Camera dei deputati - Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento Istituzioni
Titolo: Disposizioni urgenti per la gestione dei flussi migratori
Serie: Progetti di legge   Numero: 17/2
Data: 17/02/2023

 

 


D.L. 1/2023 – A.S. n. 553

 

 

Servizio Studi

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Dossier n. 37/2

 

 

 

 

 

 

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Progetti di legge n. 17/2

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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D23001a.docx


 

Introduzione, p. 3

Le disposizioni del decreto-legge, p. 7

Testo a fronte, p. 31

 

 

Introduzione

 

Il decreto-legge 2 gennaio 2023, n. 1, reca disposizioni urgenti in materia di transito e sosta nelle acque territoriali delle navi non governative impegnate nelle operazioni di soccorso in mare.

In sintesi, l'articolo 1, attraverso modifiche dell'articolo l, comma 2, del decreto legge n. 130 del 2020 (convertito con modificazioni dalla legge n. 173 del 2020), mira a definire le condizioni in presenza delle quali le attività svolte da navi che effettuano interventi di recupero di persone in mare possono essere ritenute conformi alle convenzioni internazionali, con la conseguenza che, nei confronti di tali navi, non possono essere adottati provvedimenti di divieto o limitazione al transito o alla sosta delle navi nel mare territoriale. Tra tali condizioni rientrano, ad esempio, il fatto che sia stata richiesta, nell’immediatezza dell’evento, l’assegnazione del porto di sbarco; il fatto che il porto di sbarco assegnato dalle competenti autorità sia raggiunto senza ritardo per il completamento dell’intervento di soccorso; il fatto che siano state avviate tempestivamente iniziative volte a informare le persone prese a bordo della possibilità di richiedere la protezione internazionale e, in caso di interesse, a raccogliere i dati rilevanti da mettere a disposizione delle autorità. L’articolo disciplina poi gli effetti della violazione del limite o del divieto di transito e sosta nel mare territoriale, sostituendo alla precedente sanzione penale una sanzione amministrativa; viene anche introdotta una nuova sanzione amministrativa in caso di mancata risposta alle informazioni richieste o mancata ottemperanza alle indicazioni impartite da parte delle navi.

L’articolo 2 reca la clausola di invarianza finanziaria.

L'articolo 3, infine, dispone in ordine all'entrata in vigore del provvedimento stabilita nel giorno successivo alla data di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale. Il provvedimento è quindi vigente dal 3 gennaio 2023.

 

Nel corso dell’esame presso la Camera dei deputati in prima lettura, sono state approvate modifiche del testo, tutte all’articolo 1, comma 1, lettera b), volte a:

·        specificare, al capoverso comma 2-bis, lettera a) che le navi devono avere le “certificazioni e i documenti” rilasciati dalle competenti autorità dello Stato di bandiera, in luogo delle “autorizzazioni o abilitazioni” cui fa riferimento il testo vigente; le navi devono essere inoltre mantenute conformi  a tali certificazioni e documenti “ai fini della sicurezza della navigazione, della prevenzione dell’inquinamento, della certificazione e dell’addestramento del personale marittimo nonché delle condizioni di vita e di lavoro a bordo” (il testo vigente fa invece riferimento al possesso dei requisiti di idoneità tecnico-nautica alla sicurezza della navigazione);

·        specificare, ai fini dell’applicazione della sanzione di cui al capoverso comma 2-sexies, che la richiesta di informazioni o le indicazioni da ottemperare possono provenire, oltre che dalla competente autorità nazionale per la ricerca e il soccorso in mare, anche dalla struttura nazionale preposta al coordinamento delle attività di polizia di frontiera e di contrasto dell’immigrazione clandestina (il riferimento sembra essere alla Direzione centrale dell’immigrazione e della polizia delle frontiera del Dipartimento della pubblica sicurezza del Ministero dell’interno);

·        prevedere che la sanzione di cui al capoverso comma 2-sexies si applichi anche quando, successivamente all’assegnazione del porto di sbarco, si accerti la mancanza di una delle condizioni in presenza delle quali le attività svolte da navi che effettuano interventi di recupero di persone in mare possono essere ritenute conformi alle convenzioni internazionali, di cui al capoverso comma 2-bis;

·        specificare, al capoverso comma 2-septies, che il prefetto competente all’irrogazione delle sanzioni è il prefetto competente per il luogo di accertamento della violazione;

·        prevedere che i proventi derivanti dalle sanzioni amministrative siano destinati al fondo per l'erogazione di contributi in favore dei comuni di confine con altri Paesi europei e dei comuni costieri interessati dalla gestione dei flussi migratori istituito dall’articolo 1, comma 795, della legge n. 178 del 2020 (legge di bilancio per il 2021).

 

È stata inoltre riformulata la clausola di invarianza finanziaria di cui all’articolo 2.

 

Il provvedimento interviene in un filone normativo che ha visto negli ultimi anni l’adozione di diverse disposizioni.

In linea generale, in materia di immigrazione e diritto di asilo, nella XVIII legislatura, sono dapprima intervenuti i decreti-legge n. 113 del 2018 e n. 53 del 2019. I due provvedimenti hanno affrontato numerosi aspetti concernenti l’immigrazione: le condizioni della protezione internazionale (tra l'altro con la sostituzione del permesso di soggiorno per motivi umanitari con permessi di soggiorno "speciali" ricondotti a specifiche fattispecie), l’accoglienza dei migranti e il contrasto all'immigrazione clandestina (con tra l'altro il prolungamento da 90 a 180 giorni del periodo massimo di trattenimento dello straniero nei centri di permanenza per i rimpatri (CPR) e la sostituzione dello SPRAR con il SIPROIMI al quale però non avevano accesso i richiedenti protezione internazionale). La disciplina recata dai due provvedimenti è stata successivamente modificata dal governo Conte II, con il decreto-legge n. 130 del 2020 (tra gli interventi, si è specificato che il rifiuto o la revoca del permesso di soggiorno non possono essere disposti in presenza di rischi di violazione di norme costituzionali o internazionali; si è riportato a 90 giorni il periodo massimo di permanenza nei CPR; è stata soppressa la possibilità di vietare l'ingresso; il SIPROIMI è stato sostituito con il sistema di accoglienza e integrazione, SAI, al quale tornano ad avere possibilità di accesso anche i richiedenti protezione internazionale).

 

Con riferimento più specifico agli aspetti affrontati dal decreto-legge n. 1 del 2023 in commento, merita richiamare che il decreto-legge n. 53 del 2019 (convertito dalla legge n. 77 del 2019) ha dato facoltà al Ministro dell'interno – con provvedimento da adottare di concerto con il Ministro della difesa e con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti e informato il Presidente del Consiglio – di limitare o vietare l'ingresso, il transito o la sosta di navi nel mare territoriale per motivi di ordine e sicurezza pubblica o quando si concretizzino le condizioni di cui all'articolo 19, paragrafo 2, lettera g), della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del Mare di Montego Bay limitatamente alle violazioni delle leggi di immigrazione vigenti; in caso di violazione - da parte del comandante di una nave - del divieto disposto dal Ministro dell'interno si prevedeva una sanzione amministrativa pecuniaria, consistente nel pagamento di una somma da 150.000 mila a 1 milione di euro, e la sanzione accessoria della confisca, preceduta da sequestro immediato dell'imbarcazione. Gli oneri di custodia delle imbarcazioni sottoposte a sequestro cautelare sono imputati all'armatore e al proprietario della nave; quando invece le stesse imbarcazioni sono affidate in custodia agli organi di polizia, alle capitanerie di porto o alla marina militare perché ne facciano uso per attività istituzionali, i relativi oneri sono a carico delle amministrazioni affidatarie.

La disciplina è stata però poi modificata dal decreto-legge n. 130 del 2020. Questo, infatti, ha previsto che il provvedimento del Ministro dell'interno di limitazione o divieto per le navi mercantili introdotto dal decreto-legge n. 53 del 2019, possa riguardare il transito e la sosta delle navi, senza più fare riferimento all'ingresso delle medesime; il richiamo a tal fine della Convenzione di Montego Bay è inoltre diventato generale e non più specifico all’articolo 19, paragrafo 2, lettera g) limitatamente alle violazioni delle leggi di immigrazione. Dal divieto sono escluse le operazioni di soccorso; sono state poi abrogate le relative sanzioni e si è richiamato invece, per le violazioni, la disciplina vigente del Codice della navigazione, che prevede la reclusione fino a due anni (articolo 1102); si è anche introdotta, per le violazioni, una multa da 10.000 a 50.000 euro.



Le disposizioni del decreto-legge n. 1 del 2023

 

Il divieto di transito e di sosta delle navi

 

Venendo più nel dettaglio al contenuto del provvedimento, l’articolo 1, comma 1, lettera a), sopprime il secondo e il terzo periodo del comma 2 dell'art. l del D.L. 130/2020.

 

Per una migliore comprensione dei periodi soppressi si richiama in primo luogo il primo periodo del comma 2 dell’articolo 1 del D.L. 130/2020: esso prevede che per motivi di ordine e sicurezza pubblica, in conformità alle condizioni della Convenzione sul diritto del mare di Montego Bay del 1982, il Ministro dell’interno, di concerto con il Ministro della difesa e con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, e previa informazione al Presidente del Consiglio dei ministri, può limitare o vietare il transito e la sosta di navi nel mare territoriale, salvo che si tratti di naviglio militare o di navi in servizio governativo non commerciale.

 

Nel diritto internazionale il mare territoriale è definito come la striscia di mare adiacente le coste dello Stato. Esso include le baie e i golfi. Il limite massimo di estensione (o limite esterno) del mare territoriale è di 12 miglia marine, misurate a partire da una linea di base che costituisce il cosiddetto limite interno. Le acque che si trovano fra la terraferma e il limite interno sono denominate acque interne.

Quanto all'Italia, il limite delle 12 miglia è stato adottato con la L. 14 agosto 1974, n. 359.

Lo spazio marino che si estende oltre il mare territoriale, nonché le acque sovrastanti la piattaforma continentale e quelle della zona economica esclusiva, sono definiti alto mare, o acque internazionali. In questa zona marina trova ancora applicazione il principio della libertà dei mari, che comporta il riconoscimento a ciascuno Stato, sia costiero sia privo di litorale, di un uguale diritto di compiere attività di navigazione, sorvolo, posa di cavi, costruzione di isole e installazioni artificiali, pesca, ricerca scientifica, a condizione che siano rispettati gli interessi degli altri Stati.

 

Tali disposizioni, ai sensi del secondo periodo soppresso dalla lettera a), non trovavano comunque applicazione nell’ipotesi di operazioni di soccorso immediatamente comunicate al centro di coordinamento competente per il soccorso marittimo e allo Stato di bandiera ed effettuate nel rispetto delle indicazioni della competente autorità per la ricerca e soccorso in mare, emesse in base agli obblighi derivanti dalle convenzioni internazionali in materia di diritto del mare nonché dello statuto dei rifugiati fermo restando quanto previsto dal Protocollo addizionale della Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità organizzata transnazionale per combattere il traffico di migranti via terra, via mare e via aria.

 

Infine, il terzo periodo, anch’esso soppresso dalla lettera a), disponeva che nei casi di inosservanza del suddetto divieto o limite di navigazione, si applicava l’articolo 1102 del Codice della navigazione (reclusione fino a 2 anni) e l’entità della multa era da 10.000 a 50.000 euro.

