Elementi per l'esame in Assemblea del parere motivato adottato dalla XIV Commissione (Doc. XVIII-bis, n. 10) sulla proposta di direttiva sulla lotta contro la corruzione 24 luglio 2023 |
Oggetto e procedura
La Commissione politiche dell'Unione europea della Camera ha espresso lo scorso 19 luglio, ai sensi della procedura per la verifica di conformità al principio di sussidiarietà di cui al
Protocollo n. 2 allegato al Trattato di Lisbona (
v. la nota esplicativa in chiusura del presente dossier), un documento recante un
parere motivato sulla
proposta di direttiva sulla lotta contro la corruzione, contestandone sotto vari profili la
conformità al medesimo principio nonché a quelli di
attribuzione e proporzionalità.
Secondo quanto previsto dal
parere della Giunta per il Regolamento della Camera del 14 luglio 2010, sul documento è stata avanzata da parte di un gruppo parlamentare una richiesta di
rimessione all'Assemblea.
Il termine di 8 settimane per la trasmissione alle Istituzioni dell'UE del parere motivato scade il prossimo 26 luglio.
La proposta di direttiva in questione è volta ad aggiornare il quadro giuridico dell'UE in materia di
lotta contro la
corruzione, vincolando gli Stati membri all'adozione di
norme di armonizzazione minima delle fattispecie di reato riconducibili alla corruzione e delle relative sanzioni, nonché di misure per la
prevenzione del fenomeno corruttivo e di strumenti per rafforzare la
cooperazione nelle relative attività di contrasto.
Sulla proposta il Governo ha trasmesso alle Camere, lo scorso 24 luglio, la relazione del Ministero della giustizia, ai sensi dell'articolo 6, comma 4, della legge 234 del 2012, che avanza anch'essa rilievi sulla conformità ai principi di attribuzione, sussidiarietà e proporzionalità di alcuni elementi della proposta.
Dei contenuti della relazione si darà conto di volta in volta nei paragrafi pertinenti del presente dossier.
|
Finalità e contesto della proposta di direttiva
Con la presentazione della proposta di direttiva la Commissione ha inteso attuare una delle priorità definite nel suo programma di lavoro per il 2023, dando altresì riscontro a una serie di
indirizzi formulati dal Parlamento europeo e dal Consiglio per un più decisa azione dell'UE conto la corruzione.
L'intervento legislativo viene motivato dalla Commissione osservando preliminarmente che la corruzione è attualmente regolata soltanto in modo parziale e frammentario a livello UE attraverso:
Inoltre l'UE è parte della
convenzione delle Nazioni Unite contro la corruzione (
UNCAC), che costituisce il più esaustivo strumento giuridico internazionale in questo campo e include norme concernenti sia il profilo della prevenzione che quello della repressione (
v. infra).
La relazione illustrativa ricorda che, in termini più generali, la lotta alla corruzione è perseguita anche attraverso altri strumenti e procedure dell'UE. In particolare:
A fronte di questo quadro normativo frammentato, la Commissione ritiene necessario introdurre una disciplina organica, sottolineando che la lotta contro la corruzione è essenziale sia per salvaguardare i
valori dell'Unione europea e l'
efficacia delle politiche dell'UE, sia per conservare lo
Stato di diritto e la fiducia nei governanti e nelle istituzioni pubbliche. La corruzione, infatti, ostacola la crescita economica sostenibile, sottrae risorse agli impieghi produttivi, indebolisce l'efficienza della spesa pubblica e aggrava le sperequazioni sociali. Intralcia l'efficace e regolare funzionamento del mercato unico, provoca incertezza nelle attività economiche e scoraggia gli investimenti. Ad avviso della Commissione, inoltre, essa rappresenta uno strumento per le ingerenze straniere nei processi democratici, fenomeno che è al centro dell'azione in fase di sviluppo nell'ambito del pacchetto per la difesa della democrazia, parte del programma di lavoro della Commissione per il 2023.
La Commissione osserva che, pur essendo la corruzione per la sua stessa natura difficile da quantificare, stime prudenziali ne indicano un costo per l'economia dell'UE pari ad almeno
120 miliardi di euro l'anno.
La stima, come precisato nella relazione illustrativa, si basa sui contributi di istituzioni e organismi specializzati (Camera di Commercio Internazionale,
Transparency International,
Global Compact delle Nazioni Unite, Forum economico mondiale e la pubblicazione
Clean Business is Good Business). Un'altra stima (
The Cost of Non-Europe in the Area of Corruption, studio di RAND Europe, 2016) ha indicato, per l'UE, costi della corruzione oscillanti fra
179 miliardi di euro e
990 miliardi di euro all'anno.
Più in dettaglio, lo
studio "
The Cost of Non-Europe in the area of Organised Crime and Corruption" del Servizio Ricerca del Parlamento europeo (
European Parliament research service - EPRS) stima in oltre
6 miliardi di euro all'anno complessivi il costo del rischio di corruzione negli
appalti pubblici dell'UE. Tale rischio, misurato attraverso il
Corruption risk index (cfr. lo
studio EPRS "
Intensificare gli sforzi dell'UE per combattere la
corruzione – Rapporto sul costo della non Europa"), è variato notevolmente tra il 2016 e il 2021, registrando una
diminuzione tra il
2016 e il 2018 e, successivamente, un
significativo aumento tra il 2019 e 2021 (circa il 10%). In tale ultimo studio viene altresì sottolineata una analoga tendenza con riferimento ai
contratti che coinvolgono i
fondi dell'UE, con un aumento del rischio di corruzione stimato intorno al
12 per cento.
I due grafici seguenti indicano il CRI
per gli appalti pubblici e i contratti che riguardano l'uso di fondi UE (Fonte EPRS).
![]()
Di seguito la tendenza annuale del costo totale del rischio di corruzione negli appalti pubblici dell'UE, 2016-2021 (fonte EPRS).
![]()
Di seguito la tendenza annuale riferita ai contratti in cui vengono coinvolti fondi UE (fonte EPRS).
![]()
I Paesi con rischio di corruzione negli appalti pubblici superiore alla media UE-28 sono
Polonia,
Romania,
Lituania,
Cipro e
Croazia. L'indice di rischio di corruzione in
Italia è valutato sotto la media UE.
Di seguito un grafico recante i livelli di rischio di corruzione negli Stati membri (Fonte EPRS).
|
Contenuti
L'articolo 1 stabilisce
finalità e
ambito della proposta di direttiva, già richiamati in precedenza.
L'articolo 2 reca le
definizioni rilevanti ai fini della nuova disciplina tra cui quella, applicabile a tutti i reati di corruzione da essa contemplati, di
funzionario pubblico che comprende:
Per
funzionario nazionale si intende "qualsiasi persona che eserciti
una funzione esecutiva, amministrativa o giurisdizionale a livello
nazionale, regionale o locale,
nominata o eletta, in via
permanente o temporanea,
retribuita o non retribuita, indipendentemente dalla sua anzianità". La definizione include chiunque eserciti
una funzione legislativa a livello nazionale, regionale o locale.
