Camera dei deputati - Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento Attività Produttive
Titolo: Disegno di legge annuale sulle piccole e medie imprese
Serie: Progetti di legge   Numero: 451
Data: 04/06/2025
Organi della Camera: X Attività produttive

 

Disegno di legge annuale sulle piccole e medie imprese

 

A.S. n. 1484

 

4 giugno 2025

 


 

Servizio Studi

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Dossier n. 487

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Servizio Studi

Dipartimento attività produttive

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Progetti di legge n. 451

 

 

 

 

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I N D I C E

 

 

Schede di lettura

Capo I - Misure per l'aggregazione delle imprese minori e per il trasferimento generazionale delle imprese minori e per il trasferimento generazionale delle competenze

Articolo 1 (Agevolazioni fiscali per le reti di imprese). 7

Articolo 2 (Misure finanziarie per l’aggregazione e il sostegno al settore della moda)  11

Articolo 3 (Riconoscimento delle centrali consortili quali enti mutualistici di sistema, nonché delega al Governo per disciplina degli enti medesimi). 13

Articolo 4 (Part-time incentivato per l’accompagnamento alla pensione e il ricambio generazionale). 15

 

Capo II - Accesso delle pmi al credito bancario e misure di semplificazione

Articolo 5 (Delega al Governo sul riordino della disciplina dei confidi) 18

Articolo 6  (Misure per favorire la valorizzazione a fini finanziari dei beni di magazzino)  23

 

Capo III - Semplificazioni

Articolo 7 (Esonero dall’assicurazione obbligatoria per i carrelli elevatori). 27

Articolo 8 (Norme in materia di sicurezza sul lavoro, con riferimento ai modelli di organizzazione e di gestione e alla formazione). 29

Articolo 9 (Salute e sicurezza per le prestazioni in modalità agile). 32

Articolo 10 (Operatori del settore hotel, ristorazione e catering). 33

Articolo 11 (Modifica dei termini per l’esercizio da parte dei consorzi di sviluppo industriale della facoltà di riacquisto delle aree cedute e degli stabilimenti relativi alle attività cessate)  34

 

Capo IV - Lotta alle false recensioni

Articolo 12 (Ambito e definizioni). 35

Articolo 13 (Requisiti delle recensioni e diritti delle strutture recensite). 42

Articolo 14 (Divieti). 44

Articolo 15 (Codici di condotta). 48

Articolo 16 (Disposizioni transitorie) 51

Articolo 17 (Clausola di invarianza finanziaria) 52

Capo V - Testo unico della disciplina in materia di startup innovative

Articolo 18 (Delega al Governo sul riordino della disciplina in materia di Start up e PMI innovative). 53

Articolo 19 (Modifiche al Garante per le micro, piccole e medie imprese). 55

 


Schede di lettura


Capo I

Misure per l'aggregazione delle imprese minori e per il trasferimento generazionale delle imprese minori e per il trasferimento generazionale delle competenze

 

Articolo 1
(Agevolazioni fiscali per le reti di imprese)

 

 

L’articolo 1 reca disposizioni concernenti l’agevolazione del regime di sospensione d’imposta, dal 2026 al 2028, in favore delle imprese che stipulano o aderiscono a un contratto di rete, limitatamente alle quote degli utili, accantonate ad apposita riserva, che vengono impegnate per gli investimenti previsti dal programma comune di rete.

 

Il comma 1 riconosce, dal periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2026 a quello in corso al 31 dicembre 2028, alle imprese che sottoscrivono o aderiscono a un contratto di rete, di cui all’articolo 3, commi 4-ter e seguenti, del decreto-legge n. 5 del 2009, il beneficio del regime di sospensione d’imposta con riferimento alla quota degli utili dell’esercizio, purché accantonati ad apposita riserva, destinati al fondo patrimoniale comune o al patrimonio destinato all’affare per realizzare, entro l’esercizio successivo, gli investimenti previsti dal programma comune di rete.

In particolare, detta quota non concorre alla formazione del reddito relativo al periodo d’imposta cui si riferiscono gli utili, a condizione che, negli esercizi successivi:

§  la riserva non sia utilizzata per scopi diversi dalla copertura di perdite di esercizio, ovvero

§  non venga meno l’adesione al contratto di rete.

 

Il programma comune di rete, peraltro, deve essere preventivamente asseverato da organismi espressione dell’associazionismo imprenditoriale muniti dei requisiti stabiliti con decreto di cui al comma 3, ovvero, in via sussidiaria, da organismi pubblici individuati con il medesimo decreto.

 

La disciplina del contratto di rete è stata introdotta nel nostro ordinamento con l’articolo 3, commi 4-ter e seguenti, del decreto-legge n. 5 del 2009. Tali norme hanno subìto successive modifiche ed integrazioni (cfr., in particolare, l’art. 45 del decreto-legge n. 83 del 2012, l’articolo 36 del decreto-legge n. 179 del 2012, nonché l’articolo 12 della legge n. 81 del 2017).

A tale riguardo, si rappresenta che l’espressa previsione normativa che limitava ai soli imprenditori la possibilità di costituire e partecipare a contratti di rete è stata superata proprio con la legge n. 81 del 2017 che, all’articolo 12, comma 3, al fine di consentire la partecipazione ai bandi e concorrere all’assegnazione di incarichi e appalti privati, ha riconosciuto ai soggetti che svolgono attività professionale, a prescindere dalla forma giuridica rivestita, la facoltà di costituire reti di esercenti la professione e consentire agli stessi di partecipare alle reti di imprese, in forma di reti miste, di cui al sopra citato articolo 3, commi 4-ter e seguenti, del decreto-legge n. 5 del 2009, con accesso alle relative provvidenze in materia (cfr. sul punto, parere MISE, 28 gennaio 2020 - prot. 23331).

In forza di quanto disposto dal medesimo articolo 3, comma 4-ter, con il contratto di rete due o più imprese si obbligano ad esercitare in comune una o più attività economiche rientranti nei rispettivi oggetti sociali allo scopo di accrescere la reciproca capacità innovativa e la competitività sul mercato e a tal fine esse si obbligano, sulla base di un programma comune di rete, a:

- collaborare in ambiti predeterminati attinenti all’esercizio delle proprie imprese, ovvero;

- a scambiarsi informazioni o prestazioni di natura industriale, commerciale, tecnica e tecnologica, ovvero ancora

- a svolgere in comune una o più attività rientranti nell’oggetto delle rispettive imprese.

Ai contratti di rete, come meglio si dirà in seguito, si applicano attualmente una serie di norme incentivanti di particolare riscontro presso il tessuto produttivo e di particolare rilievo per lo sviluppo economico del Paese. Il contratto di rete è uno strumento utile, perché grazie ad esso, anche realtà imprenditoriali piccole possono avere accesso, insieme, in quanto sottoscrittrici del contratto, alla realizzazione di programmi di sviluppo di grandi dimensioni.

Il contratto di rete può prevede la costituzione di un fondo patrimoniale comune e la nomina di un organo comune incaricato di gestire, in nome e per conto dei partecipanti, l’esecuzione del contratto o di singole parti o fasi dello stesso (c.d. elementi facoltativi del contratto di rete).

Il contratto di rete che prevede l’organo comune e il fondo patrimoniale non è dotato di soggettività giuridica, fatta salva la facoltà di acquisto della stessa a condizione che il contratto sia stipulato per atto pubblico o per scrittura privata autenticata, ovvero per atto firmato digitalmente.

Quanto al regime di pubblicità il contratto di rete è soggetto a iscrizione nella sezione del registro delle imprese presso cui è iscritto ciascun partecipante e l’efficacia del contratto inizia a decorrere da quando è stata eseguita l’ultima delle iscrizioni prescritte a carico di tutti coloro che ne sono stati sottoscrittori originari.

Nel caso invece di contratto di rete con autonoma soggettività, si prevede l’iscrizione autonoma della rete al registro delle imprese e non già della posizione dei singoli imprenditori “retisti”.

Se è prevista la costituzione del fondo comune, la rete può iscriversi nella sezione ordinaria del registro delle imprese nella cui circoscrizione è stabilita la sua sede.

Sull’apposita pagina del sito istituzionale registroimprese.it, vi sono le statistiche relative ai contratti di rete iscritti, nonché, in forma di info grafica, l’iter da seguire.

Il comma 4-quinquies del già richiamato articolo 3 ha disposto l’applicazione alle reti delle imprese delle agevolazioni previste per i distretti produttivi (articolo 1, comma 368, lettere b), c) e d) della legge n. 266 del 2005, previa autorizzazione rilasciata con decreto del Ministero dell’economia e delle finanze di concerto con il Ministero dello sviluppo economico (ora imprese e made in Italy), da adottare entro sei mesi dalla relativa richiesta.

Il sostegno alle reti di impresa è stato, comunque, via via riconosciuto da singoli, diversi interventi legislativi. Alcuni di essi, di limitata portata applicativa temporale, si sono esauriti (es. il voucher innovation manager di cui all’articolo 1, comma 228, della legge di bilancio per il 2019 riconosciuto fino all’anno 2021 alle micro, piccole e medie imprese e, in via prioritaria con riserva di risorse, a quelle organizzate in reti).

Altri interventi, invece, sono ancora vigenti e ammettono le reti di impresa a beneficiare di strumenti di sostegno di particolare riscontro presso il tessuto produttivo e di particolare rilievo per lo sviluppo economico del Paese.

Le reti d’impresa possono essere ammesse a beneficiare della:

- disciplina agevolativa dei contratti di sviluppo, per progetti di grandi dimensioni, uno degli strumenti più rilevanti per lo sviluppo industriale del Paese;

- disciplina agevolativa per progetti di ricerca e sviluppo realizzati nell’ambito di Accordi per l’innovazione;

- disciplina agevolativa per la realizzazione di programmi di investimento finalizzati alla riqualificazione delle aree di crisi industriale, complessa e non complessa, ai sensi dell’articolo 27, commi 8 e 8-bis, del decreto-legge n. 83 del 2012 (cfr. articolo 4 del decreto ministeriale 24 marzo 2022, come modificato dal decreto ministeriale 10 novembre 2023, che ha fissato nuove modalità di accesso e funzionamento degli interventi per il rilancio delle aree di crisi industriale ai sensi della legge n. 181 del 1989 nel rispetto delle nuove disposizioni del Regolamento generale di esenzione per categoria n. 651/2014 (GBER), da ultimo modificato dal Regolamento (UE) 2023/1315).

 

La norma dispone, altresì, che l’Agenzia delle Entrate, avvalendosi dei poteri di cui al Titolo IV del decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, che disciplina le attività di accertamento e di controllo, nell’ambito della sua ordinaria attività di controllo, anche in collaborazione con gli organismi di asseverazione, vigila sui contratti di rete e sulla realizzazione degli investimenti legittimanti l’agevolazione, revocando, se del caso, i benefici indebitamente fruiti. L’importo non concorrente alla formazione del reddito d’impresa non può, in ogni caso, eccedere il limite di un milione di euro annui. Gli utili destinati alle predette finalità risultano iscritti a bilancio in una corrispondente riserva, di cui viene data menzione in nota integrativa, e sono vincolati alla realizzazione degli investimenti previsti dal programma comune di rete.

 

Si rammenta, al riguardo, che la medesima agevolazione aveva già trovato applicazione, ai sensi dell’articolo 42, comma 2-quater, del decreto-legge n. 78 del 2010, fino al periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2012.

 

Il comma 2 disciplina le modalità di fruizione dell’agevolazione in esame.

Nello specifico, essa può essere fruita a condizione che la rete non acquisti soggettività giuridica e nel limite complessivo di 15 milioni di euro per ciascuna delle annualità dal 2027 al 2029, esclusivamente in sede di versamento del saldo delle imposte sui redditi dovute dalle imprese aderenti al contratto di rete per il periodo di imposta relativo all’esercizio cui si riferiscono gli utili destinati al fondo patrimoniale comune o al patrimonio destinato all’affare. Per il periodo di imposta successivo, l’acconto delle imposte dirette è calcolato assumendo come imposta del periodo precedente quella che sarebbe stata applicata senza considerare l’agevolazione predetta.

 

Il comma 3 prevede che i criteri e le modalità di attuazione dell’agevolazione in oggetto, anche al fine di garantire il rispetto del sopra richiamato limite complessivo di un milione di euro annui, siano stabiliti con decreto del Ministro delle imprese e del made in Italy, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, sentita l’Agenzia delle entrate, da adottare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente disegno di legge.

 

Infine, il comma 4 reca disposizioni concernenti la copertura finanziaria.

Segnatamente, viene specificato che agli oneri derivanti dalla misura in esame, entro il limite di 15 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2027 al 2029, si provvede mediante corrispondente riduzione delle proiezioni dello stanziamento del fondo speciale di parte corrente iscritto, ai fini del bilancio triennale 2025-2027, nell’ambito del programma Fondi di riserva e speciali della missione Fondi da ripartire dello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze per l’anno 2025, allo scopo parzialmente utilizzando l’accantonamento relativo al Ministero delle imprese e del made in Italy.

 

A tal proposito, nella relazione illustrativa il Governo rileva che, sulla base di quanto disposto dalla decisione C (2010)8939 final del 26 gennaio 2011, vertente sulla analoga misura introdotta dal decreto-legge n. 78 del 2010, la sospensione d’imposta non costituisce aiuto di Stato ai sensi dell’art. 107, par. 1 del TFUE, avendo carattere generale e non selettivo.


Articolo 2
(Misure finanziarie per l’aggregazione e il sostegno al settore della moda)

 

 

L’articolo 2 ha ad oggetto le modalità ed i termini di affluenza delle risorse messe a disposizione per interventi di riconversione e di riqualificazione produttiva in determinate aree industriali interessate da crisi non complesse, per sostenere programmi di sviluppo proposti dalle PMI nella filiera della moda, anche con riferimento alle aggregazioni di imprese.

 

Nello specifico il comma 1 dispone che le risorse di cui al decreto del Ministro dello sviluppo economico 23 aprile 2021 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 147 del 22 giugno 2021), per gli interventi di riconversione e riqualificazione produttiva da attuare in aree interessate da crisi industriale non complessa – come individuate dall’articolo 27, comma 8-bis, decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, recante «Misure urgenti per la crescita del Paese» –  non vincolate a favore di Accordi di programma, affluiscono nel Fondo per la crescita sostenibile entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione, per un importo fino a 100 milioni di euro. L’obiettivo è sostenere la realizzazione di programmi di sviluppo, di importo non inferiore a 3 milioni di euro e non superiore a 20 milioni di euro, proposti dalle piccole e medie imprese appartenenti alla filiera della moda.

 

Il Fondo per la crescita sostenibile (FCS) è uno strumento istituito nel 2012, in sostituzione del precedente Fondo per l’innovazione tecnologica (FIT), con l'obiettivo di finanziare programmi e interventi che abbiano un impatto significativo sulla competitività del sistema produttivo nazionale.

 

Le principali finalità del Fondo includono:

 

·         la promozione di progetti di ricerca, sviluppo e innovazione, sostenendo iniziative strategiche per il rilancio della competitività e il consolidamento di strutture aziendali dedicate alla ricerca e sviluppo;

·         il rafforzamento della struttura produttiva nazionale, incentivando il riutilizzo di impianti produttivi e il rilancio di aree in crisi complessa di rilevanza nazionale attraverso accordi di programma;

·         l’internazionalizzazione delle imprese italiane e l’attrazione di investimenti esteri, in collaborazione con l’ICE (Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane).

 

Le agevolazioni previste sono principalmente concesse sotto forma di finanziamenti agevolati. La concessione di incentivi in forme diverse è possibile solo in presenza di cofinanziamenti comunitari o regionali. Gli interventi del Fondo sono attuati attraverso bandi o direttive del Ministro dello sviluppo economico, che stabiliscono l’ammontare delle risorse disponibili, i requisiti dei beneficiari, le condizioni di ammissibilità dei programmi o progetti, le spese ammissibili, la forma e l'intensità delle agevolazioni, i termini e le modalità di presentazione delle domande, i criteri di valutazione e le modalità di concessione ed erogazione degli aiuti.

 

Per quanto riguarda il comma 2, si specifica che le condizioni e le modalità, che valorizzino tra l’altro i programmi proposti da aggregazioni di imprese, per la concessione delle agevolazioni ai soggetti di cui al comma 1, sono definite con decreto del Ministro delle imprese e del made in Italy in conformità alla relativa disciplina in materia di aiuti di Stato. Il Ministero delle imprese e del made in Italy è deputato all’assolvimento degli obblighi derivanti dalla normativa europea e della relativa iscrizione negli appositi registri.

 


Articolo 3
(Riconoscimento delle centrali consortili quali enti mutualistici di sistema, nonché delega al Governo per disciplina degli enti medesimi)

 

 

L’articolo 3 individua le Centrali consortili quali enti mutualistici di sistema, volti a migliorare la competitività delle micro, piccole e medie imprese (di seguito MPMI) attraverso paradigmi organizzativi innovativi e solidali. La vigilanza è affidata al Ministero delle imprese e del Made in Italy che accerta e garantisce il rispetto di specifici requisiti mutualistici e procede al riconoscimento. L’articolo in commento, infine, contiene una delega volta a disciplinare il funzionamento e la vigilanza degli enti in questione.

