Camera dei deputati - Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: RUE - Ufficio SG - Ufficio Rapporti con l'Unione europea
Titolo: Elementi per l'esame in Assemblea del parere motivato adottato dalla XIV Commissione (Doc. XVIII-bis, n. 10) sulla proposta di direttiva sulla lotta contro la corruzione
Serie: Documentazione per l'Assemblea - Esame di atti e documenti dell'UE   Numero: 4
Data: 24/07/2023
Organi della Camera: XIV Unione Europea, Assemblea


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Elementi per l'esame in Assemblea del parere motivato adottato dalla XIV Commissione (Doc. XVIII-bis, n. 10) sulla proposta di direttiva sulla lotta contro la corruzione

24 luglio 2023


Indice

|Oggetto e procedura|Finalità e contesto della proposta di direttiva|Contenuti|Base giuridica, sussidiarietà e proporzionalità|La valutazione complessiva della proposta e delle sue prospettive negoziali da parte del Governo|Quadro normativo nazionale in materia di lotta alla corruzione (a cura del Servizio Studi)|Esame presso altri Parlamenti nazionali|Nota esplicativa - La ripartizione delle competenze tra UE e Stati membri e il principio di sussidiarietà|



Oggetto e procedura

La Commissione politiche dell'Unione europea della Camera ha espresso lo scorso 19 luglio, ai sensi della procedura per la verifica di conformità al principio di sussidiarietà di cui al Protocollo n. 2 allegato al Trattato di Lisbona ( v. la nota esplicativa in chiusura del presente dossier), un documento recante un parere motivato sulla proposta di direttiva sulla lotta contro la corruzione, contestandone sotto vari profili la conformità al medesimo principio nonché a quelli di attribuzione e proporzionalità.
Secondo quanto previsto dal parere della Giunta per il Regolamento della Camera del 14 luglio 2010, sul documento è stata avanzata da parte di un gruppo parlamentare una richiesta di rimessione all'Assemblea.
Il termine di 8 settimane per la trasmissione alle Istituzioni dell'UE del parere motivato scade il prossimo 26 luglio.
La proposta di direttiva in questione è volta ad aggiornare il quadro giuridico dell'UE in materia di lotta contro la corruzione, vincolando gli Stati membri all'adozione di norme di armonizzazione minima delle fattispecie di reato riconducibili alla corruzione e delle relative sanzioni, nonché di misure per la prevenzione del fenomeno corruttivo e di strumenti per rafforzare la cooperazione nelle relative attività di contrasto.
Sulla proposta il Governo ha trasmesso alle Camere, lo scorso 24 luglio, la relazione del Ministero della giustizia, ai sensi dell'articolo 6, comma 4, della legge 234 del 2012, che avanza anch'essa rilievi sulla conformità ai principi di attribuzione, sussidiarietà e proporzionalità di alcuni elementi della proposta.
Dei contenuti della relazione si darà conto di volta in volta nei paragrafi pertinenti del presente dossier.

Finalità e contesto della proposta di direttiva

Con la presentazione della proposta di direttiva la Commissione ha inteso attuare una delle priorità definite nel suo programma di lavoro per il 2023, dando altresì riscontro a una serie di indirizzi formulati dal Parlamento europeo e dal Consiglio per un più decisa azione dell'UE conto la corruzione.
L'intervento legislativo viene motivato dalla Commissione osservando preliminarmente che la corruzione è attualmente regolata soltanto in modo parziale e frammentario a livello UE attraverso:
  • la decisione quadro 2003/568/GAI del Consiglio che stabilisce requisiti relativi alla configurazione della corruzione come reato per quanto riguarda il settore privato;
  • la convenzione del 1997 relativa alla lotta contro la corruzione nella quale sono coinvolti funzionari dell'UE o dei suoi Stati membri.
Inoltre l'UE è parte della convenzione delle Nazioni Unite contro la corruzione ( UNCAC), che costituisce il più esaustivo strumento giuridico internazionale in questo campo e include norme concernenti sia il profilo della prevenzione che quello della repressione ( v. infra).
La relazione illustrativa ricorda che, in termini più generali, la lotta alla corruzione è perseguita anche attraverso altri strumenti e procedure dell'UE. In particolare:
  • la direttiva (UE) 2018/1673 sulla lotta al riciclaggio mediante il diritto penale, che configura la corruzione come reato presupposto del riciclaggio;
  • la direttiva (UE) 2017/1371 relativa alla lotta contro la frode e altri reati che ledono gli interessi finanziari dell'Unione, tra cui la corruzione attiva e passiva e l'appropriazione indebita;
  • la relazione annuale sullo Stato di diritto della Commissione, nell'ambito della quale sono monitorati gli sviluppi della lotta contro la corruzione a livello nazionale e, dal 2022, sono rivolte anche apposite raccomandazioni agli Stati membri;
  • il semestre europeo per il coordinamento delle politiche economiche e i piani nazionali di ripresa e resilienza. In particolare le raccomandazioni specifiche per paese, adottate dal Consiglio in esito al semestre, mirano anche a migliorare la capacità di lotta contro la corruzione in diversi Stati membri, con particolare riferimento agli appalti pubblici, all'integrità nella pubblica amministrazione e al contesto imprenditoriale. Le medesime indicazioni si rispecchiano in tappe concrete dei piani nazionali di ripresa e resilienza;
  • il regolamento relativo a un regime generale di condizionalità, in base al quale la Commissione può proporre che il Consiglio sospenda in tutto o in parte l'erogazione di fondi UE agli Stati membri in cui violazioni dei principi dello Stato di diritto - tra cui la corruzione - possono compromettere, o rischiano seriamente di compromettere, la sana gestione finanziaria del bilancio dell'Unione o gli interessi finanziari dell'Unione.
 
A fronte di questo quadro normativo frammentato, la Commissione ritiene necessario introdurre una disciplina organica, sottolineando che la lotta contro la corruzione è essenziale sia per salvaguardare i valori dell'Unione europea e l' efficacia delle politiche dell'UE, sia per conservare lo Stato di diritto e la fiducia nei governanti e nelle istituzioni pubbliche. La corruzione, infatti, ostacola la crescita economica sostenibile, sottrae risorse agli impieghi produttivi, indebolisce l'efficienza della spesa pubblica e aggrava le sperequazioni sociali. Intralcia l'efficace e regolare funzionamento del mercato unico, provoca incertezza nelle attività economiche e scoraggia gli investimenti. Ad avviso della Commissione, inoltre, essa rappresenta uno strumento per le ingerenze straniere nei processi democratici, fenomeno che è al centro dell'azione in fase di sviluppo nell'ambito del pacchetto per la difesa della democrazia, parte del programma di lavoro della Commissione per il 2023.
La Commissione osserva che, pur essendo la corruzione per la sua stessa natura difficile da quantificare, stime prudenziali ne indicano un costo per l'economia dell'UE pari ad almeno 120 miliardi di euro l'anno.
La stima, come precisato nella relazione illustrativa, si basa sui contributi di istituzioni e organismi specializzati (Camera di Commercio Internazionale, Transparency International, Global Compact delle Nazioni Unite, Forum economico mondiale e la pubblicazione Clean Business is Good Business). Un'altra stima ( The Cost of Non-Europe in the Area of Corruption, studio di RAND Europe, 2016) ha indicato, per l'UE, costi della corruzione oscillanti fra 179 miliardi di euro e 990 miliardi di euro all'anno.
Più in dettaglio, lo studio " The Cost of Non-Europe in the area of Organised Crime and Corruption" del Servizio Ricerca del Parlamento europeo ( European Parliament research service - EPRS) stima in oltre 6 miliardi di euro all'anno complessivi il costo del rischio di corruzione negli appalti pubblici dell'UE. Tale rischio, misurato attraverso il Corruption risk index (cfr. lo studio EPRS  " Intensificare gli sforzi dell'UE per combattere la corruzione – Rapporto sul costo della non Europa"), è variato notevolmente tra il 2016 e il 2021, registrando una diminuzione tra il 2016 e il 2018 e, successivamente, un significativo aumento tra il 2019 e 2021 (circa il 10%). In tale ultimo studio viene altresì sottolineata una analoga tendenza con riferimento ai contratti che coinvolgono i fondi dell'UE, con un aumento del rischio di corruzione stimato intorno al 12 per cento.
I due grafici seguenti indicano il CRI per gli appalti pubblici e i contratti che riguardano l'uso di fondi UE (Fonte EPRS).
Di seguito la tendenza annuale del costo totale del rischio di corruzione negli appalti pubblici dell'UE, 2016-2021 (fonte EPRS).
Di seguito la tendenza annuale riferita ai contratti in cui vengono coinvolti fondi UE (fonte EPRS).
I Paesi con rischio di corruzione negli appalti pubblici superiore alla media UE-28 sono Polonia, Romania, Lituania, Cipro e Croazia. L'indice di rischio di corruzione in Italia è valutato sotto la media UE. 
 