Per "
funzionario dell'Unione" si intende:
Il concetto di "
funzionario di alto livello" – applicabile in relazione alle disposizioni concernenti le circostanze
aggravanti, le misure preventive e la raccolta di dati – include i
capi di Stato, i
capi di
governo centrale e regionale, i
membri del
governo centrale e regionale, nonché altre persone di
nomina politica che ricoprono cariche pubbliche di alto livello, quali
viceministri,
sottosegretari di Stato, capi e membri di gabinetto di un ministro e alti funzionari politici, membri di
Camere parlamentari, membri dei più alti organi giurisdizionali, quali le
corti costituzionali e supreme, e membri delle istituzioni superiori di controllo.
Secondo la relazione illustrativa della proposta il concetto di "
funzionario pubblico" si basa sulle definizioni di cui alla convenzione del 1997 e alla
direttiva (UE) 2017/1371 relativa alla lotta contro la frode che lede gli interessi finanziari dell'Unione mediante il diritto penale. Si precisa tuttavia esplicitamente che tale concetto si estende anche alle
persone che lavorano in
Paesi terzi,
organizzazioni internazionali, comprese le istituzioni dell'Unione europea, nonché in
tribunali nazionali e
internazionali.
L'articolo 3, dedicato alla
prevenzione della corruzione, obbliga gli Stati membri a disporre di misure adeguate, come
campagne di informazione e
sensibilizzazione, e
programmi di ricerca e
istruzione, per sensibilizzare l'opinione pubblica sugli effetti nocivi della corruzione, ridurre complessivamente i reati di corruzione e il rischio di corruzione, nonché di:
L'articolo 4 obbliga gli Stati membri a dotarsi di
organismi specializzati nella
prevenzione e nella
repressione della corruzione, che devono essere
indipendenti, disporre di sufficienti
risorse umane,
finanziarie e
tecniche, nonché di poteri necessari per esercitare le proprie mansioni. Tali organismi devono inoltre
essere noti al
pubblico ed esercitare le proprie funzioni con trasparenza, integrità e responsabilità.
L'articolo 5 impone che alle
autorità nazionali responsabili dell'accertamento, dell'indagine, del perseguimento o del giudizio in relazione ai reati contemplati dalla direttiva sia garantita la costante
disponibilità di
personale qualificato in numero sufficiente e delle
risorse finanziarie, tecniche e tecnologiche necessarie per l'efficace esercizio delle funzioni connesse all'attuazione della direttiva.
L'articolo 6 prevede che sia offerta una
specifica formazione
anticorruzione alle autorità competenti e al loro personale, assicurando risorse adeguate a tale scopo. Contiene inoltre obblighi concernenti la formazione pertinente per i
funzionari pubblici.
Gli articoli da 7 a 14 definiscono, rispettivamente, le fattispecie di
corruzione nel
settore pubblico e in quello
privato, di
appropriazione indebita, di
traffico di
influenze, di
abuso di
ufficio, di
intralcio alla giustizia, di
arricchimento mediante reato di corruzione, di
istigazione,
favoreggiamento,
concorso e
tentativo correlate ai reati sopra richiamati, imponendo agli Stati membri di prendere le misure necessarie affinché tali condotte,
ove intenzionali, siano punibili come reati.
La relazione tecnica del Ministero della giustizia, come si dirà più in dettaglio negli appositi paragrafi del presente dossier, nel rilevare che la proposta rispetta i principi di attribuzione e di sussidiarietà "con riferimento al reato di corruzione" solleva invece perplessità in merito alla sua coerenza con i medesimi principi "nella misura in cui essa disciplina reati ulteriori rispetto a quello di corruzione in senso stretto". Rileva inoltre diversi elementi di criticità connessi al perimetro e alla portata delle singole fattispecie penali previste nella proposta, non sempre sovrapponibili o completamente coperte dalle norme incriminatrici italiane.
|
Corruzione
Sono riconducibili alla
corruzione nel settore pubblico:
Rientrano nel concetto di
corruzione nel settore privato le seguenti condotte poste in atto nell'ambito di attività economiche, finanziarie o commerciali:
|
Appropriazione indebita
Rientrano in tale fattispecie le condotte seguenti, se intenzionali:
|
Traffico d'influenze
Ricadono nella definizione di traffico d'influenze:
Affinché la condotta sia punibile come reato è
irrilevante che l'influenza sia esercitata o meno o che la presunta influenza porti o meno ai
risultati voluti.
|
Abuso di ufficio
Ricadono in tale fattispecie:
|
Intralcio alla giustizia
Tale reato include le seguenti condotte:
|
Arricchimento mediante reato di corruzione
Configura tale reato, se intenzionale,
l'acquisto, la detenzione o l'utilizzazione di beni da parte di un funzionario pubblico nella consapevolezza che derivano dalla commissione di uno degli altri reati definiti dalla direttiva in esame, che il funzionario sia stato
coinvolto o meno nella commissione del reato.
|
Sanzioni
L'articolo 15 impone agli Stati membri di applicare per tutti i reati previsti dalla direttiva
sanzioni penali effettive, proporzionate e dissuasive. Nello specifico:
Se una fattispecie di
appropriazione indebita comporta danni o vantaggi inferiori a
10.000 euro, gli Stati membri possono prevedere sanzioni di
natura diversa da quella penale.
Infine, fatte salve le prescrizioni sull'obbligo di quantificazione della sanzione penale, l'articolo impone agli Stati membri a prendere le misure necessarie affinché le persone fisiche condannate per aver commesso uno dei reati previsti dalla nuova direttiva possano essere destinatarie di
sanzioni o
misure non necessariamente di natura penale, imposte da un'autorità competente, tra le quali:
La relazione del Ministero della giustizia formula alcuni rilievi critici con riguardo alla sussistenza della competenza legislative dell'Ue a disciplinare il sistema delle pene accessorie, con particolare, la sanzione dell'impedimento alla candidatura della persona perseguita per reati di corruzione (si rinvia al riguardo al paragrafo del presente dossier relativo alla base giuridica).
|
Responsabilità delle persone giuridiche
Gli articoli 16 e 17 disciplinano rispettivamente la
responsabilità delle
persone giuridiche e le relative
sanzioni applicabili.
In particolare, l'articolo 16 impone agli Stati membri di prevedere la
responsabilità delle persone giuridiche in caso di reati, previsti dalla proposta in esame, commessi a
loro vantaggio da qualsiasi persona che detenga
posizioni dirigenziali in seno all'ente o da altra persona sottoposta al
controllo o alla
supervisione di quest'ultimo. La responsabilità di una persona giuridica
non preclude l'azione penale nei confronti delle
persone fisiche che sono autori, istigatori o complici di uno dei reati previsti dalla direttiva.
L'articolo 17 stabilisce un
elenco di sanzioni che includono tra l'altro: sanzioni
pecuniarie; l'esclusione da
benefici o
aiuti pubblici; l'esclusione temporanea o permanente dagli
appalti pubblici; il ritiro dei
permessi o delle
autorizzazioni all'esercizio delle attività nel cui ambito è stato commesso il reato; provvedimenti giudiziari di
scioglimento della persona giuridica e
chiusura anche temporanea dei
locali usati per commettere il reato.
|
Circostanze aggravanti e attenuanti
L'articolo 18 detta l'elenco delle circostanze
aggravanti e
attenuanti.