Nel dettaglio, il comma 1 riconosce le Centrali consortili quali “enti mutualistici di sistema”, il cui fine è quello di coordinare le aggregazioni di MPMI, organizzate in consorzi di filiera. Tali Centrali mirano a potenziare l'innovazione e la competitività delle imprese attraverso modelli collaborativi solidali ed efficienti e assumono la forma giuridica di società consortili per azioni, in conformità all’articolo 2615-ter del codice civile.

Il comma 2 attribuisce la vigilanza esclusiva delle Centrali consortili al Ministero delle imprese e del Made in Italy, che ne verifica le finalità mutualistiche preliminari al riconoscimento che viene concesso con decreto, limitato ad un massimo di cinque realtà consortili.

L’istanza per chiedere il riconoscimento è subordinata al possesso di requisiti specifici: a) la centrale consortile deve riunire almeno cinque consorzi in almeno tre regioni; b) i consorzi devono avere la presenza di almeno dieci consorziati per ciascuno; c) deve essere istituito un fondo patrimoniale mutualistico alimentato dai contributi degli associati e dalle eventuali contribuzioni esterne pubbliche o private; d) lo statuto deve disporre il divieto di distribuzione eccessiva dei dividendi, nonché, in caso di scioglimento dell’ente, la devoluzione del patrimonio a scopi di pubblica utilità.

Il comma 3 delega il Governo a emanare, entro un anno dalla data di entrata in vigore della legge annuale in questione, uno o più decreti legislativi per regolare il funzionamento e la vigilanza degli enti di cui al comma 1.

I decreti legislativi in questione saranno vincolati ad una serie di principi e criteri direttivi tra i quali l’individuazione di meccanismi per il mantenimento dell’occupazione, per garantire la formazione continua della manodopera e la sicurezza sui luoghi di lavoro nonché le sinergie di filiera, con l’obiettivo di incentivare l’innovazione e la ricerca. Da ultimo dovranno essere introdotte delle norme di coordinamento con le altre disposizioni di settore già esistenti.

Il comma 4, da ultimo, disciplina l’iter procedurale per l’emanazione dei decreti legislativi di cui al comma precedente. In particolare questi ultimi  saranno proposti dal Ministro delle imprese e del Made in Italy, di concerto con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali e il Ministro dell’economia e delle finanze. Gli schemi dei decreti legislativi – previa intesa in sede di Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, numero 281 – sono sottoposti al parere del Consiglio di Stato (da rendere nel termine di trenta giorni dalla data di trasmissione) e delle Commissioni parlamentari competenti (da rendere nel termine di quaranta giorni dalla data di trasmissione). Qualora necessario sarà possibile prorogare i suddetti termini per l’espressione dei relativi pareri.


Articolo 4
(
Part-time incentivato per l’accompagnamento alla pensione e il ricambio generazionale)

.

 

L’articolo 4 introduce una disciplina transitoria – per gli anni 2026 e 2027 e limitatamente a un numero massimo complessivo di 1.000 lavoratori  - che attribuisce al lavoratore dipendente a tempo indeterminato di datori di lavoro privati che occupano fino a 50 dipendenti la facoltà di trasformare da tempo pieno a tempo parziale il rapporto di lavoro se in possesso di anzianità contributiva precedente al 1° gennaio 1996 e dei requisiti idonei a conseguire, entro il 1° gennaio 2028, l’accesso alla pensione di vecchiaia e anticipata (da liquidarsi quindi con il sistema di calcolo misto o con quello contributivo se il lavoratore con anzianità ante 1996 ha esercitato la relativa opzione).

L’esercizio di tale facoltà - possibile fino alla prima data utile di decorrenza della pensione - si accompagna alla concessione, fino al 31 dicembre 2027 o alla data di effettivo pensionamento se anteriore e entro determinati limiti di spesa, di determinati benefici quali l’integrazione dei versamenti contributivi, la copertura pensionistica figurativa (a carico della finanza pubblica) e un esonero contributivo.

Il riconoscimento di tali benefici al lavoratore è subordinato alla contestuale assunzione a tempo pieno e indeterminato, anche agevolata, di un lavoratore di età non superiore a trentaquattro anni per ciascun lavoratore interessato dalla riduzione di orario.

 

Ambito soggettivo e requisiti

La possibilità di accedere al suddetto part-time incentivato per l’accompagnamento alla pensione – che opera, come detto, limitatamente a un numero massimo complessivo di 1.000 lavoratori  - può essere esercitata fino alla prima data utile di decorrenza della pensione ed è riconosciuta ai lavoratori dipendenti privati iscritti all'assicurazione generale obbligatoria, alle forme esclusive e sostitutive della medesima, nonché alla gestione separata INPS, che (comma 1):

·        sono dipendenti a tempo pieno e indeterminato di datori di lavoro privati che occupano fino a 50 dipendenti;

·        hanno un’anzianità contributiva precedente al 1° gennaio 1996;

·        sono in possesso dei requisiti idonei a conseguire entro il 1° gennaio 2028 l’accesso alla pensione di vecchiaia e anticipata secondo la normativa vigente[1].

 

Ai fini del conseguimento entro il 1° gennaio 2028 del suddetto accesso al pensionamento di vecchiaia o anticipato, la disposizione in commento riconosce la facoltà di cumulare i periodi assicurativi non coincidenti, nelle sole gestioni amministrate dall'INPS, a condizione che non siano già titolari di trattamento pensionistico a carico di una delle predette gestioni e secondo le modalità previste dalla normativa vigente (comma 2).

Si ricorda che i commi richiamati dalla norma (art. 1, c. 243, 245 e 246, della L.  228/2012) prevedono la suddetta facoltà di cumulo per i periodi assicurativi non coincidenti posseduti presso due (o più) forme di assicurazione obbligatorie (compresa le Gestione separata INPS) – quindi non solo presso le gestioni amministrate dall’INPS come invece prevede la norma in commento – e che tale facoltà abbia ad oggetto tutti e per intero i periodi assicurativi accreditati presso le suddette gestioni. Le gestioni interessate, ciascuna per la parte di propria competenza, determinano il trattamento pro quota in rapporto ai rispettivi periodi di iscrizione maturati, secondo le regole di calcolo previste da ciascun ordinamento e sulla base delle rispettive retribuzioni di riferimento. Resta fermo, come previsto anche dalla disposizione in commento, che tale facoltà può essere esercitata a condizione che i soggetti interessati non siano già titolari di trattamento pensionistico a carico di una delle predette gestioni

 Ai fini della verifica dei requisiti pensionistici i soggetti interessati presentano domanda all’Inps secondo le modalità stabilite dallo stesso Istituto (comma 3).

 

Limiti della riduzione dell’orario di lavoro

I lavoratori in possesso dei suddetti requisiti possono richiedere la trasformazione del proprio rapporto di lavoro a tempo pieno e indeterminato in un rapporto a tempo parziale, con riduzione dell'orario compresa tra un minimo del venticinque e un massimo del cinquanta per cento, concordando con il datore di lavoro, con atto avente data certa, le modalità di svolgimento della prestazione, anche attraverso clausole elastiche o flessibili riferite alla settimana o al mese (comma 4).

 

Benefici riconosciuti al lavoratore

Al lavoratore che esercita il diritto di cui al presente articolo 4 è riconosciuto:

·        un esonero contributivo pari al 100 per cento della quota dei contributi previdenziali per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti a suo carico, in relazione alla retribuzione effettivamente percepita e nel limite massimo di 3.000 euro riparametrato su base mensile e comunque entro determinati limiti di spesa – pari a 1 milione di euro per il 2026 e a 1,4 milioni di euro per il 2027 - con decorrenza dalla data di trasformazione del rapporto di lavoro a tempo parziale e fino alla data del 31 dicembre 2027, ovvero alla data effettiva di pensionamento, se anteriore. Resta ferma l’aliquota di computo delle prestazioni pensionistiche (comma 5);

·        fino alla data del 31 dicembre 2027, ovvero fino alla data effettiva di pensionamento se anteriore, l’integrazione dei versamenti contributivi sino a concorrenza della quota di retribuzione non percepita per effetto della trasformazione del contratto di lavoro (comma 6);

·        per i periodi di riduzione della prestazione lavorativa, la contribuzione figurativa commisurata alla retribuzione corrispondente alla prestazione lavorativa non effettuata, nel limite di spesa pari a 3,7 milioni euro per il 2026 e a 5 milioni di euro per il 2027 (comma 6, ultimo periodo).

 

Condizionalità per il riconoscimento dei benefici al lavoratore

I suddetti benefici in favore del lavoratore sono concessi a condizione che, per ciascun lavoratore interessato dalla riduzione di orario, il datore di lavoro proceda contestualmente all’assunzione a tempo pieno e indeterminato di un lavoratore di età non superiore a trentaquattro anni con facoltà di avvalersi, per le nuove assunzioni, delle agevolazioni previste dalla legislazione vigente, nel rispetto degli specifici requisiti legittimanti (comma 7).

 

Limiti di spesa

Le suddette agevolazioni sono riconosciute al lavoratore che accede al part time dall’INPS nel limite massimo complessivo di 1.000 lavoratori  e entro i suddetti limiti di spesa (commi 8 e 9).

L’INPS provvede al monitoraggio delle domande presentate dai soggetti che intendono avvalersi dei benefici previsti dal presente articolo e se da tale monitoraggio risulti, anche in via prospettica, il raggiungimento del suddetto limite di spesa, l’INPS non prende in esame ulteriori domande ed è tenuto a dare tempestiva comunicazione del raggiungimento del predetto limite al Ministero del lavoro e delle politiche sociali e al Ministero dell’economia e delle finanze.

Ai suddetti oneri, pari complessivamente a 4,7 milioni di euro per il 2026 e a 6,4 milioni di euro per il 2027, si provvede:

·        quanto a 0,3 milioni di euro per il 2026 e a 0,4 milioni di euro per il 2027, mediante le maggiori entrate derivanti dal comma 5;

·        quanto a 4,4 milioni di euro per il 2026 e a 6 milioni di euro per il 2027, mediante riduzione, al fine di garantire la compensazione in termini di indebitamento netto e fabbisogno delle pubbliche amministrazioni, del Fondo sociale per occupazione e formazione (di cui all’art. 18, c. 1, lett. a), del D.L. 185/2008) di 6,3 milioni di euro per il 2026 e di 8,6 milioni di euro per il 2027.

 


Capo II

Accesso delle pmi al credito bancario e misure di semplificazione

 

Articolo 5
(Delega al Governo sul riordino della disciplina dei confidi)

 

 

L’articolo 5 reca i principi e criteri direttivi della delega conferita al Governo per la razionalizzazione, il riordino e la semplificazione della disciplina dei confidi da attuarsi, mediante l’adozione di uno o più decreti legislativi, entro 12 mesi dall’entrata in vigore della presente legge.

 

Al fine di superare le difficoltà attuali del sistema della garanzia collettiva e favorire l’accesso al credito da parte delle piccole e medie imprese (o “PMI”), l’articolo 5 conferisce delega al Governo sul riordino della disciplina dei confidi.

In linea con le disposizioni contenute negli altri articoli del presente disegno di legge, in un contesto di crisi economica e finanziaria, si vuole altresì rafforzare il ruolo dei confidi, consentendo - tramite il loro intervento - che l’erogazione del credito non venga interrotta da parte del sistema bancario.

I consorzi e cooperative di garanzia collettiva dei fidi (confidi) svolgono l’attività di rilascio di garanzie collettive dei fidi nei confronti di piccole e medie imprese o dei liberi professionisti associati, al fine di favorirne l’accesso al credito bancario e di altri intermediari finanziari.

A tale riguardo, la relazione illustrativa chiarisce che la riforma mira a adeguare la normativa ai profondi mutamenti dei mercati di riferimento, influenzati dapprima dalla crisi economica del 2008 e successivamente dalla pandemia, che hanno fatto registrare l’espansione delle garanzie pubbliche, e ridotto gli spazi di intervento dei confidi. In tale contesto, si intende realizzare un intervento complessivo di riforma del settore, a oltre 20 anni dall’emanazione della Legge sui confidi, risalente al 2003 e che consenta di superare le attuali difficoltà riscontrate nel sistema della garanzia collettiva e nell’accesso al credito da parte delle PMI.

 

Nello specifico, ai sensi del comma 1, si delega il Governo ad adottare, entro 12 mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi aventi ad oggetto la razionalizzazione, il riordino e la semplificazione della disciplina dei confidi di cui all’articolo 13 del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269 (cd. “Legge sui confidi”), secondo i seguenti principi e criteri direttivi:

a)      rafforzamento dell’attività dei confidi a sostegno delle PMI nel campo della garanzia e dei servizi finanziari.

b)     ampliamento della compagine sociale dei confidi a soggetti diversi dalle PMI e dai liberi professionisti.

c)      revisione dei requisiti per l’iscrizione dei confidi all’albo degli intermediari finanziari di cui all’articolo 106 del Testo Unico Bancario di cui al decreto legislativo n. 385 del 1983 (“TUB”).

d)     incentivo ai processi di aggregazione dei confidi mediante agevolazioni e semplificazioni normative.

A tale riguardo, la relazione illustrativa individua, ad integrazione di tale linea di intervento, la costituzione di gruppi rilevanti anche ai fini di vigilanza.

e)      ampliamento delle attività esercitabili dai confidi di cui all’articolo 106 del TUB, con particolare riguardo alle attività di consulenza e assistenza alle imprese consorziate o socie.

f)      riduzione dei costi di istruttoria per la valutazione del merito creditizio delle imprese.

A tale riguardo, la relazione illustrativa chiarisce che la riduzione dei costi di istruttoria può essere perseguita anche tramite forme di contribuzione pubblica.

La relazione tecnica, invece, precisa che a tale previsione non si ascrivono effetti finanziari, posto che trattasi di misure di semplificazione e comunque di carattere ordinamentale.

g)     promozione dell’integrazione interconsortile dei confidi.

A tale riguardo, la relazione illustrativa individua, quale ulteriore linea di intervento, la previsione della facoltà per i confidi di assumere partecipazioni in altri enti, purché ciò non comporti modificazioni sostanziali del loro oggetto sociale.

 

Il medesimo comma 1 precisa che l’intervento di riordino de quo deve garantire, in ogni caso, il rispetto della connotazione mutualistica di tali enti.

 

Il successivo comma 2 definisce gli aspetti procedurali e la durata della delega.

In particolare, si dispone che i decreti legislativi siano adottati su proposta del Ministro delle Imprese e del made in Italy e del Ministro dell’Economia e delle Finanze, previa trasmissione degli schemi dei decreti legislativi al Consiglio di Stato, affinché esprima il relativo parere entro un termine di 30 giorni dalla data di trasmissione. Si precisa che decorso tale termine, il Governo può comunque procedere.

Si prevede altresì che, successivamente, i medesimi schemi debbano essere trasmessi alle Camere, affinché le Commissioni parlamentari competenti per materia e per i profili finanziari esprimano il relativo parere entro un termine di 40 giorni dalla data di trasmissione. Si precisa che decorso tale termine, i decreti possono essere comunque emanati.

Qualora il termine per il parere parlamentare scada nei 30 giorni antecedenti la scadenza della delega legislativa o successivamente, è ammessa una proroga di 60 giorni.

A tale riguardo, la relazione illustrativa chiarisce che, in applicazione di quanto previsto dal TFUE (cfr. articoli 127, comma 4, 282, comma 5) e dall’articolo 2, comma 1 della Decisione del Consiglio n. 98/415, gli schemi dei decreti saranno trasmessi alla Banca Centrale Europea per il rilascio del parere di competenza.

 

Il comma 3 reca una clausola di invarianza finanziaria, prevedendo che l’attuazione di tale articolo non deve comportare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

A tale riguardo, la relazione tecnica precisa che la disposizione, corredata di clausola d’invarianza finanziaria, ha natura ordinamentale e da essa non derivano nuovi o maggiori oneri per la finanza.

Ai sensi dell’articolo 13, comma 1, del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, i consorzi e le cooperative di garanzia collettiva fidi (cd. “confidi”) svolgono l'attività di rilascio di garanzie collettive dei fidi nei confronti di piccole e medie imprese o dei liberi professionisti associati, al fine di favorirne l'accesso al credito di banche e di altri intermediari finanziari.

In relazione al volume di attività finanziaria, i confidi si distinguono in:

(a) confidi minori (con volume di attività finanziaria inferiore a 150 milioni di euro) iscritti nell’elenco previsto dall’articolo 112 del TUB e gestito dall’Organismo dei Confidi Minori. Tali confidi possono svolgere, esclusivamente, l’attività di garanzia collettiva dei fidi e i servizi ad essa connessi o strumentali definiti dal decreto ministeriale n. 53 del 2015, nel rispetto delle riserve di attività previste dalla legge;

(b) confidi iscritti nell’albo di cui all’articolo 106 del TUB (con volume di attività finanziaria pari o superiore a 150 milioni di euro). Tali confidi svolgono, in misura prevalente, l’attività di garanzia collettiva dei fidi nonché le attività connesse e strumentali previste dall’articolo 5 del decreto ministeriale n. 53 del 2015, nel rispetto delle riserve di attività previste dalle vigenti disposizioni.

