Camera dei deputati - Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento Bilancio
Titolo: Disposizioni per il riconoscimento e la promozione delle zone montane - versione aggiornata al 28 gennaio 2025
Riferimenti: AC N.2126/XIX
Serie: Progetti di legge   Numero: 289/3
Data: 28/01/2025
Organi della Camera: V Bilancio

 

28 gennaio 2025

 

Disposizioni per il riconoscimento e la promozione delle
zone montane

 

Versione aggiornata al 28 gennaio 2025

 

A.C. 2126

Parte I – Schede di lettura

 

 

 

 

Parte I – Schede di lettura

 

 

Servizio Studi

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Dossier n. 280/3

 

 

 

 

 

Servizio Studi

Dipartimento Bilancio

Tel. 06 6760-2233 - *   st_bilancio@camera.it @CD_bilancio

Progetti di legge n. 289/3

 

 

 

 

Parte II – Profili di carattere finanziario

 

 

Servizio Bilancio dello Stato - Verifica delle quantificazioni n. 292

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Servizio Commissioni – Segreteria V Commissione

Tel. 06 6760-3545 – 06 6760-3685 * com_bilancio@camera.it

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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I N D I C E

 

Articolo 1 (Finalità). 3

Articolo 2, commi 1-3 (Classificazione dei comuni montani). 11

Articolo 2, commi 4- 6 (Delega riordino agevolazioni comuni montani). 16

Articolo 3 (Strategia per la montagna italiana). 18

Articolo 4 (Fondo per lo sviluppo delle montagne italiane). 20

Articolo 5 (Relazione annuale). 33

Articolo 6, comma 1 (Valorizzazione dell’attività prestata dagli esercenti professioni sanitarie e dagli operatori sociosanitari presso strutture ubicate nei comuni montani destinatari di misure di sostegno). 34

Articolo 6, commi 2-4 e 6-7 (Credito d’imposta dipendenti strutture sanitarie di montagna)  37

Articolo 6, commi 5 e 8 (Emolumenti personale medico e sanitario dei comuni di montagna)  40

Articolo 7, commi 1-3, 4 e 10 (Scuole di montagna). 43

Articolo 7, commi 5-9 (Credito d’imposta dipendenti scuole di montagna). 53

Articolo 8 (Interventi per i tribunali siti in aree montane). 56

Articolo 9 (Disposizioni in materia di formazione superiore nelle zone montane). 58

Articolo 10 (Servizi di comunicazione) 62

Articolo 11 (Valorizzazione dei pascoli e dei boschi montani). 65

Articolo 12 (Ecosistemi montani). 70

Articolo 13 (Monitoraggio dei ghiacciai e bacini idrici). 71

Articolo 14 (Modifiche al decreto legislativo 3 aprile 2018, n. 34). 74

Articolo 15 (Modifiche all’art. 7 della legge n. 10 del 2013 in materia di alberi e boschi monumentali d’Italia). 76

Articolo 16, commi 1 e 2 (Incentivi agli investimenti e alle attività diversificate degli agricoltori e dei silvicoltori di montagna - Credito d’imposta). 81

Articolo 16, commi 3-9 (Incentivi agli investimenti e alle attività diversificate degli agricoltori di montagna). 86

Articolo 17 (Rifugi di montagna). 89

Articolo 18 (Attività escursionistica) 94

Articolo 19 (Finalità). 105

Articolo 20 (Professioni della montagna). 107

Articolo 21 (Misure fiscali a favore delle imprese montane esercitate da giovani). 110

Articolo 22 (Agevolazione lavoro agile nei comuni montani con meno di 5.000 abitanti)  113

Articolo 23 (Agevolazione per l’acquisto e la ristrutturazione di abitazioni principali in montagna). 116

Articolo 24 (Agevolazioni tariffarie). 118

Articolo 25 (Incentivi per la natalità nei comuni montani). 119

Articolo 26 (Registro dei terreni silenti). 123

Articolo 27 (Disposizioni particolari per le regioni a statuto speciale e per le province autonome di Trento e di Bolzano). 126

Articolo 28 (Sostegno finanziario locale). 128

Articolo 29 (Abrogazioni). 129

Articolo 30 (Disposizioni finanziarie). 132

 

 

Articolo 1
(Finalità)

 

 

L’articolo 1 definisce le finalità del provvedimento in esame, destinato a riconoscere e promuovere lo sviluppo delle zone montane la cui crescita economica e sociale costituisce un obiettivo di interesse nazionale.

 

Il comma 1, in attuazione dell’articolo 44, secondo comma, della Costituzione e – come precisato nel corso dell’esame al Senato - in coerenza con gli articoli 174 e seguenti del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, reca misure volte a riconoscere e promuovere le zone montane, la cui crescita economica e sociale costituisce un obiettivo di interesse nazionale.

In particolare, il comma sottolinea l’importanza strategica delle zone montane, ai fini della tutela e della valorizzazione dell'ambiente, della biodiversità, degli ecosistemi, della tutela del suolo e delle relative funzioni ecosistemiche, delle risorse naturali, del paesaggio, del territorio e delle risorse idriche anche ai fini del contrasto della crisi climatica (così precisato nel corso dell’esame al Senato), della salute, del turismo e delle loro peculiarità storiche, artistiche, culturali e linguistiche, dell’identità e della coesione delle comunità locali, anche nell’interesse delle future generazioni e della sostenibilità degli interventi economici.

Secondo quanto riportato nella Relazione illustrativa del disegno di legge presentato al Senato (A.S. 1054), l’obiettivo dell’iniziativa legislativa in esame è quello di ridurre le condizioni di svantaggio, sostenere le attività produttive, fronteggiare il problema dello spopolamento e consentire alla popolazione residente in tali zone di poter fruire di tutti i servizi essenziali (in primis, la scuola e la sanità) in condizioni di parità con chi risiede nelle altre aree del territorio nazionale.

Secondo i dati dell’Unione nazionale comuni comunità enti montani (UNCEM) riportati nella Relazione illustrativa, il territorio montano comprende attualmente 3.524 comuni totalmente montani e 652 comuni parzialmente montani, per un totale complessivo di 4.176 su 7.904 comuni italiani.

In termini di estensione territoriale, su un totale di 302.073 kmq che definiscono il territorio italiano, circa 147.517 kmq sono occupati dai comuni montani, rappresentando, quindi, il 49% del territorio nazionale. In particolare, nelle due regioni della Valle d’Aosta e del Trentino Alto-Adige, il 100% dei comuni sono classificati montani; ed anche in altre regioni si raggiungono percentuali rilevanti.

 

Attualmente, gli interventi speciali per la montagna sono contenuti nell’articolo 1 della legge n. 97 del 1994 – che l’articolo 29, comma 1, lettera c), del disegno di legge intende abrogare - che, al comma 4, individua tali interventi come “azioni organiche e coordinate dirette allo sviluppo globale della montagna mediante la tutela e la valorizzazione delle qualità ambientali e delle potenzialità endogene proprie dell'habitat montano. Le azioni riguardano i profili:

a) territoriale, mediante formule di tutela e di promozione delle risorse ambientali che tengano conto sia del loro valore naturalistico che delle insopprimibili esigenze di vita civile delle popolazioni residenti, con particolare riferimento allo sviluppo del sistema dei trasporti e della viabilità locale;

b) economico, per lo sviluppo delle attività economiche presenti sui territori montani da considerare aree depresse;

c) sociale, anche mediante la garanzia di adeguati servizi per la collettività;

d) culturale e delle tradizioni locali”.

 

Il comma 2 dell’articolo 1 stabilisce che lo Stato, le regioni, le province autonome di Trento e di Bolzano e gli enti locali, ciascuno in base alle rispettive competenze, mirando ad una risposta perequativa incardinata nella rimozione delle diseguaglianze generate dalla situazione di obiettivo svantaggio economico-sociale delle zone montane nel rispetto dell'articolo 119 della Costituzione[1] (così precisato a seguito dell’approvazione di una proposta emendativa presso il Senato), nel limite delle risorse disponibili a legislazione vigente e della dotazione del Fondo per lo sviluppo delle montagne italiane (di cui all’articolo 4), adottano gli interventi necessari per lo sviluppo socio-economico, la tutela e la valorizzazione delle specificità delle zone montane, al fine:

-     di promuovere processi di sviluppo coerenti con le caratteristiche e le peculiarità di tali zone, limitando gli squilibri economici e sociali rispetto ai territori non montani. Nel corso dell’esame al Senato è stato introdotto un richiamo al rispetto del principio di insularità sancito dall'articolo 119 della Costituzione[2];

-     di favorirne il ripopolamento;

-     di garantire a coloro che vi risiedono l'effettivo esercizio dei diritti civili e sociali e il pieno (così precisato nel corso dell’esame in Commissione) ed agevole accesso ai servizi pubblici essenziali, in particolare nei settori della sanità, dell’istruzione, della formazione superiore, della cultura, della connessione e della mobilità, anche mediante strumenti e servizi di facilitazione e semplificazione per favorire l’accessibilità degli stessi per le persone con disabilità;

-     di promuovere, in maniera sostenibile, l'agricoltura e la gestione forestale, l'industria, il commercio, l'artigianato e il turismo;

-     di tutelare e valorizzare il patrimonio culturale montano, anche mediante misure finalizzate alla riduzione di consumo di nuovo suolo in coerenza con le direttive adottate in materia dall’Unione europea e alla promozione della rigenerazione urbana.

 

Si rammenta che principi analoghi sono enunciati nel vigente articolo 1 della legge n. 97 del 1994, recante “Nuove disposizioni per le zone montane” – che viene ora abrogato dal disegno di legge in esame – laddove si prevede che “la salvaguardia e la valorizzazione delle zone montane, ai sensi dell'articolo 44 della Costituzione, rivestono carattere di preminente interesse nazionale. Ad esse concorrono, per quanto di rispettiva competenza, lo Stato, le regioni, le province autonome e gli enti locali”.

Il comma 3 è stato modificato nel corso dell’esame al Senato. In particolare, mentre nel testo originario prevedeva che lo Stato promuovesse il riconoscimento della specificità delle zone montane, il nuovo testo attribuisce tale compito anche alle regioni e agli enti locali, nel quadro delle rispettive competenze, estendendo tale attività di promozione anche per la promozione dello sviluppo sostenibile dei territori montani come fattore essenziale per il perseguimento degli obiettivi comuni. La suddetta attività di riconoscimento e promozione viene effettuata sia presso l’Unione europea, in coerenza con quanto dispone l’articolo 174 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (come già contemplato nel testo originario), che presso le organizzazioni internazionali.

 

L’articolo 174 del Trattato stabilisce che l’Unione nel proseguire la propria azione intesa a realizzare il rafforzamento della sua coesione economica, sociale e territoriale, deve mirare a ridurre il divario tra i livelli di sviluppo delle varie regioni e il ritardo delle regioni meno favorite o insulari. Tra le regioni interessate, un'attenzione particolare è rivolta alle zone rurali, alle zone interessate da transizione industriale e alle regioni che presentano gravi e permanenti svantaggi naturali o demografici, quali le regioni più settentrionali con bassissima densità demografica e le regioni insulari, transfrontaliere e di montagna. In merito, si rammenta che il Parlamento europeo con le due risoluzioni del 10 maggio 2016, sulla politica di coesione nelle regioni montane dell'Unione europea (2015/2279(INI)), e del 3 ottobre 2018, su come affrontare le esigenze specifiche delle zone rurali, montane e periferiche (2018/2720(RSP)), ha posto la centralità delle aree interne, rurali e montane nelle politiche di sviluppo dell'Unione europea. Lo sviluppo delle zone montane è, in particolare, realizzato, nell’ambito delle politiche di coesione, attraverso i fondi strutturali destinati al rafforzamento della coesione territoriale, economica e sociale, riducendo il divario tra le regioni.

Per quanto riguarda, specificamente, le zone montane delle Alpi a livello di Unione europea opera anche la Strategia Macroregionale Alpina - EUSALP (EU Strategy for the Alpine region); si tratta di un accordo siglato nel 2013 dai Paesi che fanno parte dell’Unione Europea: Italia, Francia, Germania, Austria, Slovenia e da due stati extra europei Svizzera e Liechtenstein; ne fanno parte le 48 regioni e province autonome che si trovano attorno alla catena alpina. Le regioni italiane sono la Lombardia, la Liguria, il Piemonte, la Valle d’Aosta, il Veneto, il Friuli Venezia Giulia e le Province autonome di Trento e Bolzano. La Strategia per la Regione Alpina è stata delineata dalla Commissione al Parlamento, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle Regioni con la Comunicazione COM(2015)366 final del 28 luglio 2015.

EUSALP punta a promuovere una gestione sostenibile dell’energia e delle risorse naturali e culturali e la protezione ambientale del territorio, ad aumentare lo sviluppo dell'area alpina, favorendo una mobilità sostenibile, una rafforzata cooperazione accademica tra i paesi e le regioni che ne fanno parte, nonché lo sviluppo di servizi, trasporti e infrastrutture per la sua comunicazione. Al centro dello sviluppo alpino, vuole assicurare una crescita sostenibile e promuovere piena occupazione, la competitività e l'innovazione facendo dialogare, attraverso la cooperazione, le aree montane con le aree urbane.

Da ultimo, lo stato di attuazione della strategia UE per la Regione alpina è illustrato nella Relazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni sull'attuazione delle strategie macroregionali dell'UE COM(2020) 578 final del 23 settembre 2020.

 

 

Ai sensi dell’articolo 44, secondo comma, della Costituzione: “la legge dispone provvedimenti a favore delle zone montane”. La disposizione figura dopo il primo comma dell’articolo 44 che tratta di “proprietà terriera privata”. Tuttavia, accumunando le zone montane (intese come “ambiente montano abitato” e non quale montagna nella sua accessione fisica) alle “terre da coltivare” (bonifica, trasformazione del latifondo, ecc.), la Costituzione finisce con il considerare le zone montane nel più ampio concetto di “terre alte”, intese come le regioni di montagna occupate e vissute dall’uomo, ove si sviluppano attività agro-silvo-pastorali.

La formulazione del secondo comma dell’articolo 44 riconosce - anche se implicitamente - la condizione di svantaggio in cui versano le aree montane rispetto al restante territorio nazionale.

Nel corso degli anni il legislatore ha approvato alcune leggi “speciali” per le aree montane in attuazione dell’articolo 44, secondo comma, della Costituzione, per la gran parte tutt’ora vigenti.

La legge n. 991 del 1952, recante “Provvedimenti in favore dei territori montani”, oltre a intervenire con disposizioni specifiche per lo sviluppo rurale (concessione di mutui di miglioramento fondiario e per l'artigianato montano, contributi per la gestione dei patrimoni silvo-pastorali, norme in tema di demanio forestale, agevolazioni fiscali), prevedeva la costituzione di “enti per la difesa montana”, quali le aziende speciali e i consorzi per la gestione dei beni silvo-pastorali degli enti pubblici, i consorzi di prevenzione e i comprensori di bonifica montana.

Con la legge n. 1102 del 1971, recante “Nuove norme per lo sviluppo della montagna”, il legislatore si propose di concorrere alla eliminazione degli squilibri di natura sociale ed economica tra le zone montane e il resto del territorio nazionale, alla difesa del suolo e alla protezione della natura mediante una serie di interventi intesi: a dotare i territori montani, con la esecuzione di opere pubbliche e di bonifica montana, delle infrastrutture e dei servizi civili idonei a consentire migliori condizioni di abitabilità ed a costituire la base di un adeguato sviluppo economico; a sostenere, attraverso opportuni incentivi, nel quadro di una nuova economia montana integrata, le iniziative di natura economica idonee alla valorizzazione di ogni tipo di risorsa attuale e potenziale. Lo strumento per la realizzazione degli interventi fu individuato nelle Comunità montane, che avrebbero approntato, in base alle indicazioni del piano regionale, un piano pluriennale per lo sviluppo economico-sociale della propria zona.

Il quadro delle competenze delle Comunità montane fu ridefinito dagli articoli 28 e 29 della legge n. 142 del 1990 nell’ambito della riforma dell'ordinamento degli enti locali, poi confluiti – quali articoli 27 e 28 - nel D. Lgs. n. 267 del 2000 (T.U. enti locali).

A partire dal 2008, anche in considerazione della crisi economica sopraggiunta e delle conseguenti manovre di finanza pubblica volte a ridurre le spese delle PA - ed in particolare i c.d. “costi della politica” - il legislatore statale ha approvato una serie di disposizioni volte a ridurre gli stanziamenti verso le comunità montane, per poi decretarne la soppressione. Un primo intervento è stato effettuato con la legge finanziaria 2008 (legge n. 244/2007, art. 2, commi da 17 a 22), che impegnava le Regioni a provvedere con proprie leggi al riordino della disciplina delle comunità montane, al fine di ridurre la spesa corrente per il funzionamento delle comunità montane per un importo pari almeno ad un terzo della quota del fondo ordinario ad esse destinato. Con la legge finanziaria 2010 (legge n. 191 del 2009, art. 2, comma 187), si è disposto che dal 1° gennaio 2010 lo Stato cessasse di concorrere al finanziamento delle comunità montane, previsto dall’articolo 34 del D. Lgs. n. 504 del 1992 e dalle altre disposizioni di legge relative alle comunità montane, ponendolo a carico delle Regioni. Con il successivo D.L n. 78 del 2010 (art. 14, comma 28), è stato infine disposto l’obbligo dell’esercizio in forma associata, mediante unione di comuni o convenzione, delle funzioni fondamentali dei comuni con popolazione fino a 5.000 abitanti, ovvero fino a 3.000 abitanti, se appartenenti o siano appartenuti a comunità montane, trasferendo, pertanto, le funzioni fino ad allora gestite dalle comunità montane in capo alle unioni di comuni[3]. Risultano ancora “attive” soltanto le Comunità montane di Lombardia (legge n. 19/2008) e Campania (legge n. 12/2008).

Un intervento di complessivo riordino è stato effettuato con la legge 31 gennaio 1994, n. 97, recante “Nuove disposizioni per le zone montane”, che ha legiferato su numerosi aspetti della vita in montagna, quali tra l’altro, la gestione di beni agro-silvo-pastorali (art. 3), la conservazione dell'integrità dell'azienda agricola (artt. 4-5), le aziende agricole montane (art. 5-bis), le tutela ambientale (art. 7), la gestione del patrimonio forestale (art. 9), l’esercizio associato di funzioni e la gestione associata di servizi pubblici (art. 11), lo sviluppo di attività produttive (art. 13), i piccoli imprenditori commerciali (art. 14), l’insediamento in zone montane (art. 19). La legge n. 97 ha inoltre istituito il Fondo nazionale per la montagna (art. 2), con carattere aggiuntivo rispetto ad ogni altro trasferimento ordinario o speciale dello Stato a favore degli enti locali. Le risorse sono ripartite fra le Regioni e le Province autonome (secondo criteri definiti dal CIPE) che provvedono ad istituire propri fondi regionali per la montagna. I criteri di ripartizione devono tener conto dell'esigenza della salvaguardia dell'ambiente con il conseguente sviluppo delle attività agro-silvo-pastorali eco-compatibili, dell'estensione del territorio montano, della popolazione residente, anche con riferimento alle classi di età, alla occupazione ed all'indice di spopolamento, al reddito medio pro capite, al livello dei servizi e all'entità dei trasferimenti ordinari e speciali. La dotazione del Fondo è stata costantemente ridotta nel corso degli anni: dai circa 67 milioni di euro del 1999 (129,6 miliardi di lire) è scesa a 58 milioni nel 2002, per poi ridursi a 45 milioni nel 2006 e 41,8 milioni nel 2010. Negli anni dal 2011 al 2015 il Fondo non ha avuto risorse; successivamente è stato disposto un rifinanziamento di 5 milioni per ciascuno degli anni 2016, 2017 e 2018 con l’art. 1, comma 761, della legge n. 208/2015 (legge di stabilità per il 2016) e di 10 milioni per ciascuno degli anni 2019, 2020 e 2021 con l’art. 1, comma 970, della legge di bilancio per il 2019 (legge n. 145/2018).

Con la legge di stabilità per il 2013 (legge n. 228/2012, art. 1, comma 319) è stato istituito il Fondo nazionale integrativo per i comuni montani, con una dotazione di 1 milione di euro per l'anno 2013 e di 5 milioni annui a decorrere dal 2014, da destinare al finanziamento dei progetti di sviluppo socioeconomico per comuni classificati interamente montani (di cui all'elenco predisposto dall'Istituto nazionale di statistica - ISTAT). La dotazione è stata poi elevata a 10 milioni a decorrere del 2020 dall’art. 1, co. 550, della legge di bilancio 2020 (legge n. 160/2019). Criteri e modalità di funzionamento del Fondo integrativo sono stati definiti con il decreto del Ministro per gli affari regionali e le autonomie del 16 gennaio 2014.

Tali due fondi sono poi confluiti nel nuovo “Fondo per lo sviluppo delle montagne italiane”, istituito dall’art. 1, comma 593, della legge n. 234 del 2021 (legge di bilancio 2022), con una dotazione di 100 milioni per il 2022 e 200 milioni a decorrere dal 2023. Il Fondo ha lo scopo di promuovere e realizzare interventi per la salvaguardia e la valorizzazione della montagna, nonché misure di sostegno in favore dei comuni totalmente e parzialmente montani delle Regioni e delle Province autonome (cfr. scheda art. 4).

Nella legge di bilancio 2025 la dotazione del capitolo 2068/MEF risulta pari a 196.571.611 euro per ciascuna annualità 2025-2027, in conseguenza delle riduzioni disposte dall’articolo 1, comma 523, della legge di bilancio 2024 (legge n. 213/2023) quale spending review dei ministeri.

 

 

 

NORMATIVA REGIONALE SULLO SVILUPPO DELLA MONTAGNA

(riferita solo alle regioni a statuto ordinario, eccetto Umbria e Puglia)

 

Piemonte

Legge regionale 5 aprile 2019, n. 14

Disposizioni in materia di tutela, valorizzazione e sviluppo della montagna.

 

Lombardia

Legge Regionale 15 ottobre 2007, n. 25

Interventi regionali in favore della popolazione dei territori montani.

 

Liguria

Legge regionale 13 agosto 1997, n. 33

Disposizioni attuative della legge 31 gennaio 1994, n. 97 (Nuove disposizioni per le zone montane).

 

Emilia-Romagna

Legge regionale 20 gennaio 2004, n. 2

Legge per la montagna

 

Toscana

Legge regionale 1° marzo 2022, n. 4

Custodi della montagna toscana. Disposizioni finalizzate a contrastare lo spopolamento e a rivitalizza re il tessuto sociale ed economico dei territori montani.

 

Marche

Legge regionale 1° luglio 2008, n. 18

Norme in materia di Comunità montane e di esercizio associato di funzioni e servizi comunali

 

Lazio

Legge regionale 22 giugno 1999, n. 9

Legge sulla montagna

 

Abruzzo

Legge 21 dicembre 2021, n. 32

Misure urgenti per contrastare lo spopolamento dei piccoli Comuni di montagna

 

Molise

Legge regionale 2 settembre 1999, n. 29.

Provvedimenti per la salvaguardia, lo sviluppo, la tutela e la valorizzazione dei territori montani.

 

Campania

Legge regionale 4 novembre 1998, n. 17

Provvedimenti per la salvaguardia del territorio e per lo sviluppo socio-economico delle zone montane

 

Basilicata

Legge regionale 19 maggio 1997 n. 23

Norme per la tutela e lo sviluppo delle zone montane

 

Calabria

Legge regionale 19 marzo 1999, n. 4

Ordinamento delle Comunità montane e disposizioni a favore della montagna.

 


 

Articolo 2, commi 1-3
(Classificazione dei comuni montani)

 

 

L’articolo 2 reca le norme per la definizione, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, dei criteri per la classificazione dei comuni montani in base ai parametri altimetrico e della pendenza, nonché per la predisposizione di uno o più elenchi dei comuni montani. L’elenco sarà aggiornato dall’ISTAT, entro il 30 settembre di ogni anno (comma 1).

Nell'ambito degli elenchi dei comuni montani sono definiti, con ulteriore decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, i criteri per l’individuazione dei comuni montani destinatari delle misure di sviluppo e valorizzazione previste dalla presente legge e contestualmente l’elenco dei comuni montani beneficiari (comma 2). Tali classificazioni dei comuni montani non si applicano nell'ambito della Politica agricola comune dell'Unione europea e ai fini dell’esenzione IMU per i terreni agricoli ubicati nei comuni montani (comma 3).

 

Il comma 1 dell’articolo 2 prevede l’adozione di un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, per la definizione dei criteri per la classificazione dei comuni montani che costituiscono le zone montane e ai quali si applicano le disposizioni della presente legge, in base a due parametri: quello altimetrico e quello della pendenza. Il D.P.C.M. è adottato su proposta del Ministro per gli affari regionali e le autonomie, sentiti i Ministri interessati, sulla base dei dati forniti dall’ISTAT, previa intesa in sede di Conferenza unificata. Ai fini di tale proposta del Ministro per gli affari regionali e le autonomie, il Dipartimento per gli affari regionali e le autonomie della Presidenza del Consiglio dei ministri svolge apposita istruttoria tecnica anche con la collaborazione di sei esperti, designati dalla Conferenza unificata sulla base di criteri volti a garantire il più ampio supporto informativo circa i diversi tipi e caratteristiche delle montagne (così precisato dal Senato),  entro 15 giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge. A tali esperti non spettano compensi, gettoni, emolumenti o indennità comunque definiti e rimborsi spese e dalla loro partecipazione non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

Con il medesimo decreto è inoltre contestualmente definito uno o più elenchi dei comuni montani.

 

In merito alla classificazione dei comuni, si rammenta che i comuni montani e parzialmente montani sono quelli individuati in un apposito elenco elaborato dall’ISTAT, secondo una classificazione trasmessa all’ISTAT dall’UNCEM (Unione Nazionale Comuni Comunità Enti Montani), conseguente ad una disposizione contenuta all’articolo 1 della legge 25 luglio 1952, n. 991 recante “Provvedimenti in favore dei territori montani” - ora abrogata. Tale disposizione definiva "montani" i comuni posti per almeno l'80 per cento della loro superficie al di sopra dei 600 metri di altitudine sul livello del mare e quelli nei quali il dislivello tra la quota altimetrica inferiore e quella superiore del territorio comunale non risultasse minore di 600 metri, e nei quali il reddito imponibile medio per ettaro non superasse le 2.400 lire (in base ai prezzi del 1937-1939). Per “comuni parzialmente montani” venivano considerati quelli nei quali il dislivello tra la quota altimetrica inferiore e quella superiore del territorio comunale non fosse minore di 600 metri.

La Commissione censuaria centrale, istituita presso l’allora Ministero delle Finanze, fu dunque incaricata di stilare e aggiornare l’elenco nel quale, d'ufficio o su richiesta dei comuni interessati, venivano inclusi i terreni montani.

L’articolo 1 della legge n. 991/1952, come detto, è stato peraltro abrogato dall’articolo 29 della legge n. 142 del 1990, che ha riservato alle singole Regioni il compito di disciplinare, con legge regionale, le Comunità montane, quali enti locali formati dall’unione di comuni montani e parzialmente montani.

L’abrogazione ha di fatto impedito la possibilità che la classificazione ISTAT fosse rivista e/o aggiornata nel tempo.

Sulla questione dell’elenco sulla classificazione dei comuni montani, infatti, l’ISTAT con comunicato del 5 febbraio 2015 ha precisato che “la classificazione per grado di montanità, che prevede la suddivisione dei comuni in totalmente montani, parzialmente montani e non montani, non è una “classificazione Istat” ma l’esito dell’applicazione dell’art. 1 della legge 991/1952 – Determinazione dei territori montani. Tale classificazione è stata trasmessa all’ISTAT dall’UNCEM, come viene anche specificato nelle note dell’elenco pubblicato, ed è stata inclusa tra le informazioni di interesse ai fini dello studio statistico del territorio comunale congiuntamente ai codici statistici comunali”. L’ISTAT sottolinea, infine, che “l’abrogazione degli articoli 1 e 14 della legge n. 991/1952, avvenuta con una successiva norma (legge 142/1990), ha di fatto impedito la possibilità di rivedere e/o aggiornare tale classificazione”.

L’elenco predisposto dall’ISTAT continua, dunque, ad essere il riferimento per le disposizioni che riguardano i comuni montani, come nel caso del “Fondo nazionale integrativo per i comuni montani”, istituito dall’articolo 1, comma 319, della legge di stabilità per il 2013 (legge n. 228 del 2012), i cui beneficiari sono stati individuati tra quelli classificati come interamente montani ai sensi dell’elenco ISTAT, di cui sopra, e riportato nel Bando del 28 giugno 2019 del Capo del Dipartimento degli Affari regionali e delle autonomie – DARA (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 161 del 11 luglio 2019) che ha definito la modalità di presentazione delle richieste di finanziamento dei progetti da parte dei comuni montani ai fini del riparto delle risorse del Fondo integrativo per i comuni montani.

Da ultimo, ai fini dell’assegnazione delle agevolazioni destinate a sostenere i programmi di investimento delle start up innovative femminili, nell’allegato all’Avviso pubblico[4] si riporta un apposito elenco dei comuni totalmente montani. L’elenco di cui all’Avviso è composto da 3.053 comuni montani (al netto di quelli delle Province di Trento e di Bolzano).

 

Ciò anche in considerazione del fatto che il Fondo per lo sviluppo delle montagne italiane, istituito dall’art. 1, co. 593 della legge di bilancio 2022 (legge n. 234/2021) – di cui si occupa l’articolo 4 del disegno di legge in esame - è destinato a promuovere, tra l’altro, misure di sostegno in favore dei comuni totalmente e parzialmente montani delle regioni e delle province autonome (si veda la scheda di lettura del successivo articolo 4).

 

Riguardo all’individuazione dei comuni montani rientranti nell’elenco da predisporre con D.P.C.M., si rammenta che l’art. 1, comma 3, secondo periodo, della citata legge n. 56 del 2014 riconosce alle “province con territorio interamente montano” e che sono confinanti con Paesi stranieri alcune specificità, di cui ai commi da 51 a 57 e da 85 a 97[5]. Le province che sono state individuate dalle rispettive leggi regionali come in possesso contestualmente di entrambi i requisiti sono risultate solamente tre: le province di Belluno, Sondrio e Verbano-Cusio-Ossola.

 

Il comma 1 reca altresì una specifica disciplina in caso di fusione o di scissione tra comuni montani e comuni non montani, la quale dispone che:

§  in caso di fusione di un comune classificato come montano con un comune non classificato come montano, il comune risultante dalla fusione conserva la classificazione di comune montano solo ove esso rientri nei requisiti definiti dal decreto di cui al primo periodo;

§  in caso di scissione di un comune classificato come montano in due o più comuni, i comuni risultanti dalla scissione sono classificati come montani solo ove per essi ricorrano i requisiti definiti dal D.P.C.M..

Il comma 1, infine, dispone che si provvede, ove necessario e sulla base dei dati forniti dall'ISTAT all’aggiornamento dell’elenco dei comuni, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, adottato, entro il 30 settembre di ogni anno e con efficacia a decorrere dal 1° gennaio dell'anno successivo.

 

I precedenti tentativi di procedere ad una classificazione normativa dei comuni montani.

Nella XVI legislatura il disegno di legge A.S. 2566 (Disposizioni in favore dei territori di montagna)[6], all’articolo 2, comma 3, prevedeva che, ai soli fini della ripartizione del “Fondo nazionale integrativo per i comuni montani svantaggiati” (previsto dal disegno di legge stesso), il decreto del Ministro per i rapporti con le Regioni e per la coesione territoriale avrebbe provveduto al riconoscimento, come comuni montani svantaggiati, dei comuni caratterizzati alternativamente dalle seguenti caratteristiche altimetriche e geografiche:

a)    posizionamento di almeno il 70 per cento del territorio comunale al di sopra dei 400 metri di altitudine sul livello del mare;

b)    posizionamento di almeno il 40 per cento del territorio comunale al di sopra dei 400 metri di altitudine sul livello del mare e presenza in almeno il 30 per cento del territorio comunale di una pendenza superiore al 20 per cento.

Per i comuni situati nelle regioni alpine il successivo comma 4 elevava le soglie di 400 metri di altitudine sul livello del mare a 500 metri.

In aggiunta a tali requisiti, per l’individuazione di un comune come “comune montano svantaggiato” era peraltro richiesta la sussistenza di particolari situazioni di svantaggio sociale ed economico dovute alla presenza di fenomeni di dissesto idrogeologico del territorio, alla marginalità delle aree e alla limitata accessibilità dei territori montani. Infine le Regioni avrebbero provveduto alla classificazione del rispettivo territorio montano.

Una proposta scientifica di definizione di comune montano era stata precedentemente formulata dall’Ente italiano per la montagna (EIM)[7]. L’EIM aveva effettuato una serie di proiezioni a scala nazionale per individuare gli indicatori più adeguati a classificare la montagna ed elaborare una definizione “aperta” di montagna, attraverso l’individuazione di alcune sue caratteristiche distintive, da precisare e calibrare in base alle finalità della definizione. La proposta di classificazione elaborata dall’EIM era la seguente: sono montani i comuni situati per il 70% della loro superficie al di sopra dei 500 metri di altitudine sul livello del mare, ovvero i comuni che abbiano almeno il 40% della loro superficie al di sopra dei 500 metri di altitudine sul livello del mare e nei quali il 30% del territorio presenti una pendenza superiore al 20%; nelle regioni alpine il limite minimo di altitudine è di 600 metri”.

Il comma 2 prevede che, nell'ambito dell'elenco dei comuni montani definito ai sensi del comma 1, con un ulteriore decreto del Presidente del Consiglio dei ministri sono definiti i criteri per l’individuazione dei comuni destinatari delle misure di sostegno previste dai capi III (Servizi pubblici), IV (Tutela del territorio) e V (Sviluppo economico) del provvedimento in esame, sulla base dell'adeguata ponderazione dei parametri geomorfologici di cui al comma 1 (altimetrico e della pendenza) e di parametri socioeconomici, che tengono conto delle specificità e finalità delle suddette misure.

 

Il D.P.C.M. è adottato su proposta del Ministro per gli affari regionali e le autonomie, sentiti i Ministri interessati, sulla base dei dati forniti dall’ISTAT, previa intesa in sede di Conferenza unificata.

Ai fini della proposta del Ministro per gli affari regionali e le autonomie di individuazione dei criteri per individuare i comuni destinatari di tali misure, il Dipartimento per gli affari regionali e le autonomie della Presidenza del Consiglio dei ministri svolge apposita istruttoria tecnica anche con la collaborazione degli esperti designati dalla Conferenza unificata ai sensi del comma 1.

Il D.P.C.M. definisce contestualmente l’elenco dei comuni montani destinatari delle misure di sostegno di cui ai capi III, IV e V.

In sede di prima applicazione, il decreto è adottato entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore del decreto di cui al comma 1 ed è successivamente aggiornato con cadenza almeno triennale.

 

Si ricorda che alcuni dei suindicati indici sono stati utilizzati nell’ambito della Strategia nazionale per le aree interne (SNAI). Infatti i territori sono stati identificati in base a parametri determinati dalla presenza di offerta sul territorio di tre servizi essenziali relativi all’assistenza ospedaliera, all’istruzione e ai trasporti ferroviari. Si tratta di tre settori che sono hanno particolarmente subito gli effetti delle manovre correttive di finanza pubblica, volte a determinare risparmi di spesa nella gestione di tali servizi, con conseguente soppressione di alcune strutture, che nei territori montani hanno ulteriormente acuito lo spopolamento e la conseguente capacità di sviluppo e di produzione di reddito.

 

Il comma 3 dispone che la classificazione dei comuni montani, disposta ai sensi dei commi precedenti, non si applica ai fini delle misure adottate nell’ambito della Politica agricola comune europea (PAC), né ai fini della individuazione dei comuni montani ai quali è riconosciuta l’esenzione dall’IMU ai sensi dell’articolo 1, comma 758, lettera d), della legge n. 160 del 2019 (legge di bilancio 2020), per le quali continua a trovare applicazione la specifica disciplina di settore, in considerazione delle peculiari esigenze ad essa sottese.

Articolo 2, commi 4- 6
(Delega riordino agevolazioni comuni montani)

 

 

L’articolo 2, comma 4, introdotto dal Senato, delega il Governo a riordinare, integrare e coordinare la normativa vigente in materia di agevolazioni anche di natura fiscale in favore dei comuni montani, al fine di renderla coerente con la nuova classificazione introdotta ai sensi della presente legge. I commi 5 e 6, anch’essi introdotti dal Senato, disciplinano le modalità di attuazione della delega e il meccanismo di copertura degli eventuali oneri finanziari.

 

In dettaglio, il comma 4, ferme restando le misure agevolative previste dalla presente legge, delega il Governo a adottare, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, un decreto legislativo per il riordino delle ulteriori agevolazioni, comunque denominate, previste in favore dei comuni montani, sulla base del seguente criterio direttivo:

§  riordinare, integrare e coordinare la normativa vigente in materia di agevolazioni anche di natura fiscale in favore dei comuni montani, al fine di renderla coerente con la nuova classificazione introdotta ai sensi della presente legge.

 

Il comma 5 stabilisce che lo schema di decreto legislativo di attuazione della delega debba essere adottato su proposta del Ministro per gli affari regionali e le autonomie, di concerto con i Ministri dell'economia e delle finanze, dell'agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste, dell'ambiente e della sicurezza energetica, delle imprese e del made in Italy e per le riforme istituzionali e la semplificazione normativa, sentita la Conferenza unificata di cui all'articolo 2 del decreto legislativo n. 281 del 1997.

Lo schema del decreto legislativo è trasmesso alle Camere per l'espressione dei pareri delle Commissioni parlamentari competenti per materia e per i profili finanziari, che si pronunciano nel termine di trenta giorni dalla data di trasmissione, decorso il quale il decreto legislativo può essere comunque adottato. Il Governo, qualora non intenda conformarsi ai pareri parlamentari, deve inviare alle Camere una relazione contenente adeguata motivazione.

 

Il comma 6 specifica che dall’attuazione del comma 4 non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, e che lo schema di decreto legislativo di cui al comma 5 è corredato di una relazione tecnica che dia conto della neutralità finanziaria del medesimo ovvero dei nuovi o maggiori oneri da esso derivanti e dei corrispondenti mezzi di copertura.

Inoltre, in conformità all'articolo 17, comma 2, della legge di contabilità e finanza pubblica (legge n. 196 del 2009), qualora il decreto legislativo determini nuovi o maggiori oneri che non trovi compensazione al suo interno, il medesimo decreto legislativo è emanato solo successivamente o contestualmente all'entrata in vigore dei provvedimenti legislativi che stanzino le occorrenti risorse finanziarie.


 

Articolo 3
(Strategia per la montagna italiana)

 

 

L’articolo 3 reca la definizione della Strategia nazionale per la montagna italiana (SMI), attraverso la quale vengono attuate le politiche di sviluppo delle aree montane (comma 1). La Strategia comprende un orizzonte temporale triennale dal Ministro per gli affari regionali e le autonomie, sentiti i Ministri interessati, previa intesa in sede di Conferenza Unificata (comma 2).

 

Il comma 1 definisce la Strategia per la montagna italiana (SMI), attraverso la quale vengono attuate le politiche di sviluppo delle aree montane.

 

La Strategia individua, articolandole per linee strategiche, le priorità e le direttive delle politiche per le zone montane al fine di promuovere:

·        la crescita autonoma (così puntualizzato nel corso dell’esame al Senato) e lo sviluppo economico e sociale dei territori montani;

·        la possibilità di accesso alle infrastrutture digitali e ai servizi essenziali, con riguardo prioritario a quelli socio-sanitari e dell’istruzione;

·        al servizio postale universale e ai servizi bancari (così inserito nel corso dell’esame al Senato);

·        la residenzialità;

·        le attività commerciali e gli insediamenti produttivi;

·        il ripopolamento dei territori.

 

Dal punto di vista finanziario, la Strategia si attua nell’ambito delle risorse disponibili del Fondo per lo sviluppo delle montagne italiane. Ai sensi del successivo articolo 4 del disegno di legge in esame, la SMI rientra, infatti, tra gli interventi oggetto di finanziamento da parte del predetto Fondo per lo sviluppo delle montagne italiane a decorrere dall’anno 2025 (si veda la relativa scheda di lettura).

 

La SMI dovrà tener conto, in un'ottica di complementarità e sinergia:

?  delle strategie regionali, ivi comprese le strategie regionali di sviluppo sostenibile;

?  delle politiche territoriali attuate nell'ambito della Strategia nazionale per lo sviluppo delle aree interne del Paese (SNAI) e del relativo Piano strategico nazionale delle aree interne di cui all’articolo 7, comma 3, del D.L. n. 124 del 2023;

?  delle politiche per le zone di confine, anche tramite il cofinanziamento di interventi infrastrutturali e di investimenti ivi previsti;

?  del Piano strategico della Zona economica speciale per il Mezzogiorno (ZES unica) istituita dall’articolo 8 del D.L. n. 124 del 2023, con riferimento ai territori delle seguenti regioni: Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sicilia, Sardegna.

