Camera dei deputati - Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento Istituzioni
Titolo: Disposizioni per l'attuazione dell'autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario ai sensi dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione
Serie: Progetti di legge   Numero: 101
Data: 03/05/2023

 

 

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Dossier n. 85

 

 

 

 

 

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Progetti di legge n. 101

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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I N D I C E

 

 

Schede di lettura. 9

Articolo 1 (Finalità) 15

Articolo 2 (Procedimento di approvazione delle intese fra Stato e Regione) 22

Articolo 3 (Determinazione dei LEP ai fini dell’attuazione dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione) 29

Articolo 4 (Trasferimento delle funzioni) 36

Articolo 5 (Princìpi relativi all'attribuzione delle risorse finanziarie, umane e strumentali corrispondenti alle funzioni oggetto di conferimento) 37

Articolo 6 (Ulteriore attribuzione di funzioni amministrative a enti locali) 39

Articolo 7 (Durata delle intese e successione di leggi nel tempo. Monitoraggio) 43

Articolo 8  (Clausole finanziarie) 46

Articolo 9  (Misure perequative e di promozione dello sviluppo economico, della coesione e della solidarietà sociale) 48

Articolo 10 (Disposizioni transitorie e finali) 51

 


NOTA INTRODUTTIVA

 

L’esecutivo attualmente in carica, fin dalle prime settimane di attività, ha attribuito rilievo centrale al tema dell’autonomia differenziata, e cioè all’esigenza di dare attuazione al disposto del terzo comma dell’articolo 116 della Costituzione - come riformulato dalla legge costituzionale n. 3 del 2001 - ai sensi del quale, con legge dello Stato, approvata dalle Camere a maggioranza assoluta dei componenti, sulla base di intesa fra lo Stato e la Regione interessata, possono essere attribuite alle Regioni a statuto ordinario che ne facciano richiesta forme e condizioni particolari di autonomia nelle 23 materie richiamate dal predetto terzo comma. In questo quadro, il 23 marzo scorso, il Governo ha presentato al Senato il disegno di legge A.S. n. 615, recante “Disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario ai sensi dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione” (disegno di legge collegato alla manovra di finanza pubblica, ai sensi dell’articolo 126-bis del Regolamento).

Come emerge dalla relazione di accompagnamento del disegno di legge, il tema dell’autonomia differenziata, o regionalismo asimmetrico, è connesso, nelle valutazioni del Governo, sia agli aspetti del pluralismo istituzionale e territoriale italiano, sia al soddisfacimento e alla tutela dei diritti dei cittadini.

Sotto il primo profilo, il processo di attuazione del regionalismo differenziato si iscriverebbe nella logica dell’articolo 5 della Costituzione, che riconosce l’autonomia territoriale come principio fondamentale della Repubblica, promuove il decentramento amministrativo quale base di un’ottimale distribuzione delle funzioni, a garanzia di libertà, democrazia, efficacia dell’azione di governo ed efficienza per l’utilizzo delle risorse.

Dal secondo angolo visuale, l’autonomia differenziata dovrebbe favorire il superamento dei vincoli che attualmente impediscono il pieno soddisfacimento dei diritti a livello territoriale e la valorizzazione delle potenzialità proprie delle autonomie territoriali.

In sintesi, come rilevato dal Presidente del consiglio dei ministri nelle dichiarazioni programmatiche rese in Parlamento il 25 ottobre 2022, la finalità perseguita dal Governo è quella di “dare seguito al processo virtuoso di autonomia differenziata già avviato da diverse Regioni italiane secondo il dettato costituzionale e in attuazione dei principi di sussidiarietà e solidarietà, in un quadro di coesione nazionale”.

Sulla base di tali considerazioni l’esecutivo ha impostato il processo di attuazione del regionalismo differenziato su due direttrici distinte e correlate:

a) quella del procedimento di determinazione dei Livelli essenziali delle prestazioni (LEP) concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, ai sensi dell’articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione;

b) quella della presentazione alle Camere di un disegno di legge per l’attuazione dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione.

Parallelamente il Governo, in connessione con l’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR), sta intervenendo sul tema dell'autonomia di entrata delle regioni a statuto ordinario, anche in tal caso al fine di portare a compimento la riforma costituzionale del 2001 (con specifico riferimento al disposto dell’articolo 119 della Costituzione) garantendo il funzionamento degli enti in questione mediante tributi propri, nonché mediante il gettito derivante dalla rideterminazione dell'addizionale regionale all'imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF), dalla compartecipazione regionale all'imposta sul valore aggiunto (IVA) e dai trasferimenti per finalità perequative.

 

Per quanto riguarda la determinazione dei LEP nelle materie che possono essere oggetto di autonomia differenziata, si rammenta, più in particolare, che la legge di bilancio per l’anno 2023 (legge 29 dicembre 2022, n. 197, articolo 1, commi da 791 a 801) ha istituito a tal fine una Cabina di regia, composta da tutti i ministri competenti, assistita da una segreteria tecnica, collocata presso il Dipartimento per gli affari regionali e le autonomie della Presidenza del Consiglio dei ministri.

La Cabina di regia dovrà provvedere a una ricognizione del quadro normativo in relazione a ciascuna funzione amministrativa statale e delle regioni ordinarie, con successiva individuazione delle materie o ambiti di materie riferibili ai livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti in tutto il territorio nazionale. La ricognizione dovrà estendersi alla spesa storica a carattere permanente dell’ultimo triennio, sostenuta dallo Stato sul territorio di ogni Regione, per ciascuna propria funzione amministrativa. Successivamente saranno determinati i livelli essenziali delle prestazioni e dei costi e fabbisogni standard nelle materie di cui al terzo comma dell’articolo 116 della Costituzione, sulla base delle ipotesi tecniche formulate dalla Commissione tecnica per i fabbisogni standard[1]. Al termine di tale iter, entro un anno, la Cabina di regia predisporrà uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri recanti, anche distintamente tra le 23 materie, la determinazione dei LEP e dei relativi costi e fabbisogni standard. Qualora le attività della Cabina di regia non si dovessero concludere nei termini stabiliti, il Presidente del Consiglio dei ministri e il Ministro per gli affari regionali e le autonomie, d'intesa con il Ministro dell'economia e delle finanze, nomineranno un Commissario entro i trenta giorni successivi alla scadenza del termine per il completamento delle attività non perfezionate.

 

Relativamente invece al tema dell’autonomia di entrata delle regioni a statuto ordinario, il Governo, con le previsioni di cui al comma 788 dell’articolo 1 della legge di bilancio per l’anno 2023 (legge 29 dicembre 2022, n. 197), ha inteso tener conto del fatto che tale tematica rientra fra gli obiettivi di riforma del PNRR e, in particolare, che il PNRR prevede un’unica Milestone-UE per l’attuazione del federalismo fiscale regionale, da realizzare entro il primo quadrimestre dell’anno 2026[2]. Entro aprile 2026 sarà quindi necessario aver definito il quadro normativo di riferimento, per ciò che concerne sia la normativa primaria sia quella secondaria, procedendo, tra l'altro, all'individuazione dei trasferimenti dallo Stato alle regioni a statuto ordinario che saranno fiscalizzati. In questo contesto il Governo ha ritenuto che l’attuazione del federalismo regionale dovesse essere necessariamente un obiettivo da raggiungere nei tempi condivisi con la Commissione europea e, con le modifiche introdotte con il citato comma 788 dell’articolo 1 della legge di bilancio 2023, ha rinviato, pertanto, ulteriormente l'entrata a regime dello stesso all’anno 2027 o ad un anno antecedente ove ne ricorrano le condizioni[3].

 

Per quanto riguarda la scelta di ricorrere ad un disegno di legge volto a disciplinare, in generale, le modalità di attuazione del disposto di cui al terzo comma dell’articolo 116 della Costituzione, si segnala che il Governo ha così ripreso un’impostazione già fatta propria da altri governi, con particolare riferimento ai Governi Gentiloni e Conte II, con l’intento di perseguire specificamente due obiettivi primari: un più ordinato e coordinato processo di attuazione e un più ampio coinvolgimento delle Camere. Per approfondimenti si rinvia al box sottostante.

 

Il processo di attuazione dell’autonomia differenziata nelle precedenti legislature

 

Alla fine della XVII legislatura, il 28 febbraio 2018, il governo Gentiloni ha sottoscritto con le tre regioni (Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto) che avevano avviato il percorso per il riconoscimento delle forme di autonomia differenziata previste dall'articolo 116, terzo comma, della Costituzione (su cui cfr. l'apposito focus nella scheda di lettura dell’articolo 10), tre distinti accordi preliminari che hanno individuato i principi generali, la metodologia e un (primo) elenco di materie in vista della definizione dell'intesa.

 

Con l'inizio della XVIII legislatura (governo Conte I) tutte e tre le regioni con le quali erano state stipulate le c.d. pre-intese (28 febbraio 2018) hanno manifestato al Governo l'intenzione di «ampliare il novero delle materie da trasferire» (Camera dei deputati, Interrogazione a risposta immediata n. 3-00065, 11 luglio 2018). Nel frattempo, tutte le altre regioni, con l’eccezione dell’Abruzzo pur non avendo firmato alcuna pre-intesa con il Governo, hanno espresso la volontà di intraprendere un percorso per l'ottenimento di ulteriori forme di autonomia. Sono quindi riprese le trattative tra le tre regioni e i Ministeri interessati ratione materiae nell'ambito dell'attività di coordinamento in capo al Ministro pro tempore per gli affari regionali.

Nella seduta del Consiglio dei ministri del 21 dicembre 2018 è stata condivisa l'informativa svolta dal Ministro per gli affari regionali e le autonomie in merito al percorso di attuazione dell'autonomia differenziata richiesta dalle Regioni Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna. Nella successiva seduta del Consiglio dei ministri n. 44 del 14 febbraio 2019, il Ministro per gli Affari regionali "ha illustrato i contenuti delle intese. Il Consiglio dei ministri ne ha preso atto e condiviso lo spirito". I testi delle bozze di intese sono stati pubblicati sul sito del Dipartimento Affari regionali della Presidenza del Consiglio, in un testo concordato tra Governo e ciascuna delle tre regioni, limitatamente alla "parte generale", comune alle tre intese.

Nel corso del 2019 sulle richieste pervenute e sul percorso di definizione delle intese si è aperto un ampio dibattito. Le questioni oggetto di discussione hanno riguardato, tra le altre, le modalità del coinvolgimento degli enti locali, il ruolo del Parlamento e l'emendabilità in sede parlamentare del disegno di legge rinforzato che contiene le intese (in proposito, in particolare veniva discussa l'ipotesi, avanzata anche dal documento conclusivo dell'indagine conoscitiva svolta alla fine della XVII Legislatura dalla Commissione parlamentare per le questioni regionali, di una sostanziale inemendabilità del disegno di legge in quanto volto a recepire un'intesa, come avviene per i disegni di legge di recepimento di intese con confessioni religiose diverse dalla cattolica ai sensi dell'articolo 8 della Costituzione) nonché la definizione dell'ampiezza delle materie da attribuire. Altro oggetto di discussione se, dal punto di vista finanziario, il trasferimento delle competenze dovesse avvenire previa definizione dei costi standard e, nelle materie dove siano previsti, dei Livelli essenziali di prestazione (LEP) ovvero anche precedentemente alla loro definizione sulla base della spesa storica (soluzione ipotizzata dagli accordi preliminari del febbraio 2018). A questo proposito merita anche segnalare che la definizione dei LEP è stata successivamente inserita tra le riforme previste dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) con scadenza marzo 2026.

 

Successivamente, nell'ambito del governo Conte II, è prevalso l'orientamento a far precedere la stipula delle intese dall'approvazione di una legge-quadro che definisca le modalità di attuazione dell'articolo 116, terzo comma. A partire dalla nota di aggiornamento al DEF 2020 la "legge-quadro" è stata inserita tra i provvedimenti collegati alla manovra di bilancio.

In particolare, tali questioni sono state richiamate in occasione delle audizioni svolte dal ministro pro tempore per gli Affari regionali, Francesco Boccia, presso la Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale e presso la Commissione bicamerale per gli affari regionali, rispettivamente, il 13 novembre 2019 e il 30 settembre 2020.

 

Tale orientamento è stato poi confermato nell'ambito del governo Draghi, come segnalato nelle audizioni svolte dalla Ministra per gli Affari regionali e le autonomie, Mariastella Gelmini, presso la Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale il 26 maggio 2021 e presso la Commissione bicamerale per gli affari regionali il 13 luglio 2021 e dal vice Ministro dell'economia, Laura Castelli presso la Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale il 9 giugno 2021.

 

In particolare, la ministra Gelmini ha informato dell'istituzione di una apposita Commissione con compiti di studio, supporto e consulenza in materia di autonomia differenziata (istituita con d.m. 25 giugno 2021). In ordine allo stato dei lavori e ai tempi per la presentazione alle Camere del disegno di legge in materia di autonomia differenziata, nel corso del question time svolto nella seduta dello scorso 29 giugno 2022, è emerso che il lavoro della Commissione di studio ha fornito agli uffici del Ministero per gli affari regionali e le autonomie analisi e spunti utili a una prima definizione del testo del disegno di legge-quadro. Alla fine della Legislatura il testo del disegno di legge non è stato comunque presentato.

 

Parallelamente, per approfondire le questioni legate al percorso di attuazione del "regionalismo differenziato" la Commissione parlamentare per le questioni regionali ha svolto tra marzo 2019 e marzo 2021 un'indagine conoscitiva nell'ambito della quale sono stati ascoltati rappresentanti del Governo, rappresentanti degli enti territoriali nonché studiosi ed esperti della materia oggetto dell'indagine e approvato, all'unanimità, nella seduta del 12 luglio 2022 un documento conclusivo. Con particolare riferimento agli aspetti dell'autonomia finanziaria, la Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale ha svolto un ciclo di audizioni.

 

Tra le altre cose, il documento conclusivo della Commissione parlamentare per le questioni regionali, rileva che "risulta necessario dal punto di vista politico procedere all'approvazione di una legge-quadro che disciplini il procedimento di attuazione dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione [...] al tempo stesso, occorre comunque proseguire il negoziato in corso con Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto, in modo che esso trovi una definizione, per rispettare la volontà espressa dalle popolazioni di Lombardia e Veneto e dalle forze sociali, economiche e politiche dell'Emilia-Romagna. Dovranno poi essere previste - prosegue il documento - nell'ambito della legge-quadro e fermo restando il rispetto dell'autonomia regolamentare delle Camere, modalità adeguate di coinvolgimento del Parlamento nel processo di stipula delle intese. Questo coinvolgimento potrebbe essere innanzitutto garantito attraverso la trasmissione alle Camere degli schemi preliminari delle intese prima della loro firma definitiva per le conseguenti deliberazioni parlamentari, garantendo in questo quadro un ruolo significativo per la Commissione parlamentare per le questioni regionali"

Il documento rileva anche che "è necessario compiere uno sforzo per giungere alla completa definizione dei livelli essenziali delle prestazioni nelle materie concernenti l'esercizio dei diritti civili e sociali", segnalando che, nelle altre materie si può procedere a un immediato trasferimento di competenze. Inoltre, il documento propone che "per le materie LEP, la definizione di questi ultimi dovrebbe avvenire in tempi certi, ad esempio entro dodici mesi dall'entrata in vigore della legge-quadro". "Rimane da approfondire - prosegue il documento - quali possano essere le soluzioni alternative transitorie per consentire l'avvio del regionalismo differenziato in caso di ritardi nella predisposizione dei LEP. Si tratta di un tema complesso sul quale la Commissione non ritiene di esprimere un proprio indirizzo in questa fase. Esso però dovrà essere necessariamente affrontato nell'ambito dell'esame parlamentare della legge-quadro. Tra le ipotesi emerse nel corso dell'indagine vi è quella di procedere al trasferimento di funzioni anche nelle materie LEP, in attesa e in parallelo all'individuazione dei LEP, con invarianza di spesa storica, assumendo come riferimento i valori medi pro-capite della spesa statale per l'esercizio delle stesse funzioni. La priorità deve comunque essere assegnata ad una rapida definizione dei LEP.". A tal fine, il documento prospetta " in parallelo all'approvazione della legge quadro, a un'autonoma previsione legislativa di modifica dell'articolo 13 del decreto legislativo n. 68 del 2011, in modo da conferire una delega legislativa al Governo in materia, con termini ridotti e criteri ben definiti; la delega potrebbe consentire di coinvolgere il sistema delle autonomie territoriali nella fase di predisposizione degli schemi di decreto legislativo; inoltre la legge delega potrebbe prevedere il parere parlamentare da parte delle commissioni bicamerali per le questioni regionali e per il federalismo fiscale, oltre che da parte delle commissioni permanenti di Camera e Senato; si potrebbero anche prevedere informative periodiche alle medesime commissioni sullo stato di avanzamento della predisposizione dei LEP; la delega dovrebbe anche riguardare, una volta definiti i LEP, la predisposizione dei conseguenti fabbisogni e dei costi standard".

 

Con riferimento a tale ultimo aspetto, e più in generale agli aspetti finanziari connessi con l’attuazione del regionalismo differenziato, si segnala che la recente pubblicazione del Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato relativa alla spesa statale regionalizzata relativa all’anno 2020 (ottobre 2022) fornisce una ripartizione per regioni e province autonome della spesa statale che risulta regionalizzabile (circa 273,6 miliardi su 693,8 miliardi complessivi). Di questa spesa all’Emilia-Romagna sono destinati circa 16 miliardi (il 6 per cento del totale della spesa regionalizzabile) alla Lombardia sono destinati circa 34 miliardi (il 12,4 per cento), al Veneto circa 18 miliardi (il 6,5 per cento). In proposito, merita ricordare che gli esperti auditi dal gruppo di lavoro sul regionalismo differenziato istituito dal Dipartimento per gli affari regionali durante il governo Draghi hanno segnalato che il trasferimento del personale della scuola[4] coinvolgerebbe un volume di spesa di 4,6 miliardi per la Lombardia e di 2,3 miliardi per il Veneto. Il trasferimento di molte altre funzioni (come beni culturali, TPL, incentivi alle attività produttive, asili nido), invece, “apparirebbe facilmente affrontabile, stante la scarsa incidenza delle risorse necessarie sul bilancio statale e sui bilanci regionali” (relazione del gruppo di lavoro sul regionalismo differenziato, p. 16).

