Camera dei deputati - Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa) |
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Autore: | Servizio Studi - Dipartimento Istituzioni |
Titolo: | Disposizioni urgenti in materia di flussi di ingresso legale dei lavoratori stranieri e di prevenzione e contrasto all'immigrazione irregolare |
Serie: | Progetti di legge Numero: 71 |
Data: | 14/03/2023 |
XIX LEGISLATURA
Disposizioni urgenti in materia di flussi di ingresso legale dei lavoratori stranieri e di prevenzione e contrasto all’immigrazione irregolare
D.L. n. 20/2023 - A.S. n. 591
15 MARZO 2023
Servizio Studi
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Dossier n. 64
Servizio Studi
Dipartimento Istituzioni
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Progetti di legge n. 71
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Articolo 1 (Programmazione dei flussi di ingresso legale)
Articolo 5 (Ingresso dei lavoratori del settore agricolo e contrasto alle agromafie)
Articolo 6 (Misura straordinaria per la gestione dei centri per migranti)
Articolo 7 (Protezione speciale)
Articolo 8 (Disposizioni penali)
Articolo 10 (Disposizioni per il potenziamento dei centri di permanenza per i rimpatri)
Articolo 11 (Clausola di invarianza finanziaria)
Articolo 12 (Entrata in vigore)
Articolo 1
(Programmazione dei flussi di ingresso legale)
L’articolo 1 prevede che per il triennio 2023-2025, in deroga alla normativa vigente, siano definite con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri le quote massime di stranieri da ammettere in Italia per lavoro subordinato, anche per esigenze di carattere stagionale e per lavoro autonomo.
Il comma 1 dell’articolo 1 prevede che per il triennio 2023-2025 siano definite con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri le quote massime di stranieri da ammettere in Italia per lavoro subordinato, anche per esigenze di carattere stagionale e per lavoro autonomo. Ciò in deroga, precisa il comma, all’articolo 3 del Testo unico delle leggi in materia di immigrazione (decreto legislativo n. 286 del 1998). Tale articolo prevede infatti, in sintesi, la seguente procedura per la programmazione dei flussi di ingresso:
· predisposizione ogni tre anni – salva la necessità di un termine più breve – del documento programmatico relativo alla politica dell’immigrazione; il documento è predisposto dal Presidente del Consiglio dei ministri, sottoposto al parere delle Commissioni parlamentari e quindi adottato con decreto del Presidente della Repubblica; il documento individua tra l’altro i criteri generali per la definizione dei flussi di ingresso;
· definizione con d.P.C.m. annuale delle quote di ingresso, con possibilità di adottare ulteriori decreti in corso d’anno, sulla base dei criteri generali adottati nel documento programmatico; in caso di mancata adozione del documento programmatico, il Presidente del Consiglio può provvedere in via transitoria; anche sullo schema di d.P.C.m. è previsto il parere delle competenti Commissioni parlamentari;
Si ricorda che il decreto flussi pubblicato il 26 gennaio 2023 sulla Gazzetta ufficiale il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri (d.P.C.m. del 29 dicembre 2022) ha ammesso in Italia, per motivi di lavoro subordinato stagionale e non stagionale e di lavoro autonomo, i cittadini non comunitari entro una quota massima di 82.705 unità (articolo 1 del d.P.C.m.).
Nell’ambito di tale quota massima, sono ammessi in Italia:
· per motivi di lavoro non stagionale e di lavoro autonomo, i cittadini non UE entro una quota di 38.705 unità, comprese le quote da riservare alla conversione in permessi di soggiorno per lavoro subordinato e per lavoro autonomo di permessi di soggiorno rilasciati ad altro titolo,
· per motivi di lavoro subordinato stagionale, nei settori agricolo e turistico-alberghiero, i cittadini non UE residenti all'estero entro una quota di 44.000 unità, da ripartire tra le regioni e le province autonome a cura del ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali.
Il comma 2 indica la procedura per l’adozione del d.P.C.m. di programmazione dei flussi di cui al comma 1: parere dei ministri interessati, del CNEL, della Conferenza unificata, degli enti e delle associazioni nazionali maggiormente attivi nell’assistenza e nell’integrazione degli immigrati, delle organizzazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori maggiormente rappresentative sul piano nazionale [1] ; delibera del Consiglio dei ministri; trasmissione al Parlamento per l’espressione del parere, entro trenta giorni, delle Commissioni parlamentari competenti (decorso il termine il decreto può essere comunque adottato).
Si ricorda che l’articolo 1 della legge n. 13 del 1991 prevede in via generale che gli atti per i quali siano intervenute deliberazioni del Consiglio dei ministri siano adottati con decreto del Presidente della Repubblica e non con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri.
Il comma 3 specifica poi il contenuto del d.P.C.m.: indicazione dei criteri generali per la definizione dei flussi di ingresso che devono tenere conto dell’analisi del fabbisogno del mercato del lavoro effettuata dal Ministero del lavoro previo confronto con organizzazioni dei lavoratori e dei datori di lavoro maggiormente rappresentative sul piano nazionale; indicazione delle quote massime di ingresso dei lavoratori stranieri.
Il comma 4 prevede la possibilità, quando se ne ravvisi l’opportunità, di adottare durante il triennio ulteriori d.P.C.m., con la medesima procedura di cui ai commi 2 e 3: le istanze eccedenti i limiti di un decreto possono essere esaminate nell’ambito degli ulteriori decreti adottati, senza necessità di ripresentare nuovamente la domanda.
Il comma 5 prevede che i d.P.C.m. assegnino, in via preferenziale, quote riservate ai lavoratori di Stati che, anche in collaborazione con lo Stato italiano, promuovono per i propri cittadini campagne mediatiche sui rischi per l’incolumità personale derivanti dall’inserimento in traffici migratori irregolari.
Si ricorda che già attualmente i decreti flussi prevedono quote riservate a specifici Paesi che abbiano sottoscritto o stiano per sottoscrivere accordi di cooperazione in materia migratoria.
Rispetto all’articolo 3 la procedura speciale introdotta per il triennio 2023-2025 prevede quindi – salva la possibilità di aggiornamenti - un unico documento che, oltre a definire i criteri generali, stabilisca anche direttamente le quote di ingresso in Italia.
Articolo 2
(Procedure per il rilascio di nulla osta al lavoro per stranieri ed effetti del nulla osta)
L’articolo 2 reca alcune modifiche [2] alla disciplina sulle procedure per il rilascio di nulla osta al lavoro per i cittadini di Stati non appartenenti all'Unione europea (nonché per gli apolidi) e sugli effetti del medesimo nulla osta.
Le novelle di cui alla lettera a) del comma 1 concernono in particolare i profili temporali della suddetta procedura nonché i casi di accertamento di elementi ostativi successivo al nulla osta ed introducono il principio che, nelle more della sottoscrizione del contratto di soggiorno per lavoro subordinato (e del successivo rilascio del permesso di soggiorno), il nulla osta consente lo svolgimento di attività lavorativa nel territorio nazionale. La successiva lettera b) reca, con riferimento al lavoro stagionale, una novella di coordinamento con quella di cui alla suddetta lettera a). La novella di cui alla lettera c) pone a regime una disciplina transitoria [3] , già stabilita con riferimento alle quote di ingresso di lavoratori stranieri relative agli anni 2021-2023. Tale disciplina, in primo luogo, demanda la verifica - all'interno della procedura di rilascio di nulla osta - dei requisiti concernenti l'osservanza (nello schema di contratto) delle prescrizioni del contratto collettivo di lavoro e la congruità del numero delle richieste presentate dal datore di lavoro - verifica che, in base alla precedente disciplina generale, spetterebbe all'Ispettorato nazionale del lavoro - ad alcune categorie di professionisti o alle organizzazioni dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale (ai quali il datore di lavoro aderisca o conferisca mandato) e pone alcuni criteri specifici relativi alla medesima verifica; in secondo luogo, la disciplina in oggetto esclude la necessità di tale verifica per le richieste di nulla osta presentate dalle organizzazioni dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e sottoscrittrici con il Ministero del lavoro e delle politiche sociali di un apposito protocollo di intesa. La novella di cui alla lettera c) reca altresì una disposizione di coordinamento in relazione alla novella di cui alla precedente lettera a).
Le novelle di cui ai numeri 1) e 2) del comma 1, lettera a), costituiscono interventi di coordinamento in relazione ad altre novelle del presente comma.
La novella di cui al successivo numero 3) introduce un limite temporale, oltre il quale, in mancanza dell’acquisizione e comunicazione di elementi ostativi da parte della questura competente e in presenza degli altri presupposti stabiliti dalla normativa, lo sportello unico per l’immigrazione [4] deve rilasciare il nulla osta al lavoro richiesto da un datore di lavoro per l’assunzione (a tempo determinato o indeterminato) di un soggetto residente all’estero e cittadino di uno Stato non appartenente all’Unione europea (o apolide); il limite introdotto coincide con il termine ordinatorio vigente, posto per il rilascio - in presenza dei relativi presupposti (tra i quali anche il rispetto dei limiti per i flussi di ingresso di lavoratori stranieri nel territorio nazionale) [5] - del medesimo nulla osta e pari a sessanta giorni (decorrenti dalla richiesta del datore di lavoro). La novella di cui al successivo numero 4) prevede, per il caso in cui siano successivamente accertati elementi ostativi - in base ad informazioni assunte dalla questura o in base ai controlli a campione (sui rapporti di lavoro) svolti dall’Ispettorato del lavoro, in collaborazione con l’Agenzia delle entrate -, la revoca del permesso di soggiorno, nonché la revoca del suddetto nulla osta e del visto di ingresso [6] e la risoluzione di diritto del contratto di soggiorno per lavoro subordinato [7] .
La novella di cui al numero 5) della stessa lettera a) introduce il principio che, nelle more della sottoscrizione del contratto di soggiorno per lavoro subordinato, il suddetto nulla osta consente lo svolgimento di attività lavorativa nel territorio nazionale - fermo restando che, al fine dell’ingresso nel territorio nazionale, dopo il rilascio del nulla osta, gli uffici consolari italiani del Paese di residenza o di origine dello straniero devono rilasciare il visto d’ingresso -.
La novella di cui alla successiva lettera b) esplicita che le novelle poste dalla lettera a) si applicano anche per le procedure di ingresso relative al lavoro stagionale.
La relazione illustrativa del disegno di legge di conversione del presente decreto [8] osserva che le misure poste dalle novelle di cui alle suddette lettere a) e b) sono intese in particolare a consentire l’impiego in termini rapidi dei lavoratori in esame (anche al fine di soddisfare le relative esigenze dei datori di lavoro).
La novella di cui alla lettera c), come accennato, pone a regime una disciplina transitoria [9] , già stabilita con riferimento alle quote di ingresso di lavoratori stranieri relative agli anni 2021-2023.
Tale disciplina, in primo luogo, demanda la verifica - all'interno della suddetta procedura di rilascio di nulla osta - dei requisiti concernenti l'osservanza (nello schema di contratto) delle prescrizioni del contratto collettivo di lavoro e la congruità del numero delle richieste presentate dal datore di lavoro - verifica che, in base alla precedente disciplina generale, spetterebbe all'Ispettorato nazionale del lavoro - ad alcune categorie di professionisti - consulenti del lavoro, avvocati, dottori commercialisti ed esperti contabili - o alle organizzazioni dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale (ai quali il datore di lavoro aderisca o conferisca mandato) e pone alcuni criteri specifici relativi alla medesima verifica. In base a questi ultimi [10] , le verifiche in oggetto tengono anche conto della capacità patrimoniale, dell'equilibrio economico-finanziario, del fatturato, del numero dei dipendenti - ivi compresi quelli già richiesti ai sensi della disciplina sugli ingressi per lavoro di cittadini di Stati non appartenenti all'Unione europea (o di apolidi) - e del tipo di attività svolta dall'impresa. In caso di esito positivo delle verifiche, è rilasciata apposita asseverazione, che il datore di lavoro trasmette allo sportello unico per l'immigrazione unitamente alla richiesta di assunzione del lavoratore straniero (nell'ambito della procedura di richiesta di nulla osta).
In secondo luogo, la disciplina speciale in oggetto esclude la necessità della suddetta asseverazione per le richieste di nulla osta presentate dalle organizzazioni dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e sottoscrittrici con il Ministero del lavoro e delle politiche sociali di un apposito protocollo di intesa - protocollo con il quale le organizzazioni si impegnano a garantire il rispetto, da parte dei propri associati, dei requisiti in oggetto -. La novella in esame specifica che anche in questi ultimi casi trovano applicazione le modifiche della procedura di rilascio di nulla osta introdotte dalla precedente lettera a) e il principio che, nelle more della sottoscrizione del contratto di soggiorno per lavoro subordinato, il suddetto nulla osta consente lo svolgimento di attività lavorativa nel territorio nazionale.
La disciplina speciale posta a regime dalla presente lettera c) fa salva - in conformità con la norma di salvezza già stabilita dalla disciplina transitoria -la possibilità, per l'Ispettorato nazionale del lavoro, di effettuare, in collaborazione con l'Agenzia delle entrate, controlli a campione sul rispetto dei requisiti e delle procedure di cui alla medesima disciplina.
Si ricorda che, ai sensi dell'articolo 30-bis, comma 8, del regolamento di cui al D.P.R. 31 agosto 1999, n. 394 [11] , la verifica della congruità in rapporto alla capacità economica del datore di lavoro non è richiesta per i soggetti che siano affetti da patologie o handicap che ne limitino l'autosufficienza e che intendano assumere, per la propria assistenza, un lavoratore straniero.
Articolo 3
(Riconoscimento di permessi di soggiorno per motivi di lavoro al di fuori delle quote, in relazione a precedenti attività di studio o di formazione)
Il comma 1 dell’articolo 3 reca alcune modifiche [12] alla disciplina sui programmi ministeriali di attività di istruzione e di formazione professionale nei Paesi di origine, rivolte a cittadini di Stati non appartenenti all'Unione europea (nonché agli apolidi).
Le novelle, in particolare: integrano l'ambito di tali attività, inserendo il riferimento alla formazione civico-linguistica (lettera b)); introducono il principio che il lavoratore straniero, dopo la completa partecipazione alle attività in esame che siano organizzate sulla base dei fabbisogni indicati al Ministero del lavoro e delle politiche sociali da parte delle associazioni di categoria del settore produttivo interessato, può rientrare nell'applicazione delle procedure di ingresso e soggiorno (per lo svolgimento di lavoro subordinato) al di fuori delle quote relative ai flussi di ingresso di lavoratori stranieri (lettera c)); prevedono la possibilità di promozione, da parte del suddetto Ministero, di accordi di collaborazione e intese tecniche con soggetti pubblici e privati operanti nel campo della formazione e dei servizi per il lavoro nei Paesi di origine (lettera e)).
Il successivo comma 2 sopprime [13] la condizione secondo cui la possibilità di conversione del permesso di soggiorno per motivi di studio e formazione in permesso di soggiorno per motivi di lavoro è subordinata al rispetto delle quote relative ai flussi summenzionati.
Più in particolare, la novella di cui alla lettera a) del comma 1 modifica la rubrica dell'articolo [14] oggetto delle novelle di cui al medesimo comma 1, al fine di tener conto della portata delle stesse.
La lettera b) adegua il richiamo di alcuni Ministeri in relazione alle norme sopravvenute ed integra l'ambito delle attività dei programmi ministeriali in oggetto, aggiungendo - rispetto all'istruzione e alla formazione professionale - il riferimento alla formazione civico-linguistica; una delle novelle di cui alla successiva lettera c) demanda al Ministero del lavoro e delle politiche sociali l'adozione di linee guida che definiscano le modalità di predisposizione dei programmi di formazione professionale e civico-linguistica ed i criteri per la valutazione degli stessi.
Si ricorda che, in base alla disciplina già vigente, i programmi sono approvati, anche su proposta delle regioni e delle province autonome, dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali e dal Ministero dell'istruzione e del merito o - come specificato dalla novella di cui alla lettera b) - dal Ministero dell'università e della ricerca e sono realizzati anche in collaborazione con regioni, province autonome ed altri enti locali, organizzazioni nazionali degli imprenditori e datori di lavoro e dei lavoratori, organismi internazionali, enti ed associazioni operanti nel settore dell'immigrazione da almeno tre anni. Tali attività sono intese a: l'inserimento lavorativo mirato nei settori produttivi italiani che operano all'interno dello Stato; l'inserimento lavorativo mirato nei settori produttivi italiani che operano all'interno dei Paesi di origine; lo sviluppo delle attività produttive o imprenditoriali autonome nei Paesi di origine.
