Camera dei deputati - Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa) |
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Autore: | Servizio Studi - Dipartimento Istituzioni |
Titolo: | Riordino della disciplina dei servizi pubblici locali di rilevanza economica |
Riferimenti: | SCH.DEC N.3/XIX |
Serie: | Atti del Governo Numero: 3 |
Data: | 22/11/2022 |
Organi della Camera: | I Affari costituzionali, V Bilancio |
Servizio Studi
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Dossier n. 15
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Atti del Governo n. 3
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AC0085.docx
I N D I C E
Schede di lettura
§ Premessa......................................................................................................... 3
- Le disposizioni di delega............................................................................... 5
- La riforma dei SPL nel PNRR...................................................................... 13
- Il quadro normativo europeo in materia di SIEG.......................................... 15
- I principali interventi normativi in materia di SPL........................................ 17
- L’organizzazione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica............... 21
- Le discipline di settore................................................................................ 22
§ Articolo 1 (Oggetto)..................................................................................... 32
§ Articolo 2 (Definizioni)................................................................................ 37
§ Articolo 3 (Principi generali del servizio pubblico locale)......................... 42
§ Articolo 4 (Ambito di applicazione e normative di settore)......................... 43
§ Articolo 5 (Meccanismi di incentivazione per favorire le aggregazioni).... 44
§ Articolo 6 (Distinzione tra funzioni di regolazione e gestione nell’assetto organizzativo degli enti locali. Incompatibilità e inconferibilità)............... 49
§ Articolo 7 (Competenze delle autorità di regolazione nei servizi pubblici locali a rete)................................................................................................. 55
§ Articolo 8 (Competenze regolatorie nei servizi pubblici locali non a rete). 63
§ Articolo 9 (Misure di coordinamento con regioni ed enti locali)................ 66
§ Articolo 10 (Perimetro del servizio pubblico locale e principio di sussidiarietà)................................................................................................ 69
§ Articolo 11 (Promozione e sostegno degli utenti)........................................ 76
§ Articolo 12 (Obbligo di servizio pubblico).................................................. 78
§ Articolo 13 (Diritti speciali o esclusivi)....................................................... 80
§ Articolo 14 (Modalità di gestione del servizio pubblico locale).................. 82
§ Articolo 15 (Affidamento mediante procedura ad evidenza pubblica)........ 88
§ Articolo 16 (Affidamento a società mista)................................................... 90
§ Articolo 17 (Affidamento a società in house)............................................... 92
§ Articolo 18 (Rapporti di partenariato con gli enti del Terzo settore)......... 97
§ Articolo 19 (Durata dell’affidamento e indennizzo).................................. 101
§ Articolo 20 (Tutele sociali inerenti al personale impiegato)..................... 103
§ Articolo 21 (Gestione delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni).... 104
§ Articolo 22 (Esecuzione dei lavori connessi alla gestione)....................... 106
§ Articolo 23 (Regime del subentro in caso di scadenza dell’affidamento o cessazione anticipata)................................................................................ 108
§ Articolo 24 (Contratto di servizio)............................................................. 110
§ Articolo 25 (Carta dei servizi e obblighi di trasparenza dei gestori)........ 116
§ Articolo 26 (Tariffe)................................................................................... 118
§ Articolo 27 (Vicende del rapporto)............................................................ 121
§ Articolo 28 (Vigilanza e controlli sulla gestione)...................................... 122
§ Articolo 29 (Rimedi non giurisdizionali)................................................... 123
§ Articolo 30 (Verifiche periodiche sulla situazione gestionale dei servizi pubblici locali)........................................................................................... 125
§ Articolo 31 (Trasparenza nei servizi pubblici locali)................................ 128
§ Articolo 32 (Disposizioni di coordinamento in materia di trasporto pubblico locale).......................................................................................... 130
§ Articolo 33 (Disposizioni di coordinamento in materia di servizio idrico) 135
§ Articolo 34 (Disposizioni di coordinamento in materia di farmacie comunali).................................................................................................... 136
§ Articolo 35 (Disposizioni di coordinamento in materia di impianti di trasporti a fune).......................................................................................... 138
§ Articolo 36 (Abrogazioni e ulteriori disposizioni di coordinamento)........ 142
§ Articolo 37 (Clausola di invarianza finanziaria)....................................... 145
Lo schema di decreto legislativo in esame (Atto del Governo n. 3) reca disposizioni per il riordino della disciplina dei servizi pubblici locali di interesse economico generale, in attuazione della delega conferita al Governo dall’articolo 8 della legge 5 agosto 2022, n. 118 (Legge annuale per il mercato e la concorrenza 2021). L'intervento sui servizi pubblici locali costituisce anche attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza –PNRR. Il Piano prevede infatti, entro dicembre 2022, sia l’approvazione della legge della concorrenza 2021 (misura M1C2-6) sia l’“entrata in vigore di tutti gli strumenti attuativi (anche di diritto derivato, se necessario [e quindi anche del provvedimento in esame, ndr]) per l'effettiva attuazione e applicazione delle misure derivanti dalla legge annuale sulla concorrenza 2021” (misura M1C2-8).
Le disposizioni vigenti, ordinamentali e settoriali, riferibili alla materia dei servizi pubblici locali di rilevanza economica generale, si sono stratificate nel tempo, con interventi non omogenei tra loro - molti dei quali realizzati attraverso la decretazione d’urgenza - dovuti anche alla necessità di armonizzare la normativa nazionale con i principi dell’ordinamento UE, ma anche conseguenti ad esiti referendari e a pronunce della Corte costituzionale (per una sintesi di tali interventi si rinvia, infra, al paragrafo di sintesi sulla normativa interna).
Un tentativo di riordinare la materia era stato compiuto nella XVII legislatura, con la delega contenuta nell’articolo 19 della c.d. legge Madia (L. 7 agosto 2015, n. 124, in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche) per l’adozione di un Testo unico dei servizi pubblici locali. Lo schema di decreto (A.G. n. 308), sul quale le Camere avevano espresso il proprio parere, non ha tuttavia concluso il proprio iter, alla luce della sopravvenuta giurisprudenza costituzionale (sentenza n. 251 del 2016) sulle forme di coinvolgimento delle regioni nel percorso istitutivo.
L’intervento in questione, secondo le affermazioni del legislatore delegato (art. 8, legge n. 118/2022), si pone l’obiettivo di riordinare la disciplina in materia, anche tramite l'adozione di un apposito testo unico, coordinandola con la normativa in materia di contratti pubblici e di società a partecipazione pubblica per gli affidamenti in autoproduzione, oltre che con le discipline settoriali.
In premessa sono di seguito riportati una sintesi dei principi e criteri direttivi di delega; un richiamo alle prescrizioni del PNRR in materia; la disciplina dell’Unione europea; una ricostruzione dell’evoluzione normativa interna e dei tentativi di riforma generale del settore. È infine inclusa una sintesi delle diverse discipline di settore vigenti.
Nel rinviare alle schede sui singoli articoli per la disciplina di dettaglio, si segnala preliminarmente che lo schema di decreto legislativo:
§ identifica la nozione di servizi pubblici locali di rilevanza economica, già presente nel TUEL, con quella, di derivazione europea, di servizi di interesse economico generale (SIEG) di livello locale (art. 2);
§ estende l’ambito di applicazione della normativa generale in esso contenuta, con prevalenza sulle normative di settore, a tutti i servizi di interesse economico generale prestati a livello locale, con la sola esclusione dei servizi di distribuzione dell’energia elettrica e del gas naturale (art. 4). A tal fine reca altresì disposizioni di coordinamento con le discipline vigenti in materia di trasporto pubblico locale, servizio idrico e farmacie comunali (artt. 32-35);
§ introduce misure di incentivazione, da individuare nello specifico con un decreto del Ministro dell’economia, per la gestione integrata dei servizi pubblici locali nelle città metropolitane e per la riorganizzazione a livello regionale degli ambiti o bacini di riferimento dei servizi pubblici locali a rete (art. 5);
§ introduce una specifica disciplina del principio di distinzione e di esercizio separato tra funzioni di regolazione, di indirizzo e di controllo e funzioni di gestione dei servizi pubblici locali a rete (art. 7) e non a rete (art. 8), prevedendo che i servizi a rete siano sottoposti alla regolazione e controllo delle competenti autorità di regolazione, mentre per i servizi non a rete gli atti tipo e gli indicatori adottati dalle competenti strutture della Presidenza del Consiglio dei ministri, mentre gli enti locali si limitino ad adottare un regolamento ovvero un atto generale che regoli la gestione dei servizi non a rete di loro titolarità;
§ al contempo si prevede che gli enti locali e le altre istituzioni pubbliche competenti collaborino per la migliore qualità dei servizi pubblici locali e si attribuisce alle regioni la facoltà di formulare e deliberare dei protocolli volti a favorire e diffondere l’applicazione degli indicatori e parametri determinati “a monte”. Si prevede inoltre che le regioni e province autonome, attraverso azioni di efficientamento di partecipazione dei privati agli investimenti infrastrutturali, sostengano l’industrializzazione dei servizi pubblici locali e la riduzione dei relativi costi (art. 9);
§ prevede modalità innovative per l’individuazione da parte degli enti locali, oltre a quelli necessari per legge di ulteriori servizi pubblici locali di rilevanza economica, previa apposita istruttoria da cui risulti l’inidoneità del mercato a soddisfare i bisogni della collettività (art. 10);
§ in tema di gestione, conferma le forme di affidamento previste dalla legislazione vigente, introducendo alcune integra (artt. 14 e seguenti);
§ con riferimento agli affidamenti in house a società per importo superiore alle soglie di rilevanza europea, richiede una qualificata motivazione che dia espressamente conto delle ragioni del mancato ricorso al mercato (art. 17);
§ prevede norme generali sulla durata dell’affidamento del servizio (art. 19);
§ estende ai servizi pubblici locali di rilevanza economica l’utilizzo della co-progettazione, della co-programmazione e dunque del partenariato come modalità consueta di attivazione di rapporti collaborativi fra pubbliche amministrazioni ed enti del terzo settore (art. 18);
§ detta una serie di disposizioni volte a rafforzare le misure di trasparenza nella disciplina dei servizi locali, sia per quanto riguarda la fase della scelta della gestione così come con riguardo al successivo espletamento delle gestioni dei servizi pubblici locali (artt. 7, 8, 12, 25, 31);
§ indica il contenuto minimo obbligatorio del contratto di servizio e delle carte di servizio (articoli 24-25);
§ prevede un’articolata disciplina tariffaria per la quale è necessario assumere il metodo del price cap (articolo 26);
§ introduce la previsione di verifiche periodiche da parte degli enti locali sulla situazione gestionale dei servizi pubblici locali nei rispettivi territori (art. 30).
L’articolo 8 della legge annuale per il mercato e la concorrenza 2021 (L. n. 118/2022), ai fini dell'attuazione della delega per il riordino della disciplina dei servizi pubblici locali di interesse economico generale, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, stabilisce che il Governo è tenuto ad attenersi a determinati principi e ai criteri direttivi:
§ individuazione delle attività di interesse generale il cui svolgimento è; necessario al fine di assicurare la soddisfazione delle esigenze delle comunità locali, in condizioni di accessibilità fisica ed economica, di continuità, universalità e non discriminazione, e dei migliori livelli di qualità e sicurezza (lett. a));
§ adeguata considerazione delle differenze tra i servizi di interesse economico generale a rete (di cui all’articolo 3-bis, comma 6-bis, del D.L. 13 agosto 2011, n. 138) e gli altri servizi pubblici locali di rilevanza economica. In tale attività il Governo è chiamato al rispetto del principio di proporzionalità e a tener conto dell’industrializzazione dei singoli settori (lett. b));
§ definizione dei criteri per l’istituzione di regimi speciali o esclusivi, tenendo conto dei principi di adeguatezza e proporzionalità e in conformità alla normativa europea. L’obiettivo è il superamento dei regimi di esclusiva non conformi con tali principi e, comunque, non indispensabili per assicurare la qualità e l’efficienza del servizio (lett. d));
§ definizione dei criteri per l’ottimale organizzazione territoriale dei servizi, con la specificazione che tale disciplina dovrà prevedere anche l’armonizzazione delle normative di settore. In tale ottica, fra i principi e criteri direttivi è presente anche la previsione di incentivi e meccanismi di premialità al fine di favorire l’aggregazione delle attività e delle gestioni dei servizi a livello locale (lett. e));
§ razionalizzazione della disciplina concernente le modalità di affidamento e di gestione dei servizi pubblici, nonché la durata dei relativi rapporti contrattuali, nel rispetto dei principi dell’ordinamento europeo e dei principi di proporzionalità e ragionevolezza (lett. f));
§ previsione che la scelta del modello in house sia assunta nel rispetto di un preciso obbligo motivazionale. Nell’esercizio della delega deve in particolare essere previsto, nel caso in cui si opti per il modello dell'autoproduzione in luogo del ricorso al mercato per gli affidamenti di importo superiore alle soglie di rilevanza comunitaria (di cui all’articolo 35 del Codice dei contratti pubblici - D.Lgs.18 aprile 2016, n. 50), un obbligo di "motivazione qualificata" da parte dell'ente locale, per la scelta o la conferma del modello dell’autoproduzione ai fini di una efficiente gestione del servizi (lett. g));
§ previsione di sistemi di monitoraggio dei costi (lett. h));
§ previsione che nell’assolvimento dell’obbligo di procedere alla revisione periodica delle partecipazioni pubbliche (art. 20, D.Lgs. n. 175 del 2016), si tenga conto delle ragioni che, sul piano economico e della qualità dei servizi, giustificano il mantenimento dell’autoproduzione anche in relazione ai risultati conseguiti nella gestione (lett. i));
§ previsione di misure volte a tutelare l’occupazione di coloro che prestano la propria attività nel caso di affidamento del servizio a nuovi soggetti (lett. l));
§ estensione al settore del trasporto pubblico locale della disciplina generale applicabile ai servizi pubblici locali in materia di scelta della modalità di gestione del servizio (lett. m)), nonché revisione delle discipline di settore, con particolare riferimento al settore dei rifiuti e alla gestione del servizio idrico (lett. n));
§ coordinamento tra disciplina dei servizi pubblici locali e normativa in materia di contratti pubblici e di società a partecipazione pubblica per gli affidamenti in autoproduzione (lett. p));
§ razionalizzazione del rapporto tra disciplina dei servizi pubblici locali e disciplina dei rapporti negoziali di partenariato regolati dal codice del Terzo settore (lett. o));
§ revisione della disciplina dei regimi di gestione, delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni, nonché di cessione dei beni in caso di subentro (lett. q));
§ potenziamento del ruolo degli utenti, da perseguire mediante il loro coinvolgimento nella fase di definizione della qualità e della quantità del servizio, degli obiettivi e dei costi del servizio pubblico locale, nonché mediante il rafforzamento degli strumenti di tutela attivabili da parte loro (lett. t));
§ rafforzamento della trasparenza e della comprensibilità degli atti e dei dati concernenti la scelta del regime di gestione, ivi compreso l'affidamento in house, la regolazione negoziale del rapporto tramite contratti di servizio, il concreto andamento della gestione dei servizi pubblici locali dal punto di vista sia economico sia della qualità dei servizi e del rispetto degli obblighi di servizio pubblico (lett. u));
§ definizione delle modalità con cui i soggetti affidatari provvedono alla pubblicazione di dati dai quali si possa avere contezza: della qualità del servizio; del livello degli investimenti effettuati annualmente; della programmazione dei medesimi investimenti sino al termine dell'affidamento (lett. s));
§ definizione di strumenti per la trasparenza dei contratti di servizio nonché introduzione di contratti di servizio tipo (lett. v));
Per quanto riguarda il riordino delle competenze in materia di servizi pubblici locali, il legislatore richiama:
§ la razionalizzazione della ripartizione dei poteri di regolazione e di controllo fra autorità indipendenti e livelli di governo locale. In proposito, si specifica che rimangono ferme le competenze spettanti alle autorità indipendenti in materia di regolazione economico-tariffaria e della qualità (lett. c));
§ la previsione della separazione, a livello locale, tra le funzioni di regolazione dei servizi e le funzioni di diretta gestione degli stessi e al rafforzamento dei poteri sanzionatori connessi alle attività di regolazione (lett. c));
§ razionalizzazione della disciplina e dei criteri per la definizione dei regimi tariffari, anche al fine di assicurare una più razionale distribuzione delle competenze tra autorità indipendenti ed enti locali (lett. r)).
La disposizione di delega prevede che essa sia esercitata entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge (ossia entro il 27 febbraio 2023). Nella relativa procedura di adozione, si prevede, sugli schemi di decreto legislativo, il parere o l’intesa in sede di Conferenza unificata a seconda degli ambiti materiali contenuti nel provvedimento, nonché il parere delle Commissioni parlamentari competenti per materia e per i profili finanziari, oltre che quello dell’Autorità di regolazione per energia, reti e ambiente (ARERA).
I decreti legislativi sono adottati senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica. Le amministrazioni interessate provvedono agli adempimenti di rispettiva competenza con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente. Qualora uno o più decreti legislativi determinino nuovi o maggiori oneri che non trovino compensazione al proprio interno, i decreti legislativi stessi sono adottati solo successivamente o contestualmente all'entrata in vigore dei provvedimenti legislativi che stanzino le occorrenti risorse finanziarie, in conformità all'articolo 17, comma 2, della legge 31 dicembre 2009, n. 196 (art. 8, comma 4).
Come si evince dalla lettera del Ministro per i rapporti con il Parlamento, lo schema di decreto in esame è stato trasmesso pur se privo dell’intesa o del parere della Conferenza unificata, nonché del parere dell'ARERA, considerata l’urgenza dell’esame del provvedimento.
Il Governo si è riservato di trasmettere i pareri previsti non appena saranno acquisiti.
La tabella che segue mette a confronto i principi e i criteri di delega con le disposizioni dello schema di decreto in esame.
PRINCIPI E CRITERI DI DELEGA
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NORME DI ATTUAZIONE |
lettera a) individuazione delle attività di interesse generale necessarie per soddisfare le esigenze delle comunità locali, in condizioni di accessibilità fisica ed economica, di continuità, universalità e non discriminazione, e dei migliori livelli di qualità e sicurezza, così da garantire l’omogeneità dello sviluppo e la coesione sociale e territoriale |
- art. 1 (oggetto e principi comuni) - art. 2 (definizioni SIEG) - art. 3 (principi generali del servizio pubblico locale) - art. 10 (perimetro del servizio pubblico locale e principio di sussidiarietà) - art. 11(promozione e sostegno degli utenti) - art. 12 (obblighi di servizio pubblico per gli operatori sul mercato)
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lettera b) adeguata considerazione delle differenze tra i servizi di interesse economico generale a rete e gli altri servizi pubblici locali di rilevanza economica (non a rete), anche ai fini della definizione della disciplina relativa alla gestione e all'organizzazione del servizio idonea ad assicurarne la qualità e l'efficienza e della scelta tra autoproduzione e ricorso al mercato |
- art. 2, comma 1 (definizione di “servizi pubblici locali a rete”) - art. 4 (ambito di applicazione e normative di settore) - art. 5, comma 2 (possibilità per le regioni di riorganizzare, con la collaborazione degli enti locali interessati, gli ambiti o bacini di riferimento dei servizi a rete di propria competenza) - art. 6, commi 3, 4, 7 e 8 (incompatibilità e inconferibilità) - art. 17, comma 4 (piano economico-finanziario servizi a rete) - art. 19 (durata affidamento e indennizzo) - art. 32 (disposizioni di coordinamento in materia di TPL)
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lettera c) razionalizzazione della ripartizione dei poteri di regolazione e di controllo tra autorità indipendenti e i diversi livelli di governo locale; separazione, a livello locale, tra le funzioni regolatorie e le funzioni di diretta gestione dei servizi; rafforzamento dei poteri sanzionatori connessi alle attività di regolazione |
- art. 6 (distinzione tra funzioni di regolazione e gestione nell’assetto organizzativo degli enti locali) - art. 7 (competenze delle autorità di regolazione nei servizi pubblici locali a rete) - art. 8 (competenze regolatorie delle strutture della Presidenza del Consiglio nei servizi pubblici locali non a rete) - art. 9 (coordinamento con regioni ed enti locali) - art. 28 (vigilanza e controlli sulla gestione)
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lettera d) definizione criteri per l'istituzione di regimi speciali o esclusivi, anche in considerazione delle peculiari caratteristiche economiche, sociali, ambientali e geomorfologiche del contesto territoriale di riferimento di determinati servizi pubblici; superamento dei regimi di esclusiva non conformi a tali princìpi e, comunque, non indispensabili per assicurare la qualità e l'efficienza del servizio |
- art.13 (limitazioni nella istituzione e nel mantenimento di diritti speciali o esclusivi) |
lettera e) definizione criteri per l'ottimale organizzazione territoriale dei servizi pubblici locali, anche mediante l'armonizzazione delle normative di settore, e introduzione di incentivi e meccanismi di premialità che favoriscano l'aggregazione delle attività e delle gestioni dei servizi a livello locale |
- articolo 5 (meccanismi di incentivazione delle aggregazioni) |
lettera f) razionalizzazione della disciplina concernente le modalità di affidamento e di gestione dei servizi pubblici, nonché la durata dei relativi rapporti contrattuali, nel rispetto dei princìpi dell'ordinamento dell'Unione europea e dei princìpi di proporzionalità e ragionevolezza |
- art. 14 (scelta della modalità di gestione del servizio pubblico locale) - art. 15 (affidamento mediante procedura a evidenza pubblica) - art. 16 (affidamento a società mista) - art. 17 (affidamento a società in house) - art. 19 (durata dell’affidamento e indennizzo) - art. 27 (vicende del rapporto contrattuale)
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lettera g) previsione, per gli affidamenti c.d. sopra soglia, di una motivazione qualificata, da parte dell'ente locale, per la scelta o la conferma del modello dell'autoproduzione ai fini di un'efficiente gestione del servizio |
- art. 17 (affidamento a società in house) |
lettera h) previsione di sistemi di monitoraggio dei costi |
- art. 2 (definizione di costi di riferimento) - art. 7 (determinazione costi di riferimento da parte delle Autorità di regolazione dei servizi a rete) - art. 30 (verifiche periodiche sulla situazione gestionale dei servizi pubblici locali)
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lettera i) previsione che nell'assolvimento dell’obbligo di procedere alla revisione periodica delle partecipazioni pubbliche si tenga conto delle ragioni che giustificano il mantenimento dell’autoproduzione |
- art. 17, c. 5 (analisi periodica ed eventuale razionalizzazione ex art. 20 T.U. delle società partecipate che dia conto delle ragioni che, giustificano il mantenimento dell’affidamento del servizio a società in house) |
lettera l) misure di tutela dell'occupazione anche mediante l'impiego di apposite clausole sociali |
- art. 20 (tutele sociali) |
lettera m) estensione della disciplina in materia di scelta della modalità di gestione del servizio pubblico locale e di affidamento dei relativi contratti anche al settore del trasporto pubblico locale |
- art. 4 (ambito di applicazione del decreto e normative di settore) - art. 32 (disposizioni di coordinamento in materia di trasporto pubblico locale) |
lettera n) revisione discipline settoriali in materia di servizi pubblici locali, con particolare riferimento al settore dei rifiuti e alla gestione del servizio idrico, al fine di assicurarne l'armonizzazione e il coordinamento |
- art. 33 (disposizioni di coordinamento in materia di servizio idrico) |
lettera o) razionalizzazione del rapporto tra la disciplina dei servizi pubblici locali e la disciplina per l'affidamento dei rapporti negoziali di partenariato regolati dal Codice del Terzo settore, in conformità agli indirizzi della giurisprudenza costituzionale |
- art. 18 (rapporti di partenariato con gli enti del terzo settore) |
lettera p) coordinamento della disciplina dei servizi pubblici locali con la normativa in materia di contratti pubblici e in materia di società a partecipazione pubblica per gli affidamenti in autoproduzione |
- art. 15 (affidamento mediante procedura a evidenza pubblica) - art. 16 (affidamento a società mista) - art. 17 (affidamento a società in house) |
lettera q) revisione della disciplina dei regimi di gestione delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni, nonché di cessione dei beni in caso di subentro, anche al fine di assicurare un'adeguata tutela della proprietà pubblica, nonché un'adeguata tutela del gestore uscente |
- art. 21 (gestione delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni) - art. 22 (esecuzione di lavori connessi alla gestione) - art. 23 (regime del subentro in caso di scadenza dell’affidamento o cessazione anticipata) |
lettera r) razionalizzazione della disciplina e dei criteri per la definizione dei regimi tariffari, anche al fine di assicurare una più razionale distribuzione delle competenze tra autorità indipendenti ed enti locali |
- art. 26 (tariffe) |
lettera s) previsione di modalità per la pubblicazione, a cura degli affidatari, dei dati relativi alla qualità del servizio, al livello annuale degli investimenti effettuati e alla loro programmazione fino al termine dell'affidamento |
- art. 25 (carta dei servizi e obblighi di trasparenza dei gestori) |
lettera t) razionalizzazione della disciplina concernente le modalità di partecipazione degli utenti nella fase di definizione della qualità e quantità del servizio, degli obiettivi e dei costi del servizio pubblico locale e rafforzamento degli strumenti di tutela degli utenti, anche attraverso meccanismi non giurisdizionali |
- art. 10, c. 5 (deliberazione di istituzione del servizio che dà conto degli esiti dell’istruttoria da cui risulti, che il ricorso al mercato o il coinvolgimento dei cittadini siano inidonei a garantire il soddisfacimento dei bisogni delle comunità locali) - art. 24, c. 4 (ulteriori elementi dei contratti di servizio a domanda individuale) - art. 25 (carta dei servizi e obblighi di trasparenza dei gestori) - art. 29 (rimedi non giurisdizionali) |
lettera u) rafforzamento della trasparenza e della comprensibilità degli atti e dei dati concernenti la scelta del regime di gestione, ivi compreso l'affidamento in house, la regolazione negoziale del rapporto tramite contratti di servizio e il concreto andamento della gestione dei servizi pubblici locali dal punto di vista sia economico sia della qualità dei servizi e del rispetto degli obblighi di servizio pubblico |
- art. 31 (trasparenza nei servizi pubblici locali) |
lettera v) definizione di strumenti per la trasparenza dei contratti di servizio nonché introduzione di contratti di servizio tipo |
- art. 7 (competenze delle autorità di regolazione nei servizi pubblici locali a rete) - art. 8 (competenze regolatorie delle strutture della Presidenza del Consiglio nei servizi pubblici locali non a rete) - art. 31 (trasparenza nei servizi pubblici locali) |
Le disposizioni dello schema di decreto legislativo non sembrano quindi dare attuazione, in particolare per quanto concerne il settore dei rifiuti, a quanto previsto dal principio di delega di cui alla lettera n) (revisione discipline settoriali in materia di servizi pubblici locali, con particolare riferimento al settore dei rifiuti e alla gestione del servizio idrico, al fine di assicurarne l'armonizzazione e il coordinamento). A tali settori si applicano comunque le disposizioni generali in materia di servizi pubblici locali previste dal provvedimento, fatto salvo quanto previsto, per il servizio idrico, dalle disposizioni di coordinamento di cui, rispettivamente, all’articolo 33 (non sono invece presenti norme di coordinamento per il settore dei rifiuti).
Nell’ambito della richiamata misura M1C1-6, il PNRR prevede che la legge per la concorrenza 2021 e le relative misure attuative debbano, con riferimento ai servizi pubblici locali:
· rafforzare e diffondere il ricorso al principio della concorrenza nei contratti di servizio pubblico locale, in particolare per i rifiuti e i trasporti pubblici locali; sul punto, come già segnalato sopra, si rileva che lo schema di decreto legislativo non interviene sulle discipline settoriali in materia; tuttavia, le disposizioni del provvedimento si applicano anche ai due settori, in forza di quanto previsto dall’articolo 4, comma 1, in base al quale le disposizioni del decreto si applicano a tutti i servizi di interesse economico generale prestati a livello locale e prevalgono sulle normative di settore e le integrano in quanto espressione di principi generali; limitatamente al settore del trasporto pubblico locale sono poi presenti disposizioni di coordinamento tra lo schema e la normativa vigente all’articolo 32;
· limitare gli affidamenti diretti imponendo alle amministrazioni locali di giustificare eventuali scostamenti dalle procedure di gara; sul punto si richiamano gli articoli 10 e da 14 a 17 dello schema;
· prevedere la corretta regolamentazione dei contratti di servizio pubblico; sul punto si richiama l’articolo 24 dello schema di decreto;
· prevedere norme e meccanismi di aggregazione che incentivino le unioni tra Comuni volte a ridurre il numero di enti e di amministrazioni aggiudicatrici, collegandoli ad ambiti territoriali ottimali e a bacini e livelli adeguati di servizi di trasporto pubblico locale e regionale di almeno 350.000 abitanti; sul punto si richiama l’articolo 5 dello schema di decreto;
· definire i servizi pubblici sulla base dei criteri del diritto dell'UE; sul punto si veda l’articolo 2 dello schema di decreto;
· stabilire i principi generali di prestazione, regolamentazione e gestione dei servizi pubblici locali; sul punto si vedano gli articoli da 6 a 10 dello schema di decreto;
· stabilire un principio generale di proporzionalità della durata dei contratti di servizio pubblico; sul punto si veda l’articolo 19 dello schema di decreto;
· separare chiaramente le funzioni di regolamentazione e controllo e la gestione dei contratti di servizio pubblico; sul punto si veda l’articolo 6 dello schema di decreto;
· garantire che le amministrazioni locali giustifichino l'aumento della partecipazione pubblica in società per l'in house providing; sul punto si vedano gli articoli 16 e 17 dello schema di decreto
· prevedere un'adeguata compensazione dei contratti di servizio pubblico, sulla base di costi controllati da regolatori indipendenti (es. ARERA per l'energia o ART per i trasporti); sul punto si veda articolo 24 dello schema di decreto;
· limitare la durata media dei contratti in house e ridurre e armonizzare tra gli enti appaltanti la durata standard dei contratti aggiudicati, a condizione che la durata garantisca l'equilibrio economico e finanziario dei contratti, anche sulla base dei criteri stabiliti dall'Autorità per i trasporti; sul punto si vedano gli articoli 17 e 19 dello schema di decreto.
In ambito comunitario il processo di integrazione dei servizi di interesse economico generale si è avviato e sviluppato in connessione con l’organizzazione della libera circolazione delle persone, delle merci, dei servizi e dei capitali, nonché con la progressiva liberalizzazione di settori di interesse economico generale tradizionalmente sottratti alle logiche di mercato e alle disposizioni in materia di concorrenza.
Gli Stati membri hanno, infatti, a lungo provveduto a definire, organizzare e finanziare i servizi di interesse generale secondo le loro tradizioni e la loro storia, in assenza di norme comunitarie che li vincolassero a un sistema di interdipendenza europea. Nel contesto di tali differenti esperienze organizzative è, tuttavia, emersa l’idea unitaria che determinate attività non potessero dipendere unicamente dalle regole del mercato e dal diritto comunitario in materia di concorrenza, ma necessitassero di una specifica regolamentazione idonea a garantire il diritto di accesso universale a beni e servizi fondamentali.
Negli anni Novanta del secolo scorso sono intervenute numerose direttive europee di settore (comunicazioni elettroniche, energia elettrica, gas, poste, etc.) volte a liberalizzare i servizi di interesse generale. Le direttive in questione hanno aperto la gestione di specifici settori alla concorrenza tra più operatori, facendo venire meno la riserva originaria di attività nei confronti del soggetto pubblico, ma hanno contestualmente previsto che le autorità nazionali di regolazione provvedessero alla determinazione di standard minimi relativi ai servizi, alla fissazione delle tariffe, alla definizione dei sistemi di autorizzazione o di concessione, dei contratti di servizio, degli obblighi a contrarre a carico dei gestori, delle carte di servizi, ecc.