Tra le prime rilevano, tra l'altro, i casi in cui:
Le
circostanze attenuanti includono, tra l'altro, i casi in cui l'autore del reato:
|
Privilegi e immunità
L'articolo 19 impone agli Stati membri di prendere le misure necessarie affinché i
privilegi o le
immunità dalle indagini e dall'azione penale concessi ai
funzionari nazionali per i reati di cui alla nuova direttiva possano essere
revocati secondo un
processo obiettivo, imparziale, efficace e trasparente prestabilito per legge, basato su criteri chiari, che si concluda in
tempi ragionevoli.
La relazione del Ministero della giustizia ritiene che la disposizione in questione, oltre che di dubbia conformità ai principi di sussidiarietà e proporzionalità, risulterebbe nella sua attuale formulazione di attuazione molto problematica alla luce dell'art. 68 della Costituzione.
L'articolo 20 impone a ciascuno Stato membro di stabilire la propria
giurisdizione per i reati di cui alla proposta in esame nei casi in cui: il reato sia commesso, anche solo parzialmente, sul suo
territorio; l'autore del reato sia suo
cittadino o risieda abitualmente sul suo territorio; il reato sia stato
commesso a vantaggio di una persona giuridica stabilita sul suo territorio.
L'esercizio della giurisdizione non può essere subordinato alla condizione che il reato sia perseguibile
solo su
segnalazione dello Stato in cui è stato commesso o su
querela della
vittima in tale ultimo Stato.
|
Prescrizione
L'articolo 21 disciplina i
termini di prescrizione, i quali devono essere tali da consentire alle autorità competenti
tempi sufficienti allo svolgimento efficace delle indagini, dell'azione penale, del processo e del giudizio a seguito della commissione del reato. I termini di prescrizione sono stabiliti in una durata minima compresa tra
otto e
quindici anni dal momento in cui è stato commesso il fatto, a seconda della
gravità del reato. In particolare il termine non può essere inferiore a:
Gli Stati membri possono stabilire un termine di prescrizione
più breve, purché esso possa essere
interrotto o sospeso in caso di specifici atti e le norme applicabili alla sospensione e prescrizione non ostacolino l'efficacia del procedimento giudiziario e l'applicazione dissuasiva delle sanzioni. Detto termine non può essere inferiore a 10 anni per i reati di corruzione e di intralcio alla giustizia, 8 anni per appropriazione indebita, traffico di influenze, abuso di ufficio e 5 anni per l'
arricchimento mediante corruzione e per le condotte di
istigazione,
favoreggiamento,
concorso e
tentativo.
Gli stessi termini, ordinari e abbreviati, sopra richiamati devono trovare applicazione, per le rispettive fattispecie di reato, anche ai fini della esecuzione della pena detentiva
a seguito di una condanna definitiva.
La relazione del Ministero della giustizia formula diversi rilievi critici con riferimento alle disposizioni volte all'armonizzazione dei termini di prescrizione, che sono riportate nel paragrafo relativo alla valutazione della proposta in esame da parte del Governo
.
|
Altre disposizioni
L'articolo 22 stabilisce l'applicazione della
direttiva (UE) 2019/1937 sulla
protezione delle persone che
segnalano violazioni del diritto dell'Unione nel caso in cui si tratti di denunce relative ai reati previsti dalla normativa in esame. La disposizione impone alle autorità nazionali competenti di garantire alle persone che collaborano alle indagini la
protezione, il
sostegno e
l'assistenza necessari nel contesto dei procedimenti penali.
L'articolo 23 obbliga gli Stati membri a garantire che gli
strumenti investigativi previsti dal diritto nazionale per la
criminalità organizzata e le altre
forme gravi di criminalità possano essere impiegati anche per le fattispecie di reato previste dalla nuova direttiva.
L'articolo 24 dispone la
cooperazione tra le autorità degli Stati membri,
Europol,
Eurojust, la
Procura
europea e la
Commissione nella lotta contro la corruzione. A tal fine, se del caso, Europol, Eurojust, la Procura europea, l'OLAF e la Commissione
prestano assistenza tecnica e
operativa conformemente ai rispettivi mandati per facilitare il coordinamento delle indagini e delle azioni penali da parte delle autorità competenti.
L'articolo 25 stabilisce
forme di sostegno agli Stati membri da parte della Commissione europea nell'adempimento degli obblighi previsti dalla nuova disciplina.
Si tratta in particolare dell'istituzione di una
rete dell'UE contro la corruzione volta, tra l'altro, ad agevolare la cooperazione e lo scambio delle migliori pratiche tra gli operatori, gli esperti, i ricercatori e altri portatori di interessi degli Stati membri.
L'articolo 26 obbliga gli Stati membri a raccogliere e pubblicare annualmente
dati statistici sui reati previsti dal nuovo regime.
Gli articoli 27 e 28 dispongono rispettivamente la
sostituzione della
decisione quadro 2003/568/GAI e della convenzione relativa alla lotta contro la corruzione nella quale sono coinvolti funzionari delle Comunità europee, e le modifiche alla
direttiva (UE)2017/1371 relativa alla lotta contro la frode che lede gli interessi finanziari dell'Unione mediante il
diritto penale al fine di allinearla al nuovo regime.
|
Base giuridica, sussidiarietà e proporzionalità |
Base giuridica
La proposta in esame si fonda sugli
articoli 83, paragrafi 1 e 2, e sull'
articolo 82, paragrafo 1, lettera d), del Trattato sul funzionamento dell'UE (TFUE).
L'articolo 83, paragrafo 1, prevede che il Parlamento europeo e il Consiglio possono, secondo la
procedura legislativa ordinaria, stabilire mediante direttive
norme minime relative alla
definizione dei reati e delle relative sanzioni in sfere di criminalità particolarmente grave che presentano una
dimensione transnazionale derivante dal
carattere o dalle implicazioni di tali reati o da una
particolare necessità di combatterli su basi comuni. Tra queste sfere di criminalità ricade la
corruzione.
Il paragrafo 2 dell'articolo 83 afferma la competenza dell'UE a stabilire norme minime relative alla definizione dei reati e delle sanzioni anche nei settori di intervento dell'UE
oggetto di misure di armonizzazione, se ciò si rivela indispensabile per garantire l'attuazione efficace di una
politica dell'Unione in tali settori.
La Commissione ricorda che su tale ultimo paragrafo si fonda la richiamata
direttiva (UE)2017/1371, relativa alla lotta contro la frode che lede gli interessi finanziari dell'Unione mediante il diritto penale.
L'articolo 82, paragrafo 2, lettera d) del TFUE costituisce invece la base giuridica per misure volte a favorire la
cooperazione tra le
autorità giudiziarie o
autorità omologhe degli Stati membri in relazione a procedimenti penali e all'esecuzione delle decisioni, come l'adozione di norme comuni concernenti la giurisdizione in questioni penali.
Come precisato dal preambolo della direttiva, poiché essa detta norme minime, gli Stati membri rimangono liberi di
adottare o mantenere norme di diritto penale più severe in materia di corruzione.
Nella relazione illustrativa della proposta, la Commissione motiva l'ampiezza dell'ambito di intervento sottolineando, per un verso, che "non esiste un'unica definizione di corruzione poiché questo reato si presenta in forme differenti che coinvolgono differenti partecipanti. La corruzione è in effetti un fenomeno endemico che assume aspetti e forme molteplici nei vari settori della società, ad esempio i reati di corruzione, peculato, traffico d'influenze e di informazioni, abuso d'ufficio e arricchimento senza causa".