La novella di cui alla lettera c) introduce il principio che il lavoratore straniero, dopo la completa partecipazione alle attività in esame che siano organizzate sulla base dei fabbisogni indicati al Ministero del lavoro e delle politiche sociali da parte delle associazioni di categoria del settore produttivo interessato, può rientrare nell'applicazione delle procedure di ingresso e soggiorno (per lo svolgimento di lavoro subordinato) al di fuori delle quote relative ai flussi di ingresso di lavoratori stranieri. Per le attività che non rientrino in tale fattispecie continuano ad applicarsi (cfr. la novella di cui alla lettera d)), in favore dei partecipanti, i criteri di preferenza al fine dell'ingresso nell'ambito delle quote suddette già previsti dalla precedente disciplina [15] .
La lettera c) in esame richiede, al fine del beneficio dell'esclusione dalle quote suddette, che la domanda di visto di ingresso - domanda successiva al rilascio del nulla osta da parte dello sportello unico per l'immigrazione - sia presentata (a pena di decadenza) entro sei mesi dalla conclusione del corso e che la medesima istanza sia corredata dalla conferma della disponibilità all'assunzione da parte del datore di lavoro. Resta fermo [16] che per il caso in cui siano successivamente accertati elementi ostativi al rilascio del nulla osta - in base ad informazioni assunte dalla questura o in base ai controlli a campione (sui rapporti di lavoro) svolti dall’Ispettorato del lavoro, in collaborazione con l’Agenzia delle entrate -, hanno luogo la revoca del permesso di soggiorno, nonché la revoca del nulla osta e del visto di ingresso e la risoluzione di diritto del contratto di soggiorno per lavoro subordinato. Al fine di consentire la verifica che non vi siano elementi ostativi al rilascio del nulla osta, la lettera c) prevede, con riferimento ai corsi oggetto della medesima lettera, che il Ministero del lavoro e delle politiche sociali comunichi, entro sette giorni dall’inizio dei corsi, al Ministero dell’interno e al Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale le generalità dei partecipanti. Resta fermo che per lo svolgimento della verifica e per il relativo termine temporale si applica la disciplina ordinaria, come modificata dall'articolo 2 del presente decreto [17] (si rinvia alla relativa scheda di lettura).
La novella di cui alla lettera e) prevede che, per la promozione di percorsi di qualificazione professionale e la selezione dei lavoratori direttamente nei Paesi di origine e, in particolare, al fine dello svolgimento dei programmi ministeriali contemplati dalla novella di cui alla lettera c), il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, anche con il concorso di proprie agenzie strumentali e società in house, possa promuovere la stipulazione di accordi di collaborazione e intese tecniche con soggetti pubblici e privati operanti nel campo della formazione e dei servizi per il lavoro nei Paesi di origine.
Il comma 2 del presente articolo 3 sopprime la condizione
[18]
secondo cui la possibilità di conversione del permesso di soggiorno per motivi di studio e formazione
[19]
in permesso di soggiorno per motivi di lavoro è subordinata al rispetto delle quote relative ai flussi di ingresso di lavoratori stranieri (cittadini di Stati non appartenenti all'Unione europea o apolidi). Resta fermo che la possibilità è subordinata alle condizioni che il permesso di soggiorno per motivi di studio e formazione sia ancora in corso di validità e che sia stato stipulato un contratto di soggiorno per lavoro subordinato o sia stata rilasciata la certificazione della sussistenza dei requisiti per il permesso di soggiorno per lavoro autonomo
[20]
. Sotto il profilo redazionale, si valuti l'esigenza di sopprimere, nella norma oggetto di novella e in coerenza con quest'ultima, le parole "nell'ambito delle quote stabilite a norma dell'articolo 3, comma 4,".
Articolo 4
(Durata del permesso di soggiorno per lavoro a tempo indeterminato, per lavoro autonomo e per ricongiungimento familiare)
L’articolo 4 apporta alcune modifiche al Testo unico sull’immigrazione in materia di durata dei permessi di soggiorno per lavoro a tempo indeterminato, per lavoro autonomo e per ricongiungimento familiare, stabilendo che il rinnovo di ciascuno di essi non possa superare la durata di tre anni e di fatto estendendo così la massima durata possibile del rinnovo rispetto ai due anni attualmente previsti.
L’articolo 4, composto del solo comma 1, apporta alcune mirate modifiche all’articolo 5 del Testo unico sull’immigrazione (d.lgs. n. 286 del 1998); in particolare, si interviene sulla durata delle seguenti tipologie di permesso di soggiorno:
a) permesso di soggiorno per motivi di lavoro, rilasciato a seguito della stipula di un contratto di soggiorno per lavoro a tempo indeterminato. Tale permesso ha durata pari a quella prevista dal contratto di soggiorno per lavoro, nei limiti di una durata massima di due anni (stipulato ai sensi dell’art. 5-bis T.U.).
Si ricorda che il permesso di soggiorno, disciplinato dall’art. 5 TU è il documento che legittima la permanenza dello straniero nel territorio italiano, rilasciato per un periodo variabile a seconda dei motivi del soggiorno.
Infatti, possono soggiornare nel territorio dello Stato gli stranieri, entrati regolarmente, che siano muniti di permesso di soggiorno, o di permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo, rilasciati, e in corso di validità, o di permesso di soggiorno o titolo equipollente rilasciato dalla competente autorità di uno Stato appartenente all'Unione europea, nei limiti ed alle condizioni previsti da specifici accordi (comma 1).
Una volta fatto ingresso nel territorio nazionale, ogni straniero deve fare richiesta del permesso di soggiorno entro otto giorni al questore della provincia in cui si trova ed esso è rilasciato per le attività previste dal visto di ingresso (comma 2).
La durata del permesso di soggiorno non rilasciato per motivi di lavoro è quella prevista dal visto d'ingresso, nei limiti stabiliti dal Testo unico o in attuazione degli accordi e delle convenzioni internazionali in vigore.
In particolare, il permesso di soggiorno per motivi di lavoro è rilasciato a seguito della stipula del contratto di soggiorno per lavoro di cui all'articolo 5-bis.
La durata del relativo permesso di soggiorno per lavoro è quella prevista dal contratto di soggiorno e comunque non può superare:
a) in relazione ad uno o più contratti di lavoro stagionale, la durata complessiva di nove mesi;
b) in relazione ad un contratto di lavoro subordinato a tempo determinato, la durata di un anno;
c) in relazione ad un contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, la durata di due anni.
Il contratto di soggiorno per lavoro subordinato di cui all’articolo 5-bis del Testo unico è stipulato fra un datore di lavoro italiano o straniero regolarmente soggiornante in Italia e un prestatore di lavoro, cittadino di uno Stato non appartenente all'Unione europea o apolide.
Per costituire titolo valido per il rilascio del permesso di soggiorno per motivi di lavoro, tale contratto deve contenere:
a) la garanzia da parte del datore di lavoro della disponibilità di un alloggio per il lavoratore che rientri nei parametri minimi previsti dalla legge per gli alloggi di edilizia residenziale pubblica;
b) l'impegno al pagamento da parte del datore di lavoro delle spese di viaggio per il rientro del lavoratore nel Paese di provenienza.
Il contratto di soggiorno per lavoro è sottoscritto presso lo sportello unico per l'immigrazione della provincia nella quale risiede o ha sede legale il datore di lavoro o dove avrà luogo la prestazione lavorativa secondo le modalità previste nel regolamento di attuazione.
b) permesso di soggiorno per lavoro autonomo, rilasciato sulla base della certificazione della competente rappresentanza diplomatica o consolare italiana della sussistenza dei requisiti per l’ingresso e il soggiorno per lavoro autonomo (previsti dall'art. 26 T.U.). Questo permesso di soggiorno non può avere validità superiore ad un periodo di due anni (ai sensi dell’art. 5, comma 3-quater T.U.);
L’articolo 26 del testo unico prevede che l'ingresso in Italia dei lavoratori stranieri non appartenenti all'Unione europea che intendono esercitare nel territorio dello Stato un'attività non occasionale di lavoro autonomo può essere consentito a condizione che l'esercizio di tali attività non sia riservato dalla legge ai cittadini italiani, o a cittadini di uno degli Stati membri dell'Unione Europea (comma 1).
In particolare, dispone che lo straniero che intenda esercitare in Italia una attività industriale, professionale, artigianale o commerciale, ovvero costituire società di capitale o di persone o accedere a cariche societarie deve altresì dimostrare (comma 2):
· di disporre di risorse adeguate per l'esercizio dell'attività che intende intraprendere in Italia;
· di essere in possesso dei requisiti previsti dalla legge italiana per l'esercizio della singola attività, compresi, ove richiesti, i requisiti per l'iscrizione in albi e registri;
· di essere in possesso di una attestazione dell'autorità competente in data non anteriore a tre mesi che dichiari che non sussistono motivi ostativi al rilascio dell'autorizzazione o della licenza prevista per l'esercizio dell'attività che lo straniero intende svolgere.
Il lavoratore non appartenente all'Unione europea deve comunque dimostrare di disporre di idonea sistemazione alloggiativa e di un reddito annuo, proveniente da fonti lecite, di importo superiore al livello minimo previsto dalla legge per l'esenzione dalla partecipazione alla spesa sanitaria (comma 3). Sono comunque fatte salve le norme più favorevoli previste da accordi internazionali in vigore per l'Italia (comma 4).
La rappresentanza diplomatica o consolare, accertato il possesso dei requisiti indicati dal presente articolo ed acquisiti i nulla osta del Ministero degli affari esteri, del Ministero dell'interno e del Ministero eventualmente competente in relazione all'attività che lo straniero intende svolgere in Italia, rilascia il visto di ingresso per lavoro autonomo, con l'espressa indicazione dell'attività cui il visto si riferisce, nei limiti stabiliti dalle quote massime di stranieri stabilite dal c.d. decreto flussi (ai sensi dell'articolo 3, comma 4 T.U.), nonché dei flussi di ingresso (di cui all’articolo 21 T.U.). La rappresentanza diplomatica o consolare rilascia, altresì, allo straniero la certificazione dell'esistenza dei requisiti previsti dal presente articolo ai fini degli adempimenti previsti per la concessione del permesso di soggiorno per lavoro autonomo (comma 5).
Si ricorda che l’ultimo decreto flussi, pubblicato il 26 gennaio 2023 sulla Gazzetta ufficiale il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri (d.P.C.m. del 29 dicembre 2022) ha ammesso in Italia, per motivi di lavoro subordinato stagionale e non stagionale e di lavoro autonomo, i cittadini non comunitari entro una quota massima di 82.705 unità (articolo 1 del d.P.C.m.).
Nell’ambito di tale quota massima, sono ammessi in Italia:
· per motivi di lavoro non stagionale e di lavoro autonomo, i cittadini non UE entro una quota di 38.705 unità, comprese le quote da riservare alla conversione in permessi di soggiorno per lavoro subordinato e per lavoro autonomo di permessi di soggiorno rilasciati ad altro titolo,
· per motivi di lavoro subordinato stagionale, nei settori agricolo e turistico-alberghiero, i cittadini non UE residenti all'estero entro una quota di 44.000 unità, da ripartire tra le regioni e le province autonome a cura del ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali.
c) permesso di soggiorno per ricongiungimento familiare, la cui durata non può essere superiore a due anni (ai sensi dell’art. 5, comma 3-sexies T.U.).
Ai sensi dell’articolo 29 del Testo unico, lo straniero può chiedere il ricongiungimento per i seguenti familiari (comma 1):
a) coniuge non legalmente separato e di età non inferiore ai diciotto anni;
b) figli minori, anche del coniuge o nati fuori del matrimonio, non coniugati, a condizione che l'altro genitore, qualora esistente, abbia dato il suo consenso;
c) figli maggiorenni a carico, qualora per ragioni oggettive non possano provvedere alle proprie indispensabili esigenze di vita in ragione del loro stato di salute che comporti invalidità totale;
d) genitori a carico, qualora non abbiano altri figli nel Paese di origine o di provenienza, ovvero genitori ultrasessantacinquenni, qualora gli altri figli siano impossibilitati al loro sostentamento per documentati, gravi motivi di salute.
Salvo quanto previsto per il ricongiungimento familiare dei rifugiati dall'articolo 29-bis, lo straniero che richiede il ricongiungimento deve dimostrare la disponibilità (comma 3):
a) di un alloggio conforme ai requisiti igienico-sanitari, nonché di idoneità abitativa, accertati dai competenti uffici comunali. Nel caso di un figlio di età inferiore agli anni quattordici al seguito di uno dei genitori, è sufficiente il consenso del titolare dell'alloggio nel quale il minore effettivamente dimorerà;
b) di un reddito minimo annuo derivante da fonti lecite non inferiore all'importo annuo dell'assegno sociale aumentato della metà dell'importo dell'assegno sociale per ogni familiare da ricongiungere. Per il ricongiungimento di due o più figli di età inferiore agli anni quattordici è richiesto, in ogni caso, un reddito non inferiore al doppio dell'importo annuo dell'assegno sociale. Ai fini della determinazione del reddito si tiene conto anche del reddito annuo complessivo dei familiari conviventi con il richiedente;
b-bis) di una assicurazione sanitaria o di altro titolo idoneo, a garantire la copertura di tutti i rischi nel territorio nazionale a favore dell'ascendente ultrasessantacinquenne ovvero della sua iscrizione al Servizio sanitario nazionale, previo pagamento di un contributo.
Al familiare autorizzato all'ingresso ovvero alla permanenza sul territorio nazionale, è rilasciato, in deroga alla disciplina di cui all’articolo 5, comma 3-bis per i permessi di soggiorno per motivi di lavoro, un permesso per assistenza minore, rinnovabile, di durata corrispondente a quella stabilita dal Tribunale per i minorenni. Il permesso di soggiorno consente di svolgere attività lavorativa ma non può essere convertito in permesso per motivi di lavoro (comma 6).
La novella interviene a disporre che ciascun rinnovo di uno dei predetti permessi non possa superare la durata di tre anni, di fatto estendendo la massima durata possibile del rinnovo.
Per le tre tipologie di permessi sopra richiamate si supera infatti l’attuale previsione generale (v. art. 5, comma 4, secondo periodo, T.U.) secondo la quale il permesso di soggiorno è rinnovato per una durata non superiore a quella stabilita con rilascio iniziale (e quindi massimo due anni per le tre tipologie indicate dalla norma).
Tale previsione fa salvi i diversi termini previsti dal Testo unico e dal regolamento di attuazione, tra i quali bisogna quindi annoverare anche i termini introdotti dalla novella in esame.
Come si legge nella relazione illustrativa del provvedimento, la ratio sottesa alla disposizione in commento sarebbe quella di alleggerire gli oneri amministrativi a carico dei beneficiari del permesso, snellendo al contempo il carico di lavoro degli uffici delle questure.
Ai sensi dell’articolo 5, comma 4, il rinnovo del permesso di soggiorno è richiesto dallo straniero al questore della provincia in cui dimora, almeno sessanta giorni prima della scadenza, ed è sottoposto alla verifica delle condizioni previste per il rilascio e delle diverse condizioni previste dal Testo unico. Fatti salvi i diversi termini previsti dal presente Testo unico e dal regolamento di attuazione, il permesso di soggiorno è rinnovato per una durata non superiore a quella stabilita con rilascio iniziale.
Ai sensi dell’articolo 5, comma 9, prevede che il permesso di soggiorno è rilasciato, rinnovato o convertito entro sessanta giorni dalla data in cui è stata presentata la domanda, se sussistono i requisiti e le condizioni previsti dal Testo unico e dal regolamento di attuazione per il permesso di soggiorno richiesto ovvero, in mancanza di questo, per altro tipo di permesso da rilasciare in applicazione del Testo unico.