Il Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE) dà particolare rilievo alla nozione di servizi di interesse economico generale (SIEG), evidenziandone il ruolo essenziale per la promozione della coesione sociale e territoriale e disponendo che l'Unione e gli Stati membri, secondo le rispettive competenze e nell'ambito del campo di applicazione dei trattati, provvedano affinché tali servizi funzionino in base a principi e condizioni, in particolare economiche e finanziarie, che consentano loro di assolvere i propri compiti. Il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando mediante regolamenti secondo la procedura legislativa ordinaria, stabiliscono tali principi e fissano tali condizioni, fatta salva la competenza degli Stati membri, nel rispetto dei trattati, di fornire, fare eseguire e finanziare tali servizi (TFUE, art. 14).
I SIEG sono servizi che si prestano ad essere esercitati in forma imprenditoriale in regimi concorrenziali. Sono, dunque, forniti dal gestore agli utenti dietro corresponsione di un corrispettivo in denaro (e per questo distinti dai servizi non economici di interesse generale-SINEG, i quali sono erogati a titolo gratuito). Le imprese incaricate di svolgerli sono soggette alle disposizioni dei Trattati, in particolare alle regole in materia di concorrenza, nei limiti in cui l’applicazione di tali norme non osti all’adempimento della specifica missione loro affidata (TFUE, art. 106).
Il diritto europeo riconosce agli Stati membri ampia libertà nel definire quali servizi sono di interesse economico generale. La Commissione europea è tenuta, tuttavia, a garantire che il finanziamento pubblico concesso per l’erogazione di tali servizi non falsi indebitamente la concorrenza nel mercato interno e che pertanto sia rispettato il principio di proporzionalità nella deroga alla disciplina concorrenziale strettamente funzionale al perseguimento dell'interesse pubblico (si veda la “Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni - Una disciplina di qualità per i servizi di interesse generale in Europa”, 20 dicembre 2011).
Al riguardo, appare opportuno richiamare anche la sentenza della Corte di giustizia dell'UE del 24 luglio 2003 C-280/00, Altmark trans GmbH and Regierungspräsidun Magdeburg contro Nahverkehrsgeselleschaft Altmark GmbH[1].
Il Protocollo sui servizi di interesse generale allegato al TFUE (Protocollo n. 26) ha segnato una tappa fondamentale nel processo di cd. europeizzazione (integrazione in ambito comunitario) dei servizi pubblici:
"Art. 1. I valori comuni dell'Unione con riguardo al settore dei servizi di interesse economico generale ai sensi dell'articolo 14 del trattato sul funzionamento dell'Unione Europea comprendono in particolare:
il ruolo essenziale e l'ampio potere discrezionale delle autorità nazionali, regionali e locali di fornire, commissionare e organizzare servizi di interesse economico generale il più vicini possibile alle esigenze degli utenti;
la diversità tra i vari servizi di interesse economico generale e le differenze delle esigenze e preferenze degli utenti che possono discendere da situazioni geografiche, sociali e culturali diverse;
un alto livello di qualità, sicurezza e accessibilità economica, la parità di trattamento e la promozione dell'accesso universale e dei diritti dell'utente.
Art. 2. Le disposizioni dei trattati lasciano impregiudicata la competenza degli Stati membri a fornire, a commissionare e ad organizzare servizi di interesse generale non economico[2]"
La disciplina dei servizi pubblici locali ha subito, nel nostro ordinamento, numerose modifiche, dovute, tra l’altro, alla necessità di armonizzare la normativa nazionale con i principi della normativa europea.
La prima disciplina interna dei servizi pubblici locali è stata quella recata dal titolo V (artt. 112 e seguenti) del TUEL di cui al decreto legislativo n. 267 del 2000. In particolare, l’art. 112 individua i servizi pubblici nella “produzione di beni ed attività rivolte a realizzare fini sociali e a promuovere lo sviluppo economico e civile delle comunità locali”; l’art. 113, recante disposizioni in materia di gestione delle reti ed erogazione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, è stato oggetto degli interventi modificativi e parzialmente abrogativi di seguito indicati.
La legge 28 dicembre 2001, n. 448, ha modificato l’art. 113 del Tuel e vi ha inserito l’art. 113-bis, introducendo la distinzione tra servizi “di rilevanza industriale” e servizi “privi di rilevanza industriale”, assoggettando i primi al regime di concorrenza attraverso l’espletamento di gare con procedure ad evidenza pubblica, e prevedendo, per i secondi, l’affidamento diretto.
La disciplina dei servizi pubblici locali è stata successivamente modificata dal decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 dicembre 2003, n. 350, il quale ha sostituito, alla distinzione tra servizi pubblici di rilevanza industriale/non di rilevanza industriale, quella tra servizi pubblici “a rilevanza economica” e servizi pubblici “privi di rilevanza economica”, "con ciò mostrando l’intento di superare la distinzione dei servizi pubblici basata esclusivamente sul modo tecnico in cui il servizio pubblico viene prodotto, cioè sul suo carattere strutturale e di produzione" (Corte dei conti, parere n. 195 del 2009).
La Corte Costituzionale, con sentenza n. 272 del 2004, ha successivamente dichiarato l’incostituzionalità dell’art. 113-bis del Tuel in materia di servizi privi di rilevanza economica, in quanto tali servizi non attengono alla tutela della concorrenza (come invece i servizi di rilevanza economica) e perciò la relativa disciplina non spetta alla competenza statale ai sensi dell'art. 117 della Costituzione. Ciò ha determinato di fatto una sorta di vuoto di disciplina dei servizi privi di rilevanza economica, che non è stato successivamente colmato.
In questo quadro si è inserito l'art. 23-bis del decreto-legge n. 112 del 2008, (conv. L. n. 133 del 2008), con l’obiettivo di introdurre una (parziale) liberalizzazione del settore, con incentivazione della gestione in concorrenza dei servizi, sostituendo la normativa precedente, anche settoriale.
A tal fine è stato previsto: il principio della procedura a evidenza pubblica come regola generale per gli affidamenti dei servizi pubblici a rilevanza economica; la possibilità di affidamento a una società mista a condizione che venisse espletata una gara «a doppio oggetto», per l’affidamento del servizio e per la scelta del socio privato, con una partecipazione non inferiore al 40 per cento e l'attribuzione di specifici compiti operativi; l'eccezione dell'affidamento in house, subordinato a un parere (non vincolante) dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato e all'esistenza di «situazioni eccezionali che, a causa di peculiari caratteristiche economiche, sociali, ambientali e geomorfologiche del contesto territoriale di riferimento, non permettessero un efficace e utile ricorso al mercato»[3].
Il comma 11 dell’art 23-bis ha, inoltre, disposto l’abrogazione tacita delle disposizioni dell'art. 113 del Tuel nelle parti incompatibili con le nuove disposizioni.
L’intera disciplina prevista dall'art. 23-bis, è stata travolta dagli esiti delle consultazioni referendarie del 12 e 13 giugno 2011, aventi ad oggetto quattro quesiti, tra cui uno di abrogazione dell'art. 23-bis del D.L. 112/2008 sui servizi pubblici locali[4].
Successivamente, il Governo è intervenuto sulla materia con l’articolo 4 del decreto-legge n. 138 del 2011 (conv. L. 148/2011), prevedendo una nuova disciplina generale dei servizi pubblici locali che, tuttavia, a differenza della precedente escludeva espressamente il settore idrico.
Quanto al campo di applicazione delle nuove regole si prevedeva una clausola di generale applicazione ai servizi pubblici locali di rilevanza economica, con prevalenza sulle relative discipline di settore incompatibili. Accanto a ciò si stabiliva l’esclusione, oltre al servizio idrico integrato, dei seguenti servizi, disciplinati da normative di settore: servizio di distribuzione di gas naturale; servizio di distribuzione di energia elettrica; servizio di trasporto ferroviario regionale; gestione delle farmacie comunali.
In particolare, si prevedeva che di regola la gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica dovesse essere rimessa alla libera iniziativa economica privata (concorrenza nel mercato), con la possibilità per gli enti locali di introdurre diritti di esclusiva, sulla base di un'analisi di mercato che ne comprovasse la necessità e previo parere favorevole vincolante dell'Autorità garante della concorrenza, in favore di soggetti individuati tramite l'espletamento di procedure di gara (concorrenza per il mercato). Era contemplata la possibilità di affidamento del servizio a società miste, con gara a doppio oggetto. Nel caso di valore economico del servizio inferiore a 200.000 euro annui, l'Ente locale poteva procedere a un affidamento in house a società a capitale interamente pubblico, senza dover ricorrere al mercato. Tali disposizioni sono state poi oggetto di successive modificazioni, volte, tra l'altro, a limitare ulteriormente le possibilità di ricorrere alle gestioni dirette[5].
Su tale normativa riproduttiva della disciplina oggetto del richiamato referendum è intervenuta la Corte costituzionale, che, con sentenza n. 199 del 2012, ha dichiarato l’illegittimità delle disposizioni adottate con l’art. 4 del D.L. n. 138/2011, in quanto dirette sostanzialmente a reintrodurre la disciplina abrogata dalla volontà popolare e così in contrasto con il divieto desumibile dall'art. 75 Cost..
In particolare, a seguito di questo intervento della Corte, il riferimento generale per la disciplina applicabile nell'ordinamento italiano in materia di affidamento del servizio è tornato ad essere rappresentato dalla normativa europea (direttamente applicabile) relativa alle regole concorrenziali minime per le gare ad evidenza pubblica che affidano la gestione di servizi pubblici di rilevanza economica (Corte cost., sentenza n. 24 del 2011).
Caducata tutta la normativa adottata con l’art. 4 del D.L. 138/2011 e le successive modifiche, sono rimaste in vigore alcune disposizioni in materia che riguardano la scelta delle modalità di affidamento del servizio, che è rimessa dall’articolo 34 del decreto-legge n. 179 del 2012 (convertito da L. n. 221/2012) all'ente di governo dell'ambito o bacino territoriale, al quale partecipano obbligatoriamente gli enti locali, sulla base di una relazione, da rendere pubblica sul sito internet dell'ente stesso, che deve dare conto "delle ragioni e della sussistenza dei requisiti previsti dall'ordinamento europeo per la forma di affidamento prescelta e che definisce i contenuti specifici degli obblighi di servizio pubblico e servizio universale, indicando le compensazioni economiche (se previste)".
Pertanto, la scelta della modalità di affidamento risulta rimessa alla valutazione dell'ente locale, nel presupposto che la discrezionalità in merito sia esercitata nel rispetto dei principi europei; di concorrenza, di libertà di stabilimento e di libera prestazione dei servizi. Da tale disciplina sono stati espressamente esclusi i servizi di distribuzione di gas naturale e di distribuzione di energia elettrica, nonché quelli di gestione delle farmacie comunali.
Gli enti di governo sono tenuti ad inviare le relazioni all'Osservatorio per i servizi pubblici locali, istituito presso il Ministero dello sviluppo economico, che provvede a pubblicarle nel proprio portale telematico contenente dati concernenti l'applicazione della disciplina dei servizi pubblici locali di rilevanza economica sul territorio (art. 13, co. 25-bis, D.L. 23 dicembre 2013, n. 145, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 9/2014).
Disposizioni particolari sono state stabilite per gli "affidamenti diretti" (cioè senza gara) in essere alla data di entrata in vigore del D.L. n. 179/2012 (18 ottobre 2012), anche se non conformi alla normativa europea articolo 34, comma 22, del decreto-legge n. 179 del 2012, come sostituito dall’articolo 8 della legge n. 115 del 2015).
Accanto alle forme di affidamento della gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, negli ultimi anni gli interventi del legislatore si sono concentrati sull'assetto organizzativo per lo svolgimento dei servizi di interesse economico generale.
In particolare, per rendere più efficiente la gestione dei servizi e favorire i processi di aggregazione dei gestori, il legislatore è intervenuto a dettare una disciplina in materia di organizzazione per lo svolgimento dei servizi pubblici locali (art. 3-bis, del decreto-legge n. 138 del 2011, introdotto dall'art. 25, co. 1, del D.L. n 1/2012). In base a tale disciplina, che si applica solo ai servizi pubblici locali a rete di rilevanza, spetta alle Regioni e alle province autonome il compito di individuare ambiti o bacini territoriali che consentano di sfruttare economie di scala e di differenziazione, nonché istituire o designare gli enti di governo degli ambiti o bacini territoriali. Ad essi la legge riserva in via esclusiva le seguenti funzioni: organizzazione del servizio; scelta della forma di gestione; affidamento della gestione; controllo della gestione; determinazione delle tariffe all'utenza per quanto di competenza (art. 3-bis, comma 1-bis, del D.L. n. 138/2011, introdotto dall'art. 34 del D.L. n. 179/2012).
Su tale disciplina sono intervenute alcune modifiche. Dapprima il legislatore ha previsto, in caso di mancata istituzione o designazione dell'ente di governo dell'ambito territoriale ottimale, l'esercizio di poteri sostitutivi da parte del prefetto, in modo da provvedere al compimento degli adempimenti necessari al completamento della procedura di affidamento entro il 31 dicembre 2014 (art. 13, co. 2, D.L. n. 150/2013).
Successivamente è stato introdotto l'obbligo per gli enti locali di partecipare agli enti di governo degli ambiti o bacini territoriali ottimali o omogenei (art. 1, co. 609, L. n. 190/2014). In caso di inottemperanza è attribuito al Presidente della Regione l'esercizio dei poteri sostituitivi, previa diffida all'ente locale ad adempiere entro il termine di trenta giorni. La predisposizione della relazione richiesta dalla legislazione vigente per l'affidamento del servizio viene quindi posta in capo ai suddetti enti di governo; nella relazione è ricompreso anche un piano economico finanziario.
Per quanto riguarda il ruolo degli enti locali, la c.d. legge Delrio ha stabilito che le città metropolitane hanno la funzione fondamentale di organizzazione dei servizi di interesse generale di ambito metropolitano, inclusi quelli a rete di rilevanza economica (L. 56/2014, art. 1 co. 44). La legge Delrio impone, inoltre, allo Stato o alle Regioni la soppressione di enti o agenzie (consorzi, società in house) alle quali siano state attribuite funzioni di organizzazione dei servizi pubblici di rilevanza economica in ambito provinciale o sub-provinciale, con contestuale riattribuzione di tali funzioni alle province (art. 1, co. 90).
Le modalità di affidamento del servizio di trasporto pubblico locale sono state definite a livello europeo dal regolamento (CE) n. 1370/2007, come modificato dal regolamento 2016/2338, entrato in vigore dal 24 dicembre 2017, relativo ai servizi pubblici di trasporto di passeggeri su strada e per ferrovia, che stabilisce anche le condizioni alle quali le autorità competenti, se impongono o stipulano obblighi di servizio pubblico, compensano gli operatori di servizio pubblico per i costi sostenuti e/o conferiscono loro diritti di esclusiva in cambio dell'assolvimento degli obblighi di servizio pubblico.
Il Regolamento prevede (art. 5) l'applicazione, a decorrere dal 3 dicembre 2019, di tre possibili modalità di affidamento del servizio: la prima è la procedura di affidamento mediante gara, modalità che deve comunque essere ammessa dagli ordinamenti degli Stati membri; le altre due modalità, facoltative e che possono pertanto anche essere vietate dalle singole legislazioni nazionali, sono quella della gestione diretta (cioè la fornitura del servizio da parte delle stesse autorità locali competenti) e quella dell'aggiudicazione mediante affidamento diretto ad un soggetto distinto.
La possibilità di affidamento diretto è però subordinata alla presenza di determinati requisiti: l'affidamento deve avvenire a favore di un soggetto giuridicamente distinto su cui l'autorità pubblica eserciti un controllo analogo a quello esercitato sulle proprie strutture (si deve trattare cioè di una società in house) e non ci deve essere un divieto da parte del legislatore nazionale. Gli affidamenti diretti sono peraltro sempre consentiti (sempre fatto salvo il divieto da parte del Legislatore nazionale) al di sotto di determinate soglie di valore e dimensione del servizio (vedi infra). Per i contratti di trasporto pubblico ferroviario di passeggeri è stata peraltro introdotta una speciale disciplina di deroga al principio generale degli affidamenti con gara, che consente fino al 2 dicembre 2019 (salvo che non sia vietato dalle legislazioni nazionali) l'affidamento diretto con le regole attuali e per una durata massima di 10 anni, prorogabile del 50% in caso di investimenti dell'operatore. Sulla base delle rilevazioni dell'Autorità dei Trasporti tale procedura risulta adottata da alcune regioni per i contratti di trasporto pubblico ferroviario regionale.
A livello nazionale, con il decreto legge 24 aprile 2017, n. 50 (convertito dalla legge n. 96 del 2017), è stato realizzato un ampio intervento normativo sulla materia, relativamente alle modalità di affidamento dei servizi e alla scelta del contraente, alle compensazioni, ai livelli di servizio di trasporto pubblico locale, nonché per la definizione degli ambiti e dei bacini del servizio pubblico.
Con lo stesso decreto legge n. 50/2017 sono state apportate rilevanti modifiche al meccanismo di finanziamento del trasporto pubblico locale, tramite il c.d. Fondo TPL.
Circa l'affidamento dei servizi di trasporto pubblico locale e regionale, l’articolo 27 (commi 1-8) promuove l’utilizzo di procedure ad evidenza pubblica, facendone derivare conseguenze ai fini della ripartizione del Fondo TPL.
In particolare, l’articolo 27, comma 2, lett. d), del citato decreto-legge n. 50 del 2017 prevede una “riduzione in ciascun anno delle risorse del Fondo da trasferire alle regioni, qualora i servizi di trasporto pubblico locale e regionale non risultino affidati con procedure di evidenza pubblica entro il 31 dicembre dell'anno precedente a quello di riferimento, ovvero ancora non ne risulti pubblicato alla medesima data il bando di gara, nonché nel caso di gare non conformi alle misure di cui alle delibere dell'Autorità di regolazione dei trasporti adottate ai sensi dell'articolo 37, comma 2, lettera f)” del decreto-legge n. 201 del 2011.
L’entrata in vigore di questo sistema di penalizzazione per gli enti che non mettono a gara il servizio di TPL – tuttavia - è stata più volte differita.
Da ultimo, con l’iniziale intento di dare nuovo impulso legislativo al principio dell’affidamento dei servizi di TPL locale e regionale mediante procedure di evidenza pubblica e anche per consentire l’applicazione delle decurtazioni di cui all’articolo 27, comma 2, lett. d), del D.L. n. 50 del 2017, l’articolo 9 della Legge annuale per il mercato e la concorrenza 2021 prevedeva che le regioni a statuto ordinario attestassero, mediante apposita comunicazione inviata entro il 31 maggio di ciascun anno al citato Osservatorio nazionale sulle politiche pubbliche per il trasporto pubblico locale, l’avvenuta pubblicazione, entro il 31 dicembre dell’anno precedente, alternativamente:
- delle informazioni di cui all’articolo 7, paragrafo 2, del Regolamento (CE) 1370/2007, vale a dire:
a) nome e indirizzo dell’autorità competente;
b) tipo di aggiudicazione previsto;
c) servizi e territori potenzialmente interessati dall’aggiudicazione;
d) data d'inizio e durata previste del contratto di servizio pubblico.
- dell’avvenuta pubblicazione, entro il 31 dicembre dell’anno precedente, dei bandi di gara; ovvero ancora
- l’avvenuto affidamento, entro la medesima data, con procedure conformi al Regolamento (CE) 1370/2007, di tutti i servizi di trasporto pubblico locale e regionale con scadenza entro il 31 dicembre dell’anno di trasmissione dell’attestazione.
Si specifica tuttavia che tali disposizioni si applicano ai fini della ripartizione delle risorse stanziate sul Fondo in parola a decorrere dall’esercizio finanziario 2023.
Durante l’esame in sede referente, l’articolo 9 è stato modificato nel senso di richiamare esplicitamente le tre modalità di cui al regolamento (CE) 1370/2007 (su cui v, infra, art. 32). Pertanto – ad oggi – la messa a gara è una possibilità, ma non un obbligo per gli enti locali.
Le disposizioni del decreto legge n. 50/2017 che hanno fatto salve (articolo 27, comma 11-quinquies) le procedure di scelta del contraente già avviate prima dell'entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge (24 giugno 2017), hanno altresì fissato il principio di separazione delle funzioni di regolazione, indirizzo, organizzazione e controllo da quelle di gestione dei servizi di trasporto pubblico locale e regionale (art. 27, comma 12-quater).
Il comma 12-quater dell'art. 27 ha poi stabilito il principio di separazione delle funzioni di regolazione, indirizzo, organizzazione e controllo e quelle di gestione dei servizi di trasporto pubblico locale e regionale.
La norma stabilisce, in particolare, l'obbligo per l'ente locale o la regione affidante di avvalersi obbligatoriamente di un'altra stazione appaltante per lo svolgimento della procedura di affidamento dei servizi di trasporto pubblico locale e regionale qualora il gestore uscente, ovvero uno dei concorrenti, sia controllato o partecipato dall'ente affidante, ovvero sia affidatario del servizio in via diretta ovvero in house.
Il decreto legge n. 50/2017 è inoltre intervenuto (art. 27, comma 6) sulla definizione dei livelli adeguati dei servizi di trasporto pubblico locale e regionale automobilistico e ferroviario, che costituiscono anch'essi un parametro per il riparto del Fondo TPL.
In materia di scelta del contraente l'art. 48, comma 6 del D.L. n. 50/2017, ha demandato all'Autorità di regolazione dei trasporti il compito di definire regole generali riferite alle procedure di scelta del contraente per l'affidamento dei servizi di trasporto pubblico locale e regionale ed il comma 7, in senso più ampio, ha attribuito all'Autorità dei Trasporti il potere di intervenire con attività di regolazione generale in tema di procedure per l'affidamento di servizi di trasporto pubblico locale e regionale. I commi 4 e 5 dell’art. 48 prevedono in materia che gli enti affidanti, in particolare le regioni, sentite le città metropolitane, gli altri enti di area vasta e i comuni capoluogo di Provincia, articolino i bacini di mobilità in più lotti, oggetto di procedure di gara e di contratti di servizio, tenuto conto delle caratteristiche della domanda. Le eccezioni sono consentite se motivate da economie di scala proprie di ciascuna modalità e da altre ragioni di efficienza economica, nonché relative alla specificità territoriale dell'area e devono essere disciplinate con delibera dell'Autorità di Regolazione dei Trasporti.
Per la definizione dei bacini di mobilità sono stabiliti specifici criteri, in termini di utenza minima (350.000 abitanti) e di stima della domanda di trasporto pubblico locale e regionale che si intende soddisfare, che deve essere riferita a tutte le modalità di trasporto (art. 48, commi 1-3).
Nel disciplinare le competenze in materia di gestione delle risorse idriche, il comma 3 dell’art. 142 del D.Lgs. 152/2006 (c.d. Codice dell’ambiente) stabilisce che gli enti locali, attraverso l'ente di governo dell'ambito (EGATO), cui sono obbligati a partecipare (v. infra), svolgono le funzioni di organizzazione del servizio idrico integrato (SII), di scelta della forma di gestione, di determinazione e modulazione delle tariffe all'utenza, di affidamento della gestione e relativo controllo, secondo le disposizioni della parte terza del Codice.
Il servizio idrico integrato è costituito, ai sensi della definizione recata dall’art. 141, comma 2, del citato Codice, “dall'insieme dei servizi pubblici di captazione, adduzione e distribuzione di acqua ad usi civili di fognatura e di depurazione delle acque reflue”.
La disciplina del servizio idrico integrato (SII) è contenuta nel titolo II (che comprende gli articoli da 147 a 158-bis) della sezione III della parte terza del Codice dell’ambiente.
Secondo tale disciplina, l’organizzazione del servizio idrico integrato è articolata in ambiti territoriali ottimali (ATO) definiti dalle regioni. L’art. 147 dispone, in particolare, che gli enti locali ricadenti nel medesimo ATO partecipano obbligatoriamente all’ente di governo dell’ambito (EGATO) individuato dalla competente Regione per ciascun ATO, al quale è trasferito l’esercizio delle competenze ad essi spettanti in materia di gestione delle risorse idriche, ivi compresa la programmazione delle infrastrutture idriche.
L’art. 149-bis dispone inoltre che l’EGATO, nel rispetto del principio di unicità della gestione per ciascun ATO, delibera la forma di gestione fra quelle previste dall'ordinamento europeo provvedendo, conseguentemente, all'affidamento del servizio nel rispetto della normativa nazionale in materia di organizzazione dei servizi pubblici locali a rete di rilevanza economica. L'affidamento diretto può avvenire a favore di società interamente pubbliche, in possesso dei requisiti prescritti dall'ordinamento europeo per la gestione in house, comunque partecipate dagli enti locali ricadenti nell'ATO.
La tariffa costituisce, ai sensi dell’art. 154 del Codice, il corrispettivo del SII e viene determinata tenendo conto della qualità della risorsa idrica e del servizio fornito, delle opere e degli adeguamenti necessari, nonché dell’entità dei costi, in modo che sia assicurata la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio secondo il principio del recupero dei costi e secondo il principio “chi inquina paga”. La tariffa è riscossa dal gestore del SII (art. 156).
La disciplina generale in materia di rifiuti, si colloca, per giurisprudenza costituzionale, nell'ambito della tutela dell'ambiente e dell'ecosistema, di competenza esclusiva statale ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, anche se interferisce con altri interessi e competenze, di modo che deve intendersi riservato allo Stato il potere di fissare livelli di tutela uniforme sull'intero territorio nazionale, restando ferma la competenza delle Regioni alla cura di interessi funzionalmente collegati con quelli propriamente ambientali (ex multis, sentenze n. 62 del 2008) (sentenza Cost. n. 249/2009).
Il settore dei rifiuti è organizzato secondo un modello di governance multilivello disciplinato dalla parte IV del D.Lgs. 152/2006 (artt. 177-2661 del Codice dell’Ambiente), che dedica un intero capo alla definizione delle competenze statali, regionali, provinciali e comunali nell’attività di gestione dei rifiuti urbani e, più nello specifico, assegna allo Stato le funzioni di indirizzo e di coordinamento, alle Regioni quelle di pianificazione (piani regionali di gestione dei rifiuti) e di controllo, alle Province il controllo di esercizio, ai Comuni la regolamentazione operativa attraverso l’approvazione del regolamento comunale per la gestione dei rifiuti. Il citato decreto legislativo prevede altresì un livello intercomunale (gli Ambiti Territoriali Ottimali, ATO), in cui operano gli Enti di Governo dell’ATO (EGATO), istituiti dalle Regioni o Province autonome per ciascun Ambito Territoriale Ottimale, ai quali partecipano obbligatoriamente tutti i Comuni ricadenti nell'ambito. Gli EGATO provvedono all’organizzazione dei servizi, alla scelta della modalità di gestione, alla determinazione delle tariffe, all’affidamento della gestione, alla stipula del contratto di servizio e alla relativa gestione e controllo. L’attribuzione dei poteri di regolazione all’ARERA avvenuta con la legge n. 205/2017, si inserisce in tale assetto composito di governance.
La dimensione degli ATO deve essere definita dalle Regioni e dalle Province autonome di Trento e Bolzano in modo tale da consentire economie di scala e di differenziazione che possano massimizzare l'efficienza del servizio; deve essere, di norma, non inferiore a quella del territorio provinciale, ma è anche possibile la costituzione di ATO di dimensione diversa, motivando la scelta in base a criteri di differenziazione territoriale e socio-economica e in base a principi di proporzionalità, adeguatezza ed efficienza rispetto alle caratteristiche del servizio.
Come già anticipato, la scelta della modalità di affidamento del servizio e il relativo controllo è in capo agli Enti di governo d'ambito (EGATO), laddove sono effettivamente costituiti e operativi, o, in loro mancanza, alla Regione o Provincia autonoma o altri enti competenti (come ad esempio i Comuni). In assenza di specifiche disposizioni nazionali, l'affidamento è disciplinato in base alle forme e ai requisiti previsti dall'ordinamento europeo, che prevede essenzialmente tre modalità organizzative e gestionali: l'affidamento mediante gara, l'affidamento a società mista pubblica/privata con gara per la scelta del soggetto privato (c.d. partenariato pubblico/privato), l'affidamento in house a un soggetto interamente controllato dall'ente competente. Peraltro, il diritto dell'UE consente alle amministrazioni pubbliche di adempiere anche direttamente le funzioni di interesse pubblico, senza far ricorso ad entità esterne (gestione in economia).
Da ultimo, l’articolo 14 della legge della concorrenza 2021 reca alcune novelle al Codice dell'ambiente (D.Lgs. 152/2006) relative: alla scelta - da parte delle utenze non domestiche che producono i c.d. rifiuti assimilati agli urbani - di servirsi del gestore del servizio pubblico o del ricorso al mercato (comma 1); ai compiti dell’ARERA (comma 2); nonché all’esclusione, dal novero dei soggetti coinvolti nell’accordo di programma CONAI sui rifiuti di imballaggio, dei gestori delle piattaforme di selezione (comma 3). In particolare, il comma 1, con una modifica al Codice dell'ambiente (art. 238, co. 10) prevede che la scelta delle utenze non domestiche di servirsi del gestore del servizio pubblico o del servizio privato deve essere mantenuta per un periodo non inferire a due anni, e non più per un periodo non inferiore a cinque anni (come stabilito nella precedente formulazione).
Si inseriscono per completezza, riferimenti alla regolazione nel settore dell’energia anche se questa è esclusa dall’ambito di applicazione dello schema di decreto.
Per quanto attiene alla concessione di distribuzione dell’energia, vige nell'ordinamento il principio fondamentale, espresso dall'art. 1, comma 2, lettera c), della legge n. 239 del 2004, secondo cui l'attività distributiva dell'energia è attribuita «in concessione»[6].
Il sistema elettrico è suddiviso in fasi: produzione, trasmissione, dispacciamento[7] e distribuzione.
Ai sensi di quanto prevede l’articolo 2, comma 14, D.Lgs. n. 79/1999, il servizio di distribuzione di energia elettrica consiste nel trasporto e nella trasformazione di energia elettrica su reti di distribuzione a media e bassa tensione per la consegna ai clienti finali, persone fisiche o giuridiche che acquistano energia elettrica per uso proprio.
L’attività di distribuzione dell’energia elettrica è svolta in regime di concessione rilasciata dall’allora Ministro dell’industria (poi Ministro dello sviluppo economico. Ora, le competenze in materia energetica sono state trasferite, ai sensi del D.L. n. 22/2021 al Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica).
L’articolo 9 del D.Lgs. n. 79/1999 prevede - al fine di razionalizzare la distribuzione dell'energia elettrica - che può essere rilasciata una sola concessione di distribuzione per ambito comunale (comma 3).
Il servizio è affidato sulla base di gare da indire, nel rispetto della normativa nazionale e comunitaria in materia di appalti pubblici - non oltre il quinquennio precedente la scadenza delle stesse, dunque, non oltre il 31 dicembre 2025.
L’articolo 9 ha infatti attribuito alle imprese distributrici operanti al 1° aprile 1999[8] il diritto di continuare a svolgere il servizio di distribuzione sulla base di concessioni già rilasciate dall’allora Ministro dell’industria, del commercio e dell’artigianato e aventi scadenza il 31 dicembre 2030.
Le imprese distributrici hanno l'obbligo di connettere alle proprie reti tutti i soggetti che ne facciano richiesta, senza compromettere la continuità del servizio e purché siano rispettate le regole tecniche nonché le deliberazioni emanate dall'ARERA in materia di tariffe, contributi ed oneri.
Per quanto attiene invece il settore del gas, la distribuzione del gas è l'attività di trasporto attraverso reti di gasdotti locali per la consegna ai clienti [9].
Il Decreto legislativo n. 164/2000 - adottato in recepimento della disciplina europea[10] – ha indicato la gara pubblica - bandita anche in forma associata fra gli enti locali concedenti (comuni, unioni di comuni e comunità montane) - come unica forma di assegnazione del servizio di distribuzione del gas (articolo 14, commi 1 e 2).
Il servizio di distribuzione è dunque un servizio pubblico, che rientra nelle concessioni di servizi, definite dal Codice dei contratti pubblici (decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, art. 3, comma 1, lett. vv) e art. da 164 a 178).
Diversi provvedimenti legislativi, a partire dal decreto legislativo n. 164 del 2000, hanno però rinviato in concreto l’indizione delle gare.
L’Autorità garante della concorrenza e del mercato (AGCM) e anche l’Autorità di regolazione per l’energia, le reti e l’ambiente - ARERA sono intervenute in più di un’occasione per segnalare il grave ritardo accumulato nello svolgimento delle gare[11] da svolgersi per gli ambiti territoriali minimi (ATEM).
