Camera dei deputati - Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento Attività Produttive
Titolo: Misure urgenti per impianti di interesse strategico nazionale
Serie: Progetti di legge   Numero:
Data: 20/02/2023
Organi della Camera: X Attività produttive

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20 febbraio 2023

 

Misure urgenti per

impianti di interesse

strategico nazionale

 

 

 

 

 

D.L. 2/2023 – A.S. 455-A

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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I N D I C E

 

 

Schede di lettura. 5

Articolo 1, comma 1 (Modifiche alle misure di rafforzamento patrimoniale) 7

Articolo 1, comma 1-bis (Disposizioni relative al settore aeronautico) 10

Articolo 2 (Amministrazione straordinaria delle società partecipate) 12

Articolo 3 (Compensi degli amministratori straordinari delle grandi imprese in crisi) 16

Articolo 4 (Compensi degli amministratori giudiziari) 19

Articolo 4-bis (Ulteriori disposizioni riferite al comitato di sorveglianza) 21

Articolo 5 (Modifiche al decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231) 23

Articolo 6 (Disposizioni in materia di sequestro) 31

Articolo 7 (Disposizioni in materia di responsabilità penale) 37

Articolo 8 (Disposizione transitoria) 39

Articoli 9 e 10 (Clausola di invarianza finanziaria. Entrata in vigore) 43

 


Schede di lettura


Articolo 1, comma 1
(
Modifiche alle misure di rafforzamento patrimoniale)

 

 

L’articolo 1, comma 1 modifica le misure di rafforzamento patrimoniale previste dall'articolo 1, commi 1-ter e 1-quinquies del decreto legge n. 142 del 2019, volte ad assicurare la continuità del funzionamento produttivo dell'impianto siderurgico di Taranto della Società ILVA S.p.A.

In particolare, viene specificato che gli interventi di cui al comma 1-quinquies sono autorizzati anche in costanza di provvedimenti di sequestro o confisca degli impianti dello stabilimento siderurgico e viene eliminato il riferimento al fatto che gli stessi debbano essere effettuati nell'anno 2022. Viene inoltre modificata la definizione degli strumenti di intervento specificando che (sia ai sensi del comma 1-ter che del comma 1-quinquies) Invitalia è autorizzata a sottoscrivere, aumenti di capitale sociale o a erogare finanziamenti in conto soci secondo logiche, criteri e condizioni di mercato, che si convertono in aumento di capitale sociale su richiesta della medesima.

 

L'articolo 1, comma 1 del decreto in esame modifica l’articolo 1 del decreto legge n. 142 del 2019, che consente all'Agenzia Nazionale per l'attrazione investimenti e lo sviluppo d'impresa S.p.A. - Invitalia di realizzare interventi di politica industriale, nella forma, tra l'altro, di misure di rafforzamento patrimoniale volte ad assicurare la continuità del funzionamento produttivo dell'impianto siderurgico di Taranto della Società ILVA S.p.A., qualificato stabilimento di interesse strategico nazionale.

 

Più in particolare, l’articolo 1 del decreto legge n. 142 del 2019, al comma 1-ter, autorizza Invitalia a sottoscrivere ulteriori apporti di capitale (rispetto a quelli previsti dal comma 1 nei confronti della Banca del Mezzogiorno - Mediocredito Centrale S.p.A.) e a erogare finanziamenti in conto soci, nel limite massimo di 705 milioni di euro, per assicurare la continuità del funzionamento produttivo del citato impianto siderurgico.

Le modifiche previste dal comma 1, lettera a) dell'articolo in esame specificano che i finanziamenti in conto soci sono concessi secondo logiche, criteri e condizioni di mercato, e devono contenere una clausola che ne consenta la conversione in strumenti di capitale su richiesta di Invitalia.

 

Il successivo comma 1-quinquies ha autorizzato Invitalia a effettuare ulteriori interventi di rafforzamento patrimoniale rispetto a quelli previsti dal comma 1-ter, sino all'importo complessivamente non superiore a 1 miliardo di euro per il 2022. Il primo periodo della disposizione viene integralmente sostituito dal comma 1, lettera a) dell'articolo in esame, per effetto del quale:

-       viene specificato che gli interventi sono autorizzati anche in costanza di provvedimenti di sequestro o confisca degli impianti dello stabilimento siderurgico;

-       viene eliminato il riferimento all'anno 2022;

-       viene allineata la definizione degli strumenti di intervento a quanto previsto dal comma 1-ter, per cui Invitalia è autorizzata a sottoscrivere, aumenti di capitale sociale e a erogare finanziamenti in conto soci secondo logiche, criteri e condizioni di mercato, che si convertono in aumento di capitale sociale su richiesta della medesima. Tale formulazione è stata modificata in sede referente sostituendo la locuzione "da convertire" con l'espressione "che si convertono".

 

Invitalia è una società di proprietà del MEF, che ne è l'unico azionista, inserita nell’elenco dei soggetti ricompresi nel conto economico consolidato della P.A. tra gli “Enti produttori di servizi economici”. La mission di Invitalia è dare impulso alla crescita economica del Paese anche attraverso il sostegno di settori strategici per lo sviluppo e l'occupazione e il rilancio delle aree di crisi con particolare riguardo al Mezzogiorno. In tale ambito la società, anche nella veste di centrale di committenza e di società in house, supporta le pubbliche amministrazioni e gestisce gli incentivi nazionali che favoriscono la nascita di nuove imprese e le start-up innovative, finanzia i progetti d’impresa con piani di sviluppo, soprattutto nei settori innovativi e ad alto valore aggiunto, in coerenza con le linee di politica economica e finanziaria del Governo.

 

Come reso noto con il comunicato stampa del 14 aprile 2021, Invitalia ha sottoscritto l’aumento di capitale di AM InvestCo Italy S.p.A., la società affittuaria dei rami di azienda di ILVA in Amministrazione Straordinaria (per una ricostruzione sulla vicenda dell'amministrazione straordinaria si rinvia alla scheda di lettura relativa all'articolo 2 del decreto in esame). La sottoscrizione del capitale è avvenuta in attuazione dell’accordo di co-investimento tra Arcelor Mittal Holding S.r.l., Arcelor Mittal S.A. e Invitalia, già comunicato al mercato nel dicembre 2020, finalizzato ad avviare una nuova fase di sviluppo ecosostenibile dell’ILVA di Taranto. In particolare, Invitalia, su incarico del Governo italiano, ha sottoscritto, con i contributi in conto capitale assegnati dal MEF, azioni ordinarie per un importo di 400 milioni di euro e, a seguito dell’adesione all’aumento di capitale, ha acquisito il 50 per cento dei diritti di voto di AM InvestCo Italy che ha assunto la denominazione “Acciaierie d’Italia Holding S.p.A.”.

La situazione di Acciaierie d'Italia è stata oggetto di diversi incontri, nell'ambito dei tavoli di crisi attivati presso il Ministero delle imprese e del made in Italy (MIMIT). Nel corso dell'incontro del 13 dicembre 2021, il presidente del Consiglio di Amministrazione e l'amministratore delegato (A.D.) di Acciaierie d’Italia S.p.A. hanno illustrato le linee guida del nuovo piano industriale che ha l'obiettivo decennale di arrivare alla completa decarbonizzazione dello stabilimento di Taranto. La società ha rappresentato lo stato di "sospensione della governance aziendale, posto che Arcelor ha ceduto il 50 per cento dei diritti di voto a Invitalia (che detiene una quota azionaria del 40 per cento circa)", specificando che, per esercitare pienamente il proprio diritto di voto, Invitalia riteneva necessario che si realizzassero una serie di condizioni sospensive, tra cui, in primis, il dissequestro degli impianti.

Il successivo 23 giugno 2022 le parti sono tornate a incontrarsi e, in tale contesto, l'A.D. di Invitalia ha precisato che a società aveva siglato un accordo con i soci Arcelor Mittal che prevede, nel maggio 2024, la modifica dell’assetto azionario con il passaggio della maggioranza a Invitalia (60 per cento) al verificarsi di alcune condizioni: a) il dissequestro degli impianti; b) la sottoscrizione di un accordo tra azienda e organizzazioni sindacali; c) l’ottenimento dell’Autorizzazione integrata ambientale (AIA). Per una ricostruzione sulla vicenda dello stabilimento ILVA di Taranto con particolare riferimento all’attuazione del Piano Ambientale e all’esonero da responsabilità si rinvia alla scheda di lettura relativa alle disposizioni transitorie dettate dall'articolo 8 del decreto in esame.

Nell'incontro del 23 giugno 2022 la società ha manifestato inoltre le proprie difficoltà nell'accesso al credito, che sono state oggetto del successivo incontro, svolto il 3 agosto 2022, nel quale il MIMIT ha comunicato che era in corso un approfondimento con il MEF su come supportare l’azienda con la liquidità necessaria a rilanciare le produzioni, in considerazione dei costi delle materie di approvvigionamento e dei costi energetici, a tutela dei lavoratori e delle imprese dell'indotto, annunciando che a tal fine il Consiglio dei Ministri avrebbe discusso di uno specifico intervento strumento, che si è poi concretizzato nell'articolo 30 del decreto legge n. 115 del 2022, pubblicato il successivo 9 agosto, con cui è stato inserito nell'articolo 1 del decreto legge 142 del 2019 il comma 1-quinquies, che autorizza Invitalia a sottoscrivere strumenti ulteriori rispetto a quelli già effettuati.

L'ultimo incontro del tavolo di crisi per il quale risulti la pubblicazione di un verbale si è svolto il 17 novembre 2022. In tale contesto il MIMIT ha aperto la riunione ricordando la decisione improvvisa dell’azienda di fermare 145 aziende appaltatrici con implicazioni ritenute gravi per l’indotto e per il territorio. Il ministero ha auspicato un ripensamento da parte dell’azienda, considerando prioritaria la continuità produttiva strettamente connessa allo sviluppo del territorio. Le organizzazioni sindacali hanno rappresentato che sussistono pessime relazioni sindacali con il management aziendale, chiedendo la revoca della decisione di sospendere i contratti con le aziende fornitrici. Hanno evidenziato che la produzione è scesa a 3 milioni di tonnellate, chiedendo un intervento diretto dello Stato a sostegno dello stabilimento.

 


Articolo 1, comma 1-bis
(
Disposizioni relative al settore aeronautico)

 

 

L’articolo 1, comma 1-bis, introdotto in sede referente, posticipa il versamento dei diritti di regia dovuti dalle imprese alle quali nel 2022 è stata erogata l'ultima quota di finanziamento concesso ai sensi dell'articolo 3, comma 1, lettera a), della legge n. 808 del 1985, per la partecipazione ai progetti internazionali, relativi al settore aeronautico, sulla base di accordi di collaborazione industriale. La norma stabilisce che i versamenti dei diritti di regia precedentemente maturati sono effettuati, senza applicazione di interessi e sanzioni, in quattro quote uguali a decorrere dall’anno 2026 invece che dall’anno 2023.

 

L'articolo 1, comma 1-bis del decreto in esame, introdotto in sede referente, reca disposizioni relative al settore aeronautico, con l'obiettivo di garantire la continuità del funzionamento produttivo degli stabilimenti industriali nell'area di Taranto. Di conseguenza, la rubrica del Capo I viene integrata con il riferimento alle disposizioni relative (oltreché al settore siderurgico) al settore aeronautico.

 

In particolare, le norme in esame sono disposte ai sensi del decreto legge n. 1 del 2015, recante disposizioni urgenti per l'esercizio di imprese di interesse strategico nazionale in crisi e per lo sviluppo della città e dell'area di Taranto, e riguardano, in particolare, le imprese che svolgono attività industriale di rilevanza strategica per il sistema di difesa e sicurezza nazionale nel settore aeronautico, alle quali nel 2022 è stata erogata l'ultima quota di finanziamento concesso ai sensi dell'articolo 3, comma 1, lettera a), della legge n. 808 del 1985, per la partecipazione ai progetti internazionali sulla base di accordi di collaborazione industriale.

La legge n. 808 del 1985 persegue l'obiettivo di promuovere lo sviluppo tecnologico dell'industria aeronautica, di consolidare ed aumentare i livelli di occupazione e di migliorare il saldo della bilancia dei pagamenti del settore. A tal fine, vengono previsti strumenti volti a sostenere la partecipazione a programmi industriali aeronautici in collaborazione internazionale di imprese nazionali la cui attività principale riguarda la costruzione, trasformazione e revisione di aeromobili, motori, equipaggiamenti e materiali aeronautici nonché di parti degli stessi.