Di seguito un grafico recante i livelli di rischio di corruzione negli Stati membri (Fonte EPRS).


Contenuti

L'articolo 1 stabilisce finalità e ambito della proposta di direttiva, già richiamati in precedenza.
L'articolo 2 reca le definizioni rilevanti ai fini della nuova disciplina tra cui quella, applicabile a tutti i reati di corruzione da essa contemplati, di funzionario pubblico che comprende:
  1. le figure, definite a loro volta in dettaglio, di funzionario dell'Unione, di funzionario nazionale, di uno Stato membro o paese terzo, e di funzionario di alto livello;
  2. "qualsiasi altra persona a cui siano state assegnate e che eserciti funzioni di pubblico servizio" negli Stati membri o in Paesi terzi, per un'organizzazione internazionale o per un organo giurisdizionale internazionale.
 
Per funzionario nazionale si intende "qualsiasi persona che eserciti una funzione esecutiva, amministrativa o giurisdizionale a livello nazionale, regionale o locale, nominata o eletta, in via permanente o temporanea, retribuita o non retribuita, indipendentemente dalla sua anzianità". La definizione include chiunque eserciti una funzione legislativa a livello nazionale, regionale o locale.
Per " funzionario dell'Unione" si intende:
  1. il membro di un'istituzione, organo o organismo dell'UE e del relativo personale assimilato ai funzionari dell'Unione;
  2. il funzionario o altro agente assunto per contratto dall'Unione ai sensi dello statuto dei funzionari e del regime applicabile agli altri agenti dell'UE in base al medesimo statuto;
  3. la persona distaccata da uno Stato membro o da qualsiasi organismo pubblico o privato presso l'UE, che vi eserciti funzioni corrispondenti a quelle dei funzionari o degli altri agenti dell'Unione.
Il concetto di " funzionario di alto livello" – applicabile in relazione alle disposizioni concernenti le circostanze aggravanti, le misure preventive e la raccolta di dati – include i capi di Stato, i capi di governo centrale e regionale, i membri del governo centrale e regionale, nonché altre persone di nomina politica che ricoprono cariche pubbliche di alto livello, quali viceministri, sottosegretari di Stato, capi e membri di gabinetto di un ministro e alti funzionari politici, membri di Camere parlamentari, membri dei più alti organi giurisdizionali, quali le corti costituzionali e supreme, e membri delle istituzioni superiori di controllo.
Secondo la relazione illustrativa della proposta il concetto di " funzionario pubblico" si basa sulle definizioni di cui alla convenzione del 1997 e alla direttiva (UE) 2017/1371 relativa alla lotta contro la frode che lede gli interessi finanziari dell'Unione mediante il diritto penale. Si precisa tuttavia esplicitamente che tale concetto si estende anche alle persone che lavorano in Paesi terzi, organizzazioni internazionali, comprese le istituzioni dell'Unione europea, nonché in tribunali nazionali e internazionali.
 
L'articolo 3, dedicato alla prevenzione della corruzione, obbliga gli Stati membri a disporre di misure adeguate, come campagne di informazione e sensibilizzazione, e programmi di ricerca e istruzione, per sensibilizzare l'opinione pubblica sugli effetti nocivi della corruzione, ridurre complessivamente i reati di corruzione e il rischio di corruzione, nonché di:
  • misure per il massimo livello di trasparenza e responsabilità nella pubblica amministrazione e nel processo decisionale pubblico;
  • strumenti di prevenzione fondamentali, quali il libero accesso alle informazioni di interesse pubblico, la dichiarazione e gestione di conflitti di interesse, la dichiarazione e la verifica della situazione patrimoniale dei funzionari pubblici, nonché norme efficaci che disciplinino l'interazione tra il settore privato e il settore pubblico;
  • un quadro di programmazione di valutazioni periodiche per individuare i settori più a rischio di corruzione, seguite da azioni di sensibilizzazione e dalla predisposizione di piani per affrontare i rischi individuati;
  • se del caso, misure per promuovere la partecipazione della società civile, delle organizzazioni non governative e delle organizzazioni locali alle attività anticorruzione.
 
L'articolo 4 obbliga gli Stati membri a dotarsi di organismi specializzati nella prevenzione e nella repressione della corruzione, che devono essere indipendenti, disporre di sufficienti risorse umane, finanziarie e tecniche, nonché di poteri necessari per esercitare le proprie mansioni. Tali organismi devono inoltre essere noti al pubblico ed esercitare le proprie funzioni con trasparenza, integrità e responsabilità.
 
L'articolo 5 impone che alle autorità nazionali responsabili dell'accertamento, dell'indagine, del perseguimento o del giudizio in relazione ai reati contemplati dalla direttiva sia garantita la costante disponibilità di personale qualificato in numero sufficiente e delle risorse finanziarie, tecniche e tecnologiche necessarie per l'efficace esercizio delle funzioni connesse all'attuazione della direttiva.
 
L'articolo 6 prevede che sia offerta una specifica formazione anticorruzione alle autorità competenti e al loro personale, assicurando risorse adeguate a tale scopo. Contiene inoltre obblighi concernenti la formazione pertinente per i funzionari pubblici.
 
Gli articoli da 7 a 14 definiscono, rispettivamente, le fattispecie di corruzione nel settore pubblico e in quello privato, di appropriazione indebita, di traffico di influenze, di abuso di ufficio, di intralcio alla giustizia, di arricchimento mediante reato di corruzione, di istigazione, favoreggiamento, concorso e tentativo correlate ai reati sopra richiamati, imponendo agli Stati membri di prendere le misure necessarie affinché tali condotte, ove intenzionali, siano punibili come reati.
La relazione tecnica del Ministero della giustizia, come si dirà più in dettaglio negli appositi paragrafi del presente dossier, nel rilevare che la proposta rispetta i principi di attribuzione e di sussidiarietà "con riferimento al reato di corruzione" solleva invece perplessità in merito alla sua coerenza con i medesimi principi "nella misura in cui essa disciplina reati ulteriori rispetto a quello di corruzione in senso stretto". Rileva inoltre diversi elementi di criticità connessi al perimetro e alla portata delle singole fattispecie penali previste nella proposta, non sempre sovrapponibili o completamente coperte dalle norme incriminatrici italiane.

Corruzione

Sono riconducibili alla corruzione nel settore pubblico:
  • il fatto di promettere, offrire o concedere a un funzionario pubblico, direttamente o tramite un intermediario, un vantaggio di qualsiasi natura per il funzionario stesso o per un terzo, affinché il funzionario pubblico compia o ometta un atto proprio delle sue funzioni o nell'esercizio di queste (corruzione attiva);
  • il fatto che un funzionario pubblico solleciti o riceva, direttamente o tramite un intermediario, un vantaggio o la promessa di un vantaggio di qualsiasi natura per sé o per un terzo, per compiere o omettere un atto proprio delle sue funzioni o nell'esercizio di queste (corruzione passiva).
Rientrano nel concetto di corruzione nel settore privato le seguenti condotte poste in atto nell'ambito di attività economiche, finanziarie o commerciali:
  • il fatto di promettere, offrire o concedere, direttamente o tramite un intermediario, un indebito vantaggio di qualsiasi natura a una persona che svolge a qualsiasi titolo funzioni direttive o lavorative per un'entità del settore privato, per detta persona o per un terzo, affinché detta persona compia o ometta un atto in violazione dei suoi doveri ( corruzione attiva);
  • il fatto che una persona solleciti o riceva, direttamente o tramite un intermediario, un indebito vantaggio o la promessa di un indebito vantaggio di qualsiasi natura per sé o per un terzo, al fine di compiere o omettere un atto in violazione dei propri doveri nello svolgimento di funzioni direttive o lavorative a qualsiasi titolo per un'entità del settore privato ( corruzione passiva).

Appropriazione indebita

Rientrano in tale fattispecie le condotte seguenti, se intenzionali:
  1. l'impegno, l'erogazione, l'appropriazione o l'uso, da parte di un funzionario pubblico, di beni della cui gestione è direttamente o indirettamente incaricato per uno scopo diverso da quello per essi previsto;
  2. l'impegno, l'erogazione, l'appropriazione o l'uso, nell'ambito di attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o commerciali, da parte di una persona che svolge a qualsiasi titolo funzioni direttive o lavorative per un'entità del settore privato, di beni della cui gestione è direttamente o indirettamente incaricata, per uno scopo diverso da quello per essi previsto.

Traffico d'influenze

Ricadono nella definizione di traffico d'influenze:
  1. il fatto di promettere, offrire o concedere, direttamente o tramite un intermediario, un indebito vantaggio di qualsiasi natura per una persona o un terzo affinché detta persona eserciti un'influenza reale o presunta in vista di ottenere un indebito vantaggio da un funzionario pubblico;
  2. il fatto che una persona solleciti o riceva, direttamente o tramite un intermediario, un indebito vantaggio o la promessa di un indebito vantaggio di qualsiasi natura per sé o per un terzo, al fine di esercitare un'influenza reale o presunta in vista di ottenere un indebito vantaggio da un funzionario pubblico.
Affinché la condotta sia punibile come reato è irrilevante che l'influenza sia esercitata o meno o che la presunta influenza porti o meno ai risultati voluti.