Possono inoltre svolgere, in via residuale, altre forme di finanziamento di cui all'articolo 106, comma 1, TUB, entro un limite pari al 20 per cento del totale dell'attivo; entro tale limite, possono anche garantire l’emissione di strumenti di debito da parte delle piccole-medie imprese socie. Possono, altresì, svolgere prevalentemente nei confronti di imprese consorziate o soci le attività previste dall’articolo 112, comma 5, TUB, quali: a) prestazione di garanzie a favore dell'amministrazione finanziaria dello Stato, al fine dell'esecuzione dei rimborsi di imposte alle imprese consorziate o socie; b) gestione di fondi pubblici di agevolazione; c) stipula di contratti con le banche assegnatarie di fondi pubblici di garanzia per disciplinare i rapporti con le imprese consorziate o socie, al fine di facilitarne la fruizione.

In base alle indicazioni contenute nella circolare della Banca d’Italia 3 aprile 2015, n. 288, sono tenuti a richiedere l’autorizzazione per l’iscrizione nell’albo i confidi il cui volume di attività finanziaria sia pari o superiore a 150 milioni di euro. A tal fine, si tiene conto dell’aggregato composto da:

a. cassa e disponibilità;

b. crediti verso enti creditizi;

c. crediti verso enti finanziari;

d. crediti verso clientela;

e. crediti impliciti nelle operazioni di locazione finanziaria;

f. obbligazioni e altri titoli a reddito fisso;

g. azioni, quote e altri titoli a reddito variabile;

h. ratei attivi;

i. garanzie rilasciate;

j. altre poste dell’attivo e operazioni “fuori bilancio”.

Ai fini del rispetto della prevalenza dell’attività di garanzia collettiva dei fidi, dall’ultimo bilancio approvato devono risultare verificate, congiuntamente, le seguenti condizioni:

(i) l’ammontare dei ricavi derivanti dall’attività di garanzia collettiva dei fidi e dalle attività connesse e strumentali deve essere superiore al 50 per cento del totale dei ricavi;

(ii) l’ammontare nominale delle garanzie collettive dei fidi deve essere superiore al 50 per cento del totale dell’attivo.

Ai sensi dell’articolo 4, comma 3, del decreto ministeriale n. 53 del 2015, la Banca d’Italia revoca l’autorizzazione per il venir meno dei requisiti dimensionali.

Nella citata circolare della Banca d’Italia, si precisa che la revoca dell’autorizzazione ricorre quando il volume di attività finanziaria del confidi risulti inferiore a 150 milioni di euro per almeno 3 esercizi consecutivi. Il legale rappresentante del confidi comunica alla Banca d’Italia il verificarsi di tale condizione. Alla comunicazione sono allegati la documentazione necessaria a comprovare la mutata situazione aziendale e un piano di dismissione degli attivi di bilancio, di durata non superiore a 12 mesi, rivenienti da attività non consentite ai confidi iscritti nell’elenco di cui all’articolo 112 TUB.

L’articolo 3, comma 11-quater, del decreto-legge 31 dicembre 2020, n. 183 (e successiva modifica), ha disposto la sospensione fino al 31 dicembre 2022 dei provvedimenti di revoca adottati dalla Banca d’Italia, ai sensi dell’articolo 4 del decreto ministeriale n. 53 del 2015.

A tal riguardo con interrogazione a risposta immediata in Commissione del 26 febbraio 2024 è stato richiesto, quale chiarimento, se la disposizione in oggetto ha inteso sospendere anche il decorso del termine dei 3 esercizi consecutivi fino al 1° gennaio 2023. Con risposta n. 5-02059, si è esclusa la possibilità di interpretare, in via estensiva, la disposizione di cui all’articolo 3, comma 11-quater, del decreto-legge n. 183 del 2020, in quanto una tale interpretazione avrebbe carattere sostanzialmente innovativo andando ad estendere l’ambito di operatività della sospensione delle revoche adottate dalla Banca d’Italia.

Da ultimo, l’articolo 3, comma 8, del decreto-legge 27 dicembre 2024, n. 202, ha disposto – nelle more di riforma organica della disciplina normativa dei confidi - la sospensione, per 24 mesi, del procedimento per l'adozione del provvedimento di revoca dell’autorizzazione all’iscrizione dei confidi nell’albo degli intermediari finanziari ex articolo 106 del TUB, conseguente al venir medo dei requisiti dimensionali (qualora il volume di attività finanziaria risulti inferiore a 150 milioni di euro). A tal fine, il confidi interessato deve comunicare alla Banca d’Italia, unitamente agli altri confidi coinvolti, l’avvio di un processo di integrazione, comprovato da idonea documentazione dalla quale risulti che, al termine di tale processo, sia rispettato il requisito del volume di attività finanziaria (si veda il relativo dossier).

Nell’ambito della relazione illustrativa al decreto-legge de quo sono forniti dei dati sul numero di confidi italiani esistenti al 31 dicembre 2023 e la relativa distribuzione geografica.

Più precisamente, si rappresenta che, al 31 dicembre 2023, i confidi italiani sono 192, di cui 32 sono confidi maggiori (iscritti nell’albo di cui all’articolo 106 TUB, soggetti alla vigilanza di Banca d’Italia) e 160 confidi minori (di cui all’articolo 112 del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, iscritti nell’elenco OCM, soggetti alla vigilanza dell’Organismo Confidi Minori). Il numero è in diminuzione di 8 unità rispetto al 31 dicembre 2022: nel corso del 2023 sono infatti stati cancellati dall’elenco OCM 10 confidi e ne sono stati iscritti 2; il numero dei confidi maggiori è invece rimasto stabile.

Metà dei confidi ha sede legale nell’area del Mezzogiorno (95 confidi sul totale di 190); circa un terzo sono localizzati nelle regioni del Nord (67 confidi) e il restante 15 per cento nelle regioni del Centro Italia (28 confidi).

I confidi maggiori sono presenti soltanto sul territorio di 15 regioni italiane e sono concentrati soprattutto al Nord (63 per cento del totale, 20 confidi su 32); poco più di un terzo dei confidi maggiori è localizzata nelle regioni del Centro e del Mezzogiorno (19 per cento del totale in entrambe le aree, 6 nelle regioni del Centro e 6 nelle regioni del Mezzogiorno). I confidi minori sono invece distribuiti sull’intero territorio nazionale; almeno uno dei 158 confidi minori è presente in ogni regione. Specularmente rispetto alla distribuzione dei confidi maggiori, la maggior parte dei confidi minori è localizzata nelle regioni del Mezzogiorno (56 per cento del totale, 89 confidi su 158); seguono le regioni del Nord (47 confidi minori, 30 per cento del totale) e del Centro (22 confidi minori, 14 per cento del totale).

Analizzando i valori di flusso delle garanzie concesse nel 2022 (ultimo dato disponibile) in base al soggetto erogante si evidenzia che i confidi maggiori hanno concesso l’85 per cento delle garanzie totali nel corso del 2022 (2,4 miliardi su un totale di 2,8), mentre la quota di garanzie erogate dai confidi minori si limita al 15 per cento.

 

 


Articolo 6
(Misure per favorire la valorizzazione a fini finanziari dei beni di magazzino)

 

 

L’articolo 6 reca disposizioni volte a modificare la disciplina della cartolarizzazione dei crediti.

In sintesi, si prevede:

- l’estensione della disciplina alle operazioni di cartolarizzazione di crediti futuri, nonché a quelle concernenti i proventi derivanti dalla titolarità, in capo alle società, di beni mobili non registrati;

- l’inclusione nella destinazione patrimoniale a vantaggio del finanziatore anche dei beni da cui derivano i crediti oggetto dell’operazione, ivi inclusi i prodotti derivanti dalla loro combinazione e/o trasformazione;

- la possibilità di dare alla segregazione una veste societaria, mediante trasferimento a una società veicolo d’appoggio.

 

La presente disposizione apporta modifiche alla legge n. 130 del 1999 in materia di cartolarizzazione dei crediti.

 

Sul punto, si evidenzia che, secondo la definizione fornita dalla Banca d’Italia, per cartolarizzazione si intende un’operazione mediante la quale una società (detta originator) trasforma attività finanziarie o reali non negoziabili (ad es. i finanziamenti concessi da una banca) in titoli di debito negoziabili. L’operazione viene effettuata mediante la cessione delle attività a una società veicolo (special purpose vehicle, SPV) o mediante l’utilizzo di strumenti finanziari derivati. Il corrispettivo che la società veicolo è tenuta a pagare all’originator è ottenuto mediante l’emissione di titoli di debito. Le attività di proprietà della società veicolo (ad es. i crediti acquisiti dall’originator) sono destinate esclusivamente alla realizzazione dei diritti e degli interessi dei portatori dei titoli.

Per ulteriori approfondimenti si rinvia, altresì, al focusLa securitisation” presente sul sito istituzionale della Consob.

 

Il comma 1, lettera a), numeri 1) e 2), novella l’articolo 7, comma 1, della legge richiamata.

Nello specifico, il numero 1) estende l’applicazione della disciplina in materia di cartolarizzazione anche alle operazioni di cartolarizzazione dei crediti futuri.

 

Sul punto, si ricorda che la vigente lettera a) fa riferimento alle sole operazioni di cartolarizzazione dei crediti realizzate mediante l’erogazione di un finanziamento al soggetto cedente da parte della società per la cartolarizzazione dei crediti emittente i titoli, avente per effetto il trasferimento del rischio inerente ai crediti nella misura e alle condizioni concordate.

 

Il numero 2) interviene sul comma 1, lettera b-bis) del medesimo articolo, ricomprendendo nell’ambito oggettivo di applicazione delle norme in materia di cartolarizzazione anche le operazioni concernenti i proventi derivanti dalla titolarità, in capo alle società, di beni mobili non registrati.

 

A legislazione vigente tale previsione ricomprende le operazioni di cartolarizzazione dei proventi derivanti dalla titolarità, in capo alle società, di:

§  beni immobili;

§  beni mobili esclusivamente registrati;

§  diritti reali o personali aventi ad oggetto i medesimi beni.

Si segnala che, in merito alle attività svolte dalle SPV, l’articolo 3 della legge n. 130 del 1999 stabilisce che le società cessionarie, o le società emittenti titoli se diverse dalle società cessionarie, hanno per oggetto esclusivo la realizzazione di una o più operazioni di cartolarizzazione dei crediti e devono essere costituite in forma di società di capitali. Inoltre, come si evince dalla risposta dell’Agenzia delle entrate n. 315 del 2023, le SPV, qualora sia espressamente previsto dal relativo statuto, possono porre in essere attività di acquisto, gestione o cessione dei beni oggetto delle operazioni di cartolarizzazione, indicati dall’articolo 7, comma 1, lettera b-bis), sopra citato, purché tali attività siano realizzate nell’ambito e ai fini delle medesime operazioni.

 

La lettera b), numeri 1) e 2), del comma medesimo modifica il comma 2-octies) del richiamato articolo 7.

In particolare, il numero 1) stabilisce che oggetto della destinazione patrimoniale a vantaggio del finanziatore possono essere i crediti oggetto di cartolarizzazione, nonché, oltre a quelli previsti dalla disciplina vigente, anche i beni dal cui impiego o titolarità originano tali crediti, ivi inclusi i prodotti derivanti dalla combinazione e trasformazione dei predetti diritti e beni o i beni sostitutivi dei beni precedentemente destinati.

 

In merito, si rammenta che la normativa vigente prevede che il soggetto finanziato titolare dei crediti oggetto di operazioni di cartolarizzazione di cui al sopra richiamato comma 1, lettera a), possa destinare i crediti stessi, nonché i diritti e i beni che in qualunque modo costituiscano la garanzia del rimborso di tali crediti, al soddisfacimento dei diritti della società di cartolarizzazione o ad altre finalità, anche effettuando la segregazione dei medesimi crediti, diritti e beni, con facoltà di costituire un pegno sui beni e sui diritti predetti a garanzia dei crediti derivanti dal finanziamento concesso dalla società di cartolarizzazione.

 

Inoltre, il numero 2) dispone che la segregazione può essere realizzata mediante cessione a una società veicolo d’appoggio di cui all’articolo 7.1, comma 4, anche fuori dai casi previsti dall’articolo 7.1, comma 1 (cessioni di crediti, qualificati come deteriorati in base alle disposizioni dell’autorità competente, ceduti da banche e intermediari finanziari), eventualmente in concomitanza con la cessione dei crediti oggetto dell’operazione e l’accollo del debito nascente dal finanziamento.

 

Al riguardo, la relazione illustrativa osserva che le modifiche in oggetto hanno la finalità di consentire al soggetto finanziato (impresa) di costituire nel suo bilancio una segregazione patrimoniale di una serie di beni (non necessariamente registrati) posti a garanzia del rimborso del prestito (a ricorso limitato, ossia a valere su quel determinato patrimonio segregato) ricevuto da una SPV. Secondo la relazione, ciò consente alle SPV (finanziate dagli istituti finanziari attraverso la sottoscrizione dei titoli relativi all’operazione) di beneficiare di una forma di garanzia su beni reali dell’impresa finanziata. In tal modo, inoltre, le banche possono (per il tramite delle SPV) erogare credito a migliori condizioni riflettendo il beneficio economico di tali garanzie, permettendo loro di finanziare anche una serie di imprese a cui, in assenza di tale garanzia, potrebbe risultare difficile fornire credito.

Inoltre, si ricorda che le società di cui al richiamato articolo 7.1, comma 4, sono quelle costituite nella forma di società di capitali, aventi come oggetto sociale esclusivo il compito di acquisire, gestire e valorizzare, nell’interesse esclusivo dell’operazione di cartolarizzazione, direttamente o attraverso una o più ulteriori società veicolo d'appoggio, autorizzate ad assumere, totalmente o parzialmente, il debito originario, i beni immobili e mobili registrati nonché gli altri beni e diritti concessi o costituiti, in qualunque forma, a garanzia dei crediti oggetto di cartolarizzazione, ivi compresi i beni oggetto di contratti di locazione finanziaria, anche se risolti, eventualmente insieme con i rapporti derivanti da tali contratti.

 

È fatta salva, peraltro, l’applicazione dei commi 4-bis, 4-quater e 4-quinquies dell’articolo 7.1 in materia di cartolarizzazione di crediti deteriorati da parte di banche e intermediari finanziari.

 

Le citate disposizioni prevedono che le imposte di registro, ipotecaria e catastale si applichino in misura fissa sugli atti e le operazioni inerenti il trasferimento a qualsiasi titolo, anche in sede giudiziale o concorsuale, dei beni e diritti di cui ai commi 4 e 5 del citato articolo 7.1, in favore della società veicolo d'appoggio, inclusi eventuali accolli di debito, e le garanzie di qualunque tipo, da chiunque e in qualsiasi momento prestate, in favore della società di cartolarizzazione o altro finanziatore ed in relazione all'operazione di cartolarizzazione, a valere sui beni e diritti acquistati dalle società veicolo d'appoggio ai sensi del comma 4, le relative eventuali surroghe, postergazioni, frazionamenti e cancellazioni anche parziali, ivi comprese le relative cessioni di credito (comma 4-bis). Per gli atti e i provvedimenti recanti il successivo trasferimento, a favore di soggetti che svolgono attività d'impresa, della proprietà o di diritti reali, anche di garanzia, sui beni immobili acquistati dalle società veicolo d'appoggio in relazione all'operazione di cartolarizzazione, le imposte di registro, ipotecaria e catastale sono dovute in misura fissa, a condizione che l'acquirente dichiari, nel relativo atto, che intende trasferirli entro cinque anni dalla data di acquisto. Ove non si realizzi tale condizione entro il quinquennio successivo, le imposte di registro, ipotecaria e catastale sono dovute dall'acquirente nella misura ordinaria e si applica una sanzione amministrativa del 30 per cento, oltre agli interessi di mora (comma 4-quater). Gli atti e i provvedimenti di cui al comma 4-quater emessi a favore di soggetti che non svolgono attività d'impresa sono assoggettati alle imposte di registro, ipotecaria e catastale nella misura fissa di 200 euro ciascuna sempre che in capo all'acquirente ricorrano le condizioni previste alla nota II-bis) all'articolo 1 della tariffa, parte prima, allegata al testo unico delle disposizioni concernenti l'imposta di registro,  ossia le condizioni per l’applicazione per l’aliquota agevolata al 2 per cento relativamente all’acquisto della prima casa d’abitazione, o il trasferimento o la costituzione di diritti reali di godimento sulla stessa (comma 4-quinquies).

 

Infine, la lettera c), per ragioni di coordinamento normativo con le modifiche introdotte dalla precedente lettera b), modifica la rubrica dell’articolo 7.2 (Cartolarizzazioni immobiliari e di beni mobili anche registrati), menzionando, in tal modo, anche i beni mobili non registrati.

 

La relazione illustrativa evidenzia le finalità dell’intervento normativo in esame nel suo complesso. In particolare, la relazione osserva che la misura è stata concepita per rispondere alla necessità delle imprese di ottenere canali di finanziamento capaci di massimizzare l’efficienza operativa, mantenendo costi finanziari sostenibili e senza compromettere la titolarità del capitale azionario attraverso la concessione di garanzie o utilità che ne riducano la competitività sul mercato.


