ha accesso alla protezione contro persecuzioni o danni gravi, può legalmente e senza pericolo recarvisi ed esservi ammesso e si può ragionevolmente supporre che vi si ristabilisca; b) qualora dichiara l’inammissibilità della domanda reiterata nella fase di esecuzione di un provvedimento che ne comporterebbe l'imminente allontanamento dal territorio nazionale, ove non siano stati addotti nuovi elementi. Dall’altro, prevede che l’obbligo di lasciare il territorio nazionale non si applica, oltre a quanto previsto dalla norma vigente, anche nei seguenti casi: a) la domanda di protezione internazionale non è accolta ma nel corso del procedimento emergono i presupposti per il trasferimento degli atti al Tribunale dei minorenni per valutare l’autorizzazione al familiare di un minore di permanere nel territorio nazionale per gravi motivi connessi con lo sviluppo psicofisico e tenuto conto dell'età e delle condizioni di salute del minore che si trova nel territorio italiano; b) emersione, nel corso dell’istruttoria, di fondati motivi per ritenere che il richiedente è stato vittima dei delitti di riduzione o mantenimento in schiavitù o in servitù. Al di fuori di questi casi la decisione che sanziona l’obbligo di lasciare il territorio nazionale è accompagnata dall’attestazione dell’obbligo di rimpatrio. La medesima attestazione è prevista anche in caso di revoca o cessazione dello status di protezione internazionale.
Viene circoscritto, inoltre, il diritto di ricorso all’autorità giudiziaria ordinaria avverso la decisione della commissione territoriale esclusivamente nei confronti delle decisioni di rigetto e di manifesta infondatezza e non anche di inammissibilità.
Infine, si dispone la possibilità per il difensore di accedere, prima del deposito del ricorso, alla videoregistrazione del colloquio personale sostenuto dal richiedente presso la commissione territoriale competente ai fini della valutazione della domanda.
La lettera a) del comma 1 interviene nella procedura di esame della domanda di protezione internazionale svolto dalle commissioni territoriali per il diritto di asilo di cui all'articolo 27 del D.Lgs. 25/2008.
La procedura di esame della domanda di protezione internazionale da parte della competente commissione territoriale prevede le seguenti fasi:
§ acquisizione, anche d'ufficio, delle informazioni sulla situazione del Paese di origine e sulla specifica condizione del richiedente, che ritiene necessarie a integrazione del quadro probatorio prospettato dal richiedente;
§ svolgimento del colloquio con il richiedente entro 30 giorni dal ricevimento della domanda;
§ decisione entro i 3 giorni feriali;
§ per la esigenza di acquisire nuovi elementi, il termine della decisione è prorogato di 6 mesi;
§ il termine è prorogato di ulteriori 9 mesi (prorogabili di altri 9 mesi in casi eccezionali) quando:
- l'esame della domanda richiede la valutazione di questioni complesse;
- vi è un numero elevato di domande presentate simultaneamente;
- il ritardo è da attribuire all'inosservanza da parte del richiedente degli obblighi di cooperazione.
La disposizione in esame introduce una ulteriore fase: la commissione, nel caso in cui ritenga che non sussistano i presupposti per il riconoscimento della protezione internazionale e non ricorrano neanche le condizioni per la trasmissione degli atti al questore ai fini del rilascio di un permesso di soggiorno per protezione speciale o per cure mediche (si veda in proposito la scheda all’articolo 7, comma 1, del provvedimento in esame) acquisisce dal questore elementi informativi circa la non sussistenza di una delle cause che impediscono il respingimento alla frontiera e l’espulsione di cui all'articolo 19, commi 1-bis e 2, del TUIM.
Si ricorda in proposito che la legge vieta il respingimento alla frontiera di minori stranieri non accompagnati (art. 19, comma 1-bis) non consente, se non in presenza di motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato, l'espulsione di:
- minorenni, salvo il diritto a seguire il genitore o l'affidatario espulsi;
- stranieri in possesso della carta di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo;
- stranieri conviventi con parenti entro il secondo grado o con il coniuge, di nazionalità italiana;
- donne in stato di gravidanza o nei sei mesi successivi alla nascita del figlio;
- stranieri che versano in gravi condizioni psicofisiche o derivanti da gravi patologie (art. 19, comma 2, TUIM).
La lettera b) modifica le ipotesi per cui all’esito dell’esame della domanda di asilo si applica l’obbligo per il richiedente di lasciare il territorio nazionale. Attualmente (art. 32, comma 4, D.Lgs. 25/2008) l’obbligo scatta nei seguenti casi:
§ respingimento della domanda qualora non sussistano i presupposti per il riconoscimento della protezione internazionale o ricorra una delle cause di cessazione o esclusione dalla protezione internazionale (art. 32, comma 1, lett. b), D.Lgs. 25/2008);
§ respingimento della domanda per manifesta infondatezza (art. 32, comma 1, lett. b)-bis, D.Lgs. 25/2008);
§ ritiro della domanda da parte del richiedente (art. 23, D.Lgs. 25/2008);
§ inammissibilità della domanda perché al richiedente è stato riconosciuto lo status di rifugiato o lo status di protezione sussidiaria da uno Stato firmatario della Convenzione di Ginevra e lo stesso possa ancora avvalersi di tale protezione oppure perché il richiedente ha reiterato identica domanda dopo che sia stata presa una decisione da parte della Commissione senza addurre nuovi elementi (art. 29, D.Lgs. 25/2008).
La disposizione in esame prevede l’obbligo di lasciare il territorio nazionale anche qualora la Commissione:
§ rigetta la domanda se, in una parte del territorio del Paese di origine, il richiedente non ha fondati motivi di temere di essere perseguitato o non corre rischi effettivi di subire danni gravi o ha accesso alla protezione contro persecuzioni o danni gravi, può legalmente e senza pericolo recarvisi ed esservi ammesso e si può ragionevolmente supporre che vi si ristabilisca (art. 32, comma 1, lett. b)-ter, D.Lgs. 25/2008);
§ dichiara l’inammissibilità della domanda reiterata nella fase di esecuzione di un provvedimento che ne comporterebbe l'imminente allontanamento dal territorio nazionale, ove non siano stati addotti nuovi elementi (art. 29-bis, D.Lgs. 25/2008).
Nella formulazione vigente la norma prevede che l’obbligo di lasciare il territorio nazionale non si applica al richiedente al quale sia stato rilasciato un permesso di soggiorno ad altro titolo. La disposizione in esame prevede che l’obbligo non si applica, oltre a questo, anche nei seguenti casi:
§ la domanda di protezione internazionale non è accolta ma nel corso del procedimento emergono i presupposti per il trasferimento degli atti al Tribunale dei minorenni per valutare l’autorizzazione al familiare di un minore di permanere nel territorio nazionale per gravi motivi connessi con lo sviluppo psicofisico e tenuto conto dell'età e delle condizioni di salute del minore che si trova nel territorio italiano (art. 32, comma 3.2, D.Lgs. 25/2008);
§ emersione, nel corso dell’istruttoria, di fondati motivi per ritenere che il richiedente è stato vittima dei delitti di riduzione o mantenimento in schiavitù o in servitù (art. 600, cp) o di tratta di persone (art. 601 cp) (art. 32, comma 3-bis, D.Lgs. 25/2008).
Al di fuori di questi casi, specifica la disposizione in esame, la decisione che sanziona l’obbligo di lasciare il territorio nazionale è accompagnata dall’attestazione dell’obbligo di rimpatrio e del divieto di reingresso ai sensi dell’articolo 13 (espulsione coatta alla frontiera) e 14 (espulsione attraverso rimpatrio volontario) del TUIM.
Di fatto il provvedimento delle Commissioni territoriali che attesta l’obbligo di rimpatrio viene equiparato dal punto di vista degli effetti al provvedimento di espulsione.
Viene confermata la previsione che il provvedimento è impugnabile davanti l’autorità giudiziaria ordinaria secondo le forme di cui all’articolo 35, comma 1 (modificato dalla disposizione in esame, vedi oltre lett. d).
La lettera c) prevede che anche in caso di revoca o cessazione dello status di protezione internazionale la commissione territoriale per l’asilo è tenuta ad accertarsi circa la non sussistenza di una delle cause che impediscono il respingimento alla frontiera e l’espulsione e ad accompagnare la decisione con l’attestazione dell’obbligo di rimpatrio.
La lettera d) circoscrive il diritto di ricorso all’autorità giudiziaria ordinaria avverso la decisione della commissione territoriale esclusivamente nei confronti delle decisioni di rigetto di cui all’articolo 32 del D.Lgs. 25/2008 e non anche a quelle di inammissibilità (art. 29). Viene, inoltre, precisato anche che è ammesso ricorso al giudice ordinario avverso i provvedimenti della Commissione nazionale di cui all’articolo 33 (revoca e cessazione dello status di protezione internazionale).
Il citato articolo 32 del D.lgs. 25/2008 prevede che le commissioni territoriali possono prendere una delle seguenti decisioni a seguito dell’esame delle domande di protezione internazionale:
§ riconosce lo status di rifugiato o la protezione sussidiaria;
§ rigetta la domanda qualora non sussistano i presupposti per il riconoscimento della protezione internazionale;
§ rigetta la domanda per manifesta infondatezza nei casi di cui all'articolo 28-ter, ossia:
- il richiedente ha sollevato esclusivamente questioni che non hanno alcuna attinenza con i presupposti per il riconoscimento della protezione internazionale ai sensi del decreto legislativo 19 novembre 2007, n. 251;
- il richiedente proviene da un Paese designato di origine sicuro;
- il richiedente ha rilasciato dichiarazioni palesemente incoerenti e contraddittorie o palesemente false;
- il richiedente ha indotto in errore le autorità presentando informazioni o documenti falsi;
- il richiedente è entrato illegalmente nel territorio nazionale, o vi ha prolungato illegalmente il soggiorno;
- il richiedente ha rifiutato di adempiere all'obbligo del rilievo dattiloscopico;
- il richiedente è stato condannato per gravi reati, rappresenta un pericolo per l’ordine e la sicurezza pubblica, o esiste pericolo di fuga.
§ rigetta la domanda se, in una parte del territorio del Paese di origine, il richiedente non ha fondati motivi di temere di essere perseguitato o non corre rischi effettivi di subire danni gravi o ha accesso alla protezione contro persecuzioni o danni gravi, può legalmente e senza pericolo recarvisi ed esservi ammesso e si può ragionevolmente supporre che vi si ristabilisca.
Attualmente la disposizione vigente dispone che avverso la decisione della Commissione territoriale e la decisione della Commissione nazionale sulla revoca o sulla cessazione dello status di rifugiato o di persona cui è accordata la protezione sussidiaria è ammesso ricorso dinanzi all'autorità giudiziaria ordinaria (art. 35, comma 1, D.Lgs. 25/2008). Non viene specificato che tipo di decisione.
Si ricorda che, in numerose pronunce aventi ad oggetto ricorsi instaurati dinanzi ai tribunali contro provvedimenti di inammissibilità pronunciati dalla Commissione territoriale ex art. 29 del D.Lgs. 25/2008, la Corte di Cassazione ha più volte affermato che “oggetto del giudizio introdotto non è tanto il provvedimento negativo della Commissione territoriale quanto, piuttosto, l'accertamento del diritto soggettivo del richiedente alla protezione invocata” dal quale consegue l’obbligo per il tribunale adito di pronunciarsi nel merito (Cass. ord. n. 37275/2022, Cass. ord. n. 6374/2022, Cass. ord. n. 20492/2020).
Si ricorda che l’articolo 46 della direttiva 2013/33/CE (recepita dal D.Lgs. 142/2015 che ha modificato il D.Lgs. 25/2008) dispone che gli Stati membri dispongono che il richiedente abbia diritto a un ricorso effettivo dinanzi a un giudice avverso i seguenti casi:
§ la decisione sulla sua domanda di protezione internazionale, compresa la decisione:
- di ritenere la domanda infondata in relazione allo status di rifugiato o allo status di protezione sussidiaria;
- di considerare la domanda inammissibile;
- presa alla frontiera o nelle zone di transito di uno Stato membro;
- di non procedere a un esame;
§ il rifiuto di riaprire l’esame di una domanda in precedenza sospeso;
§ una decisione di revoca della protezione.
Si valuti l’opportunità, anche alla luce dell’articolo 46 della direttiva 2013/33/CE, di un approfondimento della disposizione; ciò in particolare con riferimento alla circostanza che, nel tipizzare le ipotesi di ricorso all’autorità giudiziaria avverso le decisioni delle commissioni territoriali, si faccia riferimento alle decisioni di rigetto di cui all’articolo 32 del D.Lgs. 25/2008 e non anche a quelle di inammissibilità (art. 29).
Inoltre, la disposizione vigente ammette il ricorso anche nel caso in cui l'interessato abbia richiesto il riconoscimento dello status di rifugiato e sia stato ammesso esclusivamente alla protezione sussidiaria.
