Disposizioni di interpretazione autentica in materia urbanistica ed edilizia 20 novembre 2024 |
Indice |
Contenuto|Rispetto delle competenze legislative costituzionalmente definite|Rispetto degli altri principi costituzionali| |
ContenutoLa proposta di legge in esame si compone di un unico articolo e reca disposizioni (riformulate quali norme di interpretazione autentica durante l'esame in sede referente) finalizzate (come sottolineato dalla relazione illustrativa) a risolvere il contrasto, generatosi nella giurisprudenza amministrativa, circa la corretta interpretazione dell'articolo 41-quinquies, primo comma, della Legge urbanistica (L. 1150/1942) che individua i limiti di volumi e altezze delle costruzioni nell'ambito del territorio comunale. La medesima relazione richiama sia l'orientamento restrittivo, più risalente, implicante il divieto di realizzazione di interventi eccedenti i citati limiti quantitativi in assenza del piano attuativo esteso all'intera zona, anche nelle ipotesi di ricostruzione di fabbricati da eseguire in zone già urbanizzate (Consiglio di Stato, sentenza n. 369/1977), sia l'orientamento più recente ed espansivo, che interpreta la disposizione nel senso di prevedere l'approvazione del piano particolareggiato o di lottizzazione solo in presenza di aree non urbanizzate, che quindi richiedono una pianificazione attuativa finalizzata a un loro armonico e ordinato sviluppo (da ultimo, Consiglio di Stato n. 7799/2003, con riferimento ai "lotti interclusi" in aree completamente urbanizzate, in continuità con la circolare del Ministero per i lavori pubblici 1501/1969). Sempre nella relazione illustrativa si sottolinea che" la vetustà e l'inadeguatezza delle disposizioni legislative in materia urbanistica sono ormai evidenti alla luce delle nuove competenze in materia assunte dalle regioni e dagli enti territoriali, determinando, nel tempo, la necessità di un chiarimento interpretativo che tenga conto dell'evoluzione normativa in tale materia", nonché in considerazione del fatto che la legislazione nazionale concernente gli interventi di ristrutturazione edilizia è mutata più volte nel tempo. |
Norme di interpretazione autentica in materia di superamento dei limiti di altezza e volumetrici (comma 1)Il comma 1 detta norme di interpretazione autentica di due disposizioni normative tra loro collegate, al fine di consentire il superamento dei limiti di altezza e volumetrici per interventi edilizi effettuati anche in assenza di piani particolareggiati o di lottizzazione convenzionata. Nel dettaglio, il primo periodo del comma 1 dispone che l'art. 41-quinquies, primo comma, della legge 17 agosto 1942, n. 1150 si interpreta nel senso che l'approvazione preventiva di un piano particolareggiato o di lottizzazione convenzionata non è obbligatoria nei seguenti casi, qualora gli interventi determinino la creazione di altezze e volumi eccedenti i limiti massimi previsti dal medesimo art. 41-quinquies, primo comma, della legge n. 1150 del 1942, ferma restando l'osservanza della normativa tecnica delle costruzioni:
L'
art. 41-quinquies della L. n. 1150/1942
(c.d. Legge urbanistica), introdotto dall'art. 17 della L. 6 agosto 1967, n. 765, prevede, al sesto comma, che nei comuni dotati di piano regolatore generale o di programma di fabbricazione, nelle zone in cui siano consentite costruzioni per volumi superiori a tre metri cubi per metro quadrato di area edificabile, ovvero siano consentite altezze superiori a metri 25, non possono essere realizzati edifici con volumi ed altezze superiori a detti limiti, se non previa approvazione di apposito piano particolareggiato o lottizzazione convenzionata estesi alla intera zona e contenenti la disposizione planivolumetrica degli edifici previsti nella zona stessa.