 

La SMI opera anche in coordinamento con le politiche della Strategia forestale nazionale (SFN) prevista dall’articolo 6 del Testo unico in materia di foreste e filiere forestali (D. Lgs. n. 34 del 2018) nonché con la Strategia nazionale delle Green community (articolo 72 della legge n. 221 del 2015).

 

Il comma 2 stabilisce che la SMI è definita con periodicità triennale con decreto del Ministro per gli affari regionali e le autonomie, sentiti i Ministri interessati, previa intesa con la Conferenza Unificata. Nel corso dell’esame in sede referente è stato introdotto un ulteriore periodo al comma 2, con il quale si dispone che lo schema di decreto sulla SMI sia trasmesso alle Camere, entro 60 giorni, per l'espressione del parere da parte delle Commissioni competenti per materia.


 

Articolo 4
(Fondo per lo sviluppo delle montagne italiane)

 

 

L’articolo 4 dispone in merito alle modalità di finanziamento degli interventi da parte del Fondo per lo sviluppo delle montagne italiane a decorrere dall’anno 2025, che sono ripartiti tra quelli di competenza delle regioni e degli enti locali e quelli di competenza statale.

L’articolo precisa che le risorse erogate dal Fondo hanno carattere aggiuntivo rispetto ad ogni altro trasferimento ordinario o speciale dello Stato a favore degli enti locali o delle politiche per la montagna, anche rispetto a trasferimenti di fondi europei.

 

Il comma 1 stabilisce che le risorse del Fondo per lo sviluppo delle montagne italiane – istituito dall’articolo 1, comma 593, della legge di bilancio per il 2022 (legge n. 34/2021) - sono destinate a decorrere dall’anno 2025 al finanziamento:

a) degli interventi di competenza delle regioni e degli enti locali, di cui al comma 593;

b) degli interventi di competenza statale di cui al medesimo comma 593 e al successivo comma 594, con particolare riferimento all’attuazione della SMI (si veda la scheda sull’art. 3).

 

 

Ai sensi dell’articolo 1, comma 593, della legge n. 234 del 2021 (legge di bilancio per il 2022), il Fondo per lo sviluppo delle montagne italiane, destinato a promuovere e realizzare interventi per la salvaguardia e la valorizzazione della montagna, nonché misure di sostegno in favore dei comuni totalmente e parzialmente montani delle regioni e delle province autonome è utilizzato per finanziare:

a)     interventi per la tutela e la promozione delle risorse ambientali dei territori montani;

b)     interventi che diffondono e valorizzano le migliori iniziative in materia di tutela e valorizzazione delle qualità ambientali e delle potenzialità endogene proprie dell'habitat montano;

c)     attività di informazione e di comunicazione sui temi della montagna;

d)     interventi di carattere socio-economico a favore delle popolazioni residenti nelle aree montane;

e)     progetti finalizzati alla salvaguardia dell’ambiente e dello sviluppo delle attività agro-silvo-pastorali;

f)       iniziative volte a ridurre i fenomeni di spopolamento.

 

Le ulteriori iniziative previste dal comma 594 che sono quelle volte a sostenere, a realizzare e a promuovere politiche a favore della montagna, che vengono finanziate direttamente dal Ministro per gli affari regionali e le autonomie.

Il comma 595 dispone in merito alle modalità di ripartizione del Fondo per lo sviluppo delle montagne italiane: con decreto del Ministro per gli affari regionali e le autonomie per quanto riguarda la quota destinata agli interventi di competenza statale e al finanziamento delle campagne istituzionali sui temi della montagna; con decreto del Ministro per gli affari regionali e le autonomie, d'intesa con la Conferenza unificata per gli interventi di competenza delle regioni e degli enti locali.

 

Le risorse del Fondo per lo sviluppo delle montagne italiane

Per quel che concerne le risorse, il Fondo è stato istituito con una dotazione di 100 milioni per il 2022 e 200 milioni a decorrere dal 2023. Nel Fondo per lo sviluppo delle montagne italiane sono peraltro confluiti, ai sensi del comma 596 della legge di bilancio 2022, il Fondo nazionale per la montagna (previsto dall’articolo 2 della legge n. 97/1994) ed il Fondo integrativo per i comuni montani (previsto dall’articolo 1, commi 319-321, della legge n. 228/2012), le cui risorse sono state pertanto trasferite al nuovo Fondo (cap. 2068/MEF), il quale risultava dotato di 129,5 milioni per il 2022 e di 209,5 milioni a decorrere dal 2023 (capitolo 2068/MEF).

Fondo per lo sviluppo delle montagne italiane (milioni di euro)

2022

2023

2024

Stanziamento autorizzato dall’art. 1, co. 593 (cap. 2068/MEF)

100,0

200,0

200,0

Fondo nazionale per la montagna (cap. 7469/MEF)

20,0

-

-

Fondo integrativo per i comuni montani (cap. 2126/MEF)

9,5

9,5

9,5

TOTALE Fondo (cap. 2068/MEF)

129,5

209,5

209,5

 

La dotazione del Fondo è stata oggetto di riduzione per effetto delle disposizioni di spending review disposte dall’articolo 1, comma 877, della legge di bilancio 2023 (legge n. 192/2022) e dall’articolo 1, comma 523, della legge di bilancio 2024 (legge n. 213/2023).

Fondo per lo sviluppo delle montagne italiane (milioni di euro)

2023

2024

2025

2026

Bilancio a legislazione vigente

209,5

209,5

214,5

 

Riduzione art. 1, co. 877 – Spending review

-

-3,5

-7,6

 

Legge di bilancio 2023

209,5

206,0

206,9

 

Bilancio a legislazione vigente

 

206,0

206,9

206,9

Riduzione art. 1, co. 523 – Spending review

 

-10,3

-10,3

-10,3

Legge di bilancio 2024

 

195,7

196,6

196,6

 

La legge di bilancio per il 2025 ha confermato la dotazione annuale del Fondo per lo sviluppo delle montagne in 196.571.611 euro per ciascuna annualità del triennio 2025-2027.

 

 

La ripartizione delle risorse

Le risorse relative all’annualità 2022 (129,5 milioni) sono state ripartite con decreti del Ministro per gli affari regionali e le autonomie in data 29 marzo 2022 per la quota di competenza statale (20 milioni) e in data 30 maggio 2022 per la quota di competenza regionale (109,5 milioni).

Analogamente, le risorse relative all’annualità 2023 (209,5 milioni) sono state ripartite con decreti del Ministro per gli affari regionali e le autonomie in data 4 agosto 2023 per la quota di competenza regionale (202,5 milioni) e in data 11 ottobre 2023 per la quota di competenza statale (340.577 euro).

Per una analisi dei riparti del Fondo, si rinvia al successivo box.

 

Va ricordato, infine, per completezza, che risultano escluse dai benefici del Fondo per lo sviluppo delle montagne italiane (analogamente a quanto applicato finora per il Fondo nazionale per la montagna e per il Fondo integrativo per i comuni montani) le Province autonome di Trento e di Bolzano, dal momento che, dal 2010, esse sono escluse in via generale dalla ripartizione di finanziamenti statali, in seguito all'articolo 2, comma 109, della legge n. 191/2009.

Il citato comma 109 dell’art. 2 della legge n. 191/2009 ha, infatti abrogato, con decorrenza 1° gennaio 2010, le disposizioni della legge n. 386/1989 (in particolare, l'art. 5, comma 1) che prevedevano la partecipazione delle province autonome alla ripartizione di fondi speciali istituiti per garantire livelli minimi di prestazioni in modo uniforme su tutto il territorio nazionale, secondo i criteri e le modalità per gli stessi previsti.

 

I commi 2 e 3 dell’articolo in esame definiscono la procedura per la definizione delle risorse del Fondo:

-     comma 2: un primo decreto del Ministro per gli affari regionali e le autonomie, previa intesa in sede di Conferenza unificata, definirà l’ammontare delle risorse da destinare agli interventi di competenza delle regioni e degli enti locali (comma 1, lettera a) del comma precedente e a quelli di competenza statale (lettera b);

-     comma 3: tale decreto, nel ripartire gli stanziamenti tra gli interventi di competenza delle regioni e degli enti locali, dovrà tener conto del numero dei comuni e della loro superficie complessiva rispetto al totale definito con l’elenco o gli elenchi previsti dall’articolo 2, comma 2, terzo periodo, e dovrà essere in coerenza con la SMI.

 

Il successivo comma 4 mantiene ferma l’applicazione dell’articolo 1, comma 595, primo periodo, della legge n. 234 del 2021, ovvero l’emanazione di un D.M. per la definizione della quota destinata agli interventi di competenza statale e al finanziamento delle campagne istituzionali sui temi della montagna.

Si ricorda, infatti, che ai sensi dell’articolo 117 della Costituzione, la materia degli interventi a favore delle zone montane rientra tra le c.d. competenze legislative residuali delle regioni.

 

Con la riforma costituzionale del 2001, l’articolo 117 indica, in primis al comma 2, le materie attribuite allo Stato e quindi, al comma 3, le materie di legislazione concorrente tra Stato e Regioni. Al comma 4 viene pertanto definita la c.d. “potestà legislativa residuale” spettante alle Regioni per ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato. La montagna e le aree montane, non figurando né tra le competenze esclusive statali, né tra le competenze legislative concorrenti, rientrano pertanto – per esclusione – nelle competenze legislative residuali delle Regioni.

Si rammenta infatti che, ai fini del riparto degli stanziamenti del Fondo, l’articolo 1, comma 595, della legge n. 234/2021, ne stabilisce la destinazione in parte ad interventi di competenza statale e al finanziamento delle campagne istituzionali sui temi della montagna ed in parte ad interventi di competenza regionale. Al riparto delle due quote si provvede con decreto del Ministro per gli affari regionali e le autonomie; per il riparto della quota destinata agli interventi di competenza delle Regioni e degli enti locali è necessaria la previa intesa in Conferenza unificata.

 

Il comma 5 stabilisce che una quota parte delle risorse del Fondo destinata agli interventi di cui al comma 1, definita con il decreto di cui al comma 2, può essere impiegata per attività di assistenza tecnica e consulenza gestionale per la formazione del personale, per le azioni e gli interventi, qualora presso il Dipartimento per gli affari regionali e le autonomie della Presidenza del Consiglio dei ministri non siano disponibili adeguate professionalità.

 

Il comma 6 precisa che le risorse erogate dal Fondo per lo sviluppo delle montagne italiane hanno carattere aggiuntivo sia rispetto ad ogni altro trasferimento ordinario o speciale dello Stato a favore, sia ad ogni altro beneficio fiscale a favore degli enti territoriali o dei cittadini o delle politiche per la montagna, nonché rispetto ai trasferimenti di fondi dell'Unione europea in armonia con quanto previsto dall’articolo 119, quinto comma, della Costituzione.

 

Le risorse relative all’annualità 2022 (129,5 milioni) sono state ripartite con un primo decreto del Ministro per gli affari regionali e le autonomie del 29 marzo 2022, il quale ha fissato in 20 milioni la quota destinata ad interventi di competenza statale e al finanziamento delle campagne istituzionali sui temi della montagna.

Con successivo decreto del 30 maggio 2022 è stata ripartita tra le Regioni la quota di risorse (109,56 milioni) assegnata agli interventi di competenza regionale, sul cui schema era stata raggiunta l’Intesa nella Conferenza Unificata del 25 maggio 2022, ai sensi dell’articolo 1, comma 595, della legge n. 234/2021.

In particolare, con riferimento al decreto 29 marzo 2022, le risorse finanziarie (20 milioni) sono state destinate a sostenere, realizzare e promuovere politiche di competenza statale per le finalità di cui all'articolo 1, comma 593, della legge n. 234/2021, con particolare riferimento a:

a)    individuazione di progetti volti alla creazione di startup innovative per favorire l'avvio di imprese nei territori montani;

b)    avvio di iniziative di comunicazione istituzionale sui temi della montagna, con particolare, riferimento al ricorrere del ventennale della "Giornata internazionale della montagna" che avrà come tema fondamentale "Lo sviluppo sostenibile della montagna", anche attraverso il lancio di un concorso di idee per l'ideazione e la definizione di un progetto grafico che sia in grado di raffigurare, sintetizzare e comunicare il tema oggetto della predetta giornata;

c)    interventi che diffondano e valorizzino le migliori iniziative in materia di educazione allo sviluppo sostenibile ed all'educazione ambientale - che costituiscono la base dell'educazione alla montagna - adottate presso le scuole secondarie di primo e secondo grado, al fine di agevolare lo scambio di esperienze virtuose e buone pratiche, anche realizzando attività di formazione per la diffusione di tali buone pratiche;

d)    iniziative volte a premiare giovani imprenditori di montagna;

e)    introduzione di specifici premi destinati alle migliori tesi di laurea sui temi della montagna (quali sostenibilità in montagna, digitalizzazione in montagna, valorizzazioni dei prodotti agroalimentari, ecc.);

f)    ricognizione e promozione delle opportunità nazionali ed internazionali volte a valorizzare le zone montane anche con riferimento alle prossime Olimpiadi invernali Milano Cortina 2026.

Una percentuale non superiore al 3% della quota di 20 milioni (600.000 euro) può essere destinata ad attività di assistenza tecnica e consulenza gestionale per le azioni e gli interventi previsti, quando non siano disponibili presso il Dipartimento per gli affari regionali e le autonomie adeguate professionalità.

In merito all’utilizzo della quota di competenza statale si segnala che 3,9 milioni sono stati destinati alle agevolazioni per sostenere i programmi di investimento delle start up innovative femminili ubicate nei comuni montani presenti sul territorio nazionale (Avviso pubblico del 5 maggio 2023), prevedendo contributo a fondo perduto per un importo massimo di 70.000 euro (non superiore al 70% delle spese ammissibili).

Inoltre 10,8 milioni sono stati destinati ad “Energia in vetta”, misura rivolta ai gestori degli impianti di risalita e delle piste da sci, da discesa o da fondo, dotate di impianti di produzione di neve programmata all’interno dei comprensori sciistici del territorio nazionale, con l’esclusione delle Province Autonome di Trento e Bolzano, per i maggiori costi sostenuti nella stagione invernale 2022/2023 rispetto alla stagione invernale precedente (Avviso pubblico del 24 maggio 2023), prevedendo, a tal fine, contributo a fondo perduto per un importo massimo di 70.000 euro (non superiore all’80% delle spese ammissibili).

 

Le risorse di competenza regionale (109,5 milioni) di cui al D.M. 30 maggio 2022, sono destinate a sostenere, realizzare e promuovere interventi per la salvaguardia e la valorizzazione della montagna, nonché misure di sostegno in favore dei comuni totalmente e parzialmente montani delle regioni, anche con carattere di innovatività rispetto alle misure previste a livello nazionale, o di continuità dei progetti già attivi sui territori interessati, con particolare riferimento a:

a)      azioni di tutela, promozione e valorizzazione delle risorse ambientali dei territori montani, anche attraverso la realizzazione delle Green Community;

b)      interventi volti alla creazione di impianti di produzione di energia da fonti rinnovabile, ivi compresi quelli idroelettrici;

c)       misure di prevenzione del rischio del dissesto idrogeologico nei territori montani;

d)      progetti finalizzati alla salvaguardia dell'ambiente e della biodiversità e allo sviluppo delle attività agro-silvo-pastorali, anche con riferimento alla filiera del legno;

e)       misure di incentivazione per la crescita sostenibile e lo sviluppo economico e sociale dei territori montani, ivi compresi interventi di mobilità sostenibile;

f)        interventi per l'accessibilità alle infrastrutture digitali e per il rafforzamento dei servizi essenziali, con particolare riguardo prioritario a quelli socio-sanitari e dell'istruzione;

g)      iniziative volte a contrastare lo spopolamento dei territori.

Nelle more di un aggiornamento dei criteri di riparto, tali risorse sono ripartite tra le Regioni applicando i coefficienti già utilizzati per la ripartizione del Fondo nazionale per la montagna 2016-2019, nelle misure indicate nella successiva tabella, di cui 87,6 milioni quale quota fissa (pari all’80% della disponibilità del Fondo) e 21,9 milioni quale quota premiale (20% della disponibilità del Fondo).

I coefficienti di ripartizione sono stati formulati tenendo conto dell'esclusione delle Province Autonome di Trento e Bolzano a seguito di quanto disposto dall'articolo 2, comma 109, della legge 23 dicembre 2009 n. 191, che, a decorrere dal 1° gennaio 2010, abroga l'articolo 5 della legge 30 novembre 1989 n. 386.

 

 

Regioni

Coefficienti

(%)

Quota fissa

(80% Fondo)

Premialità

(20% Fondo)

Piemonte

8,464

7.414.902,40

1.853.725,60

Valle d'Aosta

1,532

1.342.111,20

335.527,80

Lombardia

8,225

7.205.526,40

1.801.381,60

P.A. di Bolzano

-

-

-

P.A. di Trento

-

-

-

Veneto

3,516

3.080.198,40

770.049,60

Friuli-Venezia Giulia

2,185

1.914.172,80

478.543,20

Liguria

2,545

2.229.552,00

557.388,00

Emilia-Romagna

5,578

4.886.616,80

1.221.654,20

Toscana

6,127

5.367.569,60

1.341.892,40

Umbria

3,456

3.027.635,20

756.908,80

Marche

3,129

2.741.166,40

685.291,60

Lazio

5,887

5.157.316,80

1.289.329,20

Abruzzo

5,538

4.851.575,20

1.212.893,80

Molise

2,470

2.163.848,00

540.962,00

Campania

7,733

6.774.508,80

1.693.627,20

Puglia

3,618

3.169.555,20

792.388,80

Basilicata

4,981

4.363.613,60

1.090.903,40

Calabria

8,183

7.168.732,00

1.792.183,00

Sicilia

6,596

5.778.437,60

1.444.609,40

Sardegna

10,237

8.968.l 41,60

2.242.035,40

ITALIA

100,00

87.605.180,00

21.901.295,00

 

 

La quota premiale sarà erogata alle regioni che provvedono al cofinanziamento delle azioni indicate dallo stesso decreto (art. 1, co. 2) da realizzare con finanziarie di diversa fonte, di importo almeno pari alla quota premiale. Le risorse “premiali” che non saranno assegnate per mancanza di cofinanziamento, saranno automaticamente ripartite nel corso del medesimo esercizio finanziario tra le regioni che hanno garantito la propria quota di premialità applicando coefficienti debitamente riparametrati.

 

 

Le risorse relative all’annualità 2023 (209,5 milioni) sono state ripartite, nella misura di 202,5 milioni con decreto del Ministro per gli affari regionali e le autonomie del 4 agosto 2023 per quanto riguarda la quota di competenza regionale (202,5 milioni).

Con successivo decreto del 11 ottobre 2023 è stata ripartita la quota di competenza statale (340.577 euro).

In particolare, con riferimento alle risorse finanziarie destinate agli interventi di competenza delle regioni e degli enti locali (202,5 milioni) il decreto 4 agosto 2023 ha definito una duplice modalità di assegnazioni, ripartendone una quota pari a 109,5 milioni utilizzando i criteri per la ripartizione del Fondo nazionale per la montagna stabiliti, da ultimo, con delibera CIPESS n. 53/2021 del 27 luglio 2021(come peraltro effettuato nella ripartizione dell’annualità 2022) e una quota pari a 93 milioni finalizzata a specificatamente le regioni con più spiccate caratteristiche di montanità.

A tal fine il Dipartimento per gli affari regionali e le autonomie della Presidenza del Consiglio dei ministri ha fatto ricorso, attraverso la collaborazione con l’ISTAT, all’utilizzo di coefficienti denominati coefficienti di ripartizione montani600, considerando la metodologia di cui alla delibera CIPESS n. 53/2021 - così come indicata nel documento ISTAT “Riparto del Fondo Nazionale per la Montagna (dicembre 2012)”, paragrafo 2.4 - con l’introduzione di un indicatore geomorfologico e di un indicatore socio-economico “di accessibilità” (per brevità, indicatore “logistico”), in luogo dell’indicatore del livello dei servizi pubblici di cui alla citata delibera CIPESS. 

Conseguentemente, l’articolo 2 del D.M ripartisce i 109,5 milioni secondo i coefficienti (%) già utilizzati per il riparto tra le regioni del Fondo nazionale per la montagna 2020-2021, arrotondati al 3° decimale, determinando per ciascuna regione l’identico ammontare di risorse attribuito nel 2022 come somma della quota fissa (80%) e di quella premiale (20%).

Viene confermata al comma 3 anche la finalizzazione delle risorse, che sono destinate a sostenere, realizzare e promuovere interventi per la salvaguardia e la valorizzazione della montagna, nonché misure di sostegno in favore dei comuni totalmente e parzialmente montani delle regioni.

Peraltro, il comma 5 precisa che ciascuna Regione destina con priorità tali risorse alle misure di prevenzione del rischio del dissesto idrogeologico nei territori montani.

Inoltre, ai sensi del comma 4, le Regioni possono finanziare interventi per la salvaguardia e la valorizzazione della montagna, di cui ai commi 3 e 5, presentati dalle Province nonché dalle Città Metropolitane.

L’articolo 3 ripartisce la quota di 93 milioni tra le regioni con più spiccate caratteristiche di montanità, in ragione dei cosiddetti coefficienti di riparto montani600, come indicati nella successiva tabella (anch’essi arrotondati al 3° decimale):

 

 

 

Regioni

Coefficienti riparto montani600 (%)

Ripartizione

(euro)

Piemonte

15,707

14.607.338,13

Valle d'Aosta

4,010

3.729.295,52

Lombardia

19,057

17.723.249,68

P.A. di Bolzano

-

-

P.A. di Trento

-

-

Veneto

6,553

6.094.123,17

Friuli-Venezia Giulia

3,340

3.106.044,28

Liguria

3,269

3.039.893,43

Emilia-Romagna

3,069

2.854.385,27

Toscana

3,323

3.089.999,35

Umbria

1,001

930.916,03

Marche

1,796

1.670.397,30

Lazio

5,206

4.842.042,64

Abruzzo

7,884

7.331.765,66

Molise

2,609

2.426.192,52

Campania

5,293

4.922.075,55

Puglia

0,466

433.070,46

Basilicata

4,205

3.910.678,14

Calabria

6,469

6.015.862,27

Sicilia

4,740

4.408.125,25

Sardegna

2,005

1.864.545,35

ITALIA

100,000

93.000.000,00

 

Il comma 3 precisa che il calcolo dei coefficienti è effettuato sulla base della formula di cui all’allegato B, che costituisce parte integrante del decreto stesso. La formula si basa sull’applicazione congiunta dell’indicatore geomorfologico (comma 5) e degli indicatori dimensionali e socio-economici (comma 6), entrambi pesati nella misura percentuale del 50% del totale.

Ai sensi del comma 4, per l’individuazione dell’indicatore geomorfologico sono individuati, per ogni Regione, il numero dei comuni che presentano almeno una delle seguenti caratteristiche (comuni montani600):

a) almeno il 35% della superficie al di sopra dei 600 metri di altitudine s.l.m. e almeno il 30% del territorio con una pendenza superiore al 20%, al netto delle superfici di laghi, lagune, valli da pesca, stagni, saline (“aree lacustri” di cui all’allegato A) [criterio relativo alla pendenza];

b) almeno il 70% della superficie al di sopra dei 600 metri di altitudine s.l.m., al netto delle superfici di laghi, lagune, valli da pesca, stagni, saline (“aree lacustri” di cui all’allegato A) [criterio relativo all’altimetria].

Il comma 5 precisa che l’indicatore geomorfologico consiste nel rapporto tra il numero dei comuni montani600 su base regionale, individuati ai sensi del comma 4, e il numero complessivo dei comuni montani600 a livello nazionale.

Il comma 8 dispone che le risorse (93 milioni) sono destinate a sostenere, a realizzare e a promuovere interventi per la salvaguardia e la valorizzazione della montagna nonché misure di sostegno in favore dei comuni totalmente e parzialmente montani delle regioni, con riferimento a:

a) interventi di rigenerazione urbana;

b) interventi di efficientamento energetico di edifici adibiti ad uffici pubblici;

c) interventi di manutenzione della viabilità;

d) interventi volti a conseguire risparmi energetici relativi all’illuminazione pubblica;

e) azioni di tutela, promozione e valorizzazione delle risorse ambientali dei territori montani, attraverso la realizzazione delle Green Community;

f) interventi volti alla creazione di impianti di produzione di energia da fonti rinnovabile, ivi compresi quelli idroelettrici;

g) misure di incentivazione per la crescita sostenibile e lo sviluppo economico e sociale dei territori montani, ivi compresi interventi di mobilità sostenibile;

h) iniziative volte a contrastare lo spopolamento dei territori, nonché in relazione al sostegno alle attività economiche, artigianali e commerciali.

misure di prevenzione del rischio del dissesto idrogeologico nei territori montani.

Anche in questo caso, le Regioni possono finanziare interventi per la salvaguardia e la valorizzazione della montagna, di cui ai commi 3 e 5, presentati dalle Province nonché dalle Città Metropolitane.

Sia l’articolo 2 che l’articolo 3 stabiliscono che gli interventi dovranno essere realizzati entro e non oltre il 31 agosto 2026.

 

Inoltre, il decreto 4 agosto 2023, all’articolo 4, ha disposto che le risorse del Fondo a valere sull’annualità 2022 (DM 30 maggio 2022), non erogate alla Regione Basilicata e alla Regione Siciliana e di importo pari complessivamente a euro 12,7 sono assegnate alle due regioni sulla base dei criteri, delle modalità e dei termini previsti all’articolo stesso (di cui 5,5 milioni alla Basilicata e 7,2 milioni alla Sicilia).

 

Riepilogando, le risorse assegnate a ciascuna amministrazione regionale dal D.M. 4 agosto 2023 possono essere così sintetizzate:

 

 

Regioni

Art. 2

Art. 3

TOTALE

Piemonte

9.268.628,00

14.607.338,13

23.875.966,13

Valle d'Aosta

1.677.639,00

3.729.295,52

5.406.934,52

Lombardia

9.006.908,00

17.723.249,68

26.730.157,68

P.A. di Bolzano

-

-

-

P.A. di Trento

-

-

-

Veneto

3.850.248,00

6.094.123,17

9.944.371,17

Friuli-Venezia Giulia

2.392.716,00

3.106.044,28

5.498.760,28

Liguria

2.786.940,00

3.039.893,43

5.826.833,43

Emilia-Romagna

6.108.271,00

2.854.385,27

8.962.656,27

Toscana

6.709.462,00

3.089.999,35

9.799.461,35

Umbria

3.784.544,00

930.916,03

4.715.460,03

Marche

3.426.458,00

1.670.397,30

5.096.855,30

Lazio

6.446.646,00

4.842.042,64

11.288.688,64

Abruzzo

6.064.469,00

7.331.765,66

13.396.234,66

Molise

2.704.810,00

2.426.192,52

5.131.002,52

Campania

8.468.136,00

4.922.075,55

13.390.211,55

Puglia

3.961.944,00

433.070,46

4.395.014,46

Basilicata

5.454.517,00

3.910.678,14

9.365.195,14

Calabria

8.960.915,00

6.015.862,27

14.976.777,27

Sicilia

7.223.047,00

4.408.125,25

11.631.172,25

Sardegna

11.210.177,00

1.864.545,35

13.074.722,35

ITALIA

109.506.475,00

93.000.000,00

202.506.475,00

 

Il decreto del 11 ottobre 2023 ha ripartito i 340.577 euro della quota di competenza statale destinandone 40.577 euro all’avvio di iniziative di comunicazione istituzionale sui temi della montagna e per 300.000 euro ad iniziative destinate a finanziare attività di collaborazione con istituzioni universitarie volte alla realizzazione di master universitari aventi ad oggetto i temi della montagna.

 

Le risorse relative all’annualità 2024 (195,4 milioni) del “Fondo per lo sviluppo delle montagne italiane - Interventi di competenza regionale e degli enti locali” sono state ripartite con decreto del Ministro per gli affari regionali e le autonomie dell’11 dicembre 2024.

In particolare, il decreto 11 dicembre 2024 ha confermato i criteri già definiti nel 2023 attraverso una duplice modalità di assegnazione, ripartendo una quota pari a 105,7 milioni utilizzando i criteri per la ripartizione del Fondo nazionale per la montagna stabiliti dalla delibera CIPESS n. 53/2021 del 27 luglio 2021 e una quota pari a 89,7 milioni finalizzata alle regioni con più spiccate caratteristiche di montanità.

A tal fine il Dipartimento per gli affari regionali e le autonomie della Presidenza del Consiglio dei ministri ha fatto ricorso, attraverso la collaborazione con l’ISTAT, all’utilizzo di coefficienti denominati coefficienti di ripartizione montani600, considerando la metodologia di cui alla delibera CIPESS n. 53/2021 - così come indicata nel documento ISTAT “Riparto del Fondo Nazionale per la Montagna (dicembre 2012)”, paragrafo 2.4 - con l’introduzione di un indicatore geomorfologico e di un indicatore socio-economico “di accessibilità” (per brevità, indicatore “logistico”), in luogo dell’indicatore del livello dei servizi pubblici di cui alla citata delibera CIPESS. 

Conseguentemente, l’articolo 2 del D.M. ripartisce i 105,7 milioni secondo i coefficienti (%) già utilizzati per il riparto tra le regioni del Fondo nazionale per la montagna, arrotondati al 3° decimale.

 

Regioni

Coefficienti

(%)

Ripartizione

Piemonte

8,464

8.943.143,01

Valle d'Aosta

1,532

1.618.725,79

Lombardia

8,225

8.690.613,33

P.A. di Bolzano

-

0

P.A. di Trento

-

0

Veneto

3,516

3.715.039,09

Friuli-Venezia Giulia

2,185

2.308.691,81

Liguria

2,545

2.689.071,24

Emilia-Romagna

5,578

5.893.767,92

Toscana

6,127

6.473.846,55

Umbria

3,456

3.651.642,52

Marche

3,129

3.306.131,20

Lazio

5,887

6.220.260,27

Abruzzo

5,538

5.851.503,54

Molise

2,470

2.609.825,52

Campania

7,733

8.170.761,45

Puglia

3,618

3.822,813,26

Basilicata

4,981

5.262.972,04

Calabria

8,183

8.646.235,73

Sicilia

6,596

6.969.396,42

Sardegna

10,237

10.816.511,70

ITALIA

100,00

105.660.952,39

 

Viene confermata al comma 3 anche la finalizzazione delle risorse, che sono destinate a sostenere, realizzare e promuovere interventi per la salvaguardia e la valorizzazione della montagna, nonché misure di sostegno in favore dei comuni totalmente e parzialmente montani delle regioni, con riferimento a:

a)       azioni di tutela, promozione e valorizzazione delle risorse ambientali dei territori montani, anche attraverso la realizzazione delle Green Communities;

b)      misure di prevenzione del rischio del dissesto idrogeologico nei territori montani;

c)       interventi volti alla creazione di impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili, ivi compresi quelli idroelettrici;

d)      progetti finalizzati alla salvaguardia dell'ambiente e della biodiversità e allo sviluppo delle attività agro-silvo-pastorali, anche con riferimento alla filiera del legno;

e)       misure di incentivazione per la crescita sostenibile e lo sviluppo economico e sociale dei territori montani, ivi compresi interventi di mobilità sostenibile;

f)       interventi per l’accessibilità alle infrastrutture digitali e per il rafforzamento dei servizi essenziali, con particolare riguardo prioritario a quelli sociosanitarie dell’istruzione;

g)      iniziative volte a contrastare lo spopolamento dei territori.

Inoltre, ai sensi del comma 4, le Regioni possono finanziare interventi per la salvaguardia e la valorizzazione della montagna, di cui ai commi 3 e 5, presentati dalle Province nonché dalle Città Metropolitane.

 

L’articolo 3 ripartisce la quota di 89,7 milioni tra le regioni con più spiccate caratteristiche di montanità, in ragione dei cosiddetti coefficienti di riparto montani600, come indicati nella successiva tabella (anch’essi arrotondati al 3° decimale):

 

Regioni

Coefficienti riparto montani600 (%)

Ripartizione

(euro)

Piemonte

15,707

14.096.429,21

Valle d'Aosta

4,010

3.598.859,00

Lombardia

19,057

17.103358,07

P.A. di Bolzano

-

0

P.A. di Trento

-

0

Veneto

6,553

5.880.974,00

Friuli-Venezia Giulia

3,340

2.997.406,71

Liguria

3,269

2.933.569,56

Emilia-Romagna

3,069

2.754.549,77

Toscana

3,323

2.987.922,97

Umbria

1,001

898.356,14

Marche

1,796

1.611.973,18

Lazio

5,206

4.672.686,48

Abruzzo

7,884

7.075.328,49

Molise

2,609

2.341.333,56

Campania

5,293

4.749.920,14

Puglia

0,466

417.923,31

Basilicata

4,205

3.773.897,55

Calabria

6,469

5.805.450,37

Sicilia

4,740

4.253.945,85

Sardegna

2,005

1.799.330,67

ITALIA

100,000

89.747.215,03

 

Il comma 3 precisa che il calcolo dei coefficienti è effettuato sulla base della formula di cui all’allegato B, che costituisce parte integrante del decreto stesso. La formula si basa sull’applicazione congiunta dell’indicatore geomorfologico (comma 5) e degli indicatori dimensionali e socio-economici (comma 6), entrambi pesati nella misura percentuale del 50% del totale.

Ai sensi del comma 4, per l’individuazione dell’indicatore geomorfologico sono individuati, per ogni Regione, il numero dei comuni che presentano almeno una delle seguenti caratteristiche (comuni montani600):

a) almeno il 35% della superficie al di sopra dei 600 metri di altitudine s.l.m. e almeno il 30% del territorio con una pendenza superiore al 20%, al netto delle superfici di laghi, lagune, valli da pesca, stagni, saline (“aree lacustri” di cui all’allegato A) [criterio relativo alla pendenza];

b) almeno il 70% della superficie al di sopra dei 600 metri di altitudine s.l.m., al netto delle superfici di laghi, lagune, valli da pesca, stagni, saline (“aree lacustri” di cui all’allegato A) [criterio relativo all’altimetria].

Il comma 5 precisa che l’indicatore geomorfologico consiste nel rapporto tra il numero dei comuni montani600 su base regionale, individuati ai sensi del comma 4, e il numero complessivo dei comuni montani600 a livello nazionale.

Il comma 8 dispone che le risorse (89,7 milioni) sono destinate a sostenere, a realizzare e a promuovere interventi per la salvaguardia e la valorizzazione della montagna nonché misure di sostegno in favore dei comuni totalmente e parzialmente montani delle regioni, con riferimento a:

a) interventi di rigenerazione urbana;

b) interventi di efficientamento energetico di edifici adibiti ad uffici pubblici;

c) interventi di manutenzione della viabilità;

d) interventi volti a conseguire risparmi energetici relativi all’illuminazione pubblica;

e) azioni di tutela, promozione e valorizzazione delle risorse ambientali dei territori montani, attraverso la realizzazione delle Green Community;

f) interventi volti alla creazione di impianti di produzione di energia da fonti rinnovabile, ivi compresi quelli idroelettrici;

g) misure di incentivazione per la crescita sostenibile e lo sviluppo economico e sociale dei territori montani, ivi compresi interventi di mobilità sostenibile;

h) iniziative volte a contrastare lo spopolamento dei territori, nonché in relazione al sostegno alle attività economiche, artigianali e commerciali.

Anche in questo caso, le Regioni possono finanziare interventi per la salvaguardia e la valorizzazione della montagna, di cui al comma 8, presentati dalle Province nonché dalle Città Metropolitane (comma 9).

Sia l’articolo 2 che l’articolo 3 stabiliscono che gli interventi dovranno essere realizzati entro e non oltre il 31 agosto 2028.

 

Riepilogando, le risorse assegnate a ciascuna amministrazione regionale dal D.M. 11 dicembre 2024 possono essere così sintetizzate:

 

Regioni

Art. 2

Art. 3

TOTALE

Piemonte

8.943.143,01

14.096.429,21

23.039.572,22

Valle d'Aosta

1.618.725,79

3.598.859,00

5.217.584,79

Lombardia

8.690.613,33

17.103358,07

25.793.971,40

P.A. di Bolzano

0

0

0,00

P.A. di Trento

0

0

0,00

Veneto

3.715.039,09

5.880.974,00

9.596.013,09

Friuli-Venezia Giulia

2.308.691,81

2.997.406,71

5.306.098,52

Liguria

2.689.071,24

2.933.569,56

5.622.640,80

Emilia-Romagna

5.893.767,92

2.754.549,77

8.648.317,69

Toscana

6.473.846,55

2.987.922,97

9.461.769,52

Umbria

3.651.642,52

898.356,14

4.549.998,66

Marche

3.306.131,20

1.611.973,18

4.918.104,38

Lazio

6.220.260,27

4.672.686,48

10.892.946,75

Abruzzo

5.851.503,54

7.075.328,49

12.926.832,03

Molise

2.609.825,52

2.341.333,56

4.951.159,08

Campania

8.170.761,45

4.749.920,14

12.920.681,59

Puglia

3.822,813,26

417.923,31

417.923,31

Basilicata

5.262.972,04

3.773.897,55

9.036.869,59

Calabria

8.646.235,73

5.805.450,37

14.451.686,10

Sicilia

6.969.396,42

4.253.945,85

11.223.342,27

Sardegna

10.816.511,70

1.799.330,67

12.615.842,37

ITALIA

105.660.952,39

89.747.215,03

195.408.167,42

 

Come disposto dall'articolo 2, comma 6, e dall’articolo 3, comma 11, le Regioni dovranno trasmettere le richieste di finanziamento (scheda n. 1 e scheda n. 2 - Regioni con più spiccate caratteristiche di montanità, allegate al D.M.) in formato elettronico all'indirizzo: affariregionali@pec.governo.it entro il termine di 90 giorni dalla pubblicazione del decreto.

Come riportato sulla Gazzetta Ufficiale n. 21 del 27 gennaio 2025, il decreto è stato pubblicato sul sito www.affariregionali.it in data 17 gennaio 2025, e conseguentemente il termine per la presentazione delle richieste viene indicato al 17 aprile 2025.


 

Articolo 5
(Relazione annuale)

 

 

L’articolo 5 attribuisce al Dipartimento per gli affari regionali e le autonomie della Presidenza del Consiglio dei ministri il monitoraggio dell’attuazione e dell’impatto delle disposizioni recate dalla Strategia per la montagna italiana e Fondo per lo sviluppo delle montagne italiane. Si prevede la presentazione alle Camere di una Relazione annuale sullo stato della montagna e sull’attuazione della Strategia per la montagna italiana, entro il 28 febbraio di ciascun anno.

 

Il comma 1 assegna al Dipartimento per gli affari regionali e le autonomie della Presidenza del Consiglio dei ministri il monitoraggio dell’attuazione e dell’impatto delle disposizioni di cui agli articoli 3 (Strategia per la montagna italiana) e 4 (Fondo per lo sviluppo delle montagne italiane) del disegno di legge in esame.

Il comma 2 stabilisce che entro il 28 febbraio di ciascun anno il Ministro per gli affari regionali e le autonomie, sentita la Conferenza unificata di cui all’art. 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, anche sulla base dell’attività di monitoraggio di cui al comma precedente, presenti alle Camere la Relazione annuale sullo stato della montagna e sull’attuazione della SMI, con particolare riferimento al quadro delle risorse destinate dallo Stato al conseguimento degli obiettivi della politica nazionale di sviluppo delle zone montane.

 

Si ricorda che l’articolo 24, comma 4, della legge n. 97 del 1994 (Nuove disposizioni per le zone montane) stabilisce che il Ministro del bilancio e della programmazione economica, entro il 30 settembre di ciascun anno, sentita l'UNCEM, presenta al Parlamento la relazione annuale sullo stato della montagna, con particolare riferimento all'attuazione della presente legge ed al quadro delle risorse da destinare al settore da parte delle Amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, nei rispettivi bilanci, su fondi propri o derivanti da programmi comunitari, al fine di conseguire gli obiettivi della politica nazionale della montagna.

L’ultima relazione presentata al Parlamento risale al 2007[8] (XV Legislatura, Doc. XCV, n. 2).

Articolo 6, comma 1
(Valorizzazione dell’attività prestata dagli esercenti professioni sanitarie e dagli operatori sociosanitari presso strutture ubicate nei comuni montani destinatari di misure di sostegno)

 

 

Il comma 1 dell’articolo 6 introduce, in primo luogo, due forme di riconoscimento del servizio prestato dagli esercenti professioni sanitarie e dagli operatori sociosanitari presso strutture sanitarie e socio-sanitarie, pubbliche o private accreditate, ubicate nei comuni montani destinatari delle misure di sostegno previste dal provvedimento in esame: l’attribuzione di un punteggio doppio nella valutazione dei titoli di carriera ai fini della partecipazione alle procedure concorsuali presso le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale (SSN), per ciascun anno di attività presso le predette strutture; la previsione di una valorizzazione nell'ambito dei contratti collettivi nazionali di settore per l'assunzione di incarichi nell'ambito delle aziende e degli enti del SSN.