La disposizione in esame estende la possibilità del ricorso anche qualora sia stata riconosciuta la protezione speciale e nel caso di rigetto della domanda con contestuale trasmissione degli atti al questore per il rilascio del permesso di soggiorno per cure mediche (art. 32, comma 3.1, D.Lgs. 25/2008).
La lettera e) dispone la possibilità per il difensore di accedere, prima del deposito del ricorso, alla videoregistrazione del colloquio personale sostenuto dal richiedente presso la commissione territoriale competente ai fini della valutazione della domanda (a tal fine viene modificato l’art. 35-bis, comma 8 del D.Lgs. 25/2008).
L’articolo 7-quater prevede che, ove è possibile, il richiedente asilo partecipi a distanza mediante collegamento audiovisivo sia all'udienza per la convalida dell’esecuzione del provvedimento del questore di espulsione con accompagnamento alla frontiera, sia all’udienza di convalida del provvedimento del questore che dispone il trattenimento dello straniero nel CPR, qualora non sia possibile eseguire con immediatezza l’espulsione.
La lettera a) interviene nella procedura di convalida dell’esecuzione del provvedimento del questore di espulsione con accompagnamento alla frontiera, disciplinato dall’articolo 13, comma 5-bis del D.Lgs. 286/1998, Testo unico immigrazione - TUIM. Si prevede che il destinatario del provvedimento partecipi all'udienza per la convalida, ove possibile, a distanza mediante collegamento audiovisivo, tra l'aula d'udienza e il centro di permanenza per i rimpatri nel quale lo straniero è trattenuto in attesa dell’esecuzione dell’espulsione.
Si tratta di una modalità di partecipazione già prevista per l’udienza di convalida del provvedimento di trattenimento del richiedente asilo ai sensi dell’articolo 6, comma 5, del D.Lgs. 142/2015. La disposizione da ultimo citata prevede anche il collegamento audiovisivo si svolga in conformità alle specifiche tecniche stabilite con decreto direttoriale d'intesa tra i Ministeri della giustizia e dell'interno e con modalità tali da assicurare la contestuale, effettiva e reciproca visibilità delle persone presenti in entrambi i luoghi e la possibilità di udire quanto vi viene detto. Il decreto direttoriale è stato adottato nel marzo 2022.
La disposizione in esame prevede che le medesime specifiche tecniche del decreto direttoriale sia applicano anche all’udienza per la convalida dell’espulsione con accompagnamento alla frontiera.
La lettera b) introduce una disposizione identica a quella vista sopra riguardo alla partecipazione dell’interessato all’udienza di convalida del provvedimento del questore che dispone il trattenimento dello straniero nel CPR, qualora non è possibile eseguire con immediatezza l’espulsione (art. 14, comma 4, TUIM).
L’articolo 7-quinquies, introdotto dal Senato, prevede una procedura decisoria semplificata dei ricorsi depositati entro il 31 dicembre 2021 ai sensi dell’articolo 35-bis del decreto legislativo n. 25 del 2008 relativo alle controversie in materia di riconoscimento della protezione internazionale.
Più nel dettaglio il comma 1 prevede che nei procedimenti pendenti alla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto in esame, nei quali il ricorso ai sensi dell’articolo 35-bis del decreto legislativo n. 25 del 2008 (che disciplina le controversie in materia di riconoscimento della protezione internazionale, si veda la scheda relativa all’art. 7-bis, comma 1) è stato depositato entro il 31 dicembre 2021, il difensore, munito di procura speciale (comma 2) può depositare istanza di esame:
· in via principale della domanda di protezione speciale;
· in via subordinata della domanda di protezione internazionale.
L’articolo fissa, poi, i requisiti dell'istanza di decisione semplificata prevedendo che tale istanza debba motivare e documentare la sussistenza (alla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto in esame) dei presupposti di accoglibilità della domanda di riconoscimento della protezione speciale. La mancata produzione di documenti a corredo dell'istanza ne determina l'inammissibilità (comma 4). L’inammissibilità è dichiarata dal giudice designato con ordinanza non impugnabile. L’istanza è inoltre immediatamente comunicata a cura della cancelleria alla Commissione territoriale, che ha adottato l’atto impugnato, e al PM i quali, entro 15 giorni dalla comunicazione, hanno la facoltà di depositare sintetiche controdeduzioni (comma 3).
La domanda di protezione speciale deve essere esaminata dal giudice in composizione monocratica. Quando ne ricorrono i presupposti il giudice accoglie l’istanza allo stato degli atti con decreto non reclamabile e dichiara l’estinzione delle domande proposte in via subordinata provvedendo sulle spese (comma 5). Quando la parte ricorrente è ammessa al patrocinio a spese dello Stato, il giudice deve procedere alla liquidazione in conformità all'articolo 82 del D.P.R. 30 maggio 2002, n.115 (comma 7).
L’articolo 82 del d.P.R. n. 115 del 2002 prevede che l'onorario e le spese spettanti al difensore sono liquidati dall'autorità giudiziaria con decreto di pagamento, osservando la tariffa professionale in modo che, in ogni caso, non risultino superiori ai valori medi delle tariffe professionali vigenti relative ad onorari, diritti ed indennità, tenuto conto della natura dell'impegno professionale, in relazione all'incidenza degli atti assunti rispetto alla posizione processuale della persona difesa. Nel caso in cui il difensore nominato dall'interessato sia iscritto in un elenco degli avvocati di un distretto di corte d'appello diverso da quello in cui ha sede il magistrato competente a conoscere del merito o il magistrato davanti al quale pende il processo, non sono dovute le spese e le indennità di trasferta previste dalla tariffa professionale.
È opportuno ricordare che a norma dell'art. 35-bis, comma 17, del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, nelle controversie in materia di riconoscimento della protezione internazionale, allorché il ricorrente è ammesso al patrocinio a spese dello Stato e l'impugnazione ha ad oggetto una decisione adottata dalla Commissione territoriale ai sensi degli articoli 29 e 32, comma 1, lettera b-bis), il giudice, quando rigetta integralmente il ricorso, indica nel decreto di pagamento adottato a norma dell'articolo 82 del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, le ragioni per cui non ritiene le pretese del ricorrente manifestamente infondate ai fini di cui all'articolo 74, comma 2, del predetto decreto. Deve ritenersi illegittima, dunque, la liquidazione del compenso in favore del procuratore del richiedente la protezione internazionale ammesso al patrocinio a spese dello stato, effettuata dal giudice nella decisione che rigetta la domanda, ove tale statuizione risulti fondata solo sull'ammissibilità del ricorso e non sulla non manifesta infondatezza dello stesso (si veda Cass. civ. Sez. VI - 2 Ord., n. 24928 del 2022)
Il comma 6 regola l'eventuale rimessione al collegio per la decisione.
Il comma 8 disciplina in regime di impugnabilità del provvedimento adottato dal giudice in composizione monocratica. Contro il decreto adottato ai sensi del comma 5 può essere proposto ricorso in cassazione e si applica l'articolo 35-bis, comma 13, quinto e sesto periodo.
I periodi del comma 13 dell’articolo 35-bis richiamati prevedono, rispettivamente, che il termine per proporre ricorso per cassazione è di giorni trenta e decorre dalla comunicazione del decreto a cura della cancelleria, da effettuarsi anche nei confronti della parte non costituita e che la procura alle liti per la proposizione del ricorso per cassazione deve essere conferita, a pena di inammissibilità del ricorso, in data successiva alla comunicazione del decreto impugnato; a tal fine il difensore certifica la data di rilascio in suo favore della procura medesima. Quest’ultima disposizione è stata interpretata dalle sezioni unite civili della Corte di cassazione, a composizione di un contrasto di giurisprudenza, nel senso che la mancata certificazione della data di rilascio della procura da parte del difensore è causa di inammissibilità del ricorso per cassazione (Cass.civ, SU, sentenza 2021, n. 15177 del 2021). Occorre peraltro rammentare che la Corte costituzionale, con sentenza 2 dicembre 2021 - 20 gennaio 2022, n. 13, ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 35-bis, comma 13, sesto periodo, sollevate in riferimento agli artt. 3, 10, 24, 111 e 117, primo comma, della Costituzione, quest'ultimo in relazione agli artt. 28 e 46, paragrafo 11, della direttiva 2013/32/UE, agli artt. 46, 18 e 19, paragrafo 2, della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (CDFUE), nonché agli artt. 6, 13 e 14 della CEDU.
Il comma 9 infine contiene la clausola di trattazione prioritaria di queste istanze con riserva di compatibilità del lavoro già organizzato dalla sezione specializzata.
Articolo 8
(Disposizioni penali)
L’articolo 8 reca disposizioni penali volte, da un alto, a inasprire le pene per i delitti concernenti l’immigrazione clandestina e, dall’altro, a prevedere la nuova fattispecie di reato di morte e lesioni come conseguenza di delitti in materia di immigrazione clandestina.
A tal fine, le nuove disposizioni intervengono sul testo unico sull’immigrazione nonché, a fini di coordinamento, su alcune disposizioni dell’ordinamento penitenziario e del codice di procedura penale.
Il comma 1, lett. a) interviene sulle cornici edittali delle fattispecie delittuose previste dai commi 1 e 3 dell’art. 12 del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e la condizione giuridica dello straniero (D. Lgs. 286/1998) innalzando di un anno i rispettivi limiti minimi e massimi di pena detentiva.
In particolare, il comma 1 dell’art. 12 punisce la condotta di chiunque, in violazione delle disposizioni del T.U. immigrazione, promuove, dirige, organizza, finanzia o effettua il trasporto di stranieri nel territorio dello Stato ovvero compie atti diretti a procurare l’ingresso illegale di stranieri nel territorio dello Stato ovvero di altro Stato di cui non siano cittadini o residenti permanenti. La novella in commento prevede per tale condotta la pena della reclusione da due a sei anni (il testo previgente prevedeva la pena della reclusione da uno a cinque anni; resta ferma, rispetto al testo previgente, l’ulteriore pena della multa di 15.000 euro per ogni persona).
Il comma 3 dell’art. 12 punisce la condotta di chiunque ponga in essere gli atti di cui al comma 1 quando:
- il fatto riguarda l’ingresso di cinque o più persone;
- la persona trasportata è stata esposta a pericolo per la vita o l’incolumità; la persona trasportata è stata sottoposta a trattamento inumano o degradante;
- il fatto è stato commesso da tre o più persone in concorso o utilizzando servizi di trasporto internazionali ovvero documenti contraffatti o alterati o illegalmente ottenuti;
- gli autori del fatto hanno disponibilità di armi o esplosivi.
La novella prevede per tale condotta la pena della reclusione da sei a sedici anni (il testo previgente prevedeva la pena della reclusione da cinque a quindici anni; resta ferma, rispetto al testo previgente, l’ulteriore pena della multa di 15.000 euro per ogni persona).
Il comma 1, lettera b) introduce nel testo unico sull’immigrazione l’articolo 12-bis, volto a prevedere la nuova fattispecie di reato di morte e lesioni come conseguenza di delitti in materia di immigrazione clandestina.
Si tratta di un reato comune, in quanto può essere commesso da chiunque ponga in essere - in violazione delle disposizioni del T.U. immigrazione - una delle condotte descritte dal comma 1 del nuovo articolo, ossia: promuovere, dirigere, organizzare, finanziare o effettuare il trasporto di stranieri nel territorio dello Stato ovvero compiere altri atti diretti a procurarne illegalmente l’ingresso nel territorio dello Stato, ovvero di altro Stato del quale la persona non è cittadina o non ha titolo di residenza permanente.
Nel corso dell’esame del Senato è stata approvata una modifica al testo del decreto legge tesa a specificare che -ai fini dell’integrazione della condotta del reato - il trasporto di stranieri può essere effettuato in qualunque modo.
Per integrare la fattispecie occorre inoltre che il trasporto o l’ingresso siano attuati con modalità tali da esporre le persone a pericolo per la loro vita o per la loro incolumità o sottoponendole a trattamento inumano o degradante.
Il comma 1 del nuovo articolo 12-bis individua la condotta del reato riproducendo il contenuto dei commi 1 e 3, lettere b) e c), dell’articolo 12 del Testo Unico.
Come è noto, l’articolo 12 comma 1 del Testo Unico disciplina il reato di favoreggiamento dell’ingresso illegale all’interno del territorio dello Stato. Il comma 3 del medesimo articolo prevede un’ipotesi aggravata della medesima fattispecie delittuosa. In particolare, il comma 1 punisce (per la cornice sanzionatoria v. sopra) chiunque, salvo che il fatto costituisca più grave reato, in violazione delle disposizioni del presente testo unico, promuove, dirige, organizza, finanzia o effettua il trasporto di stranieri nel territorio dello Stato ovvero compie altri atti diretti a procurarne illegalmente l’ingresso nel territorio dello Stato, ovvero di altro Stato del quale la persona non è cittadina o non ha titolo di residenza permanente.