Abuso di ufficio

Ricadono in tale fattispecie:
  • l'esecuzione o l'omissione di un atto, in violazione delle leggi, da parte di un funzionario pubblico nell'esercizio delle sue funzioni al fine di ottenere un indebito vantaggio per sé o per un terzo;
  • l'esecuzione o l'omissione di un atto, in violazione di un dovere, da parte di una persona che svolge a qualsiasi titolo funzioni direttive o lavorative per un'entità del settore privato nell'ambito di attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o commerciali al fine di ottenere un indebito vantaggio per sé o per un terzo.

Intralcio alla giustizia

Tale reato include le seguenti condotte:
  • fare uso, direttamente o tramite un intermediario, di violenza, minacce o intimidazioni, o promettere, offrire o concedere un vantaggio per istigare a prestare falsa testimonianza o per interferire nella testimonianza o nella presentazione di elementi probatori in un procedimento in relazione a uno degli altri reati definiti dalla direttiva in esame;
  • fare uso, direttamente o tramite un intermediario, di violenza, minacce o intimidazioni per interferire nell'esercizio delle mansioni ufficiali di un funzionario di un'autorità giudiziaria o di un'autorità di contrasto sempre in relazione a uno degli altri reati definiti dalla direttiva in esame.

Arricchimento mediante reato di corruzione

Configura tale reato, se intenzionale, l'acquisto, la detenzione o l'utilizzazione di beni da parte di un funzionario pubblico nella consapevolezza che derivano dalla commissione di uno degli altri reati definiti dalla direttiva in esame, che il funzionario sia stato coinvolto o meno nella commissione del reato.

Sanzioni

L'articolo 15 impone agli Stati membri di applicare per tutti i reati previsti dalla direttiva sanzioni penali effettive, proporzionate e dissuasive. Nello specifico:
  • in caso di corruzione nel settore pubblico e di intralcio alla giustizia la pena detentiva massima non deve essere inferiore ai sei anni;
  • la corruzione nel settore privato, appropriazione indebita, traffico di influenze, e abuso di ufficio sono punibili con una pena detentiva massima non inferiore a cinque anni;
  • l'arricchimento mediante reato di corruzione deve essere punibile con una pena detentiva massima non inferiore ai quattro anni.
Se una fattispecie di appropriazione indebita comporta danni o vantaggi inferiori a 10.000 euro, gli Stati membri possono prevedere sanzioni di natura diversa da quella penale.
Infine, fatte salve le prescrizioni sull'obbligo di quantificazione della sanzione penale, l'articolo impone agli Stati membri a prendere le misure necessarie affinché le persone fisiche condannate per aver commesso uno dei reati previsti dalla nuova direttiva possano essere destinatarie di sanzioni o misure non necessariamente di natura penale, imposte da un'autorità competente, tra le quali:
  • sanzioni pecuniarie;
  • la destituzione, la sospensione o il trasferimento dai pubblici uffici;
  • l'interdizione dai pubblici uffici, dall'esercizio di una funzione di pubblico servizio, dall'esercizio di funzioni presso una persona giuridica di proprietà, in tutto o in parte, dello Stato membro, dall'esercizio delle attività commerciali nel cui ambito è stato commesso il reato;
  • la privazione del diritto di eleggibilità, proporzionata alla gravità del reato commesso; 
  • il ritiro dei permessi o delle autorizzazioni all'esercizio delle attività nel cui ambito è stato commesso il reato;
  • l'esclusione dall'accesso ai finanziamenti pubblici, comprese procedure di gara, sovvenzioni e concessioni.
La relazione del Ministero della giustizia formula alcuni rilievi critici con riguardo alla sussistenza della competenza legislative dell'Ue a disciplinare il sistema delle pene accessorie, con particolare, la sanzione dell'impedimento alla candidatura della persona perseguita per reati di corruzione (si rinvia al riguardo al paragrafo del presente dossier relativo alla base giuridica).

Responsabilità delle persone giuridiche

Gli articoli 16 e 17 disciplinano rispettivamente la responsabilità delle persone giuridiche e le relative sanzioni applicabili.
In particolare, l'articolo 16 impone agli Stati membri di prevedere la responsabilità delle persone giuridiche in caso di reati, previsti dalla proposta in esame, commessi a loro vantaggio da qualsiasi persona che detenga posizioni dirigenziali in seno all'ente o da altra persona sottoposta al controllo o alla supervisione di quest'ultimo. La responsabilità di una persona giuridica non preclude l'azione penale nei confronti delle persone fisiche che sono autori, istigatori o complici di uno dei reati previsti dalla direttiva.
L'articolo 17 stabilisce un elenco di sanzioni che includono tra l'altro: sanzioni pecuniarie; l'esclusione da benefici o aiuti pubblici; l'esclusione temporanea o permanente dagli appalti pubblici; il ritiro dei permessi o delle autorizzazioni all'esercizio delle attività nel cui ambito è stato commesso il reato; provvedimenti giudiziari di scioglimento della persona giuridica e chiusura anche temporanea dei locali usati per commettere il reato.

Circostanze aggravanti e attenuanti

L'articolo 18 detta l'elenco delle circostanze aggravanti e attenuanti.  
Tra le prime rilevano, tra l'altro, i casi in cui:
  • l'autore del reato sia un funzionario di alto livello, una persona condannata in precedenza per uno dei reati previsti dalla direttiva in esame o eserciti funzioni di indagine, azione penale o di giudizio;
  • l'autore del reato abbia ottenuto un vantaggio sostanziale o il reato abbia causato un danno sostanziale;
  • il reato sia stato commesso a vantaggio di un paese terzo o nell'ambito di un'organizzazione criminale.
 
Le circostanze attenuanti includono, tra l'altro, i casi in cui l'autore del reato:
  • fornisca alle autorità competenti informazioni che altrimenti non sarebbero state in grado di ottenere, aiutandole ad identificare o consegnare alla giustizia gli altri autori del reato oppure a reperire prove;
  • sia una persona giuridica e abbia attuato efficaci programmi di controllo interno, di sensibilizzazione in materia di etica e di conformità per prevenire la corruzione prima o dopo la commissione del reato;
  • sia una persona giuridica e, una volta scoperto il reato, lo abbia comunicato rapidamente e volontariamente alle autorità competenti e ha disposto misure correttive.

Privilegi e immunità

L'articolo 19 impone agli Stati membri di prendere le misure necessarie affinché i privilegi o le immunità dalle indagini e dall'azione penale concessi ai funzionari nazionali per i reati di cui alla nuova direttiva possano essere revocati secondo un processo obiettivo, imparziale, efficace e trasparente prestabilito per legge, basato su criteri chiari, che si concluda in tempi ragionevoli.
La relazione del Ministero della giustizia ritiene che la disposizione in questione, oltre che di dubbia conformità ai principi di sussidiarietà e proporzionalità, risulterebbe nella sua attuale formulazione di attuazione molto problematica alla luce dell'art. 68 della Costituzione.
 
L'articolo 20 impone a ciascuno Stato membro di stabilire la propria giurisdizione per i reati di cui alla proposta in esame nei casi in cui: il reato sia commesso, anche solo parzialmente, sul suo territorio; l'autore del reato sia suo cittadino o risieda abitualmente sul suo territorio; il reato sia stato commesso a vantaggio di una persona giuridica stabilita sul suo territorio.
L'esercizio della giurisdizione non può essere subordinato alla condizione che il reato sia perseguibile solo su segnalazione dello Stato in cui è stato commesso o su querela della vittima in tale ultimo Stato.

Prescrizione

L'articolo 21 disciplina i termini di prescrizione, i quali devono essere tali da consentire alle autorità competenti tempi sufficienti allo svolgimento efficace delle indagini, dell'azione penale, del processo e del giudizio a seguito della commissione del reato. I termini di prescrizione sono stabiliti in una durata minima compresa tra otto e quindici anni dal momento in cui è stato commesso il fatto, a seconda della gravità del reato. In particolare il termine non può essere inferiore a:
  • 15 anni per i reati di corruzione e intralcio alla giustizia;
  • 10 anni per appropriazione indebita, traffico di influenze e abuso di ufficio;
  • 8 anni per l'arricchimento mediante reato di corruzione e per le condotte di istigazione, favoreggiamento, concorso e tentativo correlate ai reati sopra richiamati;
Gli Stati membri possono stabilire un termine di prescrizione più breve, purché esso possa essere interrotto o sospeso in caso di specifici atti e le norme applicabili alla sospensione e prescrizione non ostacolino l'efficacia del procedimento giudiziario e l'applicazione dissuasiva delle sanzioni. Detto termine non può essere inferiore a 10 anni per i reati di corruzione e di intralcio alla giustizia, 8 anni per appropriazione indebita, traffico di influenze, abuso di ufficio e 5 anni per l' arricchimento mediante corruzione e per le condotte di istigazione, favoreggiamento, concorso e tentativo.
Gli stessi termini, ordinari e abbreviati, sopra richiamati devono trovare applicazione, per le rispettive fattispecie di reato, anche ai fini della esecuzione della pena detentiva a seguito di una condanna definitiva.
La relazione del Ministero della giustizia formula diversi rilievi critici con riferimento alle disposizioni volte all'armonizzazione dei termini di prescrizione, che sono riportate nel paragrafo relativo alla valutazione della proposta in esame da parte del Governo .