Il comma in titolo introduce, inoltre, una specifica forma di riconoscimento per i medici che abbiano operato per un triennio presso le succitate strutture: la previsione che l'attività prestata costituisca titolo preferenziale, a parità di condizioni, per gli incarichi di direttore sanitario.

 

Più in dettaglio, in base al primo periodo del comma in esame, nella valutazione dei titoli di carriera ai fini della partecipazione alle procedure concorsuali presso le aziende e gli enti del SSN, all'attività prestata dagli esercenti le professioni sanitarie[9] e dagli operatori socio-sanitari[10] presso strutture sanitarie e socio-sanitarie, pubbliche o private accreditate, ubicate nei comuni montani destinatari di misure di sostegno, è attribuito, per ciascun anno di attività, un punteggio doppio.

 

Si ricorda che, in base al richiamato articolo 2, comma 2, del presente disegno di legge i comuni montani destinatari di misure di sostegno sono individuati con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri (v. sopra la scheda di lettura dell’articolo 2).

 

In forza del secondo periodo del comma in disamina, la medesima attività è valorizzata, nell'ambito dei contratti collettivi nazionali di settore, per l'assunzione di incarichi nelle aziende e negli enti del SSN.

Ai sensi del terzo periodo del comma in esame, l'attività prestata dai medici nelle strutture sanitarie e socio-sanitarie suddette per tre anni costituisce titolo preferenziale, a parità di condizioni, per gli incarichi di direttore sanitario.

In sede di relazione tecnica viene specificato che non vi sono “profili finanziari ascrivibili” alle disposizioni appena illustrate.

 

Si ricorda che la disciplina relativa alla valutazione dei titoli è posta dal D.P.R. 10 dicembre 1997, n. 483[11], per quanto attiene al personale dirigenziale del SSN (v. in particolare artt. 20-23 e art. 27).

Riguardo al personale non dirigenziale del SSN, la relativa disciplina sulla valutazione dei titoli è posta dal D.P.R. 27 marzo 2001, n. 220[12] (v. in particolare art. 8 e artt. 20-22).

Il direttore sanitario è un medico che, all'atto del conferimento dell'incarico, non abbia compiuto il sessantacinquesimo anno di età e che abbia svolto per almeno cinque anni qualificata attività di direzione tecnico-sanitaria in enti o strutture sanitarie, pubbliche o private, di media o grande dimensione. Il direttore sanitario dirige i servizi sanitari ai fini organizzativi ed igienico-sanitari e fornisce parere obbligatorio al direttore generale sugli atti relativi alle materie di competenza (art. 3, co.7, d. lgs. n. 502/1992[13]).

Il direttore generale, nel rispetto dei principi di trasparenza di cui alla vigente normativa, nomina il direttore sanitario attingendo obbligatoriamente agli elenchi regionali di idonei, anche di altre regioni, appositamente costituiti, previo avviso pubblico e selezione per titoli e colloquio, effettuati da una commissione nominata dalla regione, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, e composta da esperti di qualificate istituzioni scientifiche indipendenti che non si trovino in situazioni di conflitto d'interessi, di comprovata professionalità e competenza nelle materie oggetto degli incarichi, di cui uno designato dalla regione. La commissione valuta i titoli formativi e professionali, scientifici e di carriera presentati dai candidati, secondo specifici criteri indicati nell'avviso pubblico. L'incarico di direttore sanitario non può avere durata inferiore a tre anni e superiore a cinque anni. In caso di manifesta violazione di leggi o regolamenti o del principio di buon andamento e di imparzialità della amministrazione, il direttore generale, previa contestazione e nel rispetto del principio del contraddittorio, risolve il contratto, dichiarando la decadenza del direttore sanitario e provvede alla sua sostituzione (art. 3 del d. lgs. n. 171/2016[14]).


 

Articolo 6, commi 2-4 e 6-7
(Credito d’imposta dipendenti strutture sanitarie di montagna)

 

 

L’articolo 6, modificato nel corso dell’esame al Senato, ai commi 2 e 3, concede - a decorrere dal 2025 - un credito d’imposta, in misura pari al minor importo tra il 60 per cento del canone annuo di locazione dell’immobile e l’ammontare di 2.500 euro, a favore di coloro che prestano servizio in strutture sanitarie, socio-sanitarie e socio-assistenziali di montagna o vi effettuano il servizio di medico del ruolo unico di assistenza primaria, pediatra di libera scelta, specialista ambulatoriale interno, veterinario e altra professionalità sanitaria ambulatoriale convenzionata con il Servizio Sanitario Nazionale e prendono in locazione un immobile ad uso abitativo per fini di servizio.

Il beneficio è concesso anche a coloro che ai medesimi scopi acquistano un immobile ad uso abitativo con accensione di finanziamento ipotecario o fondiario; in tale caso, il credito d’imposta spetta in misura pari al minor importo tra il 60 per cento dell’ammontare annuale del finanziamento e l’importo di 2.500 euro.

Inoltre, al comma 4, introdotto nel corso dell’esame parlamentare, viene riconosciuto ai comuni montani in cui insista una delle minoranze linguistiche storiche un credito d’imposta in misura pari al minor importo tra il 75 per cento del canone annuo di locazione o dell'ammontare annuale del finanziamento e l'importo di euro 3.500.

I commi 6 e 7 contengono indicazioni sull’utilizzazione del credito di imposta, riconosciuto nel limite complessivo di 20 milioni annui a decorrere dal 2025, e dispongono in ordine alla disciplina attuativa di rango secondario.

 

Più in dettaglio il comma 2, all’esplicito scopo di contenere l’impegno finanziario connesso al trasferimento in un comune montano (come definito all’articolo 2, alla cui scheda di lettura si rinvia) concede, a decorrere dal 2025, a coloro che prestano servizio in strutture sanitarie, socio-sanitarie e socio-assistenziali di montagna o vi effettuano il servizio di medico del ruolo unico di assistenza primaria, pediatra di libera scelta, specialista ambulatoriale interno, veterinario e altra professionalità sanitaria ambulatoriale convenzionata con il Servizio Sanitario Nazionale nell’ambito degli accordi collettivi nazionali e che prendono in locazione un immobile ad uso abitativo per fini di servizio nel medesimo comune, un credito di imposta annuale nei limiti delle risorse disponibili, in misura pari al minor importo tra il 60 per cento del canone annuo di locazione dell’immobile e l’ammontare di 2.500 euro.

 

Il comma 3 estende il credito d’imposta anche a coloro che, per i fini di servizio ivi indicati, acquistano nel medesimo comune o in un comune limitrofo un immobile ad uso abitativo con accensione di un finanziamento ipotecario o fondiario, comunque denominato. Per tali soggetti il credito di imposta spetta annualmente, a decorrere dal 2025, nei limiti delle risorse disponibili, in misura pari al minor importo tra il 60 per cento dell’ammontare annuale del finanziamento e l’importo di 2.500 euro.

 

Il comma 4, introdotto nel corso dell’esame al Senato, determina criteri diversi per il calcolo del credito d’imposta in esame, aumentandone i parametri di calcolo, a favore dei comuni montani in cui insista una delle minoranze linguistiche storiche di cui alla legge 15 dicembre 1999, n. 482.

 

Si ricorda che l’articolo 2 della legge suddetta prevede che in attuazione dell'articolo 6 della Costituzione e in armonia con i princìpi generali stabiliti dagli organismi europei e internazionali, la Repubblica tutela la lingua e la cultura delle popolazioni albanesi, catalane, germaniche, greche, slovene e croate e di quelle parlanti il francese, il franco-provenzale, il friulano, il ladino, l’occitano e il sardo.

 

Nello specifico si stabilisce che il credito d'imposta di cui ai commi 2 e 3 è riconosciuto in misura pari al minor importo tra il 75 per cento del canone annuo di locazione o dell'ammontare annuale del finanziamento e l'importo di euro 3.500, nei casi in cui nei territori dei comuni montani di cui all'articolo 2, comma 2, con popolazione non superiore a 5.000 abitanti, insista una delle minoranze linguistiche storiche di cui alla legge 15 dicembre 1999, n. 482, e i cui appartenenti rappresentino almeno il 15 per cento dei residenti.

 

Il comma 6 stabilisce le caratteristiche del credito di imposta, di cui ai commi 2, 3 e 4, prevedendo che sia utilizzabile esclusivamente in dichiarazione dei redditi. Esso viene concesso nel limite di 20 milioni di euro annui e non è cumulabile con le seguenti agevolazioni:

-         il credito di imposta spettante alle persone fisiche, ai sensi dell’articolo 23 del provvedimento in esame, per l’acquisto e la ristrutturazione di abitazioni principali in montagna; il credito di imposta è commisurato all’ammontare degli interessi passivi dovuti sul finanziamento stesso (si veda la scheda di lettura dell’articolo 23 per ulteriori informazioni);

-         la detrazione Irpef del 19 per cento degli interessi passivi sui mutui “prima casa”, disposta, in linea generale, dall’articolo 15, comma 1, lettera b) del TUIR – Testo unico delle imposte sui redditi, decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917;

-         la detrazione Irpef spettante sui canoni di locazione cd. concordati, di all’articolo 16 del TUIR.

 

Il comma 7 infine affida a un decreto del Ministro della salute, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze con del Ministro per gli affari regionali e le autonomie, da adottare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della normativa in esame, il compito di definire criteri, ivi inclusi quelli per l’individuazione dei comuni limitrofi, e le modalità di concessione del credito d’imposta, di cui ai commi 2, 3 e 4, anche ai fini del rispetto del limite di spesa previsto, nonché le disposizioni relative ai controlli e al recupero del beneficio indebitamente fruito.

 

Si segnala che l’articolo 7, ai commi da 5 a 9, concede un credito d’imposta a coloro che prestano servizio in scuole site nei comuni di montagna, mentre il comma 7 del medesimo articolo riconosce un credito d’imposta anche ai comuni montani in cui insista una delle minoranze linguistiche storiche di cui alla legge, 15 dicembre 1999, n. 482. Si rinvia alla relativa scheda di lettura per ulteriori informazioni.


 

Articolo 6, commi 5 e 8
(Emolumenti personale medico e sanitario dei comuni di montagna)

 

 

I commi 5 e 8 dell’articolo 6, come modificati al Senato, dispongono il riconoscimento di uno speciale emolumento - dovuto alle particolari condizioni di lavoro e nell'ambito dei rispettivi contratti collettivi nazionali di lavoro e degli accordi collettivi nazionali - a favore del personale dirigente e non dirigente, che sia dipendente dalle aziende e dagli enti del Servizio sanitario nazionale che ricadono nei comuni montani individuati con decreto secondo la procedura definita nel provvedimento in esame, oltre che per i medici di medicina generale e per i pediatri di libera scelta operanti nei medesimi comuni. Al Senato, il beneficio è stato esteso anche agli specialisti ambulatoriali interni, veterinari ed altre professionalità sanitarie ambulatoriali.

L’emolumento, di natura accessoria e variabile, da attribuire in ragione dell'effettiva presenza in servizio, è riconosciuto entro il limite di spesa annuo lordo complessivo di 20 milioni di euro annui, a decorrere dal 2025 (termine così modificato in sede referente rispetto all’iniziale anno 2024), da ripartire, tra ciascuno dei predetti contratti ed accordi, con decreto del Ministro della salute. Il decreto deve essere adottato entro 60 giorni dall’entrata in vigore dei decreti per l’individuazione dei comuni montani (comma 5). Al Senato inoltre è stata aggiunta la disposizione che consente a Regioni e Province autonome di prevedere, senza nuovi o maggiori oneri a carico dello Stato, specifiche forme di incentivo per i medici di medicina generale e i pediatri di libera scelta che decidono di mantenere in attività i propri studi dislocati nei comuni montani, come da apposito elenco (v. infra).

Allo scopo, viene incrementato il finanziamento del SSN per il corrispondente importo di 20 milioni di euro annui a decorrere dal 2024 (comma 8), alla cui copertura si provvede ai sensi dell’articolo 29 che detta le specifiche disposizioni finanziarie, tra cui l’utilizzo del FOSMIT (Fondo per lo sviluppo delle montagne italiane).

 

Più in dettaglio, l’erogazione delle risorse ai fini della corresponsione dello speciale emolumento al personale medico e sanitario sopra indicato presenta natura accessoria e legata al riconoscimento delle particolari condizioni del lavoro svolto, pertanto è dovuto esclusivamente in ragione dell’effettiva presenza in servizio e dipenderà dall’effettivo numero dei comuni che rientreranno nell’elenco indicato dai DPCM previsti nella procedura di definizione dei comuni montani (v. ante articolo 2, comma 2), comunque entro i limiti dell’importo annuo lordo complessivo di 20 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2025 (termine modificato rispetto all’iniziale anno 2024) e nell'ambito dei rispettivi contratti collettivi nazionali di lavoro e accordi collettivi nazionali (comma 5).

Nel corso dell’esame al Senato è stata inserita la previsione che l’emolumento deve essere corrisposto, oltre che ai medici di medicina generale e ai pediatri di libera scelta operanti nei comuni montani in elenco, anche agli specialisti ambulatoriali interni, veterinari e alle altre professionalità sanitarie ambulatoriali.

 

Si ricorda in proposito che per tali specialisti e professionalità sanitarie, il Decreto 15 marzo 2022, n. 64, entrato in vigore il 28 giugno 2022, ha definito il Regolamento recante l’Accordo collettivo nazionale per la disciplina dei rapporti tra il Ministero della salute, i medici ambulatoriali, specialisti e generici, e le altre professionalità sanitarie (biologi, chimici, psicologi) operanti negli ambulatori direttamente gestiti dal Ministero della salute per l'assistenza sanitaria e medico-legale al personale navigante, marittimo e dell'aviazione civile, per il triennio 2016-2018. A tale regolamento è seguito l’Accordo collettivo nazionale per la disciplina dei rapporti con gli specialisti ambulatoriali interni, veterinari ed altre professionalità sanitarie (biologi, chimici, psicologi) ambulatoriali ai sensi dell’art. 8 del d.lgs. n. 502 del 1992 e successive modificazioni ed integrazioni, per il triennio 2019-2021 (qui il link).

 

Per l’area Sanità, il CCNL sottoscritto tra Aran e sindacati per il comparto sanità il 2 novembre 2022 è relativo, sia per la parte economica sia per quella giuridica, al triennio 2019-2021 (qui il CCNL Sanità triennio 2019-2021), mentre per i Medici di medicina generale l’ipotesi di Accordo collettivo nazionale per la continuità assistenziale (ex guardia mediche) è stato firmato l’8 febbraio 2024. Il precedente Accordo collettivo nazionale per i MMG e i PLS, tuttora in vigore, è stato firmato il 28 aprile 2022 (vedi link MMG e qui PLS).

Il trattamento economico accessorio è una componente della struttura della retribuzione prevista per la posizione di incarico ed è legata alle particolari condizioni di lavoro, ivi compresi i compensi per lavoro straordinario. Si ricorda che i criteri di allocazione delle risorse che finanziano il trattamento accessorio devono essere previste, in base ai contratti nazionali e agli accordi collettivi, da specifiche disposizioni di legge - per le quali è necessario l’intervento regionale -che tengano anche conto della perequazione e compensazione a livello regionale.

 

Con una ulteriore modifica al Senato, è stata aggiunta una disposizione al comma 5, prevedendo che le Regioni e le province autonome, nell'ambito delle proprie competenze, possono prevedere, nei limiti delle risorse disponibili a legislazione vigente e comunque senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, particolari forme di incentivazione per i medici di medicina generale e i pediatri di libera scelta che decidono di mantenere in attività i propri studi dislocati nei comuni montani di cui all’apposito elenco.

Allo scopo, l’articolo 2, comma 1, prevede l’adozione di un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore del presente disegno di legge, per la definizione dei criteri per la classificazione dei comuni montani (i quali costituiscono le “zone montane”), in base a due parametri: quello altimetrico e quello della pendenza (v. ante).

 

Il comma 8 dispone infine la clausola di copertura, incrementando allo scopo il finanziamento del SSN per il corrispondente importo di 20 milioni di euro annui a decorrere dal 2025 (termine corrispondentemente modificato dal Senato) e provvedendo all’onere in base a quanto disposto dal successivo articolo 30 (v. infra).


 

Articolo 7, commi 1-3, 4 e 10
(Scuole di montagna)

 

 

L’articolo 7, comma 1, introduce la definizione di “scuole di montagna”. Il comma 2 dispone l’applicazione della disciplina introdotta dalla legge di bilancio 2023 in attuazione della Riforma 1.3 della M4C1 del PNRR, concernente il dimensionamento della rete scolastica, nonché della normativa di settore sul numero di alunni per classe di cui al DPR n. 81/2009 al fine di assicurare, nei limiti dell'organico dell'autonomia del personale docente e dell'organico del personale amministrativo, tecnico e ausiliario disponibili a legislazione vigente, il servizio scolastico nelle scuole di montagna, per la definizione del contingente organico dei Direttori Scolastici (DS) e dei Direttori dei Servizi Generali e Amministrativi (DSGA) e ai fini della formazione delle classi e della relativa assegnazione degli organici. Il comma 3, introdotto dal Senato, elimina l’attuale limitazione territoriale per cui la possibilità di derogare al numero minimo di alunni per classe è ammessa nelle istituzioni scolastiche ed educative del primo e del secondo ciclo di istruzione caratterizzate dalla presenza di alunni con fragilità negli apprendimenti solo se situate nelle regioni Abruzzo, Basilicata, Campania, Molise, Puglia, Calabria, Sardegna e Sicilia. In secondo luogo, esso riconosce ora tale possibilità di deroga anche con riferimento ai nuovi percorsi ordinamentali e ai percorsi sperimentali della scuola secondaria di secondo grado. Il comma 4 prevede – a determinate condizioni - un punteggio aggiuntivo ai fini delle Graduatorie Provinciali di Supplenza (GPS) a favore dei docenti con rapporto di lavoro a tempo indeterminato e determinato che abbiano effettivamente prestato servizio nelle scuole di montagna di ogni ordine e grado e un ulteriore punteggio aggiuntivo per i medesimi docenti che hanno prestato servizio nelle pluriclassi delle scuole primarie ubicate nei comuni classificati montani. Il comma 10 reca la clausola di invarianza finanziaria.

 

Il più diretto precedente delle disposizioni in commento, per il suo carattere di organicità, è rappresentato dalla legge n. 90 del 1957, recante «Provvedimenti a favore della scuola elementare in montagna», via via superata nel corso del tempo e quindi abrogata dal decreto legislativo n. 212 del 2010 (c.d. “Taglialeggi 2”). Il testo dettava diverse previsioni relative, fra l’altro, all’individuazione delle scuole site nelle zone disagiate, a misure speciali per la carriera e la quiescenza dei docenti, all’alloggio che i Comuni dovevano fornire agli insegnanti. Esso, tuttavia, non recava la definizione di comuni montani, limitandosi a far rinvio all’art. 1 della L. n. 991/1952 (poi abrogato dall'art. 29 della L. n. 142/1990, corrispondente all’art. 28 del d.lgs. 267/2000). Tale disposizione considerava territori montani i Comuni censuari situati per almeno l'80 per cento della loro superficie al di sopra di 600 metri di altitudine sul livello del mare e quelli nei quali il dislivello tra la quota altimetrica inferiore e la superiore del territorio comunale non fosse minore di 600 metri, sempre che il reddito imponibile medio per ettaro, censito, risultante dalla somma del reddito dominicale e del reddito agrario, maggiorati del coefficiente 12, non superasse le lire 2400.

 

Come sopra segnalato, il comma 1 definisce scuole di montagna quelle dell'infanzia, primaria e secondaria di primo e di secondo grado ubicate in uno dei comuni di cui all'articolo 2 (alla cui scheda di lettura si rinvia) e quelle con almeno un plesso situato in un comune di cui al citato articolo 2, le quali beneficiano delle misure di sostegno previste dal provvedimento in esame limitatamente a tale plesso.

 

 

Si ricorda che l’art. 2 del presente provvedimento disciplina la classificazione dei comuni montani, prevedendo che con DPCM siano definiti i criteri per la classificazione, come montani, dei comuni, dando prevalente rilievo ai parametri altimetrico e della pendenza. Il medesimo DPCM definisce contestualmente l’elenco dei comuni montani.

 

Il comma 2 dispone che si applicano, rispettivamente, l'articolo 19, commi 5-quater, 5-quinquies e 5-sexies, del D.L. n. 98/2011 (L. n. 111/2011) e il DPR n. 81/2009 (recante Norme per la riorganizzazione della rete scolastica e il razionale ed efficace utilizzo delle risorse umane della scuola), ferma restando la possibilità di derogare al numero minimo di alunni per classe prevista dall'articolo 10-bis del D.L. n. 123/2023 (L. n. 159/2023), come modificato dal comma 3 dell’articolo in esame (si veda più avanti), al fine di assicurare, nei limiti dell'organico dell'autonomia del personale docente e dell'organico del personale amministrativo, tecnico e ausiliario disponibili a legislazione vigente, il servizio scolastico nelle scuole di montagna di cui al comma 1, per la definizione del contingente organico dei dirigenti scolastici e dei direttori dei servizi generali e amministrativi e ai fini della formazione delle classi e della relativa assegnazione degli organici.

 

In relazione alla disciplina sul dimensionamento della rete scolastica, si veda la scheda relativa all’articolo 5, comma 3, all’interno del dossier sull’Atto Senato n. 1027.

 

L'art. 1, comma 557, della L. n. 197/2022 (legge di bilancio per il 2023) ha introdotto all’articolo 19 del D.L. n. 98/2011 (L. n. 111/ 2011) i commi da 5-quater a 5-sexies.

Si segnala in proposito la sentenza della Corte costituzionale n. 223 del 2023 (depositata il 22 dicembre 2023) che ha deciso in merito all’impugnazione dell’art. 1, commi 557, 558, 560 e 561, della citata legge n. 197 del 2022 sui ricorsi promossi dalle Regioni Toscana, Emilia-Romagna e Puglia. In essa, affermandosi la prevalenza della competenza statale nella riorganizzazione del sistema scolastico, si statuisce, in particolare, che le norme censurate dalle Regioni, nonostante interferiscano «con la competenza regionale concorrente in materia di istruzione, sotto il profilo del dimensionamento scolastico», «si fondano però, in via prevalente, su diversi titoli della competenza esclusiva statale», quali, in particolare, «ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato» e «norme generali sull’istruzione», di cui all’art. 117, secondo comma, lettere g) e n) della Carta costituzionale.

 

L’art. 19, co. 5, del D.L. 98/2011 (L. 111/2011) – come modificato dall’art. 4, co. 69, della L. 183/2011 e, successivamente, dall'art. 12, co. 1, lett. a), del D.L. 104/2013 (L. 128/2013) – ha disposto che, negli a.s. 2012/2013 e 2013/2014, alle istituzioni scolastiche autonome costituite con un numero di alunni inferiore a 600 unità, ridotto fino a 400 per le istituzioni site nelle piccole isole, nei comuni montani, nelle aree geografiche caratterizzate da specificità linguistiche, non potevano essere assegnati dirigenti scolastici con incarico a tempo indeterminato e le stesse erano conferite in reggenza a dirigenti scolastici con incarico su altre istituzioni scolastiche autonome.

Il co. 5-bis dello stesso art. 19 – introdotto dall’art. 4, co. 70, della L. 183/2011 e modificato dall’art. 12, co. 1, lett. b), del D.L. 104/2013 (L. 128/2013) – ha disposto che, negli stessi a.s., alle medesime istituzioni scolastiche autonome di cui al co. 5 non poteva essere assegnato in via esclusiva un posto di direttore dei servizi generali ed amministrativi (DSGA) e che, dunque, il posto era assegnato in comune con altre istituzioni scolastiche.

A sua volta, il co. 5-ter dello stesso art. 19 – introdotto dall’art. 12, co. 1, lett. c), del D.L. 104/2013 (L. 128/2013) – ha disposto, per quanto qui interessa, che i criteri per l'individuazione delle istituzioni scolastiche alle quali può essere assegnato un dirigente scolastico e un DSGA devono essere definiti con decreto del Ministro (ora) dell’istruzione e del merito, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, previo accordo da raggiungere in sede di Conferenza unificata. Fino al termine dell'a.s. nel corso del quale tale accordo sarà adottato, continua ad applicarsi la disciplina di cui all'art. 19, co. 5 e 5-bis, dello stesso D.L. 98/2011 (L. 111/2011).

Successivamente, l’art. 1, co. 978, della L. 178/2020 ha disposto che, per l’a.s. 2021/2022, il numero minimo di alunni necessario perché alle istituzioni scolastiche autonome possano essere assegnati dirigenti scolastici con incarico a tempo indeterminato è ridotto (da 600) a 500 unità, ovvero (da fino a 400) a fino a 300 unità per le istituzioni site nelle piccole isole, nei comuni montani, nelle aree geografiche caratterizzate da specificità linguistiche. Ha, altresì, confermato che le istituzioni scolastiche che non raggiungono il numero minimo di alunni indicato sono conferite in reggenza a dirigenti scolastici con incarico su altre istituzioni scolastiche autonome e che alle stesse non può essere assegnato in via esclusiva un posto di DSGA. Quest’ultimo, è assegnato in comune con altre istituzioni scolastiche con decreto del Direttore generale o del dirigente non generale titolare dell'Ufficio scolastico regionale competente.

Per completezza d'esposizione, si ricorda altresì che la novella prevista dall'articolo 47, comma 8, del D.L. n. 36/2022 (L. n. 79/2022), ha disposto che le istituzioni scolastiche che hanno un numero di alunni uguale o superiore a 500 unità, ridotto fino a 300 unità per le istituzioni situate nelle piccole isole, nei comuni montani o nelle aree geografiche caratterizzate da specificità linguistiche, sono disponibili per le operazioni di mobilità regionali e interregionali e per il conferimento di ulteriori incarichi sia per i dirigenti scolastici sia per i direttori dei servizi generali e amministrativi. La novella ha altresì disposto che resta fermo quanto disposto dall'articolo 19-quater del D.L. n. 4/2022 (L. n. 25/2022), in materia di mobilità straordinaria dei dirigenti scolastici. Inoltre, con riferimento ai posti di direttore dei servizi generali e amministrativi (DSGA), non devono derivare situazioni di esubero di personale.

Il richiamato art. 19-quater prevede che, in deroga temporanea al limite fissato in sede contrattuale per la mobilità interregionale dei dirigenti scolastici, sia reso disponibile il 60 per cento dei posti vacanti, annualmente, in ciascuna regione per gli anni scolastici 2022/2023, 2023/2024 e 2024/2025. Per la suddetta mobilità, oltre all'assenso dell'Ufficio scolastico regionale di provenienza, è necessario quello dell'Ufficio scolastico della regione richiesta. È previsto che dall'attuazione dell'articolo non derivino situazioni di esubero di personale, anche per gli anni scolastici successivi all'anno scolastico 2024/2025.

Sulla base di tali previsioni, la consistenza organica dei dirigenti scolastici per l’a.s. 2021/2022 è stata definita con DM 157 del 14 maggio 2021. Nella relativa premessa si faceva presente che l’intesa in sede di Conferenza unificata non era ancora stata raggiunta. Dalla tabella allegata  si evince che, per lo stesso a.s., le istituzioni scolastiche con un numero di alunni inferiore a 600 ma almeno pari a 500, o inferiore a 400 ma almeno pari a 300 per le istituzioni situate nelle piccole isole, nei comuni montani o nelle aree geografiche caratterizzate da specificità linguistiche, sono 370.

 

La disciplina contenuta nel comma 5-quater dell’articolo 19 del D.L. n. 98/2011 (L. n. 111/2011):

·         è operativa a decorrere dall'a.s. 2024/2025;

·         prevede che i criteri per la definizione del contingente organico dei dirigenti scolastici e dei direttori dei servizi generali e amministrativi e la sua distribuzione tra le Regioni sono definiti, su base triennale con eventuali aggiornamenti annuali, con decreto del Ministro dell'istruzione e del merito di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, previo accordo in sede di Conferenza unificata, da adottare entro il 31 maggio dell'anno solare precedente all'anno scolastico di riferimento;

·         specifica che essa intende dare attuazione alla riorganizzazione del sistema scolastico prevista nel Piano nazionale di ripresa e resilienza, tenendo conto del parametro della popolazione scolastica regionale indicato per la riforma 1.3 prevista dalla M4C1 del PNRR[15];

·         prevede che si deve tener anche conto della necessità di salvaguardare le specificità derivanti dalle istituzioni presenti nei comuni montani, nelle piccole isole e nelle aree geografiche caratterizzate da specificità linguistiche, anche prevedendo forme di compensazione interregionale;

·         stabilisce che, ai fini del raggiungimento dell'accordo, lo schema di decreto sia trasmesso dal Ministero dell'istruzione e del merito alla Conferenza unificata entro il 15 aprile;

·         dispone che le Regioni, sulla base dei parametri individuati dal decreto di definizione dei criteri sopra indicati provvedono autonomamente al dimensionamento della rete scolastica entro il 30 novembre di ogni anno, nei limiti del contingente annuale individuato dal medesimo decreto;

·         attribuisce alle Regioni la facoltà, da esercitare con deliberazione motivata, di determinare un differimento temporale, non superiore a 30 giorni;

·         demanda infine agli Uffici scolastici regionali, sentite le Regioni, il compito di provvedere alla ripartizione del contingente dei dirigenti scolastici assegnato.

Il comma 5-quinquies disciplina la procedura per la determinazione del contingente organico dei dirigenti scolastici e dei direttori dei servizi generali e amministrativi e la sua distribuzione tra le Regioni nel caso di mancata adozione del relativo decreto entro la data del 31 maggio. In tal caso, il decreto del Ministro dell'istruzione e del merito di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze deve essere adottato entro il 30 giugno, sulla base di un coefficiente, indicato dal decreto medesimo, non inferiore a 900 e non superiore a 1000, e tenuto conto dei parametri, su base regionale, relativi al numero degli alunni iscritti nelle istituzioni scolastiche statali e dell'organico di diritto dell'anno scolastico di riferimento, integrato dal parametro della densità degli abitanti per chilometro quadrato ferma restando la necessità di salvaguardare le specificità derivanti dalle istituzioni presenti nei comuni montani, nelle piccole isole e nelle aree geografiche caratterizzate da specificità linguistiche nonché da un parametro perequativo, determinato in maniera da garantire a tutte le regioni, nell’anno scolastico 2024/2025, almeno il medesimo numero di istituzioni scolastiche, calcolato sulla base del parametro di cui al comma 5 (dell'articolo 19 del D.L. 98/2011, su cui si veda sopra) e comunque entro i limiti del contingente complessivo a livello nazionale individuato ai sensi del secondo periodo.

Al fine di garantire una riduzione graduale del numero delle istituzioni scolastiche per ciascuno degli a.s. considerati si applica, per i primi sette anni scolastici, un correttivo non superiore al 2 per cento, anche prevedendo forme di compensazione interregionale. Gli Uffici scolastici regionali, sentite le Regioni, provvedono alla ripartizione del contingente dei dirigenti scolastici assegnato.

Infine, in sede di prima applicazione, il comma 5-sexies prevede che:

·         per l'a.s. 2023/2024, restano ferme le disposizioni di cui ai commi 5, 5-bis e 5-ter con i parametri, in relazione ai quali si veda supra, indicati all'articolo 1, comma 978, della legge di bilancio per il 2020 (L. n. 178/2020);

·         per l'a.s. 2024/2025, il decreto che stabilisce i criteri per la definizione del contingente organico dei dirigenti scolastici e dei direttori dei servizi generali e amministrativi e la sua distribuzione tra le Regioni (adottato ai sensi del comma 5-quater ovvero del comma 5-quinquies), definisce un contingente organico, comunque, non superiore a quello determinato dall'applicazione dei commi 5 e 5-bis;

·         a decorrere dall'a.s. 2025/2026 il decreto di cui al comma 5-quater, ovvero di quello di cui al comma 5-quinquies, definisce un contingente organico, comunque, non superiore a quello determinato sulla base dei criteri definiti nell'anno scolastico precedente. Eventuali situazioni di esubero trovano compensazione nell'ambito della definizione del contingente.

 

 

Il comma 3, introdotto dal Senato, modifica il comma 1 dell'articolo 10-bis del D.L. n. 123/2023 (L. n. 159/2023), il quale ha introdotto, a decorrere dall'a.s. 2024/2025, la possibilità di derogare – nei casi ivi espressamente previsti - al numero minimo di alunni per classe, nei limiti dell'organico dell'autonomia assegnato a livello regionale. In particolare, con la novella in esame, si elimina l’attuale limitazione territoriale per cui tale deroga è ammessa nelle istituzioni scolastiche ed educative del primo e del secondo ciclo di istruzione caratterizzate dalla presenza di alunni con fragilità negli apprendimenti solo se situate nelle regioni Abruzzo, Basilicata, Campania, Molise, Puglia, Calabria, Sardegna e Sicilia.

In secondo luogo, con la novella in questione la possibilità di derogare al numero minimo di alunni per classe viene ora riconosciuta anche con riferimento ai nuovi percorsi ordinamentali e ai percorsi sperimentali della scuola secondaria di secondo grado.

 

Si rammenta che l’art. 10-bis del D.L. n. 123/2023 (L. n. 159/2023) ha previsto al comma 1 che, a decorrere dall'anno scolastico 2024/2025, i dirigenti degli uffici scolastici regionali possono derogare al numero minimo di alunni per classe previsto dal DPR 20 marzo 2009, n. 81 nei limiti dell'organico dell'autonomia assegnato a livello regionale, con riferimento alle istituzioni scolastiche ed educative del primo e del secondo ciclo di istruzione (ossia dalla scuola primaria, ex scuola elementare, alla scuola secondaria di secondo grado):

- site nelle piccole isole, nei comuni montani, nelle aree geografiche abitate da minoranze linguistiche;

- nei contesti di disagio giovanile;

- caratterizzate dalla presenza di alunni con fragilità negli apprendimenti nelle regioni Abruzzo, Basilicata, Campania, Molise, Puglia, Calabria, Sardegna e Sicilia.

Si veda il dossier n. 173/1 del 30 ottobre 2023 per il commento a tale disposizione.

 

In relazione ai nuovi percorsi ordinamentali e ai percorsi sperimentali della scuola secondaria di secondo grado si rammenta che l’art. 11 del DPR n. 275/1999 prevede in via generale la possibilità di promuovere progetti in ambito nazionale, regionale e locale, volti a esplorare possibili innovazioni riguardanti gli ordinamenti degli studi, la loro articolazione e durata, l'integrazione fra sistemi formativi, i processi di continuità e orientamento.

L’articolo 18, comma 1, della L. n. 206/2023 ha quindi disposto l’istituzione del percorso liceale del made in Italy, prevedendone l’inserimento nell'articolazione del sistema dei licei. Si veda il comunicato del 18 febbraio 2024 sul sito del Ministero dell’istruzione e del merito per quanto riguarda il numero totale degli iscritti a tale percorso per l’a.s. 2024/2025.

 

Il comma 3 in esame modifica quindi, alla lettera b), la rubrica dell'articolo 10-bis del D.L. n. 123/2023 (L. n. 159/2023) eliminandovi il riferimento alle istituzioni scolastiche «del Mezzogiorno - “Agenda Sud”».

 

Il decreto ministeriale n. 176 del 30 agosto 2023 in materia di “Agenda Sud” ha autorizzato la spesa di un totale di 265,6 milioni di euro in favore di scuole statali primarie, secondarie di primo e di secondo grado delle regioni del Mezzogiorno, al fine di contrastare la dispersione scolastica e ridurre i divari territoriali e negli apprendimenti. Le risorse stanziate provengono dalla M4C1 - Investimento 1.4 del PNRR, e dai programmi dedicati all’istruzione nell’ambito della politica di coesione, ovvero il Programma operativo nazionale “Per la scuola” 2014-2020 e il Programma nazionale “PN Scuola e competenze 2021-2027.

Per un approfondimento sull’investimento 1.4 "Intervento straordinario finalizzato alla riduzione dei divari territoriali nella scuola secondaria di primo e secondo grado e alla lotta alla dispersione scolastica" di cui alla Missione 4 - Componente 1 - del PNRR e sul suo stato di attuazione, si rimanda alla sezione del Portale della documentazione relativa all’istruzione nel Piano nazionale di ripresa e resilienza e, in particolare, al relativo allegato “Investimenti”.

 

Il comma 4 stabilisce che con decreto del Ministro dell'istruzione e del merito, di concerto con il Ministro per gli affari regionali e le autonomie, è previsto un punteggio aggiuntivo ai fini delle graduatorie provinciali di supplenza a favore dei docenti con rapporto di lavoro a tempo indeterminato e determinato che abbiano effettivamente prestato servizio nelle scuole di montagna di ogni ordine e grado individuate nel medesimo decreto, sulla base dell'elenco o degli elenchi, di cui all'articolo 2, comma 2, terzo periodo, dei comuni montani destinatari delle misure di sostegno contenute nel disegno di legge in esame – una modifica apportata dal Senato ha sostituito, nei termini predetti, l’originaria locuzione "dell'elenco" - per almeno 180 giorni nel corso dell'anno scolastico, di cui almeno 120 per le attività didattiche e un ulteriore punteggio aggiuntivo per i medesimi docenti che hanno prestato servizio nelle pluriclassi delle scuole primarie ubicate nei comuni classificati montani individuate ai sensi del decreto di cui al presente comma. In sede di contrattazione collettiva nazionale è determinato un punteggio aggiuntivo ai fini delle procedure di mobilità a favore dei docenti che siano in possesso dei requisiti di cui al primo periodo.

 

Secondo la sentenza n. 11 del 2007 della Corte costituzionale (su cui si veda più avanti), il così detto insegnamento pluriclasse è il servizio consistente nel contemporaneo insegnamento ad alunni della scuola primaria appartenenti a classi diverse (punto 4).

L’incremento del punteggio per i docenti che prestino servizio nelle scuole di montagna è un meccanismo premiale non nuovo nell’ordinamento.

La disciplina in vigore per circa un cinquantennio (1957-2004) prevedeva che la “speciale valutazione del servizio prestato in scuole di montagna” fosse attribuita, ai sensi dell'art. 3, comma 2, della legge n. 90 del 1957, in ragione del particolare servizio reso dai docenti negli istituti situati nelle zone di montagna (nonché nelle piccole isole e negli istituti penitenziari); servizio consistente nel contemporaneo insegnamento ad alunni della scuola primaria appartenenti a classi diverse (così detto insegnamento pluriclasse), in comuni individuati secondo criteri combinati (altimetrico, territoriale, reddituale) fissati dall'art. 1 della legge 25 luglio 1952, n. 991 (Provvedimenti in favore dei territori montani), richiamato dall'art. 1 della suddetta legge n. 90 del 1957.

In anni più recenti, l’art. 1, comma 1, del decreto-legge n. 97 del 2004, ha previsto che «a decorrere dall'anno scolastico 2004-2005 le graduatorie permanenti di cui all'articolo 401 del testo unico delle disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione, relative alle scuole di ogni ordine e grado, approvato con decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297, e successive modificazioni, […], sono rideterminate, limitatamente all'ultimo scaglione previsto dall'articolo 1, comma 1, lettera b), del decreto-legge 3 luglio 2001, n. 255, convertito, con modificazioni, dalla legge 20 agosto 2001, n.  333, in base alla Tabella allegata al presente decreto». Quest’ultima, al punto B.3, lettera h), prevede che il servizio prestato nelle scuole di ogni ordine e grado situate nei comuni di montagna di cui alla legge n. 90 del 1957, nelle isole minori e negli istituti penitenziari è valutato in misura doppia. Si intendono quali scuole di montagna quelle di cui almeno una sede è collocata in località situata sopra i 600 metri dal livello del mare. Con una norma d’interpretazione autentica, per più versi, nella sostanza, di portata innovativa, il legislatore è poi intervenuto con l’art. 8-nonies del decreto-legge 136 del 2004, stabilendo che il raddoppio del punteggio viene attribuito al servizio prestato esclusivamente nella sede scolastica, ubicata in Comune classificato come di montagna, situata al di sopra dei seicento metri (e non anche a quello prestato in altre sedi diverse della stessa scuola) e a partire dall'anno scolastico 2003-2004-

Successivamente, l’art. 1, comma 605, lett. c), della legge n. 296 del 2006 (finanziaria 2007) ha abrogato, con decorrenza dal 1° settembre 2007, la disposizione di cui al punto B.3, lettera h) della tabella, facendo comunque salva la valutazione in misura doppia dei servizi prestati anteriormente alla predetta data.

