Camera dei deputati - Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa) |
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Autore: | Servizio Studi - Dipartimento Attività Produttive |
Titolo: | Disposizioni organiche per la valorizzazione, la promozione e la tutela del made in Italy |
Riferimenti: | AC N.1341/XIX |
Serie: | Progetti di legge Numero: 162 |
Data: | 12/09/2023 |
Organi della Camera: | X Attività produttive |
Disposizioni organiche per la valorizzazione, la promozione e la
tutela del made in Italy
A.C. 1341
Servizio Studi
Ufficio ricerche nei settori delle attività produttive e agricoltura
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Dossier n. 139
Servizio Studi
Dipartimento Attività produttive
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Progetti di legge n. 162
L’Appendice al presente dossier è stata curata da:
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AP0078.docx
I N D I C E
§ Premessa
§ Articoli 1 e 2 (Principi generali, obiettivi e ambiti di intervento)
§ Articolo 3 (Giornata nazionale del made in Italy)
§ Articolo 4 (Fondo nazionale del made in Italy)
§ Articolo 5 (Sostegno all’imprenditorialità femminile)
§ Articolo 6 (Misure di incentivazione della proprietà industriale)
§ Articolo 7 (Filiera del legno per l’arredo al 100 per cento nazionale)
§ Articolo 9 (Misure di semplificazione per la filiera della nautica)
§ Articolo 13 (Liceo del made in Italy)
§ Articolo 14 (Fondazione «Imprese e competenze per il made in Italy»)
§ Articolo 15 (Istituzione dell’Esposizione nazionale permanente del made in Italy)
§ Articolo 16 (Valorizzazione e tutela del patrimonio culturale immateriale)
§ Articolo 17 (Registrazione di marchi per i luoghi della cultura)
§ Articolo 18 (Rafforzamento della tutela dei domìni internet riferiti al patrimonio culturale)
§ Articolo 19 (Imprese culturali e creative)
§ Articolo 20 (Albo delle imprese culturali e creative di interesse nazionale)
§ Articolo 21 (Contributo per le imprese culturali e creative)
§ Articolo 24 (Sostegno al settore fieristico in Italia e ai mercati rionali)
§ Articolo 25 (Certificazione di qualità della ristorazione italiana all’estero)
§ Articolo 26 (Promozione della cucina italiana all’estero)
§ Articolo 29 (Valorizzazione delle pratiche tradizionali e del paesaggio rurale)
§ Articolo 30 (Distretti del prodotto tipico italiano)
§ Articolo 31 (Contrassegno per il made in Italy)
§ Articolo 32 (Attività di ricognizione dei prodotti industriali e artigianali tipici)
§ Articolo 34 (Associazioni dei produttori)
§ Articolo 35 (Disciplinare dei prodotti industriali e artigianali tipici)
§ Articolo 36 (Contributo per la predisposizione del disciplinare)
§ Articolo 37 (Blockchain per la tracciabilità delle filiere)
§ Articolo 38 (Imprese del made in Italy nel mondo virtuale e immersivo)
§ Articolo 40 (Misure per la formazione specialistica)
§ Articolo 42 (Modifica all’art. 517 del codice penale)
§ Articolo 45 (Operazioni sotto copertura)
§ Articolo 47 (Promozione e comunicazione degli interventi in materia di made in Italy)
§ Articolo 48 (Disposizioni finanziarie)
Con il Documento di economia e finanza 2023, trasmesso al Parlamento il 12 aprile 2023, il Governo ha dichiarato, a completamento della manovra di bilancio 2023-2025, quale collegato alla decisione di bilancio il disegno di legge recante misure organiche per la promozione, la valorizzazione e la tutela del Made in Italy.
Il disegno di legge, recante disposizioni organiche per la valorizzazione, la promozione e la tutela del made in Italy, è stato presentato alla Camera dei deputati il 27 luglio 2023.
L’iniziativa legislativa, come evidenziato nella relazione illustrativa, si inquadra in un contesto macroeconomico che vede la manifattura italiana al centro di una complessa fase di transizione post-pandemica legata alla strozzatura delle filiere globali, alla crisi energetica nonché agli effetti recessivi innescati dal conflitto in Ucraina.
La relazione illustrativa indica quale obiettivo del disegno di legge il sostegno allo sviluppo e alla modernizzazione dei processi produttivi e delle connesse attività funzionali alla crescita dell’eccellenza qualitativa del made in Italy.
La medesima relazione sottolinea come il Governo, in sede di elaborazione del disegno di legge, abbia tenuto conto di quanto emerso nel corso dell’indagine conoscitiva sul tema “Made in Italy: valorizzazione e sviluppo dell’impresa italiana nei suoi diversi ambiti produttivi”, svolta dalla Commissione X (Attività produttive) della Camera dei deputati nei primi mesi dell’anno e conclusasi con l’approvazione di un documento conclusivo il 17 maggio 2023.
Il disegno di legge consta di sei titoli e quarantotto articoli:
§ Il titolo I enuncia i “Princìpi e obiettivi” del disegno di legge (artt. 1-3);
§ Il titolo II, rubricato “Crescita e consolidamento delle filiere strategiche nazionali”, consta di nove articoli e reca al capo I (artt. 4-6) “Misure orizzontali”, a favore di tutti i comparti produttivi, e al capo II “Misure settoriali”, a sostegno di specifiche attività produttive (artt. 7-12);
§ Il titolo III reca disposizioni in materia di “Istruzione e formazione” (artt. 13 e 14);
§ Il titolo IV reca “Misure di promozione” e si compone di sedici articoli (artt. 15-30);
§ Il titolo V, rubricato “Tutela dei prodotti made in Italy”, è composto da sedici articoli ripartiti in tre capi: il capo I, in materia di “Prodotti non agroalimentari a indicazione geografica protetta” (artt. 31-36); il capo II, dedicato alle “Nuove tecnologie” (artt. 37 e 38); il capo III, recante disposizioni in materia di “Lotta alla contraffazione” (artt. 39-46);
§ Il titolo VI, infine, reca le “Disposizioni finali” (artt. 47 e 48).
Articoli 1 e 2
(Principi generali, obiettivi e ambiti di intervento)
L’articolo 1 chiarisce che il disegno di legge in esame è volto a valorizzare le produzioni d’eccellenza, le bellezze storico artistiche e le radici culturali nazionali, a fini identitari e per la crescita dell’economia nazionale. Nell’attuazione delle disposizioni recate dal disegno di legge, ai sensi di quanto prevede l’articolo 2, le amministrazioni centrali e locali orientano la propria azione e le relative misure di incentivazione ai principi del recupero delle tradizioni, della valorizzazione dei mestieri, alla promozione del territorio e delle bellezze naturali e artistiche. Le stesse amministrazioni sono tenute ad assicurare che le misure di incentivazione che caratterizzano e qualificano la loro azione siano coerenti con i principi della sostenibilità ambientale, della digitalizzazione, della inclusione sociale e della valorizzazione del lavoro femminile e giovanile.
L’articolo 1 chiarisce che il disegno di legge in esame reca disposizioni organiche tese a valorizzare e promuovere, in Italia e all’estero, le produzioni d’eccellenza, le bellezze storico artistiche e le radici culturali nazionali, quali fattori da preservare e tramandare non solo a fini identitari ma anche per la crescita dell’economia nazionale nell’ambito e in coerenza con le regole del mercato interno dell’Unione europea.
L’articolo 2, comma 1, prevede che le amministrazioni centrali e locali, nell’attuazione delle disposizioni recate dal disegno di legge in esame, orientano la propria azione ai principi del recupero delle tradizioni, della valorizzazione dei mestieri, del sostegno ai giovani che operano o intendano impegnarsi, professionalmente e negli studi, nei settori e nelle attività che determinano il successo del made in Italy nel mondo, nonché alla promozione del territorio e delle bellezze naturali e artistiche.
Le medesime amministrazioni sono tenute ad assicurare che le misure di incentivazione che caratterizzano e qualificano la loro azione siano coerenti con i principi di sostenibilità ambientale della produzione, di transizione dei processi produttivi verso la digitalizzazione, in misura necessaria e sufficiente a potenziare e rendere più efficienti i processi, senza dismettere, ove sussistenti, le peculiarità artigianali che caratterizzano il prodotto o l’attività, nonché di inclusione sociale, di valorizzazione del lavoro femminile e giovanile e di non discriminazione fra le imprese.
Articolo 3
(Giornata nazionale del made in Italy)
L’articolo 3 istituisce la Giornata nazionale del made in Italy per celebrare la creatività e l’eccellenza italiana.
Secondo il primo comma dell’articolo 3 del disegno di legge in esame, la Repubblica riconosce il 15 aprile di ciascun anno quale “Giornata nazionale del Made in Italy”, al fine di:
§ celebrare la creatività e l’eccellenza italiana, presso le istituzioni, le scuole di ogni ordine e grado e i luoghi di produzione;
§ riconoscerne il ruolo sociale e il contributo allo sviluppo economico e culturale della Nazione e del suo patrimonio identitario;
§ sensibilizzare l’opinione pubblica nei confronti dei temi della promozione e tutela del valore e delle qualità peculiari delle opere dell’ingegno e dei prodotti italiani.
Per celebrare la Giornata nazionale, il comma 2 prevede che l’organizzazione di iniziative finalizzate alla promozione della creatività in tutte le sue forme e alla difesa e alla valorizzazione del Made in Italy possa essere realizzata e favorita dallo Stato, dalle regioni, dalle province, dalle città metropolitane e dai comuni, nell’ambito della loro autonomia e delle rispettive competenze, anche in coordinamento con le associazioni e con gli organismi operanti nel settore, compresa l’Associazione marchi storici d’Italia.
Il terzo comma dell’articolo in esame chiarisce che la Giornata nazionale non determina gli effetti civili di cui alla legge n. 260 del 1949.
Gli effetti civili associati da tale atto ai giorni festivi riguardano l’osservanza del completo orario festivo e del divieto di compiere determinati atti giuridici, l’imbandieramento degli edifici pubblici, la corresponsione ai lavoratori dipendenti della normale retribuzione giornaliera nonché e della retribuzione per le ore di lavoro effettivamente prestate con la maggiorazione per il lavoro festivo.
L’ultimo comma (4) prevede una clausola di invarianza per cui le amministrazioni interessate debbono provvedere a promuovere la Giornata nazionale del made in Italy nei limiti delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente e, comunque, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.
Articolo 4
(Fondo nazionale del made in Italy)
Il Fondo è incrementato con risorse provenienti da soggetti diversi dalle pubbliche amministrazioni ed è autorizzato a investire, a condizioni di mercato e nel rispetto della disciplina sugli aiuti di Stato, nel capitale di società per azioni, anche quotate e anche in forma cooperativa, purché aventi sede legale in Italia e non operanti nel settore bancario, finanziario o assicurativo.
Il metodo di attuazione delle operazioni finanziarie del Fondo, le condizioni di intervento e l’individuazione del veicolo di investimento delle relative risorse sono affidate a un decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro delle imprese e del made in Italy.
In particolare, il comma 1 istituisce, nello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze, il Fondo nazionale del made in Italy, con una dotazione iniziale di 700 milioni di euro per l’anno 2023 e di 300 milioni di euro per l’anno 2024.
Tale fondo è istituito all’esplicito fine di sostenere la crescita, il sostegno, il rafforzamento e il rilancio delle filiere strategiche nazionali, in coerenza con gli obiettivi di politica industriale nazionale, anche in riferimento alle attività di approvvigionamento e riuso di materie prime critiche per l’accelerazione dei processi di transizione energetica e a quelle finalizzate allo sviluppo di modelli di economia circolare.
Il comma 2 individua le modalità di funzionamento del Fondo e la sua alimentazione.
Esso è incrementato con risorse provenienti da soggetti diversi dalle pubbliche amministrazioni, come individuate ai sensi delle norme contabili. Più precisamente, il Fondo è alimentato da soggetti non inseriti nella lista individuata dall’Istat ai sensi dell’articolo 1, comma 2, della legge 31 dicembre 2009, n.196, mediante versamento all’entrata del bilancio dello Stato e successiva riassegnazione alla spesa, per importo non inferiore alla dotazione iniziale e, successivamente, alle disponibilità complessive dello stesso.
Per quanto riguarda le attività del Fondo, esso è autorizzato a investire direttamente o indirettamente, anche per il tramite di altri fondi, a condizioni di mercato e nel rispetto della disciplina dell’Unione europea in materia di aiuti di Stato, nel capitale di società per azioni, anche con azioni quotate in mercati regolamentati, comprese quelle costituite in forma cooperativa, in possesso delle seguenti caratteristiche:
a) hanno sede legale in Italia;
b) non operano nel settore bancario, finanziario o assicurativo.
Si richiamano al riguardo gli orientamenti della Commissione UE sul finanziamento del rischio: per ulteriori informazioni sull’applicazione degli aiuti di Stato nell’attuale contingenza economica, si rinvia al sito della documentazione parlamentare.
Il Governo, nella relazione illustrativa, chiarisce che le norme in esame sono volte a istituire un Fondo sovrano nazionale, con l’obiettivo di sostenere, da un lato, la crescita e il consolidamento delle filiere strategiche nazionali, anche nella fase dell’approvvigionamento di materie prime ed energia; dall’altro, il tessuto economico industriale del Paese in un momento cruciale di cambiamento strutturale delle filiere produttive in virtù delle nuove sfide economiche internazionali, quali, tra le più note, la crisi prodottasi con la guerra in Ucraina e le sfide europee introdotte dalle riforme conosciute nel loro insieme con il termine di green deal europeo.
Al comma 3 viene specificato il metodo di attuazione delle operazioni finanziarie del Fondo.
Si affida a un decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro delle imprese e del made in Italy il compito di definire:
§ i requisiti di accesso al Fondo;
§ le condizioni, i criteri e le relative tipologie di intervento;
§ le modalità di apporto delle risorse da parte degli investitori privati;
§ le modalità di individuazione del veicolo di investimento delle risorse del fondo e del soggetto gestore, nonché la remunerazione di quest’ultimo.
Inoltre il decreto può disciplinare le modalità di gestione contabile delle risorse del Fondo e l’utilizzo degli eventuali utili o dividendi derivanti dagli investimenti effettuati.
Si segnala che le norme in commento non prevedono un termine per l’emanazione di detto decreto.
Il comma 4 specifica la copertura degli oneri finanziari, pari a 700 milioni di euro per l’anno 2023 e a 300 milioni di euro per l’anno 2024, cui si provvede:
a) quanto a 700 milioni per l’anno 2023, mediante corrispondente versamento all’entrata del bilancio dello Stato delle somme iscritte in conto residui nello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze (di cui all’articolo 27, comma 17, del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34);
b) quanto a 300 milioni di euro per l’anno 2024, mediante corrispondente riduzione della dotazione del Fondo di sostegno del venture capital, di cui all’articolo 1, comma 209, della legge 30 dicembre 2018, n.145.
Il Fondo di sostegno al venture capital è stato istituito nello stato di previsione del MISE dall’articolo 1, comma 209 della legge n. 145 del 2018 (legge di bilancio 2019), con una dotazione iniziale di 30 milioni di euro per ciascuno degli anni 2019, 2020 e 2021 e di 5 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2022 al 2025, per le finalità indicate dal comma 206 della medesima legge di bilancio.
Il comma 206 ha previsto che lo Stato, tramite il Ministero dello sviluppo economico (ora Ministero delle imprese e made in Italy), al fine di promuovere gli investimenti in capitale di rischio da parte di operatori professionali, possa sottoscrivere – con le risorse del citato Fondo, come successivamente alimentato ai sensi del comma 216 (cfr. infra) - quote o azioni di uno o più Fondi per il venture capital o di uno o più fondi che investono in Fondi per il venture capital, unitamente ad altri investitori istituzionali, pubblici o privati, privilegiati nella ripartizione dei proventi derivanti dalla gestione dei predetti organismi di investimento (commi 206 e 207).
Il comma 216 ha previsto, ai fini di una successiva alimentazione del Fondo di sostegno al venture capital, che le entrate dello Stato derivanti dalla distribuzione di utili d’esercizio o di riserve sotto forma di dividendi delle società partecipate dal MEF siano utilizzate, fino al 10 per cento del loro ammontare, nel rispetto degli obiettivi di finanza pubblica, per gli investimenti in venture capital sopra indicati e che le somme introitate a tale titolo siano riassegnate, anche in deroga ai limiti previsti per le riassegnazioni, con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze ad apposito capitolo dello stato di previsione della spesa del MEF per essere poi versate al Fondo di sostegno al Venture Capital di cui al comma 209. Le disposizioni hanno trovato applicazione a decorrere dal 1° luglio 2019.
Il Fondo è stato successivamente rifinanziato da interventi legislativi. Si rammenta – a tal proposito – lo stanziamento aggiuntivo di 200 milioni di euro per l’anno 2020 disposto dall’articolo 38, comma 3, del D.L. n. 34/2020. Queste risorse aggiuntive sono state finalizzate a sostenere investimenti nel capitale, anche tramite la sottoscrizione di strumenti finanziari partecipativi, nonché l’erogazione di finanziamenti agevolati, la sottoscrizione di obbligazioni convertibili, o altri strumenti finanziari di debito che prevedano la possibilità del rimborso dell’apporto effettuato, a beneficio esclusivo delle start-up innovative e delle PMI innovative. Queste risorse aggiuntive, stanziate dall’articolo 38, comma 3, sono poi confluite nel “Fondo nazionale Innovazione[1]”, il principale programma di intervento nazionale di venture capital finalizzato a sostenere la crescita delle imprese italiane innovative[2].
A legge di bilancio 2023 (L. 197/2022), per il triennio di riferimento 2023-2025, il Fondo per il sostegno al venture capital, iscritto sul capitolo 7344/MIMIT, reca uno stanziamento apri a 705 milioni per il 2023, a 605 milioni per il 2024, e a 5 milioni per il 2025.
Il comma 5 prevede che, per il pagamento delle commissioni spettanti al gestore del Fondo per le attività svolte, sia autorizzata la spesa di 2,5 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2024, cui si provvede mediante corrispondente riduzione delle proiezioni dello stanziamento del fondo speciale di parte corrente iscritto nello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze per l’anno 2023, allo scopo parzialmente utilizzando l’accantonamento relativo al medesimo Ministero.
Con riferimento alla disciplina dei fondi sovrani in altri Paesi dell’Unione europea, si veda l’Appendice al presente dossier, predisposta dall’Ufficio Legislazione straniera del Servizio biblioteca della Camera dei deputati.
In seno agli interventi di sostegno al sistema produttivo, si ricorda in questa sede che il decreto-legge Rilancio (articolo 27, comma 1 del decreto-legge n. 34 del 2020) ha previsto la costituzione, nell’ambito di Cassa Depositi e Prestiti S.p.A. – CDP, di un patrimonio le cui risorse sono destinate all’attuazione di interventi e operazioni di sostegno e rilancio del sistema economico-produttivo italiano, in conseguenza dell’emergenza epidemiologica da COVID-19. Tale Patrimonio Destinato è costituito mediante l’apporto di beni da parte del Ministero dell’economia e delle finanze (MEF); a tal fine, è autorizzata per l’anno 2020 l’assegnazione a CDP di titoli di Stato o di liquidità, nel limite massimo di 44 miliardi di euro. Si tratta quindi di un fondo interamente pubblico la cui gestione è affidata a CDP. In via preferenziale il Patrimonio Destinato effettua i propri interventi mediante sottoscrizione di prestiti obbligazionari convertibili, partecipazione ad aumenti di capitale, acquisto di azioni quotate sul mercato secondario in caso di operazioni strategiche.
Il decreto MEF del 3 febbraio 2021 reca il Regolamento concernente i requisiti di accesso, condizioni, criteri e modalità degli investimenti del Patrimonio Destinato (Atto del Governo n. 222).
In estrema sintesi, il decreto ministeriale dispone due differenti operatività del Patrimonio Destinato:
· la prima, definita secondo i termini e alle condizioni di cui al cd. Temporary Framework sugli aiuti di Stato in seno all’emergenza COVID-19, su cui - come riferisce il Governo -la Commissione europea si è positivamente espressa a seguito di formale notifica da parte delle autorità italiane (decisione C(2020) 6459 final del 17 settembre 2020); nell’ambito di tale operatività, il Patrimonio Destinato interviene mediante la partecipazione ad aumenti di capitale, la sottoscrizione di prestiti obbligazionari con obbligo di conversione, la sottoscrizione di prestiti obbligazionari subordinati convertibili, la sottoscrizione di prestiti obbligazionari subordinati;
· una operatività a condizioni di mercato, mediante la partecipazione ad aumenti di capitale, la sottoscrizione di prestiti obbligazionari convertibili, operazioni sul mercato secondario e ristrutturazioni di impresa; gli strumenti sono strutturati in coerenza con le operazioni di mercato della stessa specie e prevedono sempre la presenza di terzi co-investitori nella misura almeno del 30 per cento dell’ammontare: questi ultimi sottoscrivono gli strumenti a condizioni identiche a quelle del Patrimonio Destinato (c.d. pari passu).
Successivamente (per effetto del decreto-legge n. 73 del 2021 e del decreto-legge n. 146 del 2021) gli interventi del Patrimonio Destinato effettuati nelle forme e alle condizioni previste dal quadro normativo dell’Unione Europea sugli aiuti di Stato adottato per fronteggiare l’emergenza epidemiologica da Covid-19 (cd. interventi in Temporary Framework: aumenti di capitale di imprese, sottoscrizione di prestiti obbligazionari con obbligo di conversione, di prestiti obbligazionari subordinati convertibili e di prestiti obbligazionari subordinati) sono stati estesi al 31 dicembre 2022.
Il decreto-legge n. 146 del 2021 ha ampliato gli interventi di Patrimonio Destinato a condizioni di mercato, sia con riferimento ai soggetti, sia con riferimento alle tipologie di operazioni.
Articolo 5
(Sostegno all’imprenditorialità femminile)
L’articolo 5 istituisce un’apposita riserva, per un importo di euro 15 milioni, a valere sulle disponibilità del Fondo rotativo previsto dall'articolo 4 del D.M. 30 novembre 2004, destinata al finanziamento di iniziative di autoimprenditorialità promosse da donne e allo sviluppo di nuove imprese femminili.
L’articolo 5 del disegno di legge in esame è volto a rafforzare il sostegno alle iniziative di autoimprenditorialità promosse da donne e allo sviluppo di nuove imprese femminili su tutto il territorio nazionale.
A tal fine, nell’ambito della misura di cui al decreto legislativo n. 185 del 2000, è istituita un’apposita riserva, per un importo di euro 15 milioni, destinata al finanziamento degli interventi di cui al Capo 01, Titolo I, del medesimo decreto legislativo n. 185 del 2000 rivolti alle imprese a prevalente partecipazione femminile.
L’articolo 45, comma 1, della legge n. 144 del 1999, allo scopo di realizzare un sistema efficace ed organico di strumenti intesi a favorire l'inserimento al lavoro ovvero la ricollocazione di soggetti rimasti privi di occupazione, ha delegato al Governo l’adozione di uno o più decreti legislativi contenenti norme intese a ridefinire il sistema degli incentivi all'occupazione ivi compresi quelli relativi all'autoimprenditorialità e all'autoimpiego, con particolare riguardo all'esigenza di migliorarne l'efficacia nelle aree del Mezzogiorno, e degli ammortizzatori sociali, con valorizzazione del ruolo della formazione professionale, secondo specifici princìpi e criteri direttivi. In attuazione di tale delega è stato emanato il decreto legislativo che reca, nell’ambito degli incentivi in favore dell’autoimprenditorialità (Titolo I), le misure in favore della nuova imprenditorialità nei settori della produzione dei beni e dell'erogazione dei servizi (Capo 01). Le disposizioni del Capo 01 sono dirette a sostenere in tutto il territorio nazionale la creazione di micro e piccole imprese a prevalente o totale partecipazione giovanile o femminile e a sostenerne lo sviluppo attraverso migliori condizioni per l'accesso al credito. I benefici consistono nella concessione di mutui agevolati per gli investimenti, a un tasso pari a zero, della durata massima di dieci anni e di importo non superiore al 75 per cento della spesa ammissibile (elevabile, in casi specifici, al 90 per cento). I soggetti beneficiari sono le imprese di piccola dimensione, costituite in forma societaria da non più di sessanta mesi alla data di presentazione della domanda di agevolazione. La compagine societaria deve essere composta, per oltre la metà numerica dei soci e di quote partecipazione, da soggetti di età compresa tra i 18 ed i 35 anni ovvero da donne. Gli investimenti ammissibili non devono superare il milione e mezzo di euro, e devono guardare la produzione di beni nei settori dell'industria, dell'artigianato, della trasformazione dei prodotti agricoli ovvero all'erogazione di servizi in qualsiasi settore, incluse le iniziative nel commercio e nel turismo. L'importo massimo delle spese ammissibili è innalzato a 3 milioni di euro per le imprese costituite da almeno trentasei mesi e da non oltre sessanta mesi. La concessione delle agevolazioni è disposta a valere sulle disponibilità del Fondo rotativo previsto dall'articolo 4 del decreto 30 novembre 2004 del Ministro dell'economia e delle finanze (articolo 4-bis del decreto legislativo n. 185 del 2000), depositato su un apposito conto corrente infruttifero intestato a Sviluppo Italia presso la Tesoreria centrale dello Stato.
Il comma 2 dell’articolo in esame stabilisce che, alla copertura degli oneri di cui al comma 1, si provvede a valere sul Fondo di cui all’articolo 48 del disegno di legge in esame.
Il comma 3 specifica infine che le suindicate misure di sostegno articolo sono concesse nei limiti e alle condizioni di cui alla normativa europea e nazionale in materia di aiuti di Stato.
Articolo 6
(Misure di incentivazione della proprietà industriale)
L’articolo 6 prevede, per l’anno 2024, la concessione alle start up innovative e alle micro imprese del Voucher 3I per l’acquisizione di servizi di consulenza utili all’ottenimento di un brevetto.
L’articolo 6, al fine di promuovere la conoscenza e la consapevolezza delle potenzialità connesse alla brevettazione delle invenzioni e di sostenere la valorizzazione dei processi di innovazione, autorizza la spesa di 8 milioni di euro per l’anno 2023 e di un milione di euro per l’anno 2024 per la concessione, per l’anno 2024, sia alle start up innovative, che alle microimprese, del Voucher 3I – Investire in Innovazione (comma 1).
Si rammenta che analoga misura è stata istituita con D.L. n. 34/2019, per gli anni 2019-2021, a beneficio delle sole start up innovative (vedi infra). Nella relazione illustrativa si osserva che il Voucher 3I ha rappresentato una misura sperimentale per coadiuvare le start-up innovative nei percorsi di brevettazione e ha avuto un forte successo, rappresentando una vera e propria migliore pratica, in quanto le start-up beneficiarie non anticipano risorse per l’acquisizione dei servizi, ma gli stessi vengono pagati attraverso il Voucher.
Il D.L. n. 179/2012 definisce start up innovative le imprese i) costituite da non più di cinque anni, ii) residenti in Italia o in altri stati dell’UE o aderenti all’Accordo sullo spazio economico europeo, purché con una sede produttiva o una filiale in Italia, iii) con un valore della produzione fino a cinque milioni di euro l’anno, iv) che non abbiano distribuito utili, v) il cui oggetto sociale sia lo sviluppo, la produzione e la commercializzazione di prodotti o servizi innovativi ad alto valore tecnologico, vi) caratterizzati da un’alta spesa in R&S, l’impiego di personale altamente qualificato o il possesso di diritti industriali.
La norma in commento, quindi, rinnova la misura ed estende la platea dei potenziali beneficiari alle microimprese.
Per microimpresa si intende, ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 3 dell’allegato 1 del Regolamento (UE) n. 651/2014, richiamato dalla relazione illustrativa, un’impresa che occupa meno di 10 persone e che realizza un fatturato annuo e/o un totale di bilancio annuo non superiori a 2 milioni di EUR.
Nella relazione illustrativa si afferma che la proposta è finalizzata, da un lato, a riavviare una misura che ha avuto un riscontro importante e, dall’altro, ad allargare il novero dei soggetti beneficiari comprendendovi, oltre alle start-up innovative, anche le microimprese di più recente costituzione, che hanno maggiore bisogno di supporto per l’accesso ai percorsi di brevettazione. La norma, tuttavia, non pone come condizione di accesso all’agevolazione da parte delle microimprese la loro recente costituzione.
Il comma 2 precisa che il voucher può essere utilizzato per l’acquisizione di servizi di consulenza relativi alla verifica della brevettabilità dell’invenzione e all’effettuazione delle ricerche di anteriorità preventive, alla stesura della domanda di brevetto e di deposito presso l’Ufficio italiano brevetti e marchi, all’estensione all’estero della domanda nazionale.
Il comma 3 rinvia ad un decreto del Ministro delle imprese e del Made in Italy, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, la definizione dei criteri e delle modalità di attuazione della misura. Prevede, inoltre, che il Ministero delle imprese e del Made in Italy, per l’attuazione della misura, possa avvalersi di un soggetto gestore e dei soggetti iscritti all’albo dei consulenti in proprietà industriale abilitati, con oneri a valere sulle risorse stanziate nei limiti dell’1,5 per cento.
Il comma 4 rinvia all’articolo 48 l’indicazione delle relative coperture finanziarie.
Il comma 5, infine, precisa che i voucher sono concessi nei limiti e alle condizioni di cui alla normativa europea a nazionale in materia di aiuti di Stato.
Il Voucher 3I – Investire In Innovazione è un contributo utilizzabile dalle imprese per l’acquisizione di servizi di consulenza relativi:
- alla verifica della brevettabilità dell’invenzione e all’effettuazione delle ricerche di anteriorità preventive,
- alla stesura della domanda di brevetto e di deposito presso l’Ufficio italiano brevetti e marchi,
- all’estensione all’estero della domanda nazionale.
L’articolo 32, comma 7 del D.L. n. 34/2019, ne ha previsto, per il triennio 2019-2021, la fruizione da parte delle start-up innovative di cui al D.Lgs. n. 179/2012, ossia da imprese i) costituite da non più di cinque anni, ii) residenti in Italia o in altri stati dell’UE o aderenti all’Accordo sullo spazio economico europeo, purché con una sede produttiva o una filiale in Italia, iii) con un valore della produzione fino a cinque milioni di euro l’anno, iv) che non abbiano distribuito utili, v) il cui oggetto sociale sia lo sviluppo, la produzione e la commercializzazione di prodotti o servizi innovativi ad alto valore tecnologico, vi) caratterizzati da un’alta spesa in R&S (almeno il 15 per cento del maggiore valore fra costo e valore totale della produzione), l’impiego di personale altamente qualificato (per almeno un terzo ricercatori o per almeno due terzi in possesso di laurea magistrale) o il possesso di diritti di proprietà industriale.
Il medesimo D.L. n. 32/2019 stanziava, per il triennio 2019-2021, 6,5 milioni di euro l’anno per la concessione del voucher 3I alle start up innovative.
L’articolo 32, comma 9 del citato decreto rinviava, infine, ad un decreto del Ministero dello sviluppo economico la definizione dei criteri e delle modalità di riconoscimento del voucher 3I.
Il decreto attuativo del Ministro dello sviluppo economico 18 novembre 2019 ha stabilito l’importo del voucher 3I concedibile in misura pari a:
- 2.000 euro + IVA per i servizi di consulenza per la verifica di brevettibilità dell’invenzione e all’effettuazione delle ricerche di anteriorità preventive;
- 4.000 euro + IVA per i servizi di consulenza relativi alla stesura della domanda di brevetto e di deposito presso l’Ufficio italiano brevetti e marchi;
- 6.000 euro + IVA per i servizi di consulenza relativi al deposito all’estero della domanda nazionale di brevetto.
I servizi di consulenza, precisa il decreto, possono essere forniti esclusivamente dai consulenti in proprietà industriale e avvocati, iscritti in appositi elenchi predisposti rispettivamente dall’Ordine dei consulenti in proprietà industriale e dal Consiglio nazionale forense sulla base di criteri e modalità fissati dal Direttore generale per la lotta alla contraffazione – Ufficio italiano brevetti e marchi del Ministero dello sviluppo economico. I soggetti così individuati si impegnano a non richiedere ulteriori compensi, per la fornitura dei servizi indicati, in aggiunta a quelli coperti dal voucher 3I.
Il soggetto gestore del voucher 3I è stato individuato dal decreto nell’Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo d’impresa S.p.A. – Invitalia.
Come ricordato nel documento conclusivo dell’indagine conoscitiva sul “Made in Italy: valorizzazione e sviluppo dell’impresa italiana nei suoi diversi ambiti produttivi”, approvato lo scorso 17 maggio 2023 dalla Commissione Attività produttive della Camera dei Deputati ,“il riconoscimento del «Voucher 3I – Investire in Innovazione» (…), ha portato alla concessione di 2.307 voucher per l’acquisto di servizi specialistici resi a 851 start-up; ciò ha favorito l’aumento della brevettazione nel nostro Paese riducendo il gap rispetto a diversi Paesi europei e stimolando innovazione di qualità (nel 2020 per la prima volta le domande di brevetto per invenzione industriale hanno toccato e superano di poco la cifra di 11.000 domande segnando un +878 rispetto al totale del 2019)”. Nel documento, alla luce dei contributi e delle proposte avanzate dai soggetti auditi nel corso dell’indagine conoscitiva, si evidenzia l’opportunità di rifinanziare detta misura, prospettando l’adozione di politiche per favorire, in particolare, la tutela dei diritti industriali delle microimprese in Italia e all’estero.
Articolo 7
(Filiera del legno per l’arredo al 100 per cento nazionale)
L’articolo 7 introduce alcune misure a sostegno della filiera nazionale del legno e dell’industria per l’arredo, operando su due piani: i) si prevede, in primo luogo, che il Ministero delle Imprese e del Made in Italy (MIMIT), d'intesa con il Ministero dell'agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste, promuova e sostenga la vivaistica forestale, la creazione e il rafforzamento di imprese boschive e dell’industria della prima lavorazione del legno; a tal fine viene autorizzata la spesa di 25 milioni di euro per l’anno 2024 per la concessione, nel medesimo anno, di contributi a fondo perduto per 15 milioni di euro e di finanziamenti a tasso agevolato per 10 milioni di euro (commi 1, 2, 4); ii) in secondo luogo, con una novella all’art. 149, comma 1, lett. c), del Codice dei beni culturali e del paesaggio, viene soppressa la necessità di preventiva autorizzazione per gli interventi selvicolturali nei boschi soggetti a vincolo, al fine di semplificare e agevolare il procedimento di approvvigionamento delle materie prime.
In dettaglio, il comma 1 prevede che il Ministero delle imprese e del made in Italy, d'intesa con il Ministero dell'agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste, promuova e sostenga: la vivaistica forestale, la creazione e il rafforzamento di imprese boschive e dell’industria della prima lavorazione del legno attraverso l’incremento del livello tecnologico e digitale delle imprese e la creazione di sistemi di produzione automatizzati lungo la catena produttiva, dai sistemi di classificazione qualitativa, ai sistemi di incollaggio. Dal punto di vista finanziario, la promozione e il sostegno di tali attività è associato alla concessione nel 2024 di contributi a fondo perduto per 15 milioni di euro e finanziamenti a tasso agevolato per 10 milioni di euro, per i quali è autorizzata la spesa di 25 milioni di euro per l’anno 2024.
Ai sensi del comma 4, a tali oneri, pari a 25 milioni di euro per l'anno 2024 e, per la compensazione degli effetti in termini di fabbisogno, a 15 milioni di euro per l'anno 2025 e, in termini di indebitamento netto, a 8 milioni di euro per l'anno 2025, si provvede a valere sul Fondo di cui all’articolo 48 del disegno di legge in esame.
Il comma 2 prevede che con decreto del Ministro delle Imprese e del Made in Italy, di concerto con il Ministro dell'agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste e con il Ministro dell’ambiente e della sicurezza energetica, da adottarsi entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore del disegno di legge in esame, sono:
§ individuati i soggetti beneficiari,
§ individuate le modalità di attuazione della misura,
§ individuato il soggetto incaricato della relativa gestione (con oneri nel limite dell’1,5 per cento delle risorse destinate all’attuazione della misura).
Il comma 3 dell’articolo in esame modifica l’art. 149 del decreto legislativo n. 42 del 2004 (Codice dei beni culturali e del paesaggio) con l’obiettivo di razionalizzare e semplificare il procedimento di autorizzazione per gli interventi selvicolturali, anche in ragione della necessità di sostenere l’autonomia delle industrie del legno nell’approvvigionamento della materia prima. In particolare, con la modifica in esame vengono incluse fra le attività per le quali non è richiesta l’autorizzazione il taglio colturale, la forestazione, la riforestazione, le opere di bonifica, antincendio e di conservazione da eseguirsi nei boschi e nelle foreste indicati dall’articolo 136 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, relativo a immobili ed aree di notevole interesse pubblico.