Secondo i dati riportati da ANCI, nel 2021 solo 35 di queste gare, sulle 177 previste sono state espletate[12].
L’AGCM, con la Segnalazione 1730 inviata il 22 marzo 2021 (Proposte di riforma concorrenziale ai fini della legge annuale per il mercato e la concorrenza anno 2021), ha indicato delle specifiche proposte di modifica finalizzate ad accelerare le procedure e a ridurre le strozzature anticoncorrenziali della disciplina vigente.
Nel Piano Nazionale di ripresa e resilienza, approvato il 13 luglio 2021, il Governo italiano ha previsto l’adozione della legge annuale sulla concorrenza per ciascun anno del periodo 2021-2024, concordando con le Istituzioni UE – tra le riforme da includere nella legge sulla concorrenza 2021 (L. n. 118/2022) - la revisione del quadro normativo sulla distribuzione del gas, finalizzato a realizzare e dare attuazione al principio dell’obbligatorietà delle gare (cfr. articolo 6, che sarà nel prosieguo descritto).
Disciplina delle gare
Sulla disciplina è intervenuta la legge sulla concorrenza 2021, su input dell’AGCM (articolo 6, comma 3).
In virtù di quanto da essa introdotto nell’articolo 14 del D.lgs. n. 164/2000, il gestore uscente è obbligato a fornire all'ente locale (entro sessanta giorni) tutte le informazioni necessarie per predisporre il bando di gara.
Se il gestore uscente, senza giustificato motivo, omette di fornire le informazioni richieste, le rende inesatte o fuorvianti , o oltre il termine, l'ente locale può imporre una sanzione amministrativa pecuniaria[13], e valutare il suo comportamento ai fini dell’esclusione dalla procedura di gara (articolo 6 comma 3, della legge sulla concorrenza 2021, che integra l’articolo 14, di un nuovo comma 7-bis).
Ai sensi dell’articolo 14, comma 5 del decreto legislativo, alle gare sono ammesse, senza limitazioni territoriali, società per azioni o a responsabilità limitata, anche a partecipazione pubblica, e società cooperative a responsabilità limitata, sulla base di requisiti oggettivi, proporzionati e non discriminatori, con la sola esclusione delle società[14], che, in Italia, in altri Paesi dell'UE o in Paesi non UE, gestiscono[15] servizi pubblici locali in affidamento diretto o in virtù di una procedura non ad evidenza pubblica.
La predetta esclusione non si applica alle società quotate in mercati regolamentati nonché alle società a partecipazione mista, pubblica e privata, con socio privato di selezionato mediante procedura avente ad oggetto l’attribuzione di specifici compiti operativi[16]. Alle gare sono anche ammessi i gruppi europei di interesse economico (GEIE).
L’articolo 14, comma 6, dispone che la gara sia aggiudicata, nel rispetto degli standard qualitativi, quantitativi, ambientali, di equa distribuzione sul territorio e di sicurezza, sulla base:
- delle migliori condizioni economiche e di prestazione del servizio,
- del livello di qualità e sicurezza,
- dei piani di investimento per lo sviluppo e il potenziamento delle reti e degli impianti, per il loro rinnovo e manutenzione, nonché dei contenuti di innovazione tecnologica e gestionale presentati dalle imprese concorrenti.
Questi elementi devono fare parte integrante del contratto di servizio, che, ai sensi dell’articolo 14, comma 1, regola i rapporti tra ente locale e soggetto gestore.
Il contratto di servizio
Ai sensi dell’articolo 14, comma 3, del D.lgs. n. 164/2000, nel contratto di servizio – predisposto sulla base di un modello (“contratto tipo”) predisposto dall’ARERA[17] - sono stabiliti la durata, le modalità di espletamento del servizio, gli obiettivi qualitativi, l'equa distribuzione del servizio sul territorio, gli aspetti economici del rapporto, i diritti degli utenti, i poteri di verifica dell'ente che affida il servizio, le conseguenze degli inadempimenti, le condizioni del recesso anticipato dell'ente stesso per inadempimento del gestore del servizio
Articolo 1
(Oggetto)
Il titolo I (articoli da 1 a 4) dello schema di decreto legislativo in esame individua i principi generali e l’ambito di applicazione della nuova disciplina in materia di servizi di interesse economico generale prestati a livello locale, regolando altresì i rapporti con le discipline di settore.
L'articolo 1 reca l'oggetto del decreto, precisando che esso contiene la disciplina generale in materia di servizi di interesse economico generale prestati a livello locale, stabilisce principi comuni, uniformi ed essenziali e assicura, nel rispetto del diritto dell’Unione europea e ai sensi dell’articolo 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione, la tutela e la promozione della concorrenza, la libertà di stabilimento e la libertà di prestazione dei servizi.
In particolare i commi 1 e 2 dell'articolo 1 stabiliscono che l'emanando decreto legislativo ha per oggetto la disciplina generale dei servizi di interesse economico generale prestati a livello locale e la previsione di principi comuni, uniformi ed essenziali, in particolare i principi e le condizioni, anche economiche e finanziarie, per raggiungere e mantenere un alto livello di qualità, sicurezza e accessibilità, la parità di trattamento nell’accesso universale e i diritti dei cittadini e degli utenti[18].
Il successivo comma 3 prevede quindi che la nuova normativa assicuri, nel rispetto del diritto dell’Unione europea e ai sensi dell’articolo 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione, la tutela e la promozione della concorrenza, la libertà di stabilimento e la libertà di prestazione dei servizi per gli operatori economici interessati alla gestione di servizi di interesse economico generale di livello locale.
Il comma 4 prevede poi che, nell’ambito della competenza legislativa esclusiva dello Stato di cui all’articolo 117, secondo comma, lettera p), della Costituzione, vengano individuate dalla nuova normativa le funzioni fondamentali di indirizzo, controllo e regolazione degli enti locali relative ai servizi di interesse economico generale di livello locale, al fine di assicurare l’omogeneità dello sviluppo e la coesione sociale e territoriale.
Il comma 5 prevede infine che le disposizioni dello schema di decreto in esame costituiscano norme fondamentali di riforma economico-sociale della Repubblica e siano applicate nelle regioni a statuto speciale e nelle province autonome di Trento e di Bolzano compatibilmente con i rispettivi statuti e le relative norme di attuazione, anche con riferimento alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3. Le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano adegueranno a tal fine la propria legislazione.
Lo schema di decreto legislativo in esame è stato predisposto sulla base della delega contenuta nell’articolo 8 della legge 5 agosto 2022, n. 118 (Legge annuale per il mercato e la concorrenza 2021), recante delega al Governo per il riordino della materia dei servizi pubblici locali (art. 8 cit., comma 1). Nell'esercizio della delega, il Governo e? tenuto ad attenersi a determinati principi e ai criteri direttivi (art. 8 cit., comma 2[19]). La delega deve essere esercitata entro sei mesi dalla data di entrata in vigore legge n. 118 del 2022. Nella relativa procedura di adozione, si prevede, sugli schemi di decreto legislativo, il parere o l'intesa in sede di Conferenza unificata a seconda degli ambiti materiali considerati[20], nonché il parere delle Commissioni parlamentari competenti per materia e per i profili finanziari, oltre che quello dell'ARERA (art. 8 cit., comma 3). I decreti legislativi sono adottati senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica. Le amministrazioni interessate provvedono agli adempimenti di rispettiva competenza con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente. Qualora uno o più decreti legislativi determinino nuovi o maggiori oneri che non trovino compensazione al proprio interno, i decreti legislativi stessi sono adottati solo successivamente o contestualmente all'entrata in vigore dei provvedimenti legislativi che stanzino le occorrenti risorse finanziarie, in conformità all'articolo 17, comma 2, della legge 31 dicembre 2009, n. 196 (art. 8 cit., comma 4).
Articolo 2
(Definizioni)
L'articolo 2 detta, coordinandole con i principi desumibili dalla normativa nazionale ed europea, le definizioni di enti locali, enti competenti, servizi di interesse economico generale di livello locale, servizi di interesse economico generale di livello locale a rete, diritto esclusivo, diritto speciale, costi di riferimento (i c.d. costi benchmark) e tariffe. Nelle definizioni viene precisato che la nozione di servizi pubblici locali di rilevanza economica coincide, ai fini della disciplina, con quella di servizi di interesse economico generale (SIEG) di livello locale. Per SIEG di livello locale si intendono “i servizi erogati o suscettibili di essere erogati dietro corrispettivo economico su un mercato, che non sarebbero svolti senza un intervento pubblico o sarebbero svolti a condizioni differenti in termini di accessibilità fisica ed economica, continuità, non discriminazione, qualità e sicurezza, che gli enti locali, nell’ambito delle proprie competenze, ritengono necessari per assicurare la soddisfazione dei bisogni delle comunità locali, cosi? da garantire l’omogeneità dello sviluppo e la coesione sociale”.
Più nello specifico la lettera a) del comma 1 dell’articolo 2 stabilisce che per “enti locali”, ai fini della normativa in esame, si intendono gli enti di cui all’articolo 2, comma 1, del Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000 n. 267 (TUEL) e cioè i comuni, le province, le città metropolitane, le comunità montane, le comunità isolane e le unioni di comuni.
La successiva lettera b) definisce “enti competenti” gli enti cui alla lettera a), nonché? gli altri soggetti competenti a regolare o organizzare i servizi di interesse economico generale di livello locale, ivi inclusi gli enti di governo degli ambiti o bacini di cui all’articolo 3-bis del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148, e le forme associative tra enti locali previste dall’ordinamento.
In proposito, il richiamato articolo 3-bis del decreto legge n. 138 del 2011 introdotto dall'art. 25, co. 1, del D.L. n 1/2012, ha stabilito che per i servizi pubblici locali a rete di rilevanza economica spetta alle Regioni e alle province autonome il compito di:
- individuare ambiti o bacini territoriali che consentano di sfruttare economie di scala e di differenziazione. Gli ambiti devono essere: ottimali, omogenei, di dimensione normalmente non inferiore a quella del territorio provinciale. È riconosciuta alle Regioni la possibilità di derogare alla dimensione provinciale, individuando ambiti di dimensione diversa. Ciò purché la scelta sia motivata in base a criteri di differenziazione territoriale e socio economica e rispetto a specifiche caratteristiche del servizio;
- istituire o designare gli enti di governo degli ambiti o bacini territoriali. Ad essi la legge riserva in via esclusiva le seguenti funzioni: organizzazione del servizio; scelta della forma di gestione; affidamento della gestione; controllo della gestione; determinazione delle tariffe all'utenza per quanto di competenza (art. 3-bis, comma 1-bis, del D.L. n. 138/2011, introdotto dall'art. 34 del D.L. n. 179/2012). In base alla normativa vigente (art. 3-bis, D.L. n. 138/2011), salvo quanto previsto dalle discipline di settore anche al fine di favorire i processi di aggregazione dei gestori, i servizi pubblici locali di interesse economico generale a rete sono organizzati per ambiti o bacini territoriali ottimali e omogenei, che non possono essere inferiori a quelli del territorio provinciale.
La lettera c) stabilisce - come sopra già ricordato - che “servizi di interesse economico generale di livello locale” o “servizi pubblici locali di rilevanza economica” sono i servizi erogati o suscettibili di essere erogati dietro corrispettivo economico su un mercato, che non sarebbero svolti senza un intervento pubblico o sarebbero svolti a condizioni differenti in termini di accessibilità fisica ed economica, continuità, non discriminazione, qualità e sicurezza, che gli enti locali, nell’ambito delle proprie competenze, ritengono necessari per assicurare la soddisfazione dei bisogni delle comunità locali, cosi? da garantire l’omogeneità? dello sviluppo e la coesione sociale.
In tal modo, lo schema di decreto identifica la nozione di “servizi pubblici locali di rilevanza economica” - espressione da tempo in uso nella legislazione italiana, (si veda in tal senso il Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali - TUEL), in particolare gli articoli 112 e seguenti, che sono correlativamente abrogati dalla lettera b) del comma 1 dell’articolo 36 dello schema in esame) - con i servizi di interesse economico generale di livello locale (SIEG), di derivazione europea in quanto utilizzata nei Trattati.
Nella normativa interna (cfr. art. 113, d.lgs. n. 267/2000; art. 23-bis, d.l. n. 112/2008; artt. 3-bis e 4, d.-l. n. 138/2011) il legislatore nazionale ha utilizzato la locuzione: «servizi pubblici locali di rilevanza economica», mentre il diritto europeo distingue i SIEG («servizi di interesse economico generale») dai SIG («servizi di interesse generale»): questi ultimi ricomprendono, oltre ai SIEG, anche i servizi che non sono suscettibili di essere gestiti esclusivamente in regime di impresa e che attengono ai bisogni primari del cittadino (quale, ad esempio, scuola, sanità, assistenza sociale).
Nel Libro verde della Commissione europea del 21 maggio 2003 si rileva che: «L’espressione “servizi di interesse generale” non è presente nel Trattato, ma è derivata nella prassi comunitaria dall’espressione “servizi di interesse economico generale” che invece è utilizzata nel Trattato. È un’espressione più ampia di “servizi di interesse economico generale” e riguarda sia i servizi di mercato che quelli non di mercato che le autorità pubbliche considerano di interesse generale e assoggettano a specifici obblighi di servizio pubblico […]». In sostanza, dal riferimento alla nozione positiva di «servizio di interesse economico generale» contenuto in alcune norme del Trattato CE, si è giunti ad enucleare la più ampia nozione di «servizio di interesse generale», formalmente assente.
In merito si ricorda che la Corte costituzionale con la sentenza del 17 novembre 2010, n. 325, ha affermato una sostanziale fungibilità ed omogeneità tra le nozioni di «servizi pubblici locali di rilevanza economica» e di «servizi pubblici locali di interesse economico generale». Nell’illustrare la sostanziale corrispondenza tra la nozione di SIEG di derivazione comunitaria e quella di servizi pubblici locali di rilevanza economica, la sentenza della Corte, infatti, chiariva che entrambe: «[…] fanno riferimento infatti ad un servizio che: a) è reso mediante un'attività economica (in forma di impresa pubblica o privata), intesa in senso ampio, come «qualsiasi attività che consista nell'offrire beni o servizi su un determinato mercato» (come si esprimono sia la citata sentenza della Corte di giustizia UE, 18 giugno 1998, C-35/96, Commissione c. Italia, sia le sentenze della stessa Corte 10 gennaio 2006, C-222/04, Ministero dell'economia e delle finanze, e 16 marzo 2004, cause riunite C-264/01, C-306/01, C-354/01 e C-355/01, AOK Bundesverband, nonché il Libro verde sui servizi di interesse generale del 21 maggio 2003, al paragrafo 2.3, punto 44); b) fornisce prestazioni considerate necessarie (dirette, cioè, a realizzare anche "fini sociali") nei confronti di una indifferenziata generalità di cittadini, a prescindere dalle loro particolari condizioni (Corte di giustizia UE, 21 settembre 1999, C-67/96, Albany International BV). Le due nozioni, inoltre, assolvono l'identica funzione di identificare i servizi la cui gestione deve avvenire di regola, al fine di tutelare la concorrenza, mediante affidamento a terzi secondo procedure competitive ad evidenza pubblica».
In merito, nella relazione illustrativa si evidenzia che “il vantaggio della coincidenza concettuale tra “servizio pubblico locale di rilevanza economica” e “servizio (locale) di interesse economico generale” si concretizzerebbe in primo luogo nel fatto che sarebbe più chiaro ed univoco il rispetto della normativa europea dettata o applicabile per i servizi di interesse economico generale, scongiurando cosi? incertezze e problemi conseguenti. Inoltre, la coincidenza concettuale permetterebbe di confermare e sviluppare l’autonomia degli enti locali nell’essere interpreti principali dei bisogni delle rispettive collettività territoriali.
La lettera d) definisce “servizi di interesse economico generale di livello locale a rete” o “servizi pubblici locali a rete” i servizi di interesse economico generale di livello locale che sono suscettibili di essere organizzati tramite reti strutturali o collegamenti funzionali necessari tra le sedi di produzione o di svolgimento della prestazione oggetto di servizio, sottoposti a regolazione ad opera di un’autorità indipendente.
La lettera e) stabilisce che per “diritto esclusivo” si intende il diritto, concesso da un’autorità competente mediante una disposizione legislativa, regolamentare o amministrativa, compatibilmente con la disciplina dell’Unione europea, avente l’effetto di riservare a un unico operatore economico l’esercizio di un’attività in un ambito determinato.
La successiva lettera f) stabilisce che per “diritto speciale” si intende invece il diritto, concesso da un’autorità competente mediante una disposizione legislativa, regolamentare o amministrativa, compatibilmente con la disciplina dell’Unione europea, avente l’effetto di riservare a due o più operatori economici l’esercizio di un’attività in un ambito determinato.
Nell’ambito della disciplina normativa comunitaria fino al 1996 l’espressione “diritti speciali” e “diritti esclusivi” era considerata pressoché equivalente; le due nozioni sono state poi oggetto di specificazione in particolare nella direttiva 94/46/CE della Commissione europea sulle comunicazioni via satellite e successivamente nella direttiva 2006/111/CE, relativa alla trasparenza delle relazioni finanziarie tra gli Stati membri e le loro imprese pubbliche e alla trasparenza finanziaria all'interno di talune imprese. In tale sede è stato precisato che per "diritti esclusivi" si intendono i diritti riconosciuti da uno Stato membro ad un'impresa, mediante qualsiasi disposizione legislativa, regolamentare o amministrativa, che riservi alla stessa, con riferimento ad una determinata area geografica, la facoltà di prestare un servizio o esercitare un'attività (art. 2, paragrafo primo, lettera f), della direttiva 2006/111/CE). Per "diritti speciali" si intendono “i diritti riconosciuti da uno Stato membro ad un numero limitato di imprese mediante qualsiasi disposizione legislativa, regolamentare o amministrativa che, con riferimento ad una determinata area geografica: i) limiti a due o più, senza osservare criteri di oggettività, proporzionalità e non discriminazione, il numero delle imprese autorizzate a prestare un dato servizio o una data attività; o ii) designi, senza osservare detti criteri, varie imprese concorrenti come soggetti autorizzati a prestare un dato servizio o esercitare una data attività; o iii) conferisca ad una o più imprese, senza osservare detti criteri, determinati vantaggi, previsti da leggi o regolamenti, che pregiudichino in modo sostanziale la capacità di ogni altra impresa di prestare il medesimo servizio o esercitare la medesima attività nella stessa area geografica a condizioni sostanzialmente equivalenti” (art. 2, paragrafo primo, lettera g), della direttiva 2006/111/CE).
Si rammenta che la Corte di Giustizia dell'UE (a partire dalla sentenza del 17 maggio del 1993, causa C-320/91, c.d. sentenza Corbeau) ha posto in evidenza che il combinato disposto dei paragrafi 1 e 2 dell’articolo 86 del trattato della Comunità europea (confluito ora nell'articolo 106 del TFUE) consente agli Stati membri di conferire ad imprese, cui attribuiscono la gestione di servizi di interesse economico generale, diritti esclusivi che possono impedire l’applicazione delle norme del Trattato in materia di concorrenza, nella misura in cui restrizioni alla concorrenza, o persino l’esclusione di qualsiasi forma di concorrenza da parte di altri operatori economici, sono necessarie per garantire l’adempimento della specifica funzione attribuita alle imprese titolari dei diritti esclusivi.
La lettera g) individua i “costi di riferimento” negli indicatori di costo, che stimano le risorse necessarie alla gestione del servizio secondo criteri di efficienza, o costi benchmark.
La lettera h) definisce le “tariffe” come i prezzi massimi unitari dei servizi al netto delle imposte.
Articolo 3
(Principi generali del servizio pubblico locale)
L'articolo 3 pone i principi generali della materia sia con riferimento a tutti i servizi di interesse economico generale di livello locale, sia più specificamente con riferimento all’istituzione, alla regolazione e alla gestione dei servizi pubblici di interesse economico generale di livello locale, fissando altresì in modo esplicito in tale ambito il principio della centralità del cittadino e dell’utente.
In particolare, il comma 1 dell’articolo 3 stabilisce che i servizi di interesse economico generale di livello locale rispondono alle esigenze delle comunità di riferimento e alla soddisfazione dei bisogni dei cittadini e degli utenti, nel rispetto dei principi di sussidiarietà e proporzionalità.
Il successivo comma 2 prevede che l’istituzione, la regolazione e la gestione dei servizi pubblici di interesse economico generale di livello locale rispondono a principi di concorrenza, sussidiarietà, anche orizzontale, efficienza nella gestione, efficacia nella soddisfazione dei bisogni dei cittadini, produzione di servizi quantitativamente e qualitativamente adeguati, applicazione di tariffe orientate a costi efficienti, promozione di investimenti in innovazione tecnologica, proporzionalità e adeguatezza della durata, trasparenza sulle scelte compiute dalle amministrazioni e sui risultati delle gestioni.
Infine il comma 3 stabilisce che nell’organizzazione e nella erogazione dei servizi di interesse economico generale di livello locale e? assicurata la centralità del cittadino e dell’utente, anche favorendo forme di partecipazione attiva.
Articolo 4
(Ambito di applicazione e normative di settore)
L’articolo 4 stabilisce che le disposizioni dello schema di decreto legislativo in esame si applicano a tutti i servizi di interesse economico generale prestati a livello locale e che le stesse prevalgono sulle normative di settore. Resta in ogni caso ferma la disciplina di settore, attuativa del diritto dell’Unione Europea, relativa ai servizi di distribuzione dell’energia elettrica e del gas naturale.
Più nello specifico, il comma 1 dell’articolo 1 stabilisce che le disposizioni dello schema di decreto legislativo in esame si applicano a tutti i servizi di interesse economico generale prestati a livello locale, prevalgono sulle normative di settore e le integrano in quanto espressione di principi generali.
A tale proposito si ricorda che lo schema di decreto contiene specifiche norme di coordinamento con le normative settoriali per i settori del trasporto pubblico locale (art. 32), del servizio idrico (art. 33), delle farmacie comunali (art. 34) e dei trasporti a fune (art. 35). Non sono invece previste norme di coordinamento con la normativa settoriale in materia di rifiuti.
Il successivo comma 2 prevede che comunque i servizi di distribuzione dell’energia elettrica e del gas naturale restano disciplinati dalle disposizioni di settore, attuative del diritto dell’Unione europea.
Si tratta in particolare delle disposizioni di cui al decreto legislativo 8 novembre 2021, n. 210, di attuazione della direttiva UE 2019/944, del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 giugno 2019, relativa a norme comuni per il mercato interno dell'energia elettrica, alla legge 23 agosto 2004, n. 239 e al decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79, di attuazione della direttiva 96/92/CE recante norme comuni per il mercato interno dell'energia elettrica, nonché delle disposizioni di cui al decreto legislativo 1° giugno 2011, n. 93, di attuazione delle direttive 2009/72/CE, 2009/73/CE e 2008/92/CE relative a norme comuni per il mercato interno dell'energia elettrica, del gas naturale e delle disposizioni di cui al decreto legislativo 23 maggio 2000, n. 164, di attuazione della direttiva n. 98/30/CE recante norme comuni per il mercato interno del gas naturale.
Articolo 5
(Meccanismi di incentivazione per favorire le aggregazioni)
L’articolo 5 introduce misure di incentivazione, da individuare nello specifico con un decreto del Ministro dell’economia, per la gestione integrata dei servizi pubblici locali nelle città metropolitane e per la riorganizzazione a livello regionale degli ambiti o bacini di riferimento dei servizi pubblici locali a rete. Inoltre, le province sono investite di funzioni di supporto tecnico-amministrativo e di coordinamento in materia di servizi pubblici locali.
L’articolo in esame attua il criterio di delega di cui all’articolo 8, comma 2, lett. e) della legge 118/2022 che prevede la definizione dei criteri per l’ottimale organizzazione territoriale dei servizi pubblici locali, con la specificazione che tale disciplina dovrà prevedere anche l’armonizzazione delle normative di settore. In tale ottica, tenuto conto che un ambito ottimale richiede una gestione aggregata a livello sovracomunale, almeno nelle realtà territoriali minori, fra i principi e criteri direttivi è presente anche la previsione di incentivi e meccanismi di premialità al fine di favorire l’aggregazione delle attività e delle gestioni dei servizi a livello locale.
In particolare, il comma 1 prevede che il comune capoluogo di città metropolitana possa essere delegato, dai comuni ricompresi nella medesima città metropolitana, a esercitare le funzioni comunali in materia di servizi pubblici locali di rilevanza economica, compresa la realizzazione e gestione delle reti e degli impianti funzionali, per conto e nell’interesse degli altri comuni; fermo restando il rispetto delle leggi regionali. Ciò al fine di sviluppare e potenziare la gestione integrata dei SPL.
Dal canto loro le regioni, con la collaborazione delle province e il coinvolgimento degli enti locali interessati, possono riorganizzare gli ambiti o bacini di riferimento dei servizi pubblici locali a rete di propria competenza. La disposizione ha l’obiettivo di superare l’attuale assetto ed orientare l’organizzazione preferibilmente su scala regionale e comunque in modo da consentire economie di scala o di scopo idonee a massimizzare l’efficienza del servizio (comma 2).
L’individuazione delle misure concrete di incentivazione per favorire le aggregazioni delle gestioni (comma 1) e le riorganizzazioni degli ambiti/bacini (comma 2) è demandata ad un decreto del Ministro dell’economia di concerto con il Ministro dell’interno, il Ministro per gli affari regionali e le autonomie e il Ministro delle infrastrutture e della mobilità sostenibili, previa intesa in sede di Conferenza unificata. Si prevede che il decreto sia adottato entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore del provvedimento in esame e che possa prevedere anche forme di semplificazione sul piano organizzativo o contabile, comunque senza nuovi o maggiori oneri per il bilancio dello Stato (comma 3).
Il comma 4 pone in capo alle province funzioni di supporto tecnico-amministrativo e di coordinamento, su richiesta degli enti locali interessati, anche per le loro forme associative, in relazione ai provvedimenti e alle attività nella materia disciplinata dal provvedimento in commento. Anche in questo caso la disposizione non deve comportare nuovi o maggiori oneri per il bilancio dello Stato.
Si chiarisce, al comma 5, che restano ferme:
§ le disposizioni contenute nel testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali TUEL (decreto legislativo n. 267 del 2000), in materia di funzioni amministrative (si veda il primo box);
§ le discipline settoriali su ambiti territoriali e bacini ottimali;
Al riguardo si evidenzia che esiste già una disciplina nazionale per gli ambiti territoriali ottimali ATO per il servizio idrico integrato e la gestione dei rifiuti, in fase di attuazione. Per il trasporto pubblico locale-TPL la normativa settoriale (art. 48 del decreto-legge n. 50 del 2017) già prevede bacini ottimali di almeno 350.000 abitanti. Lo schema di decreto legislativo – come si legge nella relazione illustrativa - si inserisce in questo quadro, incoraggiando ulteriori forme di integrazione delle gestioni (ad esempio, da parte delle città metropolitane per i comuni dell’area) e prevedendo per i servizi a rete (inclusi servizio idrico integrato, rifiuti e TPL) misure premiali per le regioni che procedono ad ulteriori aggregazioni dei servizi, a livello regionale o in ogni caso in modo da assicurare il raggiungimento di economie di scala.
§ le altre norme sui caratteri ed il funzionamento delle forme associative tra enti locali per il governo dei servizi pubblici a rete in ambiti territoriali ottimali o bacini (si veda il secondo box);
§ le convenzioni e gli accordi già in essere tra gli enti locali per l’attribuzione delegata delle funzioni.
I comuni sono titolari di funzioni fondamentali (art. 117 Cost.) e di funzioni conferite dallo Stato e dalle regioni, nel rispetto del principio di sussidiarietà c.d. verticale, in base al quale le funzioni amministrative sono attribuite ai comuni, salvo che per assicurarne l’esercizio unitario siano conferite ai livelli superiori di governo (art. 118 Cost.).
Le funzioni fondamentali sono state individuate con il D.L. n. 95/2012, mentre le altre sono conferite con legge dello Stato o legge regionale, sulla base delle rispettive competenze di materia. In via generale, il TUEL affida ai comuni la competenza su tutte le funzioni pubbliche amministrative che riguardano la popolazione ed il territorio comunale.
In particolare, l’art. 13 del D.Lgs. 267/2000 attribuisce al comune tutte le funzioni amministrative che riguardano la popolazione ed il territorio comunale, precipuamente nei settori organici dei servizi alla persona e alla comunità, dell’assetto ed utilizzazione del territorio e dello sviluppo economico, salvo quanto non sia espressamente attribuito ad altri soggetti dalla legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze. L’art. 14 prevede che il comune gestisce i servizi elettorali, di stato civile, di anagrafe, di leva militare e di statistica e che le relative funzioni sono esercitate dal sindaco quale ufficiale del Governo. Ulteriori funzioni amministrative per servizi di competenza statale possono essere affidate ai comuni dalla legge che regola anche i relativi rapporti finanziari, assicurando le risorse necessarie.
Ai sensi del D.L. n. 95/2012, sono funzioni fondamentali dei comuni:
• organizzazione generale dell'amministrazione, gestione finanziaria e contabile e controllo;
• organizzazione dei servizi pubblici di interesse generale di ambito comunale, ivi compresi i servizi di trasporto pubblico comunale;
• catasto, ad eccezione delle funzioni mantenute allo Stato dalla normativa vigente;
• la pianificazione urbanistica ed edilizia di ambito comunale nonché la partecipazione alla pianificazione territoriale di livello sovracomunale;
• attività, in ambito comunale, di pianificazione di protezione civile, e di coordinamento dei primi soccorsi;
• l’organizzazione e la gestione dei servizi di raccolta, avvio e smaltimento e recupero dei rifiuti urbani e la riscossione dei relativi tributi;
• progettazione e gestione del sistema locale dei servizi sociali ed erogazione delle relative prestazioni ai cittadini;
• edilizia scolastica per la parte non attribuita alla competenza delle province, organizzazione e gestione dei servizi scolastici;
• polizia municipale e polizia amministrativa locale;
• tenuta dei registri di stato civile e di popolazione e compiti in materia di servizi anagrafici nonché in materia di servizi elettorali, nell'esercizio delle funzioni di competenza statale;
• i servizi in materia statistica.
È, inoltre, funzione fondamentale lo svolgimento, in ambito comunale, delle attività di pianificazione di protezione civile e di direzione dei soccorsi con riferimento alle strutture di appartenenza (D.Lgs. 1/2018, Codice della protezione civile, art. 12, co. 1).
L'ordinamento prevede la possibilità di esercitare in forma associata le funzioni locali attraverso due strumenti:
• la convenzione;
• l'unione di comuni.
La gestione associata delle funzioni e dei servizi comunali è finalizzata a superare le difficoltà legate alla frammentazione dei piccoli comuni per la razionalizzazione della spesa e per il conseguimento di una maggiore efficienza dei servizi.
L'ordinamento prevede la possibilità di esercitare in forma associata le funzioni locali attraverso due strumenti:
• la convenzione;
• l'unione di comuni.
Gli enti locali possono stipulare tra loro apposite convenzioni per svolgere in modo coordinato determinati funzioni e servizi.
In alternativa, due o più comuni possono costituire una unione, vero e proprio ente locale dotato di statuto e di organi rappresentativi propri, per l'esercizio stabile di funzioni e servizi.
L'ordinamento prevede due tipologie di esercizio in forma associata tramite unione di comuni o convenzione: quella, facoltativa, per l'esercizio associato di determinate funzioni e quella obbligatoria, per i comuni con popolazione fino a 5.000 abitanti per l'esercizio delle funzioni fondamentali.
Le regioni hanno il compito di individuare i livelli territoriali ottimali di esercizio associato di funzioni comunali, di promuovere e favorire l'associazionismo.
Disposizioni incentivanti sono previste anche da parte dello Stato nella forma di contributi e di agevolazioni in materia di rispetto del patto di stabilità interno. Gli incentivi sono destinati sia ai comuni che stipulano convenzioni o che formano unioni di comuni, sia a quelli che danno vita a fusioni di comuni.