Articolo 5
(Ingresso dei lavoratori del settore agricolo e contrasto alle agromafie)
L’articolo 5, al comma 1, riconosce ai datori di lavoro operanti nel settore agricolo che non siano risultati assegnatari di manodopera, pur avendo presentato regolare domanda ai sensi del decreto flussi, la possibilità di ottenerne l'assegnazione con priorità sulla base di quanto previsto dai successivi decreti sui flussi emanati nel corso del triennio. Il comma 2 sostituisce il comma 4-quater dell’articolo 1 del decreto legge n. 22 del 2005, per aggiornarne le disposizioni in funzione del nuovo sistema di classificazione del personale del Ministero dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste e della conseguente attribuzione della qualifica di ufficiale o agente di polizia giudiziaria, previsto dal CCNL comparto funzioni centrali 2019/2021.
Il comma 1 riconosce ai datori di lavoro che, ai sensi degli articoli 6, 7 e 9 del d.P.C.m. 29 dicembre 2022 n. 21, hanno presentato regolare domanda per l’assegnazione di lavoratori agricoli e che non sono risultati assegnatari di tutta o di parte della manodopera oggetto della domanda, la possibilità di ottenere, sulla base di quanto previsto dai successivi decreti sui flussi emanati nel corso del triennio, l’assegnazione dei lavoratori richiesti con priorità rispetto ai nuovi richiedenti, nei limiti della quota assegnata al settore agricolo.
Il d.P.C.m. 29 dicembre 2022 reca la programmazione transitoria dei flussi d'ingresso dei lavoratori non comunitari nel territorio dello Stato per l'anno 2022 (cosiddetto "decreto flussi"). Il decreto prevede che, a titolo di programmazione transitoria dei flussi d'ingresso dei lavoratori stranieri residenti all'estero per l'anno 2022, sono ammessi in Italia, per motivi di lavoro subordinato stagionale e non stagionale e di lavoro autonomo, i cittadini stranieri residenti all'estero entro una quota complessiva massima di 82.705 unità (di cui 38.705 per motivi di lavoro subordinato non stagionale e di lavoro autonomo). L'articolo 6 stabilisce che sono ammessi in Italia per motivi di lavoro subordinato stagionale nei settori agricolo e turistico-alberghiero, entro una quota di 44.000 unità, i cittadini stranieri residenti in Albania, Algeria, Bangladesh, Bosnia-Erzegovina, Corea (Repubblica di Corea), Costa d'Avorio, Egitto, El Salvador, Etiopia, Filippine, Gambia, Georgia, Ghana, Giappone, Guatemala, India, Kosovo, Mali, Marocco, Mauritius, Moldova, Montenegro, Niger, Nigeria, Pakistan, Perù, Repubblica di Macedonia del Nord, Senegal, Serbia, Sri Lanka, Sudan, Tunisia e Ucraina. Una quota di 1.500 unità è riservata ai lavoratori stranieri che abbiano fatto ingresso in Italia per prestare lavoro subordinato stagionale almeno una volta nei cinque anni precedenti e per i quali il datore di lavoro presenti richiesta di nulla osta pluriennale per lavoro subordinato stagionale. È inoltre riservata per il settore agricolo, una quota di 22.000 unità ai lavoratori stranieri, cittadini dei suddetti Paesi, le cui istanze di nulla osta all'ingresso in Italia per lavoro stagionale anche pluriennale, siano presentate dalle organizzazioni professionali dei datori di lavoro di Cia, Coldiretti, Confagricoltura, Copagri, Alleanza delle cooperative (Lega cooperative e Confcooperative). A partire dalle ore 9:00 del 30 gennaio 2023 e fino al 22 marzo 2023 è disponibile l'applicativo per la precompilazione dei moduli di domanda sul Portale servizi del Ministero dell'Interno all'indirizzo https://portaleservizi.dlci.interno.it.
Il comma 2 sostituisce integralmente l’articolo 1, comma 4-quater, del decreto legge n. 22 del 2005, prevedendo il fine esplicito di dotare l’Ispettorato centrale della tutela della qualità e repressione frodi dei prodotti agroalimentari di adeguate professionalità per proteggere il mercato nazionale dalle attività internazionali di contraffazione e criminalità agroalimentare, anche connesse ai flussi migratori irregolari, fatto salvo il personale da inquadrare nella famiglia professionale ad esaurimento nell’ambito dell’area Assistenti del CCNI del Ministero dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste che hanno qualifica di ufficiale di polizia giudiziaria, in attuazione del nuovo sistema di classificazione del personale previsto dal CCNL comparto funzioni centrali 2019/2021.
A tal fine, viene assegnata al personale dirigenziale e non dirigenziale inquadrato nell’area delle Elevate professionalità e nell’area Funzionari, in servizio presso il Dipartimento dell’Ispettorato predetto, la qualifica di ufficiale di polizia giudiziaria nei limiti del servizio cui è destinato e secondo le attribuzioni ad esso conferite dalla legge e dai regolamenti. Il restante personale inquadrato nell’area Assistenti e nell’area Operatori è agente di polizia giudiziaria.
Articolo 6
(Misura straordinaria per la gestione dei centri per migranti)
L’articolo 6 reca disposizioni in materia di fornitura di beni e servizi relativi alla gestione e al funzionamento dei centri per migranti.
Prevede, in particolare, che il prefetto – in caso di grave inadempimento degli obblighi previsti dal capitolato di gara nonché di nocumento derivante dalla cessazione dell’esecuzione del contratto - nomini uno o più commissari, per la straordinaria e temporanea gestione dell’impresa (limitatamente all’esecuzione del contratto di appalto).
Insieme, dispone circa il compenso ai commissari e gli utili prodotti dalla gestione del contratto, oggetto della misura straordinaria.
E prevede che il prefetto, al contempo, avvii le procedure per l’affidamento diretto di un nuovo appalto per la gestione del centro, senza previa pubblicazione del bando.
L’articolo 6 detta disposizioni volte a fronteggiare situazioni straordinarie nella gestione dei centri per migranti, dovute ad inadempimento grave, da parte dell’impresa aggiudicataria, degli obblighi previsti dal capitolato di gara, ove l’immediata cessazione dell’esecuzione del contratto possa compromettere la continuità dei servizi indifferibili per la tutela dei diritti fondamentali nonché la salvaguardia dei livelli occupazionali.
I centri per migranti cui fa riferimento la disposizione sono:
ü
i centri governativi di prima accoglienza (cfr. articolo 9 del decreto legislativo n. 142 del 2015 – l’atto che ha dato attuazione alle due direttive dell’Unione europea del 2013, n. 33 e n. 32, relative rispettivamente all’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale ed alle procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale);
ü
le strutture temporanee di accoglienza (previste dall’articolo 11 del decreto legislativo n. 142 del 2015);
ü i punti di crisi (cd. Hotspot), dove affluiscono, per le esigenze di soccorso e di prima assistenza, gli stranieri giunti nel territorio nazionale a seguito di operazioni di salvataggio in mare (o rintracciati in occasione dell'attraversamento irregolare della frontiera) (cfr. articolo 10-ter del decreto legislativo n. 286 del 1998 – l’atto che reca il Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero);
ü
i centri di permanenza per i rimpatri, ove sono trattenuti gli stranieri in attesa di esecuzione di provvedimento di espulsione (articolo 14 del decreto legislativo n. 286 del 1998).
Dunque è riguardo a tali centri e strutture, e per il caso dei gravi inadempimenti sopra ricordati nella fornitura di beni e servizi, che il comma 1 prescrive la nomina prefettizia di uno o più commissari, per la straordinaria e temporanea gestione dell’impresa, limitatamente all’esecuzione del contratto di appalto.
I commissari sono scelti dal prefetto (che li nomina con proprio decreto) tra funzionari della prefettura o di altre amministrazioni pubbliche, in possesso di “qualificate e comprovate” professionalità.
Si applicano, in quanto compatibili, i commi 3 e 4 dell’articolo 32 del decreto-legge n. 90 del 2014. Pertanto sono attribuiti ai commissari (per la durata della straordinaria e temporanea gestione) tutti i poteri e le funzioni degli organi di amministrazione dell'impresa ed è sospeso l'esercizio dei poteri di disposizione e gestione dei titolari dell'impresa. L'attività di temporanea e straordinaria gestione dell'impresa è considerata di pubblica utilità ad ogni effetto, e gli amministratori rispondono delle eventuali diseconomie dei risultati solo nei casi di dolo o colpa grave.
In effetti queste previsioni, poste dall’articolo 6 del decreto-legge in esame, ricalcano la misura sulla straordinaria e temporanea gestione dell’impresa quale dettata dal decreto-legge n. 90 del 2014 (al citato articolo 32) sul versante anti-corruzione e di prevenzione delle infiltrazioni mafiose negli appalti pubblici. Quella qui delineata è una fattispecie ulteriore rispetto a tale disciplina posta dal decreto-legge n. 90, la cui applicazione è comunque fatta salva, ove ne ricorrano i presupposti.
Il comma 2 disciplina un duplice profilo: il compenso ai commissari e gli utili prodotti dalla gestione del contratto oggetto della misura straordinaria.
Il compenso dei commissari – il quale è detratto da quanto versato come pagamento all’impresa – è quantificato nel decreto prefettizio di nomina, sulla base di parametri individuati da un decreto del Ministero dell’interno (di concerto con il Ministero dell’economia e delle finanze: non è indicato un termine per la sua emanazione), tenendo conto della capienza del centro e della durata della gestione.
L’utile di impresa derivante dal contratto è accantonato – secondo determinazione dei commissari anche in via presuntiva – in un apposito fondo ed è insuscettibile di pignoramento.
Esso vale quale garanzia per l’Amministrazione di risarcimento del danno conseguente al grave inadempimento.
Il comma 3 dispone che il prefetto, contestualmente alla misura straordinaria della nomina commissariale, avvii le procedure per l’affidamento diretto di un nuovo appalto, e che questo avvenga senza previa pubblicazione del bando.
L’uso della procedura negoziata senza previa pubblicazione di un bando di gara è consentito dal Codice dei contratti pubblici (decreto legislativo n. 50 del 2016) in taluni casi, tra cui la sussistenza di ragioni di estrema urgenza derivante da eventi imprevedibili, non imputabili all'amministrazione aggiudicatrice.
Così prevede l’articolo 63, comma 2, lettera c), di quel Codice, la quale è espressamente richiamata dalla disposizione in commento.
Da ultimo il comma 4 prevede che con l’affidamento e il subentro del nuovo aggiudicatario, il prefetto dichiari la risoluzione per inadempimento del contratto, la quale opera di diritto.
Conseguentemente i commissari nominati dal prefetto cessano dalle proprie funzioni.
I richiedenti protezione internazionale possono accedere ai centri governativi di prima accoglienza, che hanno la funzione di consentire l'identificazione dello straniero (ove non sia stato possibile completare le operazioni negli hotspot), la verbalizzazione e l'avvio della procedura di esame della domanda di asilo, l'accertamento delle condizioni di salute e la sussistenza di eventuali situazioni di vulnerabilità che comportino speciali misure di assistenza. Tali funzioni sono assicurate dai centri governativi disciplinati dall’ articolo 9 del decreto legislativo n. 142 del 2015, come modificato dal decreto-legge n. 130 del 2020 (convertito dalla legge n. 173 del 2020). L'invio del richiedente in queste strutture è disposto dal prefetto, sentito il Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno. Nel caso di esaurimento dei posti all'interno delle strutture di prima accoglienza, a causa di arrivi consistenti e ravvicinati di richiedenti cui l'ordinario sistema di accoglienza non sia in grado di far fronte, i richiedenti possono essere ospitati in strutture temporanee di emergenza (articolo 11 del medesimo decreto legislativo n. 142 del 2015). Tali strutture (denominate centri di accoglienza straordinaria - CAS) sono individuate dalle prefetture - uffici territoriali del Governo, previo parere dell'ente locale nel cui territorio è situata la struttura (secondo le procedure di affidamento dei contratti pubblici) e la permanenza in tali strutture è stabilita per un tempo limitato, in attesa del trasferimento nelle strutture di prima accoglienza.
L’articolo 10-ter del decreto legislativo n. 286 del 1998 (testo unico immigrazione), introdotto dall’articolo 17 del decreto-legge n. 13 nel 2017 (come convertito dalla legge n. 13 del 2017) prevede che lo straniero rintracciato in occasione dell'attraversamento irregolare della frontiera interna o esterna, oppure giunto nel territorio nazionale a seguito di operazioni di salvataggio in mare, sia condotto in appositi "punti di crisi”.
Si prevede che i punti di crisi possano essere allestiti:
- nell'ambito delle strutture istituite ai sensi del decreto-legge n. 451 del 1995, ossia i CDA (centri di accoglienza), istituiti per rispondere alle emergenze degli sbarchi dei profughi provenienti dall'ex Jugoslavia, oppure:
- all'interno delle strutture di prima accoglienza, come disciplinate dal decreto legislativo n. 142 del 2015, che adempiono anche alle esigenze di espletamento delle operazioni necessarie alla definizione della posizione giuridica dello straniero.
Presso i punti di crisi il cittadino straniero, oltre alle procedure di accertamento delle condizioni di salute e di prima assistenza, è sottoposto alle procedure di identificazione, mediante operazioni di rilevamento fotodattiloscopico e segnaletico, anche ai fini del rispetto degli articoli 9 e 14 del regolamento (UE) n. 603/2013 “Eurodac”. Al contempo, lo straniero riceve informazioni sulla procedura di protezione internazionale, sul programma di ricollocazione in altri Stati membri dell'Unione europea e sulla possibilità di ricorso al rimpatrio volontario assistito.
La “Relazione sul funzionamento del sistema di accoglienza predisposto al fine di fronteggiare le esigenze straordinarie connesse all'eccezionale afflusso di stranieri nel territorio nazionale”, trasmessa al Parlamento il 29 novembre 2022 (Doc. LI n. 2), riporta i dati sull’accoglienza riferiti al 2021. Tale documento riferisce che il sistema di prima accoglienza registra 9 centri governativi di prima accoglienza e 4.216 strutture temporanee di prima accoglienza (CAS) attivi al 31 dicembre 2021. I 9 centri governativi – situati a Bari, Brindisi, Caltanissetta, Crotone, Foggia, Gradisca d’Isonzo (GO). Messina, Treviso, Udine – hanno fatto registrare, nel corso del 2021, 4.216 presenze. Nello stesso anno, prosegue il documento, i CAS hanno registrato 50.038 presenze. Rispetto al 2020, il numero delle strutture è diminuito dell’8% (rimanendo comunque identico il numero delle nove strutture governative di accoglienza); le presenze sono invece diminuite del 3,6%.
Per quanto concerne i tre “punti di crisi”, situati a Lampedusa (AG), Pozzallo (RG) e Taranto, la medesima Relazione riferisce che, nel corso del 2022, il centro di Lampedusa sia stato interessato da interventi di ristrutturazione che ne hanno ampliato la capienza fino a 389 posti, rispetto ai 352 posti registrati alla fine del 2021. Il medesimo centro di Lampedusa, inoltre, è stato l’unico ad essere destinato in via esclusiva alle funzioni previste dalla legge, in quanto sono state utilizzate navi per il prescritto periodo di quarantena a seguito dell’emergenza da Covid-19. Il punto di crisi di Taranto è stato prevalentemente utilizzato come centro di quarantena. Anche il centro di Pozzallo è stato utilizzato per lo svolgimento della quarantena. Sempre nel corso del 2022 la capienza di tale centro è stata prima ridotta a 117 posti per favorire il rispetto delle misure di prevenzione da Covid-19, indi a 45 posti a seguito degli interventi sul padiglione centrale resisi necessari per l’incendio che ha interessato la struttura il 18 luglio. Riguardo alla capienza registrate al 31 dicembre 2021, il documento attribuisce 352 posti a Lampedusa, 234 a Pozzallo (RG), 244 posti a Taranto, per un totale di 830 posti. Quest’ultima cifra segna un incremento di 124 posti rispetto al 2020. Tale incremento è ascrivibile al centro di Lampedusa (con un aumento da 228 a 352 posti), mentre è rimasta invariata, tra il 2020 e il 2021, la capienza degli hotspot di Pozzallo e di Taranto.