Rispetto a tale scenario, è intervenuta la sentenza n. 11 del 2007 della Corte costituzionale, che ha dichiarato l’illegittimità della doppia valutazione del servizio prestato nelle scuole di montagna, prevista al punto B.3, lettera h), della tabella di valutazione di cui sopra, a eccezione dei servizi svolti nelle pluriclassi delle scuole primarie dei Comuni di montagna.

A fondamento della pronuncia, la Corte evidenzia come «il riconoscimento del meccanismo premiale sulla base del solo criterio altimetrico contrasta con gli artt. 3 e 97 Cost. Questa Corte ha già ritenuto inidoneo il solo criterio altimetrico, definito come «casuale», per l'attribuzione di benefici (sentenze n. 370 del 1985 e n. 254 del 1989). Anche nel caso in esame, tale criterio non basta per differenziare la posizione di chi insegna in scuole di montagna rispetto alla generalità degli insegnanti: il mero dato orografico non è in grado, se non ancorato alle condizioni dell'insegnamento, di fondare un diverso criterio di valutazione dei titoli di servizio». Risulta invece «idoneo criterio di differenziazione per l'attribuzione del doppio punteggio il servizio prestato nelle scuole elementari pluriclasse […] In effetti, nell'ordinamento esiste già una legislazione di favore per le sole scuole elementari di montagna (legge n. 90 del 1957), consolidata nel tempo (dal 1957 al 2004), secondo la quale la differenziazione rispetto a tutti gli altri insegnanti trova fondamento nell'insegnamento in scuole pluriclassi, quindi nell'effettiva gravosità dell'impegno didattico richiesto, consistente nel contemporaneo insegnamento ad alunni della scuola primaria appartenenti a classi diverse».

Occorre segnalare, per completezza, alcune clausole contenute nei CCNL, relative al punteggio aggiuntivo corrisposto ai docenti per il servizio svolto nelle scuole di montagna. Il «Contratto Collettivo Nazionale Integrativo concernente la mobilità del personale docente, educativo ed A.T.A. per gli anni scolastici relativi al triennio 2019/20, 2020/21, 2021/22, sottoscritto il giorno 6/3/2019 in Roma», prevede, nella Nota (1), che, «relativamente ai docenti delle scuole primarie, per ogni anno di insegnamento nelle scuola di montagna ai sensi della legge 1/3/1957, n. 90, il punteggio è raddoppiato. Per l'attribuzione del punteggio si prescinde dal requisito della residenza in sede». Da ultimo, il Contratto nazionale integrativo per gli anni scolastici relativi al triennio 2022/23, 2023/24, 2024/25, sottoscritto il giorno 18/05/2022, ha confermato tale previsione.

 

Il comma 10, infine, reca la clausola di invarianza finanziaria, prevedendo che dall'attuazione dei suddetti commi 1, 2 e 4 non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. Le amministrazioni interessate provvedono agli adempimenti ivi previsti con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.


 

Articolo 7, commi 5-9
(Credito d’imposta dipendenti scuole di montagna)

 

 

L’articolo 7, commi da 5 a 9, riconosce un credito d’imposta, in misura pari al minor importo tra il 60 per cento del canone annuo di locazione dell’immobile e l’ammontare di 2.500 euro, a favore di coloro che prestano servizio in scuole di montagna e prendono in locazione un immobile ad uso abitativo per fini di servizio. Il beneficio è concesso anche a coloro che ai medesimi scopi acquistano un immobile ad uso abitativo con accensione di finanziamento ipotecario o fondiario; in tale caso, il credito d’imposta spetta in misura pari al minor importo tra il 60 per cento dell’ammontare annuale del finanziamento e l’importo di 2.500 euro.

Inoltre, al comma 7 viene riconosciuto ai comuni montani in cui insista una delle minoranze linguistiche storiche un credito d’imposta in misura pari al minor importo tra il 75 per cento del canone annuo di locazione o dell'ammontare annuale del finanziamento e l'importo di euro 3.500.

 

Più in dettaglio il comma 5, all’esplicito scopo di contenere l’impegno finanziario connesso al trasferimento in un comune montano in cui ha sede la scuola di montagna, concede a coloro che prestano servizio nelle scuole di montagna e prendono in locazione un immobile ad uso abitativo per fini di servizio un credito di imposta annuale. In particolare la norma dispone che al fine di contenere l'impegno finanziario connesso al trasferimento in uno dei comuni di cui all'articolo 2, comma 2 (alla cui scheda di lettura si rinvia), ove ha sede la scuola di montagna, a decorrere dal 2025, al personale scolastico che presta servizio nelle scuole di montagna di ogni ordine e grado e prende in locazione un immobile ad uso abitativo per fini di servizio in uno dei comuni di cui all’articolo 2, comma 2, o in un comune limitrofo, è concesso annualmente, nei limiti delle risorse disponibili (di cui al comma 8 dell’articolo in commento), un contributo sotto forma di credito d'imposta in misura pari al minor importo tra il 60 per cento del canone annuo di locazione dell'immobile e l'ammontare di euro 2.500.

 

Il comma 6 estende il credito d’imposta anche a coloro che per i fini di servizio ivi indicati, acquistano nel medesimo comune o in un comune limitrofo un immobile ad uso abitativo con accensione di un finanziamento ipotecario o fondiario, comunque denominato, e spetta annualmente, a decorrere dal 2025, nei limiti delle risorse disponibili (di cui al comma 8 dell’articolo in commento), in misura pari al minor importo tra il 60 per cento dell'ammontare annuale del finanziamento e l'importo di euro 2.500.

 

Il comma 7, introdotto dal Senato, determina criteri diversi per il calcolo del credito d’imposta in esame, aumentandone i parametri di calcolo, a favore dei comuni montani in cui insista una delle minoranze linguistiche storiche di cui alla legge 15 dicembre 1999, n. 482.

 

Si ricorda che l’articolo 2 della legge suddetta prevede che in attuazione dell'articolo 6 della Costituzione e in armonia con i princìpi generali stabiliti dagli organismi europei e internazionali, la Repubblica tutela la lingua e la cultura delle popolazioni albanesi, catalane, germaniche, greche, slovene e croate e di quelle parlanti il francese, il franco-provenzale, il friulano, il ladino, l'occitano e il sardo.

 

Nello specifico si stabilisce che il credito d'imposta di cui ai commi 5 e 6 è riconosciuto in misura pari al minor importo tra il 75 per cento del canone annuo di locazione o dell'ammontare annuale del finanziamento e l'importo di euro 3.500, nei casi in cui nei territori dei comuni montani di cui all'articolo 2, comma 2, con popolazione non superiore a 5.000 abitanti, insista una delle minoranze linguistiche storiche di cui alla legge 15 dicembre 1999, n. 482, e i cui appartenenti rappresentino almeno il 15 per cento dei residenti.

 

Il comma 8 stabilisce le caratteristiche del credito di imposta prevedendo che sia utilizzabile esclusivamente in dichiarazione dei redditi. Esso viene concesso nel limite di 20 milioni di euro annui, a decorrere dal 2025, e non è cumulabile con:

§  la detrazione Irpef, spettante ai sensi dell’articolo 23 del provvedimento in esame pari a una quota degli interessi passivi sui mutui contratti per l’acquisto della “prima casa” nei comuni di montagna (si veda la scheda di lettura dell’articolo 23 per ulteriori informazioni);

§  la detrazione Irpef del 19 per cento degli interessi passivi sui mutui per l'acquisto della “prima casa”, disposta, in linea generale, dall’articolo 15, comma 1, lettera b) del TUIR – Testo unico delle imposte sui redditi, decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917;

§  la detrazione Irpef spettante sui canoni di locazione di cui all’articolo16 del TUIR.

Al relativo onere si provvede ai sensi dell’articolo 30 della presente legge.

 

Il comma 9 affida a un decreto del Ministro dell’istruzione e del merito, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e del Ministro per gli affari regionali e le autonomie, da adottare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, il compito di definire:

§  i criteri, ivi inclusi quelli per l’individuazione dei comuni limitrofi, e le modalità di concessione del credito d'imposta di cui ai commi 5, 6 e 7, anche ai fini del rispetto del limite di spesa previsto;

§  le disposizioni relative ai controlli e al recupero del beneficio indebitamente fruito.


 

Articolo 8
(Interventi per i tribunali siti in aree montane)

 

 

L’articolo 8, introdotto nel corso dell’esame in Senato, consente al Ministero della giustizia di provvedere anche attraverso procedure di mobilità volontaria alla copertura delle piante organiche dei tribunali siti nelle zone montane disagiate con una carenza di organico pari ad almeno il trenta per cento.

 

La disposizione, introdotta nel corso dell’esame in Senato, prevede che il Ministero della giustizia - nell'ambito delle facoltà assunzionali disponibili a legislazione vigente - possa provvedere alla copertura delle piante organiche dei tribunali siti nelle zone montane disagiate con una carenza di organico pari ad almeno il trenta per cento, anche attraverso procedure di mobilità volontaria tra personale dipendente delle amministrazioni pubbliche (di cui all'articolo 1, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165). In questi casi si precisa che non è richiesto il nulla osta dell'amministrazione di provenienza.

 

La legge di bilancio 2020 (art. 1, commi 432-434, della legge n. 160 del 2019) ha inserito nella legge n. 48 del 2001 (agli articoli da 4 a 8) disposizioni volte a prevedere:

- la determinazione di un contingente complessivo nazionale di magistrati delle piante organiche flessibili distrettuali;

- la determinazione delle piante organiche flessibili per ciascun distretto di corte d'appello.

I magistrati della pianta organica flessibile distrettuale saranno destinati alla sostituzione dei magistrati assenti, ovvero alla assegnazione agli uffici giudiziari del distretto che versino in condizioni critiche di rendimento; una sorta di task force da aggiungere alla dotazione ordinaria di magistrati.

Tanto alla individuazione del contingente nazionale di magistrati, quanto di quelli distrettuali, si provvede con decreto del Ministro della Giustizia, da adottarsi, sentito il Consiglio Superiore.

Una volta individuata la pianta organica flessibile distrettuale, i magistrati potranno essere destinati ai singoli uffici giudiziari:

A supporto ed in aggiunta agli organici esistenti è stata, quindi, prevista a livello distrettuale una dotazione aggiuntiva per rispondere alle peculiari esigenze in tema di smaltimento dell’arretrato e per far fronte ad eventi di carattere eccezionale.

Nello specifico, il d.m. 27 dicembre 2021 ha individuato le condizioni critiche di rendimento che danno luogo all’assegnazione dei magistrati della pianta organica flessibile distrettuale, la durata minima dell’assegnazione ed i criteri di priorità nei casi di sostituzione o assegnazione, mentre il d.m. 23 marzo 2022, come modificato dal d.m. 22 novembre 2023, ha determinato il contingente nazionale destinato alle nuove funzioni in 176 unità complessive distinte in 123 con funzioni giudicanti e 53 con funzioni requirenti – e i contingenti destinati ai singoli distretti.


 

Articolo 9
(Disposizioni in materia di formazione superiore
nelle zone montane)

 

 

L’articolo 9, modificato nel corso dell’esame al Senato, prevede, al comma 1, che le università e le istituzioni AFAM aventi sede nei territori dei comuni montani possano stipulare accordi di programma con il Ministero dell’università e della ricerca, al fine di promuovere le attività di formazione e di ricerca nei settori strategici per lo sviluppo delle aree montane. Il comma 2 prevede una clausola di invarianza degli oneri derivanti da quanto sopra. Ai sensi del comma 3, può essere autorizzata l’erogazione di finanziamenti dedicati alle istituzioni universitarie e AFAM aventi sede nei territori dei comuni montani, in ragione della specificità delle realtà territoriali interessate, per la realizzazione di interventi per alloggi e residenze per studenti universitari. Il comma 4, poi, prevede che le università di cui al comma 1 possano attivare in favore degli studenti iscritti ai corsi di studio erogati, anche parzialmente, nei territori dei comuni montani forme di insegnamento alternative, anche attraverso le piattaforme digitali per la didattica a distanza. Il comma 5, introdotto al Senato, prevede che le suddette università promuovano un programma di partenariato per l'innovazione con gli operatori privati con l'obiettivo di costruire rapporti fra ricerca e imprese ed incoraggiare le applicazioni pratiche della intelligenza artificiale in settori quali quelli delle tecnologie per l'agricoltura o della produzione industriale manifatturiera. Il comma 6, integrato nel corso dell’esame al Senato, prevede che una quota del Fondo per lo sviluppo delle montagne italiane possa essere destinata all’erogazione di borse di studio a favore degli studenti iscritti ai corsi di studio accreditati nei territori dei comuni montani, con particolare attenzione a coloro che sono privi di mezzi economici sufficienti per proseguire gli studi.

 

Nel dettaglio, il comma 1 prevede che le università e le istituzioni dell’alta formazione artistica, musicale e coreutica aventi sede nei territori dei comuni montani (ossia quelli individuati con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, secondo la procedura indicata nell’articolo 2, comma 1, del presente disegno di legge, alla cui scheda di lettura si rinvia), ovvero quelle i cui corsi di studio sono accreditati nei medesimi comuni, possano stipulare uno o più accordi di programma con il Ministero dell’università e della ricerca, al fine di promuovere le attività di formazione e di ricerca nei settori strategici per lo sviluppo delle aree montane e per la valorizzazione della specificità dei relativi territori.

Ai sensi del comma 2, dall’attuazione di quanto sopra non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. Le suddette istituzioni provvedono agli adempimenti ivi previsti con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.

Il comma 3 prevede che, con il decreto del Ministro dell’università e della ricerca di cui all’articolo 1, comma 3, della legge n. 338 del 2000, in materia di alloggi e residenze per studenti universitari, possa essere autorizzata l’erogazione di finanziamenti dedicati alle istituzioni universitarie e AFAM aventi sede nei territori dei comuni montani ovvero quelle i cui corsi di studio sono accreditati nei medesimi comuni, in ragione della specificità delle realtà territoriali interessate, per la realizzazione degli interventi per alloggi e residenze per studenti universitari di cui all’articolo 1, comma 1, della medesima legge n. 338 del 2000.

 

Si ricorda che l’articolo 1 della citata legge n. 338 del 2000, prevede, al comma 1, che, per consentire il concorso dello Stato alla realizzazione di interventi necessari per l'abbattimento delle barriere architettoniche, per l'adeguamento alle vigenti disposizioni in materia di sicurezza e per la manutenzione straordinaria, il recupero e la ristrutturazione di immobili già esistenti, adibiti o da adibire ad alloggi o residenze per gli studenti universitari, nonché di interventi di nuova costruzione e acquisto di aree ed edifici da adibire alla medesima finalità da parte delle regioni, delle province autonome di Trento e di Bolzano, degli organismi regionali di gestione per il diritto allo studio universitario, delle università statali e di quelle legalmente riconosciute, dei collegi universitari, di consorzi universitari, di cooperative di studenti senza fini di lucro e di organizzazioni non lucrative di utilità sociale operanti nel settore del diritto allo studio, è autorizzata la spesa di (vecchie) lire 60 miliardi per ciascuno degli anni 2000, 2001 e 2002 (fondo integrato di 65 milioni di euro per il 2009 dall’articolo 3 del decreto-legge n. 180 del 2008). A decorrere dal 2003 l'ammontare della spesa è determinato dalla legge finanziaria (ora legge di bilancio). Gli interventi di cui sopra possono essere affidati, nel rispetto delle vigenti disposizioni in materia di lavori pubblici, a soggetti privati in concessione di costruzione e gestione o in concessione di servizi, o a società di capitali pubbliche o a società miste pubblico-private anche a prevalente capitale privato.

In relazione a quanto sopra, si rileva che il decreto di ripartizione in capitoli del bilancio dello Stato, per il periodo 2024-2026, riporta nel pertinente capitolo 7273 del MUR  denominato “Concorso dello Stato per interventi per alloggi e residenze per gli studenti universitari, di cui all’articolo 1, comma 1, della legge 14 novembre 2000, n. 338”, risorse, in conto competenza e in conto cassa, per circa 161 milioni di euro per il 2024, 177 milioni di euro per il 2025 e 139 milioni di euro per il 2026.

Ai sensi del comma 2 del medesimo articolo 1 della legge n. 388 del 2000 lo Stato cofinanzia gli interventi di cui al precedente comma 1 attraverso un contributo non superiore al 75 per cento del costo totale previsto da progetti esecutivi immediatamente realizzabili. Le regioni, le province autonome di Trento e di Bolzano, gli organismi regionali e gli altri soggetti che partecipano al finanziamento degli interventi non possono utilizzare per la relativa copertura finanziaria le risorse già stanziate negli esercizi precedenti al 2000. Le risorse derivanti dai finanziamenti statali per l'edilizia residenziale pubblica possono concorrere alla copertura finanziaria della quota a carico dei soggetti beneficiari in misura non superiore al sessanta per cento.

A mente del comma 3, poi, con decreto dell’attuale Ministro dell'università e della ricerca, sentite la Conferenza dei rettori delle università italiane e la Conferenza Stato-regioni sono definite le procedure e le modalità per la presentazione dei progetti e per l'erogazione dei relativi finanziamenti. Al fine di semplificare e rendere tempestivi ed efficaci la selezione e il monitoraggio degli interventi, le procedure sono effettuate esclusivamente con modalità digitali e attraverso la informatizzazione del processo edilizio e del progetto con l'esclusivo utilizzo di strumenti per la rappresentazione digitale del processo costruttivo. I progetti devono prevedere, a pena di inammissibilità, il numero dei posti letto attesi. Con decreto del Ministro dell'università e della ricerca sono individuati i progetti ammessi a finanziamento e sono assegnate le relative risorse, con conseguente individuazione ed assegnazione dei posti letto riferiti ai singoli progetti.

 

Ai sensi del comma 4 dell’articolo in commento, le università di cui al comma 1 possono attivare in favore degli studenti iscritti ai corsi di studio erogati, anche parzialmente, nei territori dei comuni montani forme di insegnamento alternative, anche attraverso le piattaforme digitali per la didattica a distanza, nel rispetto dei requisiti previsti in sede di autovalutazione, valutazione e accreditamento iniziale e periodico dei corsi di studio. Dall’attuazione del presente comma non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

 

Il comma 5, introdotto nel corso dell’esame al Senato, prevede che le suddette università promuovano un programma di partenariato per l'innovazione con gli operatori privati con l'obiettivo di costruire rapporti fra ricerca e imprese e incoraggiare le applicazioni pratiche dell’intelligenza artificiale in settori quali quelli delle tecnologie per l'agricoltura o della produzione industriale manifatturiera. Il programma di partenariato è basato su sponsorizzazioni e altre forme di liberalità.

 

Il comma 6, infine, prevede che una quota del Fondo per lo sviluppo delle montagne italiane di cui all’articolo 4 del presente disegno di legge può essere destinata all’erogazione di borse di studio a favore degli studenti iscritti ai corsi di studio accreditati nei territori dei comuni di cui sopra. Nel corso dell’esame al Senato si è specificato che la destinazione dei fondi all’erogazione di borse di studio deve essere effettuata con particolare attenzione a coloro che sono privi di mezzi economici sufficienti per proseguire gli studi.

Le predette risorse sono ripartite con decreto del Ministro per gli affari regionali e le autonomie, adottato secondo quanto previsto dall’articolo 1, comma 595 della legge n. 234 del 2021 (legge di bilancio 2022), nella parte in cui dispone relativamente alla quota destinata agli interventi di competenza statale e al finanziamento delle campagne istituzionali sui temi della montagna, sentito il Ministro dell’università e della ricerca.

 

Il Fondo per lo sviluppo delle montagne italiane è stato istituito dal comma 593 dell’articolo 1 della legge di bilancio 2022 nello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze, da trasferire al bilancio autonomo della Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento per gli affari regionali e le autonomie, al fine di promuovere e realizzare interventi per la salvaguardia e la valorizzazione della montagna, nonché misure di sostegno in favore dei comuni totalmente e parzialmente montani delle regioni e delle province autonome, ed in particolare allo scopo di finanziare:

a) interventi per la tutela e la promozione delle risorse ambientali dei territori montani;

b) interventi che diffondano e valorizzino, anche attraverso opportune sinergie, le migliori iniziative in materia di tutela e valorizzazione delle qualità ambientali e delle potenzialità endogene proprie dell'habitat montano;

c) attività di informazione e di comunicazione sui temi della montagna;

d) interventi di carattere socio-economico a favore delle popolazioni residenti nelle aree montane;

e) progetti finalizzati alla salvaguardia dell'ambiente e allo sviluppo delle attività agro-silvo-pastorali;

f) iniziative volte a ridurre i fenomeni di spopolamento.

Il comma 595 dell’articolo 1 della medesima legge di bilancio 2022 prevede che gli stanziamenti del Fondo per lo sviluppo delle montagne italiane sono ripartiti, quanto alla quota destinata agli interventi di competenza statale e al finanziamento delle campagne istituzionali sui temi della montagna, con decreto del Ministro per gli affari regionali e le autonomie; per gli interventi di competenza delle regioni e degli enti locali, con decreto del Ministro per gli affari regionali e le autonomie, d'intesa con la Conferenza unificata.

 

Si ricorda che sulle modalità di ripartizione del Fondo appena illustrato interviene l’articolo 4 del disegno di legge in esame, alla cui scheda di lettura si rinvia.


 

Articolo 10
(
Servizi di comunicazione)

 

 

L’articolo 10, comma 1, stabilisce che, al fine di garantire la continuità dei servizi di telefonia mobile e delle connessioni digitali, vengano previsti nei contratti di programma relativi alle concessioni della rete stradale e ferroviaria degli specifici interventi sulle infrastrutture di rispettiva competenza nei comuni montani.

Il comma 2, individua quali strumenti attraverso cui assicurare lo sviluppo socio-economico dei territori montani, la copertura dell’accesso alla rete internet in banda ultra-larga e il sostegno alla digitalizzazione della popolazione.

Il comma 3 prescrive che siano favorite forme di partenariato pubblico-privato, che comprendano, tra l’altro, anche gli enti locali e le start-up innovative ai fini del trasferimento tecnologico verso il tessuto produttivo locale.

L’ulteriore comma 4 prevede altresì il potenziamento dei servizi amministrativi resi dagli enti locali e dagli altri enti pubblici, compresa la telemedicina, da remoto.

 

L’articolo 10 è collocato nell’ambito del capo III del disegno di legge relativo alla materia dei servizi pubblici. Come si evince dalla Relazione illustrativa la previsione ha carattere programmatico ed è volta, “da un lato, a favorire lo sviluppo delle infrastrutture per la continuità dei servizi di telefonia mobile e delle connessioni digitali, nonché, dall’altro, a garantire l’accesso a internet, nonché il sostegno alla digitalizzazione della popolazione attraverso il contrasto del divario digitale e culturale, quali priorità per lo sviluppo socio-economico dei comuni montani”.

 

Nello specifico, al comma 1 (come modificato in sede referente), si stabilisce che i contratti di programma[16] relativi alle concessioni della rete stradale e ferroviaria nazionale prevedano interventi sulle infrastrutture di rispettiva competenza atti a garantire la continuità dei servizi di telefonia mobile e delle connessioni digitali nei comuni montani.

Tali interventi non possono essere analoghi a quelli già oggetto di finanziamento pubblico.

Ai sensi del secondo periodo del comma 1, aggiunto in virtù di un emendamento approvato in Commissione, condizioni e modalità di realizzazione, di manutenzione e gestione dei relativi impianti sono disciplinati da appositi accordi tra i soggetti concessionari delle strade e delle ferrovie nazionali, da un lato, e dai gestori delle infrastrutture di telefonia mobile e di connessione digitale, dall’altro, anche con riguardo alla definizione dei canoni concessori.

Gli oneri derivanti dagli interventi sono posti a carico dei gestori delle infrastrutture di telefonia mobile e di connessione digitale.

 

Il comma 2 individua nella copertura dell'accesso alla rete Internet in banda ultra-larga, e nel sostegno alla digitalizzazione della popolazione attraverso il contrasto del divario digitale e culturale, le priorità per sviluppo socio-economico dei territori montani, con specifico riguardo ai comuni soggetti a maggiore rischio di spopolamento, secondo le linee di sviluppo definite nell'ambito della strategia per la montagna italiana, in coerenza con la strategia nazionale italiana per la banda ultra-larga.

 

Sul punto si ricorda che nel maggio 2021, il Comitato interministeriale per la transizione digitale (CITD), ha individuato le azioni per il raggiungimento degli obiettivi posti dalla Commissione europea nell’ambito della Bussola digitale 2030. Le suddette azioni sono alla base della Strategia italiana per la banda ultra larga e, in linea con quanto stabilito a livello europeo, sono volte a garantire la copertura dell’intero territorio nazionale con la connettività a 1 Gbits (entro il 2026) e assicurare la connettività ad alta velocità per le famiglie. 

La Strategia si compone si 7 interventi: Piano aree bianche[17], Piano voucher, Piano Italia a 1 Giga, Piano Italia 5G, Piano Sanità connessa, Piano Scuole connesse, Piano Isole minori.

 

Le risorse per la realizzazione di questi interventi sono state stanziate per la maggior parte con il PNRR, che intesta la Missione 1 alla rivoluzione digitale, cui sono destinati più di 40 miliardi di euro. Altri finanziamenti sono imputabili al FSC e alle leggi di bilancio.

 

In sede referente sono, inoltre, approvati due emendamenti volti ad aggiungere commi finali all’articolo in commento.

Il nuovo comma 3 promuove forme di partenariato pubblico-privato tra enti locali, operatori privati, start-up e centri di ricerca che si impegnino nel processo di digitalizzazione delle zone montane e nel trasferimento tecnologico in favore del tessuto produttivo locale.

 

A sua volta il nuovo comma 4 prevede che la strategia di infrastrutturazione tecnologica e digitale dei territori montani sia orientata al potenziamento della digitalizzazione. In particolare la stessa può prevedere il rafforzamento dei servizi resi da remoto al cittadino e ai turisti dalle Amministrazioni ed Enti pubblici, ivi compresa la telemedicina, nonché implementazione di sportelli accessibili nei quali erogare il servizio in presenza.


 

Articolo 11
(Valorizzazione dei pascoli e dei boschi montani)

 

 

L’articolo 11 reca disposizioni in materia di adozione di linee guida volte all’individuazione, recupero, utilizzazione razionale e valorizzazione dei sistemi agro-silvo-pastorali montani, della promozione della certificazione delle foreste e della costituzione di forme associative tra i proprietari e gli affittuari interessati.

 

Nel dettaglio la disposizione in esame riconosce che le attività agricolo-forestali rappresentano un presidio ambientale, economico e sociale dei territori montani e che l'agricoltura di montagna e la forestazione sono finalizzate a garantire la gestione delle risorse ambientali, il sostegno delle filiere locali ed il reddito alle aziende e occupazione locale. La stessa disposizione prevede  che nei comuni montani di cui al precedente art. 2, comma 1, con decreto del Ministro dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste, sentiti il Ministro per gli affari regionali e le autonomie, il Ministro dell’ambiente e della sicurezza energetica, il Ministro della cultura, il Ministro della Salute (riferimento inserito nel corso dell’esame al Senato), il Ministro del turismo e il Ministro per la protezione civile e le politiche del mare, previa intesa in sede di Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, - entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore del presente provvedimento -, sono predisposte apposite linee guida al fine dell'individuazione, del recupero, dell'utilizzazione razionale e della valorizzazione dei sistemi agrosilvopastorali montani, della promozione della certificazione delle foreste e della loro conservazione, dell’utilizzo energetico e termico del legno e dell’impulso alla costituzione di forme associative tra i proprietari e gli affittuari interessati, in accordo a quanto disposto dal decreto legislativo 3 aprile 2018, n. 34Testo unico in materia di foreste e filiere forestali" (TUFF) e dal D.P.R. 8 settembre 1997, n. 357. Ciò allo scopo del mantenimento e della valorizzazione sostenibile dei pascoli e dei boschi montani e della biodiversità, della prevenzione del dissesto idrogeologico, della tutela del paesaggio e dello sviluppo dell’attività agricola e delle produzioni agroalimentari e forestali.

 

Il sopra citato D. Lgs. n. 34 del 2018 delinea l'assetto generale per garantire che le foreste possano svolgere molteplici funzioni, nel pieno rispetto del principio di sussidiarietà e delle competenze tra l'Unione europea, lo Stato e le regioni e può essere considerato la legge quadro nazionale per il settore forestale e le sue filiere.

L’art. 2, indica, tra le finalità del citato D. Lgs. n. 34 del 2018 anche lo sviluppo delle attività agro-silvo-pastorali attraverso la protezione e il razionale utilizzo del suolo e il recupero produttivo delle proprietà fondiarie frammentate e dei terreni abbandonati, sostenendo lo sviluppo di forme di gestione associata delle proprietà forestali pubbliche e private. Il successivo art. 3 contiene alcune importanti definizioni, tra le quali:

- prato o pascolo permanente: le superfici non comprese nell'avvicendamento delle colture dell'azienda da almeno cinque anni, in attualità di coltura per la coltivazione di erba e altre piante erbacee da foraggio, spontanee o coltivate, destinate ad essere sfalciate, affienate o insilate una o più volte nell'anno, o sulle quali è svolta attività agricola di mantenimento, o usate per il pascolo del bestiame, che possono comprendere altre specie, segnatamente arbustive o arboree, utilizzabili per il pascolo o che producano mangime animale, purché l'erba e le altre piante erbacee da foraggio restino predominanti [lettera i), comma 2];

- prato o pascolo arborato: le superfici in attualità di coltura con copertura arborea forestale inferiore al 20 per cento, impiegate principalmente per il pascolo del bestiame [lettera l), comma 2;

bosco da pascolo: le superfici a bosco destinate tradizionalmente anche a pascolo con superficie erbacea non predominante [lettera m), comma 2].

Inoltre, per le materie di competenza esclusiva dello Stato, sono assimilati a bosco, tra l’altro, le radure e tutte le altre superfici di estensione inferiore a 2.000 metri quadrati che interrompono la continuità del bosco, non riconosciute come prati o pascoli permanenti o come prati o pascoli arborati [lettera e), comma 2, articolo 4].

 

Si ricorda che il sopra citato DPR n. 357 del 1997, ha dato attuazione alla direttiva 92/43/Cee, sulla conservazione degli habitat naturali e seminaturali, nonché della flora e fauna selvatiche ai fini della salvaguardia della biodiversità mediante la conservazione degli habitat naturali elencati nell'allegato A e delle specie della flora e della fauna indicate agli allegati B, D ed E al suddetto regolamento.

 

Si fa presente che le foreste costituiscono un patrimonio naturale di ineguagliabile valore, in quanto sono ricche di biodiversità e sono estremamente importanti anche per la economia fornendo materie prime, posti di lavoro, cibo e acqua. Le foreste contribuiscono, inoltre, al raggiungimento di uno degli obiettivi del Green Deal di ridurre le emissioni di gas serra di almeno il 55% nel 2030, che sarà attuato dalle misure previste nel pacchetto "Pronti per il 55%" (Fit for 55).

In Italia, le norme fondamentali volte a garantire l'indirizzo unitario e il coordinamento nazionale in materia di foreste e di filiere forestali, nel rispetto degli impegni assunti a livello internazionale, sono contenute nel sopra citato decreto legislativo n. 34 del 2018 "Testo unico in materia di foreste e filiere forestali" (TUFF). A livello europeo, nel 2021 è stata adottata la Comunicazione della Commissione COM(2021) 572 final, che reca la "Nuova strategia dell'UE per le foreste per il 2030.

La Programmazione e pianificazione forestale è raccolta nella Strategia forestale nazionale (articolo 6 del TUFF) che definisce gli indirizzi nazionali per la tutela, la valorizzazione e la gestione attiva del patrimonio forestale nazionale e per lo sviluppo del settore e delle sue filiere produttive, ambientali e socio-culturali, ivi compresa la filiera pioppicola; essa ha una validità di venti anni ed è soggetta a revisione e aggiornamento quinquennale. Con il decreto n. 677064 del 23 dicembre 2021 è stata approvata la Strategia forestale nazionale.

Con riferimento alle misure di carattere economico adottate in materia si ricordano:

 

 

 

Si ricorda che con la legge di bilancio 2022 (legge n. 234 del 2021) è stato istituito presso l'allora MIPAAF, ora MASAF, il Fondo per la valorizzazione internazionale dei patrimoni culturali immateriali agro-alimentari e agro-silvo-pastorali, con una dotazione di 2 milioni di euro per il 2022 (art. 1, commi 857 e 858). In attuazione di tale disposizione è stato adottato il decreto dell'8 luglio 2022 recante "Criteri e modalità per la concessione di contributi per la valorizzazione internazionale delle tradizioni e delle pratiche agro-alimentari e agro-silvo-pastorali quali patrimoni immateriali dell'umanità dell'UNESCO".

Si segnala, inoltre, la recente istituzione del Sistema Informativo Forestale Nazionale (SINFor) finalizzato a raccogliere, armonizzare, sistematizzare e condividere  i dati e le informazioni statistiche e cartografiche oggi disponibili sul patrimonio forestale nazionale, sul settore e sulle sue filiere produttive, ambientali e socio-culturali. SINFor, in attuazione degli articoli 14 e 15 dal D. Lgs. n. 34 del 2018, e del Capitolo 6 (Monitoraggio e Valutazione della Strategia Forestale Nazionale), è frutto di una collaborazione tra il Ministero dell'agricoltura, sovranità alimentare e delle foreste e il Consiglio per la ricerca in agricoltura e l'analisi dell'economia agraria, e si pone l'obiettivo di porre le basi per migliorare, incrementare, coordinare e armonizzare le informazioni statistiche e cartografiche inerenti il patrimonio forestale nazionale e i settori produttivi ad esso collegati. Il sistema SINFor che si compone di due ambienti interconnessi di indagine - la Carta forestale nazionale ed il Database foreste - permetterà una sistematica e periodica raccolta di dati, sia quantitativi che qualitativi, in grado di soddisfare una serie di necessità conoscitive attraverso l'implementazione di specifici indicatori appositamente strutturati e consultabili.

 

Di recente, a livello europeo, è stata adottata la comunicazione della Commissione europea COM(2021) 572 final, che reca la "Nuova strategia dell'UE per le foreste per il 2030".In essa è dato rilievo all'importanza delle foreste e le altre superfici boschive - che coprono oltre il 43,5 % del territorio dell'UE - per la salute e il benessere di tutti i cittadini  europei.

Si rappresenta, infine, che il 29 luglio 2024 è stato pubblicato sulla G.U.U.E. il Regolamento 2024/1991 del Parlamento Europeo e del Consiglio sul ripristino della natura e che modifica il regolamento (UE) 2022/269.

Come si legge nel comunicato stampa, il Regolamento in materia di ripristino della natura  mira a garantire il ripristino degli ecosistemi degradati in tutti i Paesi dell'UE e a contribuire al raggiungimento degli obiettivi europei in materia di clima e biodiversità e migliorare la sicurezza alimentare.

Per conseguire gli obiettivi fissati dall'UE, entro il 2030 gli Stati membri dovranno ripristinare il buono stato di salute di almeno il 30% degli habitat contemplati dalla nuova legge (che vanno da foreste, praterie e zone umide a fiumi, laghi e coralli). Questa percentuale aumenterà poi al 60% entro il 2040 e al 90% entro il 2050. In linea con la posizione del Parlamento, fino al 2030 la priorità andrà accordata alle zone Natura 2000. I paesi dell'UE dovranno garantire che le zone ripristinate non tornino a deteriorarsi in modo significativo. Inoltre, dovranno adottare piani nazionali di ripristino che indichino nel dettaglio in che modo intendono raggiungere gli obiettivi .Per quanto concerne gli ecosistemi agricoli si prevede che per migliorare la biodiversità degli stessi, i paesi dell'UE dovranno registrare progressi in due di questi tre indicatori: indice delle farfalle comuni; percentuale di superficie agricola con elementi caratteristici del paesaggio con elevata diversità; stock di carbonio organico nei terreni minerali coltivati. Dovranno anche adottare misure per migliorare l'indice dell'avifauna comune, dato che gli uccelli sono un buon indicatore dello stato di salute generale della biodiversità.

  Nel corso della seduta del question time svoltosi alla Camera il 19 giugno scorso è stata presentata una interrogazione volta a conoscere gli obiettivi giuridicamente vincolanti sul ripristino della natura stabiliti dalla «Restoration law». In proposito il Ministro dell'Ambiente e della sicurezza energetica ha replicato che il Ministero da lui diretto predisporrà, entro i prossimi due anni, il primo Piano nazionale di ripristino, che conterrà  le azioni da intraprendere sino a giugno 2032.


 

Articolo 12
(Ecosistemi montani)

 

 

L’articolo 12, modificato nel corso dell’esame in Senato, è dedicato alla disciplina degli ecosistemi montani.

 

In particolare, l’articolo in questione, modificato nel corso dell’esame in Senato, riconosce le zone montane di cui al precedente articolo 2, come zone floro-faunistiche a sé, in quanto caratterizzate dalla consistente presenza della tipica flora e fauna montana, nel rispetto della normativa in materia di aree protette nazionali.

Viene inoltre attribuito allo Stato e alle regioni, nell'ambito delle rispettive competenze e nel rispetto della normativa europea in materia sulla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche, di cui alla direttiva 92/43/CEE, il compito di vigilare affinché le misure di valorizzazione dei predetti ecosistemi, in relazione ai grandi animali carnivori, non pregiudichino le finalità del disegno di legge in commento.

Con una modifica introdotta dal Senato, sempre in relazione alla conservazione degli habitat naturali della fauna selvatica, è definito annualmente, su base regionale o delle province autonome, il tasso massimo di prelievi tale per il  mantenimento, in uno stato di conservazione soddisfacente, della specie Canis lupus, attraverso l’emanazione di un decreto del Ministro dell'ambiente e della sicurezza energetica, di concerto con il Ministro dell'agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano. Il decreto è emanato entro il termine di sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge e, successivamente, entro il 31 marzo di ciascun anno.


 

Articolo 13
(Monitoraggio dei ghiacciai e bacini idrici)

 

 

L’articolo 13, modificato nel corso dell’esame al Senato, prevede la possibilità di destinare una quota del Fondo per lo sviluppo delle montagne italiane a interventi di carattere straordinario, da attuare da parte delle regioni, anche in coerenza con le misure previste dal decreto-legge “siccità” (D.L. 39/2023), per la prevenzione e la mitigazione degli effetti del cambiamento climatico e per far fronte alle criticità relative alla disponibilità di risorse idriche nelle zone montane.

 

Finalità, interventi e risorse ad essi destinate (comma 1, primo periodo)

Le finalità dell’articolo in esame, indicate nel primo periodo del comma 1, sono quelle di prevenire e mitigare gli effetti del cambiamento climatico e far fronte alle criticità relative alla disponibilità di risorse idriche nelle zone montane attraverso una serie di interventi da attuare da parte delle regioni.

Gli interventi vengono individuati:

·        nello svolgimento di attività di monitoraggio e studio del comportamento dei ghiacciai e dell’evoluzione nel tempo delle loro caratteristiche morfologiche;

·        nella realizzazione di casse di espansione, di vasche di laminazione e di bacini idrici, ai fini dell’attività agricola, della lotta agli incendi e dell’attività turistica, incluso l’innevamento artificiale.

Tale elenco è stato integrato, nel corso dell’esame al Senato, con l’aggiunta dei seguenti interventi:

·      svolgimento di attività di monitoraggio e studio della vegetazione dei sistemi agrosilvopastorali;

·      svolgimento di attività di manutenzione e valorizzazione di fonti e sorgenti non collegate alle reti idriche;

·      utilizzo idroelettrico come fonte energetica rinnovabile, con specifico riferimento al ruolo delle società cooperative storiche e delle comunità energetiche rinnovabili sui territori,

 

Per il perseguimento delle citate finalità viene previsto che una quota del Fondo per lo sviluppo delle montagne italiane (di cui all’articolo 4 della presente legge) può essere destinata a interventi di carattere straordinario, anche in coerenza con le misure previste dal D.L. 39/2023 (v. infra).

Si valuti l’opportunità di indicare il criterio da seguire in sede di riparto delle risorse del Fondo in questione.

Riparto delle risorse (comma 1, secondo periodo)

Le risorse individuate dal primo periodo sono ripartite con apposito decreto ministeriale, sulla base delle priorità individuate in seguito ad apposite richieste delle regioni che tengono conto della propria normativa di sostegno e valorizzazione delle zone montane.

Sono inoltre disciplinate le modalità di adozione del decreto ministeriale di riparto, prevedendo che lo stesso sia adottato dal Ministro per gli affari regionali e le autonomie, di concerto con il Ministro dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste, il Ministro dell’ambiente e della sicurezza energetica, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti e il Ministro del turismo, previa intesa in sede di Conferenza unificata.

Si valuti l’opportunità di inserire un termine temporale per l’emanazione di tale decreto.

 

 

Ai fini del contrasto della scarsità idrica nonché del potenziamento e dell'adeguamento delle infrastrutture idriche, è stato emanato il D.L. 39/2023.