Per le unioni obbligatorie è stato stabilito un limite demografico minimo necessario per l'istituzione dell'unione fissato in 3.000 abitanti qualora si tratti di comuni appartenenti o appartenuti a comunità montane (almeno tre comuni).
Il termine per l’adeguamento all'obbligo di esercizio associato delle funzioni dei piccoli comuni, stabilito dal decreto-legge n. 78 del 2010, è stato più volte prorogato, da ultimo al 31 dicembre 2022 dal D.L. 228/2021 (art. 2, co. 1).
L'articolo 14, comma 27, del decreto legge 78 del 2010 ha individuato le funzioni fondamentali dei comuni, tra cui l’organizzazione dei servizi pubblici di interesse generale di ambito comunale, ivi compresi i servizi di trasporto pubblico comunale; l’organizzazione e la gestione dei servizi di raccolta, avvio e smaltimento e recupero dei rifiuti urbani e la riscossione dei relativi tributi; la progettazione e gestione del sistema locale dei servizi sociali ed erogazione delle relative prestazioni ai cittadini.
Si ricorda che in materia è intervenuta la Corte costituzionale, che ha stabilito l'incostituzionalità della disposizione che impone ai comuni con meno di 5.000 abitanti di gestire in forma associata le funzioni fondamentali là dove non consente ai comuni di dimostrare che, in quella forma, non sono realizzabili economie di scala o miglioramenti nell'erogazione dei beni pubblici alle popolazioni di riferimento (sent. 33/2019). Secondo la Corte, l'obbligo imposto ai Comuni sconta un'eccessiva rigidità perché dovrebbe essere applicato anche in tutti quei casi in cui: a) non esistono Comuni confinanti parimenti obbligati; b) esiste solo un Comune confinante obbligato, ma il raggiungimento del limite demografico minimo comporta il coinvolgimento di altri Comuni non in situazione di prossimità; c) la collocazione geografica dei confini dei Comuni (per esempio in quanto montani e caratterizzati da particolari fattori antropici, dispersione territoriale e isolamento) non consente di raggiungere gli obiettivi normativi.
L’articolo 6 pone il principio di distinzione e di esercizio separato tra funzioni di regolazione, di indirizzo e di controllo e funzioni di gestione dei servizi pubblici locali. Viene specificato che il principio si applica a livello locale e non riguarda tutti i servizi pubblici locali ma esclusivamente quelli a rete.
Inoltre, in attuazione di tale principio vengono introdotte una serie di cause di incompatibilità e di inconferibilità tra soggetti cui spettano funzioni di regolazione e soggetti incaricati della gestione del servizio.
L’articolo in esame attua il criterio di delega di cui all’articolo 8, comma 2, lett. c) della legge 118/2022 che prevede, tra l’altro, la separazione, a livello locale, tra le funzioni regolatorie e le funzioni di diretta gestione dei servizi e il rafforzamento dei poteri sanzionatori connessi alle attività di regolazione.
Il comma 1, in particolare, stabilisce che a livello locale le funzioni di regolazione, di indirizzo e di controllo e quelle di gestione dei servizi pubblici locali a rete sono distinte e vengono esercitate separatamente. Sono fatte salve le competenze delle autorità nazionali in materia di regolazione economico tariffaria e della qualità.
Le disposizioni di cui al presente articolo rispondono all'esigenza segnalata dalla Corte Costituzionale di evitare "la commistione, in capo alle medesime amministrazioni, di ruoli tra loro incompatibili" (Corte costituzionale, sent. n. 41 del 2013), imponendo la distinzione - sia in via di principio sia con misure applicative - tra soggetto regolatore e soggetto regolato, soggetto controllore e soggetto controllato.
Nel comparto dei servizi pubblici locali di interesse economico generale sono presenti numerosi operatori nella cui compagine proprietaria sono rappresentati l'ente o gli enti pubblici territoriali affidanti.
La Corte costituzionale, nella sentenza richiamata, ha ricordato come l'istituzione di autorità di regolazione indipendenti costituisca un antidoto ai rischi connessi a tale situazione di fatto, ad arginare i quali sono rivolte anche le disposizioni di incompatibilità e inconferibilità di cui ai commi seguenti.
Si ricorda, in via generale, che, ai sensi del decreto legislativo n. 39 del 2013, l’incompatibilità comporta l'obbligo per il soggetto cui viene conferito l'incarico di scegliere, a pena di decadenza, entro il termine perentorio di quindici giorni, tra l’incarico medesimo e la posizione causa dell’incompatibilità, l’inconferibilità comporta invece la preclusione, permanente o temporanea, a conferire gli incarichi a coloro che si trovino appunto in posizione di inconferibilità (una posizione insomma che non può essere rimossa, a differenza dell’incompatibilità).
In attuazione del principio di separazione tra regolazione e gestione, i successivi commi 2 e 3 individuano due cause di incompatibilità.
La prima (comma 2) vieta agli enti di governo dell’ambito e alle autorità di regolazione di partecipare, direttamente o indirettamente, a soggetti incaricati della gestione del servizio. Viene specificato che non sono considerate partecipate indirettamente le società formate o partecipate dagli enti locali ricompresi nell’ambito.
Gli enti di governo dell'ambito (EGA) sono gli organismi individuati dalle regioni per ciascun Ambito Territoriale Ottimale ai quali partecipano obbligatoriamente tutti i comuni ricadenti nell'ATO ed ai quali è trasferito l'esercizio delle competenze dei comuni stessi in materia di gestione dei servizi pubblici locali (si veda ad esempio per quanto riguarda le risorse idriche il D.Lgs. 152/2006, artt. 147, 149, 149-bis e 151).
La seconda prevede che le strutture, i servizi, gli uffici e le unità organizzative dell’ente locale ed i loro dirigenti e dipendenti preposti alle funzioni di regolazione non possono svolgere alcuna funzione o alcun compito inerente alla gestione ed al suo affidamento. Questo nell’eventualità che l’ente locale titolare del servizio - e a cui spettano le funzioni di regolazione - assuma anche, direttamente o per mezzo di soggetto partecipato, la gestione del servizio (comma 3).
Ai sensi del comma 4, non possono essere conferiti incarichi professionali, di amministrazione o di controllo, né incarichi inerenti alla gestione del servizio:
· ai componenti di organi di indirizzo politico dell’ente competente all’organizzazione del servizio o alla sua regolazione, vigilanza o controllo, nonché ai dirigenti e ai responsabili degli uffici o dei servizi direttamente preposti all’esercizio di tali funzioni;
· ai componenti di organi di indirizzo politico di ogni altro organismo che espleti funzioni di stazione appaltante, di regolazione, di indirizzo o di controllo del servizio, nonché ai dirigenti e ai responsabili degli uffici o dei servizi direttamente preposti all’esercizio di tali funzioni;
· ai consulenti per l’organizzazione o regolazione del servizio.
Le inconferibilità cessano decorsi due anni dalla conclusione degli incarichi (comma 5).
L’efficacia dell’atto del conferimento dell'incarico è subordinata alla presentazione, da parte dell’interessato, di una dichiarazione attestante l’insussistenza di cause di inconferibilità (che deve essere riprodotta con cadenza annuale). Qualora la dichiarazione, pubblicata nel sito dell’ente che ha conferito l’incarico, dovesse rivelarsi mendace, si determina per l’interessato, in aggiunta alle ulteriori sanzioni stabilite dall’ordinamento, una condizione di inconferibilità ad incarichi presso gli enti pubblici o in controllo pubblico per un periodo di cinque anni (ai sensi dell'articolo 20 del decreto legislativo n. 39 del 2013, specificamente richiamato dal comma 6).
Si rammenta che l'art. 4 del decreto-legge n. 138 del 2011, dichiarato illegittimo dalla Corte costituzionale con sent. n. 199 del 2012 (perché volto a riprodurre normativa oggetto di abrogazione referendaria), ai commi 19 e 20 contemplava le seguenti ipotesi di inconferibilità di incarichi di gestione dei servizi pubblici locali:
· ad amministratori, dirigenti e responsabili degli uffici o dei servizi dell'ente locale affidante, nonché degli altri organismi che espletano funzioni di stazione appaltante, di regolazione, di indirizzo e di controllo dei servizi stessi, ovvero a soggetti che abbiano svolto dette funzioni nei tre anni precedenti il conferimento dell'incarico;
· al coniuge, ai parenti e agli affini entro il quarto grado dei soggetti indicati al punto precedente, nonché a coloro che prestano, o hanno prestato nel triennio precedente, a qualsiasi titolo, attività di consulenza o collaborazione in favore degli enti locali o dei soggetti che hanno affidato la gestione del servizio pubblico locale.
Venivano in sostanza riprodotte le ipotesi di inconferibilità di cui all'art. 8, commi 1 e 2, del Regolamento in materia di servizi pubblici locali di rilevanza economica, a norma dell'articolo 23-bis, comma 10, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133 di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 168 del 2010 (il quale ha cessato di essere applicato a seguito dell'abrogazione referendaria, nel 2011, dello stesso art. 23-bis).
Rispetto all’impianto normativo richiamato, quindi, la disposizione in commento non riproduce l’inconferibilità per coniugi, parenti e affini entro il quarto grado; la durata dell’inconferibilità è inoltre di due anni anziché tre.
Si segnala che la norma non disciplina la vigilanza e non individua le sanzioni in relazione alle incompatibilità e inconferibilità stabilite.
In proposito, si ricorda che la giurisprudenza del Consiglio di Stato ha escluso, ad esempio, la possibilità di applicare in modo estensivo le inconferibilità previste da decreto legislativo n. 39 del 2013 e, quindi, le sanzioni in materia previste dal medesimo testo agli articoli da 16 a 19 (sentenza n. 4009 del 28 settembre 2016).
Per quanto riguarda i componenti della commissione di gara per l’affidamento della gestione del servizio, il comma 7 dispone che continuano ad applicarsi le disposizioni del D.Lgs. 39/2013, dell’articolo 6-bis della L. 241/1990 e in generale tutte le disposizioni in materia di appalti pubblici.
Al riguardo, si valuti l’opportunità di approfondire se ai componenti delle commissioni di gara si applichino, a normativa vigente, le disposizioni del decreto legislativo n. 39 del 2013.
Le commissioni di gara non risultano infatti tra le tipologie di incarichi delle pubbliche amministrazioni citate nel decreto legislativo n. 39 del 2013 e oggetto di definizione all’articolo 1, comma 2, e cioè:
· «incarichi amministrativi di vertice», cioè gli incarichi di livello apicale, quali quelli di Segretario generale, capo Dipartimento, Direttore generale o posizioni assimilate nelle pubbliche amministrazioni e negli enti di diritto privato in controllo pubblico, conferiti a soggetti interni o esterni all'amministrazione o all'ente che conferisce l'incarico, che non comportano l'esercizio in via esclusiva delle competenze di amministrazione e gestione (lettera i);
· «incarichi dirigenziali interni», cioè gli incarichi di funzione dirigenziale, comunque denominati, che comportano l'esercizio in via esclusiva delle competenze di amministrazione e gestione, nonche' gli incarichi di funzione dirigenziale nell'ambito degli uffici di diretta collaborazione, conferiti a dirigenti o ad altri dipendenti appartenenti ai ruoli dell' amministrazione che conferisce l'incarico ovvero al ruolo di altra pubblica amministrazione (lettera j);
· «incarichi dirigenziali esterni», cioè gli incarichi di funzione dirigenziale, comunque denominati, che comportano l'esercizio in via esclusiva delle competenze di amministrazione e gestione, nonché gli incarichi di funzione dirigenziale nell'ambito degli uffici di diretta collaborazione, conferiti a soggetti non muniti della qualifica di dirigente pubblico o comunque non dipendenti di pubbliche amministrazioni (lettera k);
· «incarichi di amministratore di enti pubblici e di enti privati in controllo pubblico», cioè gli incarichi di Presidente con deleghe gestionali dirette, amministratore delegato e assimilabili, di altro organo di indirizzo delle attività dell'ente, comunque denominato, negli enti pubblici e negli enti di diritto privato in controllo pubblico (lettera l);
· «incarichi e cariche in enti di diritto privato regolati o finanziati», cioè le cariche di presidente con deleghe gestionali dirette, amministratore delegato, le posizioni di dirigente, lo svolgimento stabile di attività di consulenza a favore dell'ente (lettera e).
Si ricorda, più in generale, che il decreto legislativo 39/2013 ha attuato la delega stabilita dai commi 49 e 50 dell’art. 1 della legge 190/2012 (c.d. legge anticorruzione) prevedendo le seguenti fattispecie, già sopra richiamate:
- inconferibilità, cioè di preclusione, permanente o temporanea, a conferire gli incarichi a coloro che abbiano riportato condanne penali per i reati previsti dal capo I del titolo II del libro secondo del codice penale, nonché a coloro che abbiano svolto incarichi o ricoperto cariche in enti di diritto privato regolati o finanziati da pubbliche amministrazioni o svolto attività professionali a favore di questi ultimi, a coloro che siano stati componenti di organi di indirizzo politico;
- incompatibilità, da cui consegue l'obbligo per il soggetto cui viene conferito l'incarico di scegliere, a pena di decadenza, entro il termine perentorio di quindici giorni, tra la permanenza nell'incarico e l'assunzione e lo svolgimento di incarichi e cariche in enti di diritto privato regolati o finanziati dalla pubblica amministrazione che conferisce l'incarico, lo svolgimento di attività professionali ovvero l'assunzione della carica di componente di organi di indirizzo politico.
Inoltre, gli atti con cui sono attribuiti gli incarichi alle persone che versano in uno stato di inconferibilità sono nulli e i componenti degli organi che li abbiano conferiti sono responsabili per le conseguenze economiche e non possono conferire gli incarichi di loro competenza per un periodo di tre mesi (ai sensi degli articoli 17 e 18 del D.Lgs. 39/2013).
Il decreto 39/2013 non ha modificato la disciplina in materia di incompatibilità, cumulo di impieghi e incarichi già prevista dall’art. 53 del D.lgs. 165/2001 e resta vigente quindi la normativa in tema di collocamento in aspettativa dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni.
Inoltre, resta salva la disciplina in tema di criteri di conferimento di incarichi dirigenziali e di collocamento in aspettativa di cui, rispettivamente, agli articoli 19 e 23 bis del D.Lgs. 165/2001. In particolare, tale disposizione prevede tre ordini di cause di inconferibilità di incarichi:
- in caso di condanna, anche non definitiva, per reati contro la pubblica amministrazione
- la provenienza da enti di diritto privato;
- la provenienza da organi di indirizzo politico.
L’art. 6-bis della legge 241/1990, citato dalla disposizione in commento, pone l’obbligo in capo al responsabile del procedimento e ai titolari degli uffici competenti ad adottare i pareri, le valutazioni tecniche, gli atti endoprocedimentali e il provvedimento finale di astenersi in caso di conflitto di interessi. Inoltre, costoro sono tenuti a segnalare ogni situazione di conflitto, anche potenziale.
Per quanto riguarda la disciplina dei contratti pubblici, pure richiamata dalla disposizione in commento, si ricorda che l’articolo 77 del codice dei contratti pubblici (decreto legislativo n. 50 del 2016) tra le altre cose prevede che “i commissari non devono aver svolto né possono svolgere alcun'altra funzione o incarico tecnico o amministrativo relativamente al contratto del cui affidamento si tratta”.
Infine, in ordine all’applicazione delle disposizioni introdotte dall’articolo in esame, si prevede l’adeguamento ad esse da parte degli enti di governo dell’ambito e delle autorità di regolazione entro 6 mesi dalla data di entrata in vigore del provvedimento in esame (comma 8).
Articolo 7
(Competenze delle autorità di regolazione nei servizi pubblici locali a rete)
L’articolo 7 disciplina le competenze delle autorità di regolazione in materia di servizi pubblici locali a rete.
Si prevede che, nei rispettivi ambiti di competenza, le autorità di regolazione individuino i costi di riferimento dei servizi, lo schema tipo di piano economico-finanziario, gli indicatori e i livelli minimi di qualità dei servizi (comma 1), nonché gli schemi di bandi di gara e di contratti tipo (comma 2). Si prevede, infine, la possibilità per gli enti locali o gli enti di governo dell’ambito di richiedere alle competenti autorità di regolazione e all’Autorità garante della concorrenza e del mercato un parere circa i profili economici e concorrenziali relativi alla suddivisione in lotti degli affidamenti (comma 3).
L’articolo appare volto a dare attuazione alle lettere b) e c) dell’articolo 8 della legge di delega In particolare, la lettera b) individua fra i principi e criteri direttivi l'adeguata considerazione delle differenze tra i servizi di interesse economico generale a rete (di cui all'articolo 3-bis, comma 6- bis, del decreto-legge n. 138 del 2011) e gli altri servizi pubblici locali di rilevanza economica (i.e. servizi non a rete). In tale attività il Governo è chiamato al rispetto del principio di proporzionalità e a tener conto dell'industrializzazione dei singoli settori, anche ai fini della definizione della disciplina relativa alla gestione e all'organizzazione del servizio idonea ad assicurarne la qualità e l'efficienza e della scelta tra autoproduzione e ricorso al mercato
La lettera c), facendo salve le competenze delle autorità indipendenti in materia di regolazione economico-tariffaria e della qualità, delega inoltre il Governo a razionalizzare la ripartizione dei poteri di regolazione e di controllo tra le predette autorità e i diversi livelli di governo locale, prevedendo altresì la separazione, a livello locale, tra le funzioni regolatorie e le funzioni di diretta gestione dei servizi e il rafforzamento dei poteri sanzionatori connessi alle attività di regolazione.
Così come definiti dall’articolo 2 del provvedimento (alla cui scheda si rimanda per ogni ulteriore considerazione), per servizi pubblici locali a rete si intendono i servizi di interesse economico generale di livello locale che sono suscettibili di essere organizzati tramite reti strutturali o collegamenti funzionali necessari tra le sedi di produzione o di svolgimento della prestazione oggetto di servizio, sottoposti a regolazione ad opera di un’autorità indipendente. Appaiono rientrare in questa definizione, quindi, i servizi afferenti ai seguenti settori: energia elettrica, ciclo dei rifiuti, servizio idrico integrato e trasporto pubblico locale.
In conformità ai richiamati principi e criteri direttivi di cui alla legge delega, il provvedimento in esame distingue la disciplina relativa ai servizi pubblici a rete da quelli non a rete.
I servizi pubblici a rete sono soggetti al controllo e alla vigilanza delle autorità di regolazione già competenti a legislazione vigente e sono regolati dal presente articolo
Per i servizi c.d. non a rete, invece, non opera un’autorità di regolazione e i compiti di regolazione sono attribuiti dall’articolo 8 del provvedimento (per il quale si rimanda alla relativa scheda che segue) alle competenti strutture della Presidenza del Consigli dei ministri.
Lo schema di decreto legislativo della XVII legislatura
Una disciplina sostanzialmente analoga, sotto diversi profili, a quella recata dalla disposizione in commento è rinvenibile nello schema di decreto legislativo recante disposizioni sui servizi pubblici locali di interesse economico generale, adottato nella XVII legislatura (A.G. 308), in attuazione della delega conferita al Governo dagli articoli 16 e 19 della legge 7 agosto 2015, n. 124.
Nel dettaglio, l’articolo 15 del citato schema prevedeva che negli ambiti di rispettiva competenza, le autorità indipendenti di regolazione settoriale predisponessero schemi di bandi di gara e contratti tipo. Si prevedeva inoltre che gli schemi di bandi di gara e i contratti tipo fossero pubblicati sul portale telematico dell'Osservatorio sui servizi pubblici locali (comma 1).
Si disponeva poi che le autorità indipendenti di settore individuassero, per gli ambiti di rispettiva competenza, i costi standard dei diversi servizi pubblici locali di interesse economico generale e i livelli minimi di qualità degli stessi, pubblicandoli sul portale telematico dell’Osservatorio (comma 2).
Si prevedeva infine la possibilità che l’amministrazione competente potesse richiedere alle autorità indipendenti di regolazione del settore e all’A.G.C.M. un parere circa i profili economici e concorrenziali relativi alla suddivisione in lotti degli affidamenti (comma 3).
Al fine di fornire un quadro di sintesi relativo alle autorità di regolazione dei servizi pubblici a rete, si richiamano:
· l'art. 37 del decreto-legge n. 201 del 2011, poi modificato dal decreto-legge n. 1 del 2012, che ha istituito l'Autorità di regolazione dei trasporti (A.R.T.);
· l'art. 21, comma 19, dello stesso decreto-legge n. 201 del 2011, che ha attribuito alla già esistente Autorità per l'energia elettrica e il gas (ridenominata Autorità di regolazione per energia, reti e ambiente-ARERA) le funzioni di regolazione del servizio idrico; all'individuazione di tali funzioni si è provveduto con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 20 luglio 2012. La legge n. 205 del 2017 (l. bilancio 2018, art. 1, co. 527) ha attribuito all’ARERA anche le competenze regolatorie e di controllo in materia di gestione dei rifiuti.
Nelle intenzioni del legislatore delegato, così come espresse nella illustrativa del provvedimento, la disposizione in commento intende rilanciare e rafforzare la centralità dell’azione delle Autorità nazionali di regolazione, in una logica di supporto tecnico all’azione degli enti locali di garanzia di elevate condizioni di qualità dei servizi, al fine di assicurare il principio di coesione sociale e territoriale (enunciato dall’articolo 1, comma 4 del provvedimento).
Come si evidenzia nella relazione tecnica, ferme restando le ulteriori competenze attribuite dalle norme settoriali, le Autorità di regolazione sono quindi legittimate, negli ambiti di rispettiva competenza, ad adottare parametri tecnici di riferimento, che fungano da indicatori (benchmark), nonché una serie di schemi tipo di atti da utilizzare nella regolazione del rapporto contrattuale tra gli enti affidanti e i soggetti affidatari del servizio o gestori della rete.
Più nel dettaglio, per effetto della disposizione in esame, le Autorità di regolazione possono individuare, con riferimento ai servizi pubblici locali a rete:
· i costi di riferimento dei servizi (definiti dall’articolo 2 del provvedimento come “indicatori di costo, che stimano le risorse necessarie alla gestione del servizio secondo criteri di efficienza, o costi benchmark”)
Si valuti l’opportunità di coordinare tale definizione con quella di costi efficienti dei quali si deve tenere conto nella determinazione delle tariffe ai sensi dell’articolo 26 del provvedimento. Si valuti altresì l’opportunità di introdurre nel provvedimento criteri, principi e procedure per la determinazione da parte autorità di regolazione dei costi di riferimento.
A questo riguardo, si ricorda che, fatte salve le discipline di settore, l’articolo 17, comma 4 del provvedimento (alla cui scheda si rinvia per ogni ulteriore considerazione) dispone che il PEF contenga anche la proiezione, su base triennale e per l’intero periodo di durata dell’affidamento, dei costi e dei ricavi, degli investimenti e dei relativi finanziamenti, nonché la specificazione dell’assetto economico-patrimoniale della società, del capitale proprio investito e dell’ammontare dell’indebitamento. La medesima disposizione prevede inoltre che tale piano sia asseverato da un intermediario bancario o finanziario autorizzato o da una società di servizi iscritta all’albo degli intermediari finanziari o da una società di revisione o da revisori legali.
Considerato che la nozione di piano economico-finanziario ricorre anche in altre disposizioni del provvedimento (articolo 14, comma 4, articolo 17, comma 4, articolo 19, comma 1), si valuti l’opportunità di introdurre all’articolo 2 una definizione della fattispecie.
· gli indicatori e i livelli minimi di qualità dei servizi
In assenza di una definizione nel provvedimento, fatto salvo quanto previsto dalle discipline di settore, alcuni riferimenti inerenti alla determinazione dei predetti indicatori e livelli minimi di qualità dei servizi sembra rinvenibile:
o nel contratto di servizio di cui all’articolo 24 del provvedimento per quanto attiene ai servizi resi su richiesta individuale dell’utente. In tale contratto sono infatti definiti “gli indicatori e i livelli ambientali, qualitativi e quantitativi delle prestazioni da erogare, definiti in termini di livelli specifici e di livelli generali, e i relativi obiettivi di miglioramento, inclusi quelli volti a garantire un migliore accesso al servizio da parte delle persone diversamente abili” (cfr. articolo 24, comma 4, lettera b)), e
o nella carta dei servizi di cui all’articolo 25 del provvedimento, che fa rinvio alla nozione di carta dei servizi contenuta nell’articolo 2, comma 461, lettera a), della legge n. 244 del 2007 (legge finanziaria 2008) che a sua volta fa riferimento agli “standard di qualità e di quantità relativi alle prestazioni erogate così come determinati nel contratto di servizio”.
Gli standard di qualità nella Carta dei servizi
L’articolo 2, comma 461, lettera a), della legge n. 244 del 2007 prevede infatti che, al fine di tutelare i diritti dei consumatori e degli utenti dei servizi pubblici locali e di garantire la qualità, l'universalità e l'economicità delle relative prestazioni, in sede di stipula dei contratti di servizio gli enti locali sono tenuti ad applicare le seguenti disposizioni:
a) previsione dell'obbligo per il soggetto gestore di emanare una «Carta della qualità dei servizi», da redigere e pubblicizzare in conformità ad intese con le associazioni di tutela dei consumatori e con le associazioni imprenditoriali interessate, recante gli standard di qualità e di quantità relativi alle prestazioni erogate così come determinati nel contratto di servizio, nonché le modalità di accesso alle informazioni garantite, quelle per proporre reclamo e quelle per adire le vie conciliative e giudiziarie nonché le modalità di ristoro dell'utenza, in forma specifica o mediante restituzione totale o parziale del corrispettivo versato, in caso di inottemperanza.
Sulla base degli elementi rinvenibili dal testo dello schema sembrerebbe che la determinazione dei “livelli minimi di qualità dei servizi” sia rimessa “a valle” alla successiva fase di stipula dei contratti di servizio o di adozione della carta dei servizi.
Ciò sembrerebbe non del tutto coerente con quanto previsto dalla disposizione in esame, che invece rimette “a monte” la determinazione dei “livelli minimi di qualità dei servizi” da parte della competente autorità di regolazione del settore, senza però specificare il procedimento da seguire, i soggetti che devono essere consultati o coinvolti e le forme di pubblicità che devono essere assicurate.
In considerazione della compresenza nello schema di decreto di diverse nozioni di indicatori o standard di qualità, si valuti l’opportunità di introdurre una definizione univoca di “livelli minimi di qualità dei servizi” che chiarisca lo strumento con il quale devono essere definiti tali livelli nonché il relativo procedimento di adozione e il relativo regime di pubblicità.
Rimandando alla relativa scheda per ogni ulteriore dettaglio, si segnala inoltre che la Carta dei servizi, ai sensi dell’articolo 25, comma 1, è redatta, all’atto della stipula del contratto di servizio, e aggiornata dal gestore del servizio pubblico locale di rilevanza economica.
La carta è inoltre corredata delle informazioni relative alla composizione della tariffa ed è pubblicata dallo stesso gestore sul proprio sito internet.
In questo senso si muoveva anche lo schema di decreto adottato nel corso della XVII legislatura (A.G. 308), il quale all’articolo 24 prevedeva l’obbligo per il gestore di rendere pubblica, anche a mezzo del proprio sito internet e di altri strumenti telematici disponibili, la versione aggiornata della carta dei servizi offerti all'utenza. Si precisava inoltre il contenuto della carta dei servizi, la quale “oltre a quanto già previsto nel contratto di servizio relativamente alle disposizioni che disciplinano i rapporti con l'utenza”, doveva recare anche “le informazioni che consentano all'utente di conoscere le principali voci di costo coperte dalla tariffa, con distinta indicazione delle componenti di costo dipendenti dalle capacità gestionali dell'erogatore e di quelle influenzate da fattori esogeni, ed indicano in modo specifico i diritti, anche di natura risarcitoria, che gli utenti possono esigere nei confronti dei gestori del servizio” (comma 1).
Più nel dettaglio, “al fine di tutelare i diritti dei consumatori e degli utenti dei servizi pubblici locali di interesse economico generale e di garantire la qualità, l'universalità e l'economicità delle relative prestazioni” si prevedeva che “le autorità di regolazione e ogni altra amministrazione pubblica dotata di competenze di regolazione sui servizi pubblici locali, definiscono, fatto salvo quanto previsto dal decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206, e dalla legge 10 ottobre 1990, n. 287, gli specifici diritti di cui al comma 1 con particolare riguardo a: a) previsione dell'obbligo per il soggetto gestore di emanare una «Carta della qualità dei servizi», da redigere e pubblicare in conformità ad intese con le associazioni di tutela dei consumatori e con le associazioni imprenditoriali interessate, recante gli standard di qualità e di quantità relativi alle prestazioni erogate come determinati nel contratto di servizio […]” (comma 2, lettera a)).
Ai sensi del comma 1, la determinazione dei predetti costi di riferimento dei servizi, lo schema tipo di piano economico-finanziario, gli indicatori e i livelli minimi di qualità dei servizi, serve anche per altre finalità previste dal provvedimento, quali:
· la valutazione di inidoneità del ricorso al mercato o dei soggetti privati a garantire il soddisfacimento dei bisogni delle comunità locali, nell’ambito dell’istruttoria che deve precedere l’istituzione di servizi di interesse economico generale di livello locale diversi da quelli già previsti dalla legge, nel rispetto del principio di sussidiarietà orizzontale (v. art. 10, comma 4 del presente provvedimento);
· la valutazione - propedeutica alla scelta della modalità di gestione del servizio e alla definizione del rapporto contrattuale - nella quale l’ente locale e gli altri enti competenti devono tenere conto delle caratteristiche tecniche ed economiche del servizio pubblico locale da prestare, che ha ad oggetto anche i profili relativi alla qualità del servizio e agli investimenti infrastrutturali, della situazione delle finanze pubbliche, dei costi per l’ente locale e per gli utenti, dei risultati prevedibilmente attesi in relazione alle diverse alternative, anche con riferimento a esperienze paragonabili, nonché dei risultati della eventuale gestione precedente del medesimo servizio sotto il profilo degli effetti sulla finanza pubblica, della qualità del servizio offerto, dei costi per l’ente locale e per gli utenti e degli investimenti effettuati (v. art. 14, comma 2); e
· la deliberazione motivata di affidamento in house di importo superiore alle soglie di rilevanza europea, che deve espressamente dare conto delle ragioni del mancato ricorso al mercato ai fini di un’efficiente gestione del servizio, illustrando i benefici per la collettività della forma di gestione prescelta con riguardo agli investimenti, alla qualità del servizio, ai costi dei servizi per gli utenti, all’impatto sulla finanza pubblica, nonché agli obiettivi di universalità, socialità, tutela dell’ambiente e accessibilità dei servizi, anche in relazione ai risultati conseguiti in eventuali pregresse gestioni in house.
Il comma 2 attribuisce inoltre alle autorità di regolazione dei servizi pubblici locali a rete, nei rispettivi ambiti di competenza, la competenza a predisporre schemi di bandi di gara e schemi di contratti tipo. In proposito, merita richiamare (v. box sottostante) quanto previsto nel codice dei contratti pubblici (decreto legislativo n. 50 del 2016) per bandi-tipo e contratti-tipo dell’Autorità nazionale anticorruzione (ANAC).
Gli schemi di atti tipo e gli altri strumenti di regolazione flessibile dell’ANAC
Si ricorda che l’articolo 213 del Codice dei contratti pubblici (di cui al D.Lgs. 18 aprile 2016, n. 50), nell'attribuire all'Autorità nazionale anticorruzione i compiti in materia di vigilanza e controllo sui contratti pubblici, al comma 2 specifica che l’ANAC, attraverso linee guida, bandi-tipo, capitolati-tipo, contratti-tipo ed altri strumenti di regolazione flessibile, comunque denominati, garantisce la promozione dell'efficienza, della qualità dell'attività delle stazioni appaltanti, cui fornisce supporto anche facilitando lo scambio di informazioni e la omogeneità dei procedimenti amministrativi e favorisce lo sviluppo delle migliori pratiche.
Lo stesso comma 2 prevede inoltre che l’ANAC trasmetta alle Camere, immediatamente dopo la loro adozione, i predetti atti di regolazione e schemi di atti tipo, comunque denominati, ritenuti maggiormente rilevanti in termini di impatto, per numero di operatori potenzialmente coinvolti, riconducibilità a fattispecie criminose, situazioni anomale o comunque sintomatiche di condotte illecite da parte delle stazioni appaltanti.