Qui di seguito, per comodità di lettura, si riporta la modifica in forma di testo a fronte:
Testo vigente
Art. 149 1. Fatta salva l'applicazione dell' articolo 143 , comma 4, lettera a), non è comunque richiesta l'autorizzazione prescritta dall'articolo 146, dall'articolo 147 e dall' articolo 159: a) per gli interventi di manutenzione ordinaria, straordinaria, di consolidamento statico e di restauro conservativo che non alterino lo stato dei luoghi e l'aspetto esteriore degli edifici; b) per gli interventi inerenti l'esercizio dell'attività agro-silvo-pastorale che non comportino alterazione permanente dello stato dei luoghi con costruzioni edilizie ed altre opere civili, e sempre che si tratti di attività ed opere che non alterino l'assetto idrogeologico del territorio; c) per il taglio colturale, la forestazione, la riforestazione, le opere di bonifica, antincendio e di conservazione da eseguirsi nei boschi e nelle foreste indicati dall'articolo 142, comma 1, lettera g), purché previsti ed autorizzati in base alla normativa in materia. |
Testo modificato
Art. 149 1. Fatta salva l'applicazione dell' articolo 143 , comma 4, lettera a), non è comunque richiesta l'autorizzazione prescritta dall'articolo 146, dall'articolo 147 e dall' articolo 159: a) per gli interventi di manutenzione ordinaria, straordinaria, di consolidamento statico e di restauro conservativo che non alterino lo stato dei luoghi e l'aspetto esteriore degli edifici; b) per gli interventi inerenti l'esercizio dell'attività agro-silvo-pastorale che non comportino alterazione permanente dello stato dei luoghi con costruzioni edilizie ed altre opere civili, e sempre che si tratti di attività ed opere che non alterino l'assetto idrogeologico del territorio; c) per il taglio colturale, la forestazione, la riforestazione, le opere di bonifica, antincendio e di conservazione da eseguirsi nei boschi e nelle foreste indicati agli articoli 136 e 142, comma 1, lettera g), purché previsti ed autorizzati in base alla normativa in materia. |
L’articolo 149, comma 1, del Codice dei beni culturali e del paesaggio prevede che non vengano comunque richieste le autorizzazioni prescritte dall'articolo 146, dall'articolo 147 e dall'articolo 159:
a) per gli interventi di manutenzione ordinaria, straordinaria, di consolidamento statico e di restauro conservativo che non alterino lo stato dei luoghi e l'aspetto esteriore degli edifici;
b) per gli interventi inerenti all'esercizio dell'attività agro-silvo-pastorale che non comportino alterazione permanente dello stato dei luoghi con costruzioni edilizie ed altre opere civili, e sempre che si tratti di attività ed opere che non alterino l'assetto idrogeologico del territorio;
c) per il taglio colturale, la forestazione, la riforestazione, le opere di bonifica, antincendio e di conservazione da eseguirsi nei boschi e nelle foreste indicati dall'articolo 142, comma 1, lettera g), purché previsti ed autorizzati in base alla normativa in materia. Con la modifica in esame, che incide su tale lettera a scopo – come detto – di razionalizzazione e semplificazione, vengono inclusi nell’ambito degli interventi non soggetti ad autorizzazione anche quelli realizzati negli immobili e nelle aree di notevole interesse pubblico elencate dall’articolo 136, ovvero:
a) le cose immobili che hanno cospicui caratteri di bellezza naturale, singolarità geologica o memoria storica, ivi compresi gli alberi monumentali;
b) le ville, i giardini e i parchi, non tutelati dalle disposizioni della Parte seconda del presente codice, che si distinguono per la loro non comune bellezza;
c) i complessi di cose immobili che compongono un caratteristico aspetto avente valore estetico e tradizionale, inclusi i centri ed i nuclei storici;
d) le bellezze panoramiche e così pure quei punti di vista o di belvedere, accessibili al pubblico, dai quali si goda lo spettacolo di quelle bellezze.
Con riferimento alle altre disposizioni richiamate nella disciplina oggetto di modifica, non incise dal presente intervento ma utili da menzionare per comodità di lettura, si ricorda che l’articolo 142 elenca le aree tutelate per legge, tra le quali, alla lettera g), i territori coperti da foreste e da boschi, ancorché percorsi o danneggiati dal fuoco, e quelli sottoposti a vincolo di rimboschimento.
La previsione che esclude le autorizzazioni prescritte dagli articoli 146, 147 e 149, fa salva l'applicazione dell'articolo 143, comma 4, lettera a) ai sensi del quale, nell’ambito della pianificazione paesaggistica, possono essere individuate aree tutelate per legge e non interessate da specifici procedimenti o provvedimenti ai sensi degli articoli 136, 138, 139, 140, 141 e 157, nelle quali la realizzazione di interventi può avvenire previo accertamento, nell'ambito del procedimento ordinato al rilascio del titolo edilizio, della conformità degli interventi medesimi alle previsioni del piano paesaggistico e dello strumento urbanistico comunale.
L’articolo 146 stabilisce che i proprietari, possessori o detentori a qualsiasi titolo di immobili ed aree di interesse paesaggistico, tutelati dalla legge, a termini dell'articolo 142, o in base alla legge, a termini degli articoli 136, 143, comma 1, lettera d), e 157, non possono distruggerli, né introdurvi modificazioni che rechino pregiudizio ai valori paesaggistici oggetto di protezione; essi hanno invece l’obbligo di presentare alle amministrazioni competenti il progetto degli interventi che intendano intraprendere, corredato della prescritta documentazione, ed astenersi dall'avviare i lavori fino a quando non ne abbiano ottenuta l'autorizzazione.
L’articolo 147 stabilisce che, qualora la richiesta di autorizzazione prevista dall'articolo 146 riguardi opere da eseguirsi da parte di amministrazioni statali, ivi compresi gli alloggi di servizio per il personale militare, l'autorizzazione viene rilasciata in esito ad una conferenza di servizi indetta ai sensi delle vigenti disposizioni di legge in materia di procedimento amministrativo.
L’articolo 159 citato dall’articolo 149 riguarda il regime transitorio in materia di autorizzazione paesaggistica valido fino al 31 dicembre 2009.
Articolo 8
(Valorizzazione della filiera delle fibre tessili naturali e provenienti da processi di riciclo)
L’articolo 8 prevede che il Ministero delle Imprese e del Made in Italy (MIMIT) promuova e sostenga gli investimenti, sul territorio nazionale, la ricerca, la sperimentazione e l’innovazione dei processi di produzione di fibre di origine naturale, nonché provenienti da processi di riciclo, con particolare attenzione alla certificazione della loro sostenibilità.
Il comma 1 dell’articolo in esame prevede che il Ministero delle Imprese e del Made in Italy (MIMIT), in coordinamento con il Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica, promuova e sostenga:
§ gli investimenti, sul territorio nazionale, la ricerca, la sperimentazione e l’innovazione dei processi di produzione di fibre di origine naturale, nonché provenienti da processi di riciclo, con particolare attenzione alla certificazione della loro sostenibilità.
Per la promozione e il sostegno di tali attività, in linea con i principi di sviluppo sostenibile e nell’obiettivo di un accrescimento dell’autonomia di approvvigionamento delle materie prime nell’industria, è autorizzata la spesa di 15 milioni di euro per l’anno 2024.
Il successivo comma 2 prevede che con decreto del Ministro delle Imprese e del Made in Italy, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, da adottare entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore del disegno di legge in esame, sono individuati:
§ le imprese beneficiarie beneficiari,
§ le modalità di attuazione della misura,
§ il soggetto in-house incaricato della relativa gestione (con oneri nel limite dell’1,5 per cento delle risorse destinate all’attuazione della misura).
Agli oneri di cui al comma 1, pari a 15 milioni di euro per l’anno 2024 e, per la compensazione degli effetti in termini di fabbisogno, a 10 milioni di euro per l’anno 2025 e in termini di indebitamento netto, a 5 milioni di euro per l’anno 2025, si provvede ai sensi dell’articolo 48.
Il comma 4 prevede infine che le misure di sostegno suindicate siano concesse nei limiti e alle condizioni di cui alla normativa europea e nazionale in materia di aiuti di Stato.
Articolo 9
(Misure di semplificazione per la filiera della nautica)
L’articolo 9 prevede una misura di semplificazione per la nautica da diporto, disponendo la riduzione del termine da 60 a 7 giorni per il rilascio dell’iscrizione provvisoria di navi o imbarcazioni da diporto.
In dettaglio, il comma 1 dell’articolo 9, novella l’articolo 58 del codice della nautica da diporto (decreto legislativo 18 luglio 2005, n. 171), inserendo un nuovo comma 1-ter in base al quale il termine, previsto al comma 1 per la conclusione dei procedimenti amministrativi relativi alle unità da diporto, viene ridotto a sette giorni per l’iscrizione provvisoria di navi o imbarcazioni da diporto presso lo Sportello telematico del diportista (STED), che è disciplinata dall’articolo 20 del Codice stesso.
Tale termine ridotto di sette giorni si applica pertanto per l’iscrizione provvisoria delle imbarcazioni da diporto, cioè le unità con scafo compreso tra 10 e 24 metri e per le navi da diporto, cioè le unità con scafo superiore a 24 metri.
Il richiamato art. 58 del Codice della nautica da diporto è relativo alla durata dei procedimenti e dispone, al comma 1, che i procedimenti amministrativi relativi alle unità da diporto debbano essere portati a termine entro sessanta giorni dalla data di presentazione della documentazione prescritta, e al comma 1-bis che il termine di cui al comma 1 sia ridotto a sette giorni in caso di richiesta di estratto dai registri o copie di documenti.
Si ricorda che in base al richiamato articolo 20 del Codice, l’iscrizione provvisoria consente l'assegnazione di un numero di immatricolazione e determina l'iscrizione dell'unità condizionata alla successiva presentazione del titolo di proprietà, da effettuare a cura dell'intestatario della fattura entro e non oltre sei mesi dalla data dell'assegnazione. Contestualmente all'iscrizione sono rilasciati la licenza provvisoria di navigazione, il certificato di sicurezza e il ruolino di equipaggio.
Si ricorda altresì che il termine per la conclusione di tutti i procedimenti amministrativi per le unità da diporto, è stato recentemente fissato in 60 giorni, ad opera dell’articolo 9, comma 9, lett. c) del decreto-legge n. 68 del 2022 (convertito dalla legge 5 agosto 2022, n. 108), mentre in precedenza il termine era fissato in 20 giorni.
Il comma 2 indica le modalità di copertura degli oneri derivanti dalla disposizione in esame.
Articolo 10
(Disposizioni in materia di approvvigionamento di materie
prime critiche della filiera della ceramica)
L’articolo 10 prevede l’individuazione con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministero delle imprese e del Made in Italy, delle aree di interesse strategico nazionale in relazione alle quali consentire, ai fini del rilascio degli atti concessori o autorizzativi utili ad aumentare la produzione di materie prime critiche della filiera della ceramica, l’esercizio di poteri sostitutivi, in caso di inerzia degli organi competenti, da parte del Ministero delle imprese e del Made in Italy o, nel caso di atti di competenza di enti territoriali, da parte di un soggetto individuato dal Consiglio dei Ministri.
L’articolo 13 reca misure finalizzate a consentire l’urgente approvvigionamento delle materie critiche necessarie alla filiera della ceramica, anche in conseguenza della crisi internazionale in Ucraina.
In particolare, il comma 1 prevede, a tal fine, l’individuazione con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministero delle imprese e del Made in Italy, di concerto con il Ministro dell’ambiente e della sicurezza energetica, sentita la Conferenza Stato-Regioni, delle aree di interesse strategico nazionale in relazione alle quali applicare le disposizioni procedimentali di semplificazione e i poteri sostitutivi di cui ai commi successivi.
Nel corso dell’indagine conoscitiva condotta dalla Commissione X Attività produttive della Camera dei deputati sul “Made in Italy: valorizzazione e sviluppo dell’impresa italiana nei suoi diversi ambiti produttivi”, è stato ricordato che il 90 per cento dei minerali utilizzati dal settore ceramico è costituito da argille, caolino e feldspato. Nel 2021, riportavano i rappresentanti di categoria del settore, circa 2 milioni di tonnellate di argille su un totale di 3 milioni di tonnellate impiegate dall’industria italiana di piastrelle ceramiche provenivano dall’Ucraina. A seguito della interruzione di questa catena di approvvigionamento, determinato dal conflitto in Ucraina, le imprese italiane si sono attivate per ricercare flussi alternativi di materie prime e consolidare quelle esistenti, concentrandosi anche sui giacimenti di materiali di interesse per la produzione ceramica presenti in Italia. Il documento conclusivo, approvato dalla Commissione X, evidenziava, pertanto, più latamente, come le difficoltà di approvvigionamento di alcune materie prime possano essere fronteggiate attraverso l’aumento della produzione nazionale, valutando misure di semplificazione amministrativa.
Il comma 2 reca, dunque, le disposizioni di semplificazione e disciplina l’esercizio di poteri sostitutivi ai fini del rilascio degli atti concessori o autorizzativi utili ad aumentare la produzione di materie prime critiche impiegate nella filiera della ceramica.
Dispone, in particolare, in caso di inerzia degli organi competenti al rilascio di tali atti, che il Ministero delle imprese e del Made in Italy, attraverso l’Unità di missione attrazione e sblocco degli investimenti, trasmetta una diffida a provvedere entro quindi giorni.
L’Unità di missione attrazione e sblocco degli investimenti di cui all’articolo 30, comma 1-bis del D.L. n. 50/2022, è stata istituita dall’articolo 14, comma 1 del D.L. n. 44/2023, in sostituzione della struttura di supporto precedentemente prevista dall’articolo 10 del D.L. n. 173/2022, per le finalità di cui all’articolo 30 del D.L. n. 50/2022. L’articolo 30 del D.L. n. 50/2022 prevede, nei procedimenti aventi ad oggetto investimenti per il sistema produttivo nazionale di valore superiore a 25 milioni di euro e con significative ricadute occupazionali, in caso di inerzia o ritardo ascrivibili a soggetti diversi dagli enti territoriali, l’esercizio di poteri sostitutivi da parte del Ministero delle imprese e del made in Italy, su istanza dell’impresa, dell’ente o dell’amministrazione interessata, previa assegnazione di un termine per provvedere non superiore a trenta giorni. L’Unità di missione svolge compiti istruttori anche per l’attuazione dell’articolo 25 del D.L. n. 50/2022, che ha istituito un fondo per il potenziamento dell’attività di attrazione degli investimenti esteri, con dotazione annua di 5 milioni di euro, per la realizzazione di iniziative volte alla ricognizione di potenziali investitori strategici esteri, per favorire l’avvio, la crescita ovvero la ricollocazione nel territorio nazionale di insediamenti produttivi, nonché l’elaborazione di proposte di investimento strutturate, comprensive di tutti gli elementi utili ad un’approfondita valutazione delle opportunità prospettate, in relazione alle diverse tipologie di investitori. A tal fine - e per garantire il supporto tecnico-operativo al Comitato interministeriale per l’attrazione degli investimenti esteri – ha costituito una segreteria tecnica. Quest’ultima e l’Unità di missione attrazione e sblocco degli investimenti sono coordinate dal medesimo dirigente di livello generale.
In caso di perdurante inerzia, su proposta del Ministero delle imprese e del Made in Italy, sentito il soggetto competente anche al fine di individuare tutte le cause di detta inerzia, il Consiglio dei ministri, individua l’amministrazione, l’ente, l’organo o l’ufficio, o in alternativa nomina uno o più commissari ad acta, a titolo gratuito, ai quali attribuisce, in via sostitutiva, il potere di adottare tutti gli atti o provvedimenti necessari ovvero di provvedere all’esecuzione dei progetti e degli interventi. Ciò, si precisa, anche avvalendosi di società a partecipazione pubblica o di altre amministrazioni specificamente indicate, assicurando, ove necessario, il coordinamento operativo tra le varie amministrazioni, enti o organi coinvolti.
In caso l’inerzia o ritardo ascrivibile a un soggetto diverso dalle regioni e dagli enti locali, il Ministro delle imprese e del made in Italy è direttamente competente all’esercizio dei poteri sostitutivi, applicandosi il comma 3 dell’art. 12 del DL 77/2021.
L’articolo 12 del D.L. n. 77/2021 reca una disciplina speciale dei poteri sostitutivi esercitabili in caso di mancata adozione di atti e provvedimenti necessari all’avvio dei progetti del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, ovvero in caso di ritardo, inerzia o difformità nell’esecuzione dei progetti o degli interventi. Al comma 3, prevede, in caso di inadempimento, ritardo, inerzia o difformità ascrivibile ad un soggetto diverso dalle regioni o dagli enti locali, l’assegnazione di un termine a provvedere non superiore a quindici giorni e l’esercizio di poteri sostitutivi da parte del Ministro competente.
Il comma 3 prevede che tali disposizioni si applichino per ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore della legge.
Il comma 4, infine, reca una clausola di invarianza finanziaria, affinché le amministrazioni interessate provvedano all’attuazione delle disposizioni sopra commentate nei limiti delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente e, comunque, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.
Articolo 11
(Disposizioni sull’approvvigionamento di forniture di qualità
per le amministrazioni pubbliche)
L’articolo 11 prevede l’adozione, da parte del Ministro delle imprese e del made in Italy, di linee guida volte a stabilire criteri per la misurazione del livello qualitativo dei prodotti, compresi gli aspetti relativi alla sostenibilità, da valutare da parte delle stazioni appaltanti. Viene altresì disposto che il livello di ottemperanza a tali parametri qualitativi può essere considerato dalla stazione appaltante, per ciascuna delle voci merceologiche che compongono l’offerta, tra i criteri di valutazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa.
Il comma 1 dell’articolo in esame prevede l’adozione di linee guida volte a stabilire criteri per la misurazione del livello qualitativo dei prodotti, compresi gli aspetti relativi alla sostenibilità, da valutare da parte delle stazioni appaltanti, anche sulla base del rispetto da parte delle imprese degli obblighi in materia ambientale, sociale e del lavoro stabiliti dalla normativa europea e nazionale, dai contratti collettivi e dalle disposizioni internazionali di diritto del lavoro indicate nell’allegato X alla direttiva 2014/24/UE[3], tenendo conto altresì di quanto previsto dall’art. 57, comma 2, del D.Lgs. 36/2023 (Codice dei contratti pubblici).
L’art. 57, comma 2, del Codice dei contratti pubblici, dispone, in particolare, che le stazioni appaltanti e gli enti concedenti contribuiscono al conseguimento degli obiettivi ambientali previsti dal Piano d’azione per la sostenibilità ambientale dei consumi nel settore della pubblica amministrazione attraverso l’inserimento, nella documentazione progettuale e di gara, almeno delle specifiche tecniche e delle clausole contrattuali contenute nei criteri ambientali minimi (CAM), definiti per specifiche categorie di appalti e concessioni, differenziati, ove tecnicamente opportuno, anche in base al valore dell’appalto o della concessione, con decreto del Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica e conformemente, in riferimento all’acquisto di prodotti e servizi nei settori della ristorazione collettiva e fornitura di derrate alimentari, anche a quanto specificamente previsto dalla relativa disciplina (contenuta nell’art. 130 del Codice). Lo stesso comma dispone che tali criteri, in particolare quelli premianti, sono tenuti in considerazione anche ai fini della stesura dei documenti di gara per l’applicazione del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa (OEPV). Viene altresì previsto che, nel caso di contratti relativi alle categorie di appalto riferite agli interventi di ristrutturazione, inclusi quelli comportanti demolizione e ricostruzione, i CAM minimi sono tenuti in considerazione, per quanto possibile, in funzione della tipologia di intervento e della localizzazione delle opere da realizzare, sulla base di adeguati criteri definiti dal Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica (MASE).
Come evidenziato nella sezione “CAM vigenti” del sito web del MASE, i citati CAM “sono i requisiti ambientali definiti per le varie fasi del processo di acquisto, volti a individuare la soluzione progettuale, il prodotto o il servizio migliore sotto il profilo ambientale lungo il ciclo di vita, tenuto conto della disponibilità di mercato. I CAM sono definiti nell’ambito di quanto stabilito dal Piano per la sostenibilità ambientale dei consumi del settore della pubblica amministrazione e sono adottati con Decreto del Ministro. La loro applicazione sistematica ed omogenea consente di diffondere le tecnologie ambientali e i prodotti ambientalmente preferibili e produce un effetto leva sul mercato, inducendo gli operatori economici meno virtuosi a investire in innovazione e buone pratiche per rispondere alle richieste della pubblica amministrazione in tema di acquisti sostenibili”. Nella stessa sezione sono disponibili i testi di tutti i CAM adottati e attualmente in vigore.
Si ricorda inoltre che nella Gazzetta ufficiale del 19 agosto 2023 è stato pubblicato il D.M. Ambiente 3 agosto 2023 di approvazione del Piano d’azione nazionale per la sostenibilità ambientale dei consumi nel settore della pubblica amministrazione 2023.
In relazione alle modalità di adozione delle linee guida in questione, il comma in esame prevede che le stesse siano adottate dal Ministro delle imprese e del made in Italy, di concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti e con il Ministro dell’ambiente e della sicurezza energetica, sentita la Conferenza unificata e previa consultazione delle associazioni di categoria maggiormente rappresentative.
Lo stesso comma indica, quale finalità della disposizione in esame, quella di valorizzare e tutelare la qualità dei prodotti italiani ed europei e di promuovere l’effettiva partecipazione delle micro, piccole e medie imprese, anche di prossimità, alle procedure di affidamento degli appalti pubblici.
In base al comma 2, nei contratti di fornitura, il livello di ottemperanza ai parametri qualitativi previsti dalle linee guida succitate, nel rispetto dei princìpi di proporzionalità e non discriminazione, può essere considerato dalla stazione appaltante, per ciascuna delle voci merceologiche che compongono l’offerta, tra i criteri di valutazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa di cui all’art. 108, comma 4, del Codice dei contratti pubblici.
L’art. 108, comma 4, del Codice dei contratti pubblici (D. Lgs. n. 36/2023), dispone che i documenti di gara stabiliscono i criteri di aggiudicazione dell’offerta, pertinenti alla natura, all’oggetto e alle caratteristiche del contratto. In particolare, lo stesso comma dispone che l’offerta economicamente più vantaggiosa (OEPV), individuata sulla base del miglior rapporto qualità/prezzo, è valutata sulla base di criteri oggettivi, quali gli aspetti qualitativi, ambientali o sociali, connessi all’oggetto dell’appalto. Viene inoltre previsto che la stazione appaltante, al fine di assicurare l’effettiva individuazione del miglior rapporto qualità/prezzo, valorizza gli elementi qualitativi dell’offerta e individua criteri tali da garantire un confronto concorrenziale effettivo sui profili tecnici. Specifiche disposizioni sono dettate per l’approvvigionamento di beni e servizi informatici.
Articolo 12
(Misure per la corretta informazione del consumatore
sulle fasi di produzione della pasta)
L’articolo 12 istituisce - presso il Ministero delle imprese e del made in Italy - una Commissione tecnica avente la finalità di effettuare indagini, approfondimenti tecnici e redigere linee guida che identificano le lavorazioni di particolare qualità nell’ambito del processo produttivo della pasta di semola di grano duro.
Nel dettaglio, il comma 1 istituisce - presso il Ministero delle imprese e del made in Italy - una Commissione tecnica con il compito di effettuare indagini, approfondimenti tecnici e redigere linee guida che identificano le lavorazioni di particolare qualità nell’ambito del processo produttivo della pasta di semola di grano duro di cui all’art. 6 del Decreto del Presidente della Repubblica 9 febbraio 2001, n. 187; ciò anche al fine di consentire ai produttori di fornire una corretta informazione ai consumatori nell’etichettatura di tale alimento.
La suddetta commissione è composta: da un rappresentante del predetto Ministero delle imprese e del made in Italy, da un rappresentante del Ministero dell’Agricoltura e della sovranità alimentare; da uno del Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica, da uno del Ministero della salute, nonché da un esperto designato da ciascuna associazione di categoria maggiormente rappresentativa del comparto.
Il DPR n. 187 del 2001 reca disposizioni in materia di produzione e commercializzazione di sfarinati e paste alimentari, a norma dell’articolo 50 della L. n. 146 del 1994, modificato, più di recente dal DPR n. 41 del 2013. L’art. 6 del D.P.R. n. 187 del 2001, specifica, in particolare, che sono denominati «pasta di semola di grano duro» e«pasta di semolato di grano duro» i prodotti ottenuti dalla trafilazione, laminazione e conseguente essiccamento di impasti preparati rispettivamente ed esclusivamente con semola o semolato di grano duro ed acqua. É poi specificato che per “pasta di semola integrale di grano duro” si intende il prodotto ottenuto dalla trafilazione, laminazione e conseguente essiccamento di impasto preparato esclusivamente con semola integrale di grano duro ed acqua. E’ stabilito che per la fabbricazione della pasta secca è vietato l’utilizzo di sfarinati di grano tenero fatte salve alcune ipotesi (paste destinate alla commercializzazione verso altri Paesi dell’Unione europea o verso gli altri Paesi contraenti l’accordo sullo spazio economico europeo, nonché destinate all’esportazione). Sono, inoltre, definite le corrette denominazioni di vendita che devono essere apposte per la commercializzazione in Italia di pasta prodotta in altri Paesi in tutto o in parte con sfarinati di grano tenero.
Un aspetto fondamentale della tutela della qualità di un alimento è costituito dalla disciplina dell’etichettatura dello stesso prodotto alimentare e dalle conseguenti informazioni ai consumatori; essa è regolamentata da diverse fonti di derivazione europea e nazionale. A livello europeo una delle principali fonti normative è costituita dal Regolamento (UE) n. 1169/2011, relativo alle informazioni sugli alimenti ai consumatori. L’art. 9 del suddetto regolamento contiene l’elenco delle indicazioni obbligatorie da riportare negli alimenti tra i quali si ricordano, in particolare, la denominazione dell’alimento (art. 17) e l’elenco degli ingredienti (art. 18). Quanto alla denominazione l’art. 17 stabilisce che la denominazione di un alimento è la sua denominazione legale o, in mancanza di essa, quella usuale. L’Allegato IV al suddetto Regolamento indica poi le indicazioni obbligatorie che devono accompagnare la denominazione dell’alimento. Con il successivo Regolamento di esecuzione UE n. 2018/775, in vigore a decorrere dal 1° aprile 2020, sono state dettate specifiche disposizioni applicative dell’art. 26, paragrafo 3, del suddetto Regolamento UE n. 1169 del 2011 relative all’indicazione del Paese di origine o del luogo di provenienza dell’ingrediente primario di un alimento, quando non sia lo stesso di quello indicato per l’alimento per il quale risulta obbligatoria l’indicazione di origine.
A livello nazionale, la legge n. 4 del 3 febbraio 2011, recante “Disposizioni in materia di etichettatura e di qualità dei prodotti alimentari”, poi modificata dall’art. 3-bis del decreto legge n. 135 del 2018, convertito, con modificazioni, dalla legge di 11 febbraio 2019 n. 12, ha disposto l’obbligo agli art. 4 e 5 per i prodotti alimentari commercializzati, trasformati parzialmente trasformati o non trasformati di riportare nell’etichetta anche l’indicazione del luogo di origine o di provenienza
Per quanto riguarda la pasta, si ricorda, inoltre, che al fine di garantire ai consumatori un’informazione completa e trasparente volta a consentire una scelta consapevole nell’acquisto di tale prodotto è stato emanato il DM 26 luglio 2017 che ha introdotto l’obbligo di indicare in etichetta il Paese di coltivazione del grano duro e il Paese in cui è stata ottenuta la semola (Paese di molinatura).
Il comma 2 specifica, infine, che per la partecipazione alla Commissione non spettano compensi, gettoni di presenza, rimborsi di spesa o altri emolumenti comunque denominati.
Articolo 13
(Liceo del made in Italy)
L’articolo 13, comma 1, introduce l’opzione «made in Italy» nell’ambito dell’articolazione del sistema dei licei, al fine di promuovere, in vista dell’allineamento tra la domanda e l’offerta di lavoro, le conoscenze, le abilità e le competenze connesse al made in Italy. Il comma 2 prevede l’emanazione di un regolamento governativo, su proposta del Ministro dell’istruzione e del merito e acquisito il parere della Conferenza unificata, con cui provvedere alla disciplina dell’opzione «made in Italy», sulla base di una serie di criteri.
Il comma 3 dispone che il suddetto regolamento sia adottato nei limiti delle risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente e nel rispetto dei princìpi dell’autonomia delle istituzioni scolastiche nonché dei più ampi spazi di flessibilità per l’adeguamento dell’offerta formativa alla vocazione economica e culturale del territorio. Il comma 4 dispone infine, a partire dalle classi prime funzionanti nell’a.s. 2024/2025, la confluenza dell’opzione economico-sociale del percorso del liceo delle scienze umane, subordinatamente alla sussistenza delle risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente, nell’opzione «made in Italy», ferma restando, per le classi successive alla prima, la prosecuzione, ad esaurimento, dell’opzione economico-sociale, senza determinare situazioni di esubero di personale e senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.
Più in particolare, l’articolo 13, comma 1, introduce l’opzione «made in Italy» nell’ambito dell’articolazione del sistema dei licei, di cui all’articolo 3 del regolamento recante revisione dell’assetto ordinamentale, organizzativo e didattico dei licei (DPR n. 89/2010), al fine di promuovere, in vista dell’allineamento tra la domanda e l’offerta di lavoro, le conoscenze, le abilità e le competenze connesse al made in Italy.
Secondo la disposizione citata, il sistema dei licei comprende i licei artistico, classico, linguistico, musicale e coreutico, scientifico e delle scienze umane.
Il comma 2 prevede l’emanazione, entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore del provvedimento in esame, di un regolamento di delegificazione (ai sensi dell’articolo 17, comma 2, della L. n. 400/1988), su proposta del Ministro dell’istruzione e del merito e acquisito il parere della Conferenza unificata, con il quale si provvede alla disciplina dell’opzione «made in Italy», mediante integrazione del DPR n. 89/2010, secondo i seguenti criteri:
a) prevedere che, a conclusione del percorso di studio dell’opzione «made in Italy», gli studenti, oltre a raggiungere i risultati di apprendimento comuni a tutti i licei, conseguano i seguenti risultati di apprendimento specifici: 1) acquisire conoscenze, abilità e competenze approfondite nelle scienze economiche e giuridiche, all’interno di un quadro culturale che, riservando attenzione anche alle scienze matematiche, fisiche e naturali, consenta di cogliere le intersezioni tra i saperi; 2) sviluppare, sulla base della conoscenza dei significati, dei metodi e delle categorie interpretative che caratterizzano le scienze economiche e giuridiche, competenze imprenditoriali idonee alla promozione e alla valorizzazione degli specifici settori produttivi del made in Italy; 3) possedere gli strumenti necessari per la ricerca e per l’analisi degli scenari storico-geografici e artistici e delle interdipendenze tra fenomeni internazionali, nazionali e locali, con riferimento all’origine e allo sviluppo degli specifici settori produttivi del made in Italy; 4) acquisire, in due lingue straniere moderne, strutture, modalità e competenze comunicative corrispondenti al livello B2 del quadro comune europeo di riferimento per la prima lingua e al livello B1 del quadro comune europeo di riferimento per la seconda lingua;
b) prevedere misure di supporto allo sviluppo dei processi di internazionalizzazione anche attraverso il potenziamento dell’apprendimento integrato dei contenuti delle attività formative programmate in una lingua straniera veicolare, senza oneri aggiuntivi a carico della finanza pubblica e ferma restando la possibilità di ricevere finanziamenti da soggetti pubblici e privati;
c) prevedere il rafforzamento dei percorsi per le competenze trasversali e per l’orientamento attraverso la connessione con il tessuto socio-economico produttivo di riferimento, favorendo la laboratorialità, l’innovazione e l’apporto formativo delle imprese e degli enti del territorio;
d) acquisire e approfondire, specializzandole progressivamente, le competenze, le abilità e le conoscenze connesse agli specifici settori produttivi del made in Italy, in funzione di un rapido accesso al lavoro, attraverso il potenziamento dei percorsi di apprendistato ai sensi dell’articolo 43 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81;
e) prevedere l’acquisizione, nell’ambito dell’opzione «made in Italy», di specifiche competenze, abilità e conoscenze riguardanti: 1) princìpi e strumenti per la gestione d’impresa; 2) tecniche e strategie di mercato per le imprese del made in Italy; 3) strumenti per il supporto e lo sviluppo dei processi produttivi e organizzativi delle imprese del made in Italy; 4) strumenti di sostegno all’internalizzazione delle imprese dei settori del made in Italy e delle relative filiere.
Per quanto riguarda il liceo delle scienze umane, l’allegato A del DPR n. 89/2010 stabilisce che “Il percorso del liceo delle scienze umane è indirizzato allo studio delle teorie esplicative dei fenomeni collegati alla costruzione dell’identità personale e delle relazioni umane e sociali. Guida lo studente ad approfondire e a sviluppare le conoscenze e le abilità e a maturare le competenze necessarie per cogliere la complessità e la specificità dei processi formativi. Assicura la padronanza dei linguaggi, delle metodologie e delle tecniche di indagine nel campo delle scienze umane” (art. 9 comma 1).
Gli studenti, a conclusione del percorso di studio, oltre a raggiungere i risultati di apprendimento comuni, dovranno: aver acquisito le conoscenze dei principali campi d’indagine delle scienze umane mediante gli apporti specifici e interdisciplinari della cultura pedagogica, psicologica e socio-antropologica; aver raggiunto, attraverso la lettura e lo studio diretto di opere e di autori significativi del passato e contemporanei, la conoscenza delle principali tipologie educative, relazionali e sociali proprie della cultura occidentale e il ruolo da esse svolto nella costruzione della civiltà europea; saper identificare i modelli teorici e politici di convivenza, le loro ragioni storiche, filosofiche e sociali, e i rapporti che ne scaturiscono sul piano etico-civile e pedagogico-educativo; saper confrontare teorie e strumenti necessari per comprendere la varietà della realtà sociale, con particolare attenzione ai fenomeni educativi e ai processi formativi, ai luoghi e alle pratiche dell’educazione formale e non formale, ai servizi alla persona, al mondo del lavoro, ai fenomeni interculturali; possedere gli strumenti necessari per utilizzare, in maniera consapevole e critica, le principali metodologie relazionali e comunicative, comprese quelle relative alla media education.
“Nell’ambito della programmazione regionale dell’offerta formativa, può essere attivata l’opzione economico-sociale che fornisce allo studente competenze particolarmente avanzate negli studi afferenti alle scienze giuridiche, economiche e sociali” (art. 9 comma 2)
Gli studenti, a conclusione del percorso di studio, oltre a raggiungere i risultati di apprendimento comuni, dovranno: conoscere i significati, i metodi e le categorie interpretative messe a disposizione delle scienze economiche, giuridiche e sociologiche; comprendere i caratteri dell’economia come scienza delle scelte responsabili sulle risorse di cui l’uomo dispone (fisiche, temporali, territoriali, finanziarie) e del diritto come scienza delle regole di natura giuridica che disciplinano la convivenza sociale; individuare le categorie antropologiche e sociali utili per la comprensione e classificazione dei fenomeni culturali; sviluppare la capacità di misurare, con l’ausilio di adeguati strumenti matematici, statistici e informatici, i fenomeni economici e sociali indispensabili alla verifica empirica dei princìpi teorici; utilizzare le prospettive filosofiche, storico-geografiche e scientifiche nello studio delle interdipendenze tra i fenomeni internazionali, nazionali, locali e personali;
saper identificare il legame esistente fra i fenomeni culturali, economici e sociali e le istituzioni politiche sia in relazione alla dimensione nazionale ed europea sia a quella globale; avere acquisito in una seconda lingua moderna strutture, modalità e competenze comunicative corrispondenti almeno al Livello B1 del Quadro Comune Europeo di Riferimento.
Il comma 3 specifica che il regolamento di delegificazione previsto dal comma 2 è “adottato” nei limiti delle risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente e nel rispetto dei princìpi dell’autonomia delle istituzioni scolastiche nonché dei più ampi spazi di flessibilità per l’adeguamento dell’offerta formativa alla vocazione economica e culturale del territorio.
Il medesimo regolamento dispone l’integrazione degli allegati al DPR n. 89/2010, in coerenza con i criteri indicati al comma 2 del presente articolo.
In sintesi, essi definiscono il profilo culturale, educativo e professionale dei Licei (All. A); i piani di studio dei licei e dei relativi indirizzi od opzioni (All. B–G); gli insegnamenti attivabili sulla base del POF nei limiti del contingente di organico assegnato all’istituzione scolastica per gli approfondimenti nelle discipline obbligatorie (All. H); la tabella di confluenza dei percorsi di istruzione secondaria superiore previsti dall’ordinamento previgente nei percorsi liceali del nuovo ordinamento (All. I); la tabella di corrispondenza dei titoli di studio in uscita dai percorsi di istruzione secondaria di secondo grado dell’ordinamento previgente con i titoli di studio in uscita dai percorsi liceali del nuovo ordinamento (All. L).
Il comma 4 dispone che, a partire dalle classi prime funzionanti nell’a.s. 2024/2025, l’opzione economico-sociale del percorso del liceo delle scienze umane (prevista dall’articolo 9, comma 2, del DPR n. 89/2010), confluisce, subordinatamente alla sussistenza delle risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente, nell’opzione «made in Italy», ferma restando, per le classi successive alla prima, la prosecuzione, ad esaurimento, dell’opzione economico-sociale, senza determinare situazioni di esubero di personale e senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica. Esso abroga infine il comma 2 dell’articolo 9 del DPR n. 89/2010, con effetto dalla data di entrata in vigore del regolamento di delegificazione la cui emanazione è prevista dal comma 2.
Si ricorda in proposito che, secondo l’articolo 9, comma 1, del DPR 89/2010, il percorso del liceo delle scienze umane è indirizzato allo studio delle teorie esplicative dei fenomeni collegati alla costruzione dell’identità personale e delle relazioni umane e sociali. Esso guida lo studente ad approfondire ed a sviluppare le conoscenze e le abilità ed a maturare le competenze necessarie per cogliere la complessità e la specificità dei processi formativi. Assicura la padronanza dei linguaggi, delle metodologie e delle tecniche di indagine nel campo delle scienze umane.
In base al comma 2 di cui qui si prevede l’abrogazione, nell’ambito della programmazione regionale dell’offerta formativa, può essere attivata, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, l’opzione economico-sociale che fornisce allo studente competenze particolarmente avanzate negli studi afferenti alle scienze giuridiche, economiche e sociali.
Il comma 3 stabilisce che l’orario annuale delle attività e insegnamenti obbligatori per tutti gli studenti è di 891 ore nel primo biennio, corrispondenti a 27 ore medie settimanali e di 990 nel secondo biennio e nel quinto anno, corrispondenti a 30 ore medie settimanali.