L'articolo 3 prevede tre tipologie di strumenti di sostegno all'attività di tali imprese:

a) finanziamenti per l'elaborazione di programmi e l'esecuzione di studi, progettazioni, sviluppi, realizzazione di prototipi, prove, investimenti per industrializzazione e avviamento alla produzione fino alla concorrenza dei relativi costi, inclusi i maggiori costi di produzione sostenuti in relazione all'apprendimento precedente al raggiungimento delle condizioni produttive di regime;

b) contributi in conto interessi, non superiori al 60 per cento del tasso di riferimento di cui all'articolo 20 del D.P.R. n. 902 del 1976, sui finanziamenti concessi da istituti di credito, per lo svolgimento dell'attività di produzione di serie, nella misura del 70 per cento del costo del programma di produzione considerato e per un periodo massimo di cinque anni. Per le iniziative localizzate nel Mezzogiorno la misura è rispettivamente elevata al 70 per cento e all'80 per cento;

c) contributi in conto interessi sui finanziamenti per un periodo massimo di dieci anni di istituti di credito relativi a dilazioni di pagamento ai clienti finali, nelle misure necessarie ad allineare le condizioni del finanziamento a quelle praticate dalle istituzioni finanziarie nazionali delle imprese estere partecipanti al programma.

 

La disciplina degli interventi relativi ai progetti di ricerca e sviluppo nell'area della sicurezza nazionale che beneficiano degli strumenti suddetti è stata adottata con D.M. n. 174 del 2010,

L'articolo 7 del D.M. prevede che le imprese realizzatrici di progetti funzionali alla sicurezza nazionale oggetto di interventi a valere sulla legge n. 808 del 1985 sono tenute, in relazione a vendita di prodotti in cui sono impiegate le tecnologie sviluppate nell'ambito dei medesimi progetti, al pagamento all'erario di diritti di regia, fino a concorrenza dell'importo degli interventi fruiti.

I diritti di regia sono definiti nel provvedimento di ammissione agli interventi del progetto, come quote degli incassi delle vendite dei prodotti indicati sopra, applicando aliquote anche differenziate secondo scaglioni di avanzamento degli incassi. Dal totale degli incassi previsti può essere esclusa la parte relativa alle vendite a enti istituzionalmente preposti alla tutela degli interessi della sicurezza nazionale.

L'impresa beneficiaria è tenuta a presentare al MIMIT, entro il 30 giugno di ciascun anno, una dichiarazione relativa agli incassi conseguiti nel precedente anno solare in relazione all'utilizzo commerciale dei risultati del progetto e a versare il relativo importo entro il successivo 31 luglio.

I versamenti dei diritti di regia hanno inizio l'anno successivo al completamento dell'erogazione dei finanziamenti di cui all'articolo 3, comma 1, lettera a) della legge n. 808 del 1985. I versamenti dei diritti di regia precedentemente maturati sono effettuati in quattro quote eguali di cui la prima versata l'anno successivo al completamento della erogazione dei finanziamenti.

 

Tutto ciò premesso, l'articolo 1, comma 1-bis del decreto in esame posticipa il versamento delle quote dei diritti di regia dovuti dalle imprese alle quali nel 2022 è stata erogata l'ultima quota di finanziamento. La norma stabilisce che i versamenti delle quote di diritti di regia precedentemente maturati e suddivisi in quattro quote uguali, in scadenza nel 2023, nel 2024, nel 2025 e nel 2026 siano effettuati, senza applicazione di interessi e sanzioni, rispettivamente entro il 31 dicembre 2026, entro il 31 dicembre 2027, entro il 31 dicembre 2028 ed entro il 31 dicembre 2029.

 

 


Articolo 2
(Amministrazione straordinaria delle società partecipate)

 

 

L’articolo 2 interviene sulla procedura speciale di ammissione immediata (cd. accesso diretto) all'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi, prevedendo che – per le imprese che gestiscono uno o più stabilimenti di interesse strategico nazionale non quotate – l'ammissione immediata alla procedura possa avvenire su istanza del socio pubblico detentore direttamente o indirettamente, secondo quanto specificato in sede referente, di almeno il 30 per cento delle quote societarie, qualora questi abbia segnalato all'organo amministrativo la ricorrenza dei requisiti per l’accesso e l'organo amministrativo abbia omesso di presentare l'istanza nei quindici giorni successivi.

 

Più in dettaglio, l'articolo 2 integra il comma 2 dell’articolo 2 del D.L. n. 347/2003 (convertito, con modificazioni, in L. n. 39/2004, cd. “Legge Marzano”) di un ulteriore periodo, il quale prevede che nei casi di società partecipate dallo Stato, ad eccezione di quelle quotate, l'ammissione immediata alla procedura di amministrazione straordinaria di imprese che gestiscono uno o più stabilimenti industriali di interesse strategico nazionale ai sensi dell'articolo 1 del D.L. n. 207/2012 (cd. D.L. ILVA, convertito, con modificazioni in L. n. 231/2012), può avvenire, su istanza del socio pubblico che detenga – direttamente o indirettamente, secondo quanto specificato in sede referente -  almeno il 30 per cento delle quote societarie, quando il socio stesso abbia segnalato all'organo amministrativo la ricorrenza dei requisiti per l’accesso immediato (indicati dall’articolo 1 del D.L. 347) e l'organo amministrativo, ricorrendo i suddetti requisiti, abbia omesso di presentare l’istanza di accesso entro i successivi quindici giorni.

 

L'amministrazione straordinaria è la procedura concorsuale della grande impresa commerciale insolvente, con finalità conservative del patrimonio produttivo, mediante prosecuzione, riattivazione o riconversione delle attività imprenditoriali. La disciplina è contenuta nel D.lgs. 8 luglio 1999 n. 270, cd. “Legge Prodi-bis” e nel D.L. 23 dicembre 2003, n. 347, convertito dalla legge 18 febbraio 2004, n. 39, e successive modificazioni e integrazioni (cd. “Legge Marzano”).

Rispetto alla procedura ordinaria di ammissione all’amministrazione straordinaria delineata nel D.lgs. n. 270/1999[1], il D.L. n. 347/2003 ha previsto un procedura speciale, di ammissione immediata - cd. accesso diretto - all'amministrazione straordinaria, operante, ai sensi di quanto previsto dall’articolo 1 del decreto legge, per imprese[2], con almeno 500 lavoratori subordinati e debiti per un ammontare complessivo non inferiore a 300 milioni di euro[3]. Tale disciplina speciale, adottata per far fronte al crack Parmalat, è stata ripetutamente modificata e implementata, anche per consentirne l'applicazione ad altri casi con requisiti diversi, come ad esempio Alitalia e, in particolare, ILVA.

Quanto specificamente all’accesso immediato, l’articolo 2, comma 1, del D.L. dispone che l’impresa che si trovi nelle condizioni di cui all’articolo 1 possa richiedere l’ammissione alla procedura al Ministro delle imprese e del made in Italy (presentando contestuale ricorso per la dichiarazione dello stato di insolvenza al tribunale competente). Ai sensi del comma 2, il Ministro, valutata la sussistenza dello stato di insolvenza e dei requisiti occupazionali e debitori richiesti, può procedere immediatamente, con proprio decreto, all'ammissione dell'impresa alla procedura di amministrazione straordinaria e alla nomina del commissario straordinario, (che assume dunque ab initio l’amministrazione dell’impresa).

Per le società operanti nel settore dei servizi pubblici essenziali, nonché per le imprese che gestiscono almeno uno stabilimento industriale di interesse strategico nazionale ai sensi dell’articolo 1 del D.L. n. 207/2012 (cd. D.L. ILVA), l'ammissione immediata alla procedura di amministrazione straordinaria, la nomina del commissario straordinario e la determinazione del relativo compenso, incluse le altre condizioni dell'incarico anche in deroga alla vigente normativa in materia, sono disposte con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri o del Ministro delle imprese e del made in Italy, con le modalità di cui all'articolo 38 del decreto legislativo n. 270, in quanto compatibili, e in conformità ai criteri fissati dal medesimo decreto. Tale decreto può prescrivere il compimento di atti necessari al conseguimento delle finalità della procedura.

 

Con Decreto del Ministro dello sviluppo economico del 21 gennaio 2015 ILVA S.p.a. è stata ammessa alla procedura di amministrazione straordinaria a norma dell’articolo 2, comma 2 del D.L. 347/2003 (conv. in legge n. 39/2004, cd. “Legge Marzano”); ai sensi dell’articolo 4 del medesimo D.L., la socità è stata dichiarata insolvente con sentenza del Tribunale di Milano.

Con successivi decreti del Ministero dello Sviluppo Economico in data 20 febbraio 2015 e 17 marzo 2015 e con D.M. 5 dicembre 2016 sono state ammesse alla procedura di amministrazione straordinaria e dichiarate insolventi con sentenze del Tribunale di Milano ai sensi del citato D.L. 347/2003, una serie di società facenti parte del gruppo societario: Ilva Servizi Marittimi S.p.A.; Ilvaform S.p.A.; Innse Cilindri S.r.l.; Sanac S.p.A.; Taranto Energia S.r.l.; Socova S.a.s.; Tillet S.a.s. Partecipazioni industriali S.p.A. (già Riva Fire S.p.A. in liquidazione)

Sono stati nominati i medesimi Commissari Straordinari nominati per ILVA S.P.A. ILVA S.p.A. dunque, in ragione dei suoi requisiti dimensionali occupazionali e di indebitamento, è stata assoggettata, e così le sopra citate altre società del gruppo, alla procedura speciale di ammissione immediata all'amministrazione straordinaria (cd. accesso diretto) di cui al D.L. n. 347/2003.

Secondo quanto poi disposto dall’articolo 2, comma 1 del D.L. n. 1/2015, l'ammissione di ILVA S.p.A. alla procedura concorsuale dell’amministrazione straordinaria ha determinato la cessazione dalla carica del commissario straordinario del governo disposto con D.L. n. 61/2013 per lo svolgimento delle azioni di bonifica ambientale. L’organo commissariale nominato per la procedura di amministrazione straordinaria è, dunque, subentrato anche nei poteri attribuiti per i piani e le azioni di bonifica previsti dal Piano delle misure e delle attività di tutela ambientale e sanitaria di ILVA.

In ragione della peculiare situazione di ILVA, le operazioni inerenti la cessione dei beni aziendali, nell'ambito della procedura di amministrazione straordinaria sono state dunque strettamente connesse, soprattutto a seguito dell'adozione del D.L. n. 98/2016, alla realizzazione delle misure e delle attività di tutela ambientale e sanitaria e sono state oggetto di ripetuti interventi legislativi. Dicasi al riguardo che - ai sensi della normativa vigente – il termine del programma dei Commissari straordinari coinciderà con il termine di ultimazione del Piano ambientale di ILVA (23 agosto 2023). In questo lasso di tempo, le attività dei Commissari e le attività del soggetto gestore promissario acquirente si intersecano.

Si rinvia alle relazioni trimestrali del Gruppo ILVA in A.S., l’ultima delle quali riguarda il II trimestre 2022.

Quanto alla cessione dei beni aziendali, in data 5 giugno 2017, è stato firmato dal Ministro dello Sviluppo Economico il decreto che autorizza i Commissari straordinari a procedere alla aggiudicazione dei complessi aziendali del gruppo Ilva S.p.A ad Am Investco Italy S.r.l , società controllata dalla società indiano lussemburghese ArcelorMittal[4]. Come si legge nel comunicato del MISE, l'offerta di Am Investco Italy S.r.l. ha previsto la realizzazione entro il 2023 degli interventi rientranti nel piano ambientale.

AM InvestCo, società controllata da ArcelorMittal, ha quindi sottoscritto, il 28 giugno 2017, un contratto di affitto con obbligo di acquisto dei rami d'azienda ILVA.

L'11 dicembre 2020 è stato firmato, tra la Società AM InvestCo e INVITALIA, un accordo vincolante - "Accordo di Investimento"-  per formare una partnership pubblico-privata tra le parti.

Su queste premesse,  il Decreto legge n. 103/2021 (L. n. 125/2021) ha autorizzato l'Agenzia nazionale per l'attrazione degli investimenti e lo sviluppo d'impresa S.p.A. - INVITALIA, a sottoscrivere apporti di capitale e ad erogare finanziamenti in conto soci nel limite massimo di 705 milioni di euro (articolo 3, comma 4-bis). Su tale punto incide, peraltro, l’articolo 1 del decreto legge qui in esame il quale prevede che il finanziamento soci sia da erogare secondo logiche, criteri e condizioni di mercato e da convertire in aumento di capitale sociale su richiesta di INVITALIA stessa.

Con il D.L. n. 115/2022 INVITALIA è stata poi autorizzata a sottoscrivere ulteriori aumenti di capitale o diversi strumenti, comunque idonei al rafforzamento patrimoniale, anche nella forma di finanziamento soci in conto aumento di capitale, sino all'importo complessivamente non superiore a 1 miliardo di euro per l'anno 2022 (art. 30, co. 1 L. n. 142/2022). Anche su tale punto incide l’articolo 1 del decreto legge in esame, il quale sopprime il richiamo ai “diversi strumenti, comunque idonei al rafforzamento patrimoniale” e prevede che INVITALIA possa procedere, a valere sulle predette risorse, ad aumenti di capitale sociale o finanziamento soci, secondo logiche, criteri e condizioni di mercato, da convertire in aumento di capitale sociale su sua stessa richiesta, anche in costanza di provvedimenti di sequestro o confisca degli impianti dello stabilimento siderurgico.