Capo III

Semplificazioni

 

Articolo 7
(Esonero dall’assicurazione obbligatoria per i carrelli elevatori)

 

 

L’articolo 7 esonera dall’obbligo di assicurazione obbligatoria i carrelli elevatori, quando operano all’interno di aree aziendali, stabilimenti, magazzini o depositi, e gli altri veicoli utilizzati dalle imprese in zone non accessibili al pubblico nelle stazioni ferroviarie, nelle aree portuali e aeroportuali.

 

La disposizione in esame introduce un nuovo comma all’articolo 122-bis del codice delle assicurazioni private (decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209) in materia di deroghe all’obbligo di assicurazione per la responsabilità civile obbligatoria.

Più nel dettaglio, la norma stabilisce che non sono soggetti all’obbligo di assicurazione i veicoli di cui all’articolo 1, comma 1, lettera rrr) del citato codice delle assicurazioni private, rientranti nella tipologia dei carrelli, ovvero dei veicoli destinati alla movimentazione di cose, non immatricolati, quando operano all’interno di aree aziendali, stabilimenti, magazzini o depositi.

Si ricorda che il citato articolo 1, comma 1, lettera rrr) definisce veicolo: qualsiasi veicolo a motore azionato esclusivamente da una forza meccanica che circola sul suolo ma non su rotaia, con:

o   una velocità di progetto massima superiore a 25 km/h; o

o   un peso netto massimo superiore a 25 kg e una velocità di progetto massima superiore a 14 km/h;

§  qualsiasi rimorchio destinato ad essere utilizzato con un veicolo, a prescindere che sia ad esso agganciato o meno;

§  i veicoli elettrici leggeri individuati con apposito decreto del Ministro delle imprese e del made in Italy e del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell'interno.

 

La deroga all’obbligo si applica, altresì, ai veicoli utilizzati esclusivamente in zone non accessibili al pubblico nelle aree ferroviarie, portuali e aeroportuali, che sono coperti da polizza assicurativa per la responsabilità civile verso terzi diversa dall’assicurazione obbligatoria.

La relazione illustrativa rileva che le norme dell’articolo in commento si inseriscono nel complesso di norme introdotte dal decreto legislativo 22 novembre 2023, n. 184, recante il recepimento della direttiva (UE) 2021/2118 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 24 novembre 2021, recante modifica della direttiva 2009/103/CE concernente l’assicurazione della responsabilità civile risultante dalla circolazione di autoveicoli e il controllo dell’obbligo di assicurare tale responsabilità, con la finalità di ampliare i casi di deroga all’obbligo assicurativo contenuti dall’articolo 122-bis del Codice delle assicurazioni private, nel rispetto di quanto previsto dalla direttiva (UE) 2021/2118. La direttiva sopra citata, infatti, con l’articolo 1, paragrafo 4, modifica l’articolo 5 della Direttiva 2009/103/CE, nel modificare la nozione di “veicolo” assoggettato all’obbligo assicurativo, consente agli Stati membri di individuare casi di deroga all’obbligo assicurativo.

Tra i veicoli assoggettabili a questa deroga si inseriscono anche “i veicoli utilizzati esclusivamente in luoghi il cui accesso è soggetto a restrizioni” nonché per i “veicoli il cui utilizzo su strade pubbliche non è autorizzato”. In tal caso la direttiva impone agli Stati membri che a tali veicoli sia riservato lo stesso trattamento dei veicoli per i quali non vi è stato adempimento all’obbligo assicurativo. Il considerando 10, riferito a questa previsione normativa, chiarendone il significato, precisa che gli Stati membri dovrebbero trattare le vittime di incidenti causati da questi veicoli allo stesso modo in cui vengono trattate le vittime di incidenti relativi a veicoli non assicurati. Pertanto, l’organismo di indennizzo dello Stato membro dovrebbe intervenire, quando ne ricorrono le condizioni, e può essere chiamato in causa dall’organismo di uno Stato terzo nel caso di sinistro che ha coinvolto un cittadino di quel Paese, per il pagamento (o per il rimborso) dell’indennizzo alle vittime di incidenti causati da questi veicoli.

La relazione illustrativa segnala, altresì, che le deroghe previste in queste disposizioni, nonché nel decreto legislativo n. 184 del 2023, saranno notificate alla Commissione europea, in conformità a quanto previsto nell’articolo 5 della Direttiva 2009/103/CE, affinché la Commissione pubblichi l’elenco di tali deroghe.

 

L’ultimo periodo della disposizione stabilisce quindi che, nei casi sopra citati, non vi è obbligo di indennizzo da parte del Fondo di garanzia per le vittime della strada, se la responsabilità verso terzi, per i sinistri occorsi nelle aree indicate, è comunque coperta da assicurazione volontaria o contratta in forza di disposizioni speciali.


Articolo 8
(Norme in materia di sicurezza sul lavoro, con riferimento ai modelli di organizzazione e di gestione e alla formazione)

 

 

Il comma 1 dell’articolo 8 reca una serie di novelle alla disciplina generale in materia di sicurezza sul lavoro, di cui al D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81. La novella di cui alla lettera a) integra la disciplina sui modelli di organizzazione e di gestione, in materia di sicurezza sul lavoro, idonei a escludere la cosiddetta responsabilità amministrativa dell’impresa (o comunque del soggetto diverso dalla persona fisica), connessa ad alcuni reati; si prevedono l’elaborazione, da parte dell’INAIL, di modelli semplificati per le micro, piccole e medie imprese e il supporto dell’INAIL alle stesse imprese nell’attuazione di tali modelli. La novella di cui al numero 1) della successiva lettera b) include i periodi di trattamenti ordinari o straordinari di integrazione salariale – relativi a riduzione o a sospensione dell’attività lavorativa – tra le fattispecie alle quali consegue un obbligo di erogazione ai lavoratori di formazione in materia di sicurezza sul lavoro. La novella di cui al successivo comma 2 concerne gli effetti della mancata partecipazione, da parte di lavoratori che fruiscono di trattamenti di integrazione salariale, a corsi di formazione in materia di sicurezza sul lavoro. La novella di cui al numero 2) della lettera b) del comma 1 specifica che il responsabile del servizio di prevenzione e protezione può svolgere, anche in parte rilevante, interventi formativi direttamente nei luoghi o negli ambienti di lavoro in cui siano stati riscontrati comportamenti non corretti o in cui si siano verificati anomalie o sinistri, anche utilizzando moderne tecnologie di simulazione in ambiente reale o virtuale.

 

La lettera a) del comma 1 integra la disciplina sui modelli di organizzazione e di gestione, in materia di sicurezza sul lavoro, idonei a escludere la cosiddetta responsabilità amministrativa (e le relative sanzioni) dell’impresa (o comunque del soggetto diverso dalla persona fisica)[2], connessa ad alcuni reati[3]. La novella in esame demanda all’INAIL: di elaborare, d’intesa con le organizzazioni di rappresentanza delle imprese e dei lavoratori comparativamente più rappresentative, modelli semplificati di organizzazione e gestione per le micro, piccole e medie imprese[4], con l’individuazione di precisi parametri per l’attuazione degli stessi a livello aziendale; supportare le imprese nell’adozione dei medesimi modelli sul piano gestionale e applicativo. La novella prevede, dunque, una semplificazione in via aggiuntiva rispetto alle previsioni vigenti, che definiscono, per le imprese in oggetto, procedure semplificate per l'adozione e l'efficace attuazione dei suddetti modelli di organizzazione e di gestione (previsioni di cui all’articolo 30, comma 5-bis, del citato D.Lgs. n. 81 del 2008 e al D.M. attuativo del 13 febbraio 2014)[5]. Per l’elaborazione dei modelli semplificati in oggetto, la novella pone un termine di centoventi giorni, decorrenti dalla data di entrata in vigore del presente provvedimento legislativo; sotto il profilo letterale, si valuti l’opportunità di specificare che il termine temporale si riferisce esclusivamente all’elaborazione e non anche alla suddetta attività di supporto; si consideri in ogni caso l’esigenza di correggere l’indicazione del termine di decorrenza dei suddetti centoventi giorni, considerato che il contesto è costituito da una novella (relativa ad un decreto legislativo) e che la formulazione in merito fa testualmente riferimento all’entrata in vigore della presente legge.

La novella di cui alla lettera a) in esame richiama le finalità di assicurare l’attuazione del principio di proporzionalità, rispetto alla dimensione aziendale, degli adempimenti amministrativi in materia di sicurezza sul lavoro e di incrementare i livelli di sicurezza nelle imprese di dimensioni minori[6].

Sono inoltre poste, con riferimento alle attività dell’INAIL previste dalla novella, le clausole di invarianza degli oneri di finanza pubblica.

La novella di cui al numero 1) della successiva lettera b) include i periodi di trattamenti ordinari o straordinari di integrazione salariale – relativi a riduzione o a sospensione dell’attività lavorativa – tra le fattispecie alle quali consegue un obbligo di erogazione ai lavoratori di formazione in materia di sicurezza sul lavoro – fattispecie attualmente costituite[7] dalla costituzione del rapporto di lavoro (o dall'inizio dell'utilizzazione nel caso di somministrazione di lavoro), dal trasferimento o cambiamento di mansioni, dall’introduzione di nuove attrezzature di lavoro, di nuove tecnologie o di nuove sostanze e miscele pericolose –[8]. Si valuti l’opportunità di chiarire se nella nuova fattispecie si faccia riferimento anche ai trattamenti di integrazione salariale corrisposta dai fondi di solidarietà di cui al titolo II del D.Lgs. 14 settembre 2015 n. 148, e successive modificazioni. Considerato che le norme sulle sanzioni penali[9] per l’inadempimento, da parte del datore di lavoro e dei dirigenti[10], degli obblighi relativi all’erogazione della formazione in materia di sicurezza sul lavoro non fanno riferimento al comma oggetto della novella integrativa in esame, ma all’obbligo generale di erogazione – in materia di sicurezza sul lavoro di una formazione sufficiente e adeguata secondo i criteri di cui all’articolo 37, comma 1, del citato D.Lgs. n. 81 del 2008, si valuti l’opportunità di chiarire se i casi di inadempimento della previsione aggiuntiva della novella rientri nell’ambito delle suddette sanzioni.

Sempre in merito alle attività di formazione in materia di sicurezza sul lavoro, secondo la novella di cui al comma 2 del presente articolo 8, i relativi corsi sono compresi nell’ambito di applicazione di una norma che prevedeva la decadenza dai trattamenti di integrazione salariale (ivi compresi quelli erogati dai suddetti fondi di solidarietà), relativi a sospensione dal lavoro, per il caso di mancata partecipazione, senza giustificato motivo, a corsi di formazione o riqualificazione; la norma oggetto di novella – norma di cui all’articolo 4, comma 40, della L. 28 giugno 2012, n. 92 – risulta, tuttavia, abrogata in base al meccanismo abrogatorio di cui all’articolo 34, comma 2, del D.Lgs. 14 settembre 2015, n. 150, e la disciplina in materia – che prevede riduzioni o decadenza dal trattamento – è ora posta, con esclusivo riferimento ai trattamenti straordinari di integrazione salariale, ivi compresi quelli erogati dai summenzionati fondi di solidarietà, dall’articolo 25-ter del citato D.Lgs. n. 148 del 2015, e successive modificazioni, e dal relativo D.M. 2 agosto 2022[11]. Si consideri l’opportunità, per i suddetti motivi, di valutare la formulazione e gli effetti della novella di cui al presente comma 2.

La novella di cui al numero 2) della lettera b) del comma 1 specifica che il responsabile del servizio di prevenzione e protezione può svolgere, anche in parte rilevante, interventi formativi direttamente nei luoghi o negli ambienti di lavoro in cui siano stati riscontrati comportamenti non corretti o in cui si siano verificati anomalie o sinistri, anche utilizzando moderne tecnologie di simulazione in ambiente reale o virtuale.

Si ricorda che, secondo la definizione posta dall’articolo 2, comma 1, lettera f), del citato D.Lgs. n. 81 del 2008, il responsabile del servizio di prevenzione e protezione è la persona – in possesso delle capacità e dei requisiti professionali di cui all'articolo 32 dello stesso D.Lgs. n. 81, e successive modificazioni – designata dal datore di lavoro (a cui risponde) per il coordinamento del servizio di prevenzione e protezione dai rischi.

In merito al presente numero 2) della lettera b), si rileva che l’articolo 37 oggetto di novella non reca alcuna preclusione allo svolgimento di interventi formativi nei luoghi o ambienti di lavoro.


Articolo 9
(Salute e sicurezza per le prestazioni in modalità agile)

 

 

L’articolo 9 concerne la disciplina della sicurezza sul lavoro nell’ambito dell’istituto del lavoro agile[12], con riferimento alle prestazioni svolte in ambienti che non rientrano nella disponibilità giuridica del datore di lavoro. Il comma 1, lettera a), specifica che l’adempimento, da parte del datore di lavoro, dell’obbligo, già vigente, di consegna al lavoratore interessato e al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza[13], con cadenza almeno annuale, di un'informativa scritta nella quale siano individuati i rischi generali e quelli specifici connessi alla particolare modalità di esecuzione in oggetto del rapporto di lavoro costituisce l’adempimento di tutti gli obblighi di sicurezza applicabili alla medesima modalità, ivi compresi quelli inerenti all’utilizzo dei videoterminali. La successiva lettera b) introduce una sanzione penale per il caso di mancato adempimento del suddetto obbligo di informativa annua.

 

La novella di cui alla suddetta lettera a) specifica altresì che resta fermo, per il lavoratore, l’obbligo, già vigente, di cooperare all'attuazione delle misure di prevenzione predisposte dal datore di lavoro per fronteggiare i rischi connessi all'esecuzione della prestazione all'esterno dei locali aziendali.

Si rileva che la novella di cui alla lettera a) concerne il D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, mentre le norme già vigenti summenzionate sono poste dall’articolo 22 della L. 22 maggio 2017, n. 81. Si valuti l’opportunità, sotto il profilo redazionale, di un coordinamento e accorpamento della disciplina.

La sanzione penale introdotta dalla novella di cui alla successiva lettera b) – sanzione costituita dall’arresto da due a quattro mesi o da un’ammenda – è posta con riferimento[14] sia al datore di lavoro sia al dirigente[15]. Tuttavia, l’obbligo di informativa annua (per l’inadempimento del quale si prevede, come detto, la sanzione in esame) è posto, sia dalla formulazione già vigente di cui alla citata L. n. 81 del 2017 sia dalla novella di cui alla lettera a), esclusivamente a carico del datore di lavoro. Si valuti, al riguardo, l’esigenza di un  coordinamento tra la formulazione dell’obbligo e quella della norma sanzionatoria, anche al fine di chiarire l’ambito di quest’ultima.


Articolo 10
(Operatori del settore hotel, ristorazione e catering)

 

 

L’articolo 10 definisce gli operatori economici della distribuzione nel settore Horeca (Hotel, Ristoranti e Catering) e determina la percentuale minima dei ricavi per ottenere la qualificazione (il 70% dei ricavi degli ultimi tre anni deve derivare dalla distribuzione di prodotti alimentari e bevande in favore di imprese dei settori alberghiero, della ristorazione e del catering).

 

Nel dettaglio il comma 1 definisce l’operatore economico del settore Horeca (Hotel, Restaurant, Catering) come un soggetto che, nella catena produttiva e commerciale, acquista, trasporta, distribuisce e vende prodotti alimentari e bevande che devono essere destinati ad aziende operanti in ambiti specifici: alberghi e strutture ricettive che offrono alloggio temporaneo e servizi aggiuntivi come ristorazione e benessere; ristoranti e attività simili che somministrano alimenti e bevande; servizi di catering e banqueting che si occupano di preparazione e distribuzione di cibi e bevande; infine, bar, caffè, pasticcerie e gelaterie, che servono principalmente prodotti destinati al consumo sul posto o da asporto.

 

Il comma 2 specifica che, per ottenere la qualifica di operatore economico del settore Horeca di cui al comma 1, almeno il 70% dei ricavi generati negli ultimi tre anni fiscali, deve derivare dall’attività di distribuzione di prodotti alimentari e bevande alle imprese operanti nei settori sopra elencati.

 


Articolo 11
(Modifica dei termini per l’esercizio da parte dei consorzi di sviluppo industriale della facoltà di riacquisto delle aree cedute e degli stabilimenti relativi alle attività cessate)

 

 

L’articolo 11 introduce modifiche alla legge numero 448 del 1998, recante “Misure di finanza pubblica per la stabilizzazione e lo sviluppo”, riducendo i tempi relativi alla facoltà dei consorzi industriali di riacquistare le aree cedute e gli stabilimenti relativi alle attività cessate.

 

Nel dettaglio, il comma 1 modifica l’articolo 63 della legge 23 dicembre 1998, numero 448 prevedendo che il termine entro cui può essere esercitato il riacquisto, si riduce da cinque a tre anni e il periodo per il completamento della procedura si riduce da tre anni a 18 mesi. Per completezza si rimanda al testo a fronte sottostante.

 

Il comma 2 specifica che queste modifiche si applicano esclusivamente alle cessioni e cessazioni avvenute dopo l’entrata in vigore della presente legge.