Il reato di favoreggiamento dell’ingresso illegale è un reato di mera condotta, a forma libera e di pericolo e appartenente alla categoria dei reati a consumazione anticipata, nei quali il reato si perfeziona già in presenza di una attività diretta e idonea alla realizzazione dell’obiettivo, non essendo necessario al suo perfezionamento l’effettivo ingresso illegale
Il comma 3 dell’articolo 12 del Testo Unico punisce le medesime condotte previste dal comma 1, tuttavia poste in essere attraverso determinate modalità, ossia quando: il fatto riguarda l’ingresso o la permanenza nel territorio statale di cinque o più persone; per procurarne l’ingresso la persona trasportata è stata sottoposta a pericolo per la sua vita o per la sua incolumità; la persona trasportata è stata sottoposta a trattamento inumano o degradante; il fatto è commesso da tre o più persone in concorso tra loro o utilizzando servizi internazionali di trasporto ovvero documenti contraffatti o alterati o comunque illegalmente ottenuti; gli autori del fatto hanno nella loro diponibilità armi o materiali esplodenti
Al riguardo le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, hanno specificato, con sentenza n. 40982 del 21 giugno 2018, che: “Le fattispecie previste nell’art. 12, comma 3, D.Lgs. n. 286 del 1998 configurano circostanze aggravanti del reato di pericolo di cui al comma 1 del medesimo articolo”
L’elemento aggiuntivo che caratterizza la nuova fattispecie rispetto a tali condotte è la causazione non voluta di un evento in danno delle persone trasportate, o comunque oggetto dell’attività di immigrazione clandestina, prevedendosi le seguenti sanzioni:
- reclusione da 20 a 30 anni, se dal fatto deriva, quale conseguenza non voluta, la morte di più persone, oppure la morte di una o più persone e lesioni gravi o gravissime a una o più persone (comma 1, art. 12-bis);
- reclusione da 15 a 24 anni, se dal fatto deriva – sempre quale conseguenza non voluta – la morte di una singola persona (comma 2, art. 12-bis);
- reclusione da 10 a 20 anni, quando si verifichino lesioni gravi o gravissime a carico di una o di più persone (comma 2, art. 12-bis).
Per quanto riguarda la “conseguenza non voluta”, si ricorda la sentenza n. 22676 del 2009 dalle Sezioni unite penali della Corte di Cassazione, nella quale la Corte, in relazione al reato previsto dall’art. 586 c.p.. che, prevede anch’esso il riferimento alla “conseguenza non voluta”, ha affermato che, perché si possa rispondere per l’appunto di questa conseguenza non voluta, occorre “una responsabilità per colpa in concreto, ossia ancorata ad una violazione di regole cautelari di condotta e ad un coefficiente di prevedibilità ed evitabilità, in concreto e non in astratto, del rischio connesso alla carica di pericolosità per i beni della vita e dell’incolumità personale” fermo restando che, ai “fini della imputazione della conseguenza ulteriore non voluta di un reato-base doloso, la colpa non può essere presunta in forza della sola violazione della legge incriminatrice del reato doloso” essendo quindi necessario “che l’agente abbia violato una regola cautelare diversa dalla norma che incrimina il delitto base e che sia specificamente diretta a prevenire la morte o le lesioni personali” Occorre pertanto che sia accertata la sussistenza, da un lato, di un nesso di causalità fra il fatto-reato summenzionato “e l’evento morte o lesioni, non interrotto da fattori eccezionali sopravvenuti, e, da un altro lato, che l’evento non voluto sia comunque soggettivamente collegabile all’agente, ovvero sia a lui rimproverabile a titolo di colpa in concreto, valutata secondo i normali criteri di valutazione della colpa nei reati colposi” (Cass. pen., Sez. un., n. 22676/2009).
Il comma 3 dell’art. 12-bis disciplina le aggravanti per la nuova fattispecie di reato, prevedendo in particolare:
- l’aumento della pena fino ad un terzo quando ricorra una delle ipotesi previste dall’articolo 12, comma 3, lettere a) d) ed e) e dunque: se il fatto riguarda l'ingresso o la permanenza illegale nel territorio dello Stato di cinque o più persone; se il fatto è commesso da tre o più persone in concorso tra loro; se gli autori del fatto hanno la disponibilità di armi o materie esplodenti;
- l’aumento della pena da un terzo alla metà quando concorrono almeno due delle ipotesi predette, nonché nei casi previsti dall’articolo 12, comma 3-ter e dunque fatti commessi: allo scopo di reclutare persone da destinare alla prostituzione, allo sfruttamento sessuale o lavorativo, ovvero minorenni da impiegare in attività illecite; al fine di trarne un ingiusto profitto anche indiretto
Il comma 4 dell’art. 12 bis stabilisce che, per il nuovo delitto aggravato dalle circostanze di cui al comma 3, le attenuanti – salvo quelle della minore età (ex articolo 98 c.p.) e della minima partecipazione e della infermità o deficienza psichica (ex articolo 114 c.p.) - si computano solo dopo la determinazione della pena per il reato aggravato.
La disposizione introdotta riproduce quanto previsto dall’art. 12, comma 3-quater del T.U. immigrazione il quale dispone che le circostanze attenuanti, diverse da quelle previste dagli articoli 98 e 114 del codice penale, concorrenti con le aggravanti di cui ai commi 3-bis e 3-ter, non possono essere ritenute equivalenti o prevalenti rispetto a queste e le diminuzioni di pena si operano sulla quantità di pena risultante dall'aumento conseguente alle predette aggravanti. Nella tipizzazione di una circostanza aggravante "privilegiata" il legislatore enuncia il divieto di prevalenza e di equivalenza delle concorrenti circostanze attenuanti e dispone che "le diminuzioni di pena si operano sulla quantità della stessa risultante dall'aumento conseguente alla predetta aggravante". La formula normativa recepisce le indicazioni dettate dalla Corte costituzionale con le sentenze n. 38 del 1985 e n. 194 del 1985, che hanno escluso la illegittimità costituzionale di un'aggravante "privilegiata", ritenendo che anche rispetto ad essa le circostanze attenuanti possono operare, non in virtù del bilanciamento - vietato a favore delle attenuanti - ma in virtù del disposto dell'art. 63 c.p., comma 3, che, in caso di riconoscimento di circostanze ad effetto speciale, stabilisce che l'aumento o la diminuzione di pena conseguenti ad altre circostanze non operino sulla pena ordinaria del reato, ma sulla pena stabilita per la circostanza anzidetta.
Il comma 5 dell’art. 12-bis richiama l’applicazione di specifiche ulteriori disposizioni dell’art. 12 T.U., relative ai reati concernenti l’immigrazione clandestina ed in particolare di quelle relative: alla diminuzione di pena nei confronti dell'imputato che collabori con l'autorità di polizia o l'autorità giudiziaria (comma 3 quinquies); all’arresto in flagranza (comma 4); alla custodia cautelare in carcere (comma 4-bis) e alla confisca del mezzo di trasporto utilizzato per commettere il reato (comma 4-ter).
Si ricorda che il richiamato comma 3-quinquies dell’art. 12 T.U. immigrazione prevede che per i delitti previsti nel medesimo articolo, le pene sono diminuite fino alla metà nei confronti dell'imputato che si adopera per evitare che l'attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori, aiutando concretamente l'autorità di polizia o l'autorità giudiziaria nella raccolta di elementi di prova decisivi per la ricostruzione dei fatti, per l'individuazione o la cattura di uno o più autori di reati e per la sottrazione di risorse rilevanti alla consumazione dei delitti.
Il comma 4 dell’art. 12 prevede, per i medesimi delitti, l’obbligatorietà dell'arresto in flagranza.
Il comma 4-bis. dispone che quando sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine alle ipotesi di reato aggravate previste dal comma 3 dell’art. 12, è applicata la custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari.
Infine il comma 4-ter prevede che nei delitti concernenti l’immigrazione clandestina è sempre disposta la confisca del mezzo di trasporto utilizzato per commettere il reato, anche nel caso di applicazione della pena su richiesta delle parti.
Il comma 6 del nuovo art. 12-bis introduce infine una norma sulla giurisdizione volta specificare che - fermo quanto disposto dall’articolo 6 c.p in tema di territorialità - ai fini della sussistenza della giurisdizione italiana, non assume rilievo la circostanza che l’evento della nuova fattispecie delittuosa (morte o lesioni) si sia verificato al di fuori del territorio dello Stato italiano ove si tratti di condotte finalizzate a procurare l’ingresso illegale nel territorio italiano.
L'art. 6, primo comma, c.p., afferma il principio di territorialità, stabilendo che un soggetto venga punito in base alla legge penale italiana quando il reato sia stato commesso «nel territorio dello Stato». Ai sensi del secondo comma, il reato si considera commesso nel territorio dello Stato, quando l'azione o l'omissione, che lo costituisce, è ivi avvenuta in tutto o in parte, ovvero si è ivi verificato l'evento che è la conseguenza dell'azione od omissione.
Quando si tratta di azione che si è svolta soltanto in parte nel territorio dello Stato, assumono rilievo tutte le frazioni dell'azione che comunque assumono importanza per il verificarsi dell'evento, compresi «gli atti preparatori, non essendo richiesti gli stessi caratteri di idoneità e di univocità propri del tentativo» ( C., Sez. VI, 9.12.2009; C., Sez. VI, 19.1.1988; C., Sez. VI, 13.6.1986), o anche semplici frammenti dell'azione purché preordinati al raggiungimento dell'obiettivo criminoso (C., Sez. VI, 11.2.2009; C., Sez. VI, 17.12.2002; C., Sez. VI, 28.11.2002) o frammenti che, seppur privi dei requisiti di idoneità e di inequivocità richiesti per il tentativo, siano apprezzabili in modo tale da collegare la parte della condotta realizzata in Italia a quella realizzata in territorio estero (C., Sez. VI, 24.4.2012, n. 16115, in tema di mandato di arresto europeo). È sufficiente che «ivi si sia verificato anche solo un frammento dell'iter criminoso e costituiscono parte dell'azione tutti i movimenti che, attuando una modificazione del mondo esteriore, possono contribuire alla consumazione del reato» (C., Sez. IV, 9.12.1992).
In particolare, la giurisprudenza ha precisato che sussiste la giurisdizione dello Stato italiano nei confronti di coloro che, agendo al di fuori del territorio nazionale abbiano abbandonato in acque extraterritoriali dei migranti condotti su natanti del tutto inadeguati, onde provocare l'intervento del soccorso in mare e far sì che i trasportati siano accompagnati nel tratto di acque territoriali dalle navi dei soccorritori, operanti sotto la copertura della scriminante dello stato di necessità (Cass. Pen., Sez. I, 28.2.2014, n. 14510). Anche se il trasporto di migranti è stato accertato in acque extraterritoriali, sussiste la giurisdizione nazionale se l'ingresso e lo sbarco dei cittadini extracomunitari soccorsi sia avvenuto in acque interne (Cass. Pen., Sez. I, 2.3.2017, n. 36837). Nello stesso senso la giurisprudenza ha chiarito che "In tema di immigrazione clandestina, la giurisdizione nazionale è configurabile anche nel caso in cui il trasporto dei migranti, avvenuto in violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 12, a bordo di una imbarcazione (nella specie, un gommone con oltre cento persone a bordo) priva di bandiera e, quindi, non appartenente ad alcuno Stato, secondo la previsione dell'art. 110 della Convenzione di Montego Bay delle Nazioni Unite sul diritto del mare, sia stato accertato in acque extraterritoriali ma, successivamente, nelle acque interne e sul territorio nazionale si siano verificati quale evento del reato l'ingresso e lo sbarco dei cittadini extracomunitari per l'intervento dei soccorritori, quale esito previsto e voluto a causa delle condizioni del natante, dell'eccessivo carico e delle condizioni del mare" (Cass. Pen. Sez. 1, n. 18354 del 11/03/2014; Cass. Pen. Sez. 1, n. 11165 del 22/12/2015).
D’altra parte la giurisprudenza di legittimità ha considerato sussistente la giurisdizione dello Stato italiano per il delitto di omicidio doloso plurimo commesso in alto mare a bordo di imbarcazioni prive di bandiera in danno di migranti trasportati illegalmente in Italia, in forza del principio di universalità della legge penale italiana di cui all'art. 3, comma secondo cod. pen. e - in virtù del rinvio di cui all'art. 7, n. 5, cod. pen. - della diretta applicazione della Convenzione ONU di Palermo sul contrasto alla criminalità organizzata transnazionale, trattandosi di reato grave, con effetti sostanziali nel territorio italiano, commesso da un gruppo criminale organizzato nell'ambito di una complessa condotta posta in essere allo scopo di commettere i reati previsti dalla Convenzione e dei Protocolli Addizionali, tra i quali rientra il traffico di migranti verso l'Italia (Cass. Pen., Sez. I, n. 31652 del 2021).