Altre disposizioni

L'articolo 22 stabilisce l'applicazione della direttiva (UE) 2019/1937 sulla protezione delle persone che segnalano violazioni del diritto dell'Unione nel caso in cui si tratti di denunce relative ai reati previsti dalla normativa in esame. La disposizione impone alle autorità nazionali competenti di garantire alle persone che collaborano alle indagini la protezione, il sostegno e l'assistenza necessari nel contesto dei procedimenti penali.
 
L'articolo 23 obbliga gli Stati membri a garantire che gli strumenti investigativi previsti dal diritto nazionale per la criminalità organizzata e le altre forme gravi di criminalità possano essere impiegati anche per le fattispecie di reato previste dalla nuova direttiva.
 
L'articolo 24 dispone la cooperazione tra le autorità degli Stati membri, Europol, Eurojust, la Procura europea e la Commissione nella lotta contro la corruzione. A tal fine, se del caso, Europol, Eurojust, la Procura europea, l'OLAF e la Commissione prestano assistenza tecnica e operativa conformemente ai rispettivi mandati per facilitare il coordinamento delle indagini e delle azioni penali da parte delle autorità competenti.
 
L'articolo 25 stabilisce forme di sostegno agli Stati membri da parte della Commissione europea nell'adempimento degli obblighi previsti dalla nuova disciplina.
Si tratta in particolare dell'istituzione di una rete dell'UE contro la corruzione volta, tra l'altro, ad agevolare la cooperazione e lo scambio delle migliori pratiche tra gli operatori, gli esperti, i ricercatori e altri portatori di interessi degli Stati membri.
 
L'articolo 26 obbliga gli Stati membri a raccogliere e pubblicare annualmente dati statistici sui reati previsti dal nuovo regime.
 
Gli articoli 27 e 28 dispongono rispettivamente la sostituzione della decisione quadro 2003/568/GAI e della convenzione relativa alla lotta contro la corruzione nella quale sono coinvolti funzionari delle Comunità europee, e le modifiche alla direttiva (UE)2017/1371 relativa alla lotta contro la frode che lede gli interessi finanziari dell'Unione mediante il diritto penale al fine di allinearla al nuovo regime.

Base giuridica, sussidiarietà e proporzionalità


Base giuridica

La proposta in esame si fonda sugli articoli 83, paragrafi 1 e 2, e sull' articolo 82, paragrafo 1, lettera d), del Trattato sul funzionamento dell'UE (TFUE).
L'articolo 83, paragrafo 1, prevede che il Parlamento europeo e il Consiglio possono, secondo la procedura legislativa ordinaria, stabilire mediante direttive norme minime relative alla definizione dei reati e delle relative sanzioni in sfere di criminalità particolarmente grave che presentano una dimensione transnazionale derivante dal carattere o dalle implicazioni di tali reati o da una particolare necessità di combatterli su basi comuni. Tra queste sfere di criminalità ricade la corruzione.
Il paragrafo 2 dell'articolo 83 afferma la competenza dell'UE a stabilire norme minime relative alla definizione dei reati e delle sanzioni anche nei settori di intervento dell'UE oggetto di misure di armonizzazione, se ciò si rivela indispensabile per garantire l'attuazione efficace di una politica dell'Unione in tali settori.
La Commissione ricorda che su tale ultimo paragrafo si fonda la richiamata direttiva (UE)2017/1371, relativa alla lotta contro la frode che lede gli interessi finanziari dell'Unione mediante il diritto penale.
L'articolo 82, paragrafo 2, lettera d) del TFUE costituisce invece la base giuridica per misure volte a favorire la cooperazione tra le autorità giudiziarie o autorità omologhe degli Stati membri in relazione a procedimenti penali e all'esecuzione delle decisioni, come l'adozione di norme comuni concernenti la giurisdizione in questioni penali.
Come precisato dal preambolo della direttiva, poiché essa detta norme minime, gli Stati membri rimangono liberi di adottare o mantenere norme di diritto penale più severe in materia di corruzione.
 
Nella relazione illustrativa della proposta, la Commissione motiva l'ampiezza dell'ambito di intervento sottolineando, per un verso, che "non esiste un'unica definizione di corruzione poiché questo reato si presenta in forme differenti che coinvolgono differenti partecipanti. La corruzione è in effetti un fenomeno endemico che assume aspetti e forme molteplici nei vari settori della società, ad esempio i reati di corruzione, peculato, traffico d'influenze e di informazioni, abuso d'ufficio e arricchimento senza causa".
Per altro verso, essa sottolinea che la disciplina prospettata dalla nuova direttiva è intesa ad integrare nel quadro legislativo unionale anche norme internazionali vincolanti per l'UE, come quelle contenute nella citata Convenzione delle Nazioni Unite contro la corruzione (UNCAC), che contempla numerose fattispecie di reato.
La relazione ricorda che durante i negoziati dell'UNCAC, "gli Stati parte delle Nazioni Unite hanno dedicato un'attenta riflessione all' opportunità di elaborare una definizione giuridica di corruzione. Si è concluso che qualsiasi tentativo di formulare una definizione esaustiva avrebbe fatalmente trascurato alcune forme di corruzione. Di conseguenza la comunità internazionale ha raggiunto un consenso su alcune manifestazioni della corruzione, lasciando però a ciascuno Stato la libertà di superare le norme minime sancite dall'UNCAC".
L'obiettivo della Commissione è dunque quello di " garantire che tutte le forme di corruzione siano perseguibili penalmente in tutti gli Stati membri".
La Commissione europea ricorda che dal 2016 al 2021 Eurojust ha registrato 505 casi di corruzione transfrontaliera e una costante crescita nell'arco del quinquennio che confermerebbe il reato come fenomeno transfrontaliero in graduale espansione nell'UE.
In tale contesto, la Commissione sottolinea la necessità di prendere in debita considerazione l'operato del Gruppo di Stati contro la corruzione del Consiglio d'Europa ( GRECO), dell'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economici ( OCSE) e dell'Ufficio delle Nazioni Unite contro la droga e il crimine ( UNODC).
La relazione illustrativa riporta altresì che nella fase di studio e preparazione della proposta in esame, la Commissione ha, tra le altre cose, inviato agli Stati membri un questionario per condividere le proprie norme giuridiche nazionali riguardanti i reati riconducibili alla corruzione secondo la definizione dell'UNCAC nonché la durata massima delle pene detentive per tali reati e i termini di prescrizione vigenti. I risultati del questionario – cui hanno risposto tutti gli Stati membri tranne la Bulgaria e la Danimarca - sono sintetizzati dalle tre tabelle riportate di seguito.
 La Commissione rileva che dalle informazioni comunicate dagli Stati membri emerge che essi prevedono, nella propria normativa nazionale, reati di corruzione nei settori pubblico e privato, peculato, appropriazione indebita, intralcio alla giustizia e abuso d'ufficio, con forti differenze in particolare per quanto riguarda il peculato o l'abuso d'ufficio. Gran parte di essi hanno criminalizzato anche il traffico d'influenze, ma alcune definizioni sono sensibilmente diverse dalle pertinenti disposizioni dell'UNCAC. L'arricchimento senza causa è contemplato solo da otto Stati, mentre altri comunicano che tale fattispecie è sostanzialmente inclusa nella normativa concernente il riciclaggio o la confisca dei beni.
 
Figura 2: Pene detentive per i reati di corruzione negli Stati membri
Al riguardo la Commissione rileva che, le pene proposte dalla direttiva in esame non superano il livello medio delle pene massime previste per questi reati negli Stati membri, peraltro molto differenziate. Fissando un livello minimo per la sanzione a livello dell'UE, ad avviso della Commissione, si faciliterà pertanto la cooperazione transfrontaliera di polizia e giudiziaria e si accrescerà l'effetto di deterrenza.
 
Anche con riferimento ai termini di prescrizione per reati di corruzione la Commissione pone in risalto le considerevoli differenze nella normativa degli Stati membri.
 