Per altro verso, essa sottolinea che la disciplina prospettata dalla nuova direttiva è intesa ad
integrare nel quadro legislativo unionale anche
norme internazionali vincolanti per l'UE, come quelle contenute nella citata
Convenzione delle Nazioni Unite contro la corruzione (UNCAC), che contempla numerose fattispecie di reato.
La relazione ricorda che durante i negoziati dell'UNCAC, "gli Stati parte delle Nazioni Unite hanno dedicato un'attenta riflessione all'
opportunità di elaborare una definizione giuridica di corruzione. Si è concluso che qualsiasi tentativo di formulare una definizione esaustiva avrebbe fatalmente trascurato alcune forme di corruzione. Di conseguenza la comunità internazionale ha raggiunto un
consenso su alcune manifestazioni della corruzione, lasciando però a ciascuno Stato la libertà di superare le norme minime sancite dall'UNCAC".
L'obiettivo della Commissione è dunque quello di "
garantire che tutte le forme di corruzione siano perseguibili penalmente in tutti gli Stati membri".
La Commissione europea ricorda che dal 2016 al 2021 Eurojust ha registrato
505 casi di corruzione transfrontaliera e una costante crescita nell'arco del quinquennio che confermerebbe il reato come
fenomeno transfrontaliero in graduale espansione nell'UE.
In tale contesto, la Commissione sottolinea la necessità di prendere in debita considerazione l'operato del Gruppo di Stati contro la corruzione del Consiglio d'Europa (
GRECO), dell'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economici (
OCSE) e dell'Ufficio delle Nazioni Unite contro la droga e il crimine (
UNODC).
La relazione illustrativa riporta altresì che nella fase di studio e preparazione della proposta in esame, la Commissione ha, tra le altre cose, inviato agli Stati membri un questionario per condividere le proprie norme giuridiche nazionali riguardanti i reati riconducibili alla corruzione secondo la definizione dell'UNCAC nonché la durata massima delle pene detentive per tali reati e i termini di prescrizione vigenti. I risultati del questionario – cui hanno risposto tutti gli Stati membri tranne la Bulgaria e la Danimarca - sono sintetizzati dalle tre tabelle riportate di seguito.
La Commissione rileva che dalle informazioni comunicate dagli Stati membri emerge che essi prevedono, nella propria normativa nazionale,
reati di corruzione nei settori pubblico e privato,
peculato, appropriazione indebita, intralcio alla giustizia e abuso d'ufficio, con forti differenze in particolare per quanto riguarda il
peculato o l'abuso d'ufficio. Gran parte di essi hanno criminalizzato anche
il traffico d'influenze, ma alcune definizioni sono sensibilmente diverse dalle pertinenti disposizioni dell'UNCAC. L'arricchimento senza causa è contemplato solo da otto Stati, mentre altri comunicano che tale fattispecie è sostanzialmente inclusa nella normativa concernente il riciclaggio o la confisca dei beni.
Figura 2: Pene detentive per i reati di corruzione negli Stati membri
Al riguardo la Commissione rileva che, le pene proposte dalla direttiva in esame non superano il livello medio delle pene massime previste per questi reati negli Stati membri, peraltro molto differenziate. Fissando un livello minimo per la sanzione a livello dell'UE, ad avviso della Commissione, si faciliterà pertanto la cooperazione transfrontaliera di polizia e giudiziaria e si accrescerà l'effetto di deterrenza.
Anche con riferimento ai termini di prescrizione per reati di corruzione la Commissione pone in risalto le considerevoli differenze nella normativa degli Stati membri.
La relazione del Ministero della giustizia osserva, per un verso, riprendendo in ampia gli argomenti formulati dalla Commissione europea, che:
Per altro verso, rilevando che "con riferimento al reato di corruzione, la proposta rispetta il principio di attribuzione in quanto conforme all'art. 5.2 T.U.E., in ossequio al quale l'Unione agisce esclusivamente nei limiti delle competenze attribuitele dagli Stati membri nei trattati per realizzare gli obiettivi da questi stabiliti", afferma che "può dubitarsi di questa conclusione nella misura in cui essa disciplina reati ulteriori rispetto a quello di corruzione in senso stretto, peraltro privi del carattere di transnazionalità - cosi come sotto altri profili della disciplina medesima (si cfr., ad esempio, l'articolo 19, in materia di immunità) - relativamente ai quali non si rintraccia agevolmente la competenza dell'UE ad adottare norme di armonizzazione". |
Sussidiarietà
La Commissione sostiene che, a causa della
dimensione transazionale della corruzione e tenendo conto dell'attuale quadro giuridico UE, un'
iniziativa a livello europeo sia più
efficace ed
efficiente e costituisca un
valore
aggiunto rispetto a possibili interventi individuali degli Stati membri, in particolare ravvicinando ulteriormente il diritto penale degli Stati membri e contribuendo a creare condizioni di parità tra gli Stati membri, oltre al coordinamento e a norme comuni.
Sottolinea inoltre che, anche in base all'analisi compiuta nelle
relazioni annuali sullo
Stato di diritto, le lacune e i limiti di applicazione della normativa vigente, insieme all'esigenza di cooperazione e di capacità per intraprendere azioni penali transfrontaliere, rendono necessario un maggior
coordinamento e la definizione di
norme comuni in tutta l'UE. Inoltre, una
definizione condivisa dei reati penali agevolerebbe la
collaborazione tra gli Stati membri.
Il mancato intervento a livello UE, ad avviso della Commissione, provocherebbe il probabile aumento della portata del problema della corruzione, con
implicazioni transfrontaliere e un effetto diretto sul
mercato unico, sugli
interessi finanziari dell'Unione e più in generale sulla
sicurezza interna. Da ultimo, in tale scenario, le autorità giudiziarie e di contrasto continuerebbero a incontrare gravi difficoltà nei casi di corruzione più complessi, aprendosi per gli autori dei reati opportunità di
forum shopping, vale a dire la facoltà di individuare le giurisdizioni dell'UE più vantaggiose, in quanto caratterizzate da un quadro legislativo non in grado di contrastare efficacemente il fenomeno.
La relazione del Ministero della giustizia, da un lato, ritiene che "la proposta rispetta il principio di sussidiarietà con riguardo al delitto di corruzione in quanto l'accertata transnazionalità del fenomeno corruttivo renderebbe insoddisfacente l'adozione di misure a livello esclusivamente nazionale, o anche a livello di Unione ma in assenza di coordinamento e cooperazione". A sostegno di questa posizione, richiama in larga misura gli argomenti riportati dalla Commissione europea. Dall'altro, riprendendo un argomento formulato anche con riferimento al principio di attribuzione, sottolinea che "si può dubitare del pieno rispetto del principio di sussidiarietà con riguardo ad altre fattispecie definite nella proposta, diverse dalla corruzione nel settore pubblico". In particolare, la relazione osserva che "con specifico riguardo all'abuso di ufficio, pure contemplato nella proposta della Commissione, esso è oggetto solo di una raccomandazione nella Convenzione UNCAC e che non si rinviene nella proposta un'adeguata motivazione circa la stretta necessità della sua inclusione tra i reati per i quali è obbligatoria per gli Stati l'introduzione di misure legislative incriminatrici". Aggiunge il Ministero della giustizia che "nella stessa prospettiva di semplice raccomandazione agli Stati potrebbe dunque muoversi la proposta di direttiva". La medesima perplessità è espressa dal Governo anche ai fini della verifica del rispetto del principio di proporzionalità (v. infra)
Infine, secondo il Governo, "con riguardo al sistema delle pene accessorie (in particolare, la sanzione dell'impedimento alla candidatura della persona perseguita per reati di corruzione ), appare non privo di fondamento l'argomento in base al quale potrebbe risultare non conforme al principio di sussidiarietà - e probabilmente neanche al principio di attribuzione - l'opzione della Commissione europea di estendere l'esercizio della competenza legislativa dell'UE in diritto penale fino a incidere sulle disposizioni che regolano lo svolgimento del processo democratico nelle elezioni nazionali".
|
Proporzionalità
La Commissione europea sostiene che la nuova direttiva si
limita a quanto
necessario per prevenire e combattere in maniera efficiente la corruzione e adempiere gli obblighi e le norme internazionali, in particolare per quanto riguarda la criminalizzazione della corruzione, in linea con la convenzione UNCAC.