Negli ultimi anni, in diverse occasioni casi la Corte di Cassazione ha analizzato l’art. 7, comma 1, n. 5, cod. pen. – secondo il quale è punito secondo la legge italiana il cittadino o lo straniero che commette in territorio estero» un reato per il quale «disposizioni di legge o convenzioni internazionali stabiliscono l’applicabilità della legge penale italiana» - in combinato disposto con l’art. 15 della Convenzione di Palermo per affermare o meno la giurisdizione italiana in relazione a condotte commesse oltre i limiti territoriali (ex multis, v. le sentenze della Corte di Cassazione penale Sez. V n. 48250 del 2019, Sez I n. 20503 del 2015, Sez. I n. 14510 del 2014, Sez. I n. 36052 del 2014).
Si ricorda infatti che la Convenzione Onu contro la Criminalità organizzata transnazionale (United nations convention against Transnational Organized Crime, UNTOC), nota pure come Convenzione di Palermo, entrata in vigore nel 2003 contiene uno specifico protocollo concernente «il traffico di migranti via terra, mare e aria». La Convenzione, ratificata dall’Italia nel 2006 (legge n. 146), riconosce la giurisdizione dello stato parte quando uno dei gravi reati da essa previsti (art. 5, par. 1) sia compiuto al di fuori del territorio di tale stato, ma «al fine di commettere un grave reato nel suo territorio» (art. 15, c. 2, lett. c).
L'art. 6 della Convenzione prevede espressamente l'obbligo di incriminazione penale degli atti intenzionali, commessi al fine di ottenere un vantaggio, di "traffico di migranti", come definito all'art. 3, nonché "quando l'atto è commesso al fine di permettere il traffico di migranti". Lo Stato italiano ha, quindi, assunto l'obbligo convenzionale di perseguire determinati reati e ne ha, poi, dato applicazione nel diritto interno, sia mediante la previsione di specifiche fattispecie delittuose o circostanze aggravanti (L. 16 marzo 2006, n. 146; D.Lgs. n. 25 luglio 1986, n. 286).
Si ricorda inoltre che l'art. 1, par. 3, del Protocollo addizionale della Convenzione, espressamente stabilisce che “i reati previsti conformemente all'art. 6 del presente Protocollo sono considerati come reati previsti ai sensi della Convenzione”, così, per un verso, integrando il catalogo dei reati contenuto negli artt. 5, 6, 8 e 23 della Convenzione di Palermo, e, per altro verso, specificamente indicando le condotte che lo Stato parte è tenuto a punire come reato transnazionale che vede coinvolto un gruppo criminale organizzato, se "è commesso in uno Stato ma ha effetti sostanziali in un altro Stato" (art. 3, par. 2, lett. d), Convenzione di Palermo).
Al riguardo, in particolare, con la sentenza Cass. Pen., Sez. I, n. 31652 del 2021 la Corte di Cassazione ha precisato che «il criterio di collegamento che rende incondizionatamente punibile la condotta commessa in "alto mare", quando sia anticipatamente individuata dagli scafisti la sperata località di approdo nel territorio italiano, ma essa sia poi occasionalmente individuata dal soccorso prestato in ambito SAR, va ravvisato nella previsione dell'art. 7 c.p., comma 1, n. 5»
Secondo la Corte «il concomitante operare, da un lato, delle disposizioni incriminatrici della legge speciale (D.Lgs. n. 286 del 1998) - che descrivono una specifica condotta che, qualora abbia natura transazionale e veda coinvolto un gruppo criminale organizzato, come definito dall'art. 1, lett. a), della Convenzione di Palermo, con riflessi sul territorio dello Stato - e del principio di universalità della legge penale italiana di cui all'art. 7 c.p., comma 1, n. 5, rendono incondizionatamente punibili secondo la legge italiana le suddette condotte commesse all'estero in quanto previste dalla Convenzione. Costituisce perciò valido criterio di collegamento per l'operare incondizionato della giurisdizione penale italiana (rectius: per l'applicazione universale della legge penale italiana) il traffico organizzato di migranti commesso fuori dal territorio nazionale, ma che fin dalla sua programmazione è destinato ad avere effetti sul territorio nazionale per mezzo dell'approdo sulle coste italiane, eventualmente conseguito tramite il salvataggio da parte delle autorità preposte».
I commi 2, 3 e 4 dell’articolo 8, recano talune disposizioni di coordinamento volte a rendere applicabili anche al nuovo reato di cui all’art. 12-bis T.U. immigrazione, oltre che a quello di cui all’art. 12, talune norme della legge sull’ordinamento penitenziario e del codice di procedura penale, relative:
· al divieto di concessione di taluni benefici penitenziari (cd. “reati ostativi”);
· all’attribuzione della competenza a esercitare le funzioni del pubblico ministero alla procura distrettuale;
· al maggior termine di durata massima delle indagini preliminari.
In assenza delle modifiche in commento le predette norme sarebbero risultate applicabili alle fattispecie di cui all’art. 12 del testo unico sull’immigrazione e non anche a quelle, di maggiore gravità, di cui al nuovo art. 12-bis.
In particolare, il comma 2 interviene sull’art. 4-bis, commi 1 e 1-bis, dell’ordinamento penitenziario (L. 354/1975), al fine di ricomprendere il reato di cui al nuovo articolo 12-bis del testo unico sull’immigrazione fra quelli cosiddetti “ostativi”, vale a dire fra quelli che non consentono la concessione di taluni benefici previsti dall’ordinamento penitenziario medesimo.
L’art. 4-bis OP – modificato, da ultimo, dal DL 162/2022, conv. con modificazioni dalla L. 199/2022, a seguito del monito della Corte costituzionale di cui all’ordinanza 97/2021 - prevede, al comma 1, che l’assegnazione al lavoro all’esterno, i permessi premio e le misure alternative alla detenzione di cui al capo VI del medesimo OP ad eccezione della liberazione anticipata (affidamento in prova al servizio sociale, detenzione domiciliare, semilibertà) non possano essere concessi ai detenuti o internati per una serie di delitti di criminalità organizzata di particolare gravità (ad esempio, delitti per finalità di terrorismo o commessi avvalendosi del vincolo associativo mafioso, traffico di stupefacenti, tratta, prostituzione minorile, pedopornografia, sequestro di persona a scopo di estorsione, delitti, per l’appunto, di cui al testo unico sull’immigrazione), salvo che i beneficiari collaborino con la giustizia. Ai sensi del comma 1-bis i benefici possono essere concessi anche in assenza di collaborazione qualora sia dimostrato l’adempimento delle obbligazioni civili e degli obblighi di riparazione conseguenti alla condanna o l’assoluta impossibilità della collaborazione e che sussistano elementi specifici che consentano di escludere l’attualità o il pericolo di ripristino di collegamenti con le organizzazioni criminali.
Il comma 3 interviene sull’art. 51, comma 3-bis, c.p.p.al fine di attribuire la competenza ad esercitare le funzioni del pubblico ministero nelle indagini preliminari e nei procedimenti di primo grado relativi al nuovo reato di cui all’art. 12-bis del testo unico sull’immigrazione alla procura distrettuale, vale a dire alla procura presso il tribunale del capoluogo del distretto di corte d’appello.
L’art. 51 c.p.p., comma 3-bis, prevede la citata attribuzione delle funzioni del pubblico ministero alla procura distrettuale per una serie di delitti di criminalità organizzata di particolare gravità (ad esempio, delitti per finalità di terrorismo o commessi avvalendosi del vincolo associativo mafioso, traffico di stupefacenti, tratta, prostituzione minorile, pedopornografia, sequestro di persona a scopo di estorsione, delitti, per l’appunto, di cui al testo unico sull’immigrazione).
Il comma 3, infine, interviene sull’art. 407, comma 2, lett. a), numero 7-bis c.p.p. al fine di ricomprendere il nuovo reato di cui all’art. 12-bis del testo unico sull’immigrazione fra quelli per cui è previsto il termine di durata massima delle indagini preliminari di due anni (anziché diciotto mesi, come previsto in via generale per i delitti dal comma 1 del medesimo art. 407).
L’art. 407, comma 2, c.p.p. prevede che per una serie di delitti di particolare gravità o per i quali siano necessarie investigazioni particolarmente complesse il termine di durata massima delle indagini preliminare sia di due anni (in deroga al termine di diciotto mesi stabilito in via generale per i delitti dal comma 1 del medesimo art. 407).
Articolo 9
(Disposizioni in materia di espulsione e ricorsi sul riconoscimento della protezione internazionale)
L’articolo 9 introduce alcune modifiche in materia di espulsione e ricorsi e di decisioni sul riconoscimento della protezione internazionale. In particolare, il comma 1 prevede che il termine di sessanta giorni per i ricorsi avverso le decisioni sulle domande di protezione internazionale si applichi ove il ricorrente si trovi all’estero e non, come finora previsto, ove abbia la residenza all’estero. Il comma 2 elimina la necessità della convalida del giudice di pace per l’esecuzione con accompagnamento alla frontiera del decreto di espulsione disposta da un’altra autorità giudiziaria. Il comma 3 sopprime il meccanismo di intimazione a lasciare il territorio nazionale entro il termine di quindici giorni, previsto in occasione della notificazione allo straniero del rifiuto del permesso di soggiorno.
Il comma 1 interviene, con una novella all’articolo 35-bis, comma 2, primo periodo, del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25 (c.d. decreto procedure), sulla disciplina delle controversie in materia di riconoscimento della protezione internazionale, modificando la norma finora vigente in tema di presentazione del ricorso laddove il richiedente “risieda all’estero” per circoscriverla alla diversa ipotesi in cui il richiedente “si trovi in un paese terzo al momento della proposizione del ricorso”. Resta confermato che in tal caso, come riformulato, il ricorso debba essere presentato, a pena di inammissibilità, entro sessanta giorni dalla notificazione del provvedimento (in luogo del termine ordinario di trenta giorni).
In proposito è utile ricordare che contro il provvedimento della Commissione territoriale (o della Commissione nazionale per il diritto di asilo) che, all’esito del procedimento amministrativo, ha totalmente respinto la domanda di protezione internazionale o ha riconosciuto allo straniero un tipo di protezione minore rispetto a quanto richiesto, il richiedente protezione può proporre ricorso all’autorità giudiziaria (art. 35, D.Lgs. n. 25/2008). Tali controversie sono disciplinate dall’art. 35-bis, che in primo luogo definisce i termini per la proposizione del ricorso, che di norma sono pari a trenta giorni dalla notificazione del provvedimento che ha deciso sulla domanda di protezione internazionale.
Il ricorso va proposto, a pena di inammissibilità, entro trenta giorni dalla notificazione del provvedimento (60 giorni, se il richiedente asilo risiede all’estero). Il termine per proporre il ricorso è invece sessanta giorni, se il richiedente asilo risiede all’estero e di quindici giorni nei casi dell’art. 28-bis co. 2 (ad es. domanda reiterata o manifestamente inammissibile) e quando nei confronti del ricorrente è stato adottato un provvedimento di trattenimento ex art. 6 D.Lgs. n. 142/2015.
Secondo quanto evidenziato nella relazione illustrativa del provvedimento, la modifica intende ricondurre la previsione ad un dato fattuale e non “anagrafico” che è molto spesso di difficile verifica.
Il comma 2 elimina la necessità della convalida del giudice di pace per l’esecuzione dei decreti di espulsione giudiziaria mediante accompagnamento alla frontiera.
A tale fine, modifica l’articolo 13, comma 5-bis, del T.U. immigrazione che, nella formulazione finora vigente, prevede l’obbligo della convalida da parte del giudice di pace in tutti i casi di espulsione eseguita dal questore con accompagnamento coattivo alla frontiera, i quali sono tassativamente elencati al comma 4 dell’articolo 13 del medesimo Testo unico.
Si ricorda a tale proposito che i provvedimenti di espulsione (sia di natura amministrativa che giudiziaria, su cui si v. infra, box), sono eseguiti dal questore attraverso due modalità: con accompagnamento alla frontiera per mezzo della forza pubblica (espulsione forzata) o con intimazione a lasciare volontariamente il territorio nazionale (foglio di via)[33].
Per quanto rileva in questa sede, l’espulsione con accompagnamento alla frontiera dalla forza pubblica è disposta qualora ricorrono una serie di ipotesi tassativamente indicate dalla legge (art. 13, comma 4, T.U. immigrazione), ossia:
a) in caso di espulsione ministeriale (art. 13 co. 1 TUI e D.L. n. 144/2005) e di espulsione per pericolosità sociale (art. 13, comma 2, lett. c) TUI);
b) quando sussiste il rischio di fuga (art. 13, co. 4-bis, TUI);
c) in caso di rigetto della domanda di permesso di soggiorno perché manifestamente infondata o fraudolenta;
d) qualora, senza un giustificato motivo, lo straniero non abbia osservato il termine concesso per la partenza volontaria (art. 13, co. 5, TUI);
e) quando lo straniero abbia violato una delle misure poste per la partenza volontaria, oppure una delle misure poste in luogo del trattenimento (art. 14 co.1-bis, TUI);
f) nelle ipotesi di espulsioni disposte dall’autorità giudiziaria (artt. 15 e 16 TUI) e qualora l’espulsione sia sanzione penale o conseguenza di una sanzione penale;
g) in caso di mancata richiesta del termine per la partenza volontaria (art. 13, co. 5.1, TUI).