 

La disciplina recata dal citato secondo periodo è sostituita da quella del nuovo comma 2-bis all’art. 1 del D.L. 130/2020, introdotto dalla successiva lettera b), mentre il terzo periodo, recante le disposizioni sanzionatorie, è sostituito dal nuovo comma 2-quater, anch’esso introdotto dalla lettera b).

 

La lett. b), introduce, oltre ai 2 di cui sopra, ulteriori 4 nuovi commi all’art. 1, comma 2, del D.L. 130/2020.

Operazioni di soccorso

Il comma 2-bis riprende ed integra il contenuto del secondo periodo abrogato del comma 2. Rinviando per un confronto puntuale al testo a fronte riportato in calce alla scheda, si segnala che, come il secondo periodo abrogato, anche il nuovo comma 2-bis prevede che il provvedimento di interdizione al transito o alla sosta (di cui al comma 2) non sia adottato in caso di operazioni di soccorso.

Come già previsto, di queste operazioni deve essere data immediata comunicazione al centro di coordinamento competente per il soccorso marittimo (nella cui area di responsabilità si svolge l'evento come specifica il comma 2-bis) e allo Stato di bandiera. Le operazioni di soccorso devono poi essere effettuate nel rispetto delle indicazioni, non della competente autorità per la ricerca e il soccorso in mare, come previsto dalla norma previgente, bensì, dal centro di coordinamento competente per il soccorso marittimo e dalle autorità dello Stato di bandiera.

 

Con “centro di coordinamento competente per il soccorso marittimo nella cui area di responsabilità di svolge l’evento” sembra farsi riferimento al “centro di coordinamento di salvataggio” previsto dalla Convenzione di Amburgo del 1979 (Maritime Rescue Coordination Centre – MRCC) come centro incaricato di provvedere ad una efficiente organizzazione dei servizi di ricerca e di salvataggio e di coordinare le operazioni di ricerca e di salvataggio in una zona di ricerca e di salvataggio (Search and Rescue, zona SAR). Per la zona SAR italiana è competente, in base al DPR n. 662 del 1994, il Comando generale del corpo delle capitanerie di porto. Con “competente autorità per la ricerca e il soccorso in mare” il testo previgente sembrava invece fare piuttosto riferimento ai centri secondari di soccorso in mare (Maritime Rescue Subcentre) nonché alle unità di ricerca e salvataggio (Search and Rescue Unit) previsti dalla Convenzione di Amburgo. Il DPR n. 662 del 1994 ha individuato, per l’Italia, i centri secondari di soccorso in mare nelle 15 direzioni marittime della guardia costiera e nell’Autorità marittima dello Stretto di Messina.

 

Tali indicazioni sono emesse sulla base degli obblighi derivanti dai seguenti atti:

§  convenzioni internazionali in materia di diritto del mare; sul punto si rinvia all’apposito riquadro;

§  Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (ratificata con la legge 4 agosto 1955 n. 848);

 

In proposito, si ricorda che la Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU), firmata nel 1950 nell’ambito del Consiglio d'Europa, è un trattato internazionale volto a tutelare i diritti umani e le libertà fondamentali in Europa. Tra gli articoli della convenzione merita richiamare l’articolo 2 (diritto alla vita), l’articolo 3 (proibizione della tortura e di trattamenti inumani o degradanti), l’articolo 5 (diritto alla libertà e alla sicurezza), nonché nel protocollo addizionale n. 4 l’articolo 4 (divieto di espulsioni collettive di stranieri) e nel protocollo n. 7 l’articolo 1 (garanzie procedurali in caso di espulsione di stranieri). Tutti i paesi che formano il Consiglio d'Europa, sono parte della convenzione e ne sono parte tutti i membri dell'Unione europea. La Convenzione ha istituito la Corte europea dei diritti dell'uomo, volta a tutelare le persone dalle violazioni dei diritti umani. Ogni persona i cui diritti sono stati violati nel quadro della convenzione da uno Stato parte può adire alla Corte dopo l’esaurimento delle vie di ricorso interne. Il comitato dei ministri del Consiglio d'Europa vigila sull'esecuzione delle sentenze.

 

§  norme nazionali, internazionali ed europee in materia di diritto di asilo.

 

Relativamente agli obblighi previsti dalle “norme nazionali, internazionali ed europee in materia di diritto di asilo” si ricorda che il diritto di asilo è riconosciuto dall'articolo 10, terzo comma, della Costituzione allo straniero al quale sia impedito nel suo paese l'effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione, secondo le condizioni stabilite dalla legge. Il riconoscimento dello status di rifugiato è a sua volta entrato nel nostro ordinamento con l'adesione alla Convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951 (ratificata con la legge 722/1954), che all’articolo 33 stabilisce il principio di non respingimento in base al quale "Nessuno Stato Contraente espellerà o respingerà, in qualsiasi modo, un rifugiato verso i confini di territori in cui la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate a motivo della sua razza, della sua religione, della sua cittadinanza, della sua appartenenza a un gruppo sociale o delle sue opinioni politiche". Lo status di rifugiato è regolato essenzialmente da fonti di rango UE. Il rifugiato è un cittadino straniero il quale, per il timore fondato di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o opinione politica, si trova fuori dal territorio del Paese di cui ha la cittadinanza e non può o, a causa di tale timore, non vuole avvalersi della protezione di tale Paese. Può trattarsi anche di un apolide che si trova fuori dal territorio nel quale aveva precedentemente la dimora abituale per le stesse ragioni e non può o non vuole farvi ritorno. La normativa UE ha successivamente introdotto l'istituto della protezione internazionale che comprende due distinte categorie giuridiche: i rifugiati, disciplinati come si è detto dalla Convenzione di Ginevra, e le persone ammissibili alla protezione sussidiaria, di cui possono beneficiare i cittadini stranieri privi dei requisiti per il riconoscimento dello status di rifugiato, ossia che non sono in grado di dimostrare di essere oggetto di specifici atti di persecuzione, ma che, tuttavia, se ritornassero nel Paese di origine, correrebbero il rischio effettivo di subire un grave danno e che non possono o (proprio a cagione di tale rischio) non vogliono avvalersi della protezione del Paese di origine. Una ulteriore fattispecie è la protezione temporanea che può essere concessa in caso di afflusso massiccio ed ingente di sfollati, cioè cittadini stranieri o apolidi che hanno dovuto abbandonare il loro paese d’origine (o sono stati evacuati) e non possono rientrarvi, in particolare per guerra, violenze, violazioni dei diritti umani. Parallelamente, dalla fine degli anni '90 dello scorso secolo, l'Unione europea ha definito un Sistema europeo di asilo finalizzato a garantire un approccio comune degli Stati membri in materia di asilo per garantire elevati standard di protezione per i rifugiati. Il fondamento giuridico del sistema europeo di asilo è l'articolo 78 del Trattato di Lisbona che attribuisce all'Unione europea lo sviluppo di una politica comune in materia di asilo, protezione sussidiaria e protezione temporanea, finalizzata ad offrire uno status appropriato a qualsiasi cittadino di un Paese terzo che necessita di protezione internazionale e a garantire il principio di non respingimento.

In particolare, è stata adottata la c.d. direttiva qualifiche (2011/95/UE) recante l'individuazione dei requisiti necessari per l'attribuzione dello status di protezione internazionale e il contenuto in cui si sostanzia tale status (protezione dall'espulsione, diritto al permesso di soggiorno), recepita in Italia con il decreto legislativo n. 18 del 2014, di modifica del decreto legislativo n. 251 del 2007 (attuativo della prima direttiva qualifiche, la n. 2004/83). Successivamente, il decreto legislativo n. 142 del 2015, con le successive modificazioni ed integrazioni, ha provveduto ad attuare sia la c.d. direttiva procedure (2013/32/UE), sia la c.d. direttiva accoglienza (2013/33/UE), recanti, rispettivamente le procedure di esame delle domande di protezione internazionale, e le modalità di accoglienza, immediata e di più lungo periodo, dei richiedenti. Il recepimento della direttiva 2011/51/UE, che interviene su un aspetto specifico, ossia l'estensione del diritto all'ottenimento del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo, ai titolari di protezione internazionale, attraverso la modifica della direttiva 2003/109/CE, è stato effettuato con l'emanazione del decreto legislativo n. 12 del 2014.

 

Viene fatto salvo, infine, quanto previsto dal Protocollo addizionale della Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità transnazionale organizzata per combattere il traffico illecito di migranti via terra, via mare e via aria, reso esecutivo dalla legge 16 marzo 2006, n. 146.

 

Tale Protocollo dispone in particolare, all’articolo 8, misure contro il traffico di migranti via mare prevedendo che nel caso in cui uno Stato abbia ragionevoli motivi per sospettare che una nave che batte la sua bandiera o che vanta l'iscrizione sul suo registro, senza nazionalità, o avendo in realtà la nazionalità dello Stato Parte in questione, sebbene batta bandiera straniera o rifiuti di esibire bandiera, sia coinvolta nel traffico di migranti via mare, può richiedere ad altri Stati Parte assistenza per porre fine all'utilizzo della nave a tal scopo.

 

La disposizione in esame, in aggiunta a queste prescrizioni già vigenti pur con diversa formulazione, individua alcune ulteriori condizioni, che devono ricorrere congiuntamente, per escludere l'adozione del provvedimento di limite o divieto del transito e della sosta. Si tratta delle seguenti condizioni (oggetto di parziale modifica nel corso dell’esame presso la Camera dei deputati) cui gli operatori di soccorso in mare devono attenersi:

 

§  la nave che effettua in via sistematica attività di ricerca e soccorso in mare deve operare secondo le certificazioni e i documenti (il testo originario fa riferimento ad autorizzazioni o abilitazioni) rilasciati dalle competenti autorità dello Stato di bandiera ed è mantenuta conformemente agli stessi, ai fini della sicurezza della navigazione, della prevenzione dell'inquinamento, della certificazione e dell’addestramento del personale marittimo nonché delle condizioni di vita e lavoro a bordo (nel testo originario si richiama il possesso dei requisiti di idoneità tecnico-nautica alla sicurezza della navigazione);

 

In proposito, si ricorda che la sentenza della Corte di giustizia UE del 1° agosto 2022 sulle cause riunite C?14/21 e C?15/21 (cause Sea Watch 3 e 4; per una ricostruzione più ampia della sentenza si rinvia al box “Convenzioni internazionali in materia di soccorso in mare) ha affermato che “lo Stato di approdo può tenere conto del fatto che navi classificate e certificate come navi da carico da parte dello Stato di bandiera sono, in pratica, utilizzate per un’attività sistematica di ricerca e soccorso di persone in pericolo o in difficoltà in mare, nell’ambito di un controllo diretto a valutare, sulla base di elementi giuridici e fattuali circostanziati, l’esistenza di un pericolo per le persone, le cose o l’ambiente, alla luce delle condizioni di gestione di tali navi. Per contro, lo Stato di approdo non può imporre che le navi sottoposte a un’ispezione dettagliata dispongano di certificati diversi da quelli rilasciati ad esse dallo Stato di bandiera o che rispettino tutte le prescrizioni applicabili alle navi rientranti in una diversa classificazione. Un siffatto controllo equivarrebbe, infatti, a rimettere in discussione il modo in cui lo Stato di bandiera ha esercitato la propria competenza in materia di concessione della propria nazionalità alle navi, nonché di classificazione e di certificazione di queste ultime” (punti in diritto 138 e 139).