La stessa disposizione fa inoltre salva l'impugnabilità delle decisioni e degli atti assunti dall'ANAC innanzi ai competenti organi di giustizia amministrativa.
Si dispone infine che l'ANAC, per l'emanazione delle linee guida, si doti, nei modi previsti dal proprio ordinamento, di forme e metodi di consultazione, di analisi e di verifica dell'impatto della regolazione, di consolidamento delle linee guida in testi unici integrati, organici e omogenei per materia, di adeguata pubblicità, anche sulla Gazzetta Ufficiale, in modo che siano rispettati la qualità della regolazione e il divieto di introduzione o di mantenimento di livelli di regolazione superiori a quelli minimi richiesti dalla legge n. 11 del 2016 (recante deleghe per l’attuazione delle direttive 2014/23/UE sull’aggiudicazione dei contratti di concessione, 2014/24/UE sugli appalti pubblici nei cd. “settori ordinari e 2014/25/UE sugli appalti nei cd. “settori speciali” (acqua, energia, trasporti, servizi postali), oltre che dallo stesso Codice dei contratti pubblici.
Ai sensi del comma 3, poi, le Autorità di regolazione del settore e l'Autorità garante della concorrenza e del mercato, su richiesta dell’amministrazione competente, esprimono il proprio parere circa i profili economici e concorrenziali relativi alla suddivisione in lotti degli affidamenti.
Il coinvolgimento delle richiamate Autorità è pertanto eventuale e demandato alla libera iniziativa delle amministrazioni territoriali chiamate ad affidare il servizio.
Il comma 4, infine, specifica che le attività dirette a dare attuazione all’articolo in esame saranno svolte con le dotazioni umane, finanziarie e strumentali “disponibili a legislazione vigente”, coerentemente con quanto previsto nella legge di delega.
In proposito, si ricorda che l’articolo 36 del provvedimento già prevede una clausola di invarianza finanziaria relativa all’attuazione complessiva del decreto.
Articolo 8
(Competenze regolatorie nei servizi pubblici locali non a rete)
L’articolo 8 prevede che per i servizi pubblici locali non a rete, per i quali non opera un’autorità di regolazione, gli atti e gli indicatori di cui all’articolo 7 siano predisposti dalle competenti strutture della Presidenza del Consiglio dei ministri (comma 1).
Si prevede inoltre che, sulla base di tali atti e indicatori e nel rispetto di quanto previsto dal decreto in esame, gli enti locali provvedano alla regolazione dei servizi pubblici locali non a rete di loro titolarità adottando un regolamento ovvero un atto generale e assicurando la trasparenza e la diffusione dei dati della gestione. I contratti di servizio e gli altri atti di regolazione del rapporto contrattuale dovranno a loro volta conformarsi a quanto previsto dal regolamento o atto generale adottato dal competente ente locale (comma 2).
La disposizione in esame appare volta a dare attuazione all’articolo 8, comma 2, lettere b) e c), della legge di delega,.
In particolare, la lettera b) individua fra i principi e criteri direttivi l'adeguata considerazione delle differenze tra i servizi di interesse economico generale a rete (di cui all’articolo 3-bis, comma 6- bis, del decreto-legge n. 138 del 2011) e gli altri servizi pubblici locali di rilevanza economica (i.e. servizi non a rete). In tale attività il Governo è chiamato al rispetto del principio di proporzionalità e a tener conto dell'industrializzazione dei singoli settori, "anche ai fini della definizione della disciplina relativa alla gestione e all'organizzazione del servizio idonea ad assicurarne la qualità e l'efficienza e della scelta tra autoproduzione e ricorso al mercato.
La lettera c), facendo salve le competenze delle autorità indipendenti in materia di regolazione economico-tariffaria e della qualità, delega inoltre il Governo a razionalizzare la ripartizione dei poteri di regolazione e di controllo tra le predette autorità e i diversi livelli di governo locale, prevedendo altresì la separazione, a livello locale, tra le funzioni regolatorie e le funzioni di diretta gestione dei servizi e il rafforzamento dei poteri sanzionatori connessi alle attività di regolazione.
Il comma 1 prevede che, per i servizi pubblici locali non a rete, per i quali non opera un’autorità di regolazione, gli atti (schemi tipo di piano economico-finanziario, bandi di gara e contratti) e gli indicatori (costi di riferimento dei servizi e livelli minimi di qualità dei servizi) (per il quale si rimanda alla relativa scheda) siano predisposti dalle competenti strutture della Presidenza del Consiglio dei ministri.
Per ogni ulteriore considerazione sui predetti atti tipo e indicatori si rimanda alla scheda relativa all’articolo 7 del presente provvedimento.
Tra i servizi pubblici “non a rete” possono rientrare servizi quali farmacie comunali, trasporti funebri e servizi cimiteriali, mercati comunali, servizi di pubblica affissione, impianti sportivi, parcheggi comunali con custodia.
Lo schema di decreto adottato nel corso della XVII legislatura (A.G. 308) prevedeva che, per i servizi per i quali non opera un'autorità indipendente di regolazione, gli schemi di bandi di gara e i contratti tipo fossero predisposti dall'ANAC in conformità con la disciplina nazionale in materia di contratti pubblici.
Il comma 2 prevede inoltre che, sulla base di tali atti e indicatori e nel rispetto di quanto previsto dal decreto in esame, gli enti locali provvedano alla regolazione dei servizi pubblici locali non a rete di loro titolarità adottando un regolamento ovvero un atto generale e assicurando la trasparenza e la diffusione dei dati della gestione.
In tali atti aventi natura generale e astratta devono essere indicati condizioni, principi, obiettivi e standard della gestione nel rispetto di quanto disposto dal decreto e devono essere al contempo assicurate forme di trasparenza e di diffusione dei dati della gestione dei servizi pubblici locali non a rete di titolarità dell’ente.
Infine, nella regolazione del rapporto contrattuale tra gli enti affidanti e i soggetti affidatari del servizio pubblico, nonché quelli tra gli enti affidanti e le società di gestione delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni patrimoniali essenziali, i relativi contratti di servizio (o altri atti contrattuali) devono assicurare il rispetto delle condizioni, dei principi, degli obiettivi e degli standard fissati dal predetto regolamento o atto generale.
La disciplina del rapporto avente ad oggetto il servizio pubblico locale è rinvenibile quindi su più livelli:
· a livello primario, dal decreto in esame cha ha per oggetto la disciplina generale dei servizi di interesse economico generale prestati a livello locale e stabilisce principi comuni, uniformi ed essenziali, nonché le condizioni, anche economiche e finanziarie, per raggiungere e mantenere un alto livello di qualità, sicurezza e accessibilità, la parità di trattamento nell’accesso universale e i diritti dei cittadini e degli utenti (sul punto si veda la scheda relativa all’articolo 1);
· a livello secondario, dal regolamento o atto generale che si colloca a monte dell’affidamento del servizio e che indica condizioni, principi, obiettivi e standard della gestione del servizio nel rispetto di quanto disposto dal decreto;
· sul piano negoziale, dal contratto di servizio o da ogni altro atto che regola il rapporto contrattuale tra gli enti affidanti e i soggetti affidatari del servizio pubblico ovvero gestori delle reti (per la cui disciplina si rimanda alla scheda relativa all’articolo 24); e infine,
· in sede di stipula dei contratti di servizio, dalla carta dei servizi (per la cui disciplina si rimanda alla scheda relativa all’articolo 25), recante, tra l’altro, gli standard di qualità e di quantità relativi alle prestazioni erogate così come determinati nel contratto di servizio (su questo aspetto degli standard qualitativi si rimanda, invece, alla scheda relativa all’articolo 6).
Articolo 9
(Misure di coordinamento con regioni ed enti locali)
L’articolo 9 prevede che gli enti locali e le altre istituzioni pubbliche competenti collaborino per la migliore qualità dei servizi pubblici locali (comma 1). Si attribuisce inoltre a regioni e province autonome la facoltà di formulare e deliberare dei protocolli, sulla base di uno schema tipo formulato dalla Conferenza unificata e con il parere delle competenti autorità di regolazione, al fine di favorire e diffondere l’applicazione di indicatori e parametri che favoriscano efficienza e concorrenza (comma 2). Si prevede infine che le regioni e province autonome, attraverso azioni di efficientamento di partecipazione dei privati agli investimenti infrastrutturali, sostengano l’industrializzazione dei servizi pubblici locali e la riduzione dei relativi costi. Tali misure sono adottate, attraverso accordi e convenzioni con gli enti locali e gli altri soggetti interessati, al fine di ridurre l’indebitamento pubblico, assicurare risorse per i servizi privi di rilevanza economica e accrescere il confronto competitivo per la qualità e l’efficienza dei servizi pubblici, nel quadro di coordinamento della finanza pubblica (comma 3).
La disposizione in commento appare volta a dare attuazione al principio di cui all’articolo 8, comma 2, lettera c), della legge di delega, il quale prevede che il Governo assicuri la razionalizzazione della ripartizione dei poteri di regolazione e di controllo tra le autorità indipendenti e i diversi livelli di governo locale, prevedendo altresì la separazione, a livello locale, tra le funzioni regolatorie e le funzioni di diretta gestione dei servizi e il rafforzamento dei poteri sanzionatori connessi alle attività di regolazione, il tutto nel rispetto delle competenze delle autorità indipendenti in materia di regolazione economico-tariffaria e della qualità.
Il comma 1 prevede che gli enti locali e le altre istituzioni pubbliche competenti collaborino per la migliore qualità dei servizi pubblici locali (comma 1).
Il comma 2 attribuisce a regioni e province autonome, con il possibile coinvolgimento delle loro agenzie di regolazione regionale, la legittimazione a formulare e deliberare protocolli, sulla base di uno schema tipo formulato in sede di Conferenza unificata e con il parere delle competenti autorità di regolazione, al fine di favorire e diffondere l’applicazione di indicatori e parametri che garantiscano lo sviluppo dell’efficienza e del confronto concorrenziale e il conferimento della gestione dei servizi agli operatori economici presenti nel mercato.
La disposizione sembrerebbe coerente con quanto previsto dall’articolo 7 in materia di servizi pubblici locali a rete, laddove si prevede che, nei rispettivi ambiti di competenza, sano le autorità di regolazione a individuare e determinare i costi di riferimento, nonché i relativi indicatori e livelli minimi di qualità dei servizi.
Il comma 3 prevede infine che le regioni e le province autonome, anche collaborando con le rispettive agenzie di regolazione regionale, ove istituite, sostengano l’industrializzazione e la riduzione dei costi dei servizi pubblici locali attraverso azioni di efficientamento dei processi produttivi, ivi compreso il concorso dei soggetti privati agli investimenti infrastrutturali relativi ai servizi pubblici locali.
Si ricorda che, ai sensi dell’articolo 8, comma 2, lettera b), della legge di delega l’industrializzazione dei singoli settori è un indice di cui il Governo deve tenere conto nel considerare adeguatamente le differenze tra i servizi di interesse economico generale a rete e gli altri servizi altri servizi pubblici locali di rilevanza economica non a rete, nel rispetto del principio di proporzionalità. Tale indice deve essere inoltre valorizzato dal legislatore delegato ai fini della definizione di una disciplina della gestione e organizzazione del servizio idonea ad assicurarne la qualità e l'efficienza e della scelta tra autoproduzione e ricorso al mercato.
Tale disposizione, qualificata dal legislatore delegato quale misura per il coordinamento della finanza pubblica è introdotta al fine di ridurre l’indebitamento pubblico, assicurare la conservazione delle risorse per i servizi privi di rilevanza economica, nonché accrescere il confronto competitivo per la qualità e l’efficienza dei servizi pubblici.
Al fine di perseguire le finalità di cui al comma 3 le regioni e le province autonome possono stipulare accordi e convenzioni con gli enti locali e gli altri soggetti interessati, tenendo conto dei protocolli adottati dalle regioni ai sensi del comma 2.
Coordinamento della finanza pubblica
La materia del coordinamento della finanza pubblica rientra tra le materie di legislazione concorrente ai sensi dell'art. 117, terzo comma, della Costituzione.
Essa costituisce una materia estremamente rilevante in quanto ad essa una copiosa giurisprudenza costituzionale ha costantemente ricondotto le disposizioni statali volte al contenimento della spesa delle regioni e degli enti locali. Sulla materia si rileva peraltro una evoluzione nella giurisprudenza della Corte costituzionale degli ultimi anni, nel senso dell’ampliamento degli ambiti di intervento del legislatore statale.
Più recentemente, tuttavia, la Corte ha fornito una lettura estensiva delle norme di principio nella materia del coordinamento della finanza pubblica. Pur ribadendo, in via generale, che possono essere ritenuti principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica le norme che si limitino a porre obiettivi di riequilibrio della finanza pubblica – intesi nel senso di un transitorio contenimento complessivo, anche se non generale, della spesa corrente, e non invece di interventi che prevedano in modo esaustivo strumenti o modalità per il perseguimento di tali obiettivi – la Corte ha, nei fatti, avallato le scelte del legislatore statale di introdurre vincoli specifici per il contenimento della spesa delle regioni e degli enti locali (sentenze nn.198 e 262 del 2012, n.236 del 2013, n.23 del 2014, nn.38 e 69 del 2016 e n.154 del 2017).
In particolare, nella sentenza n. 272/2015 la Corte ha precisato che «la materia del coordinamento della finanza pubblica, infatti, non può essere limitata alle norme aventi lo scopo di limitare la spesa, ma comprende anche quelle aventi la funzione di “riorientare” la spesa pubblica, per una complessiva maggiore efficienza del sistema». La Corte, riconoscendo alla previsione impugnata in quel caso «lo scopo di incentivare una più corretta gestione della spesa pubblica, nell’interesse delle imprese ma anche del sistema complessivo pubblico-privato», ha ricondotto la stessa disposizione al «principio di coordinamento della finanza pubblica […]» (sulla stessa linea si colloca la sentenza n. 137 del 2018).
Articolo 10
(Perimetro del servizio pubblico locale e principio di sussidiarietà)
L’articolo 10 definisce il perimetro del servizio pubblico locale, prevedendo che gli enti locali e gli altri enti competenti, oltre ad assicurare la prestazione dei servizi di interesse economico generale di livello locale ad essi attribuiti dalla legge, possono, nell’ambito delle rispettive competenze, istituire ulteriori servizi di rilevanza economica, previa verifica che l’attività delle imprese sul mercato o dei cittadini, singoli o associati, sia inidonea a soddisfare i bisogni della collettività. A tal fine è prevista una delibera di istituzione del servizio, che deve dare conto degli esiti dell’istruttoria.
Il comma 1 ribadisce in primo luogo che gli enti locali e gli altri enti competenti assicurano la prestazione dei servizi di interesse economico generale di livello locale ad essi attribuiti dalla legge.
Ai sensi del comma 2 per il soddisfacimento dei bisogni delle comunità locali, l’ente locale deve favorire l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, e delle imprese ai fini del soddisfacimento dei bisogni delle comunità locali, anche con apposite agevolazioni e semplificazioni. Tale disposizione richiama con riferimento alla disciplina dei SPL, l’applicazione del principio di sussidiarietà orizzontale di cui all’articolo 118, quarto comma, Cost..
In questa sede ci si limita a ricordare che la richiamata disposizione costituzionale prevede che Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l'autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà.
Al contempo, l’articolo in esame riconosce che gli enti locali hanno la facoltà di istituire servizi di interesse economico generale diversi da quelli già previsti dalla legge, che ritengono necessari per assicurare la soddisfazione dei bisogni delle comunità locali (comma 3).
Si ricorda in proposito che l’art. 112, comma 1, del TUEL (oggetto di abrogazione da parte dell'art. 36 dello schema di decreto in esame), secondo cui gli enti locali, “nell'ambito delle rispettive competenze, provvedono alla gestione dei servizi pubblici che abbiano per oggetto produzione di beni ed attività rivolte a realizzare fini sociali e a promuovere lo sviluppo economico e civile delle comunità locali”.
Il Consiglio di Stato ha avuto modo di segnalare che tale disposizione risulta parametro di riferimento ai fini della qualificazione di un’attività come servizio pubblico locale: "La genericità della norma si spiega con la circostanza che gli enti locali, ed il comune in particolare, sono enti a fini generali dotati di autonomia organizzativa, amministrativa e finanziaria (art. 3 TUEL), nel senso che essi hanno la facoltà di determinare da sé i propri scopi e, in particolare, di decidere quali attività di produzione di beni ed attività, purché genericamente rivolte a realizzare fini sociali ed a promuovere lo sviluppo economico e civile della comunità locale di riferimento (art. 112 TUEL), assumere come doverose. Quel che rileva è perciò la scelta politico-amministrativa dell’ente locale di assumere il servizio, al fine di soddisfare in modo continuativo obiettive esigenze della collettività. (...) Dunque, muovendo dal dato di diritto positivo fornito dall’art. 112 TUEL, deve ritenersi che la qualificazione di servizio pubblico locale spetti a quelle attività caratterizzate, sul piano oggettivo, dal perseguimento di scopi sociali e di sviluppo della società civile, selezionati in base a scelte di carattere eminentemente politico, quanto alla destinazione delle risorse economiche disponibili ed all’ambito di intervento, e, su quello soggettivo, dalla riconduzione diretta o indiretta (per effetto di rapporti concessori o di partecipazione all’assetto organizzativo dell’ente) ad una figura soggettiva di rilievo pubblico"[21].
La Corte dei conti-Sezione regionale di controllo per la Lombardia, nel parere reso al Comune di Malnate (VA) n. 195 del 2009, ha asserito che "l’ordinamento lascia all’autonomia delle singole amministrazioni l’individuazione di interessi pubblici da soddisfare per assurgere a servizi pubblici" e che la decisione dell'ente di assumere la titolarità di un servizio, e conseguentemente il compito della sua gestione, risulta un "momento fondamentale per la determinazione dell’assetto dei servizi pubblici nel sistema territoriale". Le attività così individuate possono essere gestite attraverso una vasta serie di organismi, differenti quanto a configurazione giuridica e a metodi organizzativi, ovvero mediante l’affidamento a privati.
Integrando la normativa vigente, il comma 4 prevede che l’istituzione di servizi pubblici locali di interesse economico generale - fatti salvi quelli già previsti dalla legge - deve essere effettuata previa apposita istruttoria da cui risulti, sulla base di un confronto tra le diverse soluzioni possibili, che la prestazione dei servizi da parte delle imprese liberamente operanti nel mercato o da parte di cittadini, singoli e associati, non sia idonea a garantire il soddisfacimento dei bisogni delle comunità locali. Viene, inoltre, precisato che l’istruttoria può essere avviata anche su istanza di cittadini e imprese.
In altri termini, il comma 4 pone alcuni limiti alla discrezionalità con la quale gli enti locali modificano il perimetro del SPL e deliberano di istituire nuovi servizi, imponendo loro l’onere di verificare previamente che il mercato e i privati non siano da soli in grado di fornire quell’attività in modo da soddisfare i bisogni della comunità.
Il comma 5 richiede che la deliberazione di istituzione del servizio dà adeguatamente conto degli esiti dell’istruttoria di cui sopra e si precisa che la stessa può essere sottoposta a consultazione pubblica prima della sua adozione. In particolare, come emerge dalla lettura delle disposizioni successive, ove dall’istruttoria emerga la necessità di istituire il servizio pubblico, nella deliberazione si dovrà adeguata motivazione o dell’imposizione di obblighi di servizio pubblico o della necessità di attribuire diritti speciali o esclusivi a uno o più operatori.
Per quanto riguarda le modalità di pubblicazione della deliberazione, si rinvia alle disposizioni in tema di trasparenza di cui all’articolo 31 dello schema in esame.
Si ricorda che, per quanto riguarda i profili interessati dalle norme in commento, l’art. 8, comma 2, della legge n. 118 del 2022: prevede alla lettera a) che il legislatore delegato deve individuare le attività di interesse generale il cui svolgimento è necessario al fine di assicurare la soddisfazione delle esigenze delle comunità locali; inoltre, la disposizione include alla lettera t), fra i principi e i criteri direttivi della delega, la “razionalizzazione della disciplina concernente le modalità di partecipazione degli utenti nella fase di definizione della qualità e della quantità del servizio”.
Si ricorda che l’esigenza di una previa verifica in ordine alla realizzabilità di una gestione concorrenziale dei servizi pubblici locali di rilevanza economica (al fine di assicurare la liberalizzazione delle attività economiche “compatibilmente con le caratteristiche di universalità e accessibilità del servizio”) era già contenuta nell’articolo 4 del decreto-legge n. 138 del 2011. La disposizione è stata però dichiarata incostituzionale con sentenza n. 199 della 2012 in quanto diretta a ripristinare norme abrogate dalla volontà popolare con il referendum del giugno 2011 e così in contrasto con il divieto desumibile dall'art. 75 Cost.; la sentenza segnala tra le altre cose il “brevissimo lasso di tempo intercorso fra la pubblicazione dell’esito della consultazione referendaria e l’adozione della nuova normativa (23 giorni), ora oggetto di giudizio, nel quale peraltro non si è verificato nessun mutamento idoneo a legittimare la reintroduzione della disciplina abrogata” (per un approfondimento si v. infra, il box dedicato).
Il citato articolo 4 subordinava l'attribuzione di diritti di esclusiva allo svolgimento di un’analisi di mercato, dalla quale eventualmente emerga l’inidoneità della libera iniziativa economica privata “a garantire un servizio rispondente ai bisogni della comunità”. Solo in esito a tale verifica, l'ente poteva adottare una delibera quadro con cui dare conto dell'istruttoria compiuta, evidenziando, per i settori sottratti alla liberalizzazione, “le ragioni della decisione e i benefici per la comunità locale derivanti dal mantenimento di un regime di esclusiva del servizio”.
L’istruttoria ai fini dell’istituzione di un nuovo servizio di livello locale è il presupposto logico e giuridico delle ulteriori scelte poste in capo all’ente locale, che sono regolamentate negli articoli successivi.
Rinviando, infra, alle relative schede di lettura, ci si limita ad anticipare che:
§ nei casi in cui dall’istruttoria svolta non risulti necessaria l’istituzione di un servizio pubblico, l’ente locale può comunque assumere iniziativa a tutela degli utenti (articolo 11)
§ nei casi in cui invece risulti necessaria l’istituzione di un servizio pubblico, l’ente locale:
Ø deve verificare se la prestazione del servizio può essere assicurata senza restrizioni del numero di operatori sul mercato, ma solo attraverso l’imposizione di obblighi di servizio pubblico con adeguate compensazioni (c.d. concorrenza nel mercato – art. 12);
Ø ove verifichi che la prestazione del servizio può essere assicurata solo mediante l’attribuzione di diritti speciali o esclusivi (art. 13), procede ai sensi degli articoli 14 e ss..
Come già accennato nella ricostruzione normativa posta in premessa, per avviare una (parziale) liberalizzazione del settore, dei SPL, nel corso della XVI legislatura l'art. 23-bis del D.L. 112/2008 ha disposto una riforma del comparto dei servizi pubblici locali (SPL), affermando l’obiettivo di favorire la diffusione dei principi di concorrenza, libertà di stabilimento e libera prestazione dei servizi. A tal fine il principio della gara è stato posto come regola generale degli affidamenti di servizi ed è stata stabilita una specifica normativa in deroga per le fattispecie che "non permettono un efficace ed utile ricorso al mercato". Al contempo è stata prevista un'ampia delegificazione del settore.
Questa riforma ha inciso sulla normativa contenuta principalmente nell’articolo 113 D.Lgs. 267/2000 (TUEL) ed è stata poi modificata in vari punti dall’articolo 15 del D.L. 135/2009, e successivamente completata in via di delegificazione dal regolamento governativo adottato con D.P.R. 168/2010.
Il referendum abrogativo del 12 e 13 giugno 2011
L'intera disciplina prevista dall'art. 23-bis, come successivamente modificato, integrata dal regolamento di delegificazione, è stata oggetto di abrogazione a seguito dell'esito delle consultazioni referendarie del 12 e 13 giugno 2011 aventi ad oggetto quattro quesiti, tra cui uno di abrogazione dell'art. 23-bis del D.L. 112/2008 sui servizi pubblici locali. La partecipazione al voto di quasi il 55% degli elettori ha consentito il raggiungimento del quorum necessario per la validità del referendum, e oltre il 95% dei votanti si è espresso in senso favorevole all'abrogazione.
La disciplina dei SPL nell'art. 4 del D.L. n. 138/2011
In materia è quindi intervenuto l'articolo 4 del D.L. n. 138/2011, convertito con modificazioni dalla L. n. 148 del 2011, che ha previsto una nuova disciplina generale dei servizi pubblici locali che, tuttavia, a differenza della precedente escludeva espressamente il settore idrico.
Quanto al campo di applicazione delle nuove regole, si prevedeva una clausola di generale applicazione ai servizi pubblici locali di rilevanza economica, con prevalenza sulle relative discipline di settore incompatibili. Accanto a ciò si stabiliva l'esclusione, oltre che del servizio idrico integrato, dei seguenti servizi, disciplinati da normative di settore:
· servizio di distribuzione di gas naturale;
· servizio di distribuzione di energia elettrica;
· servizio di trasporto ferroviario regionale;
· gestione delle farmacie comunali.
Le linee portanti del nuovo impianto normativo riprendevano quelle della disciplina varata nel 2008, successivamente modificata e integrata in sede di delegificazione. A sua volta, tale disciplina ha subito ulteriori parziali modifiche ad opera dell'articolo 9, co. 2, della L. n. 183/2011 (legge di stabilità 2012), dell'articolo 25, co. 1, del D.L. n. 1/2012 (convertito da L. n. 27/2012) e dell'articolo 53 del D.L. 83/2012.
In base a tale disciplina, gli enti locali avevano l'obbligo di procedere, in via preliminare e con cadenza periodica o comunque prima del conferimento, alla verifica della realizzabilità di una gestione concorrenziale dei servizi pubblici locali, limitando i diritti di esclusiva alle sole ipotesi in cui, in base ad una analisi di mercato, la libera iniziativa economica privata non risulti idonea a garantire un servizio rispondente ai bisogni della comunità. A tal fine era prevista l'adozione di una delibera quadro da pubblicizzare e trasmettere alla Autorità Antitrust. Qualora l'ente giungesse alla conclusione di procedere al conferimento della gestione del servizio in esclusiva, erano previste tre forme di affidamento: 1) conferimento, mediante gara pubblica, in favore di imprenditori e società in qualunque forma costituiti; 2) affidamento a società a capitale misto pubblico-privato, purché il socio privato sia selezionato attraverso gare cosiddette "a doppio oggetto" (sulla persona e sull'attività); 3) affidamento diretto, ossia senza gara, in casi eccezionali, con modalità in house, qualora il valore del servizio non superi i 200.000 euro annui.
Le modifiche introdotte dopo il 2011 non avevano riguardato solo la disciplina degli affidamenti della gestione dei SPL, ma anche altri aspetti della disciplina del comparto. In particolare, è stato introdotto nel D.L. 138/2011 l'art. 3-bis, che disciplina gli ambiti territoriali e i criteri di organizzazione dei servizi pubblici locali.
La sentenza n. 199/2012 della Corte costituzionale
Il 19 luglio 2012, la Corte costituzionale , con sentenza 199/2012 ha dichiarato l'illegittimità delle disposizioni adottate, dopo il referendum del giugno 2011, con l'art. 4 del D.L. 138/2011, in quanto dirette a ripristinare norme abrogate dalla volontà popolare col suddetto referendum e così in contrasto con il divieto desumibile dall'art. 75 Cost..
La Corte ha infatti rilevato che, nonostante l'esclusione dall'ambito di applicazione della nuova disciplina del servizio idrico integrato, "risulta evidente l'analogia, talora la coincidenza, della disciplina contenuta nell'art. 4 rispetto a quella dell'abrogato art. 23-bis e l'identità della ratio ispiratrice".
La declaratoria di illegittimità ha riguardato non solo l'art. 4, ma anche le successive modificazioni dello stesso articolo disposte dalle seguenti fonti:
Invece, non risulta incluso nel perimetro dell'illegittimità l'art. 3-bis, introdotto dall'art. 25 del D.L. 1/2012.
Nella sentenza la Corte costituzionale ha rilevato come il suddetto art. 23-bis, abrogato a seguito del referendum popolare, si caratterizzava per il fatto di dettare una normativa generale di settore, inerente a quasi tutti i servizi pubblici locali di rilevanza economica, fatta eccezione per quelli espressamente esclusi, volta a restringere, rispetto al livello minimo stabilito dalle regole concorrenziali comunitarie, le ipotesi di affidamento diretto e, in particolare, di gestione in house dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, consentite solo in casi eccezionali ed al ricorrere di specifiche condizioni, la cui puntuale regolamentazione veniva demandata ad un regolamento governativo (adottato con il decreto del Presidente della Repubblica 7 settembre 2010 n. 168). La Corte ha quindi ricordato come con la suddetta consultazione referendaria tale normativa veniva abrogata e si realizzava, pertanto, l'intento referendario di «escludere l'applicazione delle norme contenute nell'art. 23-bis che limitano, rispetto al diritto comunitario, le ipotesi di affidamento diretto e, in particolare, quelle di gestione in house di pressoché tutti i servizi pubblici locali di rilevanza economica (ivi compreso il servizio idrico)» (sentenza n. 24 del 2011) e di consentire, conseguentemente, l'applicazione diretta della normativa comunitaria conferente.
La Corte ha dunque sottolineato che a distanza di meno di un mese dalla pubblicazione del decreto dichiarativo dell'avvenuta abrogazione dell’art. 23-bis del D.L. n. 112 del 2008, si è intervenuti sulla materia con il richiamato art. 4, il quale ha dettato una nuova disciplina dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, che - ha ritenuto la Corte – "non solo è contraddistinta dalla medesima ratio di quella abrogata, in quanto opera una drastica riduzione delle ipotesi di affidamenti in house, al di là di quanto prescritto dalla normativa comunitaria, ma è anche letteralmente riproduttiva, in buona parte, di svariate disposizioni dell'abrogato art. 23-bis e di molte disposizioni del regolamento attuativo del medesimo art. 23-bis contenuto nel d.P.R. n. 168 del 2010".
La Corte ha rilevato come venisse resa ancor più remota l'ipotesi dell'affidamento diretto dei servizi, in quanto non solo limitava, in via generale, «l'attribuzione di diritti di esclusiva alle ipotesi in cui, in base ad una analisi di mercato, la libera iniziativa economica privata non risulti idonea a garantire un servizio rispondente ai bisogni della comunità» (comma 1), analogamente a quanto disposto dall'art. 23-bis (comma 3) del D.L. n. 112 del 2008, ma la ancorava anche al rispetto di una soglia commisurata al valore dei servizi stessi, il superamento della quale determinava automaticamente l'esclusione della possibilità di affidamenti diretti. Tale effetto – ha precisato la Corte - si verifica a prescindere da qualsivoglia valutazione dell'ente locale, oltre che della Regione, ed anche – in linea con l'abrogato art. 23-bis – in difformità rispetto a quanto previsto dalla normativa comunitaria, che consente, anche se non impone (sentenza n. 325 del 2010), la gestione diretta del servizio pubblico da parte dell'ente locale, allorquando l'applicazione delle regole di concorrenza ostacoli, in diritto o in fatto, la «speciale missione» dell'ente pubblico (art. 106 TFUE), alle sole condizioni del capitale totalmente pubblico della società affidataria, del cosiddetto controllo "analogo" (il controllo esercitato dall'aggiudicante sull'affidatario deve essere di "contenuto analogo" a quello esercitato dall'aggiudicante sui propri uffici) ed infine dello svolgimento della parte più importante dell'attività dell'affidatario in favore dell'aggiudicante.