La relazione del Ministero della giustizia osserva, per un verso, riprendendo in ampia gli argomenti formulati dalla Commissione europea, che:
  • l'art. 83, par. 1, del TFUE costituisce una base giuridica adeguata, "tenendo conto che non esiste un'unica definizione di corruzione, alla cui formulazione si è rinunciato anche in sede di negoziato per l'UNCAC, poiché questo reato si presenta in forme differenti che coinvolgono diversi partecipanti. La corruzione è
    in effetti un fenomeno endemico che assume aspetti e forme molteplici nei vari settori della società, ad esempio i reati di corruzione, peculato, traffico d'influenze e di informazioni, abuso d'ufficio contemplati nella proposta di direttiva";
  • anche l'articolo 83, paragrafo 2, TFUE è una base giuridica corretta essendo la proposta volta anche a modificare precedenti strumenti UE sulla materia, quali la richiamata direttiva (UE)2017/1371.
Per altro verso, rilevando che "con riferimento al reato di corruzione, la proposta rispetta il principio di attribuzione in quanto conforme all'art. 5.2 T.U.E., in ossequio al quale l'Unione agisce
esclusivamente nei limiti delle competenze attribuitele dagli Stati membri nei trattati
per realizzare gli obiettivi da questi stabiliti", afferma che "può dubitarsi di questa conclusione nella
misura in cui essa disciplina reati ulteriori rispetto a quello di corruzione in senso
stretto, peraltro privi del carattere di transnazionalità - cosi come sotto altri profili della
disciplina medesima (si cfr., ad esempio, l'articolo 19, in materia di immunità) - relativamente ai quali non si rintraccia agevolmente la competenza dell'UE ad adottare norme di armonizzazione
"
.

Sussidiarietà

La Commissione sostiene che, a causa della dimensione transazionale della corruzione e tenendo conto dell'attuale quadro giuridico UE, un' iniziativa a livello europeo sia più efficace ed efficiente e costituisca un valore aggiunto rispetto a possibili interventi individuali degli Stati membri, in particolare ravvicinando ulteriormente il diritto penale degli Stati membri e contribuendo a creare condizioni di parità tra gli Stati membri, oltre al coordinamento e a norme comuni.
Sottolinea inoltre che, anche in base all'analisi compiuta nelle relazioni annuali sullo Stato di diritto, le lacune e i limiti di applicazione della normativa vigente, insieme all'esigenza di cooperazione e di capacità per intraprendere azioni penali transfrontaliere, rendono necessario un maggior coordinamento e la definizione di norme comuni in tutta l'UE. Inoltre, una definizione condivisa dei reati penali agevolerebbe la collaborazione tra gli Stati membri.
Il mancato intervento a livello UE, ad avviso della Commissione, provocherebbe il probabile aumento della portata del problema della corruzione, con implicazioni transfrontaliere e un effetto diretto sul mercato unico, sugli interessi finanziari dell'Unione e più in generale sulla sicurezza interna. Da ultimo, in tale scenario, le autorità giudiziarie e di contrasto continuerebbero a incontrare gravi difficoltà nei casi di corruzione più complessi, aprendosi per gli autori dei reati opportunità di forum shopping, vale a dire la facoltà di individuare le giurisdizioni dell'UE più vantaggiose, in quanto caratterizzate da un quadro legislativo non in grado di contrastare efficacemente il fenomeno.
La relazione del Ministero della giustizia, da un lato, ritiene che "la proposta rispetta il principio di sussidiarietà con riguardo al delitto di corruzione in quanto l'accertata transnazionalità del fenomeno corruttivo renderebbe insoddisfacente l'adozione di misure a livello esclusivamente nazionale, o anche a livello di Unione ma in assenza di coordinamento e cooperazione". A sostegno di questa posizione, richiama in larga misura gli argomenti riportati dalla Commissione europea. Dall'altro, riprendendo un argomento formulato anche con riferimento al principio di attribuzione, sottolinea che "si può dubitare del pieno rispetto del principio di sussidiarietà con riguardo ad altre fattispecie definite nella proposta, diverse dalla corruzione nel settore pubblico". In particolare, la relazione osserva che "con specifico riguardo all'abuso di ufficio, pure contemplato nella proposta della Commissione, esso è oggetto solo di una raccomandazione nella Convenzione UNCAC e che non si rinviene nella proposta un'adeguata motivazione circa la stretta necessità della sua inclusione tra i reati per i quali è obbligatoria per gli Stati l'introduzione di misure legislative incriminatrici". Aggiunge il Ministero della giustizia che "nella stessa prospettiva di semplice raccomandazione agli Stati potrebbe dunque muoversi la proposta di direttiva". La medesima perplessità è espressa dal Governo anche ai fini della verifica del rispetto del principio di proporzionalità (v. infra)
Infine, secondo il Governo, "con riguardo al sistema delle pene accessorie (in particolare, la sanzione dell'impedimento alla candidatura della persona perseguita per reati di corruzione ), appare non privo di fondamento l'argomento in base al quale potrebbe risultare non conforme al principio di sussidiarietà - e probabilmente neanche al principio di attribuzione - l'opzione della Commissione europea di estendere l'esercizio della competenza legislativa dell'UE in diritto penale fino a incidere sulle disposizioni che regolano lo svolgimento del processo democratico nelle elezioni nazionali".

Proporzionalità

La Commissione europea sostiene che la nuova direttiva si limita a quanto necessario per prevenire e combattere in maniera efficiente la corruzione e adempiere gli obblighi e le norme internazionali, in particolare per quanto riguarda la criminalizzazione della corruzione, in linea con la convenzione UNCAC.
Inoltre, secondo la Commissione, l'impatto prodotto sugli Stati membri dalle misure proposte, in termini di risorse necessarie e di adattamenti dei quadri nazionali, sarebbe minore dei benefici che deriverebbero dal rafforzamento degli Stati membri nel contrasto alla corruzione mediante il diritto penale, anche grazie a una migliore cooperazione tra autorità competenti nei casi di corruzione transfrontaliera. La Commissione valuta infine gli strumenti di avvicinamento delle misure relative alla prevenzione e all'uso di strumenti investigativi nei limiti di quanto necessario per l'efficace funzionamento della normativa penale in esame.
La relazione del Ministero della giustizia considera in generale la proposta conforme al principio di proporzionalità, riprendendo in ampia misura le argomentazioni della Commissione europea. Osserva tuttavia, anche con riferimento al principio di proporzionalità, oltre che di sussidiarietà, "come in relazione a reati diversi dalla corruzione nel settore pubblico o dall'appropriazione indebita od altro uso illecito di beni da parte di un pubblico ufficiale - come ad esempio l'abuso di ufficio- pure contemplato nella proposta, che essi sono oggetto solo di una raccomandazione nella Convenzione UNCAC. Nella stessa prospettiva di semplice raccomandazione agli Stati potrebbe muoversi la proposta di direttiva, per i contenuti indicati.

Valutazione di impatto e consultazione dei portatori di interesse

La Commissione dichiara che la proposta in esame eccezionalmente non è accompagnata da una valutazione di impatto. Riporta in ogni caso il lavoro istruttorio che ha preceduto l'elaborazione del testo normativo e le diverse opzioni che in esito a tale preparatoria sono state prese in considerazione per realizzare l'obiettivo del miglioramento del contrasto alla corruzione.
In particolare, oltre a commissionare studi volti a riesaminare il corpus normativo vigente, la Commissione ha consultato e ricevuto i contributi di organizzazioni internazionali, come UNODC e OCSE, e di istituzioni accademiche e organizzazioni della società civile. Gli Stati membri sono stati altresì interpellati mediante questionari già ricordati in precedenza.
In esito a tali contributi e ad ulteriori valutazioni di altri portatori di interesse, la Commissione ha preso in considerazione i seguenti diversi approcci:
  1. azione non legislativa a livello dell'UE o a livello nazionale, compresi orientamenti, scambio di migliori prassi, formazione ed elaborazione di tabelle di corrispondenza per i reati connessi alla corruzione;
  2. una proposta che recepisca le disposizioni dell'UNCAC;
  3. una proposta che, oltre a recepire le disposizioni dell'UNCAC, superi gli obblighi internazionali, imponendo livelli minimi al limite massimo delle sanzioni;
  4. una proposta che definisca le varie condizioni e i diversi elementi di tutti i possibili reati di corruzione nonché i requisiti di misure preventive come le norme sull'attività di lobbying e i conflitti di interessi.
La Commissione ha scelto l'opzione alla luce degli studi e delle valutazioni preliminari da essa svolte.