Infine, come già segnalato sopra, il piano degli studi del liceo delle scienze umane e della relativa opzione economico-sociale è definito dall’allegato G al DPR n. 89/2010 (comma 4).
Secondo la RT, che sul punto riprende il Focus "Principali dati della scuola - Avvio anno scolastico 2022/2023". p. 10, il liceo delle scienze umane – opzione economico- sociale, per l’anno scolastico 2022/2023, conta un totale di 75.747 alunni iscritti. Per anno di corso si registra: al 1° anno: 18.465; al 2° anno: 17.253; al 3° anno: 14.618; al 4° anno: 13.344; al 5° anno: 12.067.
Si segnala altresì che la Conferenza unificata, nel proprio parere del 6 settembre 2023 sul provvedimento in esame, ha chiesto l’abrogazione del comma 4 dell’articolo 13 qui in esame, rilevando al riguardo che “Tale modifica permetterebbe di conferire il giusto incardinamento dell’indirizzo Made in Italy quale opzione integrativa dell’offerta educativa e non sostitutiva dei Licei Economico-Sociali” (punto 8).
Articolo 14
(Fondazione «Imprese e competenze per il made in Italy»)
L’articolo 14 dispone la costituzione della Fondazione denominata “Imprese e competenze per il made in Italy”. La Fondazione ha il compito di promuovere il raccordo tra le imprese che rappresentano l’eccellenza del made in Italy e i Licei del made in Italy e lo scopo di diffondere la cultura d’impresa del made in Italy tra gli studenti e favorire iniziative mirate ad un rapido inserimento degli stessi nel mondo del lavoro (comma 1).
Il Ministero delle Imprese e del Made in Italy e il Ministero dell’istruzione e del merito sono membri fondatori della fondazione e ne definiscono gli obiettivi strategici mediante atti di indirizzo (comma 4).
Per la costituzione della fondazione e per il funzionamento della stessa sono autorizzate rispettivamente la spesa in conto capitale di un milione di euro per l’anno 2024 e la spesa di 500 mila euro annui a decorrere dall’anno 2024 (comma 1).
Il patrimonio della Fondazione può essere incrementato da ulteriori apporti dello Stato, nonché dalle risorse provenienti da soggetti pubblici e privati (comma 5).
Inoltre, alla fondazione possono essere concessi in comodato gratuito beni immobili facenti parte del demanio e del patrimonio disponibile e indisponibile dello Stato (comma 6).
La fondazione conferisce ogni anno il premio di “Maestro del made in Italy” a imprenditori che si sono particolarmente distinti per la loro capacità di trasmettere il sapere e le competenze alle nuove generazioni nei settori di eccellenza del made in Italy (comma 2).
Per lo svolgimento dei propri compiti, la Fondazione, con convenzione, può avvalersi di personale messo a disposizione da enti e da altri soggetti pubblici e può avvalersi della collaborazione di esperti e di società di consulenza nazionali ed estere, ovvero di università e di istituti di ricerca (comma 7).
Segnatamente, l’articolo 14, al comma 1, dispone l’istituzione della Fondazione “Imprese e competenze per il made in Italy”, cui conferisce il compito di promuovere il raccordo tra le imprese che rappresentano l’eccellenza del made in Italy e i Licei del made in Italy (in ordine ai quali si rinvia alla scheda relativa all’articolo 13).
La finalità della Fondazione è diffondere la cultura d’impresa del made in Italy tra gli studenti e favorire iniziative mirate ad un inserimento rapido degli stessi studenti nel mondo del lavoro.
A tal fine sono autorizzate la spesa in conto capitale di un milione di euro per l’anno 2024, per la costituzione della fondazione, nonché la spesa di 500 mila euro annui a decorrere dall’anno 2024, per il funzionamento della stessa.
A detti oneri si provvede ai sensi dell’articolo 48, alla cui scheda si rinvia (comma 10).
Il documento conclusivo dell’indagine conoscitiva sul “Made in Italy: valorizzazione e sviluppo dell’impresa italiana nei suoi diversi ambiti produttivi, approvato dalla Commissione attività produttive della Camera dei deputati il 17 maggio 2023, evidenzia quanto segue: “Per migliorare i livelli di integrazione tra Istruzione e sistema formativo e opportunità offerte dal sistema produttivo è auspicabile una più stretta integrazione tra scuola e lavoro(..). La partecipazione delle imprese alla formazione può passare anche attraverso la promozione di centri di formazione interni alle aziende, così anche da creare una nuova classe di giovani con cultura imprenditoriale e conoscenza delle lavorazioni industriali e artigianali, che li renda pronti per l’inserimento nel mondo del lavoro quale che sia il ruolo ricoperto”.
Ai sensi del comma 2, la Fondazione provvede ogni anno a conferire il premio di “Maestro del made in Italy” a imprenditori che si sono particolarmente distinti per la loro capacità di trasmettere il sapere e le competenze alle nuove generazioni nei settori di eccellenza del made in Italy, anche attraverso iniziative formative e di sensibilizzazione dei giovani.
La definizione dei requisiti e le modalità per il riconoscimento del premio è demandata ad un decreto del Ministro delle imprese e del made in Italy, di concerto con il Ministro dell’istruzione e del merito, sentito il Ministro del lavoro e delle politiche sociali.
Ai sensi del comma 3, la Fondazione si correla con gli altri soggetti pubblici e privati che operano nel settore della formazione professionale e del trasferimento tecnologico, in modo da creare sinergie e da mettere a sistema competenze e risorse per creare un ecosistema, a partire dai principali distretti industriali, in cui i licei del made in italy possano sviluppare i progetti formativi in coerenza con le direttrici di sviluppo economico del Paese.
Ai sensi del comma 4, il Ministero delle Imprese e del Made in Italy (MIMIT) ed il Ministero dell’istruzione e del merito sono membri fondatori della fondazione e ne definiscono, d’intesa, gli obiettivi strategici mediante l’adozione di un atto di indirizzo.
Il comma 5 demanda ad un decreto del Ministro delle Imprese e del Made in Italy, da adottare di concerto con il Ministro dell’istruzione e del merito e con il Ministro dell’economia e delle finanze, l’approvazione degli schemi dell’atto costitutivo e dello statuto della fondazione, nel quale sono definite anche le funzioni di vigilanza, sono nominati gli organi sociali, sono determinati i compensi e sono altresì disciplinati i criteri e le modalità per l’adesione di enti pubblici e soggetti privati alla fondazione e per la loro partecipazione alle attività della stessa.
Il patrimonio della fondazione è costituito dall’apporto inziale indicato nel comma 9, il quale prevede che gli apporti al fondo di dotazione e al fondo di gestione della fondazione, pari a un milione di euro per il 2024 e di 500 mila euro annui a decorrere dal 2024, a carico del bilancio dello Stato, siano accreditati su un conto infruttifero, intestato alla fondazione, aperto presso la Tesoreria dello Stato.
Il patrimonio potrà essere incrementato da ulteriori apporti dello Stato, nonché dalle risorse provenienti da soggetti pubblici e privati.
Ai sensi del comma 8, tutti gli atti connessi alle operazioni di costituzione della fondazione e di conferimento e devoluzione alla stessa sono esclusi da ogni tributo e diritto e vengono effettuati in regime di neutralità fiscale.
Il comma 6 consente inoltre che alla fondazione possano essere concessi in comodato gratuito beni immobili facenti parte del demanio e del patrimonio disponibile e indisponibile dello Stato, ferme restando le disposizioni del regolamento concernente i criteri e le modalità di concessione in uso e in locazione dei beni immobili appartenenti allo Stato di cui al D.P.R. n. 296/2005.
L’affidamento in comodato di beni di particolare valore artistico e storico alla fondazione è effettuato dall’amministrazione competente, d’intesa con il Ministro della cultura, fermo restando il relativo regime giuridico dei beni demaniali, previsto dagli articoli 823 e 829, primo comma, del Codice civile.
Ai sensi dell’articolo 823 del Codice Civile, i beni che fanno parte del demanio pubblico sono inalienabili e non possono formare oggetto di diritti a favore di terzi, se non nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi che li riguardano. Spetta all'autorità amministrativa la tutela dei beni che fanno parte del demanio pubblico. Essa ha facoltà sia di procedere in via amministrativa, sia di valersi dei mezzi ordinari a difesa della proprietà e del possesso regolati dal presente codice. L’articolo 829 del Codice Civile prevede, infine, al primo comma che il passaggio dei beni dal demanio pubblico al patrimonio dello Stato dev'essere dichiarato dall'autorità amministrativa. Dell'atto deve essere dato annunzio nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica.
La giurisprudenza della Corte di cassazione e contabile ha evidenziato che “La natura demaniale o patrimoniale del bene pubblico determina l’applicazione dello strumento pubblicistico della concessione, mentre la natura disponibile del bene implica il ricorso a contratti di stampo privatistico (locazione, affitto di azienda, comodato)” (Cass. Civ., V Sez. 31 Agosto 2007, n. 18345, Cons. St., Sez. V, 6 Dicembre 2007 n. 6265, Corte dei Conti, Sez. di Controllo Regione Sardegna, Par. 7 marzo 2008 n. 4).
Si rinvia anche a Sez. contr. reg. Veneto, 25 luglio 2022, n. 109, secondo cui non è precluso a priori, all’amministrazione, la concessione in uso gratuito di propri beni immobiliari, quale forma di sostegno e di contribuzione indiretta nei confronti di attività di pubblico interesse, strumentali alla realizzazione delle proprie finalità istituzionali a vantaggio dei cittadini; tuttavia tale scelta – che ricade nella sfera dell’attività gestionale ed amministrativa di competenza esclusiva dell’ente che, quindi, se ne assume ogni responsabilità – comporta una attenta valutazione comparativa tra i vari interessi in gioco, che dovrà risultare da una chiara ed esaustiva motivazione del provvedimento”.
Ai sensi del comma 7, per lo svolgimento dei propri compiti, la Fondazione, mediante convenzione, può avvalersi di personale, anche di livello dirigenziale messo a disposizione, su richiesta della stessa, secondo le norme previste dai rispettivi ordinamenti, da enti e da altri soggetti individuati ai sensi dell’articolo 1, comma 2, della legge di contabilità nazionale (L. 196/2009).
L’articolo 1, comma 2 della L. n. 196/2009 reca, ai fini della applicazione delle disposizioni in materia di finanza pubblica, una definizione di amministrazioni pubbliche, per tali intendendosi, a decorrere dall'anno 2012, gli enti e i soggetti indicati nell’elenco predisposto a fini statistici dall’ISTAT degli enti e dei soggetti del conto economico consolidato della PA, pubblicato il 30 settembre di ogni anno (qui il Comunicato 30 settembre 2022), redatto sulla base delle definizioni di cui agli specifici regolamenti dell'Unione europea, le Autorità indipendenti e, comunque, le amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, co. 2, D.lgs. n. 165/2001.
La Fondazione può avvalersi, inoltre, della collaborazione di esperti e di società di consulenza nazionali ed estere, ovvero di università e di istituti di ricerca.
Per quanto non disposto dai commi da 1 a 6 e dal decreto ministeriale attuativo previsto dal comma 3, la Fondazione – precisa il comma 8 – è regolata dal codice civile.
Articolo 15
(Istituzione dell’Esposizione nazionale
permanente del made in Italy)
L’articolo 15 istituisce l’Esposizione nazionale permanente del made in Italy, affidandone la cura e la gestione alla fondazione “Imprese e competenze per il made in Italy”.
L’articolo 15 prevede, al comma 1, l’istituzione dell’Esposizione nazionale permanente del made in Italy, con l’obiettivo di promuovere e rappresentare l’eccellenza produttiva e culturale italiana attraverso l’esposizione dei prodotti della storia del made in Italy e dell’ingegno italiano.
Nel documento conclusivo dell’indagine conoscitiva sul “Made in Italy: valorizzazione e sviluppo dell’impresa italiana nei suoi diversi ambiti produttivi”, approvato lo scorso 17 maggio 2023 dalla Commissione Attività produttive della Camera dei Deputati, si evidenzia (pag. 16) l’esigenza, emersa nel corso delle audizioni svolte, di sostenere “il Made in Italy in Italia”, in ambito fieristico, così da intercettare flussi turistici e favorire l’incontro in Italia tra aziende nazionali e operatori e consumatori internazionali.
La cura e la gestione dell’Esposizione è affidata, ai sensi del comma 2, alla Fondazione “Imprese e competenze” istituita ai sensi dell’articolo 14, alla cui scheda si rinvia, che provvede a individuarne la sede, nell’ambito delle proprie attività e delle proprie risorse.
Articolo 16
(Valorizzazione e tutela del patrimonio culturale immateriale)
L’articolo 16, al comma 1, stabilisce che il Ministero della Cultura, in via generale, e il Ministero dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste nonché le altre amministrazioni, per gli specifici profili di rispettiva competenza, promuovono la valorizzazione e la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale, quale insieme di beni intangibili espressione dell'identità culturale collettiva del Paese.
Il comma 2, novellando l’art. 52 del D.LGS. 300/1999, modifica, innanzitutto, le complessive attribuzioni del Ministero della Cultura, venendo ora a riferirle non solo ai beni culturali materiali ma anche – e in ciò risiede la novità – a quelli immateriali. Viene poi modificato anche l’art. 53 del D.LGS. 300/1999, relativo alle aree funzionali del Ministero: si inserisce entro queste ultime lo svolgimento delle funzioni di spettanza statale in materia di tutela, gestione e valorizzazione, anche in chiave economica, del patrimonio culturale, materiale e immateriale, espungendosi dal novero dei beni tutelati dal Ministero della cultura la categoria dei beni ambientali (che rifluiscono nelle attribuzioni di altri Ministeri, a cominciare dal MASAF).
Al fine di perimetrare la nozione di «patrimonio culturale immateriale» viene in primario rilievo, fra l’altro, la Convenzione per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale, adottata a Parigi il 17 ottobre 2003, alla quale è stata data ratifica ed esecuzione in Italia con L. 167/2007. Il rilievo deriva sia dalla circostanza che – in quanto trattato internazionale – la Convenzione produce obblighi che vincolano la legislazione statale e regionale ex art. 117, comma 1, Cost.; sia dal frequente richiamo operato dalla normativa e dagli atti amministrativi di settore.
In particolare, ai sensi dell’art. 2, par. 1., della Convenzione «per “patrimonio culturale immateriale” s’intendono le prassi, le rappresentazioni, le espressioni, le conoscenze, il know-how – come pure gli strumenti, gli oggetti, i manufatti e gli spazi culturali associati agli stessi – che le comunità, i gruppi e in alcuni casi gli individui riconoscono in quanto parte del loro patrimonio culturale. Questo patrimonio culturale immateriale, trasmesso di generazione in generazione, è costantemente ricreato dalle comunità e dai gruppi in risposta al loro ambiente, alla loro interazione con la natura e alla loro storia e dà loro un senso d’identità e di continuità, promuovendo in tal modo il rispetto per la diversità culturale e la creatività umana. Ai fini della presente Convenzione, si terrà conto di tale patrimonio culturale immateriale unicamente nella misura in cui è compatibile con gli strumenti esistenti in materia di diritti umani e con le esigenze di rispetto reciproco fra comunità, gruppi e individui nonché di sviluppo sostenibile».
In base al par. 2., il patrimonio culturale immateriale «si manifesta tra l’altro nei seguenti settori: a) tradizioni ed espressioni orali, ivi compreso il linguaggio, in quanto veicolo del patrimonio culturale immateriale; b) le arti dello spettacolo; c) le consuetudini sociali, gli eventi rituali e festivi; d) le cognizioni e le prassi relative alla natura e all’universo; e) l’artigianato tradizionale».
Il par. 3, infine, fa riferimento al concetto di salvaguardia, con il quale «s’intendono le misure volte a garantire la vitalità del patrimonio culturale immateriale, ivi compresa l’identificazione, la documentazione, la ricerca, la preservazione, la protezione, la promozione, la valorizzazione, la trasmissione, in particolare attraverso un’educazione formale e informale, come pure il ravvivamento dei vari aspetti di tale patrimonio culturale».
Occorre menzionare poi, fra le disposizioni d’interesse, anche l’art. 16 della Convenzione, che ha istituito la Lista Rappresentativa del Patrimonio Culturale Immateriale. Lo strumento è finalizzato a garantire una migliore visibilità del patrimonio culturale immateriale, di acquisire la consapevolezza di ciò che esso significa e d’incoraggiare un dialogo che rispetti la diversità culturale. Esso è formato, pubblicato e aggiornato dal Comitato, su proposta degli Stati contraenti interessati. Per la disciplina del riconoscimento e le modalità di candidatura, cfr. la pagina dedicata del sito UNESCO, ove sono riportati anche i beni immateriali censiti per l’Italia.
Un significativo collegamento alla dimensione immateriale dei beni culturali, specie in relazione alla proiezione territoriale e identitaria delle comunità e delle generazioni future, è presente anche nella Convenzione quadro del Consiglio d'Europa sul valore del patrimonio culturale per la società (cultural heritage), fatta a Faro il 27 ottobre 2005 (c.d. Convenzione di Faro), ratificata ed eseguita in Italia con L. 133/2020.
A livello ministeriale si ricorda poi che è attivo l’Istituto Centrale per il Patrimonio Immateriale. L’istituto, sotto la Direzione Generale Archeologia Belle Arti e Paesaggio, opera per la salvaguardia e la valorizzazione, in Italia e all’estero, dei beni culturali demoetnoantropologici, materiali e immateriali, e delle espressioni delle diversità culturali presenti sul territorio. Promuove inoltre attività di documentazione, formazione, studio e divulgazione, collaborando con enti locali, ambasciate, enti pubblici e privati, università, centri di ricerca nazionali e internazionali.
L’Istituto Centrale per il Patrimonio Immateriale (istituito con Decreto del Presidente della Repubblica del 26/11/2007 233 al quale ha fatto seguito il Decreto Ministeriale del 7/10/2008) è oggi regolamentato dal Decreto Ministeriale del 3/2/2022, n. 46. Cfr., per informazioni aggiuntive, la pagina istituzionale.
Per approfondimenti ulteriori relativi all’evoluzione normativa e agli interventi economici recenti riferiti alla tutela e alla valorizzazione dei beni culturali, anche immateriali, cfr. la pagina dedicata predisposta dal Servizio studi della Camera.
Si segnala che – nel momento in cui si licenzia il presente dossier – è in corso di conversione il D.L. 105/2023 che, all’art. 10, comma 1, del testo originario modifica l’articolazione organizzativa e le aree funzionali del Ministero della cultura. Qui il dossier predisposto dal Servizio studi.
Si valuti l’eventuale opportunità di coordinare i due interventi normativi.
Articolo 17
(Registrazione di marchi per i luoghi della cultura)
L’articolo 17 stabilisce che gli istituti e i luoghi della cultura possano registrare il marchio che li caratterizza e che gli stessi possano concederne l’uso a terzi a titolo oneroso, al fine di incrementare la conoscenza del patrimonio culturale e la propria capacità di autofinanziamento.
L’articolo 17, comma 1 stabilisce che gli istituti e i luoghi della cultura possano registrare il marchio che li caratterizza, ai sensi dell’articolo 19, comma 3, del decreto legislativo n. 30 del 2005 (Codice della proprietà industriale - CPI), in linea con l’obiettivo di valorizzare e tutelare il patrimonio culturale del Paese.
Per istituti e luoghi della cultura, ai sensi dell’art. 101 del D.LGS. 42/2004 (Codice dei beni culturali), si intendono i musei, le biblioteche e gli archivi, le aree e i parchi archeologici, i complessi monumentali. Si valuti l’eventuale opportunità d’introdurre un riferimento esplicito alla disposizione del Codice dei beni culturali.
L’articolo 19 del CPI consente la registrazione del marchio d’impresa a chi lo utilizzi o si proponga di utilizzarlo, nella fabbricazione o commercio di prodotti o nella prestazione di servizi della propria impresa o di imprese di cui abbia il controllo o che ne facciano uso con il suo consenso. Il citato comma 3 consente di ottenere la registrazione del marchio anche alle amministrazioni dello Stato, alle regioni, alle province e ai comuni, con riferimento a elementi grafici distintivi tratti dal patrimonio culturale, storico, architettonico o ambientale del relativo territorio. In quest’ultimo caso, i proventi derivanti dallo sfruttamento del marchio a fini commerciali, compreso quello effettuato mediante la concessione di licenze e per attività di merchandising, dovranno essere destinati al finanziamento delle attività istituzionali o alla copertura degli eventuali disavanzi pregressi dell’ente.
In linea con le previsioni di cui all’articolo 19, comma 3 del CPI, il comma 2 consente inoltre, ai soggetti di cui al primo comma, di concedere l’uso del marchio a terzi a titolo oneroso, al fine di incrementare la conoscenza del patrimonio culturale e la propria capacità di autofinanziamento. Le somme allo scopo erogate, previo versamento all’entrata del bilancio dello Stato, sono riassegnate con appositi decreti del Ministro dell’economia e delle finanze, sui pertinenti capitoli dello stato di previsione della spesa del Ministero della cultura, da destinare alle finalità del presente articolo.
Il comma 3 dell’articolo in esame prevede, infine, una clausola di invarianza per cui le amministrazioni interessate debbono provvedere alla registrazione dei marchi nei limiti delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente e, comunque, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.
Articolo 18
(Rafforzamento della tutela dei domìni internet
riferiti al patrimonio culturale)
L’articolo 18 prevede che il Ministero della cultura stipuli protocolli con l’organismo responsabile dell’assegnazione, della gestione e del mantenimento dei nomi di dominio nazionali riferibili a istituti e luoghi della cultura.
Nel dettaglio, l’articolo 18, composto di un solo comma, prevede che, al fine di rafforzare la tutela e individuare eventuali abusi nell’utilizzo di nomi di dominio caratterizzati dall’estensione «.it» registrati, riferibili a istituti e luoghi della cultura, e di programmare e attuare le azioni idonee e più efficaci per la loro salvaguardia, il Ministero della cultura stipuli protocolli con l’organismo responsabile dell’assegnazione, della gestione e del mantenimento dei nomi di dominio nazionali.
Per istituti e luoghi della cultura, ai sensi dell’art. 101 del D.LGS. 42/2004 (Codice dei beni culturali), si intendono i musei, le biblioteche e gli archivi, le aree e i parchi archeologici, i complessi monumentali.
Si ricorda che le attività di assegnazione e del mantenimento dei nomi a dominio nel country code Top Level Domain “it” sono svolte dal Registro del ccTLD.it, che è amministrato dall’Istituto di informatica e telematica del Consiglio nazionale delle ricerche (IIT-CNR), con sede a Pisa.
La relazione tecnica del provvedimento in esame chiarisce che si tratta di protocolli gratuiti volti soltanto a definire un’attività di collaborazione con il predetto Organismo, al fine di promuovere azioni per rafforzare la tutela dei siti riferiti al patrimonio culturale. La disposizione – prosegue la relazione tecnica - ha carattere ordinamentale e il Ministero (della cultura) provvede nell’ambito delle risorse finanziarie, strumentali e umane disponibili e, pertanto, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.
Articolo 19
(Imprese culturali e creative)
L’articolo 19 reca la definizione di “imprese culturali e creative”, rinviando ad un decreto attuativo la definizione delle modalità e delle condizioni del riconoscimento della medesima qualifica. Definisce, quindi, start up innovative culturali e creative le imprese che rispondono sia alla definizione di start up innovativa, che a quella di impresa culturale e ricreativa. Infine, prevede che le imprese culturali e creative siano iscritte in un’apposita sezione nel registro delle imprese.
L’articolo 19 enuncia, al comma 1, il principio secondo il quale la cultura e la creatività sono elementi costitutivi dell’identità italiana e accrescono il valore sociale ed economico della Nazione.
Il comma 2 definisce “imprese culturali e creative” tutti gli enti che:
§ svolgono attività stabile e continuativa con sede in Italia o in uno degli Stati membri dell’UE o aderenti all’Accordo sullo Spazio economico europeo, purché sia soggetto passivo di imposta in Italia e
§ hanno per oggetto sociale, esclusivo o prevalente, una o più delle seguenti attività: ideazione, creazione, produzione, sviluppo, diffusione, promozione, conservazione, ricerca, valorizzazione o gestione di beni, attività e prodotti culturali.
Il comma 3, let. a) precisa che, per beni culturali si intendono quelli così definiti dall’articolo 2, comma 2 del D.Lgs. n. 42/2004, ossia le cose immobili e mobili “che presentano interesse artistico, storico, archeologico, etnoantropologico, archivistico e bibliografico e le altre cose individuate dalla legge o in base alla legge quali testimonianze aventi valore di civiltà”.
L’articolo 2, comma 2 del D.Lgs. n. 42/2004, richiamato dalla norma in commento, rinvia a sua volta ai successivi articoli 10 e 11 la definizione più puntuale di beni culturali.
Sono beni culturali, ai sensi del citato articolo 10, “le cose immobili e mobili appartenenti allo Stato, alle regioni, agli altri enti pubblici territoriali, nonché ad ogni altro ente ed istituto pubblico e a persone giuridiche private senza fine di lucro, ivi compresi gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti, che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico”. Sono inoltre beni culturali (art. 10, comma 2):
a) le raccolte di musei, pinacoteche, gallerie e altri luoghi espositivi dello Stato, delle regioni, degli altri enti pubblici territoriali, nonché di ogni altro ente ed istituto pubblico;
b) gli archivi e i singoli documenti dello Stato, delle regioni, degli altri enti pubblici territoriali, nonché di ogni altro ente ed istituto pubblico;
c) le raccolte librarie delle biblioteche dello Stato, delle regioni, degli altri enti pubblici territoriali, nonché di ogni altro ente e istituto pubblico (salvo limitate eccezioni relative a raccolte la cui gestione è stata trasferita alle Regioni con D.P.R. n. 616/1977).
Sono altresì beni culturali, quando dichiarati di interesse culturale (art 10, comma 3):
§ le cose immobili e mobili che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico particolarmente importante, appartenenti a soggetti diversi da quelli sopra indicati;
§ gli archivi e i singoli documenti, appartenenti a privati, che rivestono interesse storico particolarmente importante;
§ le raccolte librarie, appartenenti a privati, di eccezionale interesse culturale;
§ le cose immobili e mobili, a chiunque appartenenti, che rivestono un interesse, particolarmente importante a causa del loro riferimento con la storia politica, militare, della letteratura, dell'arte, della scienza, della tecnica, dell'industria e della cultura in genere, ovvero quali testimonianze dell'identità e della storia delle istituzioni pubbliche, collettive o religiose;
§ le cose, a chiunque appartenenti, che presentano un interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico eccezionale per l'integrità e la completezza del patrimonio culturale della Nazione;
§ le collezioni o serie di oggetti, a chiunque appartenenti, che non siano ricomprese fra quelle indicate al comma 2 e che, per tradizione, fama e particolari caratteristiche ambientali, ovvero per rilevanza artistica, storica, archeologica, numismatica o etnoantropologica, rivestano come complesso un eccezionale interesse.
§ L’articolo 11 del D.Lgs. n. 42/2004 riguarda, invece:
§ gli affreschi, gli stemmi, i graffiti, le lapidi, le iscrizioni, i tabernacoli ed altri elementi decorativi di edifici;
§ gli studi d'artista;
§ le aree pubbliche aventi valore archeologico, storico, artistico e paesaggistico;
§ le opere di pittura, di scultura, di grafica e qualsiasi oggetto d'arte di autore vivente o la cui esecuzione non risalga ad oltre settanta anni;
§ le opere dell'architettura contemporanea di particolare valore artistico;
§ le fotografie, con relativi negativi e matrici, gli esemplari di opere cinematografiche, audiovisive o di sequenze di immagini in movimento, le documentazioni di manifestazioni, sonore o verbali, comunque realizzate, la cui produzione risalga ad oltre venticinque anni;
§ i mezzi di trasporto aventi più di settantacinque anni;
§ i beni e gli strumenti di interesse per la storia della scienza e della tecnica aventi più di cinquanta anni;
§ le vestigia individuate dalla vigente normativa in materia di tutela del patrimonio storico della Prima guerra mondiale.
Il comma 3, alla successiva let. b) precisa che per attività e prodotti culturali si intendono beni, servizi, opere dell’ingegno, nonché i processi ad essi collegati, e altre espressioni creative, individuali e collettive, anche non destinate al mercato, inerenti a musica, audiovisivo e radio, moda, architettura e design, arti visive.
Il comma 4 rinvia ad un decreto del Ministro della cultura, da adottare di concerto con il Ministro delle imprese e del made in Italy entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge, la definizione delle modalità e delle condizioni del riconoscimento della qualifica di impresa culturale e creativa, nonché delle ipotesi di revoca.
Il comma 5 reca la definizione di start up innovative culturali e creative, per tali intendendosi le start up innovative di cui all’articolo 25 del D.L. n. 179/2012 in possesso dei requisiti di cui al comma 2, regolarmente iscritte alla sezione speciale delle imprese culturali e creative (vedi infra). Pertanto, le start up innovative culturali soddisfano sia i requisiti di cui al comma 2 sopra commentati, sia quelli specificatamente richiesti dall’articolo 25 del D.L. n. 179/2012 per la qualifica di start up innovativa.
Ai sensi dell’articolo 25 del D.L. n. 179/2012, sono start up innovative le società di capitali, costituita anche in forma cooperativa, le cui azioni o quote rappresentative del capitale sociale non sono quotate su un mercato regolamentato o su un sistema multilaterale di negoziazione, che possiedono i seguenti requisiti:
b) è costituita da non più di cinque anni;
c) è residente in Italia o in uno degli Stati membri dell'Unione europea o aderenti all'Accordo sullo spazio economico europeo, purché abbia una sede produttiva o una filiale in Italia;
d) a partire dal secondo anno di attività della start-up innovativa, il totale del valore della produzione annua, così come risultante dall'ultimo bilancio approvato entro sei mesi dalla chiusura dell'esercizio, non è superiore a 5 milioni di euro;
e) non distribuisce, e non ha distribuito, utili;
f) ha, quale oggetto sociale esclusivo o prevalente, lo sviluppo, la produzione e la commercializzazione di prodotti o servizi innovativi ad alto valore tecnologico;
g) non è stata costituita da una fusione, scissione societaria o a seguito di cessione di azienda o di ramo di azienda;
h) possiede almeno uno dei seguenti ulteriori requisiti:
1) le spese in ricerca e sviluppo sono uguali o superiori al 15 per cento del maggiore valore fra costo e valore totale della produzione della start-up innovativa.
2) impiego come dipendenti o collaboratori, in percentuale uguale o superiore al terzo della forza lavoro complessiva, di personale in possesso di titolo di dottorato di ricerca o che sta svolgendo un dottorato di ricerca, oppure in possesso di laurea e che abbia svolto, da almeno tre anni, attività di ricerca certificata presso istituti di ricerca pubblici o privati, ovvero, in percentuale uguale o superiore a due terzi della forza lavoro complessiva, di personale in possesso di laurea magistrale;
3) sia titolare o depositaria o licenziataria di almeno una privativa industriale relativa a una invenzione industriale, biotecnologica, a una topografia di prodotto a semiconduttori o a una nuova varietà vegetale ovvero sia titolare dei diritti relativi ad un programma per elaboratore originario registrato presso il Registro pubblico speciale per i programmi per elaboratore, purché tali privative siano direttamente afferenti all'oggetto sociale e all'attività di impresa.
Il comma 6 prevede che le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura istituiscano un’apposita sezione nel registro delle imprese in cui sono iscritte le imprese culturali e creative e trasmettano annualmente al Ministero della cultura l’elenco delle stesse.
Il comma 7, infine, consente alle imprese culturali e creative l’introduzione nella denominazione sociale della dicitura “impresa culturale e creativa” o “ICC” e l’utilizzo di tale denominazione nella documentazione e nelle comunicazioni sociali.
Articolo 20
(Albo delle imprese culturali e creative di interesse nazionale)
L’articolo 20, comma 1, istituisce presso il Ministero della cultura l’albo delle imprese culturali e creative di interesse nazionale. Il comma 2 specifica che l’iscrizione nell’albo importa anche la registrazione nel portale del Sistema archivistico nazionale (SAN) del Ministero della cultura, anche al fine di salvaguardare gli archivi storici delle imprese italiane e di valorizzare le imprese culturali e creative. Il comma 3 demanda a un decreto del Ministro della cultura, da adottare entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore del provvedimento in esame, la definizione delle modalità di attuazione dell’articolo in esame. Il comma 4 reca la clausola d’invarianza finanziaria.
Come sopra anticipato, l’articolo 20, comma 1, istituisce presso il Ministero della cultura l’albo delle imprese culturali e creative di interesse nazionale.
Per la definizione della nozione di “imprese culturali e creative”, si veda l’articolo 19, comma 2, del provvedimento in esame, alla cui scheda di lettura si rinvia.
Il comma 2 specifica che l’iscrizione nell’albo importa anche la registrazione nel portale del Sistema archivistico nazionale (SAN) del Ministero della cultura, anche al fine di salvaguardare gli archivi storici delle imprese italiane e di valorizzare le imprese culturali e creative.
Al riguardo si rammenta che l’articolo 2, comma 1, dell’accordo del 25 marzo 2010, stipulato tra l’allora Ministero per i beni e le attività culturali, la Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, l’UPI e l’ANCI, ha previsto che il Ministero, per il tramite della DG per gli archivi, d’intesa con le Regioni, le Province autonome, l’UPI e l’ANCI, promuovesse e realizzasse il SAN. Il SAN si fonda sulla cooperazione tra il Ministero, le Regioni e le istituzioni locali, nonché gli altri soggetti pubblici e i privati possessori o detentori di archivi di interesse storico particolarmente importante, con speciale attenzione alle Università e agli Istituti di cultura (comma 2). Il SAN, espressione di cooperazione interistituzionale, persegue i seguenti obiettivi: promuovere forme di coordinamento e condivisione nella progettazione, nel sostegno e nella realizzazione degli interventi di conservazione del patrimonio archivistico nazionale e di sviluppo della sua conoscenza; sviluppare i servizi per l’accesso dell’utenza alla ricerca e alla consultazione degli archivi, anche in rete e in formato digitale; favorire la circolazione a livello locale, nazionale e internazionale delle informazioni sul patrimonio archivistico nazionale, sui luoghi di conservazione, sulle forme di consultazione, sugli strumenti della ricerca, sui contenuti documentali; armonizzare i percorsi di formazione e di crescita professionale degli archivisti e degli altri operatori del settore, anche d’intesa con le Università e le associazioni di categoria (comma 3). II SAN promuove la diffusione dell’innovazione e delle buone pratiche e la partecipazione condivisa a progetti internazionali (comma 4).
In base all’articolo 4 dell’accordo, il Ministero, per tramite della DG per gli archivi, su proposta del Comitato paritetico nazionale di coordinamento di cui all’articolo 7, stabilisce con proprio decreto le metodologie condivise di censimento, inventariazione, raccolta, scambio, accesso ed elaborazione dei dati a livello nazionale e di integrazione in rete delle risorse relative al patrimonio archivistico nazionale. Le modalità di comunicazione, scambio e diffusione dei dati, nell’ambito del SAN, sono definite dal citato Comitato paritetico nazionale di coordinamento, nel rispetto della normativa sul trattamento dei dati personali, dei codici deontologici e del diritto d’autore.
In particolare, risulta sussistente tra i vari portali del SAN anche un’area tematica dedicata agli archivi d’impresa (http://www.imprese.san.beniculturali.it/web/imprese/progetto/portale).
Il comma 3 demanda a un decreto del Ministro della cultura, da adottare entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore del provvedimento in esame, la definizione delle modalità di attuazione dell’articolo in esame.
Il comma 4 stabilisce che le amministrazioni competenti provvedono all’attuazione dell’articolo in esame nei limiti delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente e, comunque, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.
Articolo 21
(Contributo per le imprese culturali e creative)
L’articolo 21 prevede lo stanziamento di 3 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2024 al 2033 per la concessione da parte del Ministero della cultura di contributi a favore delle imprese culturali e creative.
L’articolo 21 prevede, al comma 1, un’autorizzazione di spesa di tre milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2024 al 2033, per la promozione e il sostegno di investimenti effettuati sul territorio nazionale dalle imprese culturali e creative di cui all’articolo 19 (alla cui scheda si rinvia), al fine di promuovere e valorizzare il made in Italy e di rendere maggiormente competitivo il settore culturale e creativo.
Il comma 2 rinvia ad un decreto del Ministro della cultura, di concerto con il Ministro delle imprese e del made in Italy e del Ministro dell’economia e delle finanze, l’individuazione delle condizioni, dei termini e delle modalità per la concessione dei contributi in conto capitale in favore di dette imprese.
Si ricorda che, ai sensi dell’articolo 107, paragrafo 3 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione europea, possono considerarsi compatibili con il mercato interno “gli aiuti destinati a promuovere la cultura e la conservazione del patrimonio, quando non alterino le condizioni degli scambi e della concorrenza nell’Unione in misura contraria all’interesse comune”.
I progetti diretti a istituire o modificare aiuti di Stato devono essere comunicati alla Commissione in tempo utile perché presenti le sue osservazioni, ai sensi del successivo articolo 108, paragrafo 3), a meno che non rientrino nelle categorie di aiuti di Stato che la Commissione ha stabilito, con proprio regolamento, che possano essere dispensate dalla procedura. Rilevano, in tal caso, i regolamenti “de minimis” (in particolare, il Regolamento (UE) 1407/2013) e il regolamento (UE) 651/2014, (General Block Exemption Regulation - GBER), da ultimo modificato e prorogato con regolamento (UE) 2023/1315. I regolamenti “de minimis” fissano il massimale di aiuto riconoscibile alla stessa impresa nell’arco di tre esercizi finanziari (di norma pari a 200 mila euro) nell’ambito di un regime di aiuto affinché questo non debba essere sottoposto ad obbligo di notifica. Il GBER indica le categorie di aiuto esenti dall’obbligo di notifica preventiva. Gli articoli 53 e 54 del GBER precisano le condizioni nel rispetto delle quali gli aiuti per la cultura e la conservazione del patrimonio sono esenti dall’obbligo di notifica e approvazione preventiva.