Il 14 aprile 2021, INVITALIA, su incarico del Governo italiano, ha quindi sottoscritto, con i contributi assegnati dal Ministero dell'Economia e delle Finanze, azioni ordinarie per un importo di 400 milioni di euro e, a seguito dell'adesione all'aumento di capitale, ha acquisito una partecipazione del 38% del capitale sociale (cui corrisponde il 50% dei diritti di voto) di AM InvestCo Italy che ha assunto la denominazione "Acciaierie d'Italia Holding S.p.A.".

Il closing dell'acquisto (e, dunque, il termine del periodo di affitto) da parte di AM InvestCo dei rami d'azienda Ilva, inizialmente previsto al 31 maggio 2022, è stato prorogato al 31 maggio 2024, ciò al fine di consentire a ILVA di chiedere la revoca dei provvedimenti giudiziari che gravano sullo stabilimento di Taranto.


Articolo 3
(Compensi degli amministratori straordinari delle grandi imprese in crisi)

 

 

L’articolo 3 modifica i criteri per la determinazione e le modalità di corresponsione del compenso ai commissari straordinari delle grandi imprese in stato di insolvenza; prevede, infatti, che il compenso remunerativo dell’attività gestionale parametrato al fatturato dell’impresa sia riconosciuto solo ove la gestione commissariale nell’esercizio d’impresa sia caratterizzata almeno dal pareggio tra ricavi e costi, con esclusione, quanto a questi ultimi, di quelli riferiti alle spese legali correlate alla rappresentanza in giudizio del commissario straordinario nell’ambito del contenzioso afferente agli interessi coinvolti nella procedura e agli adempimenti previsti dal medesimo D.Lgs. n. 270/1999; inoltre, condiziona il riconoscimento del 25 per cento del compenso complessivamente spettante ai commissari alla verifica del raggiungimento di specifici obiettivi di efficacia, efficienza ed economicità. Infine, si prevede la corresponsione di acconti sul compenso spettante al commissario straordinario nella sola fase di esercizio dell’impresa. Un emendamento approvato in sede referente prevede un aumento del 10 per cento del compenso per i commissari straordinari nel caso di ritorno in bonis dell’imprenditore in ragione dell’avvenuta soddisfazione integrale dello stato passivo e la riduzione del compenso del 10 per cento per i medesimi soggetti in caso di chiusura dell’esercizio di impresa dopo tre anni (quattro in caso di grandi imprese a cui si applica la disciplina di cui al D.L. n. 347/2003) dall’apertura dell’amministrazione straordinaria.

 

L'articolo 3 reca modifiche il D.Lgs. n. 270/1999, che disciplina l’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza.

 

Le modifiche, in particolare, incidono sulle modalità e sui criteri indicati all’articolo 47 per la determinazione e la corresponsione del compenso spettante al commissario straordinario.

 

Tali modifiche, chiarisce la relazione illustrativa, sono volte a introdurre meccanismi incentivanti e disincentivanti miranti a provocare una riduzione della durata delle procedure di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi, nonché una maggiore efficacia delle stesse.

 

Nel dettaglio, il comma 1, lettera a), come riformulato con un emendamento approvato in sede referente, prevede che la parte del compenso riconosciuto al commissario straordinario remunerativa dell’attività gestionale, parametrata al fatturato dell’impresa, solo ove la gestione commissariale nell’esercizio d’impresa sia caratterizzata almeno dal pareggio tra ricavi e costi, con esclusione, quanto a questi ultimi, di quelli riferiti alle spese legali correlate alla rappresentanza in giudizio del commissario straordinario nell’ambito del contenzioso afferente agli interessi coinvolti nella procedura e agli adempimenti previsti dal medesimo D.Lgs. n. 270/1999.

Si rammenta che l’articolo 47, comma 1, lettera b) prevede che il compenso del commissario straordinario si articoli in:

-       un compenso remunerativo dell'attività gestionale, parametrato al fatturato dell'impresa;

-       un compenso remunerativo dell'attività concorsuale, da liquidarsi in rapporto all'attivo realizzato al netto dei costi sostenuti per l'attività concorsuale e al passivo della procedura, secondo aliquote individuate in misura non superiore all'80% di quelle vigenti per la determinazione dei compensi dei curatori fallimentari e modulate sulla base di criteri predeterminati di apprezzamento della economicità, efficacia ed efficienza della procedura.

 

La relazione illustrativa precisa che con la modifica in oggetto si intende consentire la liquidazione delle somme parametrate al fatturato dell’impresa in amministrazione straordinaria «solo ove non siano state prodotte ulteriori perdite rispetto alla situazione esistente al momento della dichiarazione dello stato di insolvenza». In sede referente sono state apportate modifiche utili a chiarire e precisare gli effetti della disposizione.

 

La successiva lettera b) integra i criteri elencati al medesimo articolo 47 del D.Lgs. n. 270/1999, prevedendo:

-       la corresponsione di acconti sul compenso spettante al commissario straordinario nella sola fase di esercizio dell’impresa;

-       la subordinazione del 25 per cento del compenso complessivamente spettante al commissario straordinario alla verifica da parte dell’Autorità vigilante del conseguimento degli obiettivi di efficacia, efficienza ed economicità; in particolare:

o   per il 15 per cento (come da ultimo stabilito con un emendamento approvato in sede referente, anziché per il 10 per cento come originariamente previsto dal decreto-legge), avendo riguardo alle seguenti attività:

§  adempimento, sotto il profilo della tempestività e completezza, della trasmissione delle relazioni e comunicazioni obbligatorie;

§  adeguato soddisfacimento del ceto creditorio anche con riferimento ai creditori chirografari;

§  adozione di iniziative volte al mantenimento dei livelli occupazionali;

§  restituzione dell’eventuale importo della garanzia dello Stato concessa sui debiti dell’impresa in amministrazione straordinaria con istituzioni creditizie per il finanziamento della gestione corrente e per la riattivazione ed il completamento di impianti, immobili ed attrezzature industriali.

o   per il rimanente 10 per cento, prevede il testo riformulato in sede referente, avendo riguardo all’avvenuta chiusura dell’esercizio di impresa entro i due anni successivi all’ammissione dell’impresa all’amministrazione straordinaria, ovvero entro i tre anni successivi per le grandi imprese in stato di insolvenza, con almeno 500 dipendenti e almeno 300 milioni di euro di debiti, a cui si applica la disciplina di cui al D.L. n. 347/2003.

Un emendamento approvato in sede referente prevede misure volte a premiare i commissari straordinari nel caso di ritorno in bonis dell’imprenditore a seguito della soddisfazione integrale dello stato passivo ed a penalizzare i medesimi soggetti in caso di chiusura dell’esercizio di impresa dopo un lungo periodo. In particolare, si prevede:

-       la riduzione del 10 per cento del compenso, qualora la chiusura dell’esercizio di impresa avvenga dopo tre anni dall’apertura dell’amministrazione straordinaria (dopo quattro anni per le grandi imprese in stato di insolvenza, con almeno 500 dipendenti e almeno 300 milioni di euro di debiti, a cui si applica la disciplina di cui al D.L. n. 347/2003);

-       un incremento del 10 per cento sul compenso, ove all’atto di chiusura dell’amministrazione straordinaria sia accertato il ritorno in bonis dell’imprenditore, in ragione dell’avvenuta soddisfazione integrale dello stato passivo.

 

 


Articolo 4
(
Compensi degli amministratori giudiziari)

 

 

L’articolo 4 prevede che, con riguardo ai commissari giudiziari, il giudice, nell'utilizzare le tabelle e i parametri per la liquidazione dei compensi ad essi spettanti debba osservare un tetto massimo di 500.000 euro anche in caso di incarico collegiale.

 

Più nel dettaglio, l'articolo 4 aggiunge un ulteriore comma all'articolo 8 del decreto legislativo n. 14 del 2010.

 

Tale disposizione demanda ad un Regolamento il compito di stabilire le modalità di calcolo e di liquidazione dei compensi degli amministratori giudiziari dei beni sottoposti a misure reali di prevenzione, dettandone nel contempo i principi ai quali la disciplina secondaria si deve attenere. Si tratta dei seguenti principi:

a) previsione di tabelle differenziate per singoli beni o complessi di beni, e per i beni costituiti in azienda;

b) previsione che, nel caso in cui siano oggetto di sequestro o confisca patrimoni misti, che comprendano sia singoli beni o complessi di beni sia beni costituiti in azienda, si applichi il criterio della prevalenza, con riferimento alla gestione più onerosa, maggiorato di una percentuale da definirsi per ogni altra tipologia di gestione meno onerosa;

c) previsione che il compenso sia comunque stabilito sulla base di scaglioni commisurati al valore dei beni o dei beni costituiti in azienda, quale risultante dalla relazione di stima redatta dall'amministratore giudiziario, ovvero al reddito prodotto dai beni;

d) previsione che il compenso possa essere aumentato o diminuito, su proposta del giudice delegato, nell'ambito di percentuali da definirsi e comunque non eccedenti il 50 per cento, sulla base di una serie di elementi (dalla complessità dell'incarico alle concrete difficoltà di gestione; dalla possibilità di usufruire di coadiutori alla qualità dell'opera prestata e dei risultati ottenuti);

e) previsione della possibilità di ulteriore maggiorazione a fronte di amministrazioni estremamente complesse, ovvero di eccezionale valore del patrimonio o dei beni costituiti in azienda oggetto di sequestro o confisca, ovvero ancora di risultati dell'amministrazione particolarmente positivi;

f) previsione delle modalità di calcolo e liquidazione del compenso nel caso in cui siano nominati più amministratori per un'unica procedura.

In attuazione di quanto disposto dall' articolo 8 è stato adottato il D.P.R. 7 ottobre 2015, n. 177.

 

Il decreto legge in esame, come modificato nel corso dell’esame in sede referente, aggiunge un comma 2-bis all'articolo 8, ai sensi del quale, nei casi riguardanti le grandi imprese per le quali trova applicazione il decreto legislativo 8 luglio 1999, n. 270 sull’amministrazione straordinaria, in ogni caso, all'esito delle liquidazioni derivanti dall'applicazione del regolamento di cui ai commi 1 e 2, i compensi degli amministratori giudiziari non possono eccedere il limite massimo complessivo di euro 500.000, anche in caso di incarico collegiale.

 

Il comma 2-bis all'articolo 8, del decreto legislativo n. 14 del 2010, nella formulazione proposta dall’originario decreto-legge prevedeva che gli esiti liquidatori non potessero comunque eccedere il limite massimo complessivo di euro 500.000, anche in caso di incarico collegiale.

Con riguardo alla formulazione «In ogni caso gli esiti liquidatori derivanti dall'applicazione di cui ai commi 1 e 2 non possono eccedere il Comitato per la legislazione ha espresso l’esigenza di una riformulazione della disposizione, in quanto “(tale formulazione) non delinea con sufficiente chiarezza la finalità della disposizione, che è quella di dettare un limite massimo ai compensi degli amministratori giudiziari, né contiene il riferimento all'adozione del regolamento con il quale sono stabilite le modalità di calcolo e liquidazione dei compensi degli amministratori giudiziari, di cui ai commi 1 e 2 dello stesso articolo”.

 

Il decreto legislativo n. 270 del 1999 (c.d. legge Prodi-bis), definisce l'amministrazione straordinaria delle imprese in stato d'insolvenza come la procedura concorsuale della grande impresa commerciale insolvente, diretta alla conservazione del patrimonio produttivo, tramite la prosecuzione, la riattivazione ovvero la riconversione dell'attività imprenditoriale (art. 1). L'ambito dei soggetti ammessi alla procedura viene circoscritto alle imprese, anche individuali, soggette alle disposizioni sul fallimento e in possesso dei seguenti requisiti: un numero di lavoratori subordinati non

inferiore alle 200 unità (inclusi quelli che eventualmente fruiscono del trattamento di integrazione guadagni); debiti per un ammontare complessivo non inferiore ai due terzi, tanto del totale dell'attivo dello stato patrimoniale, che dei ricavi provenienti dalle vendite e dalle prestazioni dell'ultimo esercizio. Tali requisiti, è appena il caso di ricordare, non sono invece richiesti nel caso delle imprese confiscate alla criminalità organizzata di stampo mafioso che rientrano nell’ambito soggettivo di applicazione della disciplina (art. 2).

 

Nel corso dell’esame in sede referente è stata poi aggiunta una disposizione transitoria ai sensi della quale la nuova disciplina di cui al comma 2-bis dell’art. 8 del decreto legislativo n. 14 del 2010, trova applicazione con riguardo agli incarichi conferiti dopo la data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto in esame.