In conclusione, ad avviso della Corte le poche novità introdotte dall'art. 4 rispetto all'abrogato art. 23-bis accentuavano la drastica riduzione delle ipotesi di affidamenti diretti dei servizi pubblici locali che la consultazione referendaria aveva inteso escludere. Al contempo, la Corte ha rilevato come, tenuto conto del fatto che l'intento abrogativo espresso con il referendum riguardava «pressoché tutti i servizi pubblici locali di rilevanza economica» (sentenza n. 24 del 2011) ai quali era rivolto l'art. 23-bis, non è possibile ritenere che l'esclusione del servizio idrico integrato dal novero dei servizi pubblici locali ai quali una simile disciplina si applica sia satisfattiva della volontà espressa attraverso la consultazione popolare, con la conseguenza che il suddetto art. 4 costituisce, sostanzialmente, la reintroduzione della disciplina abrogata con il referendum del 12 e 13 giugno 2011.
Articolo 11
(Promozione e sostegno degli utenti)
L’articolo 11 disciplina il caso in cui non risulti necessaria l’istituzione di un servizio pubblico ulteriore rispetto a quelli già previsti dalla legge per garantire le esigenze delle comunità locali come previsto dal comma 3 del precedente articolo 10 (cui si rinvia).
All’esito negativo della verifica di cui al comma 4 del medesimo articolo 10, si prevede che l’ente locale possa comunque promuovere iniziative per assicurare un adeguato soddisfacimento dei bisogni degli utenti, ferma restando la libertà di impresa degli operatori. Tali iniziative possono includere, nel rispetto dei principi di parità di trattamento e non discriminazione e della normativa europea sugli aiuti di Stato, il riconoscimento agli utenti di vantaggi economici, titoli o altre agevolazioni, ai fini della fruizione del servizio.
La disposizione in commento riguarda quindi misure agevolative per la fruizione di servizi non ricompresi nel perimetro dei servizi pubblici locali quali, si può desumere, forme di sostegno per la fruizione di attività sportive e culturali.
Con riferimento al richiamo alla normativa europea in materia di aiuti di Stato, si ricorda, in termini generali, che per aiuto di Stato si intende qualsiasi trasferimento di risorse pubbliche a favore di alcune imprese o produzioni che, attribuendo un vantaggio economico selettivo, falsa o minaccia di falsare la concorrenza. Tranne in alcuni casi, gli aiuti di Stato sono vietati dalla normativa europea e dal Trattato sul funzionamento dell'Unione Europea che disciplina la materia agli articoli 107 e 108. Gli aiuti sono ammessi quando (articolo 107/2 del Trattato):
· consentono di realizzare obiettivi di comune interesse (servizi di interesse economico generale, coesione sociale e regionale, occupazione, ricerca e sviluppo, sviluppo sostenibile, promozione della diversità culturale, ecc.);
· rappresentano il giusto strumento per correggere taluni "fallimenti del mercato".
Il compito di verificare se vi sia il giusto equilibrio tra gli effetti negativi sulla concorrenza e gli effetti positivi in termini di comune interesse è affidato alla Commissione europea (DG Concorrenza), che ha competenza esclusiva in materia di aiuti di Stato. Ogni progetto di norma che preveda la concessione di un nuovo beneficio deve essere tempestivamente notificato, insieme a tutte le informazioni necessarie, dallo Stato membro interessato alla Commissione UE che adotta in merito una decisione con la quale stabilisce se l'agevolazione in questione è compatibile con le regole del Trattato. La Commissione avvia il procedimento formale di esame se verifica che il provvedimento notificato (articolo 108 del Trattato), presenta dubbi sulla compatibilità col mercato comune.
Al termine del procedimento (Regolamento UE 1589/2015 che codifica il Regolamento UE n. 659/1999), la Commissione può adottare:
· una decisione "positiva" con la quale dichiara l'aiuto compatibile;
· una decisione "negativa" con la quale dichiara la misura incompatibile e, nel caso l'aiuto sia stato già erogato, ne ordina il recupero;
· una decisione "condizionale" con la quale dichiara la misura compatibile, ma assoggetta la sua attuazione a condizioni.
Articolo 12
(Obbligo di servizio pubblico)
L’articolo 12 prevede che gli enti locali, nel caso in cui si proceda all’istituzione di un servizio di interesse economico generale, verifichino la possibilità di assicurare tale servizio attraverso l’imposizione di obblighi di servizio a uno o più operatori, senza limitare il numero di soggetti abilitato a svolgere il servizio.
L’articolo specifica che l’istituzione di un servizio pubblico di interesse generale di livello locale aggiuntivo rispetto a quelli previsti dalla legge (ai sensi dell’articolo 10, comma 3) avviene perché tale istituzione è ritenuta necessaria all’esito della verifica prevista dall’articolo 10, comma 4, e cioè dopo un’apposita istruttoria, avviata anche su richiesta di cittadini e imprese, da cui risulti, dopo un confronto tra le varie soluzioni possibili, che la prestazione di servizi da parte delle imprese liberamente operanti sul mercato o da parte di cittadini, singoli e associati, non risulta idonea a soddisfare i bisogni
Della decisione dell’assolvimento dei servizi di interesse economico generale attraverso l’imposizione di obblighi di servizio deve essere dato adeguatamente conto nella deliberazione di istituzione del servizio medesimo prevista dall’articolo 10, comma 5.
Si rinvia, per questi aspetti, alla scheda relativa all’articolo 10.
La disposizione appare riconducibile, anche sulla base della relazione illustrativa, all’attuazione del principio di delega di cui alla già richiamata (anche per questo si rinvia alla scheda relativa all’articolo 10) lettera a) del comma 2 dell’articolo 8, principio relativo all’individuazione, delle attività di interesse generale il cui svolgimento è necessario al fine di assicurare la soddisfazione delle esigenze delle comunità locali.
Gli obblighi di servizio appaiono sostanziarsi nell’obbligo per gli operatori di prestare determinati servizi nell’ambito di un’attività quali, ad esempio, garanzia di determinati orari di apertura, o di fornitura del servizio a fasce di popolazione socialmente deboli o residenti in aree interne.
L’imposizione degli obblighi di servizio appare quindi come la modalità per garantire la fruizione del servizio pubblico di interesse generale di livello locale che non altera l’assetto di mercato nel settore interessato, a differenza di quanto avviene con il riconoscimento di diritti speciali o esclusivi di cui all’articolo 13 o con l’affidamento in esclusiva del servizio di cui agli articoli 14 e seguenti.
Articolo 13
(Diritti speciali o esclusivi)
L’articolo 13 consente l’attribuzione di diritti speciali o esclusivi solo in conformità con il diritto dell’Unione europea e se indispensabile, in assenza di misure alternative meno restrittive della libertà d’impresa, all’adempimento della funzione affidata al gestore del servizio pubblico locale di rilevanza economica.
Si ricorda che ai sensi dell’articolo 2, comma 1, lettere e) ed f), il diritto, concesso da un’autorità competente mediante una disposizione legislativa, regolamentare o amministrativa, compatibilmente con la disciplina dell’Unione europea, si definisce:
· diritto esclusivo quando produce l’effetto di riservare a un unico operatore economico l’esercizio di un’attività in un ambito determinato;
· diritto speciale quando produce l’effetto di riservare a due o più operatori economici l’esercizio di un’attività in un ambito determinato.
Per i principi del diritto dell’Unione europea in materia si rinvia a quanto esposto in premessa.
L’articolo 13 specifica anche che l’attribuzione di diritti speciali o esclusivi deve avvenire sulla base di un’adeguata analisi economica. L’ente locale deve dare conto di tale analisi e della sua valutazione nella deliberazione con la quale istituisce, ai sensi dell’articolo 10, comma 4, nuovi servizi economici di interesse generale (cfr. supra).
L’articolo appare volto a dare attuazione al principio di delega di cui alla lettera d) del comma 2 dell’articolo 8 della legge n. 118 del 2022, principio relativo alla “definizione dei criteri per l'istituzione di regimi speciali o esclusivi, anche in considerazione delle peculiari caratteristiche economiche, sociali, ambientali e geomorfologiche del contesto territoriale di riferimento di determinati servizi pubblici, in base ai principi di adeguatezza e proporzionalità e in conformità alla normativa dell'Unione europea; superamento dei regimi di esclusiva non conformi a tali principi e, comunque, non indispensabili per assicurare la qualità e l'efficienza del servizio”.
Al riguardo, si valuti l’opportunità di approfondire se la norma – nel subordinare a “un’adeguata analisi economica” l’attribuzione di diritti speciali o esclusivi – appaia idonea anche a soddisfare quanto previsto dal principio di delega in ordine alla necessità di considerare le “peculiari caratteristiche economiche, sociali, ambientali e geomorfologiche del contesto territoriale di riferimento”.
Articolo 14
(Modalità di gestione del servizio pubblico locale)
L’articolo 14 individua le diverse forme di gestione del servizio pubblico tra cui l’ente competente può scegliere, ove ritenga che le gestioni in concorrenza nel mercato non sono sufficienti e idonee e che il perseguimento dell’interesse pubblico debba essere assicurato affidando il servizio pubblico a un singolo operatore o a un numero limitato di operatori. Le modalità di gestione sono tipizzate in: affidamento a terzi, affidamento a società mista, affidamento a società in house, e limitatamente ai servizi diversi da quelli a rete, gestione in economia o attraverso aziende speciali. Inoltre, l’articolo 14 disciplina le modalità dell’istruttoria necessaria ai fini della scelta del tipo di gestione, nonché i contenuti della relazione di affidamento e dell’eventuale piano economico-finanziario.
L’articolo, insieme con le disposizioni di cui ai successivi articoli 15, 16, 17 e 19 risponde a quanto previsto dall’art. 8, comma 2, lettera f), della legge n. 118 del 2022 che, fra i principi e i criteri direttivi della delega, prevede la “razionalizzazione della disciplina concernente le modalità di affidamento e gestione dei servizi pubblici, nonché la durata dei relativi rapporti contrattuali, nel rispetto dei principi dell’ordinamento dell’Unione europea e dei principi di proporzionalità e ragionevolezza”.
In dettaglio, ai sensi del comma 1, l’ente locale o gli altri enti competenti, possono provvedere all’organizzazione del servizio mediante una delle seguenti quattro modalità di gestione, nel rispetto dei principi e dei limiti stabiliti dal diritto dell’Unione europea:
a) affidamento a terzi mediante procedura a evidenza pubblica;
b) affidamento a società mista;
c) affidamento a società in house:
Si ricorda che si tratta di una forma di gestione di pubblici servizi nata nella giurisprudenza comunitaria con la sentenza Teckal al fine di individuare i casi in cui una pubblica amministrazione affida un servizio pubblico nei confronti di una società equiparabile, dal punto di vista sostanziale, a una propria articolazione (in house). L’in house providing, dunque, è un affidamento effettuato senza alcuna gara.
d) limitatamente ai servizi diversi da quelli a rete, gestione in economia o mediante aziende speciali di cui all’articolo 114 del TU sull’ordinamento degli enti locali di cui al D.Lgs. n. 267 del 2000.
Per la disciplina delle prime tre forme di affidamento previste la disposizione rinvia, rispettivamente, ai successivi articoli 15, 16 e 17 dello schema in esame (si v. infra, le relative schede di lettura). Si tratta delle modalità già attualmente previste secondo la normativa dell'Unione europea relativa alle regole concorrenziali minime per le gare ad evidenza pubblica che affidano la gestione di servizi pubblici di rilevanza economica, che come anticipato nella premessa al dossier, rappresenta il riferimento generale per la disciplina applicabile nell'ordinamento italiano in materia di affidamento del servizio all’esito del succedersi dei diversi interventi normativi e giurisprudenziali interni (si v. supra).
Con una limitazione che appare innovativa rispetto alla normativa vigente, solo nel caso di servizi pubblici locali diversi da quelli a rete, è ammessa la scelta della gestione in economia, che consiste nella gestione diretta da parte dell’ente locale, o mediante aziende speciali. A tal fine, si richiama quanto stabilito in materia dal TUEL.
Per quanto riguarda le aziende speciali, sono ancora vigenti le disposizioni del decreto del Presidente della Repubblica n. 902 del 1986 ("Approvazione del nuovo regolamento delle aziende di servizi dipendenti dagli enti locali")[22], per quanto compatibili con le disposizioni successivamente introdotte dal Tuel.
In particolare l'art. 114 del Tuel definisce l'azienda speciale come "ente strumentale dell’ente locale dotato di personalità giuridica, di autonomia imprenditoriale e di proprio statuto, approvato dal consiglio comunale o provinciale", e impone alle aziende speciali gli obblighi di conformare la propria attività a criteri di efficacia, efficienza ed economicità e di mantenere l’equilibrio economico. La disposizione disciplina gli organi dell’azienda e gli atti che devono essere sottoposti all’approvazione dell’ente locale, rinviando, per quanto non disciplinato dalla legge, allo statuto e ai regolamenti dell’azienda.
Rileva, inoltre, l’art. 115 del Tuel che stabilisce le modalità di trasformazione dell’azienda speciale in società di capitali per atto unilaterale dell’ente locale.
Quanto alla evoluzione della normativa relativa alla possibilità di impiego delle aziende speciali nella gestione dei SPL, l'art. 113 del Tuel - oggetto di abrogazione da parte dell'art. 36 dello schema di decreto in esame - nel testo previgente le modifiche apportatevi con legge n. 448 del 2001 (legge finanziaria per il 2002), contemplava l'azienda speciale come forma di gestione dei servizi pubblici locali, specificando che ad essa si poteva ricorrere "anche per la gestione di più servizi di rilevanza economica ed imprenditoriale"[23].
L'art. 113-bis del Tuel – dichiarato illegittimo dalla Corte costituzionale con sent. n. 272 del 2004 - prevedeva, per la gestione dei servizi pubblici locali privi di rilevanza economica, la possibilità di affidamento diretto ad aziende speciali, anche consortili (in alternativa all'affidamento diretto a società in house o a istituzioni). Per tali servizi era, inoltre, consentita la gestione in economia (gestione diretta da parte dell'ente locale) quando, per le modeste dimensioni o per le caratteristiche del servizio, non fosse opportuno procedere ad affidamento ai richiamati soggetti (istituzioni, aziende speciali, società in house).
L'art. 35 della legge n. 448 del 2001 ha sostituito il richiamato art. 113, disponendo contestualmente (comma 8) che gli enti locali, entro il 30 giugno 2003, procedessero alla trasformazione delle aziende speciali in società di capitali, secondo la disciplina di cui all'art. 115 del Tuel ("Trasformazione delle aziende speciali in società per azioni").
La Corte dei conti ha avuto modo di rilevare che le disposizioni normative sulla trasformazione delle aziende speciali in società di capitali sono da inquadrarsi in un contesto normativo teso a garantire la piena espansione del mercato e a limitare ogni vulnus alla concorrenza (deliberazione n. 15 del 2014). Nella richiamata deliberazione la Corte dei conti-Sezione delle autonomie prende atto, tuttavia, di un mutamento del contesto normativo: "L’attuale situazione è, invece, caratterizzata dalla preoccupazione di arginare il fenomeno delle società partecipate, i cui risultati economici sono stati modesti se non fortemente negativi per gli enti soci, come pure è sentita l’esigenza di contrastare fenomeni elusivi, nel caso in cui l’uso improprio dello strumento societario si concretizzi nella violazione dei vincoli di finanza pubblica. L’evoluzione del quadro normativo è nel senso del superamento di una disciplina parcellizzata dei diversi modelli di gestione dei servizi pubblici locali, in favore di una regolazione che tende a omologare la disciplina degli organismi partecipati, ormai tutti interessati da disposizioni di razionalizzazione volte al contenimento della spesa, quale che sia il modello organizzatorio adottato".
In tale mutato contesto è da leggersi la novella apportata all'art. 114 del Tuel dall'art. 25 del decreto-legge n. 1 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 27 del 2012, il quale, con l'inserimento del comma 5-bis, ha imposto alle aziende speciali e alle istituzioni l'obbligo annuale di iscrizione e di deposito dei propri bilanci al registro delle imprese o nel repertorio delle notizie economico-amministrative della Camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura del proprio territorio.
L'art. 1, comma 557, della legge n. 147 del 2013 (legge di stabilità per il 2014) ha consolidato l'omogeneità di trattamento tra aziende speciali, istituzioni e società partecipate, disponendo la comune applicazione del regime limitativo delle assunzioni di personale, ferma restando la possibilità, per gli enti locali, di escludere da tali vincoli singole aziende speciali e istituzioni che gestiscono servizi socio-assistenziali ed educativi, scolastici e per l'infanzia, culturali e alla persona (ex IPAB) e le farmacie.
In tale contesto normativo sono da inquadrarsi, inoltre, le pronunce di alcune sezioni regionali di controllo della Corte dei conti, le quali hanno consentito la trasformazione di società di capitali gestrici di servizi pubblici di rilevanza economica in aziende speciali. In tal senso si è pronunciata anche la Sezione delle autonomie, con deliberazione n. 2 del 2014, con la quale viene demandata all'autonoma valutazione dell'ente locale l'opportunità di procedere alla liquidazione di una società partecipata e alla successiva costituzione di un'azienda speciale ai fini della gestione di un servizio pubblico di rilevanza economica (nella specie il servizio idrico), ritenendosi superato il divieto di gestione dei servizi pubblici locali tramite azienda speciale, sancito - con disposizione peraltro di natura transitoria - dall'art. 35, comma 8, della legge finanziaria per il 2002.
In tale evoluzione del quadro normativo, si inserisce la disposizione in esame, che esclude per i servizi a rete la possibilità di gestione diretta o tramite azienda speciale, ammettendola solo per i servizi non a rete.
Ai sensi del comma 2 dell’articolo in esame, l’ente locale e gli altri enti competenti devono tener conto di numerosi elementi ai fini della scelta della modalità di gestione, su cui fondare una adeguata motivazione. Segnatamente dovranno essere presi in considerazione:
§ le caratteristiche tecniche ed economiche del servizio da prestare, inclusi i profili relativi alla qualità del servizio e agli investimenti infrastrutturali;
§ la situazione delle finanze pubbliche, dei costi per l’ente locale e per gli utenti;
§ i risultati prevedibilmente attesi in relazione alle diverse alternative, anche con riferimento ad esperienze paragonabili;
§ i risultati della eventuale gestione precedente del medesimo servizio sotto il profilo degli effetti sulla finanza pubblica, della qualità del servizio offerto, dei costi per l’ente locale e per gli utenti e degli investimenti effettuati;
§ i dati e le informazioni che emergono dalle verifiche periodiche sulla situazione gestionale sui SPL di rilevanza economica a cui gli enti locali sono tenuti ai sensi dell’articolo 30 dello schema in esame.
Prima dell’avvio della procedura di affidamento del servizio, l’ente locale o gli altri enti competenti sono tenuti a dare conto delle verifiche compiute in sede di istruttoria in un’apposita relazione nella quale sono evidenziate altresì le ragioni e la sussistenza dei requisiti previsti dal diritto dell’Unione europea per la forma di affidamento prescelta. La relazione di affidamento dovrà altresì indicare e motivare gli obblighi di servizio pubblico, ove previsti, e le eventuali compensazioni economiche, inclusi i relativi criteri di calcolo, anche al fine di evitare sovracompensazioni (comma 3).
Viene in tal modo superata con disposizioni più stringenti e dettagliate la vigente normativa sulla scelta delle modalità di affidamento per i servizi locali di rilevanza economica (art. 34, co. 20 ss., del D.L. n. 179 del 2012, convertito da L. n. 221/2012 e art. 3-bis, co. 1-bis, quarto, quinto e sesto periodo, D.L. n. 138 del 2011), attualmente rimessa all'ente di governo dell'ambito o bacino territoriale sulla base di una relazione che deve dare conto "delle ragioni e della sussistenza dei requisiti previsti dall'ordinamento europeo per la forma di affidamento prescelta e che definisce i contenuti specifici degli obblighi di servizio pubblico e servizio universale, indicando le compensazioni economiche (se previste)".
Le citate disposizioni sono conseguentemente abrogate ai sensi dell’articolo 36, co. 1, lett. f) e h), dello schema di decreto in esame.
In particolare, la disposizione da ultimo citata prevede l’abrogazione dell’articolo 34:
- comma 20, che prevede la relazione di affidamento con l’obiettivo di garantire: il rispetto della disciplina europea; la parità tra gli operatori; l'economicità della gestione; l'adeguata informazione della collettività di riferimento;
- commi 21 e 22, che prevedono una disciplina transitoria per gli affidamenti in essere alla data di entrata in vigore del D.L. n. 179/2012 (18 ottobre 2012), non conformi ai requisiti previsti dalla normativa europea, nonché disposizioni particolari per gli "affidamenti diretti" (cioè senza gara) in essere alla data di entrata in vigore decreto;
- comma 25, che esclude dall’applicazione delle disposizioni sulla relazione di affidamento i servizi di distribuzione di gas naturale e di distribuzione di energia elettrica, nonché quelli di gestione delle farmacie comunali.
Si ricorda, inoltre, che ai sensi dell’articolo 3-bis, comma 1-bis, quarto periodo, del decreto-legge n 138/2011, introdotto dall’art 34, co. 23, D.L. n. 179/2012, nella menzionata relazione di affidamento per i servizi a rete di rilevanza economica, gli enti di governo sono tenuti a motivare le ragioni della forma di affidamento prescelta con riferimento agli obiettivi di universalità e socialità, di efficienza, di economicità e di qualità del servizio. Anche di tale disposizione è prevista l’abrogazione ai sensi dell’articolo 36, co. 1, lett. f), dello schema di decreto in esame.
Per quanto riguarda le modalità di pubblicazione della relazione si rinvia alle disposizioni in tema di trasparenza di cui all’articolo 31 dello schema in esame.
Al fine di assicurare la realizzazione degli interventi infrastrutturali necessari da parte del soggetto affidatario, il comma 4 dell’articolo in esame, solo per i servizi a rete, affida agli enti di governo dell’ambito il compito di redigere un piano economico-finanziario, da allegare alla relazione di affidamento, che, fatte salve le disposizioni di settore, contiene anche la proiezione, per il periodo di durata dell'affidamento, dei costi e dei ricavi, degli investimenti e dei relativi finanziamenti. Il piano deve essere asseverato da un istituto di credito o da una società di servizi iscritta all’albo degli intermediari finanziari o da una società di revisione.
In tale disposizione confluiscono le previsioni del già richiamato art. 3-bis, comma 1-bis, quinto e sesto periodo, del decreto-legge n. 138 del 2011, oggetto di abrogazione da parte dell'art. 36, co. 1, lett. f) dello schema in esame.
Nella nuova formulazione della disposizione si aggiunge unicamente che l’asseverazione del piano economico-finanziario può essere svolta anche da revisori legali ai sensi del D.Lgs. 27 gennaio 2010, n. 39.
Da ultimo, il comma 5 vieta ogni forma di differenziazione nel trattamento dei gestori di pubblico servizio in ordine al regime tributario, riproducendo in parte il contenuto del vigente comma 10 dell’articolo 113 del TUEL, oggetto di abrogazione da parte dell’articolo 36, co. 1, lett. b), dello schema di decreto in esame.
Articolo 15
(Affidamento mediante procedura ad evidenza pubblica)
L’articolo 15 prevede in primo luogo l’affidamento a terzi mediante procedura a evidenza pubblica nel rispetto del diritto dell'Unione europea.
In relazione a tali procedure, la disposizione da un lato si limita a richiamare l’applicazione della disciplina in materia di contratti pubblici, che come noto sono i contratti di appalto o di concessione aventi per oggetto l’acquisizione di servizi o di forniture, ovvero l’esecuzione di opere o lavori, posti in essere dalle stazioni appaltanti (cfr. art. 3, co. 1, lett. dd), Codice dei contratti pubblici di cui al D.Lgs. n. 50/2016, come modificato D.Lgs. n. 56/2017).
Dall’altro, stabilisce, con una disposizione di carattere innovativo, che, quando possibile in relazione alle caratteristiche del servizio da erogare, sia favorito il ricorso a concessioni di servizi rispetto al modello dell’appalto di servizi, in modo da assicurare l’effettivo trasferimento del rischio operativo in capo all’operatore.
Il rapporto di concessione di pubblico servizio si distingue dall’appalto di servizi per l’assunzione da parte del concessionario del c.d. “rischio operativo” (Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 2426/2021): “mentre l’appalto ha struttura bifasica tra appaltante ed appaltatore ed il compenso di quest’ultimo grava interamente sul primo, nella concessione, connotata da una dimensione triadica, il concessionario ha rapporti negoziali diretti con l’utenza finale, dalla cui richiesta di servizi trae la propria remunerazione”.
In sostanza, l’appalto di servizi comporta un corrispettivo che, senza essere l’unico, è versato direttamente dall’amministrazione aggiudicatrice al prestatore di servizi, mentre nella concessione di servizi il corrispettivo della prestazione di servizi consiste nel diritto di gestire il servizio, o da solo o accompagnato da un prezzo, e la concessionaria non è direttamente retribuita dalla amministrazione aggiudicatrice ma ha il diritto di riscuotere la remunerazione presso terzi.
Nel codice dei contratti pubblici (D.Lgs. n. 50/2016), alla lettera vv) dell’ art. 3 si definisce “concessione di servizi” il “contratto a titolo oneroso stipulato per iscritto in virtù del quale uno o più stazioni appaltanti affidano a uno o più operatori economici la fornitura e la gestione di servizi diversi dall’esecuzione di lavori di cui alla lettera II) riconoscendo a titolo di corrispettivo unicamente il diritto di gestire i servizi oggetto del contratto o tale diritto accompagnato da un prezzo, con assunzione in capo al concessionario del rischio operativo legato alla gestione dei servizi”.
Nella concessione di servizi è centrale, quindi, l’elemento del “rischio operativo” che sussiste qualora l’aggiudicatario rinvenga il proprio profitto direttamente nei pagamenti ai quali sono tenuti gli utenti dei servizi.
In tal senso l’art. 3, con la lett. zz), specifica che per “rischio operativo” si intende “Il rischio legato alla gestione dei lavori o dei servizi sul lato della domanda o sul lato dell’offerta o di entrambi, trasferito all’operatore economico. Si considera che l’operatore economico assuma il rischio operativo nel caso in cui, in condizioni operative normali, per tali intendendosi l’insussistenza di eventi non prevedibili non sia garantito il recupero degli investimenti effettuati o dei costi sostenuti per la gestione dei lavori o dei servizi oggetto della concessione. La parte del rischio trasferita all’operatore economico deve comportare una reale esposizione alle fluttuazioni del mercato tale per cui ogni potenziale perdita stimata subita dall’operatore economico non sia puramente nominale o trascurabile”.
Articolo 16
(Affidamento a società mista)
L’articolo 16 disciplina l’ipotesi di affidamento del servizio a società a partecipazione mista pubblico privata, richiamando in proposito l’applicazione delle disposizioni del Testo unico delle società a partecipazione pubblica (D.Lgs. n. 175/2016).
In particolare, la disposizione rinvia alla procedura stabilita dall’articolo 17 del richiamato testo unico per la scelta del socio privato (comma 1).
Si ricorda, infatti, che, in base al TU, le società a partecipazione mista pubblico-privata, sono costituite per realizzazione e gestione di un’opera pubblica ovvero per l’organizzazione e gestione di un servizio d’interesse generale, attraverso un contratto di partenariato con un imprenditore che sia stato selezionato con le modalità previste dai commi 1 e 2 dell'articolo 17 del TU.
In base alla disciplina richiamata, nella società mista pubblico privata la quota di partecipazione del soggetto privato non può essere inferiore al 30 per cento. Inoltre, la procedura di selezione pubblica del medesimo deve svolgersi nel rispetto delle procedure di evidenza pubblica a norma del codice dei contratti pubblici e avere quale oggetto, al contempo, la sottoscrizione o l’acquisto della partecipazione societaria da parte del socio privato e l’affidamento del contratto di appalto o di concessione oggetto esclusivo dell’attività della società mista (cd. "gara a doppio oggetto") (comma 1);
In base al comma 2, il socio privato deve possedere i requisiti di qualificazione previsti da norme legali o regolamentari in relazione alla prestazione per cui la società è stata costituita, nonché i necessari requisiti di qualificazione generali e speciali di carattere tecnico ed economico-finanziario, da specificare nel bando di gara unitamente al criterio di aggiudicazione. I
Il bando di gara oltre all’oggetto dell'affidamento e ai richiamati requisiti di qualificazione dei concorrenti, deve contenere criteri di aggiudicazione idonei a garantire una valutazione delle offerte in condizioni di concorrenza effettiva e un esito della procedura che realizzi un vantaggio economico complessivo per l'amministrazione pubblica che ha indetto la procedura. I criteri di aggiudicazione possono contemplare anche aspetti qualitativi ambientali e sociali collegati all'oggetto dell'affidamento o relativi all'innovazione
Con disposizioni di carattere innovativo rispetto al vigente quadro normativo, il comma 2 disciplina l’ipotesi della cessione della partecipazione pubblica, stabilendo che:
§ l’ente locale può cedere in tutto o in parte la propria partecipazione nelle società miste mediante procedure a evidenza pubblica (e non solo, come previsto a legislazione vigente, “nel rispetto dei principi di pubblicità, trasparenza e non discriminazione” cfr. infra);
§ in caso di cessione della partecipazione pubblica, non vi sono effetti diretti sulla durata delle concessioni e degli affidamenti in essere.
La disposizione si affianca a quanto previsto in materia di alienazione delle quote societarie pubbliche dall’articolo 10 e dall’articolo 17, co. 3, del più volte citato D.Lgs. 175/2016.
L’articolo 10 del T.U. disciplina in modo analitico la procedura di alienazione di partecipazioni sociali, stabilendo che gli atti deliberativi aventi ad oggetto l'alienazione o la costituzione di vincoli su partecipazioni sociali delle amministrazioni pubbliche sono adottati con le stesse modalità degli atti costitutivi di società.
Per quanto poi attiene le modalità di svolgimento delle operazioni di alienazione, il comma 2 dello stesso art. 10 disciplina due ipotesi, una di carattere ordinario e l’altra di carattere eccezionale. Si specifica infatti che in linea generale l’alienazione delle partecipazioni deve essere effettuata nel rispetto dei princìpi di pubblicità, trasparenza e non discriminazione: in casi eccezionali, a seguito di deliberazione motivata dell’organo competente, che dia analiticamente atto della convenienza economica dell’operazione, con particolare riferimento alla congruità del prezzo di vendita, si prevede che l’alienazione possa essere effettuata mediante negoziazione diretta con un singolo acquirente.
Inoltre, si fa salvo il diritto di prelazione dei soci, sempre che sia predefinito e conosciuto, secondo una specifica regolazione legislativa o statutaria.
Da ultimo, sempre in tema di regolazione introdotta dal T.U. in materia di cessione delle partecipazioni, si richiama quanto disposto dall’articolo 17, comma 3 del DLgs. 175/2016, dove si dispone che la durata della partecipazione privata alla società non può essere superiore alla durata dell’appalto o della concessione: lo statuto deve quindi prevedere meccanismi idonei a determinare lo scioglimento del rapporto societario in caso di risoluzione del contratto di servizio.
Articolo 17
(Affidamento a società in house)
L’articolo 17 disciplina gli affidamenti dei servizi locali di interesse economico generale a società in house.
In primo luogo la norma fa rinvio ai limiti e alle modalità già previsti e stabiliti in materia di contratti pubblici e di cui al Testo unico in materia di società partecipate (comma 1).
In proposito è utile ricordare che con il Codice dei contratti pubblici (D.Lgs. n. 50/2016), così come modificato dal decreto correttivo (D.Lgs. n. 56/2017), sono state recepite le disposizioni in materia di affidamenti in house contenute nelle direttive europee in materia di concessioni e appalti dei settori ordinari e speciali (acqua, energia, trasporti e servizi postali)[24].
Già prima della codificazione normativa europea, la giurisprudenza europea e quella nazionale avevano avuto modo di elaborare indici identificativi da utilizzare per verificare la legittimità del ricorso all'in house providing: la totale partecipazione pubblica; il controllo analogo, anche congiunto nel caso di affidamento in house in favore di società partecipata da più enti pubblici; la prevalenza dell'attività con l'ente affidante. La formulazione della disciplina dell'in house recata dalle citate direttive ha recepito la giurisprudenza della Corte di Giustizia sui requisiti dell’in house, introducendo, tuttavia, alcune innovazioni, che sono state diffusamente illustrate, tra gli altri, nel parere del Consiglio di Stato n. 298/2015.