 

§  informare tempestivamente le persone prese a bordo della possibilità di richiedere la protezione internazionale e, in caso di interesse, raccogliere i “dati rilevanti” da mettere a disposizione delle autorità;

 

Come previsto dal c.d. Regolamento Dublino III (Regolamento (UE) n. 604/2013) lo straniero può richiedere la protezione internazionale nello Stato di primo ingresso che, pertanto, diviene competente ad esaminare la domanda. Ai sensi del decreto legislativo n. 25/2008, recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato, l'ufficio di polizia di frontiera e la questura sono competenti a ricevere la domanda di protezione internazionale, mentre le autorità competenti all'esame delle domande di protezione internazionale sono le commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale istituite presso le prefetture (art. 3). All'atto della presentazione della domanda, l’ufficio di polizia informa il richiedente della procedura da seguire, dei suoi diritti e doveri durante il procedimento e dei tempi e mezzi a sua disposizione per corredare la domanda degli elementi utili all'esame; a tale fine consegna al richiedente un apposito opuscolo informativo (art. 10). Lo status di rifugiato e le forme di protezione sussidiaria sono riconosciute all'esito dell'istruttoria svolta dalle Commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale. Si ricorda, infine, che presso i c.d. hotspot, i punti di crisi istituiti presso i luoghi di sbarco, il cittadino straniero, oltre alle procedure di accertamento delle condizioni di salute e di prima assistenza, è sottoposto alle procedure di identificazione, mediante operazioni di rilevamento fotodattiloscopico e segnaletico, anche ai fini del rispetto degli articoli 9 e 14 del regolamento Eurodac[1]. Al contempo, lo straniero riceve informazioni sulla procedura di protezione internazionale, sul programma di ricollocazione in altri Stati membri dell'Unione europea e sulla possibilità di ricorso al rimpatrio volontario assistito. In proposito, il rappresentante del Governo, nel corso dell'esame referente in prima lettura presso la Camera dei deputati (seduta delle Commissioni I e IX del 30 gennaio 2023) ha dichiarato, tra l'altro, che “l’informativa a bordo non preclude la possibilità di presentare la domanda a terra” e che “la raccolta di dati rilevanti non è l’identificazione, che compete ad autorità diverse”.

 

§  richiedere, nell'immediatezza dell'evento, l'assegnazione del porto di sbarco;

§  raggiungere il porto di sbarco assegnato dalle competenti autorità senza ritardo per il completamento dell'intervento di soccorso;

§  fornire alle autorità per la ricerca e il soccorso in mare italiane, ovvero, nel caso di assegnazione del porto di sbarco, alle autorità di pubblica sicurezza, le informazioni richieste ai fini dell'acquisizione di elementi relativi alla ricostruzione dettagliata dell'operazione di soccorso posta in essere.

 

Inoltre, le modalità di ricerca e soccorso in mare da parte della nave non devono aver concorso a creare situazioni di pericolo a bordo né impedito di raggiungere tempestivamente il porto di sbarco.

 

Si segnala che alcune di queste previsioni potrebbero richiamare quanto previsto dal Codice di condotta per le ONG impegnate nel salvataggio dei migranti in mare elaborato dal Ministero dell’interno nel 2017 (governo Gentiloni). In particolare, le ONG che sottoscrissero il codice assumevano infatti l’impegno:

“a comunicare al competente MRCC (centro di coordinamento di salvataggio, cfr. supra) l’idoneità tecnica (relativa alla nave, al suo equipaggiamento e all’addestramento dell’equipaggio) per le attività di soccorso, fatte salve le applicabili disposizioni nazionali e internazionali concernenti la sicurezza dei natanti e le altre condizioni tecniche necessarie alla loro operatività”;

“ad osservare l’obbligo previsto dalle norme internazionali di tenere costantemente aggiornato il competente MRCC o l’OSC designato da quest’ultimo in merito allo scenario in atto ed all’andamento delle operazioni di soccorso”

“a non trasferire le persone soccorse su altre navi, eccetto in caso di richiesta del competente MRCC e sotto il suo coordinamento anche sulla base delle informazioni fornite dal comandante della nave; dopo l’imbarco delle persone soccorse, le navi delle ONG dovrebbero, di norma, completare l’operazione sbarcando le medesime in un porto sicuro sotto il coordinamento del MRCC competente, salvo nelle situazioni sopra menzionate”;

“ad assicurare che le competenti autorità dello Stato di bandiera siano tenute costantemente informate dell’attività intrapresa dalla nave ed immediatamente informate di ogni evento rilevante ai fini di “maritime security”, in conformità al principio della giurisdizione dello Stato di bandiera in base alla UNCLOS [cioè la Convenzione internazionale del diritto del mare di Montego Bay del 1982, ndr] e ad altre norme applicabili del diritto internazionale”;

“a cooperare con l’MRCC, eseguendo le sue istruzioni ed informandolo preventivamente di eventuali iniziative intraprese autonomamente perché ritenute necessarie ed urgenti”;

“a ricevere a bordo, eventualmente e per il tempo strettamente necessario, su richiesta delle autorità italiane competenti, funzionari di polizia giudiziaria affinché questi possano raccogliere informazioni e prove finalizzate alle indagini sul traffico di migranti e/o la tratta di esseri umani, senza pregiudizio per lo svolgimento delle attività umanitarie in corso”;

“ad una cooperazione leale con l’Autorità di Pubblica Sicurezza del previsto luogo di sbarco dei migranti, anche trasmettendo le pertinenti informazioni di interesse a scopo investigativo alle Autorità di Polizia, nel rispetto della normativa internazionale sui rifugiati e sulla protezione dei dati nonché dei differenti mandati e competenze delle persone giuridiche interessate come previsto dal diritto nazionale ed internazionale: tale impegno si estrinsecherà, a titolo esemplificativo e non esaustivo, nel fornire - almeno due ore prima dell’arrivo al porto - i documenti che dovrebbero essere completati durante le fasi di soccorso e tragitto verso il porto dopo aver posto in essere le attività di assistenza primaria – ovvero il "maritime incident report" (documento riassuntivo dell’evento) e il “sanitary incident report” (documento riassuntivo della situazione sanitaria a bordo).

 

Il comma 2-ter garantisce comunque il transito e la sosta di navi nel mare territoriale ai soli fini di assicurare il soccorso e l'assistenza a terra delle persone prese a bordo, a tutela della loro incolumità, pur facendo salva, in caso di violazione del provvedimento adottato ai sensi del comma 2, l'applicazione delle sanzioni di cui ai commi 2-quater e 2-quinquies.

 

 

Disciplina sanzionatoria

 

I commi 2-quater, 2-quinquies e 2-septies introducono una nuova disciplina sanzionatoria, di natura amministrativa, per i casi di inosservanza del provvedimento del Governo di divieto o limitazione del transito e della sosta di navi nel mare territoriale in presenza di determinate condizioni.

 

Si ricorda che il quadro sanzionatorio della violazione dei provvedimenti con i quali il Governo può limitare o vietare il transito e la sosta di navi nel mare territoriale in presenza di determinate condizioni è stato oggetto di intervento, nella scorsa legislatura, dapprima con il decreto legge n. 53 del 2019. L’art. 2, comma 1, del citato decreto disponeva che in caso di violazione del divieto di ingresso, transito o sosta in acque territoriali italiane (salve le sanzioni penali quando il fatto costituisce reato) si applicasse al comandante della nave la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 150.000 a euro 1.000.000 e la responsabilità solidale fosse estesa all'armatore della nave. Inoltre era la confisca della nave utilizzata per commettere la violazione era sempre disposta, procedendosi immediatamente a sequestro cautelare. Come già si è accennato, questa disciplina è stata poi sostituita dal decreto legge n. 130 del 2020, su cui interviene ora il decreto-legge in commento. L’art. 1, comma 2, terzo periodo del decreto legge n. 130 del 2020, abrogato dal provvedimento in esame) prevedeva, per i casi di inosservanza del divieto o del limite di navigazione, l’applicazione della sanzione penale di cui all’articolo 1102 del codice della navigazione (reclusione fino a 2 anni), fissando l’importo della multa da un minimo di 10.000 ad un massimo di 50.000 euro.

 

L’art. 1102 del Codice della navigazione – al di fuori da quanto previsto dal codice penale per l’introduzione clandestina in luoghi militari e possesso ingiustificato di mezzi di spionaggio (art. 260 c.p.) - prevede la reclusione fino a 2 anni e la multa fino a 516 euro per il comandante della nave o del galleggiante, nazionali o stranieri, che non osserva il divieto o il limite di navigazione stabiliti dall’art. 83 del codice della navigazione (disposto dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti). La fattispecie delittuosa oggetto di abrogazione da parte del provvedimento in esame era dunque autonoma rispetto al reato ex art. 1102 cod. nav. cui veniva fatto un richiamo unicamente per ciò che concerne la pena detentiva (la pena pecuniaria, invece, era fissata ex novo).

 

La nuova disciplina (comma 2-quater) sostituisce l’illecito penale con la sanzione amministrativa pecuniaria. L’importo della sanzione resta immutato: da un minimo di 10.000 euro a un massimo di 50.000 euro. Sono inoltre fatte salve le sanzioni penali nel caso in cui la condotta integri un reato.

 

Con tale affermazione il legislatore intende presumibilmente precisare che l’illecito amministrativo derivante dalla violazione del provvedimento di divieto o limitazione non esclude l’applicazione delle pene previste dall’ordinamento quando la condotta del comandante integri anche un reato, ad esempio di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.

 

Al pagamento della sanzione amministrativa è tenuto il comandante della nave mentre armatore e proprietario del mezzo, come previsto dalla disciplina della solidarietà di cui all’art. 6 della legge n. 689 del 1981, dovranno procedere al pagamento solo se non vi provvede il comandante (potendosi poi rivalere nei confronti dell’autore della violazione).

 

Si ricorda che l’art. 6 della legge n. 689 del 1981 prevede che il proprietario della cosa che servì o fu destinata a commettere la violazione è obbligato in solido con l'autore della violazione al pagamento della somma da questo dovuta se non prova che la cosa è stata utilizzata contro la sua volontà. Se la violazione è commessa da persona capace di intendere e di volere ma soggetta all'altrui autorità, direzione o vigilanza, la persona rivestita dell'autorità o incaricata della direzione o della vigilanza è obbligata in solido con l'autore della violazione al pagamento della somma da questo dovuta, salvo che provi di non aver potuto impedire il fatto. Se la violazione è commessa dal rappresentante o dal dipendente di una persona giuridica o di un ente privo di personalità giuridica o, comunque, di un imprenditore, nell'esercizio delle proprie funzioni o incombenze, la persona giuridica o l'ente o l'imprenditore è obbligata in solido con l'autore della violazione al pagamento della somma da questo dovuta. Nei suddetti casi chi ha pagato ha diritto di regresso per l'intero nei confronti dell'autore della violazione.

 

Oltre alla sanzione pecuniaria, il nuovo comma 2-quater prevede che la nave sia sottoposta a fermo amministrativo per 2 mesi e affidata in custodia, con i relativi oneri di spesa, all’armatore o, in assenza di questi, al comandante o a un altro soggetto obbligato in solido, tenuti a farne cessare la navigazione. Avverso il provvedimento di fermo è previsto il ricorso entro 60 giorni dalla notificazione dello stesso al prefetto, che dovrà pronunciarsi non oltre 20 giorni dal ricevimento dell'istanza.

Al fermo si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni di cui all'art. 214 del codice della strada (decreto legislativo n. 285 del 1992) relativo al fermo amministrativo del veicolo.