Più in generale, la Corte dei conti, nell’audizione del giugno 2021 di fronte al gruppo di lavoro istituito dal Dipartimento affari regionali durante il governo Draghi ha segnalato che “l’ipotesi di approvare una “legge-quadro” – che definisca, in via generale, i criteri e le modalità di attuazione dell’art. 116, terzo comma, Cost. – può rappresentare un passaggio necessario al fine di stabilire un quadro unitario per l’introduzione del regionalismo differenziato […] la “legge-quadro”, nel regolare il procedimento di formazione delle leggi aventi ad oggetto le intese, deve esprimere una disciplina generale che dovrebbe essere in grado di tracciare un percorso condiviso per le stesse intese e potrebbe anche fornire indicazioni utili a delimitare la possibile area di devoluzione delle materie”. La Corte dei conti ha anche ricordato che “la questione della realizzazione di livelli di autonomia differenziata non può essere presa in considerazione al di fuori del contesto attuativo del cd federalismo fiscale”; in materia “il decreto legislativo n. 68/2011 ha posto le basi per un modello di finanziamento che prevede la copertura integrale della differenza tra le entrate e le spese standardizzate per le funzioni fondamentali (sanità, assistenza e istruzione). I livelli essenziali delle prestazioni (LEP), cui corrispondono i fabbisogni standard necessari alla loro copertura, devono essere definiti dallo Stato e garantiti su tutto il territorio nazionale […] una condizione propedeutica per la completa ed effettiva realizzazione del federalismo fiscale è la definizione dei livelli di spesa appropriati distinguendo tra spese LEP (fondate sui fabbisogni standard) e spese non LEP (basate sulla capacità fiscale) […] Per realizzare la definizione dei LEP possono essere prese in considerazione le prassi delle regioni più virtuose, e quindi si potranno determinare i costi delle prestazioni inerenti.” La Corte dei conti osserva infine che “va in ogni caso considerato che l’ordinamento regionale è incardinato in un sistema che permane in parte accentrato il quale non prevede in questa fase – legata al primo avvio del “federalismo differenziato” – un ridisegno delle strutture amministrative centrali che tenga conto degli eventuali cambiamenti provocati dal trasferimento di funzioni in atto dalle stesse esercitate. L’attribuzione di ulteriori spazi di autonomia solo ad alcune regioni finirebbe per generare relazioni a loro volta “differenziate”, tra regioni e singoli ministeri e solo su specifici settori di intervento. È evidente che questo rende necessaria l’istituzione di nuove forme e modalità di coordinamento anche per le strutture statali che, senza la ridefinizione di un’adeguata cornice, “perderebbero” funzioni, spazi d’azione e risorse finanziarie in modo asimmetrico e disfunzionale”.

Il collegamento tra autonomia differenziata e completamento del federalismo fiscale è richiamato anche nell’audizione della Corte dei conti del 4 maggio 2022 di fronte alla Commissione parlamentare per il federalismo fiscale, laddove si segnala che “Nell’ultimo  decennio, tra gli  interventi  più  significativi  per  Regioni  ed  Enti  locali  vi  è certamente  l’introduzione della contabilità  armonizzata (d.lgs. n. 118/2011) e i relativi provvedimenti connessi al federalismo municipale (d.lgs. n. 23/2011), regionale e provinciale  (d.lgs. n. 68/2011), fino al cosiddetto federalismo demaniale (d.lgs. n. 85/2010). Un posto a parte viene ricoperto dalle disposizioni legate all’introduzione dei fabbisogni “standard” degli enti locali (d.lgs. n. 216/2010) e quelle sulla imposta municipale propria dei Comuni (d.l. n. 201/2011 e ss.). In ultimo, tralasciando le disposizioni riferite alla sola Capitale e quelle riguardanti le misure per favorire l’inclusione e la coesione sociale, vi sono i percorsi di autonomia differenziata avviati da alcune Regioni a statuto ordinario (legge n. 147/2013) che dovrebbero trovare attuazione - attraverso l’emanazione di una legge quadro, in grado di disciplinare in maniera omogenea le modalità per sviluppare le prerogative di autonomia ai sensi dell’art. 116, terzo comma, della Costituzione - sulla base delle istanze provenienti da alcune Regioni del Nord (Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna) ma di interesse anche per Regioni di altre aree geografiche.

 Il percorso di attuazione del federalismo fiscale è graduale sia nell’ammontare delle risorse perequate che nel processo di definizione dei fabbisogni standard e degli obiettivi di servizio, ma è necessario che venga completato per superare definitivamente il tradizionale criterio della spesa storica che genera inefficienza.”

Si segnala infine che il direttore generale delle Finanze, dott.ssa Lapecorella, nella sua audizione di fronte alla Commissione parlamentare per il federalismo fiscale ha rilevato che “L’avvio del processo attivazione del regionalismo differenziato implica la necessità di analizzare, innanzitutto, quali siano le materie e funzioni oggetto di devoluzione e, conseguentemente, quali possono essere le modalità di finanziamento delle stesse. Ciò comporta che non può prescindersi dalla valutazione della spesa attualmente sostenuta dalle Amministrazioni statali per le funzioni trasferite, dal momento che, a seguito del trasferimento delle stesse funzioni, occorre procedere ad una riduzione degli stanziamenti delle Amministrazioni interessate in misura corrispondente alle maggiori entrate riconosciute alle Regioni. […] Per quanto attiene alla determinazione delle spese si deve considerare che anche in tale ambito la mancata definizione dei LEP e dei relativi costi standard rappresenta un limite, dal momento che la loro quantificazione dovrà avvenire sulla base del costo storico. Va, ad ogni modo, precisato che gran parte delle materie per cui le Regioni hanno chiesto il trasferimento delle competenze generano una spesa aggiuntiva da finanziare a livello regionale di modesta entità: si tratta, infatti, di funzioni amministrative di carattere organizzativo che comportano il trasferimento di limitate risorse finanziare e umane. Più criticità genera, invece, la funzione dell’istruzione, con la previsione del definitivo passaggio del personale della scuola dai ruoli dello Stato a quelli delle Regioni ad autonomia differenziata.”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


Schede di lettura



Articolo 1
(Finalità)

 

 

L’articolo 1, comma 1, indica le finalità del disegno di legge, precisando come lo stesso sia volto a definire i principi generali per l’attribuzione alle Regioni a statuto ordinario di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, ai sensi dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione, nonché le relative modalità procedurali di approvazione delle intese tra lo Stato e le singole regioni previste dal medesimo terzo comma.

Il successivo comma 2 stabilisce che l’attribuzione di funzioni relative alle ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, con riguardo a materie o ambiti di materie riferibili ai diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, è consentita subordinatamente alla determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni di cui all’articolo 117, primo comma, lettera m), della Costituzione (LEP).

 

Più in particolare, il comma 1 dell’articolo 1 in commento stabilisce che la nuova legge - nel rispetto dei principi di unità giuridica ed economica, indivisibilità e autonomia e in attuazione del principio di decentramento amministrativo e per favorire la semplificazione delle procedure, l’accelerazione procedimentale, la sburocratizzazione, la distribuzione delle competenze che meglio si conformi ai principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza - definisce i principi generali per l’attribuzione alle Regioni a statuto ordinario di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia in attuazione dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione, nonché le relative modalità procedurali di approvazione delle intese fra lo Stato e una Regione.

Il successivo comma 2 prevede poi che l’attribuzione di funzioni relative alle ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia di cui all’articolo 116, terzo comma, della Costituzione, concernenti materie o ambiti di materie riferibili ai diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, è consentita subordinatamente alla determinazione, nella normativa vigente alla data di entrata in vigore della nuova legge o sulla base della procedura di cui all’articolo 3 della medesima, dei relativi livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione. La disposizione precisa in via ulteriore che tali livelli indicano la soglia costituzionalmente necessaria e costituiscono il nucleo invalicabile per rendere effettivi i predetti diritti e per erogare le prestazioni sociali di natura fondamentale, per assicurare uno svolgimento leale e trasparente dei rapporti finanziari fra lo Stato e le autonomie territoriali, nonché per favorire un’equa ed efficiente allocazione delle risorse e il pieno superamento dei divari territoriali nel godimento delle prestazioni inerenti ai diritti civili e sociali. 

 

La scelta di intervenire con legge al fine di definire i principi generali per l’attribuzione alle Regioni a statuto ordinario di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, pur in assenza di un’espressa previsione che autorizzi tale intervento nel terzo comma dell’articolo 116 della Costituzione, non sembra, in linea di principio, potersi ritenere preclusa al legislatore, ferma restando ovviamente l’esigenza di valutare in modo specifico la compatibilità con il quadro costituzionale delle singole disposizioni di volta in volta considerate. Infatti, se in numerosi casi (si vedano, a titolo esemplificativo gli articoli 75, 95, 97, 111 e 137 della Costituzione) l’intervento del legislatore al fine di dare attuazione a norme costituzionali trova il suo fondamento nell’esplicito rinvio alla legge contenuto nelle medesime, ciò però non esclude che, ove lo ritenga necessario o comunque utile, il legislatore possa intervenire a tal fine anche in assenza di una specifica ed espressa previsione costituzionale in tal senso. Depone a favore di una simile conclusione il carattere generale della funzione legislativa, che abilita il legislatore ad intervenire con legge su qualsiasi ambito materiale, fatta eccezione per quelli che disposizioni costituzionali in modo tassativo riservano ad altre fonti di rango primario, secondo un’impostazione che sembrerebbe conforme alle indicazioni desumibili dalla giurisprudenza costituzionale[5].

Tale impostazione parrebbe, peraltro, sottesa anche alle considerazioni contenute nell’analisi tecnico-normativa che accompagna il disegno di legge in commento, laddove si rileva che “l'intervento normativo proposto è specificamente volto a costruire percorsi costanti e organici attorno ai processi di accesso all'autonomia differenziata di cui alle citate disposizioni costituzionali dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione … in ogni caso attestandosi sui soli segmenti della complessa procedura esulanti dalla sfera di competenza riservata all'autonomia regolamentare del Parlamento ai sensi dell'articolo 64 della Costituzione”, fermo restando che quanto rilevato con riferimento all’autonomia regolamentare delle Camere garantita dagli articoli 64 e 72[6] della Costituzione vale per qualsiasi ambito materiale riservato dalla Costituzione o da norme di rango costituzionale ad atti normativi diversi dalla legge ordinaria[7]. Del resto è in coerenza con questa ricostruzione che i commi 1 e 5 dell’articolo 2 del disegno di legge stabiliscono che sia l’iniziativa relativa all’attribuzione delle ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, sia l’approvazione dello schema di intesa definitivo sono deliberate da ciascuna regione secondo le forme stabilite nell’ambito della propria autonomia statutaria, così da escludere l’applicabilità delle disposizioni del disegno di legge in esame anche nella sfera costituzionalmente riservata a quest’ultima. In proposito la sopra richiamata analisi tecnico normativa ribadisce, infatti, che in questo modo “è espressamente mantenuta salva, nei limiti di quanto vi competa secondo la Costituzione stessa, l'autonomia statutaria delle Regioni ai fini della definizione della posizione da rappresentare alla controparte dell'intesa, il Governo”.

Le considerazioni sopra esposte in ordine all’ammissibilità, in via generale, dell’intervento del legislatore per le finalità in questione parrebbero trovare ulteriore conferma anche in alcuni precedenti (si vedano, a titolo esemplificativo, la legge n. 219 del 1989, recante nuove norme in tema di reati ministeriali e di reati previsti dall'articolo 90 della Costituzione,  la legge n. 140 del 2003, recante disposizioni per l'attuazione dell'articolo 68 della Costituzione, e, limitatamente ad alcuni profili oggetto della medesima, la legge n. 131 del 2003, recante disposizioni per l'adeguamento dell'ordinamento della Repubblica alla riforma del titolo V della Parte seconda della Costituzione), con i quali sono state dettate con legge disposizioni di attuazione di norme costituzionali, pur in assenza di specifiche previsioni costituzionali che autorizzassero tali interventi o – è questo il caso della citata legge n. 131 del 2003 - che comunque autorizzassero tutte le misure con gli stessi adottate (si vedano in particolare gli articoli 9 e 11 della citata legge n. 131).

Per quanto attiene poi, in modo più specifico, al ricorso alla legge statale, ai fini in esame, vengono in rilievo molteplici profili attinenti alla competenza legislativa esclusiva dello Stato, investendo le disposizioni del disegno di legge in commento, tra l’altro, la disciplina dell’attività di organi costituzionali dello Stato (articolo 117, secondo comma, lettera f)), l’ordinamento e l’organizzazione amministrativa dello Stato (articolo 117, secondo comma, lettera g)), la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale (articolo 117, secondo comma, lettera m)[8]), le tematiche della perequazione delle risorse finanziarie (articolo 117, secondo comma, lettera e)), nonché l'organizzazione della giustizia di pace e le materie di cui alle lettere n) ed s) del secondo comma dell’articolo 117 (norme generali sull’istruzione e tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali) in quanto potenzialmente interessate dall’attribuzione di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia ai sensi del terzo comma dell’articolo 116. Per quanto concerne poi le materie di legislazione concorrente, anch’esse tutte potenzialmente interessate dall’attribuzione di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, l’intervento della legge dello Stato appare comunque giustificato alla luce delle competenze a quest’ultima riconosciute, pur nei limiti di cui al terzo comma dell’articolo 117 della Costituzione. Ugualmente rilevanti ai fini in esame devono inoltre ritenersi le competenze statali di cui all’articolo 119 della Costituzione[9].

Passando ad una valutazione d’insieme delle disposizioni del disegno di legge in commento, le stesse in parte risultano volte a organizzare l’esercizio di specifiche funzioni amministrative all’interno dell’apparato di governo nella fase di predisposizione ovvero in quella di attuazione delle intese (rientrando in tal modo anche nell’ambito di applicazione di alcune riserve di legge, quali in particolare quelle di cui all’articolo 97, secondo e terzo comma, e 95, terzo comma, della Costituzione), in parte rivestono carattere procedurale[10], in parte ancora sono volte a stabilire principi e limiti per la definizione del contenuto delle intese sulla base delle quali saranno adottate le leggi attributive di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, ai sensi del terzo comma dell’articolo 116 della Costituzione. Anche per quanto concerne quest’ultimo aspetto, resta fermo – in applicazione dei principi generali dell’ordinamento giuridico, con riferimento innanzitutto alle disposizioni dell’articolo 15 delle preleggi[11] - che le disposizioni della futura legge di attuazione potranno essere derogate dalle singole leggi adottate successivamente ai sensi del terzo comma del citato articolo 116 sulla base delle intese concluse con le singole regioni[12]. Tale circostanza non sembra peraltro escludere che anche le previsioni volte a definire i contenuti delle intese sulla base delle quali saranno adottate le leggi predette conservino comunque un’effettiva, seppur ridotta, portata giuridica sia sul piano della valenza che le stesse rivestono ai fini della disciplina dell’attività dei soggetti che, all’interno dell’apparato di governo, partecipano alla predisposizione delle intese, sia più in generale sul piano interpretativo. Da questo punto di vista le disposizioni del disegno di legge in esame volte a definire contenuti e limiti delle leggi adottate ai sensi del terzo comma dell’articolo 116 della Costituzione potrebbero ritenersi assimilabili ad altre norme rinvenibili nell’ordinamento ed aventi caratteristiche analoghe (si vedano ad esempio gli articoli 13-bis, 14 e 17 della legge n. 400 del 1988, recante disciplina dell'attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei ministri, e gli articoli 1, 2, 3 e 4 della legge n. 212 del 2000, recante disposizioni in materia di statuto dei diritti del contribuente). Nei casi da ultimo richiamati si è in presenza di norme disciplinanti i contenuti di leggi o atti aventi forza di legge che – in quanto adottate con legge ordinaria – possono essere derogate da leggi o atti aventi forza di legge successivi (cosa in concreto più volte avvenuta), dovendosi la loro portata giuridica ricostruire pertanto nei termini circoscritti sopra illustrati.

Restano ovviamente sottratti alle considerazioni da ultimo esposte i casi in cui la disposizione contenuta nella legge ordinaria deve intendersi riproduttiva di limiti e previsioni costituzionali, poiché in tali ipotesi la portata giuridica della disposizione discende direttamente dalla previsione costituzionale e non da quella, meramente riproduttiva, contenuta nella legge ordinaria.

 

Per quanto concerne, infine, la formulazione del comma 2 dell’articolo in commento, la stessa, nel ribadire in termini sostanziali quanto già disposto dal comma 791[13] dell’articolo 1 della legge n. 197 del 2022 (legge di bilancio 2023), fissa il principio generale sulla base del quale sono, nel dettaglio, costruite le previsioni dei successivi articoli 3 e 4 e correlativamente presuppone le disposizioni concernenti il procedimento per la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni di cui ai commi da 791 a 801 dell’articolo 1 della citata legge n. 197 del 2022. Il disposto del secondo periodo del comma 2 dell’articolo – per cui i LEP “indicano la soglia costituzionalmente necessaria e costituiscono il nucleo invalicabile per rendere effettivi tali diritti e per erogare le prestazioni sociali di natura fondamentale, per assicurare uno svolgimento leale e trasparente dei rapporti finanziari fra lo Stato e le autonomie territoriali e per favorire un’equa ed efficiente allocazione delle risorse e il pieno superamento dei divari territoriali nel godimento delle prestazioni inerenti ai diritti civili e sociali” – rappresenta poi la trasposizione a livello legislativo di elementi contenutistici e definitori elaborati dalla giurisprudenza costituzionale[14].