L'art. 13 della L. n. 1150/1988 (disposizione peraltro abrogata, limitatamente alle norme riguardanti l'espropriazione, dall'art. 58, comma 1, n. 62), del D.P.R. n. 327/2001, come modificato dal D.Lgs. n. 302/2002, a decorrere dal 30 giugno 2003) definisce il contenuto dei piani particolareggiati, che rappresentano strumenti di attuazione del piano regolatore generale nei quali devono essere indicate le reti stradali e i principali dati altimetrici di ciascuna zona e debbono inoltre essere determinati: le masse e le altezze delle costruzioni lungo le principali strade e piazze; gli spazi riservati ad opere od impianti di interesse pubblico; gli edifici destinati a demolizione o ricostruzione ovvero soggetti a restauro o a bonifica edilizia; le suddivisioni degli isolati in lotti fabbricabili secondo la tipologia indicata nel piano; la profondità delle zone laterali a opere pubbliche, la cui occupazione serva ad integrare le finalità delle opere stesse ed a soddisfare prevedibili esigenze future. Il T.
A.R. Lombardia, Sez. II, con sentenza 11/01/2018, n. 45, ha sottolineato che l
a disciplina amministrativa dei piani regolatori particolareggiati, delineata dall'art. 13 e ss. della L. n. 1150/1942, ha recepito i modelli convenzionali tipici dell'urbanistica consensuale e, sul piano della loro interpretazione e concreta attuazione, dei profili di regolazione privatistica ancorché nella peculiare dimensione dell'interesse pubblico sotteso al razionale governo del territorio.
Analogamente, il secondo periodo del comma 1 dispone che il numero 2 dell'art. 8 del decreto del Ministro dei lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 97 del 16 aprile 1968) si interpreta nel senso che l'approvazione preventiva di un piano particolareggiato o di lottizzazione convenzionata non è obbligatoria nei medesimi casi contemplati dal primo periodo (ossia edificazione di nuovi immobili su singoli lotti situati in ambiti edificati e urbanizzati, sostituzione. previa demolizione, di edifici esistenti in ambiti edificati e urbanizzati e interventi su edifici esistenti in ambiti edificati e urbanizzati) che determinino la creazione di altezze eccedenti l'altezza degli edifici preesistenti e circostanti:
L'art. 8, punto 2), del D.M. n. 1444/1968 dispone che l'altezza massima dei nuovi edifici per le zone territoriali omogenee B) (ossia, a norma dell'art. 2 del D.M. 1444/1968, le parti del territorio totalmente o parzialmente edificate, diverse dalle zone A), e per le quali il citato art. 8 fa esplicito riferimento ai piani particolareggiati) non può superare l'altezza degli edifici preesistenti e circostanti, con la eccezione di edifici che formino oggetto di piani particolareggiati o lottizzazioni convenzionate con previsioni planovolumetriche, sempre che rispettino i limiti di densità fondiaria di cui all'art. 7. Tale art. 7, a sua volta, prevede per le zone B) che le densità territoriali e fondiarie sono stabilite in sede di formazione degli strumenti urbanistici tenendo conto delle esigenze igieniche, di decongestionamento urbano e delle quantità minime di spazi previste dagli articoli 3,4 e 5 e che qualora le previsioni di piano consentano trasformazioni per singoli edifici mediante demolizione e ricostruzione, non sono ammesse densità fondiarie superiori ai seguenti limiti: 7 mc/mq per comuni superiori ai 200 mila abitanti; 6 mc/mq per comuni tra 200 mila e 50 mila abitanti; 5 mc/mq per comuni al di sotto dei 50 mila abitanti. Il medesimo art. 7 stabilisce altresì che sono ammesse densità superiori ai predetti limiti quando esse non eccedano il 70% delle densità preesistenti.