 

Il citato articolo 214 prevede che il proprietario, nominato custode, o, in sua assenza, il conducente o altro soggetto obbligato in solido, fa cessare la circolazione e provvede alla collocazione del veicolo in un luogo di cui abbia la disponibilità ovvero lo custodisce, a proprie spese, in un luogo non sottoposto a pubblico passaggio. Sul veicolo deve essere collocato un sigillo, secondo le modalità e con le caratteristiche definite con decreto del Ministero dell'interno, che, decorso il periodo di fermo amministrativo, è rimosso a cura dell'ufficio da cui dipende l'organo di polizia che ha accertato la violazione ovvero di uno degli organi di polizia stradale di cui all'articolo 12, comma 1.

 

Ai sensi del comma 2-quinquies in caso di reiterazione della violazione commessa con l’utilizzo della medesima nave, si applica la sanzione amministrativa accessoria della confisca della nave. In tale caso si procede immediatamente al sequestro cautelare della nave.

 

Si ricorda che, in base ai primi tre commi dell’art. 8-bis della legge n. 689 del 1981, si ha reiterazione quando, nei 5 anni successivi alla commissione di una violazione amministrativa, accertata con provvedimento esecutivo, lo stesso soggetto commette un'altra violazione della stessa indole. I commi quarto, quinto e sesto dell’articolo 8-bis della citata legge 689/1981, in generale, escludono la reiterazione qualora: le violazioni successive alla prima siano commesse in tempi ravvicinati e riconducibili ad una programmazione unitaria; per la precedente violazione si sia provveduto al pagamento in misura ridotta; per la precedente violazione sia in corso il procedimento di accertamento.

Si ricorda inoltre che il citato decreto-legge n. 53 del 2019, così come modificato dalla legge di conversione, aveva previsto (art. 2, comma 1) in caso di violazione del divieto di ingresso, transito o sosta in acque territoriali italiane la confisca della nave utilizzata per commettere la violazione. In tali casi la confisca doveva essere disposta senza che occorresse la reiterazione della condotta. Si tratta di uno dei profili critici del provvedimento indicati dal Presidente della Repubblica nella lettera inviata all’atto della promulgazione della legge di conversione, l’8 agosto 2019, al Presidente del Consiglio e ai presidenti delle Camere. Tale disposizione era stata poi abrogata dal decreto legge n. 130 del 2020 (v. sopra).

 

Il comma 2-sexies introduce una nuova fattispecie di illecito amministrativo che si configura qualora il comandante della nave o l’armatore non forniscano le informazioni richieste dalla competente autorità nazionale per la ricerca e il soccorso in mare, nonché, con una modifica introdotta dalla Camera dei deputati, dalla struttura nazionale preposta al coordinamento delle attività di polizia di frontiera e di contrasto dell’immigrazione clandestina (il riferimento appare essere alla Direzione centrale dell’immigrazione e della polizia delle frontiere[2] del Dipartimento della pubblica sicurezza del Ministero dell’interno), o non si uniforma alle loro indicazioni. In questi casi si applica la sanzione amministrativa pecuniaria da 2.000 euro e a 10.000 euro nonché la sanzione accessoria del fermo amministrativo per 20 giorni della nave utilizzata per commettere la violazione. In caso di reiterazione della violazione, la sanzione accessoria del fermo amministrativo viene portata a due mesi e si applica il comma 2-quater periodi secondo (responsabilità solidale armatore-proprietario), quarto (nomina del custode della nave), quinto (possibilità di ricorso al prefetto) e sesto (applicazione art. 214 codice della strada).

In caso di ulteriore reiterazione della violazione, si applica la confisca della imbarcazione, secondo quanto previsto dal comma 2-quinquies.

La norma è stata integrata dalla Camera dei deputati nel senso di prevedere che le sanzioni previste dal comma si applicano anche in caso di mancanza di una delle condizioni previste dal comma 2-bis accertata successivamente all’assegnazione del porto di sbarco (si tratta delle condizioni sopra descritte che devono ricorrere congiuntamente perché non si applichino provvedimenti di limitazione o divieto del transito o della sosta di navi che effettuino operazioni di recupero di persone in mare).

 

Il comma 2-septies, infine, individua l’autorità che irroga le sanzioni nel prefetto territorialmente competente per il luogo di accertamento della violazione (il riferimento al luogo di accertamento è stato inserito nel corso dell’esame presso la Camera dei deputati) e prevede l'applicazione delle disposizioni di cui alla legge 24 novembre 1981, n. 689 in materia di sanzioni amministrative, in quanto, come specificato dalla Camera dei deputati, compatibili. Si tratta delle sanzioni, già sopra descritte, di cui:

·        al comma 2-quater primo periodo (sanzione amministrativa da euro 10.000 a euro 50.000 per violazione del provvedimento di limitazione o divieto del transito o della sosta di navi, qualora il fatto non costituisca reato);

·        al comma 2-quinquies (sequestro cautelare della nave e sanzione amministrativa accessoria della confisca);

·        al comma 2-sexies, primo e quinto periodo (sanzione amministrativa pecuniaria da euro 2.000 a euro 10.000 per mancata risposta alle informazioni richieste e mancata ottemperanza alle indicazioni impartite, ovvero quando si accerti, successivamente all’assegnazione del porto di sbarco, la violazione di una delle condizioni di cui al comma 2-bis; il riferimento ai periodi è stato inserito nel corso dell’esame presso la Camera dei deputati).

 

In base alla legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), l'applicazione della sanzione amministrativa pecuniaria avviene secondo il seguente procedimento:

- accertamento, contestazione-notifica al trasgressore;

- pagamento in misura ridotta o inoltro di memoria difensiva all'autorità amministrativa: archiviazione o emanazione di ordinanza ingiunzione di pagamento da parte dell'autorità amministrativa;

- eventuale opposizione all'ordinanza ingiunzione davanti all'autorità giudiziaria (giudice di pace o tribunale);

- accoglimento dell'opposizione, anche parziale, o rigetto (sentenza ricorribile per cassazione);

- eventuale esecuzione forzata per la riscossione delle somme.

Dal punto di vista procedimentale, occorre innanzitutto che essa sia accertata dagli organi di controllo competenti o dalla polizia giudiziaria (art. 13).

La violazione deve essere immediatamente contestata o comunque notificata al trasgressore entro 90 giorni (art. 14); entro i successivi 60 giorni l'autore può conciliare pagando una somma ridotta pari alla terza parte del massimo previsto o pari al doppio del minimo (cd. oblazione o pagamento in misura ridotta, art. 16). In caso contrario, egli può, entro 30 giorni, presentare scritti difensivi all'autorità competente; quest'ultima, dopo aver esaminato i documenti e le eventuali memorie presentate, se ritiene sussistere la violazione contestata determina l'ammontare della sanzione con ordinanza motivata e ne ingiunge il pagamento (cd. ordinanza-ingiunzione, art. 18).

Entro 30 giorni dalla sua notificazione l'interessato può presentare opposizione all'ordinanza ingiunzione (che, salvo eccezioni, non sospende il pagamento), inoltrando ricorso all'autorità giudiziaria competente (artt. 22, 22-bis). In base all'art. 6 del decreto legislativo n. 150 del 2011, l'autorità giudiziaria competente sulla citata opposizione è il giudice di pace a meno che, per il valore della controversia (sanzione pecuniaria superiore nel massimo a 15.493 euro) o per la materia trattata (tutela del lavoro, igiene sui luoghi di lavoro e prevenzione degli infortuni sul lavoro; previdenza e assistenza obbligatoria; tutela dell'ambiente dall'inquinamento, della flora, della fauna e delle aree protette; igiene degli alimenti e delle bevande; materia valutaria; antiriciclaggio), non sussista la competenza del tribunale. L'esecuzione dell'ingiunzione non viene sospesa e il giudizio che con esso si instaura si può concludere o con un'ordinanza di convalida del provvedimento o con sentenza di annullamento o modifica del provvedimento. Il giudice ha piena facoltà sull'atto, potendo o annullarlo o modificarlo, sia per vizi di legittimità che di merito. In caso di condizioni economiche disagiate del trasgressore, l'autorità che ha applicato la sanzione può concedere la rateazione del pagamento (art. 26) Decorso il termine fissato dall'ordinanza ingiunzione, in assenza del pagamento, l'autorità che ha emesso il provvedimento procede alla riscossione delle somme dovute con esecuzione forzata in base alle norme previste per l'esazione delle imposte dirette (art. 27). Il termine di prescrizione delle sanzioni amministrative pecuniarie è di 5 anni dal giorno della commessa violazione (art. 28).

 

Nel corso dell’esame presso la Camera dei deputati, si è introdotta nel comma 2-septies, una disposizione inerente alla destinazione dei proventi derivanti dalle sanzioni amministrative pecuniarie: questi sono versati in un apposito capitolo dell'entrata del bilancio dello Stato, per essere riassegnati, con decreto del Ministero dell'economia e delle finanze, al Fondo per l'erogazione di contributi in favore dei comuni di confine con altri Paesi europei e dei comuni costieri interessati dalla gestione dei flussi migratori (di cui all'articolo 1, commi 795 e 796, della L. 178/2020), per l'erogazione, a decorrere dal 2023, dei contributi ivi previsti.

 

Il citato comma 795 ha istituito, nello stato di previsione del Ministero dell’interno, un fondo, con una dotazione di 5 milioni di euro per l’anno 2021, finalizzato all’erogazione di contributi in favore dei comuni di confine con altri Paesi europei e dei comuni costieri interessati alla gestione dei flussi migratori. In base al comma 796, i criteri e le modalità di concessione dei contributi sono stabiliti con decreto del Ministro dell’interno, di concerto con il Ministro dell’economia, previa intesa in sede di Conferenza Stato-Città. In attuazione delle disposizioni, è stato adottato il decreto del Ministro dell’interno del 22 aprile 2021 che ha destinato contributi ai comuni di Augusta, Bari, Brindisi, Capo Rizzuto, Catania, Domus De Maria, Crotone, Favignana, Ferruzzano, Gallipoli, Lampedusa e Linosa, Locri, Messina, Monasterace, Nardò, Noto, Olbia, Pachino, Palermo, Palizzi, Palma di Montechiaro, Pantelleria, Porto Cesareo, Porto Empedocle, Porto Palo di Capo Passero, Pozzallo, Reggio Calabria, Roccella Jonica, Salve, Sant’Anna Arresi, Castrignano del Capo, Sant’Antioco, Taranto, Teulada, Trapani, Vernole, Brennero, Tarvisio, Courmayeur, Ventimiglia, Bardonecchia, Claviere, Gorizia, Muggia, Trieste, Monrupino, Como, Domodossola.

Gli articoli 2 e 3

 L’articolo 2 reca la clausola di invarianza finanziaria, (il cui testo è stato riformulato dalla Camera dei deputati); in particolare si prevede che dall’attuazione del provvedimento non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica e che le Amministrazioni interessate provvedano all'attuazione delle attività previste con l'utilizzo delle risorse umane, strumentali e finanziarie già disponibili a legislazione vigente.

 

L'articolo 3, infine, dispone in ordine all'entrata in vigore del provvedimento stabilita nel giorno successivo alla data di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale. Il provvedimento è quindi vigente dal 3 gennaio 2023.

 

 

 

Tra le principali fonti internazionali in materia di dovere di soccorso in mare si possono annoverare:

- Convenzione per la salvaguardia della vita umana in mare, SOLAS-Safety of Life at Sea, Londra, 1974, ratificata dall'Italia con la L. n. 313 del 1980;

- Convenzione SAR di Amburgo del 1979, resa esecutiva dall'Italia con la L. n. 147 del 1989 e alla quale è stata data attuazione con il D.P.R. n. 662 del 1994;

- Convenzione UNCLOS delle Nazioni Unite sul diritto del mare, stipulata a Montego Bay nel 1982 e recepita dall'Italia dalla L. n. 689 del 1994.