Tra le principali disposizioni recate dal decreto-legge si ricordano, in particolare:

- l'istituzione, presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, di una Cabina di regia per la crisi idrica, presieduta dal Presidente del Consiglio dei ministri, con funzioni di indirizzo, coordinamento e monitoraggio per il contenimento e il contrasto della crisi idrica. Alla cabina di regia sono attribuiti, tra gli altri compiti, l'effettuazione di una ricognizione delle opere e degli interventi di urgente realizzazione per far fronte nel breve termine alla crisi idrica (art. 1), nonché, in caso di inerzia, ritardo o difformità nella progettazione ed esecuzione degli interventi, poteri sostitutivi (art. 2).

- l'articolo 3, che disciplina la nomina e i compiti del Commissario straordinario nazionale per l'adozione di interventi urgenti connessi al fenomeno della scarsità idrica. Restano fermi, fino al completamento degli interventi, i compiti e le funzioni attribuiti ai precedenti commissari straordinari. In attuazione di tali disposizioni, con il D.P.C.M. 4 maggio 2023 l'incarico commissariale è stato attribuito a Nicola Dell'Acqua.

Tra le altre disposizioni del D.L. 39/2023 si ricordano l'art. 4, che dispone alcune semplificazioni procedurali, e l'art. 4-bis, che reca misure per garantire la continuità della produzione di energia elettrica durante lo stato di emergenza in relazione al deficit idrico, derogando ai limiti relativi alla temperatura degli scarichi termici. L'art. 5 prevede che il commissario straordinario, di intesa con la Regione territorialmente competente, provveda alla regolazione dei volumi degli invasi. L'art. 6 riguarda la realizzazione delle vasche di acque piovane per uso agricolo. L'art. 7 prevede che il riutilizzo a scopi irrigui in agricoltura delle acque reflue depurate prodotte dagli impianti di depurazione già in esercizio è autorizzato non oltre il 31 dicembre 2024 (in virtù della proroga disposta dall'art. 12, comma 5, del D.L. 215/2023) dalla regione o dalla provincia autonoma territorialmente competente. L'art. 7-bis consente la rimodulazione delle sperimentazioni sul deflusso ecologico dei corpi idrici. L'art. 11 inserisce tra gli organi dell'Autorità di bacino distrettuale l'Osservatorio distrettuale permanente sugli utilizzi idrici, con compiti di supporto per il governo integrato delle risorse idriche e di raccolta, aggiornamento e diffusione dei dati. L'art. 13 prevede l'adozione di un piano di comunicazione, volto ad assicurare un'adeguata informazione del pubblico sulla persistente situazione di crisi idrica in atto nel territorio nazionale e sulle gravi ripercussioni che tale fenomeno potrebbe determinare sul tessuto economico e sociale, nonché a garantire ai cittadini e agli operatori di settore le informazioni necessarie sul corretto utilizzo dell'acqua.

Informazioni sugli interventi di urgente realizzazione per fronteggiare la crisi idrica e sui relativi stanziamenti sono state fornite in risposta all’interrogazione 3-00960, nel corso della seduta dell'Assemblea del Senato del 15 febbraio 2024, nonché nella risposta all’interrogazione 5/02069, resa nella seduta della Commissione VIII (Ambiente) della Camera del 28 febbraio 2024. Ulteriori informazioni sono disponibili nelle relazioni depositate dal Commissario straordinario nel corso dell’audizione del 12 marzo 2024 e dell’audizione del 17 luglio 2024 presso la Commissione VIII (Ambiente) della Camera.

Nelle conclusioni del documento consegnato nel corso di tale ultima audizione, sono ricordate le disposizioni contenute nell’art. 11 del D.L. 63/2024 che ha operato una serie di modifiche al decreto-legge 39/2023. In particolare si ricorda la riscrittura del comma 5 dell’art. 1 del D.L. 39/2023 e l’inserimento di due nuovi allegati (nn. 1 e 2) che individuano interventi di urgente realizzazione a cui il nuovo testo del citato comma 5 destina risorse complessivamente pari a 102,03 milioni di euro.

Nelle medesime conclusioni viene evidenziato che il Commissario ha individuato 127 interventi, definiti prioritari, per un importo complessivo di 3,7 miliardi di euro e viene presentata una tabella (di seguito riprodotta) che "rappresenta il quadro di unione di tutti gli interventi ovvero il piano del Commissario".

 

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Articolo 14
(Modifiche al decreto legislativo 3 aprile 2018, n. 34)

 

 

L’articolo 14, inserito dal Senato, modifica il Testo unico in materia di foreste e filiere forestali inserendovi, all’articolo 3, la definizione di “cantieri temporanei forestali o di utilizzazione boschiva” e, mediante il nuovo articolo 10-bis, la relativa disciplina. In particolare, nei cantieri forestali temporanei le imprese forestali eseguono le attività di gestione forestale sostenibile e a questa attività segue un certificato di regolare esecuzione dei lavori, prodotto da un tecnico abilitato dotato di professionalità idonea alla progettazione e pianificazione forestali. Con norme di rango secondario devono essere stabilite disposizioni specifiche per i cantieri temporanei forestali con riferimento a: i lavori di modesta entità, da esentare dalla certificazione di regolare esecuzione, il rispetto delle disposizioni in materia di salute e sicurezza dei lavoratori e relative responsabilità, il rispetto del Testo unico dell’ambiente in ragione alla temporaneità dei cantieri e allo specifico contesto in cui si attuano le attività.

 

L’articolo 14, inserito nel corso dell’esame al Senato, reca modifiche al Testo unico in materia di foreste e filiere forestali di cui al decreto legislativo n. 34 del 2018.

 

In primo luogo, viene inserita fra le definizioni disposte dall’articolo 3 quella di “cantieri temporanei forestali o di utilizzazione boschiva” (nuova lettera s-ter) del comma 2). Si tratta di luoghi in cui vengono effettuati lavori di taglio, esbosco o allestimento a cura di un’impresa forestale, compresi trasbordo o trasporto, scortecciatura o cippatura di massa legnosa arborea o arbustiva, manutenzione ordinaria della viabilità forestale a servizio del medesimo, purché svolte funzionalmente, congiuntamente o sequenzialmente alle lavorazioni predette. Non rientrano invece nella definizione gli interventi di cura del verde urbano e residenziale, e di potatura, cura e manutenzione di frutteti.

La lettera q) del medesimo articolo 3, comma 2, reca la definizione di impresa forestale: impresa iscritta nel Registro delle imprese (di cui all'articolo 8 della legge n. 580 del 1993), che esercita prevalentemente attività di gestione forestale, fornendo anche servizi in ambito forestale e ambientale e che risulta iscritta negli elenchi o negli albi delle imprese forestali regionali di cui all'articolo 10, comma 2 del Testo unico in materia di foreste e filiere forestali.

La lettera b) del medesimo articolo definisce l’attività di gestione forestale sostenibile o gestione attiva come l’insieme delle azioni selvicolturali volte a valorizzare la molteplicità delle funzioni del bosco, a garantire la produzione sostenibile di beni e servizi ecosistemici, nonché una gestione e uso delle foreste e dei terreni forestali nelle forme e ad un tasso di utilizzo che consenta di mantenere la loro biodiversità, produttività, rinnovazione, vitalità e potenzialità di adempiere, ora e in futuro, a rilevanti funzioni ecologiche, economiche e sociali a livello locale, nazionale e globale, senza comportare danni ad altri ecosistemi.

 

In secondo luogo, l’articolo in argomento inserisce nel Testo unico, dopo l’articolo 10, che disciplina la promozione e l’esercizio delle attività selvicolturali di gestione, il nuovo articolo 10-bis recante disposizioni per i cantieri forestali temporanei.

Il comma 1 del nuovo articolo stabilisce che, nei cantieri forestali temporanei, le imprese forestali eseguono le attività di gestione forestale sostenibile. A questa attività segue un certificato di regolare esecuzione dei lavori, prodotto da un tecnico abilitato dotato di professionalità idonea alla progettazione e pianificazione forestali. A tali previsioni, il successivo comma 2 impone che le regioni di adeguino le proprie disposizioni normative, definendo i lavori di modesta entità, da esentare dalla certificazione di regolare esecuzione, secondo quanto previsto da apposite linee guida nazionali definite dal Ministero dell'agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste (MASAF), di concerto con il Ministero dell'ambiente e della sicurezza energetica (MASE), previa intesa in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, entro 180 giorni dall'entrata in vigore della disposizione in esame. Il comma 3 e il comma 4 stabiliscono che, entro il medesimo termine vengano stabilite disposizioni specifiche per i cantieri temporanei forestali:

·        nel rispetto delle disposizioni in materia di salute e sicurezza dei lavoratori e relative responsabilità, di cui al decreto legislativo n. 81 del 2008, con decreto del Ministro dell'agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste, di concerto con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, previa intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano;

·        in coerenza con le disposizioni del Testo unico dell’ambiente di cui al decreto legislativo n. 152 del 2006, adatte alla temporaneità dei cantieri e allo specifico contesto in cui si attuano le attività, con decreto del Ministro dell'agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste, di concerto con il Ministro dell'ambiente e della sicurezza energetica e previa intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano.


 

Articolo 15
(Modifiche all’art. 7 della legge n. 10 del 2013 in materia
di alberi e boschi monumentali d’Italia)

 

 

L’articolo 15 reca disposizioni volte a riformare l’art. 7 della L. n. 10 del 2013, definendo le nozioni di albero monumentale e di boschi monumentali. Per entrambi, la norma dispone le modalità di tutela, tra l’altro mediante il loro censimento e l’inserimento in appositi elenchi di gestione del MASAF. Si specifica, inoltre, che lo Stato, le regioni e le province autonome, nelle aree demaniali a loro affidate, sentito l'ente gestore dell'area medesima, provvedono direttamente al censimento di alberi e di gruppi di alberi, per inserirli negli elenchi menzionati. Ad ulteriore tutela, sono previsti obblighi di pubblicità in materia e specifici poteri sostitutivi della regione nei confronti del comune e del MASAF rispetto alla regione inerte.

È approntato anche un sistema sanzionatorio, ancorché fondato su illeciti di tipo amministrativo, con previsione di apposite sanzioni pecuniarie. La normativa fa salve le disposizioni in materia di tutela di beni culturali e paesaggistici di cui al D. Lgs. n. 42 del 2004.

 

Nel dettaglio, la disposizione in commento apporta numerose modifiche all’art. 7 della L. n. 10 del 2013, in materia di tutela e salvaguardia di alberi e boschi monumentali. Come si dirà più avanti, nel corso dell’esame al Senato, è stata sostituita la rubrica dello stesso articolo 7.

 

L’art. 7 della normativa sopra indicata introduce disposizioni per la tutela e la salvaguardia degli alberi secolari, dei filari e delle alberate di particolare pregio paesaggistico, monumentale, storico e culturale, definiti «alberi monumentali» dal comma 1. Un decreto interministeriale, sentita la Conferenza Stato-Regioni, da emanare entro sei mesi dall'entrata in vigore della legge, dovrà: stabilire i principi e i criteri direttivi per il censimento e per la redazione ed il periodico aggiornamento degli elenchi. È altresì istituito l'elenco degli alberi monumentali d'Italia, alla cui gestione provvede il Corpo forestale dello Stato (CfS).

Si prevede che le regioni individuino gli enti competenti al censimento degli alberi monumentali ed alla redazione e all’aggiornamento degli elenchi.

Le regioni, entro un anno dall’entrata in vigore della legge, recepiscono la definizione di “albero monumentale” e raccolgono i dati risultanti dal censimento operato dagli enti individuati dalle regioni. Sulla base di tale censimento, redigono quindi gli elenchi regionali trasmettendoli al CfS.

Si ricorda che gli alberi monumentali sono stati inseriti tra gli immobili di notevole interesse pubblico dell’art. 136 del decreto legislativo 42 del 2004 (cd. Codice del paesaggio) dall’art. 2 del D. Lgs n. 63 del 2008. Essi sono pertanto soggetti alle disposizioni sui beni paesaggistici previste dalla parte III del Codice. Tra esse quelle che prevedono la costituzione di apposite commissioni regionali con il compito di formulare proposte per la dichiarazione di notevole interesse pubblico degli immobili indicati, tra cui gli stessi alberi monumentali (art. 137).

Il Codice del paesaggio non riporta però la definizione di albero monumentale che si rinviene, invece, nelle leggi regionali approvate dalla maggior parte delle regioni per la tutela degli alberi monumentali, oppure in alcune delibere per la gestione delle risorse forestali.

Lo stesso art. 7 introduce una sanzione amministrativa che va da 5.000 a 100.000 euro per l'abbattimento/danneggiamento degli alberi monumentali, facendo comunque salvi alcuni casi motivati e improcrastinabili e previa autorizzazione comunale e parere obbligatorio e vincolante del CfS. Si prevede l’applicazione di tale sanzione salvo che il fatto non costituisca reato.

 

Nello specifico, il comma 1, lett. a) della disposizione in esame opera la sostituzione del comma 1 dell’articolo 7, che indica alcune importanti definizioni.

In primo luogo, è stabilita la nozione di “albero monumentale”, riprendendo la definizione già esplicitata nella formulazione precedente dell’articolo in esame, rilevante sia ai fini della L. n. 10/2023, sia per “ogni altra normativa in vigore nel territorio della Repubblica”.

Ciò posto, per “albero monumentale” si intende, in forza della lett. a), n. 1) del comma 1 riformulato, l'albero isolato, o facente parte di formazioni boschive naturali o artificiali ovunque ubicate, da considerare come raro esempio di maestosità e longevità, per età o dimensioni, oppure per il particolare pregio naturalistico, dovuto alla rarità botanica e alla peculiarità della specie, ovvero che reca un preciso riferimento a eventi o memorie rilevanti dal punto di vista storico, culturale, documentario o delle tradizioni locali.

Ai sensi del n. 2) della stessa lett. a), sostanzialmente non modificato, rientrano nella nozione di albero monumentale anche i filari e le alberate di particolare pregio paesaggistico, monumentale, storico e culturale, ivi compresi quelli inseriti nei centri urbani.

Infine, in ragione del n. 3) della lett. a), rilevano come alberi monumentali anche gli alberi inseriti in particolari complessi architettonici di importanza storica e culturale, quali ville, monasteri, chiese, orti botanici e residenze storiche private.

 Viene poi introdotta una nuova lett. b), che definisce i boschi monumentali, come le formazioni boschive naturali o artificiali, ovunque ubicate, che per età, forme o dimensioni ovvero per ragioni storiche, letterarie, toponomastiche o paesaggistiche, culturali e spirituali presentino caratteri di preminente interesse, tali da richiedere il riconoscimento a una speciale azione di conservazione.

Il comma 1, lett. b) della disposizione in esame sostituisce il comma 1-bis dell’articolo 7 della L. n. 10/2013. In proposito si rileva che la norma in questione, precedentemente, definiva la nozione di “boschi vetusti”, mentre la nuova formulazione si presenta come norma che disciplina le modalità di protezione degli alberi e boschi monumentali.

Nello specifico, il nuovo comma 1-bis statuisce che per tutelare gli alberi di cui al comma 1, lett. a), intorno a ciascun esemplare riconosciuto come monumentale, al fine di proteggerne l'apparato radicale e un'area utile alla capacità vitale della pianta o del filare, è istituita una zona di protezione dell'albero, denominata ZPA, i cui requisiti sono stabiliti da apposite linee guida approvate con decreto del Ministero dell'agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste (MASAF), a seguito di intesa in sede di Conferenza unificata Stato-Regioni-Autonomie locali, da adottarsi entro novanta giorni dall’entrata in vigore della presente norma. Analoga tutela, è prevista nel periodo successivo per i “boschi monumentali”, con l’istituzione di una zona di protezione del bosco, denominata ZPB, viene indicata l’ estensione di tale zona di protezione (pari alla superficie complessiva del bosco tutelato, più un'area di bordo utile a proteggere gli apparati radicali), i cui requisiti sono stabiliti da apposite linee guida approvate con decreto del MASAF, d'intesa con le regioni, previa intesa con la Conferenza unificata da perfezionarsi entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della novella.

La lett. c) del comma 1 della norma in esame apporta modifiche anche al comma 2 dell’articolo 7. In particolare, è disposta la soppressione della dicitura “boschi vetusti”, oltre che degli ultimi due periodi del comma in questione ed è aggiunto un periodo.

Ciò posto, all’esito delle modifiche, il comma 2 dispone che i comuni effettuano il censimento degli alberi monumentali sul proprio territorio e trasmettono alla regione, e per conoscenza al MASAF, la proposta di riconoscimento della monumentalità. Spetta alla regione, riconoscere la monumentalità dell’albero. L'albero così riconosciuto come monumentale è inserito nell'elenco degli alberi monumentali sopra richiamato.

La lett. d) del comma 1 sostituisce il comma 3 della norma oggetto di esame, stabilendo che con decreto del MASAF, sentita la Conferenza unificata, è istituito l'Elenco dei boschi monumentali d'Italia, alla cui gestione provvede il MASAF stesso. Con il medesimo decreto, vengono anche stabilite le modalità e le procedure per il censimento e il riconoscimento dei boschi monumentali ad opera delle regioni, per la redazione e il periodico aggiornamento del suddetto elenco, nonché le misure di cura e di tutela dei boschi monumentali riconosciuti.

La lett. e) del comma 1 modifica, invece, il comma 4 dell’art. 7, per cui, all’esito della riforma, l’apparato sanzionatorio previsto da tale comma si rinviene, con integrazioni, al comma 5-quinquies.

La nuova formulazione del comma 4 afferma che a far data dalla proposta di attribuzione di monumentalità dell'albero censito o del gruppo omogeneo di alberi, e sino alla data dell'avvenuto riconoscimento da parte delle regioni, possono trovare applicazione, ancorché in via transitoria, i commi 1-bis (sopra descritto), 5-ter, 5-quater, 5-quinquies e 5-sexies (v. infra).

La lett. f) del comma 1 sostituisce il comma 5, che in origine trattava dei finanziamenti necessari per l’attuazione della norma.

All’esito della nuova formulazione, è stabilito che lo Stato, le regioni e le province autonome, nelle aree demaniali a loro affidate, sentito l'ente gestore dell'area medesima, provvedono direttamente al censimento di alberi e di gruppi di alberi, per inserirli nell’Elenco degli alberi monumentali di cui al comma 2 o nell’Elenco dei boschi monumentali d’Italia di cui al comma 3.

È specificato che le schede di segnalazione o di identificazione sono trasmesse alla regione. Dalla data della detta trasmissione, trova applicazione la tutela transitoria di cui al comma 4.

È disposto, inoltre, che il censimento, così come disciplinato dal nuovo comma 5, è notificato, dalla regione interessata, al comune del luogo in cui è radicato l'albero riconosciuto monumentale.

La lett. g) del comma 1 dell’articolo 15 integra l’articolo 7 della L. n. 10/2013, inserendo i commi 5-bis, 5-ter, 5-quater, 5-quinquies e 5-sexies.

Il comma 5-bis statuisce che dell'avvenuto inserimento di un albero o di un bosco nei rispettivi elenchi deve essere data pubblicità mediante affissione, per trenta giorni, all'albo pretorio del comune nel cui territorio sono radicati e sui siti istituzionali delle amministrazioni interessate.

Deve essere specificata, altresì, la località nella quale sono ubicati, per consentire a chiunque vi abbia interesse di ricorrere avverso il suddetto l'inserimento. Gli elenchi sono pubblicati sul sito internet del MASAF.

Il comma 5-ter afferma che, in caso di inottemperanza da parte del comune a procedere alle attività di propria competenza, ove l’inerzia si protragga per oltre centottanta giorni dalla data di ricezione della segnalazione, la regione competente invia al comune una diffida ad adempiere entro novanta giorni. Ove l’inerzia perdura, la regione provvede in via sostitutiva. Inoltre, se inottemperante è la regione rispetto alle attività di propria competenza, e l’inerzia si protrae per oltre un anno dalla data di trasmissione della proposta di monumentalità da parte del comune, il MASAF invia una diffida ad adempiere entro novanta giorni. In caso di perdurante inerzia, spetta al MASAF provvedere in via sostitutiva.

Ai sensi del comma 5-quater, salvo che il fatto costituisca reato, per l'abbattimento o il danneggiamento (purché di grave entità) di alberi o gruppi di alberi monumentali è comminata la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 5.000 a euro 100.000.

Tale sanzione, tuttavia, è ridotta della metà ove il danneggiamento si riveli di lieve entità. Lo stesso vale in caso di potatura o altro intervento incisivo non autorizzato, oppure realizzato in maniera difforme da quanto autorizzato.

Sono fatti salvi gli abbattimenti, le modifiche della chioma e dell'apparato radicale, purché nell'ambito della zona di protezione dell'albero, effettuati per casi motivati e improcrastinabili, dietro specifica autorizzazione comunale. A tal fine è necessario anche il parere, obbligatorio e vincolante, MASAF, che si può avvalere del supporto tecnico e operativo dei Servizi forestali regionali.

Il comma 5-quinquies descrive un’altra fattispecie sanzionatoria, stabilendo che per l'abbattimento o il danneggiamento (di grave entità) di un bosco monumentale, nonché per l'intervento incisivo non autorizzato, realizzato sul bosco medesimo, si applica la sanzione amministrativa pecuniaria di cui al comma 5-quater, aumentata di un terzo, sempre che il fatto non costituisca reato. La sanzione amministrativa in parola è ridotta della metà in caso danneggiamento di lieve entità e in caso di intervento realizzato in maniera difforme da quanto autorizzato. Sono fatti salvi gli interventi gestionali autorizzati dall'autorità regionale competente, a seguito di parere obbligatorio e vincolante del MASAF.

Ai sensi del comma 5-sexies, l'autorità amministrativa competente a ricevere il verbale di accertamento e le relative somme pecuniarie è la regione. La norma specifica che la sanzione pecuniaria irrogata è da considerarsi vincolata alla cura, alla salvaguardia e alla promozione degli alberi, dei gruppi di alberi e dei boschi monumentali.

Durante l’esame al Senato, è stata inserita la lettera h) che dispone una modifica della rubrica dell’art. 7 che viene così sostituita: "Disposizioni per la tutela e la salvaguardia degli alberi monumentali e dei boschi monumentali d'Italia”.

Infine, il comma 2 della disposizione in esame statuisce che per gli alberi e i boschi monumentali sottoposti a tutela in forza del D. Lgs. n. 42 del 2004, restano ferme le disposizioni di tutela ivi previste in materia di beni culturali e paesaggistici.


 

Articolo 16, commi 1 e 2
(Incentivi agli investimenti e alle attività diversificate degli agricoltori e dei silvicoltori di montagna - Credito d’imposta)

 

 

L’articolo 16, comma 1, come modificato dal Senato, riconosce un contributo sotto forma di credito d’imposta agli imprenditori agricoli e forestali, ai consorzi forestali e alle associazioni fondiarie che hanno sede ed esercitano prevalentemente la propria attività nei comuni montani e che effettuano determinati investimenti. Il comma 2, inserito dal Senato, riconosce il suddetto credito d'imposta in misura pari al 20% degli investimenti effettuati dal 1° gennaio 2025 al 31 dicembre 2027, nei casi in cui nei territori dei comuni montani, con popolazione non superiore a 5.000 abitanti, insista una minoranza linguistica storica i cui appartenenti rappresentino almeno il 15% dei residenti.

 

Nel dettaglio, il comma 1, come modificato in sede referente, riconosce un contributo:

-         agli imprenditori agricoli e forestali singoli e associati,

-         ai consorzi forestali e alle associazioni fondiarie

che hanno sede ed esercitano prevalentemente la propria attività nei comuni montani di cui all’articolo 2, comma 2, e che effettuano investimenti volti all’ottenimento dei servizi ecosistemici e ambientali benefici per l’ambiente e il clima, anche attraverso interventi di manutenzione del territorio, di cui ai commi 3 e 4 del presente articolo, in coerenza con la normativa nazionale ed europea vigenti.

Il contributo è concesso sotto forma di credito d’imposta, in misura pari al 10 per cento del valore degli investimenti effettuati dal 1° gennaio 2025 al 31 dicembre 2027, nel limite complessivo di spesa di 4 milioni di euro per ciascun anno.

Il credito d’imposta è cumulabile con altre agevolazioni per le medesime spese, comunque nel limite dei costi sostenuti, ed è utilizzabile esclusivamente in compensazione ai sensi dell’articolo 17 del decreto legisla­tivo n. 241 del 1997, dal periodo d’imposta successivo a quello in cui i costi sono stati sostenuti. Non si applicano i limiti di cui all’articolo 1, comma 53 (limite annuale pari a 250.000 euro per i crediti d'imposta da indicare nel quadro RU della dichiarazione dei redditi), della legge finanziaria 2008 (legge n. 244 del 2007), e di cui all’articolo 34 (limite di 2 milioni di euro) della legge finanziaria 2001 (legge n. 388 del 2000).

L’agevolazione si applica nel rispetto dei limiti e delle condizioni di cui al regolamento (UE) n. 1408/2013 della Commissione, del 18 dicembre 2013, relativo all’applicazione degli articoli 107 e 108 del Trattato sul fun­zionamento dell’Unione europea (TFUE) agli aiuti «de minimis» nel settore agricolo, al regolamento (UE) n. 717/2014 della Commissione, del 27 giugno 2014, relativo all’applicazione degli articoli 107 e 108 del TFUE agli aiuti «de minimis» nel settore della pesca e dell’acquacoltura, nonché al regolamento (UE) 2023/2831 della Commissione, del 13 dicembre 2023, relativo all’applicazione degli articoli 107 e 108 del TFUE agli aiuti «de minimis».

Il Trattato sul funzionamento dell'Unione europea prevede un divieto generale di concedere aiuti di Stato (articolo 107, par 1) al fine di evitare che, concedendo vantaggi selettivi a talune imprese, venga falsata la concorrenza nel mercato interno. Gli Stati membri sono tenuti a comunicare alla Commissione eventuali aiuti di Stato che intendano concedere, a meno che essi siano coperti da un'esenzione generale per categoria o siano di minore importanza, con un impatto appena percettibile sul mercato (principio "de minimis")[18].

In particolare, il paragrafo 3 dell’articolo 107 stabilisce che possono considerarsi compatibili con il mercato interno:

a) gli aiuti destinati a favorire lo sviluppo economico delle regioni ove il tenore di vita sia anormalmente basso, oppure si abbia una grave forma di sottoccupazione, nonché quello delle regioni di cui all’articolo 349, tenuto conto della loro situazione strutturale, economica e sociale;

b) gli aiuti destinati a promuovere la realizzazione di un importante progetto di comune interesse europeo oppure a porre rimedio a un grave turbamento dell’economia di uno Stato membro;

c) gli aiuti destinati ad agevolare lo sviluppo di talune attività o di talune regioni economiche, sempre che non alterino le condizioni degli scambi in misura contraria al comune interesse;

d) gli aiuti destinati a promuovere la cultura e la conservazione del patrimonio, quando non alterino le condizioni degli scambi e della concorrenza nell’Unione in misura contraria all’interesse comune;

e) le altre categorie di aiuti, determinate con decisione del Consiglio, su proposta della Commissione.

Il riconoscimento effettivo della incompatibilità degli aiuti è in capo alla Commissione. Tale potere di accertamento è esercitato sulla base dell’articolo 108 TFUE e delle procedure applicative del Trattato stesso. L’articolo 108 TFUE, al par. 1, dispone che la Commissione proceda con gli Stati membri all'esame permanente dei regimi di aiuti esistenti in questi Stati. Lo stesso articolo, al par. 2, prevede che se la Commissione, dopo aver intimato agli interessati di presentare le loro osservazioni, constata che un aiuto concesso è incompatibile con il mercato interno ex articolo 107, oppure è attuato in modo abusivo, delibera che lo Stato debba sopprimerlo o modificarlo nel termine da essa fissato. Se lo Stato non si conforma, la Commissione o qualsiasi altro Stato interessato può adire direttamente la Corte di giustizia. In via generale, ai sensi dell’articolo 108, par. 3, i progetti diretti a istituire o modificare aiuti devono essere comunicati alla Commissione in

tempo utile perché presenti le sue osservazioni; dunque, il controllo della Commissione è ex ante. Se la Commissione ritiene che un progetto non sia compatibile con il mercato interno a norma dell'articolo 107, questa inizia senza indugio la procedura prevista dall’articolo 108, paragrafo 2 sopra descritta. Lo Stato membro interessato non può, infatti, dare esecuzione alle misure progettate prima di una decisione finale in tal senso.

L’articolo 108, par. 4, del TFUE consente alla Commissione di adottare regolamenti concernenti le categorie di aiuti di Stato per le quali il Consiglio ha stabilito, conformemente all'articolo 109 TFUE, che possono essere dispensate dalla procedura di notifica ex ante.

 

Per gli aiuti «de minimis» nel settore agricolo, il suddetto Regolamento 1408/2013/UE, come modificato dal Regolamento (UE) 2019/316, prevede che l’impresa beneficiaria deve operare nella produzione primaria di prodotti agricoli (ad esempio animali vivi, frutta o verdura), con talune eccezioni. L'importo totale degli aiuti «de minimis» concessi a un'impresa unica non può superare 20.000 euro nell'arco di tre esercizi finanziari. In deroga a quanto sopra previsto, l'importo totale degli aiuti «de minimis» concessi a un'impresa unica può essere non superiore ai 25.000 euro nell'arco di tre esercizi finanziari, a condizione che l'importo complessivo totale degli aiuti in «de minimis» nei tre esercizi non superi – per lo Stato italiano – 840,5 milioni di euro, e nel rispetto di talune altre condizioni.

 

Il suddetto Regolamento (UE) 717/2014/UE – modificato il 4 ottobre 2023 dal Regolamento (UE) 2023/2391 – si applica agli aiuti di piccola entità concessi ad imprese nel settore della pesca e dell'acquacoltura, con talune eccezioni. Per effetto della riforma di ottobre 2023, le imprese operanti nel settore della trasformazione e commercializzazione dei prodotti della pesca e dell’acquacoltura possono ora beneficiare dei massimali di aiuti (più alti) consentiti dal Regolamento generale «de minimis». L'articolo 1 del Regolamento esclude dal suo campo di applicazione i seguenti aiuti: a) aiuti il cui importo è fissato in base al prezzo o al quantitativo dei prodotti acquistati o commercializzati; b) aiuti concessi ad attività connesse all’esportazione verso paesi terzi o Stati membri, ossia aiuti direttamente collegati ai quantitativi esportati, alla costituzione e gestione di una rete di distribuzione o ad altre spese correnti connesse con l’attività d’esportazione; c) aiuti subordinati all’impiego di prodotti nazionali rispetto a quelli d’importazione; d) aiuti per l’acquisto di pescherecci; e) aiuti per la sostituzione o l’ammodernamento di motori principali o ausiliari dei pescherecci; f) aiuti a favore di operazioni dirette ad aumentare la capacità di pesca di un peschereccio o a favore di attrezzature atte ad aumentarne la capacità di ricerca del pesce; g) aiuti per la costruzione di nuovi pescherecci o per l’importazione di pescherecci; h) aiuti all’arresto definitivo o temporaneo delle attività di pesca ad eccezione degli aiuti che soddisfano le condizioni di cui agli articoli 20 e 21 del regolamento (UE) 2021/1139; i) aiuti alle attività di pesca sperimentale; j) aiuti al trasferimento di proprietà di un’impresa; k) aiuti al ripopolamento diretto, salvo se esplicitamente previsto come misura di conservazione da un atto giuridico dell’Unione o nel caso di ripopolamento sperimentale. L'importo complessivo degli aiuti concessi dallo Stato a un'impresa unica, ai sensi del Regolamento (UE) 717/2014/UE in esame, non può superare i 30.000 euro nell'arco di tre esercizi finanziari. In deroga, secondo le modifiche di ottobre scorso, lo Stato membro può decidere che l’importo complessivo degli aiuti a una singola impresa non superi i 40.000 euro nell’arco di tre esercizi, purché sia stato istituito un registro nazionale degli aiuti. Sempre secondo la riforma di ottobre, l’importo cumulativo degli aiuti «de minimis» concessi alle imprese che operano nel settore della produzione primaria di prodotti della pesca e dell’acquacoltura nell’arco di tre esercizi non può superare il limite nazionale stabilito in allegato al Regolamento, pari a 38,524 milioni di euro.

 

A decorrere dal 1° gennaio 2024, è entrato in vigore il nuovo Regolamento 2023/2831/UE (Regolamento generale), il quale trova applicazione fino al 31 dicembre 2030 (sono consentiti ulteriori sei mesi di ultrattività). Il nuovo regolamento si applica, comunque, anche agli aiuti concessi anteriormente alla sua entrata in vigore purché soddisfino tutte le condizioni ivi previste. Il regolamento generale opera in tutti i settori, tranne specifiche eccezioni, tra le quali il settore della produzione primaria di prodotti agricoli, della pesca e dell’acquacoltura. Il settore della trasformazione e commercializzazione dei prodotti agricoli, della pesca e dell’acquacoltura è incluso nell’ambito di applicazione del regolamento, a meno che l’importo degli aiuti in questione sia fissato in base al prezzo o al quantitativo dei prodotti acquistati o commercializzati, o a meno che – in caso di trasformazione dei prodotti agricoli – l’aiuto sia subordinato al fatto di venire parzialmente o interamente trasferito a produttori primari. Il Regolamento non si applica: 1) agli aiuti concessi a favore di attività connesse all’esportazione verso Stati intra e extra UE, o direttamente collegati ai quantitativi esportati, alla costituzione e gestione di una rete di distribuzione o ad altre spese correnti connesse con l’attività d’esportazione; 2) agli aiuti subordinati all’uso di prodotti e servizi nazionali rispetto a quelli di importazione (articolo 1). Il massimale di aiuto previsto è di 300.000 euro nell'arco di tre anni per impresa (o per impresa unica), in luogo dei 200.000 consentiti ai sensi della disciplina previgente.

 

Il comma rinvia quindi all’articolo 29 della presente legge per l’individuazione dei mezzi di copertura dell’onere derivante dalle disposizioni di cui sopra.

 

Il comma 2, inserito in sede referente, prevede che il credito d'imposta di cui al comma 1 sia riconosciuto in misura pari al 20% degli investimenti effettuati dal 1° gennaio 2025 al 31 dicembre 2027, nei casi in cui nei territori dei comuni montani di cui all'articolo 2, comma 2, con popolazione non superiore a 5.000 abitanti, insista una delle minoranze linguistiche storiche di cui alla legge n. 482 del 1999, e i cui appartenenti rappresentino almeno il 15% dei residenti.

 

Ai sensi della predetta legge n. 482 del 1989, in attuazione dell'articolo 6 della Costituzione e in armonia con i princìpi generali stabiliti dagli organismi europei e internazionali, la Repubblica tutela la lingua e la cultura delle popolazioni albanesi, catalane, germaniche, greche, slovene e croate e di quelle parlanti il francese, il franco-provenzale, il friulano, il ladino, l'occitano e il sardo.


 

Articolo 16, commi 3-9
(Incentivi agli investimenti e alle attività diversificate
degli agricoltori di montagna)

 

 

L’articolo 16, comma 1, riconosce un contributo sotto forma di credito d’imposta agli imprenditori agricoli e forestali, ai consorzi forestali e alle associazioni fondiarie che esercitano la propria attività nei comuni montani e che effettuano investimenti volti all’ottenimenti di servizi ecosistemici e ambientali benefici per l’ambiente e il clima. Il comma 3 demanda l'individuazione dell'elenco dei predetti servizi a un decreto del Ministro dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste. Ai fini dell'individuazione, per gli imprenditori forestali, di tali servizi, il comma 4 rinvia inoltre ai piani di indirizzo e di gestione o agli strumenti equivalenti di cui all'articolo 6, comma 6 del Testo unico in materia di foreste e filiere forestali. Il comma 5 demanda a un decreto del Ministro dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste. la definizione dei criteri e delle modalità di concessione del credito d'imposta. Il comma 7, infine, consente ai comuni montani e alle loro forme associative l'affidamento diretto dei lavori pubblici di sistemazione e di manutenzione del territorio montano, di gestione forestale sostenibile, di difesa dalle avversità atmosferiche e dagli incendi boschivi, di importo inferiore alle soglie di rilevanza europea, a coltivatori diretti, consorzi forestali e associazioni fondiarie, che conducono aziende agricole e gestori di rifugi. Il comma 8, inserito nel corso dell’esame in Senato, vieta il subaffitto o la subconcessione dei terreni pascolativi montani gravati da usi civici ed oggetto di affitto o di concessione a privati. Il comma 9, anch’esso inserito dal Senato, prevede l’istituzione, con decreto del Ministro dell'agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste, di un tavolo tecnico per l'attuazione della disciplina in esame.

 

L’articolo 16, comma 1, riconosce un contributo sotto forma di credito d’imposta agli imprenditori agricoli e forestali, ai consorzi forestali e alle associazioni fondiarie che esercitano la propria attività nei comuni montani e che effettuano investimenti volti all’ottenimenti di servizi ecosistemici e ambientali benefici per l’ambiente e il clima.

 

Il comma 3 demanda l'individuazione dell'elenco dei predetti servizi ecosistemici e ambientali benefici per l'ambiente e il clima, a un decreto del Ministro dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste, di concerto con il Ministro dell’ambiente e della sicurezza energetica, sentito il Ministro per gli affari regionali e le autonomie, previa intesa in sede di Conferenza Stato-regioni, da adottare entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della proposta di legge in esame.

Ai fini dell'individuazione, per gli imprenditori forestali, di tali servizi benefici per l'ambiente e il clima, il comma 4 rinvia inoltre ai piani di indirizzo e di gestione o agli strumenti equivalenti di cui all'articolo 6, comma 6 del decreto legislativo n. 34 del 2018 (Testo unico in materia di foreste e filiere forestali), sulla base di quanto previsto dal decreto di attuazione 28 ottobre 2021, emanato dal Ministro delle politiche agricole e forestali, di concerto con il Ministro della cultura e della transizione ecologica.

 

Il comma 5 demanda a un decreto del Ministro dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e con il Ministro per gli affari regionali e le autonomie, da adottare entro centoottanta giorni dalla data di entrata in vigore della proposta di legge in esame, la definizione dei criteri e delle modalità di concessione del credito d'imposta, anche ai fini del rispetto del limite di spesa previsto, nonché le disposizioni relative ai controlli e al recupero del beneficio indebitamente fruito.

 

Il comma 6, inserito dal Senato, specifica che il Ministero dell'agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste (MASAF) è tenuto a provvedere agli adempimenti di registrazione del credito d’imposta in esame, previsti dall'articolo 52 della legge n. 234 del 2012, con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.

 

Il comma 7 dell’articolo 16 consente ai comuni montani e alle loro forme associative, ai sensi del decreto legislativo n. 36 del 2023 (Codice dei contratti pubblici), l'affidamento diretto dei lavori pubblici di sistemazione e di manutenzione del territorio montano, di gestione forestale sostenibile, di difesa dalle avversità atmosferiche e dagli incendi boschivi, di importo inferiore alle soglie di rilevanza europea indicate dall’ articolo 14 del medesimo codice dei contratti pubblici, a coltivatori diretti, singoli o associati, consorzi forestali e associazioni fondiarie, che conducono aziende agricole e gestori di rifugi con impiego esclusivo del lavoro proprio e dei familiari di cui all'articolo 230-bis del codice civile nonché di macchine e attrezzature di loro proprietà, nel rispetto delle norme vigenti sulla sicurezza e sulla salute dei lavoratori.

 

Per l'applicazione del Codice dei contratti pubblici le soglie di rilevanza europea previste dall’articolo 14, comma 1, dello stesso sono:

a) 5.538.000 euro per gli appalti pubblici di lavori e per le concessioni;

b) 143.000 euro per gli appalti pubblici di forniture, di servizi e per i concorsi pubblici di progettazione aggiudicati dalle stazioni appaltanti che sono autorità governative centrali indicate nell'allegato I alla direttiva 2014/24/UE; se gli appalti pubblici di forniture sono aggiudicati da stazioni appaltanti operanti nel settore della difesa, questa soglia si applica solo agli appalti concernenti i prodotti menzionati nell'allegato III alla direttiva 2014/24/UE;

c) 221.000 euro per gli appalti pubblici di forniture, di servizi e per i concorsi pubblici di progettazione aggiudicati da stazioni appaltanti sub-centrali; questa soglia si applica anche agli appalti pubblici di forniture aggiudicati dalle autorità governative centrali che operano nel settore della difesa, quando gli appalti concernono prodotti non menzionati nell'allegato III alla direttiva 2014/24/UE;

d) 750.000 euro per gli appalti di servizi sociali e assimilati elencati all'allegato XIV alla direttiva 2014/24/UE.

Nei settori speciali le soglie di rilevanza europea sono:

a) 5.538.000 euro per gli appalti di lavori;

b) 443.000 euro per gli appalti di forniture, di servizi e per i concorsi pubblici di progettazione;

c) 1.000.000 euro per i contratti di servizi, per i servizi sociali e assimilati elencati nell'allegato XIV alla direttiva 2014/24/UE.