Come evidenziato nell’analisi tecnico-normativa che accompagna il disegno di legge in esame, per quanto attiene alle problematiche afferenti alla determinazione dei LEP, “il quadro normativo nazionale assunto a riferimento include la legge 5 maggio 2009, n. 42 ("Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell'articolo 119 della Costituzione"), e le relative disposizioni di attuazione delle numerose deleghe legislative ivi contenute, con particolare riferimento a quelle dei decreti legislativi 6 maggio 2011, n. 68 ("Disposizioni in materia di autonomia di entrata delle regioni a statuto ordinario e delle province, nonché di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard nel settore sanitario") e 31 maggio 2011, n. 88 ("Disposizioni in materia di risorse aggiuntive ed interventi speciali per la rimozione di squilibri economici e sociali, a norma dell'articolo 16 della legge 5 maggio 2009, n. 42")”. La richiamata analisi tecnico-normativa rileva in proposito che “… nella parte in cui conferma che l'apertura dei percorsi per la stipulazione delle intese presuppone la determinazione dei LEP nelle materie indicate dall'articolo 116, terzo comma, della Costituzione, secondo l' articolo 1, commi da 791 a 801, della legge 29 dicembre 2022, n. 197, e completa la citata disciplina, l'intervento normativo rende possibile un'alterazione degli atti già vigenti cui risulta affidata, in talune materie, la determinazione dei LEP”[15].

 

Si segnala infine che la relazione tecnica che accompagna il disegno di legge rileva che dall’articolo in commento non derivano nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.


Articolo 2
(Procedimento di approvazione delle intese fra Stato e Regione)

 

 

L’articolo 2 disciplina il procedimento di approvazione delle intese tra Stato e Regione.

 

Il comma 1 prevede che sia la Regione, sentiti gli enti locali e secondo le modalità e le forme stabilite nell’ambito della propria autonomia statutaria, a deliberare la richiesta di attribuzione di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, ai sensi dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione.

 

Questa previsione si pone in linea con la formulazione testuale della disposizione costituzionale citata, che per l’appunto identifica nella regione interessata l’unico soggetto titolato ad avviare il procedimento per il regionalismo differenziato, subordinatamente alla consultazione degli enti locali. Nell'ambito della propria autonomia statutaria e potestà legislativa, sarà poi la Regione stessa a individuare l'organo competente ad assumere l'iniziativa. Sulle modalità con le quali si è proceduto nei negoziati in corso con le regioni si rinvia al box nella scheda relativa all’articolo 10.

 

Tale richiesta è trasmessa al Presidente del Consiglio dei ministri e al Ministro per gli affari regionali e le autonomie, al quale compete di avviare il negoziato con la Regione interessata ai fini dell’approvazione dell’intesa. All’avvio del negoziato si procede dopo che sia stata acquisita la valutazione dei Ministri competenti per materia e del Ministro dell’economia e delle finanze, anche ai fini dell'individuazione delle necessarie risorse finanziarie da assegnare ai sensi dell'articolo 14 della legge n. 42 del 2009. Decorsi trenta giorni dalla richiesta, il negoziato viene comunque avviato.

 

L’articolo 14 della legge n. 42 del 2009 (recante delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell'articolo 119 della Costituzione) stabilisce infatti che, con la legge con cui si attribuiscono, ai sensi dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione, forme e condizioni particolari di autonomia a una o più regioni, si provvede altresì all'assegnazione delle necessarie risorse finanziarie, in conformità all'articolo 119 della Costituzione e ai princìpi dalla medesima legge enunciati.

 

Il comma 2 specifica che l'atto o gli atti d’iniziativa di ciascuna Regione possono riguardare una o più materie o ambiti di materie.

 

Il comma 3 dispone che spetti al Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro per gli affari regionali e le autonomie, di approvare lo schema di intesa preliminare negoziato tra Stato e Regione, il quale deve essere corredato da una relazione tecnica redatta ai sensi dell'articolo 17 della legge n. 196 del 2009, anche ai fini di cui all’articolo 8. Alla riunione del Consiglio dei ministri partecipa il Presidente della Giunta regionale interessata.

 

L’articolo 17 della legge n. 196 del 2009 (Legge di contabilità e finanza pubblica) stabilisce, al comma 3, che i disegni di legge, gli schemi di decreto legislativo, gli emendamenti di iniziativa governativa che comportino conseguenze finanziarie devono essere corredati di una relazione tecnica, predisposta dalle amministrazioni competenti e verificata dal Ministero dell'economia e delle finanze, sulla quantificazione delle entrate e degli oneri recati da ciascuna disposizione, nonché delle relative coperture, con la specificazione, per la spesa corrente e per le minori entrate, degli oneri annuali fino alla completa attuazione delle norme e, per le spese in conto capitale, della modulazione relativa agli anni compresi nel bilancio pluriennale e dell'onere complessivo in relazione agli obiettivi fisici previsti. Alla relazione tecnica deve essere allegato un prospetto riepilogativo degli effetti finanziari di ciascuna disposizione ai fini del saldo netto da finanziare del bilancio dello Stato, del saldo di cassa delle amministrazioni pubbliche e dell'indebitamento netto del conto consolidato delle pubbliche amministrazioni.

 

Il comma 4 prevede che tale schema di intesa preliminare venga immediatamente trasmesso alla Conferenza unificata per l’espressione del parere, da rendersi entro trenta giorni dalla data di trasmissione.

 

L’articolo 8 del decreto legislativo n. 281 del 1997 definisce la Conferenza unificata come unificazione della Conferenza Stato-città e autonomie locali e della Conferenza Stato-regioni che si riunisce, su convocazione del Presidente del Consiglio, per le materie di interesse comune delle regioni, delle province, dei comuni e delle comunità montane. La Conferenza è presieduta dal Presidente del Consiglio o, su sua delega, dal Ministro per gli affari regionali o, se l’incarico non è conferito, dal Ministro dell’interno.

 

Dopo che la Conferenza unificata abbia reso il parere e comunque una volta decorso il relativo termine, lo schema di intesa preliminare è immediatamente trasmesso alle Camere per l’esame “da parte dei competenti organi parlamentari”. Questi ultimi si esprimono al riguardo “con atti di indirizzo”, secondo i rispettivi regolamenti, entro sessanta giorni dalla data di trasmissione dello schema di intesa preliminare, udito il Presidente della Giunta regionale interessata.

In proposito, si ricorda che la formulazione prevalente, quando si voglia disporre da parte di una legge il parere su uno schema di atto del Governo da parte delle commissioni parlamentari, è quella che prevede la trasmissione dello schema alle Camere “ai fini dell’espressione del parere da parte delle Commissioni parlamentari competenti per materia” (in alcuni casi con l’aggiunta: “e per i profili finanziari”; si veda ad esempio, da ultimo, l’articolo 1, comma 4, della legge n 78 del 2022 concernente la delega al Governo in materia di contratti pubblici). Altre disposizioni legislative prevedono formulazioni diverse: ad esempio, la legge n. 196 del 2009 prevede che il Documento di economia e finanza (DEF) sia presentato alle Camere “entro il 10 aprile di ogni anno, per le conseguenti deliberazioni parlamentari” (articolo 7, comma 2, lettera a); la legge n. 234 del 2012 prevede che “prima dello svolgimento delle riunioni del Consiglio europeo, il Governo illustra alle Camere la posizione che intende assumere, la quale tiene conto degli eventuali indirizzi dalle stesse formulati” (articolo 4, comma 1); la legge n. 145 del 2016 prevede che le deliberazioni del Governo sulla partecipazione dell’Italia a missioni internazionali siano “trasmesse dal Governo alle Camere che tempestivamente le discutono e, con appositi atti di indirizzo, secondo le norme dei rispettivi regolamenti, autorizzano per  ciascun  anno  la  partecipazione  dell'Italia   alle   missioni internazionali,  eventualmente  definendo  impegni  per  il  Governo, ovvero ne negano l'autorizzazione” (articolo 2, comma 2). Sulla base di queste previsioni legislative sono state poste in essere procedure parlamentari che vedono, in base ai casi e ai precedenti citati,  una fase di esame da parte delle commissioni parlamentari seguito da una discussione in Assemblea che si conclude con l’approvazione di atti di indirizzo (per il DEF e per le deliberazioni sulle missioni internazionali) ovvero la sola discussione in Assemblea che, sulla base di quanto avvenuto negli altri casi citati, si conclude l’approvazione di atti di indirizzo (per le comunicazioni del Governo in vista delle riunioni del Consiglio europeo).

La formulazione adottata appare quindi mista, facendo riferimento sia all’“esame da parte degli organi parlamentari” (il che potrebbe prefigurare un esame da parte delle sole commissioni parlamentari da concludere con l’approvazione di un parere) sia ad “atti di indirizzo” (il che potrebbe invece prefigurare l’adozione di atti di indirizzo da parte delle Assemblee).

 

Al riguardo, si valuti l’opportunità di un approfondimento.

 

Il comma 5 stabilisce che, valutato il parere della Conferenza unificata e sulla base degli atti di indirizzo resi dai competenti organi parlamentari – e, in ogni caso, decorsi sessanta giorni –, il Presidente del Consiglio dei ministri o il Ministro per gli affari regionali e le autonomie predispongano lo schema di intesa definitivo, eventualmente al termine di un ulteriore negoziato con la Regione interessata, ove necessario.

L’analisi tecnico normativa sottolinea, a tale riguardo, che “la norma prefigura, a sostegno della sostanza delle indicazioni provenienti da parte parlamentare, una riapertura, a cura del Governo, del negoziato con la Regione interessata, prima della deliberazione definitiva del Consiglio dei ministri e sottoscrizione del Presidente del Consiglio dei ministri e del Presidente della Giunta regionale”.

 

Al riguardo, si valuti però l’opportunità di specificare nel testo della disposizione se l’eventuale ulteriore negoziato avrà ad oggetto unicamente gli aspetti oggetto di rilievi formulati nel corso dell’esame da parte delle Camere e della Conferenza unificata o potrà coinvolgere anche ulteriori aspetti. In tale secondo caso, si valuti l’opportunità di prevedere una nuova trasmissione dell’intesa alle Camere.

 

Tale schema è trasmesso alla Regione interessata, che lo approva secondo le modalità e le forme stabilite nell’ambito della propria autonomia statutaria, assicurando la consultazione degli enti locali.

Quest’ultimo riferimento, riferisce la relazione illustrativa, è stato inserito nel testo del disegno di legge sulla scorta del parere reso dalla Conferenza unificata in data 2 marzo 2023, a seguito del quale sono state accolte alcune osservazioni formulate da ANCI e UPI volte nel complesso ad assicurare un ulteriore ruolo e coinvolgimento degli enti locali.

 

Al riguardo, si valuti l’opportunità di specificare le conseguenze sul procedimento di eventuali rilievi formulati dagli enti locali della Regione in questa fase.

 

Entro trenta giorni dalla comunicazione dell’approvazione da parte della Regione, il Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro per gli affari regionali e le autonomie, delibera lo schema di intesa definitivo e la relazione tecnica redatta ai sensi dell'articolo 17 della legge n. 196 del 2009, anche ai fini del rispetto dell’articolo 8, comma 1.

 

Il comma 6 dispone che, insieme allo schema di intesa definitivo, e sempre su proposta del Ministro per gli affari regionali e le autonomie, il Consiglio dei Ministri delibera un disegno di legge di approvazione dell’intesa, della quale quest’ultima costituisce un allegato. Alla seduta del Consiglio dei Ministri per l’esame dello schema di disegno di legge e dello schema di intesa definitivo partecipa il Presidente della Giunta regionale.

 

Il comma 7 prevede che, dopo essere stata approvata dal Consiglio dei ministri, l’intesa definitiva è immediatamente sottoscritta dal Presidente del Consiglio dei ministri e dal Presidente della Giunta regionale.

 

Il comma 8 stabilisce che il disegno di legge di approvazione dell’intesa e la medesima intesa allegata sono immediatamente trasmessi alle Camere per la deliberazione, ai sensi dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione, il quale configura quella in questione come un a legge rinforzata, prescrivendo che ciascuna Camera la approvi a maggioranza assoluta dei rispettivi componenti.

 

In virtù di quanto previsto dall’articolo 116, terzo comma, della Costituzione, tale legge è approvata «sulla base di intese fra lo Stato e la regione interessata». Gli ampi margini interpretativi che questa formulazione presenta consentono di escludere soltanto che il disegno di legge possa prescindere dalla sottoscrizione delle intese, mentre hanno determinato incertezze sulla possibilità o meno per il Parlamento di modificare la legge di approvazione dell’intesa.

In una prima fase, alcuni hanno ritenuto che la disposizione citata debba essere interpretata nel senso che alla legge spetti il mero recepimento dei contenuti dell'intesa. Si tratta, in particolare, di un orientamento che è stato recepito dagli accordi preliminari sottoscritti tra il Governo e le Regioni Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto il 28 febbraio 2018, i quali operano un espresso richiamo alla procedura di approvazione della legge di disciplina dei rapporti fra lo Stato e le confessioni religiose acattoliche che, ai sensi dell'articolo 8 della Costituzione, deve avvenire, per l’appunto, «sulla base di intese», le quali non possono essere emendate dal Parlamento. Anche il documento conclusivo dell'indagine conoscitiva «sull'attuazione dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione, con particolare riferimento alle recenti iniziative delle Regioni Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna», condotta dalla Commissione parlamentare per le questioni regionali nella XVII legislatura e approvato all'unanimità nella seduta del 6 febbraio 2018, nel dar conto dei contributi della dottrina forniti in quella procedura informativa, aveva inquadrato la legge attributiva della maggiore autonomia come «legge in senso formale, vincolata all'intesa precedentemente raggiunta tra Governo e Regione».

Successivamente le posizioni sono divenute maggiormente articolate, come dimostra il documento conclusivo dell’indagine conoscitiva svolta nella XVIII legislatura dalla Commissione parlamentare per le questioni regionali, documento approvato all’unanimità nella seduta del 12 luglio 2022. Si riporta qui di seguito una breve ricostruzione delle posizioni emerse in quella sede, ricordando che esse sono state espresse in una fase in cui non si era ancora in presenza del disegno di legge in esame che prevede l’intervento degli atti di indirizzo delle Camere sugli schemi di intese Stato-Regioni.

Nel ricostruire le posizioni emerse tra gli esperti auditi nel corso dell’indagine, il documento ricorda che:

“Anche la dottrina tende a riconoscere che si tratta di una legge di approvazione. Ad avviso del prof. CELOTTO, la legge in esame presenta le caratteristiche tipiche delle leggi di approvazione, che «sono quelle leggi che si basano su un testo che nasce fuori dal Parlamento e che arriva in Parlamento ai fini del controllo» (come nel caso delle leggi di approvazione delle intese con le confessioni religione non cattoliche, dei patti Lateranensi, degli statuti speciali e ordinari, del bilancio, dei trattati internazionali). Al contempo gli esperti del settore, in modo quasi unanime, ritengono irrinunciabile che sia garantito un ampio coinvolgimento del Parlamento nel processo di attuazione della norma costituzionale, che non sia limitato all'approvazione del disegno di legge. Il prof. GIUFFRÈ evidenzia che la maggiore autonomia ex articolo 116, terzo comma, «va a incidere sulla forma di Stato [...] incrociando princìpi fondamentali dell'ordinamento repubblicano (unità e indivisibilità della Repubblica)». A suo avviso, «il Parlamento – che rappresenta la comunità nazionale nel suo complesso e il luogo in cui si devono realizzare le mediazioni, che consentono poi la solidarietà» – non può essere pertanto «uno spettatore passivo», chiamato soltanto a ratificare le intese. In proposito, rammenta il ruolo centrale svolto dal Parlamento in sede di approvazione degli statuti ordinari a partire dal 1971. Peraltro riconoscere al Parlamento la facoltà di modificare i contenuti del disegno di legge anche per le parti di mero recepimento dell'intesa non comporta necessariamente un disallineamento tra i contenuti del disegno di legge e l'intesa, potendo quest'ultima essere a sua volta modificata, dai firmatari della stessa, al fine di recepire gli emendamenti al disegno di legge, prima della sua approvazione definitiva. Al riguardo, il prof. GIUFFRÈ ritiene che la valorizzazione del Parlamento, se non riconosciuta da una legge ordinaria di attuazione della norma costituzionale, potrebbe essere assicurata attraverso il potere emendativo, in sede referente, del disegno di legge in cui viene trasfusa l'intesa e la previsione che sulle eventuali proposte di modifica si avvii un nuovo negoziato tra il Governo e la regione interessata. Nelle more, l'esame del provvedimento, per le parti non emendate, potrebbe comunque proseguire in Aula. Il prof. CARAVITA rammenta in proposito che «tutti i processi di trasferimento sia della funzione legislativa, sia delle funzioni amministrative» dallo Stato alle regioni hanno visto un fondamentale passaggio parlamentare, che ritiene irrinunciabile anche con riguardo all'attuazione dell'articolo 116, terzo comma. Nello specifico, evoca il contributo sostanziale del Parlamento, in sede di esame dei disegni di legge di approvazione degli statuti [delle regioni a statuto ordinario nel 1971 ndr] ricordando che le modifiche suggerite dalle Commissioni di merito agli statuti erano state recepite dai Consigli regionali interessati. Anche con riguardo alle altre grandi operazioni di trasferimento, si intervenne con decreti legislativi delegati (quelli del 1972, del 1977 e del 1998), sulla base di una legge delega a monte e, di un importante passaggio in sede di Commissioni parlamentari sugli schemi di decreto, a valle. Alla medesima procedura di approvazione degli statuti regionali fa riferimento anche il prof. BERTOLISSI. A suo avviso quell'esperienza conferma come il Parlamento possa svolgere un ruolo chiave anche in sede di esame di una legge meramente formale. Al riguardo, ricorda che la legge di approvazione degli statuti era una legge formale, e pertanto non emendabile da parte del Parlamento, in modo analogo alla procedura di approvazione dell'articolo 116, terzo comma. Ciò nonostante, il contributo del Parlamento (ed in particolare della Commissione affari costituzionali del Senato) fu estremante rilevante, poiché i Consigli regionali (anche al fine di evitare il rischio della reiezione dello statuto) recepirono le modifiche richieste informalmente dalle Commissioni. Tale precedente dimostra a suo giudizio l'infondatezza delle preoccupazioni di coloro che paventano il rischio di una marginalità del Parlamento nel processo di attuazione del regionalismo asimmetrico qualora si riconosca il carattere formale della relativa legge (con conseguente esclusione del potere emendativo). Peraltro, la previsione di una maggioranza qualificata è di per sé idonea a rafforzare la posizione delle Camere rispetto a quanto previsto nel caso della legge ordinaria ex articolo 8 della Costituzione. La centralità del Parlamento implica una capacità di incidere sul contenuto dell'intesa, anche a prescindere dalle specifiche modalità con cui tale apporto può essere assicurato (prof. MARAZZITA). Un siffatto contributo, osserva, potrebbe essere assicurato anche attraverso l'espressione di un atto di indirizzo sullo schema di intesa, sì da condurre ad una modifica dello stesso ancor prima della sottoscrizione definitiva. Senza entrare nel dibattito sull'emendabilità dell'intesa, afferma che un'interpretazione sistematica dell'articolo 116, terzo comma, (così come di qualsiasi altra disposizione costituzionale) non può prescindere dal dato testuale. Occorre cioè che si misuri con «l'interpretazione letterale [della norma che] ci offre il ventaglio di significati, all'interno dei quali l'interpretazione sistematica ci consente di scegliere, ma non ci consente [..] un'interpretazione che nella lettera non c'è». L'analogia con l'articolo 8 della Costituzione, difficilmente contestabile, potrebbe a suo avviso tuttavia «funzionare al contrario», nel senso che non si può disconoscere, neanche in quel caso, che il Parlamento possa intervenire sui contenuti di quell'intesa, anche in modo formale. ??A fronte di questa prima ipotesi, che vede quindi la legge di recepimento dell'intesa come legge formale «di approvazione» e sposta semmai il contributo del Parlamento ad una fase antecedente, attraverso il parere degli schemi dell'intesa, vi è però anche chi ha sostenuto che al Parlamento spetti la facoltà di emendare (il disegno di legge che recepisce) l'intesa, sostenendo che la procedura non sia assimilabile a quella delineata dall'articolo 8 della Costituzione, con riferimento all'intesa fra lo Stato e le confessioni religiose diverse da quella cattolica. ??Secondo parte della dottrina, infatti, non ci si può limitare ad un'interpretazione letterale dell'articolo 116 della Costituzione. In proposito, il prof. CARAVITA invita a superare l'espressione testuale «sulla base delle intese», procedendo ad un'interpretazione sistematica, tenuto conto che la Carta costituzionale richiama il principio di rispetto dell'unità, differenzia il regionalismo asimmetrico dal regionalismo speciale e, più in generale, rende necessario che «la distribuzione e lo spostamento di funzioni avvengano attraverso un dialogo, da una parte, con la rappresentanza politica [..] e, dall'altra, con il sistema degli enti locali». ?Richiamandosi all'ordinanza della Corte costituzionale n. 17 del 2019, che ha riconosciuto la facoltà da parte dei singoli parlamentari di sollevare conflitto di attribuzione, avverte che un'eventuale decisione di limitare il potere emendativo sulla legge di approvazione dell'intesa potrebbe condurre ad un'impugnativa costituzionale. Va peraltro tenuto conto della differenza fra le parti coinvolte nelle intese ai sensi dell'articolo 116, terzo comma, e nelle intese di cui all'articolo 8 della Costituzione. Il prof. CELOTTO, senza prospettare invero una soluzione definitiva in ordine al potere del Parlamento di incidere sul contenuto dell'intesa, invita la Commissione a tener conto che, nel caso dell'approvazione di un'intesa ai sensi dell'articolo 8 della Costituzione, il Parlamento si rapporta con un soggetto appartenente allo Stato-comunità e per questo si comprende che la legge di approvazione possa avere spazi circoscritti. Nel caso delle intese ex articolo 116, terzo comma, rileva che «essendo le regioni all'interno dello Stato-persona, invece, si può pensare che il Parlamento nazionale abbia un'interlocuzione maggiore [..] un potere di interazione anche sulla legge d'intesa, sui singoli punti», peraltro in analogia con quanto è accaduto con riferimento alla legge di conversione dei decreti-legge, anche in quel caso atti esterni al Parlamento, ma su cui il Parlamento incide mediante la propria potestà emendativa.”


Articolo 3
(Determinazione dei LEP ai fini dell’attuazione dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione)

 

 

L’articolo 3, integrando la procedura delineata dalla legge di bilancio 2023, stabilisce alcuni passaggi procedurali per la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni (LEP) e dei relativi costi e fabbisogni standard ai fini dell’attuazione dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione in materia di autonomia differenziata. Si prevede, in particolare, la trasmissione di ciascuno schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri recante la determinazione dei LEP alle Camere, per l’espressione del parere entro quarantacinque giorni.

 

Il comma 1 dell’articolo in esame stabilisce, in particolare, che, ai fini dell’attuazione dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione – il quale delinea le coordinate fondamentali della procedura per l’accesso delle Regioni ordinarie a ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, concernenti le materie di legislazione concorrente e alcune materie attribuite alla potestà legislativa esclusiva dello Stato – i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale (LEP) e i relativi costi e fabbisogni standard sono determinati con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, secondo le disposizioni di cui all’articolo 1, commi da 791 a 801, della legge 29 dicembre 2022, n. 197 (legge di bilancio 2023), nelle materie o negli ambiti di materie indicati con legge.

 

La Relazione illustrativa precisa, al riguardo, che con riferimento alla definizione dei LEP in materia di salute, resta fermo il quadro normativo relativo ai livelli essenziali di assistenza (LEA), già disciplinati dal d. lgs. n. 502 del 1992, nonché dal D.P.C.M. 12 gennaio 2017, così come restano ferme le procedure di aggiornamento dei LEA disciplinate dall’articolo 1, commi 554 e seguenti, della legge n. 208 del 2015 (legge di stabilità 2016), nonché il sistema di monitoraggio vigente nel settore sanitario.

 

Integrando il procedimento definito dai richiamati commi della legge di bilancio 2023, l’articolo in esame, al comma 2, stabilisce che, dopo l’acquisizione dell’intesa della Conferenza unificata sui richiamati schemi di D.P.C.M. di determinazione dei LEP (art. 1, comma 796, legge n. 197 del 2022), e comunque decorso il termine di trenta giorni per tale acquisizione, ciascuno schema di decreto è trasmesso alle Camere per l’espressione del parere.

Il parere deve essere reso entro quarantacinque giorni dalla data di trasmissione dello schema di decreto.

Il Presidente del Consiglio dei ministri – il quale presiede la Cabina di regia per la determinazione dei LEP, su cui v. infravalutato il contenuto dell’intesa della Conferenza unificata e del parere delle Camere, e comunque una volta decorso il predetto termine di quarantacinque giorni per l’espressione del parere dei due rami del Parlamento, adotta il D.P.C.M., previa deliberazione del Consiglio dei ministri.

Il comma 2 appare finalizzato a prevedere un coinvolgimento delle Camere nel procedimento di adozione dei D.P.C.M. attraverso i quali si dovrà procedere alla determinazione dei LEP nelle materie di cui all’art. 116, comma 3, Cost., laddove invece tale coinvolgimento non era contemplato dai commi 791-801 della legge di bilancio 2023 (su cui v. infra).

Quanto all’incidenza del parere delle Camere sul contenuto dei D.P.C.M. di determinazione dei LEP, la norma in esame prevede una “valutazione” del contenuto di tale parere – e dell’intesa della Conferenza unificata – da parte del Presidente del Consiglio dei ministri.

Il comma 3 prevede, infine, che qualora, successivamente alla data di entrata in vigore della legge di approvazione dell’intesa tra lo Stato e la singola Regione, in materie oggetto della medesima, i LEP, con il relativo finanziamento, siano modificati o ne siano determinati ulteriori, la Regione e gli enti locali interessati sono tenuti all’osservanza di tali livelli essenziali subordinatamente alla corrispondente revisione delle risorse relative ai suddetti LEP, secondo le modalità stabilite dal successivo articolo 5 del disegno di legge in esame.

 

Al riguardo, la Relazione illustrativa precisa che il riferimento agli enti locali nella norma di cui al comma 3 è stato inserito in accoglimento di proposte contenute nel parere espresso dalla Conferenza unificata sul disegno di legge in esame, nella seduta del 2 marzo 2023.

 

Al fine di meglio inquadrare l’articolo 3, si riporta di seguito, anzitutto, un approfondimento sulla disciplina dei LEP nel quadro costituzionale, legislativo e amministrativo italiano, con riguardo anche al tema della connessione della determinazione dei LEP e dei costi e fabbisogni standard con il processo di attuazione del cd. “federalismo fiscale”, nonché al tema del rilievo del processo di definizione dei LEP nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza.

Segue, subito dopo, una sintetica ricostruzione della procedura delineata dai commi 791-801 della legge di bilancio 2023 per la determinazione dei LEP ai fini dell’attuazione dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione, al fine di chiarire in quale segmento della suddetta procedura si innesta quanto previsto dall’articolo 3 in esame.

 

 

I livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali

 

I livelli essenziali delle prestazioni (LEP) costituiscono il nucleo di prestazioni da erogare in modo uniforme sul territorio nazionale al fine di garantire la tutela dei diritti civili e sociali. Tale esigenza di uniformità ha indotto, in sede di riforma del Titolo V della Costituzione nel 2001, ad attribuire espressamente la potestà legislativa relativamente alla loro definizione alla competenza esclusiva dello Stato (art. 117, comma 2, lettera m) Cost.).

La giurisprudenza costituzionale ha chiarito (v., recentemente, la sentenza n. 220 del 2021) che i LEP indicano la soglia di spesa costituzionalmente necessaria per erogare le prestazioni sociali di natura fondamentale, nonché il nucleo invalicabile di garanzie minime per rendere effettivi tali diritti (nello stesso senso anche le sentenze n. 142 del 2021 e n. 62 del 2020).

L’art. 20, comma 2, della legge n. 42 del 2009 (Delega al Governo in materia di federalismo fiscale) ha demandato alla legge statale la determinazione dei LEP. Fino a tale nuova determinazione, si sarebbero considerati i LEP già fissati in base alla legislazione statale.

L’art. 13 del d. lgs. n. 68 del 2011 (Disposizioni in materia di autonomia di entrata delle regioni a statuto ordinario e delle province, nonché di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard nel settore sanitario) ha delineato, inoltre, un procedimento per la definizione, il finanziamento e l’attuazione dei LEP, basato sulle seguenti fasi:

 

§  indicazione, da parte della legge statale, delle modalità di determinazione dei LEP da garantirsi su tutto il territorio nazionale e contestuale determinazione delle macroaree di intervento, ciascuna delle quali omogenea per tipologia di servizi offerti, indipendentemente dal livello di governo erogatore;

§  determinazione, per ciascuna macroarea di intervento, dei costi e dei fabbisogni standard, nonché delle metodologie di monitoraggio e valutazione dell’efficienza e appropriatezza dei servizi offerti;

§  proposizione da parte del Governo, nell’ambito del disegno di legge di stabilità (oggi confluito nella legge di bilancio) o con apposito disegno di legge collegato alla manovra di finanza pubblica, previo parere della Conferenza unificata, di norme volte a realizzare l’obiettivo della convergenza verso i LEP dei costi e fabbisogni standard dei livelli di governo, nonché degli obiettivi di servizio;

§  ricognizione con DPCM, d’intesa con la Conferenza unificata e previo parere delle Commissioni di Camera e Senato competenti per i profili di carattere finanziario, dei LEP nelle materie dell’assistenza, dell’istruzione e del trasporto pubblico locale, con riferimento alla spesa in conto capitale, nonché la ricognizione dei livelli adeguati del servizio di trasporto pubblico locale.

 

Numerose norme statali hanno provveduto, nel tempo, all’individuazione dei LEP nelle materie di competenza concorrente e in quelle di competenza esclusiva che potrebbero rientrare nelle intese Stato-Regione per l’attuazione dell’autonomia differenziata. Alcune di queste norme sono state adottate anche al di fuori dell’iter di cui all’art. 13 del d. lgs. n. 68 del 2011. Si possono distinguere, a tal riguardo:

 

§  Norme che hanno determinato direttamente i LEP, senza necessità di ulteriori interventi attuativi da parte di fonti normative. Si tratta spesso di norme di carattere procedimentale, quali, ad esempio, quelle individuate dall’art. 29, commi 2-bis e 2-ter della legge n. 241 del 1990 – introdotti dall’art. 10 della legge n. 69 del 2009 – in materia di obblighi della pubblica amministrazione relativamente ad alcuni istituti e diritti dei soggetti interessati nell’ambito del procedimento amministrativo;

§  Norme che hanno rinviato ad altre fonti, in particolare a decreti legislativi, a DPCM o a decreti ministeriali. In linea generale, si ricorre ai decreti legislativi quando si intende conferire valore di norma di rango primario a LEP la cui definizione non richiede disposizioni di carattere eccessivamente tecnico; è il caso, ad esempio, dei LEP in materia di istruzione e di istruzione e formazione professionale (individuati con i d. lgs. n. 59 del 2004, nn. 76 e 77 del 2005, n. 226 del 2005), o del reddito di inclusione (ReI), introdotto come LEP da garantire uniformemente su tutto il territorio nazionale dal d. lgs. n. 147 del 2017, in attuazione della delega di cui alla legge n. 33 del 2017. Il ricorso alla fonte secondaria prevale, invece, quando occorre procedere a un’individuazione dettagliata e puntuale delle prestazioni da erogare. È il caso, ad esempio, dei livelli essenziali di assistenza (LEA) in materia sanitaria, individuati dal DPCM 29 novembre 2001, aggiornato, da ultimo, con DPCM 12 gennaio 2017;

§  Norme che hanno previsto prestazioni non espressamente configurate dal legislatore come LEP, ma individuate ex post come tali in sede interpretativa. Si tratta, ad esempio, del caso dei criteri di assegnazione delle case popolari, definite dalla Corte costituzionale come LEP nella sentenza n. 121 del 2010.

 

Più recentemente, l’art. 1, comma 159, della legge n. 234 del 2021 (legge di bilancio 2022) ha fornito una definizione dei livelli essenziali delle prestazioni sociali (LEPS) – sottoinsieme della più ampia categoria dei LEP, analogamente ai menzionati LEA – come gli interventi, i servizi, le attività e le prestazioni integrate che la Repubblica assicura con carattere di universalità su tutto il territorio nazionale per garantire qualità della vita, pari opportunità, non discriminazione, prevenzione, eliminazione o riduzione delle condizioni di svantaggio e di vulnerabilità. Il successivo comma 160 ha previsto che, al fine di garantire la programmazione, il coordinamento e la realizzazione dell’offerta integrata dei LEPS sul territorio, nonché di concorrere all’attuazione degli interventi previsti dal PNRR nell’ambito delle politiche per l’inclusione e la coesione sociale, i LEPS sono realizzati dagli ambiti territoriali sociali (ATS) di cui all’art. 8, comma 3, lettera a) della legge n. 328 del 2000 (legge non attuata che all’art. 22 definiva le aree delle prestazioni sociali che costituiscono LEP).

I successivi commi 167 e 169 della legge di bilancio 2022 hanno stabilito, infine, che rispettivamente con DPCM e con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali siano, nel primo caso, determinate le modalità attuative dei LEPS per le persone anziane non autosufficienti e, nel secondo caso, definiti i LEPS negli altri ambiti del sociale individuati dall’art. 22 della legge n. 328 del 2000.

 

Determinazione dei LEP, attuazione del federalismo fiscale, definizione dei fabbisogni e costi standard

 

Uno dei principali fattori di criticità riscontrati nel percorso attuativo della legge n. 42 del 2009 sul federalismo fiscale è consistito proprio nell’assenza di una precisa individuazione dei LEP. In proposito, si è osservato che la determinazione dei LEP richiede un’assunzione di responsabilità politica circa gli effetti prodotti sugli equilibri di bilancio, anche per quanto concerne l’individuazione degli obiettivi e degli ambiti di riduzione delle risorse impiegate, a parità di obiettivo.

La Corte costituzionale, nella sentenza n. 220 del 2021, ha richiamato il legislatore a superare il perdurante ritardo nella definizione dei LEP, che rappresentano un elemento imprescindibile dei rapporti finanziari tra lo Stato e le autonomie territoriali.

A regime, in attuazione della legge delega sul federalismo fiscale n. 42 del 2009, la spesa relativa ai LEP dovrà essere finanziata integralmente mediante compartecipazione all’IVA (art. 15 d. lgs. n. 68 del 2011) e, in caso di insufficienza del gettito tributario, attraverso l’attribuzione agli enti locali di quote di risorse perequative finanziate dalla fiscalità generale, dedicate alla perequazione integrale delle funzioni fondamentali dei Comuni.

Come stabilito dalla legge n. 42 del 2009, vi è un rapporto diretto tra il processo di definizione e finanziamento dei LEP e la determinazione dei fabbisogni e dei costi standard da riconoscere agli enti territoriali – vale a dire, l’ammontare di risorse necessarie all’erogazione delle prestazioni e i relativi costi. Attraverso la loro definizione, infatti, è possibile individuare l’impatto sulla finanza regionale derivante dall’erogazione dei LEP che siano già stati individuati; si accerta l’adeguatezza delle risorse a disposizione delle Regioni per il finanziamento dei LEP; si consente una integrazione di tali risorse, ove insufficienti, mediante il fondo perequativo statale; è possibile operare successive integrazioni delle stesse prestazioni da includere nel novero dei LEP.

In assenza di un’opera organica di determinazione dei LEP, tuttavia, la definizione dei fabbisogni standard si è finora basata sostanzialmente sui livelli storici di copertura dei servizi, sebbene, per alcune funzioni, il livello storico non sempre risulti coerente con la tutela dei diritti civili e sociali. L’attività di definizione dei fabbisogni e dei costi standard è finalizzata, infatti, a superare il più semplice criterio della spesa storica, che riflettendo, inevitabilmente, i preesistenti squilibri tra le diverse Regioni, può rivelarsi meno equo in un’ottica di garanzia uniforme dei diritti civili e sociali.