Il comma 3 dispone circa la copertura finanziaria della misura: agli oneri previsti si provvede a valere delle proiezioni dello stanziamento del fondo speciale di conto capitale iscritto, ai fini del bilancio triennale 2023-2025, nell’ambito del programma “Fondi di riserva e speciali” della missione “Fondi da ripartire” dello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze per l’anno 2023, allo scopo parzialmente utilizzando l’accantonamento relativo al Ministero della cultura.
Articolo 22
(Piano nazionale strategico per la promozione e lo sviluppo
delle imprese culturali e creative)
L’articolo 22 prevede l’adozione, ogni tre anni, da parte del Ministro della cultura, di concerto con il Ministro delle imprese e del Made in Italy e con il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, di un “Piano nazionale strategico per la promozione e lo sviluppo delle imprese culturali e creative”.
L’articolo 22 prevede, al comma 1, l’adozione, ogni tre anni, di un “Piano nazionale strategico per la promozione e lo sviluppo delle imprese culturali e creative”. Il Piano strategico è adottato dal Ministro della cultura, di concerto con il Ministro delle imprese e del Made in Italy e con il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. Si prevede l’adozione del primo Piano strategico entro un anno dalla data di entrate in vigore della legge.
Posto che la valorizzazione dei beni culturali è, ai sensi dell’articolo 117, comma terzo della Costituzione, una materia a competenza concorrente tra Stato e regioni, si valuti l’opportunità di prevedere il coinvolgimento della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome.
Il comma 2 indica gli obiettivi e le finalità del Piano:
§ definire modalità organizzative e di coordinamento delle attività delle amministrazioni competenti, fermi restando i poteri di indirizzo e coordinamento in materia di internazionalizzazione delle imprese in capo al Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale e al Ministero delle imprese e del Made in Italy;
§ Segnatamente, la norma richiama l’articolo 2 del D.L. n. 104/2019 e l’articolo 14, comma 18-bis del D.L. n. 98/2011.
§ L’articolo 2 del D.L. n. 104/2019 ha trasferito al Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale le funzioni precedentemente esercitate dal Ministero dello sviluppo economico in materia di definizione delle strategie della politica commerciale e promozionale con l’estero e di sviluppo dell’internazionalizzazione del sistema Paese.
§ L’articolo 14 del D.L. n. 98/2011, al comma 18-bis, inserito dall’articolo 22, comma 6 del D.L. n. 201/2011, prevede che i poteri di indirizzo in materia di promozione e internazionalizzazione delle imprese italiane siano esercitati dal Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale e dal Ministro dello sviluppo economico (ora Ministro delle imprese e del Made in Italy.
§ favorire la sinergia dei programmi e degli strumenti finanziari destinati al settore;
§ favorire lo sviluppo del settore, con particolare riguardo agli aspetti innovativi e di sperimentazione tecnologica;
§ incentivare i percorsi di formazione finanziaria e gestionale dedicati alle competenze connesse alle attività del settore, in particolare mediante intese con il Ministero dell’istruzione e del merito, con le associazioni tra imprese, anche al fine di favorire l’integrazione con gli altri settori produttivi;
§ favorire lo sviluppo delle opere dell’ingegno e la tutela della proprietà intellettuale;
§ promuovere studi, ricerche, eventi in ambito nazionale.
Il comma 3, infine, reca una clausola di neutralità finanziaria, prevedendo che le amministrazioni interessate provvedano all’attuazione dell’articolo in commento nei limiti delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.
Come anzidetto, l’articolo 2 del D.L. n. 104/2019 ha trasferito al Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale le funzioni precedentemente esercitate dal Ministero dello sviluppo economico in materia di definizione delle strategie della politica commerciale e promozionale con l’estero e di sviluppo dell’internazionalizzazione del sistema Paese.
Tuttavia, in base all’articolo 14, comma 18-bis, del D.L. n. 98/2011, i poteri di indirizzo in materia di promozione e internazionalizzazione delle imprese italiane sono esercitati unitamente dal Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale e dal Ministro dello sviluppo economico.
Al Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale sono attribuiti i poteri di indirizzo e vigilanza sull’Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane, denominata «ICE - Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane», ente dotato di personalità giuridica di diritto pubblico. Il Ministro esercita detti poteri, per le materie di rispettiva competenza, di concerto con il Ministero dello sviluppo economico (ora Ministero delle imprese e del Made in Italy) e sentito il Ministero dell’economia e delle finanze.
L’Agenzia (istituita con D.L. n. 98/2011 in luogo del soppresso Istituto nazionale per il commercio estero - ICE) opera al fine di sviluppare l’internazionalizzazione delle imprese italiane, nonché la commercializzazione dei beni e dei servizi italiani nei mercati internazionali, e di promuovere l’immagine del prodotto italiano nel mondo. L’Agenzia, ai sensi dell’articolo 14, comma 20 del D.L. n. 98/11, svolge le attività utili al perseguimento dei compiti ad essa affidati e, in particolare, offre servizi di informazione, assistenza e consulenza alle imprese italiane che operano nel commercio internazionale e promuove la cooperazione nei settori industriale, agricolo e agro-alimentare, della distribuzione e del terziario, al fine di incrementare la presenza delle imprese italiane sui mercati internazionali. Nello svolgimento delle proprie attività, l’Agenzia opera in stretto raccordo con le regioni, le camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, le organizzazioni imprenditoriali e gli altri soggetti pubblici e privati interessati.
L’articolo 9 del D.L. n. 173/2022, attraverso modifiche integrative all’articolo 14 del D.L. n. 98/2011 ha inoltre istituito un Comitato interministeriale per il made in Italy nel mondo (CIMIM), con il compito di indirizzare e coordinare le strategie in materia di promozione e internazionalizzazione delle imprese italiane, al fine di valorizzare il made in Italy nel mondo (art. 14, comma 18-ter del D.L. n. 98/2011).
Il CIMIM, ai sensi del comma 18-quater, è composto dal Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, dal Ministro delle imprese e del Made in Italy, che lo co-presiedono, e dai Ministri dell’economia e delle finanze, dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste e del turismo. Alle riunioni del Comitato possono partecipare altri Ministri aventi competenza nelle materie poste all’ordine del giorno nonché, quando si trattano argomenti che interessano le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, il presidente della Conferenza delle regioni e delle province autonome o un presidente di regione o di provincia autonoma da lui delegato.
Ai sensi dell’articolo 14, comma 18-sexies del D.L. n. 9/2011, il CIMIM svolge i seguenti compiti:
a) coordinamento delle strategie e dei progetti per la valorizzazione, la tutela e la promozione del made in Italy nel mondo;
b) esame delle modalità esecutive idonee a rafforzare la presenza delle imprese nazionali nei mercati esteri;
c) individuazione dei meccanismi di salvaguardia del tessuto industriale nazionale e di incentivazione delle imprese nazionali, anche in relazione all’imposizione di nuovi dazi, alla previsione di regimi sanzionatori o alla presenza di ostacoli tariffari e non tariffari sui mercati internazionali, al fine di prevedere misure compensative per le imprese coinvolte;
d) valutazione delle iniziative necessarie per lo sviluppo tecnologico e per la diffusione dell’utilizzo di nuove tecnologie da parte delle imprese nazionali nei processi di internazionalizzazione;
e) monitoraggio dell’attuazione delle misure da parte delle amministrazioni competenti;
f) adozione di iniziative idonee a superare eventuali ostacoli e ritardi nella realizzazione degli obiettivi e delle priorità indicati anche in sede europea.
Il Comitato inoltre elabora le linee guida e di indirizzo strategico in materia di promozione e internazionalizzazione delle imprese.
Esse sono successivamente assunte da una cabina di regia, copresieduta dal Ministro dello sviluppo economico, dal Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale e, per le materie di propria competenza, dal Ministro con delega al turismo e composta dal Ministro dell’economia e delle finanze, o da persona dallo stesso designata, dal Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, o da persona dallo stesso designata, dal presidente della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome e dai presidenti, rispettivamente, dell’Unione italiana delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, della Confederazione generale dell’industria italiana, di Alleanza delle Cooperative italiane, della Confederazione italiana della piccola e media industria privata e dell’Associazione bancaria italiana, nonché da un rappresentante del settore artigiano, individuato, a rotazione annuale, tra i presidenti di Casartigiani, della Confederazione nazionale dell’artigianato e della piccola e media impresa, di Confartigianato imprese e da un rappresentante del settore del commercio, individuato, a rotazione annuale, tra i presidenti di Confcommercio e di Confesercenti. Ai componenti della cabina di regia non spettano compensi, gettoni di presenza, rimborsi spese o altri emolumenti comunque denominati.
Nel documento conclusivo dell’indagine conoscitiva sul “Made in Italy: valorizzazione e sviluppo dell’impresa italiana nei suoi diversi ambiti produttivi”, approvato lo scorso 17 maggio 2023 dalla Commissione Attività produttive della Camera dei Deputati si dà conto del fatto che, “dai contributi raccolti nel corso dell’indagine conoscitiva, è emersa l’opportunità di mettere a sistema e coordinare al meglio le azioni, le risorse e le competenze in capo agli attori istituzionali, quali l’ICE, le Camere di Commercio all’estero, le amministrazioni centrali e regionali. L’attuale quadro istituzionale, infatti, richiede un’opera di semplificazione e razionalizzazione, per ridurne la complessità, eliminarne le ridondanze e migliorarne l’efficacia… In particolare, le attività realizzate all’estero richiedono un coordinamento nazionale, valutando l’attivazione di una cabina di regia consultiva che ne assicuri la coerenza e ne rafforzi l’impatto sui mercati”.
Articolo 23
(Promozione dell’Italia o di parti del suo territorio
nazionale come destinazione turistica)
L’articolo 23 istituisce, presso il Ministero del turismo, un comitato nazionale presieduto da un rappresentante dello stesso Ministero e composto da un delegato per ciascuna regione e provincia autonoma. Il comitato assicura il raccordo politico, strategico e operativo per coordinare le campagne di promozione all’estero dell’Italia, come destinazione turistica.
L’articolo 23 prevede, al comma 1, in considerazione dell’obiettivo strategico di accrescere l’attrattività dell’Italia e la competitività dell’intero settore turistico nazionale, nonché di assicurare che la promozione dell’immagine internazionale dell’Italia o di parti del suo territorio avvenga entro una cornice unitaria, l’istituzione presso il Ministero del turismo di un Comitato nazionale, presieduto da un rappresentante dello stesso Ministero e composto da un delegato per ciascuna regione e provincia autonoma.
Alle riunioni del comitato possono essere invitati a partecipare rappresentanti dei Ministeri competenti per materia.
Il comitato ha come compito quello di assicurare il raccordo politico, strategico e operativo per coordinare le campagne di promozione all’estero dell’Italia, anche nel caso in cui oggetto diretto dell’attività pubblicitaria sia una sola parte del territorio nazionale.
Nel documento conclusivo dell’indagine conoscitiva sul “Made in Italy: valorizzazione e sviluppo dell’impresa italiana nei suoi diversi ambiti produttivi”, approvato lo scorso 17 maggio 2023 dalla Commissione Attività produttive della Camera dei Deputati, si legge che “Per accrescere il contributo che il turismo può offrire per la valorizzazione del Made in Italy, si ritiene opportuno promuovere un piano strategico di promozione internazionale mettendo a sistema le azioni in essere da parte di regioni, enti locali ed aziende, anche con l’obiettivo di conquistare i mercati emergenti. Nel corso dell’indagine conoscitiva è emerso come ICE-Agenzia, ENIT, rappresentanze diplomatiche e delle Regioni e rete delle Camere di commercio estere siano strumenti importanti per l’affermazione del nostro Paese e delle sue imprese sui mercati internazionali, ma anche come le loro attività, anche se emanazione di amministrazioni differenti, dovrebbero essere maggiormente coordinate. Maggiori sinergie, infatti, potrebbero essere conseguite per la realizzazione di campagne mirate alla promozione contestuale delle eccellenze Made in Italy e dei territori di cui sono espressione”.
Il comma 2 rinvia ad un decreto del Ministro del turismo non avente natura regolamentare la definizione delle norme attuative.
In considerazione delle competenze attribuite alle regioni in materia di turismo dall’articolo 117 della Costituzione (cfr. sentenza n. 80/2012 della Corte Cost.), si valuti l’opportunità di prevedere, anche nell’ambito dell’iter di adozione del decreto attuativo, il coinvolgimento delle regioni attraverso la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome.
Il comma 3 reca una clausola di neutralità finanziaria, in base alla quale le amministrazioni competenti provvedono all’attuazione delle norme in commento nei limiti delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.
Articolo 24
(Sostegno al settore fieristico in Italia e ai mercati rionali)
L’articolo 24, al comma 1, autorizza la spesa di 10 milioni di euro per l’anno 2023 per la promozione dello sviluppo dei mercati rionali e di 10 milioni di euro per l’anno 2024 per la promozione dello sviluppo del settore fieristico. Ai relativi oneri, ai sensi del comma 3, si provvede ai sensi dell’articolo 48.
Il comma 2 demanda le modalità attuative dei finanziamenti e il riparto delle risorse ad un decreto del Ministro delle imprese e del made in Italy, da adottare di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, con il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, con il Ministro dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste e con il Ministro del turismo, entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge. Ai sensi del comma 4, l’attuazione degli interventi economici può essere affidata a un soggetto gestore.
Ai sensi del comma 5, le disposizioni dell’articolo in esame si applicano nei limiti e alle condizioni previsti dalla normativa europea e nazionale in materia di aiuti di Stato.
L’articolo 24, al comma 1, dichiara il settore fieristico nazionale quale fattore cruciale per la conoscenza e la diffusione dell’eccellenza del made in Italy, demandando al Ministero delle imprese e del made in Italy il compito di promuoverne lo sviluppo, anche attraverso specifici finanziamenti alle imprese, in particolare nei settori in cui i costi dell’esposizione fieristica costituiscono una barriera economica all’accesso, e agli operatori fieristici per iniziative di coordinamento strutturale e organizzativo volte ad accrescerne la presenza all’estero.
Il comma dispone la promozione, attraverso specifici finanziamenti e incentivi per investimenti, dei mercati rionali quali luoghi che svolgono, oltre alla funzione economica e di scambio, quella di centri di aggregazione e di coesione cittadina, esprimendo forza attrattiva sul versante turistico.
Per le predette finalità, il comma 1 autorizza la spesa di 10 milioni di euro per l’anno 2023 per la promozione dello sviluppo dei mercati rionali e di 10 milioni di euro per l’anno 2024 per la promozione dello sviluppo del settore fieristico.
La relazione tecnica specifica che, quanto al settore fieristico, si intende concedere, attraverso le risorse in esame, voucher a fondo perduto per sostenere i costi di esposizione dei beni (i.e. barche) e di allestimento degli stand. Afferma altresì che la quantificazione della misura tiene conto della grandezza del settore fieristico che, con oltre 2,3 milioni di metri quadrati di superficie espositiva coperta e 4,2 milioni di metri quadrati totali, rende l'Italia il quarto paese fieristico al mondo, preceduto solo da Cina, Stati Uniti e Germania.
Il comma 2 demanda ad un decreto del Ministro delle imprese e del made in Italy, da adottare di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, con il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, con il Ministro dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste e con il Ministro del turismo, entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge, la definizione delle disposizioni attuative dell’articolo in esame, e, segnatamente, il riparto delle risorse tra le finalità predette, nonché:
a) i criteri e le priorità per il finanziamento delle imprese ai fini della partecipazione alle manifestazioni fieristiche;
b) le attività e le misure organizzative necessarie ad assicurare il coordinamento tra gli operatori fieristici;
c) i criteri e le modalità per la selezione dei mercati rionali da finanziare;
d) le modalità per evitare duplicazioni di interventi rispetto ad altri strumenti di sostegno a legislazione vigente.
Ai sensi del comma 3, agli oneri derivanti dall’attuazione del presente articolo, pari come detto a 10 milioni di euro per ciascuno degli anni 2023 e 2024, si provvede ai sensi dell’articolo 48 del provvedimento in esame, cui si rinvia.
Infine, ai sensi del comma 4, l’attuazione degli interventi economici di cui al presente articolo può essere affidata a un soggetto gestore, con oneri a carico degli interventi finanziati nel limite massimo dell’1,5 per cento.
Ai sensi del comma 5, le disposizioni dell’articolo in esame si applicano nei limiti e alle condizioni previsti dalla normativa europea e nazionale in materia di aiuti di Stato.
Come ricordato nel documento conclusivo dell’indagine conoscitiva sul “Made in Italy: valorizzazione e sviluppo dell’impresa italiana nei suoi diversi ambiti produttivi”, approvato lo scorso 17 maggio 2023 dalla Commissione Attività produttive della Camera dei Deputati, “il made in Italy va valorizzato in Italia per favorire positive ricadute economiche ed occupazionali sul territorio, facendo conoscere al turista in loco prodotti di cui poi diventa ambasciatore nel proprio paese. Vanno quindi individuati incentivi e contributi per i mercati rionali, di artigianato artistico, per eventi fieristici legati alle tradizioni locali, anche (…) sostenendo i comuni nella predisposizione ed ammodernamento degli spazi con attrezzature ed impianti funzionali alle attività ambulanti (…). Rispetto alla partecipazione a fiere internazionali, si propongono inoltre momenti di condivisione con il sistema unitario delle Regioni per assicurare un coinvolgimento fattivo dei territori e consentire l'attivazione di economie di scala nella copertura degli spazi fieristici o virtuali”.
Articolo 25
(Certificazione di qualità della ristorazione italiana all’estero)
L’articolo 25 reca disposizioni in materia di certificazione di qualità della ristorazione italiana all’estero.
Nel dettaglio, il comma 1 riconosce, ai ristoratori che operano all’estero ed i cui esercizi commerciali offrono prodotti enogastronomici tradizionali italiani, la possibilità di ottenere la certificazione distintiva di “ristorante italiano nel mondo”. Tale riconoscimento è finalizzato a valorizzare e sostenere gli esercizi di ristorazione italiana nonchè a contrastare l’utilizzo speculativo dell’Italian sounding. La stessa disposizione descrive poi la procedura per il rilascio della suddetta certificazione individuando, in particolare, il soggetto competente al rilascio della stessa; la suddetta certificazione è rilasciata, su istanza del ristoratore e previa verifica di determinati requisiti, da un ente certificatore accreditato presso l’organismo unico di accreditamento nazionale italiano, sulla base di una tariffa approvata e di un disciplinare adottato con decreto del Ministro dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste e del Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, il Ministro delle imprese e del made in Italy, il Ministro della salute e il Ministro del turismo. Il suddetto decreto individua anche i requisiti e le specifiche per il rilascio della certificazione stessa, con particolare riferimento all’utilizzo di ingredienti di qualità e di prodotti appartenenti alla tradizione enogastronomica italiana (DOP, IGP, DOC, DOCG, IGT).
Si osserva che risulta opportuno indicare il termine di adozione del decreto interministeriale di cui al comma 1. Si osserva, inoltre, che la disposizione in commento non chiarisce quale sia l’organismo deputato a rilasciare la suddetta certificazione e se tale organismo sia già esistente o da istituirsi.
Si ricorda che il D. Lgs. n. 30 del 2005 (Codice della proprietà industriale), all’art. 144, comma 1-bis - cosi come modificato dall’art. 32, comma 5, lett. b) del D.L. n. 34 del 2019 - definisce pratiche di Italian Sounding quelle pratiche finalizzate alla falsa evocazione dell’origine italiana di prodotti. L’art. 145 ha istituito presso il Ministero dello sviluppo economico (ora Ministero delle imprese e del Made in Italy) il Consiglio nazionale per la lotta alla contraffazione e all’Italian Sounding, con funzioni di indirizzo, impulso e coordinamento delle azioni strategiche intraprese da ogni amministrazione, al fine di migliorare l’insieme dell’azione di contrasto della contraffazione a livello nazionale e della falsa evocazione dell’origine italiana.
La questione del contrasto alle pratiche di Italian Sounding è strettamente connessa alla promozione e alla tutela del patrimonio agroalimentare italiano nel mondo e della sua autenticità. In particolare, la tutela della qualità dei prodotti agroalimentari rappresenta per l’Italia uno dei principali obiettivi della politica agroalimentare, considerato che il nostro Paese si distingue in Europa per il maggior numero di prodotti a marchio registrato, oggetto di numerosi tentativi di contraffazione. A livello nazionale, ai fini della tutela della qualità e dell’autenticità del prodotto stesso, il nostro legislatore ha da sempre attribuito grande rilievo alla possibilità di indicare obbligatoriamente l’origine nazionale della produzione agroalimentare. La legge n. 4 del 3 febbraio 2011, recante "Disposizioni in materia di etichettatura e di qualità dei prodotti alimentari", poi modificata dall’art. 3-bis del decreto legge n. 135 del 2018, convertito, con modificazioni, dalla legge di 11 febbraio 2019 n. 12, ha disposto l’obbligo agli art. 4 e 5 per i prodotti alimentari commercializzati, trasformati parzialmente trasformati o non trasformati di riportare nell’etichetta anche l’indicazione del luogo di origine o di provenienza. La tutela del patrimonio agroalimentare italiano è attuata attraverso un sistema di controlli posto in essere da una molteplicità di organi ufficiali di controllo che fanno capo a diverse Amministrazioni statali (Ministero dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste, Ministero della Salute e Ministero dell’Economia e delle Finanze), alle Regioni, alle Provincie e ai Comuni. Un ruolo di crescente importanza è quello assunto dal Dipartimento dell’Ispettorato centrale della tutela dei prodotti agroalimentari e repressione frodi dei prodotti agroalimentari (ICQRF) che opera presso il Ministero dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste ed è uno dei principali organismi europei di controllo del settore agroalimentare. Nel Report dell’ICQRF sulla tutela della qualità dei prodotti agroalimentari e la repressione delle frodi nel settore - pubblicato a luglio 2022- emerge che nel 2021 il settore agroalimentare con oltre 522 miliardi di valore ha registrato una crescita del fatturato del 16,5% confermandosi così settore strategico della economia italiana. Con riferimento ai singoli comparti agroalimentari risulta che: 19.628 controlli hanno interessato il settore vitivinicolo, 9.324 quello oleario, 6.137 il lattiero caseario, 3.758 l’ortofrutta, 3.144 i cereali e derivati e 3.167 il settore della carne. L’ICQRF ha attivato, inoltre, 955 procedure di contrasto a usurpazioni ed evocazioni che hanno riguardato non solo prodotti italiani (931 casi) ma anche indicazioni geografiche non italiane (24 casi) fornendo così un decisivo contributo alla tutela del patrimonio culturale europeo e alla protezione dei consumatori contro eventuali truffe. Il patrimonio agroalimentare italiano è stato oggetto di recenti misure di carattere legislativo volte alla sua tutela.
Tra esse si ricorda la recente istituzione - articolo 1, commi 424-425, della legge di bilancio 2023, L. n. 197 del 2022 - del Fondo per la sovranità alimentare, con una dotazione di 25 milioni di euro per ciascuno degli anni 2023-2026. Tale Fondo ha il compito, tra gli altri, di rafforzare il sistema agricolo e agroalimentare nazionale, anche attraverso interventi finalizzati alla tutela e alla valorizzazione del cibo italiano di qualità. Inoltre, l’art. 24, comma 4, del D.L. n. 34 del 2023, convertito con modificazioni dalla Legge n. 56 del 2023, ha disposto l’incremento di 200 mila euro per l’anno 2023 del Fondo per il sostegno delle eccellenze nella gastronomia e dell’agroalimentare italiano istituito dall’art. 1, comma 868, della legge di bilancio 2022 (legge n. 234 del 2021) nello stato di previsione del Ministero dell’agricoltura della sovranità alimentare e delle foreste (MASAF). La finalità perseguita dalla disposizione in esame consiste nel promuovere e sostenere le eccellenze della ristorazione e della pasticceria italiana, nel valorizzare il patrimonio agroalimentare ed enogastronomico italiano, anche attraverso interventi che incentivino la valorizzazione dei prodotti a denominazione d’origine e indicazione geografica e le eccellenze agroalimentari italiane, gli investimenti in macchinari professionali e altri beni strumentali durevoli, nonché in interventi in favore dei giovani diplomati nei servizi dell’enogastronomia e dell’ospitalità alberghiera. In proposito, è stato emanato il decreto 4 luglio 2022 "Definizione dei criteri e delle modalità di utilizzazione del Fondo di parte capitale per il sostegno delle eccellenze della gastronomia e dell’agroalimentare italiano" nonché il decreto 21 ottobre 2022, pubblicato nella G.U. del 20 dicembre 2022, che ha introdotto misure volte alla "Definizione dei criteri e delle modalità di utilizzazione del Fondo di parte corrente per il sostegno delle eccellenze della gastronomia e dell’agroalimentare italiano". Si ricorda, inoltre, il Fondo per la valorizzazione dei prodotti agroalimentari tradizionali e certificati - di cui all’articolo 1, commi 826-827, L. n. 234/2021 - dotato di risorse pari ad 1 milione di euro per il 2022, con lo scopo di sostenere interventi per la transizione ecologica della ristorazione per la promozione di iniziative sul territorio nazionale volte a sviluppare azioni tese a garantire una offerta adeguata di produzioni alimentari tipiche (PAT), ad indicazione geografica e biologica, al fine di incrementare l’offerta di tali produzioni nel settore della ristorazione e dei pubblici esercizi, favorendone la conoscenza e divulgazione presso i consumatori. Tali risorse sono state ripartite su base regionale con decreto 15 settembre 2022.
Il comma 2 specifica che se, nel corso della validità della certificazione, sia riscontrata la perdita dei requisiti di onorabilità o di quelli tecnici contenuti nel disciplinare di cui al comma 1, la certificazione viene revocata.
Il comma 3 indica in tre anni la durata della certificazione di cui al comma 1. É stabilito che la stessa è rinnovabile a richiesta mentre la domanda di rinnovo può essere presentata a decorrere da tre mesi antecedenti la scadenza della certificazione.
Si fa presente che i commi da 1144 a 1149 dell’art. 1 della legge n. 178 del 2020 (legge di bilancio 2021) hanno ad oggetto l’adozione di iniziative volte alla valorizzazione delle tradizioni enogastronomiche, delle produzioni agroalimentari e industriali italiane e della dieta mediterranea e del contrasto al fenomeno dell’Italian sounding.
In particolare, il comma 1144 del sopra indicato art. 1 stabilisce che la Repubblica Italiana definisce e promuove la rete degli esercizi della ristorazione italiana nel mondo allo scopo di valorizzare le tradizioni enogastronomiche, le produzioni agroalimentari e industriali italiane e della dieta mediterranea nonché per contrastare i fenomeni di contraffazione e di Italian sounding ai sensi dell’articolo 144, comma 1-bis, del codice della proprietà industriale, di cui al decreto legislativo 10 febbraio 2005, n. 30 Il comma 1145 definisce poi la nozione di “ristorante italiano”; il comma 1146 demanda ad un decreto interministeriale la definizione, tra gli altri l’attribuzione dell’attestazione distintiva di «ristorante italiano nel mondo», in base a specifiche norme tecniche, esclusivamente ai ristoranti in possesso dei requisiti prescritti, su proposta del segretariato tecnico (previsto dalla lettera o) con compiti di responsabilità di selezione e di proposta delle candidature) e previa verifica da parte del personale incaricato dalla locale camera di commercio italiana all’estero o dalla camera di commercio mista o da un altro organismo individuato dal decreto di cui al presente comma; nonché l’attribuzione dell’attestazione distintiva di « pizzeria italiana nel mondo » e di « gelateria italiana nel mondo » secondo le medesime modalità ora descritte (lettere b) e c)); il comma 1147 individua i soggetti che svolgono a l’attività di promozione all’estero dei prodotti enogastronomici tipici della ristorazione italiana (ICE-Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane, ENIT-Agenzia nazionale del turismo, dalle camere di commercio italiane all’estero) riconoscendo agli istituti italiani di cultura all’estero il ruolo di diffondere la conoscenza della cultura e delle tradizioni enogastronomiche italiane. Il comma 1148 prevede l’istituzione della Conferenza annuale-Stati generali della ristorazione italiana nel mondo, per l’incontro, lo studio e la valorizzazione dell’offerta del comparto enogastronomico italiano attraverso la rete degli esercizi di ristorazione italiana nel mondo. Nell’ambito della Conferenza sono conferite le attestazioni distintive di «ristorante italiano nel mondo», di «pizzeria italiana nel mondo» e di «gelateria italiana nel mondo» agli esercizi in possesso dei requisiti di particolare pregio indicati nel disciplinare del marchio «Ospitalità italiana». Il comma 1149, infine, autorizza, per il conseguimento di tali fini la spesa di 1 milione di euro per ciascuno degli anni 2021, 2022 e 2023.
Si segnala, poi che - per quanto riguarda il made in Italy agroalimentare - la legge di bilancio 2018 (legge n. 205 del 2017) ha previsto, all’art. 1, comma 501, per il potenziamento delle azioni di promozione del made in Italy agroalimentare all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane, la destinazione di 2 milioni di euro per ciascuno degli anni 2018 e 2019 e 3 milioni di euro per l’anno 2020 all’Associazione delle camere di commercio italiane all’estero. Si fa presente, inoltre. che nell’indagine conoscitiva sul “Made in Italy: valorizzazione e sviluppo dell’impresa italiana nei suoi diversi ambiti produttivi” avviata nel dicembre 2022 dalla X Commissione Attività Produttive della Camera e conclusasi lo scorso 31 marzo è emerso che il settore agroalimentare è particolarmente esposto ai fenomeni di Italian sounding. Nella stessa indagine si auspica, quindi la definizione di azioni di contrasto alla contraffazione sul piano internazionale, maturando una soluzione all’interno del quadro delle regole europee, in un’ottica di rilancio del multilateralismo commerciale e attraverso la valorizzazione delle iniziative volte ad assicurare un’adeguata informazione ai consumatori sull’origine e la specificità dei prodotti agroalimentari.
Si ricorda che, di recente, la legge 10 maggio 2023, n. 53 , pubblicata nella G.U. del 18 maggio 2023, ha istituito la Commissione parlamentare di inchiesta sulle attivita’ illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su altri illeciti ambientali e agroalimentari.. In particolare, la lettera n) dell’art. 1 della legge citata, attribuisce alla Commissione, tra gli altri, anche il compito di indagare sull’esistenza di attività illecite nel settore agricolo e agroalimentare, comprese quelle connesse a forme di criminalità organizzata, commesse anche attraverso sofisticazioni e contraffazione di prodotti enogastronomici, di etichettature e di marchi di tutela, compreso il loro traffico transfrontaliero, anche ai fini dell’aggiornamento e del potenziamento della normativa in materia di reati agroalimentari, a tutela della salute umana, del lavoro e dell’ambiente nonchè del contrasto del traffico illecito di prodotti con marchio «made in Italy» contraffatti o alterati.
Articolo 26
(Promozione della cucina italiana all’estero)
L’articolo 26 istituisce, nello stato di previsione del Ministero dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle Foreste, un Fondo, con una dotazione di 1 milione di euro per ciascuno degli anni 2024 e 2025, finalizzato a promuovere il consumo all’estero di prodotti nazionali di qualità.
Nel dettaglio, il comma 1 istituisce un Fondo, nello stato di previsione del Ministero dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste con una dotazione di 1 milione di euro per ciascuno degli anni 2024 e 2025 volto a promuovere il consumo all’estero di prodotti nazionali di qualità, funzionali alla corretta preparazione dei piatti tipici della cucina italiana e alla loro valorizzazione.
Il comma 2 prevede che per le finalità di cui al comma 1, può essere previsto il coinvolgimento della rete delle sedi diplomatiche all’estero.
Il comma 3 demanda ad un apposito decreto del Ministro dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste, da adottarsi di concerto con il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale e con il Ministro dell’economia e delle finanze, previa intesa in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, la definizione dei criteri e delle modalità di utilizzo del Fondo di cui al comma 1.
Si osserva che risulta opportuno indicare il termine di adozione del decreto interministeriale di cui al comma 3.
Il comma 4 indica le modalità di copertura degli oneri derivanti dalle disposizioni in esame.
Si rappresenta che il patrimonio agroalimentare italiano è stato oggetto di recenti misure di carattere legislativo volte alla sua tutela e promozione. Tra esse si ricorda la recente istituzione - articolo 1, commi 424-425, della legge di bilancio 2023, L. n. 197 del 2022 - del Fondo per la sovranità alimentare, con una dotazione di 25 milioni di euro per ciascuno degli anni 2023-2026. Tale Fondo ha il compito di rafforzare il sistema agricolo e agroalimentare nazionale, anche attraverso interventi finalizzati alla tutela e alla valorizzazione del cibo italiano di qualità, alla riduzione dei costi di produzione per le imprese agricole, al sostegno delle filiere agricole, alla gestione delle crisi di mercato, garantendo la sicurezza delle scorte e degli approvvigionamenti alimentari. Inoltre, l’art. 24, comma 4, del D.L. n. 34 del 2023, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 56 del 2023, ha disposto l’incremento di 200 mila euro per l’anno 2023 del Fondo per il sostegno delle eccellenze nella gastronomia e dell’agroalimentare italiano istituito dall’art. 1, comma 868, della legge di bilancio 2022 (legge n. 234 del 2021) nello stato di previsione del Ministero dell’agricoltura della sovranità alimentare e delle foreste (MASAF). La finalità perseguita dalla disposizione in esame consiste nel promuovere e sostenere le eccellenze della ristorazione e della pasticceria italiana, nel valorizzare il patrimonio agroalimentare ed enogastronomico italiano, anche attraverso interventi che incentivino la valorizzazione dei prodotti a denominazione d’origine e indicazione geografica e le eccellenze agroalimentari italiane, gli investimenti in macchinari professionali e altri beni strumentali durevoli, nonché in interventi in favore dei giovani diplomati nei servizi dell’enogastronomia e dell’ospitalità alberghiera.
Articolo 27
(Mutui a tasso agevolato per l’acquisizione di imprese agricole
da parte di imprese dello stesso settore)
L’articolo 27 reca disposizioni in materia di mutui a tasso agevolato concessi da ISMEA in favore delle imprese agricole finalizzati all’acquisizione, da parte di queste ultime, di imprese operanti nel medesimo settore.
Nel dettaglio la disposizione in esame, interviene, integrandola, sulla disciplina vigente in materia di interventi finanziari dell'Istituto di servizi per il mercato agricolo alimentare (ISMEA) in favore delle imprese che operano nella produzione, trasformazione e commercializzazione dei prodotti agricoli, della pesca e dell'acquacoltura. Si prevede, in particolare, che (ISMEA) conceda, nei limiti delle risorse di cui all’art. 2, comma 132, della legge 23 dicembre 1996 n. 662 e nel rispetto della normativa in materia di aiuti di Stato, mutui a tasso agevolato in favore di imprese agricole, della pesca e dell’acquacoltura, che attuano iniziative finalizzate all’acquisizione di una o più imprese operanti nel medesimo settore di produzione primaria o di prima trasformazione.
Il sopra menzionato art. 2, comma 132, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, prevede che l' ISMEA effettua interventi finanziari, a condizioni agevolate o a condizioni di mercato, in società, sia cooperative che con scopo di lucro, economicamente e finanziariamente sane, che operano nella produzione, trasformazione e commercializzazione dei prodotti agricoli, della pesca e dell'acquacoltura, compresi nell'Allegato I del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, nonché dei beni prodotti nell'ambito delle relative attività agricole individuati ai sensi dell'articolo 32, comma 2, lettera c), del testo unico delle imposte sui redditi di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917. L'ISMEA effettua interventi finanziari, a condizioni agevolate o a condizioni di mercato, in società il cui capitale sia posseduto almeno al 51 per cento da imprenditori agricoli, cooperative agricole a mutualità prevalente e loro consorzi o da organizzazioni di produttori riconosciute ai sensi della normativa vigente, o in cooperative i cui soci siano in maggioranza imprenditori agricoli, economicamente e finanziariamente sane, che operano nella distribuzione e nella logistica, anche su piattaforma informatica, dei prodotti agricoli, della pesca e dell'acquacoltura, compresi nell'Allegato I del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea. Nel caso di interventi a condizioni di mercato, l'ISMEA opera esclusivamente come socio di minoranza sottoscrivendo aumenti di capitale ovvero prestiti obbligazionari o strumenti finanziari partecipativi. Nell'ambito delle operazioni di acquisizione delle partecipazioni, l'ISMEA stipula accordi con i quali gli altri soci, o eventualmente terzi, si impegnano a riscattare al valore di mercato, nel termine stabilito dal relativo piano specifico di intervento, le partecipazioni acquisite. Nel caso di interventi a condizioni agevolate, l'ISMEA interviene tramite l'erogazione di mutui di durata massima di quindici anni. I criteri e le modalità degli interventi finanziari dell'ISMEA sono definiti con decreto del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali. L'intervento a condizioni agevolate da parte dell'ISMEA è subordinato alla preventiva approvazione di apposito regime di aiuti da parte della Commissione europea.
Si prevede, inoltre, che con decreto del Ministro dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste, d'intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano da adottarsi entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del disegno di legge in esame, sono definiti i criteri e le modalità per la concessione di mutui, nonché l’importo e la durata massimi del finanziamento.
L’ISMEA è un ente pubblico economico, sottoposto alla vigilanza del Ministero dell'agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste. L'ente non rientra tra le amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, né tra quelle inserite nel conto economico consolidato dello Stato ed individuate dall'ISTAT ai sensi dell'articolo 1, comma 3, della legge 31 dicembre 2009, n.196.