 

Il comma 8, inserito nel corso dell’esame in Senato, vieta il subaffitto o la subconcessione dei terreni pascolativi montani gravati da usi civici ed oggetto di affitto o di concessione a privati, a salvaguardia del corretto utilizzo e della destinazione dei predetti terreni. La violazione del divieto comporta la risoluzione di diritto del contratto di affitto o di concessione. Tali disposizioni si applicano ai rapporti instaurati o rinnovati dopo l'entrata in vigore della proposta di legge in esame.

 

Il comma 9, anch’esso inserito nel corso dell’esame in Senato, prevede l’istituzione, con decreto del Ministro dell'agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste, di un tavolo tecnico per l'attuazione della disciplina in esame, composto da rappresentanti del MASAF, del Ministero dell'ambiente e della sicurezza energetica (MASE), del Dipartimento per gli affari regionali e le autonomie e del Ministero del turismo. Alle riunioni del tavolo sono invitati a partecipare esperti con comprovata esperienza in materia di scienze forestali, agrarie e ambientali, politiche agricole e sviluppo delle zone montane, gestione ambientale e conservazione, tecnologie agrarie e innovazione. Per la partecipazione al tavolo non sono previsti gettoni di presenza, compensi, rimborsi di spese o altri emolumenti comunque denominati. Le amministrazioni sono tenute a provvedere ai relativi adempimenti nell'ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.


 

Articolo 17
(Rifugi di montagna)

 

 

L’articolo 17 reca una definizione dei rifugi di montagna, ribadendo altresì che lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano stabiliscono, ciascuno in base alle rispettive competenze, le caratteristiche funzionali dei rifugi.

 

Ai sensi del comma 1 dell’articolo 17 sono considerati rifugi di montagna le strutture ricettive ubicate in zone di montagna, finalizzate alla pratica dell’alpinismo e dell’escursionismo, organizzate per dare ospitalità e possibilità di sosta, ristoro, pernottamento e servizi connessi. Il comma 1 fa salve le specifiche definizioni contenute in leggi regionali.

 

Riguardo alla definizione di rifugi di montagna, si rammenta che i due disegni di legge di iniziativa parlamentare presentati al Senato A.S. 276 (art. 12) e A.S. 396 (art. 16) proponevano una definizione diversa, individuando come tali le strutture ricettive ubicate in zone disagiate o isolate di montagna e idonee a fornire ricovero e ristoro nonché soccorso a sportivi e a escursionisti.

Nella legislazione statale è stato sempre utilizzato il termine di “rifugi alpini” e solo negli ultimi anni si è fatto ricorso al termine “rifugi di montagna” ricomprendendo in questo modo tutte le strutture di rifugio, affinché potessero beneficiare di sussidi e agevolazioni indicati in alcuni provvedimenti rientranti tra le misure adottate durante la pandemia da Covid-19:

-       D.L. 19 maggio 2020, n. 34, art. 177: esenzione dal pagamento della prima rata dell’IMU 2020;

-       D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 1: contributo a fondo perduto a favore dei soggetti che dichiarano di svolgere come attività prevalente una di quelle riferite ai codici ATECO riportati nell'Allegato 1 (i rifugi di montagna sono contraddistinti dal codice ATECO 552030);

-       L. 30 dicembre 2020, n. 178 (legge di bilancio 2021), art. 1, co. 599: esenzione dal pagamento della prima rata dell’IMU 2021.

In alcuni casi, il termine rifugio alpino si è sovrapposto a quello di rifugio di montagna, come nel caso dell’articolo 4, comma 1-quinquies del D.L. 25 marzo 2010, n. 40, che ha istituito un fondo di 1 milione di euro per gli anni 2010 e 2011, finalizzato all'efficientamento del parco dei generatori di energia elettrica prodotta nei rifugi di montagna rientranti nelle categorie C, D ed E di cui al titolo IV della regola tecnica allegata al D.M. dell'interno 9 aprile 1994, quando il citato D.M. fa riferimento alle regole tecniche di prevenzione incendi per i rifugi alpini.

 

Una prima definizione di rifugio alpino è contenuta nel Regio Decreto-Legge 31 ottobre 1935, n. 2024 recante “Norme per regolare la vigilanza sui rifugi alpini”, facoltà che veniva attribuita al Ministero per la stampa e la propaganda. Nello specifico doveva “esercitare la vigilanza sui rifugi e sui locali simili dove convengono o trovano ricetto i turisti escursionisti di montagna”.

Successivamente il decreto 29 ottobre 1955 del Commissario per il turismo (previsto in attuazione della legge delega n. 150 del 1953) indicava, all’art. 12, le caratteristiche che il rifugio alpino avrebbe dovuto avere ai fini del rilascio dell’autorizzazione da parte degli Enti provinciali per il turismo alla costruzione o all’apertura del rifugio:

1) si tratti di costruzioni isolate in zone montane, raggiungibili attraverso sentieri, mulattiere, ghiacciai, morene, ecc., per ricetto dei turisti e degli escursionisti di montagna;

2) la costruzione abbia carattere permanente, costituisca valida difesa dal freddo e dall'umidità, sia ubicata in modo da garantire sicuro asilo, abbia ricettività adeguata alla cubatura e risponda comunque a criteri razionali;

3) i rifugi con custode dispongano di locali destinati ad alloggio per il custode e allo stanziamento delle guide;

4) i rifugi accessibili, durante la chiusura invernale, dispongano di uno o più locali di fortuna con parti apribili dall'esterno;

5) i rifugi dispongano di servizi igienici, di rifornimento idrico e di riscaldamento, nonché di conveniente attrezzatura per il conforto, la sosta e il pernottamento di chi vi trova ricetto e siano dotati di cassetta di medicazione e pronto soccorso.

Il D.P.R. 4 agosto 1957, n. 918 (poi abrogato dal D.Lgs. 23 maggio 2011, n. 179) conteneva il testo organico delle norme sulla disciplina dei rifugi alpini, ma si trattava di disposizioni relative al regime autorizzatorio per la costruzione di un rifugio alpino.

 

Attualmente, a livello di legislazione statale, la classificazione di rifugio alpino è contenuta nel decreto del Ministero dell'interno 3 marzo 2014, recante “Modifica del Titolo IV del decreto 9 aprile 1994 in materia di regole tecniche di prevenzione incendi per i rifugi alpini[19] (G.U. 15 marzo 2014, n. 62) sulla base dei seguenti criteri:

·         Rifugi raggiungibili con strada rotabile;

·         Rifugi non raggiungibili con strada rotabile.

Si intende per strada rotabile una strada ad uso pubblico destinata alla circolazione dei pedoni, dei veicoli e degli animali, con carreggiata di larghezza complessiva non inferiore a 2,75 m.

Si intendono raggiungibili con strada rotabile anche i rifugi presso i quali è possibile arrivare attraverso una via di accesso, anche solo pedonale, di lunghezza non superiore a 300 m dalla strada rotabile, a prescindere dal dislivello esistente tra il piano strada e il piano dell'area esterna del rifugio.

Non rientrano nella categoria dei rifugi alpini i bivacchi fissi ed i ricoveri, intendendosi con tale denominazione quelle modeste costruzioni adibite al ricovero degli alpinisti con le seguenti peculiarità: sempre incustoditi ed aperti in permanenza, senza presenza di viveri e di dispositivi di cottura, ma con lo stretto necessario per il riposo ed il ricovero d'emergenza.

 

Si ricorda, infine, che l’articolo 2 della legge 26 gennaio 1963, n. 91 sul riordino del Club Alpino Italiano, dispone che esso provvede, a favore sia dei propri soci sia di altri, nell'ambito delle facoltà previste dallo statuto, tra l’altro alla realizzazione, alla manutenzione ed alla gestione dei rifugi alpini e dei bivacchi d'alta quota di sua proprietà e delle singole sezioni del CAI.

 

Il comma 2 stabilisce che le disposizioni concernenti le caratteristiche funzionali dei rifugi sono stabilite sia dalla normativa dello Stato che da quella delle Regioni e delle Province autonome di Trento e di Bolzano, in base alle rispettive competenze. Tra le caratteristiche funzionali dei rifugi rientrano quelle relative agli scarichi e agli impianti di smaltimento, con possibilità di prevedere requisiti igienico-sanitari minimi anche in deroga rispetto alla normativa statale, in proporzione alla capacità ricettiva e alla condizione dei luoghi, fatto comunque salvo il rispetto della normativa a tutela dell'ambiente.

Si rammenta che a seguito della modifica dell’art. 117 della Costituzione, disposta dalla legge costituzionale n. 1 del 2001, la materia del turismo (compreso quindi anche quello montano), non essendo ricompresa tra le competenze della legislazione statale né tra quelle della legislazione concorrente, risulta quale competenza residua delle Regioni. Restano, invece, di competenza statale le normative di pubblica sicurezza e la normativa antincendio. La vigente normativa antincendio sui rifugi alpini è contenuta nel Decreto del Ministero dell’Interno 9 aprile 1994 di “Approvazione della regola tecnica di prevenzione incendi per la costruzione e l'esercizio delle attività ricettive turistico-alberghiere” (si veda sopra).

 

Nella vigente legislazione regionale il rifugio alpino viene ricompreso tra le “strutture ricettive extralberghiere”, unitamente ad ostelli, campeggi, affittacamere, B&B, ecc. Oltre al rifugio alpino, in molte legislazioni regionali è presente anche la figura del rifugio escursionistico.

Alcune Regioni prevedono una ulteriore sotto-distinzione, come nel caso del Piemonte, indicando la categoria delle “strutture ricettive alpinistiche”, costituita dai rifugi escursionisti, rifugi alpini, rifugi non gestiti, bivacchi fissi e rifugi di piccola accoglienza montana (PAM).

A titolo di esempio, la legge della Lombardia definisce rifugi alpinistici le strutture ricettive idonee a offrire ospitalità e ristoro, gestite e poste a quota non inferiore a 1.000 metri di altitudine in zone isolate di montagna, inaccessibili mediante strade aperte al traffico ordinario o linee funiviarie di servizio pubblico, a esclusione delle sciovie, oppure distanti da esse almeno 1.500 metri lineari o 150 metri di dislivello. Sono, invece rifugi escursionistici le strutture ricettive idonee a offrire ospitalità e ristoro, gestite e poste a quota non inferiore a 600 metri di altitudine, al di fuori dei centri abitati, in luoghi accessibili anche mediante strade aperte al traffico di servizio o impianti di trasporto pubblico, a esclusione delle sciovie.

 

Normativa regionale in tema di rifugi

PIEMONTE - Legge regionale 18 febbraio 2010, n. 8. Ordinamento dei rifugi alpini e delle altre strutture ricettive alpinistiche.

VALLE D’AOSTA - Legge regionale 20 aprile 2004, n. 4. Interventi per lo sviluppo alpinistico ed escursionistico e disciplina della professione di gestore di rifugio alpino.

LIGURIA - Legge regionale 12 novembre 2014, n. 32. Testo unico in materia di strutture turistico ricettive e norme in materia di imprese turistiche. Articolo 19. Rifugi alpini ed escursionistici.

LOMBARDIA - Legge regionale 1° ottobre 2015, n. 27. Politiche regionali in materia di turismo e attrattività del territorio lombardo. Articoli 31-36. Strutture alpinistiche.

PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO - Legge provinciale 15 marzo 1993, n. 8. Ordinamento dei rifugi alpini, bivacchi, sentieri e vie ferrate.

PROVINCIA AUTONOMA DI BOLZANO - Legge provinciale 7 aprile 1997, n. 5. Interventi per il sostegno di rifugi alpini.

VENETO - Legge regionale 14 giugno 2013, n. 11. Sviluppo e sostenibilità del turismo veneto. Art. 27. Strutture ricettive complementari.

FRIULI-VENEZIA GIULIA - Legge regionale 9 dicembre 2016, n. 21. Disciplina delle politiche regionali nel settore turistico e dell'attrattività del territorio regionale. Art. 33. Rifugi alpini ed escursionistici.

EMILIA-ROMAGNA - Legge regionale 28 luglio 2004, n. 16. Disciplina delle strutture ricettive dirette all'ospitalità. Art. 9. Rifugi alpini ed escursionistici.

TOSCANA - Legge regionale 20 dicembre 2016, n. 86. Testo unico del sistema turistico regionale. Artt. 47-50. Rifugi e bivacchi.

MARCHE - Legge regionale 11 luglio 2006, n. 9. Testo unico delle norme regionali in materia di turismo. Art. 25. Rifugi alpini, escursionistici e bivacchi fissi.

UMBRIA - Legge regionale 10 luglio 2017, n. 8. Legislazione turistica regionale. Art. 27. Rifugi escursionistici.

LAZIO - Regolamento regionale 7 agosto 2015, n. 8. Nuova disciplina delle strutture ricettive extralberghiere. Art. 11. Rifugi montani.

ABRUZZO - Legge regionale 14 febbraio 2023, n. 10, Disciplina del sistema turistico regionale. Art. 43 e da 46 a 50.

CAMPANIA - Legge regionale 24 novembre 2001, n. 17. Disciplina delle strutture ricettive extralberghiere. Art. 7. Rifugi di montagna.

BASILICATA - Legge regionale 4 giugno 2008, n. 6. Disciplina della classificazione delle strutture ricettive e di ospitalità della Regione Basilicata. Art. 5.

CALABRIA - Legge regionale 7 agosto 2018, n. 34. Norme sulla classificazione delle strutture ricettive extralberghiere. Art. 7. Servizi di alloggio in aree naturalistiche.

SICILIA - Legge regionale 6 aprile 1996, n. 27. Norme per il turismo. Art. 3, co. 14.

SARDEGNA – Deliberazione Giunta Regionale n. 23/80 del 22 giugno 2021. Linee Guida per l'istituzione e la gestione della Rete Escursionistica della Sardegna (R.E.S.). Art. 12 Rifugi, Bivacchi.

 

Il comma 3 infine precisa che i rifugi di montagna di proprietà pubblica possono essere concessi in locazione a persone fisiche o giuridiche o ad enti non aventi scopo di lucro ai sensi della normativa vigente, fatte salve le prioritarie esigenze operative e addestrative del Ministero della difesa.

Si intendono come tali quelli di proprietà di amministrazioni statali, regioni, province, comunità montane o unioni di comuni, singoli comuni.

 

Per quanto riguarda il Club Alpino Italiano (CAI), esso dispone complessivamente di 721 strutture (di cui 312 rifugi, 76 rifugi non custoditi, 249 bivacchi e 93 capanne sociali), con una corrispondente disponibilità di circa 19.000 posti letto (fonte: Club Alpino Italiano, www.rifugi.cai.it).


 

Articolo 18
(Attività escursionistica)

 

 

L’articolo 18 – introdotto durante l’esame al Senato – riporta una definizione di percorso escursionistico e reca disposizioni in merito alle attività escursionistiche al fine di promuoverne la fruizione consapevole e informata, rinviando ad un decreto ministeriale per l’individuazione dei criteri per la classificazione dei percorsi escursionistici nonché delle modalità con cui sono fornite agli escursionisti tutte le informazioni necessarie per la loro fruizione in sicurezza anche mediante apposita segnaletica. Viene inoltre esclusa la possibilità di risarcimento per danni in caso di incidente su un percorso escursionistico in conseguenza di comportamento colposo dell’escursionista stesso (caso fortuito).

 

   Il comma 1 riconosce il ruolo dell'attività escursionistica quale strumento fondamentale per la tutela e la promozione del patrimonio ambientale, paesaggistico e storico-culturale dei territori in cui si svolge, nonché per la diffusione di un turismo sostenibile. Conseguentemente, promuove la fruizione consapevole e informata dei percorsi escursionistici, al fine di garantire la sicurezza e l'incolumità degli escursionisti.

Dalla formulazione del testo, la promozione della fruizione consapevole e informata dei percorsi escursionistici sembrerebbe venire attuata attraverso quanto previsto dal successivo comma 3.

 

Secondo la legge n. 42 del 2016, art. 2, co. 1, lett. a) della Regione Abruzzo, si tratta dell'attività turistica, ricreativa e sportiva che si svolge su tracciati ubicati prevalentemente in montagna al di fuori dei centri abitati, finalizzata alla conoscenza e all'esplorazione degli ambienti naturali, anche antropizzati, senza l'ausilio di mezzi a motore.

Analogo concetto è contenuto all’articolo 3, comma 1, lettera b), della legge n. 12 del 2010 della Regione Piemonte e all’articolo 4, comma 1, lettera c), della legge n. 14 del 2020 della Regione Campania: attività di carattere turistico-ricreativo, naturalistico e culturale praticata nel tempo libero e finalizzata alla conoscenza del territorio in generale ed all'esplorazione degli ambienti naturali, anche antropizzati, senza l'ausilio di mezzi a motore.

Secondo la Regione Emilia-Romagna (legge n. 14 del 2013, art. 2) per escursionismo si intende l'attività turistica, ricreativa e sportiva che si svolge su tracciati ubicati prevalentemente al di fuori dei centri urbani, finalizzata alla visita e all'esplorazione degli ambienti naturali e del patrimonio storico-culturale, architettonico e religioso del territorio.

Per la Regione Toscana (legge n. 17 del 1998, art. 2) e la Regione Marche (legge n. 2 del 2010, art. 2) si tratta dell’attività turistica, ricreativa e sportiva che, prevalentemente (precisazione della legge Marche) al di fuori dei centri urbani, si realizza nella visita o nella esplorazione degli ambienti naturali, anche antropizzati, senza l’ausilio di mezzi a motore.

Simile definizione è contenuta all’articolo 2 della legge n. 21 del 2000 della Regione Puglia: attività turistica, ricreativa e sportiva che, al di fuori dei centri urbani, si realizza attraverso visite ed esplorazioni di ambienti naturali, anche antropizzati, senza l'ausilio di mezzi a motore.

La Regione Basilicata favorisce “l'escursionismo quale mezzo per realizzare un rapporto equilibrato con l'ambiente” (legge n. 51 del 2000, art. 1, co. 1).

 

Il principio di autoresponsabilità nelle attività escursionistiche in montagna è stato oggetto di una recente evoluzione del quadro normativo a livello di legislazione regionale. Infatti, il turismo – e nella fattispecie il turismo montano – appare riconducibile, ai sensi del quarto comma dell’articolo 117 della Costituzione, alle competenze legislative residuali delle regioni. A livello di amministrazione regionale la pratica dell’escursionismo – e, più specificamente, la sentieristica - può essere, peraltro, materia di competenza di diversi assessorati (ambiente, turismo, agricoltura).

L’aver piena consapevolezza dell’attività escursionistica che ci si appresta ad intraprendere risulta fondamentale anche ai fini di una possibile riduzione degli interventi effettuati[20] dal Corpo Nazionale del Soccorso Alpino e Speleologico (CNSAS) del Club Alpino Italiano (CAI) e dalle amministrazioni pubbliche coinvolte, anche in considerazione del principio dell’eventuale compartecipazione da parte della persona soccorsa alle spese per gli interventi di soccorso sanitario previste in alcune regioni.

 

Negli ultimi decenni diverse regioni hanno previsto l’istituzione di una rete escursionistica regionale[21], e in alcuni casi è stato sancito – con modalità diverse – il principio dell’autoresponsabilità:

?  PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO – Legge provinciale 15 marzo 1993, n. 8 (Ordinamento dei rifugi alpini, bivacchi, sentieri e vie ferrate) - Articolo 8, comma 2: «L'esercizio dell'attività di controllo e manutenzione dei tracciati non escludono i rischi connessi alla frequentazione dell'ambiente montano.»;

?  EMILIA ROMAGNA - Legge regionale 26 luglio 2013, n. 14 (Rete escursionistica dell'Emilia-Romagna e valorizzazione delle attività escursionistiche) - Articolo 4, comma 1: «La fruizione della REER può avvenire a piedi, in bicicletta, a cavallo e con mezzi non motorizzati e motorizzati e comporta da parte dei fruitori l'adozione di livelli di cautela consoni al transito su sentieri, mulattiere e strade a fondo naturale.»;

?  LOMBARDIA - Legge 27 febbraio 2017, n. 5 (Rete escursionistica della Lombardia), da ultimo modificata dall’articolo 28 della legge 23 luglio 2024, n. 11 - Articolo 4, comma 6: « Chiunque intraprende un percorso della REL lo fa sotto la propria responsabilità, consapevole dei rischi connessi alla frequentazione della rete escursionistica usando la necessaria diligenza, rispettando la segnaletica, ovvero i divieti emanati dalla Protezione Civile o da altre Autorità competenti, non danneggiando le strutture di pertinenza e l'ambiente circostante. L’escursionista deve valutare con la necessaria diligenza gli eventi atmosferici ed essere dotato di adeguata attrezzatura assumendosi la responsabilità dei rischi e dei danni che possano derivargli dalla sua negligenza, imprudenza e imperizia.»;

?  SARDEGNA - Deliberazione della Giunta regionale della n. 5/23 del 23 febbraio 2024 (Linee Guida per l'istituzione e la gestione della Rete Escursionistica della Sardegna) - Articolo 8, comma 1-bis: «Chiunque intraprende un percorso della RES lo fa sotto la propria responsabilità, usando la necessaria diligenza, rispettando la segnaletica, non danneggiando le strutture di pertinenza e l'ambiente circostante. L’esercizio delle attività di controllo e manutenzione dei tracciati non escludono i rischi connessi alla frequentazione dell’ambiente montano, che restano necessariamente fuori dalla sfera di responsabilità del soggetto gestore o “custode” ai sensi dell’art. 2051 del codice civile. Ad eccezione delle opere strettamente legate al sentiero, le condizioni dell’ambiente naturale circostante, in cui il sentiero è immerso, hanno infatti dimensioni e caratteristiche intrinseche tali da sottrarsi al pieno controllo di qualunque soggetto gestore: l’ambiente montano o rurale circostante, nonché la presenza di pericoli tipici della Natura (dovuti alla presenza di fauna o vegetazione selvatica, sassi, rocce, corsi d’acqua ed altro) sono una condizione data, insita all’esperienza escursionistica, e non controllabile che dall’escursionista stesso, che usufruisce dei percorsi rispettando le regole generali, accompagnandosi a persone esperte dei luoghi, affrontando la difficoltà con attrezzatura e forma fisica adeguate al contesto.»;

?  ABRUZZO - Legge regionale 27 dicembre 2016, n. 42 (Istituzione Rete Escursionistica Alpinistica Speleologica Torrentistica Abruzzo (REASTA) per lo sviluppo sostenibile socio-economico delle zone montane e nuove norme per il Soccorso in ambiente montano) – Articolo 3, comma 4-bis (introdotto dall’art. 10 della legge regionale 11 gennaio 2022, n. 1): «Chiunque intraprende un percorso della REASTA lo fa sotto la propria responsabilità, usando la necessaria diligenza, rispettando i regolamenti, la segnaletica, non danneggiando le strutture di pertinenza e l'ambiente circostante.».

 

 

   Il comma 2 provvede alla definizione di percorso escursionistico: si tratta di un tracciato “prevalentemente” a fondo naturale, visibile e permanente, che si forma per effetto del passaggio dell'uomo o degli animali.

In sostanza, un percorso escursionistico si sviluppa su fondo naturale, deve essere visibile chiaramente ed avere un carattere permanente, anche perché conseguenza del passaggio “più volte ripetuto” dell'uomo o degli animali.

Si segnala come nella legislazione vigente, statale e regionale, sia presente solo la definizione di sentiero.

 

Nella legislazione statale la definizione di sentiero (o mulattiera o tratturo) è contenuta all'articolo 3, comma 1, n. 48, del Codice della strada (decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285), quale “strada a fondo naturale formatasi per effetto del passaggio di pedoni o di animali”. Tuttavia, il Codice della strada si limita alla semplice definizione, ma non ne disciplina la circolazione su di esso (essendo questa riferita e disciplinata alle infrastrutture viarie indicate all’articolo 2, comma 2, del Codice stesso: A - Autostrade; B - Strade extraurbane principali; C - Strade extraurbane secondarie; D - Strade urbane di scorrimento; E - Strade urbane di quartiere; F - Strade locali; F-bis - Itinerari ciclopedonali). Le modalità di circolazione sui sentieri sono definite dalle singole leggi regionali sulla rete escursionistica o dalle leggi regionali sulla viabilità agro-silvo-pastorale (VASP).

 

A livello di normativa regionale sono presenti le seguenti definizioni di sentiero:

?  Abruzzo: all’articolo 2, comma 1, lettera b), della legge n. 42 del 2016, si richiama il concetto di “tracciato” definito dalla lettera g) del comma 2 dell'articolo 37 della legge regionale 4 gennaio 2014, n. 3, che definisce “sentiero o mulattiera un tracciato di larghezza massima pari a metri lineari 1,00 non percorribile da automezzi o trattori, transitabile a piedi o con animali da soma”.

?  Campania: per la legge n. 14 del 2020, art. 4, co. 1, lett. d), si tratta di una via stretta, a fondo naturale, tracciata fra prati, boschi e rocce, ubicata in pianura, collina o montagna, non classificata nella viabilità ordinaria ed anche non rilevata cartograficamente, generata dal passaggio di uomini o animali, oppure creata ad arte dall'uomo per la viabilità.

?  Friuli-Venezia Giulia: la legge n. 36 del 2017, all’articolo 3, comma 2, dopo aver indicato il sentiero quale percorso pedonale a fondo naturale che si è formato per il passaggio di pedoni e animali, provvede a fornire una descrizione dettagliata delle varie tipologie di sentiero, suddividendole in sentiero escursionistico, sentiero alpinistico e sentiero turistico.

?  Lombardia: la legge n. 5 del 2017, nel definire i percorsi ricompresi nella Rete escursionistica della Lombardia – REL, precisa (art. 2, co. 1) che per “sentieri escursionistici” si intendono i percorsi ubicati in pianura, collina o montagna, destinati all'attività turistica, ricreativa o alle pratiche sportive e del tempo libero, privi di difficoltà tecniche, costituiti da mulattiere, sentieri e strade vicinali interpoderali utilizzati anche per scopi agro-silvo-pastorali, per il raggiungimento di rifugi.

?  Piemonte: la legge n. 12 del 2010, all’articolo 3, comma 1, lettera e), definisce sentiero la via stretta, a fondo naturale, tracciata fra prati, boschi e rocce, ubicata in pianura, collina o montagna, non classificata nella viabilità ordinaria ed anche non rilevata cartograficamente, generatasi dal passaggio di uomini o animali, ovvero creata ad arte dall'uomo per la viabilità.

?  Sardegna: l’Allegato A alla deliberazione della Giunta regionale del 23 febbraio 2024, n. 5/23, con cui sono state approvate le “Linee guida per l’istituzione e gestione della Rete Escursionistica della Sardegna”, definisce sentieri i “percorsi ad esclusivo transito non meccanizzato, formatosi per effetto del passaggio pedonale o animale; la larghezza è tale da permettere il passaggio di una sola persona per volta (inferiore o uguale a 1,5 metri).

?  Provincia autonoma di Bolzano: per la Convenzione per la “valorizzazione, la manutenzione, la gestione e l’utilizzo dei sentieri escursionistici in Alto Adige” sono considerati sentieri escursionistici “i tracciati di pubblico utilizzo, provvisti di idonea segnaletica verticale e orizzontale e destinati di norma ad essere percorsi a piedi, sui quali generalmente gli escursionisti possono seguire un itinerario sicuro ed agevole, anche nelle zone alpine. I sentieri escursionistici possono attraversare anche terreni impervi ed in parte esposti”.

?  Provincia autonoma di Trento: la legge n. 8 del 1993, all’articolo 8, comma 1, lett. a), definisce sentieri alpini i percorsi escursionistici appositamente segnalati che consentono il passaggio in zone di montagna e conducono a rifugi, bivacchi o località di interesse alpinistico, naturalistico e ambientale.

?  Puglia: il regolamento n. 23 del 2007, attuativo della legge n. 21 del 2003 istitutiva della Rete escursionistica pugliese (R.E.P.), all’articolo 2, comma 4, lettera c), definisce sentiero un percorso formatosi per effetto del passaggio esclusivo o prevalente di pedoni, con fondo naturale, la cui larghezza è tale da permettere il passaggio di una sola persona per volta in uno dei due sensi di marcia (larghezza inferiore a 1,2 metri).

?  Umbria: l’articolo 75 del regolamento n. 7 del 2002 (attuativo della legge n. 28 del 2001 recante il Testo unico regionale per le foreste), definisce, nell’ambito della viabilità rurale e forestale, al comma 4, sentiero o mulattiera un tracciato non percorribile da automezzi o trattori, transitabile a piedi o con animali da soma.

?  Veneto: l’articolo 48-bis (Turismo di montagna) della legge n. 11 del 2013 definisce, al comma 2, lettera a), "sentieri alpini" i percorsi pedonali, appositamente segnalati, che consentono il movimento di escursionisti e di alpinisti in zone montane, al di fuori dei centri abitati, per l'accesso a rifugi, bivacchi fissi o luoghi di particolare interesse alpinistico, turistico, storico, naturalistico e ambientale.

 

   Il comma 3 rinvia all’emanazione di un decreto del Ministro per gli affari regionali e le autonomie, di concerto con il Ministro dell'interno, il Ministro del turismo e il Ministro dell'ambiente e della sicurezza energetica, da adottarsi entro 180 giorni dall'entrata in vigore della presente legge, previa intesa in sede di Conferenza Unificata, per l’individuazione dei criteri per l’individuazione e la classificazione dei percorsi escursionistici e i relativi codici di identificazione, avuto riguardo al grado di difficoltà del singolo percorso, nonché le modalità con cui sono fornite agli escursionisti tutte le informazioni necessarie per la loro fruizione in sicurezza anche mediante apposita segnaletica.

 

Si ricorda che, ai sensi dell’articolo 2 della legge 6 gennaio 1963, n. 91 (Riordinamento del Club alpino italiano), tra le numerose attività svolte dal Club alpino italiano, a favore sia dei propri soci sia di altri, nell'ambito delle facoltà previste dallo statuto, e con le modalità ivi stabilite, figurano il tracciamento, la realizzazione e la manutenzione di sentieri, opere alpine e attrezzature alpinistiche (lettera b)).

La realizzazione, e soprattutto la gestione di un sentiero, si attua attraverso una serie di attività di manutenzione ordinaria, quali lo sfalciamento della vegetazione, il taglio di rami (defrascamento), la rimozione di sassi pericolosi dal sedime (spietramento) e la verifica dello stato della segnaletica con relativa manutenzione[22]. Possono essere realizzate ulteriori attività di canalizzazione del deflusso delle acque piovane al fine di evitare smottamenti del fondo del sentiero. In sostanza, si tratta di una serie di attività volte a rendere quanto più agevole la percorrenza del sentiero, fermo restando la necessità per l’escursionista di verificare lo stato del sedime[23]. La manutenzione straordinaria del sentiero deve invece essere considerata di competenza dell’ente territoriale (comune o parco), in quanto conseguente ad eventi di dissesto idrogeologico, con conseguente ripristino del percorso che deve essere effettuato da ditte specializzate (bando o licitazione privata), in quanto il personale è necessariamente assoggettato alla normativa sulla sicurezza sul lavoro di cui al D. Lgs. n. del 2008 (quando, invece, nel caso del CAI si tratta di soci volontari). La gran parte delle leggi regionali sulla sentieristica fa riferimento - per quanto riguarda la segnaletica - ai criteri definiti dal CAI (pittogrammi bianco e rossi)[24]. Unica eccezione è rappresentata dalla Valle d’Aosta[25].

 

Nel 1991 il CAI aveva ha costituito la Commissione Centrale per l'Escursionismo (CCE), che aveva tra le specifiche funzioni tecniche assegnate, quella di favorire l'uniformità della segnaletica sul territorio nazionale e la conformità alle legislazioni nel campo dell'escursionismo. Nel 2015 su decisione del Consiglio Centrale del CAI è stata istituita la “Struttura Operativa Sentieri e Cartografia” (SOSEC), al fine di dare continuità e impulso alle azioni precedentemente portate avanti dai Gruppi di Lavoro Sentieri e Cartografia della CCE.

Manuale di riferimento è il quaderno del CAI “Pianificazione, segnalazione e manutenzione” del CAI, che contiene anche la classificazione dei sentieri (cfr infra).

A livello di normativa regionale il rinvio ai criteri per la segnaletica definiti dal CAI è presente in alcune leggi regionali relative alle singole reti escursionistiche: si tratta dell’Abruzzo (legge n. 42/2016, art. 3, co. 3), della Campania (legge n. 2/2017, art. 13, co. 1), della Lombardia (legge n. 5/2017, art. 6, co. 1) e delle Marche (legge n. 2/2010, art. 6). In altri casi il rinvio è stato definito con deliberazione della Giunta regionale: Liguria (deliberazione 16 settembre 2011, n. 1124), Emilia-Romagna (deliberazione 16 novembre 2009, n. 1841), Molise (deliberazione 23 maggio 2017, n. 185), Umbria (deliberazione 28 dicembre 2016, n. 1633), Basilicata (deliberazione 29 dicembre 2008, n. 2197), Piemonte (deliberazione 2 novembre 2016, n. 24-4149), Sardegna (da ultimo, deliberazione n. 5/23 del 23 febbraio 2024), Provincia autonoma di Trento (deliberazione n. 1154 del 1° agosto 2019) e Veneto (deliberazione n. 2 del 22 gennaio 2008).

 

La seguente classificazione di un sentiero è tratta dal quaderno del CAI n. 1, “Pianificazione, segnalazione e manutenzione” del CAI, 4^ edizione del 2010:

·         Sentiero turistico: itinerario di ambito locale su carrarecce, mulattiere o evidenti sentieri. Si sviluppa nelle immediate vicinanze di paesi, località turistiche, vie di comunicazione e riveste particolare interesse per passeggiate facili di tipo culturale o turistico-ricreativo. Nella scala di difficoltà CAI è classificato T - itinerario escursionistico-turistico.

·         Sentiero escursionistico: sentiero privo di difficoltà tecniche che corrisponde in gran parte a mulattiere realizzate per scopi agro-silvo-pastorali, militari o a sentieri di accesso a rifugi o di collegamento fra valli. È il tipo di sentiero maggiormente presente sul territorio e più frequentato e rappresenta il 75% degli itinerari dell’intera rete sentieristica organizzata. Nella scala delle difficoltà escursionistiche CAI è classificato E - itinerario escursionistico privo di difficoltà tecniche.

·         Sentiero alpinistico: sentiero che si sviluppa in zone impervie con passaggi che richiedono all’escursionista una buona conoscenza della montagna, tecnica di base e un equipaggiamento adeguato. Corrisponde generalmente a un itinerario di traversata nella montagna medio alta e può presentare dei tratti attrezzati – sentiero attrezzato - con infissi (funi corrimano e brevi scale) che però non snaturano la continuità del percorso. Nella scala di difficoltà CAI è classificato EE – itinerario per escursionisti esperti.

·         Via ferrata o attrezzata: itinerario che conduce l’alpinista su pareti rocciose o su aeree creste e cenge, preventivamente attrezzate con funi e/o scale senza le quali il procedere costituirebbe una vera e propria arrampicata. Richiede adeguata preparazione ed attrezzatura quale casco, imbrago e dissipatore. Nella scala di difficoltà CAI è classificato EEA - itinerario per escursionisti esperti con attrezzatura.

·         Sentiero storico: itinerario escursionistico che ripercorre “antiche vie” con finalità di stimolo alla conoscenza e valorizzazione storica dei luoghi visitati; generalmente non presenta difficoltà tecniche ed è classificato T oppure E.

·         Sentiero tematico: è un itinerario a tema prevalente (naturalistico, glaciologico, geologico, storico, religioso) di chiaro scopo didattico formativo. Usualmente attrezzato con apposita tabellatura e punti predisposti per l’osservazione, è comunemente adatto anche all’escursionista inesperto e si sviluppa in aree limitate e ben servite (entro Parchi o riserve). Generalmente è breve e privo di difficoltà tecniche - T oppure E.

 

La classificazione dei percorsi in base alle difficoltà in ambito escursionistico (e anche ciclo-escursionistico) è stata, da ultimo, approvata con deliberazione del Comitato Centrale di Indirizzo e Controllo (CCIC) del CAI n. 75 e n. 89 del 2021.

§  T- Turistico - Percorsi su carrarecce, mulattiere o evidenti sentieri che non pongono incertezze o problemi di orientamento, con modeste pendenze e dislivelli contenuti.

§  E – Escursionistico - Percorsi che rappresentano la maggior parte degli itinerari escursionistici, quindi tra i più vari per ambienti naturali. Si svolgono su mulattiere, sentieri e talvolta tracce; su terreno diverso per contesto geomorfologico e vegetazionale (es. pascoli, sottobosco, detriti, pietraie). Sono generalmente segnalati e possono presentare tratti ripidi. Si possono incontrare facili passaggi su roccia, non esposti, che necessitano l’utilizzo delle mani per l’equilibrio. Eventuali punti esposti sono in genere protetti. Possono attraversare zone pianeggianti o poco inclinate su neve residua.

§  EE - Escursionisti esperti - Percorsi quasi sempre segnalati che richiedono capacità di muoversi lungo sentieri e tracce su terreno impervio e/o infido (pendii ripidi e/o scivolosi di erba, roccette o detriti sassosi), spesso instabile e sconnesso. Possono presentare tratti esposti, traversi, cenge o tratti rocciosi con lievi difficoltà tecniche e/o attrezzati, mentre sono escluse le ferrate propriamente dette. Si sviluppano su pendenze medio?alte. Può essere necessario l’attraversamento di tratti su neve, mentre sono esclusi tutti i percorsi su ghiacciaio.

§  EEA - Escursionisti esperti con attrezzature - Per ferrata si intende un itinerario i cui tratti su roccia sono appositamente attrezzati con strutture metalliche: cavi, catene, scale, pediglie e staffe, che ne facilitano e consentono la progressione.
Prevedono l’uso dei dispositivi di protezione individuali certificati secondo le normative vigenti (imbragatura, kit da ferrata e casco) e una adeguata preparazione tecnica. Sono segnalate alla partenza da apposita tabella e rispettano precisi criteri costruttivi e normativi.

Seguono poi le classificazioni dei percorsi su via ferrata (EEA) e dei percorsi escursionistici in ambiente innevato (EAI).

 

Nel 2021 il CAI ha inoltre approvato una “classificazione dei percorsi montani accessibili con ausili” destinata alle persone con differenti disabilità (sensoriali, intellettive, relazionali e motorie): AT Accessibile Turisti; AE Accessibile Escursionisti; AEE Accessibile Escursionisti Esperti.

 

   Il comma 4 interviene in merito alla responsabilità dell’escursionista per danni cagionati a sé stesso nel corso dell’attività escursionistica. Nello specifico, il comma 4 precisa che, se un escursionista nella fruizione del percorso escursionistico commette per propria colpa un evento (un fatto colposo) in conseguenza del quale lo stesso escursionista cagiona dei danni, non può esserci responsabilità di “altri soggetti” per tali danni, essendo il tutto considerato “caso fortuito”.

Tale principio è rafforzato nel secondo periodo del comma 4, attraverso il richiamo all’articolo 1227 del Codice civile[26]. Al primo comma, l’art. 1227 prevede la diminuzione del risarcimento qualora il creditore abbia concorso – per sua colpa – a cagionare il danno; il secondo comma dell’art. 1227 esclude il risarcimento per i danni che il “creditore” avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza.

 

   Il comma 4 così formulato si limita sostanzialmente ad escludere la possibilità di citare in giudizio per un risarcimento il soggetto proprietario del percorso escursionistico o il soggetto a cui ne è eventualmente affidata la manutenzione per i danni che un escursionista cagiona a sé stesso nella fruizione del percorso escursionistico per un fatto colposo conseguente ad una mancanza di diligenza da parte dell’escursionista stesso. Un tipico caso può essere ravvisato in una frattura del piede conseguente ad un avvallamento del fondo (sedime) o ad una radice che l’escursionista non aveva notato. In questo caso si tratterebbe di un caso fortuito dovuto ad una distrazione o superficialità dell’escursionista.