 

Legge 23 dicembre 1998, numero 448

Misure di finanza pubblica per la stabilizzazione e lo sviluppo

Testo previgente

Modificazioni apportate dall’art. 11 del D.D.L. annuale sulle PMI

Art. 63
(Provvedimenti per favorire lo sviluppo industriale)

Art. 63
(Provvedimenti per favorire lo sviluppo industriale)

1. I consorzi di sviluppo industriale di cui all'articolo 36 della legge 5 ottobre 1991, n. 317, nonché quelli costituiti ai sensi della vigente legislazione delle regioni a statuto speciale, hanno la facoltà di riacquistare la proprietà delle aree cedute per intraprese industriali o artigianali nell'ipotesi in cui il cessionario non realizzi lo stabilimento nel termine di cinque anni dalla cessione.

1. I consorzi di sviluppo industriale di cui all'articolo 36 della legge 5 ottobre 1991, n. 317, nonché quelli costituiti ai sensi della vigente legislazione delle regioni a statuto speciale, hanno la facoltà di riacquistare la proprietà delle aree cedute per intraprese industriali o artigianali nell'ipotesi in cui il cessionario non realizzi lo stabilimento nel termine di tre anni dalla cessione.

2. Gli stessi consorzi di cui al comma 1 hanno altresì la facoltà di riacquistare unitamente alle aree cedute anche gli stabilimenti industriali o artigianali ivi realizzati nell'ipotesi in cui sia cessata l'attività industriale o artigianale da più di tre anni.

2. Gli stessi consorzi di cui al comma 1 hanno altresì la facoltà di riacquistare unitamente alle aree cedute anche gli stabilimenti industriali o artigianali ivi realizzati nell'ipotesi in cui sia cessata l'attività industriale o artigianale da 18 mesi.

(…)

(…)

 


Capo IV

Lotta alle false recensioni

 

Articolo 12
(Ambito e definizioni)

 

 

L’articolo 12 prevede che il capo IV del disegno di legge in esame disciplini la pubblicazione delle recensioni online relative a prodotti, prestazioni e servizi offerti da imprese di ristorazione e strutture turistiche situate in Italia, con l’obiettivo di tutelare i consumatori da condizionamenti derivanti da recensioni false tramite l’identificazione dell’utente che invia la recensione e la verifica di attendibilità della stessa.

 

Gli articoli del capo IV della presente proposta normativa (articoli 12-17) si pongono il fine di tutelare i consumatori da condizionamenti derivanti da recensioni false, disciplinando la pubblicazione di recensioni online relative a prodotti, prestazioni e servizi offerti da imprese della ristorazione e strutture turistiche situate in Italia.

Più specificamente, il comma 1 dell’articolo in esame prevede che il capo IV disciplini la pubblicazione delle suddette recensioni online al fine di:

§  identificare l’utente che invia la recensione;

§  verificare che la stessa sia attendibile;

§  verificare che la recensione provenga da un consumatore che abbia effettivamente utilizzato o acquistato il prodotto, la prestazione o il servizio.

Tale disciplina è estesa anche a prodotti, prestazioni e servizi offerti da strutture di tipo ricettivo e termale, nonché relative a qualunque forma di attrazione turistica offerta sul territorio italiano.

Il capo IV si applica nel rispetto dell’articolo 117, secondo comma, lettera e) della Costituzione e dei principi dell’Unione europea in materia di concorrenza.

 

L’articolo 117, secondo comma, lettera e) della Costituzione dispone che la legislazione esclusiva dello Stato in materia di:

§  moneta, tutela del risparmio e mercati finanziari;

§  tutela della concorrenza;

§  sistema valutario;

§  sistema tributario e contabile dello Stato;

§  armonizzazione dei bilanci pubblici;

§  perequazione delle risorse finanziarie.

 

Il secondo comma dell’articolo in esame dispone che ai fini del capo IV si applichino le definizioni di cui all’articolo 18 del Codice del consumo (d.lgs. n. 206/2005) e di cui all’articolo 3 del Regolamento (UE) 2022/2065 (c.d. DSA - Digital Services Act) relativo a un mercato unico dei servizi digitali.

 

Per quanto di interesse in questa sede, si riportano le definizioni più rilevanti ai fini del capo IV di cui all’articolo 18 del Codice del consumo e di cui all’articolo 3 del DSA:

 

Articolo 18 del Codice del consumo:

§   consumatore: qualsiasi persona fisica che, nelle pratiche commerciali oggetto del presente titolo, agisce per fini che non rientrano nel quadro della sua attività commerciale, industriale, artigianale o professionale;

§  professionista: qualsiasi persona fisica o giuridica che, nelle pratiche commerciali oggetto del presente titolo, agisce nel quadro della sua attività commerciale, industriale, artigianale o professionale e chiunque agisce in nome o per conto di un professionista;

§  prodotto: qualsiasi bene o servizio, compresi i beni immobili, i servizi digitali e il contenuto digitale, nonché i diritti e gli obblighi;

§  codice di condotta: un accordo o una normativa che non è imposta dalle disposizioni legislative, regolamentari o amministrative di uno Stato membro e che definisce il comportamento dei professionisti che si impegnano a rispettare tale codice in relazione a una o più pratiche commerciali o ad uno o più settori imprenditoriali specifici.

 

Articolo 3 del Digital Services Act:

§  servizio della società dell’informazione: un servizio quale definito all’articolo 1, paragrafo 1, lettera b), della direttiva (UE) 2015/1535, ossia qualsiasi servizio della società dell’informazione, vale a dire qualsiasi servizio prestato normalmente dietro retribuzione, a distanza, per via elettronica e a richiesta individuale di un destinatario di servizi;

§  servizio intermediario: uno dei seguenti servizi della società dell’informazione:

o   un servizio di semplice trasporto (cosiddetto «mere conduit»), consistente nel trasmettere, su una rete di comunicazione, informazioni fornite da un destinatario del servizio o nel fornire accesso a una rete di comunicazione;

o   un servizio di memorizzazione temporanea (cosiddetto «caching»), consistente nel trasmettere, su una rete di comunicazione, informazioni fornite dal destinatario del servizio, che comporta la memorizzazione automatica, intermedia e temporanea di tali informazioni effettuata al solo scopo di rendere più efficiente il successivo inoltro delle informazioni ad altri destinatari su loro richiesta;

o   un servizio di memorizzazione di informazioni (cosiddetto «hosting»), consistente nel memorizzare informazioni fornite da un destinatario del servizio su richiesta dello stesso;

§  piattaforma online: un servizio di memorizzazione di informazioni che, su richiesta di un destinatario del servizio, memorizza e diffonde informazioni al pubblico, tranne qualora tale attività sia una funzione minore e puramente accessoria di un altro servizio o funzionalità minore del servizio principale e, per ragioni oggettive e tecniche, non possa essere utilizzata senza tale altro servizio e a condizione che l’integrazione di tale funzione o funzionalità nell’altro servizio non sia un mezzo per eludere l’applicabilità del presente regolamento.

 

L’Analisi di impatto della regolazione (AIR), che accompagna la presentazione del presente disegno di legge, riferisce di uno studio del Centro Studi del Ministero delle imprese e del made in Italy, di ottobre 2024, dal titolo “Fake reviews, l’impatto sul settore turismo”, stando al quale l’importanza delle recensioni nel settore turistico sarebbe ormai acclarata: “esse influenzano infatti l’82% delle prenotazioni di alloggi e il 70% delle scelte nei ristoranti. In tal senso, infatti, le piattaforme più rilevanti, come TripAdvisor, Booking, Airbnb, Expedia e Yelp, hanno implementato misure per arginare il fenomeno, tra cui l’adozione di sistemi di controllo algoritmico e la partecipazione a coalizioni come la Coalition for Trusted Reviews”. Ancora dall’AIR si apprende che nel Report sulla trasparenza delle recensioni 2023, Tripadvisor dichiara che nel 2022 le recensioni sul proprio portale riconosciute come false sono state 1,3 milioni (in crescita rispetto alle 943.000 scovate nel 2020) con un’incidenza del 4,3% sul totale. Infine, sempre l’AIR dà conto di un ulteriore studio di TrustYou, società di consulenza nel settore alberghiero, che ha analizzato il comportamento di 800 utenti statunitensi di piattaforme online di recensioni, suddivisi tra autori e lettori di recensioni: The Impact of Reviews on Booking Behavior and Reputation. Sebbene – precisa l’AIR – i risultati si riferiscano a un contesto extraeuropeo, emergerebbero spunti di interesse generale. “I ricercatori si sono interrogati sui criteri che conferiscono affidabilità alle recensioni in termini di credibilità e genuinità delle informazioni. Per il 60% degli autori e il 65% dei lettori, le recensioni che includono sia aspetti positivi che negativi sono considerate le più affidabili. La presenza di immagini migliora l’affidabilità per il 45% degli autori e il 41% dei lettori. Inoltre, recensioni che combinano un punteggio numerico con un testo descrittivo o che narrano esperienze personali risultano altamente affidabili. Al contrario, recensioni brevi o esclusivamente negative sono percepite come significativamente meno affidabili”.

 

 

Si fa presente che il capo IV (articoli da 12 a 17) in materia di lotta alle false recensioni del presente disegno di legge è stato oggetto di due richieste di informazioni supplementari da parte della Commissione europea (Comunicazioni TRIS/(2025) 0293 e TRIS/(2025) 0403), nell’ambito della procedura di notifica istituita dalla direttiva (UE) 2015/1535, la quale consente alla Commissione e agli Stati membri dell’UE di esaminare le regolamentazioni tecniche che gli Stati membri stessi intendono introdurre per i prodotti (industriali, agricoli e della pesca) e per i servizi della società dell’informazione prima che siano adottate.

In seguito ad interlocuzione con le autorità italiane, la Commissione ha formulato un parere circostanziato con osservazioni (Comunicazione della Commissione - TRIS/(2025) 1087), il quale determina la proroga dei termini del periodo di astensione obbligatoria dall’adozione del provvedimento al 20 maggio 2025.

La Commissione rileva che gli articoli da 12 a 17 del capo IV del disegno di legge in esame rientrano nell’ambito di applicazione del già citato regolamento (UE) 2022/2065 (DSA - Digital Services Act) perseguendo lo stesso obiettivo del regolamento sui servizi digitali per quanto riguarda la protezione dei consumatori e stabilendo obblighi per la prestazione di servizi intermediari online. Per quanto riguarda gli obblighi applicabili alle autorità nazionali competenti, anch’essi rientrano nell’ambito di applicazione del regolamento sui servizi digitali, poiché l’articolo 15 del presente disegno di legge (alla cui scheda di lettura si rimanda) incarica l’AGCOM di agevolare l’adozione di codici di condotta da parte degli intermediari e dei soggetti attivi nella diffusione di recensioni online e l’AGCM di emanare linee guida non vincolanti per la promozione di tali codici di condotta.

La Commissione nel suo parere rileva altresì che il regolamento europeo sui servizi digitali non consente l’adozione di misure nazionali di esecuzione, poiché, ai sensi dell’articolo 288 TFUE, i regolamenti sono direttamente applicabili in tutti gli Stati membri.

In particolare, per quanto riguarda gli obblighi applicabili ai prestatori di servizi intermediari, secondo quanto previsto dagli articoli 13 e 14 del presente disegno di legge (alle cui schede di lettura si rimanda), questi ultimi sarebbero gravati da obblighi aggiuntivi diversi da quelli previsti dal regolamento sui servizi digitali, come la cancellazione delle recensioni non conformi ai requisiti previsti. Non è inoltre chiaro il modo in cui i prestatori di servizi intermediari debbano conformarsi ai requisiti relativi all’identificazione dell’utente che invia la recensione e alla verifica dell’attendibilità e dell’autenticità delle recensioni. La Commissione ritiene dunque di non poter escludere che tali disposizioni non comportino per i prestatori di servizi intermediari obblighi diversi da quelli previsti dal regolamento sui servizi digitali, che implicherebbero lo svolgimento di attività generali di accertamento dei fatti e di monitoraggio dei contenuti disponibili sui loro servizi, in violazione dell’articolo 8 del regolamento sui servizi digitali.

Per quanto riguarda gli obblighi applicabili alle autorità nazionali competenti, la Commissione ricorda che il DSA, all’articolo 45, assegna alla stessa Commissione e al comitato europeo per i servizi digitali il compito di promuovere l’elaborazione di codici di condotta volontari a livello unionale. Tali codici dovrebbero contribuire a un’applicazione uniforme del regolamento e nella misura in cui il presente disegno di legge prevede l’adozione di tali codici di condotta da parte delle autorità italiane in modo autonomo, tale previsione risulta in contrasto con la logica di armonizzazione piena del DSA.

In secondo luogo, la Commissione evidenzia che il regolamento, all’articolo 35, paragrafo 3, attribuisce esclusivamente alla Commissione stessa, in cooperazione con i coordinatori dei servizi digitali, la competenza a fornire orientamenti vincolanti sulle misure che le grandi piattaforme digitali devono adottare per ridurre i rischi sistemici, come la diffusione di contenuti illegali. Anche in questo caso, le disposizioni dell’articolo 15, che prevedono obblighi simili in capo alle autorità nazionali, si sovrappongono a tali competenze esclusive.

Infine, la Commissione osserva che, qualora i codici di condotta e le linee guida previsti ai sensi dell’articolo 15 si applichino anche a prestatori di servizi intermediari che non hanno il loro stabilimento principale in Italia, ciò determinerebbe un’interferenza con gli obblighi e le competenze previste dal DSA per i coordinatori dei servizi digitali. In maniera analoga, nel caso specifico delle piattaforme online di dimensioni molto grandi e dei grandi motori di ricerca, nella misura in cui l’articolo 15 riguarda aspetti disciplinati dal DSA, esso finirebbe per invadere le competenze assegnate dagli articoli 35, paragrafo 3, e 45 del regolamento, rispettivamente riguardanti l’emanazione di orientamenti da parte della Commissione sulle misure di attenuazione dei rischi sistemici e la già citata elaborazione dei codici di condotta a livello unionale.

Sulla base di queste considerazioni, la Commissione conclude che le disposizioni del capo IV del presente disegno di legge potrebbero non essere compatibili con il regime giuridico introdotto dal DSA, poiché ne compromettono l’obiettivo di piena armonizzazione.

La Commissione ha dunque formulato due osservazioni:

-         In primo luogo, le autorità italiane sono invitate a chiarire gli obblighi per i servizi della società dell’informazione e il campo di applicazione territoriale del disegno di legge, che dovrebbe essere in linea con l’articolo 3, paragrafo 4[16], della direttiva sul commercio elettronico (direttiva 2000/31/CE). Tale articolo stabilisce le circostanze e le procedure in base alle quali lo Stato membro in cui i servizi della società dell’informazione sono forniti da un prestatore stabilito in un altro Stato membro, può derogare, se necessario, al principio del controllo da parte dello Stato d’origine. A tal proposito, la Commissione richiama la recente giurisprudenza[17] della CGUE, secondo la quale i requisiti previsti per i prestatori stabiliti in altri Stati membri non devono essere applicabili a una categoria di determinati servizi della società dell’informazione descritta in termini generali e applicabili indistintamente a qualsiasi prestatore di tale categoria [corsivo della Commissione]. Al contrario, qualsiasi applicazione ai prestatori di servizi transfrontalieri stabiliti in altri Stati membri deve indicare con precisione i prestatori di servizi interessati, oltre che lo Stato membro di stabilimento, e soddisfare i requisiti di cui all’articolo 3, paragrafo 4, della direttiva sul commercio elettronico per poter beneficiare dell’esenzione prevista da tale disposizione.

-         In secondo luogo, la Commissione osserva che l’articolo 12 fa riferimento all’obiettivo della protezione dei consumatori ed evidenzia che la direttiva 2005/29/CE relativa alle pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori nel mercato interno (c.d. direttiva sulle pratiche commerciali sleali) prevede la piena armonizzazione delle norme degli Stati membri in materia di pratiche commerciali sleali, avendo come obiettivo la tutela degli interessi economici dei consumatori. Gli Stati membri non possono adottare norme più rigorose di quelle previste dalla direttiva, anche al fine di conseguire un livello più elevato di protezione dei consumatori, a meno che ciò non sia consentito dalla direttiva stessa.

Nella sua seconda richiesta di informazioni (TRIS/(2025) 0403), la Commissione ha chiesto chiarimenti riguardo alla coerenza del disegno di legge con la direttiva sulle pratiche commerciali sleali, con particolare riguardo per i destinatari degli obblighi previsti nel disegno di legge, intendendo chiarire se quest’ultimo imponga obblighi aggiuntivi ai professionisti, come le piattaforme di recensioni, che raccolgono e mettono a disposizione le recensioni riguardanti le imprese ricettive italiane.

La Commissione, pur prendendo atto delle spiegazioni fornite dalle autorità italiane, ricorda tuttavia che la conformità alla direttiva sulle pratiche commerciali sleali diverrebbe pertinente qualora il progetto di legge comportasse anche obblighi per le piattaforme di recensione, ad esempio imponendo di cancellare le recensioni presentate al di fuori del termine previsto di 15 giorni, o qualora l’operatore commerciale non sia in grado di identificare l’autore della recensione.