L’ISMEA è stato istituito con l'accorpamento dell'Istituto per Studi, Ricerche e Informazioni sul Mercato Agricolo (già ISMEA) e della Cassa per la Formazione della Proprietà Contadina, con decreto legislativo 29 ottobre 1999 n. 419, concernente il "riordinamento del sistema degli enti pubblici nazionali" e per ultimo con l'accorpamento dell'Istituto sviluppo agroalimentare (ISA) Spa e la Società gestione fondi per l'agroalimentare (SGFA) s.r.l. con Legge 28 dicembre 2015, n. 208.
Nell'ambito delle sue funzioni istituzionali l'ISMEA realizza servizi informativi, assicurativi e finanziari e costituisce forme di garanzia creditizia e finanziaria per le imprese agricole e le loro forme associate, al fine di favorire l'informazione e la trasparenza dei mercati, agevolare il rapporto con il sistema bancario e assicurativo, favorire la competitività aziendale e ridurre i rischi inerenti alle attività produttive e di mercato. L'ISMEA affianca le Regioni nelle attività di riordino fondiario, attraverso la formazione e l'ampliamento della proprietà agricola, e favorisce il ricambio generazionale in agricoltura in base ad uno specifico regime di aiuto approvato dalla Commissione europea.
Si ricorda, infine, che il Regolamento Amministrazione e Contabilità Ismea è stato approvato con Decreto del 28 dicembre 2017 del MIPAAF, di concerto con il MEF, mentre il Regolamento di Organizzazione e Funzionamento Ismea è stato approvato con delibera n. 18 del 19 luglio 2017.
Di recente l’art. 23, comma 3 del decreto legge n. 44 del 2023 convertito, con modificazioni, dalla L. 74 del 2023 ha introdotto apposite misure volte alla promozione dell’imprenditoria giovanile in agricoltura attraverso operazioni di riordino fondiario realizzate da ISMEA e destinando a tal fine una somma pari a 28 milioni di euro.
Articolo 28
(Fondo per la protezione delle indicazioni geografiche registrate e dei prodotti agroalimentari italiani nel mondo)
L’articolo 28 istituisce, presso il Ministero dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste, il Fondo per la protezione nel mondo delle indicazioni geografiche italiane agricole, alimentari, del vino e delle bevande spiritose, con una dotazione di 2 milioni di euro per ciascuno degli anni 2024 e 2025.
Nel dettaglio il comma 1 istituisce, presso il Ministero dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste, il Fondo per la protezione nel mondo delle indicazioni geografiche italiane agricole, alimentari, del vino e delle bevande spiritose (“II.GG.”) con una dotazione finanziaria iniziale di 2 milioni di euro per ciascuno degli anni 2024 e 2025.
La disposizione in commento fa riferimento alla disciplina europea in materia di denominazioni di qualità dei prodotti agricoli ed alimentari contenuta nel Regolamento (UE) n. 1151/2012 sui regimi di qualità dei prodotti agricoli e alimentari e nel Regolamento (UE) n.1308/2013 relativo alla definizione, alla designazione, alla presentazione e all’etichettatura delle bevande spiritose, all’uso delle denominazioni di bevande spiritose nella presentazione e nell’etichettatura di altri prodotti alimentari. Per le modalità di attuazione del medesimo regolamento n. 1151/2012, è stato, inoltre, emanato il Regolamento (UE) n. 668/2014 della Commissione. Il citato Regolamento n. 1151 /2012 è stato poi modificato dal Regolamento 2017/625 sui controlli ufficiali e le altre attività ufficiali effettuati per garantire l’applicazione della legislazione sugli alimenti e sui mangimi, delle norme sulla salute e sul benessere degli animali sulla sanità delle piante e sui prodotti fitosanitari.
Si ricorda, in proposito, che in ambito europeo con riferimento ai prodotti di origine controllata è in corso di esame da parte del Parlamento Europeo e del Consiglio una proposta di regolamento (2022) COM 134 che ha ad oggetto la revisione del vigente Regolamento(UE) n. 1151/2012. Al riguardo, si ricorda che i negoziati interistituzionali tra i colegislatori, avviati il 6 giugno 2023, sono tuttora in corso.
Per l’attuazione in Italia del Regolamento n. 1151/2012 è stato emanato il decreto ministeriale 14 ottobre 2013. Il decreto in questione descrive, ai sensi dell’art. 3, gli elementi di conformità al disciplinare di produzione che un determinato prodotto deve possedere per beneficiare di una denominazione di origine protetta (DOP) o di una indicazione geografica protetta (IGP) ai sensi del Regolamento 1151/2012. L’articolo 4 individua poi i soggetti legittimati al presentare domanda di riconoscimento per una DOP o IGP mentre l’art. 6 descrive i requisiti della domanda di registrazione. E’ stato poi emanato il D.M. 26 ottobre 2021, recante “Criteri e modalità di applicazione dell’agevolazione diretta a sostenere la promozione all’estero di marchi collettivi e di certificazione volontari italiani- Termini di apertura e modalità di presentazione delle domande, criteri di valutazione, modalità di rendicontazione delle spese e derogazione di spese e agevolazione”; esso prevede, tra l’altro, che i soggetti che possono beneficiare dell’agevolazione per promozione all’estero, di marchi collettivi e di certificazione oggetto di tale decreto siano: le associazioni rappresentative delle categorie produttive; i consorzi di tutela di cui all’art. 53 della legge 138 del 1998 (delle DOP, IGP e delle attestazioni di specificità)e altri organismi di tipo associativo o cooperativo. Con il decreto 11 luglio 2023 sono stati determinati i criteri e le modalita’ per la concessione di contributi concernenti iniziative volte a sviluppare azioni di valorizzazione, incentivare lo scambio di conoscenze ed azioni di informazione, sostenere la formazione professionale e l’acquisizione di competenze, nonche’ i progetti di ricerca e sviluppo e la salvaguardia dei prodotti agricoli ed alimentari contraddistinti da denominazioni di origine protette e indicazioni geografiche protette.
Per una più ampia disamina sulla tematica della tutela della qualità dei prodotti agroalimentari si veda l’apposito tema a cura del Servizio Studi della Camera.
Si fa presente che nel corso dell’indagine conoscitiva sul “Made in Italy valorizzazione e sviluppo dell’impresa italiana nei suoi diversi ambiti produttivi” avviata nel dicembre 2022 dalla X commissione Attività produttive della Camera e conclusasi lo scorso 31 marzo è emerso che l’Italia è il Paese con il maggior numero di riconoscimenti conferiti dall’UE. Il settore food vantava, nel 2021, 315 riconoscimenti tra Denominazione di origine protetta (DOP-171), Indicazione geografica protetta (IGP – 139) e Specialità tradizionale garantita (STG – 3). Nel settore vinicolo, sono oltre 400 i vini con denominazione di origine controllata (DOC) e denominazione di origine controllata e garantita (DOCG). Nella stessa indagine si evidenzia che a fronte di tali dati il potenziale inespresso è significativo, considerando che il numero di imprese esportatrici è pari al 13%, secondo i dati dell’Istat (rapporto sulla competitività dei settori produttivi 2023). Il settore agroalimentare può inoltre costituire un’opportunità per valorizzare le aree interne dell’appennino e in generale “marginali” e, attraverso interventi di contrasto ai rischi idrogeologici e alluvionali, mettere in sicurezza il territorio. Tali interventi si rendono necessari anche per un miglior uso e una più efficace tutela delle risorse idriche, in un contesto esposto agli effetti dei cambiamenti climatici. Maggiori potenzialità poi potrebbero essere sviluppate attraverso l’applicazione di nuove tecnologie capaci di aumentare la produttività di un settore troppo a lungo considerato a bassa intensità tecnologica. Ulteriori opportunità potrebbero, inoltre, derivare dallo sviluppo del commercio online, che durante le varie fasi dell’emergenza sanitaria ha giocato un ruolo centrale in termini di distribuzione B2B e B2C, accelerando un processo già in atto. A tal fine la stessa indagine conoscitiva segnala che sarebbe opportuno potenziare il credito d’imposta destinato al comparto agroalimentare per potenziamento della vendita on line dei propri prodotti, favorendo anche in questo caso l’assolvimento semplificato delle accise mediante l’introduzione di un sistema “one stop-shop”.
Il comma 2 contiene un elenco delle azioni finalizzate alla tutela giuridica delle II.GG individuandole nelle:
1) azioni di registrazione in Paesi terzi, come indicazioni geografiche oppure di marchi privatistici, nei casi di assenza di legislazione analoga a tutela delle “II.GG.”, e previa valutazione tecnica effettuata dal Ministero dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste;
2) azioni connesse alle opposizioni avverso la registrazione, in Paesi terzi, di marchi o di altri titoli di proprietà intellettuale, in contrasto con la protezione prevista da accordi internazionali, dei quali l’Italia è membro o dei quali l’Unione europea è parte contraente;
3) azioni dirette alla presentazione di domande di assegnazione alle II.GG. di domini internet ed ogni azione avverso eventuali assegnazioni come nomi a dominio di II.GG. in favore di soggetti diversi dai consorzi di tutela riconosciuti in base alla normativa vigente o dalle autorità italiane;
4) azioni finalizzate ad aumentare la capacità di riconoscimento delle II.GG. italiane, includendo i nomi a dominio e le piattaforme in internet;
5) azioni di comunicazione e promozione delle II.GG., di sistemi giuridici di Paesi terzi che limitano la piena protezione legale delle denominazioni italiane nei Paesi terzi interessati;
6) azioni volte a migliorare e a favorire la conoscenza delle II.GG. italiane, come elementi del patrimonio culturale ed enogastronomico nazionale.
Il comma 3 stabilisce che per le azioni di cui al comma 2, numeri 4, 5 e 6), può essere previsto il coinvolgimento dell’ICE – Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane.
Si rappresenta, con riferimento al ruolo dell’ICE nella promozione del patrimonio agroalimentare italiano, che nel corso dell’indagine conoscitiva sul “Made in Italy: valorizzazione e sviluppo dell’impresa italiana nei suoi diversi ambiti produttivi” sopra ricordata è stato considerato che l’ICE-Agenzia, le rappresentanze diplomatiche e le Regioni e nonché la rete delle Camere di commercio estere sono strumenti importanti per l’affermazione del nostro Paese e delle sue imprese sui mercati internazionali, ma anche come le loro attività, anche se emanazione di amministrazioni differenti, dovrebbero essere maggiormente coordinate. In tal senso, potrebbero essere conseguite maggiori sinergie per la realizzazione di campagne mirate alla promozione contestuale delle eccellenze Made in Italy e dei territori di cui sono espressione.
Il comma 4 statuisce che le risorse del Fondo menzionato al comma 1 sono destinate a finanziare le camere di commercio all’estero per le attività di supporto alle azioni giudiziarie e stragiudiziarie intraprese a tutela dei propri prodotti agroalimentari, da imprese con sede legale ed operativa in Italia.
Il comma 5 attribuisce ad uno o più decreti del Ministro dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste - da adottarsi entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore del disegno di legge in esame - di concerto con il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale e con il Ministro dell’economia e delle finanze e d’intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni le province autonome il compito di definire i criteri e le modalità di finanziamento delle azioni di cui ai precedenti commi 2 e 3.
Il comma 6 prevede la copertura finanziaria della disposizione in commento.
Articolo 29
(Valorizzazione delle pratiche tradizionali e del paesaggio rurale)
L’articolo 29 istituisce presso il Ministero dell'agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste (MASAF) un fondo destinato a sostenere i Comuni che adottano iniziative volte a ripristinare, manutenere e valorizzare le infrastrutture di interesse storico e paesaggistico percorse dagli animali negli spostamenti per la transumanza, la monticazione, l'alpeggio e altre pratiche tradizionali locali.
L’articolo 29, comma 1, istituisce presso il MASAF un Fondo destinato a sostenere il miglioramento delle razze animali allevate in Italia con una dotazione di 1 milione di euro per ciascuno degli anni 2024 e 2025, con l’obiettivo di sostenere i Comuni che adottano iniziative a ripristinare, manutenere e valorizzare le infrastrutture di interesse storico e paesaggistico percorse dagli animali negli spostamenti per la transumanza, la monticazione, l'alpeggio e altre pratiche tradizionali locali.
Il comma 2 prevede che i criteri e le modalità di attuazione del fondo di cui al comma 1 siano stabiliti con uno o più decreti del Ministro dell'agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste, da adottare entro 150 giorni dalla data di entrata in vigore della legge in esame, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e il Ministro della salute, previa intesa in sede di Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo n. 281 del 1997.
Il comma 3 prevede che alla copertura degli oneri derivanti dalle disposizioni in esame si provveda mediante corrispondente riduzione delle proiezioni dello stanziamento del fondo speciale di conto capitale iscritto, ai fini del bilancio triennale 2023-2025, nell’ambito del programma “Fondi di riserva e speciali” della missione “Fondi da ripartire” dello stato di previsione del MEF per l’anno 2023, allo scopo parzialmente utilizzando l’accantonamento del Ministero dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste.
Articolo 30
(Distretti del prodotto tipico italiano)
L’articolo 30 istituisce presso il Ministero dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste (MASAF) il Fondo per i distretti del prodotto tipico italiano. I distretti del prodotto tipico italiano sono riconosciuti con decreto del Ministro dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste, sulla base della proposta della Regione o della Provincia autonoma che tiene conto di criteri indicati dal comma 3 dell’articolo in esame.
L’articolo 30, comma 1, istituisce presso il MASAF il Fondo per i distretti del prodotto tipico italiano con una dotazione di 2 milioni di euro per ciascuno degli anni 2024 e 2025.
Il comma 2 dell’articolo in esame chiarisce che per “distretti del prodotto tipico italiano” si intendono l’insieme dei sistemi produttivi locali caratterizzati dalla sinergia di soggetti che si aggregano per la produzione di uno specifico prodotto agricolo o agroalimentare a valenza fortemente territoriale, al fine della sua valorizzazione e promozione del prodotto tipico italiano nei mercati nazionali e internazionali.
I distretti del prodotto tipico italiano sono riconosciuti, ai sensi del comma 3, con decreto del Ministro dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste, sulla base della proposta della Regione o della Provincia autonoma che tiene conto dei seguenti criteri:
a) potenzialità di sviluppo territoriale e del prodotto in termini quantitativi e qualitativi;
b) rappresentatività del prodotto rispetto al territorio;
c) ruolo strategico del prodotto nell’ambito della filiera produttiva.
A ciascun distretto, secondo quanto disposto dal successivo comma 4, è concesso un contributo a fondo perduto di 20.000 euro, a valere sulle risorse del relativo Fondo, per lo studio di fattibilità contenente gli elementi di valutazione di cui al comma 3, da presentare a supporto della proposta di riconoscimento del distretto da parte del Ministro dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste.
Per favorire la creazione di distretti del prodotto tipico italiano, sono concesse agevolazioni, a valere sul Fondo per i distretti, nella forma di contributi in conto capitale per investimenti e progetti di ricerca, cofinanziati dalla Regione per una quota pari al 30 per cento, come specificati con decreto del Ministro dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze e con il Ministero per le imprese e del made in Italy, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano.
Il comma 7 precisa che possono essere riconosciuti quali “distretti del prodotto tipico italiano” i distretti del cibo di cui al comma 2 dell’articolo 13 del decreto legislativo n. 228 del 2001, che siano in possesso dei requisiti di cui al presente articolo.
L’articolo 13 del decreto legislativo n. 228 del 2001, come modificato dall'articolo 1, comma 499, della legge n. 205 del 2017 a decorrere dal 1° gennaio 2018 (legge di bilancio 2018), ha istituito i distretti del cibo al fine di promuovere lo sviluppo territoriale, la coesione e l'inclusione sociale, favorire l'integrazione di attività caratterizzate da prossimità territoriale, garantire la sicurezza alimentare, diminuire l'impatto ambientale delle produzioni, ridurre lo spreco alimentare e salvaguardare il territorio e il paesaggio rurale attraverso le attività agricole e agroalimentari.
Il comma 2 stabilisce che si definiscono distretti del cibo:
a) i distretti rurali quali sistemi produttivi locali di cui all'articolo 36, comma 1, della legge n. 317 del 1991, caratterizzati da un'identità storica e territoriale omogenea derivante dall'integrazione fra attività agricole e altre attività locali, nonché dalla produzione di beni o servizi di particolare specificità, coerenti con le tradizioni e le vocazioni naturali e territoriali, già riconosciuti alla data di entrata in vigore della disposizione;
b) i distretti agroalimentari di qualità quali sistemi produttivi locali, anche a carattere interregionale, caratterizzati da significativa presenza economica e da interrelazione e interdipendenza produttiva delle imprese agricole e agroalimentari, nonché da una o più produzioni certificate e tutelate ai sensi della normativa europea o nazionale, oppure da produzioni tradizionali o tipiche, già riconosciuti alla data di entrata in vigore della disposizione;
c) i sistemi produttivi locali caratterizzati da una elevata concentrazione di piccole e medie imprese agricole e agroalimentari, di cui all'articolo 36, comma 1, della legge n. 317 del 1991;
d) i sistemi produttivi locali anche a carattere interregionale, caratterizzati da interrelazione e interdipendenza produttiva delle imprese agricole e agroalimentari, nonché da una o più produzioni certificate e tutelate ai sensi della normativa europea, nazionale e regionale;
e) i sistemi produttivi locali localizzati in aree urbane o periurbane caratterizzati dalla significativa presenza di attività agricole volte alla riqualificazione ambientale e sociale delle aree;
f) i sistemi produttivi locali caratterizzati dall'interrelazione e dall'integrazione fra attività agricole, in particolare quella di vendita diretta dei prodotti agricoli, e le attività di prossimità di commercializzazione e ristorazione esercitate sul medesimo territorio, delle reti di economia solidale e dei gruppi di acquisto solidale;
g) i sistemi produttivi locali caratterizzati dalla presenza di attività di coltivazione, allevamento, trasformazione, preparazione alimentare e agroindustriale svolte con il metodo biologico o nel rispetto dei criteri della sostenibilità ambientale, conformemente alla normativa europea, nazionale e regionale vigente;
h) i biodistretti e i distretti biologici, intesi come territori per i quali agricoltori biologici, trasformatori, associazioni di consumatori o enti locali abbiano stipulato e sottoscritto protocolli per la diffusione del metodo biologico di coltivazione, per la sua divulgazione nonché per il sostegno e la valorizzazione della gestione sostenibile anche di attività diverse dall'agricoltura. Nelle regioni che abbiano adottato una normativa specifica in materia di biodistretti o distretti biologici si applicano le definizioni stabilite dalla medesima normativa.
L'individuazione dei distretti del cibo è effettuata dalle regioni e dalle province autonome che provvedono alla successiva comunicazione al MASAF, presso il quale è costituito il Registro nazionale dei distretti del cibo.
Il comma 8 stabilisce che alla copertura degli oneri derivanti dalle disposizioni in esame si provveda mediante corrispondente riduzione delle proiezioni dello stanziamento del fondo speciale di conto capitale iscritto, ai fini del bilancio triennale 2023-2025, nell’ambito del programma “Fondi di riserva e speciali” della missione “Fondi da ripartire” dello stato di previsione del MEF per l’anno 2023, allo scopo parzialmente utilizzando l’accantonamento relativo al MASAF.
Il comma 9, infine, prevede che le misure di sostegno in esame siano concesse nei limiti e alle condizioni previsti dalla normativa europea e nazionale in materia di aiuti di Stato.
Articolo 31
(Contrassegno per il made in Italy)
L’articolo 31 dispone l’istituzione, con decreto del Ministro delle imprese e del made in Italy, da emanare di concerto con il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale e con il Ministro dell’economia e delle finanze, di un contrassegno ufficiale di attestazione dell’origine italiana delle merci. Si tratta, come specifica il comma 2, di un contrassegno che le imprese che producono beni sul territorio nazionale, ai sensi della vigente normativa dell’Unione europea, possono, su base volontaria, apporre sui predetti beni.
Il comma 3 dispone che il contrassegno, in ragione della sua natura e funzione, è carta valori.
Il comma 4 dettaglia taluni contenuti essenziali del decreto ministeriale di cui al comma 1, tra cui l’indicazione delle forme grafiche e le tipologie di supporti ammesse per il contrassegno, le modalità e i criteri secondo cui le imprese possono richiedere e mantenere l’autorizzazione ad apporre sulle proprie merci il contrassegno e gli eventuali segni descrittivi, i settori merceologici e le tipologie di prodotti per i quali è possibile ottenere l’autorizzazione ad apporre il contrassegno.
Ai sensi del comma 5, le amministrazioni competenti provvedono all’attuazione dell’articolo in esame, nei limiti delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente e, comunque, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.
L’articolo 31, al comma 1, dispone che con decreto del Ministro delle imprese e del made in Italy, da emanare, di concerto con il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale e con il Ministro dell’economia e delle finanze, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge, è adottato un contrassegno ufficiale di attestazione dell’origine italiana delle merci, di cui è vietato a chiunque l’uso, da solo o congiuntamente con la dizione «made in Italy», fuori dei casi consentiti dall’articolo qui in esame.
Ai sensi del comma 2, ai fini della tutela e della promozione della proprietà intellettuale e commerciale dei beni prodotti nel territorio nazionale e di un più efficace contrasto della falsificazione, le imprese che producono beni sul territorio nazionale, ai sensi della vigente normativa dell’Unione europea, possono, su base volontaria, apporre il contrassegno sui predetti beni.
Il comma 3 dispone che il contrassegno di cui al comma 1, in ragione della sua natura e funzione, è carta valori ai sensi dell’articolo 2 della legge 13 luglio 1966, n. 559, ed è realizzato con tecniche di sicurezza o con impiego di carte filigranate o similari o di altri materiali di sicurezza ovvero con elementi o sistemi magnetici ed elettronici in grado, unitamente alle relative infrastrutture, di assicurare un’idonea protezione dalle contraffazioni e dalle falsificazioni.
Il richiamato articolo 2, al comma 10-bis (introdotto dall’articolo 17-bis del D.L. n. 69 del 2013) reca i criteri generali per la definizione delle carte-valori. Ai sensi della norma, sono - in particolare - considerate carte-valori i prodotti, individuati con decreto non regolamentare del Ministro dell’economia e delle finanze, i quali abbiano almeno uno dei seguenti requisiti:
§ sono destinati ad attestare il rilascio da parte dello Stato o di altre pubbliche amministrazioni di autorizzazioni, certificazioni, abilitazioni, documenti di identità e riconoscimento, ricevute di introiti, o ad assumere un valore fiduciario e di tutela della fede pubblica;
§ sono realizzati con tecniche di sicurezza o con impiego di carte filigranate o similari o di altri materiali di sicurezza o con elementi o sistemi magnetici ed elettronici in grado di assicurare idonea protezione dalle contraffazioni e falsificazioni.
I prodotti considerati carte valori sono individuati dal D.M.12 dicembre 2013 e dal relativo Allegato A.
Il comma 4 dispone che con il decreto interministeriale di cui al comma 1 siano disciplinati:
a) le forme grafiche e le tipologie di supporti ammesse per il contrassegno e le caratteristiche tecniche minime che questo deve possedere, con particolare riguardo ai metodi per il contrasto della falsificazione;
b) le forme grafiche per i segni descrittivi;
c) le modalità e i criteri con cui le imprese possono richiedere e mantenere l’autorizzazione ad apporre sulle proprie merci il contrassegno e gli eventuali segni descrittivi;
d) i settori merceologici e le tipologie di prodotti per i quali è possibile ottenere l’autorizzazione;
e) le regole che le imprese devono rispettare nell’utilizzo del contrassegno e dei segni descrittivi al fine di assicurare pieno decoro nell’utilizzo degli stessi;
f) la tecnologia da utilizzare a fini di garanzia della certificazione e della tracciabilità della filiera dei prodotti, anche con riferimento a quanto previsto dall’articolo 37, in materia di blockchain per la tracciabilità delle filiere.
Ai sensi del comma 5, le amministrazioni competenti provvedono all’attuazione dell’articolo in esame, nei limiti delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente e, comunque, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.
L’analisi tecnico normativa allegata al provvedimento in esame dichiara che l’intervento di cui all’art. 31 risulta compatibile con il Codice Doganale dell’Unione europea, nonché con gli articoli 34, 36, 106 e 107 TFUE.
Al riguardo, si rammenta che la tutela dell’origine dei prodotti si fonda sulla disciplina europea e – in particolare – sul codice doganale dell’Unione. La tutela dell’origine dei prodotti cd. made in Italy incontra, pertanto, dei limiti nei principi enunciati dal Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE) a fondamento del mercato comune. Il mercato interno europeo comporta, infatti, uno spazio senza frontiere interne, nel quale deve essere assicurata la libera circolazione delle merci (artt. 34-36), delle persone, dei servizi e dei capitali. Pertanto, il divieto di restrizioni quantitative nonché di misure di effetto equivalente a restrizioni quantitative per gli scambi di merci costituisce uno dei fondamenti dell’Unione europea (si rinvia, per un approfondimento, al box, in calce alla scheda in esame, sull’origine dei prodotti nel diritto europeo).
L’articolo 106 TFUE vieta agli Stati membri di emanare e mantenere, nei confronti delle imprese pubbliche e delle imprese cui riconoscono diritti speciali o esclusivi, misure contrarie alle norme dei Trattati, in particolare modo, misure contrarie al principio di non discriminazione (art. 18, par. 2 TFUE) e alle regole della concorrenza.
L’articolo 107 e ss. TFUE reca la disciplina sugli aiuti di Stato. In particolare, L’articolo 107, in particolare, prevede che, salvo deroghe contemplate dai Trattati, siano incompatibili con il mercato interno, nella misura in cui incidono sugli scambi tra Stati membri, gli aiuti concessi sotto qualsiasi forma dagli Stati, ovvero mediante fondi pubblici, che, favorendo talune imprese o talune produzioni, falsino o minaccino di falsare la concorrenza.
Si rammenta che la direttiva (UE) 2015/1535 prevede l’obbligo e la procedura di notifica alla Commissione europea delle regolamentazioni tecniche nazionali prima della loro adozione[4]. Il suo scopo è evitare la creazione di nuove barriere commerciali. Ai sensi di tale normativa, oggetto di vaglio preventivo sono, tra l’altro, i progetti di regole volti a istituire marchi/loghi che collegano la qualità di un prodotto alla sua origine[5].
Sul punto, la relazione illustrativa e l’analisi tecnico normativa se la disposizione in commento sia stata posta all’attenzione della Commissione europea ai sensi della Direttiva (UE) 2015/1535.
Nel dettaglio, l’art. 1, par. 1, lett. f) della Direttiva, recepita nell’ordinamento nazionale con il D.lgs. n. 223/2017, modificativo della Legge 317/1986[6], definisce regola tecnica una specificazione tecnica o altro requisito o una regola relativa ai servizi, comprese le disposizioni amministrative che ad esse si applicano, la cui osservanza è obbligatoria, de jure o de facto, per la commercializzazione, la prestazione di servizi, lo stabilimento di un fornitore di servizi o l’utilizzo degli stessi in uno Stato membro o in una parte importante di esso, nonché le disposizioni legislative, regolamentari o amministrative degli Stati membri che vietano la fabbricazione, l’importazione, la commercializzazione o l’utilizzo di un prodotto oppure la prestazione o l’utilizzo di un servizio o lo stabilimento come fornitore di servizi. Costituiscono, tra l’altro, regole tecniche de facto: i) le disposizioni legislative, regolamentari o amministrative di uno Stato membro che fanno riferimento o a specificazioni tecniche o ad altri requisiti o a regole relative ai servizi, o a codici professionali o di buona prassi (…) e la cui osservanza conferisce una presunzione di conformità alle prescrizioni fissate dalle suddette disposizioni legislative, regolamentari o amministrative.
a) Il principio di libera circolazione delle merci nel diritto UE
Gli articoli 34 e 35 del TFUE, segnatamente, vietano fra gli Stati membri le restrizioni quantitative all’importazione e all’esportazione, nonché qualsiasi misura di effetto equivalente.
b) La nozione di “origine del prodotto” nel diritto dell’UE.
La nozione di origine è contenuta nel Codice doganale dell’Unione (Regolamento UE n. 952/2013), agli articoli 60 e 61, e si applica non solo per ciò che attiene agli aspetti tariffari con paesi non facenti parte del territorio doganale dell’UE, ma anche alle “altre misure dell’Unione relative all’origine delle merci” (cfr. art. 59, lett. c), del Codice), fatta eccezione per talune tipologie di merci, ovvero di prodotti, quali quelli agroalimentari di origine protetta o ad indicazione geografica tipica, la cui disciplina ha carattere specifico (cfr. infra).
L’articolo 60 del Codice doganale, in particolare, considera originarie di un Paese o di un territorio le merci interamente ottenute in tale Paese o territorio.
Inoltre, con riferimento alle merci alla cui produzione contribuiscono due o più Paesi o territori, esse sono considerate originarie del Paese o territorio in cui hanno subito l’ultima trasformazione o lavorazione sostanziale ed economicamente giustificata, effettuata presso un’impresa attrezzata a tale scopo, che si sia conclusa con la fabbricazione di un prodotto nuovo o abbia rappresentato una fase importante del processo di fabbricazione (criterio c.d. “sostanzialista”).
c) Le normative europee di settore sull’origine dei prodotti.
Fatta eccezione - come si dirà - per il settore agroalimentare, le normative europee in materia di commercio non contengono nozioni autonome e settoriali di “origine”. Prevedono, tuttavia, discipline settoriali sulla tracciabilità e l’etichettatura.
Si richiama, al riguardo, la direttiva 2001/95/CE sulla sicurezza generale dei prodotti, che, pur prevedendo (articolo 3) che i prodotti immessi sul mercato dell’UE devono essere sicuri e devono recare informazioni che ne consentano la tracciabilità – quali l’identità del fabbricante e un certificato di prodotto – e pur prevedendo obblighi minimi di etichettatura dei prodotti immessi sul mercato interno (art. 5, par. 1, lett. a)), non include disposizioni specifiche relative all’indicazione del luogo di fabbricazione, né contiene una autonoma nozione di “origine”.
La direttiva 2006/114/UE sulla tutela dalla pubblicità ingannevole e dalle sue conseguenze sleali, così come la direttiva 2005/29/CE sulle pratiche commerciali sleali fra imprese e consumatori, citano fra gli elementi che determinano la scorrettezza di una comunicazione o di una qualsiasi altra pratica commerciale sleale l’indicazione fuorviante circa l’effettiva origine del prodotto, ma non ne forniscono una definizione.
Di seguito una sintesi delle norme europee sull’origine dei prodotti afferenti ai comparti industriali più significativi per il c.d. “Made in Italy.
Il Regolamento (UE) 1223/2009 sui prodotti cosmetici, all’articolo 19, par. 1, lett. a), prevede l’obbligo di indicare in etichetta il paese d’origine, ma solo se si tratta di “prodotti importati” (provenienti da paesi terzi). Il Regolamento non fornisce indicazioni sul contenuto della nozione di origine.
Nel comparto legno-arredo, il Regolamento (UE) n. 995/2010 prevede un obbligo di tracciabilità e l’indicazione alle autorità competenti della composizione delle materie prime dei prodotti trasformati (articolo 5).
Nel settore tessile, il Regolamento (UE) 1007/2011 - relativo alle denominazioni delle fibre tessili e all’etichettatura e al contrassegno della composizione fibrosa dei prodotti tessili - ha demandato alla Commissione la presentazione, entro il 30 settembre 2013, di una relazione sui possibili nuovi obblighi di etichettatura da introdurre a livello UE, nell’intento di fornire ai consumatori informazioni accurate, pertinenti, comprensibili e comparabili sulle caratteristiche dei prodotti tessili. La relazione della Commissione (COM (2013), 656 final) ha demandato la discussione sull’introduzione di un sistema di etichettatura di origine ad una proposta di regolamento generale sulla sicurezza dei prodotti di consumo (destinato ad abrogare la citata direttiva 2001/95/CE sulla sicurezza generale dei prodotti) che tenga conto del paese di origine e di altri aspetti relativi alla tracciabilità. E’ stato istituito presso la Commissione UE un gruppo di esperti in materia di denominazioni ed etichettatura dei prodotti tessili cui partecipa il MIMIT.
La tutela del made in Italy nel tessile, cuoio-pelletteria, calzaturiero, è stata oggetto di una serie di interventi da parte del legislatore italiano che sono stati però oggetto di censura dalle Istituzioni europee, in quanto incompatibili con gli artt. 34-36 TFUE e con la sopra descritta normativa di diritto europeo derivato sull’origine di prodotti. Si richiama la Legge cd. Reguzzoni (legge n. 55/2010) sulla commercializzazione di prodotti tessili, della pelletteria e calzaturieri, che ha dettato una disciplina ad hoc a tutela della produzione italiana nei settori in questione. Tale legge ha disposto l’impiego dell’indicazione «Made in Italy» esclusivamente per prodotti finiti per i quali le fasi di lavorazione, come definite dalla legge stessa, hanno avuto luogo prevalentemente nel territorio nazionale e, in particolare, se almeno due delle fasi di lavorazione per ciascun settore sono state eseguite nel territorio medesimo e se, per le rimanenti fasi, è verificabile la tracciabilità. Ciascun prodotto non avente i requisiti per l’apposizione dell’indicazione Made in Italy deve indicare comunque lo Stato di provenienza, nel rispetto della normativa comunitaria.
La legge n. 55/2010 fu notificata alla Commissione Europea, la quale, con nota della Direzione Generale Impresa e Industria n. 518763 del 28 luglio 2010 espresse un parere contrario alla sua compatibilità con il diritto comunitario, attese le restrizioni che avrebbe potuto causare alla concorrenza ed alla libera circolazione delle merci sul territorio europeo. La Commissione, in particolare, ha ritenuto che nessun Paese Membro possa assumere autonomamente modalità tecniche di determinazione dell’origine divergenti rispetto a quelle europee in uso, poiché ciò significherebbe ostacolare la libera circolazione dei prodotti.
La Legge, in vigore nel nostro Paese dal 1° ottobre 2010, ancora oggi risulta inapplicabile, alla luce della mancata approvazione dei relativi decreti attuativi, mai adottati in virtù del giudizio negativo espresso dalle Istituzioni europee.
Si richiama, poi, l’articolo 3 della legge n. 8/2013 che ha vietato la vendita e l’immissione in commercio con l’indicazione dei termini «cuoio», «pelle», «pelliccia» e loro derivati o sinonimi, sia come aggettivi che sostantivi, anche se inseriti quali prefissi o suffissi in altre parole ovvero sotto i nomi generici di «pellame», «pelletteria» o «pellicceria», anche tradotti in lingua diversa dall’italiano, articoli che non siano ottenuti esclusivamente da spoglie di animali lavorate appositamente per la conservazione delle loro caratteristiche naturali e, comunque, prodotti diversi da quelli indicati all’articolo 1 del provvedimento. Lo stesso articolo ha poi disposto, per i prodotti ottenuti da lavorazioni in Paesi esteri che utilizzano la dicitura italiana dei termini di cui all’articolo 1, l’obbligo di etichettatura recante l’indicazione dello Stato di provenienza.
Tale disciplina è stata valutata dalla Corte di giustizia UE con sentenza 16 luglio 2015, causa C-95/14 non conforme con la predetta normativa europea.
Con la sentenza in questione, la Corte ha osservato che gli articoli 3 e 5 della direttiva 94/11/CE devono essere interpretati nel senso che essi ostano a una normativa di uno Stato membro che vieta, fra l’altro, il commercio degli elementi in cuoio delle calzature provenienti da altri Stati membri o da paesi terzi e che, nel caso trattato, sono già state poste in commercio in un altro Stato membro o nello Stato membro interessato, quando questi prodotti non riportano indicazioni relative al loro paese d’origine. L’articolo 3 della legge n. 8/2013 è stato successivamente abrogato dall’art. 26 della legge europea 2013-bis (L. n. 161/2014)[7].
Per quanto riguarda il settore agroalimentare, la disciplina europea sulle DOP, IGP e STG (Regolamento n. 1151/2012 (UE)) e quella sulla qualità dei prodotti vitivinicoli (Regolamento (UE) n. 1308/2013) hanno sostanzialmente inteso proteggere l’origine dei prodotti nell’ottica della diversificazione agricola, del valore aggiunto determinato da prodotti di qualità realizzati in zone individuate del territorio e dello sviluppo delle zone rurali, oltre che della tutela dei consumatori da pratiche legate alla contraffazione.
Nel settore agroalimentare, vi è poi la disciplina generale sull’etichettatura dei prodotti e sulle conseguenti informazioni ai consumatori (Reg. n. 1169/2011 (UE)) – che opera, in sostanza, laddove non si applichi la disciplina specifica dei prodotti DOP, IGP e STG – e costituisce anch’essa un aspetto della tutela della qualità del prodotto. In materia, vige il principio (art. 9 e art. 26) per cui l’indicazione del luogo d’origine o di provenienza è obbligatoria solo se la relativa omissione può indurre in errore il consumatore circa l’origine o la provenienza effettiva del prodotto alimentare. In tal caso (art. 26, par. 3), se è indicato il luogo di provenienza e non è lo stesso di quello del suo ingrediente primario, deve essere indicato anche l’origine dell’ingrediente primario o che questo non origina dallo stesso Paese o luogo di provenienza dell’alimento.
Si fa inoltre presente che, in attuazione dell’art. 26, par. 3, del Reg.1169/2011 è stato emanato il regolamento di esecuzione (UE) 2018/775 della Commissione che disciplina, appunto, l’indicazione obbligatoria in etichetta dell’origine dell’ingrediente primario.
d) la giurisprudenza della Corte Costituzionale sul “Made in”
La Suprema Corte, con la sentenza 19 luglio 2012, n. 191, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della legge regionale n. 9 del 2011 della Regione Lazio, che ha previsto la realizzazione di un apposito elenco, disponibile sul sito istituzionale della Regione, articolato in tre sezioni: “Made in Lazio – tutto Lazio”, “Realizzato nel Lazio” e “Materie prime del Lazio”.