Articolo 7
(Protezione speciale)
L’articolo 7 elimina il divieto di respingimento ed espulsione di una persona previsto nel caso vi sia fondato motivo di ritenere che l'allontanamento dal territorio nazionale della stessa comporti una violazione del diritto al rispetto della sua vita privata e familiare (comma 1). Viene conseguentemente introdotta una disciplina transitoria che estende l’efficacia della normativa abrogata alle domande di riconoscimento della protezione speciale presentate in data anteriore all’entrata in vigore del decreto-legge in esame, nonché ai casi in cui lo straniero abbia già ricevuto dalla competente questura l’invito a presentare l’istanza di protezione speciale (comma 2). Si dispone, infine, che i permessi già rilasciati sulla base dei requisiti abrogati e in corso di validità siano rinnovati, per una sola volta e con durata annuale (comma 3).
L’articolo 7, al comma 1, abrogando il terzo periodo dell’articolo 19, comma 1.1, del Testo unico sull’immigrazione (di cui al decreto legislativo n. 286/1998), fa venir meno il divieto di respingimento ed espulsione di una persona in ragione del rispetto della sua vita privata e familiare, che consentiva poi l’ottenimento di un permesso per protezione speciale ai sensi del successivo comma 1.2.
Tale divieto, abrogato dal provvedimento in esame, trovava applicazione a meno che l’allontanamento dal territorio nazionale si rendesse necessario per ragioni di sicurezza nazionale, di ordine e sicurezza pubblica nonché di protezione della salute, nel rispetto della Convenzione di Ginevra del 1951 sullo statuto dei rifugiati e della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.
Conseguentemente, viene abrogata anche la previsione del quarto periodo, la quale, ai fini della valutazione del fondato rischio di violazione del diritto alla vita privata e familiare, dispone che si tenga conto della natura e dell’effettività dei vincoli familiari dell’interessato, del suo effettivo inserimento sociale in Italia, della durata del suo soggiorno nel territorio nazionale, nonché dell’esistenza di legami familiari, culturali o sociali con il paese di origine.
Per effetto del comma 1, vengono di fatto eliminate le modifiche apportate all’articolo 19, comma 1.1 ad opera del decreto-legge n. 130 del 2020, come si evince dal testo a fronte riportato qui di seguito.
Testo precedente le modifiche apportate dal D.L. 130/2020
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Testo unico sull’immigrazione vigente fino al dl 20/2023
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Testo unico con le modifiche apportate dal D.L. 20/2023
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Articolo 19 |
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(…)
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1.1. Non sono ammessi il respingimento o l'espulsione o l'estradizione di una persona verso uno Stato qualora esistano fondati motivi di ritenere che essa rischi di essere sottoposta a tortura. Nella valutazione di tali motivi si tiene conto anche dell'esistenza, in tale Stato, di violazioni sistematiche e gravi di diritti umani.
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1.1. Non sono ammessi il respingimento o l'espulsione o l'estradizione di una persona verso uno Stato qualora esistano fondati motivi di ritenere che essa rischi di essere sottoposta a tortura o a trattamenti inumani o degradanti o qualora ricorrano gli obblighi di cui all'articolo 5, comma 6. Nella valutazione di tali motivi si tiene conto anche dell'esistenza, in tale Stato, di violazioni sistematiche e gravi di diritti umani. Non sono altresì ammessi il respingimento o l'espulsione di una persona verso uno Stato qualora esistano fondati motivi di ritenere che l'allontanamento dal territorio nazionale comporti una violazione del diritto al rispetto della sua vita privata e familiare, a meno che esso sia necessario per ragioni di sicurezza nazionale, di ordine e sicurezza pubblica nonché di protezione della salute nel rispetto della Convenzione relativa allo statuto dei rifugiati, firmata a Ginevra il 28 luglio 1951, resa esecutiva dalla legge 24 luglio 1954, n. 722, e della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea. Ai fini della valutazione del rischio di violazione di cui al periodo precedente, si tiene conto della natura e della effettività dei vincoli familiari dell'interessato, del suo effettivo inserimento sociale in Italia, della durata del suo soggiorno nel territorio nazionale nonché dell'esistenza di legami familiari, culturali o sociali con il suo Paese d'origine.
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1.1. Non sono ammessi il respingimento o l'espulsione o l'estradizione di una persona verso uno Stato qualora esistano fondati motivi di ritenere che essa rischi di essere sottoposta a tortura o a trattamenti inumani o degradanti o qualora ricorrano gli obblighi di cui all'articolo 5, comma 6. Nella valutazione di tali motivi si tiene conto anche dell'esistenza, in tale Stato, di violazioni sistematiche e gravi di diritti umani. |
Introdotto dal D.L. 130/2020
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1.2. Nelle ipotesi di rigetto della domanda di protezione internazionale, ove ricorrano i requisiti di cui ai commi 1 e 1.1., la Commissione territoriale trasmette gli atti al Questore per il rilascio di un permesso di soggiorno per protezione speciale. Nel caso in cui sia presentata una domanda di rilascio di un permesso di soggiorno, ove ricorrano i requisiti di cui ai commi 1 e 1.1, il Questore, previo parere della Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, rilascia un permesso di soggiorno per protezione speciale.
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Identico
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(…)
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Si segnala peraltro che la disposizione qui in esame riproduce alcune delle modifiche apportate all’articolo 19, comma 1.1 T.U. dall’A.C. 162 (di cui è stato disposto l’abbinamento con l’A.C. 127), di cui la Commissione Affari Costituzionali della Camera ha avviato l’esame in sede referente nella seduta del 9 marzo 2023.
Si noti come, ai sensi dei periodi del comma 1.1. dell’articolo 19, abrogati ad opera del provvedimento in esame, la prospettiva che rileva sia non già l'approdo in uno Stato altro, ritenuto gravemente pericoloso per la incolumità e dignità personale, bensì "l'allontanamento dal territorio nazionale", ritenuto gravemente lesivo di un radicamento.
Si segnala che il terzo periodo del comma 1.1. dell’articolo 19 era stato collegato in sede giurisprudenziale (Cass. civ. Sez. VI - 1, ordinanza n. 7861 del 2022) al principio di cui all'art. 8 CEDU, il quale riconosce ad ogni persona il diritto al rispetto della propria vita privata e familiare.
In questo senso - ad avviso della Corte - deponeva sia il tenore letterale della disposizione, sia il fatto che l’art. 5, comma 6, del Testo unico fa salvo il rispetto degli obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano nell’adozione di provvedimenti di rifiuto o revoca del permesso, adottati sulla base di convenzioni o accordi internazionali resi esecutivi in Italia, quando lo straniero non soddisfi le condizioni di soggiorno applicabili in uno degli Stati contraenti.
Al riguardo, la Suprema Corte afferma anche che il diritto di cui all'art. 8 CEDU, "alla vita privata e familiare" non è assoluto e deve essere bilanciato su base legale con una serie di altri valori tutelati: sicurezza nazionale e pubblica, benessere economico del paese, difesa dell'ordine e prevenzione di reati, protezione della salute, e della morale protezione dei diritti e delle libertà altrui.
La Corte di cassazione ha quindi specificato la portata dei tre parametri in base ai quali valutare la fondatezza del rischio di violazione del diritto alla vita privata e familiare, in connessione con il quarto periodo ora abrogato che, come si è visto, stabilisce che in tale valutazione si tenga conto della natura e della effettività dei vincoli familiari dell'interessato, del suo effettivo inserimento sociale in Italia, della durata del suo soggiorno nel territorio nazionale nonché dell'esistenza di legami familiari, culturali o sociali con il suo Paese.
Il primo parametro è familiare, espresso in relazione ai vincoli di tal genere esistenti in Italia, che devono essere effettivi (termine, non a caso, utilizzato due volte nell'ambito dello stesso periodo) ed esprimersi quindi in una relazione intensa e concreta che accompagni il rapporto di coniugio o il legame di sangue, anche se la legge non ha preteso un rapporto di convivenza.
Il secondo è sociale e si traduce nella necessità di un inserimento, ancora una volta richiesto nella sua dimensione di effettività.
Il terzo parametro è la durata del soggiorno del richiedente asilo sul territorio nazionale ed esprime un concorrente elemento di valenza presuntiva (dello sradicamento dal contesto di provenienza e del radicamento in Italia), che sembra difficile potersi apprezzare in via autonoma.
Nella richiamata ordinanza n. 7861 del 2022, la Cassazione si conforma ad un orientamento delle Sezioni Unite (Cass. civ. Sez. Unite sentenza n. 24413 del 2021) secondo il disposto dell'art. 8 CEDU è fondamentale per valutare il profilo di vulnerabilità legato alla comparazione tra il contesto economico, lavorativo e relazionale che il richiedente troverebbe rientrando nel paese di origine e la condizione di integrazione dal medesimo raggiunta in Italia nel tempo necessario al compimento dell'esame della sua domanda di protezione in sede amministrativa e giudiziaria. Al riguardo, le Sezioni Unite ribadiscono come l'art. 8 CEDU consideri, e dunque tuteli, separatamente la vita privata e la vita familiare, come chiarito dalla Corte EDU nella sentenza 14 febbraio 2019 Narjis c. Italia, là dove si afferma che "si deve accettare che tutti i rapporti sociali tra gli immigrati stabilmente insediati e la comunità nella quale vivono facciano parte integrante della nozione di "vita privata" ai sensi dell'art. 8. Indipendentemente dall'esistenza o meno di una "vita familiare", l'espulsione di uno straniero stabilmente insediato si traduce in una violazione del suo diritto al rispetto della sua vita privata".
Ne deriva, secondo la ricostruzione delle Sezioni Unite, che la protezione offerta dall'art. 8 CEDU concerne l'intera rete di relazioni che il richiedente si è costruito in Italia; relazioni familiari, ma anche affettive e sociali (si pensi alle esperienze di carattere associativo che il richiedente abbia coltivato) e, naturalmente, relazioni lavorative e, più genericamente, economiche (si pensi ai rapporti di locazione immobiliare), le quali pure concorrono a comporre la "vita privata" di una persona, rendendola irripetibile, nella molteplicità dei suoi aspetti, "sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità".
Il comma 2 introduce una disciplina transitoria, in base alla quale alle domande di riconoscimento della protezione speciale presentate in data anteriore all’entrata in vigore del decreto-legge in esame (11 marzo 2023), nonché ai casi in cui lo straniero abbia già ricevuto dalla competente questura l’invito a presentare l’istanza di protezione speciale, continuano ad applicarsi le norme abrogate dal comma 1.
Con riferimento ai profili di diritto intertemporale derivanti dall’entrata in vigore delle disposizioni di cui al DL 130/2020, le Sezioni Unite della Cassazione, nella sentenza n. 24413 del 2021 hanno affermato che le norme del DL 130/2020, relative al divieto di respingimento del richiedente asilo quando esistano fondati motivi di ritenere che l'allontanamento dello straniero dal territorio nazionale comporti una violazione del diritto al rispetto della sua vita privata e familiare, si applicano retroattivamente – come previsto dall’articolo 15 dello stesso decreto-legge - ai procedimenti che, alla data della sua entrata in vigore, fossero pendenti davanti alle commissioni territoriali, al questore e alle sezioni specializzate dei tribunali, ma non a quelli pendenti, alla stessa data, davanti al giudice di rinvio o alla Corte di cassazione.
Il comma 3 prevede un’ulteriore disposizione intertemporale riguardante la durata dei permessi di soggiorno già rilasciati ai sensi dell’articolo 19, comma 1.1, terzo periodo, T.U. (oggetto di abrogazione ad opera del comma 1 dell’articolo in esame) e in corso di validità. Per effetto del comma 3 tali permessi sono rinnovati, per una sola volta e con durata annuale, a decorrere dalla data di scadenza.
Si ricorda che, ai sensi dell’articolo 19, comma 1.2 (inserito dal DL 130/2020) del Testo unico, nelle ipotesi di rigetto della domanda di protezione internazionale, ove ricorrano i requisiti di cui ai commi 1 e 1.1., la Commissione territoriale trasmette gli atti al Questore per l’esame dell’eventuale domanda di un permesso di soggiorno per protezione speciale.
Nel caso in cui sia presentata tale domanda, ove ricorrano i requisiti di cui ai commi 1 e 1.1, il Questore, previo parere della Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, rilascia un permesso di soggiorno per protezione speciale, disciplinato dall’articolo 32, comma 3, del D.lgs. n. 25 del 2008. Tale permesso di soggiorno, di durata biennale, è rinnovabile, previo parere della Commissione territoriale, e consente di svolgere attività lavorativa.
Rispetto alla disciplina speciale che viene introdotta dal comma in commento, quindi, la disciplina generale riguardante la protezione speciale non pone un limite alla possibilità di rinnovo del permesso di soggiorno.
Come si legge nella relazione illustrativa, l’ulteriore disposizione transitoria di cui al comma 3 è finalizzata a consentire ai titolari di permesso di soggiorno per protezione speciale ex art. 19, comma 1.1, terzo periodo T.U., di fruire di un congruo periodo di tempo, anche ai fini della ricerca di un lavoro stabile, per accedere al titolo di soggiorno per motivi di lavoro, evitando il rischio di cadere in una posizione di irregolarità.
Al riguardo, si valuti l’opportunità di specificare la disciplina applicabile, in caso di rinnovo, per i permessi per protezione speciale che saranno eventualmente rilasciati ai sensi del comma 2 (quelli cioè che faranno seguito ad istanze presentate fino alla data di entrata in vigore del decreto-legge o ad inviti a presentare istanze ricevuti fino alla medesima data).
Il comma 3 in commento, infatti, disciplina il rinnovo unicamente per “i permessi di soggiorno già rilasciati” alla data di entrata in vigore del decreto-legge, senza fare riferimento ai casi pendenti del richiamato comma 2.
Articolo 8
(Disposizioni penali)
L’articolo 8 reca disposizioni penali volte, da un alto, a inasprire le pene per i delitti concernenti l’immigrazione clandestina e, dall’altro, a prevedere la nuova fattispecie di reato di morte e lesioni come conseguenza di delitti in materia di immigrazione clandestina.
A tal fine, l’articolo in commento interviene sul Testo unico sull’immigrazione nonché, a fini di coordinamento, su alcune disposizioni dell’ordinamento penitenziario e del codice di procedura penale.
Il comma 1, lettera a) interviene sulle cornici edittali delle fattispecie delittuose previste dai commi 1 e 3 dell’art. 12 del Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e la condizione giuridica dello straniero (D. Lgs. 286/1998) innalzando di un anno i rispettivi limiti minimi e massimi di pena detentiva.
In particolare, il comma 1 dell’art. 12 punisce la condotta di chiunque, in violazione delle disposizioni del T.U. immigrazione, promuove, dirige, organizza, finanzia o effettua il trasporto di stranieri nel territorio dello Stato ovvero compie atti diretti a procurare l’ingresso illegale di stranieri nel territorio dello Stato ovvero di altro Stato di cui non siano cittadini o residenti permanenti. La novella in commento prevede per tale condotta la pena della reclusione da due a sei anni (il testo previgente prevedeva la pena della reclusione da uno a cinque anni; resta ferma, rispetto al testo previgente, l’ulteriore pena della multa di 15.000 euro per ogni persona).
Il comma 3 dell’art. 12 punisce la condotta di chiunque ponga in essere gli atti di cui al comma 1 quando:
- il fatto riguarda l’ingresso di cinque o più persone;
- la persona trasportata è stata esposta a pericolo per la vita o l’incolumità; la persona trasportata è stata sottoposta a trattamento inumano o degradante;
- il fatto è stato commesso da tre o più persone in concorso o utilizzando servizi di trasporto internazionali ovvero documenti contraffatti o alterati o illegalmente ottenuti;
- gli autori del fatto hanno disponibilità di armi o esplosivi.
La novella prevede per tale condotta la pena della reclusione da sei a sedici anni (il testo previgente prevedeva la pena della reclusione da cinque a quindici anni; resta ferma, rispetto al testo previgente, l’ulteriore pena della multa di 15.000 euro per ogni persona).
Il comma 1, lettera b) introduce nel Testo unico sull’immigrazione l’articolo 12-bis, volto a prevedere la nuova fattispecie di reato di morte e lesioni come conseguenza di delitti in materia di immigrazione clandestina.
