La partecipazione delle donne alla vita politica e istituzionale - seconda edizione 31 luglio 2024 |
L'Italia secondo gli indici internazionaliNell'La posizione dell'Italiaindice sull'uguaglianza di genere 2023 (relativo a dati in prevalenza 2021-2022) elaborato dall'EIGE, l'Italia ha ottenuto un punteggio di 68,2 su 100 (+3,2 rispetto all'edizione 2022). Tale punteggio è inferiore alla media dell'UE di 2 punti, ma l'Italia è tra i Paesi che nell'ultimo ventennio hanno fatto registrare i maggiori progressi tra tutti gli Stati membri dell'UE, migliorando di 12 posizioni la sua graduatoria dal 2005 e di 8 posizioni dal 2010. In particolare, dal 2010 l'Italia ha guadagnato 14,9 punti, che rappresenta il maggiore incremento in termini di punteggio complessivo tra tutti gli Stati membri. I miglioramenti sia a lungo che a breve termine sono dovuti principalmente a migliori prestazioni nel dominio del potere. Dal 2020 il punteggio complessivo dell'Italia è aumentato di 3,2 punti. I principali fattori che hanno portato a questo incremento sono stati i miglioramenti nei domini del tempo (+ 8,1 punti) e del potere (+ 5,8 punti). Ne consegue che l'Italia, nell'ultimo anno di rilevazione, ha migliorato la sua classifica generale di una posizione, raggiungendo il 13° posto tra i 27 Stati membri. Secondo la Strategia nazionale per la parità di genere 2021-2026 (su cui, si v. infra) l'Italia si è posta l'obiettivo di guadagnare 5 punti nella classifica dell'EIGE dal 2021 al 2026 per raggiungere un posizionamento migliore rispetto alla media europea e di rientrare tra i primi 10 paesi europei in 10 anni. L'Istituto europeo per l'uguaglianza di genere (EIGE), agenzia autonoma dell'Unione europea, pubblica dal 2013 il Indice EIGE sull'uguaglianza di genererapporto sull'indice dell'uguaglianza di genere. Il Rapporto 2023 contiene anche un focus tematico sulla transizione verso il Green Deal europeo analizzando i seguenti aspetti: atteggiamenti e comportamenti dell'opinione pubblica in materia di cambiamenti climatici; energia; trasporti; processi decisionali.
Peculiare del rapporto è l'elaborazione di un indicatore sintetico ma esaustivo delle disparità di genere nell'Unione europea e nei singoli Stati membri. L'indice utilizza una
scala da 1 a 100, dove 1 è per la disuguaglianza totale e 100 è per l'uguaglianza totale. I punteggi si basano sul divario tra donne e uomini e sui livelli di rendimento in sei settori principali, articolati in sottodomini, a ognuno dei quali viene assegnato un punteggio da 1 a 100, frutto della sintesi degli indicatori osservati per ciascuno. I domini oggetto di monitoraggio sono:
Dal 2019 l'Indice rileva anche due aree aggiuntive, quella della violenza contro le donne e quella delle disuguaglianze intersezionali (quelle forme cioè di discriminazione basate su più fattori che interagiscono tra loro in modo da non poter più essere distinti e separati): si tratta di domini satellite che al momento non vengono presi in considerazione nel calcolo del valore finale dell'indice.
Il Rapporto 2023 registra il maggiore incremento annuale nel punteggio complessivo mai raggiunto dall'indice: l'UE ha superato per la prima volta i 70 punti, con una crescita di 1,6 dal 2022 (che aveva il punteggio di 68,6). Ma il quadro dei Paesi resta eterogeneo. Undici sono al di sopra della media UE: in cima alla graduatoria spiccano Svezia (83,2), Danimarca (77,8 punti) e Paesi Bassi (77,9), che da tempo hanno i migliori risultati e sono in stallo; nei primi dieci anche la Francia (75,7 punti), la Spagna (77,4) e la Germania (70,8). Più di un terzo degli Stati membri ha ottenuto meno di 62 punti, con Romania (56,1 punti), Ungheria (57,3 punti) e Repubblica ceca (57,9 punti),che hanno la strada più lunga da percorrere.
L'analisi di convergenza mostra complessivamente un miglioramento medio dell'uguaglianza di genere, accompagnato da una diminuzione delle disparità tra gli Stati membri per il periodo 2010-2021. Nonostante i loro diversi punti di partenza, 15 Stati membri (BE, BG, DK, IE, EL, HR, IT, CY, LT, MT, NL, PT, SI, FI e SE) si sono avvicinati alla media UE nel corso del tempo. I restanti 12 Stati membri (CZ, DE, EE, ES, FR, LV, LU, HU, AT, PL, RO e SK) hanno aumentato la loro distanza dalla media UE.
In tale contesto, il rapporto include l'Italia nel gruppo dei Paesi in recupero, ossia quei Paesi che hanno punteggi dell'indice inferiori alla media dell'UE, ma con miglioramenti più rapidi, che riducono il divario nel tempo.
I punteggi dell'Italia sono inferiori a quelli della media UE negli ambiti di tempo, lavoro, denaro e conoscenze e superiori in quelli di potere e salute I punteggi più alti dell'Italia riguardano il dominio della salute (89,2 punti), in cui si colloca al 9° posto rispetto agli altri Stati membri, anche se dal 2020 i progressi nel punteggio si sono arrestati (+ 0,2 punti). All'interno di questo dominio, il risultato migliore (98,6 punti) è nel sottodominio dell'accesso alla salute. Pur vantando un buon posizionamento nel dominio del denaro (80,3 punti), collocandosi al 14° posto rispetto agli altri Stati membri, anche in questo caso dal 2020 si registra una situazione di stallo senza progressi ulteriori, anzi con un peggioramento nel corso del decennio nel parametro della situazione economica (-2 punti). Le disuguaglianze di genere sono più pronunciate nei domini del potere (62,7 punti), del tempo (67,4 punti) e della conoscenza (60,8 punti), seppur con differenze notevoli. L'Italia ha il punteggio più basso di tutti gli Stati membri dell'UE nel settore del lavoro (63,2). Infatti, il dominio del tempo è quello nel quale si registra il principale miglioramento dal 2020 (+ 8,1 punti) conseguito dall'Italia, salendo dal 16º al 12º posto in classifica. Un miglioramento del sottodominio delle attività assistenziali (+ 13,0 punti) ha rappresentato la chiave di volta di questo cambiamento. Anche nel sottodominio delle attività sociali dal 2020 l'Italia ha registrato un miglioramento (+ 3,8 punti), passando dal 15º al 5º posto. Per quanto riguarda il dominio del potere, l'ultimo anno ha fatto registrare all'Italia un aumento di 5,8 punti, per la gran parte derivanti dal sottodominio del processo decisionale economico, con particolare riferimento alla più equa composizione dei consigli di amministrazione delle banche centrali. Il Rapporto 2023 conferma che le prestazioni dell'Italia potrebbero essere notevolmente migliorate nel settore del lavoro, in cui il nostro Paese si colloca dal 2010 costantemente all'ultimo posto tra tutti gli Stati membri dell'UE. Dal 2020 il punteggio dell'Italia è aumentato di 1,8 punti in questo dominio. Ciononostante restano elevati livelli di disuguaglianza di genere principalmente nei sottodomini della partecipazione sul luogo di lavoro e in quello della qualità del lavoro. A livello mondiale, secondo l'analisi annuale del World economic forum sul Global Gender Gap ReportGlobal Gender Gap, nella graduatoria diffusa nel 2024, l'Italia si colloca all'87° posto, su 146 Paesi, con un punteggio complessivo di 0,703 su 1, indicando una sostanziale stagnazione nella riduzione delle disparità di genere. Il punteggio rappresenta un lieve declino rispetto all'anno precedente, accompagnato da un calo di otto posizioni nella classifica mondiale (l'Italia era al 79° posto nel 2023, 67° nel 2022 e 2021, 76° nel 2020, al 70° nel 2018, all'82° posto nel 2017, al 50° nel 2016, al 41° nel 2015, al 69° nel 2014, al 71° nel 2013, all'80° nel 2012, al 74° nel 2011 e nel 2010, al 72° nel 2009, al 67° posto nel 2008, all'84° nel 2007 e al 77° nel 2006). L'indice tiene conto delle disparità di genere esistenti nel campo della politica, dell'economia, dell'istruzione e della salute (l'indice varia da 0=massima disparità di genere; 1=perfetta parità di genere). In questa statistica a penalizzare l'Italia è principalmente la difficoltà a raggiungere la parità di genere nel mercato del lavoro, come evidenziano i dati sull'opportunità per le donne di partecipare all'economia del Paese a cominciare dal tasso di occupazione, nonché, nonostante i progressi nel tempo, anche il livello di partecipazione delle donne ai livelli decisionali più elevati. Per ciò che attiene in particolare al settore della politica, il nostro Paese si colloca al 67° posto della graduatoria mondiale. In questo settore particolare, il modesto progresso registrato dall'Italia nella graduatoria globale è determinato principalmente dall'aumento del numero delle donne in Parlamento, mentre restano ancora basse le percentuali relative alla presenza nei ministeri e ai vertici dell'Esecutivo (che sono misurate sugli ultimi 50 anni). |