La valutazione complessiva della proposta e delle sue prospettive negoziali da parte del Governo

Nella relazione ai sensi dell'art. 6, comma 4, della legge n. 234/2012, il Ministero della giustizia, a parte i rilievi già richiamati con riferimenti al rispetto dei principi dei Trattati in materia di competenze dell'Unione, afferma che "il progetto può ritenersi nel suo impianto complessivo conforme all' interesse nazionale, nella misura in cui è inteso a rafforzare la prevenzione e la repressione del fenomeno della corruzione". Individua tuttavia "taluni elementi di criticità connessi al perimetro e alla portata delle fattispecie penali previste nella proposta, non sempre sovrapponibili o completamente coperte dalle norme incriminatrici italiane, e in un caso anche al dubbio valore aggiunto di una delle norme proposte (arricchimento mediante reato di corruzione)."
In particolare, secondo la relazione, "la proposta di direttiva prevede una disposizione in relazione all' abuso di ufficio dai contorni talmente ampi da tradursi in un'ipotesi di abuso innominato. Aggiunge al riguardo che "la proposta della Commissione anticipa la soglia di punibilità rispetto alla norma italiana, in particolare ritenendo sufficiente per l'integrazione del reato la sussistenza in capo all'agente del fine di ottenere l'indebito vantaggio, e non richiedendo che il vantaggio sia effettivamente procurato". In secondo luogo, secondo il Governo, "nella proposta di direttiva si richiede che l'atto sia compiuto od omesso in violazione di leggi, senza alcuna ulteriore specificazione". Infine, " l'assenza di specificazioni non consente di comprendere se il vantaggio, cui la disposizione sull'abuso d'ufficio si riferisce, debba essere esclusivamente quello di natura patrimoniale né se a rilevare debba essere solo quello connotato da ingiustizia".
Considerazioni in parte analoghe nella Relazione del Governo si ritengono possibili in relazione alla norma sul traffico di influenze. Inoltre, secondo il Governo, "un'analoga indifferenza rispetto all'evento si rinviene pure nella proposta di criminalizzare l' abuso delle funzioni nel settore privato, che punterebbe cosi a dare rilievo penale a profili di violazione dei doveri inerenti all'incarico privato, incentrata sulla pura e semplice infedeltà".
Altro nodo critico viene individuato dalla relazione con riferimento alla proposta di armonizzazione dei termini di prescrizione, sia del reato sia della pena. Ad avviso del Governo " l'allungamento significativo dei termini di prescrizione potrebbe causare uno squilibrio del sistema e condurre a risultati contraddittori rispetto ad altre scelte politiche dell'Unione europea, quali quelle tendenti a condizionare l'ottenimento dei fondi europei alla riduzione dei tempi dei processi penali e, più in generale, all'efficientamento della giustizia".
Da ultimo, come già ricordato, il Governo ritiene che la disposizione in materia di immunità di cui all'art. 19, oltre ai richiamati dubbi sulla sua conformità ai principi di sussidiarietà e proporzionalità, risulterebbe nella sua attuale formulazione di attuazione molto problematica alla luce dell'art. 68 della Costituzione.

Quadro normativo nazionale in materia di lotta alla corruzione (a cura del Servizio Studi)

Tenuto conto del contenuto e della portata della proposta di direttiva in esame, appare utile esaminare le fattispecie disciplinate in tale ambito nel diritto interno.

Fattispecie di reato

In primo luogo, vengono in rilievo i delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione, che sono disciplinati dal capo I del titolo II del libro II del codice penale.
In particolare, l'art. 314 c.p. ( Peculato) punisce con la reclusione da 4 anni a 10 anni e 6 mesi il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio che, avendo per ragioni d'ufficio o di servizio la disponibilità di denaro o altra cosa mobile altrui, se ne appropri.
È prevista una circostanza attenuante (reclusione da 6 mesi a 3 anni) se il colpevole ha agito al solo scopo di fare un uso momentaneo della cosa e questa è stata immediatamente restituita.
L'art. 316 c.p. ( Peculato mediante profitto dell'errore altrui) punisce con la reclusione da 6 mesi a 3 anni il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio il quale, nell'esercizio delle funzioni o del servizio, giovandosi dell'errore altrui, riceve o ritiene indebitamente, per sé o per un terzo, denaro o altra utilità.
Si prevede una circostanza aggravante (reclusione da 6 mesi a 4 anni) quando il fatto offende gli interessi dell'Unione europea e il danno o il profitto sono superiori a 100.000 euro.
L'art. 316- bis c.p. ( Malversazione di erogazioni pubbliche) punisce con la reclusione da 6 mesi a 4 anni il privato che, avendo ricevuto dallo Stato o da altro ente pubblico o dall'Unione europea erogazioni o agevolazioni, non le destina alle finalità previste.
L'art. 316- ter c.p. ( Indebita percezione di erogazioni pubbliche) punisce con la reclusione da 6 mesi a 3 anni - salvo che il fatto costituisca il reato di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche - chiunque ottiene indebitamente erogazioni da parte dello Stato o di altro ente pubblico o dell'UE mediante presentazione di dichiarazioni o documenti falsi o mendaci o l'omissione di informazioni dovute. Sono previste alcune circostanze aggravanti e se la somma percepita è esigua si applica soltanto una sanzione amministrativa pecuniaria.
L'art. 640- bis c.p. ( Truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche) punisce con la reclusione da 2 a 7 anni il delitto di truffa commesso al fine di ottenere erogazioni da parte dello Stato o di altri enti pubblici o dell'Unione europea. Tale fattispecie si differenzia dall'indebita percezione di cui all'art. 640 c.p. in quanto è necessario l' uso di artifizi o raggiri.
L'art. 317 c.p. ( Concussione) punisce con la reclusione da 6 a 12 anni il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio che, abusando della sua qualità o dei suoi poteri, costringe taluno a dare o promettere indebitamente, per sé o per un terzo, denaro o altra utilità.
 
Le fattispecie di corruzione sono disciplinate dagli articoli 318 e ss. c.p.
In particolare, l'art. 318 c.p. ( Corruzione per l'esercizio della funzione) punisce con la reclusione da 3 a 8 anni il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio che , per l'esercizio delle sue funzioni o poteri, indebitamente riceva, per sé o per un terzo, denaro o altra utilità o ne accetti la promessa.
L'art. 319 c.p. ( Corruzione per un atto contrario ai doveri d'ufficio) punisce con una pena edittale più alta ( reclusione da 6 a 10 anni) il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio che, per l'omissione o il ritardo di un atto del suo ufficio o per il compimento di un atto contrario ai suoi doveri, riceva, per sé o per un terzo, denaro o altra utilità o ne accetti la promessa.
Le pene previste dagli artt. 318 e 319 c.p. si applicano anche al privato corruttore (art. 321 c.p.). Inoltre, le medesime pene, ma diminuite di un terzo, si applicano al pubblico ufficiale o all'incaricato di pubblico servizio che sollecita la promessa o la dazione, nonché al privato che offre o promette denaro o altra utilità qualora la promessa o la dazione non siano accettate (art. 322 c.p., c.d. " istigazione alla corruzione").
L'art. 319- ter c.p. è relativo alla specifica fattispecie di corruzione in atti giudiziari nell'ambito di un procedimento civile, penale o amministrativo, punita con la reclusione da 6 a 12 anni. Anche in tal caso, la stessa pena si applica al privato corruttore (art. 321 c.p.).
Sono previste circostanze aggravanti se dal fatto deriva l' ingiusta condanna di taluno:
  • alla reclusione non superiore a 5 anni (in tal caso si prevede la reclusione da 6 a 14 anni);
  • alla reclusione superiore a 5 anni o all'ergastolo (in tal caso si prevede la reclusione da 8 a 20 anni).
L'art. 319- quater c.p. ( Induzione indebita a dare o promettere utilità) punisce con la reclusione da 6 anni a 10 anni e 6 mesi, salvo che il fatto costituisca più grave reato, il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio che, abusando della sua qualità o dei suoi poteri, induce taluno a dare o a promettere indebitamente, a lui o a un terzo, denaro o altra utilità. Anche in tal caso, è punito anche il privato, ma con una pena più mite (reclusione fino a 3 anni ovvero, se il fatto offende gli interessi finanziari dell'Unione europea e il danno o il profitto sono superiori a 100.000 euro, con la reclusione fino a 4 anni).
L'art. 322- bis c.p. prevede che le norme relative al peculato, alla concussione, all'induzione indebita, alla corruzione e all'istigazione alla corruzione e all'abuso d'ufficio si applichino anche ai membri degli organi dell'UE (Commissione, Parlamento europeo, Corte di giustizia, Corte dei conti) e ai funzionari e agli agenti dell'UE, ai giudici, ai procuratori e ai funzionari della Corte penale internazionale, ai giudici e ai funzionari delle corti internazionali, ai membri delle assemblee parlamentari internazionali o di organizzazioni internazionali, a coloro che esercitano funzioni o attività corrispondenti a quelle di pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio nell'ambito di Stati membri dell'UE o di organizzazione internazionali, nonché nell'ambito di Stati terzi qualora il fatto offenda gli interessi finanziari dell'Unione. Le pene si applicano anche al privato corruttore nei predetti casi, nonché nel caso di dazione, offerta o promessa a coloro che esercitano funzioni o attività corrispondenti a quelle di pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio nell'ambito di Stati terzi.
La corruzione tra privati è disciplinata dagli articoli 2635 e ss. c.c.
L'art. 2635 c.c. punisce con la reclusione da 1 a 3 anni, salvo che il fatto costituisca più grave reato, gli amministratori, i direttori generali, i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili, i sindaci, i liquidatori di società o enti privati e i soggetti  che esercitano in tali società o enti funzioni direttive, che, anche per interposta persona, sollecitano o ricevono, per sé o per altri, denaro o altra utilità non dovuti, o ne accettano la promessa, per compiere od omettere in atto in violazione degli obblighi d'ufficio o di fedeltà. Se il fatto è commesso da chi è sottoposto alla direzione o alla vigilanza dei predetti soggetti si applica la pena della reclusione fino a 1 anno e 6 mesi.
Le predette pene si applicano anche al corruttore. Si applicano le medesime pene diminuite di un terzo al soggetto che sollecita la promessa o la dazione, nonché al privato che offre o promette denaro o altra utilità qualora rispettivamente la promessa o la dazione o la sollecitazione non siano accettate (art. 2635- bis c.c., istigazione alla corruzione tra privati).
È prevista una circostanza aggravante ( pena raddoppiata) se si tratta di società con titoli quotati in mercati regolamentati.
 