Si tratta di un reato comune, in quanto può essere commesso da chiunque ponga in essere - in violazione delle disposizioni del T.U. immigrazione - una delle condotte descritte dal comma 1 del nuovo articolo, ossia: promuovere, dirigere, organizzare, finanziare o effettuare il trasporto di stranieri nel territorio dello Stato ovvero compiere altri atti diretti a procurarne illegalmente l’ingresso nel territorio dello Stato, ovvero di altro Stato del quale la persona non è cittadina o non ha titolo di residenza permanente. Per integrare la fattispecie occorre inoltre che il trasporto o l’ingresso siano attuati con modalità tali da esporre le persone a pericolo per la loro vita o per la loro incolumità o sottoponendole a trattamento inumano o degradante
Il comma 1 del nuovo articolo 12-bis individua la condotta del reato riproducendo il contenuto dei commi 1 e 3, lettere b) e c), dell’articolo 12 del Testo Unico.
Come è noto, l’articolo 12 comma 1 del Testo Unico disciplina il reato di favoreggiamento dell’ingresso illegale all’interno del territorio dello Stato. Il comma 3 del medesimo articolo prevede un’ipotesi aggravata della medesima fattispecie delittuosa. In particolare, il comma 1 punisce (per la cornice sanzionatoria v. sopra) chiunque, salvo che il fatto costituisca più grave reato, in violazione delle disposizioni del presente Testo unico, promuove, dirige, organizza, finanzia o effettua il trasporto di stranieri nel territorio dello Stato ovvero compie altri atti diretti a procurarne illegalmente l’ingresso nel territorio dello Stato, ovvero di altro Stato del quale la persona non è cittadina o non ha titolo di residenza permanente.
Il reato di favoreggiamento dell’ingresso illegale è un reato di mera condotta, a forma libera e di pericolo e appartenente alla categoria dei reati a consumazione anticipata, nei quali il reato si perfeziona già in presenza di una attività diretta e idonea alla realizzazione dell’obiettivo, non essendo necessario al suo perfezionamento l’effettivo ingresso illegale
Il comma 3 dell’articolo 12 del Testo Unico punisce le medesime condotte previste dal comma 1, tuttavia poste in essere attraverso determinate modalità, ossia quando: il fatto riguarda l’ingresso o la permanenza nel territorio statale di cinque o più persone; per procurarne l’ingresso la persona trasportata è stata sottoposta a pericolo per la sua vita o per la sua incolumità; la persona trasportata è stata sottoposta a trattamento inumano o degradante; il fatto è commesso da tre o più persone in concorso tra loro o utilizzando servizi internazionali di trasporto ovvero documenti contraffatti o alterati o comunque illegalmente ottenuti; gli autori del fatto hanno nella loro diponibilità armi o materiali esplodenti
Al riguardo le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, hanno specificato, con sentenza n. 40982 del 21 giugno 2018, che: “Le fattispecie previste nell’art. 12, comma 3, D.Lgs. n. 286 del 1998 configurano circostanze aggravanti del reato di pericolo di cui al comma 1 del medesimo articolo”.
L’elemento aggiuntivo che caratterizza la nuova fattispecie rispetto a tali condotte è la causazione non voluta di un evento in danno delle persone trasportate, o comunque oggetto dell’attività di immigrazione clandestina, prevedendosi le seguenti sanzioni:
- reclusione da 20 a 30 anni, se dal fatto deriva, quale conseguenza non voluta, la morte di più persone, oppure la morte di una o più persone e lesioni gravi o gravissime a una o più persone (comma 1, art. 12-bis);
- reclusione da 15 a 24 anni, se dal fatto deriva – sempre quale conseguenza non voluta – la morte di una singola persona (comma 2, art. 12-bis);
- reclusione da 10 a 20 anni, quando si verifichino lesioni gravi o gravissime a carico di una o di più persone (comma 2, art. 12-bis).
Per quanto riguarda la “conseguenza non voluta”, si ricorda la sentenza n. 22676 del 2009 dalle Sezioni unite penali della Corte di Cassazione, nella quale la Corte, in relazione al reato previsto dall’art. 586 c.p.. che, prevede anch’esso il riferimento alla “conseguenza non voluta”, ha affermato che, perché si possa rispondere per l’appunto di questa conseguenza non voluta, occorre “una responsabilità per colpa in concreto, ossia ancorata ad una violazione di regole cautelari di condotta e ad un coefficiente di prevedibilità ed evitabilità, in concreto e non in astratto, del rischio connesso alla carica di pericolosità per i beni della vita e dell’incolumità personale” fermo restando che, ai “fini della imputazione della conseguenza ulteriore non voluta di un reato-base doloso, la colpa non può essere presunta in forza della sola violazione della legge incriminatrice del reato doloso” essendo quindi necessario “che l’agente abbia violato una regola cautelare diversa dalla norma che incrimina il delitto base e che sia specificamente diretta a prevenire la morte o le lesioni personali” Occorre pertanto che sia accertata la sussistenza, da un lato, di un nesso di causalità fra il fatto-reato summenzionato “e l’evento morte o lesioni, non interrotto da fattori eccezionali sopravvenuti, e, da un altro lato, che l’evento non voluto sia comunque soggettivamente collegabile all’agente, ovvero sia a lui rimproverabile a titolo di colpa in concreto, valutata secondo i normali criteri di valutazione della colpa nei reati colposi” (Cass. pen., Sez. un., n. 22676/2009).
Il comma 3 dell’art. 12-bis disciplina le aggravanti per la nuova fattispecie di reato, prevedendo in particolare:
- l’aumento della pena fino ad un terzo quando ricorra una delle ipotesi previste dall’articolo 12, comma 3, lettere a), d) ed e) e dunque: se il fatto riguarda l'ingresso o la permanenza illegale nel territorio dello Stato di cinque o più persone; se il fatto è commesso da tre o più persone in concorso tra loro; se gli autori del fatto hanno la disponibilità di armi o materie esplodenti;
- l’aumento della pena da un terzo alla metà quando concorrono almeno due delle ipotesi predette, nonché nei casi previsti dall’articolo 12, comma 3-ter e dunque fatti commessi: allo scopo di reclutare persone da destinare alla prostituzione, allo sfruttamento sessuale o lavorativo, ovvero minorenni da impiegare in attività illecite; al fine di trarne un ingiusto profitto anche indiretto
Il comma 4 dell’art. 12-bis stabilisce che, per il nuovo delitto aggravato dalle circostanze di cui al comma 3, le attenuanti – salvo quelle della minore età (ex articolo 98 c.p.) e della minima partecipazione e della infermità o deficienza psichica (ex articolo 114 c.p.) - si computano solo dopo la determinazione della pena per il reato aggravato.
La disposizione introdotta riproduce quanto previsto dall’art. 12, comma 3-quater del T.U. immigrazione il quale dispone che le circostanze attenuanti, diverse da quelle previste dagli articoli 98 e 114 del codice penale, concorrenti con le aggravanti di cui ai commi 3-bis e 3-ter, non possono essere ritenute equivalenti o prevalenti rispetto a queste e le diminuzioni di pena si operano sulla quantità di pena risultante dall'aumento conseguente alle predette aggravanti. Nella tipizzazione di una circostanza aggravante "privilegiata" il legislatore enuncia il divieto di prevalenza e di equivalenza delle concorrenti circostanze attenuanti e dispone che "le diminuzioni di pena si operano sulla quantità della stessa risultante dall'aumento conseguente alla predetta aggravante". La formula normativa recepisce le indicazioni dettate dalla Corte costituzionale con le sentenze n. 38 del 1985 e n. 194 del 1985, che hanno escluso la illegittimità costituzionale di un'aggravante "privilegiata", ritenendo che anche rispetto ad essa le circostanze attenuanti possono operare, non in virtù del bilanciamento - vietato a favore delle attenuanti - ma in virtù del disposto dell'art. 63 c.p., comma 3, che, in caso di riconoscimento di circostanze ad effetto speciale, stabilisce che l'aumento o la diminuzione di pena conseguenti ad altre circostanze non operino sulla pena ordinaria del reato, ma sulla pena stabilita per la circostanza anzidetta.
Il comma 5 dell’art. 12-bis richiama l’applicazione di specifiche ulteriori disposizioni dell’art. 12 T.U., relative ai reati concernenti l’immigrazione clandestina ed in particolare di quelle relative: alla diminuzione di pena nei confronti dell'imputato che collabori con l'autorità di polizia o l'autorità giudiziaria (comma 3-quinquies); all’arresto in flagranza (comma 4); alla custodia cautelare in carcere (comma 4-bis) e alla confisca del mezzo di trasporto utilizzato per commettere il reato (comma 4-ter).
Si ricorda che il richiamato comma 3-quinquies dell’art. 12 T.U. immigrazione prevede che per i delitti previsti nel medesimo articolo, le pene sono diminuite fino alla metà nei confronti dell'imputato che si adopera per evitare che l'attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori, aiutando concretamente l'autorità di polizia o l'autorità giudiziaria nella raccolta di elementi di prova decisivi per la ricostruzione dei fatti, per l'individuazione o la cattura di uno o più autori di reati e per la sottrazione di risorse rilevanti alla consumazione dei delitti.
Il comma 4 dell’art. 12 prevede, per i medesimi delitti, l’obbligatorietà dell'arresto in flagranza.
Il comma 4-bis dispone che quando sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine alle ipotesi di reato aggravate previste dal comma 3 dell’art. 12, è applicata la custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari.
Infine il comma 4-ter prevede che nei delitti concernenti l’immigrazione clandestina è sempre disposta la confisca del mezzo di trasporto utilizzato per commettere il reato, anche nel caso di applicazione della pena su richiesta delle parti.
Il comma 6 del nuovo art. 12-bis introduce infine una norma sulla giurisdizione volta specificare che - fermo quanto disposto dall’articolo 6 c.p in tema di territorialità - ai fini della sussistenza della giurisdizione italiana, non assume rilievo la circostanza che l’evento della nuova fattispecie delittuosa (morte o lesioni) si sia verificato al di fuori del territorio dello Stato italiano ove si tratti di condotte finalizzate a procurare l’ingresso illegale nel territorio italiano.
L'art. 6, primo comma, c.p., afferma il principio di territorialità, stabilendo che un soggetto venga punito in base alla legge penale italiana quando il reato sia stato commesso «nel territorio dello Stato». Ai sensi del secondo comma, il reato si considera commesso nel territorio dello Stato, quando l'azione o l'omissione, che lo costituisce, è ivi avvenuta in tutto o in parte, ovvero si è ivi verificato l'evento che è la conseguenza dell'azione od omissione.
Quando si tratta di azione che si è svolta soltanto in parte nel territorio dello Stato, assumono rilievo tutte le frazioni dell'azione che comunque assumono importanza per il verificarsi dell'evento, compresi «gli atti preparatori, non essendo richiesti gli stessi caratteri di idoneità e di univocità propri del tentativo» ( C., Sez. VI, 9.12.2009; C., Sez. VI, 19.1.1988; C., Sez. VI, 13.6.1986), o anche semplici frammenti dell'azione purché preordinati al raggiungimento dell'obiettivo criminoso (C., Sez. VI, 11.2.2009; C., Sez. VI, 17.12.2002; C., Sez. VI, 28.11.2002) o frammenti che, seppur privi dei requisiti di idoneità e di inequivocità richiesti per il tentativo, siano apprezzabili in modo tale da collegare la parte della condotta realizzata in Italia a quella realizzata in territorio estero (C., Sez. VI, 24.4.2012, n. 16115, in tema di mandato di arresto europeo). È sufficiente che «ivi si sia verificato anche solo un frammento dell'iter criminoso e costituiscono parte dell'azione tutti i movimenti che, attuando una modificazione del mondo esteriore, possono contribuire alla consumazione del reato» (C., Sez. IV, 9.12.1992).
In particolare, la giurisprudenza ha precisato che sussiste la giurisdizione dello Stato italiano nei confronti di coloro che, agendo al di fuori del territorio nazionale abbiano abbandonato in acque extraterritoriali dei migranti condotti su natanti del tutto inadeguati, onde provocare l'intervento del soccorso in mare e far sì che i trasportati siano accompagnati nel tratto di acque territoriali dalle navi dei soccorritori, operanti sotto la copertura della scriminante dello stato di necessità (Cass. Pen., Sez. I, 28.2.2014, n. 14510). Anche se il trasporto di migranti è stato accertato in acque extraterritoriali, sussiste la giurisdizione nazionale se l'ingresso e lo sbarco dei cittadini extracomunitari soccorsi sia avvenuto in acque interne (Cass. Pen., Sez. I, 2.3.2017, n. 36837). Nello stesso senso la giurisprudenza ha chiarito che "In tema di immigrazione clandestina, la giurisdizione nazionale è configurabile anche nel caso in cui il trasporto dei migranti, avvenuto in violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 12, a bordo di una imbarcazione (nella specie, un gommone con oltre cento persone a bordo) priva di bandiera e, quindi, non appartenente ad alcuno Stato, secondo la previsione dell'art. 110 della Convenzione di Montego Bay delle Nazioni Unite sul diritto del mare, sia stato accertato in acque extraterritoriali ma, successivamente, nelle acque interne e sul territorio nazionale si siano verificati quale evento del reato l'ingresso e lo sbarco dei cittadini extracomunitari per l'intervento dei soccorritori, quale esito previsto e voluto a causa delle condizioni del natante, dell'eccessivo carico e delle condizioni del mare" (Cass. Pen. Sez. 1, n. 18354 del 11/03/2014; Cass. Pen. Sez. 1, n. 11165 del 22/12/2015).
D’altra parte la giurisprudenza di legittimità ha considerato sussistente la giurisdizione dello Stato italiano per il delitto di omicidio doloso plurimo commesso in alto mare a bordo di imbarcazioni prive di bandiera in danno di migranti trasportati illegalmente in Italia, in forza del principio di universalità della legge penale italiana di cui all'art. 3, comma secondo cod. pen. e - in virtù del rinvio di cui all'art. 7, n. 5, cod. pen. - della diretta applicazione della Convenzione ONU di Palermo sul contrasto alla criminalità organizzata transnazionale, trattandosi di reato grave, con effetti sostanziali nel territorio italiano, commesso da un gruppo criminale organizzato nell'ambito di una complessa condotta posta in essere allo scopo di commettere i reati previsti dalla Convenzione e dei Protocolli Addizionali, tra i quali rientra il traffico di migranti verso l'Italia (Cass. Pen., Sez. I, n. 31652 del 2021).
Negli ultimi anni, in diverse occasioni casi la Corte di Cassazione ha analizzato l’art. 7, comma 1, n. 5, cod. pen. – secondo il quale è punito secondo la legge italiana il cittadino o lo straniero che commette in territorio estero» un reato per il quale «disposizioni di legge o convenzioni internazionali stabiliscono l’applicabilità della legge penale italiana» - in combinato disposto con l’art. 15 della Convenzione di Palermo per affermare o meno la giurisdizione italiana in relazione a condotte commesse oltre i limiti territoriali (ex multis, v. le sentenze della Corte di Cassazione penale Sez. V n. 48250 del 2019, Sez I n. 20503 del 2015, Sez. I n. 14510 del 2014, Sez. I n. 36052 del 2014).
Si ricorda infatti che la Convenzione Onu contro la Criminalità organizzata transnazionale (United nations convention against Transnational Organized Crime, UNTOC), nota pure come Convenzione di Palermo, entrata in vigore nel 2003 contiene uno specifico protocollo concernente «il traffico di migranti via terra, mare e aria». La Convenzione, ratificata dall’Italia nel 2006 (legge n. 146), riconosce la giurisdizione dello stato parte quando uno dei gravi reati da essa previsti (art. 5, par. 1) sia compiuto al di fuori del territorio di tale stato, ma «al fine di commettere un grave reato nel suo territorio» (art. 15, c. 2, lett. c).
L'art. 6 della Convenzione prevede espressamente l'obbligo di incriminazione penale degli atti intenzionali, commessi al fine di ottenere un vantaggio, di "traffico di migranti", come definito all'art. 3, nonché "quando l'atto è commesso al fine di permettere il traffico di migranti". Lo Stato italiano ha, quindi, assunto l'obbligo convenzionale di perseguire determinati reati e ne ha, poi, dato applicazione nel diritto interno, sia mediante la previsione di specifiche fattispecie delittuose o circostanze aggravanti (L. 16 marzo 2006, n. 146; D.Lgs. n. 25 luglio 1986, n. 286).