L’illegittimità costituzionale della legge è stata dichiarata dalla Corte sulla base delle seguenti considerazioni: «Le disposizioni degli articoli da 34 a 36 del TFUE – che, nel caso in esame, rendono concretamente operativo il parametro dell’art. 117 Cost. – vietano […] agli Stati membri di porre in essere restrizioni quantitative all’importazione ed alla esportazione, e qualsiasi misura di effetto equivalente. Nella giurisprudenza della Corte di giustizia, la “misura di effetto equivalente” è costantemente intesa in senso ampio e fatta coincidere con “ogni normativa commerciale degli Stati membri che possa ostacolare, direttamente o indirettamente, in atto o in potenza, gli scambi intracomunitari” (Corte di giustizia, sentenze 6 marzo 2003, in causa C-6/2002, Commissione delle Comunità europee contro Repubblica Francese; 5 novembre 2002, in causa C-325/2000, Commissione delle Comunità europee contro Repubblica federale di Germania; 11 luglio 1974, in causa 8-1974, Dassonville contro Belgio). Orbene la legge della Regione Lazio, mirando a promuovere i prodotti realizzati in ambito regionale, garantendone siffatta origine, produce, quantomeno “indirettamente” o “in potenza”, gli effetti restrittivi sulla libera circolazione delle merci che, anche al legislatore regionale, è inibito di perseguire per vincolo dell’ordinamento comunitario».
Articolo 32
(Attività di ricognizione dei prodotti industriali e artigianali tipici)
L’articolo 32, in vista della definizione di un sistema di protezione uniforme a livello europeo basato sulle indicazioni geografiche, demanda alle Regioni la possibilità di effettuare, secondo le modalità e nei termini definiti con accordo in sede di Conferenza Stato-regioni, una ricognizione delle produzioni tipiche già oggetto di forme di riconoscimento o tutela, ovvero per le quali la reputazione e la qualità sono fortemente legati al territorio locale (comma 2). Gli esiti della ricognizione sono trasmessi al Ministero delle Imprese e del Made in Italy, ai fini della definizione, con decreto adottato previa intesa in sede di Conferenza Stato-regioni, di un regime di protezione, uniformemente valido e applicabile per il riconoscimento e la protezione, a livello nazionale, dei prodotti tipici (comma 3).
Gli articoli da 32 a 36 del disegno di legge contengono norme volte a tutelare e proteggere le indicazioni geografiche (IG) per i prodotti artigianali e industriali, anticipando, in una qualche misura, un’iniziativa avviata dalla Commissione europea.
Quest’ultima, infatti, il 13 aprile 2022, ha presentato una proposta di regolamento (UE) del Parlamento europeo e del Consiglio[8] relativa alla protezione delle “IG” non agri, il cui iter di approvazione è in stato avanzato (cfr. infra).
Si rammenta come, attualmente, l’Unione disponga di norme specifiche per la protezione delle Indicazioni Geografiche - IG per quanto riguarda vini, bevande spiritose, prodotti alimentari e altri prodotti agricoli, ma non di una protezione delle IG a livello dell'UE per i prodotti artigianali e industriali[9].
Detta proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio, mira a istituire una protezione a livello dell'UE delle IG per i prodotti artigianali e industriali - come gioielli, prodotti tessili, vetro, porcellana, ecc. In questo modo si intende – quindi – integrare la protezione UE già esistente per le IG nel settore agricolo, adottando un approccio similare anche per la protezione dei prodotti artigianali e industriali al livello dell’Unione europea.
La protezione delle IG per tali prodotti è finalizzata a sostenere gli artigiani e i produttori, specialmente le PMI, e a promuovere e tutelare il loro know-how tradizionale a livello dell'UE, nel rispetto delle norme europee in materia di concorrenza. L'Ufficio dell'Unione europea per la proprietà intellettuale (EUIPO) svolgerà un ruolo importante nell'attuazione del nuovo sistema di protezione, in particolare per quanto riguarda le procedure di registrazione delle IG artigianali e industriali.
La proposta di regolamento è in fase avanzata: il Governo, nella relazione illustrativa del disegno di legge, afferma che è stato raggiunto l’accordo in trilogo tra il Parlamento europeo, il Consiglio e la Commissione e che il testo definitivo del regolamento entrerà in vigore nei prossimi mesi.
Nel documento conclusivo dell’Indagine conoscitiva sul “Made in Italy: valorizzazione e sviluppo dell’impresa italiana nei suoi diversi ambiti produttivi”, approvato dalla X Commissione Attività produttive della Camera dei deputati lo scorso 17 maggio 2023, si evidenzia l’importanza di tale proposta di regolamento (pag. 18), atto a “costituire una sorta di certificazione di territorio e consentire una maggiore valorizzazione delle produzioni di qualità che caratterizzano molte realtà locali”.
La relazione evidenzia quindi la necessità di un intervento normativo in coerenza con le disposizioni della menzionata proposta di regolamento (UE), volto a garantire sin d’ora una maggiore tutela per i prodotti italiani artigianali e industriali.
Come evidenzia, l’ATN al provvedimento in esame, “il governo italiano, successivamente all’entrata in vigore del provvedimento UE, dovrà infatti adottare una serie di atti normativi primari e secondari per adeguare il proprio ordinamento interno alla nuova normativa UE nel settore delle Indicazioni geografiche (IG) non agri”.
(A cura dell’Ufficio Rapporti con l’Unione europea)
La proposta di regolamento relativo alla protezione delle indicazioni geografiche per i prodotti artigianali e industriali è stata presentata dalla Commissione europea il 13 aprile 2022.
Ispirandosi al sistema UE delle indicazioni geografiche (IG) per i vini, le bevande spiritose e altri prodotti agricoli, la proposta è volta ad istituire un quadro comune per proteggere la proprietà intellettuale dei prodotti artigianali e industriali (come vetro, prodotti tessili, porcellana, coltelleria, terracotta, orologi, strumenti musicali e mobili) che costituiscono il frutto dell'originalità e dell'autenticità di pratiche tradizionali regionali. Si stabiliscono norme di registrazione uniformi, un comune livello di protezione contro usi impropri e imitazioni, nonché norme di applicazione e monitoraggio.
La protezione delle IG per tali prodotti, nelle intenzioni del legislatore europeo, dovrebbe portare a una maggiore innovazione e a maggiori investimenti nell'artigianato, aiutando gli artigiani e i produttori, specialmente le PMI, a promuovere e tutelare il loro know-how tradizionale a livello dell'UE, nel rispetto delle norme dell'UE in materia di concorrenza.
Il 2 maggio 2023 il Consiglio dell’UE e il Parlamento europeo hanno raggiunto un accordo politico provvisorio sulla proposta. In particolare, l’accordo:
- assicura la coerenza con le norme sulla protezione delle IG per i prodotti agricoli applicando il concetto di "indicazione geografica protetta" (cosiddetta "IGP"), che garantisce l'attrattività delle indicazioni geografiche per i produttori che mantengono un forte legame tra le caratteristiche dei prodotti e la loro origine geografica;
- prevede procedure efficaci di controllo e verifica per la protezione delle IG introducendo, come procedura standard, un sistema basato sull'autodichiarazione che gli Stati membri rafforzano con controlli;
- fa sì che la protezione delle IG artigianali e industriali si applichi anche allo spazio dei nomi di dominio e all'ambiente online;
- facilita le procedure di registrazione delle IG, in particolare per le PMI, e garantisce nel contempo un elevato livello di protezione giuridica assegnando all'Ufficio dell'Unione europea per la proprietà intellettuale (EUIPO) un ruolo importante per quanto riguarda le procedure di registrazione delle IG artigianali e industriali.
L’accordo dovrebbe essere approvato e formalmente adottato da entrambe le Istituzioni nelle prossime settimane (la proposta sarà in plenaria al Parlamento europeo nella sessione 11-14 settembre 2023).
Venendo più nello specifico di alcuni elementi della procedura di registrazione, sulla base di quanto previsto nell’accordo, la procedura ordinaria di registrazione delle IG comprenderebbe due fasi: la prima a livello nazionale e la seconda a livello UE, quest’ultima gestita dall’EUIPO.
Le domande dei produttori verrebbero quindi prima esaminate dalle autorità nazionali e locali e ogni Stato membro dovrebbe designare un'autorità competente per la fase nazionale, che sarebbe responsabile anche delle altre procedure relative alle IG per i prodotti artigianali e industriali.
Alla procedura nazionale di opposizione sarebbe riservata una finestra di due mesi e il periodo di consultazione tra richiedente e opponente non dovrebbe superare i tre mesi (fatto salvo il caso di richieste congiunte di proroga).
In caso di decisione positiva, l’autorità nazionale competente trasmetterebbe la domanda all’EUIPO che, dopo aver completato le procedure di opposizione e comunicazione di eventuali osservazioni, prenderebbe la decisione finale.
Il prodotto sarebbe quindi inserito nel registro dell'Unione delle IG per i prodotti artigianali e industriali.
In merito invece alla tutela dei prodotti registrati, essi, sulla base di quanto previsto nell’accordo, sarebbero in particolare protetti da:
(a) qualsiasi impiego commerciale diretto o indiretto dell'indicazione geografica per prodotti che non sono oggetto di registrazione, qualora questi ultimi siano paragonabili ai prodotti protetti dall'indicazione geografica o l'uso di tale nome sfrutti, indebolisca, svigorisca o ancora danneggi la reputazione dell'indicazione geografica protetta;
(b) qualsiasi usurpazione, imitazione o evocazione, anche se l'origine vera dei prodotti o servizi è indicata o se l'indicazione geografica protetta è una traduzione o è accompagnata da espressioni quali "genere", "tipo", "metodo", "alla maniera", "imitazione", "gusto", “fragranza” "come" o simili;
(c) qualsiasi altra indicazione falsa o ingannevole relativa alla provenienza, all'origine, alla natura o alle qualità essenziali del prodotto usata sulla confezione o sull'imballaggio, nel materiale pubblicitario, nei documenti o nelle informazioni fornite sulle interfacce online relative al prodotto, nonché il confezionamento del prodotto in recipienti che possano indurre in errore sulla loro origine;
(d) qualsiasi altra pratica che possa indurre in errore il consumatore sulla vera origine del prodotto.
La protezione si applicherebbe anche nei nomi di dominio in internet.
L’accordo stabilisce inoltre norme relative a prodotti protetti da IG utilizzati come parti o componenti di prodotti fabbricati o manufatti e chiarisce i termini generici e la registrazione di IG omonime, nonché la relazione con i marchi commerciali.
Gli Stati membri dovrebbero inoltre designare una o più autorità competenti responsabili dei controlli, che includerebbero: (a) la verifica che un prodotto designato da un'indicazione geografica sia conforme al disciplinare; (b) il monitoraggio dell'uso delle indicazioni geografiche sul mercato, incluso il commercio elettronico.
Gli Stati membri dovrebbero infine stabilire le norme relative alle sanzioni che devono essere effettive, proporzionate e dissuasive.
Segnatamente, l’articolo 32, comma 1 del disegno di legge in commento afferma in premessa che la Repubblica:
§ riconosce il valore delle produzioni artigianali e industriali tipiche tradizionalmente legate a metodi di produzione locali radicati in una specifica zona geografica;
§ ne promuove la tutela in quanto elementi significativi del complesso patrimonio culturale nazionale;
§ assicura ai consumatori la disponibilità di informazioni affidabili in ordine alle produzioni artigianali e industriali tipiche;
§ sostiene gli artigiani e i produttori nella preservazione delle tradizioni produttive e della reputazione collegate ai luoghi di origine.
Il successivo comma 2 assegna alle regioni la facoltà, in vista della definizione di un sistema di protezione uniforme a livello europeo basato sulle indicazioni geografiche (vedi supra), di effettuare secondo le modalità e nei termini che saranno definiti entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge con accordo in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, una ricognizione delle produzioni tipiche tradizionalmente legate a metodi di produzione locali già oggetto di forme di riconoscimento o di tutela (si veda a tal proposito il box infra sulle attuali forme di tutela delle produzioni tipiche) ovvero per le quali la reputazione e la qualità sono fortemente legate al territorio locale.
L’articolo 32, al comma 3, dispone che gli esiti di tale ricognizione siano trasmessi al Ministero delle imprese e del made in Italy. Detto Ministero, con decreto adottato previa intesa in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, definisce un regime uniformemente valido e applicabile per il riconoscimento e la protezione, a livello nazionale, dei prodotti tipici.
Il comma 4, infine, reca una clausola di neutralità finanziaria, disponendo che le amministrazioni competenti provvedano all’attuazione dell’articolo in commento nei limiti delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente e, comunque, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.
Nel nostro ordinamento, le forme di tutela delle produzioni artigianali e industriali tipiche (“non agri”) non ricevono protezione, se non in una qualche misura, e a specifiche condizioni date, attraverso la disciplina del marchio, ed in particolare, del marchio collettivo. Purtuttavia, come si preciserà meglio nel prosieguo, la registrazione di un marchio collettivo costituito da nome geografico non autorizza il titolare a vietare a terzi l'uso nel commercio del nome stesso, purché quest'uso sia conforme ai principi della correttezza professionale.
La disciplina del marchio è fondata sulle norme del codice civile (artt. 2569-2574) e, in via speciale, sulle norme del Codice della proprietà industriale (CPI) D.lgs. n. 30 del 10 febbraio 2005 (artt. 7-28).
Ai sensi della vigente disciplina il marchio d'impresa può essere:
· Marchio individuale: se appartiene a una singola impresa o a persona fisica;
· Marchio collettivo. La definizione di marchio collettivo è quella riportata nell'art. 11 del CPI, come riformato dal D. lgs. n. 15/2019. Si tratta di un marchio la cui registrazione può essere ottenuta non da un singolo imprenditore per contraddistinguere i prodotti provenienti dalla propria azienda, bensì da “persone giuridiche di diritto pubblico, associazioni di categoria di fabbricanti, produttori, prestatori di servizi o commercianti, escluse le società di cui al libro V, Titolo V, Capi da V a VII del codice civile (S.p.A., S.A.S. e S.R.L.).
Tali marchi, pur avendo natura collettiva, possono poi essere concessi in uso a singoli produttori o commercianti.
Un marchio collettivo può consistere in segni o indicazioni che nel commercio possono servire per designare la provenienza geografica dei prodotti o servizi. Qualsiasi soggetto i cui prodotti o servizi provengano dalla zona geografica in questione ha diritto a diventare membro della associazione di categoria titolare del marchio, a fare uso del marchio, purché siano soddisfatti tutti i requisiti di cui al regolamento d’uso relativo.
I regolamenti d’uso dei marchi collettivi, i controlli e le relative sanzioni devono essere allegati alla domanda di registrazione e devono possedere i requisiti di cui all'articolo 157, comma 1-bis CPI[10].
Posto che il marchio collettivo può consistere in segni o indicazioni che nel commercio possono servire per designare la provenienza geografica dei prodotti o servizi, l'Ufficio italiano brevetti e marchi può rifiutare, con provvedimento motivato, la registrazione quando i marchi richiesti possano creare situazioni di ingiustificato privilegio o comunque recare pregiudizio allo sviluppo di altre analoghe iniziative nella regione.
L'Ufficio italiano brevetti e marchi ha facoltà di chiedere al riguardo l'avviso delle amministrazioni pubbliche, categorie e organi interessati o competenti. L'avvenuta registrazione del marchio collettivo costituito da nome geografico non autorizza il titolare a vietare a terzi l'uso nel commercio del nome stesso, purché quest'uso sia conforme ai principi della correttezza professionale (art. 11, comma 4, ult. periodo).
In attuazione della disciplina sui marchi collettivi, alcune regioni hanno proceduto a tutelare i propri prodotti artistici tipici, come ad esempio la Regione Veneto che, con legge n. 70/1994, ha autorizzato la Giunta alla registrazione del marchio collettivo Vetro artistico di Murano. Appare poi opportuno segnalare altre iniziative, quali quelle della Regione Autonoma della Sardegna ha istituito un segno distintivo denominato “Tessitura artigiana - Sardegna”[11]. Non si tratta però di un marchio collettivo, né di un marchio di garanzia iscritto presso l’UIBM del Ministero delle imprese e del made in Italy e dunque suscettibile di essere protetto ai sensi del CPI.
· Marchio di certificazione, disciplinato dall’articolo 11-bis CPI, introdotto dal D.Lgs.n.15/2019. Le persone fisiche o giuridiche, tra cui istituzioni, autorità ed organismi accreditati in materia di certificazione, a garantire l'origine, la natura o la qualità di determinati prodotti o servizi, possono ottenere la registrazione per appositi marchi come marchi di certificazione, a condizione che non svolgano un'attività che comporta la fornitura di prodotti o servizi del tipo certificato. In presenza degli specifici requisiti previsti dal CPI, relativi alla legittimazione soggettiva alla registrazione, ai requisiti minimi necessari del regolamento e del disciplinare d’uso fissati nell’art. 157, comma 1-ter CPI[12], è possibile registrare come marchio di certificazione un marchio che contiene indicazioni che designano la provenienza geografica di un prodotto.
Posto che marchio di certificazione può consistere in segni o indicazioni che nel commercio possono servire per designare la provenienza geografica dei prodotti o servizi, l'Ufficio italiano brevetti e marchi può rifiutare, con provvedimento motivato, la registrazione quando i marchi richiesti possano creare situazioni di ingiustificato privilegio o comunque recare pregiudizio allo sviluppo di altre analoghe iniziative nella regione. L'Ufficio italiano brevetti e marchi (UIBM) ha facoltà di chiedere al riguardo l'avviso delle amministrazioni pubbliche, categorie e organi interessati o competenti. L'avvenuta registrazione del marchio di certificazione costituito da nome geografico non autorizza il titolare a vietare a terzi l'uso nel commercio del nome stesso, purché quest'uso sia conforme ai principi della correttezza professionale (articolo 11-bis).
Ai sensi del CPI, i diritti del titolare del marchio d'impresa registrato consistono nella facoltà di fare uso esclusivo del marchio. Il titolare ha il diritto di vietare ai terzi, salvo proprio consenso, di usare nell'attività economica:
a) un segno identico al marchio per prodotti o servizi identici a quelli per cui esso è stato registrato;
b) un segno identico o simile al marchio registrato, per prodotti o servizi identici o affini, se a causa dell'identità o somiglianza fra i segni e dell'identità o affinità fra i prodotti o servizi, possa determinarsi un rischio di confusione per il pubblico, che può consistere anche in un rischio di associazione fra i due segni;
c) un segno identico o simile al marchio registrato per prodotti o servizi anche non affini, se il marchio registrato goda nello stato di rinomanza e se l'uso del segno, anche a fini diversi da quello di contraddistinguere i prodotti e servizi, senza giusto motivo consente di trarre indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o dalla rinomanza del marchio o reca pregiudizio agli stessi (articolo 20).
Inoltre, il Codice prevede che non è consentito usare il marchio in modo contrario alla legge, né, in specie, in modo da ingenerare un rischio di confusione sul mercato con altri segni conosciuti come distintivi di imprese, prodotti o servizi altrui, o da indurre comunque in inganno il pubblico, in particolare circa la natura, qualità o provenienza dei prodotti o servizi, a causa del modo e del contesto in cui viene utilizzato, o da ledere un altrui diritto di autore, di proprietà industriale, o altro diritto esclusivo di terzi (articolo 21, secondo comma).
Quanto alla tutela attuale a livello nazionale di specifiche produzioni artigianali “non agri”, si rammenta la disciplina relativa alla ceramica artistica e tradizionale e di qualità, di cui alla legge 9 luglio 1990, n. 188, tutelata anch’essa attraverso l’apposizione di un marchio (CAT e CQ). Ai sensi di tale legge, la tutela della denominazione di origine delle produzioni di ceramica artistica e tradizionale, ai fini della difesa e della conservazione delle loro caratteristiche tecniche e produttive, viene attuata con l'apposizione del marchio «ceramica artistica e tradizionale» (marchio CAT), in conformità ad un disciplinare-tipo approvato dal Consiglio nazionale ceramico, mentre, la tutela delle altre produzioni ceramiche, effettuate in conformità all'apposito disciplinare approvato dal Consiglio nazionale ceramico, viene attuata con l'apposizione del marchio «ceramica di qualità» (marchio CQ).
Articolo 33
(Manifestazione di interesse per il riconoscimento
di prodotto artigianale o industriale tipico)
L’articolo 33 dispone che le associazioni di produttori operanti in una determinata zona geografica possano adottare disciplinari di produzione e presentare alla Regione la dichiarazione di manifestazione di interesse ai fini della ricognizione dei prodotti artigianali e industriali tipici di cui all’articolo 32.
Segnatamente, l’articolo 33, dispone che, per valorizzare i prodotti artigianali e industriali tipici e favorire i processi di tutela degli stessi, secondo quanto previsto dall’articolo 29 del D.lgs. 10 febbraio 2005, n. 30, le associazioni di produttori operanti in una determinata zona geografica possano adottare disciplinari di produzione e presentare alla Regione manifestazione di interesse ai fini della ricognizione dei prodotti artigianali e industriali tipici di cui all’articolo 32, alla cui scheda si rinvia.
Il Codice della proprietà industriale (CPI) di cui al D.lgs. n. 30 del 10 febbraio 2005, modificato dal D.Lgs. n. 131/2010, e, successivamente, dal D.lgs. n. 15/2019, al fine di un suo adeguamento alla disciplina europea nel frattempo intervenuta e, da ultimo dalla Legge n. 102/2023, disciplina le indicazioni geografiche nella Sezione II del Capo II del codice (articoli 29 e 30).
L’articolo 29 dispone che sono protette le indicazioni geografiche e le denominazioni di origine che identificano un paese, una regione o una località, quando siano adottate per designare un prodotto che ne è originario e le cui qualità, reputazione o caratteristiche sono dovute esclusivamente o essenzialmente all'ambiente geografico d'origine, comprensivo dei fattori naturali, umani e di tradizione.
Si rammenta in questa sede anche l’articolo 30 CPI, che, facendo salva la disciplina della concorrenza sleale, le convenzioni internazionali in materia e i diritti di marchio anteriormente acquisiti in buona fede, vieta, quando sia idoneo ad ingannare il pubblico o quando comporti uno sfruttamento indebito della reputazione della denominazione protetta, l'uso di indicazioni geografiche e di denominazioni di origine, nonché l'uso di qualsiasi mezzo nella designazione o presentazione di un prodotto che indichino o suggeriscano che il prodotto stesso proviene da una località diversa dal vero luogo di origine, oppure che il prodotto presenta le qualità che sono proprie dei prodotti che provengono da una località designata da un indicazione geografica.
Numerose altre disposizioni del CPI attengono poi alle necessità di evitare sovrapposizioni e abusi delle indicazioni geografiche protette, in sede di registrazione dei marchi. A tale riguardo, il CPI in generale vieta:
· di registrare come marchi i segni esclusi dalla registrazione, conformemente alla legislazione dell'Unione europea o dello Stato o ad accordi internazionali, relativi alla protezione delle denominazioni d'origine e delle indicazioni geografiche, alla protezione delle menzioni tradizionali per i vini, nonché alle specialità tradizionali garantite (articolo 14, comma 1, lettere da c-bis) a c) quater);
· di registrare come marchi segni idonei ad ingannare il pubblico, in particolare sulla provenienza geografica, sulla natura o sulla qualità dei prodotti o servizi, ovvero sulla tipologia di marchio (articolo 14, comma 1, lettera b)). La legge di riforma del Codice della proprietà industriale, Legge n. 102/2023, estende tale divieto ai segni evocativi, usurpativi o imitativi di indicazioni geografiche e di denominazioni di origine protette in base alla normativa statale o dell’Unione europea, inclusi gli accordi internazionali di cui l’Italia o l’Unione europea sono parte (articolo 1, che modifica l’art. 14, comma 1, lett. b)).
Articolo 34
(Associazioni dei produttori)
L’articolo 34 prevede, al comma 1, che i disciplinari di produzione e la dichiarazione di manifestazione di interesse alla ricognizione delle produzioni artigianali e industriali tipiche di cui all’articolo 33 possano essere, rispettivamente, adottati e presentate dalle associazioni dei produttori operanti in una determinata zona, costituite in qualsiasi forma giuridica, purché perseguano, tra gli scopi sociali, quello della valorizzazione del prodotto oggetto del disciplinare. L’articolo indica altresì, al comma 2, i compiti di dette associazioni: elaborazione del disciplinare di produzione ed esecuzione dei controlli interni (lett. a)), esercizio delle azioni legali a tutela dell’indicazione geografica e di qualsiasi altro diritto di proprietà intellettuale direttamente collegato al prodotto (lett. b)), promozione di iniziative di sostenibilità (lett. c)) e compimento di azioni per migliorare le prestazioni dell'indicazione geografica (lett. d)).
Nel dettaglio, l’articolo 34, comma 1, dispone che le associazioni dei produttori operanti in una determinata zona geografica, costituite in qualsiasi forma giuridica, possono adottare i disciplinari di produzione e presentare alla regione la dichiarazione di manifestazione di interesse alla ricognizione delle produzioni artigianali e industriali tipiche ai sensi dell’articolo 33, alla cui scheda si rinvia, purché perseguano, tra gli scopi sociali, quello della valorizzazione del prodotto oggetto del disciplinare di produzione.
Le stesse associazioni devono operare in maniera trasparente, aperta e non discriminatoria e consentire a tutti i produttori del prodotto designato dall'indicazione geografica di aderire all'associazione in qualsiasi momento.
Ai sensi del comma 2, le associazioni dei produttori esercitano i seguenti poteri e compiti:
a) elaborano il disciplinare di produzione ed effettuano controlli interni che garantiscono la conformità delle fasi di produzione al disciplinare;
b) possono esperire azioni legali intese a garantire la protezione dell'indicazione geografica e di qualsiasi altro diritto di proprietà intellettuale che sia direttamente collegato al prodotto;
c) promuovono iniziative di sostenibilità, comprese nel disciplinare o separate da quest'ultimo;
d) intraprendono azioni per migliorare le prestazioni dell'indicazione geografica.
Articolo 35
(Disciplinare dei prodotti industriali e artigianali tipici)
L’articolo 35 indica, al comma 1, gli elementi minimi che deve possedere il disciplinare di produzione dei prodotti industriali e artigianali tipici di cui all’articolo 33 e – al comma 2 – ne prevede l’obbligo di deposito, da parte delle associazioni dei produttori, presso le Camere di Commercio del territorio di riferimento.
Segnatamente, l’articolo 35, comma 1 dispone che il disciplinare di produzione dei prodotti industriali e artigianali tipici di cui all’articolo 33, alla cui scheda si rinvia, deve contenere almeno i seguenti elementi:
a) il nome del prodotto, che può essere il nome geografico del luogo di produzione di un prodotto specifico oppure il nome usato nel commercio o nel linguaggio comune per descrivere il prodotto specifico nella zona geografica definita;
b) la descrizione del prodotto e delle materie prime utilizzate;
c) la delimitazione della zona geografica di produzione;
d) gli elementi che dimostrano che il prodotto è originario della zona geografica;
e) la descrizione del metodo di produzione del prodotto ed eventualmente dei metodi tradizionali e delle pratiche specifiche utilizzati;
f) i particolari che stabiliscono il legame fra una data qualità, la reputazione o un'altra caratteristica del prodotto e l'origine geografica;
g) eventuali regole specifiche per l'etichettatura del prodotto in questione.
Ai sensi del comma 2, il disciplinare è depositato dalle associazioni dei produttori presso le Camere di Commercio del territorio di riferimento.
Articolo 36
(Contributo per la predisposizione del disciplinare)
L’articolo 36 riconosce, al comma 1, alle associazioni di produttori un contributo per le spese di consulenza di carattere tecnico legato alle qualità e alle caratteristiche specifiche del prodotto, sostenute per la predisposizione del disciplinare di produzione di cui all’articolo 33. A tale fine, autorizza la spesa di 3 milioni di euro per il 2024. Il comma 2 demanda le modalità attuative ad un decreto del Ministro delle imprese e del made in Italy, da adottare di concerto con il Ministro dell’economia e finanze. Il comma 3 provvede in ordine alla compensazione finanziaria degli oneri di cui al comma 1, rinviando all’articolo 48. Il comma 4 dispone il rispetto della disciplina europea e nazionale in materia di aiuti di Stato.
L’articolo 36, comma 1, riconosce alle associazioni di produttori che rispondono ai requisiti di cui all’articolo 34, un contributo per le spese di consulenza di carattere tecnico legato alle qualità e alle caratteristiche specifiche del prodotto sostenute per la predisposizione del disciplinare di produzione. A tal fine, autorizza la spesa di 3 milioni di euro per l’anno 2024.
Ai sensi del comma 2, un decreto del Ministro delle Imprese e del Made in Italy, da adottarsi di concerto con il Ministro dell’economia e finanze, entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore della legge in esame, definirà le modalità di erogazione del contributo.
Ai sensi del comma 3, agli oneri, quantificati in 3 milioni di euro per l’anno 2024, si provvede ai sensi dell’articolo 48 (si rinvia alla relativa scheda di lettura).
Infine, ai sensi del comma 4, Le disposizioni dell’articolo qui in commento si applicano nei limiti e alle condizioni previsti dalla normativa europea e nazionale in materia di aiuti di Stato.
Il comma 4 non specifica quale sia il regime di aiuti applicabile ai sensi della disciplina europea in materia di aiuti di Stato, non rinviando né al regime “de minimis” né al regime di esenzione dall’obbligo di notifica preventiva per categoria.
Si valuti l’opportunità di specificare il richiamo alla normativa europea sugli aiuti di stato applicabile.
Articolo 37
(Blockchain per la tracciabilità delle filiere)
L’articolo 37 autorizza la spesa di 4 milioni di euro per l’anno 2023 e di 26 milioni di euro per l’anno 2024 affinché il MIMIT promuova e sostenga la ricerca applicata, lo sviluppo e l’utilizzo della tecnologia basata su registri distribuiti (DLT) per la tracciabilità e la valorizzazione della filiera del made in Italy. Il comma 2 istituisce presso il MIMIT un catalogo nazionale per il censimento delle tecnologie basate su registri distribuiti. Il comma 4 consente al MIMIT di concedere alle piccole e medie imprese che ne facciano richiesta contributi a fondo perduto e finanziamenti a tasso agevolato per: a) progetti che prevedano la ricerca applicata, lo sviluppo e l’utilizzo delle tecnologie basate su registri distribuiti per la realizzazione di sistemi di tracciabilità delle filiere produttive del made in Italy; b) la consulenza e la formazione sulla digitalizzazione dei processi produttivi basata su registri distribuiti o per l’acquisto di servizi per la tracciabilità.
L’articolo 37, comma 1, prevede che il Ministero delle imprese e del made in Italy (MIMIT) promuova e sostenga la ricerca applicata, lo sviluppo e l’utilizzo della tecnologia basata su registri distribuiti (DLT), così come definita all’articolo 8-ter del decreto-legge n. 135 del 2018, quale tecnologia innovativa utile per la tracciabilità e la valorizzazione della filiera del made in Italy ai fini dell’esaustività e dell’affidabilità delle informazioni fruibili dai consumatori. A tal fine è autorizzata la spesa di 4 milioni di euro per l’anno 2023 e di 26 milioni di euro per l’anno 2024.
Nella richiamata definizione normativa le “tecnologie basate su registri distribuiti” corrispondono alle tecnologie e ai protocolli informatici che usano un registro condiviso, distribuito, replicabile, accessibile simultaneamente, architetturalmente decentralizzato su basi crittografiche, tali da consentire la registrazione, la convalida, l’aggiornamento e l’archiviazione di dati sia in chiaro che ulteriormente protetti da crittografia verificabili da ciascun partecipante, non alterabili e non modificabili. La principale applicazione di tali tecnologie è nota come Blockchain. Per un approfondimento sulla governance delle blockchain e di sistemi basati sulla tecnologia dei registri distribuiti, si fa rinvio all’occasional paper n. 773 pubblicato dalla Banca d’Italia.
Il comma 2 istituisce presso il MIMIT un catalogo nazionale per il censimento delle tecnologie basate su registri distribuiti (soluzioni tecnologiche conformi alle previsioni di cui al citato decreto-legge n. 135 del 2018). Il catalogo nazionale provvede altresì al censimento dei nodi infrastrutturali rispondenti ai requisiti dettati dall’European Blockchain Services Infrastructure, al fine di promuovere la costituzione di una rete basata su tecnologie distribuite, favorendo l’interoperabilità con le soluzioni tecnologiche sviluppate all’interno dell’Italian Blockchain Services Infrastructure.
L’Infrastruttura europea per i servizi blockchain (European Blockchain Services Infrastructure - EBSI) è nata nel 2018 quando 29 Paesi (tutti gli Stati membri dell’UE, la Norvegia e il Liechtenstein) e la Commissione europea hanno unito le forze per creare la European Blockchain Partnership (EBP). La visione dell’EBP è quella di sfruttare la blockchain per creare servizi transfrontalieri per le pubbliche amministrazioni, le imprese, i cittadini e i loro ecosistemi per verificare le informazioni e rendere i servizi affidabili.
L’IBSI (Italian Blockchain Service Infrastructure) è il progetto promosso da Agenzia per l’Italia Digitale, CIMEA, CSI Piemonte, ENEA, INAIL, INFRATEL ITALIA, INPS, Politecnico di Milano, Poste Italiane, RSE, GSE, SOGEI e Università di Cagliari che punta a sperimentare la modalità di progettazione e sviluppo di un ecosistema basato su tecnologie basate su registri distribuiti (DLT), in linea con l’EBP. L’iniziativa si propone di realizzare attività di ricerca e sviluppo sulle caratteristiche distintive della tecnologia blockchain, per approfondirne le potenzialità, come ad esempio gestire i certificati pubblici in modo completamente digitale, tracciare la filiera del made in Italy, sviluppare modelli energeticamente sostenibili e rinnovabili e contribuire alla lotta al cambiamento climatico.
La definizione dei requisiti tecnici che le tecnologie devono possedere ai fini dell’inserimento nel catalogo e delle modalità di tenuta e funzionamento dello stesso è delegata a un decreto del Ministro delle imprese e del made in Italy, di concerto con l’autorità politica delegata in materia di innovazione tecnologica e transizione digitale, da adottare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge in esame.
Il comma 3 autorizza la spesa di 200.000 euro per l’anno 2023 destinate a finanziare:
§ l’istituzione e il funzionamento del catalogo,
§ il coordinamento con le istituzioni europee e nazionali competenti in materia,
§ lo svolgimento delle attività di censimento e verifica,
§ la promozione di specifici casi d’uso sulla tracciabilità dei prodotti italiani, anche attraverso un soggetto gestore, è autorizzata la spesa di 200.000.
A decorrere dall’anno 2024, è autorizzata la spesa di 50.000 euro per l’aggiornamento e la manutenzione del catalogo.
Si segnala l’opportunità di valutare se nella redazione della disposizione sia stato ripetuto il riferimento alla “istituzione del catalogo” a causa di un errore materiale.
Il comma 4 consente al MIMIT, ferme restando le competenze del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale (MAECI), di concedere alle piccole e medie imprese che ne facciano richiesta:
a) contributi a fondo perduto e finanziamenti a tasso agevolato per progetti che prevedano la ricerca applicata, lo sviluppo e l’utilizzo delle tecnologie basate su registri distribuiti per la realizzazione di sistemi di tracciabilità delle filiere produttive del made in Italy, dalla produzione delle materie prime fino alla distribuzione commerciale, nonché l’utilizzo di tecnologie di identificazione automatica per i propri prodotti al fine di rendere accessibili ai consumatori le informazioni relative alla tracciabilità e alla provenienza del prodotto;
b) contributi e finanziamenti a tasso agevolato per la consulenza e la formazione sulla digitalizzazione dei processi produttivi basata su registri distribuiti o per l’acquisto di servizi per la tracciabilità.
Il comma 5 prevede che con decreto del Ministro delle imprese e del made in Italy, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze e, per quanto di competenza, con il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, da adottare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge in esame:
a) le risorse previste dal comma 6 sono ripartite tra le finalità di cui alle lettere a) e b) del comma 4;
b) è determinato l’ammontare del contributo;
c) sono definite le modalità di concessione e fruizione delle agevolazioni;
d) è prevista l’eventuale attribuzione della gestione degli interventi a un soggetto gestore, con oneri comunque non superiori all’1,5 per cento dell’ammontare complessivo delle risorse previste dal comma 6;
e) sono stabilite le modalità di coordinamento con gli interventi di sostegno all’utilizzo di strumenti digitali per l’internazionalizzazione delle imprese.
Si segnala l’opportunità di specificare l’orizzonte temporale della concessione dei benefici.
Il comma 6, stabilisce che alla copertura degli oneri complessivi derivanti dall’attuazione dell’articolo in esame si provvede ai sensi dell’articolo 48. Tali oneri complessivi sono pari a 4.200.000 euro per l’anno 2023, a 26.050.000 euro per l’anno 2024 nonché, per la compensazione degli effetti in termini di fabbisogno, a 12 milioni di euro per l’anno 2025 e, in termini di indebitamento netto, a 6 milioni di euro per l’anno 2025.
Articolo 38
(Imprese del made in Italy nel mondo virtuale e immersivo)
L’articolo 38 dispone il sostegno alla transizione digitale delle piccole e medie imprese, autorizzando la spesa di 5 milioni di euro per il 2024 per la concessione di un contributo agli investimenti in progetti per ambienti virtuali immersivi e interattivi, da inserire all’interno dello specifico sistema aziendale.
In dettaglio, il comma 1 dell’articolo 38, autorizza la spesa di 5 milioni di euro in conto capitale per il 2024, per promuovere e sostenere gli investimenti in strumenti e tecnologie c.d. acceleranti per la digitalizzazione delle varie fasi della filiera produttiva e od o utili per lo sviluppo di nuovi modelli di commercio elettronico e di marketing.
La disposizione fa riferimento in particolare all’utilizzo di ambienti virtuali immersivi e interattivi utili alle imprese, in sinergia con i servizi abilitanti dell’intelligenza artificiale, allo sviluppo del commercio elettronico relativo a beni e servizi nonché all’efficiente riorganizzazione dei processi produttivi, formativi e di marketing.