L'art. 323 c.p. ( Abuso d'ufficio) punisce con la reclusione da 1 a 4 anni, salvo che il fatto costituisca più grave reato, il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio che, nello svolgimento delle funzioni o del servizio, intenzionalmente procuri a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero rechi ad altri un danno ingiusto. Integrano la fattispecie di reato le due condotte alternative:
  • la violazione di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità;
  • la violazione dell'obbligo di astensione in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti.
Elementi costitutivi essenziali della fattispecie sono quindi il danno ingiusto per la vittima ovvero l'ingiusto vantaggio patrimoniale per l'autore o per altri.
È prevista una circostanza aggravante nel caso in cui il vantaggio o il danno abbiano un carattere di rilevante gravità.
Come è noto, l'ambito oggettivo del reato è stato circoscritto a seguito della novella apportata con l'art. 23, D.L. n. 76 del 2020 (decreto c.d. "semplificazioni"), che ha sostituito l'originaria formulazione: «in violazione di norme di legge o di regolamento» con quella più restrittiva: «in violazione di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità».
A tal proposito, si segnala che è attualmente in discussione presso la Commissione Giustizia della Camera una proposta di legge ( C. 645 Pittalis), volta ad abrogare tale fattispecie di reato e a modificare quella di traffico di influenze illecite di cui all'art. 346- bis (su cui v. infra). L'abrogazione della fattispecie dell'abuso d'ufficio è prevista anche dal disegno di legge approvato dal Consiglio dei ministri, nella riunione del 15 giugno 2023, e in corso di presentazione al Parlamento.
 
L'art. 346- bis c.p. ( Traffico di influenze illecite) punisce con la  reclusione da un anno a quattro anni e sei mesi chiunque, fuori dei casi di concorso in delitti di corruzione,  sfruttando o vantando relazioni esistenti o asserite con un pubblico ufficiale o un incaricato di pubblico servizio,  indebitamente fa dare o promettere, a sé o ad altri, denaro o altra utilità quale  prezzo della mediazione illecita verso il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio (in tale ipotesi, l'erogazione indebita costituisce il corrispettivo della mediazione illecita presso il pubblico agente ) o per  remunerare il pubblico ufficiale o incaricato di servizio pubblico  in relazione all'esercizio delle sue funzioni o dei suoi poteri (in questa ipotesi la corresponsione illecita è effettuata all'intermediario affinché questi, a sua volta, remuneri il soggetto pubblico in relazione all'esercizio delle sue funzioni o poteri).
Si ricorda che il reato di traffico di influenze illecite di cui all'art. 346-bis c.p. è stato inserito nel codice dalla c.d. Legge Severino ( legge n. 190 del 2012).
La citata proposta di legge ( C. 645 Pittalis) prevede che l'utilità conseguita debba essere di carattere patrimoniale e che l'esercizio delle funzioni del pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio debba essere "illecito".
Analogamente, con il citato disegno di legge governativo si modifica tale fattispecie di reato. Difatti, si prevede, tra l'altro, che: le relazioni del mediatore con il pubblico ufficiale devono essere sfruttate (non solo vantate) e devono essere esistenti (non solo asserite) e ciò deve avvenir e ciò deve avvenire "intenzionalmente"; l'utilità data o promessa al mediatore deve essere economica; viene data una definizione normativa di "altra utilità" prevista dalla fattispecie in esame; il trattamento sanzionatorio del minimo edittale è aumentato da 1 anno a 1 anno e 6 mesi.

Responsabilità delle persone giuridiche

Per quanto concerne la responsabilità delle persone giuridiche, la sezione III del capo I del D. Lgs. n. 231 del 2001 disciplina la responsabilità amministrativa da reato delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica. Il D.lgs. citato ha introdotto una forma di responsabilità amministrativa dell'ente, distinta dalla responsabilità penale della persona fisica che ha materialmente commesso il reato. La responsabilità dell'ente e quella dell'autore del reato presupposto rimangono comunque ben distinte: quest'ultimo sarà chiamato a rispondere penalmente per il reato, mentre l'ente risponderà sotto forma di sanzione amministrativa per aver consentito la commissione, da parte di uno dei suoi membri, di un reato. Da ciò discende il permanere della responsabilità in capo all'ente anche qualora l'autore del reato non fosse stato identificato, non fosse imputabile ovvero nel caso in cui il reato si fosse estinto per una causa diversa dall'amnistia.
In tale quadro, gli artt. 24 e 25 prevedono espressamente la responsabilità amministrativa dell'ente derivante dai reati di indebita percezione di erogazioni, truffa ai danni dello Stato, dell'Unione europea o di un ente pubblico o per il conseguimento di erogazioni pubbliche, peculato, concussione, induzione indebita, corruzione e abuso d'ufficio e stabiliscono le relative sanzioni amministrative pecuniarie.

Prescrizione

Quanto al termine di prescrizione di tali fattispecie di reato, esse sono sottoposte alla disciplina ordinaria.
Nello specifico, per calcolare il tempo necessario a prescrivere un reato si fa riferimento alla pena massima prevista per il reato stesso, con due limiti: nel caso di delitto, il tempo non può mai essere inferiore ai 6 anni; nel caso di contravvenzione, non può mai essere inferiore a 4 anni.
In base all' art. 157 c.p. la prescrizione estingue il reato decorso il tempo corrispondente al  massimo della pena edittale stabilita dalla legge per ogni singolo reato; tale tempo non può comunque essere in caso di delitto inferiore a 6 anni e in caso di contravvenzione inferiore a 4 anni.
Al fine dell'individuazione del massimo della pena edittale, si stabilisce che non si debba tener conto né delle aggravanti né delle attenuanti, salvo che delle circostanze aggravanti ad effetto speciale (che comportano cioè un aumento della pena superiore ad un terzo) e di quelle per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria.
Inoltre, l' art. 160 c.p. disciplina l' interruzione del corso della prescrizione . La prescrizione interrotta comincia nuovamente a decorrere dal giorno della interruzione. In via generale, l'interruzione della prescrizione, ai sensi dell'art. 161, secondo comma, c.p. non può in ogni caso comportare l'aumento di più di 1/4 del tempo necessario a prescrivere.
Tuttavia, si fa presente che, in via di eccezione, l'aumento del tempo necessario a prescrivere non può superare la metà del tempo ordinario per alcune delle citate fattispecie di reati contro la pubblica amministrazione.
L' art. 161-bis c.p . prevede la cessazione definitiva del corso della prescrizione a seguito della pronunzia della sentenza di primo grado. Infine, la legge n. 134 del 2021 ha altresì introdotto l'art . 344-bis c.p.p., che prevede l'istituto dell'improcedibilità per superamento dei termini di durata massima del giudizio di impugnazione.

Prevenzione della corruzione

Rilevanti compiti di prevenzione della corruzione nel settore pubblico sono attribuiti all' Autorità nazionale anticorruzione (ANAC).
L'ANAC ha il compito di adottare il Piano nazionale anticorruzione, che rappresenta un atto di indirizzo per le amministrazioni ai fini dell'adozione dei propri piani triennali di prevenzione della corruzione. Esso, anche in relazione alla dimensione e ai diversi settori di attività degli enti, individua i principali rischi di corruzione e i relativi rimedi e contiene l'indicazione di obiettivi, tempi e modalità di adozione e attuazione delle misure di contrasto alla corruzione. Il Piano ha durata triennale ed è aggiornato annualmente.
L'ANAC, inoltre, ai sensi del DL 90/2014 ha il compito di ricevere notizie e segnalazioni di illeciti provenienti da cittadini o pubblici dipendenti, anche nelle forme di cui all'art. 54- bis del D.Lgs. n. 165/2001, che disciplina l'ipotesi in cui il pubblico dipendente denuncia o riferisce al proprio superiore gerarchico condotte illecite di cui sia venuto a conoscenza in ragione del rapporto di lavoro (c.d. " whistleblowing") e il potere di applicare, nei confronti dei soggetti obbligati, sanzioni amministrative, i cui proventi possono essere utilizzati dall'Autorità per le proprie attività istituzionali, nel caso in cui le pubbliche amministrazioni non provvedano ad adottare il Piano triennale di prevenzione della corruzione, il Programma triennale per la trasparenza e l'integrità o il codice di comportamento dei pubblici dipendenti.
Il D.Lgs. 165/2001 (c.d. TU pubblico impiego) attribuisce all'Autorità il compito di definire criteri, linee guida e modelli uniformi per singoli settori o tipologie di amministrazione ai fini della adozione del proprio Codice di comportamento dei dipendenti (art. 54).
L'Autorità ha inoltre un generale potere di controllo e di accertamento sulle inconferibilità ed incompatibilità di incarichi disciplinate dal D.Lgs. n. 39/2013.
Ulteriori compiti sono previsti dal D.Lgs. n. 33/2013 (art. 45), come modificato dal D.Lgs. n. 97/2016, che disciplina gli obblighi di trasparenza nelle pubbliche amministrazioni.