Allo stato attuale – come è stato recentemente sottolineato dalla Commissione tecnica sui fabbisogni standard – i fabbisogni standard nelle materie diverse da quella sanitaria non sono stati ancora delineati, in ragione, soprattutto, delle notevoli difficoltà tecniche e pratiche legate all’attività di raccolta e analisi delle informazioni sulle prestazioni erogate e sulle spese sostenute nelle varie Regioni, oltre alla circostanza che l’attuazione del federalismo fiscale in ambito regionale si trova ancora a uno stadio iniziale.

Per un approfondimento sullo stato dell’arte in materia di determinazione dei LEP e dei fabbisogni standard, nel quadro del processo di attuazione del federalismo fiscale, si rinvia all’ultima Relazione sull’attuazione della legge delega n. 42 del 2009, approvata dalla Commissione parlamentare per l’attuazione del federalismo fiscale nella seduta del 15 dicembre 2021.

 

Un percorso di graduale avvicinamento ai LEP: gli Obiettivi di servizio

 

Al fine di individuare un percorso di convergenza ai livelli essenziali delle prestazioni e dei costi e fabbisogni standard dei vari livelli di governo, la legge n. 42 del 2009 e il citato art. 13 del d. lgs. n. 68 del 2011 hanno tracciato un percorso di graduale avvicinamento ai LEP, con la fissazione di obiettivi intermedi, denominati obiettivi di servizio. Tale approccio attenua le tensioni sugli equilibri di bilancio inevitabilmente prodotte dalla definizione dei LEP, garantendo un assorbimento più graduale delle maggiori esigenze di spesa, laddove emergano.

Un intervento in questo senso è stato compiuto con la legge di bilancio 2021 (legge n. 178 del 2020) che, incrementando la dotazione del Fondo di solidarietà comunale al fine di finanziare lo sviluppo dei servizi sociali comunali e il numero di posti disponibili negli asili nido, ha integrato i criteri e le modalità di riparto delle quote incrementali del Fondo per servizi sociali e asili nido. La legge ha previsto, in particolare, l’attivazione di un meccanismo di monitoraggio basato sull’identificazione degli obiettivi di servizio, dando luogo, per la prima volta dall'introduzione dei fabbisogni standard, a un superamento del vincolo della spesa storica complessiva della funzione sociale, stanziando risorse aggiuntive vincolate al raggiungimento degli obiettivi di servizio e compiendo un passo in avanti nel percorso di avvicinamento ai livelli essenziali delle prestazioni. Gli obiettivi di servizio in materia di servizi sociali sono stati individuati con la nota metodologica della Commissione tecnica sui fabbisogni standard del 16 giugno 2021 e adottati con DPCM 1° luglio 2021.

 

Il rilievo del processo di definizione dei LEP nel PNRR

 

Da ultimo, la centralità dell’opera di determinazione dei LEP in determinati settori, ai fini della piena attuazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, è stata recentemente evidenziata dalla stessa Corte costituzionale, la quale, proprio nella citata sentenza n. 220 del 2021, ha sottolineato come tale adempimento, da parte del legislatore, appaia “particolarmente urgente anche in vista di un’equa ed efficiente allocazione delle risorse collegate al Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR)”.

Il PNRR contempla la definizione dei livelli essenziali delle prestazioni per alcuni dei principali servizi alla persona, a partire dagli asili nido in modo da aumentare l'offerta delle prestazioni di educazione e cura della prima infanzia. Al riguardo nella Missione 4, Componente 1, Investimento 1.1, sono stanziati 4,6 miliardi di euro fino al 2026 per finanziare il Piano per asili nido e scuole dell'infanzia e servizi di educazione e cura per la prima infanzia.

Si ricorda, infine, che il PNRR italiano prevede, nell’ambito della Missione 1, Componente 1, la “riforma del quadro fiscale subnazionale” (Riforma 1.14), la quale consiste nel completamento del federalismo fiscale di cui alla legge n. 42 del 2009, con l’obiettivo di migliorare la trasparenza delle relazioni fiscali tra i diversi livelli di governo, assegnare le risorse alle amministrazioni subnazionali sulla base di criteri oggettivi e incentivare un uso efficiente delle risorse medesime. La riforma, da completare entro il primo trimestre del 2026 (M1C1-119), dovrà definire in particolare i parametri applicabili e attuare il federalismo fiscale per le regioni a statuto ordinario e per le province e le città metropolitane. Pertanto, la determinazione dei LEP e dei relativi fabbisogni e costi standard dovrà avvenire necessariamente entro tale termine.

Sul punto, si rinvia, per approfondimenti, al tema web curato dal Servizio Studi della Camera dei deputati.

 

I LEP e l’autonomia differenziata: il procedimento delineato dalla legge di bilancio 2023, articolo 1, commi 791-801

 

La legge di bilancio 2023 (commi 791-801 della legge n. 197 del 2022) ha delineato un procedimento per l'approvazione in tempi ravvicinati dei LEP concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale nelle materie di cui all’articolo 116, terzo comma, della Costituzione, nel tentativo di instaurare un collegamento finalistico diretto tra la determinazione dei LEP e l’attuazione dell’autonomia regionale differenziata. Tale procedura è stata espressamente finalizzata, infatti, all'attribuzione di forme e condizioni particolari di autonomia alle Regioni a statuto ordinario, al superamento dei divari territoriali nel godimento delle prestazioni, alla garanzia di uno svolgimento leale e trasparente dei rapporti finanziari tra lo Stato e le autonomie territoriali, nonché all'equa ed efficiente allocazione delle risorse collegate al Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR).

L’attribuzione alle Regioni ordinarie di tali ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, nelle materie di cui all’art. 116, comma 3, Cost., è stata espressamente subordinata alla previa determinazione dei relativi LEP, la cui opera di definizione si configura, pertanto, quale passaggio necessario affinché si possa procedere alla stipula delle intese tra lo Stato e le singole Regioni per la realizzazione della loro autonomia differenziata.

A tal fine la legge di bilancio 2023 ha istituito, presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, una Cabina di regia per la determinazione dei LEP, presieduta dal Presidente del Consiglio dei ministri e costituita dai Ministri coinvolti nel percorso di realizzazione dei LEP per i profili di competenza, dai Ministri competenti nelle materie volta per volta chiamate in causa, dai Presidenti della Conferenza delle regioni e delle province autonome, dell'UPI e dell'ANCI.

Sono stabiliti, altresì, i compiti e gli obiettivi che la Cabina di regia è chiamata a conseguire, nonché le tempistiche di svolgimento delle attività ad essa affidate, le procedure di realizzazione di tali attività e le forme e modalità di interazione con le amministrazioni competenti nelle materie coinvolte e con la Commissione tecnica per i fabbisogni standard. Si prevede, in particolare, che la Cabina di regia, entro sei mesi dall’entrata in vigore della legge di bilancio 2023, effettui, per ciascuna delle materie di cui all’art. 116, comma 3, Cost.: una ricognizione della normativa statale vigente; una ricognizione della spesa storica a carattere permanente dell’ultimo triennio; l’individuazione delle materie o ambiti di materie riferibili ai LEP; la determinazione dei LEP sulla base delle ipotesi tecniche formulate dalla Commissione tecnica per i fabbisogni standard.

Successivamente, entro sei mesi dalla conclusione di tali attività, la Cabina di regia è tenuta a predisporre uno o più schemi di D.P.C.M. con cui sono determinati i LEP e i correlati costi e fabbisogni standard nelle materie suscettibili di autonomia differenziata. Ciascun D.P.C.M. è adottato su proposta del Ministro per gli affari regionali e le autonomie, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, previa deliberazione del Consiglio dei ministri. Sullo schema di decreto è inoltre acquisita l’intesa della Conferenza unificata.

Per l'ipotesi in cui la Cabina di regia non riesca a concludere le proprie attività nei termini stabiliti, si prevede la nomina di un Commissario, per il completamento delle attività non perfezionate. Sulla base dell’istruttoria e delle proposte del Commissario, il Ministro per gli affari regionali e le autonomie propone l’adozione di uno o più schemi di D.P.C.M., conformemente alla procedura sopra richiamata.

La legge di bilancio 2023 ha istituito, infine, una Segreteria tecnica presso il Dipartimento per gli affari regionali e le autonomie della Presidenza del Consiglio dei ministri, quale struttura di supporto alla Cabina di regia per la determinazione dei LEP.


Articolo 4
(Trasferimento delle funzioni)

 

 

L’articolo 4 stabilisce i princìpi per il trasferimento delle funzioni, con le relative risorse umane, strumentali e finanziarie, attinenti a materie o ambiti di materie riferibili ai LEP, che può avvenire soltanto dopo la determinazione dei LEP medesimi e dei relativi costi e fabbisogni standard.

Per le funzioni relative a materie o ambiti di materie diverse da quelle riferibili ai LEP, il trasferimento può essere effettuato nei limiti delle risorse previste a legislazione vigente.

 

In particolare, il comma 1 disciplina il trasferimento delle funzioni attinenti a materie o ad ambiti di materie riferibili ai LEP, stabilendo che a tale trasferimento si può procedere soltanto successivamente alla determinazione dei medesimi LEP e dei relativi costi e fabbisogni standard, ai sensi del precedente articolo 3 (alla cui scheda si rinvia).

Il trasferimento è effettuato secondo le modalità e le procedure di quantificazione individuate dalle singole intese. L’operazione è finanziariamente neutrale, in quanto il trasferimento delle funzioni è operato con riferimento alle relative risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili al momento dell’atto di conferimento delle funzioni dalle Amministrazioni centrali interessate per materia alle Regioni con cui è stata conclusa l’intesa.

Qualora dalla determinazione dei LEP dovessero derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, il comma 1 precisa che al trasferimento delle funzioni si potrà procedere soltanto successivamente all’entrata in vigore dei provvedimenti legislativi di stanziamento delle necessarie risorse finanziarie, in coerenza con gli obiettivi programmati di finanza pubblica e con gli equilibri di bilancio.

 

Riguardo al trasferimento delle funzioni diverse da quelle riferibili ai LEP, il comma 2 stabilisce che può essere effettuato – con le relative risorse umane, strumentali e finanziarie – a partire dalla data di entrata in vigore della legge nei limiti delle risorse previste a legislazione vigente, secondo le modalità, le procedure e i tempi indicati nelle singole intese.


Articolo 5
(Princìpi relativi all'attribuzione delle risorse finanziarie, umane e strumentali corrispondenti alle funzioni oggetto di conferimento)

 

 

L’articolo 5 disciplina la istituzione di una Commissione paritetica Stato –Regione, con il compito di definire le risorse umane, strumentali e finanziarie necessarie per l'esercizio da parte della Regione delle funzioni oggetto di conferimento. Le modalità di finanziamento delle suddette funzioni dovranno essere definite nell’ambito dell’intesa tra Stato e Regione disciplinata dall’articolo 2 del disegno di legge. Il finanziamento dovrà, comunque, essere basato sulla compartecipazione regionale ad uno o più tributi erariali.

 

In particolare il comma 1 determina la composizione della Commissione paritetica, che per ciascuna Regione, avrà il compito di determinare le risorse umane, strumentali e finanziarie necessarie per l'esercizio da parte della Regione delle funzioni conferite. Per la restante disciplina della Commissione paritetica, la norma rinvia all’intesa, disciplinata all’articolo 2 del disegno di legge in esame, che è alla base del conferimento di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia.

Per lo Stato, la Commissione paritetica è composta da:

?    un rappresentante del Ministro per gli affari regionali e le autonomie,

?    un rappresentante del Ministro dell'economia e delle finanze

?    un rappresentante per ciascuna delle amministrazioni competenti.

Per la Regione, fanno parte della Commissione i corrispondenti rappresentati regionali.

 

Le Commissioni paritetiche per le Regioni a statuto speciale

 

Si ricorda che, nell’ambito degli ordinamenti delle Regioni a statuto speciale individuate dall’art. 116, primo comma della Costituzione, ciascuno statuto speciale disciplina oggetto e procedimento di formazione delle norme di attuazione, in riferimento al quale un ruolo fondamentale è rivestito dalla Commissione paritetica.

Le differenze tra una regione e l'altra concernono quasi esclusivamente la composizione della Commissione paritetica e i poteri della Commissione in ordine alla formazione del testo della norma di attuazione. Al di là delle differenze formali, di fatto le commissioni paritetiche sono l'organo collegiale nel quale il testo della norma di attuazione si forma attraverso una concertazione continua su tutti gli aspetti di rilievo.

La disciplina statutaria di riferimento è costituita:

-        per la Regione Valle d'Aosta, dalla legge cost. n. 4 del 1948, articolo 48-bis;

-        per la Regione Trentino-Alto Adige, dal d.P.R. n. 670 del 1972, articoli 107, 108, 109;

-        per la Regione Friuli-Venezia Giulia, dalla legge cost. n. 1 del 1963, articolo 65;

-        per la Regione siciliana, dal R.D. Lgs. n. 455 del 1946, articolo 43;

-        per la Regione Sardegna, dalla legge cost. n. 3 del 1948, articolo 56.

 

Il comma 2 riguarda le modalità di finanziamento delle funzioni conferite.

La norma indica come fonte di finanziamento la compartecipazione regionale ad uno o più tributi erariali maturati nel territorio della regione; mentre per l’individuazione dei tributi e per la disciplina specifica la norma rinvia all’intesa di cui all’articolo 2 del disegno di legge in esame, alla base del conferimento di funzioni.

La cornice normativa citata dalla norma in esame, nel rispetto della quale l’intesa è tenuta a operare, è quella del principio contabile della copertura delle leggi di spesa di cui all’art. 17 della legge n. 196 del 2009 e dei principi costituzionali recati dall’articolo 119 Cost.

 

Le quote di compartecipazione ai tributi erariali maturati nel territorio regionale costituiscono la principale entrata tributaria delle regioni a statuto speciale e anche il connotato più forte dell'autonomia finanziaria. Per ciascuna di esse, com’è noto, ogni statuto elenca le imposte erariali delle quali una quota percentuale è attribuita alla regione, le aliquote eventualmente differenziate per ciascun tipo di imposta, la base di computo, le modalità di attribuzione; alcune specificazioni di dettaglio sono rimesse poi alle norme di attuazione.

Per le regioni a statuto ordinario, invece, il sistema di finanziamento è quello precedente al decreto legislativo n. 68 del 2011 di attuazione della legge delega n. 42 del 2009 sul federalismo fiscale. L’attuazione del nuovo regime, basato sul superamento del sistema dei trasferimenti erariali e della perequazione basata sulla spesa storica, è stata rinviata più volte e da ultimo la legge di bilancio per il 2023 (legge n. 197 del 2022, art. 1, comma 788) ha fissato la data del 2027 (o del 2026, nel caso si dovessero realizzare le condizioni previste dal decreto legislativo n. 118 del 2011 per l’attuazione appunto del federalismo fiscale). La data del 2027 è coerente con quanto previsto nel PNRR, che prevede un’unica milestone per l’attuazione del federalismo fiscale regionale, da realizzare entro il primo quadrimestre dell’anno 2026 (M1C1-119, nell’ambito della Riforma 1.14, Riforma del quadro fiscale subnazionale). Entro aprile 2026 occorrerà quindi aver definito il quadro normativo di riferimento, per ciò che concerne sia la legislazione primaria sia quella secondaria.

Si ricorda infine che, secondo il nuovo regime, le fonti di finanziamento delle regioni per l’erogazione dei LEP nelle materie della sanità, dell’assistenza, dell’istruzione e del trasporto pubblico locale (per la spesa di parte capitale) dovranno essere costituite da entrate di tipo tributario (opportunamente rimodulate ed eventualmente perequate) ed entrate proprie. Ciò significa che dovrà essere completamente superato il sistema dei trasferimenti erariali e della perequazione basata sulla spesa storica.


Articolo 6
(Ulteriore attribuzione di funzioni amministrative a enti locali)

 

 

L’articolo 6, comma 1, prevede che le funzioni trasferite alla Regione in attuazione dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione, possono essere attribuite, nel rispetto del principio di leale collaborazione, a Comuni, Province e Città metropolitane dalla medesima Regione, in conformità all’articolo 118 della Costituzione, contestualmente alle relative risorse umane, strumentali e finanziarie.

 Il successivo comma 2 stabilisce che restano, in ogni caso, ferme le funzioni fondamentali degli enti locali, con le connesse risorse umane, strumentali e finanziarie, di cui all’articolo 117, secondo comma, lettera p), della Costituzione, come definite dalla normativa vigente.

 

L’articolo 6, comma 1, prevede che le funzioni amministrative trasferite alla Regione in attuazione dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione possono essere attribuite, nel rispetto del principio di leale collaborazione, a Comuni, Province e Città metropolitane dalla medesima Regione, in conformità all’articolo 118 della Costituzione, contestualmente alle relative risorse umane, strumentali e finanziarie.

Il successivo comma 2 stabilisce che restano, in ogni caso, ferme le funzioni fondamentali degli enti locali, con le connesse risorse umane, strumentali e finanziarie, di cui all’articolo 117, secondo comma, lettera p), della Costituzione.

 

Ai fini in esame vengono specificamente in rilievo le previsioni di cui al primo e al secondo comma del citato articolo 118 della Costituzione che prevedono rispettivamente che “le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni salvo che, per assicurarne l’esercizio unitario, siano conferite a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza.” E che “i Comuni, le Province e le Città metropolitane sono titolari di funzioni amministrative proprie e di quelle conferite con legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze[16].