Si tratta di tecnologie quali il c.d “metaverso”, uno spazio virtuale, costruito con le più avanzate tecnologie digitali e comunicative, all’interno del quale la persona fisica può operare con la propria identità del mondo reale o con un’identità a sua volta virtuale (vale a dire un avatar). Le tecnologie impiegate per la costruzione dei metaversi presuppongono l’elaborazione di un’immensa quantità di dati, personali e non, si avvalgono anche dell’intelligenza artificiale (su cui si veda la proposta di regolamento UE del 21 aprile 2021 recante il quadro giuridico in materia di intelligenza artificiale).
La trasformazione digitale delle imprese è uno dei quattro punti cardine della Bussola digitale e del successivo Programma strategico per il 2030 "Percorso per il decennio digitale" COM(2021)574, della Commissione europea, che nel programma di lavoro per il 2023, comprende l’esame delle nuove opportunità e tendenze digitali, come il metaverso; in materia sono stati recentemente emanati i nuovi regolamenti UE del Digital Services Act (DSA- regolamento (UE) 2022/2065) e del Digital Markets Act (DMA- regolamento UE 2022/1925).
L’ordinamento italiano non ha una disciplina esplicita del metaverso, ma il trattamento e la gestione automatizzata dei dati sono disciplinate dal decreto legislativo n. 196 del 2003, come modificato a seguito dell’adeguamento al regolamento europeo 2016/679/UE.
In base al comma 2 dell’articolo 38, il sostegno si concretizza nella concessione alle piccole e medie imprese, per le citate finalità del comma 1, di un contributo agli investimenti per l’anno 2024.
Il contributo è relativo a investimenti in progetti per ambienti virtuali da inserire all’interno dello specifico sistema aziendale.
La definizione del valore massimo del contributo, i suoi presupposti, le condizioni e modalità di richiesta e di utilizzo, vengono rimessi ad un successivo decreto del Ministro delle imprese e del made in Italy, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, che dovrà essere adottato entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge.
Tale decreto potrà altresì prevedere che il Ministero si avvalga, per l’attuazione delle misure, di un soggetto gestore, con oneri che comunque non dovranno essere superiori all’1,5 per cento dell’ammontare delle risorse stanziate.
In base al comma 3, agli oneri si provvede ai sensi dell’articolo 48, recante la copertura finanziaria del provvedimento.
Il comma 4 contiene la clausola che il contributo venga concesso nel rispetto della normativa europea e nazionale in materia di aiuti di Stato.
Articolo 39
(Disposizioni relative agli uffici del pubblico ministero – Attribuzioni del procuratore della Repubblica distrettuale)
L’articolo 39 è volto ad attribuire al procuratore della Repubblica distrettuale la competenza a esercitare le funzioni del pubblico ministero nei procedimenti per il delitto di cui all’art. 517-quater c.p., riguardante la contraffazione di indicazioni geografiche o denominazioni di origine di prodotti agroalimentari.
L’articolo 39 modifica il comma 3-bis dell’art. 51 c.p.p. al fine di includere fra i reati di competenza della procura della Repubblica distrettuale il delitto di cui all’art. 517-quater c.p. (Contraffazione di indicazioni geografiche o denominazioni di origine di prodotti agroalimentari).
Ai sensi dell’art. 51, comma 3-bis, c.p.p. le funzioni del pubblico ministero nelle indagini preliminari e nei procedimenti di primo grado sono esercitate dall’ufficio del pubblico ministero presso il capoluogo del distretto di corte d’appello (cd. “procura distrettuale”) per i delitti di associazione a delinquere finalizzata alla commissione di delitti concernenti schiavitù, tratta, traffico di organi, prostituzione minorile, pedopornografia, violenza sessuale, immigrazione clandestina, contraffazione, associazione di tipo mafioso, scambio elettorale politico-mafioso, il traffico illecito di rifiuti; il sequestro di persona a scopo di estorsione; i delitti commessi avvalendosi del vincolo associativo di tipo mafioso; i delitti commessi al fine di agevolare l’attività dell’associazione di tipo mafioso; l’associazione finalizzata al traffico di stupefacenti; l’associazione finalizzata al contrabbando di tabacchi. Il comma 3-quater, inoltre, attribuisce le funzioni del pubblico ministero alla procura distrettuale per i delitti commessi per finalità di terrorismo.
L’art. 517-quater c.p., primo comma, punisce con la reclusione fino a due anni e con la multa fino a 20 mila euro chiunque contraffà o comunque altera indicazioni geografiche o denominazioni di origine di prodotti agroalimentari.
Alla stessa pena soggiace, ai sensi del secondo comma, chiunque, al fine di trarne profitto, introduce nel territorio dello Stato, detiene per la vendita, pone in vendita o comunque mette in circolazione i prodotti con le indicazioni o denominazioni contraffatti.
Ai sensi del terzo comma, si applicano le disposizioni di cui all’art. 474-bis in materia di confisca e la pena della reclusione fino a tre anni e della multa fino a 30.000 (in virtù del richiamo al secondo comma dell’art. 474-ter) se il fatto è commesso in modo sistematico mediante l’allestimento di mezzi e attività organizzate.
Ai sensi del quarto comma il delitto è punibile a condizione che siano state rispettate le norme della legge interna, dei regolamenti dell’Unione europea e delle convenzioni internazionali in materia di tutela delle indicazioni e denominazioni.
Articolo 40
(Misure per la formazione specialistica)
L’articolo 40 prevede misure volte a implementare la formazione specialistica di magistrati e degli altri operatori della giustizia offerta dalla Scuola superiore della magistratura in materia di contrasto alla contraffazione.
Nello specifico, la disposizione in esame conferisce al Ministro delle imprese e del made in Italy la facoltà di segnalare al Ministro della giustizia, entro il 31 agosto di ogni anno, i settori dell’attività di contrasto della contraffazione, sia in ambito penale che civile, che appaiono bisognosi di specifica attenzione all’interno delle attività formative della Scuola Superiore della magistratura riservate agli operatori della giustizia.
In particolare, il Ministro della Giustizia potrà inserire i temi segnalati dal Ministro del made in italy nelle linee guida finalizzate, ai sensi dell’art. 5, comma 2, d.lgs. n. 26 del 2006, alla predisposizione del programma annuale dell’attività didattica della Scuola Superiore della magistratura.
Si rammenta che l’articolo 5, comma 2, del citato d.lgs. n. 26 del 2006, prevede che il Ministro della giustizia e il Consiglio superiore della magistratura propongano annualmente delle linee programmatiche al fine dell’adozione del programma annuale dell’attività didattica da parte del comitato direttivo della Scuola superiore della magistratura.
Si ricorda, a tal proposito, che, ai sensi dell’art. 2, c. 1, lett. b) e n) del citato d.lgs. n. 26/2006, la Scuola Superiore della magistratura organizza seminari di aggiornamento professionale e di formazione per i magistrati e per gli altri operatori della giustizia.
Articolo 41
(Modifiche all’articolo 1 del decreto-legge 14 marzo 2005, n. 35, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 maggio 2005, n. 80, in materia di sanzioni amministrative per l’acquisto e l’introduzione di merci contraffatte)
L’articolo 41 modifica il sistema sanzionatorio relativo all’acquisto e all’introduzione nel territorio nazionale di merci contraffatte, aumentando la misura minima della sanzione amministrativa prevista e disponendo che gli introiti delle sanzioni comminate da organi di polizia locale siano versati per intero all’ente locale competente.
Nello specifico, le modifiche intervengono sull’art. 1 del decreto-legge n. 35 del 2005, che reca, tra l’altro, misure per il rafforzamento del sistema doganale e per la lotta alla contraffazione.
Il comma 1 dell’articolo in commento contiene un duplice intervento modificativo:
§ la lettera a) modifica i commi 7, primo periodo, e 7-bis del citato art. 1 del d.l. n. 35, al fine di incrementare il minimo della sanzione amministrativa applicabile, rispettivamente, per l’acquisto di cose per le quali è presumibile che siano state violate le norme in materia di origine e provenienza dei prodotti ed in materia di proprietà industriale e per l’introduzione nel territorio dello Stato beni di provenienti da Paesi non appartenenti all'Unione europea che violano le norme in materia di origine e provenienza dei prodotti, in materia di proprietà industriale e di diritto d'autore dai 100 euro attualmente previsti a 300 euro;
§ la lettera b) interviene sul comma 8, secondo periodo, per disporre che, qualora la sanzione di cui al comma 7 sia irrogata da organi di polizia locale, le somme siano interamente versate all’ente locale di riferimento anziché ripartite a metà tra l’ente locale e lo Stato come stabilito dalla norma vigente.
Come si legge nella relazione illustrativa, la ratio sottesa a tale intervento è quella di stimolare il controllo capillare nel territorio nazionale da parte dei competenti organi di controllo locali per la repressione delle condotte illecite.
I commi 7 e 7-bis dell’art. 1 del decreto-legge n. 35/2005 prevedono l’applicazione di sanzioni amministrative a fronte dell’acquisto o dell’introduzione nel territorio dello Stato di beni in violazione della normativa riguardante l’origine e la provenienza dei prodotti, la proprietà industriale e il diritto d'autore.
Più in dettaglio, il comma 7 dispone che è punito con una sanzione amministrativa pecuniaria da 100 euro a 7.000 euro l'acquirente finale che acquista a qualsiasi titolo cose che, per la loro qualità o per la condizione di chi le offre o per l'entità del prezzo, inducano a ritenere che siano state violate le norme in materia di origine e provenienza dei prodotti ed in materia di proprietà industriale. La sanzione va da 20.000 ad 1 milione di euro se l'acquisto è stato effettuato da un operatore commerciale o importatore o comunque da un soggetto diverso dall'acquirente finale. Per l’applicazione di tali sanzioni, al cui accertamento provvedono, d'ufficio o su denunzia, gli organi di polizia amministrativa, si applica il procedimento previsto dalla legge n. 689 del 1981[13]. È sempre disposta la confisca amministrativa delle cose oggetto dell’acquisto.
I commi da 7-bis a 7-quater sono stati introdotti dall'art. 22 della legge n. 238 del 2021 (legge europea 2019-2020) in attuazione del regolamento (UE) n. 608/2013, relativo alla tutela dei diritti di proprietà intellettuale da parte delle autorità doganali, che regolamenta altresì l'intervento delle Autorità doganali nel caso di merci sospettate di contraffazione. In particolare, l’art. 22 ha operato una razionalizzazione della normativa sanzionatoria applicabile ai casi di introduzione nel territorio dello Stato di piccoli quantitativi di merce contraffatta da parte del consumatore finale. A tal fine, il comma 7-bis dispone che sia punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da 100 euro fino a 7.000 euro l'acquirente finale che, all'interno degli spazi doganali, introduce con qualsiasi mezzo nel territorio dello Stato beni provenienti da Paesi non appartenenti all'Unione europea che violano le norme in materia di origine e provenienza dei prodotti, in materia di proprietà industriale e di diritto d'autore, a condizione che i beni introdotti siano pari o inferiori a venti pezzi ovvero abbiano un peso lordo pari o inferiore a 5 chili e che l'introduzione dei beni non risulti connessa a un'attività commerciale. Anche per l’applicazione di tali sanzioni, irrogate dall'ufficio dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli competente per il luogo dove è stato accertato il fatto, si applica il procedimento previsto dalla legge n. 689 del 1981. L'onere economico della custodia e della distruzione delle merci è posto a carico dell'acquirente finale o, ove questi non provveda, del vettore e la distruzione deve avvenire nel termine di trenta giorni dalla confisca oggetto dell’acquisto.
La modifica di cui al comma 1, lettera b), comporta un onere finanziario a carico del bilancio dello Stato, che il comma 2 quantifica in 130.100 euro annui a decorrere dal 2024. Per l’individuazione degli stanziamenti a copertura di tale onere il medesimo comma 2 rinvia all’art. 48 (si veda, in particolare, il comma 1).
In proposito, la relazione tecnica allegata al disegno di legge riporta i dati forniti dal Ministero dell’economia e delle finanze circa l’accertato ed il riscosso relativo alle suddette sanzioni, che ammonta a 260.200,84 euro.
Articolo 42
(Modifica all’art. 517 del codice penale)
L’articolo 42 estende il reato di vendita di prodotti industriali con segni mendaci, di cui all’art. 517 c.p., anche a chi detiene la merce per la vendita.
L’articolo 42 del ddl modifica l’articolo 517 c.p., che disciplina il reato di vendita di prodotti industriali con segni mendaci, al fine di far rientrare nella condotta di tale fattispecie anche il soggetto che detiene per la vendita opere dell'ingegno o prodotti industriali.
L’articolo 517 c.p., disciplinando la fattispecie di vendita di prodotti industriali con segni mendaci, prevede attualmente che chiunque pone in vendita o mette altrimenti in circolazione opere dell'ingegno o prodotti industriali, con nomi, marchi o segni distintivi nazionali o esteri, atti a indurre in inganno il compratore sull'origine, provenienza o qualità dell'opera o del prodotto, è punito, se il fatto non è preveduto come reato da altra disposizione di legge, con la reclusione fino a due anni e con la multa fino a ventimila euro.
Secondo quanto riportato dalla relazione illustrativa, l’intervento normativo ha lo scopo di rendere omogenea la condotta sanzionata dalla disposizione in esame con altre analoghe, come quella di cui all’art. 474 c.p., c. 2, (commercio di prodotti falsi), che già sanziona la condotta di chi detiene al fine di vendere prodotti contraffatti.
Sul punto si rileva, come riconosciuto dalla medesima relazione, che la giurisprudenza di merito e di legittimità ritiene che la condotta della detenzione sia parimenti sanzionata alla luce dell’attuale formulazione della fattispecie in questione (cfr. Corte cass., sez. III, sentenze n. 7639/1998, n. 9979/2003, e n. 24914/2005). Pertanto, l’intervento normativo in esame è teso a uniformare la disposizione con l’orientamento giurisprudenziale nettamente prevalente, alla luce del quale anche il depositario, lo spedizioniere, il trasportatore, l'intermediario, il magazziniere possono rispondere del reato di cui all’art. 517 c.p., qualora siano consapevoli del mendacio (Corte cass., sez. III, sent. n. 14644/2005).
A tal proposito, appare opportuno, per completezza, soffermarsi sulle differenze che intercorrono sulla fattispecie di cui all’art. 517 c.p. e quella di cui all’art. 474 c.p. Secondo la giurisprudenza di legittimità, difatti, mentre l’art. 473 c.p. esige la contraffazione (che consiste nella riproduzione integrale, in tutta la sua configurazione emblematica e denominativa, di un marchio o di un segno distintivo) o la alterazione (che ricorre quando la riproduzione è parziale, ma tale da potersi confondere col marchio originario o col segno distintivo), la norma dell'art. 517 c.p. prescinde, invece, dalla falsità, rifacendosi alla mera, artificiosa equivocità dei contrassegni, marchi ed indicazioni illegittimamente usati, tali da ingenerare la possibilità di confusione con prodotti similari da parte dei consumatori comuni (ex multis, sent. Corte Cass., Sez. V, n. 38068/2005, Corte Cass., Sez. II, n. 19541/2020).
Articolo 43
(Modifiche al codice di procedura penale in materia di distruzione delle merci contraffatte oggetto di sequestro)
L’articolo 43 modifica l’art. 260 c.p.p. in materia di distruzione di cose sequestrate, in particolare ampliando la possibilità di procedere alla distruzione delle merci sequestrate, anche al fine di alleggerire gli oneri di custodia.
L’articolo 43 reca alcune modifiche all’art. 260, commi 3-bis e 3-ter, c.p.p. in materia di distruzione di cose sequestrate.
La relazione tecnica evidenzia che “la distruzione della merce in esame alleggerisce i tempi e le attività connesse alla custodia dei beni, ponendo in atto la custodia stessa laddove strettamente necessaria”.
In particolare, il comma 1, lett. a, dell’articolo in commento sostituisce il comma 3-bis del citato art. 260 c.p.p.
L’art. 260 c.p.p. nel testo vigente prevede, al comma 3, che l’autorità giudiziaria ordini l’alienazione o la distruzione delle cose sequestrate qualora si tratti di cose deperibili.
Il comma 3-bis – su cui interviene l’articolo in commento – prevede altresì che l’autorità giudiziaria, anche su richiesta dell’organo accertatore, proceda altresì alla distruzione delle merci di cui sono comunque vietati la fabbricazione, il possesso, la detenzione o la commercializzazione qualora la custodia sia difficoltosa, particolarmente onerosa o pericolosa per la sicurezza, la salute o l’igiene pubblica o quando – anche all’esito degli accertamenti tecnici non ripetibili ex art. 360 c.p.p. - risulti evidente la violazione dei predetti divieti. In tali casi, l’autorità giudiziaria dispone il prelievo di uno o più campioni - con l’osservanza delle formalità di cui all’art. 364 c.p.p., che prevede la presenza del difensore - e la distruzione della merce residua.
Il comma 3-ter prevede che nel caso di procedimento a carico di ignoti decorsi tre mesi dal sequestro la polizia giudiziaria possa procedere alla distruzione delle merci contraffatte sequestrate, previa comunicazione all’autorità giudiziaria. La distruzione può avere luogo, salvo diversa decisione dell’autorità giudiziaria, decorsi 15 giorni dalla predetta comunicazione. È comunque fatta salva la possibilità di conservare campioni a fini giudiziari.
In virtù del comma 3-bis come sostituito dall’articolo in commento, rispetto alla disciplina vigente:
§ la possibilità di procedere alla distruzione è subordinata alla sopravvenuta non impugnabilità del decreto di sequestro o di convalida del sequestro;
§ la richiesta di distruzione può essere formulata, oltre che dall’organo accertatore, anche dalla persona offesa;
§ l’autorità giudiziaria può, con provvedimento motivato, disporre che non si proceda alla distruzione qualora la conservazione della merce sia assolutamente necessaria per la prosecuzione delle indagini;
§ il presupposto dell’evidenza della violazione dei divieti va valutato anche in ragione della natura contraffatta o usurpativa delle merci.
Il comma 1, lett. b, dell’articolo in commento reca alcune modifiche al comma 3-ter del medesimo art. 260 c.p.p. relativo alla distruzione di cose sequestrate nei procedimenti contro ignoti (vedi sopra).
In particolare:
§ si prevede l’obbligo, anziché la facoltà, della polizia giudiziaria di procedere alla distruzione delle merci decorsi tre mesi dal sequestro;
§ si estende l’ambito di applicazione della norma, attualmente limitato alle merci contraffatte, anche alle merci usurpative;
§ si esplicita l’obbligo di procedere al prelievo di uno o più campioni (con l’osservanza delle formalità di cui all’art. 364 c.p.p. che prevede la presenza del difensore).
Articolo 44
(Modifica all’articolo 81 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, in materia di redazione del verbale di sequestro)
L’articolo 44 prevede specifiche disposizioni volte a semplificare l’attività di verbalizzazione delle operazioni di inventario dei beni contraffatti sequestrati.
L’articolo 44, al fine di semplificare le attività materiali connesse alla inventariazione dei beni sequestrati, modifica l’articolo 81 delle disp.att.c.p.p. in materia di redazione del verbale di sequestro.
L’articolo 81 disciplina le modalità di redazione del verbale di sequestro. In particolare al comma 1, si precisa che il verbale debba contenere l'elenco delle cose sequestrate, la descrizione delle cautele adottate per assicurarle e l'indicazione della specie e del numero dei sigilli apposti. Dall’articolo 81 disp.att.c.p.p., come si evidenzia nella Analisi tecnico-normativa, discende, a garanzia del diritto di difesa, la regola della compiuta descrizione, nel verbale di sequestro, dei beni sottoposti a vincolo (Cass. pen. Sez. II Sent., 14/10/2015, n. 41360). Nella stessa decisione della Cassazione del 2015 si sottolinea peraltro come la regola della compiuta trascrizione possa essere surrogata dalla presenza dell'indagato durante il compimento dell'atto, poiché la diretta percezione della attività di apprensione dei beni consente all'interessato di avere piena conoscenza della estensione del vincolo e quindi di esercitare pienamente il suo diritto di difesa, anche chiedendo la restituzione dei beni.
Il disegno di legge aggiunge quindi un ulteriore periodo al comma 1 dell’articolo 81, con il quale si prevede che, in caso di beni contraffatti, l’elenco può essere sostituito dalla loro catalogazione per tipologia e la quantità può essere indicata per massa, volume o peso. Come specificato nella relazione illustrativa l’introduzione del riferimento alla catalogazione non muta la necessità della completa descrizione dei beni sottoposti a sequestro, ma se ne consente la limitazione ad un esemplare per catalogo, permettendo anche una più agevole indicazione della quantità dei beni stessi.
Nella relazione tecnica si osserva altresì “Si tratta di un adeguamento necessario della normativa che descrive le operazioni di verbalizzazione dei beni sequestrati, le quali spesso rallentano le procedure cautelari e procrastinano la custodia dei beni stessi, in quanto richiedono parecchio tempo per la catalogazione minuziosa delle merci, che sono inventariate pezzo per pezzo. La norma, disponendo invece che le stesse merci vengano individuate per quantità e per tipologia, consente uno snellimento delle incombenze e un tempo minore di custodia, soprattutto per tutti quei beni e merci per cui non sia stato proposto o sia decorso il tempo di proposizione del ricorso in impugnazione del provvedimento cautelare e che, pertanto, sono destinati ad essere distrutti”.
Articolo 45
(Operazioni sotto copertura)
L’articolo 45 estende la normativa in materia di azioni sotto copertura alla repressione del delitto di contraffazione di indicazioni geografiche o denominazioni di origine dei prodotti agroalimentari.
L'articolo 45, in particolare, modifica l'articolo 9, comma 1, lettera a), della legge 16 marzo 2006, n. 146 (Ratifica ed esecuzione della Convenzione e dei Protocolli delle Nazioni Unite contro il crimine organizzato transnazionale, adottati dall'Assemblea generale il 15 novembre 200 ed il 31 maggio 2001), estendendo la disciplina delle operazioni sotto copertura al reato di contraffazione di indicazioni geografiche o denominazioni di origine dei prodotti agroalimentari di cui all'articolo 517-quater del codice penale.
L’art. 9 (comma 1, lett. a), della legge 16 marzo 2006, n. 146 contiene il quadro normativo di riferimento delle tecniche investigative speciali riconducibili alla tipologia generale delle operazioni coperte. Attualmente tale disposizione esclude la punibilità per gli ufficiali di polizia giudiziaria i quali, al solo fine di acquisire elementi di prova in ordine a specifici reati abbiano condotte, individuate dalla norma, che costituirebbero fattispecie delittuose. Il catalogo dei reati presupposto si è andato, nel corso degli anni, ampliando. In particolare la legge 13 agosto 2010, n. 136, ha inserito i delitti di contraffazione, alterazione o uso di marchi o segni distintivi ovvero di brevetti, modelli e disegni (art. 473 c.p.) e introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi (art. 474 c.p.).
In proposito nella relazione illustrativa si osserva come l'inserimento dell'articolo 517-quater c.p. appare consequenziale al suo inserimento nell'articolo 51, comma 3-bis, c.p.p. (ad opera dell’articolo 39 del disegno di legge), “fondato per ragioni criminologiche e opportuno in relazione al fatto che le condotte punite dalle fattispecie sostanziali citate rappresentano, nelle indagini di maggior rilievo, i reati al cui compimento sono finalizzate le associazioni a delinquere”.
L’art. 517-quater, al primo comma, c.p. sanziona, con la reclusione fino a due anni e con la multa fino a euro 20.000, le condotte di contraffazione o alterazione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni di origine dei prodotti agroalimentari. Il secondo comma della norma considera – prevedendo anche in questo caso la pena detentiva fino a due anni e la multa fino a 20.000 euro - le condotte di introduzione nel territorio dello Stato, detenzione per la vendita, messa in vendita con offerta diretta ai consumatori o messa comunque in circolazione dei prodotti con le indicazioni o denominazioni contraffatte.
Al terzo comma si prevede l'applicabilità per il delitto in esame della circostanza aggravante di cui all'art. 474 ter, secondo comma, concernente la commissione del delitto in modo sistematico o attraverso l'allestimento di mezzi e attività organizzate, nonché della circostanza attenuante ad effetto speciale di cui all'art. 517 quinquies, relativa alla collaborazione con l'autorità di polizia o giudiziaria. La stessa disposizione estende altresì l'applicabilità al delitto in esame della confisca obbligatoria e per equivalente disciplinata all'art. 474 bis c.p.
Articolo 46
(Disposizione in materia di revoca o diniego di rinnovo del permesso di soggiorno per reati di contraffazione)
L’articolo 46 prevede che, nei casi di condanna dello straniero per i reati in materia di contraffazione, ai fini dell’adozione del provvedimento di revoca o di diniego del rinnovo del permesso di soggiorno, si debba tener conto della collaborazione prestata dallo straniero all’autorità di polizia o all’autorità giudiziaria, durante la fase delle indagini ovvero anche dopo la condanna.
L’articolo 46 interviene in materia di revoca o diniego di rinnovo del permesso di soggiorno nei riguardi di chi abbia commesso i reati di contraffazione di cui all’articolo 4, comma 3, del Testo unico immigrazione – TUIM (D.Lgs. 286/1998).
Tale disposizione del TUIM detta le condizioni per l’ingresso in Italia dello straniero non comunitario, indicando una serie di condizioni ostative all’ammissione dello straniero nel territorio nazionale. Tra queste cause ostative, per quanto qui di interesse rileva la condanna, con sentenza irrevocabile, per i reati di contraffazione, alterazione o uso di marchi o segni distintivi ovvero di brevetti, modelli e disegni di cui all’articolo 473 del codice penale e di introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi di cui all’articolo 474 del codice penale.
La condanna per i reati di cui sopra incide anche sulla disciplina del rilascio del permesso di soggiorno e del suo rinnovo. Infatti, in presenza di una delle cause ostative all’ingresso, tra cui la condanna per reati in materia di contraffazione, il permesso di soggiorno non viene rilasciato né rinnovato. (art. 5, comma 5, TUIM). Tale disposizione è mitigata per lo straniero che ha esercitato il diritto al ricongiungimento familiare e per il familiare ricongiunto: in tali casi il questore, prima adottare il provvedimento di rifiuto, revoca e diniego del permesso di soggiorno, tiene conto di una serie di fattori quali la natura e l’effettività dei vincoli familiari, i legami con il Paese di origine, la durata del soggiorno in Italia.
In assenza di tali presupposti è automatico il rifiuto, la revoca e il diniego di rinnovo del permesso di soggiorno.
La disposizione in esame abolisce, parzialmente, tale automatismo prevedendo che, nei casi di condanna per i reati in materia di contraffazione richiamati dall’articolo 4, comma 3, del TUIM (ossia, sembra doversi intendere, per i reati di cui agli articoli 473 e 474 del codice penale sopra richiamati) nel valutare la pericolosità dello straniero per l’ordine pubblico e la sicurezza dello Stato o di uno degli altri Paesi dell’area Schengen, ai fini dell’adozione del provvedimento di revoca o di diniego del rinnovo del permesso di soggiorno, si debba tener conto della collaborazione prestata dallo straniero all’autorità di polizia o all’autorità giudiziaria, durante la fase delle indagini ovvero anche dopo la condanna, ai fini della raccolta di elementi decisivi per l’identificazione dei soggetti implicati nella produzione e distribuzione dei prodotti o dei servizi che costituiscono violazione dei diritti di proprietà industriale e per l’individuazione dei beni contraffatti o dei proventi derivanti dalla violazione dei diritti di proprietà industriale.
Si ricorda, in proposito, la recente pronuncia della Corte costituzionale (sent. 88/2023) che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del combinato disposto delle citate disposizioni del TUIM (artt. 4, comma 3 e 5, comma 5) nella parte in cui comprende, tra le ipotesi di condanna automaticamente ostative al rinnovo del permesso di soggiorno per lavoro, anche quelle, pur non definitive, per il reato del c.d. "piccolo spaccio" di cui all’articolo 73, comma 5, del d.P.R. n. 309 del 1990 (testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza) e quelle definitive per il reato di cui all’articolo 474, secondo comma, del codice penale, senza prevedere che l’autorità competente verifichi in concreto la pericolosità sociale del richiedente.
Secondo la Corte, infatti, tale automatismo è manifestamente irragionevole, considerato che per la prima fattispecie criminosa richiamata è escluso l'arresto obbligatorio in flagranza e che, per la seconda, la forbice edittale non è nemmeno tale da comportare la misura dell'arresto facoltativo in flagranza.
Articolo 47
(Promozione e comunicazione degli interventi
in materia di made in Italy)
L’articolo 47 stanzia un milione di euro per l’anno 2023 e due milioni di euro per l’anno 2024 per lo svolgimento di attività di informazione e sensibilizzazione nei confronti di cittadini e imprese rispetto gli interventi in materia di made in Italy previsti dalla legge in esame e per rafforzare la comunicazione istituzionale, anche in inglese, attraverso il sito internet istituzionale del Ministero delle imprese e del made in Italy.
L’articolo 47, comma 1, al fine di informare compiutamente e sensibilizzare i cittadini e le imprese rispetto alle misure sul made in Italy previste dalla legge, qui in esame, nonché al fine di rafforzare la comunicazione istituzionale, anche in lingua inglese, attraverso il sito internet istituzionale del Ministero delle imprese e del made in Italy, autorizza la spesa di un milione di euro per il 2023 e di due milioni di euro per il 2024.
Il comma 2 demanda ad un decreto del Ministero delle Imprese e del Made in Italy, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, da adottare entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della legge in esame, l’individuazione delle modalità di utilizzo delle risorse, attraverso campagne pubblicitarie sulla stampa quotidiana e periodica, anche telematica, e sulle principali emittenti televisive, nazionali e locali. Con il medesimo decreto è individuato il soggetto gestore, con oneri comunque non inferiore all’1,5 per cento delle risorse stanziate, cui è demandato l’aggiornamento del sito internet istituzionale del Ministero delle imprese e del made in Italy.
Il comma 3 dispone che agli oneri conseguenti si provveda ai sensi dell’articolo 48, alla cui scheda si rinvia.
Articolo 48
(Disposizioni finanziarie)
L’articolo 48 reca le disposizioni per la copertura finanziaria degli oneri derivanti dalle disposizioni del disegno di legge, i quali ammontano a 23,2 milioni di euro per l’anno 2023, a 103,7 milioni di euro per l’anno 2024 e a 0,6 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2025, che aumentano, per l’anno 2025, ai fini della compensazione degli effetti in termini di fabbisogno, a 37,6 milioni e, in termini di indebitamento netto, a 19,6 milioni di euro.
In particolare, il comma 1 reca la copertura finanziaria degli oneri derivanti dagli articoli 5 (Sostegno all'imprenditorialità femminile), 6 (Misure di incentivazione della proprietà industriale), 7 (Filiera del legno per l’arredo al 100 per cento nazionale), 8 (Valorizzazione della filiera delle fibre tessili naturali e provenienti da processi di riciclo), 14 (Fondazione «Imprese e competenze per il made in Italy»), 24 (Sostegno al settore fieristico in Italia e ai mercati rionali), 36 (Contributo per la predisposizione del disciplinare), 37 (Blockchain per la tracciabilità delle filiere), 38 (Imprese del made in Italy nel mondo virtuale e immersivo), 41(Modifiche al sistema delle sanzioni in materia di contraffazione) e 47 (Promozione e comunicazione degli interventi in materia di made in Italy).
Tali oneri sono quantificati complessivamente in 23.200.000 euro per l’anno 2023, in 103.680.100 euro per l’anno 2024 e in 630.100 euro annui a decorrere dall’anno 2025.
Per l’anno 2025, gli oneri aumentano, ai fini della compensazione degli effetti in termini di fabbisogno, a 37.630.100 euro e, in termini di indebitamento netto, a 19.630.100 euro.
Per quanto riguarda la copertura, ad essa si provvede:
a) quanto a 4 milioni di euro per l’anno 2023 e a 87 milioni di euro per l’anno 2024, e, in termini di fabbisogno e indebitamento netto, a 37 milioni di euro per l’anno 2025, mediante corrispondente riduzione del Fondo per il potenziamento delle politiche industriali di sostegno alle filiere produttive del made in Italy.
Il Fondo è stato istituito dall’articolo 1, comma 402, della legge 29 dicembre 2022, n. 197 con una dotazione di 5 milioni di euro per il 2023 e di 95 milioni di euro per il 2024 (cap. 7020 dello stato di previsione del Ministero delle imprese e del made in Italy, Missione 7 “Servizi istituzionali e generali delle amministrazioni pubbliche”, Programma 7.1 “Indirizzo politico”);
b) quanto a 9.200.000 euro per l’anno 2023, 16.680.100 euro per l’anno 2024 e 630.100 euro annui a decorrere dall’anno 2025, mediante corrispondente riduzione dello stanziamento del fondo speciale di parte corrente iscritto nello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze per l’anno 2023, allo scopo parzialmente utilizzando l’accantonamento relativo al Ministero delle imprese e del made in Italy;
c) quanto a 10 milioni di euro per l’anno 2023, mediante corrispondente utilizzo delle risorse del Fondo per il riaccertamento dei residui passivi di conto capitale (ai sensi dell’art. 34-ter, comma 5, della legge n. 196 del 2009), iscritto nello stato di previsione del Ministero delle imprese e del made in Italy;
d) quanto a 13 milioni di euro per l'anno 2024, in termini di fabbisogno e di indebitamento netto, mediante corrispondente riduzione del fondo per la compensazione degli effetti finanziari non previsti a legislazione vigente conseguenti all'attualizzazione di contributi pluriennali, di cui all'articolo 6, comma 2, del decreto-legge n. 154 del 2008.
Nella tabella che segue illustra gli oneri e le relative coperture sui tre saldi di finanza pubblica, previsti dall’articolo in esame:
milioni di euro |
Saldo netto da finanziare |
Fabbisogno |
Indebitamento netto |
||||||
|
2023 |
2024 |
2025 |
2023 |
2024 |
2025 |
2023 |
2024 |
2025 |
Oneri: |
|||||||||
Art. 5 – Imprenditoria femminile |
- |
15,0 |
- |
- |
15,0 |
- |
- |
5,0 |
- |
Art. 6 – Proprietà industriale |
8,0 |
1,0 |
- |
8,0 |
1,0 |
- |
8,0 |
1,0 |
- |
Art. 7 – Filiera legno |
- |
25,0 |
- |
- |
10,0 |
15,0 |
- |
7,0 |
8,0 |
Art. 8 - Filiera fibre tessili naturali |
- |
15,0 |
- |
- |
5,0 |
10,0 |
- |
5,0 |
5,0 |
Art. 14 - Fondazione |
- |
1,5 |
0,5 |
- |
1,5 |
0,5 |
- |
0,5 |
0,5 |
Art. 24 – Settore fieristico |
10,0 |
10,0 |
- |
10,0 |
10,0 |
- |
10,0 |
10,0 |
- |
Art. 36 -Disciplinare |
- |
3,0 |
- |
- |
3,0 |
- |
- |
3,0 |
- |
Art. 37 - Blockchain |
4,2 |
26,05 |
- |
4,2 |
14,05 |
12,0 |
2,2 |
7,05 |
6,0 |
Art. 38 – Imprese ambienti virtuali |
- |
5,0 |
- |
- |
5,0 |
- |
- |
2,5 |
- |
Art. 41 -Contraffazione |
- |
0,13 |
0,13 |
- |
0,13 |
0,13 |
- |
0,13 |
0,13 |
Art. 47 – Promozione Made in Italy |
1,0 |
2,0 |
- |
1,0 |
2,0 |
- |
1,0 |
2,0 |
- |
TOTALE ONERI |
23,2 |
103,7 |
0,6 |
23,2 |
66,7 |
37,6 |
21,2 |
43,2 |
19,6 |
Coperture: |
|||||||||
Lett. a) – Fondo Made in Italy |
-4,0 |
-87,0 |
- |
-4,0 |
-37,0 |
-37,0 |
-4,0 |
-37,0 |
-37,0 |
Lett. b) - Fondi speciali |
-9,2 |
-16,7 |
-0,6 |
-9,2 |
-16,7 |
-0,6 |
-9,2 |
-16,7 |
-0,6 |
Lett. c) –Fondo riaccert. residui |
-10,0 |
- |
- |
-10,0 |
- |
- |
-10,0 |
- |
- |
Lett. d) - Fondo attualizz. contributi pluriennali |
- |
- |
- |
- |
-13,0 |
- |
- |
-13,0 |
- |
TOTALE COPERTURE |
-23,2 |
-103,7 |
-0,6 |
-23,2 |
-66,7 |
-37,6 |
-23,2 |
-66,7 |
-37,6 |
Il comma 2 autorizza il Ministro dell’economia e delle finanze ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.
La costituzione di fondi sovrani in alcuni paesi europei
(A cura del Servizio Biblioteca della Camera dei deputati)
In Germania, con la Legge sulla riorganizzazione della responsabilità nella gestione dei rifiuti nucleari (Gesetz zur Neuordnung der Verantwortung in der kerntechnischen Entsorgung) del 27 gennaio 2017, in vigore dal 16 giugno 2017, è stata istituita, all’art. 1, una Fondazione di diritto pubblico avente personalità giuridica (rechtsfähige Stiftung des öffentlichen Rechts), denominata “Fondo per il finanziamento dello smaltimento delle scorie nucleari” (Fonds zur Finanzierung der kerntechnischen Entsorgung - KENFO), con sede a Berlino. Ai sensi del § 1, comma 2 della legge istitutiva (Entsorgungsfondsgesetz - EntsorgFondsG), lo scopo del Fondo è quello di coprire le spese necessarie allo smaltimento sicuro dei rifiuti radioattivi derivanti dall’uso commerciale dell’energia nucleare per la produzione di elettricità.