Si ricorda che l'art. 2 del DM 1444/1968 prevede le seguenti zone territoriali omogenee: A) le parti del territorio interessate da agglomerati urbani che rivestano carattere storico, artistico e di particolare pregio ambientale o da porzioni di essi, comprese le aree circostanti, che possono considerarsi parte integrante, per tali caratteristiche, degli agglomerati stessi; B) le parti del territorio totalmente o parzialmente edificate, diverse dalle zone A): si considerano parzialmente edificate le zone in cui la superficie coperta degli edifici esistenti non sia inferiore al 12,5% (un ottavo) della superficie fondiaria della zona e nelle quali la densità territoriale sia superiore ad 1,5 mc/mq; C) le parti del territorio destinate a nuovi complessi insediativi, che risultino inedificate o nelle quali l'edificazione preesistente non raggiunga i limiti di superficie e densità di cui alla precedente lettera B); D) le parti del territorio destinate a nuovi insediamenti per impianti industriali o ad essi assimilati; E) le parti del territorio destinate ad usi agricoli, escluse quelle in cui - fermo restando il carattere agricolo delle stesse - il frazionamento delle proprietà richieda insediamenti da considerare come zone C); F) le parti del territorio destinate ad attrezzature ed impianti di interesse generale.
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Rispetto degli standard urbanistici e dei limiti di distanza nei casi di cui al comma 1 (comma 2)Il comma 2 stabilisce che nei casi di cui al comma 1 resta fermo il rispetto:
La
disciplina degli standard urbanistici
è fondata sull'
art. 17 della legge n. 765/1967 (Modifiche ed integrazioni alla legge urbanistica 17 agosto 1942, n. 1150), con cui è stato introdotto l'
art. 41-quinquies della legge n. 1150/1942, che ai commi 8 e 9 stabilisce che:
"In tutti i comuni, ai fini della formazione di nuovi strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti, debbono essere osservati limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza tra i fabbricati, nonché rapporti massimi tra spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, a verde pubblico o a parcheggi. I limiti e i rapporti previsti dal precedente comma sono definiti per zone territoriali omogenee, con decreto del Ministro per i lavori pubblici di concerto con quello per l'interno, sentito il Consiglio superiore dei lavori pubblici. In sede di prima applicazione della presente legge, tale decreto viene emanato entro sei mesi dall'entrata in vigore della medesima".
Essa è stata poi attuata dal
d.m. n. 1444/1968 che ha optato per l'individuazione delle percentuali di dotazioni infrastrutturali strettamente collegate alle destinazioni funzionali delle diverse zone in cui doveva essere ripartito il territorio comunale dal piano regolatore generale, come disposto dagli artt. da 3 a 5 per cui le percentuali e le quantità di aree da destinare a "spazi pubblici, attività collettive, a verde pubblico o a parcheggi", differenziate in ragione del fabbisogno attribuito a ciascuna zona territoriale omogenea.
Successivamente, l'
art. 2-bis, comma 1, del d.P.R. n. 380/2001, inserito dall'art. 30, comma 1, lettera 0a), del D.L. 69/2013, ha precisato che "
ferma restando la competenza statale in materia di ordinamento civile con riferimento al diritto di proprietà e alle connesse norme del codice civile e alle disposizioni integrative, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano possono prevedere, con proprie leggi e regolamenti, disposizioni derogatorie al decreto del Ministro dei lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444, e possono dettare disposizioni sugli spazi da destinare agli insediamenti residenziali, a quelli produttivi, a quelli riservati alle attività collettive, al verde e ai parcheggi, nell'ambito della definizione o revisione di strumenti urbanistici comunque funzionali a un assetto complessivo e unitario o di specifiche aree territoriali".