Gli obiettivi della Strategia nazionale 2021-2026Per contrastare le molteplici dimensioni della discriminazione verso le donne, che come visto nel paragrafo precedente coinvolgono ancora la dimensione della partecipazione alla vita politica e istituzionale, nel PNRR il Governo ha annunciato l'adozione di una Strategia nazionale per la parità di genere 2021-2026. Si tratta di un documento programmatico che, in coerenza con la Strategia per la parità di genere 2020-2025 adottata dalla Commissione europea a marzo 2020, definisce un sistema di azioni politiche integrate nell'ambito delle quali sono adottate iniziative concrete, definite e misurabili. All'impegno ha fatto seguito la presentazione in Consiglio dei ministri (5 agosto 2021) di una Strategia nazionale per la parità di genere 2021/2026, redatta dal Ministero delle pari opportunità, all'esito di un processo di consultazione che ha coinvolto amministrazioni centrali, Regioni, Enti Territoriali, parti sociali e principali realtà associative attive nella promozione della parità di genere. L'obiettivo di lungo periodo è di guadagnare 5 punti nella classifica del Gender Equality Index dell'EIGE in 5 anni, per raggiungere un posizionamento migliore rispetto alla media europea entro il 2026, con l'obiettivo di rientrare tra i primi 10 paesi europei in 10 anni. Come già anticipato, dal 2021 ad oggi il punteggio dell'Italia è cresciuto da 63,8 a 68,2 e la classifica generale dell'Italia è migliorata di una posizione, portandosi dal 14° al 13° posto nell'UE. Il documento per ciascuna delle priorità definisce gli interventi da adottare (incluse le misure di natura trasversale), nonché i relativi indicatori (volti a misurare i principali aspetti del fenomeno della disparità di genere) e target (l'obiettivo specifico e misurabile da raggiungere). Gli indicatori e target sono funzionali a guidare l'azione di governo e monitorare l'efficacia degli interventi poste in essere.
La tabella che segue riepiloga gli obiettivi specifici e misurabili da raggiungere nell'ambito dell'area del "Potere".
A seguire le principali misure previste per il raggiungimento dei target-obiettivo individuati.
|
Le donne nelle istituzioniI dati relativi alla presenza femminile negli organi costituzionali italiani hanno sempre mostrato una presenza contenuta nei numeri e molto limitata quanto alle posizioni di vertice. In tale contesto, i risultati delle Parlamentoelezioni politiche del 24-25 febbraio 2013 hanno presentato un segnale di inversione di tendenza: infatti, la media complessiva della presenza femminile nel Parlamento italiano, storicamente molto al di sotto della soglia del 30%, considerato valore minimo affinché la rappresentanza di genere sia efficace, è salita dal 19,5 della XVI legislatura al 30,1 per cento dei parlamentari eletti nella XVII legislatura. Tale tendenza si è rafforzata con le elezioni del 2018, in cui per la prima volta sono state sperimentate le misure previste dalla legge elettorale n. 165 del 2017 per promuovere la parità di genere nella rappresentanza politica (si v. infra). Nel 2018, infatti, sono elette in Parlamento 334 donne, pari a circa il 35 per cento (di cui 225 alla Camera e 109 al Senato). Nella XIX legislatura, la prima con la riduzione del numero dei parlamentari, la rappresentanza femminile è in lieve flessione, con un calo che si registra in entrambe le Camere: le donne elette in Parlamento sono circa il 33 per cento del totale (di cui 129 alla Camera e 69 al Senato). Questo risultato ci pone in linea con la media dei Paesi UE-27, che risulta pari al 33 per cento. Di seguito, due grafici mostrano l'andamento storico della presenza delle donne in entrambi i rami del Parlamento. Le prime donne elette alla Consulta Nazionale sono state 14; della Consulta faceva parte un numero variabile di membri (circa 400) alcuni di diritto, altri di nomina governativa, su designazione partitica e di altre organizzazioni. Le donne elette all'Assemblea Costituente, composta da 556 membri, sono state 21 (3,8%). Nella XII legislatura (la prima con il sistema elettorale maggioritario e con il sistema delle quote su cui è poi intervenuta la Corte costituzionale, si v. infra) le donne elette alla Camera dei deputati sono state 95, di cui 43 elette con la quota maggioritaria e 52 con quella proporzionale, mentre nella XIII legislatura (senza l'applicazione del sistema delle quote) le donne elette alla Camera dei deputati sono scese a 70 (rispettivamente 42 e 28). Al Senato sono state elette nella XIII legislatura 26 donne. Nella XIV legislatura le donne elette alla Camera sono state 73 e al Senato 25. Le donne elette alla Camera nella XV legislatura sono state 108 (17,1 per cento) e le donne senatrici 44 (13,6 per cento). Nella XVI legislatura sono state elette alla Camera dei deputati 133 donne, al Senato 58. Nella XVII legislatura sono state elette alla Camera dei deputati 198 donne (31,4 per cento), al Senato 92 donne (28,8 per cento). Nella XVIII legislatura la percentuale di donne elette alla Camera risulta pari al 35,7% (225 su 630), in crescita rispetto alla precedente legislatura (+4,3%), la quale, a sua volta, aveva fatto registrare un incremento di circa il 10 per cento rispetto alla XVI legislatura; sono 109 le donne elette al Senato della Repubblica (34,9 per cento). Nella XIX legislatura sono state elette: alla Camera, 129 donne (pari al 32,3 per cento), dato che fa registrare una flessione nella presenza femminile del 3,5 per cento e, al Senato, 69 donne (34,5 per cento). Tra i senatori a vita, quattro volte, nel 1982, nel 2001, nel 2013 e più di recente nel 2018, è stata nominata una donna: Camilla Ravera, Rita Levi Montalcini, Elena Cattaneo e Liliana Segre. Quanto alle Presidenza della Repubblica e del Consiglioposizioni di vertice, per la prima volta nel 2022 in Italia è stata nominata una donna Presidente del Consiglio, mentre nessuna donna ha ancora mai rivestito la carica di Capo dello Stato. Attualmente, nell'Unione europea, la carica di Primo ministro o Presidente del Consiglio è ricoperta da donne in 4 Stati, oltre l'Italia (Danimarca, Estonia, Lettonia e Lituania). Nel 2019 alla Presidenza della Commissione europea è stata eletta per la prima volta una donna. La carica di Presidenze della CamerePresidente della Camera è stata ricoperta da una donna nelle legislature VIII, IX e X, con l'elezione di Nilde Iotti, nella XII legislatura con l'elezione di Irene Pivetti e nella XVII con l'elezione di Laura Boldrini. Anche al Senato, per la prima volta nella XVIII legislatura, con l'elezione di Maria Elisabetta Alberti Casellati si è insediata una donna alla Presidenza. Il grafico che segue individua le donne che, a partire dalla VII legislatura, sono state elette Presidenti di Commissioni permanenti.
I dati fino alla XVII legislatura sono tratti dal dossier "
Parità vo cercando 1948-2018. Le donne italiane in settanta anni di elezioni", a cura dell'Ufficio valutazione impatto del Senato.
Nella XIX legislatura alla Camera, nessuna delle quattordici Commissioni permanenti è attualmente presieduta da una donna; al Senato la presidenza è assegnata ad una donna in due Commissioni su dieci (Commissione Giustizia e Commissione Affari esteri e Difesa).