 

Il Tribunale di Trento con la sentenza n. 889 del 26 settembre 2018, (confermata dalla Corte di Appello di Trento con sentenza n. 262 del 29 ottobre 2019), ha considerato che “le attività della SAT – Società Alpinisti Tridentini (emanazione del CAI nella Provincia di Trento) sono finalizzate alla facilitazione del percorso destinato alla pratica escursionistica e sportiva e i doveri attengono sicuramente al controllo della praticabilità del sentiero, alla posa di segnavia e segnaletica adatta, alla manutenzione del fondo e delle eventuali attrezzature atte a facilitare il percorso all’escursionista o alpinista e alla verifica delle buone condizioni di transito. Restano invece necessariamente fuori dalla “sfera di signoria del custode” le condizioni dell’ambiente circostante (la montagna), le cui dimensioni e caratteristiche intrinseche sono tali da sottrarsi al governo dell’uomo. Al custode possono invero essere addossati esclusivamente i rischi che dallo stesso possano essere effettivamente controllati”. Ha ritenuto che “il sinistro non si è verificato per una condizione del sentiero, e specificamente per uno stato di dissesto o erosione del sedime, per la presenza di ostacoli, o per altre cause intrinseche alla cosa oggetto della custodia, ma per effetto della caduta di alcuni sassi, probabilmente staccatisi da un punto non individuabile di creste rocciose sovrastanti. Ferma restando la non assimilabilità del sentiero montano ad una strada, per la quale i poteri e obblighi del soggetto gestore e custode si estendono, in base al Codice della strada, anche alla manutenzione delle pertinenze, va comunque osservato che nella fattispecie il distacco di massi non ha potuto provenire dal bordo del sentiero, che non presenta parete rocciosa, così da realizzarsi il nesso causale, bensì da una parte del territorio sensibilmente lontana dal sentiero stesso”.

Il giudice ha, inoltre ricordato che “la stessa legge provinciale afferma che l'esercizio dell'attività di controllo e manutenzione dei tracciati non escludono i rischi connessi alla frequentazione dell'ambiente montano (art. 8, co. 2, legge Provincia autonoma di Trento n. 8 del 1993), tra i quali sicuramente si iscrive quello del fenomeno del distacco e rotolamento di sassi e detriti di roccia di cui la montagna stessa è composta”.

 

Di avviso opposto la sentenza penale del Tribunale di Chieti del 20 luglio 2023 che ha condannato il sindaco del Comune di Fara San Martino (CH) e il vice-presidente del Parco Nazionale della Majella in relazione alla caduta di un sasso che ha colpito mortalmente una escursionista lungo il sentiero denominato “Gole di San Martino”, in quanto – sebbene negli anni precedenti si fossero verificati distacchi di materiale roccioso, con conseguenti ordinanze di chiusura del transito e relative operazioni di “ripulitura e disgaggio” delle pareti rocciose da sassi pericolanti – non erano stati tuttavia posizionati appositi cartelli recanti la segnalazione di possibili cadute di sassi lungo le Gole.

 

 

Il comma 5 stabilisce che le disposizioni del presente articolo si applicano, in quanto compatibili, anche alle strade poderali (definite dall'articolo 3, comma 1, n. 52, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 “strada privata fuori dai centri abitati ad uso pubblico”) site nei comuni montani.

 

Considerando che il comma 1 promuove la fruizione consapevole e informata dei percorsi escursionistici, che il comma 2 reca la definizione di percorso escursionistico e che il comma 3 rinvia ad un decreto ministeriale per l’individuazione dei criteri per la classificazione dei percorsi escursionistici e dei relativi codici di identificazione (grado di difficoltà, informazioni, segnaletica), sembrerebbe che la disposizione di cui al comma 5 possa essere riferita a quanto contenuto al comma 4, più che al contenuto dell’intero articolo.


 

Articolo 19
(Finalità)

 

 

L’articolo 19 individua le finalità del Capo V del provvedimento in esame, rubricato “Sviluppo economico”, stabilendo che le disposizioni in esso contenute hanno il fine di favorire lo sviluppo economico e sociale, il turismo, l’occupazione e il ripopolamento delle zone montane.

Viene poi specificato che le misure di sostegno di cui al Capo V sono erogate in conformità alla disciplina europea degli aiuti di Stato.

 

Più in dettaglio, il comma 1 stabilisce che le misure del Capo V sono volte alla realizzazione, anche sul piano fiscale, delle finalità di cui all’articolo 1 del provvedimento in esame, al fine di favorire lo sviluppo economico e sociale, il turismo, l'occupazione e il ripopolamento delle zone montane, anche in considerazione della condizione peculiare dei lavoratori frontalieri e delle professioni della montagna (di cui al successivo articolo 20), presenti nelle zone di confine del territorio nazionale.

 

L’articolo 1, comma 2, del disegno di legge in esame riconosce e promuove le zone montane al fine di favorire processi di sviluppo coerenti con le caratteristiche  e le peculiarità di tali zone, limitando gli squilibri economici e sociali rispetto ai territori non montani, di favorirne il ripopolamento, di garantire a coloro che vi risiedono l'effettivo esercizio dei diritti civili e sociali e l'agevole accesso ai servizi pubblici essenziali, in particolare nei settori della sanità, dell’istruzione, della formazione superiore, della cultura, della connessione e della mobilità, anche mediante strumenti e servizi di facilitazione e semplificazione per favorire l’accessibilità degli stessi per le persone con disabilità, nonché di promuovere, in maniera sostenibile, l'agricoltura e la gestione forestale, l'industria, il commercio, l'artigianato e il turismo, nonché di tutelare e valorizzare il patrimonio culturale montano, anche mediante misure finalizzate alla riduzione di consumo di nuovo suolo in coerenza con le direttive adottate in materia dall’Unione europea e alla promozione della rigenerazione urbana.

 

Le finalità sono perseguite in attuazione dei seguenti articoli della Costituzione e, in particolare:

-       l’articolo 2, a norma del quale la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale;

-       l’articolo 3, secondo comma, ai sensi del quale è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese;

-       l’articolo 119, quinto comma, ai sensi del quale le risorse derivanti dalle fonti di finanziamento degli enti territoriali (stabilite dai primi quattro commi dell’articolo 119) consentono ai Comuni, alle Province, alle Città metropolitane e alle Regioni di finanziare integralmente le funzioni pubbliche loro attribuite.

 

Il comma 2 reca una clausola di salvaguardia europea, chiarendo che le misure di sostegno di cui al Capo V sono erogate in conformità agli articoli 107 e 108 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, che disciplinano la concessione degli aiuti di Stato (si veda la scheda sull’art. 4, comma 7).


 

Articolo 20
(Professioni della montagna)

 

 

L’articolo 20 reca, al comma 1, una norma di principio finalizzata a riconoscere le professioni della montagna quali presìdi per la conservazione e la valorizzazione del patrimonio materiale e immateriale delle zone montane. Il comma 2 stabilisce che la SMI può individuare ulteriori professioni di montagna, rispetto a quelle già previste dalla normativa vigente.

 

Ferme restando, dunque, le professioni di guida alpina, aspirante guida alpina, accompagnatore di media montagna e guida vulcanologica (disciplinate dalla legge 2 gennaio 1989, n. 6), e di maestro di sci (disciplinata dalla legge 8 marzo 1991, n. 81), nonché la professione di gestore di rifugio (disciplinata da leggi regionali), la Strategia nazionale per la montagna (SMI) può individuare ulteriori professioni di montagna, ai fini della previsione, in armonia con le potestà legislative regionali, di specifiche misure per la valorizzazione e la tutela delle professioni della montagna esercitate nelle zone montane.

 

In base alla normativa vigente, sono considerate “professioni della montagna” quelle di guida alpina e di maestro di sci, disciplinate, rispettivamente, dalla legge 2 gennaio 1989, n. 6 e dalla legge 8 marzo 1991, n. 81.

In entrambi i casi di tratta di due leggi quadro che definiscono i principi fondamentali per la legislazione delle regioni in materia di ordinamento di tali professioni, prevedendo la costituzione di organi di autodisciplina e di autogoverno (Collegio nazionale e Collegi regionali). L’esercizio della professione è subordinata all’iscrizione in appositi albi professionali regionali tenuti, sotto la vigilanza della regione, dal rispettivo collegio regionale, dopo aver conseguito l’abilitazione attraverso la frequentazione di appositi corsi e il superamento degli esami finali.

La vigilanza sui rispettivi Collegi nazionali è attualmente esercitata dal Ministero del Turismo nei confronti delle guide alpine (art. 15, co. 8, legge n. 6/1989) e dal Dipartimento per lo Sport della Presidenza del Consiglio dei ministri per quanto riguarda i maestri di sci[27].

La professione di guida alpina (nel caso della Campania e della Sicilia anche guida vulcanologica) è disciplinata dalle seguenti leggi regionali:

-       Abruzzo: legge 16 settembre 1998, n. 86;

-       Campania: legge 16 marzo 1986, n. 11;

-       Emilia Romagna: legge 1° febbraio 1994, n. 3;

-       Friuli Venezia Giulia: legge 16 gennaio 2002, n. 2;

-       Liguria: legge 17 dicembre 2012, n. 44;

-       Lombardia: legge: 1° ottobre 2014, n. 26;

-       Marche: legge 23 gennaio 1996, n. 4, titolo IV;

-       Piemonte: legge 29 settembre 1994, n. 41;

-       P.A. Bolzano: legge 13 dicembre 1991, n. 33;

-       P.A. Trento: legge 23 agosto 1993, n. 20;

-       Sicilia: legge 6 aprile 1996, n. 28;

-       Toscana: legge 20 dicembre 2016, n. 86, artt. 145-157;

-       Valle d’Aosta: legge 7 marzo 1997, n. 7;

-       Veneto: legge 3 gennaio 2005, n. 1.

La Regione Lazio con la legge n. 3 del 2007 ha disciplinato la professione di accompagnatore di media montagna (figura prevista dalla legge n. 6 del 1989), ma non quella di guida alpina. Le guide alpine laziali sono iscritte al Collegio regionale delle guide alpine dell’Abruzzo.

La professione di maestro di sci è disciplinata dalle seguenti leggi regionali:

-       Abruzzo: legge 31 luglio 2012, n. 39;

-       Calabria: regolamento 2 dicembre 2010, n. 18;

-       Campania: legge 23 febbraio 2912, n. 4;

-       Emilia Romagna: legge 9 dicembre 1993, n.42;

-       Friuli Venezia Giulia: legge 16 gennaio 2002, n. 2;

-       Lazio: legge 14 giugno 1996, n. 21;

-       Liguria: legge 7 ottobre 2009, n. 40;

-       Lombardia: legge: 1° ottobre 2014, n. 26;

-       Marche: legge 23 gennaio 1996, n. 4, titolo III;

-       Molise: legge 8 gennaio 1996, n. 1;

-       Piemonte: legge 23 novembre 1992, n. 50;

-       P.A. Bolzano: legge 19 febbraio 2001, n. 5;

-       P.A. Trento: legge 23 agosto 1993, n. 20;

-       Sicilia:       legge 23 marzo 2010, n. 7;

-       Toscana: legge 20 dicembre 2016, n. 86, artt. 131-144;

-       Valle d’Aosta: legge 31 dicembre 1999, n. 44;

-       Veneto: legge 3 gennaio 2005, n. 2.

 

Nella categoria delle “professioni della montagna”, sono infine, ricompresi anche i c.d. gestore di rifugio alpino, (detti anche rifugisti), anch’essi eventualmente disciplinati dalle normative regionali.

-       PIEMONTE - Delibera del Presidente della Giunta regionale 11 marzo 2011, n. 1/R Regolamento regionale recante: “Requisiti e modalità per l'attività di gestione delle strutture ricettive alpinistiche”. Art. 2 e 3.

-       VALLE D’AOSTA - Legge regionale 20 aprile 2004, n. 4. Interventi per lo sviluppo alpinistico ed escursionistico e disciplina della professione di gestore di rifugio alpino.

-       LOMBARDIA - Legge regionale 1° ottobre 2015, n. 27. Politiche regionali in materia di turismo e attrattività del territorio lombardo. Articoli 33. Gestori dei rifugi.

-       PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO – D.P.P 20 ottobre 2008, n. 47-154/Leg Approvazione del regolamento di esecuzione della legge provinciale 15 marzo 1993, n. 8 «Ordinamento dei rifugi alpini, bivacchi, sentieri e vie ferrate» - Art. 5 - Requisiti soggettivi del gestore del rifugio alpino.

-       MARCHE - Legge regionale 11 luglio 2006, n. 9. Testo unico delle norme regionali in materia di turismo. Art. 25. Rifugi alpini, escursionistici e bivacchi fissi.

-       ABRUZZO - Legge regionale 14 febbraio 2023, n. 10, Disciplina del sistema turistico regionale. Art. 49. Gestione dei rifugi e requisiti del gestore.

 

Si segnala che alcune regioni, nell’ambito della propria normativa sul turismo e sulle professioni turistiche, hanno previsto le figure di guida ambientale, di guida escursionistica ambientale, di guida escursionistica naturalistica, di maestro di mountain bike e di ciclismo fuoristrada.


 

Articolo 21
(Misure fiscali a favore delle imprese montane esercitate da giovani)

 

 

L’articolo 21, come modificato in sede referente, riconosce un contributo sotto forma di credito d’imposta alle piccole imprese e alle microimprese che esercitano la propria attività nei comuni montani e i cui titolari non abbiano compiuto il 41° anno di età, ovvero alle società e alle cooperative i cui soci che, per più del 50%, non abbiano compiuto il 41° anno di età ovvero il cui capitale sociale sia detenuto per più del 50% da persone fisiche che non abbiano compiuto il 41° anno di età. Il meccanismo di calcolo del credito d’imposta è diverso nei casi in cui nei territori dei comuni montani di cui all'articolo 2, comma 2, con popolazione non superiore a 5.000 abitanti, insista una minoranza linguistica storica i cui appartenenti rappresentino almeno il 15% dei residenti.

 

Nel dettaglio, il comma 1, come modificato in sede referente, riconosce un contributo, sotto forma di credito d’imposta, alle piccole imprese e microimprese le quali, a decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge, abbiano intrapreso una nuova attività nei comuni montani (di cui all’articolo 2, comma 2), il cui titolare, alla data di avvio dell’attività stessa non abbia compiuto il 41° anno di età, nonché alle società ed alle cooperative che abbiano intrapreso nel medesimo periodo una nuova attività nei comuni di cui all'articolo 2, comma 2, ed i cui soci siano per più del 50% persone fisiche che alla data di avvio dell'attività non abbiano compiuto il 41° anno di età ovvero il cui capitale sociale sia detenuto per più del 50% da persone fisiche che alla stessa data non abbiano compiuto il 41° anno di età, per il periodo d’imposta nel corso del quale la nuova attività è intrapresa e per i due periodi d’imposta successivi.

Per la definizione di piccole imprese e microimprese, la disposizione rinvia alla raccomandazione 2003/CE della Commissione, del 6 maggio 2003.

 

Ai sensi dell’articolo 2 di tale raccomandazione, la categoria delle microimprese delle piccole imprese e delle medie imprese (PMI) è costituita da imprese che occupano meno di 250 persone, il cui fatturato annuo non supera i 50 milioni di euro oppure il cui totale di bilancio annuo non supera i 43 milioni di euro (par. 1). Nella categoria delle PMI si definisce piccola impresa un'impresa che occupa meno di 50 persone e realizza un fatturato annuo o un totale di bilancio annuo non superiori a 10 milioni di euro (par. 2). Nella categoria delle PMI si definisce microimpresa un'impresa che occupa meno di 10 persone e realizza un fatturato annuo oppure un totale di bilancio annuo non superiori a 2 milioni di EUR (par. 3).

 

Il credito d’imposta è utilizzabile esclusivamente in compensazione ai sensi dell’articolo 17 del decreto legislativo n. 241 del 1997, in misura pari alla differenza tra l’imposta calcolata applicando le aliquote ordinarie al reddito derivante dallo svolgimento della predetta attività nei citati comuni, determinato nei modi ordinari e fino a concorrenza dell’importo di 100.000 euro, e l’imposta calcolata applicando al medesimo reddito l’aliquota del 15 per cento.

Il credito d’imposta è concesso nel limite complessivo di 20 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2025.

Non si applicano i limiti di cui all’articolo 1, comma 53 (limite annuale pari a 250.000 euro per i crediti d'imposta da indicare nel quadro RU della dichiarazione dei redditi), della legge finanziaria 2008 (legge n. 244 del 2007), e di cui all’articolo 34 (limite di 2 milioni di euro) della legge finanziaria 2001 (legge n. 388 del 2000).

Al relativo onere si provvede facendo rinvio all’articolo 29 della presente legge.

 

Ai sensi del comma 2, inserito in sede referente, nei casi in cui nei territori dei comuni montani di cui all'articolo 2, comma 2, con popolazione non superiore a 5.000 abitanti, insista una delle minoranze linguistiche storiche di cui alla legge n. 482 del 1999, e i cui appartenenti rappresentino almeno il 15% dei residenti, il credito d'imposta di cui al comma 1 è riconosciuto in misura pari alla differenza tra l'imposta calcolata applicando le aliquote ordinarie al reddito derivante dallo svolgimento dell'attività di cui al medesimo comma 1 nei citati comuni, determinato nei modi ordinari e fino a concorrenza dell'importo di 150.000 euro, e l'imposta calcolata applicando al medesimo reddito l'aliquota del 15%, fermo restando il limite complessivo di cui al secondo periodo del comma 1.

 

Ai sensi della predetta legge n. 482 del 1989, in attuazione dell'articolo 6 della Costituzione e in armonia con i princìpi generali stabiliti dagli organismi europei e internazionali, la Repubblica tutela la lingua e la cultura delle popolazioni albanesi, catalane, germaniche, greche, slovene e croate e di quelle parlanti il francese, il franco-provenzale, il friulano, il ladino, l'occitano e il sardo.

 

Il comma 3 precisa che l’agevolazione si applica nel rispetto dei limiti e delle condizioni di cui al regolamento (UE) 2023/2831 della Commissione, del 13 dicembre 2023, relativo all’applicazione de gli articoli 107 e 108 del TFUE agli aiuti «de minimis», del regolamento (UE) n. 1408/2013 della Commissione, del 18 dicembre 2013, relativo all’applicazione degli articoli 107 e 108 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE) agli aiuti «de minimis» nel settore agricolo, al rego­lamento (UE) n. 717/2014 della Commis­sione, del 27 giugno 2014, relativo all’applicazione degli articoli 107 e 108 del TFUE agli aiuti «de minimis» nel settore della pesca e dell’acquacoltura.

 

Per un’illustrazione sintetica di tale normativa europea, si rinvia alla scheda dell’articolo 16.

 

Per la determinazione dei criteri e delle modalità di concessione del credito d’imposta di cui ai commi 1 e 2, anche con riferimento all’accertamento del requisito anagrafico e ai fini del rispetto del limite di spesa ivi previsti, nonché per le disposizioni relative ai controlli e al recupero del beneficio indebitamente fruito, il comma 4 rinvia a un decreto del Ministro delle imprese e del made in Italy da emanare di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, il Ministro per gli affari regionali e le autonomie e il Ministro per lo sport e i giovani, sentiti il Ministro dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste e il Ministro del turismo.


 

Articolo 22
(Agevolazione lavoro agile nei comuni montani
con meno di 5.000 abitanti)

 

 

L’articolo 22, come modificato al Senato, al fine di agevolare lo svolgimento del lavoro agile nei piccoli comuni montani ed il ripopolamento degli stessi, riconosce – entro determinati limiti di spesa - uno sgravio contributivo per gli anni dal 2026 al 2030 in favore dei datori di lavoro per ciascun lavoratore dipendente a tempo indeterminato che non abbia compiuto il quarantunesimo anno di età e che svolga stabilmente la prestazione lavorativa in modalità di lavoro agile in un comune montano con popolazione inferiore a 5.000 abitanti, a condizione che lo stesso lavoratore stabilisca, anche a seguito di trasferimento, in tale comune l’abitazione principale e il domicilio stabile.

 

In seguito alla modifica apportata al Senato - con cui il riferimento ai primi cinque esercizi, decorrenti dall’anno successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore del presente disegno di legge, è stato sostituito con quello alle annualità dal 2026 al 2030 - la misura del suddetto esonero, rimodulata in base alle diverse annualità di fruizione, è pari (comma 1):

§  per gli anni 2026 e 2027, al 100 per cento dei contributi previdenziali dovuti (esclusi i premi e i contributi dovuti all’INAIL), nel limite massimo di importo pari a 8.000 euro su base annua, riparametrato e applicato su base mensile per ciascun lavoratore;

§  per gli anni 2028 e 2029, al 50 per cento dei contributi previdenziali dovuti (esclusi i premi e i contributi dovuti all’INAIL), nel limite massimo di importo pari a 4.000 euro su base annua, riparametrato e applicato su base mensile per ciascun lavoratore;

§  per l’anno 2030, al 20 per cento dei contributi previdenziali dovuti (esclusi i premi e i contributi dovuti all’INAIL), nel limite massimo di importo pari a 1.600 euro su base annua, riparametrato e applicato su base mensile per ciascun lavoratore.

Resta ferma l’aliquota di computo delle prestazioni pensionistiche.

 

Come anticipato, l’esonero in questione è riconosciuto per ciascun lavoratore con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato:

§  che non abbia compiuto il quarantunesimo anno di età alla data di entrata in vigore del presente disegno di legge;

§  che svolga stabilmente la prestazione lavorativa in modalità di lavoro agile (disciplinato dalla L. 81/2017) in uno dei comuni montani individuati con apposito DPCM (cfr. ante la scheda di lettura su art. 2, c. 2) con popolazione inferiore a 5.000 abitanti;

§  che trasferisca la propria abitazione principale e domicilio stabile da un comune non montano al medesimo comune montano. Si valuti l’opportunità di specificare la nozione di abitazione principale, anche alla luce del fatto che ai fini fiscali esistono definizioni parallele di cui all’art. 1, c. 741, della L. 160/2019, che, ai fini IMU, comprende nella nozione anche il requisito della residenza anagrafica, e all’art 10, c. 3-bis, del D.P.R. 917/1986 che invece, ai fini Irpef, non menziona tale requisito[28].

 

La definizione dei criteri e delle modalità per la concessione dell’agevolazione in esame, anche ai fini del rispetto del limite di spesa fissato (vedi infra) - è demandata ad apposito decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con i Ministri dell’economia e delle finanze, delle imprese e del made in Italy e per gli affari regionali e le autonomie, previa intesa in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, da adottare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente disegno di legge. Il medesimo decreto definisce altresì i meccanismi di monitoraggio del beneficio, da realizzarsi con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente (comma 2).

 

L’agevolazione di cui al presente articolo 22 – che si applica nel rispetto della normativa europea in materia di aiuti de minimis[29] (comma 3) – è concessa nei seguenti limiti massimi, come modificati al Senato conseguentemente alla suddetta sostituzione del riferimento agli esercizi finanziari con quello alle annualità dal 2026 al 2030: 18,5 milioni di euro nell’anno 2026, di 21,8 milioni di euro nell’anno 2027, di 12,5 milioni di euro nell’anno 2028, di 10,9 milioni di euro nell’anno 2029, di 5,4 milioni di euro nell’anno 2030, di 0,7 milioni di euro nell’anno 2031 e non è cumulabile con l’agevolazione a regime di cui godono i territori montani particolarmente svantaggiati, consistente nella riduzione nella misura del 75 per cento dei contributi a carico dei datori di lavoro (ex art. 1, c. 45, L. 220/2010) (comma 4).

Ai suddetti oneri e alle minori entrate tributarie derivanti dal presente articolo - valutate in 0,6 milioni di euro per l’anno 2032 e in 0,1 milioni di euro per l’anno 2033 - si provvede:

§  quanto a 7,2 milioni di euro per l’anno 2027, 5,5 milioni di euro per l’anno 2028, 1,4 milioni di euro per l’anno 2029, 2,2 milioni di euro per l’anno 2030 e a 0,4 milioni di euro per l’anno 2031 mediante le maggiori entrate tributarie derivanti dal presente articolo;

§  quanto a 18,5 milioni di euro per l’anno 2026, 14,6 milioni di euro per l’anno 2027, 7,0 milioni di euro per l’anno 2028, 9,5 milioni di euro per l’anno 2029, 3,2 milioni di euro per l’anno 2030, 0,3 milioni di euro per l’anno 2031, 0,6 milioni di euro per l’anno 2032 e a 0,1 milioni di euro per l’anno 2033 ai sensi dell’articolo 29.

L’onere e la relativa copertura sono rappresentati nella successiva tabella.

 

22, co. 4 - Lavoro agile

2026

2027

2028

2029

Agevolazione (tetto)

18,5

21,8

12,5

10,9

Maggiori spese

18,5

21,8

12,5

10,9

Minori entrate tributarie

-

-

-

-

Onere totale

18,5

21,8

12,5

10,9

Copertura onere

 

 

 

 

Maggiori entrate tributarie da lavoro agile

-

7,2

5,5

1,4

Art. 30

18,5

14,6

7,0

9,5

Totale copertura

18,5

21,8

12,5

10,9

 

 

22, co. 4 - Lavoro agile

2030

2031

2032

2033

Agevolazione (tetto)

5,4

0,7

-

-

Maggiori spese

5,4

0,7

-

-

Minori entrate tributarie

-

-

0,6

0,1

Onere totale

5,4

0,7

0,6

0,1

Copertura onere

 

 

 

 

Maggiori entrate tributarie da lavoro agile

2,2

0,4

-

-

Art. 30

3,2

0,3

0.6

0,1

Totale copertura

5,4

0,7

0,6

0,1

 


 

Articolo 23
(Agevolazione per l’acquisto e la ristrutturazione di abitazioni principali in montagna)

 

 

L’articolo 23 introduce una specifica agevolazione fiscale, sotto forma di credito d’imposta, nel caso di mutuo contratto da un contribuente che non ha compiuto il quarantunesimo anno di età per l’acquisto o la ristrutturazione edilizia di un immobile da destinare ad abitazione principale in comuni montani.

 

La norma in esame, al comma 1, riconosce una agevolazione fiscale, sotto forma di credito d’imposta, alle persone fisiche per l’acquisto e la ristrutturazione di abitazioni principali in montagna.

In particolare, la norma prevede che alle persone fisiche che stipulano un finanziamento ipotecario o fondiario, comunque denominato, per l’acquisto o la ristrutturazione edilizia dell'unità immobiliare da adibire ad abitazione principale, ivi compresi i fabbricati rurali ad uso abitativo (inciso introdotto a seguito di un emendamento approvato in sede parlamentare), situata in uno dei comuni di cui all'articolo 2, comma 2, della legge in esame (alla cui scheda di lettura si rimanda), spetta, per il periodo d'imposta nel corso del quale è acceso il finanziamento e per i quattro periodi d'imposta successivi, nei limiti delle risorse disponibili, un credito d'imposta commisurato all’ammontare degli interessi passivi dovuti sul finanziamento stesso.

 

Il comma 2 delimita il perimetro dell’agevolazione prevedendo un limite massimo di età per il contribuente che intende avvalersi della misura e l’esclusione di alcune tipologie di immobili.

Nello specifico, la disposizione stabilisce che il credito d’imposta di cui al comma 1 è riconosciuto ai contribuenti che non hanno compiuto il quarantunesimo anno di età nell'anno in cui è acceso il mutuo e spetta soltanto in relazione ad immobili diversi da quelli classificati nelle categorie catastali A/1, A/8 e A/9 (rispettivamente: abitazioni di tipo signorile, ville, castelli, palazzi di eminente pregio artistico o storico).

 

Il comma 3 indica la non cumulabilità della detrazione introdotta dall’articolo in esame con altre agevolazioni. In particolare la norma prevede che il credito d’imposta di cui al comma 1, utilizzabile nella dichiarazione dei redditi, non è cumulabile con i crediti d’imposta previsti dagli articoli 6, commi 2, 3 e 4, e 7, commi 5, 6 e 7 della presente legge (si vedano le relative schede di lettura) e con la detrazione spettante ai sensi dell'articolo 15, comma 1, lettera b), del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917.

 

Si ricorda, a tale proposito, che l'articolo 15, comma 1, lettera b), del testo unico delle imposte sui redditi, prevede che dall'imposta lorda si detrae un importo pari al 19 per cento degli interessi passivi, e dei relativi oneri accessori, nonché le quote di rivalutazione dipendenti da clausole di indicizzazione pagati a soggetti residenti nel territorio dello Stato o di uno Stato membro della Comunità europea ovvero a stabili organizzazioni nel territorio dello Stato di soggetti non residenti in dipendenza di mutui garantiti da ipoteca su immobili contratti per l'acquisto dell’unità immobiliare da adibire ad abitazione principale entro un anno dall'acquisto stesso, per un importo non superiore a 4.000 euro.

 

Il comma 4 chiarisce la tempistica dell’applicazione della misura in esame, stabilendo che le disposizioni del presente articolo si applicano ai finanziamenti contratti successivamente alla data di entrata in vigore della presente legge.

 

Il comma 5 specifica che il credito d’imposta è riconosciuto, a decorrere dal 2025, nel limite complessivo di spesa di 16 milioni di euro annui.

 

Il comma 6 affida a un decreto del Ministro per gli affari regionali e le autonomie, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, da adottare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, il compito di definire:

§  i criteri e le modalità di concessione del credito d'imposta di cui al comma 1, anche ai fini del rispetto del limite di spesa previsto dal comma 5;

§  le disposizioni relative ai controlli e al recupero del beneficio indebitamente fruito.

 

Il comma 7 provvede alla copertura finanziaria disponendo che agli oneri derivanti dal presente articolo, pari a 16 milioni di euro annui a decorrere dal 2025, si provvede ai sensi dell’articolo 30 (alla cui scheda di lettura si rimanda).


 

Articolo 24
(Agevolazioni tariffarie)

 

 

L'articolo 24, introdotto dal Senato, al fine di favorire l'incremento della popolazione residente nei piccoli comuni delle zone montane con popolazione non superiore a 5.000 abitanti e soggetti ad un costante decremento demografico, istituisce un Tavolo presso il Ministero dell'economia e delle finanze con l'obiettivo di definire le modalità di riduzione delle tariffe per l'erogazione di energia elettrica, gas e acqua. Si precisa che al Tavolo parteciperanno i rappresentanti dei Comuni ed i rappresentanti delle imprese che erogano i servizi di energia elettrica, gas e acqua. Le tariffe sono commisurate al nucleo familiare trasferito ed al reddito familiare.

Si prenderanno in considerazione i piccoli comuni delle zone montane con popolazione non superiore a 5.000 abitanti soggetti ad un costante decremento demografico rilevato dall'Istat nel corso degli ultimi tre censimenti generali della popolazione.

Si precisa che per la partecipazione al Tavolo non spettano compensi, gettoni di presenza, rimborsi di spese o altri emolumenti comunque denominati.

 

Si ricorda che l’art. 2 del presente provvedimento disciplina la classificazione dei comuni montani, prevedendo che con DPCM siano definiti i criteri per la classificazione, come montani, dei comuni, dando prevalente rilievo ai parametri altimetrico e della pendenza. Il medesimo DPCM definisce contestualmente l’elenco dei comuni montani.


 

Articolo 25
(Incentivi per la natalità nei comuni montani)

 

 

L’articolo 25, inserito nel corso dell’esame al Senato, al fine di contrastare lo spopolamento nei comuni montani con popolazione non superiore a 5000 abitanti, prevede un incentivo per ogni figlio nato o adottato e iscritto all'anagrafe di uno dei predetti comuni successivamente all'entrata in vigore della presente legge.

In particolare, è riconosciuto a decorrere dall'anno 2025, entro il limite complessivo di 5 milioni di euro annui, un contributo una tantum il cui importo è determinato con decreto del Ministro per la famiglia, la natalità e le pari opportunità, adottato entro sei mesi dall'entrata in vigore della presente legge, di concerto con i Ministri dell'economia e delle finanze e del Dipartimento per gli affari regionali e le autonomie.

Con il medesimo decreto sono altresì stabiliti criteri, parametri e modalità per la concessione del beneficio, ivi compresi i requisiti di residenza del minore, nonché i relativi meccanismi di monitoraggio, da realizzare con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.

Al relativo onere si provvede ai sensi dell'articolo 30 del presente disegno di legge.

Nel valore del contributo una tantum di cui al presente articolo, non rilevano le erogazioni relative all'assegno unico e universale.

 

L’articolo 25, inserito nel corso dell’esame al Senato, al fine di contrastare lo spopolamento nei comuni montani con popolazione non superiore a 5000 abitanti, prevede un incentivo per ogni figlio nato o adottato e iscritto all'anagrafe di uno dei predetti comuni successivamente all'entrata in vigore della presente legge.

In particolare, è riconosciuto a decorrere dall'anno 2025, entro il limite complessivo di 5 milioni di euro annui, un contributo una tantum il cui importo è determinato con decreto del Ministro per la famiglia, la natalità e le pari opportunità, adottato entro sei mesi dall'entrata in vigore della presente legge, di concerto con i Ministri dell'economia e delle finanze e del Dipartimento per gli affari regionali e le autonomie.

Con il medesimo decreto sono altresì stabiliti criteri, parametri e modalità per la concessione del beneficio, ivi compresi i requisiti di residenza del minore, nonché i relativi meccanismi di monitoraggio, da realizzare con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.

Al relativo onere si provvede ai sensi dell'articolo 30 del presente disegno di legge.

Nel valore del contributo una tantum di cui al presente articolo, non rilevano le erogazioni relative all'assegno unico e universale.

 

In proposito si valuti l’opportunità di chiarire espressamente se tale ultima previsione intenda sancire la cumulabilità dell’erogazione di cui all’articolo in commento con quella dell’assegno unico ed universale.

 

In merito alla classificazione dei comuni montani, si veda ante scheda articolo 2, comma 1, rubricato Classificazione dei comuni montani. Il comma in oggetto prevede che, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, siano definiti i criteri per la classificazione dei comuni montani in base ai parametri altimetrico e della pendenza, nonché per la predisposizione di uno o più elenchi dei comuni montani. L’elenco deve poi essere aggiornato dall’ISTAT, entro il 30 settembre di ogni anno e con efficacia a decorrere dal 1°gennaio dell’anno successivo.

 

Con riguardo alla disposizione in oggetto, si precisa che la stessa rientra tra le norme di cui al Capo V (artt. 19-26) del presente disegno di legge che, a vario titolo, riguarda lo “Sviluppo economico” nelle zone montane.

 

L’Assegno unico universale è previsto dal Decreto legislativo n. 230 del 2021[30] e l’erogazione ha avuto inizio nel marzo 2022, quale beneficio economico attribuito su base mensile ai nuclei familiari in base all'indicatore della situazione economica equivalente (ISEE)[31].

Poiché si tratta di una misura universale, l'assegno unico può essere richiesto anche in assenza di ISEE o con ISEE superiore alla soglia di 45.574,96 euro. In tal caso saranno corrisposti gli importi minimi previsti dalla normativa.

Con l'entrata in vigore dell'AUU, sono state abrogate in quanto assorbite dall'Assegno, le seguenti misure di sostegno alla natalità:

·         il premio alla nascita o all'adozione (Bonus mamma domani);

·         l'assegno ai nuclei familiari con almeno tre figli minori;

·         gli assegni familiari ai nuclei familiari con figli e orfani;

·         l'assegno di natalità (cd. Bonus bebè);

·         le detrazioni fiscali per figli fino a 21 anni.

L'Assegno unico invece non assorbe né limita gli importi del bonus asilo nido ed è compatibile con la fruizione di eventuali altre misure in denaro a favore dei figli a carico erogate dalle Regioni, dalle Province autonome di Trento e di Bolzano e dagli enti locali.

Circa la consistenza dell'assegno e le modalità per l'attribuzione della misura su base mensile, si evidenzia che l'importo dell'Assegno viene determinato in base all'ISEE eventualmente presentato del nucleo familiare del figlio beneficiario, tenuto conto dell'età dei figli a carico e di numerosi altri elementi.

In particolare, è prevista:

·         una quota variabile progressiva (da un massimo di 199,4 euro per ciascun figlio minore con ISEE fino a 17.090,61 euro a un minimo di 57 euro per ciascun figlio minore in assenza di ISEE o con ISEE pari o superiore a 45.574,96 euro).

·         gli importi dovuti per ciascun figlio possono essere maggiorati nelle ipotesi di:

o    nuclei numerosi (per i figli successivi al secondo);

o    madri di età inferiore a 21 anni;

o    nuclei con quattro o più figli, genitori entrambi titolari di reddito da lavoro;

o    figli affetti da disabilità;

o    figli di età inferiore a un anno;

o    figli di età compresa tra 1 e 3 anni per nuclei con tre o più figli e ISEE fino a 45.574,96 euro;

o    una quota a titolo di maggiorazione per compensare l'eventuale perdita economica subita dal nucleo familiare, se l'importo dell'Assegno risultasse inferiore alla somma dei valori teorici dell'Assegno per il Nucleo Familiare (componente familiare) e delle detrazioni fiscali medie (componente fiscale), percepite nel regime precedente la riforma.

 

Da ultimo, si ricorda che, in materia di assegno unico universale, la Commissione europea ha deferito l'Italia alla Corte di Giustizia per violazione del diritto europeo. In particolare, le ragioni avanzate dalla Commissione riguardano il criterio della residenzialità, nonché il requisito della convivenza (nella suddetta sede di residenza) del figlio a carico, previsti dal D.lgs. n. 230 del 2021 per determinare i beneficiari della misura. Tali requisiti si porrebbero, secondo la Commissione, in presunta violazione del Regolamento (CE) n. 883/2004, (Relativo al coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale),che vieta qualsiasi requisito di residenza ai fini della percezione di prestazioni di sicurezza sociale, quali gli assegni familiari.

 

Per quanto riguarda le risorse necessarie all'erogazione dell'AUU, si ricorda che gli oneri inizialmente previsti dall'art. 6, comma 8 del D. Lgs. n. 230 del 2021 per il riconoscimento dell'assegno, sono stati valutati in 14.219,5 milioni di euro per il 2022; 18.222,2 milioni di euro per il 2023; 18.694,6 milioni di euro per il 2024; 18.914,8 milioni di euro per il 2025; 19.201,0 milioni di euro per il 2026; 19.316,0 milioni di euro per il 2027; 19.431,0 milioni di euro per il 2028 e 19.547,0 milioni di euro annui a decorrere dal 2029.

In seguito, la legge di bilancio 2023 (L. n. 197/2022) ha provveduto alla riquantificazione degli oneri, resasi necessaria a seguito delle modifiche introdotte (incremento di 409,2 milioni di euro per il 2023, di 525,7 milioni di euro per il 2024, di 542,5 milioni di euro per il 2025, di 550,8 milioni di euro per il 2026, di 554,2 milioni di euro per il 2027, di 557,6 milioni di euro per il 2028 e di 560,9 milioni di euro annui a decorrere dal 2029). A tale quantificazione occorre aggiungere quanto disposto dall'art. 1, comma 320, della medesima legge di bilancio 2023 che ha, a sua volta previsto, in seguito all'abrogazione delle norme istitutive del reddito e della pensione di cittadinanza dal 1° gennaio 2024,  un incremento dello stanziamento a favore dell'assegno unico e universale per i figli a carico, per 11 milioni di euro nel 2023, 708,8 milioni di euro nel 2024, 717,2 milioni di euro nel 2025, 727,9 milioni di euro nel 2026, 732,2 milioni di euro nel 2027, 736,5 milioni di euro nel 2028 e 740,8 milioni di euro l'anno dal 2029.

Infine, la legge di bilancio 2024 (L. n.213/2023, commi 183-185), nel prevedere l'esclusione dal calcolo dell'Indicatore della situazione economica equivalente (ISEE), fino al valore complessivo di 50.000 euro, dei titoli di Stato e alcuni prodotti finanziari di raccolta del risparmio, stabilendo l'aggiornamento del Regolamento in materia di revisione dell'Indicatore ai fini della richiesta di prestazioni sociali agevolate, ha previsto un incremento di 44 milioni di euro annui a decorrere dal 2024 delle risorse finanziarie iscritte in bilancio ai fini della copertura degli oneri di cui all'articolo 6, comma 8, del D. Lgs. n. 230/2021 relativo all'Assegno unico universale.


 

Articolo 26
(Registro dei terreni silenti)

 

 

L’articolo 26 istituisce il Registro nazionale dei terreni silenti nell’ambito del sistema informativo forestale nazionale del Sistema informativo agricolo nazionale (SIAN).

 

Nel dettaglio il comma 1 della disposizione in commento statuisce che lo Stato, le regioni e gli enti locali promuovono il recupero produttivo delle proprietà fondiarie frammentate e dei terreni abbandonati o silenti allo scopo di valorizzare il territorio agro-silvo-pastorale, di salvaguardare l'assetto idrogeologico, di prevenire il rischio di incendi, nonché di fenomeni di pericolosità e di crolli ed il degrado ambientale.

Il comma 2 stabilisce che il perseguimento delle finalità sopra enunciate si consegue attraverso l’istituzione del Registro nazionale dei terreni silenti nell’ambito del sistema informativo forestale nazionale del Sistema informativo agricolo nazionale (SIAN). Il citato registro è istituito con decreto del Ministro dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste, da adottarsi di concerto con il Ministro per gli affari regionali e le autonomie, sentito il Ministro dell’ambiente e della sicurezza energetica, previo parere in sede di Conferenza unificata ai sensi dell’art. 8 del D. Lgs. n. 281 del 1997. Con lo stesso decreto sono definiti i criteri per la formazione, la tenuta, l’aggiornamento annuale e la pubblicità del suindicato Registro nonché i requisiti per la registrazione dei terreni silenti da parte delle Regioni.