Come indicato dalla Corte costituzionale (
sentenza 85/2023), sono principi fondamentali in materia di governo del territorio, quelli contenuti nell'art. 41-
quinquies della citata legge n. 1150 del 1942,
e i parametri di cui al D.M. n. 1444 del 1968 sono ritenuti
imperativi e inderogabili
, se non nei limiti previsti all'art. 2-bis del d.P.R. n. 380 del 2001
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Norma di interpretazione autentica in materia di interventi di ristrutturazione edilizia (comma 3)Il comma 3 dispone che, a decorrere dalla data di entrata in vigore del D.L. n. 69/2013, fermo restando quanto previsto dall'art. 3, comma 1, lettera d), sesto periodo, del D.P.R. n. 380/2001 (Testo unico dell'edilizia), il predetto art. 3, comma 1, lettera d), del medesimo D.P.R. n. 380/2001 si interpreta nel senso che rientrano tra gli interventi di ristrutturazione edilizia gli interventi di totale o parziale demolizione e ricostruzione che portino alla realizzazione, all'interno del medesimo lotto di intervento, di organismi edilizi che presentino sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche, funzionali e tipologiche anche integralmente differenti da quelli originari, purché rispettino le procedure abilitative e il vincolo volumetrico previsti dalla legislazione regionale o dagli strumenti urbanistici comunali.
Il D.L. 69/2013, recante norme per il rilancio dell'economia, entrato in vigore il 22 giugno 2013, ha introdotto, con l'art. 30 (le cui norme si applicano dal 21 agosto 2013, data di entrata in vigore della legge di conversione del D.L. 69/2013 - L. n. 98/2013) norme in materia di semplificazione edilizia, modificando il D.P.R. 380/2001 (TU edilizia). In particolare, l'art. 30 ha introdotto deroghe in materia di limiti di distanza tra fabbricati; ha ampliato la fattispecie della ristrutturazione edilizia, con riguardo agli interventi di demolizione e ricostruzione, eliminando la condizione del rispetto della "sagoma" e ricomprendendovi anche il "ripristino" di edifici già crollati o demoliti (purché sia possibile accertarne la preesistete consistenza); ha ulteriormente modificato la disciplina del procedimento di rilascio del permesso di costruire, per il caso di istanza relativa ad immobili sottoposti ai vincoli ex Codice dei beni culturali e del paesaggio (allo scopo di escludere l'operatività del silenzio assenso); ha disciplinato la fattispecie della "agibilità parziale" e previsto una forma alternativa al certificato di agibilità, quale la dichiarazione di conformità e agibilità rilasciata dal direttore lavori o da professionista abilitato; ha previsto la proroga dei termini previsti dalla legge per il completamento di interventi edilizi.
Si ricorda che l'art. 3, comma 1, lettera d), del D.P.R. n. 380/2001 (come da ultimo modificata dall'art. 10, comma 1, lett. b), n. 2), del D.L. n. 76/2020, dall'art. 28, comma 5-bis, lett. a), del D.L. n. 17/2022, e dall'art. 14, comma 1-ter, lett. a), del D.L. n. 50/2022) definisce come "interventi di ristrutturazione edilizia" gli interventi rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente. Tali interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell'edificio, l'eliminazione, la modifica e l'inserimento di nuovi elementi ed impianti. Nell'ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi altresì gli interventi di demolizione e ricostruzione di edifici esistenti con diversi sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche, con le innovazioni necessarie per l'adeguamento alla normativa antisismica, per l'applicazione della normativa sull'accessibilità, per l'istallazione di impianti tecnologici e per l'efficientamento energetico. L'intervento può prevedere altresì, nei soli casi espressamente previsti dalla legislazione vigente o dagli strumenti urbanistici comunali, incrementi di volumetria anche per promuovere interventi di rigenerazione urbana. Costituiscono inoltre ristrutturazione edilizia gli interventi volti al ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purché sia possibile accertarne la preesistente consistenza. Rimane fermo che, con riferimento agli immobili sottoposti a tutela ai sensi del Codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al D.lgs. 42/2004, ad eccezione degli edifici situati in aree tutelate ai sensi degli articoli 136, comma 1, lettere c) e d), e 142, nonché, fatte salve le previsioni legislative e degli strumenti urbanistici, a quelli ubicati nelle zone omogenee A di cui al D.M. n. 1444/1968, o in zone a queste assimilabili in base alla normativa regionale e ai piani urbanistici comunali, nei centri e nuclei storici consolidati e negli ulteriori ambiti di particolare pregio storico e architettonico, gli interventi di demolizione e ricostruzione e gli interventi di ripristino di edifici crollati o demoliti costituiscono interventi di ristrutturazione edilizia soltanto ove siano mantenuti sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche dell'edificio preesistente e non siano previsti incrementi di volumetria.