Articolo 4-bis
(Ulteriori disposizioni riferite al comitato di sorveglianza)

 

 

L’articolo 4-bis, introdotto in sede referente, modifica la disciplina del comitato di sorveglianza nominato nell'ambito della procedura di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza. In particolare, viene introdotto un termine di tre anni alla durata del mandato dei membri del comitato (rinnovabile sino all'estinzione della procedura) e, per i membri nominati in qualità di esperti, il limite al cumulo degli incarichi, per cui possono essere nominati solo coloro che non risultino già membri di un comitato. I soggetti già nominati, senza fissazione della durata della carica, decadono, salvo rinnovo, decorsi centoventi giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto in esame. Viene inoltre previsto che, entro novanta giorni da tale data, con decreto del Ministro delle imprese e del made in Italy, siano disciplinate una serie di regole di funzionamento del comitato.

 

L'articolo in esame modifica la disciplina dell'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza, prevista dal decreto legislativo n. 270 del 1999 (in merito alla quale vedi supra, scheda di lettura dell'articolo 2).

Il Capo II del Titolo III del decreto (articoli 37-47) reca le norme sugli organi dell'amministrazione straordinaria. L'articolo 37 prevede che la procedura si svolga ad opera di uno o tre commissari straordinari, sotto la vigilanza del Ministero delle imprese e del made in Italy (MIMIT), salve le competenze del tribunale e del giudice delegato nelle materie ad essi affidate. Il Ministero può avvalersi dell'opera di esperti o di società specializzate, a norma dell'articolo 3 della legge n. 140 del 1999, nonché del personale della Guardia di finanza.

Il successivo articolo 45 stabilisce che, entro quindici giorni dalla nomina del commissario straordinario, il Ministro delle imprese e del made in Italy nomina con decreto un comitato di sorveglianza, composto da tre o cinque membri e, fra questi, il presidente. Uno o due di essi, a seconda che il comitato sia composto da tre o cinque membri, devono essere scelti tra i creditori chirografari, mentre i membri residui tra persone particolarmente esperte nel ramo di attività esercitata dall'impresa o nella materia concorsuale. Il decreto di nomina del comitato è comunicato al tribunale che ha dichiarato lo stato di insolvenza, nonché alla regione ed al comune in cui l'impresa ha la sede principale.

 

L'articolo 4-bis, comma 1, del decreto in esame, introdotto in sede referente, inserisce nell'articolo 45 del decreto legislativo n. 270 del 1999 il nuovo comma 2-bis, per effetto del quale:

·       i membri del comitato durano in carica tre anni, rinnovabili sino all'estinzione della procedura;

·       possono essere nominati solo esperti che non risultino già membri di un comitato.

 

Il comma 2 dell'articolo prevede che i soggetti già nominati come membri del comitato di sorveglianza, senza fissazione della durata della carica, decadono, salvo rinnovo, decorsi centoventi giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto in esame. Viene inoltre previsto che, entro novanta giorni da tale data, con decreto del Ministro delle imprese e del made in Italy, siano disciplinati:

·       i poteri del presidente del comitato di sorveglianza,

·       l'esercizio delle funzioni assegnate al comitato,

·       le modalità di svolgimento delle adunanze e di adozione delle deliberazioni,

·       le informazioni che, periodicamente, devono essere trasmesse al MIMIT.

 


Articolo 5
(Modifiche al decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231)

 

 

L’articolo 5 reca modifiche al decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231 (disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica), in materia di sanzioni interdittive, misure cautelari e sequestro preventivo, al fine di limitare l’applicazione alle imprese di interesse strategico nazionale di misure che impediscano la prosecuzione dell’attività delle imprese medesime.

 

L’articolo 5 reca modifiche al decreto legislativo n. 231 del 2001 (disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica), in particolare introducendo disposizioni volte a restringere l’ambito di applicazione delle sanzioni interdittive (comma 1, lettere a e b), delle misure cautelari (comma 1, lettera c) e del sequestro preventivo (comma 1, lettera d), al fine di consentire la prosecuzione dell’attività delle imprese di interesse strategico nazionale.

Il decreto legislativo n. 231 del 2001 introduce e disciplina la responsabilità amministrativa derivante da reato, degli enti collettivi. In base al citato decreto legislativo, l’ente è punito con una sanzione di natura amministrativa, in quanto risponde di un illecito amministrativo, ma il sistema sanzionatorio è fondato sul sistema normativo penale. Riguardo alla natura della responsabilità degli enti, le Sezioni Unite della Cassazione hanno affermato che «il sistema normativo introdotto dal D.lgs. 231/2001, coniugando i tratti dell’ordinamento penale e di quello amministrativo, configura un “tertium genus” di responsabilità compatibile con i principi costituzionali di responsabilità per fatto proprio e di colpevolezza» (Cass. pen., sez. un., 24/04/2014, n. 38343). Il campo di applicazione del decreto riguarda tutti gli enti forniti di personalità giuridica, le società, le associazioni anche prive di personalità giuridica, gli enti pubblici economici e gli enti privati concessionari di un pubblico servizio. La normativa non è invece applicabile allo Stato, agli enti pubblici territoriali, agli enti pubblici non economici, e agli enti che svolgono funzioni di rilievo costituzionale

Ai sensi dell’articolo 5 del decreto legislativo 231, l’Ente può essere ritenuto responsabile in presenza di due presupposti oggettivi: 1) la realizzazione di un reato, compreso tra quelli tassativamente indicati dal Legislatore, da parte di una persona fisica legata all’Ente da un rapporto funzionale (apicale o sottoposto); 2) il fatto che il reato sia commesso nell’interesse dell’Ente o a suo vantaggio. Se il reato è stato commesso da un soggetto apicale, la responsabilità dell’Ente si presume, in quanto si ritiene che l’illecito sia espressione di una consapevole politica societaria finalizzata alla massimizzazione del profitto. Tale presunzione può essere superata, ai sensi dell’art. 6 comma 1 lettere a), b) e c) del decreto 231, se l’Ente dimostra: di aver adottato ed efficacemente attuato un modello di organizzazione idoneo a prevenire illeciti della stessa specie di quello verificatosi (tale modello deve essere sottoposto a verifica periodica relativa al rispetto delle procedure previste e deve essere modificato e corretto al verificarsi di significative violazioni delle prescrizioni in esso contenute); di aver adeguatamente controllato l’applicazione del modello, attraverso l’istituzione di un organismo di vigilanza; che gli autori del reato hanno eluso fraudolentemente il modello organizzativo e il controllo dell’organismo di vigilanza.

 

Il comma 1, lettera a), modifica il comma 1 dell’articolo 15 del decreto legislativo n. 231/2001, introducendo un ulteriore caso, rispetto a quelli già previsti dalle lettere a e b del predetto comma, in cui il giudice, se sussistono i presupposti per l’applicazione di una sanzione interdittiva, dispone, in luogo dell’applicazione della sanzione, la prosecuzione dell’attività dell’ente da parte di un commissario per un periodo pari alla durata della pena interdittiva.

L’accertamento della responsabilità di cui al decreto legislativo n. 231/2001 determina l’applicazione, in capo all’ente, di sanzioni. Sotto il profilo patrimoniale, dall’accertamento dell’illecito dipendente da reato discende sempre l’applicazione di una sanzione pecuniaria e la confisca del prezzo o del profitto del reato, anche per equivalente. In via cautelare, può essere disposto il sequestro delle cose che, costituendo prezzo o profitto del reato o loro equivalente monetario, sono suscettibili di confisca. In vista della confisca, può essere disposto il sequestro preventivo: a norma dell’articolo 53 comma 1-bis (v. scheda relativa all’articolo 6).

Nei casi previsti dalla legge, il giudice penale può applicare le sanzioni interdittive, che riguardano l’attività svolta dall’ente (disciplinate dal capo I, sezione I, del decreto legislativo n. 231/2001). L’articolo 9, comma 1, individua le seguenti sanzioni interdittive (che, ai sensi dell’articolo 14, comma 3, possono essere applicate anche congiuntamente):

-        l’interdizione dall’esercizio dell’attività (da applicarsi, ai sensi dell’art. 14, c. 4, in via residuale, quando le altre sanzioni risultino inadeguate);

-        la sospensione o la revoca delle autorizzazioni, licenze o concessioni funzionali alla commissione dell’illecito;

-        il divieto di contrattare con la P.A.;

-        l’esclusione da agevolazioni, contributi, finanziamenti o sussidi e la revoca di quelli eventualmente già concessi;

-        il divieto di pubblicizzare beni o servizi.

Ai sensi dell’articolo 13 le sanzioni interdittive si applicano - per un periodo non inferiore a tre mesi e non superiore a due anni - in relazione ai reati per i quali sono espressamente previste, qualora l’ente abbia tratto dal reato un profitto di rilevante entità e/o il reato sia stato commesso da soggetti in posizione apicale (o anche da soggetti in posizione non apicale quando la commissione del reato è stata determinata o agevolata da gravi carenze organizzative). È esclusa l’applicazione delle sanzioni interdittive nei casi previsti dall’articolo 12, comma 1 (il reato è stato commesso nel prevalente interesse dell’autore o di terzi e l’ente non ne ha ricavato vantaggio o ne ha ricavato un vantaggio minimo o il danno patrimoniale cagionato è di particolare tenuità).

Le lettere a e b del comma 1 dell’articolo 15, prevedono che il giudice disponga la prosecuzione dell’attività da parte del commissario in luogo dell’interdizione rispettivamente qualora l’ente svolga un pubblico servizio o un servizio di pubblica utilità la cui interruzione può provocare un grave pregiudizio alla collettività o qualora l’interruzione dell’attività sia suscettibile di determinare rilevanti ripercussioni sull’occupazione.

 

La nuova lettera a-bis) del comma 1 dell’articolo 15 del decreto legislativo n. 231/2001, introdotta dalla disposizione in commento, prevede che il giudice disponga la prosecuzione dell’attività da parte di un commissario in luogo dell’interdizione qualora l’attività sia svolta in stabilimenti o parti di essi dichiarati di interesse strategico nazionale ai sensi dell’articolo 1 del decreto legge n. 207/2012. Si precisa, inoltre, che nel caso di imprese che, dopo il verificarsi dei reati che danno luogo all’applicazione della sanzione, siano state ammesse alla procedura di amministrazione straordinaria, anche in via temporanea ex art. 1 del decreto legge n. 187/2022, la prosecuzione dell’attività è affidata al commissario già nominato nell’ambito della procedura di amministrazione straordinaria (sull’amministrazione straordinaria v. scheda di lettura relativa all’articolo 2).

Per quanto riguarda l’articolo 1 del decreto legge n. 187/2022, esso impone alle imprese, operanti nel settore della raffinazione di idrocarburi, che gestiscono attività di rilevanza strategica per l'interesse nazionale, di garantire la sicurezza degli approvvigionamenti e la continuità produttiva. Qualora le medesime imprese manifestino, entro il 30 giugno 2023, rischi di continuità produttiva, sono tenute a darne tempestiva comunicazione al Ministero delle imprese e del made in Italy, al fine dell’urgente attivazione delle misure di sostegno e tutela previste dalla legge. Nel caso in cui il rischio per la continuità produttiva sia imminente, l’impresa interessata può altresì richiedere di essere ammessa alla procedura di amministrazione temporanea, disposta con decreto del Ministro delle imprese e del made in Italy, che ne stabilisce termini e modalità, per un periodo massimo di 12 mesi, prorogabile una sola volta fino a ulteriori 12 mesi. L'amministrazione temporanea prevede la sostituzione degli organi di amministrazione e controllo e la nomina di un commissario che subentra nella gestione, per la quale può avvalersi anche di società a controllo o a partecipazione pubblica operanti nei medesimi settori. In caso di grave ed imminente pericolo di pregiudizio all’interesse nazionale alla sicurezza nell’approvvigionamento energetico, l'amministrazione temporanea può essere disposta con decreto del Ministro delle imprese e del made in Italy, del Ministro dell’economia e delle finanze e del Ministro dell’ambiente, anche indipendentemente dall'istanza di parte.

 

Il comma 1, lettera b), aggiunge il comma 1-bis all’articolo 17 del decreto legislativo n. 231/2001, prevedendo un ulteriore caso di inapplicabilità delle sanzioni interdittive rispetto a quelli ivi previsti.

Il comma 1 dell’art. 17 citato prevede che le sanzioni interdittive non si applichino quando, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, concorrano le seguenti condizioni: l’ente ha risarcito il danno e ha eliminato le conseguenze dannose o pericolose del reato o si è comunque efficacemente adoperato in tal senso; l’ente ha eliminato le carenze organizzative che hanno determinato il reato; l’ente ha messo a disposizione il profitto conseguito ai fini della confisca. Sul punto, la giurisprudenza ha precisato che “ … diversamente da quanto è previsto per le sanzioni pecuniarie all’art. 12 del decreto legislativo n. 231/2001, con riferimento alle sole sanzioni interdittive, l’art. 17 prevede che l’Ente possa evitarne l’applicazione, e dunque essere assoggettato alle sole sanzioni pecuniarie, attraverso il risarcimento integrale del danno, la eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato, l’eliminazione delle carenze organizzative che hanno agevolato la commissione del reato, l’adozione e l’attuazione dei modelli organizzativi idonei a prevenire i reati, la messa a disposizione del profitto conseguito illecitamente. Orbene, è pacifico che solo la contestuale ricorrenza di queste condizioni (“... le sanzioni interdittive non si applicano quando, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, concorrono le seguenti condizioni:..”), e non la sola predisposizione di un modello organizzativo idoneo alla prevenzione dei reati, determina l’inapplicabilità delle sanzioni interdittive” (Cass. Pen., Sez. III, 4 marzo 2020 n. 8785).