Più nel dettaglio, relativamente al primo comma dell’articolo in commento, l’analisi tecnico-normativa che accompagna il disegno di legge evidenzia come tale disposizione si limiti a richiamare le citate previsioni di cui all’articolo 118 della Costituzione, in quanto il disegno di legge medesimo “non procede direttamente all’allocazione di funzioni amministrative statali in capo a enti territoriali sottordinati, per cui non vengono direttamente in rilievo i criteri in merito previsti dall’articolo 118 della Costituzione”, fermo restando che gli “enti locali … potranno senz'altro veder alterate le proprie concrete sfere di attribuzioni a valle delle determinazioni delle singole Regioni in ordine alle nuove funzioni ricevute in attuazione dell'intesa approvata, nel rispetto comunque dei principi che danno corpo all'autonomia loro attribuita dall'articolo 114 della Costituzione e, in ogni caso, ferma restando la determinazione delle funzioni fondamentali spettante alla competenza legislativa esclusiva dello Stato ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lettera p), della Costituzione”.

Al riguardo deve peraltro ricordarsi che, sui profili in questione, si sono in modo significativo concentrati i rilievi dell’ANCI e dell’UPI, allegati al parere reso dalla Conferenza unificata in data 2 marzo 2023[17] sullo schema del disegno di legge in esame alla medesima Conferenza trasmesso.

 

In particolare l’ANCI ha, tra l’altro, posto l’accento sull’esigenza che “il conferimento di forme e condizioni particolari di autonomia deve esercitarsi prevalentemente o esclusivamente nella sfera della legislazione, collocandosi in un contesto di indefettibile salvaguardia dei fondamentali principi costituzionali di solidarietà, di unità giuridica ed economica del Paese e in un'ottica di massimo decentramento e rafforzato coordinamento.”, individuando quali punti critici del disegno di legge, tra l’altro, il rischio che l'attuazione del regionalismo differenziato possa prevalentemente privilegiare il conferimento di competenze amministrative, piuttosto che le funzioni legislative e programmatorie, e portare all’istituzione di organismi, agenzie ed enti aventi funzioni gestionali, con ricadute in termini di complessità e complicazioni amministrative per i cittadini e le imprese, con oneri a carico della finanza pubblica e con un'accentuazione del ruolo di amministrazione attiva regionale.

Considerazioni non dissimili sono state formulate dall’UPI che ha, tra l’altro, rilevato in generale l’esigenza che l'attuazione dell'articolo 6, terzo comma, della Costituzione costituisca “un’occasione per riaprire un più ampio processo di decentramento e di valorizzazione delle autonomie locali, in attuazione dell'articolo 5 della Costituzione, dopo una lunga stagione emergenziale che ha portato ad un forte accentramento delle funzioni amministrative”, sottolineando più in particolare la necessità che il processo di attuazione del regionalismo differenziato sia  accompagnato “da un ripensamento estensivo da parte del legislatore statale delle funzioni fondamentali da riconoscere agli enti locali, tale da garantire un adeguato assetto delle funzioni di amministrazione, con il riconoscimento delle risorse finanziarie necessarie per esercitarle attraverso i fabbisogni standard e la capacità fiscale”.

Sulla base di quanto precede sia l’ANCI, sia l’UPI hanno formulato proposte di modifica dell’articolo in commento finalizzate sostanzialmente a far sì che l’attribuzione di funzioni ulteriori, non fondamentali, dalle Regioni alle autonomie locali – nell’ambito dei processi di attuazione dell’autonomia differenziata – non sia configurata come una mera possibilità, ma che, in attuazione dell'articolo 118 della Costituzione, le Regioni siano tenute ad attribuire a Comuni, Province e Città metropolitane le funzioni amministrative che non necessitino di un esercizio unitario a livello regionale, contestualmente alle relative risorse umane, finanziarie e strumentali. Tali proposte di modifica non sono state peraltro recepite nella formulazione finale del disegno di legge in esame.

In ordine poi alla previsione in base alla quale le funzioni amministrative – trasferite alla Regione in attuazione dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione  - possono essere attribuite ai Comuni, alle Province e alle Città metropolitane, in conformità all’articolo 118 della Costituzione, solo contestualmente alle relative risorse umane, strumentali e finanziarie, va sottolineato come la stessa risulti conforme anche alle indicazioni desumibili dalla giurisprudenza costituzionale che, nel caso di trasferimento di funzioni, ha esplicitamente ritenuto non compatibile con la Costituzione – in particolare in quanto in contrasto con il principio di corrispondenza tra funzioni e risorse, ricavabile dall’articolo 119, quarto comma - la mancata previsione legislativa della riassegnazione delle risorse necessarie a favore degli enti subentranti[18].

 

Per quanto riguarda, infine,  il comma 2 dell’articolo in esame, si rammenta che le funzioni fondamentali dei comuni, ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lettera p), della Costituzione, sono attualmente individuate dalle disposizioni di cui all’articolo 19 del decreto legge n. 95 del 2012[19], le funzioni fondamentali delle province sono individuate dalle disposizioni di cui ai commi 85 e 86 dell’articolo 1 della legge n. 56 del 2014[20] e le funzioni fondamentali delle città metropolitane sono individuate dalle disposizioni di cui al comma 44 dell’articolo 1 della medesima legge n. 56 del 2014[21].


Articolo 7
(Durata delle intese e successione di leggi nel tempo. Monitoraggio)

 

 

L’articolo 7, comma 1, del disegno di legge disciplina innanzitutto la durata delle intese, che ciascuna di esse dovrà individuare, comunque in un periodo non superiore a dieci anni. Si prevede inoltre che, con le medesime modalità previste per la loro conclusione, le intese possono essere modificate su iniziativa dello Stato o della Regione interessata e che ciascuna intesa potrà prevedere i casi e le modalità con cui lo Stato o la Regione possono chiedere la cessazione della sua efficacia, che è deliberata con legge a maggioranza assoluta delle Camere.

Il successivo comma 2 prevede il rinnovo dell’intesa alla scadenza, salvo diversa volontà dello Stato o della Regione manifestata almeno dodici mesi prima, mentre il comma 3 dispone che ciascuna intesa individua i casi in cui le disposizioni statali vigenti nelle materie di cui all’articolo 116, terzo comma, della Costituzione, oggetto di intesa con una Regione, approvata con legge, continuano ad applicarsi nei relativi territori fino alla data di entrata in vigore delle disposizioni regionali.

Il comma 4 dell’articolo in commento prevede poi che la Presidenza del Consiglio dei ministri-Dipartimento per gli affari regionali e le autonomie, il Ministero dell’economia e delle finanze o la Regione possono disporre, anche congiuntamente, verifiche e monitoraggi sugli aspetti concernenti il raggiungimento dei livelli essenziali delle prestazioni.

Il comma 5 prevede invece che la Commissione paritetica Stato-Regione di cui all’articolo 5, comma 1, deve procedere annualmente alla valutazione degli oneri finanziari derivanti, per ciascuna Regione interessata, dall’esercizio delle nuove funzioni ad essa attribuite, secondo quanto previsto dall’intesa.

Il comma 6 stabilisce, infine, che le disposizioni statali successive alla data di entrata in vigore delle leggi di approvazione di intese sono tenute a osservare le competenze legislative e l’assegnazione delle funzioni amministrative e le ulteriori disposizioni contenute nelle intese.

 

L’articolo 7, comma 1, del disegno di legge stabilisce, innanzitutto, che ciascuna intesa di cui all’articolo 116, terzo comma, della Costituzione indica la propria durata, comunque non superiore a dieci anni. L’articolo dispone poi che, con le medesime modalità previste nell’articolo 2 per il loro perfezionamento, le intese possono essere modificate su iniziativa dello Stato o della Regione interessata e che ciascuna intesa potrà prevedere i casi e le modalità con cui lo Stato o la Regione possono chiedere la cessazione della sua efficacia, che è deliberata con legge a maggioranza assoluta delle Camere.

Ai sensi del successivo comma 2, alla scadenza del termine di durata, l’intesa si intende rinnovata per un uguale periodo, salvo diversa volontà dello Stato o della Regione, manifestata almeno dodici mesi prima della scadenza.

 

Per quanto concerne le disposizioni di cui ai commi 1 e 2, si ricorda che il terzo comma dell’articolo 116 non contiene riferimenti né alla durata delle intese né conseguentemente alle modalità di modifica o di cessazione nel corso della sua durata né infine alle modalità di rinnovo.

Come già si è più volte ricordato la disposizione costituzionale, nel disciplinare in termini generali il trasferimento di competenze nell’ambito del cd. “regionalismo differenziato”, fa riferimento alla sola iniziativa regionale e a una legge di approvazione a maggioranza assoluta sulla base di intesa tra lo Stato e la Regione interessata.

Il testo in esame prevede invece anche l’iniziativa dello Stato per la modifica, la cessazione o il rinnovo delle intese già concluse a approvate con la legge di cui al terzo comma dell’art. 116 Cost. e che ciascuna intesa potrà prevedere i casi e le modalità con cui lo Stato o la Regione possono chiedere la cessazione della sua efficacia, che è deliberata con legge a maggioranza assoluta delle Camere. Va a questo proposito ricordato che la previsione di speciali maggioranze per l’approvazione delle leggi, in deroga a quanto previsto dall’art. 64 della Costituzione, richiede di norma una fonte di rango costituzionale.

 

Al riguardo, si valuti l’opportunità di un approfondimento.

 

Il comma 3 stabilisce quindi che ciascuna intesa dovrà individuare i casi in cui le disposizioni statali vigenti nelle materie di cui all’articolo 116, terzo comma, della Costituzione, oggetto di intesa con una Regione, approvata con legge, continuano ad applicarsi nei relativi territori fino alla data di entrata in vigore delle disposizioni regionali disciplinanti gli ambiti oggetto dell’intesa.

Il comma 4 prevede poi che la Presidenza del Consiglio dei ministri-Dipartimento per gli affari regionali e le autonomie, il Ministero dell’economia e delle finanze o la Regione possono disporre, anche congiuntamente, verifiche su specifici profili o settori di attività oggetto dell’intesa con riferimento alla garanzia del raggiungimento dei livelli essenziali delle prestazioni, nonché il monitoraggio degli stessi. A tal fine i predetti soggetti ne concordano le modalità operative.

Ai sensi del comma 5, la Commissione paritetica Stato-Regione di cui all’articolo 5, comma 1, deve procedere annualmente alla valutazione degli oneri finanziari derivanti, per ciascuna Regione interessata, dall’esercizio delle funzioni e dall’erogazione dei servizi connessi alle ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, secondo quanto previsto dall’intesa, in coerenza con gli obiettivi programmatici di finanza pubblica e, comunque, garantendo l’equilibrio di bilancio. La Commissione paritetica informa la Conferenza Unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo n. 281 del 1997 degli esiti della valutazione degli oneri finanziari.

Infine, in base al comma 6, le disposizioni statali successive alla data di entrata in vigore delle leggi di approvazione di intese sono tenute a osservare le competenze legislative e l’assegnazione delle funzioni amministrative e le ulteriori disposizioni contenute nelle intese.

 

La relazione tecnica rileva che dalle previsioni di cui all’articolo in commento non conseguono nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

 

 


Articolo 8
(Clausole finanziarie)

 

 

L’articolo 8 reca, al comma 1, la clausola di invarianza finanziaria con riferimento all’attuazione della presente legge e di ciascuna intesa che ne derivi. Il comma 2 dispone che il finanziamento dei LEP sulla base dei relativi costi e fabbisogni standard è attuato nel rispetto delle norme vigenti in materia di copertura finanziaria delle leggi e degli equilibri di bilancio. Il comma 3, infine, stabilisce l’invarianza finanziaria, in relazione alle intese approvate con legge in attuazione dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione, per le singole Regioni che non siano parte dell’intesa, nonché il finanziamento delle iniziative finalizzate ad attuare le previsioni di cui all’articolo 119, terzo, quinto e sesto comma, della Costituzione.

 

In particolare, ai sensi del comma 1, dall’applicazione della presente legge e di ciascuna intesa non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

 

Nella relazione tecnica, il Governo precisa che quanto previsto potrà essere riscontrato nel procedimento di attuazione delle singole intese, trattandosi di una disposizione volta ad orientare le future attività negoziali nonché il futuro legislatore. In particolare, tale risultato discende dall’assenza di disposizioni di spesa, non occorrendo cioè verificare se queste ultime siano presenti, ma generino un saldo positivo o almeno non negativo grazie all’operare congiunto con contestuali disposizioni di risparmio. È astrattamente possibile, invece, che si generino oneri aggiuntivi a carico della finanza pubblica per effetto della determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali di cui all’articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione e dei relativi costi e fabbisogni standard. Premesso che si tratta di un processo che, per un verso, precede le singole iniziative di accesso ad assetti di autonomia differenziata e le trascende sul piano degli obiettivi, che sono più generali (con particolare riferimento al “pieno superamento dei divari territoriali nel godimento delle prestazioni” esplicitato dall’articolo 1, comma 2, dell’intervento normativo); e che, per altro verso, esso è toccato solo in misura molto limitata dal disegno di legge proposto, in quanto già quasi completamente disciplinato, sul piano procedimentale, dalle citate disposizioni della legge di bilancio per l’anno 2023, s’intendono pienamente applicabili all’esigenza di finanziamento di tali nuovi o maggiori oneri i meccanismi contemplati in via generale dall’articolo 17 della legge n. 196 del 2009 (si veda la ricostruzione seguente), dunque in piena conformità con le disposizioni costituzionali in materia di copertura finanziaria delle leggi di cui all’articolo 81, terzo comma, della Costituzione, fermo restando il rispetto degli equilibri di bilancio.

 

Il comma 2 dispone che, fermo restando quanto previsto dall’articolo 4, comma 1 (si veda la relativa scheda), il finanziamento dei LEP sulla base dei relativi costi e fabbisogni standard è attuato nel rispetto dell’articolo 17 della legge di contabilità e finanza pubblica (legge n. 196 del 2009), e degli equilibri di bilancio.

 

Si valuti l’opportunità di specificare il comma dell’articolo 17 della legge di contabilità e finanza pubblica a cui si fa riferimento.

 

Si rammenta che il menzionato articolo 17 della legge di contabilità e finanza pubblica reca la disciplina della copertura finanziaria delle leggi. In particolare, prevede che, in attuazione dell'articolo 81 della Costituzione, ciascuna legge che comporti nuovi o maggiori oneri indica espressamente, per ciascun anno e per ogni intervento da essa previsto, la spesa autorizzata, che si intende come limite massimo di spesa, ovvero le relative previsioni di spesa, provvedendo alla contestuale copertura finanziaria dei medesimi oneri ai sensi del presente comma. L’articolo fornisce anche un elenco esaustivo delle modalità di copertura utilizzabili e disciplina il meccanismo di copertura delle leggi di delega e dei decreti legislativi.

 

Il comma 3, infine, stabilisce che sono garantiti l’invarianza finanziaria, in relazione alle intese approvate con legge in attuazione dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione, per le singole Regioni che non siano parte dell’intesa, nonché il finanziamento delle iniziative finalizzate ad attuare le previsioni di cui all’articolo 119, terzo, quinto e sesto comma, della Costituzione. Le intese, in ogni caso, non possono pregiudicare l’entità delle risorse da destinare a ciascuna delle altre Regioni.

 

L’articolo 119 della Costituzione, al terzo comma prevede che la legge dello Stato istituisce un fondo perequativo, senza vincoli di destinazione, per i territori con minore capacità fiscale per abitante. Ai sensi del quinto comma, invece, per promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale, per rimuovere gli squilibri economici e sociali, per favorire l'effettivo esercizio dei diritti della persona, o per provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle loro funzioni, lo Stato destina risorse aggiuntive ed effettua interventi speciali in favore di determinati Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni. Il sesto comma del medesimo articolo 119, infine, dispone che la Repubblica riconosce le peculiarità delle Isole e promuove le misure necessarie a rimuovere gli svantaggi derivanti dall'insularità.

 


Articolo 9
(Misure perequative e di promozione dello sviluppo economico, della coesione e della solidarietà sociale)

 

 

L’articolo 9 stabilisce, al comma 1, misure perequative e di promozione dello sviluppo economico, della coesione, della solidarietà sociale individuando anche alcune fonti per le relative risorse. Il comma 2 stabilisce che il Governo debba informare la Conferenza unificata circa le attività poste in essere ai sensi del comma 1 del presente articolo.

 

In particolare, il comma 1 stabilisce che, ai fini della promozione dello sviluppo economico, della coesione e della solidarietà sociale, dell’insularità, della rimozione degli squilibri economici e sociali e del perseguimento delle ulteriori finalità di cui all’articolo 119, quinto e sesto comma, della Costituzione, anche nei territori delle Regioni che non concludono le intese, lo Stato, in attuazione dell’articolo 119, commi terzo e quinto, della Costituzione, promuove l’esercizio effettivo dei diritti civili e sociali che devono essere garantiti dallo Stato e dalle amministrazioni regionali e locali nell’esercizio delle funzioni riconducibili ai livelli essenziali delle prestazioni o alle funzioni fondamentali di cui all’articolo 117, secondo comma, lettere m) e p), della Costituzione, previa ricognizione delle risorse allo scopo destinabili.

 

Si rammenta che, ai sensi dell’articolo 117 della Costituzione, la potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali. Il secondo comma elenca le materie rientranti nella potestà legislativa esclusiva dello Stato, tra le quali figurano, alla lettera m) la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale; e alla lettera p) la legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane.

 

Il comma 1 in esame provvede quindi ad elencare una serie di fonti, non esclusive, di risorse destinabili agli scopi di cui sopra, e in particolare:

a)     l’unificazione delle diverse fonti aggiuntive o straordinarie di finanziamento statale di conto capitale, destinate alla promozione dello sviluppo economico, della coesione e della solidarietà sociale, alla rimozione degli squilibri economici e sociali e al perseguimento delle ulteriori finalità di cui all’articolo 119, quinto comma, della Costituzione, semplificando e uniformando le procedure di accesso, di destinazione territoriale, di spesa e di rendicontazione, al fine di garantire un utilizzo più razionale, efficace ed efficiente delle risorse disponibili, e salvaguardando, al contempo, gli specifici vincoli di destinazione, ove previsti, nonché la programmazione già in corso alla data di entrata in vigore della presente disposizione. Resta comunque ferma la disciplina del Fondo per lo sviluppo e la coesione (FSC) di cui all’articolo 4 del decreto legislativo n. 88 del 2011;

 

Si rammenta che il FSC è, congiuntamente ai Fondi strutturali europei, lo strumento finanziario principale attraverso cui vengono attuate le politiche per lo sviluppo della coesione economica, sociale e territoriale e la rimozione degli squilibri economici e sociali in attuazione dell'articolo 119, comma 5, della Costituzione italiana e dell'articolo 174 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea. Per il ciclo di programmazione 2021-2017, il Fondo è stato rifinanziato per 73,5 miliardi di euro. Per un’illustrazione delle risorse e della disciplina del FSC, si rinvia alla relativa pagina di documentazione della Camera dei deputati nonché alla relativa pagina del Dipartimento per la programmazione e il coordinamento della politica economica della Presidenza del Consiglio dei Ministri.