Si ricorda inoltre che l'art. 1, par. 3, del Protocollo addizionale della Convenzione, espressamente stabilisce che “i reati previsti conformemente all'art. 6 del presente Protocollo sono considerati come reati previsti ai sensi della Convenzione”, così, per un verso, integrando il catalogo dei reati contenuto negli artt. 5, 6, 8 e 23 della Convenzione di Palermo, e, per altro verso, specificamente indicando le condotte che lo Stato parte è tenuto a punire come reato transnazionale che vede coinvolto un gruppo criminale organizzato, se "è commesso in uno Stato ma ha effetti sostanziali in un altro Stato" (art. 3, par. 2, lett. d), Convenzione di Palermo).
Al riguardo, in particolare, con la sentenza Cass. Pen., Sez. I, n. 31652 del 2021 la Corte di Cassazione ha precisato che «il criterio di collegamento che rende incondizionatamente punibile la condotta commessa in "alto mare", quando sia anticipatamente individuata dagli scafisti la sperata località di approdo nel territorio italiano, ma essa sia poi occasionalmente individuata dal soccorso prestato in ambito SAR, va ravvisato nella previsione dell'art. 7 c.p., comma 1, n. 5»
Secondo la Corte «il concomitante operare, da un lato, delle disposizioni incriminatrici della legge speciale (D.Lgs. n. 286 del 1998) - che descrivono una specifica condotta che, qualora abbia natura transazionale e veda coinvolto un gruppo criminale organizzato, come definito dall'art. 1, lett. a), della Convenzione di Palermo, con riflessi sul territorio dello Stato - e del principio di universalità della legge penale italiana di cui all'art. 7 c.p., comma 1, n. 5, rendono incondizionatamente punibili secondo la legge italiana le suddette condotte commesse all'estero in quanto previste dalla Convenzione. Costituisce perciò valido criterio di collegamento per l'operare incondizionato della giurisdizione penale italiana (rectius: per l'applicazione universale della legge penale italiana) il traffico organizzato di migranti commesso fuori dal territorio nazionale, ma che fin dalla sua programmazione è destinato ad avere effetti sul territorio nazionale per mezzo dell'approdo sulle coste italiane, eventualmente conseguito tramite il salvataggio da parte delle autorità preposte».
I commi 2, 3 e 4 dell’articolo 8, recano talune disposizioni di coordinamento volte a rendere applicabili anche al nuovo reato di cui all’art. 12-bis T.U. immigrazione, oltre che a quello di cui all’art. 12, talune norme della legge sull’ordinamento penitenziario e del codice di procedura penale, relative:
· al divieto di concessione di taluni benefici penitenziari (cd. “reati ostativi”);
· all’attribuzione della competenza a esercitare le funzioni del pubblico ministero alla procura distrettuale;
· al maggior termine di durata massima delle indagini preliminari.
In assenza delle modifiche in commento le predette norme sarebbero risultate applicabili alle fattispecie di cui all’art. 12 del Testo unico sull’immigrazione e non anche a quelle, di maggiore gravità, di cui al nuovo art. 12-bis.
In particolare, il comma 2 interviene sull’art. 4-bis, commi 1 e 1-bis, dell’ordinamento penitenziario (L. 354/1975), al fine di ricomprendere il reato di cui al nuovo articolo 12-bis del Testo unico sull’immigrazione fra quelli cosiddetti “ostativi”, vale a dire fra quelli che non consentono la concessione di taluni benefici previsti dall’ordinamento penitenziario medesimo.
L’art. 4-bis OP – modificato, da ultimo, dal DL 162/2022, conv. con modificazioni dalla L. 199/2022, a seguito del monito della Corte costituzionale di cui all’ordinanza 97/2021 - prevede, al comma 1, che l’assegnazione al lavoro all’esterno, i permessi premio e le misure alternative alla detenzione di cui al capo VI del medesimo OP ad eccezione della liberazione anticipata (affidamento in prova al servizio sociale, detenzione domiciliare, semilibertà) non possano essere concessi ai detenuti o internati per una serie di delitti di criminalità organizzata di particolare gravità (ad esempio, delitti per finalità di terrorismo o commessi avvalendosi del vincolo associativo mafioso, traffico di stupefacenti, tratta, prostituzione minorile, pedopornografia, sequestro di persona a scopo di estorsione, delitti, per l’appunto, di cui al Testo unico sull’immigrazione), salvo che i beneficiari collaborino con la giustizia. Ai sensi del comma 1-bis i benefici possono essere concessi anche in assenza di collaborazione qualora sia dimostrato l’adempimento delle obbligazioni civili e degli obblighi di riparazione conseguenti alla condanna o l’assoluta impossibilità della collaborazione e che sussistano elementi specifici che consentano di escludere l’attualità o il pericolo di ripristino di collegamenti con le organizzazioni criminali.
Il comma 3 interviene sull’art. 51, comma 3-bis, c.p.p.al fine di attribuire la competenza ad esercitare le funzioni del pubblico ministero nelle indagini preliminari e nei procedimenti di primo grado relativi al nuovo reato di cui all’art. 12-bis del Testo unico sull’immigrazione alla procura distrettuale, vale a dire alla procura presso il tribunale del capoluogo del distretto di corte d’appello.
L’art. 51 c.p.p., comma 3-bis, prevede la citata attribuzione delle funzioni del pubblico ministero alla procura distrettuale per una serie di delitti di criminalità organizzata di particolare gravità (ad esempio, delitti per finalità di terrorismo o commessi avvalendosi del vincolo associativo mafioso, traffico di stupefacenti, tratta, prostituzione minorile, pedopornografia, sequestro di persona a scopo di estorsione, delitti, per l’appunto, di cui al Testo unico sull’immigrazione).
Il comma 3, infine, interviene sull’art. 407, comma 2, lett. a), numero 7-bis c.p.p. al fine di ricomprendere il nuovo reato di cui all’art. 12-bis del Testo unico sull’immigrazione fra quelli per cui è previsto il termine di durata massima delle indagini preliminari di due anni (anziché diciotto mesi, come previsto in via generale per i delitti dal comma 1 del medesimo art. 407).
L’art. 407, comma 2, c.p.p. prevede che per una serie di delitti di particolare gravità o per i quali siano necessarie investigazioni particolarmente complesse il termine di durata massima delle indagini preliminare sia di due anni (in deroga al termine di diciotto mesi stabilito in via generale per i delitti dal comma 1 del medesimo art. 407).
Articolo 9
(Disposizioni in materia di espulsione e ricorsi sul riconoscimento della protezione internazionale)
L’articolo 9 introduce alcune modifiche in materia di espulsione e ricorsi e di decisioni sul riconoscimento della protezione internazionale. In particolare, il comma 1 prevede che il termine di sessanta giorni per i ricorsi avverso le decisioni sulle domande di protezione internazionale si applichi ove il ricorrente si trovi all’estero e non, come finora previsto, ove abbia la residenza all’estero. Il comma 2 elimina la necessità della convalida del giudice di pace per l’esecuzione con accompagnamento alla frontiera del decreto di espulsione disposta da un’altra autorità giudiziaria. Il comma 3 sopprime il meccanismo di intimazione a lasciare il territorio nazionale entro il termine di quindici giorni, previsto in occasione della notificazione allo straniero del rifiuto del permesso di soggiorno.
Il comma 1 interviene, con una novella all’articolo 35-bis, comma 2, primo periodo, del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25 (c.d. decreto procedure), sulla disciplina delle controversie in materia di riconoscimento della protezione internazionale, modificando la norma finora vigente in tema di presentazione del ricorso laddove il richiedente “risieda all’estero” per circoscriverla alla diversa ipotesi in cui il richiedente “si trovi in un paese terzo al momento della proposizione del ricorso”. Resta confermato che in tal caso, come riformulato, il ricorso debba essere presentato, a pena di inammissibilità, entro sessanta giorni dalla notificazione del provvedimento (in luogo del termine ordinario di trenta giorni).
In proposito è utile ricordare che contro il provvedimento della Commissione territoriale (o della Commissione nazionale per il diritto di asilo) che, all’esito del procedimento amministrativo, ha totalmente respinto la domanda di protezione internazionale o ha riconosciuto allo straniero un tipo di protezione minore rispetto a quanto richiesto, il richiedente protezione può proporre ricorso all’autorità giudiziaria (art. 35, D.Lgs. n. 25/2008). Tali controversie sono disciplinate dall’art. 35-bis, che in primo luogo definisce i termini per la proposizione del ricorso, che di norma sono pari a trenta giorni dalla notificazione del provvedimento che ha deciso sulla domanda di protezione internazionale.
Il ricorso va proposto, a pena di inammissibilità, entro trenta giorni dalla notificazione del provvedimento (60 giorni, se il richiedente asilo risiede all’estero). Il termine per proporre il ricorso è invece sessanta giorni, se il richiedente asilo risiede all’estero e di quindici giorni nei casi dell’art. 28-bis co. 2 (ad es. domanda reiterata o manifestamente inammissibile) e quando nei confronti del ricorrente è stato adottato un provvedimento di trattenimento ex art. 6 D.Lgs. n. 142/2015.
Secondo quanto evidenziato nella relazione illustrativa del provvedimento, la modifica intende ricondurre la previsione ad un dato fattuale e non “anagrafico” che è molto spesso di difficile verifica.
Il comma 2 elimina la necessità della convalida del giudice di pace per l’esecuzione dei decreti di espulsione giudiziaria mediante accompagnamento alla frontiera.
A tale fine, modifica l’articolo 13, comma 5-bis, del T.U. immigrazione che, nella formulazione finora vigente, prevede l’obbligo della convalida da parte del giudice di pace in tutti i casi di espulsione eseguita dal questore con accompagnamento coattivo alla frontiera, i quali sono tassativamente elencati al comma 4 dell’articolo 13 del medesimo Testo unico.
Si ricorda a tale proposito che i provvedimenti di espulsione (sia di natura amministrativa che giudiziaria, su cui si v. infra, box), sono eseguiti dal questore attraverso due modalità: con accompagnamento alla frontiera per mezzo della forza pubblica (espulsione forzata) o con intimazione a lasciare volontariamente il territorio nazionale (foglio di via) [21] .
Per quanto rileva in questa sede, l’espulsione con accompagnamento alla frontiera dalla forza pubblica è disposta qualora ricorrono una serie di ipotesi tassativamente indicate dalla legge (art. 13, comma 4, T.U. immigrazione), ossia:
a) in caso di espulsione ministeriale (art. 13 co. 1 TUI e D.L. n. 144/2005) e di espulsione per pericolosità sociale (art. 13, comma 2, lett. c) TUI);
b) quando sussiste il rischio di fuga (art. 13, co. 4-bis, TUI);
c) in caso di rigetto della domanda di permesso di soggiorno perché manifestamente infondata o fraudolenta;
d) qualora, senza un giustificato motivo, lo straniero non abbia osservato il termine concesso per la partenza volontaria (art. 13, co. 5, TUI);
e) quando lo straniero abbia violato una delle misure poste per la partenza volontaria, oppure una delle misure poste in luogo del trattenimento (art. 14 co.1-bis, TUI);
f) nelle ipotesi di espulsioni disposte dall’autorità giudiziaria (artt. 15 e 16 TUI) e qualora l’espulsione sia sanzione penale o conseguenza di una sanzione penale;
g) in caso di mancata richiesta del termine per la partenza volontaria (art. 13, co. 5.1, TUI).
In tutti i casi previsti, ai sensi del comma 5-bis del citato articolo 13, la convalida dell’accompagnamento alla frontiera segue una procedura in base alla quale il questore comunica immediatamente ed, in ogni caso, entro quarantotto ore dalla sua adozione, al giudice di pace territorialmente competente il provvedimento da lui adottato con il quale è disposto l'accompagnamento alla frontiera. L'esecuzione del provvedimento del questore di allontanamento dal territorio nazionale resta sospesa fino alla decisione sulla convalida.
L’udienza di convalida si svolge in camera di consiglio con la partecipazione necessaria del difensore; lo straniero è tempestivamente informato e condotto in udienza.
Il giudice decide sulla richiesta di convalida del questore entro le 48 ore successive alla comunicazione del provvedimento da convalidare in cancelleria, con decreto motivato, ricorribile per cassazione ma senza efficacia sospensiva.
Il decreto di convalida rende esecutivo il provvedimento di allontanamento alla frontiera, mentre il diniego di convalida fa cessare gli effetti del solo provvedimento di accompagnamento e non anche del provvedimento di espulsione.
Nelle more della decisione del giudice di pace sulla convalida dell’accompagnamento il Questore può disporre il trattenimento dello straniero in un centro di permanenza per il rimpatrio (il che comporta una successiva e distinta convalida giurisdizionale da parte del giudice di pace).
Il giudice di pace deve verificare la sussistenza nel caso concreto dei presupposti formali e sostanziali dell’accompagnamento alla frontiera:
1) l’esistenza di un legittimo provvedimento amministrativo di espulsione,
2) la situazione in cui si trova lo straniero espulso non rientra in nessuna delle ipotesi in cui la legge vieta l’espulsione o il respingimento,
3) la situazione in cui si trova lo straniero espulso rientra in una delle ipotesi in cui l’espulsione deve essere eseguita con accompagnamento alla frontiera da parte della forza pubblica,
4) il rispetto dei termini di 48 ore previsti per la comunicazione del provvedimento da parte del questore.
Il comma in esame, con una puntuale modifica all’articolo 13, comma 5-bis, del TUI, elimina l’obbligo di sottoporre a convalida l’esecuzione del decreto di espulsione disposta dal giudice a titolo di misura di sicurezza ovvero a titolo di sanzione sostitutiva o alternativa alla detenzione, ai sensi degli articoli 15 e 16 del Testo unico e le altre ipotesi di cui alla lettera f) dell’art, 13, co. 4, TU immigrazione. La relazione sul punto precisa che la disposizione in esame intende semplificare e velocizzare l’attuale procedura senza incidere sulle garanzie di tutela giurisdizionale in quanto la convalida viene eliminata per l’esecuzione dei decreti di espulsione disposta da un’altra autorità giudiziaria, in forza degli articoli 15 e 16 dello stesso Testo unico.
In merito, nel tenere conto che il provvedimento di espulsione sottratto dalla norma alla convalida del giudice di pace fa seguito a una decisione giurisdizionale, può risultare comunque utile richiamare la giurisprudenza costituzionale in base alla quale l’accompagnamento coattivo alla frontiera investe la libertà personale e dunque è una misura che deve essere assistita dalle garanzie previste dall’articolo 13 (in particolare con riferimento alla necessità che le misure limitative della libertà personale siano decise da un giudice) e dall’articolo 24, secondo comma (diritto di difesa) della Costituzione.
Tale assunto è stato affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 105 del 2001, con la quale la Corte chiariva, seppur in un diverso quadro normativo (che riguardava un caso di espulsione amministrativa disposto dal prefetto e non prevedeva alcuna convalida), che era necessario un controllo giurisdizionale sull’accompagnamento coattivo ad opera dell’autorità amministrativa, poiché l’autorità giudiziaria avrebbe dovuto portare il suo esame sui motivi che avevano indotto l'amministrazione procedente a disporre quella peculiare modalità esecutiva dell'espulsione amministrativa consistente nell’accompagnamento alla frontiera a mezzo di forza pubblica
[22]
.
I medesimi principî della tutela giurisdizionale, per cui non può essere eliminato l’effettivo controllo sul provvedimento de libertate, né può essere privato l’interessato di ogni garanzia difensiva, sono stati ribaditi nella sentenza n. 222 del 2004
[23]
, con la quale la Corte ha precisato che il giudice chiamato a convalidare quei provvedimenti disposti dall’autorità di pubblica sicurezza (che, nel quadro normativo allora vigente, potevano far seguito anche a una sentenza penale di condanna) deve comunque svolgere un controllo approfondito in concreto circa la sussistenza dei presupposti di fatto e di diritto e che la convalida giurisdizionale deve avvenire prima dell’esecuzione del provvedimento di accompagnamento alla frontiera, con la garanzia del contraddittorio.