Dalla I alla XVII legislatura l'Italia ha avuto 64 Governogoverni e 28 Presidenti del Consiglio dei ministri. Sulla base dei dati elaborati dall'Ufficio valutazione impatto del Senato per il periodo 1948-2018, l'analisi degli incarichi di ministra, viceministra (la carica di viceministro è stata introdotta dalla legge n. 81 del 2001) o sottosegretaria conferiti in ciascun governo evidenzia che tredici governi sono stati composti esclusivamente da uomini. Solo dal 1983, col governo Fanfani V, la presenza di donne è diventata costante. Su oltre 1.500 incarichi di ministro assegnati nei 64 governi della Repubblica, le donne ne hanno ottenuti 78 (più 2 interim). Di questi, 38 incarichi sono stati di ministro senza portafoglio. Alle donne sono stati affidati incarichi prevalentemente nei settori sociali, della sanità e dell'istruzione: ben 48 dicasteri su 80 (inclusi i 2 interim). Di seguito si riporta un grafico con l'andamento storico delle nomine dalla I alla XVII legislatura, tratto dal dossier "Parità vo cercando 1948-2018. Le donne italiane in settanta anni di elezioni" (Documento di analisi n. 13).
Con riguardo alle ultime legislature, si ricorda che nella
XVIII legislatura, si sono succeduti tre governi. Nel
Governo Conte I (dal 1° giugno 2018 al 4 settembre 2019) sono state nominate 6 donne a guida di un ministero, di cui quattro senza portafoglio (Pubblica Amministrazione, Affari regionali e autonomie, Sud, Disabilità e famiglia, Difesa e Salute), su un totale di 19 ministri (31,6%). Le nomine dei sottosegretari hanno riguardato 5 donne su 47 (pari al 10,6%). Nella compagine del
Governo Conte II, le ministre sono state 8 (Interno; Politiche agricole; Infrastrutture e trasporti; Lavoro e politiche sociali; Istruzione; Innovazione tecnologica e digitalizzazione; Pubblica amministrazione; Pari opportunità e famiglia) su un totale di 23 ministri (34,7%) e le sottosegretarie 14 su 42 (33%). Nel
Governo Draghi si registra la partecipazione di 8 donne (34,7%) nella compagine dei 23 ministri (Interno; Giustizia; Università e ricerca; Affari regionali e autonomie; Sud e coesione territoriale; Politiche giovanili; Pari opportunità e famiglia; Disabilità). Le cariche di viceministro e sottosegretario ricoperte da donne sono 18 (43,9%) su un totale di 41.
Nell'attuale Governo Meloni, il primo nella storia repubblicana ad essere guidato da un Presidente del Consiglio donna, si registra la partecipazione di 6 donne (25%) nella compagine dei 24 ministri (Lavoro e Politiche sociali; Università e ricerca; Turismo; Riforme istituzionali e semplificazione normativa; Famiglia, Natalità, Pari opportunità; Disabilità). Le cariche di viceministro e sottosegretario ricoperte da donne sono 11 (28,9%) su un totale di 38.
In
ambito UE-27 (periodo 2024-Q2), la media delle donne al Governo è del 33,9%, con risultati molto diversi tra gli Stati. La presenza di donne nella compagine governativa va oltre la parità in Finlandia (63,3%), Belgio (55%), Paesi Bassi (50%) e Francia (51,4). Seguono la Germania (48,1%), la Svezia (45,8%), la Spagna (44,7%) e l'Austria (44,4%). Nella composizione della Commissione europea istituita nella nona legislatura (2019-2024) la presenza femminile è pari al 48,1%: 12 donne e 14 uomini come commissari e, a partire dal 2019, per la prima volta la
Commissione europea è presieduta da una donna (Ursula von der Leyen).
Per quanto riguarda la composizione della Corte costituzionaleCorte costituzionale, nel 2019 è stata eletta per la prima volta come sua Presidente una donna, nella persona della giudice Marta Cartabia. Nella attuale composizione, dei quindici giudici costituzionali tre sono donne: Antonella Sciarrone Alibrandi, nominata nel 2023; Emanuela Navarretta e Maria Rosaria San Giorgio, nominate nel 2020. Nella storia della Consulta ci sono state altre cinque giudici donne: Fernanda Contri, giudice della Corte dal 1996 al 2005, Maria Rita Saulle, giudice dal 2005 al 2011, Marta Cartabia, giudice dal 2011 al 2020, Silvana Sciarra, che ha ricoperto anche il ruolo di Presidente, e Daria De Petris, entrambe giudici dal 2014 al 2023. Per quanto riguarda la presenza femminile nel Parlamento europeo Parlamento europeo (PE) nelle prime cinque legislature le donne italiane elette risultavano sempre in percentuali inferiori al 15%. Come si rileva dal grafico che segue, con l'introduzione delle quote di lista nel sistema elettorale nelle elezioni del 2004, il numero delle donne italiane elette al Parlamento europeo è aumentato della metà, passando da 10 donne nella V legislatura (1999-2004) a 15 nella VI (2004-2009). In termini percentuali, la componente femminile è passata nella VI legislatura dall'11,5 per cento al 19,2 per cento ed è salita ulteriormente nella VII legislatura (2009-2014), dove le donne elette al Parlamento europeo sono risultate 16 su 72 seggi spettanti all'Italia (pari al 22,2%). A partire dalle elezioni del 2014 è stata introdotta e applicata dapprima la doppia preferenza di genere e dal 2019 la c.d. 'tripla preferenza di genere', in base alla quale, nel caso in cui l'elettore decida di esprimere tre preferenze, queste devono riguardare candidati di sesso diverso, pena l'annullamento della seconda e della terza preferenza. All'esito delle consultazioni elettorali, nel 2014 il numero delle donne italiane elette al PE risulta quasi raddoppiato, passando a 29 su 73 seggi spettanti all'Italia, pari al 39,7%. Il dato è ulteriormente migliorato con i risultati delle elezioni del 2019, in cui le donne italiane elette sono state 30, pari al 39,5% dei seggi spettanti all'Italia. L'8 e il 9 giugno 2024 si svolte le consultazioni per l'elezione dei membri italiani per l'avvio della IX legislatura del Parlamento europeo. A seguito delle proclamazioni e, scontati i subentri a seguito delle candidate e dei candidati eletti in più circoscrizioni, le donne elette sono 25, pari al 32,9% del totale dei seggi spettanti all'Italia, in calo rispetto alle due legislature precedenti (la media delle donne al Parlamento europeo è pari al 39%).
Gradualmente nelle ultime legislature il numero delle donne che ricoprono alte cariche nel Parlamento europeo è in crescita, seppur non in modo stabile. Nella VIII legislatura, è stata eletta per la terza volta una donna alla carica di Presidente del Parlamento (Roberta Metsola nel 2022, confermata nel 2024).
Nella nona legislatura (2019-2024) 6 dei 14 vice-presidenti, 3 dei 5 questori e 7 dei 24 presidenti di Commissione e Sottocommissione sono state donne. Nella X legislatura (dal 2024) 9 donne sono state elette alla Presidenza di una Commissione/Sottocommissione, 7 alla carica di vice-presidente e 2 alla carica di questore del PE.
Per quanto riguarda gli organi delle
regioni, la presenza femminile nelle
assemblee regionali italiane si attesta in media intorno al 24,4% a fronte della
media registrata a livello UE, pari al 35,7%. Più alto il dato negli
esecutivi regionali, dove le donne sono pari al 26,7%. Per quanto concerne la carica di
Presidente della regione, alla sola regione Umbria nella quale la carica è ricoperta da una donna, si è aggiunta ora la regione Sardegna, a seguito delle elezioni del 25 febbraio 2024.
La successiva tabella riporta la consistenza numerica e percentuale delle donne elette nei consigli e delle donne componenti delle giunte delle regioni e delle province autonome.
Nel numero dei consiglieri sono stati computati anche i membri di diritto (come il Presidente della regione); così anche nel numero dei componenti della giunta è compreso il Presidente della regione (fonte: elaborazione di dati tratti da siti web delle regioni e delle province).
Negli
Enti localienti locali, a seguito delle riforme tese a incentivare la parità di genere (si v.,
supra), la rappresentanza femminile risulta in crescita sotto il profilo diacronico, ma evidenzia in ogni caso una sottorappresentazione delle donne. In termini percentuali, la presenza femminile è cresciuta soprattutto a livello comunale, mentre l'incremento è più contenuto in ambito provinciale e metropolitano.