Il comma in esame fa salvo, come detto, quanto disposto dall'art. 3, comma 1, lettera d), sesto periodo, del T.U.E.. Pertanto, per le tipologie di immobili di seguito elencate, gli interventi di demolizione e ricostruzione e gli interventi di ripristino di edifici crollati o demoliti costituiscono interventi di ristrutturazione edilizia soltanto ove siano mantenuti sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche dell'edificio preesistente e non siano previsti incrementi di volume:
Si ricorda che ai sensi del comma 1 dell'art. 22 del T.U.E., modificato da ultimo dal decreto-legge 76/2020, sono realizzabili mediante segnalazione certificata di inizio attività (SCIA), di cui all'art. 19 della L. 241/1990, nonché in conformità alle previsioni degli strumenti urbanistici, dei regolamenti edilizi e della disciplina urbanistico-edilizia vigente:
a) gli interventi di manutenzione straordinaria di cui all'art. 3, comma 1, lettera b), qualora riguardino le parti strutturali dell'edificio o i prospetti; b) gli interventi di restauro e di risanamento conservativo di cui all'art. 3, comma 1, lettera c), qualora riguardino le parti strutturali dell'edificio; c) gli interventi di ristrutturazione edilizia di cui all'art. 3, comma 1, lettera d), diversi da quelli indicati nell'art. 10, comma 1, lettera c) (ossia diversi dagli interventi di ristrutturazione edilizia che sostanzialmente portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente, ad esempio perché comportano modifiche della volumetria complessiva degli edifici ovvero, per le zone omogenee A, mutamenti della destinazione d'uso, per i quali dunque è richiesto il permesso di costruire).
L'art. 23 del T.U.E., novellato da ultimo dal D.lgs. 222/2016, prevede peraltro che i seguenti interventi siano realizzabili tramite SCIA alternativamente al permesso di costruire, previo pagamento del contributo di costruzione:
a) gli interventi di ristrutturazione definiti all'articolo 10, comma 1, lettera c);
b) gli interventi di nuova costruzione o di ristrutturazione urbanistica qualora siano disciplinati da piani attuativi comunque denominati, ivi compresi gli accordi negoziali aventi valore di piano attuativo, che contengano precise disposizioni plano-volumetriche, tipologiche, formali e costruttive, la cui sussistenza sia stata esplicitamente dichiarata dal competente organo comunale in sede di approvazione degli stessi piani o di ricognizione di quelli vigenti;
c) gli interventi di nuova costruzione qualora siano in diretta esecuzione di strumenti urbanistici generali recanti precise disposizioni plano-volumetriche;
d) gli ulteriori interventi individuati con legge regionale, che ne definisce criteri e parametri.