Inoltre, secondo la Commissione,
l'impatto prodotto
sugli Stati membri dalle misure proposte, in termini di risorse necessarie e di adattamenti dei quadri nazionali, sarebbe
minore dei
benefici che deriverebbero dal rafforzamento degli Stati membri nel contrasto alla corruzione mediante il diritto penale, anche grazie a una migliore cooperazione tra autorità competenti nei casi di corruzione transfrontaliera. La Commissione valuta infine gli strumenti di avvicinamento delle misure relative alla
prevenzione e all'uso di
strumenti
investigativi nei limiti di quanto necessario per l'efficace funzionamento della normativa penale in esame.
La relazione del Ministero della giustizia considera in generale la proposta conforme al principio di proporzionalità, riprendendo in ampia misura le argomentazioni della Commissione europea. Osserva tuttavia, anche con riferimento al principio di proporzionalità, oltre che di sussidiarietà, "come in relazione a reati diversi dalla corruzione nel settore pubblico o dall'appropriazione indebita od altro uso illecito di beni da parte di un pubblico ufficiale - come ad esempio l'abuso di ufficio- pure contemplato nella proposta, che essi sono oggetto solo di una raccomandazione nella Convenzione UNCAC. Nella stessa prospettiva di semplice raccomandazione agli Stati potrebbe muoversi la proposta di direttiva, per i contenuti indicati.
|
Valutazione di impatto e consultazione dei portatori di interesse
La Commissione dichiara che la proposta in esame eccezionalmente
non è accompagnata da una valutazione di impatto. Riporta in ogni caso il
lavoro istruttorio che ha preceduto l'elaborazione del testo normativo e le
diverse opzioni che in esito a tale preparatoria sono state prese in considerazione per realizzare l'obiettivo del miglioramento del contrasto alla corruzione.
In particolare, oltre a commissionare studi volti a riesaminare il corpus normativo vigente, la Commissione ha consultato e ricevuto i contributi di
organizzazioni internazionali, come UNODC e OCSE, e di istituzioni accademiche e organizzazioni della società civile. Gli
Stati membri sono stati altresì interpellati mediante
questionari già ricordati in precedenza.
In esito a tali contributi e ad ulteriori valutazioni di altri portatori di interesse, la Commissione ha preso in considerazione i seguenti diversi
approcci:
La Commissione ha scelto l'opzione alla luce degli studi e delle valutazioni preliminari da essa svolte.
|
La valutazione complessiva della proposta e delle sue prospettive negoziali da parte del Governo
Nella relazione ai sensi dell'art. 6, comma 4, della legge n. 234/2012, il Ministero della giustizia, a parte i rilievi già richiamati con riferimenti al rispetto dei principi dei Trattati in materia di competenze dell'Unione, afferma che "il progetto
può ritenersi nel suo
impianto complessivo
conforme all'
interesse nazionale, nella misura in cui è inteso a rafforzare la prevenzione e la repressione del fenomeno della corruzione". Individua tuttavia "taluni elementi di
criticità connessi al
perimetro e alla
portata delle
fattispecie
penali previste nella proposta,
non sempre sovrapponibili o completamente coperte dalle
norme incriminatrici italiane, e in un caso anche al
dubbio valore aggiunto di una delle norme proposte (arricchimento mediante reato di corruzione)."
In particolare, secondo la relazione, "la proposta di direttiva prevede una disposizione in relazione all'
abuso di ufficio dai
contorni talmente ampi da tradursi in un'ipotesi di
abuso innominato. Aggiunge al riguardo che "la proposta della Commissione anticipa la
soglia di punibilità rispetto alla norma italiana, in particolare ritenendo sufficiente per l'integrazione del reato la sussistenza in capo all'agente del
fine di ottenere l'indebito vantaggio, e non richiedendo che il
vantaggio sia effettivamente procurato". In secondo luogo, secondo il Governo, "nella proposta di direttiva si richiede che l'atto sia compiuto od omesso in violazione di leggi,
senza alcuna ulteriore specificazione". Infine, "
l'assenza di specificazioni non consente di comprendere se il
vantaggio, cui la disposizione sull'abuso d'ufficio si riferisce, debba essere
esclusivamente quello di natura patrimoniale né se a rilevare debba essere solo quello
connotato da ingiustizia".
Considerazioni in parte analoghe nella Relazione del Governo si ritengono possibili in relazione alla norma sul
traffico di influenze. Inoltre, secondo il Governo, "un'analoga indifferenza rispetto all'evento si rinviene pure nella proposta di criminalizzare l'
abuso delle funzioni nel settore privato, che punterebbe cosi a dare rilievo penale a profili di violazione dei doveri inerenti all'incarico privato, incentrata sulla pura e semplice infedeltà".
Altro nodo critico viene individuato dalla relazione con riferimento alla proposta di armonizzazione dei termini di prescrizione, sia del reato sia della pena. Ad avviso del Governo "
l'allungamento significativo dei
termini di prescrizione potrebbe causare uno
squilibrio del sistema e condurre a risultati contraddittori rispetto ad altre scelte politiche dell'Unione europea, quali quelle tendenti a condizionare l'ottenimento dei
fondi europei alla
riduzione dei tempi dei processi penali e, più in generale, all'efficientamento della giustizia".
Da ultimo, come già ricordato, il Governo ritiene che la disposizione in materia di
immunità di cui all'art. 19, oltre ai richiamati dubbi sulla sua conformità ai principi di sussidiarietà e proporzionalità, risulterebbe nella sua attuale formulazione di attuazione
molto problematica alla luce dell'art. 68 della Costituzione.
|
Quadro normativo nazionale in materia di lotta alla corruzione (a cura del Servizio Studi)
Tenuto conto del contenuto e della portata della proposta di direttiva in esame, appare utile esaminare le fattispecie disciplinate in tale ambito nel diritto interno.
|
Fattispecie di reato
In primo luogo, vengono in rilievo i
delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione, che sono disciplinati dal capo I del titolo II del libro II del codice penale.
In particolare, l'art. 314 c.p. (
Peculato) punisce con la
reclusione da 4 anni a 10 anni e 6 mesi il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio che, avendo per ragioni d'ufficio o di servizio la disponibilità di denaro o altra cosa mobile altrui, se ne appropri.