Considerata la media del triennio 2021-2023, la rappresentanza delle donne è pari a circa il 34% nelle assemblee dei comuni italiani (fonte: rielaborazione di dati 2021-2023 Anagrafe degli amministratori locali - Ministro dell'interno). Il dato medio di presenza femminile nelle stesse assemblee rilevato in ambito UE risulta pari al 34,5%. Più visibile la presenza delle donne nelle giunte comunali, in quanto la percentuale di donne che riveste la carica di assessore è pari a circa il 41 per cento. Le donne sindache dal 14,9 per cento del 2021 si fermano al 15,3 per cento nel 2023.
Nella
Relazione al Parlamento sul Bilancio di genere 2021 si evidenzia un
trade-off tra l'incidenza della componente femminile degli eletti e il relativo livello di istruzione: le donne in carica negli organi politici degli enti territoriali italiani, pur essendo numericamente assai inferiori rispetto ai loro colleghi maschi, possiedono in generale titoli di studio più elevati.
Negli organi provinciali e metropolitani, la presenza delle donne è molto modesta (28,8 per cento è la presenza media nei consigli nel 2023), soprattutto tra gli eletti alla carica di presidente della provincia o di sindaco metropolitano (7,7 per cento di donne nel 2023), come mostra il grafico che segue. Nella tabella che segue si riepilogano i dati della presenza delle donne nelle Assemblee elettive di primo grado (Parlamento europeo, Parlamento italiano, Consigli regionali e Consigli comunali), espressi in percentuale.
Nelle Autorità amministrative indipendentiautorità amministrative indipendenti, infine, su un totale di 38 componenti di diritto, 13 sono donne (pari al 34,2%). Due delle nove Autorità considerate è attualmente presieduta da una donna. In una autorità si registra una maggioranza di componenti donne.
Le autorità considerate sono quelle di cui all'art. 22 del D.L. 90/2014 (conv. L. 114/2014), che ha dettato alcune misure per la razionalizzazione delle autorità indipendenti: l'Autorità garante della concorrenza e del mercato, la Commissione nazionale per le società e la borsa, l'Autorità di regolazione dei trasporti, l'Autorità di regolazione per Energia Reti e Ambiente, l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, il Garante per la protezione dei dati personali, l'Autorità nazionale anticorruzione, la Commissione di vigilanza sui fondi pensione e la Commissione di garanzia dell'attuazione della legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali.
Si ricorda, infine, che è ricoperto da una donna il ruolo di Autorità garante per l'infanzia e l'adolescenza.
Tutti i dati relativi ai Paesi europei e alle medie UE, sono tratti dal
Database dell'EIGE relativo alla sezione:
Women and men in decision making.
|
I principi costituzionaliCostituzioneNorma fondamentale in tema di partecipazione alla vita politica è l'articolo 51, primo comma, della Costituzione, a mente del quale tutti i cittadini dell'uno o dell'altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge. A seguito di una modifica del 2003 (L. Cost. n. 1/2003), dovuta anche ad un orientamento espresso dalla Corte costituzionale in una sentenza del 1995 (si v. infra), è stato aggiunto un periodo secondo cui la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini. Si è in tal modo segnato un passaggio dalla dimensione statica della parità di trattamento uomo-donna alla prospettiva dinamica delle pari opportunità, nell'ottica del raggiungimento di un'uguaglianza sostanziale, come già riconosciuta dall'art. 3 Cost., e secondo lo spirito della CEDAW e PechinoConvenzione ONU per la eliminazione di ogni forma di discriminazione contro le donne (CEDAW) del 1979 e della Dichiarazione di Pechino del 1995, che mirano al raggiungimento di una parità de facto. A livello sovranazionale, la Carta di Nizza Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea - che dopo il trattato di Lisbona ha assunto valore vincolante per il nostro ordinamento - prevede che la parità tra uomini e donne deve essere assicurata in tutti i campi e che il principio della parità non osta al mantenimento o all'adozione di misure che prevedano vantaggi specifici a favore del sesso sottorappresentato (art. 23 inserito nel Capo III relativo all'uguaglianza). L'articolo 117, settimo comma, Cost. (introdotto dalla L. Cost. n. 3/2001) prevede inoltre che "Le leggi regionali rimuovono ogni ostacolo che impedisce la piena parità degli uomini e delle donne nella vita sociale, culturale ed economica e promuovono la parità di accesso tra donne e uomini alle cariche elettive." Analogo principio è stato introdotto negli statuti delle regioni ad autonomia differenziata dalla legge costituzionale n. 2 del 2001. |
Giurisprudenza costituzionaleSecondo un primo Primo orientamento della Corte costituzionaleorientamento della Corte costituzionale risalente alla metà degli anni Novanta, espresso nella sentenza n. 422 del 1995, la previsione di quote di genere in campo elettorale si pone in contrasto con il principio di uguaglianza, sancito dagli articoli 3 e 51 della Costituzione. Con tale sentenza, la Corte ha dichiarato l'illegittimità costituzionale delle disposizioni normative che avevano introdotto le quote per le elezioni nazionali, regionali e locali, sulla base dell'assunto che, in campo elettorale, il principio di uguaglianza deve essere inteso in senso rigorosamente formale. In base a tale interpretazione i diritti di elettorato passivo sono rigorosamente garantiti in egual misura a tutti i cittadini in quanto tali ed è esclusa qualsiasi differenziazione in base al sesso, sia che essa riguardi l'eleggibilità (quote di risultato, quali erano previste dalla legge elettorale nazionale) sia che riguardi la candidabilità (quote di lista, quali quelle previste dalla legge sulle elezioni amministrative). In conseguenza della pronuncia della Corte costituzionale le norme sopra richiamate volte alla tutela della rappresentanza femminile decaddero. Dopo la sentenza della Corte costituzionale del 1995 si pose la questione della necessità di modificare la Costituzione in modo da consentire interventi normativi sulle leggi elettorali tali da incentivare la presenza delle donne negli organismi rappresentativi elettivi. Successivamente, il Riforme costituzionaliquadro costituzionale è mutato, anche in conseguenza della posizione espressa dalla Corte. Come già visto, le riforme costituzionali del 2001 hanno riaffermato il principio della parità di accesso alle cariche elettive in ambito regionale e la legge costituzionale n. 1 del 2003 ha riconosciuto espressamente la promozione, con appositi provvedimenti, delle pari opportunità tra uomini e donne nella vita pubblica. Dopo la sentenza del 1995, la Corte costituzionale ha avuto modo di pronunciarsi nuovamente sul tema delle pari opportunità nell'accesso alle cariche elettive con la Nuovo orientamentosentenza n. 49 del 2003, pronunciata dopo le riforme costituzionali del 2001 relative agli ordinamenti regionali ma prima della modifica dell'articolo 51. Innovando notevolmente il proprio orientamento, la Corte ha ritenuto legittime le modifiche alla normativa per l'elezione dei consigli regionali approvate dalla regione Valle d'Aosta che stabiliscono che ogni lista di candidati all'elezione del Consiglio regionale deve prevedere la presenza di candidati di entrambi i sessi e che vengano dichiarate non valide dall'ufficio elettorale regionale le liste presentate che non corrispondano alle condizioni stabilite. Venne dunque superata la sentenza del 1995, che aveva affermato che il sesso non poteva essere rilevante ai fini della candidabilità.
Nell'ordinanza n. 39 del 2005, la Corte costituzionale affronta una questione sollevata dal Consiglio di Stato riguardante l'obbligo legislativamente previsto di inserire almeno un terzo di donne nelle Commissioni di concorso, quindi una vera quota di risultato sia pure prevista per un organo amministrativo. Il Consiglio di Stato richiama proprio la sentenza del 1995 a sostegno delle proprie argomentazioni nel senso dell'incostituzionalità della disposizione che prevedeva l'obbligo della presenza femminile. La Corte costituzionale ritiene peraltro che il richiamo alla sentenza del 1995 non è sufficiente alla luce della modifica dell'articolo 51 intervenuta nel 2003 e dichiara pertanto la questione manifestamente inammissibile per carenza di motivazione.