Oltre alle citate fonti pattizie e prima ancora esiste l'obbligo consuetudinario di soccorso in mare, norma di diritto internazionale generalmente riconosciuta e pertanto direttamente applicabile nell'ordinamento interno, in forza del disposto di cui all'art. 10 Cost., comma 1.

 

In particolare, la Convenzione internazionale per la sicurezza della vita in mare del 1974[3] (cosiddetta Convenzione SOLAS), adottata a Londra il 12 novembre 1974[4], obbliga il comandante di una nave - che sia in posizione tale da poter prestare assistenza, avendo ricevuto informazione da qualsiasi fonte circa la presenza di persone in pericolo in mare - a procedere con tutta rapidità alla loro assistenza, se è possibile informando gli interessati o il servizio di ricerca e soccorso del fatto che la nave sta effettuando tale operazione.

 

Inoltre, la Convenzione internazionale sulla ricerca ed il salvataggio marittimo (cosiddetta Convenzione SAR), adottata ad Amburgo il 27 aprile 1979[5] obbliga gli Stati contraenti a dividere, sulla base di accordi regionali, il mare in zone di propria competenza S.A.R. (soccorso e salvataggio), per ciascuna delle quali sono individuati un "Centro di coordinamento di salvataggio" (Centro incaricato di provvedere ad una efficiente organizzazione dei servizi di ricerca e di salvataggio e di coordinare le operazioni di ricerca e di salvataggio in una zona di ricerca e di salvataggio- Maritime and Rescue Coordination Centre MRCC) e un "Centro secondario di salvataggio" (Centro subordinato ad un centro di coordinamento di salvataggio e complementare di quest'ultimo, in conformità alle disposizioni specifiche delle autorità responsabili – Maritime Rescus SubCentre MRSC).

In particolare, la Convenzione prevede che gli Stati parte della Convenzione stabiliscano, sia a titolo individuale sia, se del caso, in cooperazione con altri Stati, i seguenti elementi di base di un servizio di ricerca e di salvataggio: 1. il quadro giuridico; 2. la designazione di un'autorità responsabile; 3. l'organizzazione delle risorse disponibili; 4. i mezzi di comunicazione; 5. le funzioni di coordinamento e di utilizzazione; 6. i processi suscettibili di migliorare il servizio, fra i quali figurano la pianificazione, le relazioni di cooperazione nazionali ed internazionali e la formazione. Gli Stati parte della Convenzione applicano per quarto possibile, le norme minime e le direttive pertinenti stabilite dall'Organizzazione. Inoltre, per garantire che i mezzi di radiocomunicazione a terra siano adattati, che sono avviati gli allarmi di pericolo e che le operazioni siano correttamente coordinate al fine di consentire ai servizi di ricerca e di salvataggio in mare di svolgere le loro operazioni in modo efficace, gli Stati parte della Convenzione vigilano a titolo individuale o in cooperazione con altri Stati, affinché sia stabilito un numero sufficiente di aree di ricerca e di salvataggio (zone SAR) in ciascuna zona marittima. Queste aree dovrebbero essere contigue e per quanto possibile non sconfinare reciprocamente. Quando prevedono di istituire aree di ricerca e di salvataggio marittimo, gli Stati parte della Convenzione dovrebbero adoperarsi per verificare, se del caso, che i loro servizi di ricerca e di salvataggio aeronautici e marittimi siano compatibili. Gli Stati parte della Convenzione che hanno accettato la responsabilità di fornire servizi di ricerca e di salvataggio in una determinata zona, fanno appello ad unità di ricerca e di salvataggio e ad altri mezzi disponibili per prestare assistenza ad una persona che è, o sembra essere in pericolo in mare. Gli Stati parte della Convenzione devono comunicare informazioni sui loro servizi di ricerca e di salvataggio ed in particolare su: 1. l'autorità nazionale responsabile dei servizi di ricerca e di salvataggio marittimi; 2. l'ubicazione dei centri di coordinamento di salvataggio istituiti, o di altri centri duali assicurano il coordinamento delle operazioni di ricerca e di salvataggio nell'area o nelle aree di ricerca e di salvataggio, ed i mezzi di comunicazione in queste aree; 3. i confini delle loro aree di ricerca e di salvataggio e la copertura fornita dai loro mezzi terrestri di comunicazioni di pericolo e di sicurezza; e 4. i principali tipi d'unità di ricerca e di salvataggio a loro disposizione.

 

Successivamente, la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare del 1982 dispone inoltre che ogni Stato esiga che il comandante di una nave che batte la sua bandiera, nella misura in cui gli sia possibile adempiere senza mettere a repentaglio la nave, l'equipaggio e i passeggeri, presti soccorso a chiunque sia trovato in mare in pericolo di vita e proceda quanto più velocemente possibile al soccorso delle persone in pericolo qualora sia a conoscenza del loro bisogno di assistenza, nella misura in cui ci si può ragionevolmente aspettare da lui tale iniziativa (art. 98). Più in generale, secondo la Convenzione di Montego Bay, le navi di tutti gli Stati, costieri o privi di litorale, godono del diritto di passaggio inoffensivo attraverso il mare territoriale (art. 17). L’articolo 21 della medesima Convenzione consente allo Stato costiero di emanare leggi e regolamenti, conformemente alle disposizioni della presente Convenzione e ad altre norme del diritto internazionale, relativamente al passaggio inoffensivo attraverso il proprio mare territoriale, in merito ad una serie di materie, tra cui, la prevenzione di violazioni delle leggi e regolamenti doganali, fiscali, sanitari o di immigrazione dello Stato costiero. Viene, inoltre, sancito il diritto di protezione dello Stato costiero che può adottare le misure necessarie per impedire nel suo mare territoriale ogni passaggio che non sia inoffensivo (art. 25).

 

La risoluzione n. 167/78 del 20 luglio 2004 dell’Organizzazione marittima internazionale ha fornito poi delle linee guida sul trattamento delle persone soccorse in mare. In base alle linee guida, i governi responsabili delle zone SAR devono garantire che il loro centro di coordinamento accetti immediatamente la responsabilità delle operazioni di soccorso, inclusi gli accordi per l’individuazione del luogo di sicurezza (place of safety) per i naufraghi (in base al paragrafo 6.12 è “luogo sicuro” “il luogo in cui le operazioni di soccorso sono considerate concluse; è anche il luogo in cui la vita o la sicurezza della vita dei naufraghi non è minacciata oltre e dove possono essere soddisfatti le loro necessità umane fondamentali, come cibo, riparo, cure mediche; infine è un luogo in cui possono essere presi accordi per il trasporto dei sopravvissuti alla loro prossima o finale destinazione”); inoltre, i responsabili della nave coinvolta nelle operazioni di salvataggio, devono fare tutto il possibile, entro i limiti e le capacità della nave, per trattare i naufraghi umanamente e soddisfare i loro immediati bisogni; nel caso in cui il centro di coordinamento per i soccorsi responsabile per l’area dove i naufraghi sono stati soccorsi non possa essere contattato, devono tentare di contattare un altro centro di coordinamento o, se non è possibile, qualsiasi altra autorità governativa possa essere idonea a fornire assistenza, fermo restando che la responsabilità continua a ricadere sul centro di coordinamento responsabile per l’area; devono mantenere il centro di coordinamento responsabile per l’area informato; devono adeguarsi alle richieste rilevanti del Governo responsabile dell’area SAR o degli altri Stati costieri che abbiano risposto alla richiesta di soccorso.

 

Dal 1° luglio 2006 sono inoltre entrati in vigore per l’Italia gli emendamenti alle Convenzioni SOLAS e SAR, adottati dall’Organizzazione marittima mondiale (International Maritime Organization - IMO). Questi impongono agli Stati competenti per la regione SAR di cooperare nelle operazioni di soccorso e di prendersi in carico i naufraghi individuando e fornendo al più presto, la disponibilità di un luogo di sicurezza (Place of Safety - POS) inteso come luogo in cui le operazioni di soccorso si intendono concluse e la sicurezza dei sopravvissuti garantita.

 

Con riferimento agli obblighi in materia di soccorso in mare previsti dalle convenzioni sopra richiamate merita richiamare anche due recenti pronunce giurisprudenziali.

In particolare, nella sentenza n. 6626/2020 della Cassazione penale (sez. III, c.d. caso Rackete) si ricorda che l'obbligo di prestare soccorso dettato dalla convenzione internazionale SAR di Amburgo, non si esaurisce nell'atto di sottrarre i naufraghi al pericolo di perdersi in mare, ma comporta l'obbligo accessorio e conseguente di sbarcarli in un luogo sicuro (c.d. "place of safety"). La sentenza ricostruisce il significato di tale nozione a partire dalle fonti internazionali. In particolare, il punto 3.1.9 della Convenzione SAR dispone: “Le Parti devono assicurare il coordinamento e la cooperazione necessari affinché i capitani delle navi che prestano assistenza imbarcando persone in pericolo in mare siano dispensati dai loro obblighi e si discostino il meno possibile dalla rotta prevista, senza che il fatto di dispensarli da tali obblighi comprometta ulteriormente la salvaguardia della vita umana in mare. La Parte responsabile della zona di ricerca e salvataggio in cui viene prestata assistenza si assume in primo luogo la responsabilità di vigilare affinché siano assicurati il coordinamento e la cooperazione suddetti, affinché i sopravvissuti cui è stato prestato soccorso vengano sbarcati dalla nave che li ha raccolti e condotti in luogo sicuro, tenuto conto della situazione particolare e delle direttive elaborate dall'Organizzazione (Marittima Internazionale). In questi casi, le Parti interessate devono adottare le disposizioni necessarie affinché lo sbarco in questione abbia luogo nel più breve tempo ragionevolmente possibile”.

Le Linee guida sul trattamento delle persone soccorse in mare (Ris. MSC.167-78 del 2004) allegate alla Convenzione SAR, dispongono che il Governo responsabile per la regione SAR in cui sia avvenuto il recupero, sia tenuto a fornire un luogo sicuro o ad assicurare che esso sia fornito. Per l'Italia, il place of safety è determinato dall'Autorità SAR in coordinamento con il Ministero dell'Interno.

Secondo le citate Linee guida, “un luogo sicuro è una località dove le operazioni di soccorso si considerano concluse; dove la sicurezza dei sopravvissuti o la loro vita non è più minacciata; le necessità umane primarie (come cibo, alloggio e cure mediche) possono essere soddisfatte; e può essere organizzato il trasporto dei sopravvissuti nella destinazione vicina o finale” (par. 6.12).

“Sebbene una nave che presta assistenza possa costituire temporaneamente un luogo sicuro, essa dovrebbe essere sollevata da tale responsabilità non appena possano essere intraprese soluzioni alternative”. (par. 6.13).

Per la Cassazione, dunque, «non può essere qualificato “luogo sicuro”, per evidente mancanza di tale presupposto, una nave in mare che, oltre ad essere in balia degli eventi metereologici avversi, non consente il rispetto dei diritti fondamentali delle persone soccorse. Né può considerarsi compiuto il dovere di soccorso con il salvataggio dei naufraghi sulla nave e con la loro permanenza su di essa, poiché tali persone hanno diritto a presentare domanda di protezione internazionale secondo la Convenzione di Ginevra del 1951, operazione che non può certo essere effettuata sulla nave».