 

b)    l’unificazione delle risorse di parte corrente e la semplificazione delle relative procedure amministrative;

c)     l’effettuazione di interventi speciali di conto capitale da individuare mediante gli strumenti di programmazione finanziaria e di bilancio di cui all’articolo 7, comma 2, lettere a), d) ed f), della legge di contabilità e finanza pubblica (legge n. 196 del 2009).

 

Si rammenta che il menzionato articolo 7 della legge di contabilità e finanza pubblica riguarda il ciclo e gli strumenti della programmazione finanziaria e di bilancio. In particolare, il comma 2 reca l’elenco di tali strumenti:

a) il Documento di economia e finanza (DEF), da presentare alle Camere entro il 10 aprile di ogni anno, per le conseguenti deliberazioni parlamentari;

b) la Nota di aggiornamento del DEF, da presentare alle Camere entro il 27 settembre di ogni anno, per le conseguenti deliberazioni parlamentari;

d) il disegno di legge del bilancio dello Stato, da presentare alle Camere entro il 20 ottobre di ogni anno;

e) il disegno di legge di assestamento, da presentare alle Camere entro il 30 giugno di ogni anno;

f) gli eventuali disegni di legge collegati alla manovra di finanza pubblica, da presentare alle Camere entro il mese di gennaio di ogni anno;

g) gli specifici strumenti di programmazione delle amministrazioni pubbliche diverse dallo Stato.

 

Il comma 2 stabilisce che il Governo deve informare la Conferenza unificata, ai sensi dell’articolo 6 del decreto legislativo n. 281 del 1997, circa le attività poste in essere ai sensi del comma 1 del presente articolo.

 

Si rammenta che il citato articolo 6 del decreto legislativo n. 281 del 1997 riguarda lo scambio di dati e informazioni e stabilisce, al comma 1, che la Conferenza Stato-regioni favorisce l'interscambio di dati ed informazioni sull'attività posta in essere dalle amministrazioni centrali, regionali e delle province autonome di Trento e di Bolzano.

Ai sensi del comma 2, la Conferenza Stato-regioni approva protocolli di intesa tra Governo, regioni e province autonome di Trento e di Bolzano, anche ai fini della costituzione di banche dati sulle rispettive attività, accessibili sia dallo Stato che dalle regioni e dalle province autonome. Le norme tecniche ed i criteri di sicurezza per l'accesso ai dati ed alle informazioni sono stabiliti di intesa con l'Autorità per l'informatica nella pubblica amministrazione.

Il comma 3, infine, stabilisce che i protocolli di intesa di cui al comma 2 prevedono, altresì, le modalità con le quali le regioni e le province autonome si avvalgono della rete unitaria delle pubbliche amministrazioni e dei servizi di trasporto e di interoperabilità messi a disposizione dai gestori, alle condizioni contrattuali previste ai sensi dell'articolo 15, comma 1, della legge n. 59 del 1997.


Articolo 10
(Disposizioni transitorie e finali)

 

 

L’articolo 10, in primo luogo, prevede che l’esame degli atti di iniziativa delle regioni in materia di autonomia differenziata già presentati al Governo prosegua secondo la procedura prevista dal provvedimento in esame.

In secondo luogo, ribadisce che anche per le regioni a statuto speciale e le province autonome si applica l’articolo 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001 di riforma del Titolo V, sul riconoscimento anche a tali enti territoriali delle forme di maggiore autonomia previste da tale legge.

Infine, reca la clausola di salvaguardia per l'esercizio del potere sostitutivo del Governo ai sensi dell'articolo 120, secondo comma, della Costituzione.

 

Il comma 1 prevede che l’esame degli atti di iniziativa delle regioni già presentati al Governo e dei quali sia stato eventualmente avviato il confronto tra il Governo e la regione, prima dell'entrata in vigore del provvedimento in esame, prosegua secondo il procedimento previsto dalle “pertinenti” disposizioni del disegno di legge in commento, principalmente recate dall’articolo 2.

 

Le iniziative ex art. 116, terzo comma, avviate

 

L’art. 116 Cost. stabilisce che l’iniziativa per l’attribuzione di ulteriori forme di autonomia spetta alla regione interessata, sentiti gli enti locali, e che la legge Statale di trasferimento di funzioni è approvata - a maggioranza assoluta dei componenti delle Camere – sulla base di intese tra Stato e regione. Il dettato costituzionale non reca disposizioni applicabili ai fini della determinazione delle intese, che sono oggetto del presente provvedimento.

Pur in assenza di una cornice normativa di dettaglio, tutte le regioni a statuto ordinario, ad eccezione dell’Abruzzo, hanno avviato a partire dal 2017 iniziative per l’attribuzione di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia.

Le regioni Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto sono quelle che si trovano nello stato più avanzato del processo. Queste tre regioni hanno sottoscritto distinti accordi preliminari con il Governo pro tempore il 28 febbraio 2018, alla fine della XVII legislatura, e hanno proseguito i negoziati anche nella legislatura successiva. Le altre regioni hanno deliberato di avviare i negoziati senza pervenire alla sottoscrizione di accordi con il Governo.

In Emilia-Romagna il procedimento è stato avviato con l’approvazione da parte dell’Assemblea legislativa di quattro risoluzioni: n. 5321, n. 5600, n. 6124 e 6129 (in data 3 ottobre 2017, 14 novembre 2017 e 12 febbraio 2018) che impegnavano il presidente della giunta regionale ad avviare il negoziato con il Governo ai fini dell’intesa prevista dall’articolo 116.

In Lombardia e in Veneto, il 22 ottobre 2017, si sono svolti contestualmente due distinti referendum consultivi regionali a seguito dei quali il Consiglio regionale della Lombardia ha approvato una risoluzione per chiedere l’attribuzione di ulteriori forme di autonomia (7 novembre 2017), mentre il Consiglio regionale del Veneto ha deliberato una proposta di legge statale di iniziativa regionale per gli stessi fini (15 novembre 2017). La scelta dei referendum è stata legittimata dalla Corte costituzionale che ha circoscritto l'ambito entro cui può essere esercitata. In particolare, la Corte si è pronunciata, con la sentenza n. 118 del 2015, sulle leggi della regione Veneto n. 15/2014 ("Referendum consultivo sull'autonomia del Veneto") e n. 16/2014 ("Indizione del referendum consultivo sull'indipendenza del Veneto"), facendo salvo il quesito su cui gli elettori veneti si sono pronunciati il 22 ottobre 2017 ("Vuoi che alla Regione del Veneto siano attribuite ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia?"), in quanto il quesito ripete testualmente l’espressione usata nell’art. 116, terzo comma, Cost., collocandosi nel quadro della differenziazione delle autonomie regionali prevista da tale disposizione.

Successivamente, i Presidenti delle due regioni, con distinte comunicazioni indirizzate al Presidente del Consiglio, hanno richiesto formalmente al Governo di avviare il procedimento previsto dall’art. 116.

Sono, pertanto, iniziati i negoziati con le tre regioni attraverso incontri, condotti da parte del Governo dal Sottosegretario di Stato per gli affari regionali, a conclusione dei quali sono stati sottoscritti i tre accordi del febbraio 2018.

All'inizio della XVIII legislatura sono ripresi i negoziati e le tre regioni che avevano stipulato gli accordi preliminari hanno manifestato al Governo l'intenzione di ampliare il novero delle materie da trasferire (Camera dei deputati, Interrogazione a risposta immediata n. 3-00065, seduta del 11 luglio 2018).

Nella seduta del Consiglio dei ministri del 14 febbraio 2019, il Ministro per gli Affari regionali "ha illustrato i contenuti delle intese. Il Consiglio dei ministri ne ha preso atto e condiviso lo spirito".

Successivamente, con riferimento agli schemi di intesa, il Ministro per gli affari regionali pro tempore, Stefani, ha riferito alla Commissione per le questioni regionali che circa le trattative con le regioni Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna «si è raggiunto un punto di definizione che [..] individua da una parte un testo su cui si è trovato il consenso delle parti rispetto alla richiesta, e dall'altra, una parte, comunque significativa, su cui invece le posizioni non hanno trovato un punto di equilibrio». In particolare, la mancata convergenza riguarda parti del testo in cui emergono differenze fra le richieste delle regioni e le proposte o le riformulazioni predisposte dai Ministeri competenti. Inoltre, il Ministro ha segnalato di aver portato all'attenzione del Consiglio dei ministri tali nodi problematici e ha fatto presente di non poter mettere a disposizione della Commissione una bozza di intesa prima che Governo nella sua collegialità raggiunga una posizione condivisa su tali nodi, ma comunque ne ha illustrato i contenuti.

Quanto alla procedura di attuazione, nelle bozze di intesa, come riferito dal Ministro, si prevede l'istituzione, con DPCM (da adottare entro 30 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di approvazione dell'intesa), di una Commissione paritetica Stato-Regione, composta di nove rappresentanti di nomina governativa (designati dal Ministro per gli affari regionali) e di altrettanti indicati dalla Giunta regionale. Alla Commissione è affidato il compito di determinare, entro 120 giorni dalla sua istituzione, le risorse finanziarie, umane e strumentali, nonché le forme di raccordo con le amministrazioni centrali, necessarie per l'esercizio delle funzioni oggetto di autonomia differenziata. Si prevede, inoltre, che, sempre con DPCM, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, siano trasferiti beni e risorse, determinati dalla Commissione paritetica. Tale trasferimento comporta la contestuale soppressione o il ridimensionamento, in rapporto a eventuali compiti residui, dell'amministrazione statale periferica nonché delle amministrazioni statali centrali. Al riordino delle amministrazioni statali si provvede con regolamenti ex articolo 17, comma 4-bis, della legge n. 400 del 1988, da adottare entro 120 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di approvazione dell'intesa (Commissione parlamentare per le questioni regionali, Indagine conoscitiva sul processo di attuazione del «regionalismo differenziato» ai sensi dell’articolo 116, terzo comma, della costituzione, seduta del 28 maggio 2019).

Successivamente, l'impostazione seguita dal Governo nel processo di attuazione del regionalismo a geometria variabile è cambiata ed è emersa la necessità di elaborare una legge quadro entro cui inserire le intese (si veda l’audizione del Ministro pro tempore per gli affari regionali Boccia sulle linee programmatiche di sua competenza, Commissione parlamentare per le questioni regionali, seduta del 2 ottobre 2019).

Per un quadro complessivo delle fasi di negoziato tra le tre regioni e il Governo e sul contenuto delle intese si veda il documento conclusivo dell’indagine conoscitiva sul processo di attuazione del «regionalismo differenziato» ai sensi dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione, approvato dalla Commissione parlamentare per le questioni regionali il 12 luglio 2022.

 

Il comma 2, con riferimento alle regioni a statuto speciale e alle province autonome di Trento e di Bolzano, ribadisce l'applicazione dell'articolo 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 di approvazione della riforma del Titolo V. Questa disposizione prevede che “Sino all'adeguamento dei rispettivi statuti, le disposizioni della presente legge costituzionale [che comprendeva quindi anche il terzo comma dell’articolo 116] si applicano anche alle Regioni a statuto speciale ed alle province autonome di Trento e di Bolzano per le parti in cui prevedono forme di autonomia più ampie rispetto a quelle già attribuite.”.

In proposito la relazione illustrativa afferma che “sino all’adeguamento dei rispettivi statuti” anche le regioni a statuto speciale e le province autonome “possono concludere intese per acquisire nuove competenze nelle materie indicate dall’articolo 116, terzo comma, della Costituzione”.

In tal senso, sembra prefigurarsi un procedimento nel quale, per il trasferimento delle materie previste dall’articolo 116, terzo comma, nelle regioni a statuto speciale si potrà procederà con le intese e con la legge di recepimento, secondo quanto previsto da tale disposizione costituzionale, e non con la modifica degli statuti speciali con legge costituzionale, come previsto per le altre materie, ferma restando la possibilità di un successivo adeguamento degli statuti speciali.

In proposito si ricorda però che l’articolo 116, stabilisce, al primo comma, che le regioni a statuto speciale “dispongono di forme e condizioni speciali di autonomia secondo i rispettivi statuti speciali adottati con legge costituzionale” mentre, come già più volte rammentato, il terzo comma afferma che “ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia” nelle materie di legislazione concorrente e con riferimento all’organizzazione della giustizia di pace, alle norme generali dell’istruzione e alla tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali, “possono essere attribuite ad altre Regioni”.

 

Al riguardo, si valuti l’opportunità di un approfondimento.

 

Il comma 3, fa salva la clausola di salvaguardia per l'esercizio del potere sostitutivo del Governo ai sensi dell'articolo 120, secondo comma, della Costituzione.

 

Poteri sostitutivi

 

Il secondo comma dell'art. 120 Cost. disciplina l'esercizio da parte dello Stato di poteri sostitutivi rispetto agli organi delle regioni, delle città metropolitane, delle province e dei comuni. Tali poteri sono attivabili quando si riscontri che gli enti interessati non abbiano adempiuto a norme e trattati internazionali o alla normativa comunitaria oppure vi sia pericolo grave per la sicurezza e l'incolumità pubblica, ovvero lo richieda la tutela dell'unità giuridica o dell'unità economica e in particolare la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali.

La disposizione costituzionale demanda ad una successiva legge statale di attuazione il compito di disciplinare l'esercizio dei poteri sostituitivi nel rispetto dei principi di sussidiarietà e di leale collaborazione.

L'articolo 8 della L. 131/2003, nel dettare le norme attuative dell'articolo 120, comma secondo, della Costituzione, ha in primo luogo delineato un meccanismo che ruota attorno alla fissazione di un congruo termine per l'adozione da parte dell'ente degli "atti dovuti o necessari". Decorso tale termine, il Consiglio dei ministri, sentito l'organo interessato, su proposta del Ministro competente o del Presidente del Consiglio dei ministri, adotta i provvedimenti necessari, anche normativi, ovvero nomina un commissario. Il comma 1 dell'articolo 8, facendo espresso riferimento a provvedimenti "anche normativi", prefigura la possibile adozione, da parte del Governo, di atti di natura regolamentare, nonché di natura legislativa.

Il successivo articolo 10 della L. 131/2003 affida l'esecuzione di provvedimenti costituenti esercizio del potere sostitutivo direttamente adottati dal Consiglio dei ministri al rappresentante dello Stato per i rapporti con le autonomie, ossia al prefetto titolare dell'Ufficio territoriale del Governo del capoluogo di regione, cui sono trasferite le funzioni del Commissario del Governo compatibili con la riforma costituzionale del 2001.

La L. 131/2003 prevede una seconda "procedura settoriale" (art. 8, comma 3) per i casi in cui l'esercizio del potere sostitutivo riguardi gli enti locali (comuni, province e città metropolitane). In questi casi la nomina del commissario debba tenere conto dei princìpi di sussidiarietà e di leale collaborazione e si richiede, per l'adozione dei provvedimenti sostitutivi da parte del commissario stesso, che sia sentito il Consiglio delle autonomie locali (qualora tale organo sia stato istituito).

Poiché anche tale disposizione pare innestarsi come specificazione di una particolare fase procedurale, nell'ambito della disciplina generale delineata dal comma 1, essa non comporta l'esclusione dell'esercizio dei poteri sostitutivi nei riguardi degli enti locali secondo l'altra opzione indicata dal comma 1, ossia attraverso l'adozione, direttamente da parte del Consiglio dei ministri, dei provvedimenti necessari, anche normativi.

Il comma 5 dell'articolo 8 evidenzia infine che i provvedimenti sostitutivi "devono essere proporzionati alle finalità perseguite"; in base al comma 6, il Governo può promuovere la stipula di intese in sede di Conferenza Stato-Regioni o di Conferenza unificata, dirette a favorire l'armonizzazione delle rispettive legislazioni o il raggiungimento di posizioni unitarie o il conseguimento di obiettivi comuni.


 



[1]     La Commissione tecnica per i fabbisogni standard è prevista dall’articolo 1, comma 29, della legge n. 208 del 2015 e dal decreto legislativo n. 216 del 2010.

[2]     Si veda l'Allegato riveduto della Decisione di esecuzione del Consiglio  relativa all'approvazione della valutazione del piano per la ripresa e la resilienza dell'Italia dell'8 luglio 2021 reperibile al seguente indirizzo: https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CONSIL:ST_10160_2021_ADD_1_REV_2&from=EN#:~:text=La%20misura%20prevede%20lo%20sviluppo,(investimento%201.3.1).

[3]     Si ricorda che il nuovo sistema, volto a garantire l’attuazione dei principi costituzionali in tema di autonomia di entrata delle regioni a statuto ordinario (di cui al decreto legislativo n. 68 del 2011), avrebbe dovuto essere effettivo, nelle intenzioni del legislatore delegato, sin dal 2013. Esso è stato invece oggetto di successivi rinvii fino all’ultimo disposto con il citato comma 788 dell’articolo 1 della legge n. 197 del 2022

[4]     In proposito si ricorda però un orientamento della giurisprudenza costituzionale volto a ricondurre la disciplina del personale della scuola alla competenza legislativa esclusiva in materia di ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato di cui all’articolo 117, secondo comma, lettera g), della Costituzione (sentenza n. 76 del 2013 della Corte costituzionale), competenza che non può essere oggetto di trasferimento alle regioni ai sensi dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione.