Nel solco tracciato dalla pronuncia del 2003 si inserisce la sentenza n. 62 del 2022, con la quale la Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale della normativa in materia di elezioni comunali, nella parte in cui non prevede l'esclusione delle liste elettorali che non assicurino la rappresentanza di entrambi i sessi anche nei comuni con popolazione inferiore ai 5.000 abitanti. Pur ribadendo l'ampiezza della discrezionalità di cui il legislatore gode nella materia elettorale e, quindi, anche in sede di scelta delle concrete modalità attraverso le quali promuovere la parità di accesso alle cariche elettive, la Corte ha ritenuto manifestamente irragionevole la circostanza per la quale, in tali comuni, l'obbligo di garantire la presenza di entrambi i sessi nelle liste elettorali non risulta presidiato da alcuna sanzione per l'ipotesi di violazione. Per ricondurre il sistema al rispetto del dettato costituzionale, la Corte indica quale rimedio – facendo proprie le prospettazioni del rimettente Consiglio di Stato – l'estensione al caso in esame della sanzione, già prevista nei comuni con popolazione superiore ai 15.000 abitanti, dell'esclusione dalla competizione elettorale delle liste non conformi. Si tratta, tuttavia, sottolinea la Corte, di una soluzione non obbligata, che, pertanto, lascia impregiudicata "la possibilità per il legislatore di individuare, nell'ambito della propria discrezionalità, altra – e in ipotesi più congrua – soluzione, purché rispettosa dei principi costituzionali […], nonché l'armonizzazione del sistema, anche considerando il caso dei comuni con popolazione da 5.000 a 15.000 abitanti, nei quali la riduzione della lista non può andare oltre il numero minimo di candidati prescritto". La pronuncia più rilevante sul tema delle misure positive per promuovere le pari opportunità nell'accesso alle cariche elettive è la sentenza n. 4 del 2010, con cui la Corte, richiamando il principio di uguaglianza inteso in senso sostanziale, ha dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale sollevata dal Governo relativa all'introduzione della ‘doppia preferenza di genere' da parte della legge elettorale della Campania, in considerazione del carattere promozionale e della finalità di riequilibrio di genere della misura. Secondo la Corte «il quadro normativo, costituzionale e statutario, è complessivamente ispirato al principio fondamentale dell'effettiva parità tra i due sessi nella rappresentanza politica, nazionale e regionale, nello spirito dell'art. 3, secondo comma, Cost., che impone alla Repubblica la rimozione di tutti gli ostacoli che di fatto impediscono una piena partecipazione di tutti i cittadini all'organizzazione politica del Paese. Preso atto della storica sotto-rappresentanza delle donne nelle assemblee elettive, non dovuta a preclusioni formali incidenti sui requisiti di eleggibilità, ma a fattori culturali, economici e sociali, i legislatori costituzionale e statutario indicano la via delle misure specifiche volte a dare effettività ad un principio di eguaglianza astrattamente sancito, ma non compiutamente realizzato nella prassi politica ed elettorale.». Merita segnalare anche la sentenza n. 81 del 2012 con la quale la Corte ha esaminato un conflitto di attribuzione fra enti proposto dalla Regione Campania, avente ad oggetto la sentenza del Consiglio di Stato, sezione V, n. 4502 del 27 luglio 2011, che aveva annullato l'atto del Presidente della Giunta regionale di nomina di un assessore. Secondo quanto previsto infatti nella norma statutaria il Presidente della Giunta nella nomina degli assessori è tenuto ad assicurare "il pieno rispetto del principio di una equilibrata presenza di donne e uomini", principio che il giudice amministrativo non riteneva soddisfatto con la nomina di undici assessori uomini e di una sola donna nell'esecutivo campano. La Corte costituzionale dichiara inammissibile il conflitto, ma non manca di cogliere l'occasione per entrare nel merito della questione della equilibrata presenza di genere all'interno delle Giunte, sostenendo che la discrezionalità politica incontra un limite nell'esistenza di un vincolo giuridico derivante dal quadro normativo, costituzionale e legislativo, attualmente vigente in materia di equilibrio di genere anche con riferimento alla nomina dei componenti di una Giunta. La sentenza infatti riconosce indirettamente la natura prescrittiva delle norme poste in tema di parità di genere dallo Statuto Campano, "in armonia" con l'art. 51, primo comma, e 117, settimo comma, della Costituzione, e la loro natura di vincolo per il vertice dell'esecutivo. |
La rappresentanza di genere nella legislazione elettoraleNell'ambito degli interventi di promozione dei diritti e delle libertà fondamentali, particolare attenzione è stata posta negli ultimi anni agli interventi volti a dare attuazione all'art. 51 della Costituzione, sulla parità di accesso tra donne e uomini alle cariche elettive, incidendo sui sistemi elettorali presenti nei diversi livelli (nazionale, regionale, locale e al Parlamento europeo). Nelle ultime legislature il Parlamento ha approvato ulteriori misure normative volte a promuovere l'equilibrio di genere all'interno delle assemblee elettive, non solo europee, ma anche locali, regionali e nazionali (la L. n. 215/2012 per le elezioni comunali; la L. n. 56/2014 per le elezioni - di secondo grado - dei consigli metropolitani e provinciali; la L. n. 20/2016 per le elezioni dei consigli regionali; la L. n. 165/2017 per le elezioni del Parlamento). Misure promozionali delle pari opportunità sono state introdotte anche nei più recenti provvedimenti riguardanti la disciplina dei partiti politici. Dalla Composizione del Governomodifica costituzionale dell'articolo 51 discendono anche le norme inserite nella legge finanziaria 2008, che, disponendo in tema di organizzazione del Governo, stabiliscono che la sua composizione deve essere coerente con il principio costituzionale delle pari opportunità nell'accesso agli uffici pubblici e alle cariche elettive (art. 1, commi 376-377, L. 244/2007). |
A livello europeoNelle elezioni europee del maggio 2019 hanno trovato applicazione per la prima volta le previsioni a regime introdotte dalla legge 22 aprile 2014, n. 65 per rafforzare la rappresentanza di genere. In particolare, la legge prevede:
Sono poi disciplinate le
verifiche dell'ufficio elettorale al fine di garantire il rispetto delle disposizioni sull'equilibrio di genere nelle liste, assicurando al tempo stesso, ove possibile, la conservazione della lista.
Nel caso in cui risulti violata la disposizione sulla presenza paritaria di candidati nelle liste, l'ufficio elettorale procede dunque alla cancellazione dei candidati del sesso sovrarappresentato, partendo dall'ultimo, fino ad assicurare l'equilibrio richiesto. Se, all'esito della cancellazione, nella lista rimane un numero di candidati inferiore al minimo prescritto dalla legge, la lista
è ricusata e non può conseguentemente partecipare alle elezioni.
Nel caso in cui risulti violata la disposizione sull'alternanza di genere tra i primi due candidati, l'ufficio elettorale modifica la lista, collocando dopo il primo candidato quello successivo di genere diverso.