È prevista una
circostanza attenuante (reclusione da 6 mesi a 3 anni) se il colpevole ha agito al solo scopo di fare un uso momentaneo della cosa e questa è stata immediatamente restituita.
L'art. 316 c.p. (
Peculato mediante profitto dell'errore altrui) punisce con la
reclusione da 6 mesi a 3 anni il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio il quale, nell'esercizio delle funzioni o del servizio, giovandosi dell'errore altrui, riceve o ritiene indebitamente, per sé o per un terzo, denaro o altra utilità.
Si prevede una
circostanza aggravante (reclusione da 6 mesi a 4 anni) quando il fatto
offende gli interessi dell'Unione europea e il danno o il profitto sono superiori a 100.000 euro.
L'art. 316-
bis c.p. (
Malversazione di erogazioni pubbliche) punisce con la
reclusione da 6 mesi a 4 anni il privato che, avendo ricevuto dallo Stato o da altro ente pubblico o dall'Unione europea erogazioni o agevolazioni, non le destina alle finalità previste.
L'art. 316-
ter c.p. (
Indebita percezione di erogazioni pubbliche) punisce con la
reclusione da 6 mesi a 3 anni - salvo che il fatto costituisca il reato di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche - chiunque ottiene indebitamente erogazioni
da parte dello Stato o di altro ente pubblico o dell'UE mediante presentazione di dichiarazioni o documenti falsi o mendaci o l'omissione di informazioni dovute. Sono previste alcune circostanze aggravanti e se la
somma percepita è esigua si applica soltanto una
sanzione amministrativa pecuniaria.
L'art. 640-
bis c.p. (
Truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche) punisce con la
reclusione da 2 a 7 anni il delitto di truffa commesso al fine di ottenere erogazioni da parte dello Stato o di altri enti pubblici o dell'Unione europea. Tale fattispecie si differenzia dall'indebita percezione di cui all'art. 640 c.p. in quanto è necessario l'
uso di artifizi o raggiri.
L'art. 317 c.p. (
Concussione) punisce con la
reclusione da 6 a 12 anni il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio che, abusando della sua qualità o dei suoi poteri, costringe taluno a dare o promettere indebitamente, per sé o per un terzo, denaro o altra utilità.
Le fattispecie di
corruzione sono disciplinate
dagli articoli 318 e ss. c.p.
In particolare, l'art. 318 c.p. (
Corruzione per l'esercizio della funzione) punisce con la
reclusione da 3 a 8 anni il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio che
, per l'esercizio delle sue funzioni o poteri, indebitamente riceva, per sé o per un terzo, denaro o altra utilità o ne accetti la promessa.
L'art. 319 c.p. (
Corruzione per un atto contrario ai doveri d'ufficio) punisce con una pena edittale più alta (
reclusione da 6 a 10 anni) il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio che, per
l'omissione o il ritardo di un atto del suo ufficio o per il compimento di un atto contrario ai suoi doveri, riceva, per sé o per un terzo, denaro o altra utilità o ne accetti la promessa.
Le pene previste dagli artt. 318 e 319 c.p. si applicano anche al
privato corruttore (art. 321 c.p.). Inoltre, le medesime pene, ma diminuite di un terzo, si applicano al pubblico ufficiale o all'incaricato di pubblico servizio che
sollecita la promessa o la dazione, nonché al privato che
offre o promette denaro o altra utilità qualora la promessa o la dazione non siano accettate (art. 322 c.p., c.d. "
istigazione alla corruzione").
L'art. 319-
ter c.p. è relativo alla specifica fattispecie di
corruzione in atti giudiziari nell'ambito di un procedimento civile, penale o amministrativo, punita con la
reclusione da 6 a 12 anni. Anche in tal caso, la stessa pena si applica al
privato corruttore (art. 321 c.p.).
Sono previste
circostanze aggravanti se dal fatto deriva l'
ingiusta condanna di taluno:
L'art. 319-
quater c.p. (
Induzione indebita a dare o promettere utilità) punisce con la
reclusione da 6 anni a 10 anni e 6 mesi, salvo che il fatto costituisca più grave reato, il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio che, abusando della sua qualità o dei suoi poteri, induce taluno a dare o a promettere indebitamente, a lui o a un terzo, denaro o altra utilità. Anche in tal caso, è punito anche il
privato, ma con una pena più mite (reclusione fino a 3 anni ovvero,
se il fatto offende gli interessi finanziari dell'Unione europea e il danno o il profitto sono superiori a 100.000 euro, con la reclusione fino a 4 anni).
L'art. 322-
bis c.p. prevede che le norme relative al peculato, alla concussione, all'induzione indebita, alla corruzione e all'istigazione alla corruzione e all'abuso d'ufficio si applichino anche ai membri degli
organi dell'UE (Commissione, Parlamento europeo, Corte di giustizia, Corte dei conti) e ai funzionari e agli agenti
dell'UE, ai giudici, ai procuratori e ai funzionari della
Corte penale internazionale, ai giudici e ai funzionari delle
corti internazionali, ai membri delle
assemblee parlamentari internazionali o di
organizzazioni internazionali, a coloro che esercitano funzioni o attività corrispondenti a quelle di pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio nell'ambito di Stati membri dell'UE o di organizzazione internazionali, nonché nell'ambito di Stati terzi qualora il fatto offenda gli interessi finanziari dell'Unione. Le pene si applicano anche al privato corruttore nei predetti casi, nonché nel caso di dazione, offerta o promessa a coloro che esercitano funzioni o attività corrispondenti a quelle di pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio nell'ambito di Stati terzi.
La
corruzione tra privati è disciplinata dagli articoli 2635 e ss. c.c.
L'art. 2635 c.c. punisce con la
reclusione da 1 a 3 anni, salvo che il fatto costituisca più grave reato, gli amministratori, i direttori generali, i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili, i sindaci, i liquidatori di società o enti privati e i soggetti che esercitano in tali società o enti funzioni direttive, che, anche per interposta persona, sollecitano o ricevono, per sé o per altri, denaro o altra utilità non dovuti, o ne accettano la promessa, per compiere od omettere in atto in violazione degli obblighi d'ufficio o di fedeltà. Se il fatto è commesso da chi è sottoposto alla direzione o alla vigilanza dei predetti soggetti si applica la pena della
reclusione fino a 1 anno e 6 mesi.
Le predette pene si applicano anche al
corruttore. Si applicano le medesime pene diminuite di un terzo al soggetto che sollecita la promessa o la dazione, nonché al privato che offre o promette denaro o altra utilità qualora rispettivamente la promessa o la dazione o la sollecitazione non siano accettate (art. 2635-
bis c.c.,
istigazione alla corruzione tra privati).
È prevista una
circostanza aggravante (
pena raddoppiata) se si tratta di
società con titoli quotati in mercati regolamentati.
L'art. 323 c.p. (
Abuso d'ufficio) punisce con la
reclusione da 1 a 4 anni, salvo che il fatto costituisca più grave reato, il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio che, nello svolgimento delle funzioni o del servizio,
intenzionalmente procuri a sé o ad altri un
ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero rechi ad altri un
danno ingiusto. Integrano la fattispecie di reato le due condotte alternative:
Elementi costitutivi essenziali della fattispecie sono quindi il
danno ingiusto per la vittima ovvero
l'ingiusto vantaggio patrimoniale per l'autore o per altri.