Esame presso altri Parlamenti nazionali

Sulla base dei dati forniti dal sito IPEX, l'esame dell'atto ai fini della verifica della conformità al principio di sussidiarietà risulta concluso dalle Houses of Oireachtas dell' Irlanda, dal Senato della Repubblica Ceca, dal Senato della Polonia, dall'Assemblea della Repubblica portoghese e dal Riksdag svedese.
In particolare, il Parlamento svedese, il 21 giugno 2023, ha approvato un parere motivato ai sensi dell'articolo 6 del Protocollo n. 2 allegato al Trattato di Lisbona.
Il Parlamento svedese sostiene che le disposizioni in materia di sanzioni o misure supplementari, potendo essere interpretate nel senso di privare del diritto di candidarsi ad una carica elettiva una persona fisica processata per alcuni reati contemplati dalla proposta, confliggono chiaramente con il principio di sussidiarietà, andando ben oltre quanto necessario per raggiungere l'obiettivo perseguito. Ad avviso del Parlamento svedese è anzi dubbio che la competenza legislativa dell'UE in materia di diritto penale possa estendersi fino a stabilire le condizioni per l'esercizio della democrazia nelle elezioni nazionali negli Stati membri.
Da ultimo, il Riksdag esprime, per ragioni analoghe, dubbi sulla piena compatibilità con il principio di sussidiarietà della disposizione che introdurrebbe, tra le sanzioni accessorie, la cessazione o l'interdizione da un pubblico impiego.
Anche il Senato della Repubblica Ceca ha rilevato, in una risoluzione adottata lo scorso 13 luglio, la violazione del principio di attribuzione con riferimento ai medesimi elementi della proposta di direttiva.
In particolare, il Senato ceco è del parere che in base all'articolo 83 del Trattato sul Funzionamento dell'Unione Europea (che stabilisce norme minime relative alla definizione dei reati e delle sanzioni) l'Unione non ha la competenza per:
  • stabilire sanzioni, non previste dagli ordinamenti di tutti gli Stati membri, concernenti la " privazione del diritto di eleggibilità", in quanto tali misure riguardano il regime generale in materia di diritto elettorale degli Stati membri, che è del tutto estraneo alla competenza dell'Unione europea;
  • stabilire requisiti per quanto riguarda il processo decisionale per la revoca delle immunità concesse ai funzionari nazionali, poiché nel caso di alcune figure di tale categoria la regolazione attiene al diritto costituzionale degli Stati membri e ai rapporti tra organi costituzionali, i quali risulterebbero condizionati da detti requisiti.
In forza di tale argomentazioni la risoluzione del Senato della Repubblica ceca chiede che tali disposizioni siano eliminate.
Infine, il Senato ceco ritiene (conformemente alla posizione del Governo nazionale) che la proposta debba essere riscritta in una forma di elevata qualità e chiarezza tecnico legislativa per quanto riguarda la definizione dei reati, e che anche le altre disposizioni dovrebbero essere modificate secondo modalità usate per le altre direttive adottate per armonizzare il diritto penale sostanziale, che rappresentano un compromesso generale con gli Stati membri per quanto riguarda l'intensità di armonizzazione del regime generale in questo settore.
L'esame della proposta è stato avviato ed è tuttora in corso presso le seguenti Assemblee rappresentative: la Camera dei rappresentanti del Belgio; il Parlamento della Danimarca, il Parlamento finlandese; il Bundesrat tedesco; la Camera dei Rappresentanti di Malta; la Sejm della Polonia; il Consiglio nazionale della Repubblica slovacca.

Esame presso il Senato

In base alle convocazioni per la settimana 24-30 luglio 2023, la 4a Commissione (Politiche dell'Unione europea) del Senato dovrebbe incardinare l'esame della proposta martedì 25 luglio 2023.

Nota esplicativa - La ripartizione delle competenze tra UE e Stati membri e il principio di sussidiarietà

Ai sensi dell'art. 5 del Trattato sull'Unione europea (TUE), la delimitazione delle competenze dell'Unione si fonda sul principio di attribuzione, mentre l'esercizio delle medesime competenze si fonda sui principi di sussidiarietà e proporzionalità.
In virtù del principio di attribuzione, l'UE agisce esclusivamente nei limiti delle competenze che le sono attribuite dagli Stati membri nei trattati per realizzare gli obiettivi da questi stabiliti. Qualsiasi competenza non attribuita all'Unione nei trattati appartiene agli Stati membri. Ciò implica che l'Unione, attraverso le proprie istituzioni e organi, può intervenire soltanto negli ambiti e con le procedure indicati di volta in volta da specifiche disposizioni del trattato, le c.d. basi giuridiche.
In virtù del principio di sussidiarietà, nei settori che non sono di sua competenza esclusiva l'Unione interviene soltanto se e in quanto gli obiettivi dell'azione prevista non possono essere conseguiti in misura sufficiente dagli Stati membri, né a livello centrale né a livello regionale e locale, ma possono, a motivo della portata o degli effetti dell'azione in questione, essere conseguiti meglio a livello di Unione. Le istituzioni dell'Unione applicano il principio di sussidiarietà conformemente al protocollo sull'applicazione dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità. I parlamenti nazionali vigilano sul rispetto del principio di sussidiarietà secondo la procedura prevista in detto protocollo.
In virtù del principio di proporzionalità, il contenuto e la forma dell'azione dell'Unione, in qualsiasi ambito di competenza, si limitano a quanto necessario per il conseguimento degli obiettivi dei trattati.

La procedura per la verifica di sussidiarietà

Il Protocollo n. 2 sui principi di sussidiarietà e proporzionalità, allegato al Trattato di Lisbona, prevede una apposita procedura per la verifica da parte dei Parlamenti nazionali della conformità al principio di sussidiarietà dei progetti di atti legislativi dell'UE relativi a materie di competenza non esclusiva dell'UE. In particolare:
  • ciascun Parlamento (o Camera) può sollevare obiezioni sulla conformità di un progetto legislativo con il principio di sussidiarietà emettendo un parere motivato entro un termine di otto settimane dalla data di trasmissione del medesimo progetto a tutti i Parlamenti nazionali nelle rispettive lingue;
  • qualora i pareri motivati rappresentino almeno un terzo dell'insieme dei voti attribuiti ai Parlamenti nazionali (un quarto, nel caso di proposte relative allo spazio di libertà sicurezza e giustizia), il progetto deve essere riesaminato dalla Commissione europea che può, con una decisione motivata, mantenerlo, modificarlo o ritirarlo (cosiddetto "cartellino giallo"). A tal fine ciascun Parlamento nazionale dispone di due voti (in un sistema bicamerale ciascuna Camera dispone di un voto);
  • qualora i pareri motivati dei Parlamenti nazionali rappresentino almeno la maggioranza semplice dei voti attribuiti ai Parlamenti nazionali, se la Commissione sceglie di mantenere la proposta, il Parlamento europeo (a maggioranza dei voti espressi) o il Consiglio (a maggioranza del 55 % dei membri) possono decidere che la proposta è incompatibile con il principio di sussidiarietà e che non formi pertanto oggetto di ulteriore esame (cosiddetto " cartellino arancione").
La Giunta per il regolamento della Camera dei deputati ha attribuito alla competenza della XIV Commissione politiche dell'Unione europea la verifica della conformità al principio di sussidiarietà dei progetti di atti legislativi dell'UE, secondo la procedura definita in via sperimentale con i pareri del 6 ottobre 2009 e del 14 luglio 2010.
Il documento della XIV Commissione contenente la decisione sui profili di sussidiarietà può essere sottoposto all'Assemblea su richiesta del Governo, di un quinto dei componenti della medesima Commissione (ovvero di rappresentanti dei Gruppi in Commissione di pari consistenza numerica) o di un decimo dei componenti dell'Assemblea (ovvero di presidenti di Gruppi di pari consistenza numerica).