 

Il comma 1-bis dell’articolo 17 del decreto legislativo n. 231/2001, introdotto dalla disposizione in commento, prevede che in ogni caso le sanzioni interdittive non possano essere applicate quando pregiudicano l’attività svolta in stabilimenti o parti di essi dichiarati di interesse strategico nazionale ai sensi dell’articolo 1 del decreto legge n. 207/2012, qualora l’ente abbia eliminato le carenze organizzative che hanno determinato il reato mediante l’adozione di modelli organizzativi idonei a prevenire reati della stessa specie.

 

Si rammenta, a tal proposito, che l’articolo 17 del decreto legislativo n. 231/2001, al comma 1, lettera b), già prevede che le sanzioni interdittive non si applichino quando, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, l’ente abbia eliminato le carenze organizzative che hanno determinato il reato mediante l'adozione e l'attuazione di modelli organizzativi idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi. Si valuti pertanto l’opportunità di coordinare la disposizione di cui al comma 1-bis, introdotto con il decreto-legge in commento, con il succitato comma 1, lett. b) o di chiarirne la portata innovativa.

 

Il secondo periodo del medesimo comma 1-bis introduce una presunzione di idoneità del modello organizzativo. “Il modello organizzativo si considera sempre idoneo […]” qualora, nell’ambito della procedura di riconoscimento dell’interesse strategico nazionale ai sensi dell’articolo 1 del decreto legislativo n. 207/2012, siano stati adottati provvedimenti diretti a realizzare, anche attraverso l’adozione di modelli organizzativi, il necessario bilanciamento tra le esigenze connesse alla continuità dell’attività produttiva e alla salvaguardia dell’occupazione, da un lato, e quelle connesse alla tutela della sicurezza sul lavoro, della salute, dell’ambiente e degli altri eventuali beni giuridici lesi dagli illeciti commessi, dall’altro.

 

L’articolo 1 del DL 207/2012 dispone che, con D.P.C.M. può essere definito uno stabilimento di interesse strategico nazionale quando presso di esso sono occupati un numero di lavoratori subordinati, compresi quelli ammessi al trattamento di integrazione dei guadagni, non inferiore a duecento da almeno un anno e vi sia una assoluta necessità di salvaguardia dell'occupazione e della produzione; in tal caso, il Ministro dell'ambiente può autorizzare, in sede di riesame dell'autorizzazione integrata ambientale (AIA), la prosecuzione dell'attività produttiva per un periodo di tempo determinato non superiore a 36 mesi ed a condizione che vengano adempiute le prescrizioni contenute nel provvedimento di riesame della medesima autorizzazione, secondo le procedure ed i termini ivi indicati, al fine di assicurare la più adeguata tutela dell'ambiente e della salute secondo le migliori tecniche disponibili (comma 1).

Nei casi di cui al comma 1, le misure volte ad assicurare la prosecuzione dell'attività produttiva sono esclusivamente e ad ogni effetto quelle contenute nel provvedimento di autorizzazione integrata ambientale, nonché le prescrizioni contenute nel provvedimento di riesame dell’AIA. È fatta comunque salva l'applicazione delle disposizioni del d.lgs. n. 152 del 2006 in materia di riesame dell’AIA (art. 29-octies, c. 4), modifica degli impianti o variazione del gestore (art. 29-nonies) e rispetto delle condizioni dell’AIA (art. 29-decies).

La norma precisa inoltre che le disposizioni di cui al comma 1 trovano applicazione anche quando l'autorità giudiziaria abbia adottato provvedimenti di sequestro sui beni dell'impresa titolare dello stabilimento. In tale caso i provvedimenti di sequestro non impediscono, nel corso del periodo di tempo indicato nell'autorizzazione, l'esercizio dell'attività d'impresa (comma 4).

 

Si rammenta come la Corte Costituzionale, nel giudizio di legittimità costituzionale sull’articolo 1 e 3 del D.L. n. 207/2012 (la Corte ha dichiarato non fondate le questioni), abbia avuto modo di osservare come “la ratio della disciplina (..) consiste nella realizzazione di un ragionevole bilanciamento tra diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione (..) e al lavoro (art. 4 Cost.), da cui deriva l'interesse costituzionalmente rilevante al mantenimento dei livelli occupazionali ed il dovere delle istituzioni pubbliche di spiegare ogni sforzo in tal senso”(sentenza n. 85/2013). Il punto di equilibrio, afferma la Corte, è dinamico e non prefissato in anticipo, e deve essere valutato - dal legislatore nella statuizione delle norme e dal giudice delle leggi in sede di controllo - secondo criteri di proporzionalità e di ragionevolezza, tali da non consentire un sacrificio del loro nucleo essenziale.

Nella successiva sentenza n. 58/2018[5] la Corte torna sulla sua precedente pronuncia, affermando che con la citata sentenza n. 85 del 2013, essa rigettò la questione di legittimità costituzionale, ritenendo che il legislatore avesse effettuato un ragionevole e proporzionato bilanciamento predisponendo la disciplina di cui al citato art. 1, comma 4, del D.L. n. 207 del 2012. In quella ipotesi, infatti, la prosecuzione dell'attività d'impresa era condizionata all'osservanza di specifici limiti, disposti in provvedimenti amministrativi relativi all'autorizzazione integrata ambientale, e assistita dalla garanzia di una specifica disciplina di controllo e sanzionatoria.

Orbene, nella norma qui in commento, si prevede ora che “il modello organizzativo si considera sempre idoneo a prevenire i reati (della specie di quello verificatosi) “qualora, nell’ambito della procedura di riconoscimento dell’interesse strategico nazionale” (dunque, in sede di adozione del DPCM), “siano stati adottati provvedimenti diretti a realizzare, anche attraverso l’adozione di modelli organizzativi, il necessario bilanciamento” tra le esigenze implicate (continuità dell’attività produttiva e salvaguardia dell’occupazione, da un lato, e tutela della sicurezza sul lavoro, della salute, dell’ambiente e degli altri eventuali beni giuridici lesi dagli illeciti commessi, dall’altro). Si valuti l’opportunità di precisare a quali provvedimenti la disposizione si riferisce.

 

Il comma 1, lettera c), interviene sull’articolo 45 del decreto legislativo n. 231/2001 in materia di misure cautelari interdittive.

L’art. 45 citato prevede l’applicazione delle sanzioni interdittive previste dall’art.9, c. 2, del medesimo D. Lgs. (vedi sopra) quali misure cautelari, qualora sussistano gravi indizi di responsabilità dell’ente e il concreto pericolo di reiterazione degli illeciti. Le misure sono applicate dal giudice con ordinanza, su richiesta del pubblico ministero. Ai sensi del comma 3, in luogo della misura cautelare interdittiva il giudice può nominare un commissario giudiziale per la prosecuzione dell’attività a norma dell’art. 15 (vedi sopra) per un periodo pari alla durata della misura che sarebbe stata applicata.

 

La disposizione in commento aggiunge un secondo periodo al comma 3 dell’art. 45 del decreto legislativo n. 231/2001, al fine di prevedere che in luogo dell’applicazione di una misura cautelare interdittiva sia sempre disposta la nomina di un commissario giudiziale per la prosecuzione dell’attività qualora la misura cautelare possa pregiudicare la continuità dell’attività svolta in stabilimenti o parti di essi dichiarati di interesse strategico nazionale ai sensi dell’art. 1 del DL 207/2012.

 

Infine, la lettera d) aggiunge un nuovo comma 1-ter all’articolo 53 del decreto legislativo n. 231 del 2001, in materia di sequestro preventivo.

 

L’articolo 53 del decreto legislativo n. 231 del 2001, al comma 1, prevede che il giudice possa disporre il sequestro delle cose di cui è consentita la confisca (a norma dell'articolo 19 dello stesso decreto legislativo). In quanto applicabili, si osservano le disposizioni del codice di procedura penale di cui agli articoli 321, commi 3, 3-bis e 3-ter in materia di sequestro preventivo, 322 per il riesame del decreto di sequestro preventivo, 322-bis per l’appello (per il quale si veda la scheda relativa all’articolo 6 che segue) e 323 in relazione alla perdita di efficacia del sequestro preventivo.

Il successivo comma 1-bis prevede che ove il sequestro, eseguito ai fini della confisca per equivalente, abbia ad oggetto società, aziende ovvero beni, ivi compresi i titoli, nonché quote azionarie o liquidità anche se in deposito, il custode amministratore giudiziario ne consente l'utilizzo e la gestione agli organi societari esclusivamente al fine di garantire la continuità e lo sviluppo aziendali, esercitando i poteri di vigilanza e riferendone all'autorità giudiziaria.

In caso di violazione della predetta finalità, l'autorità giudiziaria adotta i provvedimenti conseguenti e può nominare un amministratore nell'esercizio dei poteri di azionista. Con tale nomina si intendono eseguiti gli adempimenti di esecuzione del sequestro preventivo di cui all'articolo 104 disp. att. c.p.p..

In caso di sequestro in danno di società che gestiscono stabilimenti di interesse strategico nazionale e di loro controllate, si applicano le disposizioni di cui al decreto-legge n. 61 del 2013, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 89 del 2013.

 

Il DL 61 del 2013

 

Il DL 61/2013, recante nuove disposizioni urgenti a tutela dell'ambiente, della salute e del lavoro nell'esercizio di imprese di interesse strategico nazionale ha disciplinato e disposto, con riguardo allo stabilimento (ex) ILVA S.p.A. di Taranto, il commissariamento straordinario di stabilimenti industriali di interesse strategico nazionale la cui attività produttiva comporti pericoli gravi e rilevanti all'ambiente e alla salute a causa dell'inottemperanza alle disposizioni dell'autorizzazione integrata ambientale (AIA).

 

In particolare, l'art. 1, comma 5, del decreto-legge n. 61 del 2013 dispone che, contestualmente alla nomina del commissario straordinario, il Ministro dell'ambiente, sentiti i Ministri della salute e dello sviluppo economico, nomina un comitato di tre esperti, scelti tra soggetti di comprovata esperienza e competenza in materia di tutela dell'ambiente e della salute e di ingegneria impiantistica, che, sentito il commissario straordinario, predispone e propone al Ministro, entro sessanta giorni dalla nomina, in conformità alle norme dell'Unione europea e internazionali nonché alle leggi nazionali e regionali, il piano delle misure e delle attività di tutela ambientale e sanitaria che prevede le azioni e i tempi necessari per garantire il rispetto delle prescrizioni di legge e dell’A.I.A.

Ai sensi del comma 7 dell’articolo 1, il piano delle misure e delle attività di tutela ambientale e sanitaria è approvato con D.P.C.M., previa delibera del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'ambiente sentito il Ministro della salute, entro quindici giorni dalla proposta e comunque entro il 28 febbraio 2014. Il Ministro dell'ambiente, al fine della formulazione della proposta di cui al periodo precedente, acquisisce sulla proposta del comitato di esperti di cui al comma 5, il parere del Commissario straordinario e quello della regione competente.

In attuazione delle disposizioni di cui all’articolo 1, commi 5 e 7 del decreto-legge n. 61 del 2013 è stato adottato il D.P.C.M. 14 marzo 2014, con il quale è stato approvato il piano delle misure e delle attività di tutela ambientale e sanitaria e, successivamente, il D.P.C.M. 29 settembre 2017, con il quale sono state approvate le modifiche apportate al predetto piano.

 

La novella in esame, introducendo un nuovo comma 1-ter all’articolo 53 del decreto legislativo n. 231 del 2001 dispone che quando il sequestro abbia ad oggetto stabilimenti industriali che siano stati dichiarati di interesse strategico nazionale ai sensi dell’articolo 1 del decreto-legge n. 207 del 2012, o loro parti, ovvero impianti o infrastrutture necessari ad assicurarne la continuità produttiva, si applicano i nuovi commi 1-bis.1 e 1-bis.2 introdotti all’articolo 104-bis disp.att.c.p.p. dall’articolo 6 del provvedimento in esame, alla cui scheda si fa rinvio.

 

 


Articolo 6
(Disposizioni in materia di sequestro)

 

 

L’articolo 6 integra l’articolo 104-bis delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale, introducendo due nuovi commi, i quali specificano gli effetti del provvedimento di sequestro che abbia ad oggetto stabilimenti industriali o parti di essi dichiarati di interesse strategico nazionale ai sensi dell’art. 1 del decreto-legge n. 207 del 2012.