Più di recente, la Corte ha riconosciuto la necessità che il legislatore “intervenga sul regime giuridico del respingimento differito con accompagnamento alla frontiera, considerando che tale modalità esecutiva restringe la libertà personale (sentenze n. 222 del 2004 e n. 105 del 2001) e richiede di conseguenza di essere disciplinata in conformità all’art. 13, terzo comma, Cost.” (sentenza n. 275 del 2017). Al monito hanno fatto seguito le correzioni all’art 10 TU immigrazione apportate con il D.L. 113 del 2018 che prevede l'estensione al provvedimento di respingimento dell'applicazione delle disposizioni circa la convalida da parte del giudice di pace e la ricorribilità innanzi all'autorità giudiziaria, già vigenti per il provvedimento di espulsione.
Il Testo unico sull’immigrazione contempla diversi tipi di espulsione del cittadino straniero riconducibili sostanzialmente a due categorie giuridiche:
a)
l’espulsione quale sanzione amministrativa, comminata, appunto, dall’autorità amministrativa (ministro o prefetto) in caso di violazione delle regole relative all’ingresso e al soggiorno o per motivi di ordine pubblico o di sicurezza;
b)
l’espulsione applicata dal giudice nell’ambito di un procedimento penale (l’espulsione a titolo di misura di sicurezza e l’espulsione a titolo di sanzione sostitutiva o alternativa a sanzione penale).
Esse rispondono a due distinte finalità: la prima punisce coloro che trasgrediscono le procedure fissate per l’ingresso e il soggiorno degli stranieri e costituiscono dunque una sanzione necessaria ai fini del loro rispetto. La seconda riguarda dunque i casi di comportamento delinquenziale dello straniero a prescindere dalla regolarità della sua posizione amministrativa.
L’art. 13 del Testo unico disciplina l’espulsione amministrativa prevedendo due tipologie distinte di provvedimento: l’espulsione disposta dal Ministro dell’interno per motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato (comma 1); l’espulsione disposta dal Prefetto (comma 2) nei seguenti casi:
-
quando lo straniero è entrato nel territorio dello Stato sottraendosi ai controlli di frontiera (immigrato clandestino);
-
quando lo straniero si è trattenuto nel territorio dello Stato senza aver chiesto il permesso di soggiorno nel termine prescritto, oppure quando il permesso di soggiorno è stato revocato o annullato o scaduto da più di sessanta giorni e non è stato chiesto il rinnovo (immigrato irregolare);
-
quando lo straniero sia un delinquente abituale o sia indiziato di appartenere ad associazioni criminali di tipo mafioso.
L’espulsione amministrativa (sia di iniziativa del Ministro dell’interno, sia quella prefettizia) è disposta con decreto motivato ed è eseguita dal questore (co. 3). L’espulsione viene di norma eseguita con accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica (co. 4).
Qualora lo straniero sia sottoposto a procedimento penale, l’esecuzione del provvedimento di espulsione è eseguita previo nulla osta dell’autorità giudiziaria che può essere negato in presenza di inderogabili esigenze processuali.
Per quanto riguarda l’espulsione giudiziaria, l’articolo 16 del Testo unico contempla l’ipotesi dell’espulsione dello straniero:
-
come sanzione sostitutiva della detenzione: il giudice, nel pronunciare condanna o sentenza di patteggiamento, per un reato non colposo nei confronti dello straniero, privo del titolo di permanenza in Italia, oppure quando la condanna riguarda il reato previsto dell’art 10-bis del TU (immigrazione clandestina) qualora non ricorrano le condizioni per applicare la sospensione condizionale della pena, può sostituire la pena detentiva, entro il limite di due anni, con la misura dell’espulsione per un periodo non inferiore a cinque anni
[24]
;
-
come sanzione alternativa alla detenzione: è disposta nei confronti del detenuto straniero, identificato, che deve scontare una pena detentiva, anche residua, non superiore a due anni. La misura si applica anche quando ricorrono le condizioni previste dall’art. 13 comma 2, del TU concernente l'espulsione amministrativa: ovvero se lo straniero, entrato nel territorio dello Stato sottraendosi ai controlli di frontiera e vi si è trattenuto senza chiedere il permesso di soggiorno, ed è considerato socialmente pericoloso. In questo caso, l’espulsione è disposta dal magistrato di sorveglianza che decide con decreto motivato dopo avere acquisito dagli organi di polizia informazioni sull’identità e la nazionalità dello straniero. Il decreto è comunicato all’interessato che, entro il termine di dieci giorni, può proporre opposizione davanti al tribunale di sorveglianza. Il tribunale decide entro il termine di venti giorni. L’esecuzione del decreto di espulsione rimane sospesa fino alla decorrenza dei termini di impugnazione e della decisione del tribunale di sorveglianza.
Inoltre, l’articolo 15 del Testo unico dispone che, al di fuori dei casi previsti dal codice penale, il giudice penale può ordinare l’espulsione dello straniero che sia condannato per taluno dei delitti previsti dagli artt. 380, 381, cod. proc. pen. (si tratta dei delitti per i quali è obbligatorio o facoltativo l’arresto in flagranza), sempre che risulti socialmente pericoloso (espulsione facoltativa).
Il comma 3 abroga l’articolo 12, comma 2, del regolamento di attuazione del TU immigrazione (adottato con D.P.R. n. 394/1999), ai sensi del quale, nel caso in cui le autorità rifiutino la domanda di permesso di soggiorno, il questore, in occasione della notificazione del rifiuto, concede allo straniero un termine non superiore a quindici giorni lavorativi, per presentarsi al posto di polizia di frontiera indicato e lasciare volontariamente il territorio dello Stato.
La relazione illustrativa motiva la soppressione del meccanismo di intimazione a lasciare il territorio nazionale con il contrasto con le norme europee e, segnatamente, con l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 2008/115/CE, in materia di rimpatri, in quanto, come indicato da ultimo nella raccomandazione 1 e 2 della decisione di esecuzione del Consiglio del 17 giugno 2022, “l’Italia è tenuta ad assicurare che sia emessa senza inutili ritardi una decisione di rimpatrio nei confronti di qualunque cittadino di paese terzo la cui domanda di soggiorno regolare o di protezione internazionale sia stata rigettata” nonché a “garantire che le decisioni di rimpatrio e i provvedimenti di allontanamento impongano un chiaro obbligo di rimpatrio in un paese terzo”
Sotto questo profilo, si ritiene, come evidenziato nella relazione, che l’invito previsto dalla disposizione ora abrogata allunghi “irragionevolmente i tempi dell’avvio del procedimento di rimpatrio che potrà prevedere, comunque, ai sensi dell’articolo 13 del TUI, la partenza volontaria o coattiva”.
L'articolo 6, paragrafo 1, della c.d. direttiva rimpatri stabilisce che ciascuno Stato membro adotti una decisione di rimpatrio nei confronti di qualunque cittadino di un paese terzo il cui soggiorno nel proprio territorio sia irregolare, situazione che si verifica quando la presenza nel territorio di uno Stato membro di un cittadino di un paese terzo che non soddisfi o non soddisfi più le condizioni di ingresso di cui all'articolo 5 del codice frontiere di Schengen o altre condizioni d'ingresso, di soggiorno di residenza in tale Stato membro.
I paragrafi da 2 a 5 dell'articolo 6 individuano i casi in cui gli Stati possono derogare all’adozione di una decisione di rimpatrio. Ciò avviene in primo luogo quando il cittadino di un paese terzo irregolarmente presente sul territorio dello Stato membro interessato sia in possesso di un permesso di soggiorno o altra autorizzazione che gli conferisca il diritto di soggiorno rilasciata da un altro Stato membro. In secondo luogo, secondo il paragrafo 3, agli Stati è data facoltà di astenersi dall'emissione della decisione di rimpatrio qualora un altro Stato membro, in base ad accordi o intese bilaterali vigenti al momento dell'entrata in vigore della direttiva, riprenda il cittadino di un Paese terzo interessato. In tal caso sarà quest'ultimo Stato, in base al rinvio al paragrafo 1 della medesima disposizione, a dover eventualmente adottare una decisione di rimpatrio.
Gli Stati membri possono comunque decidere in qualsiasi momento di rilasciare un permesso di soggiorno, o altra autorizzazione che conferisca il diritto a soggiornare, per motivi caritatevoli, umanitari o di altra natura a un cittadino di paese terzo irregolarmente presente sul loro territorio. In tal caso lo Stato non emette la decisione di rimpatrio, ovvero, nel caso questa sia già stata adottata, la revoca o la sospende per il periodo di validità del titolo di soggiorno concesso.
Infine, lo Stato deve valutare l'opportunità di astenersi dal disporre il rimpatrio nel caso in cui l'interessato si trovi nelle more della definizione della procedura per il rinnovo del permesso di soggiorno, o altra autorizzazione che conferisce un diritto al soggiorno, attendendo il completamento della suddetta procedura.
Articolo 10
(Disposizioni per il potenziamento dei
centri di permanenza per i rimpatri)
L’articolo 10 introduce la facoltà, per la realizzazione dei centri di permanenza per i rimpatri (CPR), di derogare, fino al 2025, dalle disposizioni di legge ad eccezione di quelle penali, antimafia e dell’Unione europea.
A tal fine viene modificato l’articolo 19 del decreto-legge 13/2017 inserendo un nuovo comma 3-bis che semplifica le procedure per la realizzazione dei centri di permanenza per i rimpatri attraverso la possibilità di derogare ad ogni disposizione di legge ad eccezione della legge penale e del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione e nel rispetto dei vincoli derivanti dall’appartenenza all’Unione europea.
L’efficacia della deroga è limitata fino al 31 dicembre 2025. Sulla normativa in materia di CPR si veda oltre il box).
Con le medesime finalità del provvedimento in esame, ossia assicurare la tempestiva esecuzione dei lavori per la costruzione, il completamento, l'adeguamento e la ristrutturazione dei CPR, l’articolo 2 del D.L. 113/2018 aveva autorizzato per tre anni (fino al 5 ottobre 2021), per lavori di importo inferiore alla soglia di rilevanza comunitaria, il ricorso alla procedura negoziata senza previa pubblicazione del bando di gara di cui all'articolo 63 del codice degli appalti. Si prevedeva, in ogni caso, che, nel rispetto dei principi di trasparenza, concorrenza e rotazione, l'invito contenente l'indicazione dei criteri di aggiudicazione fosse rivolto ad almeno cinque operatori economici.
La formulazione della deroga disposta dall’articolo in esame richiama una disposizione analoga recata dall'art. 1, comma 5, del D.L. 109/2018, in relazione ai poteri attribuiti al Commissario per la ricostruzione del viadotto Polcevera, noto come "ponte Morandi", di Genova. Già in precedenza il D.L. 129/2012 aveva previsto (art. 1) una disposizione simile riguardo ai poteri del Commissario per il risanamento ambientale e la riqualificazione del territorio della città di Taranto, che peraltro escludeva dalla deroga anche le norme in materia ambientale (D.lgs. 152/2006) e quelle del codice dei beni culturali e del paesaggio (D.Lgs. 42/2004).
Successivamente, altri provvedimenti di urgenza hanno fatto ricorso a meccanismo simili. Da ultimo, la legge di bilancio 2023 (legge 197/2022) in tre diversi contesti normativi: ai commi 475 (commissario straordinario per la realizzazione del collegamento intermodale Roma-Latina), 509 (commissario straordinario per il ripristino dell'impianto funiviario di Savona) e 591 (commissario straordinario per la realizzazione del Parco della salute, della ricerca e dell'innovazione di Torino). Due delle citate disposizioni (commi 475 e 591), specificano che il commissario straordinario opera in deroga alle disposizioni di legge in materia di contratti pubblici (D.Lgs. 50/2016).
Si ricorda anche l’articolo 75 del D.L. 18/2020 che ha autorizzato le pubbliche amministrazioni, fino al 31 dicembre 2020, ad acquistare beni e servizi informatici e servizi di connettività, mediante procedura negoziata senza previa pubblicazione di un bando di gara ed in deroga ad ogni disposizione di legge che disciplina i procedimenti di approvvigionamento, affidamento e acquisto di beni, forniture, lavori e opere, fatto salvo il rispetto delle disposizioni del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione. In questo caso, tuttavia, il legislatore ha posto diversi vincoli alle amministrazioni, tra questi la possibilità di procedere agli acquisti solo in presenza di esigenze di sicurezza pubblica, l’obbligo di trasmettere al Dipartimento per la trasformazione digitale e al Dipartimento della funzione pubblica della Presidenza del Consiglio dei ministri gli atti con i quali sono indette le procedure negoziate, l’acquisizione di una autocertificazione dell'operatore economico aggiudicatario attestante il possesso dei requisiti generali, finanziari e tecnici, la regolarità del DURC e l'assenza di motivi di esclusione secondo segnalazioni rilevabili dal Casellario Informatico dell'Autorità nazionale anticorruzione.
Come si legge nella relazione illustrativa, la disposizione in esame è motivata dall’esigenza di celerità connesse all’eccezionale afflusso di migranti che caratterizza l’attuale congiuntura.
Inoltre, la relazione illustrativa chiarisce che la deroga riguarda le disposizioni del codice dei contratti pubblici.
Si ricorda che il Codice dei contratti pubblici disciplina i contratti di appalto e di concessione delle amministrazioni aggiudicatrici e degli enti aggiudicatori aventi ad oggetto l'acquisizione di servizi, forniture, lavori e opere, nonché i concorsi pubblici di progettazione. Si tratta di una disciplina che, per i contratti di importo superiore alle soglie indicate dalle direttive europee in materia (per esempio, per gli appalti di lavori l’importo della soglia previsto dalla direttiva 2014/24/UE è pari a 5,382 milioni di euro), recepisce le disposizioni recate dalle medesime direttive.
Si fa altresì notare che, sulla base degli obiettivi previsti dal PNRR, il nuovo Codice dei contratti pubblici destinato a sostituire il vigente D.Lgs. 50/2016 dovrebbe entrare in vigore entro il 31 marzo 2023.
Sullo schema del nuovo Codice (Atto del Governo n. 19), nella seduta del 21 febbraio 2023, l'VIII Commissione (Ambiente) della Camera ha approvato un parere favorevole, con osservazioni, e nella stessa data l'8a Commissione (Ambiente) del Senato ha approvato anch'essa un parere favorevole con osservazioni.
L’articolo in esame dispone, inoltre, che per le procedure relative all’ampliamento della rete nazionale dei CPR l’Autorità nazionale anticorruzione (ANAC) assicuri, qualora richiesto, l’attività di vigilanza collaborativa di cui all’articolo 213, comma 3, lett. h), del codice dei contratti pubblici (D.Lgs. 50/2016). Anche questa disposizione era già prevista dall’articolo 2 del D.L. 113/2018 sopra richiamato.
L’ANAC è un’autorità amministrativa indipendente la cui missione istituzionale consiste nella prevenzione della corruzione in tutti gli ambiti dell’attività amministrativa.
All’Autorità sono attribuiti, tra gli altri, compiti di vigilanza e controllo sui contratti pubblici e l'attività di regolazione degli stessi. Tali compiti in precedenza erano svolti dall’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, poi soppressa e le cui funzioni sono state trasferite all’ANAC dal D.L. 90/2014, art. 19.
In particolare, all’ANAC è attribuito il compito, per affidamenti di particolare interesse, di svolgere una attività di vigilanza collaborativa attuata previa stipula di protocolli di intesa con le stazioni appaltanti richiedenti, finalizzata a supportare le medesime nella predisposizione degli atti e nell'attività di gestione dell'intera procedura di gara (art. 213, comma 3, lett. h). La disciplina puntuale dell’esercizio dell'attività di vigilanza collaborativa in materia di contratti pubblici è stata regolamentata con la delibera ANAC del 30 marzo 2022, n. 160/2022.