In tutti i casi previsti, ai sensi del comma 5-bis del citato articolo 13, la convalida dell’accompagnamento alla frontiera segue una procedura in base alla quale il questore comunica immediatamente ed, in ogni caso, entro quarantotto ore dalla sua adozione, al giudice di pace territorialmente competente il provvedimento da lui adottato con il quale è disposto l'accompagnamento alla frontiera. L'esecuzione del provvedimento del questore di allontanamento dal territorio nazionale resta sospesa fino alla decisione sulla convalida.
L’udienza di convalida si svolge in camera di consiglio con la partecipazione necessaria del difensore; lo straniero è tempestivamente informato e condotto in udienza.
Il giudice decide sulla richiesta di convalida del questore entro le 48 ore successive alla comunicazione del provvedimento da convalidare in cancelleria, con decreto motivato, ricorribile per cassazione ma senza efficacia sospensiva.
Il decreto di convalida rende esecutivo il provvedimento di allontanamento alla frontiera, mentre il diniego di convalida fa cessare gli effetti del solo provvedimento di accompagnamento e non anche del provvedimento di espulsione.
Nelle more della decisione del giudice di pace sulla convalida dell’accompagnamento il Questore può disporre il trattenimento dello straniero in un centro di permanenza per il rimpatrio (il che comporta una successiva e distinta convalida giurisdizionale da parte del giudice di pace).
Il giudice di pace deve verificare la sussistenza nel caso concreto dei presupposti formali e sostanziali dell’accompagnamento alla frontiera:
1) l’esistenza di un legittimo provvedimento amministrativo di espulsione,
2) la situazione in cui si trova lo straniero espulso non rientra in nessuna delle ipotesi in cui la legge vieta l’espulsione o il respingimento,
3) la situazione in cui si trova lo straniero espulso rientra in una delle ipotesi in cui l’espulsione deve essere eseguita con accompagnamento alla frontiera da parte della forza pubblica,
4) il rispetto dei termini di 48 ore previsti per la comunicazione del provvedimento da parte del questore.
Il comma in esame, con una puntuale modifica all’articolo 13, comma 5-bis, del TUI, elimina l’obbligo di sottoporre a convalida l’esecuzione del decreto di espulsione disposta dal giudice a titolo di misura di sicurezza ovvero a titolo di sanzione sostitutiva o alternativa alla detenzione, ai sensi degli articoli 15 e 16 del Testo unico e le altre ipotesi di cui alla lettera f) dell’art, 13, co. 4, TU immigrazione. La relazione sul punto precisa che la disposizione in esame intende semplificare e velocizzare l’attuale procedura senza incidere sulle garanzie di tutela giurisdizionale in quanto la convalida viene eliminata per l’esecuzione dei decreti di espulsione disposta da un’altra autorità giudiziaria, in forza degli articoli 15 e 16 dello stesso Testo unico.
In merito, nel tenere conto che il provvedimento di espulsione sottratto dalla norma alla convalida del giudice di pace fa seguito a una decisione giurisdizionale, può risultare comunque utile richiamare la giurisprudenza costituzionale in base alla quale l’accompagnamento coattivo alla frontiera investe la libertà personale e dunque è una misura che deve essere assistita dalle garanzie previste dall’articolo 13 (in particolare con riferimento alla necessità che le misure limitative della libertà personale siano decise da un giudice) e dall’articolo 24, secondo comma (diritto di difesa) della Costituzione.
Tale assunto è stato affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 105 del 2001, con la quale la Corte chiariva, seppur in un diverso quadro normativo (che riguardava un caso di espulsione amministrativa disposto dal prefetto e non prevedeva alcuna convalida), che era necessario un controllo giurisdizionale sull’accompagnamento coattivo ad opera dell’autorità amministrativa, poiché l’autorità giudiziaria avrebbe dovuto portare il suo esame sui motivi che avevano indotto l'amministrazione procedente a disporre quella peculiare modalità esecutiva dell'espulsione amministrativa consistente nell’accompagnamento alla frontiera a mezzo di forza pubblica[34].
I medesimi principî della tutela giurisdizionale, per cui non può essere eliminato l’effettivo controllo sul provvedimento de libertate, né può essere privato l’interessato di ogni garanzia difensiva, sono stati ribaditi nella sentenza n. 222 del 2004[35], con la quale la Corte ha precisato che il giudice chiamato a convalidare quei provvedimenti disposti dall’autorità di pubblica sicurezza (che, nel quadro normativo allora vigente, potevano far seguito anche a una sentenza penale di condanna) deve comunque svolgere un controllo approfondito in concreto circa la sussistenza dei presupposti di fatto e di diritto e che la convalida giurisdizionale deve avvenire prima dell’esecuzione del provvedimento di accompagnamento alla frontiera, con la garanzia del contraddittorio.
Più di recente, la Corte ha riconosciuto la necessità che il legislatore “intervenga sul regime giuridico del respingimento differito con accompagnamento alla frontiera, considerando che tale modalità esecutiva restringe la libertà personale (sentenze n. 222 del 2004 e n. 105 del 2001) e richiede di conseguenza di essere disciplinata in conformità all’art. 13, terzo comma, Cost.” (sentenza n. 275 del 2017). Al monito hanno fatto seguito le correzioni all’art 10 TU immigrazione apportate con il D.L. 113 del 2018 che prevede l'estensione al provvedimento di respingimento dell'applicazione delle disposizioni circa la convalida da parte del giudice di pace e la ricorribilità innanzi all'autorità giudiziaria, già vigenti per il provvedimento di espulsione.
Il Testo unico sull’immigrazione contempla diversi tipi di espulsione del cittadino straniero riconducibili sostanzialmente a due categorie giuridiche:
a) l’espulsione quale sanzione amministrativa, comminata, appunto, dall’autorità amministrativa (ministro o prefetto) in caso di violazione delle regole relative all’ingresso e al soggiorno o per motivi di ordine pubblico o di sicurezza;
b) l’espulsione applicata dal giudice nell’ambito di un procedimento penale (l’espulsione a titolo di misura di sicurezza e l’espulsione a titolo di sanzione sostitutiva o alternativa a sanzione penale).
Esse rispondono a due distinte finalità: la prima punisce coloro che trasgrediscono le procedure fissate per l’ingresso e il soggiorno degli stranieri e costituiscono dunque una sanzione necessaria ai fini del loro rispetto. La seconda riguarda dunque i casi di comportamento delinquenziale dello straniero a prescindere dalla regolarità della sua posizione amministrativa.
L’art. 13 del Testo unico disciplina l’espulsione amministrativa prevedendo due tipologie distinte di provvedimento: l’espulsione disposta dal Ministro dell’interno per motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato (comma 1); l’espulsione disposta dal Prefetto (comma 2) nei seguenti casi:
- quando lo straniero è entrato nel territorio dello Stato sottraendosi ai controlli di frontiera (immigrato clandestino);
- quando lo straniero si è trattenuto nel territorio dello Stato senza aver chiesto il permesso di soggiorno nel termine prescritto, oppure quando il permesso di soggiorno è stato revocato o annullato o scaduto da più di sessanta giorni e non è stato chiesto il rinnovo (immigrato irregolare);
- quando lo straniero sia un delinquente abituale o sia indiziato di appartenere ad associazioni criminali di tipo mafioso.
L’espulsione amministrativa (sia di iniziativa del Ministro dell’interno, sia quella prefettizia) è disposta con decreto motivato ed è eseguita dal questore (co. 3). L’espulsione viene di norma eseguita con accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica (co. 4).
Qualora lo straniero sia sottoposto a procedimento penale, l’esecuzione del provvedimento di espulsione è eseguita previo nulla osta dell’autorità giudiziaria che può essere negato in presenza di inderogabili esigenze processuali.
Per quanto riguarda l’espulsione giudiziaria, l’articolo 16 del Testo unico contempla l’ipotesi dell’espulsione dello straniero:
- come sanzione sostitutiva della detenzione: il giudice, nel pronunciare condanna o sentenza di patteggiamento, per un reato non colposo nei confronti dello straniero, privo del titolo di permanenza in Italia, oppure quando la condanna riguarda il reato previsto dell’art 10-bis del TU (immigrazione clandestina) qualora non ricorrano le condizioni per applicare la sospensione condizionale della pena, può sostituire la pena detentiva, entro il limite di due anni, con la misura dell’espulsione per un periodo non inferiore a cinque anni[36];
- come sanzione alternativa alla detenzione: è disposta nei confronti del detenuto straniero, identificato, che deve scontare una pena detentiva, anche residua, non superiore a due anni. La misura si applica anche quando ricorrono le condizioni previste dall’art. 13 comma 2, del TU concernente l'espulsione amministrativa: ovvero se lo straniero, entrato nel territorio dello Stato sottraendosi ai controlli di frontiera e vi si è trattenuto senza chiedere il permesso di soggiorno, ed è considerato socialmente pericoloso. In questo caso, l’espulsione è disposta dal magistrato di sorveglianza che decide con decreto motivato dopo avere acquisito dagli organi di polizia informazioni sull’identità e la nazionalità dello straniero. Il decreto è comunicato all’interessato che, entro il termine di dieci giorni, può proporre opposizione davanti al tribunale di sorveglianza. Il tribunale decide entro il termine di venti giorni. L’esecuzione del decreto di espulsione rimane sospesa fino alla decorrenza dei termini di impugnazione e della decisione del tribunale di sorveglianza.
Inoltre, l’articolo 15 del Testo unico dispone che, al di fuori dei casi previsti dal codice penale, il giudice penale può ordinare l’espulsione dello straniero che sia condannato per taluno dei delitti previsti dagli artt. 380, 381, cod. proc. pen. (si tratta dei delitti per i quali è obbligatorio o facoltativo l’arresto in flagranza), sempre che risulti socialmente pericoloso (espulsione facoltativa).
Il comma 3 abroga l’articolo 12, comma 2, del regolamento di attuazione del TU immigrazione (adottato con D.P.R. n. 394/1999), ai sensi del quale, nel caso in cui le autorità rifiutino la domanda di permesso di soggiorno, il questore, in occasione della notificazione del rifiuto, concede allo straniero un termine non superiore a quindici giorni lavorativi, per presentarsi al posto di polizia di frontiera indicato e lasciare volontariamente il territorio dello Stato.
La relazione illustrativa motiva la soppressione del meccanismo di intimazione a lasciare il territorio nazionale con il contrasto con le norme europee e, segnatamente, con l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 2008/115/CE, in materia di rimpatri, in quanto, come indicato da ultimo nella raccomandazione 1 e 2 della decisione di esecuzione del Consiglio del 17 giugno 2022, “l’Italia è tenuta ad assicurare che sia emessa senza inutili ritardi una decisione di rimpatrio nei confronti di qualunque cittadino di paese terzo la cui domanda di soggiorno regolare o di protezione internazionale sia stata rigettata” nonché a “garantire che le decisioni di rimpatrio e i provvedimenti di allontanamento impongano un chiaro obbligo di rimpatrio in un paese terzo”
Sotto questo profilo, si ritiene, come evidenziato nella relazione, che l’invito previsto dalla disposizione ora abrogata allunghi “irragionevolmente i tempi dell’avvio del procedimento di rimpatrio che potrà prevedere, comunque, ai sensi dell’articolo 13 del TUI, la partenza volontaria o coattiva”.
L'articolo 6, paragrafo 1, della c.d. direttiva rimpatri stabilisce che ciascuno Stato membro adotti una decisione di rimpatrio nei confronti di qualunque cittadino di un paese terzo il cui soggiorno nel proprio territorio sia irregolare, situazione che si verifica quando la presenza nel territorio di uno Stato membro di un cittadino di un paese terzo che non soddisfi o non soddisfi più le condizioni di ingresso di cui all'articolo 5 del codice frontiere di Schengen o altre condizioni d'ingresso, di soggiorno di residenza in tale Stato membro.
I paragrafi da 2 a 5 dell'articolo 6 individuano i casi in cui gli Stati possono derogare all’adozione di una decisione di rimpatrio. Ciò avviene in primo luogo quando il cittadino di un paese terzo irregolarmente presente sul territorio dello Stato membro interessato sia in possesso di un permesso di soggiorno o altra autorizzazione che gli conferisca il diritto di soggiorno rilasciata da un altro Stato membro. In secondo luogo, secondo il paragrafo 3, agli Stati è data facoltà di astenersi dall'emissione della decisione di rimpatrio qualora un altro Stato membro, in base ad accordi o intese bilaterali vigenti al momento dell'entrata in vigore della direttiva, riprenda il cittadino di un Paese terzo interessato. In tal caso sarà quest'ultimo Stato, in base al rinvio al paragrafo 1 della medesima disposizione, a dover eventualmente adottare una decisione di rimpatrio.