È prevista una
circostanza aggravante nel caso in cui il vantaggio o il danno abbiano un carattere di
rilevante gravità.
Come è noto, l'ambito oggettivo del reato è stato circoscritto a seguito della novella apportata con l'art. 23,
D.L. n. 76 del 2020 (decreto c.d. "semplificazioni"), che ha sostituito l'originaria formulazione: «in violazione di norme di legge o di regolamento» con quella più restrittiva: «in violazione di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità».
A tal proposito, si segnala che è attualmente in discussione presso la Commissione Giustizia della Camera una proposta di legge (
C. 645 Pittalis), volta ad
abrogare tale fattispecie di reato e a modificare quella di traffico di influenze illecite di cui all'art. 346-
bis (su cui v.
infra). L'abrogazione della fattispecie dell'abuso d'ufficio è prevista anche dal
disegno di legge approvato dal Consiglio dei ministri,
nella riunione del 15 giugno 2023, e in corso di
presentazione al Parlamento.
L'art. 346-
bis c.p. (
Traffico di influenze illecite) punisce con la
reclusione da un anno a quattro anni e sei mesi chiunque, fuori dei casi di concorso in delitti di corruzione,
sfruttando o vantando relazioni esistenti o asserite con un pubblico ufficiale o un incaricato di pubblico servizio,
indebitamente fa dare o promettere, a sé o ad altri, denaro o altra utilità quale
prezzo della mediazione illecita verso il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio (in tale ipotesi, l'erogazione indebita costituisce il corrispettivo della mediazione illecita presso il pubblico agente ) o per
remunerare il pubblico ufficiale o incaricato di servizio pubblico
in relazione all'esercizio delle sue funzioni o dei suoi poteri (in questa ipotesi la corresponsione illecita è effettuata all'intermediario affinché questi, a sua volta, remuneri il soggetto pubblico in relazione all'esercizio delle sue funzioni o poteri).
Si ricorda che il reato di traffico di influenze illecite di cui all'art. 346-bis c.p. è stato inserito nel codice dalla
c.d. Legge Severino (
legge n. 190 del 2012).
La citata proposta di legge (
C. 645 Pittalis) prevede che l'utilità conseguita debba essere di
carattere patrimoniale e che l'esercizio delle funzioni del pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio debba essere
"illecito".
Analogamente, con il citato
disegno di legge governativo si modifica tale fattispecie di reato. Difatti, si prevede, tra l'altro, che: le relazioni del mediatore con il pubblico ufficiale devono essere sfruttate (non solo vantate) e devono essere esistenti (non solo asserite) e ciò deve avvenir e ciò deve avvenire "intenzionalmente"; l'utilità data o promessa al mediatore deve essere economica; viene data una definizione normativa di "altra utilità" prevista dalla fattispecie in esame; il trattamento sanzionatorio del minimo edittale è aumentato da 1 anno a 1 anno e 6 mesi.
|
Responsabilità delle persone giuridiche
Per quanto concerne la
responsabilità delle persone giuridiche, la sezione III del capo I del
D. Lgs. n. 231 del 2001 disciplina la responsabilità amministrativa da reato delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica. Il D.lgs. citato ha introdotto una forma di responsabilità amministrativa dell'ente, distinta dalla responsabilità penale della persona fisica che ha materialmente commesso il reato. La responsabilità dell'ente e quella dell'autore del reato presupposto rimangono comunque ben distinte: quest'ultimo sarà chiamato a rispondere penalmente per il reato, mentre l'ente risponderà sotto forma di
sanzione amministrativa per aver consentito la commissione, da parte di uno dei suoi membri, di un reato. Da ciò discende il permanere della responsabilità in capo all'ente anche qualora l'autore del reato non fosse stato identificato, non fosse imputabile ovvero nel caso in cui il reato si fosse estinto per una causa diversa dall'amnistia.
In tale quadro, gli artt. 24 e 25 prevedono espressamente la responsabilità amministrativa dell'ente derivante dai reati di indebita percezione di erogazioni, truffa ai danni dello Stato, dell'Unione europea o di un ente pubblico o per il conseguimento di erogazioni pubbliche, peculato, concussione, induzione indebita, corruzione e abuso d'ufficio e stabiliscono le relative
sanzioni amministrative pecuniarie.
|
Prescrizione
Quanto al
termine di prescrizione di tali fattispecie di reato, esse sono sottoposte alla
disciplina ordinaria.
Nello specifico, per calcolare il tempo necessario a prescrivere un reato si fa riferimento alla pena massima prevista per il reato stesso, con due limiti: nel caso di delitto, il tempo non può mai essere inferiore ai 6 anni; nel caso di contravvenzione, non può mai essere inferiore a 4 anni.
In base all'
art. 157 c.p. la prescrizione estingue il reato decorso il tempo corrispondente al
massimo della pena edittale stabilita dalla legge per ogni singolo reato; tale tempo non può comunque essere in caso di delitto inferiore a 6 anni e in caso di contravvenzione inferiore a 4 anni.
Al fine dell'individuazione del massimo della pena edittale, si stabilisce che non si debba tener conto né delle aggravanti né delle attenuanti, salvo che delle circostanze aggravanti ad effetto speciale (che comportano cioè un aumento della pena superiore ad un terzo) e di quelle per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria.
Inoltre, l'
art. 160 c.p. disciplina l'
interruzione del corso della prescrizione
. La prescrizione interrotta comincia nuovamente a decorrere dal giorno della interruzione. In via generale, l'interruzione della prescrizione, ai sensi dell'art. 161, secondo comma, c.p. non può in ogni caso comportare l'aumento di più di 1/4 del tempo necessario a prescrivere.
Tuttavia, si fa presente che, in via di eccezione,
l'aumento del tempo necessario a prescrivere non può superare
la metà del tempo ordinario per alcune delle citate fattispecie di
reati contro la pubblica amministrazione.
L'
art. 161-bis c.p
. prevede la
cessazione definitiva del corso della prescrizione a seguito della pronunzia della
sentenza di primo grado. Infine, la
legge n. 134 del 2021 ha altresì introdotto l'art
. 344-bis c.p.p., che prevede l'istituto
dell'improcedibilità per superamento dei termini di durata massima del giudizio di impugnazione.
|
Prevenzione della corruzione
Rilevanti compiti di
prevenzione della corruzione nel settore pubblico sono attribuiti all'
Autorità nazionale anticorruzione (ANAC).
L'ANAC ha il compito di adottare il
Piano nazionale anticorruzione, che rappresenta un atto di indirizzo per le amministrazioni ai fini dell'adozione dei propri piani triennali di prevenzione della corruzione. Esso, anche in relazione alla dimensione e ai diversi settori di attività degli enti, individua i principali rischi di corruzione e i relativi rimedi e contiene l'indicazione di obiettivi, tempi e modalità di adozione e attuazione delle misure di contrasto alla corruzione. Il Piano ha durata triennale ed è aggiornato annualmente.