Le misure contenute nel codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, che rilevano sono, in particolare, quelle riguardanti i rapporti con le amministrazioni pubbliche. Il codice prevede un sistema di documentazione antimafia volto a impedire l’accesso a finanziamenti pubblici e la stipulazione di contratti con le pubbliche amministrazioni da parte di imprese e soggetti privati su cui grava il sospetto di infiltrazione da parte della criminalità organizzata. Il sistema è incentrato intorno all'art. 67, il quale dispone che l'applicazione, con provvedimento definitivo, di una delle misure di prevenzione previste dal Libro I, titolo II, capo II del codice (ovvero sorveglianza speciale di pubblica sicurezza, divieto di soggiorno in uno o più comuni diversi da quelli di residenza o di dimora abituale, obbligo di soggiorno nel comune di residenza o di dimora abituale) comporta la decadenza di diritto da licenze, autorizzazioni, concessioni, iscrizioni, attestazioni, abilitazioni ed erogazioni rilasciate da soggetti pubblici, nonché il divieto di concludere contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, di cottimo fiduciario e relativi subappalti e subcontratti, compresi i cottimi di qualsiasi tipo, i noli a caldo e le forniture con posa in opera. La conoscenza di tali situazioni si esplica attraverso la documentazione antimafia di cui all'art. 84 del codice, la quale comprende: la comunicazione antimafia, che consiste nell'attestazione della sussistenza o meno di una delle cause di decadenza, di sospensione o di divieto di cui all'articolo 67; l'informazione antimafia, che, oltre ad attestare la sussistenza o meno di una delle cause di decadenza, di sospensione o di divieto di cui all'articolo 67 come la comunicazione, è volta altresì ad attestare la sussistenza o meno di eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi di società o imprese. L'informazione viene richiesta prima di stipulare, approvare o autorizzare i contratti e subcontratti, ovvero prima di rilasciare o consentire i provvedimenti indicati nell'articolo 67, il cui valore sia: pari o superiore a quello determinato dalla legge in attuazione delle direttive comunitarie in materia di opere e lavori pubblici, servizi pubblici e pubbliche forniture; superiore a 150.000 euro per le concessioni di acque pubbliche o di beni demaniali per lo svolgimento di attività imprenditoriali, ovvero per la concessione di contributi, finanziamenti e agevolazioni su mutuo o altre erogazioni dello stesso tipo per lo svolgimento di attività imprenditoriali; superiore a 150.000 euro per l'autorizzazione di subcontratti, cessioni, cottimi, concernenti la realizzazione di opere o lavori pubblici o la prestazione di servizi o forniture pubbliche.
Le pubbliche amministrazioni e gli enti pubblici, gli enti e le aziende vigilati dallo Stato o da altro ente pubblico e le società o imprese comunque controllate dallo Stato o da altro ente pubblico, nonché i concessionari di lavori o di servizi pubblici hanno l'obbligo, a norma dell'art. 83 del codice, di acquisire tale documentazione attraverso la consultazione della banca dati nazionale o, in taluni casi, tramite richiesta alla prefettura territorialmente competente prima di stipulare, approvare o autorizzare i contratti e subcontratti relativi a lavori, servizi e forniture pubblici, ovvero prima di rilasciare o consentire i provvedimenti indicati nell'articolo 67.
Nei casi di urgenza ed esclusi i casi in cui è richiesta l'informazione antimafia, i contratti e subcontratti relativi a lavori, servizi o forniture ed i provvedimenti di rinnovo conseguenti a provvedimenti già disposti, sono stipulati, autorizzati o adottati previa acquisizione di apposita autodichiarazione con la quale l'interessato attesti che nei propri confronti non sussistono le cause di divieto, di decadenza o di sospensione di cui all'articolo 67 (art. 89 del codice).
I centri di permanenza per i rimpatri (CPR) sono luoghi di trattenimento del cittadino straniero in attesa di esecuzione del provvedimento di espulsione (art. 14, D.Lgs. 286/1998).
Quando non è possibile eseguire con immediatezza l'espulsione mediante accompagnamento alla frontiera o il respingimento, a causa di situazioni transitorie che ostacolano la preparazione del rimpatrio o l'effettuazione dell'allontanamento, il questore dispone che lo straniero sia trattenuto per il tempo strettamente necessario presso il centro di permanenza per i rimpatri più vicino, tra quelli individuati o costituiti con decreto del Ministro dell'interno, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze.
In tali strutture lo straniero deve essere trattenuto con modalità tali da assicurare la necessaria assistenza ed il pieno rispetto della sua dignità. Il trattenimento è disposto con provvedimento del questore per un periodo di 30 giorni, prorogabile fino al massimo di 90 giorni complessivi. In casi particolari il periodo di trattenimento può essere prolungato di altri 30 giorni.
Il decreto-legge n. 130 del 2020 recante misure urgenti in materia di immigrazione e di protezione internazionale ha introdotto diverse disposizioni sul trattenimento del cittadino straniero nei centri di permanenza per i rimpatri (articolo 3), tra queste si ricordano:
• la riduzione dei termini massimi di trattenimento da 180 (così fissati dal D.L. 113/2018) a 90 giorni, prorogabili di ulteriori 30 giorni qualora lo straniero sia cittadino di un Paese con cui l'Italia ha sottoscritto accordi in materia di rimpatri;
• la previsione che il trattenimento deve essere disposto con priorità nei confronti degli stranieri che siano considerati una minaccia per l'ordine e la sicurezza pubblica; siano stati condannati, anche con sentenza non definitiva, per gravi reati; siano cittadini o provengano da Paesi terzi con i quali risultino vigenti accordi in materia di cooperazione o altre intese in materia di rimpatri;
• l'estensione dei casi di trattenimento del richiedente protezione internazionale limitatamente alla verifica della disponibilità di posti nei centri;
• l'introduzione della possibilità, per lo straniero in condizioni di trattenimento di rivolgere istanze o reclami al Garante nazionale ed ai garanti regionali e locali dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale e, per il Garante nazionale, di formulare specifiche raccomandazioni all'amministrazione interessata.
Inoltre, si prevede l'applicazione dell'istituto dell'arresto in flagranza differita ai reati commessi in occasione o a causa del trattenimento in uno dei centri di permanenza per il rimpatrio o delle strutture di primo soccorso e accoglienza (articolo 6).
Il D.L. 13/2017, oltre a mutare la denominazione dei centri di identificazione ed espulsione in centri di permanenza per i rimpatri, ha disposto l'ampliamento della rete dei centri, in modo da assicurare la distribuzione delle strutture sull'intero territorio nazionale. A tal fine ha autorizzato la spesa 13 milioni di euro per le spese di realizzazione dei nuovi centri, mentre per le spese di gestione dei medesimi centri ha autorizzata la spesa di euro 3.843.000 nel 2017, di euro 12.404.350 nel 2018 e di euro 18.220.090 a decorrere dal 2019. Al Ministro dell'interno, d'intesa con il Ministro dell'economia e delle finanze, spetta il compito di adottare le iniziative per garantire l'ampliamento della rete dei centri la cui dislocazione avviene, sentito il presidente della regione o della provincia autonoma interessata, privilegiando i siti e le aree esterne ai centri urbani che risultino più facilmente raggiungibili e nei quali siano presenti strutture di proprietà pubblica, tenendo conto della necessità di realizzare strutture di capienza limitata idonee a garantire condizioni di trattenimento che assicurino l'assoluto rispetto della dignità della persona.
Sempre con la finalità di assicurare la tempestiva esecuzione dei lavori per la costruzione, il completamento, l'adeguamento e la ristrutturazione dei CPR, il decreto-legge n. 113 del 2018 (art. 2) ha consentito il ricorso alla procedura negoziata senza previa pubblicazione del bando di gara ai sensi dell’articolo 63 del codice dei contratti pubblici (decreto legislativo n. 50 del 2016). Il ricorso a tale procedura era autorizzato per un periodo non superiore a 3 anni dalla data di entrata in vigore del decreto-legge (ossia non oltre il 5 ottobre 2021) e per lavori di importo inferiore alla soglia di rilevanza comunitaria. Si prevedeva, inoltre, che nel rispetto dei principi di trasparenza, concorrenza e rotazione, l’invito contenente l’indicazione dei criteri di aggiudicazione dovesse essere rivolto ad almeno 5 operatori economici, se fossero presenti in tale numero soggetti idonei.
Successivamente, la legge di bilancio 2023, ha incrementato le risorse iscritte nello stato di previsione del Ministero dell’interno destinate all’ampliamento della rete dei CPR di complessivi 42.045.939 di euro per gli anni 2023-2025. Le risorse sono destinate da un lato alla costruzione e alla ristrutturazione dei centri di trattenimento e di accoglienza (che comprendono anche i CPR) e dall’altro alla gestione dei medesimi centri (L. 197/2022, art. 1, commi 678-679).
Al 18 ottobre 2022 risultano attivi 10 centri di permanenza per il rimpatrio per una capienza complessiva di 1.378 posti (relazione illustrativa del disegno di legge di bilancio 2023, A.C. 643). Essi sono dislocati a:
Bari;
Brindisi;
Caltanissetta;
Gradisca d’Isonzo (GO);
Macomer (NU);
Milano
Palazzo San Gervasio (PZ);
Roma;
Torino;
Trapani.
Articolo 11
(Clausola di invarianza finanziaria)
L’articolo 11 reca la clausola di invarianza finanziaria, in quanto prevede che il provvedimento non determini muovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica e che le Amministrazioni interessate provvedano all'attuazione delle attività previste con l'utilizzo delle risorse umane, strumentali e finanziarie già disponibili a legislazione vigente.
Articolo 12
(Entrata in vigore)
L'articolo 12 dispone che il presente decreto-legge 10 marzo 2023, n. 20, entri in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione in Gazzetta Ufficiale.
Il decreto-legge è dunque vigente dall’11 marzo 2023.
Si ricorda che, ai sensi dell'articolo 1 del disegno di legge di conversione del presente decreto, quest'ultima legge (insieme con le modifiche apportate al decreto in sede di conversione) entra in vigore il giorno successivo a quello della propria pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.
[1] Tali soggetti sono i medesimi soggetti coinvolti nell’adozione del documento programmatico previsto dall’articolo 3.
[2] Le lettere a) e b) del presente articolo 2, comma 1, novellano, rispettivamente, gli articoli 22 e 24 del Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni. La successiva lettera c) inserisce nel medesimo Testo unico l'articolo 24-bis.
[3] Tale disciplina transitoria è posta dall’articolo 44 del D.L. 21 giugno 2022, n. 73, convertito, con modificazioni, dalla L. 4 agosto 2022, n. 122, e successive modificazioni.
[4] Si ricorda che, ai sensi del comma 1 dell’articolo 22 del citato Testo unico di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, e successive modificazioni, in ogni provincia è istituito presso la prefettura-ufficio territoriale del Governo uno sportello unico per l'immigrazione, responsabile dell'intero procedimento relativo all'assunzione come lavoratori subordinati (a tempo determinato o indeterminato) di cittadini di Stati non appartenenti all'Unione europea (o di apolidi).
[5] Riguardo ai presupposti, cfr. anche infra.
Si ricorda altresì che il datore di lavoro deve previamente verificare, presso il centro per l'impiego competente, che non sia disponibile un lavoratore presente sul territorio nazionale (cfr. il comma 2 del citato articolo 22 e il comma 1 del citato articolo 24 del Testo unico di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, e successive modificazioni).
[6] Riguardo al visto di ingresso, cfr. infra.
[7] Si ricorda che, ai sensi degli articoli 5 e 5-bis del citato Testo unico di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, e successive modificazioni, il rilascio del permesso di soggiorno è subordinato alla previa stipulazione, tra il datore di lavoro e lo straniero, del contratto di soggiorno per lavoro subordinato, contenente: la garanzia, da parte del datore, della disponibilità di un alloggio per il lavoratore che rientri nei parametri minimi previsti dalla normativa sugli alloggi di edilizia residenziale pubblica; l'impegno al pagamento, da parte del datore, delle spese di viaggio per il rientro del lavoratore nel Paese di provenienza.
[8] La relazione illustrativa è reperibile nell'A.S. n. 591.
[9] Riguardo ai riferimenti di tale disciplina transitoria, cfr. supra, in nota.
[10] Riguardo ad essi, cfr. la circolare dell'Ispettorato nazionale del lavoro n. 3 del 5 luglio 2022.
[11] "Regolamento recante norme di attuazione del Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, a norma dell'articolo 1, comma 6, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286".
[12] Le novelle di cui al presente comma 1 concernono l'articolo 23 del Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni.
[13] Il presente comma 2 reca una novella all'articolo 6, comma 1, del citato Testo unico di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, e successive modificazioni.
[14] Riguardo a tale riferimento, cfr. supra, in nota.
[15] La disciplina attuativa di tali criteri è posta dall'articolo 34 del regolamento di cui al D.P.R. 31 agosto 1999, n. 394, e successive modificazioni ("Regolamento recante norme di attuazione del Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, a norma dell'articolo 1, comma 6, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286"), nonché dal D.M. 29 gennaio 2013.
[16] In conformità al principio posto dalla novella di cui all'articolo 2, comma 1, lettera a), numero 4), del presente decreto, principio che si inserisce nel nuovo contesto della procedura, come modificato dalle novelle di cui alla lettera a), numero 3), e di cui alle lettere b) e c) dello stesso articolo 2, comma 1. Si rinvia alla scheda di lettura del suddetto articolo 2.
[17] Cfr. supra, in nota, per gli specifici riferimenti all'interno dell'articolo 2.
[18] Riguardo al riferimento normativo, cfr. supra, in nota.
[19] Si ricorda che anche il permesso di soggiorno per motivi di studio o formazione consente l'esercizio di attività lavorative subordinate, entro un limite massimo di 20 ore per ciascuna settimana (articolo 14, comma 4, del citato regolamento di cui al D.P.R. n. 394 del 1999, e successive modificazioni).
[20] Si ricorda che, in base all'articolo 14, comma 6, del citato regolamento di cui al D.P.R. n. 394 del 1999, e successive modificazioni, nel caso di stranieri ammessi alla frequenza di corsi di formazione o allo svolgimento di tirocini formativi in Italia, la conversione in oggetto è possibile soltanto dopo la conclusione del corso di formazione o del tirocinio.
[21] In tal caso lo straniero può chiedere al prefetto, ai fini dell'esecuzione dell'espulsione, la concessione di un periodo per la partenza volontaria, anche attraverso programmi di rimpatrio volontario ed assistito. Il prefetto, valutato il singolo caso, con lo stesso provvedimento di espulsione, intima lo straniero a lasciare volontariamente il territorio nazionale, entro un termine compreso tra 7 e 30 giorni. Tale termine può essere prorogato, ove necessario, per un periodo congruo, commisurato alle circostanze specifiche del caso individuale, quali la durata del soggiorno nel territorio nazionale, l'esistenza di minori che frequentano la scuola ovvero di altri legami familiari e sociali, nonché l'ammissione a programmi di rimpatrio volontario ed assistito (art. 13, comma 5, T.U. immigrazione).
[22] Il TU immigrazione, nella formulazione allora vigente, prevedeva, all’articolo 13, che l'espulsione amministrativa dello straniero era disposta in ogni caso con decreto motivato e poteva avvenire in due modi: mediante intimazione a lasciare il territorio dello Stato entro il termine di quindici giorni e ad osservare le prescrizioni per il viaggio e per la presentazione all'ufficio di polizia di frontiera, oppure mediante accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica.
[23] La sentenza ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 13, co. 5-bis del TU immigrazione, come introdotto dal decreto-legge n. 51/2002, ai sensi del quale nei casi di espulsione con accompagnamento coattivo (che, nel quadro normativo allora vigente, potevano far seguito anche a una sentenza penale di condanna) il questore comunica immediatamente e, comunque, entro quarantotto ore dalla sua adozione al tribunale in composizione monocratica territorialmente competente il provvedimento con il quale è disposto l'accompagnamento alla frontiera. Il provvedimento è immediatamente esecutivo. Il tribunale in composizione monocratica, verificata la sussistenza dei requisiti, convalida il provvedimento entro le quarantotto ore successive alla comunicazione A seguito della sentenza, si intervenne a modificare la disciplina delle espulsioni con il decreto-legge n. 241/2004, che, tra l’altro, stabilì che il provvedimento di accompagnamento coattivo debba essere comunicato al giudice entro quarantotto ore dall'adozione e debba essere convalidato da questo nelle successive quarantotto, prevedendo espressamente che esso non possa essere eseguito prima di tale convalida.
[24] Non devono ricorrere le cause ostative indicate nell'articolo 14, comma 1, del Testo Unico che impediscono l’esecuzione immediata dell'espulsione con accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica (casi in cui si dispone il trattenimento).