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Rispetto degli standard urbanistici nei casi di cui al comma 3 (comma 4)Il comma 4 prevede che nei casi di cui al comma 3 resta fermo il rispetto dei parametri di adeguatezza delle dotazioni territoriali e dei parametri urbanistici sulla base della legislazione regionale e degli strumenti urbanistici comunali. |
Salvezza degli effetti dei provvedimenti definitivi attinenti ai procedimenti di cui ai commi 1 e 3 (comma 5)Il comma 5 dispone che sono fatti salvi gli effetti dei provvedimenti attinenti ai procedimenti di cui ai commi 1 e 3 non più impugnabili ovvero confermati in via definitiva in sede giurisdizionale alla data di entrata in vigore della presente legge. Si applica, in ogni caso, la disposizione di cui al comma 8. |
Esclusione della limitazione dei diritti dei terzi (comma 6)Il comma 6 dispone che l'applicazione delle disposizioni di cui al presente articolo non può comportare limitazione dei diritti dei terzi. |
Clausola di salvaguardia della disciplina del Codice dei beni culturali e del paesaggio (comma 7)Il comma 7 dispone che resta ferma la disciplina del Codice dei beni culturali e del paesaggio (D.lgs. 42/2004). |
Clausola di invarianza finanziaria (comma 8)
Il comma 8 dispone, al primo periodo, che, al fine di
escludere l'insorgenza di nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, le disposizioni dell'art. 2, comma 2, lettera
c), secondo periodo, del D.L. n. 11/2023, in relazione alle costruzioni rientranti nella disciplina dell'art. 41-
quinquies, primo comma, della L. n. 1150/1942,
si applicano esclusivamente alle spese sostenute per interventi comportanti la demolizione e la ricostruzione di edifici per i quali:
L'art. 2 del D.L. 11/2023 stabilisce, a partire dal 17 febbraio 2023, il divieto di optare, in luogo della fruizione diretta della detrazione fiscale, per un contributo anticipato sotto forma di sconto dai fornitori dei beni o servizi o per la cessione del credito corrispondente alla detrazione spettante per alcuni interventi di recupero del patrimonio edilizio, di efficienza energetica e superbonus, misure antisismiche, manutenzione facciate, installazione di impianti fotovoltaici, colonnine di ricarica e abbattimento delle barriere architettoniche. La norma, tuttavia, riconosce una serie di condizioni in presenza delle quali, ad alcuni interventi già in corso, non si applica la nuova disciplina. Il comma 2 del citato art. 2 prevede delle deroghe al divieto introdotto al comma 1; in particolare, ai sensi della lettera
c), tale divieto non si applica alle opzioni relative alle spese sostenute per gli interventi rientranti nella disciplina del superbonus (art. 119 del D.L. n. 34 del 2020) comportanti la demolizione e la ricostruzione degli edifici, qualora risulti presentata l'istanza per l'acquisizione del titolo abilitativo in data antecedente al 17 febbraio 2023.
La medesima lettera
c) precisa, poi, che con esclusivo riferimento alle aree classificate come zone sismiche di categoria 1, 2 e 3, le disposizioni della presente lettera si applicano anche alle spese per gli interventi già rientranti nell'ambito di applicazione degli articoli 119 e 121, comma 2, del D.L. n. 34/2020, compresi in piani di recupero del patrimonio edilizio esistente o di riqualificazione urbana comunque denominati, che abbiano contenuti progettuali di dettaglio, attuabili a mezzo di titoli semplificati, i quali alla data di entrata in vigore del presente decreto risultino approvati dalle amministrazioni comunali a termine di legge e che concorrano al risparmio del consumo energetico e all'adeguamento sismico dei fabbricati interessati.
Il secondo periodo del comma in esame stabilisce che nell'ipotesi di cui al presente comma
non trova applicazione l'art. 2-bis del D.L. n. 11/2023.
L'art. 2-
bis del D.L. 11/2023 reca una norma di interpretazione autentica in materia di varianti degli interventi edilizi agevolati, ai sensi della quale l
e disposizioni dell'art. 1, comma 894, della L. 197/2022 (legge di bilancio 2023), che proroga al 2023 il superbonus nella misura del 110 per cento per alcuni specifici interventi, e dell'art. 2, commi 2 e 3 (deroghe al divieto di cessione del credito), del medesimo decreto legge n.11, si interpretano nel senso che la presentazione di un progetto in variante alla comunicazione di inizio lavori asseverata (CILA) o al diverso titolo abilitativo richiesto in ragione della tipologia di intervento edilizio da eseguire non rileva ai fini del rispetto dei termini previsti. Con riguardo agli interventi su parti comuni di proprietà condominiale, non rileva, agli stessi fini, l'eventuale nuova deliberazione assembleare di approvazione della suddetta variante.