|
A livello nazionaleIl Elezioni politichesistema elettorale del Parlamento nazionale, definito dalla L. n. 165 del 2017, che prevede sia collegi uninominali da assegnare con formula maggioritaria, sia collegi plurinominali da assegnare con metodo proporzionale (sistema ‘misto'), detta alcune specifiche disposizioni in favore della rappresentanza di genere per le elezioni della Camera e del Senato. In primo luogo, a pena di inammissibilità, nella successione interna delle liste nei collegi plurinominali, sia della Camera sia del Senato, i candidati devono essere collocati secondo un ordine alternato di genere (quindi 1-1). Al contempo, è previsto che nel complesso delle candidature presentate da ogni lista o coalizione di liste nei collegi uninominali nessuno dei due generi - alla Camera a livello nazionale e al Senato a livello regionale - possa essere rappresentato in misura superiore al 60 per cento, con arrotondamento all'unità più prossima. Inoltre, nel complesso delle liste nei collegi plurinominali nessuno dei due generi può essere rappresentato nella posizione di capolista in misura superiore al 60 per cento, con arrotondamento all'unità più prossima. Anche tale prescrizione si applica alla Camera a livello nazionale e al Senato a livello regionale. In caso di pluricandidature, cioè nel caso in cui la medesima persona sia candidata in più collegi), il calcolo delle suddette quote è effettuato, secondo quanto specificato nelle Istruzioni per la presentazione e l'ammissione delle candidature a cura del Ministero dell'interno, riferendosi al numero delle candidature e non a quello delle persone fisiche. Alla Camera l'Ufficio centrale nazionale assicura il rispetto di tali prescrizioni in sede di verifica dei requisiti delle liste (art. 22 TU Camera) comunicando eventuali irregolarità agli Uffici circoscrizionali al fine di apportare eventuali modifiche nella composizione delle liste, assumendo a tal fine rilevanza, anche l'elenco dei candidati supplenti. Al Senato, essendo tali prescrizioni stabilite a livello regionale, spetta all'Ufficio elettorale regionale assicurare il rispetto delle medesime. Per quanto riguarda la legislazione di contorno, il decreto-legge sull'abolizione del Partiti politicifinanziamento pubblico diretto ai partiti (D.L. 28 dicembre 2013, n. 149, conv. dalla L. n. 13/2014) prescrive, ai fini dell'iscrizione nel registro dei partiti, una serie di requisiti per lo statuto dei partiti, tra i quali rientra l'indicazione delle "modalità per promuovere, attraverso azioni positive, l'obiettivo della parità tra i sessi negli organismi collegiali e per le cariche elettive, in attuazione dell'art. 51 Cost." (art. 3, comma 2, lett. f). L'articolo 9 del medesimo decreto disciplina espressamente la parità di accesso alle cariche elettive, sancendo innanzitutto il principio che i partiti politici promuovono tale parità. In attuazione di tale principio, sono riprese e rafforzate due disposizioni contenute nella precedente legislazione sul finanziamento pubblico ai partiti (L. n. 157/1999, art. 3; L. n. 96/2012, art. 1, comma 7, e art. 9, comma 13). In primo luogo, per riequilibrare l'accesso alle Candidature alle politiche ed europeecandidature nelle elezioni, è prevista la riduzione delle risorse spettanti a titolo di ‘due per mille' nel caso in cui, nel numero complessivo dei candidati presentati da un partito per ciascuna elezione della Camera, del Senato e del Parlamento europeo, uno dei due sessi sia rappresentato in misura inferiore al 40 per cento. In particolare, la misura della riduzione è pari allo 0,5% per ogni punto percentuale al di sotto del 40 per cento, fino al limite massimo complessivo del 10% (art. 9, comma 2, D.L. n. 149/2013). In Partecipazione attiva delle donne alla politicasecondo luogo, ai partiti politici che non abbiano destinato una quota pari ad almeno il 10 per cento delle somme ad essi spettanti a titolo di ‘due per mille' ad iniziative volte ad accrescere la partecipazione attiva delle donne alla politica, la Commissione di garanzia sui partiti politici applica una sanzione amministrativa pecuniaria pari a un quinto delle somme ad essi spettanti a titolo di 'due per mille'. (art. 9, comma 3). E' infine previsto un meccanismo premiale per i partiti che eleggono candidati di entrambi i sessi. Le risorse derivanti dall'applicazione delle due disposizioni esaminate confluiscono infatti in un apposito fondo, annualmente ripartito tra i partiti iscritti nell'apposito registro, per i quali la percentuale di eletti – e non di semplici candidati - del sesso meno rappresentato sia pari o superiore al 40 per cento (art. 9, commi 4 e 5). La legge n. 215/2012, modificando la legge sulla Par condiciopar condicio, ha infine introdotto una disposizione di principio, secondo cui i mezzi di informazione, nell'ambito delle trasmissioni per la comunicazione politica, sono tenuti al rispetto dei principi di pari opportunità tra donne e uomini sanciti dalla Costituzione. |
A livello regionaleDopo la Le leggi elettorali regionalimodifica degli articoli 122 e 123 della Costituzione, che ha dato avvio al processo di elaborazione di nuovi statuti regionali e di leggi per l'elezione dei consigli nelle regioni a statuto ordinario, tutte le regioni che hanno adottato norme in materia elettorale hanno introdotto disposizioni specifiche per favorire la parità di accesso alle cariche elettive, in attuazione dell'art. 117, settimo comma, Cost. Inoltre, Principi dei sistemi elettorali regionaliper rafforzare le garanzie di parità nella rappresentanza regionale, nella XVII legislatura il Parlamento ha approvato la legge 15 febbraio 2016, n. 20, che ha introdotto, tra i principi fondamentali in base ai quali le Regioni sono tenute a disciplinare con legge il sistema elettorale regionale, l'adozione di specifiche misure per la promozione delle pari opportunità tra donne e uomini nell'accesso alle cariche elettive. A tal fine, con la modifica della legge n. 165/2004, che - in attuazione dell'articolo 122, primo comma, della Costituzione - reca per l'appunto i principi fondamentali concernenti il sistema di elezione e i casi di ineleggibilità e di incompatibilità del Presidente e degli altri componenti della giunta regionale, nonché dei consiglieri regionali, la legge nazionale non si limita a prevedere tra i principi, come stabilito nel testo originario, la "promozione della parità tra uomini e donne nell'accesso alle cariche elettive attraverso la predisposizione di misure che permettano di incentivare l'accesso del genere sottorappresentato alle cariche elettive", ma indica anche le specifiche misure adottabili, declinandole sulla base dei diversi sistemi elettorali per la scelta della rappresentanza dei consigli regionali. Al riguardo, la legge prevede tre ipotesi:
L'entrata in vigore della legge del 2016 ha indotto le regioni, la cui legislazione elettorale non soddisfaceva gli elementi richiesti, ad introdurre le modifiche necessarie per adeguarsi alla normativa di principio. In relazione al mancato adeguamento della legislazione elettorale è intervenuto il decreto-legge n. 86 del 2020 al fine di stabilire che il mancato recepimento nella legislazione regionale in materia di sistemi di elezione del Presidente, degli altri componenti della Giunta regionale e dei Consigli regionali dei principi fondamentali posti dall'articolo 4 della legge n. 165 del 2004 integra la fattispecie di mancato rispetto di norme di cui all'articolo 120 della Costituzione (l'articolo che disciplina l'esercizio dei poteri sostitutivi) e, contestualmente, costituisce presupposto per l'assunzione delle misure sostitutive ivi contemplate. Contestualmente il medesimo decreto (art. 1, co. 2-3) ha attivato il potere sostitutivo dello Stato nei confronti della regione Puglia a causa del mancato adeguamento della legislazione elettorale ai principi della L. n. 165/2014, in relazione alle elezioni del Consiglio regionale del 20 e 21 settembre 2020.
A tale fine, in tale regione per le elezioni del Consiglio regionale del 2020 "in luogo delle vigenti disposizioni regionali in contrasto con i principi della legge n. 165 del 2004 e salvo sopravvenuto autonomo adeguamento regionale ai predetti principi" è stata introdotta la "doppia preferenza di genere", nonché è stata disposta la nomina del prefetto di Bari a commissario straordinario "con il compito di provvedere agli adempimenti conseguenti per l'attuazione del decreto", ivi compresa la ricognizione delle disposizioni regionali incompatibili con la doppia previsione di genere.
Il prefetto di Bari, in veste di commissario straordinario, ha quindi emanato il 3 agosto 2020 un provvedimento con il quale, in virtù della ricognizione effettuata della legislazione elettorale della regione Puglia incompatibile con le disposizioni del decreto legge, ha indicato la formulazione che deve ritenersi applicabile dell'articolo 7, commi 1, 3, 5, 6, 7 e 8, della legge regionale n. 2 del 2005, recante la descrizione della scheda elettorale. Nel medesimo giorno, il Presidente della Giunta regionale ha, con propri decreti, indetto le elezioni (DPGR 324 del 3 agosto 2020), stabilito il numero di seggi assegnati alle singole circoscrizioni (DPGR 325 del 3 agosto 2020), dettato le regole di composizione e sottoscrizione delle liste (DPGR 326 del 3 agosto 2020) e stabilito il modello di scheda elettorale (DPGR 327 del 3 agosto 2020).
Di seguito si offre un quadro di sintesi delle disposizioni vigenti per ciascuna regione. Le Regioni a statuto ordinariomisure sono diverse e prevalentemente incentrate sulle cosiddette 'quote di lista', ossia sull'obbligo di inserire nelle liste di candidati una quota minima di candidati del genere meno rappresentato, variabile tra un terzo e la metà. Le quote di lista sono applicate in sistemi elettorali proporzionali, con premio di maggioranza e con voto di preferenza. Inoltre la maggioranza delle regioni ha messo a punto uno strumento ulteriore, ossia la ‘doppia preferenza di genere', misura adottata per la prima volta dalla regione Campania e successivamente ripresa dalla legge elettorale per i comuni e da altre leggi elettorali regionali.