 

L'articolo 6 inserisce due nuovi commi all’articolo 104-bis delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale, in materia di amministrazione dei beni sottoposti a sequestro preventivo e a sequestro e confisca in casi particolari, nonché in materia di tutela dei terzi nel relativo giudizio.

 

Le modifiche, in particolare, incidono sulla disciplina sostanziale concernente gli effetti del provvedimento di sequestro degli stabilimenti industriali dichiarati di interesse strategico nazionale (nuovo comma 1-bis.1), nonché sulla relativa disciplina processuale in punto di legittimazione ad agire e giudice competente (nuovo comma 1-bis.2).

 

La relazione illustrativa che accompagna il disegno di legge di conversione chiarisce che tali modifiche sono state introdotte in una logica di bilanciamento tra i valori giuridici protetti dalle norme penali e l’interesse nazionale all’approvvigionamento dei beni e servizi prodotti dall’impresa oggetto di sequestro che riguardano tutto il territorio nazionale, nel rispetto dei principi fissati dalla Corte costituzionale con le sentenze n. 85 del 2013 e 58 del 2018. Nella stessa logica, si è introdotta una disciplina processuale volta a valorizzare non soltanto la posizione dell’indagato o del soggetto che avrebbe diritto alla restituzione del bene, ma anche l’interesse dello Stato alla continuità dell’attività tramite la legittimazione processuale dei soggetti preposti alla tutela dell’interesse strategico nazionale dello stabilimento (Presidenza del Consiglio dei ministri, Ministero delle imprese e del made in Italy), ma anche alla tutela dell’ambiente (Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica).

 

Le pronunce della Corte costituzionale sui c.d. decreti ILVA

 

Con la sentenza n. 85 del 2013, nel dichiarare in parte inammissibili ed in parte infondate le questioni sollevate dal Tribunale ordinario di Taranto con riguardo al decreto-legge n. 207 del 2012 (che aveva dichiarato l'ILVA stabilimento di interesse strategico nazionale e dettato specifiche misure per garantire la continuità produttiva aziendale), si afferma il principio secondo il quale il legislatore, pur in presenza di sequestri dell’autorità giudiziaria, può intervenire per consentire la prosecuzione dell’attività in stabilimenti di interesse strategico nazionale, ma a condizione che vengano tenute in adeguata considerazione, e tra loro bilanciate, sia le esigenze di tutela dell’ambiente, della salute e dell’incolumità dei lavoratori, sia le esigenze dell’iniziativa economica e della continuità occupazionale. In quell’occasione, la Corte ritenne che tali principi fossero stati rispettati.

 

In applicazione degli stessi principi enunciati nella sentenza n. 85 del 2013, con la successiva sentenza n. 58 del 2018 la Corte ha ritenuto che, a differenza di quanto avvenuto con il citato decreto ILVA del 2012, con i successivi decreti ILVA del 2015 (con l’art. 3 del decreto-legge n. 92 del 2015 non convertito in legge, nonché con l’articolo 21-octies del decreto-legge n. 83/2015, convertito con modificazioni nel decreto-legge n. 83 del 2015), nel subordinare la prosecuzione dell’attività d’impresa esclusivamente alla predisposizione unilaterale di un “piano” ad opera della stessa parte privata colpita dal sequestro dell’autorità giudiziaria, ha finito col privilegiare in modo eccessivo l’interesse alla prosecuzione dell’attività produttiva, trascurando del tutto le esigenze di diritti costituzionali inviolabili legati alla tutela della salute e della vita stessa (artt. 2 e 32 Cost.), cui deve ritenersi inscindibilmente connesso il diritto al lavoro in ambiente sicuro e non pericoloso (art. 4 e 35 Cost.).

 

Le pronunce della CEDU sul caso ex ILVA

 

Si ricorda inoltre che il 5 maggio 2022, la Corte europea dei diritti dell’uomo è tornata a pronunciarsi sulla situazione relativa all’inquinamento causato dall’attività industriale del sito “ex-ILVA” di Taranto.

Lo ha fatto attraverso quattro sentenze (Ardimento e altri c. Italia; Briganti e altri c. Italia; A.A. e altri c. Italia; Perelli e altri c. Italia) i giudici di Strasburgo hanno condannato nuovamente lo Stato italiano per violazione degli articoli 8 (diritto alla vita privata) e 13 (diritto ad un ricorso effettivo) della Convenzione.

Tali pronunce fanno seguito a quella relativa al caso Cordella e altri c. Italia, del 24 gennaio 2019, la cui procedura di esecuzione risulta ancora pendente dinanzi al Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa.

 

Nel caso Cordella e altri in materia di diritto al rispetto della vita privata centoottanta ricorrenti avevano adito la Corte EDU denunciando la violazione del loro diritto alla vita e al rispetto della vita privata, nonché del diritto ad un rimedio effettivo (effective remedy), in conseguenza delle emissioni nocive dell'Ilva di Taranto. La Corte ha dichiarato sussistente la violazione dell'art. 8 CEDU, in quanto le autorità nazionali hanno omesso di adottare tutte le misure necessarie per assicurare la protezione effettiva del diritto degli interessati al rispetto della loro vita privata. L'Italia è stata, altresì ritenuta responsabile della violazione dell'art. 13, in quanto l'ordinamento interno non offre rimedi effettivi per l'attivazione di misure efficaci per la bonifica dell'area.

 

Nel suo rapporto dell’8-10 giugno 2022 il Comitato dei Ministri, preso atto con soddisfazione delle informazioni fornite dalle autorità in merito ai progressi compiuti nel 2021 nell'attuazione del piano ambientale adottato dal governo nel 2014, ha invitato le stesse a garantire il rapido completamento delle opere rimanenti e a fornire informazioni dettagliate e aggiornate (punto 5 del rapporto).

Il Comitato ha inoltre preso atto con interesse, per quanto riguarda la questione di un rimedio efficace che consenta ai singoli di ottenere ordinanze preventive e correttive nei confronti di attività industriali inquinanti, delle informazioni fornite dalle autorità sulla possibilità per i giudici di emettere tali ordinanze nel contesto di procedimenti civili; ha ricordato che l'esistenza di un rimedio effettivo o di una combinazione di rimedi deve essere sufficientemente certa, non solo in teoria ma anche in pratica; ha invitato pertanto le autorità a fornire informazioni esaurienti sulla portata di questo rimedio e ad accertare se gli sviluppi giurisprudenziali possano dimostrare che questo o qualsiasi altro rimedio può affrontare la violazione dell'articolo 13 della Convenzione accertata nel caso Cordella e altri e, in assenza di tali sviluppi, ha invitato le autorità competenti ad adottare rapidamente misure per colmare questa lacuna, ad esempio concedendo l'accesso diretto ai tribunali amministrativi alle persone che chiedono l'adozione di misure disinquinanti.

 

Infine, il Comitato ha chiesto alle autorità di fornire informazioni sul predetto rimedio entro il 20 ottobre 2022 e su tutte le restanti questioni in sospeso non appena disponibili e non oltre il 20 giugno 2023.

 

Più nel dettaglio, il nuovo comma 1-bis.1 inserito nell’articolo 104-bis disp. att. c.p.p. prevede che quando il sequestro abbia ad oggetto stabilimenti industriali o parti di essi dichiarati di interesse strategico nazionale ai sensi dell’articolo 1 del decreto-legge n. 207 del 2012 (c.d. Decreto ILVA), convertito, con modificazioni, dalla legge n. 231 del 2012, ovvero impianti o infrastrutture necessari ad assicurarne la continuità produttiva, il giudice disponga la prosecuzione dell’attività avvalendosi di un amministratore giudiziario nominato ai sensi del comma 1 dello stesso articolo 104-bis disp. att. c.p.p..

 

Per la ricostruzione della procedura di riconoscimento dell’interesse strategico nazionale di cui all’articolo 1 del DL 207/2012 si rinvia alla scheda del presente dossier relativa all’articolo 5 che precede.

 

In caso di imprese che, dopo il verificarsi dei reati che danno luogo all’applicazione del provvedimento di sequestro, sono state ammesse all’amministrazione straordinaria, anche in via temporanea, la prosecuzione dell’attività è affidata al commissario già nominato nell’ambito della procedura di amministrazione straordinaria.

La disposizione specifica inoltre che, ove necessario per realizzare un bilanciamento tra le esigenze di continuità dell’attività produttiva e di salvaguardia dell’occupazione e la tutela della sicurezza sul luogo di lavoro, della salute, dell’ambiente e degli altri eventuali beni giuridici lesi dagli illeciti commessi, il giudice detti le prescrizioni necessarie, tenendo altresì conto del contenuto dei provvedimenti amministrativi a tal fine adottati dalle competenti autorità.

A tale riguardo, si ricorda che l’articolo 1 del decreto-legge n. 207 del 2012, richiamato dalla disposizione qui in commento, fa espressamente riferimento soltanto alle prescrizioni contenute nel provvedimento di autorizzazione integrata ambientale, nonché in quelle contenute nel provvedimento di riesame della medesima autorizzazione.

Si valuti l’opportunità di specificare quali sono i provvedimenti amministrativi di cui il giudice deve tenere conto nel dettare le prescrizioni necessarie.

 

L’AIA dello stabilimento ILVA di Taranto e il piano ambientale

 

Con il decreto direttoriale del 15 marzo 2012 del Ministero dell'ambiente è stato disposto d'ufficio l'adeguamento dell'autorizzazione integrata ambientale (AIA), rilasciata con decreto del 4 agosto 2011, alle conclusioni delle migliori tecniche disponibili europee (BAT - Best Available Techniques) relative al settore siderurgico. Successivamente il Ministero dell'ambiente ha concluso il riesame dell'AIA (decreto prot. DVA/DEC/2012/0000547 del 26 ottobre 2012) per l'esercizio dello stabilimento siderurgico ubicato nei comuni di Taranto e di Statte.

Con il successivo D.L. n. 207 del 2012, l'ILVA è stata dichiarata stabilimento di interesse strategico nazionale e sono state dettate specifiche misure per garantire la continuità produttiva aziendale e la commercializzazione dei prodotti. Con il successivo decreto-legge n. 61/2013 sono state dettate disposizioni volte a disciplinare – in via generale (all'art. 1) e con specifico riguardo allo stabilimento ILVA di Taranto (all'art. 2) – il commissariamento straordinario di stabilimenti industriali di interesse strategico nazionale la cui attività produttiva comporti pericoli gravi e rilevanti all'ambiente e alla salute a causa dell'inottemperanza alle disposizioni dell'AIA. In particolare è stata disciplinata una specifica procedura per addivenire all’approvazione di un “Piano delle misure e delle attività di tutela ambientale e sanitaria”.

Tale piano ambientale (adottato con il D.P.C.M. 14 marzo 2014, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 105 dell'8 maggio 2014) ha previsto le azioni e i tempi necessari per garantire il rispetto delle prescrizioni di legge e dell'AIA nonché, in attuazione dell'art. 7 del D.L. 136/2013, la conclusione di tutti i procedimenti di riesame che discendono dall'AIA del 4 agosto 2011 e dall'AIA del 26 ottobre 2012.

Successivamente (in particolare con i decreti-legge n. 191/2015 e n. 98/2016), sono state dettate disposizioni principalmente finalizzate alla cessione a terzi dei complessi aziendali del Gruppo ILVA, nonché a porre in stretta correlazione la procedura di scelta del contraente con quella della realizzazione del "piano ambientale".

In attuazione delle succitate disposizioni – e in seguito all'emanazione del decreto del Ministero dello sviluppo economico del 5 giugno 2017 di aggiudicazione della procedura di trasferimento dei complessi aziendali del gruppo ILVA in amministrazione straordinaria alla società AM InvestCo Italy s.r.l. e alla presentazione, da parte della medesima società, in data 5 luglio 2017, della domanda di AIA – è stato emanato il D.P.C.M. 29 settembre 2017 (pubblicato nella G.U. del 30 settembre 2017) di approvazione delle modifiche al "piano ambientale" di cui al D.P.C.M. 14 marzo 2014.

L’art. 2, comma 2, del D.P.C.M. 29 settembre 2017, ricorda che il termine ultimo per la realizzazione degli interventi del piano è fissato – dall'art. 6 del decreto-legge 30 dicembre 2016, n. 244 – alla scadenza dell'AIA dello stabilimento ILVA di Taranto, ossia al 23 agosto 2023.