La Commissione ha inoltre richiesto chiarimenti in merito all’obbligo d’identificazione degli autori delle recensioni in considerazione del regolamento (UE) 2016/679 (cd. GDPR), ritenendo che non sia chiaro se la misura proposta sia proporzionata e necessaria allo scopo, ossia verificare che il recensore abbia effettivamente utilizzato o acquistato il servizio ricettivo in questione.

Infine, viene data evidenza della promozione da parte della Commissione di un’iniziativa non legislativa su un «Codice di condotta per le recensioni e le valutazioni online per gli alloggi turistici» basato sul coinvolgimento delle parti interessate delle piattaforme online, dei fornitori di alloggi e dei rappresentanti per la protezione dei consumatori.

 

Nel citato parere circostanziato (Comunicazione della Commissione - TRIS/(2025) 1087) la Commissione europea ricorda che “Se le autorità italiane non rispettano gli obblighi di cui alla direttiva (UE) 2015/1535 o se il testo del progetto notificato in esame è adottato senza tener conto delle obiezioni sollevate o è altrimenti contrario al diritto dell’Unione, la Commissione è pronta ad avviare un procedimento nei confronti dell’Italia a norma dell’articolo 258 TFUE”.


Articolo 13
(Requisiti delle recensioni e diritti delle strutture recensite)

 

 

L’articolo 13 dispone che il consumatore possa pubblicare una recensione motivata entro 15 giorni dall’utilizzo di un prodotto o servizio, previa verifica della propria identità e dell’effettivo utilizzo.

La recensione deve essere sufficientemente dettagliata e coerente con il prodotto utilizzato o con le caratteristiche della struttura. Il rappresentante legale della struttura recensita o un delegato può replicare e ottenere la cancellazione di recensioni qualora l’autore non abbia usufruito del servizio, o se le stesse risultino essere ingannevoli, non veritiere o eccessive. L’imprenditore può altresì richiedere la rimozione di recensioni dopo due anni dalla data di fruizione del servizio, se ha adottato misure atte a superare le problematiche evidenziate.

 

Più specificamente, il comma 1 dispone che il consumatore possa rilasciare la propria recensione motivata non oltre quindici giorni dalla data di utilizzo del prodotto o di fruizione del servizio o della prestazione, previa verifica della propria identità e dell’effettivo utilizzo del suddetto prodotto o servizio. La recensione deve inoltre essere sufficientemente dettagliata, essere rispondente alla tipologia di prodotto utilizzato o alle caratteristiche offerte della struttura.

 

Il comma 2 prevede che il legale rappresentante della struttura o un suo delegato abbia diritto di replica e di ottenere la cancellazione di recensioni che lo riguardino, se l’autore non ha usufruito del bene o del servizio recensito, o tali recensioni siano ingannevoli, non veritiere o eccessive. L’imprenditore ha altresì il diritto di ottenere la cancellazione delle recensioni che lo riguardino dopo due anni dalla data di fruizione del servizio o della prestazione da parte dell’autore, qualora abbia adottato misure idonee a modificare o superare le motivazioni che avevano dato luogo alla recensione.

 

In proposito si richiama quanto rilevato dalla Commissione europea nel suo parere circostanziato con osservazioni (Comunicazione della Commissione - TRIS/(2025) 1087) (analizzato supra a commento dell’articolo 12), lì dove precisa che, per quanto riguarda gli obblighi applicabili ai prestatori di servizi intermediari, secondo quanto previsto dall’articolo 13 del disegno di legge qui in esame, questi ultimi sarebbero gravati da obblighi aggiuntivi diversi da quelli previsti dal regolamento europeo sui servizi digitali (DSA), come la cancellazione delle recensioni non conformi ai requisiti previsti. La Commissione inoltre rileva che non è chiaro il modo in cui i prestatori di servizi intermediari debbano conformarsi ai requisiti relativi all’identificazione dell’utente che invia la recensione e alla verifica dell’attendibilità e dell’autenticità delle recensioni.

La Commissione ritiene dunque di non poter escludere che tali disposizioni non comportino per i prestatori di servizi intermediari obblighi diversi da quelli previsti dal regolamento europeo sui servizi digitali, che implicherebbero lo svolgimento di attività generali di accertamento dei fatti e di monitoraggio dei contenuti disponibili sui loro servizi, in violazione dell’articolo 8 del DSA.

 

 


Articolo 14
(Divieti)

 

 

L’articolo 14 vieta l’acquisto e la cessione di recensioni, apprezzamenti o interazioni, anche tra imprenditori e intermediari, indipendentemente dalla loro diffusione. Inoltre, proibisce di attribuire recensioni a prodotti o servizi diversi da quelli recensiti e di influenzare il contenuto delle recensioni tramite incentivi.

In caso di violazioni del divieto, l’AGCM è incaricata di esercitare i suoi poteri investigativi e sanzionatori, fermi restando i profili di responsabilità penale.

 

Il comma 1 dell’articolo in esame dispone che, ferma restando la disciplina prevista dal Codice del consumo (d.lgs. n. 206/2005), sono vietati l’acquisto e la cessione, anche tra imprenditori e intermediari, di recensioni, apprezzamenti o interazioni, a prescindere dalla loro successiva diffusione. È inoltre vietato attribuire a un prodotto o servizio recensioni riferite a prodotti o servizi diversi, così come incentivare, promuovere o influenzare il contenuto delle recensioni attraverso l’erogazione di incentivi.

 

Ai sensi del comma 2, in caso di violazione del divieto previsto dal comma 1 e ferma la responsabilità penale, l’AGCM esercita i poteri investigativi e sanzionatori disciplinati dall’articolo 27 del Codice del consumo.

La relazione illustrativa precisa che la fattispecie delineata dalla disposizione in commento “è tipica delle recensioni online ed è molto più ampia rispetto a quella prevista dalla lettera bb-ter) dell’articolo 23, comma 1 del Codice di consumo, ricomprendendovi l’obbligo delle piattaforme di identificare il consumatore, rimuovere le recensioni abusive e di adottare un codice di condotta”.

 

In proposito, si ricorda che l’articolo 23, comma 1, lettere bb-ter) e bb-quater), del Codice del consumo (d.lgs. n. 206/2005), come modificato dal d.lgs. n. 26/2023, dispone che siano considerate in ogni caso come pratiche commerciali ingannevoli:

bb-ter) indicare che le recensioni di un prodotto sono inviate da consumatori che hanno effettivamente utilizzato o acquistato il prodotto senza adottare misure ragionevoli e proporzionate per verificare che le recensioni provengano da tali consumatori;

bb-quater) inviare, o incaricare un’altra persona giuridica o fisica di inviare, recensioni di consumatori false o falsi apprezzamenti o di fornire false informazioni in merito a recensioni di consumatori o ad apprezzamenti sui media sociali, al fine di promuovere prodotti;

L’articolo 27 del Codice del consumo disciplina i poteri investigativi e sanzionatori dell’AGCM, disponendo che l’Autorità si avvalga di poteri investigativi ed esecutivi previsti dal regolamento (UE) 2017/2394 al fine di inibire la continuazione delle pratiche commerciali scorrette ed eliminarne gli effetti. Con il provvedimento che vieta la pratica commerciale scorretta, l’Autorità dispone l’applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria da 5 mila a 10 milioni di euro, tenuto conto della gravità e della durata della violazione, nonché delle condizioni economiche del professionista.

L’articolo 9 del regolamento (UE) 2017/2394 disciplina i poteri minimi delle Autorità competenti, disponendo che abbiano almeno i seguenti poteri di indagine:

§  il potere di accesso ai documenti, ai dati o alle informazioni pertinenti relativi a un’infrazione prevista dal regolamento;

§  il potere di esigere che qualsiasi autorità pubblica, organismo o agenzia del loro Stato membro o qualsiasi persona fisica o giuridica fornisca informazioni, dati o documenti pertinenti, al fine di stabilire se si è verificata o si sta verificando un’infrazione prevista dal regolamento;

§  il potere di effettuare le necessarie ispezioni in loco, anche accedendo a locali, terreni o mezzi di trasporto utilizzati dall’operatore interessato dall’indagine, nonché il potere di sequestrare le informazioni, i dati o i documenti per il periodo necessario e nella misura adeguata all’espletamento dell’ispezione e, infine, il potere di chiedere a qualsiasi rappresentante o membro del personale dell’operatore interessato dall’indagine di fornire spiegazioni dei fatti, informazioni, dati o documenti relativi all’oggetto dell’indagine e registrarne le risposte;

§  il potere di acquistare beni o servizi al fine di individuare infrazioni del regolamento e raccogliere prove.

Le Autorità hanno inoltre i seguenti poteri di esecuzione:

§  il potere di adottare misure provvisorie volte a evitare il rischio di danno grave degli interessi collettivi dei consumatori;

§  il potere di cercare di ottenere o di accettare impegni da parte dell’operatore responsabile dell’infrazione a porre fine all’infrazione stessa;

§  il potere di ricevere impegni riparatori aggiuntivi da parte dell’operatore, su iniziativa di quest’ultimo, a beneficio dei consumatori interessati dalla presunta infrazione o, se del caso, cercare di ottenere che l’operatore si impegni a offrire ai consumatori interessati da tale infrazione rimedi adeguati;

§  ove applicabile, il potere di informare, con mezzi appropriati, i consumatori che dichiarano di aver subito un danno a seguito di un’infrazione su come chiedere una compensazione conformemente al diritto nazionale;

§  il potere di obbligare per iscritto l’operatore a cessare le infrazioni previste dal regolamento;

§  il potere di far cessare o vietare le infrazioni previste dal regolamento;

§  laddove non siano disponibili altri mezzi efficaci per far cessare o vietare l’infrazione e al fine di evitare il rischio di danno grave agli interessi collettivi dei consumatori:

o   il potere di rimuovere i contenuti o limitare l’accesso all’interfaccia online o imporre la visualizzazione esplicita di un’avvertenza rivolta ai consumatori quando accedono all’interfaccia online;

o   il potere di imporre ai prestatori di servizi di hosting di rimuovere, disabilitare o limitare l’accesso a un’interfaccia online; o

o   ove opportuno, il potere di imporre ai registri o alle autorità di registrazione del dominio di rimuovere un nome di dominio completo e consentire all’autorità competente interessata di registrarlo;

anche chiedendo a terzi o ad altre autorità pubbliche di attuare tali misure;

§  il potere di irrogare sanzioni per infrazioni del regolamento e per il mancato rispetto di decisioni, ordinanze, misure provvisorie, impegni dell’operatore o altre misure adottate ai sensi del presente regolamento.

Le Autorità hanno inoltre il potere di avviare indagini o procedimenti di propria iniziativa per far cessare o vietare le infrazioni e possono pubblicare le decisioni definitive, gli impegni assunti dagli operatori o le ordinanze adottate, compresa la pubblicazione dell’identità dell’operatore responsabile di un’infrazione.

Circa l’articolo 27 del Codice del consumo, si ricorda che tale norma è stata recentemente modificata dall’articolo 1 del decreto-legge n. 104/2023 (cd. “decreto asset”). In particolare, la legge di conversione legge (l. n. 36/2023) del citato decreto-legge ha introdotto ex novo un’intera sezione dedicata alle indagini conoscitive di cui all’articolo 12, comma 2, della legge n. 287/1990. Tale strumento consente all’Autorità, d’ufficio o su sollecitazione ministeriale, di avviare “indagini conoscitive di natura generale nei settori economici nei quali l’evoluzione degli scambi, il comportamento dei prezzi, o altre circostanze facciano presumere che la concorrenza sia impedita, ristretta o falsata”. La novella del 2023 aggiunge che se, in esito a un’indagine conoscitiva, l’Autorità “riscontra problemi concorrenziali che ostacolano o distorcono il corretto funzionamento del mercato con conseguente pregiudizio per i consumatori”, essa può “imporre alle imprese interessate, nel rispetto dei princìpi dell’ordinamento dell’Unione europea e previa consultazione del mercato, ogni misura strutturale o comportamentale necessaria e proporzionata, al fine di eliminare le distorsioni della concorrenza” (così l’articolo 1, comma 5, del decreto legge n. 104/2023). La norma indica poi nel dettaglio una serie di “elementi”» che l’Autorità “può considerare” quando concentri l’indagine “nei mercati del trasporto aereo di passeggeri”. Si aggiunge poi che nell’esercizio dei nuovi compiti l’AGCM dispone dei medesimi poteri istruttori di cui gode nelle indagini antitrust. Inoltre, le imprese interessate hanno la facoltà di presentare impegni, che l’Antitrust può rendere vincolanti, previo market test. L’eventuale inosservanza delle misure rimediali imposte a valle dell’indagine conoscitiva è punibile con sanzioni e penalità di mora (così, l’articolo 1, comma 6, del citato decreto-legge).

A novembre 2023 l’Autorità si è rivolta al Consiglio di Stato per ottenere dei chiarimenti in ordine al campo di applicazione dell’articolo 1, commi 5 e 6, del decreto-legge n. 104/2023, nella versione riscritta in sede di conversione. Oggetto del quesito è stata la latitudine del nuovo potere di avviare indagini conoscitive e di imporre, ricorrendone i presupposti, rimedi, sia comportamentali che strutturali, con il supporto di appositi poteri istruttori, assistiti da sanzioni accessorie. Pur apparendo la norma circoscritta al settore del trasporto aereo di passeggeri, secondo l’Autorità un simile esito sarebbe irragionevole, sia per disparità di trattamento con altri settori economici, sia per esigenze di sistema. Il Consiglio di Stato, sez. I, con parere reso il 20 dicembre 2023 (01388/2023) ha avallato il ragionamento dell’AGCM, ritenendo che l’articolo 1, commi 5 e 6 del decreto-legge n. 104/2023 vada interpretato “nel senso che la sancita attribuzione all’Autorità garante della concorrenza e del mercato del potere di formulare richieste di informazioni assistite da sanzione, di svolgere accertamenti ispettivi e di imporre misure strutturali o comportamentali, volte a ristorare condizioni di concorrenza sui mercati interessati da indagini conoscitive ex articolo 12, comma 2 della legge 287/1990, abbia carattere ed ambito di applicazione generale, senza limitazione settoriale e/o merceologica”.

 

Anche con riferimento alla previsione qui in commento, si richiama quanto rilevato dalla Commissione europea nel suo parere circostanziato con osservazioni (Comunicazione della Commissione - TRIS/(2025) 1087) relativo al disegno di legge in esame (cfr. supra scheda relativa all’articolo 12), lì dove la Commissione ha ritenuto che disposizioni come quelle di cui all’articolo 14 possano comportare per i prestatori di servizi intermediari obblighi diversi da quelli previsti dal regolamento europeo sui servizi digitali, che implicherebbero lo svolgimento di attività generali di accertamento dei fatti e di monitoraggio dei contenuti disponibili sui loro servizi, in violazione dell’articolo 8 dello stesso regolamento sui servizi digitali.

 

 


Articolo 15
(Codici di condotta)

 

 

L’articolo 15 detta disposizioni riguardo l’adozione di codici di condotta da parte degli intermediari e dei soggetti attivi nella diffusione di recensioni online attribuendo, altresì, all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (AGCOM) e all’ Autorità garante della concorrenza e del mercato (AGCM) specifici incarichi sul punto.

In particolare, il comma 1 ed il comma 2 disciplinano il ruolo dell’AGCOM, prevedendo che l’Autorità disciplini l’adozione dei codici e che applichi determinate sanzioni in caso di inottemperanza ad esso.

Il comma 3 dispone quale debba essere il contenuto e la finalità delle misure previste all’interno dei codici di condotta.

Da ultimo, il comma 4 attribuisce all’AGCM il compito di emanare linee guida che orientino le imprese e le aiutino ad assicurare la genuinità delle recensioni, ed incarica la medesima Autorità di assicurarsi che le prescrizioni sul punto vengano rispettate, stabilendo le procedure di monitoraggio e di valutazione periodica di conformità.

 

L’articolo 15 introduce disposizioni relative al contenuto dei codici di condotta adottati dagli intermediari e dai soggetti attivi nella diffusione di recensioni online, ed attribuisce il ruolo di coordinamento e di concreta attuazione delle prescrizioni all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (ACGOM) ed all’Autorità garante della concorrenza e del mercato (AGCM).

In particolare, al comma 1 si prevede che l’AGCOM abbia il compito di disciplinare, tramite regolamento, l’adozione di codici di condotta da parte degli intermediari e dei soggetti attivi nella diffusione delle recensioni online. Inoltre, la medesima Autorità deve rendere noto all’AGCM, al Ministero delle imprese e del made in Italy e al Ministero del turismo quali codici di condotta sono stati adottati.

Tale compito è affidato all’AGCOM in quanto coordinatore nazionale dei servizi digitali e nel rispetto del regolamento (UE) n. 2022/2065 (cd. DSA - Digital Services Act), relativo al mercato unico dei servizi digitali.

Il comma 2 dispone l’applicazione dell’articolo 1, comma 30, della legge n. 249/1997, qualora si verifichi un’inottemperanza alla diffida dell’AGCOM ad adempiere alle disposizioni del regolamento di cui al comma 1.

Nello specifico, il comma 30 dell’articolo 1 della legge istitutiva dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni prevede che chi non provveda, nei termini e con le modalità prescritti, alla comunicazione dei documenti, dei dati e delle notizie richiesti dall’Autorità venga punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da 516 euro a 103.291 euro. La sanzione è irrogata dalla stessa Autorità.