In sostanza, il citato art. 2-bis del D.L. n. 11/2023 - la cui applicazione è esclusa dalla norma in esame - consente di usufruire del superbonus 110 per cento per il 2023 e dell'opzione per la cessione del credito e per lo sconto in fattura in ordine agli interventi per cui è richiesta la presentazione di un progetto in variante al titolo abilitativo previsto in ragione della tipologia di interventi edilizi; analogo trattamento viene previsto per gli interventi su parti comuni di proprietà condominiale, qualora intervenga una nuova delibera assembleare di approvazione della variante.
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Rispetto delle competenze legislative costituzionalmente definiteLa proposta di legge in esame è riconducibile alla materia governo del territorio, attribuita alla potestà legislativa concorrente dello Stato e delle regioni dall'articolo 117, terzo comma, della Costituzione. La giurisprudenza costituzionale ha chiarito che il nucleo duro della disciplina del governo del territorio è rappresentato dai profili tradizionalmente appartenenti all'urbanistica e all'edilizia (cfr. ex plurimis, sentenze n. 102 e n. 6 del 2013, n. 309 e n. 192 del 2011; n. 340 del 2009; nonché sentenze n. 303 e n. 362 del 2003). Secondo la giurisprudenza costituzionale sono da considerarsi principi fondamentali, tra le altre, le disposizioni che definiscono le categorie di interventi edilizi perché è in conformità a queste ultime che è disciplinato il regime dei titoli abilitativi, con riguardo al procedimento e agli oneri, nonché agli abusi e alle relative sanzioni, anche penali (sentenze n. 309 del 2011, nn. 2, 124 e 245 del 2021 e, da ultimo, sentenza n. 240 del 2022 nella quale si riafferma il principio fondamentale secondo cui la qualificazione degli interventi edilizi e il loro regime operano in uno spazio di disciplina riservato allo Stato e i limiti fissati dal D.M. n. 1444 del 1968, che trova il proprio fondamento nell'art. 41-quinquies, commi 8 e 9, della legge 17 agosto 1942, n. 1150, hanno efficacia vincolante anche verso il legislatore regionale, costituendo principi fondamentali della materia, in particolare come limiti massimi di densità edilizia a tutela del primario interesse generale all'ordinato sviluppo urbano (cfr. anche le sentenze nn. 232/2005 e 217/2020). Secondo la giurisprudenza costituzionale le leggi regionali possono derogare alle distanze fissate nel D.M. n. 1444 del 1968 solo a condizione che le deroghe siano recepite da strumenti urbanistici attuativi (funzionali a conformare un assetto complessivo e unitario di determinate zone del territorio) e non riguardino singoli edifici (per tutte, sentenze n. 41 del 2017 e n. 231 del 2016). Con riferimento ai profili relativi alla pianificazione urbanistica, nella giurisprudenza costituzionale si è da ultimo sottolineata la natura della c.d. urbanistica consensuale quale forma di espressione del crescente ruolo che ha assunto il soggetto privato nella gestione del governo del territorio, attraverso l'adozione di piani di lottizzazione proposta dai titolari delle aree oggetto di regolazione urbanistica, i quali si impegnano a realizzare le opere di urbanizzazione primaria e a concorrere alla realizzazione di quelle di urbanizzazione secondaria, con la sottoscrizione di apposite convenzioni di lottizzazione (sentenza n. 249 del 2022). |
Rispetto degli altri principi costituzionaliLa Corte costituzionale ha affermato che il legislatore – nel rispetto del divieto stabilito all'art. 25 Cost. – può emanare norme retroattive, anche di interpretazione autentica, purché la retroattività trovi adeguata giustificazione nell'esigenza di tutelare principi, diritti e beni di rilievo costituzionale, che costituiscono altrettanti "motivi imperativi di interesse generale", ai sensi della Convenzione europea dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (CEDU) (ex plurimis, sentenza n. 78/2012). Nel definire i limiti alla retroattività legislativa, la Corte costituzionale ha individuato anche quello del rispetto delle attribuzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario. A