[5]     In questo senso si veda, in termini generali, Corte costituzionale n. 26 del 1966. In termini più specifici si vedano poi Corte costituzionale n. 20 del 1956, n. 180 del 1980, n. 237 del 1983, n. 212 del 1984, n. 160 del 1985, n. 213 del 1998, n. 341 del 2001, n. 353 del 2001, n. 51 del 2006, n. 82 del 2015, n. 198 del 2018, n. 31 del 2019 e n. 63 del 2023, per quanto concerne le norme di attuazione degli Statuti delle regioni a statuto speciale, e Corte costituzionale n. 78 del 1984, n. 379 del 1996 e n. 237 del 2022, relativamente ai regolamenti parlamentari.

[6]     Al riguardo si rammenta, in particolare, che, nella sentenza n. 78 del 1984, la Corte costituzionale - dopo aver ricordato che "...L'art. 64, primo comma, Cost., statuisce che " ciascuna Camera adotta il proprio regolamento". Ed è "secondo le norme del suo regolamento" che ognuna delle due Camere esamina i disegni di legge (art. 72, primo comma, Cost.); è ancora il regolamento di ognuna delle due Camere che può persino stabilire "procedimenti abbreviati" (art. 72, secondo comma, Cost.); è sempre il regolamento di ognuna delle due Camere che "può altresì stabilire", tanto i "casi", quanto le "forme", in cui i disegni di legge possono addirittura essere approvati in commissione, anziché nel plenum (art. 72, terzo comma, Cost.)" - ha rilevato che da tali dati testuali "la cui fedele trascrizione ne mostra l'univocità, risultano la spettanza di autonomia normativa ad entrambi i rami del Parlamento e la peculiarità e dimensione di tale autonomia. É riconosciuta, infatti, a ciascuna Camera la potestà di disciplinare il procedimento legislativo in tutto ciò che non sia direttamente ed espressamente già disciplinato dalla Costituzione. Ne consegue che questa lascia un margine piuttosto ampio all'interpretazione ed attuazione del pensiero del costituente in materia e che l'interpretazione ed attuazione in parola sono di esclusiva spettanza di ciascuna Camera. Ciò significa che, relativamente alla disciplina del procedimento legislativo, i regolamenti di ogni Camera in quanto diretto svolgimento della Costituzione, sono esercizio di una competenza sottratta alla stessa legge ordinaria...". Nella medesima prospettiva, nella sentenza n. 379 del 1996, la Corte costituzionale ha ribadito che "...Lo statuto di garanzia delle Assemblee parlamentari risulta ... definito, e al tempo stesso delimitato quanto alla sua operatività, da un unitario e sistematico insieme di disposizioni costituzionali, fra le quali campeggiano gli artt. 64 e 72. Essi riservano ai regolamenti parlamentari, votati a maggioranza assoluta da ciascuna Camera, l'organizzazione interna e, rispettivamente, la disciplina del procedimento legislativo per la parte non direttamente regolata dalla Costituzione...", precisando in via ulteriore che " ... i diritti la cui titolarità ed il cui esercizio abbiano come presupposto lo status di parlamentare e ne connotino la funzione possiedono ... uno statuto fondato sulla Costituzione e plasmato dal principio di autonomia delle Camere. È in relazione a tali diritti che la non interferenza ... si afferma con la massima cogenza, in quanto essa è finalizzata al soddisfacimento del bene protetto dagli artt. 64, 72 e 68 della Costituzione: la garanzia del libero agire del Parlamento nell'ambito suo proprio ...". Infine, in senso conforme, nella sentenza n. 237 del 2022 la Corte costituzionale ha ancora una volta affermato che “il regolamento parlamentare è espressamente previsto dall’art. 64 come atto normativo dotato di una sfera di competenza riservata e distinta rispetto a quella della legge ordinaria, «nella quale, pertanto, neppure questa è abilitata ad intervenire».”.

[7]     Si considerino, ad esempio, le già ricordate norme di attuazione degli Statuti delle regioni a statuto speciale, il cui ambito di competenza riservato è previsto dalle leggi costituzionali con cui sono stati adottati i predetti statuti (articolo 43 dello Statuto per la Regione siciliana, articolo 56 dello Statuto speciale per la Sardegna, articolo 107 del Testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige, articolo 48-bis dello Statuto speciale per la Valle d’Aosta, articolo 65 dello Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia), nonché gli statuti delle regioni a statuto ordinario, il cui ambito di competenza riservato è previsto dall’articolo 123 della Costituzione.

[8]     Si rammenta che, già nella sentenza n. 282 del 2002, la Corte costituzionale ebbe a precisare che “i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali non sono una materia in senso stretto, ma una competenza del legislatore idonea a investire tutte le materie, rispetto alle quali il legislatore stesso deve poter porre le norme necessarie per assicurare a tutti, sull'intero territorio nazionale, il godimento di prestazioni garantite, come contenuto essenziale dei diritti, senza che la legislazione regionale possa limitarle o condizionarle”. Si vedano nello stesso senso altresì Corte costituzionale n. 94 e n. 162 del 2007, n. 50 e n. 168 del 2008, n. 322 del 2009, n. 10 del 2010, n. 232 del 2011, n. 203 del 2012 e n. 91 del 2020.

[9]     Si rammenta che, attualmente, risultano già vigenti due disposizioni di legge ordinaria finalizzate all’attuazione del disposto del terzo comma dell’articolo 116 della Costituzione. Si tratta in particolare dell’articolo 14 della legge n. 42 del 2009, recante delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell'articolo 119 della Costituzione, e dell’articolo 1, comma 571, della legge n. 147 del 2013 (legge di stabilità 2014). La prima disposizione richiamata prevede che con la legge con cui si attribuiscono, ai sensi dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione, forme e condizioni particolari di autonomia a una o più regioni si provvede altresì all'assegnazione delle necessarie risorse finanziarie, in conformità all'articolo 119 della Costituzione e ai princìpi della medesima legge n. 42. La seconda disposizione richiamata prevede, invece, che il Governo si attiva sulle iniziative delle regioni presentate al Presidente del Consiglio dei ministri e al Ministro per gli affari regionali ai fini dell'intesa ai sensi dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione nel termine di sessanta giorni dal ricevimento. Si prevede inoltre che questa disposizione si applica anche alle iniziative presentate prima della data di entrata in vigore della medesima, in applicazione del principio di continuità degli organi e delle funzioni, con decorrenza del termine di sessanta giorni dalla data di entrata in vigore predetta.

[10]   Come, ad esempio, nel caso delle disposizioni volte a prevedere il parere della Conferenza unificata su ciascuno schema di intesa preliminare o quelle volte a prevedere che lo schema di intesa preliminare sia trasmesso alle Camere affinché le stesse possano esprimersi su di esso con atti di indirizzo ai sensi dell’articolo 2 ovvero come nel caso delle disposizioni volte a prevedere il parere delle Camere sugli schemi di decreti del Presidente del Consiglio dei ministri con i quali sono determinati i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale (LEP) e i relativi costi e fabbisogni standard ai sensi dell’articolo 3.

[11]   Va sottolineato, al riguardo, che l’assenza di una previsione costituzionale che contenga un rinvio esplicito alla legge di attuazione esclude necessariamente che le norme di quest’ultima possano operare come norme interposte (come, ad esempio, avviene nel caso paradigmatico della delegazione legislativa ovvero – per effetto delle modifiche apportate dalla legge costituzionale n. 3 del 2001 e della conseguente evoluzione della giurisprudenza costituzionale a partire dalle sentenze n. 348 e n. 349 del 2007 – nel caso degli obblighi internazionali ai quali fa riferimento l’articolo 117, primo comma, della Costituzione, nei limiti precisati nella richiamata giurisprudenza costituzionale, o ancora - per effetto delle modifiche apportate dalla legge costituzionale n. 1 del 2012 - per le disposizioni contenute nella legge rinforzata di cui al sesto comma dell’articolo 81 della Costituzione) alla stregua delle quali possa essere valutata la legittimità costituzionale delle successive leggi che attribuiranno, in concreto, le ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia alle singole regioni, sulla base delle intese che verranno di volta in volta concluse.

[12]   Sul punto si rinvia anche alle considerazioni più avanti svolte in sede di commento del comma 6 dell’articolo 7 del disegno di legge in esame.

[13]   Si riporta qui di seguito il testo del richiamato comma 791: “791. Ai fini della completa attuazione dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione e del pieno superamento dei divari territoriali nel godimento delle prestazioni, il presente comma e i commi da 792 a 798 disciplinano la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti in tutto il territorio nazionale, ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione, quale soglia di spesa costituzionalmente necessaria che costituisce nucleo invalicabile per erogare le prestazioni sociali di natura fondamentale, per assicurare uno svolgimento leale e trasparente dei rapporti finanziari tra lo Stato e le autonomie territoriali, per favorire un'equa ed efficiente allocazione delle risorse collegate al Piano nazionale di ripresa e resilienza, approvato con il decreto-legge 6 maggio 2021, n. 59, convertito, con modificazioni, dalla legge 1° luglio 2021, n. 101, e il pieno superamento dei divari territoriali nel godimento delle prestazioni inerenti ai diritti civili e sociali e quale condizione per l'attribuzione di ulteriori funzioni. L'attribuzione di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia di cui all'articolo 116, terzo comma, della Costituzione, relative a materie o ambiti di materie riferibili, ai sensi del comma 793, lettera c), del presente articolo, ai diritti civili e sociali che devono essere garantiti in tutto il territorio nazionale, è consentita subordinatamente alla determinazione dei relativi livelli essenziali delle prestazioni (LEP)”.

[14]   Si vedano, a titolo esemplificativo, Corte costituzionale n. 220 del 2021, n. 142 del 2021, e n. 62 del 2020. L’imprescindibilità del processo di definizione e finanziamento dei LEP è stata, da ultimo, ancora una volta ribadita dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 71 del 2023.

[15]   Per quanto riguarda la definizione dei LEP in materia di tutela della salute la relazione di accompagnamento del disegno di legge e la richiamata analisi tecnico-normativa rilevano che resta fermo il quadro normativo relativo ai livelli essenziali di assistenza — LEA, già disciplinati dal decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 nonché dal decreto del Presidente del consiglio dei ministri 12 gennaio 2017 e restano altresì ferme le procedure di aggiornamento dei LEA disciplinate dall'articolo 1, comma 554 e seguenti, della legge n. 208 del 2015, nonché il sistema di monitoraggio vigente nel settore sanitario, come già convenuto nelle Intese Stato-Regioni di settore e conseguenti normative di riferimento.

[16]   In ordine alla portata dell’articolo 118, primo comma, della Costituzione si ritiene comunque utile rammentare che, a partire dalla sentenza n. 303 del 2003, la Corte costituzionale ha precisato che tale disposizione “si riferisce esplicitamente alle funzioni amministrative, ma introduce per queste un meccanismo dinamico che finisce col rendere meno rigida, come si chiarirà subito appresso, la stessa distribuzione delle competenze legislative, là dove prevede che le funzioni amministrative, generalmente attribuite ai Comuni, possano essere allocate ad un livello di governo diverso per assicurarne l’esercizio unitario, sulla base dei principî di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza. E’ del resto coerente con la matrice teorica e con il significato pratico della sussidiarietà che essa agisca come subsidium quando un livello di governo sia inadeguato alle finalità che si intenda raggiungere; ma se ne è comprovata un’attitudine ascensionale deve allora concludersi che, quando l’istanza di esercizio unitario trascende anche l’ambito regionale, la funzione amministrativa può essere esercitata dallo Stato. Ciò non può restare senza conseguenze sull’esercizio della funzione legislativa, giacché il principio di legalità, il quale impone che anche le funzioni assunte per sussidiarietà siano organizzate e regolate dalla legge, conduce logicamente ad escludere che le singole Regioni, con discipline differenziate, possano organizzare e regolare funzioni amministrative attratte a livello nazionale e ad affermare che solo la legge statale possa attendere a un compito siffatto … Una volta stabilito che, nelle materie di competenza statale esclusiva o concorrente, in virtù dell’art. 118, primo comma, la legge può attribuire allo Stato funzioni amministrative e riconosciuto che, in ossequio ai canoni fondanti dello Stato di diritto, essa è anche abilitata a organizzarle e regolarle, al fine di renderne l’esercizio permanentemente raffrontabile a un parametro legale, resta da chiarire che i principî di sussidiarietà e di adeguatezza convivono con il normale riparto di competenze legislative contenuto nel Titolo V e possono giustificarne una deroga solo se la valutazione dell’interesse pubblico sottostante all’assunzione di funzioni regionali da parte dello Stato sia proporzionata, non risulti affetta da irragionevolezza alla stregua di uno scrutinio stretto di costituzionalità, e sia oggetto di un accordo stipulato con la Regione interessata …” (nella stesso senso si vedano anche Corte costituzionale n. 6 del 2004, n. 7 e n. 142 del 2016, n. 246 del 2019, n. 40 e n. 123 del 2022, e da ultimo Corte costituzionale n. 6 del 2023, nella quale, tra l’altro, si è ribadito che i necessari strumenti di collaborazione fra Stato e regione “non sono univoci, ma si diversificano «in relazione al tipo di interessi coinvolti e alla natura e all’intensità delle esigenze unitarie che devono essere soddisfatte» nonché alle competenze incise”.

[17]   Il testo integrale del parere è consultabile al seguente indirizzo: https://www.statoregioni.it/media/5657/p-2-cu-atto-rep-n-17-2mar2023.pdf .

[18]   Si vedano in tal senso, a titolo esemplificativo, Corte costituzionale n. 206 del 2001, n. 22 del 2012, n. 188 del 2015, n. 10 e n. 205 del 2016, n. 137 del 2018, n. 135 e n. 155 del 2020 e n. 73 del 2023.

[19]   Più in particolare ai sensi della richiamata disposizione le funzioni fondamentali dei comuni, ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lettera p), della Costituzione, sono le seguenti:

      a) organizzazione generale dell'amministrazione, gestione finanziaria e contabile e controllo;

      b) organizzazione dei servizi pubblici di interesse generale di ambito comunale, ivi compresi i servizi di trasporto pubblico comunale;

      c)  catasto, ad eccezione delle funzioni mantenute allo Stato dalla normativa vigente;

      d) pianificazione urbanistica ed edilizia di ambito comunale nonché partecipazione alla pianificazione territoriale di livello sovracomunale;

      e) attività, in ambito comunale, di pianificazione di protezione civile e di coordinamento dei primi soccorsi;

      f) organizzazione e gestione dei servizi di raccolta, avvio e smaltimento e recupero dei rifiuti urbani e riscossione dei relativi tributi;

      g) progettazione e gestione del sistema locale dei servizi sociali e erogazione delle relative prestazioni ai cittadini, secondo quanto previsto dall'articolo 118, quarto comma, della Costituzione;

      h) l’edilizia scolastica per la parte non attribuita alla competenza delle province, l’organizzazione e la gestione dei servizi scolastici;

      i) polizia municipale e polizia amministrativa locale;

      l)  tenuta dei registri di stato civile e di popolazione e compiti in materia di servizi anagrafici nonché in materia di servizi elettorali, nell'esercizio delle funzioni di competenza statale;

      m) i servizi in materia statistica.

[20]   Più in particolare ai sensi delle richiamate disposizioni le funzioni fondamentali delle province, ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lettera p), della Costituzione, sono le seguenti:

      a) pianificazione territoriale provinciale di coordinamento, nonché tutela e valorizzazione dell'ambiente, per gli aspetti di competenza;

      b) pianificazione dei servizi di trasporto in ambito provinciale, autorizzazione e controllo in materia di trasporto privato, in coerenza con la programmazione regionale, nonché costruzione e gestione delle strade provinciali e regolazione della circolazione stradale ad esse inerente;

      c) programmazione provinciale della rete scolastica, nel rispetto della programmazione regionale;

      d) raccolta ed elaborazione di dati, assistenza tecnico-amministrativa agli enti locali;

      e) gestione dell'edilizia scolastica;

      f) controllo dei fenomeni discriminatori in ambito occupazionale e promozione delle pari opportunità sul territorio provinciale;

      g) cura dello sviluppo strategico del territorio e gestione di servizi in forma associata in base alle specificità del territorio medesimo;

      h) cura delle relazioni istituzionali con province, province autonome, regioni, regioni a statuto speciale ed enti territoriali di altri Stati, con esse confinanti e il cui territorio abbia caratteristiche montane, anche stipulando accordi e convenzioni con gli enti predetti.

[21]   Più in particolare ai sensi della richiamata disposizione le funzioni fondamentali delle città metropolitane, ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lettera p), della Costituzione, sono – oltre alle funzioni fondamentali delle province - le seguenti:

      a) adozione e aggiornamento annuale di un piano strategico triennale del territorio metropolitano, che costituisce atto di indirizzo per l'ente e per l'esercizio delle funzioni dei comuni e delle unioni di comuni compresi nel predetto territorio, anche in relazione all'esercizio di funzioni delegate o assegnate dalle regioni, nel rispetto delle leggi delle regioni nelle materie di loro competenza;

      b) pianificazione territoriale generale, ivi comprese le strutture di comunicazione, le reti di servizi e delle infrastrutture appartenenti alla competenza della comunità metropolitana, anche fissando vincoli e obiettivi all'attività e all'esercizio delle funzioni dei comuni compresi nel territorio metropolitano;

      c) strutturazione di sistemi coordinati di gestione dei servizi pubblici, organizzazione dei servizi pubblici di interesse generale di ambito metropolitano. D'intesa con i comuni interessati la città metropolitana può esercitare le funzioni di predisposizione dei documenti di gara, di stazione appaltante, di monitoraggio dei contratti di servizio e di organizzazione di concorsi e procedure selettive;

      d) mobilità e viabilità, anche assicurando la compatibilità e la coerenza della pianificazione urbanistica comunale nell'ambito metropolitano;

      e) promozione e coordinamento dello sviluppo economico e sociale, anche assicurando sostegno e supporto alle attività economiche e di ricerca innovative e coerenti con la vocazione della città metropolitana come delineata nel piano strategico del territorio di cui alla lettera a);

      f) promozione e coordinamento dei sistemi di informatizzazione e di digitalizzazione in ambito metropolitano.