Organi del Fondo sono il Consiglio di amministrazione o Consiglio della Fondazione (Kuratorium) e il Consiglio direttivo (Vorstand). Il Kuratorium decide, a maggioranza semplice, in merito a tutte le questioni fondamentali relative al perseguimento dello scopo e allo svolgimento dei compiti della Fondazione. A tal fine può avvalersi anche della consulenza della Banca federale (Bundesbank). Fanno parte del Consiglio di amministrazione i rappresentanti del Ministero federale delle finanze, del Ministero federale dell’economia e dell’energia, del Ministero federale dell’ambiente, della protezione della natura, della sicurezza nucleare e della tutela del consumatore, nonché alcuni deputati del Bundestag. I membri del Kuratorium sono nominati per la durata della legislatura e restano in carica fino alla nomina dei loro successori. Al suo interno vengono eletti un Presidente e un Vicepresidente. Il Consiglio della Fondazione è inoltre assistito da un Comitato per gli investimenti (Anlageausschuss) composto da cinque esperti finanziari internazionali con lunga esperienza nei settori dell’amministrazione del portafoglio, degli investimenti e della gestione del rischio.
Il Consiglio direttivo, che rappresenta la Fondazione in sede giudiziale e stragiudiziale, attua le decisioni del Consiglio di amministrazione e gestisce gli affari del Fondo. È composto da tre membri, nominati dal Kuratorium, che vantano una vasta esperienza nel settore degli investimenti e nella gestione di grandi patrimoni. Il Consiglio direttivo sottopone al Consiglio di amministrazione della Fondazione l’orientamento di base delle decisioni di investimento sulla base dell’andamento generale del mercato e aggiorna la politica di investimento almeno una volta all’anno. Ai sensi del § 5, comma 5 EntsorgFondsG, il Governo federale può vietare determinati progetti di investimento mediante apposite disposizioni.
Le risorse del KENFO possono essere utilizzate esclusivamente per la realizzazione degli scopi istitutivi. Il Ministero federale delle finanze può, d’intesa con il Ministero federale dell’economia e dell’energia e il Ministero federale dell’ambiente, della protezione della natura, della sicurezza nucleare e della tutela del consumatore, emanare le direttive di investimento (Anlagerichtlinien) del Fondo mediante Regolamento amministrativo generale (allgemeine Verwaltungsschrift). Tali direttive, pubblicate nella Gazzetta Ufficiale federale, devono garantire che il Fondo, nelle sue decisioni d’investimento, osservi i principi generali per gli investimenti patrimoniali elencati al § 124, comma 1 della Legge sulla vigilanza nel settore assicurativo (Versicherungsaufsichtsgesetz - VAG).
Il KENFO non è soggetto all’imposta sulle società o all'imposta sul commercio. I pagamenti e le prestazioni del Fondo non sono soggetti ad alcuna detrazione fiscale sulle plusvalenze. Ai fini delle Convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni, il Fondo è considerato una persona giuridica residente in Germania e come tale è soggetto all’imposizione fiscale tedesca.
Il Fondo è autonomo nella sua gestione economica e adotta le decisioni di investimento secondo principi commerciali. Ai sensi del § 110 del Regolamento federale di bilancio (Bundeshaushaltsordnung - BHO) elabora un piano aziendale annuale (Wirtschaftsplan), che costituisce un fondamento vincolante per la gestione del Fondo stesso. Il Wirtschaftsplan autorizza il Fondo ad assumere impegni e ad effettuare spese secondo le previsioni. Ogni anno il Consiglio direttivo del Fondo presenta al Kuratorium un progetto di piano aziendale per l’anno successivo, sul quale il Consiglio di amministrazione delibera entro due mesi dalla fine dell’anno in corso per poi sottoporlo immediatamente all’approvazione del Ministero federale dell’economia e dell’energia. In mancanza di una delibera del Kuratorium entro i termini stabiliti, il Ministero federale dell’economia e dell’energia può, d’intesa con gli altri due ministeri sopra citati, redigere un piano provvisorio. Come stabilito dal § 11, comma 11 EntsorgFondsG, il Governo federale informa in tempo utile il Fondo in merito alle previste conseguenze sui costi relativi a future misure di smaltimento, in modo che il Fondo possa basare su queste la pianificazione degli investimenti e la tempestiva liquidità delle risorse. Nello specifico, tre mesi prima dell’inizio del nuovo anno solare, il Governo federale notifica al Fondo, sulla base della pianificazione per il bilancio federale, le misure di smaltimento previste per i successivi tre anni, nonché i costi che ne derivano. Il Wirtschaftsplan deve essere modificato se il conto profitti e perdite o le previsioni finanziarie mutano in modo significativo rispetto al piano originario, ossia se la variazione delle spese totali supera la stima complessiva di oltre il 20 per cento.
Il nuovo § 11c, introdotto dall’ultima legge di modifica della normativa sul Fondo (Gesetz zur Änderung von Bestimmungen für den Fonds zur Finanzierung der kerntechnischen Entsorgung – EntsorgFondsGuaÄndG) del 25 giugno 2021 (in vigore dal 1° luglio 2021), riguarda specificamente l’acquisizione e la vendita di beni a scopo di investimento. La disposizione prevede che i beni patrimoniali possano essere acquisiti a scopo di investimento solo nel caso in cui l’acquisizione è consentita sulla base delle direttive di investimento del Fondo emanate ai sensi della legge in questione. I beni patrimoniali, inoltre, possono essere acquistati o alienati soltanto a prezzi di mercato, mentre i diritti reali su proprietà fondiarie possono costituirsi soltanto dietro adeguato corrispettivo.
Il Kuratorium redige un bilancio annuale (Jahresabschluss) e una relazione sulla gestione del Fondo (Lagebericht), integrata da una descrizione dell’andamento degli investimenti effettuati e delle risorse effettive del Fondo. Questi documenti sono esaminati da un revisore dei conti (Abschlussprüfer) scelto dal Consiglio di amministrazione del Fondo d’intesa con i tre ministeri più volte citati. Il bilancio annuale, la relazione di gestione e il rapporto di audit (Prüfungsbericht) devono poi essere immediatamente presentati ai tre ministeri interessati. Infine, il Ministero federale dell’economia e dell’energia sottopone i tre documenti alla verifica da parte della Corte dei conti federale (Bundesrechnungshof) ai sensi del § 111 BHO.
Il KENFO riferisce regolarmente, con cadenza almeno trimestrale, al Ministero federale dell’economia e dell’energia, al Ministero federale delle finanze e al Ministero federale dell’ambiente, della protezione della natura, della sicurezza nucleare e della tutela del consumatore in merito agli attuali sviluppi della sua attività (§ 12a, comma 2 EntsorgFondsG). L’attività del Fondo è inoltre soggetta per legge (§ 13 EntsorgFondsG) alla vigilanza del Ministero federale dell’economia e dell’energia, che deve essere esercitata d’intesa con gli altri due ministeri interessati. La legge prevede lo scioglimento (Auflösung) del Fondo con l’esaurimento delle sue risorse e comunque non oltre il raggiungimento dei suoi scopi. Il patrimonio restante dopo lo scioglimento andrà a beneficio del Governo federale.
Il KENFO rappresenta attualmente la più grande fondazione di diritto pubblico della Germania, con circa 24 miliardi di euro di patrimonio amministrato. Poiché il Fondo si è costituito tramite un versamento una tantum da parte dei gestori delle centrali nucleari tedesche e la legge non prevede ulteriori afflussi nelle sue casse, si tratta di una fondazione a consumo. Per i costi che comporta lo stoccaggio provvisorio e definitivo sicuro dei rifiuti radioattivi, il Governo federale viene annualmente rimborsato con importi elevati.
Le direttive di investimento emanate il 27 giugno 2017 dal Ministero federale delle finanze integrano nella strategia di investimento del Fondo, improntata alla sostenibilità, il rispetto dei c.d. criteri ESG (Environmental, Social, Governance), ossia parametri extrafinanziari in base ai quali il KENFO, nelle sue decisioni, deve tener conto anche del fattore ambientale, di quello sociale e dei principi di etica e trasparenza. Nella relazione per l’approvazione in Assemblea della legge istitutiva del Fondo (stampato BT n. 18/10671 del 14 dicembre 2016), la 9a Commissione del Bundestag, competente in materia di economia ed energia, aveva esortato il Governo federale a non effettuare investimenti in progetti, imprese, obbligazioni o istituzioni in contrasto con la volontà prioritaria del legislatore di porre fine all’utilizzo dell’energia nucleare.
La strategia di investimento del KENFO, che ha lo scopo di ottenere buoni rendimenti e prestazioni stabili a lungo termine, si basa su un portafoglio bilanciato e ampiamente diversificato. Ove possibile e ragionevole, il Fondo fa riferimento a norme e standard ESG riconosciuti a livello internazionale, come il Global Compact delle Nazioni Unite – l’iniziativa più importante al mondo per una governance aziendale responsabile in base alla quale le imprese sono escluse dagli investimenti se violano uno o più dei dieci principi fondamentali come il rispetto dei diritti umani riconosciuti e degli standard internazionali del lavoro, la protezione dell’ambiente e la lotta alla corruzione - e i Principi delle Nazioni Unite per l’investimento responsabile (UN PRI), ai quali il Fondo ha aderito nel novembre 2020. Il KENFO esclude gli investimenti e le partecipazioni in gestori di centrali nucleari e in società che controllano gestori di centrali nucleari e, inoltre, sostiene gli investimenti nel settore della decarbonizzazione per il raggiungimento degli obiettivi climatici concordati a livello internazionale.
Nel marzo 2020 il KENFO ha anche aderito alla Net-Zero Asset Awner Alliance (AOA), un’iniziativa del Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (UNEP), avviata in occasione del Summit sul clima dell’ONU nel settembre 2019, che coinvolge diversi investitori nella lotta al riscaldamento globale. Il KENFO è il primo fondo sovrano al mondo ad aver assunto impegni vincolanti secondo l’Accordo di Parigi sul clima e a ridurre a zero le emissioni di CO2 nell’ambito del suo portafoglio di investimenti entro il 2050.
In Irlanda opera il “Fondo di Investimento Strategico” (Ireland Strategic Investment Fund - ISIF).
Finalità istituzionale del Fondo è la realizzazione di operazioni di investimento economico che, in virtù della loro valenza innovativa, siano in grado di promuovere lo sviluppo delle attività produttive e dell’occupazione del Paese. Nello svolgimento dei suoi compiti, caratterizzato dall’integrazione tra moduli operativi privatistici e obiettivi di interesse pubblico, l’ISIF si avvale di due riserve finanziarie, denominate rispettivamente Directed Portfolio e Discretionary Portfolio.
Il Directed Portfolio, costituito principalmente da quote di investimento in gruppi bancari di interesse nazionale, è detenuto dal Fondo ed è gestito sotto la direzione del Ministro delle Finanze.
Il Discretionary Portfolio è destinato agli investimenti idonei a sostenere lo sviluppo economico nazionale, avendo riguardo alla loro valenza strategica e ai benefici sociali che essi determinano in conformità agli indirizzi generali del Fondo (Impact Strategy). In tale prospettiva gli ambiti di intervento si correlano al perseguimento di politiche pubbliche, tra cui si segnalano quelle avviate in relazione alla transizione climatica, alla promozione dell’edilizia sociale, allo sviluppo delle piccole e medie imprese, alla tutela del settore agroalimentare. Le imprese nazionali beneficiarie degli investimenti (Irish Investment Portfolio) sono enumerate sul sito Internet dell’ISIF.
A titolo di esempio possono richiamarsi, tra le operazioni di maggiore rilievo poste in essere dal Fondo, l’investimento di 68 milioni di euro in due fondi internazionali attivi nel settore della decarbonizzazione, nel quadro del programma quinquennale per il contrasto del cambiamento climatico (avviato nel settembre 2022 con la dotazione finanziaria complessiva di 5 milardi di euro). Le iniziative nel settore agroalimentare, d’altra parte, sono state adottate nell’ambito del programma nazionale di sostenibilità ambientale ed alimentare (Ireland’s national Agri-Food strategy – Food vision 2030) la cui attuazione è prevista entro il 2030.
Per quanto concerne la sua governance, l’ISIF è posto sotto la guida di un Director, al quale rispondono tre Deputy-Directors preposti ad altrettante aree operative. L’ISIF è a sua volta soggetto al controllo dell’Agenzia nazionale del Tesoro (National Treasury Management Agency –NTMA), organismo collegiale formato da sei membri (incluso il Presidente) nominati dal Ministro delle Finanze per una durata in carica cinque anni e da tre membri di diritto costituiti dal Chief Executive della stessa Agenzia e dai Segretari generali di due Dipartimenti governativi.
Il Fondo sovrano della Norvegia, denominato Statens pensjonsfond Utland (SPU) o Government Pension Fund Global (GPFG), inizialmente noto come Fondo petrolifero (Oljefondet o Oil Fund), è stato creato con la legge n. 36 del 22 giugno 1990 (Lov om Statens petroleumsfond), entrata in vigore il 1° gennaio 1991[14], al fine di investire nei mercati globali gli introiti del settore petrolifero. Il Fondo è stato istituito come conto di deposito presso la Banca centrale norvegese (Norges Bank), dove il Governo deposita i proventi del petrolio attraverso trasferimenti regolari. Proprietario ufficiale del GPFG è il Ministero delle finanze, che agisce per conto del Parlamento (Stortinget), per il popolo norvegese. Il Ministero delle finanze determina la strategia di investimento e le linee guida etiche del Fondo, e monitora la gestione operativa, che è delegata alla Norges Bank Investment Management, un ramo della Banca centrale norvegese istituito ad hoc nel 1998. Il Ministro delle finanze riferisce al Parlamento, il quale deve dare il suo assenso prima che la Banca possa apportare modifiche significative alla strategia di investimento del Fondo.
Il Fondo petrolifero rappresentava, in origine, anche il frutto di una decisione del legislatore per contrastare gli effetti di una futura diminuzione del reddito e per attenuare gli effetti dirompenti delle forti fluttuazioni dei prezzi del petrolio. Nel 1998 il Fondo è stato autorizzato a investire fino al 40% del suo portafoglio nel mercato azionario internazionale. Nel giugno 2009, il Ministero delle finanze ha deciso di aumentare tale quota al 60%, mentre nel maggio 2014 il Governatore della Banca centrale norvegese ha proposto di aumentarla al 70%. Il Governo norvegese ha inoltre previsto di investire fino al 5% del Fondo nel settore immobiliare a partire dal 2010.
Nel Fondo sovrano norvegese possono investire solo i cittadini norvegesi poiché il Fondo è in gran parte finanziato dal Governo, gli investitori devono avere almeno 18 anni e possedere un numero di identità personale norvegese valido (fødselsnummer). Inoltre, per investire direttamente nel GPFG è necessario un investimento minimo iniziale di almeno 10 milioni di corone norvegesi. È possibile accedere al Fondo anche attraverso fondi comuni di investimento, ETF, società di investimento o altri investimenti basati sul suo portafoglio.
Con il tempo il GPFG è cresciuto fino a diventare uno dei fondi sovrani più consistenti al mondo, il cui scopo principale è quello di generare rendimenti finanziari per le generazioni future investendo in azioni, obbligazioni, immobili e altre attività in tutto il mondo. Gli investimenti sono distribuiti nella maggior parte dei mercati, dei paesi e delle valute per ottenere un’ampia esposizione alla crescita globale e alla creazione di valore e garantire una buona diversificazione del rischio. La maggior parte del Fondo è investita in azioni, che sono partecipazioni in società; un’altra parte è investita in obbligazioni, che sono una sorta di prestito a governi e aziende, e un’ultima fetta è investita in immobili e infrastrutture per le energie rinnovabili. Attualmente il Government Pension Fund Global investe in 9.228 società in circa 70 Paesi, senza che una singola società o settore domini le partecipazioni. Tra le società si possono citare Apple, Nestlé, Microsoft e Samsung. In media, il Fondo detiene l’1,5% di tutte le società quotate a livello mondiale. Oltre alla sede principale di Oslo, la Norges Bank Investment Management ha uffici a Londra, New York, Singapore e Shangai per essere più vicina ai mercati in cui investe e rafforzare i legami con i partner in diverse parti del mondo. Altri uffici immobiliari si trovano a Tokyo, Lussemburgo e Parigi.
Parte integrante della strategia d’investimento del Fondo è l’investimento responsabile. Nell’identificare opportunità di investimento a lungo termine e ridurre la l’esposizione a rischi inaccettabili i gestori del Fondo valutano l’impatto delle aziende sull’ambiente e sulla società e, in alcuni casi, si arriva alla scelta di non investire in alcune società per motivi di sostenibilità o per ragioni etiche. La Norges Bank decide in merito all’esclusione di società dall’universo di investimento del Fondo o l’inserimento di società in una lista di osservazione. A partire dal 1° gennaio 2015 le esclusioni sono oggetto di una decisione del Consiglio di amministrazione della Norges Bank, mentre le decisioni anteriori a tale data sono state adottate dal Ministero delle finanze. Le decisioni sono basate su raccomandazioni formulate dal Consiglio etico (Etikkrådet)[15] in conformità alle Linee guida per l’osservazione e l’esclusione delle società dal Government Pension Fund Global (Retningslinjer for observasjon og utelukkelse av selskaper fra Statens pensjonsfond utland) adottate dal Ministro delle finanze il 18 dicembre 2014. Le linee guida contengono sia criteri di esclusione basati sulla tipologia di prodotti, come la produzione di tabacco, cannabis, carbone o alcuni tipi di armi, sia criteri di esclusione comportamentali, come reati finanziari gravi, la vendita di armi a certi Stati, le violazioni dei diritti umani e i danni ambientali. Diverse società precedentemente escluse sono state successivamente reintegrate nel Fondo, perché non più coinvolte nelle attività che avevano portato alla loro esclusione. In rete è disponibile un elenco in ordine alfabetico, aggiornato al 25 maggio 2023, di tutte le società escluse o messe sotto osservazione con l’indicazione della data della decisione e del criterio su cui quest’ultima è basata.
Il Fondo sovrano della Spagna, denominato Sociedad Estatal de Participaciones Industriales (SEPI), rappresenta uno strumento strategico nell’applicazione della politica del Governo nel settore delle imprese pubbliche.
La sua missione è rendere remunerative le partecipazioni aziendali e gestire tutte le attività nell’interesse pubblico, coniugando le finalità di redditività economica e sociale.
La SEPI è un ente di diritto pubblico, le cui attività sono conformi al sistema giuridico privato, sebbene ad esso siano applicabili le disposizioni della legge generale di bilancio e della legge sui contratti del settore pubblico. Dipende dal Ministero delle finanze e della funzione pubblica. Il suo Presidente è nominato dal Consiglio dei Ministri su proposta del Ministro delle Finanze e della Funzione Pubblica (Real Decreto 682/2021, de 3 de agosto, art. 1.3).
La Sociedad è stata istitutita con regio decreto legge 5/1995, del 16 giugno, successivamente approvato come legge n. 5 del 10 gennaio 1996 (Ley 5/1996, de 10 de enero, de creación de determinadas entidades de derecho público) sulla creazione di alcuni enti di diritto pubblico.
La SEPI trae origine dall’Instituto Nacional de Industria (INI) creato nel 1941, in risposta alla necessità di ricostruire e sviluppare l’economia produttiva del Paese dopo la fine della guerra civile spagnola. Ispirato all’Istituto per la Ricostruzione Industriale (IRI) fondato da Mussolini nel 1938, l'INI fu concepito come uno strumento di politica industriale, per consentire allo Stato di intervenire nell’economia, sostenendo il necessario volume di investimenti che l’iniziativa privata, ingentemente sovvenzionata dallo Stato, non poteva intraprendere, in quanto basata su una concezione di economia autarchica.
La normativa specifica sulla SEPI[16] individua tra le sue funzioni prioritarie:
§ la promozione e il coordinamento delle attività delle società di cui è diretta titolare;
§ la definizione della strategia e la supervisione della pianificazione delle società partecipate, il monitoraggio e il controllo della corretta esecuzione delle attività;
§ la gestione e l’esecuzione di tutti i tipi di operazioni finanziarie per le società partecipate;
§ la definizione di linee guida generali per le prestazioni delle proprie società, applicando criteri di gestione aziendale in attuazione delle politiche del Governo sulla modernizzazione e ristrutturazione aziendale, con attenzione alla salvaguardia dell’interesse pubblico.
La SEPI svolge attività di promozione e sviluppo imprenditoriale, con azioni che contribuiscono al rilancio economico e sociale di aree della Spagna a bassa attività industriale.
Per promuovere la creazione di un nuovo tessuto imprenditoriale, la Sociedad è impegnata nell’eliminazione di vecchie industrie o attività minerarie e in operazioni di risanamento del suolo. Lo sviluppo delle infrastrutture necessarie alla realizzazione di moderni parchi commerciali dotati dei più avanzati servizi e attrezzature e l’attrazione di nuovi investimenti, finalizzati alla creazione di posti di lavoro e alla diversificazione industriale in ogni regione della Spagna costituiscono parte rilevante delle attività. Questi interventi sono realizzati principalmente nelle aree interessate dai processi di riconversione industriale e mineraria di insediamenti risalenti agli anni ‘70 e ’80.
La politica di rilancio economico è orientata ad uno sviluppo territoriale equilibrato e non dipendente dal settore pubblico che la SEPI realizza attraverso il Gruppo SEPIDES. Le attività del Gruppo in questo campo si concentrano su due principali linee di business: immobiliare, con lo sviluppo di parchi commerciali; promozione d’impresa, attraverso il project financing, direttamente o tramite fondi e società di investimento in compartecipazione.
La SEPI, inoltre, investe in progetti innovativi nell’ambito dei sistemi informativi aziendali e dell’automazione di processi, nella cantieristica navale, nel settore dell’energia e nel processo della trasformazione digitale. Particolare attenzione è dedicata allo sviluppo sostenibile con un investimento di 72,5 milioni di euro nel 2021[17].
Il Gruppo SEPI è attualmente composto da 15 società a partecipazione maggioritaria e diretta, con circa 74.000 dipendenti. Dispone, inoltre, di una Fondazione, che promuove e gestisce programmi di borse di studio e attività di formazione per i dirigenti, nonché di una partecipazione di minoranza diretta in 9 società e di una partecipazione indiretta in oltre 100 imprese.
Di seguito si riporta una tabella in cui sono elencati i principali fondi sovrani che sono stati istituiti in alcuni paesi europei.
Paese |
Denominazione |
Costituzione |
Dimensioni (in dollari) |
Norvegia |
Norway Government Pension Fund Global |
1990 |
1.350.865.967.808 |
Germania |
Nuclear Waste Disposal Fund |
2017 |
24.956.473.271 |
Malta |
Malta Government Investments |
2007 |
17.353.860.046 |
Irlanda |
Ireland Strategic Investment Fund |
2014 |
15.695.700.000 |
Spagna |
Sociedad Estatal de Participaciones Industriales |
1995 |
14.863.067.346 |
Finlandia |
Solidium |
2008 |
8.189.034.603 |
Principato di Monaco |
Monaco Constitutional Reserve Fund |
1962 |
7.480.857.000 |
Grecia |
Hellenic Corporation of Assets and Participations S.A. |
2016 |
7.416.948.095 |
Danimarca |
Vaekstfonden |
1992 |
4.024.636.176 |
Austria |
Österreichische Beteiligungs AG |
1967 |
3.983.315.867 |
Belgio |
Regional Investment Company of Wallonia |
1979 |
3.359.580.000 |
Belgio |
SFPI-FPIM (Société Fédérale de Participations et d’Investissement-Société Fédérale de Participations) |
2006 |
2.696.950.000 |
Slovenia |
Slovenian Sovereign Holding |
2014 |
930.000.000 |
Malta |
National Development and Social Fund |
2015 |
730.646.459 |
Lussemburgo |
Luxembourg Intergenerational Sovereign Fund |
2014 |
488.911.000 |
Fonte: SWFI (Sovereign Wealth Fund Institute) - Top 100 Largest Sovereign Wealth Fund Rankings by Total Assets.
[1] Il “Fondo Nazionale Innovazione” (FNI) ha un bacino finanziario alimentato da risorse pubbliche per investire, direttamente e indirettamente, nel capitale di imprese ad alto potenziale innovativo. Per investimento “diretto” si intende la sottoscrizione di quote in fondi di venture capital gestiti da CDP Venture Capital Sgr SpA attraverso i veicoli capitalizzati dal MISE (ora MIMIT). Per investimento “indiretto” la sottoscrizione da parte di tali veicoli di quote in fondi di venture capital gestiti da Sgr di terzi. Quanto ai veicoli capitalizzati dal MISE (ora MIMIT) si rammenta in questa sede: il FONDO DI COINVESTIMENTO (che investe in modalità indiretta) e il FONDO RILANCIO (che investe in modalità diretta). La gestione degli strumenti è affidata a CDP Venture Capital Sgr SpA. Il FONDO DI COINVESTIMENTO è capitalizzato con 310 milioni di euro stanziati con l’articolo 1, comma 216, della stessa L. n. 145 del 2018. Il FONDO RILANCIO è capitalizzato con i 200 milioni stanziati con l’articolo 38, comma 3, del D.L. n. 34/2020. In attuazione di tale norma, il D.M. 1 ottobre 2020 ha infatti stabilito le modalità di impiego delle risorse.
[2] La legge di bilancio 2021 (articolo 1, commi 107 e 108 della legge n. 178 del 2020) ha poi disposto un ulteriore rifinanziamento del Fondo a sostegno del Venture capital di cui al comma 209 di 3 milioni di euro per l’anno 2021, è finalizzandolo a sostenere investimenti in capitale di rischio in progetti di imprenditoria femminile ad elevata innovazione ovvero a contenuto di innovazione tecnologica, realizzati entro i confini territoriali nazionali da società il cui capitale sia detenuto in maggioranza da donne.
[3] L’elenco delle convenzioni internazionali in materia sociale e ambientale di cui all’allegato X alla direttiva 2014/24/UE (recepita nel nostro ordinamento con il D.Lgs. 50/2016, ora sostituito dal D.Lgs. 36/2023) contiene: Convenzione OIL 87 sulla libertà d’associazione e la tutela del diritto di organizzazione; Convenzione OIL 98 sul diritto di organizzazione e di negoziato collettivo; Convenzione OIL 29 sul lavoro forzato; Convenzione OIL 105 sull’abolizione del lavoro forzato; Convenzione OIL 138 sull’età minima; Convenzione OIL 111 sulla discriminazione nell’ambito del lavoro e dell’occupazione; Convenzione OIL 100 sulla parità di retribuzione; Convenzione OIL 182 sulle peggiori forme di lavoro infantile; Convenzione di Vienna per la protezione dello strato di ozono e protocollo di Montreal relativo a sostanze che riducono lo strato di ozono; Convenzione di Basilea sul controllo dei movimenti transfrontalieri di rifiuti pericolosi e del loro smaltimento (Convenzione di Basilea); Convenzione di Stoccolma sugli inquinanti organici persistenti; Convenzione di Rotterdam sulla procedura di previo assenso informato per taluni prodotti chimici e pesticidi pericolosi nel commercio internazionale (UNEP/FAO, lettera convenzione PIC) Rotterdam, 10 settembre 1998, e relativi tre protocolli regionali.
[4] La Commissione informa poi immediatamente gli altri paesi dell’UE attraverso il sistema informativo sulle regole tecniche. È previsto un periodo di differimento di tre mesi, durante il quale il paese dell’UE in questione non può adottare il progetto di regola tecnica proposto. Tale periodo può essere esteso a quattro, sei, dodici o diciotto mesi, a seconda delle circostanze del caso. Durante tale periodo la Commissione e gli altri paesi dell’UE esaminano il progetto di regola proposto e possono reagire conformemente. In situazioni urgenti, dovute a circostanze gravi e imprevedibili, un paese dell’UE può adottare una regola tecnica senza rispettare il periodo di differimento («procedura d’urgenza»). Ogni due anni la Commissione presenta una relazione al Parlamento europeo, al Consiglio e al Comitato economico e sociale europeo sull’attuazione della direttiva. Si rinvia, qui, al sito istituzionale della Commissione.
[5] La Commissione UE, nella Relazione COM (2017) 788 final sull’applicazione della Direttiva (UE) 2015/1535, ha richiamato i due casi seguenti esaminati nel periodo 2014-2015:
§ Nel 2014 la Commissione ha formulato un parere circostanziato su una notifica italiana relativa a un logo regionale che collegava l’origine di una vasta gamma di prodotti alla loro qualità. La Commissione ha sostenuto che questa misura sarebbe stata in contrasto con l’articolo 34 del TFUE, in quanto avrebbe potuto incoraggiare i consumatori ad acquistare prodotti nazionali a scapito di quelli importati. Le autorità italiane hanno in seguito eliminato l’ostacolo eliminando il riferimento all’origine dei prodotti contemplati dal progetto notificato.
§ Nel 2015 le autorità francesi hanno notificato alla Commissione un progetto di misura che definiva un logo da utilizzare per i prodotti industriali e artigianali protetti da indicazioni geografiche. La Commissione ha emesso un parere circostanziato sostenendo che la creazione del logo, che consisteva in una sagoma rossa e blu contenente le iniziali “IG” [indication géographique] con la parola “FRANCE”, avrebbe potuto costituire una misura di effetto equivalente ai sensi dell’articolo 34 del TFUE. In particolare, la Commissione ha ritenuto che questo logo, che sottolineava l’origine francese dei prodotti in questione, sarebbe andato oltre l’obiettivo di autenticare l’origine locale o regionale specifica di un prodotto e pertanto avrebbe potuto incoraggiare i consumatori ad acquistare prodotti recanti tale logo, escludendo i prodotti di altri Stati membri. Le autorità francesi hanno accolto tali obiezioni e hanno modificato il progetto di logo in una maniera ritenuta accettabile dalla Commissione. Si rinvia al sito istituzionale della Commissione europea per un’analisi più approfondita della Direttiva 2015/1535. Qui l’ultima relazione depositata dalla Commissione.
[6] L. 21 giugno 1986, n. 317 “Disposizioni di attuazione di disciplina europea in materia di normazione europea e procedura d'informazione nel settore delle regolamentazioni tecniche e delle regole relative ai servizi della società dell'informazione”.
[7] L’articolo 7 della legge n. 37/2019 ha poi delegato il Governo ad adottare un decreto legislativo che disciplini l’utilizzo dei termini cuoio e pelle e di quelli da essi derivati o sinonimi nel rispetto della legislazione dell’Unione. La medesima legge ha fatto operato la rivivescenza della legge n. 1112/1966, disciplina pregressa alla legge n. 8/2013.
[8] Proposta di Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo alla protezione delle indicazioni geografiche per i prodotti artigianali e industriali, che modifica i regolamenti (UE) 2017/1001 e (UE) 2019/1753 del Parlamento europeo e del Consiglio e la decisione (UE) 2019/1754 del Consiglio.
[9] La politica di qualità dell'Unione europea protegge le denominazioni di prodotti agroalimentari specifici per promuoverne le caratteristiche uniche legate all'origine geografica e alle competenze tradizionali. Il sistema delle indicazioni geografiche dell'UE protegge i nomi di prodotti provenienti da regioni specifiche e che possiedono qualità specifiche o godono di una reputazione legata al territorio di produzione. Le denominazioni dei prodotti possono quindi beneficiare di una "indicazione geografica" (IG) se hanno un legame specifico con il luogo di produzione. Il riconoscimento "IG" è finalizzato a permettere ai consumatori di identificare i prodotti che derivano da contesti di particolare qualità e a consentire ai produttori di essere maggiormente riconoscibili. I prodotti che sono in fase di esame o che hanno ottenuto il riconoscimento "IG" sono elencati nei registri dei prodotti di qualità. I registri comprendono anche informazioni sui disciplinari di produzione e le indicazioni geografiche per ciascun prodotto. Riconosciute come proprietà intellettuale, le indicazioni geografiche svolgono un ruolo sempre più importante nei negoziati commerciali tra l'UE e altri Paesi. Altri regimi di qualità dell'UE mettono in evidenza il processo di produzione tradizionale (Specialità tradizionale garantita - STG) o prodotti fabbricati in aree naturali difficili come la montagna o le isole.
Le indicazioni geografiche stabiliscono diritti di proprietà intellettuale per prodotti specifici, le cui qualità sono specificamente legate alla zona di produzione. Le indicazioni geografiche comprendono:
§ DOP - Denominazione di origine protetta (prodotti alimentari e vini);
§ IGP - Indicazione geografica protetta (prodotti alimentari e vini);
§ IG - Indicazione geografica (bevande spiritose e vini aromatizzati).
Le differenze fra DOP e IGP sono dovute principalmente alla quantità di materie prime del prodotto che devono provenire dalla zona o alla misura in cui il processo di produzione deve aver luogo nella regione specifica. L'IG è specifica per le bevande spiritose e i vini aromatizzati. Nell'ambito del sistema dell'UE in materia di diritti di proprietà intellettuale, i nomi di prodotti registrati come IG sono giuridicamente protetti contro le imitazioni e gli abusi all'interno dell'UE e nei Paesi terzi in cui è stato firmato un accordo di protezione specifico. Per tutti i regimi di qualità, le autorità nazionali competenti di ciascuno Stato membro adottano le misure necessarie per proteggere le denominazioni registrate nel loro territorio. Inoltre sono tenute a prevenire e bloccare la produzione o la commercializzazione illegale di prodotti che utilizzano tale denominazione.
[10] Il regolamento d'uso dei marchi collettivi deve contenere le seguenti indicazioni:
a) il nome del richiedente;
b) lo scopo dell'associazione di categoria o lo scopo per il quale è stata costituita la persona giuridica di diritto pubblico;
c) i soggetti legittimati a rappresentare l'associazione di categoria o la persona giuridica di diritto pubblico;
d) nel caso di associazione di categoria, le condizioni di ammissione dei membri;
e) la rappresentazione del marchio collettivo;
f) i soggetti legittimati ad usare il marchio collettivo;
g) le eventuali condizioni d'uso del marchio collettivo, nonché le sanzioni per le infrazioni regolamentari;
h) i prodotti o i servizi contemplati dal marchio collettivo, ivi comprese, se del caso, le eventuali limitazioni introdotte a seguito dell'applicazione della normativa in materia di denominazioni di origine, indicazioni geografiche, specialità tradizionali garantite, menzioni tradizionali per vini;
i) se del caso, l'autorizzazione a diventare membri dell'associazione titolare del marchio.
[11] Dal Disciplinare di produzione: "I prodotti marchiati “Tessitura artigiana - Sardegna” sono così definiti perché il processo di produzione è per la totalità, o per la maggior parte, realizzato a mano. Non è ammessa la realizzazione di produzioni in serie di tipo industriale".
E ancora: "Ogni prodotto deve essere eseguito a regola d’arte, nel rispetto totale delle modalità previste dalla tecnica prescelta e dal progetto individuato. Sono altresì tutelati i prodotti che, nel solco della tradizione, abbiano valenza innovativa".
"Tutte le fasi di lavorazione del prodotto devono essere eseguite nel laboratorio artigianale, mediante operazioni manuali o semi manuali e, in ogni caso, con l’uso di attrezzature che escludano la possibilità di produzione seriale".
Può chiedere l’uso del marchio l’impresa artigiana regolarmente iscritta all’Albo delle imprese Artigiane della Regione Sardegna, oppure l'impresa con un laboratorio localizzato nel territorio regionale che opera nel comparto artigianale.
[12] Il regolamento d'uso dei marchi di certificazione deve contenere le seguenti indicazioni:
a) il nome del richiedente;
b) una dichiarazione attestante che il richiedente soddisfa le condizioni di cui all'articolo 11-bis;
c) la rappresentazione del marchio di certificazione;
d) i prodotti o i servizi contemplati dal marchio di certificazione;
e) le caratteristiche dei prodotti o dei servizi che devono essere certificate dal marchio di certificazione;
f) le condizioni d'uso del marchio di certificazione, nonché le sanzioni previste per i casi di infrazione alle norme regolamentari;
g) le persone legittimate ad usare il marchio di certificazione;
h) le modalità di verifica delle caratteristiche e di sorveglianza dell'uso del marchio di certificazione da parte dell'organismo di certificazione
[13] In base alla legge n. 689 del 1981(Modifiche al sistema penale), l'applicazione della sanzione amministrativa pecuniaria avviene secondo il seguente procedimento: accertamento, contestazione-notifica al trasgressore; pagamento in misura ridotta o inoltro di memoria difensiva all'autorità amministrativa: archiviazione o emanazione di ordinanza ingiunzione di pagamento da parte dell'autorità amministrativa; eventuale opposizione all'ordinanza ingiunzione davanti all'autorità giudiziaria (giudice di pace o tribunale); accoglimento dell'opposizione, anche parziale, o rigetto (sentenza ricorribile per cassazione); eventuale esecuzione forzata per la riscossione delle somme.
[14] La legge è stata successivamente abrogata dalla legge n. 123 del 21 dicembre 2005 (Lov om Statens pensjonsfond), in vigore dal 1° gennaio 2006, con la quale il Fondo petrolifero è mutato nell’attuale Government Pension Fund Global.
[15] Il Consiglio è composto da cinque membri nominati per quattro anni dal Ministro delle finanze su proposta della banca. Tale organismo svolge i propri compiti in modo autonomo e indipendente e la sua composizione deve garantire le competenze necessarie all’esercizio delle sue funzioni. Ogni anno il Consiglio etico deve presentare al Ministero delle finanze un business plan e una relazione sulla sua attività. Sul sito internet del Consiglio etico (etikkradet.no/annual-reports) sono pubblicate le relazioni annuali (Årsmeldinger), in lingua norvegese e in inglese, a partire dal 2005.
[16] Per la consultazione delle leggi e delle disposizioni che riguardano la SEPI si rinvia a: https://www.sepi.es/es/conozca-sepi/legislacion
[17] Il report più recente sulle attività della SEPI è disponibile al seguente indirizzo: https://www.sepi.es/sites/default/files/2022-12/informe_anual_2021_grupo_sepi.pdf