Gli Stati membri possono comunque decidere in qualsiasi momento di rilasciare un permesso di soggiorno, o altra autorizzazione che conferisca il diritto a soggiornare, per motivi caritatevoli, umanitari o di altra natura a un cittadino di paese terzo irregolarmente presente sul loro territorio. In tal caso lo Stato non emette la decisione di rimpatrio, ovvero, nel caso questa sia già stata adottata, la revoca o la sospende per il periodo di validità del titolo di soggiorno concesso.
Infine, lo Stato deve valutare l'opportunità di astenersi dal disporre il rimpatrio nel caso in cui l'interessato si trovi nelle more della definizione della procedura per il rinnovo del permesso di soggiorno, o altra autorizzazione che conferisce un diritto al soggiorno, attendendo il completamento della suddetta procedura.
Articolo 9-bis
(Disposizioni in materia di delitti commessi nei centri di accoglienza per richiedenti protezione internazionale)
L’articolo in esame, introdotto dal Senato, prevede l'applicazione dell'istituto dell'arresto in flagranza differita anche con riguardo ai reati commessi durante la permanenza in un centro governativo di prima accoglienza o in una struttura temporanea di accoglienza, nonché in una struttura afferente al sistema di accoglienza e integrazione.
La disposizione propone una modifica all’articolo 14, comma 7-bis, del testo unico in materia di immigrazione (decreto legislativo n. 286 del 1998), il quale già prevede l’applicazione dell’arresto in flagranza differita per i reati commessi con violenza alle persone o alle cose nei centri di permanenza per i rimpatri (previsti dal medesimo articolo 14 del testo unico) o nei c.d. hotspot, definiti quali “punti di crisi” dall’art. 10-ter del testo unico.
Con la novella in esame si propone di inserire, nel comma 7-bis in parola, il riferimento:
§ ai centri di accoglienza di cui agli articoli 9 e 11 del decreto legislativo n. 142 del 2015, rispettivamente i centri governativi di prima accoglienza e le strutture temporanee di accoglienza;
§ alle strutture afferenti al sistema di accoglienza e integrazione di cui all’articolo 1-sexies del decreto-legge n. 416 del 1989 (convertito dalla legge n. 39 del 1990).
Si segnala che le disposizioni qui richiamate sono oggetto di modifica da parte dell’articolo 5-ter, introdotto dal Senato, del presente decreto-legge. Si rinvia alla relativa scheda.
I richiedenti protezione internazionale possono accedere ai centri governativi di prima accoglienza, che hanno la funzione di consentire l'identificazione dello straniero (ove non sia stato possibile completare le operazioni negli hotspot), la verbalizzazione e l'avvio della procedura di esame della domanda di asilo, l'accertamento delle condizioni di salute e la sussistenza di eventuali situazioni di vulnerabilità che comportino speciali misure di assistenza. Tali funzioni sono assicurate dai centri governativi disciplinati dall’ articolo 9 del decreto legislativo n. 142 del 2015, come modificato dal decreto-legge n. 130 del 2020 (convertito dalla legge n. 173 del 2020). L'invio del richiedente in queste strutture è disposto dal prefetto, sentito il Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno. Nel caso di esaurimento dei posti all'interno delle strutture di prima accoglienza, a causa di arrivi consistenti e ravvicinati di richiedenti cui l'ordinario sistema di accoglienza non sia in grado di far fronte, i richiedenti possono essere ospitati in strutture temporanee di emergenza (articolo 11 del medesimo decreto legislativo n. 142 del 2015). Tali strutture (denominate centri di accoglienza straordinaria - CAS) sono individuate dalle prefetture - uffici territoriali del Governo, previo parere dell'ente locale nel cui territorio è situata la struttura (secondo le procedure di affidamento dei contratti pubblici) e la permanenza in tali strutture è stabilita per un tempo limitato, in attesa del trasferimento nelle strutture di prima accoglienza.
Il comma 7-bis dell’articolo 14, oggetto di modifica, stabilisce che, in caso di reati commessi con violenza alle persone o alle cose, compiuti in uno dei centri sopra menzionati, per i quali è obbligatorio o facoltativo l’arresto ai sensi dell’articolo 380 c.p.p. e dell'articolo 381 c.p.p., quando non è possibile procedere immediatamente all’arresto per ragioni di sicurezza o incolumità pubblica, si considera comunque in stato di flagranza ai sensi dell’art. 382 c.p.p. colui il quale, anche sulla base di documentazione video?fotografica, risulta l'autore del fatto. In questi casi è quindi consentito l'arresto entro le quarantotto ore dal fatto.
L’arresto è un provvedimento di iniziativa della polizia giudiziaria volto alla temporanea privazione della libertà di chi sia sorpreso nell’atto di commettere un reato flagranza di reato o di chi subito dopo il reato sia inseguito dalla polizia giudiziaria dalla persona offesa o da altre persone e di chi sia sorpreso con cose o tracce dalle quali risulti che abbia commesso il reato immediatamente prima quasi flagranza articolo. La definizione dello stato di flagranza, contenuta nell'articolo 382 c.p.p. ricomprende situazioni diverse, ma tutte ricollegabili in ragione di un rigoroso rapporto spazio-temporale alla ritenuta riferibilità del fatto alla condotta del soggetto. Può tuttavia verificarsi che per ragioni di sicurezza o di incolumità pubblica non sia possibile procedere immediatamente all’arresto e si considera in stato di flagranza colui il quale ne appaia autore sulla base della documentazione video fotografica dalla quale emerga e inequivocabilmente il fatto sempre che il resto sia compiuto non oltre il tempo necessario alla identificazione del soggetto e comunque entro le quarantott’ore dal fatto. Questo è il caso del c.d. arresto differito.
L'istituto dell'arresto differito è stato introdotto per la prima volta nell'ordinamento ad opera del decreto-legge n. 336 del 2001, e soppresso, però in sede di conversione (legge n. 377 del 2001). Tale scelta era stata dettata dall'esigenza di non estendere per legge il significato di una nozione, quale quella di flagranza, che per sua natura deve essere collegata al momento di commissione del fatto di reato. Il perpetuarsi di gravi episodi di violenza durante lo svolgimento di partite dei diversi campionati di calcio ha però successivamente indotto il Governo a intervenire con un nuovo provvedimento d'urgenza, il decreto?legge 24 febbraio 2003, n. 28, convertito dalla legge 24 aprile 2003, n. 88, con il quale sono state previste, attraverso modifiche alla legge n. 401 del 1989 (vedi infra), una serie di misure finalizzate a migliorare gli strumenti di prevenzione e repressione della violenza negli stadi. Fra questi strumenti si inserisce proprio il cd. arresto differito dei tifosi violenti, individuato come il mezzo normativamente più idoneo per contrastare un fenomeno in continua espansione; tale istituto è stato però reso transitorio in sede di conversione del decreto?legge e la sua applicabilità (come quella di misure coercitive al di fuori dei limiti edittali) inizialmente limitata al 30 giugno 2005.
Dopo successive e reiterate proroghe di tale termine di applicazione ad opera del decreto legge 30 giugno 2005, n. 115 (conv. legge n. 168 del 2005), del decreto legge 8 febbraio del 2007 n. 8 (conv. legge n. 41 del 2007), del decreto legge 14 agosto 2013, n. 93 (conv. legge n. 119 del 2013) e del decreto legge 20 febbraio 2017, n. 14 (conv. legge n. 48 del 2017) con il decreto legge, 14 giugno 2019 n. 53 (conv. legge n. 77 del 2019) l'istituto dell'arresto differito, in occasione di manifestazioni sportive, da misura temporanea è diventata (essendo stato abrogato nel testo il richiamo al termine di efficacia) una previsione ordinaria.
Inoltre, il successivo comma 7-ter dell’articolo 14 stabilisce che per i delitti indicati nel comma 7-bis si procede sempre con giudizio direttissimo, salvo che siano necessarie speciali indagini.
Il giudizio direttissimo è un particolare rito che si caratterizza per una forte compressione della fase preliminare, con semplificazione della fase predibattimentale. La disciplina del giudizio direttissimo ha la propria fonte all’articolo 449 del codice di procedura penale.
Articolo 9-ter
(Revoca della protezione internazionale per rientro nel Paese di origine)
L’articolo 9-ter modifica le condizioni in base alle quali il rientro nel Paese di origine è condizione di cessazione dello status di rifugiato (ai sensi dell’articolo 9 del decreto legislativo n. 251 del 2007) ovvero del godimento della protezione sussidiaria (ai sensi dell’articolo 15 del decreto legislativo n. 251 del 2007). Per entrambe le ipotesi si specifica che è rilevante anche il rientro di breve durata e che, nel caso in cui il rientro nel Paese di origine sia giustificato da gravi e comprovati motivi, questo avvenga comunque per il periodo strettamente necessario.
Si ricorda infatti che l’articolo 9, comma 1, lettera d) del decreto legislativo n. 251 del 2007 stabilisce che uno straniero cessa di essere rifugiato quando si sia volontariamente ristabilito nel Paese che ha lasciato o in cui non ha fatto ritorno per timore di essere perseguitato. Il successivo comma 2-ter prevede che ai fini della cessazione dello status sia rilevante ogni rientro nel Paese di origine, ove non giustificato da gravi e comprovati motivi.
Per la protezione sussidiaria il successivo articolo 15, prevede, al comma 1, che la cessazione dello status di protezione sussidiaria è dichiarata su base individuale quando le circostanze che hanno indotto al riconoscimento sono venute meno o sono mutate in misura tale che la protezione non è più necessaria. In proposito, il successivo comma 2, precisa che è necessario che le mutate circostanze abbiano natura così significativa e non temporanea, che la persona interessata non sia più esposta al rischio effettivo di danno grave e non devono sussistere gravi motivi umanitari che impediscono il ritorno nel Paese di origine. Il comma 2-ter prevede infine, con formulazione identica a quanto previsto per lo status di rifugiato, che comma 2-ter prevede che ai fini della cessazione della protezione sussidiaria sia rilevante ogni rientro nel Paese di origine, ove non giustificato da gravi e comprovati motivi.
Si segnala che sia il comma 2-ter dell’articolo 9 sia il comma 2-ter dell’articolo 15 del decreto legislativo n. 251 del 2007 sono stati originariamente introdotti dall’articolo 8, commi 1 e 2, del decreto-legge n. 113 del 2018 in entrambi i casi con la previsione che ai fini della cessazione dello status sia rilevante ogni rientro nel Paese di origine. In sede di conversione di tale decreto-legge ad entrambi i commi è stato aggiunto il riferimento ai gravi e comprovati motivi che possono giustificare il rientro nel Paese di origine.
La disposizione in commento sostituisce sia il comma 2-ter dell’articolo 9 sia il comma 2-ter dell’articolo 15 del decreto legislativo n. 251 del 2007 con la specificazione che, sia ai fini della revoca dello status di rifugiato sia ai fini della revoca della protezione sussidiaria, sia rilevante anche il rientro di breve durata e che, nel caso in cui il rientro nel Paese di origine sia giustificato da gravi e comprovati motivi, questo avvenga comunque per il periodo strettamente necessario.
Nel sottostante testo a fronte è ricostruita l’evoluzione della disposizione (in ogni colonna sono in grassetto le differenze rispetto al testo precedente). Per approfondimenti sullo status generale di rifugiato e sulla protezione sussidiaria si rinvia alla premessa.
Articolo 10
(Disposizioni sui centri di permanenza per i rimpatri)
L’articolo 10 introduce la facoltà, per la realizzazione dei centri di permanenza per i rimpatri (CPR), di derogare, fino al 2025, alle disposizioni di legge ad eccezione di quelle penali, antimafia e dell’Unione europea.
A tal fine viene modificato l’articolo 19 del decreto-legge 13/2017, inserendo un nuovo comma 3-bis che semplifica le procedure per la realizzazione dei centri di permanenza per i rimpatri attraverso la possibilità di derogare ad ogni disposizione di legge ad eccezione della legge penale e del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione e nel rispetto dei vincoli derivanti dall’appartenenza all’Unione europea.
L’efficacia della deroga è limitata fino al 31 dicembre 2025.
Con le medesime finalità del provvedimento in esame, ossia assicurare la tempestiva esecuzione dei lavori per la costruzione, il completamento, l'adeguamento e la ristrutturazione dei CPR, l’articolo 2 del D.L. 113/2018 aveva autorizzato per tre anni (fino al 5 ottobre 2021), per lavori di importo inferiore alla soglia di rilevanza comunitaria, il ricorso alla procedura negoziata senza previa pubblicazione del bando di gara di cui all'articolo 63 del codice degli appalti. Si prevedeva, in ogni caso, che, nel rispetto dei principi di trasparenza, concorrenza e rotazione, l'invito contenente l'indicazione dei criteri di aggiudicazione fosse rivolto ad almeno cinque operatori economici.