L'art. 192 del Codice disciplina il regime speciale degli affidamenti in house, prevedendo l'istituzione presso l'ANAC (Autorità nazionale anticorruzione) dell'elenco delle amministrazioni aggiudicatrici e degli enti aggiudicatori che operano mediante affidamenti diretti nei confronti di proprie società in house.
In coerenza con le norme del Codice dei contratti pubblici, l’articolo 16 del Testo unico in materia di società partecipate disciplina le società in house stabilendo che queste ricevono affidamenti diretti di contratti pubblici dalle amministrazioni aggiudicatrici che esercitano su di esse il controllo analogo o da ciascuna delle amministrazioni che esercitano su di esse il controllo analogo congiunto. La medesima disposizione conferisce agli statuti delle società in house la facoltà di derogare ad alcune disposizioni del codice civile nonché dispone che gli statuti debbano prevedere che oltre l’80 per cento del fatturato di tali società sia effettuato nello svolgimento dei compiti a esse affidati dall’ente pubblico o dagli enti pubblici soci.
Il comma 2 prevede che la scelta del modello in house sia assunta nel rispetto di un preciso obbligo motivazionale qualora si tratti di affidamenti in house di importo superiore alle soglie di rilevanza europea in materia di contratti pubblici (di cui all’articolo 35[25] del Codice dei contratti pubblici).
In tali casi, infatti, fatto salvo il divieto di artificioso frazionamento delle prestazioni, la deliberazione di affidamento del servizio deve spiegare le ragioni del mancato ricorso al mercato ai fini di un’efficiente gestione del servizio, illustrando i benefici per la collettività della forma di gestione prescelta con riguardo agli investimenti, alla qualità del servizio, ai costi dei servizi per gli utenti, all’impatto sulla finanza pubblica, nonché agli obiettivi di universalità, socialità, tutela dell’ambiente e accessibilità dei servizi, anche in relazione ai risultati conseguiti in eventuali pregresse gestioni in house.
A tal fine ci si può avvalere degli atti e degli indicatori (costi dei servizi, schemi-tipo, indicatori e livelli minimi di qualità dei servizi) predisposti dalle competenti autorità di regolazione di settore ai sensi degli articoli 7, 8 e 9 dello schema in esame, nonché tenendo conto dei dati e delle informazioni risultanti dalle verifiche periodiche a cura degli enti locali sulla situazione gestionale, previste dall’articolo 30.
La previsione del comma 2 intende dare attuazione al principio di delega di cui all’articolo 8, comma 2, lett. g), della L. 118/2022, che prevede per gli affidamenti c.d. sopra soglia una motivazione qualificata da parte dell’ente locale, per la scelta o la conferma del modello dell’autoproduzione, ai fini di una efficiente gestione del servizio con riguardo ai parametri che vengono riscritti nel comma 2 dell’articolo in esame. Rispetto al criterio enunciato, lo schema di decreto delegato (al comma 2) estrinseca la motivazione qualificata anche nella necessaria indicazione delle “ragioni del mancato ricorso al mercato” e dei “benefici per la collettività” della scelta dell’autoproduzione.
Si tratta di una formulazione in larga parte analoga a quella contenuta nell’articolo 192 del Codice dei contratti pubblici che già attualmente impone un onere rafforzato per legittimare il ricorso all'in house providing.
In particolare, all'articolo 192, comma 2, D.Lgs. 50/2016 si dispone che ai fini dell'affidamento in house di un contratto avente ad oggetto servizi disponibili sul mercato in regime di concorrenza, le stazioni appaltanti effettuano preventivamente la valutazione sulla congruità economica dell'offerta dei soggetti in house, avuto riguardo all'oggetto e al valore della prestazione, dando conto nella motivazione del provvedimento di affidamento delle ragioni del mancato ricorso al mercato, nonché dei benefici per la collettività della forma di gestione prescelta, anche con riferimento agli obiettivi di universalità e socialità, di efficienza, di economicità e di qualità del servizio, nonché di ottimale impiego delle risorse pubbliche.
In proposito, la Corte costituzionale, nella sentenza 100 del 2020, nel dichiarare l'infondatezza di una questione di legittimità promossa nei confronti di tale disposizione, segnala che il maggior rigore contenuto nell'art. 192 per gli affidamenti in house non si pone in contrasto con la disciplina europea che, essendo diretta a favorire l'assetto concorrenziale del mercato, costituisce solo un minimo inderogabile da parte degli Stati membri. Nella stessa direzione il Consiglio di Stato (si cfr. sent. 2102 del 12 marzo 2021) sottolinea come la motivazione rafforzata richiesta per l'autoproduzione "risponde agli interessi costituzionalmente tutelati della trasparenza amministrativa e della tutela della concorrenza".
Considerato che le formulazioni del comma 2 dell’articolo in esame e del comma 2 dell’articolo 192 del Codice dei contratti pubblici non sono del tutto sovrapponibili, sembrerebbe che le prime siano applicabili nel caso di affidamenti in house sopra soglia, mentre per i contratti sottosoglia continuerebbero a trovare applicazione le disposizioni del Codice dei contratti. In tal senso si esprime anche la relazione illustrativa dello schema in esame.
Il comma 3 dispone che il contratto di servizio può essere stipulato decorsi sessanta giorni dall’avvenuta pubblicazione della deliberazione di affidamento alla società in house sul sito dell’Osservatorio per i servizi pubblici locali, prevista in via generale per tutti gli affidamenti dall’articolo 31, comma 2, dello schema in esame (alla cui scheda di lettura, si fa rinvio).
La disposizione precisa che tale norma - che stabilisce un meccanismo definito nel linguaggio contrattualistico di c.d. stand still - trova applicazione per tutte le ipotesi di affidamento senza gara di importo superiore alle soglie di rilevanza europea, anche nei settori della distribuzione dell’energia elettrica e del gas (esclusi dall’applicazione del decreto ai sensi dell’articolo 4, co. 2) e nei casi in materia di trasporto pubblico locale di cui all’articolo 32, co. 2 e 4.
Al pari di quanto stabilito in via generale per la delibera di affidamento dei servizi pubblici locali a rete dall’articolo 14, comma 4, anche il comma 4 dell’articolo in esame stabilisce l’obbligo di allegare al provvedimento di affidamento in house di un piano economico-finanziario.
A differenza di quanto già esaminato, per gli affidamenti in house il piano è redatto su base triennale, oltre che per l’intero periodo di affidamento. Esso deve inoltre contenere la specificazione dell’assetto economico-patrimoniale della società, del capitale proprio investito e dell’ammontare dell’indebitamento, da aggiornare ogni triennio.
Da ultimo, in ossequio al criterio di delega di cui all’articolo 8, co. 1, lett. i), della L. 118/2022, si prevede l’obbligo per gli enti locali di procedere all’analisi periodica e all’eventuale razionalizzazione delle partecipazioni pubbliche previste in via generale dall’articolo 20 del decreto legislativo n. 175 del 2016, dando conto, in sede di definizione dell'analisi annuale dell'assetto complessivo delle società in cui detengono partecipazioni nel provvedimento di cui al comma 1 del medesimo articolo 20, delle ragioni che, sul piano economico e della qualità dei servizi, giustificano il mantenimento dell’affidamento del servizio a società in house, anche in relazione ai risultati conseguiti nella gestione (comma 5).
Al riguardo, si ricorda che il citato testo unico in materia di società a partecipazione pubblica prevede, all'articolo 20, disposizioni in materia di razionalizzazione periodica delle partecipazioni pubbliche. Nello specifico, le amministrazioni pubbliche sono chiamate ad effettuare, con cadenza annuale, un'analisi dell'assetto complessivo delle società in cui detengono partecipazioni, dirette o indirette, predisponendo, ove ricorrano i presupposti di legge (v. art. 20, comma 2), un piano di riassetto per la loro razionalizzazione, fusione o soppressione, anche mediante messa in liquidazione o cessione. Ai sensi del comma 2 si specifica che i piani di razionalizzazione (da corredare con relazione tecnica che indichi modalità e tempi di attuazione dei medesimi piani) sono adottati qualora si ricada in una delle seguenti condizioni:
a) partecipazioni societarie che non rientrino negli ambiti di attività che ai sensi (dell'articolo 4) del testo unico in materia di società a partecipazione giustifichino la costituzione di società pubbliche, nonché l'acquisto o il mantenimento di partecipazioni societarie[26];
b) società che risultino prive di dipendenti o abbiano un numero di amministratori superiore a quello dei dipendenti;
c) partecipazioni in società che svolgono attività analoghe o similari a quelle svolte da altre società partecipate o da enti pubblici strumentali;
d) partecipazioni in società che, nel triennio precedente, abbiano conseguito un fatturato medio non superiore a un milione di euro;
e) partecipazioni in società diverse da quelle costituite per la gestione di un servizio d'interesse generale che abbiano prodotto un risultato negativo per quattro dei cinque esercizi precedenti;
f) necessità di contenimento dei costi di funzionamento;
g) necessità di aggregazione di società aventi ad oggetto le attività consentite (ai sensi del citato articolo 4 del testo unico).
Articolo 18
(Rapporti di partenariato con gli enti del Terzo settore)
L’articolo 18, in attuazione dei principi di solidarietà e di sussidiarietà orizzontale, prevede che gli enti locali possano attivare con enti del Terzo settore rapporti di partenariato per la realizzazione di specifici progetti di servizio o di intervento funzionalmente riconducibili al servizio pubblico locale (non a rete) di rilevanza economica.
La norma in commento estende pertanto anche al servizio pubblico locale di rilevanza economica l’utilizzo della co-progettazione, della co-programmazione e dunque del partenariato come modalità consueta di attivazione di rapporti collaborativi fra P.A. ed ETS.
L’articolo risponde a quanto previsto dall’art. 8, comma 2, lettera o), della legge n. 118 del 2022[27] che, fra i principi e i criteri direttivi della delega, prevede la “razionalizzazione del rapporto tra la disciplina dei servizi pubblici locali e la disciplina per l'affidamento dei rapporti negoziali di partenariato regolati dal D. Lgs. 117 del 2017 (Codice del Terzo settore, d’ora in poi CTS), e agli indirizzi della giurisprudenza costituzionale (segnatamente Sentenza della Corte costituzionale n. 131 del 2020, si veda infra)”.
La disciplina relativa all’affidamento dei servizi sociali è un tema complesso e articolato che rinvia al rapporto fra ordinamenti (europeo ed interno), al riparto della competenza legislativa fra Stato e Regioni e al sistema integrato degli interventi e dei servizi sociali come disegnato dalla legge quadro n. 328 del 2000[28] nonché al ruolo rilevante svolto dagli enti del Terzo settore (d’ora in poi ETS) in questo ambito. In particolare, il Titolo VII (artt. 55, 56 e 57) del CTS individua una serie di istituti specifici che valorizzano i rapporti collaborativi sulle “attività di interesse generale” (di cui all’art. 5 del CTS) fra la Pubblica amministrazione ed il Terzo settore. In particola l’art. 55 prevede rapporti di partenariato fra enti della pubblica amministrazione, nell'esercizio delle proprie funzioni di programmazione e organizzazione a livello territoriale degli interventi e dei servizi nei settori di attività di interesse generale (di cui all’art. 5 del CTS) e gli ETS attraverso forme di co-programmazione e co-progettazione (con possibilità di accreditamento). Il successivo art. 56 prevede convenzioni fra pubblica amministrazione ed Organizzazioni di volontariato (ODV) e Associazioni di promozione sociale (APS) finalizzate allo svolgimento in favore di terzi di attività o servizi sociali di interesse generale, se più favorevoli rispetto al ricorso al mercato. Infine, l’art. 57 dispone che i servizi di trasporto sanitario di emergenza e urgenza possano essere, in via prioritaria, oggetto di affidamento in convenzione alle Organizzazioni di volontariato.
Pertanto, le modalità di erogazione dei servizi riconducibili alle attività di interesse generale definite ai sensi dell’art. 5 del CTS, sono riconducibili a diverse tipologie di affidamento, disciplinate da un lato dal D. Lgs. n. 50 del 2016 (Codice degli appalti, d’ora in poi CCP) e dall’altro dal del Codice del Terzo settore.
Sul tema sono intervenuti negli ultimi anni:
- la già ricordata Sentenza della Corte costituzionale n. 131 del 2020 pubblicata sulla G.U. n. 27 del 1° luglio 2020 che sottolinea come l’art. 55 del CTS realizzi per la prima volta in termini generali una vera e propria procedimentalizzazione dell’azione sussidiaria, realizzando “una delle più significative attuazioni del principio di sussidiarietà orizzontale valorizzato dall’art. 118, quarto comma, Cost.”. La Corte ritiene che in tal modo si instauri, tra i soggetti pubblici e gli ETS, un canale di amministrazione condivisa, alternativo a quello del profitto e del mercato: la ‘co-programmazione’, la ‘co-progettazione’ e il ‘partenariato’ (che può condurre anche a forme di ‘accreditamento’) si configurano come fasi di un procedimento complesso, espressione di un diverso rapporto tra il pubblico ed il privato sociale, non fondato semplicemente su un rapporto sinallagmatico (contratto a prestazioni corrispettive). Il modello configurato dall’art. 55 CTS, infatti, non si basa sulla corresponsione di prezzi e corrispettivi dalla parte pubblica a quella privata, ma sulla convergenza di obiettivi e sull’aggregazione di risorse pubbliche e private per la programmazione e la progettazione, in comune, di servizi e interventi diretti a elevare i livelli di cittadinanza attiva, di coesione e protezione sociale, secondo una sfera relazionale che si colloca al di là del mero scambio utilitaristico”. La Corte inoltre evidenzia che “lo stesso diritto dell’unione … mantiene, a ben vedere, in capo agli stati membri la possibilità di apprestare, in relazione ad attività a spiccata valenza sociale, un modello organizzativo ispirato non al principio di concorrenza ma a quello di solidarietà”;
- il decreto-legge n. 76 del 2020 (c.d. Decreto semplificazioni) che ha introdotto modifiche al CPP finalizzate a coordinare l’applicazione di quest’ultimo con il CTS. Per effetto di tali modifiche sono assoggettati alle disposizioni del CCP, indicate all’art. 142, i servizi sociali rientranti nell’allegato IX, se non organizzati ai sensi degli artt. 55 e 56 del Codice del terzo settore o mediante forme di autorizzazione o accreditamento previste dalle disposizioni regionali in materia. Il legislatore ha infatti specificato che, in applicazione del c.d. principio di specialità, "restano ferme" le forme di coinvolgimento degli enti del Terzo settore, previste dal Titolo VII del CTS (coprogrammazione, coprogettazione, accreditamento, convenzioni);
- le Linee guida sul rapporto tra pubbliche amministrazioni ed enti del terzo settore negli articoli 55-57 del CTS, recate dal decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali n. 72 del 31 marzo 2021, che chiarisce in premessa che “Occorre affrontare, a questo punto, un primo elemento rilevante ai fini dell’applicazione della disciplina contenuta nel CTS, ovverosia il tratto distintivo fra l’attivazione di un rapporto collaborativo, ai sensi del richiamato CTS, e l’affidamento di un contratto pubblico, per l’esecuzione di servizio in appalto, su disposizione di un ente pubblico, come tale regolato dal CCP. Si tratta di un’operazione necessaria sotto due profili. Il primo attiene alla discrezionalità delle PP.AA., nel senso che, laddove siano utilizzabili entrambe le modalità per lo svolgimento di un servizio o la realizzazione di un’attività, la concreta scelta potrebbe essere la conseguenza di un’opzione politica propria della P.A., tesa a valorizzare il principio della tutela della concorrenza degli operatori economici all’interno di un mercato pubblico regolato o, in alternativa, il principio di sussidiarietà orizzontale, unitamente ai principi dell’evidenza pubblica, propria dei procedimenti amministrativi”;
- le Linee guida n. 17 recanti “Indicazioni in materia di affidamenti di servizi sociali” del 27 luglio 2022 dell’Autorità nazionale Anticorruzione (ANAC), con valore non vincolante, elaborate in applicazione dell'art. 213, comma 2, del CCP, con la finalità di promuovere l'efficienza e la qualità dell'attività delle stazioni appaltanti. Le Linee intervengono in seguito all’approvazione della legge n. 120 del 2020 che innova le disposizioni del CCP sugli affidamenti di servizi sociali realizzando quel coordinamento tra i due sistemi normativi (CTS e CCP) fino ad allora mancante. Come espressamente rilevato dalla delibera ANAC “L'effetto che ne consegue è una riduzione dell'ambito di applicazione del CCP alle sole fattispecie ivi espressamente previste e ai soli casi in cui le stazioni appaltanti non ritengano di organizzare detti servizi ricorrendo a forme di co-programmazione e/o co-progettazione, alla stipula di convenzioni con le Organizzazioni di volontariato o le Associazioni di promozione sociale o a forme di autorizzazione o accreditamento previste dalla legislazione regionale in materia”.
Come specificato dal comma 2, la scelta di attivare rapporti di partenariato con ETS, deve essere motivata, nell’ambito di un’apposita relazione (di cui all’art. 14, comma 3, del provvedimento in esame. Per chiarimenti si rinvia alla scheda di questo Dossier dedicata all’art. 14) con specifico riferimento alla sussistenza delle circostanze che, nel caso concreto, determinano la natura effettivamente collaborativa del rapporto e agli effettivi benefici che tale soluzione comporta per il raggiungimento di obiettivi di universalità, solidarietà ed equilibrio di bilancio (rafforzamento del principio di sussidiarietà), nel rispetto dei principi di trasparenza, imparzialità, partecipazione e parità di trattamento.
Ai sensi del comma 3, le disposizioni ora illustrate non si applicano qualora le risorse pubbliche da mettere a disposizione degli ETS dovessero risultare, complessivamente considerate, superiori al rimborso dei costi previsti ai fini dell’esecuzione del rapporto di partenariato.
Il comma in commento ribadisce quanto stabilito dall’art. 56 CTS per le sole APS e ODV relativamente all’obbligatorietà che le convenzioni possano prevedere esclusivamente il rimborso delle spese effettivamente sostenute e documentate (nelle quali è compreso il lavoro svolto dai componenti dell’ETS); dunque non assenza di corrispettivo a carico dell’amministrazione bensì assenza di profitto per le ODV e le APS affidatarie dei servizi.
Si ricorda però che, rispetto ai rapporti collaborativi fra P.A. e Terzo settore, per il resto degli ETS, il CTS prevede la “non lucratività” (ai sensi dell’art. 8 del CTS “divieto di distribuzione, anche indiretta, di utili, nell’ambito dello svolgimento delle attività di interesse generale”). Come chiarito dalla Corte costituzionale nella già citata sentenza n. 131 del 2020 “…l’attività di interesse generale svolta senza fini di lucro da tali enti realizza anche una forma nuova e indiretta di concorso alla spesa pubblica (ciò che deriva dal necessario reinvestimento degli utili in attività orientate a una funzione sociale)”.
Da ultimo, si veda la sentenza della Corte costituzionale n. 72 del 2022 che ha dichiarato infondate le questioni di legittimità sollevate dal Consiglio di Stato in riferimento complessivamente agli artt. 2, 3, 4, 9, 18, 76 CTS e 118, quarto comma, Cost., nella parte in cui riserva alle ODV i contributi per l’acquisto di autoambulanze, di autoveicoli per attività sanitarie e di beni strumentali, escludendo gli altri ETS svolgenti le medesime attività di interesse generale. Nel giungere alla conclusione di non ritenere fondate le questioni sollevate intorno all’art. 76 CTS, la stessa Corte auspica un prossimo intervento del legislatore volto a rendere meno rigido “il filtro selettivo” previsto dalla disposizione, “in modo da permettere l’accesso alle relative risorse anche a tutti quegli ETS sulla cui azione – per disposizione normativa, come nel caso delle associazioni di promozione sociale, o per la concreta scelta organizzativa dell’ente di avvalersi di un significativo numero di volontari rispetto a quello dei dipendenti – maggiormente si riflette la portata generale dell’art. 17, comma 3, CTS, per cui al volontario possono essere rimborsate soltanto le spese effettivamente sostenute e documentate per l’attività prestata”.
Articolo 19
(Durata dell’affidamento e indennizzo)
L’articolo 19 disciplina la durata dell’affidamento del servizio e prevede che essa non possa andare oltre il periodo necessario ad ammortizzare gli investimenti previsti in sede di affidamento ed indicati nel contratto di servizio. Nel caso di durata inferiore a tale limite ovvero in caso di cessazione anticipata, è introdotto il diritto ad un indennizzo per il gestore uscente e a carico del subentrante, non superiore al valore contabile degli investimenti non ammortizzati.
In dettaglio, il comma 1 dispone che la durata del periodo di affidamento del servizio è stabilita dall’ente competente in funzione della prestazione richiesta ed è proporzionata all’entità e alla durata degli investimenti, fermo restando che essa non può comunque eccedere il periodo necessario ad ammortizzare i programmi di investimento previsti in sede di affidamento ed indicati nel contratto di servizio (comma 1).
Sono fatte salve le discipline di settore che prevedano durate specifiche.
Nella relazione illustrativa si evidenzia che “data la varietà dei servizi” rientranti nel campo di applicazione del decreto, “si è scelto (…) di non introdurre un limite rigido uniforme”, preferendo fare riferimento al principio di proporzionalità in relazione all’ammortamento degli investimenti previsti.
Il medesimo comma 1, secondo periodo, pone un limite generalizzato alla durata dell’affidamento in house di servizi pubblici locali di interesse economico generale diversi da quelli a rete, stabilendo che essa non possa eccedere i cinque anni.
È ammessa al contempo la possibilità di stabilire una durata superiore a condizione che essa sia necessaria al fine di assicurare l’ammortamento degli investimenti: in tal caso l’ente affidante è tenuto a dare conto delle ragioni che giustificano la diversa durata nella deliberazione di affidamento, sulla base di quanto asseverato nel piano economico-finanziario di cui all’articolo 17, co. 4 dello schema in esame.
In proposito si ricorda che la disposizione richiamata stabilisce in capo agli enti affidanti, solo per i servizi pubblici locali a rete, l’obbligo di allegare alla deliberazione di affidamento un piano economico finanziario. Pertanto, dalla formulazione letterale del comma 1, secondo periodo, dell’articolo in esame, sembrerebbe doversi intendere che anche nel caso di servizi pubblici non a rete sia necessario predisporre il piano economico finanziario, ove si intenda stabilire una durata dell’affidamento superiore a cinque anni.
Il comma 2 dispone, inoltre, che qualora la durata del periodo di affidamento sia inferiore a quella necessaria per l'ammortizzazione degli investimenti, ai sensi dell’art. 11, comma 3 (cui il comma 2 dell'articolo in commento fa rinvio), il gestore subentrante è tenuto a corrispondere un indennizzo in favore del gestore uscente, pari al valore contabile non ammortizzato, rivalutato in base agli indici Istat e al netto di contributi pubblici riferibili agli investimenti stessi.
Articolo 20
(Tutele sociali inerenti al personale impiegato)
L’articolo 20 richiama - con riferimento alla disciplina dei servizi di interesse economico generale prestati a livello locale - il criterio, stabilito dal codice dei contratti pubblici[29], di promozione della stabilità occupazionale del personale già impiegato nell'esecuzione di lavori o servizi oggetto di un nuovo appalto pubblico.
L'articolo in esame specifica che i bandi e gli avvisi inerenti all'appalto dei servizi di interesse economico generale prestati a livello locale, ovvero le deliberazioni di affidamento ad una società in house, previste dal precedente articolo 17, comma 2, devono assicurare, nel rispetto del principio di proporzionalità, un'adeguata tutela occupazionale del personale impiegato nella precedente gestione, anche mediante la formulazione di apposite clausole sociali, secondo la disciplina in materia di contratti pubblici.
Si consideri l'opportunità di richiamare anche gli inviti (con riferimento alle procedure in cui non sussistano bandi o avvisi) nonché i casi di affidamenti a società in house non compresi - in quanto di importo inferiore alle soglie di rilevanza europea - nel richiamato comma 2 dell'articolo 17 ed i casi di affidamento a società mista, di cui all'articolo 16 dello schema in esame.
Riguardo alla disciplina dei contratti pubblici, si ricorda che l'articolo 50 del suddetto codice, e successive modificazioni, prevede che, nelle procedure di affidamento relative a contratti pubblici di concessione e di appalto di lavori e servizi, i bandi di gara, gli avvisi e gli inviti comprendano, nel rispetto dei princìpi dell'Unione europea, specifiche clausole sociali volte a promuovere la stabilità occupazionale del personale impiegato. Tale norma è posta "con particolare riguardo" ai contratti ad alta intensità di manodopera - ivi definiti come quelli nei quali il costo della manodopera è pari almeno al 50 per cento dell'importo totale del contratto -, mentre sono esclusi i contratti aventi ad oggetto attività di natura intellettuale.
Il citato articolo 50 richiede altresì che i summenzionati bandi di gara, avvisi ed inviti prevedano l'applicazione dei contratti collettivi di settore di cui all'articolo 51 del D.Lgs. 15 giugno 2015, n. 81. Quest'ultimo fa riferimento (oltre che ai contratti aziendali aventi determinate qualificazioni) ai contratti collettivi nazionali e territoriali stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.
Articolo 21
(Gestione delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni)
L’articolo 21 prevede l’individuazione da parte degli enti competenti all’organizzazione del servizio pubblico locale delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni necessarie per il servizio e ne disciplina la gestione.
In particolare, in base all’articolo 21, gli enti competenti:
· devono individuare le reti, gli impianti e le altre dotazioni patrimoniali essenziali alla gestione del servizio, individuazione che avviene in sede di affidamento della gestione del servizio o in sede di affidamento della gestione delle reti, se questa è separata dalla gestione del servizio (comma 1);
· non possono cedere la proprietà, fermi restando i vigenti regimi di proprietà, delle reti, degli impianti e delle dotazioni individuate che sono destinati alla gestione del servizio pubblico per tutto il periodo di utilizzabilità fisica del bene (comma 2); nei casi in cui non sia vietato da normative di settore, gli enti locali possono però conferire la proprietà a società a capitale interamente pubblico che è incedibile; tali società pongono reti, impianti e dotazioni a disposizione dei gestori incaricati della gestione del servizio, o, se è prevista la gestione separata della rete, dei gestori di quest’ultima, a fronte di un canone stabilito dalla competente autorità di settore, ove prevista, o dagli enti locali; a tali società, se hanno le caratteristiche della società in house può essere anche assegnata la gestione della rete come previsto dall’articolo 14, comma 1, lettera c) (cfr. la relativa scheda) che consente appunto l’affidamento di un servizio a società in house (comma 5);
Per quanto concerne il riferimento ai regimi di proprietà e alle normative di settore vigenti si ricorda che ad esempio nel settore idrico si rinvia a quanto osservato in premessa.
· possono decidere di separare gestione delle reti e gestione del servizio, fermo restando le discipline di settore e garantendo l’accesso equo e non discriminatorio a reti, impianti e altre dotazioni (comma 3);
· affidano la gestione di reti, impianti e altre dotazioni patrimoniali essenziali se separata dal servizio secondo le modalità previste dall’articolo 14, comma 1, lettere a), b) e c) (cioè gara, affidamento a società miste, affidamento a società in house; comma 4).
L’articolo appare volto a dare attuazione al principio di delega di cui alla lettera q) del comma 2 dell’articolo 8 della legge n. 118 del 2022 che prevede la “revisione della disciplina dei regimi di gestione delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni, nonché di cessione dei beni in caso di subentro, anche al fine di assicurare un'adeguata tutela della proprietà pubblica, nonché un'adeguata tutela del gestore uscente”
Articolo 22
(Esecuzione dei lavori connessi alla gestione)
L’articolo 22 dispone che l’esecuzione dei lavori connessi alla gestione di una rete, degli impianti o di altre dotazioni patrimoniali sia affidata secondo le modalità previste dalla disciplina in materia di contratti pubblici, sia che la gestione sia affidata secondo le modalità previste dall’articolo 14, comma 1 (cioè gara, società mista o società in house) sia con modalità diverse (commi 1 e 2). Nel caso in cui però la gestione di rete, impianti o dotazioni avvenga secondo le modalità richiamate dell’articolo 14, comma 1 l’esecuzione dei lavori può essere realizzata direttamente dal soggetto gestore se l’affidamento aveva ad oggetto sia la gestione della rete sia l’esecuzione dei lavori e se il gestore è qualificato ai sensi della normativa vigente (comma 1).
L’articolo 22 appare volto a dare attuazione al principio di delega di cui alla lettera q) del comma 2 dell’articolo 8 della legge n. 118 del 2022 che prevede la “revisione della disciplina dei regimi di gestione delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni, nonché di cessione dei beni in caso di subentro, anche al fine di assicurare un'adeguata tutela della proprietà pubblica, nonché un'adeguata tutela del gestore uscente”
Con riferimento alle modalità di esecuzione dei lavori previste dal codice dei contratti pubblici (decreto legislativo n. 50 del 2016), si richiama in particolare la disciplina recata dagli articoli da 100 a 113-bis. Tra le altre cose, l’articolo 101, prevede, anche per l’esecuzione di contratti aventi ad oggetto lavori, la direzione da parte del responsabile unico del procedimento, che, in base all’articolo 102, controlla l’esecuzione del contratto congiuntamente al direttore dei lavori.
L’utilizzo dell’espressione “gestore qualificato” si può porre in relazione alle “stazioni appaltanti qualificate” previste dall’articolo 38 del codice dei contratti pubblici. Tale articolo prevede l’istituzione presso l'ANAC di un elenco delle stazioni appaltanti qualificate di cui fanno parte anche le centrali di committenza. La qualificazione è conseguita in rapporto ai bacini territoriali, alla tipologia e complessità del contratto e per fasce d'importo. Sono iscritti di diritto nell'elenco di cui al primo periodo, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, compresi i Provveditorati interregionali per le opere pubbliche, CONSIP S.p.a., INVITALIA - Agenzia nazionale per l'attrazione degli investimenti e lo sviluppo d'impresa S.p.a., Difesa servizi S.p.A., l'Agenzia del demanio, nonché i soggetti aggregatori regionali previsti dall’articolo 9 del decreto-legge n. 66 del 2014 (cioè le centrali di committenza unica regionali).
Articolo 23
(Regime del subentro in caso di scadenza dell’affidamento o cessazione anticipata)
L’articolo 23 reca la disciplina del subentro del nuovo gestore nell'assegnazione delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni patrimoniali in caso di scadenza dell’affidamento o di cessazione anticipata, riconoscendo in favore del gestore uscente un indennizzo, da porre a carico del subentrante.
La norma appare volta a dare attuazione all’articolo 8, comma 2, lettera q), della legge di delega, che, oltre alla revisione della disciplina dei regimi di gestione delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni, prevede tra i principi e criteri direttivi la revisione della disciplina relativa alla cessione dei beni in caso di subentro: il Governo è chiamato ad assicurare, al contempo, un’adeguata tutela della proprietà pubblica e un’adeguata tutela del gestore uscente.
L’unico comma dell’articolo 23 prevede che alla scadenza del periodo di affidamento o in caso di cessazione anticipata, all’esito del nuovo affidamento, il nuovo gestore subentri nella disponibilità delle reti degli impianti e delle altre dotazioni patrimoniali individuati come essenziali per lo svolgimento del servizio.
Si ricorda che, ai sensi dell’articolo 23, comma 1 del provvedimento, spetta gli enti competenti all’organizzazione del servizio pubblico locale individuare le reti, gli impianti e le altre dotazioni patrimoniali essenziali alla gestione del servizio. L’individuazione avviene in sede di affidamento della gestione del servizio ovvero in sede di affidamento della gestione delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni, qualora questa sia separata dalla gestione del servizio.
La disposizione prevede inoltre che si applichino le disposizioni in tema di indennizzo del gestore uscente di cui all’articolo 19, comma 2
Ciò comporta che, fatte salve le discipline di settore e nel rispetto del diritto dell’Unione europea, in caso di durata dell’affidamento inferiore al tempo necessario ad ammortizzare gli investimenti indicati nel contratto di servizio ovvero in caso di cessazione anticipata, al gestore uscente sia riconosciuto un indennizzo, da porre a carico del subentrante, pari al valore contabile degli investimenti non ancora integralmente ammortizzati, rivalutato in base agli indici ISTAT e al netto di eventuali contributi pubblici direttamente riferibili agli investimenti stessi.