Ad ulteriore conferma di tale interpretazione la Corte di Cassazione ha richiamato la risoluzione n. 1821 del 21 giugno 2011 del Consiglio d'Europa (L'intercettazione e il salvataggio in mare dei domandanti asilo, dei rifugiati e dei migranti in situazione irregolare), secondo cui "la nozione di "luogo sicuro" non può essere limitata alla sola protezione fisica delle persone ma comprende necessariamente il rispetto dei loro diritti fondamentali" (punto 5.2.) che, pur non essendo fonte diretta del diritto, costituisce un criterio interpretativo imprescindibile del concetto di "luogo sicuro" nel diritto internazionale.

Si segnala inoltre Corte di giustizia UE, sentenza 1° agosto 2022 sulle cause riunite C?14/21 e C?15/21 (cause Sea Watch 3 e 4), aventi ad oggetto due domande di pronuncia pregiudiziale sull’interpretazione della direttiva 2009/16/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 aprile 2009, relativa al controllo delle navi da parte dello Stato di approdo, come modificata dalla direttiva (UE) 2017/2110 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 novembre 2017, nonché della Convenzione internazionale per la salvaguardia della vita umana in mare, conclusa a Londra il 1º novembre 1974.

In tale sentenza la Corte di giustizia ha chiarito innanzitutto che la direttiva 2009/16 relativa al controllo delle navi da parte dello Stato di approdo deve essere interpretata nel senso che essa è applicabile a qualsiasi nave che si trovi in un porto, in un ancoraggio o nelle acque soggetti alla giurisdizione di uno Stato membro e batta bandiera di un altro Stato membro o di uno Stato terzo, senza ricadere in una delle eccezioni elencate all’articolo 3, paragrafo 4, delle medesima direttiva, le quali devono essere interpretate restrittivamente («navi di Stato usate per scopi non commerciali» e «imbarcazioni da diporto che non si dedicano ad operazioni commerciali»). Se ne deduce che nel rispetto di tali eccezioni la direttiva 2009/16, ivi incluso il sistema di controllo, ispezione e fermo previsto dagli articoli da 11 a 13 e 19 di quest’ultima, è applicabile alle navi private di soccorso umanitario (punti in diritto 80 e 81), ivi inclusa l’ipotesi in cui siano classificate e certificate come navi da carico da parte dello Stato di bandiera, mentre in pratica siano utilizzate sistematicamente da un’organizzazione umanitaria per un’attività non commerciale di ricerca e soccorso di persone in pericolo o in difficoltà in mare.

A tali navi si applicherà la normativa nazionale che assicura la trasposizione della direttiva nel diritto interno, la quale non potrebbe limitare la sua applicabilità alle sole navi utilizzate a fini commerciali (punto in diritto 86).

La Corte UE ha inoltre precisato che la direttiva 2009/16, il cui scopo è migliorare l’osservanza delle norme di diritto internazionale e della legislazione dell’Unione relative alla sicurezza marittima, alla tutela dell’ambiente marino e alle condizioni di vita e di lavoro a bordo, deve essere interpretata tenendo conto della convenzione per la salvaguardia della vita umana in mare e della convenzione sul diritto del mare.

 

Sulla base di questa premessa la Corte si è pronunciata sulle seguenti questioni.

 

1) Se l’articolo 11, lettera b), della direttiva 2009/16[6], in combinato disposto con l’allegato I, parte II, di tale direttiva, debba essere interpretato nel senso che l’utilizzo di navi da carico ai fini di un’attività sistematica di ricerca e soccorso di persone in pericolo o in difficoltà in mare può essere considerato un fattore che giustifichi che dette navi siano sottoposte a ispezione supplementare, in ragione del fatto che detto utilizzo implica che tali navi trasportino un numero di persone sproporzionato rispetto alle loro capacità di trasporto, quali risultano dalla loro classificazione e dai loro certificati di attrezzatura.

 

Su questo punto la Corte conclude che “lo Stato di approdo può sottoporre a un’ispezione supplementare le navi che esercitano un’attività sistematica di ricerca e soccorso e che si trovano in uno dei suoi porti o in acque soggette alla sua giurisdizione, dopo che esse sono entrate in tali acque e dopo che sono state completate tutte le operazioni di trasbordo o di sbarco delle persone alle quali i rispettivi comandanti hanno deciso di prestare soccorso, qualora tale Stato abbia accertato, sulla base di elementi giuridici e fattuali circostanziati, che esistevano indizi seri tali da dimostrare un pericolo per la salute, la sicurezza, le condizioni di lavoro a bordo o l’ambiente, tenuto conto delle condizioni di gestione di tali navi (punto in diritto 126)”.

 

2) Se l’articolo 13 della direttiva 2009/16[7] debba essere interpretato nel senso che, in occasione di ispezioni dettagliate organizzate ai sensi di tale articolo (nell’ambito del più generale sistema di controllo delle navi soggette alla giurisdizione dello Stato membro di approdo), lo Stato di approdo può, da un lato, tenere conto del fatto che navi classificate e certificate come navi da carico da parte dello Stato di bandiera sono, in pratica, utilizzate per un’attività sistematica di ricerca e soccorso di persone in pericolo o in difficoltà in mare e, dall’altro, imporre che venga provato che tali navi dispongono di certificati diversi da quelli rilasciati dallo Stato di bandiera o che esse rispettino prescrizioni applicabili a una diversa classificazione.

Su questo ulteriore punto la Corte conclude che “lo Stato di approdo può tenere conto del fatto che navi classificate e certificate come navi da carico da parte dello Stato di bandiera sono, in pratica, utilizzate per un’attività sistematica di ricerca e soccorso di persone in pericolo o in difficoltà in mare, nell’ambito di un controllo diretto a valutare, sulla base di elementi giuridici e fattuali circostanziati, l’esistenza di un pericolo per le persone, le cose o l’ambiente, alla luce delle condizioni di gestione di tali navi. Per contro, lo Stato di approdo non può imporre che le navi sottoposte a un’ispezione dettagliata dispongano di certificati diversi da quelli rilasciati ad esse dallo Stato di bandiera o che rispettino tutte le prescrizioni applicabili alle navi rientranti in una diversa classificazione. Un siffatto controllo equivarrebbe, infatti, a rimettere in discussione il modo in cui lo Stato di bandiera ha esercitato la propria competenza in materia di concessione della propria nazionalità alle navi, nonché di classificazione e di certificazione di queste ultime” (punti in diritto 138 e 139).

 

3) Se l’articolo 19 della direttiva 2009/16[8] debba essere interpretato nel senso che, nell’ipotesi in cui sia accertato che navi utilizzate, in pratica, per un’attività sistematica di ricerca e soccorso di persone in pericolo o in difficoltà in mare, pur essendo state classificate e certificate come navi da carico da parte di uno Stato membro che riveste la qualità di Stato di bandiera, sono state gestite in modo da costituire un pericolo per le persone, le cose o l’ambiente, lo Stato membro che riveste la qualità di Stato di approdo può subordinare il mancato fermo di tali navi o la revoca di siffatto fermo alla condizione che queste ultime dispongano di certificati idonei a tale attività e rispettino le prescrizioni corrispondenti o, in mancanza, alla condizione che esse eseguano determinate azioni correttive in materia di sicurezza, di prevenzione dell’inquinamento, nonché di condizioni di vita e di lavoro a bordo.


Su quest’ultimo punto la Corte UE si è espressa nel senso che “l’articolo 19 della direttiva 2009/16 deve essere interpretato nel senso che, nell’ipotesi in cui sia accertato che navi utilizzate, in pratica, per un’attività sistematica di ricerca e soccorso di persone in pericolo o in difficoltà in mare, pur essendo state classificate e certificate come navi da carico da parte di uno Stato membro che riveste la qualità di Stato di bandiera, sono state gestite in modo da costituire un pericolo per le persone, le cose o l’ambiente, lo Stato membro che riveste la qualità di Stato di approdo non può subordinare il mancato fermo di tali navi o la revoca di siffatto fermo alla condizione che queste ultime dispongano di certificati idonei a tale attività e rispettino tutte le prescrizioni corrispondenti. Per contro, tale Stato può imporre azioni correttive determinate in materia di sicurezza, di prevenzione dell’inquinamento, nonché di condizioni di vita e di lavoro a bordo, purché tali azioni correttive siano giustificate dall’esistenza di carenze che rappresentano un evidente pericolo per la sicurezza, la salute o l’ambiente e che comportano l’impossibilità di navigare in condizioni idonee a garantire la sicurezza in mare. Siffatte azioni correttive devono altresì essere adeguate, necessarie e proporzionate a tal fine. Inoltre, la loro adozione e la loro attuazione da parte dello Stato di approdo devono essere oggetto di una leale cooperazione con lo Stato di bandiera, nel rispetto dei poteri rispettivi di tali due Stati.” (punto in diritto 159).

 

 

 

 

 

 

 

 

 

l’interlocuzione fra il commissario per i diritti umani
del Consiglio d'Europa e il Governo italiano
sul decreto-legge n. 1 del 2023

 

Sul decreto legge n. 1 del 2023 si è realizzata una interlocuzione fra il Consiglio d'Europa e il Governo italiano. Il 26 gennaio 2023, infatti, il Commissario per i diritti umani del Consiglio d'Europa, Dunja Mijatovi?[9], ha indirizzato una lettera al ministro dell'Interno italiano, Matteo Piantedosi.

Il Commissario Mijatovi? evidenzia innanzitutto come fra i suoi compiti vi sia quello di stabilire un dialogo con i governi degli Stati membri per aiutarli a risolvere eventuali carenze nelle loro leggi e pratiche, e come i diritti umani dei rifugiati, dei richiedenti asilo e dei migranti siano un'area tematica fondamentale del suo lavoro. La medesima Mijatovi? ha espresso pertanto alcune osservazioni sul decreto in oggetto - il quale fornisce un quadro normativo per le navi delle organizzazioni non governative (Ong) che effettuano operazioni di ricerca e soccorso in mare - e ha invitato il Governo italiano a considerare la possibilità di ritirare il decreto o, in alternativa, nel corso del dibattito parlamentare, di apportare le modifiche necessarie affinché il testo - ha rilevato - soddisfi appieno gli obblighi dell'Italia in materia di diritti umani e nel rispetto del diritto internazionale.

Il Commissario ha espresso il timore che alcune disposizioni contenute nel decreto potrebbero ostacolare le operazioni di soccorso delle Ong nel Mediterraneo centrale e, per tale motivo, porsi in contrasto con gli obblighi dell'Italia in materia di diritti umani e diritto internazionale. Si fa riferimento, prima fra tutte, alla norma che obbliga le navi dopo un'operazione di salvataggio a raggiungere, senza ritardo, il porto assegnato per lo sbarco. Il Commissario ritiene che tale previsione corra il rischio, nella sua applicazione pratica, di impedire un’effettiva attività di ricerca e salvataggio da parte delle navi Ong, impedendo che queste compiano salvataggi multipli in mare e costringendole a ignorare ulteriori richieste di soccorso nelle vicinanze nel caso abbiano già a bordo persone tratte in salvo, anche quando avrebbero ancora la capacità di effettuare un altro salvataggio. Conformandosi a tale disposizione, i comandanti delle Ong verrebbero di fatto meno agli obblighi di soccorso previsti dal diritto internazionale.