In relazione al monitoraggio degli adempimenti previsti dall’AIA e dal piano ambientale, nella risposta all’interrogazione 5/00120, resa nella seduta del 14 dicembre 2022, è stato sottolineato che “l'AIA del siderurgico, oltre a prevedere numerosi adempimenti ai fini dell'adeguamento ambientale dello stabilimento, ha introdotto un sistema di verifiche da parte dell'Autorità di controllo (ISPRA) e da parte del Gestore (autocontrolli) molto più rigoroso di quello previsto per le altre installazioni soggette ad AIA: infatti le verifiche svolte da ISPRA e gli esiti degli autocontrolli trasmessi dal Gestore hanno una frequenza trimestrale e non annuale come previsto per le altre installazioni. Oltre alla intensificazione della frequenza dei controlli e degli autocontrolli previsti dall'AIA, il D.P.C.M. del 2017 ha previsto anche un apposito Osservatorio per il monitoraggio permanente dell'attuazione del Piano ambientale di cui al D.P.C.M. medesimo, cosiddetto Osservatorio ILVA, che si riunisce periodicamente per analizzare lo stato d'avanzamento dei prescritti interventi di adeguamento ambientale. In tale contesto ISPRA conduce anche specifici sopralluoghi, complementari alle ispezioni ordinarie, volti a certificare lo stato dei luoghi e il completamento nei tempi dei citati interventi. Anche gli esiti di tali verifiche sono resi disponibili al pubblico per la consultazione sul portale di questo Ministero nella sezione dedicata all'Osservatorio ILVA, al link: https://osservatorioilva.mite.gov.it/it”.

 

 

Come sostenuto nella relazione illustrativa, questa procedura garantirebbe il pieno rispetto dei principi fissati dalla Corte costituzionale con le sentenze n. 85 del 2013 e 58 del 2018.

 

Le disposizioni di cui al nuovo comma 1-bis.1 non si applicano quando dalla prosecuzione può derivare un concreto pericolo per la salute o l’incolumità pubblica ovvero per la salute o la sicurezza dei lavoratori non evitabile con alcuna prescrizione.

Al di fuori di questi casi di concreto pericolo non altrimenti evitabile con alcuna prescrizione, il giudice autorizza la prosecuzione dell’attività se, nell’ambito della procedura di riconoscimento dell’interesse strategico nazionale, sono state adottate misure con le quali si è ritenuto realizzabile il bilanciamento tra le esigenze di continuità dell’attività produttiva e di salvaguardia dell’occupazione e la tutela della sicurezza sul luogo di lavoro, della salute e dell’ambiente e degli altri eventuali beni giuridici lesi dagli illeciti commessi.

 

In ogni caso, i provvedimenti del giudice adottati ai sensi del nuovo comma 1-bis.1, anche se negativi, sono trasmessi, entro il termine di quarantotto ore, alla Presidenza del Consiglio dei ministri, al Ministero delle imprese e del made in Italy e al Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica.

L’esito negativo dei provvedimenti emessi dal giudice, cui fa riferimento l’ultimo periodo del comma 1-bis.1 sembrerebbe concretarsi nei casi cui fa riferimento il successivo comma 1-bis.2.

 

Il nuovo comma 1-bis.2 inserito nell’articolo 104-bis disp. att. c.p.p. dispone che il provvedimento del giudice che abbia escluso o revocato l’autorizzazione alla prosecuzione dell’attività produttiva, o negato la stessa in sede di istanza di revoca, modifica o rivalutazione del sequestro precedentemente disposto, nonostante le misure di bilanciamento adottate nell’ambito della procedura di riconoscimento dell’interesse strategico nazionale, può essere oggetto di impugnazione ai sensi dell’articolo 322-bis c.p.p., anche da parte della Presidenza del Consiglio dei ministri, del Ministero delle imprese e del made in Italy o del Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica.

Sull’appello avverso il provvedimento di cui al primo periodo decide, in composizione collegiale, il tribunale di Roma.

 

L’articolo 322-bis. c.p.p. prevede che, fuori dei casi di riesame del decreto di sequestro preventivo di cui all’articolo 322, il pubblico ministero, l'imputato e il suo difensore, la persona alla quale le cose sono state sequestrate e quella che avrebbe diritto alla loro restituzione, possono proporre appello contro le ordinanze in materia di sequestro preventivo e contro il decreto di revoca del sequestro emesso dal pubblico ministero (comma 1).

Sull'appello decide, in composizione collegiale, il tribunale del capoluogo della provincia nella quale ha sede l'ufficio che ha emesso il provvedimento (comma 1-bis).

L’appello non ha efficacia sospensiva dell’esecuzione del provvedimento impugnato. Si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni previste dall'articolo 310 c.p.p. in materia di appello avverso i provvedimenti cautelari personali.

 

Si introduce inoltre la legittimazione processuale della Presidenza del Consiglio dei ministri, del Ministero delle imprese e del made in Italy e del Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica ad esperire l’impugnazione di cui all’articolo 322-bis c.p.p. nei casi previsti dal nuovo comma in esame.

In deroga a quanto previsto dal comma 1-bis dell’articolo 322-bis c.p.p., si stabilisce inoltre la competenza del Tribunale di Roma (in luogo del tribunale del capoluogo della provincia nella quale ha sede l'ufficio che ha emesso il provvedimento), nel dichiarato intento - esplicitato nella relazione illustrativa - di mantenere unitarietà di indirizzi applicativi su tutto il territorio nazionale e anche il maturare di una specializzazione nella gestione di un profilo di intervento di certo delicato e complesso.

 

 


Articolo 7
(Disposizioni in materia di responsabilità penale)

 

 

L’articolo 7 prevede la non punibilità della condotta dei soggetti che agiscono al fine di dare esecuzione a provvedimenti che autorizzano la prosecuzione dell’attività produttiva di uno stabilimento industriale dichiarato di interesse strategico nazionale.

 

Più specificamente, l'articolo 7 prevede che chiunque agisca al fine di dare esecuzione ad un provvedimento che autorizza la prosecuzione dell'attività di uno stabilimento industriale o parte di esso dichiarato di interesse strategico nazionale, non è punibile per i fatti che derivano dal rispetto delle prescrizioni dettate dal provvedimento dirette a tutelare i beni giuridici protetti dalle norme incriminatrici, se ha agito in conformità alle medesime prescrizioni.

La disposizione, sulla falsariga di quanto previsto dall'articolo 2 del decreto legge n. 1 del 2015 con riguardo all'Ilva (si veda articolo 8), introduce uno "scudo penale", sancendo una sorta di presunzione assoluta di diligenza a favore delle condotte attuative dei provvedimenti che autorizzano la prosecuzione dell'attività produttiva. Occorre peraltro rilevare come l'articolo 7 si differenzi per vari aspetti dalla esimente prevista per l'Ilva. A ben vedere infatti la disposizione non solo non precisa l'ambito soggettivo di applicazione dello scudo (autore della condotta può essere "chiunque") ma non identifica le incriminazioni, rispetto alle quali è esclusa la responsabilità penale (con riguardo all'Ilva, a ben vedere, il decreto legge del 2015, pur non precisando quali siano i reati rispetto ai quali debba ritenersi esclusa la responsabilità penale, tuttavia identifica le incriminazioni facendo riferimento alla macro materia ambientale).

In proposito la relazione illustrativa osserva come l'articolo 7, in ragione del fatto che la prosecuzione dell'attività nei casi predetti è frutto di un bilanciamento complesso e delicato tra l'interesse nazionale sotteso alla produzione industriale strategica e gli altri valori giuridici protetti dall'ordinamento, si ponga come norma  di raccordo che assicuri omogeneità di valutazione da parte dell'ordinamento, in omaggio ai principi di razionalità e certezza del diritto, in ordine alle condotte compiute da chi sia incaricato di attuare i provvedimenti giudiziari o amministrativi relativi alla prosecuzione dell'attività d'impresa. L'articolo 7 - prosegue sempre la relazione - costituisce esplicitazione del principio generale per cui il soggetto che abbia riposto legittimo affidamento in un'autorizzazione amministrativa non risulta rimproverabile per le condotte poste in essere in esecuzione del provvedimento amministrativo, anche in conformità al principio di cui all'articolo 51 c.p. (scriminante dell'adempimento del dovere).

Le prescrizioni dell'autorizzazione amministrativa costituiscono, dunque - conclude la relazione - regole cautelari idonee alla protezione dei beni giuridici oggetto del provvedimento amministrativo, con conseguente non configurabilità di condotte omissive penalmente punibili in capo al soggetto che abbia protetto il bene giuridico affidato alla sua tutela eseguendo tutti gli adempimenti prescritti dal provvedimento amministrativo. Il tutto, naturalmente, salvo i casi di concorso dell'agente in eventuali reati commessi in sede di rilascio del provvedimento amministrativo stesso.

Come si evidenzia sempre nella relazione, in virtù del principio del favor rei, la norma deve ritenersi applicabile anche ai procedimenti in corso.

 

 

 


Articolo 8
(Disposizione transitoria)

 

 

L’articolo 8 dispone che sia prorogata per tutto il periodo di vigenza del Piano Ambientale approvato con il D.P.C.M. 14 marzo 2014, l'esclusione sia della responsabilità amministrativa (derivante da reati) a carico della persona giuridica società ILVA S.p.A., sia della responsabilità penale o amministrativa del commissario straordinario, dell'affittuario o acquirente e dei soggetti da questi funzionalmente delegati.

 

L'articolo 8 estende fino alla data di perdita di efficacia del Piano Ambientale (e quindi fino al 23 agosto 2023) l'applicazione del cosiddetto scudo penale previsto per l'Ilva di Taranto dall’articolo 2, comma 6, del decreto legge n. 1 del 2015.

Il comma 6 dell'articolo 2 del decreto legge n. 1 del 2015 equipara, ai fini della valutazione delle condotte strettamente connesse all'attuazione dell'autorizzazione integrata ambientale (AIA), l'osservanza delle disposizioni contenute nel Piano Ambientale alla adozione ed efficace attuazione dei modelli di organizzazione e gestione previsti dall'articolo 6 del decreto legislativo n. 231 del 2001 (vedi supra, scheda di lettura relativa all'articolo 5). Inoltre, la norma specifica che le condotte poste in essere in attuazione del predetto Piano Ambientale, nel rispetto dei termini e delle modalità ivi stabiliti, non possano dare luogo a responsabilità penale o amministrativa del commissario straordinario, dell'affittuario o acquirente e dei soggetti da questi funzionalmente delegati, in quanto integrano esecuzione delle migliori regole preventive in materia ambientale.

 

L’attuazione del Piano Ambientale dello stabilimento ILVA di Taranto e il relativo l’esonero da responsabilità

 

L’emergenza ambientale nell'area dell'ILVA di Taranto è stata affrontata inizialmente con l'emanazione del decreto legge n. 129 del 2012, che ha dettato norme concernenti la realizzazione degli interventi di riqualificazione e ambientalizzazione dell'area di Taranto e, per assicurarne l'attuazione, ha nominato un Commissario straordinario. Per un approfondimento sulle criticità connessi a tale emergenza si fa rinvio alla relazione sul documento di valutazione del danno sanitario, sullo stato di salute della popolazione coinvolta e sulle misure di cura e prevenzione messe in atto e i loro benefìci, concernente lo stabilimento ILVA di Taranto (DOC. CCIV-bis).

In precedenza, con decreto direttoriale del 15 marzo 2012 del Ministero dell'ambiente, era stato disposto d'ufficio l'adeguamento dell'AIA, rilasciata con decreto del 4 agosto 2011, alle conclusioni delle migliori tecniche disponibili europee (BAT - Best Available Techniques) relative al settore siderurgico. L'AIA rappresenta appunto il provvedimento che autorizza l'esercizio di uno stabilimento produttivo a determinate condizioni che garantiscono la conformità ai requisiti di prevenzione e riduzione integrate dell’inquinamento (requisiti IPPC) di cui al Titolo III-bis alla Parte seconda del decreto legislativo n. 152 del 2006, relativa alle emissioni industriali, e alle prestazioni ambientali associate alle migliori tecniche disponibili (BAT).

Successivamente il Ministero dell'ambiente ha concluso il riesame dell'AIA (decreto prot. DVA/DEC/2012/0000547 del 26 ottobre 2012) per l'esercizio dello stabilimento siderurgico. Al riguardo, si fa rinvio alla relazione al Parlamento sull'ottemperanza delle prescrizioni contenute nel provvedimento di riesame dell'AIA concernente lo stabilimento ILVA di Taranto, nonché sullo stato e sull'adeguatezza dei controlli ambientali concernenti il medesimo stabilimento (DOC. CCIV). L'ultima relazione disponibile è quella aggiornata al 31 gennaio 2016 (DOC. CCIV, n. 6).

Con il decreto legge n. 207 del 2012, l'ILVA è stata dichiarata stabilimento di interesse strategico nazionale e sono state dettate specifiche misure per garantire la continuità produttiva aziendale e la commercializzazione dei prodotti. Con il successivo decreto legge n. 61 del 2013 sono state dettate disposizioni volte a disciplinare – in via generale (all'articolo 1) e con specifico riguardo allo stabilimento ILVA di Taranto (all'articolo 2) – il commissariamento straordinario di stabilimenti industriali di interesse strategico nazionale la cui attività produttiva comporti pericoli gravi e rilevanti all'ambiente e alla salute a causa dell'inottemperanza alle disposizioni dell'AIA.