L'ANAC, inoltre, ai sensi del DL 90/2014 ha il compito di
ricevere notizie e segnalazioni di illeciti provenienti da cittadini o pubblici dipendenti, anche nelle forme di cui all'art. 54-
bis del D.Lgs. n. 165/2001, che disciplina l'ipotesi in cui il pubblico dipendente denuncia o riferisce al proprio superiore gerarchico condotte illecite di cui sia venuto a conoscenza in ragione del rapporto di lavoro (c.d. "
whistleblowing") e il potere di applicare, nei confronti dei soggetti obbligati, sanzioni amministrative, i cui proventi possono essere utilizzati dall'Autorità per le proprie attività istituzionali, nel caso in cui le pubbliche amministrazioni non provvedano ad adottare il Piano triennale di prevenzione della corruzione, il Programma triennale per la trasparenza e l'integrità o il codice di comportamento dei pubblici dipendenti.
Il D.Lgs. 165/2001 (c.d. TU pubblico impiego) attribuisce all'Autorità il compito di definire
criteri, linee guida e modelli uniformi per singoli settori o tipologie di amministrazione ai fini della adozione del proprio Codice di comportamento dei dipendenti (art. 54).
L'Autorità ha inoltre un generale
potere di controllo e di accertamento sulle inconferibilità ed
incompatibilità di incarichi disciplinate dal D.Lgs. n. 39/2013.
Ulteriori compiti sono previsti dal D.Lgs. n. 33/2013 (art. 45), come modificato dal D.Lgs. n. 97/2016, che disciplina gli obblighi di trasparenza nelle pubbliche amministrazioni.
|
Esame presso altri Parlamenti nazionali
Sulla base dei dati forniti dal sito
IPEX, l'esame dell'atto ai fini della verifica della conformità al principio di sussidiarietà risulta concluso dalle Houses of Oireachtas dell'
Irlanda, dal Senato della
Repubblica Ceca, dal Senato della
Polonia, dall'Assemblea della Repubblica
portoghese e dal Riksdag
svedese.
In particolare, il
Parlamento svedese, il 21 giugno 2023, ha approvato un
parere motivato ai sensi dell'articolo 6 del Protocollo n. 2 allegato al Trattato di Lisbona.
Il Parlamento svedese sostiene che le disposizioni in materia di
sanzioni o
misure supplementari, potendo essere interpretate nel senso di
privare del diritto di candidarsi ad una carica elettiva una persona fisica processata per alcuni reati contemplati dalla proposta,
confliggono chiaramente con il
principio di sussidiarietà, andando ben oltre quanto necessario per raggiungere l'obiettivo perseguito. Ad avviso del Parlamento svedese è anzi dubbio che la
competenza legislativa dell'UE in materia di
diritto penale possa estendersi fino a stabilire le
condizioni per l'esercizio della
democrazia nelle
elezioni nazionali negli Stati membri.
Da ultimo, il Riksdag esprime, per ragioni analoghe, dubbi sulla piena compatibilità con il principio di sussidiarietà della disposizione che introdurrebbe, tra le sanzioni accessorie, la
cessazione o
l'interdizione da un
pubblico impiego.
Anche il
Senato della Repubblica Ceca ha rilevato, in una
risoluzione adottata lo scorso 13 luglio, la violazione del principio di attribuzione con riferimento ai medesimi elementi della proposta di direttiva.
In particolare, il Senato ceco è del parere che in base all'articolo 83 del Trattato sul Funzionamento dell'Unione Europea (che stabilisce norme minime relative alla definizione dei reati e delle sanzioni)
l'Unione non ha la competenza per:
In forza di tale argomentazioni la risoluzione del Senato della Repubblica ceca chiede che
tali disposizioni siano eliminate.
Infine, il Senato ceco ritiene (conformemente alla posizione del Governo nazionale) che la proposta debba essere riscritta in una forma di
elevata qualità e
chiarezza
tecnico
legislativa per quanto riguarda la
definizione dei
reati, e che anche le altre disposizioni dovrebbero essere modificate secondo modalità usate per le altre direttive adottate per armonizzare il
diritto penale sostanziale, che rappresentano un
compromesso generale con gli Stati membri per quanto riguarda l'intensità di
armonizzazione del
regime generale in questo settore.
L'esame della proposta è stato avviato ed è tuttora in corso presso le seguenti Assemblee rappresentative: la Camera dei rappresentanti del
Belgio; il Parlamento della
Danimarca, il Parlamento
finlandese; il Bundesrat
tedesco; la Camera dei Rappresentanti di
Malta; la Sejm della
Polonia; il Consiglio nazionale della
Repubblica slovacca.
|
Esame presso il Senato
In base alle
convocazioni per la settimana 24-30 luglio 2023, la 4a Commissione (Politiche dell'Unione europea) del Senato dovrebbe incardinare l'esame della proposta martedì 25 luglio 2023.
|
Nota esplicativa - La ripartizione delle competenze tra UE e Stati membri e il principio di sussidiarietà
Ai sensi dell'art. 5 del
Trattato
sull'Unione europea (TUE), la delimitazione delle competenze dell'Unione si fonda sul
principio di attribuzione, mentre l'esercizio delle medesime competenze si fonda sui principi di
sussidiarietà e proporzionalità.
In virtù del principio di attribuzione, l'UE agisce
esclusivamente nei limiti delle competenze che le sono attribuite dagli Stati membri nei trattati per realizzare gli obiettivi da questi stabiliti. Qualsiasi competenza non attribuita all'Unione nei trattati appartiene agli Stati membri. Ciò implica che l'Unione, attraverso le proprie istituzioni e organi, può intervenire soltanto
negli ambiti e con le procedure indicati di volta in volta da
specifiche disposizioni del trattato, le c.d. basi giuridiche.
In virtù del
principio di sussidiarietà,
nei settori che non sono di sua competenza esclusiva l'Unione interviene soltanto se e in quanto gli obiettivi dell'azione prevista
non possono essere conseguiti in misura sufficiente dagli Stati membri, né a livello centrale né a livello regionale e locale, ma possono, a motivo della portata o degli effetti dell'azione in questione,
essere conseguiti meglio a livello di Unione. Le istituzioni dell'Unione applicano il principio di sussidiarietà conformemente al protocollo sull'applicazione dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità. I parlamenti nazionali vigilano sul rispetto del principio di sussidiarietà secondo la procedura prevista in detto protocollo.
In virtù del
principio di proporzionalità, il contenuto e la forma dell'azione dell'Unione, in qualsiasi ambito di competenza, si limitano a quanto necessario per il conseguimento degli obiettivi dei trattati.
|
La procedura per la verifica di sussidiarietà
Il
Protocollo n. 2 sui principi di sussidiarietà e proporzionalità, allegato al Trattato di Lisbona, prevede una apposita procedura per la verifica da parte dei
Parlamenti nazionali della
conformità al principio di sussidiarietà dei progetti di atti legislativi dell'UE relativi a materie di competenza non esclusiva dell'UE. In particolare:
La
Giunta per il regolamento della
Camera dei deputati ha attribuito alla
competenza della XIV Commissione politiche dell'Unione europea la verifica della conformità al principio di sussidiarietà dei progetti di atti legislativi dell'UE, secondo la procedura definita in via sperimentale con i pareri del
6 ottobre 2009 e del
14 luglio 2010.
Il documento della XIV Commissione contenente la decisione sui profili di sussidiarietà può essere
sottoposto all'Assemblea su richiesta del Governo, di un quinto dei componenti della medesima Commissione (ovvero di rappresentanti dei Gruppi in Commissione di pari consistenza numerica) o di un decimo dei componenti dell'Assemblea (ovvero di presidenti di Gruppi di pari consistenza numerica).
|