Inoltre, il Commissario Mijatovi?:

§  osserva con preoccupazione che nella pratica alle navi Ong sono stati assegnati 'porti sicuri' distanti dal luogo del salvataggio, come i porti del centro e del nord Italia. Tale previsione prolungherebbe le sofferenze delle persone soccorse e il protrarsi della permanenza a bordo potrebbe aggravare le condizioni di salute di tutte le persone coinvolte, in particolare i soggetti vulnerabili;
evidenzia che l’indeterminatezza della nozione di 'conformità ai requisiti tecnici' contenuta nel testo del decreto potrebbe portare a lunghe e ripetute ispezioni di sicurezza delle imbarcazioni delle Ong, impedendo loro di riprendere le operazioni di salvataggio;

§  ribadisce l'invito rivolto alle autorità italiane di sospendere la cooperazione con il governo libico sulle intercettazioni in mare, e di subordinare ogni futura attività di cooperazione con i paesi terzi nel campo della migrazione alla garanzia che questi rispettino appieno i diritti umani, come indicato nella sua raccomandazione sul Mediterraneo centrale;

§  chiede ulteriori informazioni sulle accuse sollevate di recente dai media riguardo l'esistenza di procedure di rimpatrio dall'Italia alla Grecia su navi private, nel corso delle quali i migranti sarebbero stati privati della libertà, in condizioni precarie e senza aver avuto la possibilità di presentare una domanda di asilo in Italia. Facendo riferimento alla sua raccomandazione per porre fine ai respingimenti in Europa, ricorda che lo svolgimento di valutazioni individuali delle esigenze di protezione di ogni persona che arrivi alla frontiera rimane uno strumento fondamentale per la tutela del diritto di non refoulement e per rispettare il divieto di espulsioni collettive.

Alle osservazioni sopra ricordate, il Governo italiano ha opposto le sue controdeduzioni. Di seguito il testo integrale della replica, inviata con lettera in data 1° febbraio 2023, che, per questo riguardo, ha reso il ministro Piantedosi.

“La tutela della vita e della dignità umana e la salvaguardia dei diritti fondamentali dei rifugiati e dei richiedenti la protezione internazionale sono per il nostro Paese una priorità assoluta. Tuttavia, non può essere elusa la potestà delle autorità governative competenti in materia di ricerca e soccorso in mare, né possono eludersi le norme in tema di controllo delle frontiere e di immigrazione.

Al contemperamento di tali esigenze risponde il decreto legge n. 1/2023, in corso di conversione in questi giorni.

Il provvedimento interviene sulle attività svolte da navi private che effettuano attività di recupero di persone in mare, con l'obiettivo di prevenire possibili abusi della normativa di settore, riferita a salvataggi operati occasionalmente e non, invece, ad attività di intercetto e recupero sistematico e non occasionale di migranti in partenza dalle coste africane.

In tale prospettiva, le recenti disposizioni declinano le condizioni in presenza delle quali l'attività di recupero operata da navi private può ritenersi conforme alle convenzioni internazionali e alle norme nazionali, escludendo l'adozione di provvedimenti interdettivi o sanzionatori.

Si tratta di condotte, come l'immediata richiesta del POS, il suo raggiungimento senza ritardo, l'ottemperanza alle indicazioni delle competenti autorità statali, l'aver operato con modalità che non abbiano concorso a determinate situazioni di pericolo a bordo, funzionali alla più tempestiva messa in sicurezza delle persone recuperate.

A differenza di quanto asserito, dunque, le nuove disposizioni non impediscono alle ONG di effettuare interventi multipli in mare, né, meno che mai, le obbligano a ignorare eventuali ulteriori richieste di soccorso nell'area, qualora già abbiano preso a bordo delle persone. Tali interventi sono, infatti, legittimi se effettuati in conformità alle regole di condotta enucleate dal legislatore e alle indicazioni del competente centro di coordinamento del soccorso marittimo.

Ciò che la nuova norma intende evitare è, piuttosto, la sistematica attività di recupero dei migranti nelle acque antistanti le coste libiche o tunisine, al fine di condurli esclusivamente in Italia, senza alcuna forma di coordinamento.

Tale modus operandi, diffuso tra le ONG, si pone al di fuori delle fattispecie previste dalle Convenzioni internazionali in materia di soccorso in mare; inoltre, ingenerando nei trafficanti di esseri umani l'aspettativa di un sicuro e immediato intervento appena al largo delle aree di partenza, ha finito con il determinare — a prescindere dalle intenzioni delle ONG — una modulazione del modello criminale che precede l'impiego di imbarcazioni inadeguate alla navigazione in alto mare che, se per un verso garantiscono maggiori guadagni alle organizzazioni criminali, per altro verso, innalzano sensibilmente l'esposizione a rischio dei migranti.

Le considerazioni suesposte evidenziano come la scelta operata dal legislatore, lungi dall'ostacolare le operazioni di ricerca e soccorso, si proponga piuttosto di consentirne la più sicura e rapida conclusione, limitando nel contempo lo spazio di manovra dei trafficanti di esseri umani.

Quanto alle preoccupazioni espresse in ordine all'assegnazione alle navi ONG di place of safety nell'Italia centrale e settentrionale, si evidenzia come tale scelta trovi fondamento nell'imprescindibile necessità di operare una più equa redistribuzione tra le regioni, non tanto dei migranti, abitualmente trasferiti presso strutture di accoglienza dislocate sull'intero territorio nazionale, quanto degli oneri organizzativi e logistici correlati alla gestione degli sbarchi.

L'obiettivo perseguito è, in altri termini, quello di alleggerire le strutture di primissima accoglienza, prima tra tutte l'hotspot di Lampedusa, e gli incombenti che gravano sugli organismi e Corpi preposti alla gestione degli arrivi di migranti nelle regioni del sud Italia e, in particolare, in Sicilia e Calabria, sottoposte da mesi alla crescente pressione dei c.d. "sbarchi autonomi".

Deve aggiungersi che le navi cui è stato assegnato un POS in località più lontane sono assetti di grandi dimensioni, come tali idonei ad affrontare in sicurezza lunghe traversate, e che l'assegnazione del POS presuppone sempre un preliminare confronto con organi tecnici al fine di verificare l'assenza di possibili situazioni di rischio per l'incolumità delle persone a bordo.

Privo di fondamento appare, inoltre, il timore che il richiamo contenuto nella nuova norma alla necessità che le navi private che effettuano attività di recupero di persone in mare siano "in possesso dei requisiti di idoneità tecnico-nautica", possa determinare, per la sua genericità, la sottoposizione delle stesse navi a lunghi e ripetuti controlli, tali da allontanarle per significativi periodi dall'attività di ricerca e soccorso.

I recenti controlli svolti dalle competenti autorità, in conformità alle nuove disposizioni, in relazione agli ultimi interventi operati da navi ONG, non hanno, infatti, comportato alcuna lungaggine o ritardo, consentendo ai natanti la pronta ripresa della navigazione.

Con riguardo, infine, alle notizie diffuse dai media in merito a una presunta pratica di riammissione verso la Grecia, a bordo di navi private, di persone cui sarebbe stato impedito di presentare domanda di asilo in Italia, si riferisce che esse appaiono destituite di fondamento.

Ne è prova l’esiguità del numero dei riammessi in Grecia (76 nel 2020, 160 nel 2021, 91 nel 2022 e 3 alla data del 15 gennaio 2023), a fronte delle migliaia di passeggeri provenienti da quel Paese che sbarcano in Italia.

Del pari, significativo è il numero delle domande di protezione internazionale presentate presso gli Uffici di Polizia di frontiera dislocati nei porti dell'Adriatico da stranieri provenienti dalla Grecia, che evidenzia come i richiedenti asilo non vengano riammessi dall’Italia.

Con riguardo alle modalità di esecuzione delle procedure in frontiera, si rappresenta, inoltre, che, nel rispetto del Codice Frontiere Schengen, la Polizia di frontiera, sui collegamenti intra-Schengen con la Grecia, non svolge controlli sistematici nei confronti dei passeggeri, bensì a campione.

In caso di rintraccio di irregolari, gli operatori, dopo aver garantito loro la necessaria assistenza sanitaria, procedono alle verifiche di competenza, anche con l'ausilio di mediatori culturali. Nella circostanza, allo straniero viene sempre garantito il diritto di manifestare la volontà di chiedere la protezione internazionale, rendendolo edotto di tale facoltà tramite interpreti o depliant informativi multilingua. Qualora tale volontà sia manifestata, il richiedente, dopo il fotosegnalamento e la trasmissione degli atti in Questura, viene collocato in una struttura di accoglienza.

Solo gli stranieri irregolari che non intendono presentare domanda di protezione internazionale, vengono riammessi in Grecia, mediante affidamento al vettore con apposito verbale consegnato al comandante della nave. Tale procedura prevede sempre una valutazione caso per caso, fondata sull'Accordo di riammissione italo-greco del 30 aprile 1999.

Si precisa che gli stranieri irregolari vengono trattenuti dalla Polizia di frontiera per il tempo strettamente necessario alle operazioni di identificazione e, comunque, nel rispetto delle norme a tutela della dignità umana.

I minori stranieri non accompagnati vengono affidati ad apposite strutture di accoglienza, mentre vengono riammessi in Grecia solo i minori che viaggiano insieme al proprio nucleo familiare.

In merito alle preoccupazioni circa le modalità con le quali viene eseguito il trasferimento in Grecia, si evidenzia che in esecuzione dell'Accordo italo-greco, il trasporto avviene a cura del vettore, per cui non risulta possibile riferire in merito a quanto avviene a bordo della nave”.

 

 

 



Testo a fronte

 

Nella tabella che segue sono messi a raffronto il testo previgente dell’articolo 1, comma 2, del D.L. 130/2022 e quello comprensivo delle modifiche apportate dal D.L. 1/2023, nel testo risultante dalle modifiche apportate nel corso dell’esame presso la Camera dei deputati in prima lettura (tali ultime modifiche sono indicate in grassetto corsivo).

 

Testo previgente

D.L. 1/2023

Decreto-legge 130/2020

Art. 1, comma 2

Comma 2. (primo periodo)
Fermo restando quanto previsto dall'articolo 83 del codice della navigazione, per motivi di ordine e sicurezza pubblica, in conformità alle previsioni della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, con allegati e atto finale, fatta a Montego Bay il 10 dicembre 1982, resa esecutiva dalla legge 2 dicembre 1994, n. 689, il Ministro dell'interno, di concerto con il Ministro della difesa e con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, previa informazione al Presidente del Consiglio dei ministri, può limitare o vietare il transito e la sosta di navi nel mare territoriale, salvo che si tratti di naviglio militare o di navi in servizio governativo non commerciale.

Identico

..segue comma 2 (secondo periodo)
Le disposizioni del presente comma non trovano comunque applicazione nell'ipotesi di operazioni di soccorso immediatamente comunicate al centro di coordinamento competente per il soccorso marittimo e allo Stato di bandiera ed effettuate nel rispetto delle indicazioni della competente autorità per la ricerca e il soccorso in mare, emesse sulla base degli obblighi derivanti dalle convenzioni internazionali in materia di diritto del mare, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali e delle norme nazionali, internazionali ed europee in materia di diritto di asilo, fermo restando quanto previsto dal Protocollo addizionale della Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità transnazionale organizzata per combattere il traffico illecito di migranti via terra, via mare e via aria, reso esecutivo dalla legge 16 marzo 2006, n. 146.