In particolare è stata disciplinata una specifica procedura per addivenire all’approvazione di un “Piano delle misure e delle attività di tutela ambientale e sanitaria”. Tale Piano Ambientale (adottato con il D.P.C.M. 14 marzo 2014, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 105 dell'8 maggio 2014) ha previsto le azioni e i tempi necessari per garantire il rispetto delle prescrizioni di legge e delle due AIA approvate nonché, in attuazione dell'articolo 7 del decreto legge n. 136 del 2013, la conclusione di tutti i procedimenti di riesame derivanti dalle stesse (AIA del 4 agosto 2011 e AIA del 26 ottobre 2012).

Con il decreto legge n. 1 del 2015 è stata perseguita, inoltre, la finalità di estendere alle imprese dichiarate di interesse strategico nazionale, quali l'ILVA, la disciplina dell'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi (recata dal decreto legge n. 347 del 2003). In attuazione di tali norme stati nominati i commissari straordinari della procedura di amministrazione straordinaria.

A tali commissari, e ai soggetti da questi funzionalmente delegati, è stata riconosciuta una sorta di immunità penale ed amministrativa per le condotte poste in essere in attuazione del Piano Ambientale, in virtù della disposizione introdotta dall’articolo 2, comma 6, del decreto legge n. del 2015.

Successivamente all’emanazione di tale atto, con il decreto legge n. 191 del 2015 sono state dettate disposizioni principalmente finalizzate alla cessione a terzi dei complessi aziendali del Gruppo ILVA, nonché, tra l’altro, è stato fissato al 30 giugno 2017 il termine ultimo per l'attuazione del Piano Ambientale (articolo 1, comma 7). Tali disposizioni sono state modificate (articolo 1, comma 8) e integrate (nuovi commi 8.1 e 8.3 dell'articolo 1) con il successivo decreto legge n. 98 del 2016 che ha introdotto disposizioni volte a porre in stretta correlazione la procedura di scelta del contraente con quella della realizzazione del Piano Ambientale.

Inoltre, il comma 4 dell'articolo 1 ha consentito la proroga di ulteriori 18 mesi del termine ultimo per l'attuazione del Piano Ambientale (lettera a) ed esteso all'affittuario o all'acquirente, nonché ai soggetti da questi delegati, l'esclusione dalla responsabilità penale o amministrativa a fronte di condotte poste in essere in attuazione del medesimo Piano, con il limite temporale delle condotte poste in essere fino al 30 giugno 2017 ovvero fino all'ulteriore termine di 18 mesi eventualmente concesso (lettera b). La decorrenza dei 18 mesi è stata poi fissata, dall'articolo 6, comma 10-ter, del decreto legge n. 244 del 2016, con riferimento alla data di entrata in vigore del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di approvazione delle modifiche del Piano Ambientale.

In attuazione delle succitate disposizioni – e in seguito all'emanazione del decreto del Ministero dello sviluppo economico del 5 giugno 2017 di aggiudicazione della procedura di trasferimento dei complessi aziendali del gruppo ILVA in amministrazione straordinaria alla società AM InvestCo Italy s.r.l. e alla presentazione, da parte della medesima società, in data 5 luglio 2017, della domanda di AIA – è stato emanato il D.P.C.M. 29 settembre 2017 (pubblicato nella G.U. del 30 settembre 2017) di approvazione delle modifiche al Piano Ambientale di cui al D.P.C.M. 14 marzo 2014.

Conseguentemente, il termine di 18 mesi per l’attuazione del Piano sarebbe venuto a scadenza il 30 marzo 2019 e, tuttavia, lo stesso è stato successivamente prorogato, collegandolo alla data di scadenza dell'AIA, cioè al 23 agosto 2023.

Dunque, a fronte di una proroga per l’attuazione del Piano ambientale fino al 2023, l’articolo 2, comma 6, del decreto legge n. 1 del 2015 prevedeva invece che l’esimente dalla responsabilità penale e amministrativa per i dirigenti di ILVA operasse fino alla scadenza di 18 mesi dall’entrata in vigore del DPCM del 2017 (marzo 2019). Interpellata sull’interpretazione di queste disposizioni dal Ministero dello Sviluppo economico, l’Avvocatura dello Stato, in un parere reso il 21 agosto 2018, ha sostenuto che "l'esimente di cui all'articolo 2, comma 6 operi per tutto l'arco temporale in cui l'aggiudicatario sarà chiamato ad attuare le prescrizioni ambientali impartite dall'amministrazione", per cui "detto arco temporale risulterà quindi coincidente con la data di scadenza dell'autorizzazione integrata ambientale in corso di validità (23 agosto 2023)".

É quindi intervenuto l’articolo 46 del decreto legge n. 34 del 2019, che ha limitato dal punto di vista oggettivo l’esonero da responsabilità alle attività di esecuzione del Piano Ambientale, escludendo l’impunità per la violazione delle disposizioni a tutela della salute e della sicurezza sul lavoro e ha individuato nel 6 settembre 2019 il termine ultimo di applicazione dell’esonero da responsabilità.

Successivamente, sulla disposizione di cui al comma 6 dell’articolo 2 del decreto legge n. 1 del 2015 è intervenuto l’articolo 14 del decreto legge n. 101 del 2019, sia in merito all’ambito oggettivo dell’esonero da responsabilità, con riguardo alle condotte scriminate, sia in merito all’ambito temporale dell’esimente da responsabilità penale e amministrativa che, per i soli acquirenti o affittuari (e per i soggetti da questi delegati), viene prorogata dal 6 settembre 2019 alla scadenza delle singole prescrizioni del Piano ambientale alle quali la condotta è riconducibile.

Tuttavia, in sede di conversione in legge (l. 2 novembre 2019, n. 128) la proroga disposta dal citato articolo 14 è stata stralciata, venendo lo stesso cancellato del decreto convertito e, conseguentemente, è stata ripristinata la disciplina dell'esonero di responsabilità previgente (con scadenza al 6 settembre 2019).

Si ricorda, infine, che il tema dell’esonero da responsabilità e della sua durata è stato oggetto di recenti pronunce giurisprudenziali, anche da parte della Corte costituzionale.

In particolare, si richiama l’ordinanza di rimessione alla Corte costituzionale emessa in data 8 febbraio 2019 dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Taranto (pubblicata nella G.U. 1a Serie Speciale - Corte Costituzionale n. 17 del 24 aprile 2019), è stata sollevata questione di legittimità costituzionale dell'articolo 2, commi 5 e 6, del decreto legge n. 1 del 2015, nella formulazione antecedente al decreto legge n. 34 del 2019, nella parte in cui prorogano alla scadenza dell'AIA (ad oggi fissata al 23 agosto 2023) i termini per l'attuazione del Piano Ambientale e escludono la responsabilità penale per le condotte attuative del Piano.

Secondo il GIP, la fissazione della scadenza al 2023 e l'introduzione della scriminante supererebbero i paletti fissati dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 85 del 2013.

Si ricorda che in tale pronuncia la Corte aveva affermato che "è considerata lecita la continuazione dell’attività produttiva di aziende sottoposte a sequestro, a condizione che vengano osservate […] le regole che limitano, circoscrivono e indirizzano la prosecuzione dell’attività stessa" secondo un percorso di risanamento – delineato nella specie dalla nuova autorizzazione integrata ambientale – ispirato al bilanciamento tra tutti i beni e i diritti costituzionalmente protetti, tra cui il diritto alla salute, il diritto all’ambiente salubre e il diritto al lavoro. Il bilanciamento deve essere condotto senza consentire "l’illimitata espansione di uno dei diritti, che diverrebbe “tiranno” nei confronti delle altre situazioni giuridiche costituzionalmente riconosciute e protette, che costituiscono, nel loro insieme, espressione della dignità della persona". Nel novembre 2019, la Corte Costituzionale, preso atto dell’intervenuta abrogazione dello scudo penale, ha restituito gli atti al GIP di Taranto sollecitandolo a riconsiderare la rilevanza della questione di costituzionalità (C. Cost., ord. 9.10.2019 n. 230).

 


Articoli 9 e 10
(Clausola di invarianza finanziaria. Entrata in vigore)

 

 

L’articolo 9 reca la clausola di neutralità finanziaria del provvedimento, prevedendo che le disposizioni del decreto legge non debbano comportare costi aggiuntivi a carico della finanza pubblica. All’attuazione delle misure previste dal decreto si provvede, pertanto, con l’utilizzo delle risorse umane, strumentali e finanziarie già previste a legislazione vigente.

L’articolo 10 dispone che il decreto legge entri in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione in Gazzetta Ufficiale.

Il decreto legge è dunque vigente dal 6 gennaio 2022.

 

 

 



[1]    Il D.lgs. n. 270/1999 prevede invece una procedura a struttura bifasica secondo la quale il Tribunale dispone l’ammissione del debitore all'amministrazione straordinaria (fase cd. giudiziale), previa verifica dei presupposti, tra i quali, in particolare, le prospettive di recupero dell'equilibrio economico dell'attività imprenditoriale (fase cd. di osservazione). L'ambito dei soggetti ammessi alla procedura viene circoscritto alle imprese, anche individuali, soggette al D.lgs. n. 14/2019, Codice della crisi e dell’insolvenza e in possesso dei seguenti requisiti: un numero di lavoratori subordinati non inferiore alle 200 unità (inclusi quelli che eventualmente fruiscono del trattamento di integrazione guadagni); debiti per un ammontare complessivo non inferiore ai due terzi, tanto del totale dell'attivo dello stato patrimoniale, che dei ricavi provenienti dalle vendite e dalle prestazioni dell'ultimo esercizio (articolo 2); presenza di concrete prospettive di recupero da realizzarsi, alternativamente, mediante "la cessione dei complessi aziendali, sulla base di un programma di prosecuzione dell'esercizio dell'impresa di durata non superiore ad un anno" ("programma di cessione dei complessi aziendali") ovvero "tramite la ristrutturazione economica e finanziaria dell'impresa, sulla base di un programma di risanamento di durata non superiore a due anni" ("programma di ristrutturazione") (articolo 27).

[2]    Si deve trattare di imprese soggette alle disposizioni sulla liquidazione giudiziale (D.lgs. n. 14/2019, Codice della crisi e dell’insolvenza) in stato di insolvenza che intendono avvalersi della procedura di ristrutturazione economica e finanziaria o il programma di cessione dei complessi aziendali (di cui all'articolo 27, comma 2, lettere b) e a), del D.lgs. n. 270/1999).

[3]    Il D.L. n. 347/2003 ha, in sostanza, introdotto una semplificazione dell'ammissione alla procedura conservativa con un rafforzamento dei poteri riconosciuti all'autorità amministrativa e specifiche funzioni del commissario straordinario (o dei commissari, fino a tre, nei casi di particolare complessità). Si consideri che, per quanto non disposto diversamente dal D.L. n. 347/2003, si applicano le norme relative alla procedura ordinaria, di cui al D.lgs. n. 270/1999, in quanto compatibili,

[4]    Il capitale di Am Investco Italy S.r.l risultava al tempo così composto: Arcelor Mittal Italy Holding S.r.l. (51%), ArcelorMittal S.A. (34%) e Marcegaglia Carbon Steel S.p.A. (15%).

[5]    In quella sede la Corte ha dichiarato costituzionalmente illegittime tutte le norme (art. 3, D.L. 4 luglio 2015, n. 92 e artt. 1, comma 2, e 21-octies, legge 6 agosto 2015, n. 132) che consentono la prosecuzione dell'attività di impresa degli stabilimenti di interesse strategico nazionale nonostante il provvedimento di sequestro dell'impianto (emesso dal pubblico ministero nel corso di un procedimento penale a carico dei responsabili dello stabilimento di Taranto di Ilva Spa, in relazione ai reati di cui agli artt. 110 e 437, commi 1 e 2, c.p., per aver in concorso omesso di predisporre cautele volte a prevenire la proiezione di materiale incandescente e strumentazioni idonee a garantire l'incolumità dei lavoratori, da cui è derivato l'infortunio mortale di un operaio) in quanto lesive diritti costituzionali inviolabili legati alla tutela della salute e della vita, cui deve ritenersi inscindibilmente connesso il diritto al lavoro in ambiente sicuro e non pericoloso e neppure rispettose dei limiti che la Costituzione impone all'attività d'impresa.

L’articolo 3 del D.L. n. 92/2015 impugnato e censurato dalla Corte, in particolare, disponeva che "l'esercizio dell'attività di impresa degli stabilimenti di interesse strategico nazionale non è impedito dal provvedimento di sequestro ... quando lo stesso di riferisca ad ipotesi di reato inerenti alla sicurezza dei lavoratori" (art. 3, comma 1). Essa era stata adottata al dichiarato fine di "garantire il necessario bilanciamento tra le esigenze di continuità dell'attività produttiva, di salvaguardia dell'occupazione, della sicurezza sul luogo di lavoro, della salute e dell'ambiente salubre, nonché delle finalità di giustizia" (art. 3, comma 1).