La formulazione della deroga disposta dall’articolo in esame richiama una disposizione analoga recata dall'art. 1, comma 5, del D.L. 109/2018, in relazione ai poteri attribuiti al Commissario per la ricostruzione del viadotto Polcevera, noto come "ponte Morandi", di Genova. Già in precedenza il D.L. 129/2012 aveva previsto (art. 1) una disposizione simile riguardo ai poteri del Commissario per il risanamento ambientale e la riqualificazione del territorio della città di Taranto, che peraltro escludeva dalla deroga anche le norme in materia ambientale (D.lgs. 152/2006) e quelle del codice dei beni culturali e del paesaggio (D.Lgs. 42/2004).
Successivamente, altri provvedimenti di urgenza hanno fatto ricorso a meccanismo simili. Da ultimo, la legge di bilancio 2023 (legge 197/2022) in tre diversi contesti normativi: ai commi 475 (commissario straordinario per la realizzazione del collegamento intermodale Roma-Latina), 509 (commissario straordinario per il ripristino dell'impianto funiviario di Savona) e 591 (commissario straordinario per la realizzazione del Parco della salute, della ricerca e dell'innovazione di Torino). Due delle citate disposizioni (commi 475 e 591), specificano che il commissario straordinario opera in deroga alle disposizioni di legge in materia di contratti pubblici (D.Lgs. 50/2016).
Si ricorda anche l’articolo 75 del D.L. 18/2020 che ha autorizzato le pubbliche amministrazioni, fino al 31 dicembre 2020, ad acquistare beni e servizi informatici e servizi di connettività, mediante procedura negoziata senza previa pubblicazione di un bando di gara ed in deroga ad ogni disposizione di legge che disciplina i procedimenti di approvvigionamento, affidamento e acquisto di beni, forniture, lavori e opere, fatto salvo il rispetto delle disposizioni del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione. In questo caso, tuttavia, il legislatore ha posto diversi vincoli alle amministrazioni, tra questi la possibilità di procedere agli acquisti solo in presenza di esigenze di sicurezza pubblica, l’obbligo di trasmettere al Dipartimento per la trasformazione digitale e al Dipartimento della funzione pubblica della Presidenza del Consiglio dei ministri gli atti con i quali sono indette le procedure negoziate, l’acquisizione di una autocertificazione dell'operatore economico aggiudicatario attestante il possesso dei requisiti generali, finanziari e tecnici, la regolarità del DURC e l'assenza di motivi di esclusione secondo segnalazioni rilevabili dal Casellario Informatico dell'Autorità nazionale anticorruzione.
Come si legge nella relazione illustrativa, la disposizione in esame è motivata dall’esigenza di celerità connesse all’eccezionale afflusso di migranti che caratterizza l’attuale congiuntura.
Inoltre, la relazione illustrativa chiarisce che la deroga riguarda le disposizioni del codice dei contratti pubblici.
Si ricorda che il Codice dei contratti pubblici (ora decreto legislativo 31 marzo 2023, n. 36) disciplina i contratti di appalto e di concessione delle amministrazioni aggiudicatrici e degli enti aggiudicatori aventi ad oggetto l'acquisizione di servizi, forniture, lavori e opere, nonché i concorsi pubblici di progettazione. Si tratta di una disciplina che, per i contratti di importo superiore alle soglie indicate dalle direttive europee in materia (per esempio, per gli appalti di lavori l’importo della soglia previsto dalla direttiva 2014/24/UE è pari a 5,382 milioni di euro), recepisce le disposizioni recate dalle medesime direttive.
L’articolo in esame dispone, inoltre, che per le procedure relative all’ampliamento della rete nazionale dei CPR l’Autorità nazionale anticorruzione (ANAC) assicuri, qualora richiesto, l’attività di vigilanza collaborativa. Anche questa disposizione era già prevista dall’articolo 2 del D.L. 113/2018 sopra richiamato.
L’ANAC è un’autorità amministrativa indipendente la cui missione istituzionale consiste nella prevenzione della corruzione in tutti gli ambiti dell’attività amministrativa.
All’Autorità sono attribuiti, tra gli altri, compiti di vigilanza e controllo sui contratti pubblici e l'attività di regolazione degli stessi. Tali compiti in precedenza erano svolti dall’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, poi soppressa e le cui funzioni sono state trasferite all’ANAC dal D.L. 90/2014, art. 19.
In particolare, all’ANAC è attribuito il compito, per affidamenti di particolare interesse, di svolgere una attività di vigilanza collaborativa attuata previa stipula di protocolli di intesa con le stazioni appaltanti richiedenti, finalizzata a supportare le medesime nella predisposizione degli atti e nell'attività di gestione dell'intera procedura di gara (art. 213, comma 3, lett. h). La disciplina puntuale dell’esercizio dell'attività di vigilanza collaborativa in materia di contratti pubblici è stata regolamentata con la delibera ANAC del 30 marzo 2022, n. 160/2022.
Le misure contenute nel codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, che rilevano sono, in particolare, quelle riguardanti i rapporti con le amministrazioni pubbliche. Il codice prevede un sistema di documentazione antimafia volto a impedire l’accesso a finanziamenti pubblici e la stipulazione di contratti con le pubbliche amministrazioni da parte di imprese e soggetti privati su cui grava il sospetto di infiltrazione da parte della criminalità organizzata. Il sistema è incentrato intorno all'art. 67, il quale dispone che l'applicazione, con provvedimento definitivo, di una delle misure di prevenzione previste dal Libro I, titolo II, capo II del codice (ovvero sorveglianza speciale di pubblica sicurezza, divieto di soggiorno in uno o più comuni diversi da quelli di residenza o di dimora abituale, obbligo di soggiorno nel comune di residenza o di dimora abituale) comporta la decadenza di diritto da licenze, autorizzazioni, concessioni, iscrizioni, attestazioni, abilitazioni ed erogazioni rilasciate da soggetti pubblici, nonché il divieto di concludere contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, di cottimo fiduciario e relativi subappalti e subcontratti, compresi i cottimi di qualsiasi tipo, i noli a caldo e le forniture con posa in opera. La conoscenza di tali situazioni si esplica attraverso la documentazione antimafia di cui all'art. 84 del codice, la quale comprende: la comunicazione antimafia, che consiste nell'attestazione della sussistenza o meno di una delle cause di decadenza, di sospensione o di divieto di cui all'articolo 67; l'informazione antimafia, che, oltre ad attestare la sussistenza o meno di una delle cause di decadenza, di sospensione o di divieto di cui all'articolo 67 come la comunicazione, è volta altresì ad attestare la sussistenza o meno di eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi di società o imprese. L'informazione viene richiesta prima di stipulare, approvare o autorizzare i contratti e subcontratti, ovvero prima di rilasciare o consentire i provvedimenti indicati nell'articolo 67, il cui valore sia: pari o superiore a quello determinato dalla legge in attuazione delle direttive comunitarie in materia di opere e lavori pubblici, servizi pubblici e pubbliche forniture; superiore a 150.000 euro per le concessioni di acque pubbliche o di beni demaniali per lo svolgimento di attività imprenditoriali, ovvero per la concessione di contributi, finanziamenti e agevolazioni su mutuo o altre erogazioni dello stesso tipo per lo svolgimento di attività imprenditoriali; superiore a 150.000 euro per l'autorizzazione di subcontratti, cessioni, cottimi, concernenti la realizzazione di opere o lavori pubblici o la prestazione di servizi o forniture pubbliche.
Le pubbliche amministrazioni e gli enti pubblici, gli enti e le aziende vigilati dallo Stato o da altro ente pubblico e le società o imprese comunque controllate dallo Stato o da altro ente pubblico, nonché i concessionari di lavori o di servizi pubblici hanno l'obbligo, a norma dell'art. 83 del codice, di acquisire tale documentazione attraverso la consultazione della banca dati nazionale o, in taluni casi, tramite richiesta alla prefettura territorialmente competente prima di stipulare, approvare o autorizzare i contratti e subcontratti relativi a lavori, servizi e forniture pubblici, ovvero prima di rilasciare o consentire i provvedimenti indicati nell'articolo 67.
Nei casi di urgenza ed esclusi i casi in cui è richiesta l'informazione antimafia, i contratti e subcontratti relativi a lavori, servizi o forniture ed i provvedimenti di rinnovo conseguenti a provvedimenti già disposti, sono stipulati, autorizzati o adottati previa acquisizione di apposita autodichiarazione con la quale l'interessato attesti che nei propri confronti non sussistono le cause di divieto, di decadenza o di sospensione di cui all'articolo 67 (art. 89 del codice).
I centri di permanenza per i rimpatri (CPR) sono luoghi di trattenimento del cittadino straniero in attesa di esecuzione del provvedimento di espulsione (art. 14, D.Lgs. 286/1998).
Quando non è possibile eseguire con immediatezza l'espulsione mediante accompagnamento alla frontiera o il respingimento, a causa di situazioni transitorie che ostacolano la preparazione del rimpatrio o l'effettuazione dell'allontanamento, il questore dispone che lo straniero sia trattenuto per il tempo strettamente necessario presso il centro di permanenza per i rimpatri più vicino, tra quelli individuati o costituiti con decreto del Ministro dell'interno, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze. Il provvedimento del questore è convalidato entro 48 ore dal giudice di pace.
In tali strutture lo straniero deve essere trattenuto con modalità tali da assicurare la necessaria assistenza ed il pieno rispetto della sua dignità. Il trattenimento è disposto con provvedimento del questore per un periodo di 30 giorni, prorogabile fino al massimo di 90 giorni complessivi. In casi particolari, che riguardano i cittadini stranieri provenienti da Paese con i quali l’Italia ha sottoscritto accordi per il rimpatrio, il periodo di trattenimento può essere prolungato di altri 30 giorni (elevati a 45 da parte dell’articolo 10-bis, introdotto al Senato, del provvedimento in esame).
Il decreto-legge n. 130 del 2020 recante misure urgenti in materia di immigrazione e di protezione internazionale ha introdotto diverse disposizioni sul trattenimento del cittadino straniero nei centri di permanenza per i rimpatri (articolo 3), tra queste si ricordano:
• la riduzione dei termini massimi di trattenimento da 180 (così fissati dal D.L. 113/2018) a 90 giorni, prorogabili di ulteriori 30 giorni qualora lo straniero sia cittadino di un Paese con cui l'Italia ha sottoscritto accordi in materia di rimpatri;
• la previsione che il trattenimento deve essere disposto con priorità nei confronti degli stranieri che siano considerati una minaccia per l'ordine e la sicurezza pubblica; siano stati condannati, anche con sentenza non definitiva, per gravi reati; siano cittadini o provengano da Paesi terzi con i quali risultino vigenti accordi in materia di cooperazione o altre intese in materia di rimpatri;
• l'estensione dei casi di trattenimento del richiedente protezione internazionale limitatamente alla verifica della disponibilità di posti nei centri;
• l'introduzione della possibilità, per lo straniero in condizioni di trattenimento di rivolgere istanze o reclami al Garante nazionale ed ai garanti regionali e locali dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale e, per il Garante nazionale, di formulare specifiche raccomandazioni all'amministrazione interessata.
Inoltre, si prevede l'applicazione dell'istituto dell'arresto in flagranza differita ai reati commessi in occasione o a causa del trattenimento in uno dei centri di permanenza per il rimpatrio o delle strutture di primo soccorso e accoglienza (articolo 6).
Il D.L. 13/2017, oltre a mutare la denominazione dei centri di identificazione ed espulsione in centri di permanenza per i rimpatri, ha disposto l'ampliamento della rete dei centri, in modo da assicurare la distribuzione delle strutture sull'intero territorio nazionale. A tal fine ha autorizzato la spesa 13 milioni di euro per le spese di realizzazione dei nuovi centri, mentre per le spese di gestione dei medesimi centri ha autorizzata la spesa di euro 3.843.000 nel 2017, di euro 12.404.350 nel 2018 e di euro 18.220.090 a decorrere dal 2019. Al Ministro dell'interno, d'intesa con il Ministro dell'economia e delle finanze, spetta il compito di adottare le iniziative per garantire l'ampliamento della rete dei centri la cui dislocazione avviene, sentito il presidente della regione o della provincia autonoma interessata, privilegiando i siti e le aree esterne ai centri urbani che risultino più facilmente raggiungibili e nei quali siano presenti strutture di proprietà pubblica, tenendo conto della necessità di realizzare strutture di capienza limitata idonee a garantire condizioni di trattenimento che assicurino l'assoluto rispetto della dignità della persona.
Sempre con la finalità di assicurare la tempestiva esecuzione dei lavori per la costruzione, il completamento, l'adeguamento e la ristrutturazione dei CPR, il decreto-legge n. 113 del 2018 (art. 2) ha consentito il ricorso alla procedura negoziata senza previa pubblicazione del bando di gara ai sensi dell’articolo 63 del codice dei contratti pubblici (decreto legislativo n. 50 del 2016). Il ricorso a tale procedura era autorizzato per un periodo non superiore a 3 anni dalla data di entrata in vigore del decreto-legge (ossia non oltre il 5 ottobre 2021) e per lavori di importo inferiore alla soglia di rilevanza comunitaria. Si prevedeva, inoltre, che nel rispetto dei principi di trasparenza, concorrenza e rotazione, l’invito contenente l’indicazione dei criteri di aggiudicazione dovesse essere rivolto ad almeno 5 operatori economici, se fossero presenti in tale numero soggetti idonei.