tale riguardo, nella sentenza n. 12/2018 la Corte ha ricordato il suo costante orientamento secondo cui «ancorché non sia vietato al legislatore (salva la tutela privilegiata riservata alla materia penale dall'art. 25, secondo comma, Cost.) emanare norme retroattive – siano esse di interpretazione autentica oppure innovative con efficacia retroattiva – con riferimento alla funzione giurisdizionale, non può essere consentito di "risolvere, con la forma della legge, specifiche controversie […], violando i princìpi relativi ai rapporti tra potere legislativo e potere giurisdizionale e concernenti la tutela dei diritti e degli interessi legittimi"». Nella recente sentenza n. 77/2024, alla luce della centralità che assume il principio di non retroattività della legge, inteso quale fondamentale valore di civiltà giuridica, la Consulta ha affermato che «di fronte a una norma avente comunque efficacia retroattiva – che pure deve considerarsi, al di fuori della materia penale, frutto del legittimo esercizio discrezionale del potere del legislatore –, è necessario procedere ad uno scrutinio particolarmente rigoroso» e che «Tale scrutinio diviene ancor più stringente se l'intervento legislativo retroattivo incide su giudizi ancora in corso [...]. In quest'opera di rigoroso scrutinio è necessario valutare se l'intervento legislativo trovi una possibile ragionevole giustificazione nell'esigenza di tutelare principi, diritti e beni costituzionali, [giacché], anche alla luce della giurisprudenza della Corte EDU, solo imperative ragioni di interesse generale possono consentire un'interferenza del legislatore su giudizi in corso». Seguendo l'orientamento giurisprudenziale, che – in caso di interventi normativi della natura descritta – valorizza il profilo del bilanciamento tra interessi costituzionalmente protetti, si segnala, peraltro, come il legislatore, ad esempio con riferimento alla vicenda dell'ex Ilva, abbia più volte approvato disposizioni di interpretazione autentica, anche in pendenza di procedimenti giudiziari (v. ad es. art. 12, comma 5-quinquies, del D.L. 101/2013; art. 7, comma 1, lettera d) e art. 9, comma 2-bis, del D.L. 136/2013). Si ricorda, inoltre, che l'art. 1, comma 4, del D.L. 207/2012, sempre in ordine alle vicende dell'ex Ilva, al fine di bilanciare tutela dell'ambiente e della salute pubblica con la continuità produttiva e occupazionale, ha autorizzato la prosecuzione dell'attività produttiva degli stabilimenti industriali di interesse strategico nazionale anche quando l'autorità giudiziaria aveva adottato provvedimenti di sequestro dei beni dell'impresa, subordinando la ripresa della produzione al rispetto di un piano di risanamento ambientale. Tale disposizione ha superato il vaglio di legittimità costituzionale della Corte costituzionale la quale, con la sentenza n. 85/2013, ha giudicato non fondata la questione sollevata "in quanto la ratio della disciplina censurata consiste nella realizzazione di un ragionevole bilanciamento tra diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione, in particolare alla salute (art. 32 Cost.), da cui deriva il diritto all'ambiente salubre, e al lavoro (art. 4 Cost.), da cui deriva l'interesse costituzionalmente rilevante al mantenimento dei livelli occupazionali ed il dovere delle istituzioni pubbliche di spiegare ogni sforzo in tal senso". A conferma dei principi descritti, peraltro, può essere richiamato anche un caso, analogo al precedente, che tuttavia si è concluso in senso opposto per quanto concerne la pronuncia di costituzionalità: si fa riferimento, in tal senso, all'art. 3 del D.L. n. 92/2015 (sempre relativo a procedimenti di sequestro di stabilimenti ex Ilva), dichiarato tuttavia costituzionalmente illegittimo dalla Corte costituzionale (sentenza n. 58/2018), proprio perché la disposizione censurata non operava in quel caso un bilanciamento rispondente "a criteri di proporzionalità e di ragionevolezza, in modo tale da non consentire né la prevalenza assoluta di uno dei valori coinvolti, né il sacrificio totale di alcuno di loro". |