Nel dettaglio, la regione Campania (L.R. 4/2009, art. 10, comma 2) pone il limite di due terzi alla presenza di candidati di ciascun sesso in ogni lista circoscrizionale, con arrotondamento all'unità più vicina. Per le regioni Abruzzo (L.R. 9/2013, art. 1, comma 4), Puglia (L.R. 2/2005, art. 8, comma 13), Umbria (L.R. 4/2015, art. 9), Molise (L.R. 20/2017, art. 7), Basilicata (L.R. 20/2018, art. 3, co. 3), Liguria (L.R. 18/2020, art. 6, comma 2) e Calabria (L.R. 1/2005, art. 1, comma 6, come mod. da L.R. 17/2020) la disciplina elettorale dispone che in ogni lista circoscrizionale nessuno dei due sessi può essere rappresentato in misura superiore al 60% dei candidati. La medesima scelta è stata effettuata dalla regione Piemonte con la normativa adottata di recente (L.R. 12/2023, art. 14, commi 2 e 3). In caso di quoziente frazionario si procede all'arrotondamento all'unità più vicina (Abruzzo, Basilicata, Calabria, Piemonte e Puglia) ovvero all'arrotondamento all'unità superiore per il genere sottorappresentato (Molise, Umbria). La regione Marche (L.R. 27/2004, art. 9, comma 6, come mod. da L. 36/2019), invece, individua il limite minimo, per cui nessuno dei due generi può essere rappresentato in misura inferiore al 40% dei candidati presentati, con arrotondamento all'unità superiore in caso di decimale. Le regioni Lazio (L.R. 2/2005, art. 3, comma 2, come mod. da L.R. 10/2017), Veneto (L.R. 5/2012, art. 13, comma 6) ed Emilia Romagna (L.R. 21/2014, art. 8) dispongono che in ogni lista circoscrizionale i rappresentanti di ciascun genere devono essere presenti in misura eguale, se il numero dei candidati è pari. Nel caso in cui il numero dei candidati sia dispari, invece, ciascun genere deve essere rappresentato in numero non superiore di una unità rispetto all'altro. Solo la regione Veneto prevede anche l'ordine alternato di genere nella composizione della lista. Nelle regioni Lombardia (L.R. 17/2012, art. 1, comma 11, come mod. da L. 38/2017), Veneto (L.R. 5/2012, art. 13, comma 6) e Toscana (L.R. 51/2014, art. 8, comma 6) si prevede che le liste devono essere composte seguendo l'ordine dell'alternanza di genere. Nella regione Toscana, inoltre, in relazione alle candidature regionali, queste devono essere distintamente indicate rispetto alle candidature circoscrizionali ed elencate in ordine alternato di genere (art. 8, co. 5). La normativa della regione Piemonte, che mantiene la previsione delle liste regionali bloccate, dispone che in esse i candidati debbano essere alternati per genere.
Nella maggioranza dei casi l'inosservanza dei suddetti limiti è causa di inammissibilità della lista; nelle regioni Lazio e Puglia, invece, è causa di riduzione dei rimborsi elettorali (sanzione che si somma all'inammissibilità della lista nella regione Lazio), nella regione Basilicata i candidati eccedenti vengono esclusi dalla lista, a partire da quelli collocati in coda. Oltre alla presentazione delle liste, le leggi delle regioni Campania (L.R. 4/2009, art. 4, comma 3), Toscana (L.R. 51/2014, art. 14, comma 3), Emilia Romagna (L.R. 21/2014, art. 10, comma 2), Umbria (L.R. 4/2015, art. 13), Lazio (L.R. 2/2005, art. 5-bis, comma 4, come mod. da L.R. 10/2017), Lombardia (L.R. 17/2012, art. 1, comma 21, come mod. da L.R. 38/2017), Molise (L.R. 20/2017, art. 10, comma 1, come mod. da L.R. 1/2018), Marche (L.R. 27/2004, art. 16, comma 6, come mod. da L.R. 36/2019), Veneto (L.R. 5/2012, art. 20, comma 5, come mod. da L.R. 19/2018), Abruzzo (L.R. 9/2013, art. 9, comma 1, come mod. da L.R. 15/2018), Basilicata (L.R. 20/2018, art. 17, co. 2), Liguria (L.R. 18/2020, art. 7, comma 5), Calabria (L.R. 1/2005, art. 2, comma 2, come mod. da L.R. 17/2020) e Piemonte (L.R. 12/2023, art. 14, comma 4) hanno introdotto nel rispettivo sistema elettorale disposizioni sul principio della c.d. doppia preferenza di genere. La legge regionale, in questi casi, prevede la possibilità per l'elettore di esprimere uno o due voti di preferenza, prescrivendo che nel caso di espressione di due preferenze, esse devono riguardare candidati di genere diverso della stessa lista, pena l'annullamento della seconda preferenza. La legge della regione Campania (L.R. 4/2009, art. 10, comma 4) e della regione Molise (L.R. 20/2017, art. 7), infine, contengono disposizioni sulla rappresentanza di genere nella campagna elettorale, in base alle quali i soggetti politici devono assicurare la presenza paritaria di candidati di entrambi i generi nei programmi di comunicazione politica e nei messaggi autogestiti.
Regioni a statuto specialePer quanto concerne le regioni a statuto speciale e le province autonome, anch'esse hanno adottato norme in materia elettorale, tra cui disposizioni per favorire l'accesso alle cariche elettive di entrambi i sessi, come disposto dalla legge costituzionale 31 gennaio 2001, n. 2, relativa all'elezione diretta dei Presidenti delle regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento e Bolzano. Le disposizioni sono diversificate, tutte contengono obblighi nella presentazione delle liste:
|
A livello di città metropolitane e provinceLa legge 7 aprile 2014, n. 56, sull'istituzione delle Consigli metropolitani e provincialiCittà metropolitane ed il riordino delle province, come è noto, ha eliminato l'elezione diretta dei consigli provinciali. I consigli metropolitani (organi delle nuove città metropolitane) ed i consigli provinciali sono organi elettivi di secondo grado; l'elettorato attivo e passivo spetta ai sindaci ed ai consiglieri comunali dei rispetti territori. L'elezione di questi due organi avviene con modalità parzialmente differenti, che comunque prevedono l'espressione di un voto di preferenza e la ponderazione del voto (in base ad un indice rapportato alla popolazione complessiva della fascia demografica di appartenenza del comune). Al fine di promuovere la rappresentanza di genere, nelle liste nessuno dei due sessi può essere rappresentato in misura superiore al 60 per cento, con arrotondamento all'unità superiore per i candidati del sesso meno rappresentato, a pena di inammissibilità. Tale disposizione ha trovato applicazione a decorrere dal 2018 (art. 1, commi 27-28 e commi 71-72). Non è prevista la possibilità della doppia preferenza di genere, in quanto ritenuta incompatibile con il sistema del voto ponderato. |
A livello comunaleLa disciplina della parità di genere nelle elezioni comunali è stata introdotta dalla Elezioni comunalilegge 23 novembre 2012, n. 215, prevedendo per i consigli comunali una differenziazione di regime, graduando i vincoli e le sanzioni per la loro violazione, in ragione di tre diverse dimensioni dei comuni. Nei comuni con popolazione compresa tra 5.000 e 15.000 abitanti e in quelli con popolazione superiore a 15.000 abitanti[1] la legge contempla una duplice misura volta ad assicurare il riequilibrio di genere:
In caso di violazione delle disposizioni sulla quota di lista, inoltre, è previsto un meccanismo sanzionatorio differenziato in relazione alle dimensioni del comune.
In particolare, nei comuni con
popolazione superiore a 15.000 abitanti, la Commissione elettorale, in caso di mancato rispetto della quota, riduce la lista, cancellando i candidati del genere più rappresentato, partendo dall'ultimo, fino ad assicurare il rispetto della quota; la
lista che, dopo le cancellazioni, contiene un numero di candidati inferiore al minimo prescritto dalla legge è ricusata e, dunque,
decade.
Nei comuni con popolazione
compresa fra 5.000 e 15.000 abitanti, la Commissione elettorale, in caso di mancato rispetto della quota, procede anche in tal caso alla cancellazione dei candidati del genere sovra-rappresentato partendo dall'ultimo; la riduzione della lista non può però determinare un numero di candidati inferiore al minimo prescritto dalla legge. Per tali comuni, pertanto, si prevede la riduzione, ma non la decadenza della lista (art. 30, primo comma. lett. d-bis) ed e), d.P.R. n. 570 del 1960, come mod. da art. 2, co. 2, lett. a), n. 1), L. n. 215/2012).