2-bis.
Le disposizioni del comma 2 non si applicano nelle ipotesi di operazioni di soccorso immediatamente comunicate al centro di coordinamento competente per il soccorso marittimo nella cui area di responsabilità si svolge l'evento e allo Stato di bandiera ed effettuate nel rispetto delle indicazioni delle predette autorità, emesse sulla base degli obblighi derivanti dalle convenzioni internazionali in materia di diritto del mare, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali e delle norme nazionali, internazionali ed europee in materia di diritto di asilo, fermo restando quanto previsto dal Protocollo addizionale della Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità transnazionale organizzata per combattere il traffico illecito di migranti via terra, via mare e via aria, reso esecutivo dalla legge 16 marzo 2006, n. 146. Ai fini del presente comma devono ricorrere congiuntamente le seguenti condizioni:

a) la nave che effettua in via sistematica attività di ricerca e soccorso in mare opera in conformità alle certificazioni e ai documenti rilasciati dalle competenti autorità dello Stato di bandiera ed è mantenuta conforme agli stessi ai fini della sicurezza della navigazione, della prevenzione dell'inquinamento, della certificazione e dell'addestramento del personale marittimo nonché delle condizioni di vita e di lavoro a bordo;[10]

b) sono state avviate tempestivamente iniziative volte a informare le persone prese a bordo della possibilità di richiedere la protezione internazionale e, in caso di interesse, a raccogliere i dati rilevanti da mettere a disposizione delle autorità;

c) è stata richiesta, nell'immediatezza dell'evento, l'assegnazione del porto di sbarco;

d) il porto di sbarco assegnato dalle competenti autorità è raggiunto senza ritardo per il completamento dell'intervento di soccorso;

e) sono fornite alle autorità per la ricerca e il soccorso in mare italiane, ovvero, nel caso di assegnazione del porto di sbarco, alle autorità di pubblica sicurezza, le informazioni richieste ai fini dell'acquisizione di elementi relativi alla ricostruzione dettagliata dell'operazione di soccorso posta in essere;

f) le modalità di ricerca e soccorso in mare da parte della nave non hanno concorso a creare situazioni di pericolo a bordo né impedito di raggiungere tempestivamente il porto di sbarco.

 

2-ter. Il transito e la sosta di navi nel mare territoriale sono comunque garantiti ai soli fini di assicurare il soccorso e l'assistenza a terra delle persone prese a bordo a tutela della loro incolumità, fatta salva, in caso di violazione del provvedimento adottato ai sensi del comma 2, l'applicazione delle sanzioni di cui ai commi 2-quater e 2-quinquies

..segue comma 2 (terzo periodo)
Nei casi di inosservanza del divieto o del limite di navigazione stabilito ai sensi del primo periodo, si applica l'articolo 1102 del codice della navigazione e la multa è da euro 10.000 ad euro 50.000.

2-quater.
Nei casi di violazione del provvedimento adottato ai sensi del comma 2, salve le sanzioni penali quando il fatto costituisce reato, si applica al comandante della nave la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro l0.000 a euro 50.000. La responsabilità solidale di cui all'articolo 6 della legge 24 novembre 1981, n. 689, si estende all'armatore e al proprietario della nave. Alla contestazione della violazione consegue l'applicazione della sanzione amministrativa accessoria del fermo amministrativo per due mesi della nave utilizzata per commettere la violazione. L'organo accertatore, che applica la sanzione del fermo amministrativo, nomina custode l'armatore o, in sua assenza, il comandante o altro soggetto obbligato in solido, che fa cessare la navigazione e provvede alla custodia della nave a proprie spese. Avverso il provvedimento di fermo amministrativo della nave, adottato dall'organo accertatore, è ammesso ricorso, entro sessanta giorni dalla notificazione del verbale di contestazione, al Prefetto che provvede nei successivi venti giorni. Al fermo amministrativo di cui al presente comma si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni di cui all'articolo 214 del Codice della strada di cui al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285.

 

2-quinquies. In caso di reiterazione della violazione commessa con l'utilizzo della medesima nave, si applica la sanzione amministrativa accessoria della confisca della nave e l'organo accertatore procede immediatamente a sequestro cautelare.

 

2-sexies. Fuori dei casi in cui è stato adottato il provvedimento di limitazione[11] o divieto di cui al comma 2, quando il comandante della nave o l’armatore non fornisce le informazioni richieste dalla competente autorità nazionale per la ricerca e il soccorso in mare nonché dalla struttura nazionale preposta al coordinamento delle attività di polizia di frontiera e di contrasto dell’immigrazione clandestina o non si uniforma alle loro indicazioni, si applica la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 2.000 a euro l 0.000. Alla contestazione della violazione consegue l’applicazione della sanzione amministrativa accessoria del fermo amministrativo per venti giorni della nave utilizzata per commettere la violazione. In caso di reiterazione della violazione, la sanzione amministrativa accessoria del fermo amministrativo è di due mesi e si applica il comma 2-quater, secondo, quarto, quinto e sesto periodo. In caso di ulteriore reiterazione della violazione, si applica quanto previsto dal comma 2-quinquies. Le sanzioni di cui al presente comma si applicano anche in caso di mancanza di una delle condizioni di cui al comma 2-bis accertata successivamente all’assegnazione del porto di sbarco.[12]

 

2-septies. All’irrogazione delle sanzioni di cui ai commi 2-quater, primo e quinto periodo, 2-quinquies e 2-sexies, primo periodo, accertate dagli organi addetti al controllo, provvede il prefetto territorialmente competente per il luogo di accertamento della violazione. Si osservano, in quanto compatibili, le disposizioni di cui alla legge 24 novembre 1981, n. 689. I proventi derivanti dalle sanzioni amministrative pecuniarie sono versati ad apposito capitolo dell’entrata del bilancio dello Stato per essere riassegnati, con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, al fondo di cui all’articolo 1, comma 795, della legge 30 dicembre 2023, e destinati annualmente, a decorrere dall’anno 2023, all’erogazione dei contributi ivi previsti, con i criteri e le modalità stabiliti ai sensi dell’articolo 1, comma 796, della medesima legge.[13]

 

 



[1]              Regolamento (UE) n. 603/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013 , che istituisce l' «Eurodac» per il confronto delle impronte digitali per l'efficace applicazione del regolamento (UE) n. 604/2013 che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l'esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide e per le richieste di confronto con i dati Eurodac presentate dalle autorità di contrasto degli Stati membri e da Europol a fini di contrasto, e che modifica il regolamento (UE) n. 1077/2011 che istituisce un'agenzia europea per la gestione operativa dei sistemi IT su larga scala nello spazio di libertà, sicurezza e giustizia (rifusione).

[2] Istituita dall’articolo 35 della legge n. 189 del 2002 recante modifica alla normativa in materia di immigrazione ed asilo (cd. Bossi-Fini).

[3] La cui adesione da parte italiana è stata autorizzata dalla legge 23 maggio 1980, n. 313.

[4] La cui autorizzazione alla ratifica è intervenuta con la richiamata legge n. 313 del 1980.

[5] L’autorizzazione alla ratifica della Convenzione è intervenuta con la legge 3 aprile 1989, n. 147.

[6]              Gli articoli da 11 a 19 della direttiva descrivono un sistema generale di controllo, ispezione e fermo che può essere applicato, salvo eccezioni, a tutte le navi soggette alla giurisdizione dello Stato membro di approdo, allo scopo di migliorare l’osservanza delle norme di diritto internazionale e della legislazione dell’Unione relative alla sicurezza marittima, alla tutela dell’ambiente marino e alle condizioni di vita e di lavoro a bordo. L’articolo 11, in particolare, impone agli Stati membri che rivestono la qualità di Stato di approdo di sottoporre siffatte navi sia ad ispezioni periodiche, che devono essere organizzate a intervalli di tempo prestabiliti a seconda del rispettivo profilo di rischio, sia ad ispezioni supplementari, indipendentemente dal periodo intercorso dalla loro ultima ispezione periodica.

[7]              Detto articolo impone agli Stati membri di provvedere affinché le navi selezionate siano sottoposte a un’ispezione iniziale o a un’ispezione dettagliata. Precisa inoltre, al punto 1, che l’ispezione iniziale di una nave deve prefiggersi almeno di controllare i certificati che devono essere conservati a bordo conformemente al diritto dell’Unione e alle convenzioni internazionali in materia di sicurezza, nonché di verificare che siano soddisfacenti le condizioni generali della nave di cui trattasi. Tale articolo prevede altresì, al punto 3, che si debba procedere ad un’ispezione più dettagliata che comprende un’ulteriore verifica della conformità della nave ai requisiti operativi di bordo se, a seguito dell’ispezione iniziale, «sussistono fondati motivi per ritenere che le condizioni della nave, delle relative dotazioni o dell’equipaggio sostanzialmente non soddisfino i pertinenti requisiti di una convenzione».

[8]              Ai sensi dell’articolo 19, paragrafo 1, della direttiva 2009/16, l’autorità competente dello Stato di approdo si accerta che tutte le carenze confermate o rivelate dall’ispezione che essa ha effettuato siano corrette secondo le convenzioni internazionali. Tale articolo stabilisce altresì, al paragrafo 2, che, nel caso in cui siffatte carenze rappresentino un evidente pericolo per la sicurezza, la salute o l’ambiente, tale autorità si accerta che la nave interessata sia sottoposta a fermo o che sia interrotto lo svolgimento dell’operazione durante la quale emergono tali carenze, aggiungendo che il provvedimento di fermo o di interruzione di un’operazione non è revocato fino a quando non sia stato eliminato il pericolo o fino a che detta autorità stabilisca che, a determinate condizioni, tale nave può riprendere il mare o l’operazione può essere ripresa senza rischi per la sicurezza e la salute dei passeggeri o dell’equipaggio, senza pericoli per le altre navi e senza rappresentare una minaccia irragionevole per l’ambiente marino.

[9] Il Consiglio d'Europa è un'istituzione intergovernativa fondata nel 1949 con lo scopo di tutelare i diritti umani e la legalità negli Stati membri, costruire una stabilità democratica in Europa, promuovere l'identità culturale europea e l'educazione nonché la coesione sociale e i diritti sociali. In quanto Commissario per i diritti umani del Consiglio d'Europa, il mandato di Dunja Mijatovi? è quello di promuovere l'effettiva osservanza dei diritti umani in tutti i 46 Stati membri del Consiglio d'Europa.

[10] La lettera a) nel testo iniziale recita invece: “a) la nave che effettua in via sistematica attività di ricerca e soccorso in mare opera in conformità ad autorizzazioni o abilitazioni rilasciate dalle competenti autorità dello Stato di bandiera ed è in possesso dei requisiti di idoneità tecnico-nautica alla sicurezza della navigazione”.

[11] In luogo di “limite”, correzione di forma approvata dalle Commissioni in sede referente della Camera dei deputati nella seduta del 31 gennaio 2023.

[12] Di seguito il testo originario del comma 2-sexies: “2-sexies. Fuori dei casi in cui è stato adottato il provvedimento di limite o divieto di cui al comma 2, quando il comandante della nave o l’armatore non fornisce le informazioni richieste dalla competente autorità nazionale per la ricerca e il soccorso in mare o non si uniforma alle indicazioni della medesima autorità, si applica la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 2.000 a euro l 0.000. Alla contestazione della violazione consegue l’applicazione della sanzione amministrativa accessoria del fermo amministrativo per venti giorni della nave utilizzata per commettere la violazione. In caso di reiterazione della violazione, la sanzione amministrativa accessoria del fermo amministrativo è di due mesi e trova applicazione il comma 2-quater, secondo, quarto, quinto e sesto periodo. In caso di ulteriore reiterazione della violazione, si applica quanto previsto dal comma 2-quinquies.”

[13] Di seguito il testo originario del comma 2-septies: “2-septies. All’irrogazione delle sanzioni di cui ai commi 2-quater, primo periodo, 2-quinquies e 2-sexies, primo periodo, accertate dagli organi addetti al controllo, provvede il prefetto territorialmente competente. Si osservano le disposizioni di cui alla legge 24 novembre 1981, n. 689.”