Successivamente, la legge di bilancio 2023, ha incrementato le risorse iscritte nello stato di previsione del Ministero dell’interno destinate all’ampliamento della rete dei CPR di complessivi 42.045.939 di euro per gli anni 2023-2025. Le risorse sono destinate da un lato alla costruzione e alla ristrutturazione dei centri di trattenimento e di accoglienza (che comprendono anche i CPR) e dall’altro alla gestione dei medesimi centri (L. 197/2022, art. 1, commi 678-679).
Al 18 ottobre 2022 risultano attivi 10 centri di permanenza per il rimpatrio per una capienza complessiva di 1.378 posti (relazione illustrativa del disegno di legge di bilancio 2023, A.C. 643). Essi sono dislocati a:
Bari;
Brindisi;
Caltanissetta;
Gradisca d’Isonzo (GO);
Macomer (NU);
Milano
Palazzo San Gervasio (PZ);
Roma;
Torino;
Trapani.
L’articolo 10-bis, introdotto dal Senato, aumenta da 30 a 45 giorni il termine massimo della proroga del trattenimento nei centri di permanenza per i rimpatri (CPR) applicabile allo straniero cittadino di un Paese con cui l'Italia abbia sottoscritto accordi in materia di rimpatri.
Secondo la normativa vigente, nei CPR lo straniero è trattenuto con provvedimento del questore per un periodo di 30 giorni, prorogabile fino al massimo di 90 giorni complessivi.
Il periodo di trattenimento può essere prolungato di altri 30 giorni qualora lo straniero sia cittadino di un Paese con cui l'Italia abbia sottoscritto accordi in materia di rimpatri. Qualora lo straniero sia cittadino di un Paese con cui l'Italia abbia sottoscritto accordi in materia di rimpatri e sia già stato trattenuto presso le strutture carcerarie per un periodo pari a 90 giorni, può essere trattenuto una prima volta presso il centro per un periodo massimo di 30 giorni, prorogabile per altri 30 giorni (art. 14, comma 5, D.Lgs. 286/1998).
La disposizione in commento amplia da 30 a 45 giorni il termine massimo della ulteriore proroga prevista nelle due fattispecie sopra descritte.
Per la normativa in materia di CPR si veda la scheda relativa all’articolo 10 del provvedimento in esame.
Articolo 11
(Clausola di invarianza finanziaria)
L’articolo 11 reca la clausola di invarianza finanziaria, in quanto prevede che il provvedimento non determini muovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica e che le Amministrazioni interessate provvedano all'attuazione delle attività previste con l'utilizzo delle risorse umane, strumentali e finanziarie già disponibili a legislazione vigente.
Articolo 12
(Entrata in vigore)
L'articolo 12 dispone che il presente decreto-legge 10 marzo 2023, n. 20, entri in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione in Gazzetta Ufficiale.
Il decreto-legge è dunque vigente dall’11 marzo 2023.
Si ricorda che, ai sensi dell'articolo 1 del disegno di legge di conversione del presente decreto, quest'ultima legge (insieme con le modifiche apportate al decreto in sede di conversione) entra in vigore il giorno successivo a quello della propria pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.
[1] Le lettere a) e b) del presente articolo 2, comma 1, novellano, rispettivamente, gli articoli 22 e 24 del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni. La successiva lettera c) inserisce nel medesimo testo unico l'articolo 24-bis.
[2] Tale disciplina transitoria è posta dall’articolo 44 del D.L. 21 giugno 2022, n. 73, convertito, con modificazioni, dalla L. 4 agosto 2022, n. 122, e successive modificazioni.
[3] Si ricorda che, ai sensi del comma 1 dell’articolo 22 del citato testo unico di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, e successive modificazioni, in ogni provincia è istituito presso la prefettura-ufficio territoriale del Governo uno sportello unico per l'immigrazione, responsabile dell'intero procedimento relativo all'assunzione come lavoratori subordinati (a tempo determinato o indeterminato) di cittadini di Stati non appartenenti all'Unione europea (o di apolidi).
[4] Riguardo ai presupposti, cfr. anche infra.
Si ricorda altresì che il datore di lavoro deve previamente verificare, presso il centro per l'impiego competente, che non sia disponibile un lavoratore presente sul territorio nazionale (cfr. il comma 2 del citato articolo 22 e il comma 1 del citato articolo 24 del testo unico di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, e successive modificazioni).
[5] Riguardo a tali controlli a campione, cfr. la nota dell'Ispettorato nazionale del lavoro del 21 marzo 2023, prot. n. 2066.
[6] Riguardo al visto di ingresso, cfr. infra.
[7] Si ricorda che, ai sensi degli articoli 5 e 5-bis del citato testo unico di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, e successive modificazioni, il rilascio del permesso di soggiorno è subordinato alla previa stipulazione, tra il datore di lavoro e lo straniero, del contratto di soggiorno per lavoro subordinato, contenente: la garanzia, da parte del datore, della disponibilità di un alloggio per il lavoratore che rientri nei parametri minimi previsti dalla normativa sugli alloggi di edilizia residenziale pubblica; l'impegno al pagamento, da parte del datore, delle spese di viaggio per il rientro del lavoratore nel Paese di provenienza.
[8] La relazione illustrativa è reperibile nell'A.S. n. 591.
[9] Riguardo ai riferimenti di tale disciplina transitoria, cfr. supra, in nota.
[10] Riguardo ad essi, cfr. la citata nota dell'Ispettorato nazionale del lavoro del 21 marzo 2023, prot. n. 2066.
[11] Riguardo a tali controlli a campione, cfr. supra, pure in nota.
[12] "Regolamento recante norme di attuazione del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, a norma dell'articolo 1, comma 6, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286".
L’applicabilità della norma in oggetto è ricordata anche dalla citata nota dell'Ispettorato nazionale del lavoro del 21 marzo 2023, prot. n. 2066.
[13] Le novelle di cui al presente comma 1 concernono l'articolo 23 del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni.
[14] Il presente comma 2 reca una novella all'articolo 6, comma 1, del citato testo unico di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, e successive modificazioni.
[15] Riguardo a tale riferimento, cfr. supra, in nota.
[16] La disciplina attuativa di tali criteri è posta dall'articolo 34 del regolamento di cui al D.P.R. 31 agosto 1999, n. 394, e successive modificazioni ("Regolamento recante norme di attuazione del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, a norma dell'articolo 1, comma 6, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286"), nonché dal D.M. 29 gennaio 2013.
[17] Si ricorda che, nel contesto del citato testo unico di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, il termine straniero comprende anche gli apolidi (articolo 1, comma 1, del suddetto testo unico).
[18] Cfr. il comma 1 del citato articolo 23 del testo unico di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, comma oggetto della novella parziale di cui alla precedente lettera a) e che è richiamato dalla presente novella di cui alla lettera c).
[19] In conformità al principio posto dalla novella di cui all'articolo 2, comma 1, lettera a), numero 4), del presente decreto, principio che si inserisce nel nuovo contesto della procedura, come modificato dalle novelle di cui alla lettera a), numero 3), e di cui alle lettere b) e c) dello stesso articolo 2, comma 1. Si rinvia alla scheda di lettura del suddetto articolo 2.
[20] Riguardo a tali controlli a campione, cfr. la nota dell'Ispettorato nazionale del lavoro del 21 marzo 2023, prot. n. 2066.
[21] Cfr. supra, in nota, per gli specifici riferimenti all'interno dell'articolo 2.
[22] Riguardo a tale Registro, cfr. l’articolo 42, comma 2, del citato testo unico di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998 e l’articolo 52 del citato regolamento di cui al D.P.R. n. 394 del 1999, e successive modificazioni.
[23] Riguardo al riferimento normativo, cfr. supra, in nota.
[24] Si ricorda che anche il permesso di soggiorno per motivi di studio o formazione consente l'esercizio di attività lavorative subordinate, entro un limite massimo di 20 ore per ciascuna settimana (articolo 14, comma 4, del citato regolamento di cui al D.P.R. n. 394 del 1999, e successive modificazioni).
[25] Il carattere non vincolante del parere non impone necessariamente alla questura un supplemento di istruttoria, potendo quest’ultima decidere discrezionalmente - se ne ricorrono i presupposti - di svolgere ulteriori approfondimenti e successive valutazioni, oppure recepire, condividendole, le indicazioni dell'organo consultivo (Ministero del Lavoro – DG Immigrazione). Il supplemento istruttorio, diventa però obbligatorio, secondo quanto statuito dal Consiglio di Stato, nella sentenza n. 2525 del 25 marzo 2021, quando emergono ulteriori elementi idonei a porre in discussione il parere del Ministero. Pertanto, se il giudizio negativo del Ministero è derivato dall'insufficienza di elementi dai quali desumere la sufficiente integrazione civile e sociale del cittadino straniero, è preciso onere dell'interessato partecipare al procedimento allegando ulteriori elementi in modo da porre la Questura nella condizione di poter superare la criticità derivante dal parere negativo e pervenire ad una valutazione favorevole dell’istanza di conversione del titolo di soggiorno.
[26] A differenza delle altre autonomie territoriali speciali, la Regione siciliana non provvede in via autonoma al finanziamento del Servizio sanitario nazionale, ma accede al riparto delle relative risorse nazionali insieme con le regioni a statuto ordinario.
[27] Da esercitare “entro i limiti dei principi ed interessi generali cui si informa la legislazione dello Stato”.
[28] Secondo il comma 1 di tale disposizione, il sistema regionale di emergenza-urgenza è articolato in un sistema territoriale di emergenza (postazioni di soccorso territoriale, punti territoriali di emergenza, servizi di continuità assistenziali) e in un sistema ospedaliero (pronto soccorso ospedaliero, dipartimento di emergenza-urgenza).
[29] Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero.
[30] D.l. recante “Disposizioni urgenti per promuovere lo sviluppo del Paese mediante un più alto livello di tutela della salute”, convertito con modificazioni dalla legge di conversione 8 novembre 2012, n. 189.
[31] Di cui al richiamato articolo 11, comma 1, del decreto-legge 30 aprile 2019, n. 35, convertito con modificazioni, dalla legge 25 giugno 2019, n. 60.
[32] Sulla normativa in materia di CPR si veda la scheda relativa all’articolo 10 del provvedimento in esame.
[33] In tal caso lo straniero può chiedere al prefetto, ai fini dell'esecuzione dell'espulsione, la concessione di un periodo per la partenza volontaria, anche attraverso programmi di rimpatrio volontario ed assistito. Il prefetto, valutato il singolo caso, con lo stesso provvedimento di espulsione, intima lo straniero a lasciare volontariamente il territorio nazionale, entro un termine compreso tra 7 e 30 giorni. Tale termine può essere prorogato, ove necessario, per un periodo congruo, commisurato alle circostanze specifiche del caso individuale, quali la durata del soggiorno nel territorio nazionale, l'esistenza di minori che frequentano la scuola ovvero di altri legami familiari e sociali, nonché l'ammissione a programmi di rimpatrio volontario ed assistito (art. 13, comma 5, T.U. immigrazione).
[34] Il TU immigrazione, nella formulazione allora vigente, prevedeva, all’articolo 13, che l'espulsione amministrativa dello straniero era disposta in ogni caso con decreto motivato e poteva avvenire in due modi: mediante intimazione a lasciare il territorio dello Stato entro il termine di quindici giorni e ad osservare le prescrizioni per il viaggio e per la presentazione all'ufficio di polizia di frontiera, oppure mediante accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica.
[35] La sentenza ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 13, co. 5-bis del TU immigrazione, come introdotto dal decreto-legge n. 51/2002, ai sensi del quale nei casi di espulsione con accompagnamento coattivo (che, nel quadro normativo allora vigente, potevano far seguito anche a una sentenza penale di condanna) il questore comunica immediatamente e, comunque, entro quarantotto ore dalla sua adozione al tribunale in composizione monocratica territorialmente competente il provvedimento con il quale è disposto l'accompagnamento alla frontiera. Il provvedimento è immediatamente esecutivo. Il tribunale in composizione monocratica, verificata la sussistenza dei requisiti, convalida il provvedimento entro le quarantotto ore successive alla comunicazione A seguito della sentenza, si intervenne a modificare la disciplina delle espulsioni con il decreto-legge n. 241/2004, che, tra l’altro, stabilì che il provvedimento di accompagnamento coattivo debba essere comunicato al giudice entro quarantotto ore dall'adozione e debba essere convalidato da questo nelle successive quarantotto, prevedendo espressamente che esso non possa essere eseguito prima di tale convalida.
[36] Non devono ricorrere le cause ostative indicate nell'articolo 14, comma 1, del Testo Unico che impediscono l’esecuzione immediata dell'espulsione con accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica (casi in cui si dispone il trattenimento).