Le disposizioni per l'elezione dei consigli dei comuni con popolazione superiore a 15.000 abitanti volte a garantire la parità di accesso di donne e uomini alle cariche elettive si applicano anche alle elezioni dei consigli circoscrizionali, secondo le disposizioni dei relativi statuti comunali.
Diversamente, nei comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti non è prevista né la quota di lista, né la doppia preferenza di genere, ma è disposto unicamente che "nelle liste dei candidati è assicurata la rappresentanza di entrambi i sessi" (art. 71, co. 3-bis, primo periodo, TUEL, introdotto dall'art. 2, co. 1, lett. c), n. 1), legge n. 215 del 2012). Tale disposizione è stata dichiarata incostituzionale con la sentenza 10 marzo 2022, n. 62 della Corte costituzionale, nella parte in cui non prevede l'esclusione delle liste elettorali che non assicurino la presenza di candidati di entrambi i sessi (si v. supra). Per quanto riguarda gli Giunte comunaliesecutivi, la legge n. 215/2012 prevede inoltre che il sindaco nomina la giunta nel rispetto del principio di pari opportunità tra donne e uomini, garantendo la presenza di entrambi i sessi. Uguale disposizione è inserita nell'ordinamento di Roma capitale, per quanto riguarda la nomina della Giunta capitolina. Anche la legge n. 56/2014 è intervenuta su questo punto introducendo una disposizione più incisiva: nelle giunte comunali, nessuno dei due sessi può essere rappresentato in misura inferiore al 40 per cento, con arrotondamento aritmetico; sono esclusi dall'ambito di applicazione della norma i comuni con popolazione fino a 3.000 abitanti. La Organi collegialilegge n. 215/2012 ha inoltre modificato la norma che disciplina il contenuto degli statuti comunali e provinciali con riferimento alle pari opportunità. In particolare, è previsto che gli statuti stabiliscono norme per "garantire" - e non più semplicemente "promuovere" - la presenza di entrambi i sessi nelle giunte e negli organi collegiali non elettivi del comune e della provincia, nonché degli enti, aziende ed istituzioni da essi dipendenti. |
Focus: equilibrio di genere e applicazione della legge 165/2017Come accennato supra, per la prima volta nell'ambito della disciplina delle elezioni per la Camera e per il Senato, la legge n. 165 del 2017 ha previsto specifiche prescrizioni nella presentazione delle candidature volte a garantire l'equilibrio di genere nella rappresentanza politica. Si ricorda che già la L. 52/2015 aveva introdotto specifiche prescrizioni in materia ma tale disciplina non ha mai trovato applicazione nelle tornate elettorali, essendo successivamente intervenuta la L. 165/2017. La legge prescrive che per garantire la parità di genere, nella successione interna delle liste nei collegi plurinominali, i candidati sono collocati secondo un ordine alternato di genere, a pena di inammissibilità della lista medesima (D.P.R. 361/1957, art. 18-bis, comma 3; D.Lgs. 533/1993, art. 9, comma 4). Inoltre, nel complesso delle candidature presentate dalle liste e coalizioni di liste nei collegi uninominali e, limitatamente ai capilista, dalle liste nei collegi plurinominali, nessuno dei due generi può essere rappresentato - a livello nazionale, alla Camera, a livello regionale, al Senato - in misura superiore al 60 per cento, con arrotondamento all'unità più prossima (D.P.R. 361/1957, art. 18-bis, comma 3.1; D.Lgs. 533/1993, art. 9, comma 4-bis). L'Ufficio centrale nazionale assicura il rispetto di tali prescrizioni in sede di verifica dei requisiti, comunicando eventuali irregolarità agli Uffici centrali circoscrizionali al fine di apportare eventuali modifiche nella composizione delle liste. A tal riguardo, assume rilevanza, ai fini di possibili modifiche delle liste e candidature, anche l'elenco dei candidati supplenti. In riferimento alle due tornate elettorali 2018 e 2022 che hanno visto l'applicazione della legge 165 del 2017, il Candidaturerapporto percentuale tra candidature di genere diverso è esposto a seguire, distinto per Camera e Senato.
Si ricorda, infatti, che la legge n. 165/2017 consente le pluricandidature: in particolare, nessun candidato può essere incluso in liste con lo stesso contrassegno in più di 5 collegi plurinominali, a pena di nullità dell'elezione. La candidatura della stessa persona in più di un collegio uninominale è nulla. Il candidato in un collegio uninominale può essere candidato altresì nei collegi plurinominali, fermo restando il limite di 5.
Confrontando i dati sulle candidature con i precedenti disponibili, relativi alle elezioni del 2006, elaborati nel Rapporto finale OSCE, emerge che le donne erano pari al 24% dei candidati alla Camera e al 21% dei candidati al Senato (e ottennero poi 109 seggi alla Camera (17,3%) e 45 seggi al Senato (14,3%). I grafici che seguono evidenziano come, dal 2006 ad oggi, sia significativo l'aumento della percentuale di candidature di sesso femminile, sia alla Camera che al Senato, in relazione all'applicazione di specifiche norme elettorali. Al fine di presentare dati omogenei, per le elezioni 2018 e 2022 il dato è riferito alle sole candidature nei collegi plurinominali, per la elezione con sistema proporzionale. Le precedenti elezioni del 2006, con cui i dati sono raffrontati, si svolsero infatti con un sistema proporzionale con premio di maggioranza. Il rapporto tra candidature di genere diverso nei collegi uninominali è presentato per le elezioni 2018 e 2022 ed evidenzia un aumento della percentuale di candidature femminili anche per questa tipologia, più contenuto alla Camera (+0,5) rispetto al Senato (+1,4). Per quanto riguarda i risultati elettorali, la Donne elette 2008-2022percentuale di donne elette alla Camera, in quest'ultima tornata elettorale, risulta pari al 32,3% (129 su 400). Si registra pertanto una flessione (-3,5%) rispetto al 2018, in cui la percentuale di elette è stata pari al 35,7% (225 su 630), in crescita rispetto alla precedente legislatura (+4,3%), la quale, a sua volta, aveva fatto registrare un incremento di circa il 10 per cento rispetto alla XVI legislatura. Al Senato la percentuale complessiva di donne elette è pari al 34,5% (69 su 200), con una flessione quindi più contenuta (-0,2%) rispetto al 2018, in cui la percentuale di elette è stata pari al 34,7% (109 su 314), in crescita rispetto alla XVII legislatura (+5,5%) che aveva già fatto registrare un significativo aumento rispetto alla legislatura precedente (+11,1%). Rispetto al periodo anteriore alla legge n. 165 del 2017, all'aumento delle candidature di sesso femminile ha dunque fatto seguito un aumento delle elette. Tuttavia, dopo il risultato del 2018, si registra una lieve flessione delle elette. Occorre in proposito anche considerare che nelle due tornate elettorali analizzate il numero dei parlamentari, in virtù della legge costituzionale n. 1 del 2020, è sceso sa 945 a 600 (segnatamente gli eletti alla Camera sono 400 in luogo di 630 e gli eletti al Senato 200 invece che 315).
I grafici seguenti illustrano il rapporto tra le Rapporto tra candidature ed eletti alla Cameracandidature e gli eletti per genere. I dati sono riferiti alla elezione della Camera del 2018 e del 2022, due tornate elettorali in cui, come anticipato, si è votato con la medesima disciplina ma con numeri diversi, e sono presentati distintamente per le candidature nei collegi uninominali e per quelle nei collegi plurinominali. I grafici mettono in rilievo che, sia nei collegi sia uninominali che plurinominali, la percentuale di donne elette è sempre inferiore rispetto alla percentuale di donne candidate; viceversa, per gli uomini, la percentuale di eletti è sempre superiore rispetto alla percentuale di candidature. Esemplificativo a tale riguardo è il caso dei collegi plurinominali nelle elezioni 2022, dove i candidati sono esattamente la metà: 50% donne e 50% uomini, mentre gli eletti sono donne per il 33,2 % donne e uomini per il restante 66,8%.
Nel dettaglio, i numeri in valore percentuale e in valore assoluto, sono i seguenti, per le elezioni del 2018:
E per le elezioni del 2022:
|