 

Come si legge nella Relazione tecnica (A.S. 1054) che accompagna il provvedimento in esame, il suddetto registro ha la funzione di garantire una ricognizione dei terreni silenti al fine di promuoverne il recupero produttivo e di valorizzare il territorio agro-silvo-pastorale. In particolare, si tratta di una banca dati che costituirà un’applicazione interna al SIAN (Sistema Informativo Agricolo Nazionale), all’interno della quale verrà garantita una mappatura specifica dei terreni silenti, la quale contribuirà a fornire un quadro d’insieme del territorio. L’utilizzo del SIAN- prosegue la sopra citata Relazione Tecnica- non esclude che potranno essere i comuni, molti dei quali già abilitati al portale, a potere inserire i relativi dati. In ogni caso, verranno utilizzate risorse già destinate all’implementazione del Sistema Informativo Agricolo Nazionale presenti sui capitoli del MASAF.

 

 

Il Sistema Informativo Forestale Nazionale (SINFor) di recente istituzione, è nato dalla collaborazione tra il Ministero dell'agricoltura, sovranità alimentare e delle foreste e il Consiglio per la ricerca in agricoltura e l'analisi dell'economia agraria(CREA); esso si pone l'obiettivo di porre le basi per migliorare, incrementare, coordinare e armonizzare le informazioni statistiche e cartografiche inerenti il patrimonio forestale nazionale e i settori produttivi ad esso collegati finalizzato a raccogliere, armonizzare, sistematizzare e condividere  i dati e le informazioni statistiche e cartografiche oggi disponibili sul patrimonio forestale nazionale, sul settore e sulle sue filiere produttive, ambientali e socio-culturali. Il SINFor, in attuazione degli articoli 14 e 15 dal D. Lgs. n. 34 del 2018, e del Capitolo 6 (Monitoraggio e Valutazione della Strategia Forestale Nazionale) è il prodotto di un costante processo partecipato tra le istituzioni, gli enti e i soggetti pubblici e privati, che a vario titolo producono e utilizzano dati e informazioni relativi al settore forestale, con l'impegno comune di mettere a disposizione, in un unico sistema organizzato e aggiornato nel tempo, i dati e le informazioni del vasto patrimonio di conoscenze disponibile in materia forestale.

Il sistema SINFor, che si compone di due ambienti interconnessi di indagine  la Carta forestale nazionale ed il Database foreste, permetterà una sistematica e periodica raccolta di dati, sia quantitativi che qualitativi, in grado di soddisfare una serie di necessità conoscitive attraverso l'implementazione di specifici indicatori appositamente strutturati e consultabili.

 

Il comma 3 precisa che, ai fini dell’applicazione della disposizione in commento, si fa riferimento alla definizione di terreni silenti contenuta nell’art. 3, comma 2, lettere g) e h), del d. Lgs. n.34 del 2018 (Testo unico in materia di foreste e filiere forestali).

La lettera g) del comma 2 dell’art. 3 sopra richiamato, definisce terreni abbandonati i terreni forestali nei quali i boschi cedui hanno superato, senza interventi selvicolturali, almeno della metà il turno minimo fissato dalle norme forestali regionali, ed i boschi d'alto fusto in cui non siano stati attuati interventi di sfollo o diradamento negli ultimi venti anni, nonché i terreni agricoli sui quali non sia stata esercitata attività agricola da almeno tre anni, in base ai principi e alle definizioni di cui al regolamento (UE) n. 1307/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio del 17 dicembre 2013 e relative disposizioni nazionali di attuazione, ad esclusione dei terreni sottoposti ai vincoli di destinazione d'uso. La successiva lettera h, indica come terreni silenti i terreni agricoli e forestali di cui alla lettera g) per i quali i proprietari non siano individuabili o reperibili a seguito di apposita istruttoria.

Si fa presente che le disposizioni contenute nel d. lgs. 34 del 2018 sono finalizzate a garantire la salvaguardia delle foreste nella loro estensione, distribuzione, ripartizione geografica, diversità ecologica e bio-culturale, a promuovere la gestione attiva e razionale del patrimonio forestale nazionale al fine di garantire le funzioni ambientali, economiche e socio-culturali, nonché a favorire l'elaborazione di principi generali, di indirizzo nazionali per la tutela e la valorizzazione del patrimonio forestale. Si ricorda, inoltre, che ai sensi del decreto legislativo n. 42 del 2004 “Codice dei beni culturali e del paesaggio” (art. 142) i territori coperti da foreste e da boschi - ancorché percorsi o danneggiati dal fuoco, e sottoposti a vincolo di rimboschimento - sono considerati di interesse paesaggistico e, per questa ragione, specificatamente tutelati dalla legge.

Si ricorda, infine, che l'art. 16 della legge n. 154 del 2016 (cosiddetto collegato agricolo) ha istituito presso l'ISMEA, la Banca delle terre agricole, con l'obiettivo di costituire un inventario dei terreni agricoli disponibili in conseguenza dell'abbandono dell'attività agricola. La Banca delle terre agricole, secondo la disposizione citata, opera raccogliendo, organizzando e dando pubblicità alle informazioni necessarie sulle caratteristiche naturali, strutturali ed infrastrutturali dei terreni agricoli abbandonati, sulle modalità e condizioni di cessione e di acquisto degli stessi. Lo stesso art. 16 dispone poi che l’ISMEA possa presentare uno o più progetti di ricomposizione fondiaria degli stessi terreni, con l'obiettivo di individuare comprensori territoriali nei quali promuovere aziende dimostrative.


 

Articolo 27
(Disposizioni particolari per le regioni a statuto speciale e per le province autonome di Trento e di Bolzano)

 

 

L’articolo 27 introduce la clausola di salvaguardia per le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano, nel senso che le disposizioni del disegno di legge in esame sono inapplicabili alle autonomie speciali ove siano in contrasto con gli statuti e le relative norme di attuazione.

 

Le norme del disegno di legge in esame, infatti, non modificano il quadro delle competenze definite dagli statuti (che sono adottati con legge costituzionale) e dalle relative norme di attuazione; esse si applicano pertanto in quegli ordinamenti solo in quanto non contrastino con le speciali attribuzioni di quegli enti.

Si ricorda che norme di rango primario, come quelle recate dalla legge, non possono incidere sul quadro delle competenze definite dagli statuti - che sono adottati con legge costituzionale, fonte di grado superiore - e dalle relative norme di attuazione. Le norme di rango primario si applicano pertanto solo in quanto non contrastino con le speciali attribuzioni di tali enti.

Si tratta di una clausola, costantemente inserita nei provvedimenti che intervengono su ambiti materiali ascrivibili alle competenze delle regioni a statuto speciale e delle province autonome, che rende più agevole l'interpretazione delle norme legislative coperte dalla stessa, con un effetto potenzialmente deflattivo del contenzioso costituzionale.

La mancata previsione della clausola potrebbe infatti indurre una o più autonomie speciali ad adire la Corte costituzionale, nel dubbio sull'applicabilità nei propri confronti di una determinata disposizione legislativa (incidente su attribuzioni ad esse riservate dai propri statuti speciali).

La presenza di tale clausola, tuttavia, non esclude a priori la possibilità che una o più norme (ulteriori) del provvedimento legislativo possano contenere disposizioni lesive delle autonomie speciali, quando "singole norme di legge, in virtù di una previsione espressa, siano direttamente e immediatamente applicabili agli enti ad autonomia speciale"[32].

 

La norma specifica inoltre che il rispetto degli statuti e delle norme di attuazione è assicurato anche con riferimento alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, di riforma del titolo V della parte seconda della Costituzione.

L'articolo 10 della citata legge costituzionale, nello specifico, ha introdotto la cosiddetta clausola di maggior favore nei confronti delle regioni e delle province con autonomia speciale. L'articolo prevede infatti che le disposizioni della richiamata legge costituzionale (e quindi, ad esempio, delle disposizioni che novellano l'art. 117 della Costituzione rafforzando le competenze legislative in capo alle regioni ordinarie) si applichino ai predetti enti "per le parti in cui prevedono forme di autonomia più ampie rispetto a quelle già attribuite" e comunque "sino all’adeguamento dei rispettivi statuti".

Tale disposizione attribuisce agli enti territoriali ad autonomia speciale competenze aggiuntive rispetto a quelle già previste nei rispettivi statuti e consente alla Corte costituzionale di valutare, in sede di giudizio di legittimità, se prendere ad esempio a parametro l’articolo 117 della Costituzione, anziché le norme statutarie, nel caso in cui la potestà legislativa da esso conferita nell'ambito di una determinata materia assicuri una autonomia più ampia di quella prevista dagli statuti speciali.


 

Articolo 28
(Sostegno finanziario locale)

 

 

L’articolo 28 stabilisce la possibilità per regioni e comuni di definire ulteriori agevolazioni, riduzione o esenzione di tasse, tributi e imposte che siano di loro competenza, nelle aree montane oggetto della presente legge.

 

L’articolo 28, introdotto nel corso dell’esame al Senato, reca una disposizione che prevede la facoltà per le regioni e i comuni, nell'ambito delle proprie competenze, di definire ulteriori sistemi di agevolazione, di riduzione e di esenzione da tasse, tributi e imposte di loro competenza nelle aree territoriali oggetto della presente legge. Tali eventuali disposizioni dovranno essere comunque adottate nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica.


 

Articolo 29
(Abrogazioni)

 

 

L’articolo 29 dispone l’abrogazione di alcune disposizioni legislative in materia di sviluppo delle zone montane, in quanto le norme sono ora contenute nel disegno di legge in esame.

 

In particolare, l’abrogazione riguarda le seguenti disposizioni:

·        legge 25 luglio 1952, n. 991 (recante Provvedimenti in favore dei territori montani), relativamente agli articoli:

-       2 (Mutui di miglioramento e per l'artigianato montano);

-       5 (Concessioni di studi);

-       6 (Demanio forestale);

-       7 (Espropriazione);

-       8 (Agevolazioni fiscali per terreni agricoli);

-       15, comma 1 (Classificazione di comprensori di bonifica e di bacini montani in comprensori di bonifica montana);

-       22 (Opere private di interesse comune);

-       31 (Autorizzazione di spesa);

-       33 (Direzione generale per l'economia montana e per le foreste);

-       34 (Comunioni familiari);

-       35 (Agevolazioni fiscali per i consorzi);

-       36 (Agevolazioni fiscali per trasferimenti e permute);

-       37 (Deroga al regio decreto 30 dicembre 1923, n. 3267, sulla nomina di direttore tecnico);

-       38 (Regolamento d'esecuzione).

·        legge 3 dicembre 1971, n. 1102 (recante Nuove norme per lo sviluppo della montagna) relativamente agli articoli:

-     1 (Finalità);

-     2 (Finalità e mezzi per il loro raggiungimento);

-     15 (Autorizzazione di spesa);

-       16 (Riserva di investimenti pubblici);

-       17, 18 e 19 (Norme finali).

·        legge 31 gennaio 1994, n. 97 (recante Nuove disposizioni per le zone montane) relativamente agli articoli:

-     1 (Finalità della legge);

-     2 (Fondo nazionale per la montagna);

-     21 (Scuola dell'obbligo);

-     24, comma 4 (Relazione annuale al Parlamento);

-     25 (Onere finanziario).

·        legge 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, commi da 319 a 321, che disciplinano il Fondo nazionale integrativo per i comuni montani, le cui risorse sono peraltro confluite nel Fondo per lo sviluppo delle montagne italiane, ai sensi dell’art. 1, co. 596, della legge n. 234 del 2021.

·        D.L. 26 ottobre 2019, n. 124, articolo 57, comma 2-octies sull’attribuzione all’UNCEM (Unione nazionale comuni, comunità, enti montani) dell’organizzazione di attività strumentali connesse all’attuazione della normativa sui piccoli comuni (legge n. 158/2017), al testo unico in materia di foreste e filiere forestali (D. Lgs. n. 34/2018) e al c.d. collegato ambientale (legge n. 221/2015), attraverso l’utilizzo del contributo dello 0,9 per cento del sovracanone riveniente dai bacini imbriferi montani - BIM (art. 1, legge n. 959/1953).

 

Si segnala che nel corso dell’esame al Senato è stata eliminata la proposta di soppressione dell’articolo 5-bis (Disposizioni per favorire le aziende agricole montane) della legge n. 97 del 1994.

 

Il comma 2 stabilisce che nelle more dell’entrata in vigore della nuova classificazione dei comuni montani, prevista dall’articolo 2, comma 1, del disegno di legge in esame, continuano ad applicarsi le disposizioni, anche regionali, vigenti alla data di entrata in vigore della presente legge relative alla suddetta classificazione, nonché le misure di sostegno, anche finanziario, ad essa correlate.

 

Alla luce di tali abrogazioni disposte dall’articolo in esame, appare utile indicare le disposizioni delle citate leggi sulla montagna che risulterebbero ancora vigenti:

 

•   legge 25 luglio 1952, n. 991 (Provvedimenti in favore dei territori montani):

-        art. 3 - Sussidi e concorsi dello Stato per opere di miglioramento;

-        art. 4 - Contributi per la gestione dei patrimoni silvo-pastorali dei comuni e

-        degli altri enti e per l'aggiornamento e l'assistenza tecnica;

-        art. 9 - Costituzione obbligatoria degli enti per la difesa montana;

-        artt. 10-13 - Consorzi di prevenzione;

-        artt. 14-30 (esclusi art. 15, primo comma e art. 22) – Bonifica montana;

-        art. 32 - Mutui per l'esecuzione delle opere.

 

•   legge 3 dicembre 1971, n. 1102 (Nuove norme per lo sviluppo della montagna)[33]:

-        art. 6 - Attuazione del piano di sviluppo economico-sociale;

-        art. 8 - Pubblica utilità delle opere - Opere private di interesse comune;

-        art. 9 - Demanio forestale ed affittanze degli enti locali;

-        art. 10 - Comunioni familiari;

-        art. 11 - Patrimonio;

-        art. 12 - Agevolazioni fiscali:

-        art. 13 - Comuni montani del Mezzogiorno e del Centro-Nord;

-        art. 14 - Carta della montagna.

 

•   legge 31 gennaio 1994, n. 97 (Nuove disposizioni per le zone montane):

-        art. 3 - Organizzazioni montane per la gestione di beni agro-silvo-pastorali;

-        art. 4 - Conservazione dell'integrità dell'azienda agricola;

-        art. 5 - Procedura per l'acquisto della proprietà;

-        art. 5-bis (Disposizioni per favorire le aziende agricole montane);

-        art. 6 - Usucapione di fondi rustici e trasferimenti immobiliari;

-        art. 7 - Tutela ambientale;

-        art. 8 - Caccia, pesca e prodotti del sottobosco;

-        art. 9 - Forme di gestione del patrimonio forestale;

-        art. 10 - Autoproduzione e benefici in campo energetico;

-        art. 11 - Esercizio associato di funzioni e gestione associata di servizi pubblici;

-        art. 12 - Servizi. Usi civici[34];

-        art. 13 - Interventi per lo sviluppo di attività produttive;

-        art. 14 - Decentramento di attività e servizi;

-        art. 16 - Agevolazioni per i piccoli imprenditori commerciali;

-        art. 17 - Incentivi alle pluriattività;

-        art. 18 - Assunzioni a tempo parziale;

-        art. 19 - Incentivi per l'insediamento in zone montane;

-        art. 20 - Collaborazione tra soggetti istituzionali;

-        art. 22 - Riorganizzazione degli uffici e dei servizi dello Stato;

-        art. 23 - Deroghe in materia di trasporti;

-        art. 24, commi da 1 a 3 - Informatica e telematica.


 

Articolo 30
(Disposizioni finanziarie)

 

 

L’articolo 30 reca le disposizioni sulla copertura degli oneri recati dal disegno di legge in esame.

 

Il testo originario del disegno di legge in esame quantificava l’onere recato dalle disposizioni del provvedimento con decorrenza dal 2024.

A seguito dell’approvazione di un emendamento durante l’esame al Senato, la decorrenza dell’onere è slittata al 2025, con conseguente avanzamento di un anno per ciascuna delle annualità successive, che sono state determinate nei seguenti importi (comma 1):

-     100 milioni di euro nell'anno 2025;

-     118,5 milioni di euro nell'anno 2026;

-     114,6 milioni di euro nell'anno 2027;

-     103 milioni di euro nell'anno 2028;

-     105,5 milioni di euro nell'anno 2029;

-     99,2 milioni di euro nell'anno 2030;

-     96,3 milioni di euro nell'anno 2031;

-     96,6 milioni di euro nell'anno 2032;

-     96,1 milioni di euro nell'anno 2033;

-     96 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2034.

Gli oneri per l'anno 2028 aumentano, ai fini della compensazione degli effetti in termini di fabbisogno, a 107 milioni di euro.

 

Alla copertura dei predetti oneri si provvede mediante corrispondente riduzione del Fondo per lo sviluppo delle montagne italiane (FOSMIT). Quanto a 4 milioni di euro per l’anno 2028, necessari ai fini della compensazione in termini di fabbisogno, si provvede mediante corrispondente utilizzo di parte delle maggiori entrate derivanti dall'articolo 6, comma 8, che incrementa il finanziamento del SSN di 20 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2025.

 

Il comma 1 mantiene, inoltre, fermo quanto previsto dagli articoli 3, 9 e 13 del disegno di legge in esame, che prevedono un possibile futuro utilizzo delle risorse del Fondo per lo sviluppo delle montagne italiane per specifici interventi (articolo 3 per la Strategia per la montagna italiana; articolo 9, in tema di formazione superiore nelle zone montane; articolo 13 per interventi di carattere straordinario di monitoraggio dei ghiacciai e realizzazione di bacini idrici per l’attività agricola, la lotta agli incendi e l’attività turistica, incluso l’innevamento artificiale).

 

Il comma 2, introdotto nel corso dell’esame in sede referente, pone gli oneri derivanti dall’articolo 24 (Incentivi per la natalità nei comuni montani), pari a 5 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2025, a carico del FOSMIT, che viene conseguentemente ridotto.

 

Con la tabella seguente si espongono gli oneri derivanti dalle singole disposizioni onerose indicate dai commi 1 e 2 in esame.

 

Art/co

Oneri

2025

2026

2027

2028

2029

2030

2031

2032

2033

a decorrere

dal 2034

6, c.4

Emolumento per personale SSN e medici

20,0

20,0

20,0

20,0

20,0

20,0

20,0

20,0

20,0

20,0

6, c.5

Credito di imposta per locazioni/acquisto immobile personale sanitario

20,0

20,0

20,0

20,0

20,0

20,0

20,0

20,0

20,0

20,0

7, c.6

Credito di imposta per locazioni personale scolastico

20,0

20,0

20,0

20,0

20,0

20,0

20,0

20,0

20,0

20,0

16, c.1

Credito di imposta per agricoltori montani

4,0

4,0

4,0

-

-

-

-

-

-

-

21, c.1

Credito di imposta per imprese montane esercitate da giovani

20,0

20,0

20,0

20,0

20,0

20,0

20,0

20,0

20,0

20,0

22, c.4

Lavoro agile

-

18,5

21,8

12,5

10,9

5,4

0,7

0,6

0,1

-

23, c.5

Credito di imposta per ristrutturazione abitazione principale in comune montano

16,0

16,0

16,0

16,0

16,0

16,0

16,0

16,0

16,0

16,0

25. c.1

Incentivi per la natalità nei comuni montani

5,0

5,0

5,0

5,0

5,0

5,0

5,0

5,0

5,0

5,0

 

TOTALE

105,0

123,5

126,8

113,5

111,9

106,4

101,7

101,6

101,1

101,0

 

 

 

Si ricorda che l’articolo 22, comma 4, provvede alla copertura di parte degli oneri recati per il lavoro agile dei comuni montani - in particolare per gli anni 2027-2031 – a valere sulle maggiori entrate conseguenti al venir meno dell’esonero dal versamento dei contributi previdenziali a carico dei datori di lavoro del settore privato per l’agevolazione del lavoro agile dei lavoratori a tempo indeterminato con età inferiore a 41 anni nei comuni montani con meno di 5.000 abitanti, come esposto nella seguente tabella.

 

 

 

2025

2026

2027

2028

2029

2030

2031

2032

2033

dal 2034

Oneri complessivi (art. 29, co.1 e 2)

105,0

123,5

126,8

113,5

111,9

106,4

101,7

101,6

101,1

101,0

Copertura su FOSMIT (art. 29, co.1 e 2)

105,0

123,5

119,6

108,0

110,4

104,2

101,3

101,6

101,1

101,0

Oneri residuali da coprire

0

0

7,2

5,5

1,5

2,3

0,4

0

0

0

Maggiori entrate esonero versamento contributi previdenziali a carico dei datori di lavoro settore privato per l’agevolazione lavoro agile (art. 22, comma 4)

0

0

+7,2

+5,5

+1,5

+2,3

+0,4

0

0

0

Saldo

0

0

0

0

0

0

0

0

0

0

 

 

A seguito dell’utilizzo del Fondo per lo sviluppo delle montagne italiane, a copertura dei predetti oneri, le disponibilità del Fondo, rispetto al dato a legislazione vigente indicato nella legge di bilancio per il 2025 sarebbero così rideterminate:


 

 

2025

2026

2027

2028

2029

2030

2031

2032

2033

2024

Legge di bilancio 2025

196,6

196,6

196,6

196,6

196,6

196,6

196,6

196,6

196,6

196,6

D.d.l.

105,0

123,5

119,6

108,0

110,4

104,2

101,3

101,6

101,1

101,0

Quota residuale

91,6

73,1

77,0

88,6

86,1

92,4

95,3

95,0

95,5

95,6

 

Il comma 3 stabilisce che, ad esclusione di quanto previsto ai commi 1 e 2, le restanti disposizioni contenute nel testo in esame non devono recare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica. Le amministrazioni interessate provvedono agli adempimenti ivi previsti con le risorse umane, strumentali e finanziarie previste a legislazione vigente.

 

Inoltre, il comma 4 dispone che le risorse destinate a ciascuna delle misure indicate dai commi 1 e 2 dell’articolo in esame sono soggette ad un monitoraggio effettuato congiuntamente dal Dipartimento per gli affari regionali e le autonomie (DARA) della Presidenza del Consiglio dei ministri e dal Ministero dell'economia e delle finanze. Al fine di ottimizzare l'allocazione delle risorse disponibili, il Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro per gli affari regionali e le autonomie, previa intesa in sede di Conferenza unificata, sulla base degli esiti di tale monitoraggio, è autorizzato ad apportare con propri decreti le occorrenti variazioni di bilancio, provvedendo a rimodulare le predette risorse tra le misure previste dalla presente legge, ad invarianza degli effetti sui saldi di finanza pubblica.

Tali decreti di variazioni di bilancio non hanno effetto automatico, ma i relativi schemi di decreto sono trasmessi alle Camere per l'espressione del parere delle Commissioni parlamentari competenti per i profili finanziari, da rendere entro il termine di sette giorni dalla data della trasmissione. Gli schemi dei decreti sono corredati di apposita relazione tecnica, anche ai fini della revisione dei dati e dei metodi utilizzati per la quantificazione degli oneri previsti dalle relative misure.

Infine, il comma 5 dispone che, sulla base del monitoraggio, sono adottate con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro per gli affari regionali e le autonomie, le necessarie variazioni dei criteri e delle modalità di concessione dei crediti d'imposta previsti agli articoli 6, commi 2, 3 e 4 (in favore del personale sanitario e medico), 7, commi 5, 6 e 7 (personale scolastico), 16, commi 1 e 2 (agricoltori montani), 21, commi 1 e 2 (giovani imprenditori), e 23, comma 1 (abitazione principale), conseguenti alla verifica della congruità dei limiti di spesa stabiliti nelle suddette disposizioni.



[1]     L’art. 119 della Costituzione, al terzo comma, afferma che “La legge dello Stato istituisce un fondo perequativo, senza vincoli di destinazione, per i territori con minore capacità fiscale per abitante”. Inoltre, il quinto comma, stabilisce che “Per promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale, per rimuovere gli squilibri economici e sociali, per favorire l'effettivo esercizio dei diritti della persona, o per provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle loro funzioni, lo Stato destina risorse aggiuntive ed effettua interventi speciali in favore di determinati Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni”.

[2]     Ai sensi del sesto comma dell’art. 119 Cost. “La Repubblica riconosce le peculiarità delle Isole e promuove le misure necessarie a rimuovere gli svantaggi derivanti dall'insularità”.

[3]     Il legislatore regionale ha quindi disposto la trasformazione delle comunità montane in unioni di comuni montani o unioni montane, come nel caso delle Regioni Abruzzo (legge n. 1/2013), Emilia Romagna (legge n. 21/2012), Friuli-Venezia Giulia (legge n. 26/2014), Lazio (legge n. 16/2017), Marche (legge n. 35/2013), Molise (leggi n. 6/2011, n. 22/2012 e n. 1/2016, art. 15), Piemonte (leggi n. 11/2012 e n. 3/2014), Puglia (legge n. 5/2010), Sardegna (legge n. 2/2016), Toscana (leggi n. 37/2008 e n. 68/2011), Valle d’Aosta (legge n. 4/2016) e Veneto (legge n. 40/2012), oppure ne hanno deliberato la loro soppressione tout court, come nel caso della Basilicata (legge n. 33/2010) e Umbria (legge n. 18/2011). In Calabria sono state soppresse, ma le funzioni attribuite ad un ente strumentale denominato “Azienda regionale per la forestazione e per le politiche della montagna” (legge n. 25/2013), mentre in Liguria le funzioni attribuite alla Regione stessa (legge n. 23/2010). In Sicilia, ai sensi dell'articolo 45 della legge n. 9 del 1986, le Comunità montane sono state soppresse e le relative funzioni assunte dalle province, ora ridefinite “liberi Consorzi comunali” (Agrigento, Caltanissetta, Enna, Ragusa, Siracusa e Trapani) e Città metropolitane (Palermo, Messina e Catania). Nella provincia autonoma di Trento esistono le “Comunità” composte da comuni con l'obbligo di esercizio associato di determinate funzioni amministrative (legge n. 3/2006), così come in quella di Bolzano tali funzioni sono svolte dalle “Comunità comprensoriali” (legge n. 7/1991).

[4]     Avviso pubblico del Coordinatore dell’Ufficio per le politiche urbane e della montagna, la modernizzazione istituzionale e l’attività internazionale delle autonomie regionali e locali del DARA per le “Imprese femminili innovative montane – IFIM” del 5 maggio 2023 https://www.affariregionali.it/attivita/aree-tematiche/ripartizione-dei-fondi-e-azioni-di-tutela/fosmit-imprese-femminili-innovative-montane/.

[5]     In particolare, l’art. 1, comma 3, della legge n. 56/2014 riconosce alle province con territorio interamente montano confinanti con Paesi stranieri le specificità di cui ai seguenti commi:

•     comma 57: Gli statuti delle province di cui al comma 3, secondo periodo, possono prevedere, d'intesa con la regione, la costituzione di zone omogenee per specifiche funzioni, con organismi di coordinamento collegati agli organi provinciali senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica;

•     comma 86: Le province di cui al comma 3, secondo periodo, esercitano altresì le seguenti ulteriori funzioni fondamentali: a) cura dello sviluppo strategico del territorio e gestione di servizi in forma associata in base alle specificità del territorio medesimo; b) cura delle relazioni istituzionali con province, province autonome, regioni, regioni a statuto speciale ed enti territoriali di altri Stati, con esse confinanti e il cui  territorio  abbia caratteristiche montane, anche stipulando accordi e convenzioni con gli enti predetti.

[6]     Approvato dalla Camera dei deputati il 16 febbraio 2011, quale testo unificato di numerose proposte di legge presentate da diversi Gruppi parlamentari.

[7]     L’EIM fu istituito dall’articolo 1, comma 1279, della legge finanziaria per il 2007 (legge n. 296/2006) in sostituzione dell’IMONT e poi soppresso dall’articolo 7, comma 19, del D.L. n. 78 del 2010; le funzioni sono state trasferite al Dipartimento per gli affari regionali della Presidenza del Consiglio dei ministri.

[8]     Il venir meno della relazione sullo stato della montagna italiana è, di fatto, da ricondurre alla politica di coesione attuata attraverso lo strumento dei fondi strutturali dell’Unione europea, che ha interessato, in modo particolare le zone di montagna, attraverso la politica agricola e rurale.

      Nella legge di contabilità (legge n. 196 del 2009), si prevede, all’art. 10, comma 7, che, entro il 10 aprile dell'anno successivo a quello di riferimento, venga presentata alle Camere in allegato al DEF, un'unica relazione di sintesi sugli interventi realizzati nelle aree sottoutilizzate, che evidenzi il contributo dei fondi nazionali addizionali, ed i risultati conseguiti, con particolare riguardo alla coesione sociale e alla sostenibilità ambientale, nonché la ripartizione territoriale degli interventi.

[10]   La figura dell'operatore socio sanitario (OSS) è stata individuata e disciplinata con l'Accordo tra il Ministro della sanità, il Ministro per la solidarietà sociale e le regioni e province autonome del 22 febbraio 2001: l’OSS è ivi definito come l'operatore che, a seguito dell'attestato di qualifica conseguito al termine di specifica formazione professionale regionale, svolge attività indirizzata a soddisfare bisogni primari della persona, nell'ambito delle proprie aree di competenza, in un contesto sia sociale che sanitario. Per un approfondimento in materia v. https://temi.camera.it/leg18/post/OCD15_14763/oss-question-time-presso-commissione-xii-sul-profilo-professionale-operatore-socio-sanitario.html

[11]   Regolamento recante la disciplina concorsuale per il personale dirigenziale del Servizio sanitario nazionale.

[12]   Regolamento recante disciplina concorsuale del personale non dirigenziale del Servizio sanitario nazionale.

[13]   Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell'articolo 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421.

[14]   Attuazione della delega di cui all'articolo 11, comma 1, lettera p), della legge 7 agosto 2015, n. 124, in materia di dirigenza sanitaria.

[15]   L'obiettivo della riforma 1.3 - Riforma dell'organizzazione del sistema scolastico è duplice: 1) adeguamento del numero degli alunni per classe. Il numero di insegnanti sarà fissato allo stesso livello dell'anno scolastico 2020/2021, a fronte del calo demografico e al fine di ridurre il numero degli alunni per classe e migliorare gradualmente il rapporto tra il numero degli alunni e il numero di insegnanti nei posti comuni. L'attuazione dell'intervento non è intesa ad aumentare il numero di edifici disponibili. Nell'ambito dell'iniziativa dovrà essere rivolta un'attenzione personalizzata ai singoli alunni, in particolare ai più vulnerabili e sicuramente agli alunni con disabilità.  Ci si attende che il miglioramento del rapporto alunni/insegnanti favorisca la qualità dell'insegnamento e la disponibilità di risorse per gli edifici scolastici; 2) revisione delle norme relative alle dimensioni degli edifici scolastici  Come "parametro efficace" per individuare i plessi da accorpare ad altri istituti, facenti capo ad un unico dirigente scolastico, dovrà essere adottata la popolazione scolastica regionale, anziché la popolazione del singolo istituto come previsto dalla legislazione vigente.

[17]   Con l’espressione aree bianche si fa riferimento alle zone montuose, periferiche o poco popolate, ossia zone il cui sviluppo socio-economico deve essere perseguito facendo ricorso all’intervento pubblico, risultando antieconomico l’investimento privato.

[18]   Per maggiori dettagli, si rinvia al Dossier n. 67, “Gli aiuti di Stato” del Servizio studi della Camera dei deputati del gennaio 2024.

[19]   Il decreto ministeriale 9 aprile 1994 recante “Approvazione della regola tecnica di prevenzione incendi per la costruzione e l'esercizio delle attività ricettive turistico-alberghiere” (G.U. 20 maggio 1994, n. 116) indicava, nel testo originario del Titolo IV poi sostituito dal D.M. 3 marzo 2014, i seguenti criteri di classificazione dei rifugi alpini:

·       categoria A: raggiungibili con strada rotabile;

·       categoria B: raggiungibili con mezzo meccanico di risalita in servizio pubblico, con esclusione delle sciovie;

·       categorie C, D ed E: rifugi non rientranti nelle categorie precedenti e che vengono classificati in relazione alla situazione locale con riferimento alla quota, durata e difficoltà di accesso, nonché all’incidenza del sistema normalmente adottato per i rifornimenti.

      Tale classificazione in 5 classi riprendeva quella tuttora adottata dal Club alpino italiano per i propri rifugi, basata su parametri, la facilità di raggiungimento del rifugio da parte di un escursionista e le modalità di rifornimento (strada, teleferica, elicottero):

-      A: rifugi raggiungibili dalla clientela con auto privata o con massimo 10 minuti a piedi dal parcheggio. Sono incluse anche situazioni dove il cliente raggiunge il rifugio (o le immediate vicinanze) pagando un ticket.

-      B: rifugi raggiungibili con impianto a fune, o nelle strette vicinanze (entro i 10 minuti a piedi dall’arrivo dell’impianto);

-      C: da 10 minuti a 2 ore di cammino;

-      D: da 2 a 4 ore di cammino;

-      E: sopra le 4 ore di cammino.

[20]   Nel solo 2023 il CNSAS ha effettuato 12.349 missioni di soccorso nei confronti di 12.365 persone soccorse, di cui 5.257 persone per incidenti in attività escursionistica (42,5%).

[21]   Dopo un primo tentativo con la legge n. 9 del 1992 della Regione Umbria, nel 1998 è stata istituita (legge n. 17) la Rete escursionistica della Toscana (R.E.T.); nel 2000 la Basilicata con la legge n. 51 ha costituito, sul modello dell’Umbria, una rete escursionistica di valenza regionale e complementare; con la legge 21 del 2003 è stata costituita la Rete escursionistica pugliese (R.E.P.). L’istituzione di nuove reti escursionistiche regionali è quindi ripresa nel 2009 con la rete di fruizione escursionistica della Liguria - R.E.L. (legge n. 24), nel 2010 con la rete escursionistica della Regione Marche - RESM (legge n. 2) e la rete del patrimonio escursionistico del Piemonte (legge n. 12) e nel 2013 con la Rete escursionistica dell'Emilia-Romagna – REER (legge n. 14). Negli ultimi anni sono state istituite la Rete Escursionistica Alpinistica Speleologica Torrentistica Abruzzo – REASTA (legge n. 42 del 2016), la Rete Escursionistica Campana – REC (legge n. 2 del 2017, poi sostituita dalla legge n. 14 del 2020), la Rete escursionistica della Lombardia – REL (legge n. 5 del 2017) e la Rete escursionistica della Sardegna - RES (legge n. 16 del 2017, che integra la legge n. 8 del 2016). Le normative delle Regioni Veneto, Friuli-Venezia Giulia, Valle d’Aosta e delle Province Autonome di Trento e di Bolzano hanno fatto sempre riferimento, non alla creazione di una rete, ma alla predisposizione di un “elenco delle strutture alpine” (sentieri, ferrate, rifugi, bivacchi).

[22]   Mentre la manutenzione della segnaletica orizzontale (facilmente soggetta ad usura) consiste nel dipingere abbastanza agevolmente su pietre e rocce un “pittogramma” rosso e bianco”, la manutenzione della segnaletica verticale (realizzazione e posizionamento di pali e cartelli) comporta maggiori oneri in termini finanziari, che – in assenza di risorse disponibili - possono condizionare la qualità della manutenzione stessa.

[23]   Il sentiero non è una infrastruttura stradale per la quale il Codice della strada individua il soggetto proprietario che è tenuto alla gestione e manutenzione della stessa e quindi ne è giuridicamente responsabile. Il sentiero può far parte del demanio comunale o in parte essere di proprietà privata in quanto si può sviluppare su un fondo di proprietà di terzi. Conseguentemente il soggetto titolare risulta essere l’ente locale (o eventualmente l’ente parco nazionale/regionale) oppure un soggetto privato. Non si tratta tuttavia di una strada “ordinaria” e quindi non è soggetta a manutenzione “obbligatoria”.

[24]   Fin dagli anni ’50 il CAI, con le c.d. “norme di Maresca”, ha definito le regole per la marcatura di un sentiero di montagna con il classico segnavia orizzontale bianco e rosso oppure con la bandierina verticale rossa-bianca-rossa con l’indicazione del numero che contraddistingue il sentiero stesso (segnaletica orizzontale). A tali segnali, definiti “pittogrammi”, posti su alberi, massi e rocce, si affiancano ulteriori informazioni (posizione, destinazione, tempi di percorrenza) collocati su tabelle che costituiscono la “segnaletica verticale”. Con la delibera del Consiglio Centrale del CAI del 27 novembre 1999, n. 272 furono ufficialmente approvati i simboli della segnaletica dei sentieri del CAI. Da ultimo con determinazione n. 22 del 27 giugno 2015 il CAI ha approvato l'aggiornamento della segnaletica dei sentieri, da applicare a livello nazionale al fine di avere uniformità di tipologia e contenuti e migliorare la sicurezza dei percorsi escursionistici.

[25]   La Regione Valle d’Aosta adotta invece una segnaletica della sentieristica differente (sfondo giallo).

[26]   L’articolo 1227 è collocato nel libro IV del Codice civile sulle Obbligazioni. Va ricordato che l’articolo 1173 (Fonti delle obbligazioni) precisa che “le obbligazioni derivano da contratto, da fatto illecito, o da ogni altro atto o fatto idoneo a produrle in conformità dell'ordinamento giuridico”. L’articolo 2043 del Codice, rubricato “Risarcimento per fatto illecito”, prevede che “qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno”.

[27]   Il testo vigente dell’art. 15, co. 3, della legge n. 81/1991 indica la vigilanza in capo al Ministero del turismo e dello spettacolo. Dopo il referendum di soppressione del Ministero, le competenze in materia di turismo sono state attribuite a vari Ministeri e alla Presidenza del Consiglio nel corso degli anni. Con il DPCM 1° ottobre 2012 è stato definito l’ordinamento delle strutture generali della Presidenza del Consiglio, prevedendo nell’ambito del Dipartimento per gli affari regionali, il turismo e lo sport (art. 12) un “Ufficio per lo sport” (co. 4). Con il DPCM 7 giugno 2016 l’Ufficio per lo sport veniva autonomamente collocato nel nuovo articolo 26. Il DPCM 28 maggio 2020 ha trasformato l’Ufficio in Dipartimento, integrando le competenze con l’attribuzione della vigilanza sul Collegio nazionale dei maestri di sci. Peraltro sin dal 2011 le funzioni e i compiti di vigilanza sul Collegio nazionale dei maestri di sci venivano assegnati dal Presidente del Consiglio al ministro/sottosegretario delegato in materia di sport.

[28]   Cfr. nota II-bis dell’art. 1 della tariffa, parte prima annessa al D.P.R. 131/1986.

[29]   Di cui ai Regolamenti (UE) n. 2023/2831, n. 1408/2013 e n. 717/2014.

[30]   Istituzione dell'assegno unico e universale per i figli a carico, in attuazione della delega conferita al Governo ai sensi della legge 1° aprile 2021, n. 46.

[31]   Poiché si tratta di una misura universale, l’assegno unico può essere richiesto anche in assenza di ISEE o con ISEE superiore alla soglia di 45.574,96 euro. In tal caso saranno corrisposti gli importi minimi previsti dalla normativa.

[32]   Si veda la sentenza della Corte costituzionale n. 40 del 2016. In altra decisione (la n.191 del 2017) la Corte afferma che occorre "verificare, con riguardo alle singole disposizioni impugnate, se esse si rivolgano espressamente anche agli enti dotati di autonomia speciale, con l’effetto di neutralizzare la portata della clausola generale". Sul tema si vedano altresì le sentenze nn.154 e 231 del 2017.

[33]   In merito alle norme formalmente ancora vigenti della legge n. 1102 del 1971, si osserva che:

-        l’art. 6 richiama l’articolo 5 sui Piani di sviluppo economico-sociale che è stato abrogato dall’art. 29 della legge n. 142 del 1990, e che l’articolo 6 risulta ad esso correlato;

-        l’art. 13 relativo ai comuni montani del Mezzogiorno e del Centro-Nord, dove si fa riferimento alla normativa contenuta nel testo unico delle leggi sugli interventi nel Mezzogiorno e alle attività della Cassa del Mezzogiorno, ormai abrogata da decenni;

-        l’art. 14 riguarda la Carta della montagna da realizzare - a suo tempo - dal Ministero dell'agricoltura e delle foreste, di concerto cui Ministero dei lavori pubblici, sentite le regioni, per la quale le competenze sono ora diversamente attribuite.

[34]   Si osserva che le norme richiamate dall’art. 12, comma 1, della legge n. 97 del 1994 sui “Servizi” (artt. 22, 23,24, 254 e 26 della legge n. 142 del 1990) sono state abrogate dal D.Lgs. n. 267 del 2000, mentre i commi 2 e 3, in tema di usi civici, sono stati dichiarati incostituzionali con sentenza n. 156 del 1995 della Corte costituzionale.