Il comma 3 dell’articolo 15 disciplina quale debba essere il contenuto delle misure individuate dai codici di condotta. Il fine di tali disposizioni, si precisa, è quello di ridurre in maniera efficace, anche con mezzi tecnologicamente adeguati, la distorsione dell’informazione che viene generata, nei consumatori, da recensioni false e “non genuine”.

Le misure contenute nei codici di condotta, dunque, devono essere idonee a:

-         dimostrare l’identità del consumatore ai fini dell’invio della recensione (lett. a));

-         garantire che le recensioni pubblicate provengano da consumatori che hanno usufruito del servizio o hanno utilizzato il prodotto (lett. b));

-         qualora sia prevista la possibilità di rilasciare una recensione, assicurare il rispetto di quanto previsto dall’articolo 13 del medesimo disegno di legge, relativo ai requisiti propri delle recensioni (lett. c));

-         assicurare trasparenza ed imparzialità nella gestione delle recensioni (lett. d));

-         assicurare che le recensioni siano sufficientemente dettagliate in modo da consentire il contraddittorio e la replica degli interessati (lett. e));

-         garantire la correttezza e la completezza delle informazioni, impedendo, altresì, l’associazione di recensioni con contenuti promozionali non dichiarati (lett. f));

-         disciplinare la rimozione delle recensioni, prevenendone la rimozione ingiustificata (lett. g));

-         consentire o agevolare l’individuazione delle attività fraudolente (lett. h));

-         prevenire l’utilizzo di punteggi basati su criteri poco chiari o non esplicitati, o che, comunque, possano ingannare i consumatori (lett. i)).

 

Infine il comma 4, al primo periodo, attribuisce all’AGCM il compito di adottare, con provvedimento, le linee guida idonee ad orientare le imprese nell’adozione degli accorgimenti necessari per assicurare la genuinità delle recensioni. Tali linee guida sono adottate d’intesa con l’AGCOM, l’Autorità garante per la protezione dei dati personali, il Ministero delle imprese e del made in Italy e il Ministero del turismo.

Infine, ai sensi dell’ultimo periodo del comma 4, l’AGCM stabilisce altresì quale sia la procedura di vigilanza, in riferimento al monitoraggio ed alla valutazione periodica di conformità alle predette linee guida, secondo i principi di trasparenza, non discriminazione e proporzionalità.

 

Anche con riguardo alla previsione in esame si rammenta che l’articolo 15 è stato oggetto, come tutto il capo IV del disegno di legge in esame, di due richieste di informazioni supplementari (Comunicazioni TRIS/(2025) 0293 e TRIS/(2025) 0403), da parte della Commissione europea, nell’ambito della procedura di notifica 2015/1535 e che, in seguito ad interlocuzione con le autorità italiane, la Commissione ha formulato un parere circostanziato con osservazioni (Comunicazione della Commissione - TRIS/(2025) 1087). In particolare la Commissione europea sottolinea che, in base al regolamento sui servizi digitali (DSA), alcune competenze sono attribuite esclusivamente a livello UE, mentre il disegno di legge italiano rischia di sovrapporsi a tali disposizioni:

-         codici di condotta (art. 45 DSA): la Commissione e il Comitato europeo per i servizi digitali sono gli unici responsabili della promozione di codici di condotta volontari a livello UE, per garantire un’applicazione uniforme del regolamento.

-         linee guida vincolanti per le grandi piattaforme (art. 35, par. 3 DSA): solo la Commissione, in collaborazione con i coordinatori nazionali, può emanare orientamenti vincolanti sulle misure per mitigare rischi sistemici (es. contenuti illegali).

Secondo la Commissione europea, se i codici e le linee guida italiane si applicassero anche a intermediari con sede fuori dall’Italia, si creerebbe una sovrapposizione con le competenze dei coordinatori UE.

Per una disamina del contenuto del parere della Commissione, si rimanda, supra, alla scheda di lettura dell’articolo 12 del disegno di legge in esame.

 


Articolo 16
(Disposizioni transitorie)

 

 

L’articolo 16 detta le disposizioni transitorie relative agli articoli del Capo in esame.

 

Nello specifico, l’articolo 16, composto da un unico comma, prevede che le disposizioni di cui agli articoli del Capo IV recante “Lotta alle false recensioni” non si applichino alle recensioni già pubblicate alla data di entrata in vigore della legge in esame.

 

 


Articolo 17
(Clausola di invarianza finanziaria)

 

 

L’articolo 17, composto da due commi, reca la clausola di invarianza finanziaria riferita all’attuazione del Capo IV.

 

L’articolo 17 prevede, al comma 1, che dalla attuazione del Capo IV del disegno di legge in esame non derivino nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

Il comma 2 dispone che l’Autorità garante della concorrenza e del mercato e l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni provvedano alla concreta attuazione delle disposizioni previste con le risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente.

 

 


Capo V

Testo unico della disciplina in materia di startup innovative

 

Articolo 18
(Delega al Governo sul riordino della disciplina in materia di Start up e PMI innovative)

 

 

L’articolo 18 delega il Governo ad adottare un decreto legislativo per il riordino e il riassetto delle disposizioni vigenti in materia di start-up innovative, di spin-off, di PMI innovative e di incubatori e acceleratori di start-up, secondo principi e criteri direttivi ivi dettagliati e mediante la redazione di un testo unico (comma 1).

L’articolo disciplina la procedura di adozione del decreto legislativo delegato (comma 2), prevedendo la possibilità di uno o più decreti legislativi correttivi (comma 3).

L’articolo reca, infine, la clausola di invarianza finanziaria (comma 4).

 

L’articolo 18, al comma 1, delega il Governo ad adottare, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore del provvedimento in esame, un decreto legislativo per il riordino e il riassetto delle disposizioni vigenti in materia di start-up innovative, di spin-off, di PMI innovative e di incubatori e acceleratori di start-up, nonché relative a tutte le attività di filiera concernenti servizi di formazione e alta formazione, ricerca, sostegno ed investimento rivolte ai predetti soggetti, mediante la redazione di un testo unico, nel rispetto dei seguenti principi e criteri direttivi:

a)             unificazione e razionalizzazione della disciplina;

b)            coordinamento formale e sostanziale delle disposizioni vigenti, apportando le modifiche opportune per garantire o migliorare la coerenza giuridica, logica, funzionale e sistematica della normativa;

c)             riordino delle disposizioni legislative vigenti mediante abrogazione espressa delle norme che hanno esaurito la loro funzione o sono prive di effettivo contenuto normativo o sono comunque obsolete, fatta salva in ogni caso l’applicazione dell’articolo 15 delle disposizioni sulla legge in generale premesse al codice civile;

d)            semplificazione, riordino e riassetto della normativa vigente, al fine di favorire, anche avvalendosi delle tecnologie più avanzate, l’efficacia dell’azione amministrativa, la certezza del diritto e la tutela dei diritti individuali, della libertà di impresa e della concorrenza attraverso la riduzione di oneri e di adempimenti non necessari, nel rispetto del principio di proporzionalità e gradualità;

e)             riordino e riassetto della normativa vigente, in materia di collaborazione tra le istituzioni universitarie, le istituzioni dell’alta formazione artistica, musicale e coreutica, gli enti pubblici di ricerca e le imprese per la creazione di start-up innovative e spin-off per la valorizzazione delle attività di ricerca, dei modelli innovativi e del trasferimento tecnologico.

 

Ai sensi del comma 2, il decreto legislativo è adottato su proposta del Ministro delle imprese e del made in Italy e del Ministro per le riforme istituzionali e la semplificazione normativa, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze e del Ministro dell’università e della ricerca, previo parere della Conferenza unificata.

È previsto che sugli schemi di decreto legislativo sia acquisito il parere del Consiglio di Stato, reso nel termine di trenta giorni dalla data di trasmissione.

 

Si ricorda che l’articolo 17, comma 25, della L. n. 127/1997, richiamato nel testo, dispone l’obbligo di richiedere il parere del Consiglio di Stato:

a)      per l’emanazione dei regolamenti governativi e ministeriali ai sensi dell’art. 17 L. n. 400/1988, nonché per l’emanazione di testi unici;

b)      per la decisione dei ricorsi straordinari al Presidente della Repubblica;

c)      sugli schemi generali di contratti-tipo, accordi e convenzioni predisposti da uno o più ministri

 

Gli schemi dei decreti legislativi sono trasmessi alle Camere per l’espressione del parere delle Commissioni parlamentari competenti per materia e per i profili finanziari, da rendere entro quarantacinque giorni dalla data di trasmissione, decorsi i quali i decreti legislativi possono comunque essere adottati. Se il termine previsto per l’espressione del parere delle Commissioni parlamentari scade nei trenta giorni che precedono il termine di scadenza per l’esercizio della delega legislativa o successivamente, lo stesso termine è prorogato di sessanta giorni.

 

Ai sensi del comma 3, entro ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo, nel rispetto dei principi e criteri direttivi della delega legislativa qui in esame, il Governo può adottare, con la stessa procedura suindicata al comma 2, uno o più decreti legislativi modificativi, recanti disposizioni integrative o correttive.

 

Il comma 4 dispone che dall’attuazione dell’articolo in esame non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

 

Per un approfondimento sulla più recente legislazione in materia di start-up – con particolare riferimento all’evoluzione delle nozioni di start-up innovativa, incubatore certificato e PMI innovativa, nonché con riguardo al regime di detrazioni (deduzioni) fiscali per investimenti in start-up e PMI innovative – si rinvia all’apposito tema curato dal Servizio studi della Camera dei Deputati

 

 


Articolo 19
(Modifiche al Garante per le micro, piccole e medie imprese)

 

 

L’articolo 19 modifica la disciplina del Garante per le micro, piccole e medie imprese dettata dal cd. Statuto delle imprese, aggiornando l’elenco delle comunicazioni della Commissione europea di cui il Garante deve monitorare l’attuazione, aggiungendo nuovo approccio alla consultazione di esperti e portatori di interesse (denominato “Reality Checks”) e prescrivendo che a questo si ricorra con regolarità nell’ambito del tavolo consultazione permanente con le associazioni di categoria maggiormente rappresentative.

 

L’articolo 19, composto di un unico comma, apporta modifiche e integrazioni all’articolo 17 della L. n.180/2011 (cd. Statuto delle imprese), il quale istituisce e disciplina le attribuzioni del Garante per le micro, piccole e medie imprese, tra le cui funzioni rientra l’analisi dell’impatto della regolamentazione sulle MPMI, l’elaborazione di proposte finalizzate a favorirne lo sviluppo, l’attività di segnalazione al Parlamento, al Presidente del Consiglio dei Ministri, ai Ministri e agli enti territoriali interessati, l’obbligo di presentazione di una relazione annuale sull’attività svolta, da presentare, per tramite del Presidente del Consiglio dei Ministri, al Parlamento (cfr. infra, box ricostruttivo).

L’ultima relazione sull’attività svolta dal Garante è stata presentata al Parlamento nella XVII legislatura, nell’anno 2014 (Doc. CCII). Sebbene ulteriori Relazioni annuali siano state adottate dal Garante, esse non risultano come pervenute al Parlamento (l’ultima delle relazioni rinvenibili risale all’anno 2017).

Segnatamente, l’articolo 19 qui in esame, al comma 1, lett. a), n. 1 e n. 2, modifica e integra il comma 1 dell’articolo 17 del cd. Statuto delle imprese, relativo alle funzioni del Garante per le MPMI.

Il n. 1 interviene sulla lettera a) del comma 1 dell’articolo 17, che attualmente attribuisce al Garante il compito di monitorare l’attuazione nell’ordinamento italiano dello ‘‘Small Business Act’’ per l’Europa di cui alla comunicazione della Commissione europea COM (2008) 394 def., e alla sua revisione intervenuta nel 2011[18].

Il n. 1 della lett. a) qui in esame riscrive la predetta previsione, statuendo che è compito del Garante monitorare l’attuazione nell’ordinamento italiano:

§  della comunicazione della Commissione europea «Una corsia preferenziale per la piccola impresa - Alla ricerca di un nuovo quadro fondamentale per la Piccola Impresa (uno ‘‘Small Business Act’’ per l’Europa)» COM (2008) 394 definitivo, del 25 giugno 2008, e della sua revisione, di cui alla comunicazione della Commissione europea «Riesame dello ‘‘Small Business Act’’ per l’Europa» COM (2011) 78 definitivo, del 23 febbraio 2011;

§  della comunicazione della Commissione «Legiferare meglio: unire le forze per produrre leggi migliori» COM (2021) 219 def., del 29 aprile 2021;

§  della comunicazione «Pacchetto di aiuti per le PMI» di cui alla Comunicazione Commissione COM (2023) 535 def., del 12 settembre 2023.

 

La Comunicazione della Commissione europea «Una corsia preferenziale per la piccola impresa». Alla ricerca di un nuovo quadro fondamentale per la piccola impresa (uno «Small Business Act» per l’Europa)», stabilisce una serie di principi pensati per incoraggiare lo spirito imprenditoriale nell’Unione europea (UE) e la crescita delle piccole imprese.

Include inoltre alcune proposte legislative per l’attuazione, sia a livello comunitario che su scala nazionale nei paesi dell’UE.

Si tratta di un documento non vincolante, ma è stato approvato dal Consiglio e ha ricevuto il sostegno del Consiglio europeo e del Parlamento europeo.

Le principali priorità dello «Small Business Act» consistono nel promuovere lo spirito imprenditoriale, aumentare l’accesso alla finanza, ridurre l’onere normativo e migliorare l’accesso ai mercati e l’internazionalizzazione.

Queste priorità sono descritte in dieci principi formulati per guidare la progettazione e l’attuazione delle politiche a livello comunitario e dei paesi dell’UE:

1. dar vita a un contesto in cui imprenditori e imprese familiari possano prosperare e che sia gratificante per lo spirito imprenditoriale;

2. far sì che imprenditori onesti, che abbiano sperimentato l’insolvenza, ottengano rapidamente una seconda possibilità;

3. formulare regole conformi al principio «Pensare anzitutto in piccolo»;

4. rendere le pubbliche amministrazioni permeabili alle esigenze delle piccole e medie imprese (PMI);

5. adeguare l’intervento politico pubblico alle esigenze delle PMI: facilitare la partecipazione delle PMI agli appalti pubblici e usare meglio le possibilità degli aiuti di Stato per le PMI;

6. agevolare l’accesso delle PMI al credito e sviluppare un contesto giuridico ed economico che favorisca la puntualità dei pagamenti nelle transazioni commerciali;

7. aiutare le PMI a beneficiare delle opportunità offerte dal mercato unico;

8. promuovere l’aggiornamento delle competenze nelle PMI e ogni forma di innovazione;

9. permettere alle PMI di trasformare le sfide ambientali in opportunità;

10. incoraggiare e sostenere le PMI perché beneficino della crescita dei mercati.

Un esame dello «Small Business Act» condotto nel 2011 dalla Commissione europea ha rilevato che:

- la maggioranza delle iniziative era stata adottata;

- delle quattro proposte legislative, soltanto lo statuto europeo della società privata non era stato adottato;

- esistono varianti negli approcci dei paesi dell’UE all’attuazione e risultati differenti;

- la maggior parte dei paesi dell’UE ha adottato gli obiettivi per ridurre gli oneri amministrativi, ma non tutti li hanno raggiunti.

L’esame ha inoltre proposto nuove azioni tese a integrare lo «Small Business Act» nella strategia Europa 2020. Tali azioni comprendevano:

- la promozione del principio «una sola volta» presso gli organi amministrativi per la richiesta di informazioni o documenti;

- il miglioramento dell’accesso alla finanza attraverso garanzie sui prestiti per aiutare le PMI ad affrontare le sfide della globalizzazione e dei mutamenti climatici;

- una base imponibile consolidata comune per le imprese volta ad aiutare le stesse nel mercato unico.

Una consultazione pubblica del 2014 sullo «Small Business Act» ha evidenziato i progressi compiuti, ma anche che gli oneri amministrativi e legali rimanevano la maggiore preoccupazione; malgrado le misure adottate l’accesso alla finanza restava difficile; sono necessari ulteriori sforzi per l’accesso ai mercati, in particolare per migliorare i collegamenti tra i programmi dell’UE esistenti.

 

La comunicazione della Commissione «Legiferare meglio: unire le forze per produrre leggi migliori» COM (2021) 219 def., del 29 aprile 2021, interviene sulla cd. better regulation, enunciando alcuni obiettivi principali: a) rafforzare l’impegno comune e la condivisione degli sforzi per migliorare il processo regolatorio; b) migliorare la comunicazione con i portatori di interessi e il pubblico in generale; c) garantire una maggiore trasparenza; d) rivedere e ottimizzare lo strumentario volto a potenziare la semplificazione e la riduzione degli oneri amministrativi collegati all’attività normativa, con un a un approccio “one in, one out che garantisca che gli eventuali nuovi oneri introdotti da una nuova legge siano controbilanciati dalla riduzione di oneri precedenti nello stesso settore di attività. Ciò nell’ambito del programma di controllo dell’adeguatezza e dell’efficacia della regolamentazione (REFIT), in cui ogni valutazione e revisione della legislazione comporta una verifica sistematica del potenziale di riduzione degli oneri. La finalità esplicitata di tale approccio è “attirare maggiormente l’attenzione dei responsabili politici sulle implicazioni e sui costi dell’applicazione della legislazione, in particolare per le piccole e medie imprese (PMI)”.

La comunicazione «Pacchetto di aiuti per le PMI» COM (2023) 535 def.[19], del 12 settembre 2023[20] prevede un pacchetto di aiuti per le PMI a breve termine per promuoverne la competitività e la resilienza a lungo termine e favorire un contesto imprenditoriale propizio. Il pacchetto include:

·         una proposta di nuovo regolamento sui ritardi di pagamento,

·         una proposta di direttiva di semplificazione fiscale che istituisce un sistema di tassazione in base alla sede centrale per le PMI;

·         una serie di misure per agevolare le PMI, migliorare l’accesso ai finanziamenti e a una forza lavoro qualificata e fornire sostegno lungo tutto il loro ciclo di vita, di cui si darà indicazione nel prosieguo.

La Commissione intende, in particolare compiere una serie di azioni per:

- ridurre ulteriormente gli oneri derivanti dalla legislazione dell’UE, implementando l’approccio “one in, one out[21].

- sostenere un incremento della digitalizzazione a favore della competitività, la resilienza e la capacità di innovazione delle PMI;

- potenziare il ruolo di InvestEU nel fornire sostegno tramite prestiti e capitale di rischio alle PMI europee;

- collaborare con il Fondo europei degli investimenti - FEI per l’istituzione di un meccanismo pilota volto a consentire alle agenzie per il credito all’esportazione di sostenere le PMI nei loro scambi commerciali con l’Ucraina;

- promuovere l’uso di disposizioni standardizzate per gli appalti e condizioni adatte alle PMI per migliorare la partecipazione delle PMI agli appalti pubblici;

- garantire che le PMI dispongano di un quadro semplice e standardizzato per riferire in merito alle questioni ambientali, sociali e di governance;

- incoraggiare le istituzioni finanziarie a includere finanziamenti verdi per le PMI nei loro modelli di business;

- istituire un bacino di talenti dell’UE e un’iniziativa per migliorare il riconoscimento delle qualifiche e delle competenze dei cittadini di paesi terzi al fine di contribuire a rimediare alla mancanza di personale qualificato nel mercato del lavoro dell’UE;

- lavorare con gruppi il cui potenziale imprenditoriale non sfruttato rimane elevato, come donne, giovani e persone con disabilità, attraverso campagne di sensibilizzazione, tutoraggio e coaching.

La Commissione ritiene poi necessario prestare attenzione alle esigenze delle imprese che superano le soglie della definizione di PMI e della più ampia gamma di piccole imprese a media capitalizzazione, e si propone di:

a. di innalzare, ove giustificato, le soglie finanziarie dell’attuale definizione di PMI.

b. elaborare una definizione armonizzata per le piccole imprese a media capitalizzazione;

c. successivamente, adottare le misure per rispecchiare una definizione riveduta di PMI nei pertinenti atti legislativi, e

d. creare un insieme di dati basato sulla definizione di piccole imprese a media capitalizzazione e valutare eventuali misure per sostenere quelle imprese nella loro crescita (compresa la potenziale applicazione in forma adattata di alcune misure a favore delle PMI).

 

Il comma 1, lett. a), al n. 2, inserisce sempre nel comma 1 dell’articolo 17 dello Statuto delle imprese una nuova lettera b-bis), che attribuisce al Garante il compito di attuare un nuovo approccio alla consultazione, denominato “Reality Checks”, attraverso la raccolta di informazioni da una selezione di esperti e portatori di interesse, pubblici e privati, in determinati settori, per identificare gli ostacoli normativi, tecnici ed economici derivanti dall’attuazione delle relative norme-

 

Infine, il comma 1, alla lett. b) interviene sull’ultimo periodo del comma 5 dell’articolo 17 dello Statuto delle imprese.

Tale comma, al primo periodo, prevede l’istituzione, presso il Garante, di un tavolo di consultazione permanente delle associazioni di categoria maggiormente rappresentative del settore delle micro, piccole e medie imprese, con la funzione di organo di partenariato delle politiche di sviluppo delle micro, piccole e medie imprese, in raccordo con le regioni.

Stando all’ultimo periodo, come sostituito dalla disposizione in esame, al fine di attivare un meccanismo di confronto e scambio permanente e regolare, anche con l’avvalimento di esperti settoriali, le consultazioni, i “Reality Checks” (di cui alla lettera b-bis) del comma 1), si svolgono con regolarità e ai partecipanti è riconosciuta la possibilità di presentare proposte e rappresentare istanze e criticità.

 

L’articolo 17 della legge 11 novembre 2011, n.180, cd. “Statuto delle imprese”, ha disposto l’istituzione presso il Ministero delle imprese e del made in Italy, del Garante per le micro, piccole e medie imprese, il quale, ai sensi del comma 6 dell’articolo, è nominato con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro delle Imprese e del made in Italy, tra i dirigenti di prima fascia del MIMIT.

Ai sensi del comma 1 dell’articolo 17, il Garante svolge svolge le funzioni di:

a) monitorare l’attuazione nell’ordinamento del cd. ‘‘Small Business Act’’ per l’Europa di cui alla Comunicazione della Commissione COM (2008) 394 def., del 25 giugno 2008, e della sua revisione (COM (2011) 78 def.);

b) analizzare, in via preventiva e successiva, l’impatto della regolamentazione sulle micro, piccole e medie imprese (MPMI);

c) elaborare proposte finalizzate a favorire lo sviluppo del sistema delle MPMI;

d) segnalare al Parlamento, al Presidente del Consiglio dei Ministri, ai Ministri e agli enti territoriali interessati i casi in cui iniziative legislative o regolamentari o provvedimenti amministrativi di carattere generale possono determinare oneri finanziari o amministrativi rilevanti a carico delle MPMI;

e) trasmettere, entro il 28 febbraio di ogni anno, una relazione sull’attività svolta[22] al Presidente del Consiglio dei Ministri, il quale, a sua volta, è da quest’ultimo trasmessa entro trenta giorni al Parlamento. Il Governo, entro sessanta giorni dalla trasmissione, e comunque entro il 30 aprile di ogni anno, rende anche comunicazioni alle Camere sui contenuti della relazione sull’attività svolta dal Garante (comma 3).

f) monitorare le leggi regionali di interesse delle MPMI e promuovere la diffusione delle migliori pratiche;

g) coordinare i garanti delle MPMI istituiti presso le regioni, mediante la promozione di incontri periodici ed il confronto preliminare alla redazione della relazione di cui alla lettera e).

Il comma 2, anche ai fini dell’attività di analisi di cui sopra, demanda al Garante, con proprio rapporto, di dare conto delle valutazioni delle categorie e degli altri soggetti rappresentativi delle MPMI relativamente agli oneri complessivamente contenuti negli atti normativi ed amministrativi che le interessano. Nel caso di schemi di atti normativi del Governo, il Garante, anche congiuntamente con l’amministrazione competente a presentare l’iniziativa normativa[23], acquisisce le valutazioni e il relativo rapporto è allegato all’AIR.

Ai sensi del comma 4, per l’esercizio della propria attività il Garante si avvale delle analisi fornite dalla Banca d’Italia, dei dati rilevati dall’Istituto nazionale di statistica- ISTAT, della collaborazione dei Ministeri competenti per materia, dell’ Unioncamere e delle camere di commercio[24]. Può stipulare convenzioni non onerose per la collaborazione e la fornitura di dati e analisi da parte di primari istituti di ricerca, anche di natura privata.

Il comma 5 dispone l’istituzione presso il Garante di un tavolo di consultazione permanente delle associazioni di categoria maggiormente rappresentative del settore delle MPMI, con la funzione di organo di partenariato, in raccordo con le regioni. Le consultazioni si devono svolgere con regolarità e alle associazioni è riconosciuta la possibilità di presentare proposte e rappresentare istanze e criticità.

Il garante, ai sensi del comma 6, si avvale per il proprio funzionamento delle strutture del MIMIT e svolge i suoi compiti senza compenso aggiuntivo rispetto all’incarico dirigenziale attribuito.



[1]     Si ricorda che, ai sensi dell’art. 24, c. 6 e 7, del D.L. 201/2011, la pensione di vecchiaia si raggiunge con un’anzianità contributiva minima di 20 anni e con un’età anagrafica attualmente pari a 67 anni, mentre la pensione anticipata, ex art. 24, c. 10, del medesimo D.L..con un’anzianità contributiva pari attualmente a 42 anni e 10 mesi per gli uomini e a 41 anni e 10 mesi per le donne, a prescindere dall’età anagrafica.

[2]     Riguardo ai criteri generali in base ai quali opera l’esclusione, cfr. gli articoli 6 e 7 del D.Lgs. 8 giugno 2001, n. 231, e successive modificazioni.

[3]     Riguardo a questi ultimi, per l’ambito della sicurezza sul lavoro cfr., in particolare, l’articolo 25-septies del citato D.Lgs. n. 231 del 2001, e successive modificazioni. Sempre in materia di sicurezza sul lavoro, cfr. anche l’articolo 17, comma 1-bis, dello stesso D.Lgs. n. 231.

      Riguardo alle norme generali sui modelli esimenti in oggetto per quanto riguarda l’ambito della sicurezza sul lavoro, cfr. il suddetto articolo 30 del D.Lgs. n. 81 del 2008, e successive modificazioni.

[4]     Riguardo a queste ultime categorie, cfr. infra, in nota.

[5]     Si ricorda che il suddetto D.M. del 13 febbraio 2014 fa riferimento alle nozioni generali di microimpresa, piccola impresa e media impresa, poste dalla richiamata raccomandazione 2003/361/CE della Commissione, del 6 maggio 2003, e dal richiamato D.M. 18 aprile 2005.

[6]     La novella opera anche un richiamo ai compiti istituzionali dell’INAIL in materia di sicurezza sul lavoro, previsti dagli articoli 9, 10 e 11 del citato D.Lgs. n. 81 del 2008, e successive modificazioni.

[7]     Cfr. l’attuale formulazione dell’articolo 37, comma 4, del citato D.Lgs. n. 81 del 2008, e successive modificazioni.

[8]     Si ricorda altresì che, in via generale, la formazione deve essere periodicamente ripetuta in relazione all'evoluzione dei rischi o all'insorgenza di nuovi rischi (comma 6 del citato articolo 37 del D.Lgs. n. 81 del 2008).

[9]     Riguardo a tali norme sanzionatorie, cfr. l’articolo 55, comma 5, lettera c), e comma 6-bis, del citato D.Lgs. n. 81 del 2008, e successive modificazioni.

[10]   Riguardo alla nozione di dirigente ai fini in esame, cfr. l’articolo 2, comma 1, lettera d), del citato D.Lgs. n. 81 del 2008.

[11]   Tale normativa fa riferimento, nel suddetto ambito, sia ai casi di sospensione dell’attività lavorativa sia a quelli di riduzione della stessa.

[12]   Riguardo alla disciplina generale dell’istituto del lavoro agile, cfr. il capo II della L. 22 maggio 2017, n. 81, e successive modificazioni.

[13]   Riguardo alla definizione di rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, cfr. l’articolo 2, comma 1, lettera i), del D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81.

[14]   Cfr. l’alinea dell’articolo 55, comma 5, del citato D.Lgs. n. 81 del 2008, e successive modificazioni (comma oggetto della novella in esame).

[15]   Riguardo alla nozione di dirigente ai fini in esame, cfr. l’articolo 2, comma 1, lettera d), del citato D.Lgs. n. 81 del 2008.

[16]   La deroga richiede che i provvedimenti siano:

i) necessari per una delle seguenti ragioni:

- ordine pubblico, in particolare per l’opera di prevenzione, investigazione, individuazione e perseguimento in materie penali, quali la tutela dei minori e la lotta contro l’incitamento all’odio razziale, sessuale, religioso o etnico, nonché violazioni della dignità umana della persona;

- tutela della sanità pubblica;

- pubblica sicurezza, compresa la salvaguardia della sicurezza, e della difesa nazionale;

- tutela dei consumatori, ivi compresi gli investitori;

ii) relativi a un determinato servizio della società dell’informazione lesivo degli obiettivi di cui al punto i) o che costituisca un rischio serio e grave di pregiudizio a tali obiettivi;

iii) proporzionati a tali obiettivi;

Inoltre, prima dell’adozione di tali provvedimenti, lo Stato membro deve aver chiesto allo Stato membro in cui è stabilito il servizio della società dell’informazione di:

-        prendere provvedimenti e questo non li ha presi o essi non erano adeguati;

-        aver notificato alla Commissione e allo Stato membro in cui è stabilito il servizio della società dell’informazione la sua intenzione di prendere tali provvedimenti.

[17]   Sentenza del 9 novembre 2023 nella causa C-376/22, ECLI:EU:C:2023:835, punti 59 e 60.

[18]   Con comunicazione della Commissione europea COM (2011) 78 definitivo, del 23 febbraio 2011, recante «Riesame dello ‘‘Small Business Act’’ per l’Europa»

[19]   La comunicazione è accompagnata dalla I Relazione di attuazione dello sportello digitale unico e da una prima revisione preliminare del regolamento sulle relazioni piattaforme-imprese (“regolamento P2B”).

[20]   La Commissione, nella Comunicazione, parte dalla considerazione per cui i 24 milioni di piccole e medie imprese (PMI) europee rappresentano il 99% di tutte le imprese e due terzi dei posti di lavoro del settore privato nell’UE e sono profondamente radicate nelle comunità locali, in particolare nelle zone rurali. Nell’ambito dell’attuale quadro finanziario pluriennale (2021-2027) e di Next Generation EU, la Commissione prevede che saranno resi disponibili per le PMI oltre 200 miliardi di euro a titolo dei suoi vari programmi di finanziamento. Ciononostante, la volatilità e l’imprevedibilità del contesto economico hanno reso più difficile l’attività delle PMI e condizioni avverse sono destinate a persistere. In particolare,

      gli oneri amministrativi o gli ostacoli normativi sono tra i maggiori problemi per il 55 % delle PMI. Un contesto normativo prevedibile, una buona governance e un quadro istituzionale efficiente contribuiscono a rafforzare la competitività, garantire l’equità e fornire assistenza.

      I ritardi di pagamento subiti dalle PMI frenano la competitività, aumentano l’incertezza e scoraggiano la partecipazione agli appalti pubblici. In ogni impresa interessata i ritardi di pagamento causano un aumento del fabbisogno di capitale d’esercizio e dei costi di finanziamento, fanno lievitare i costi a causa del tempo impiegato per sollecitare i debitori e riducono pertanto la capacità di investimento.

      L’accesso ai finanziamenti richiede più sforzi alle piccole imprese che alle grandi imprese. La maggiore incertezza e i costi di finanziamento più elevati riducono la capacità delle PMI di effettuare investimenti. Alla fine del 2022 le PMI prevedevano un imminente peggioramento in termini di disponibilità di tutti i tipi di finanziamenti.

La disponibilità di personale qualificato o di dirigenti esperti è diventata una delle sfide più importanti per il 27 % delle PMI nell’UE, mentre il 70 % delle PMI segnala un aumento del costo del lavoro. I risultati dell’Eurobarometro sulle competenze presentati parallelamente alla presente comunicazione mostrano che la carenza di competenze ostacola le attività imprenditoriali del 63 % delle PMI e ne frena gli sforzi di digitalizzazione (45 % delle PMI) e di inverdimento (39 %).

      [21]   La Commissione intende perseguire le seguenti azioni:

• prendere sistematicamente in considerazione disposizioni specifiche favorevoli alle PMI nelle nuove proposte legislative, in linea con gli obiettivi strategici dell’Unione

• nominare un rappresentante dell’UE per le PMI incaricato di fornire orientamenti e consulenza alla Commissione sulle questioni relative alle PMI e di difendere gli interessi delle PMI verso l’esterno.

• garantire che il rappresentante dell’UE per le PMI partecipi alle audizioni del comitato per il controllo normativo con le direzioni generali sulle iniziative che hanno un forte impatto sulle PMI

• promuovere, unitamente al Parlamento UE e al Consiglio, l’attuazione di una valutazione “in loco” dell’impatto sulle PMI e sulla competitività delle modifiche sostanziali suggerite alle proposte della Commissione nel corso della procedura co- legislativa;

• collaborare con le agenzie esecutive e le agenzie decentrate al fine di individuare e promuovere le buone pratiche per sostenere le PMI e facilitare loro il ricorso ai servizi delle agenzie;

• collaborare con gli Stati membri per promuovere la sperimentazione e l’innovazione per le start-up attraverso spazi di sperimentazione normativa.

 

[22]   La relazione contiene una sezione dedicata all’analisi preventiva e alla valutazione successiva dell’impatto delle politiche pubbliche sulle micro, piccole e medie imprese e individua le misure da attuare per favorirne la competitività.

[23]   L’amministrazione competente a presentare l’iniziativa normativa deve segnalare al Garante gli schemi di atti normativi del Governo che introducono o eliminano oneri a carico delle MPMI.

[24]   Le camere di commercio possono proporre al Garante misure di semplificazione della normativa sull’avvio e sull’esercizio dell’attività di impresa.