Attraverso il riconoscimento dell’indennizzo la disposizione cerca di assicurare, al contempo, un’adeguata tutela della proprietà pubblica e un’adeguata tutela del gestore uscente.
Nella disposizione in esame confluiscono sostanzialmente i contenuti:
- dell'art. 113, comma 9, del TUEL (di cui l'articolo 36 dispone l'abrogazione dell’intero articolo), il quale prevede l'assegnazione al nuovo gestore di reti, impianti e altre dotazioni patrimoniali, alla scadenza del periodo di affidamento e in esito alla successiva gara di affidamento;
- del comma 7 dell'art. 35 della legge n. 448 del 2001 (anch'esso oggetto di abrogazione da parte dell'art. 36), il quale dispone che le imprese concessionarie cessanti, al termine dell'affidamento, reintegrino gli enti locali nel possesso delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni utilizzati per la gestione dei servizi.
Nel dettaglio, il comma 7 dell'art. 35 della legge n. 448 del 2001 - oltre a disporre che le imprese concessionarie cessanti, al termine dell'affidamento, reintegrino gli enti locali nel possesso delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni utilizzati per la gestione dei servizi - prevede che alle imprese cessanti sia dovuto, dal gestore subentrante, un indennizzo stabilito secondo le disposizioni del comma 9 dell'articolo 113 del Tuel (come sostituito dal comma 1 dello stesso art. 35).
Segnatamente, il comma 9 dell'art. 113 del Tuel - nel testo precedente le modifiche apportate dal decreto del Presidente della Repubblica n. 168 del 2010 (Regolamento in materia di servizi pubblici locali di rilevanza economica, a norma dell'articolo 23-bis, comma 10, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133) - disponeva che al gestore uscente fosse dovuto "da parte del nuovo gestore un indennizzo pari al valore dei beni non ancora ammortizzati, il cui ammontare è indicato nel bando di gara". Tale periodo è stato successivamente soppresso dal citato regolamento di cui al D.P.R. n. 168 del 2010.
Si osserva che la disposizione in esame prevede ora la corresponsione dell'indennizzo nel caso di durata dell’affidamento inferiore rispetto al tempo di recupero dell’ammortamento ovvero di sua cessazione anticipata.
Si ricorda che la tutela nei confronti del gestore uscente parrebbe evocare quindi l'esigenza di forme di indennizzo per gli investimenti eventualmente effettuati nell'interesse pubblico, sollecitata dalla stessa Autorità garante per la concorrenza e il mercato nella propria relazione annuale sull'attività svolta dall'Autorità garante della concorrenza e del mercato del 31 marzo 2021.
Articolo 24
(Contratto di servizio)
L’articolo 24 reca la disciplina del contratto di servizio tra gli enti affidanti e i soggetti affidatari ovvero le società di gestione. Per le procedure a evidenza pubblica, si prevede che tale contratto sia redatto sulla base dello schema allegato alla documentazione di gara (comma 1).
Nel rispetto dei principi di cui al presente provvedimento, il contratto assicura, per tutta la durata dell’affidamento, l’assolvimento degli obblighi di servizio pubblico, l’equilibrio economico-finanziario della gestione secondo criteri di efficienza, nonché il progressivo miglioramento dello stato delle infrastrutture e della qualità delle prestazioni erogate (comma 2). Vengono inoltre previsti alcuni contenuti obbligatori per tutti i contratti di servizio, (comma 3), nonché ulteriori elementi per i soli contratti relativi ai servizi resi su richiesta individuale dell’utente (comma 4), in entrambi i casi nel rispetto delle eventuali discipline di settore applicabili. Infine, si dispone che siano allegati al contratto il programma degli investimenti, il piano economico-finanziario e, per i servizi resi su richiesta individuale dell’utente, il programma di esercizio (comma 5).
La disposizione in commento è da porre in relazione all’articolo 8, comma 2, lettera v) della legge di delega, il quale dispone che il Governo definisca gli strumenti finalizzati ad assicurare la trasparenza dei contratti di servizio e preveda l’introduzione di contratti di servizio tipo.
Già l'art. 113 Tuel (abrogato dall’articolo 36 del presente provvedimento) al comma 11 dispone che i rapporti degli enti locali con le società di erogazione del servizio e con le società di gestione delle reti e degli impianti siano regolati da contratti di servizio, allegati ai capitolati di gara.
Per quanto concerne i contenuti obbligatori dei contratti di servizio, il citato comma 11 si limita ad asserire che gli stessi devono prevedere “i livelli dei servizi da garantire e adeguati strumenti di verifica del rispetto dei livelli previsti”.
In linea generale, il comma 1 prevede che, a livello contrattuale, i rapporti tra gli enti affidanti e i soggetti affidatari del servizio pubblico o le società di gestione delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni patrimoniali essenziali, sono regolati da un contratto di servizio che, nei ove si faccia ricorso a procedure a evidenza pubblica, è redatto sulla base dello schema allegato alla documentazione di gara. Nel box sottostante si approfondisce quanto già previsto dalla normativa vigente in materia di contratti di servizio, con riferimento specifico al sistema di gestione dei rifiuti.
Gli schemi di contratti di servizio nei servizi pubblici a rete: l’esempio dei rifiuti
L’articolo 203 del c.d. Codice dell’Ambiente (di cui al decreto-legislativo n.152 del 2006 recante norme in materia ambientale) prevede che i rapporti tra le Autorità d'ambito e i soggetti affidatari del servizio integrato siano regolati da contratti di servizio, da allegare ai capitolati di gara, conformi ad uno schema tipo adottato dalle regioni in conformità ai criteri ed agli indirizzi di cui all'articolo 195, comma 1, lettere m), n) ed o) dello stesso Codice (comma 1).
In particolare, lo schema tipo prevede (comma 2):
a) il regime giuridico prescelto per la gestione del servizio;
b) l'obbligo del raggiungimento dell'equilibrio economico-finanziario della gestione;
c) la durata dell'affidamento, comunque non inferiore a quindici anni;
d) i criteri per definire il piano economico-finanziario per la gestione integrata del servizio;
e) le modalità di controllo del corretto esercizio del servizio;
f) i principi e le regole generali relativi alle attività ed alle tipologie di controllo, in relazione ai livelli del servizio ed al corrispettivo, le modalità, i termini e le procedure per lo svolgimento del controllo e le caratteristiche delle strutture organizzative all'uopo preposte;
g) gli obblighi di comunicazione e trasmissione di dati, informazioni e documenti del gestore e le relative sanzioni;
h) le penali, le sanzioni in caso di inadempimento e le condizioni di risoluzione secondo i principi del codice civile, diversificate a seconda della tipologia di controllo;
i) il livello di efficienza e di affidabilità del servizio da assicurare all'utenza, anche con riferimento alla manutenzione degli impianti;
l) la facoltà di riscatto secondo i princìpi di cui al titolo I, capo II, del regolamento approvato con decreto del Presidente della Repubblica 4 ottobre 1986, n. 902;
m) l'obbligo di riconsegna delle opere, degli impianti e delle altre dotazioni patrimoniali strumentali all'erogazione del servizio in condizioni di efficienza ed in buono stato di conservazione;
n) idonee garanzie finanziarie e assicurative;
o) i criteri e le modalità di applicazione delle tariffe determinate dagli enti locali e del loro aggiornamento, anche con riferimento alle diverse categorie di utenze;
p) l'obbligo di applicazione al personale, non dipendente da amministrazioni pubbliche, da parte del gestore del servizio integrato dei rifiuti, del contratto collettivo nazionale di lavoro del settore dell'igiene ambientale, stipulato dalle Organizzazioni Sindacali comparativamente più rappresentative, anche in conformità a quanto previsto dalla normativa in materia attualmente vigente.
Ai fini della definizione dei contenuti dello schema tipo di cui al comma 2, le Autorità d'ambito operano la ricognizione delle opere ed impianti esistenti, trasmettendo alla regione i relativi dati. Le Autorità d'ambito inoltre, ai medesimi fini, definiscono le procedure e le modalità, anche su base pluriennale, per il conseguimento degli obiettivi previsti dalla parte quarta del presente decreto ed elaborano, sulla base dei criteri e degli indirizzi fissati dalle regioni, un piano d'ambito comprensivo di un programma degli interventi necessari, accompagnato da un piano finanziario e dal connesso modello gestionale ed organizzativo. Il piano finanziario indica, in particolare, le risorse disponibili, quelle da reperire, nonché i proventi derivanti dall'applicazione della tariffa sui rifiuti per il periodo considerato (comma 3).
Il comma 2 prevede che, nel rispetto dei principi di cui al provvedimento in esame, il contratto di servizio contenga previsioni dirette ad assicurare, per tutta la durata dell’affidamento, l’assolvimento degli obblighi di servizio pubblico da parte dei soggetti affidatari, nonché l’equilibrio economico-finanziario della gestione secondo criteri di efficienza, promuovendo il progressivo miglioramento dello stato delle infrastrutture e della qualità delle prestazioni erogate.
I contenuti obbligatori dei contratti di servizio trovano articolata e dettagliata disciplina nel comma 3 dell’articolo in esame. Essi sostanzialmente riprendono diversi dei punti di cui al richiamato articolo 203 del Codice dell’ambiente.
Fatte salve le discipline di settore, si prevede che il contratto di servizio rechi clausole aventi ad oggetto:
a) il regime giuridico prescelto per la gestione del servizio;
b) la durata del relativo rapporto contrattuale;
c) gli obiettivi di efficacia ed efficienza nella prestazione dei servizi, nonché l’obbligo di raggiungimento dell’equilibrio economico-finanziario della gestione, così come previsto dai principi di cui al comma 2;
d) gli obblighi di servizio pubblico a carico dei soggetti affidatari o gestori del servizio, come previsto dal comma 2;
e) le condizioni economiche del rapporto, incluse le modalità di determinazione delle eventuali compensazioni economiche a copertura degli obblighi di servizio pubblico e di verifica dell’assenza di sovracompensazioni;
Nella relazione illustrativa del provvedimento, si afferma che lo schema di decreto assicura l’efficienza nella prestazione del servizio, oltre che mediante gli obblighi di servizio pubblico, anche attraverso l’indicazione di criteri di compensazione idonei ad evitare sovracompensazioni. A questo proposito, segnala che “nel testo del decreto si fa, inoltre, sempre riferimento a costi efficienti di riferimento (costi benchmark), dunque, non a semplici costi standard”.
Su quest’ultimo punto si rimanda all’osservazione di cui alla scheda dell’articolo 7 del provvedimento, relativa alla necessità di coordinamento tra la nozione di costi di riferimento, che devono essere determinati dalle autorità di regolazione, e costi efficienti, anche alla luce di quanto riportato nella relazione illustrativa.
f) gli strumenti di monitoraggio sul corretto adempimento degli obblighi contrattuali, ivi compreso il mancato raggiungimento dei livelli di qualità;
g) gli obblighi di informazione e di rendicontazione nei confronti dell’ente affidante o preposto al controllo in relazione agli obiettivi di efficacia ed efficienza, ai risultati economici e gestionali e al raggiungimento dei livelli qualitativi e quantitativi;
h) la previsione delle penalità e delle cause di risoluzione del contratto in caso di grave e ripetuta violazione degli obblighi contrattuali o di altri inadempimenti che precludono la prosecuzione del rapporto;
i) l’obbligo di mettere a disposizione i dati e le informazioni prodromiche alle successive procedure di affidamento;
l) le modalità di risoluzione delle controversie con gli utenti;
m) idonee garanzie finanziarie e assicurative;
n) la disciplina del recesso e delle conseguenze derivanti da ogni ipotesi di cessazione anticipata dell’affidamento, nonché i criteri per la determinazione degli indennizzi (per i quali si rimanda alla scheda relativa all’articolo 23 del provvedimento);
o) l’obbligo del gestore di rendere disponibili all’ente affidante i dati acquisiti e generati nella fornitura dei servizi agli utenti, ai sensi dell’articolo 50-quater del Codice dell’amministrazione digitale (c.d. CAD)
L’articolo 50-quater del CAD (di cui al decreto legislativo n. 82 del 2005), al fine di promuovere la valorizzazione del patrimonio informativo pubblico, per fini statistici e di ricerca e per lo svolgimento dei compiti istituzionali delle pubbliche amministrazioni, nei contratti e nei capitolati con i quali le pubbliche amministrazioni affidano lo svolgimento di servizi in concessione prevede l'obbligo del concessionario di rendere disponibili all'amministrazione concedente, che a sua volta li rende disponibili alle altre pubbliche amministrazioni tutti i dati acquisiti e generati nella fornitura del servizio agli utenti e relativi anche all'utilizzo del servizio medesimo da parte degli utenti, come dati di tipo aperto, nel rispetto delle linee guida adottate da AgID, sentito il Garante per la protezione dei dati personali.
A questo proposito, si ricorda che la lettera u) della norma di delega menziona la regolazione negoziale del rapporto tramite contratti di servizio e il concreto andamento della gestione dei servizi pubblici locali dal punto di vista sia economico sia della qualità dei servizi e del rispetto degli obblighi di servizio pubblico tra i vari atti e dati concernenti la scelta del regime di gestione, dei quali deve essere rafforzata la trasparenza e la comprensibilità attraverso la banca dati nazionale dei contratti pubblici (di cui all'articolo 29, comma 2, del codice dei contratti pubblici), resa interoperabile con le banche dati nazionali già costituite, e la piattaforma unica della trasparenza, ivi compreso l'Osservatorio nazionale sulle politiche del trasporto pubblico locale.
Fatte sempre salve le discipline di settore, il comma 4 prevede ulteriori contenuti per i contratti aventi ad oggetto i servizi resi su richiesta individuale dell’utente.
Si ricorda che per servizio a domanda individuale, deve intendersi l’attività svolta, non a titolo gratuito, dall’ente o dal soggetto affidatario del servizio su richiesta dell’utente che ne sostiene parte degli oneri mediante il pagamento di una tariffa o di un contributo. L’art. 6 del decreto-legge n.55 del 1983, convertito, con modificazioni, dalla legge n.131 del 1983, che si riferisce agli enti locali, stabilisce che questi ultimi “sono tenuti a definire, non oltre la data della deliberazione del bilancio, la misura percentuale dei costi complessivi di tutti i servizi pubblici a domanda individuale - e comunque per gli asili nido, per i bagni pubblici, per i mercati, per gli impianti sportivi, per il servizio trasporti funebri, per le colonie e i soggiorni, per i teatri e per i parcheggi comunali - che viene finanziata da tariffe o contribuzioni ed entrate specificamente destinate”. Si pensi, a titolo di esempio, al servizio di trasporto scolastico per il quale si prevede una contribuzione degli utenti.
Segnatamente, in aggiunta agli elementi indicati dal comma 3, tali contratti di servizio devono altresì regolare:
a) la struttura, i livelli e le modalità di aggiornamento delle tariffe e dei prezzi a carico dell’utenza;
b) gli indicatori e i livelli ambientali, qualitativi e quantitativi delle prestazioni da erogare, definiti in termini di livelli specifici e di livelli generali, e i relativi obiettivi di miglioramento, inclusi quelli volti a garantire un migliore accesso al servizio da parte delle persone diversamente abili;
c) le modalità per proporre reclamo nei confronti dei gestori, nonché i tempi con i quali devono essere comunicati i relativi esiti agli utenti;
d) le modalità di ristoro dell’utenza, in caso di violazione dei livelli qualitativi del servizio e delle condizioni generali del contratto.
Il comma 4 sembra dare in parte attuazione al criterio di delega di cui alla lettera t), relativo alla razionalizzazione della disciplina concernente le modalità di partecipazione degli utenti nella fase di definizione della qualità e quantità del servizio, degli obiettivi e dei costi del servizio pubblico locale e rafforzamento degli strumenti di tutela degli utenti, anche attraverso meccanismi non giurisdizionali.
Infine, il comma 5 prevede che ai contratti di servizio siano allegati i seguenti documenti:
· programma degli investimenti;
· piano economico-finanziario;
· programma di esercizio (solo per i contratti aventi ad oggetto servizi a domanda individuale).
Articolo 25
(Carta dei servizi e obblighi di trasparenza dei gestori)
L'articolo 25 pone in capo al gestore del servizio pubblico locale di rilevanza economica gli obblighi di tenuta, aggiornamento e pubblicazione della carta dei servizi, nonché l’obbligo di rendere pubblici, a mezzo del sito internet, nel rispetto delle regole sui segreti commerciali e le informazioni confidenziali delle imprese, il livello effettivo di qualità dei servizi offerti, il livello annuale degli investimenti effettuati e la loro programmazione fino al termine dell’affidamento.
Più nello specifico, il comma 1 dell’articolo 25 stabilisce che il gestore del servizio pubblico locale di rilevanza economica redige e aggiorna la carta dei servizi di cui all’articolo 2, comma 461, lettera a), della legge 24 dicembre 2007, n. 244[30], corredata altresì delle informazioni relative alla composizione della tariffa, e la pubblica sul proprio sito internet.
Il successivo comma 2 dispone quindi che il gestore dia adeguata pubblicità, anche a mezzo del proprio sito internet, nel rispetto delle regole sui segreti commerciali e le informazioni confidenziali delle imprese, del livello effettivo di qualità dei servizi offerti, del livello annuale degli investimenti effettuati e della loro programmazione fino al termine dell’affidamento, con modalità che assicurino la comprensibilità dei relativi atti e dati.
La relazione tecnica che accompagna lo schema di decreto in esame rileva che dalla disposizione, di carattere ordinamentale, non derivano nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. Le funzioni contemplate sono assicurate dagli enti con le risorse disponibili a legislazione vigente, iscritte nei propri bilanci.
L’articolo 26, in materia di tariffe, prevede, al comma 1, che - fatte salve le competenze delle autorità di regolazione e le speciali norme di settore - gli enti affidanti definiscano le tariffe dei servizi in misura tale da assicurare l’equilibrio economico-finanziario dell’investimento e della gestione, nonché il perseguimento di recuperi di efficienza che consentano la riduzione dei costi a carico della collettività, in armonia con gli obiettivi di carattere sociale, di tutela ambientale e di uso efficiente delle risorse, e tenendo conto della legislazione nazionale ed europea in materia.
Il calcolo della tariffa, ai sensi del comma 2, è improntato a specifici criteri:
a) correlazione tra costi efficienti e ricavi, in modo da assicurare l'equilibrio economico-finanziario della gestione, previa definizione e quantificazione degli oneri di servizio pubblico e degli oneri di ammortamento tecnico-finanziario;
b) equilibrato rapporto tra finanziamenti raccolti e capitale investito;
c) valutazione dell’entità dei costi efficienti di gestione delle opere, tenendo conto anche degli investimenti e della qualità del servizio;
d) adeguatezza della remunerazione del capitale investito, in coerenza con le prevalenti condizioni di mercato.
Rispetto all'art. 117, comma 1, del Tuel - oggetto di abrogazione da parte dell'art. 36, comma 1, lettera b) e il cui contenuto in gran parte confluisce nel comma in esame - si dispone che il principio dell’equilibrio economico-finanziario dell’investimento e della gestione - che deve indirizzare gli enti affidanti nella determinazione delle tariffe dei servizi - non sia disgiunto dal perseguimento di regimi produttivi che consentano la riduzione dei costi a carico della collettività, in armonia con gli obiettivi di carattere sociale, di tutela ambientale e di uso efficiente delle risorse, e tenendo conto della legislazione nazionale e comunitaria in materia.
Inoltre, sono riprodotti i criteri di calcolo della tariffa di cui alle lettere b), c) e d) del richiamato art. 117, comma 1, del Tuel. Quanto alla lettera a), riguardante la corrispondenza tra ricavi e costi, si rileva l'introduzione del concetto di costo efficiente come elemento che, assieme al ricavo, concorre alla definizione dell'equilibrio-finanziario della gestione.
Nella sostanza le norme in commento riproducono le analoghe disposizioni già recate dallo schema di decreto legislativo recante disposizioni sui servizi pubblici locali di interesse economico generale, adottato nella XVII legislatura in attuazione della delega conferita al Governo dagli articoli 16 e 19 della legge 7 agosto 2015, n. 124. Nel precedente schema (art. 25) si faceva riferimento al concetto di “costo standard” come elemento che, assieme al ricavo, concorre alla definizione dell'equilibrio-finanziario della gestione.
Si segnala, inoltre, che nel caso di servizi pubblici locali a rete, disciplinati all’art. 7 dello schema in esame, si dà facoltà alle Autorità di regolazione di poter individuare, con riferimento ai servizi pubblici locali a rete, i costi di riferimento dei servizi, che vengono a loro volta definiti dall’articolo 2 del provvedimento come “indicatori di costo, che stimano le risorse necessarie alla gestione del servizio secondo criteri di efficienza, o costi benchmark”.
Si valuti l’opportunità di chiarire in via normativa il significato del concetto di “costo efficiente” ai fini dell’applicazione della disposizione in oggetto.
Gli enti affidanti possono prevedere - fermo restando quanto stabilito dalle discipline di settore - tariffe agevolate per specifiche categorie di utenti in condizione di disagio economico o sociale o diversamente abili, provvedendo alla relativa compensazione in favore dei gestori (comma 3).
Il comma 4 dispone che - allo scopo di conseguire il graduale miglioramento della qualità e della efficienza dei servizi - le modalità di aggiornamento delle tariffe devono essere fissate dagli enti affidanti con il metodo denominato “price-cap”, da intendersi come limite massimo per la variazione di prezzo, principalmente sulla base dei seguenti parametri:
a) tasso di inflazione programmata;
b) incremento per i nuovi investimenti effettuati;
c) obiettivo di recupero di efficienza prefissato;
d) obiettivi di qualità del servizio prefissati, definiti secondo parametri misurabili.
Il price cap è un metodo di regolamentazione del tasso di crescita del prezzo riferito all'erogazione di un dato servizio pubblico, ampiamente diffuso nel settore dei servizi di pubblica utilità. Esso prevede che l'autorità di regolazione indichi un "limite massimo della variazione del prezzo" del servizio pubblico "vincolata per un dato periodo pluriennale" (art. 2, comma 18, della legge n. 481 del 1995, recante "Norme per la concorrenza e la regolazione dei servizi di pubblica utilità. Istituzione delle Autorità di regolazione dei servizi di pubblica utilità"). Nel rispetto di questo vincolo aggregato, l’impresa è libera di fissare i prezzi e le tariffe che desidera. La regolazione con detto metodo è volta a evitare che le imprese abbiano diritto a tassi di rendimento prestabiliti a prescindere da aumenti di efficienza e dalla minimizzazione dei costi di produzione.
In materia di aggiornamento delle tariffe, il citato art. 117 del Tuel (di cui l’articolo 36, co. 1, lett. b) dispone l'abrogazione) si limitava a prevedere, al comma 2, che le tariffe fossero determinate e adeguate ogni anno dai soggetti proprietari, attraverso contratti di programma di durata poliennale, nel rispetto del disciplinare e dello statuto conseguenti ai modelli organizzativi prescelti.
Il comma 5 dispone, peraltro, che gli enti affidanti possono prevedere che l’aggiornamento della tariffa venga effettuato con metodi alternativi alla metodologia del price-cap, nelle ipotesi in cui, in relazione alle caratteristiche del servizio, tale scelta risulti, sulla base di adeguata motivazione, maggiormente funzionale al raggiungimento degli obiettivi di miglioramento della qualità e dell’efficienza del servizio.
Articolo 27
(Vicende del rapporto)
L’articolo 27 stabilisce che le modifiche al rapporto negoziale e al contratto di servizio durante il periodo di efficacia, la cessazione anticipata e la risoluzione del rapporto negoziale sono consentite nei limiti e secondo le modalità previste dal diritto dell’Unione europea e dalla disciplina in materia di contratti pubblici (comma 1).
Per la disciplina dell’Unione europea in materia si rinvia a quanto esposto in premessa.
In caso di ricorso all’affidamento in house le modifiche del contratto di servizio devono essere asseverate da un istituto di credito o da una società di servizi iscritta all’albo degli intermediari finanziari o da una società di revisioni o da revisori legali con le stesse modalità previste per l’asseverazione del piano economico-finanziario dei servizi pubblici locali a rete di cui all’articolo 17, comma 4 del provvedimento in esame (comma 2).
Viene, in ogni caso, fatto salvo il potere dell’ente affidante di risolvere anticipatamente il rapporto in caso di grave inadempimento agli obblighi di servizio pubblico e alle obbligazioni previste dal contratto di servizio (comma 3).
Articolo 28
(Vigilanza e controlli sulla gestione)
L’articolo 28 reca norme relative alla vigilanza e controllo sulla gestione dei servizi pubblici affidati, disponendo che, nel rispetto delle competenze attribuite alle autorità di regolazione e delle disposizioni di settore, gli enti locali e gli altri enti competenti all’organizzazione del servizio esercitino la vigilanza sulla gestione e sul rispetto del contratto di servizio, attraverso un programma di controlli (disciplinato dal successivo articolo 30).
In particolare, il comma 1 pone in capo all’ente locale e agli altri enti competenti il compito di esercitare la vigilanza sulla gestione dei servizi pubblici affidati, nel rispetto delle competenze attribuite alle autorità di regolazione e delle discipline di settore.
La vigilanza è effettuata mediante un programma di controlli finalizzato alla verifica del corretto svolgimento delle prestazioni affidate, tenendo conto della tipologia di attività, dell’estensione territoriale di riferimento e dell’utenza a cui i servizi sono destinati (comma 2).
A tal fine, al gestore è imposto l'obbligo di fornire all’ente affidante i dati e le informazioni concernenti l’assolvimento degli obblighi contenuti nel contratto di servizio (comma 3), che possono essere resi pubblici dall’ente affidante, nel rispetto della disciplina sui segreti commerciali e sulle informazioni confidenziali delle imprese (comma 4).
Si rammenta che il testo vigente del Testo unico degli enti locali (D.Lgs. n. 267 del 2000) prevede all’articolo 113, in tema di gestione delle reti ed erogazione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, che i rapporti degli enti locali con le società di erogazione del servizio e con le società di gestione delle reti e degli impianti sono regolati da contratti di servizio, allegati ai capitolati di gara, che dovranno prevedere i livelli dei servizi da garantire e adeguati strumenti di verifica del rispetto dei livelli previsti (comma 11).
Articolo 29
(Rimedi non giurisdizionali)
L’articolo 29 prevede che, fatto salvo quanto previsto dalle discipline di settore, l’utente possa promuovere la risoluzione extragiudiziale delle controversie presso gli organismi e in base alle procedure di cui alla Parte V, Titolo II-bis, del codice del consumo di cui al decreto legislativo n. 206 del 2005.
Il Titolo II-bis è stato inserito nella Parte V del codice del consumo di cui al decreto legislativo n. 206 del 2005, dal decreto legislativo n. 130 del 2015, che ha dato attuazione alla direttiva 2013/11/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 maggio 2013, sulla risoluzione alternativa delle controversie dei consumatori (direttiva sull'ADR- Alternative Dispute Resolution per i consumatori). Il citato decreto legislativo ha infatti introdotto gli articoli da 141-bis a 141-decies, che contengono, tra l'altro, la disciplina dei requisiti richiesti agli organismi ADR e degli obblighi ai quali gli stessi sono tenuti, nonché la designazione delle Autorità preposte alla tenuta degli elenchi di organismi ADR[31].
Si ricorda che per “organismo ADR” si intende, ai sensi del citato art. 141, comma 1, lettera h), qualsiasi organismo istituito su base permanente che offre la risoluzione di una controversia mediante una procedura ADR, vale a dire mediante una procedura di risoluzione extragiudiziale delle controversie conforme al Titolo II-bis della Parte V del codice del consumo[32]. L’art. 141 al comma 4, prevede che il Titolo II-bis si applichi alle procedure volontarie di composizione extragiudiziale per la risoluzione, anche in via telematica, delle controversie nazionali e transfrontaliere, tra consumatori e professionisti residenti e stabiliti nell'Unione europea, nell'ambito delle quali l'organismo ADR propone una soluzione o riunisce le parti al fine di agevolare una soluzione amichevole, e, in particolare
· agli organismi di mediazione per la trattazione degli affari in materia di consumo iscritti nell’apposita sezione speciale del registro dei mediatori e agli altri organismi ADR istituiti o iscritti presso gli elenchi tenuti e vigilati dalle Autorità specificamente indicate nell’articolo 141-octies[33]
· alle procedure svolte nei settori di competenza dell'Autorità di regolazione per energia, reti e ambiente – ARERA, della Banca d'Italia, dell'Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni-IVASS, della Commissione nazionale per la società e la borsa-CONSOB e dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni-AGCOM, comprese quelle che prevedono la partecipazione obbligatoria del professionista.
Il comma 6 fa comunque salva l’applicazione delle norme che prevedono l’obbligatorietà di talune procedure di risoluzione extragiudiziale delle controversie, quali
a) la mediazione obbligatoria (art. 5, co. 1, D.lgs. n. 28/2010),
b) la soluzione non giurisdizionale delle controversie che possono insorgere fra utenti o categorie disciplinate con provvedimenti dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (art. 1, comma 11 L. n. 249/1997),
c) il tentativo obbligatorio di conciliazione nelle materie di competenza di ARERA, le cui modalità di svolgimento sono disciplinate da ARERA stessa.
Con riguardo all’ambito di applicazione delle procedure volontarie ADR previste dal Titolo II-bis, merita ricordare che il comma 8 dell’art. 141 esclude i servizi non economici d’interesse generale (art. 141, comma 8, alla lettera b) del D.lgs. n. 206/2005). I servizi economici di interesse generale sono quindi già compresi nell’ambito applicativo della disciplina.
Si richiama, inoltre, l’attenzione sull’art. 141-ter in materia di negoziazioni paritetiche, che prevede una serie di requisiti volti a garantire l’indipendenza delle persone fisiche incaricate della risoluzione delle controversie, soltanto in presenza dei quali le procedure svolte dinanzi agli organismi ADR in cui parte delle persone fisiche incaricate della risoluzione delle controversie sono assunte o retribuite esclusivamente dal professionista o da un'organizzazione professionale o da un'associazione di imprese di cui il professionista è membro, sono considerate procedure ADR ai sensi del codice del consumo.
Si ricorda infine l’art. 141-quinquies, a norma del quale la domanda di procedura ADR, a decorrere dal suo ricevimento da parte dell’organismo ADR, produce sulla prescrizione gli stessi effetti della domanda giudiziale e impedisce altresì la decadenza per una sola volta. In caso di fallimento della procedura ADR i termini di prescrizione e decadenza iniziano a decorrere nuovamente dalla data della comunicazione alle parti della mancata definizione della controversia con modalità che abbiano valore di conoscenza legale.
Articolo 30
(Verifiche periodiche sulla situazione gestionale dei servizi pubblici locali)
L’articolo 30 reca norme relative alla ricognizione periodica della situazione gestionale dei servizi pubblici locali di rilevanza economica affidati, i cui risultati confluiscono in una apposta Relazione, aggiornata annualmente.
In particolare, il comma 1 stabilisce l’obbligo per i comuni, o le loro eventuali forme associative, e per le città metropolitane, con il supporto e coordinamento delle province, di effettuare una ricognizione periodica della situazione gestionale dei servizi pubblici locali di rilevanza economica nei rispettivi territori.
La ricognizione è volta a rilevare, per ogni servizio affidato, in modo analitico, l’andamento del servizio dal punto di vista economico, della qualità del servizio e del rispetto degli obblighi del contratto di servizio, tenendo conto anche degli atti e degli indicatori di cui agli articoli 7, 8 e 9.
La ricognizione rileva altresì l’entità del ricorso all’affidamento a società in house, gli oneri e l’impatto economico-finanziario che ne derivano per gli enti affidanti, nonché le proposte gestionali pervenute all’ente locale da parte degli operatori economici interessati durante il periodo temporale di riferimento.
Il comma 2 dispone che la ricognizione è contenuta in un’apposita relazione ed è aggiornata ogni anno, contestualmente all’analisi dell’assetto delle società partecipate di cui all’articolo 20 del decreto legislativo n. 175 del 2016 il quale dispone una revisione periodica delle partecipazioni pubbliche.
L’articolo 20 del d. lgs. n 175 del 2016 prevede che, annualmente, entro il 31 dicembre, le amministrazioni pubbliche (tre cui gli enti territoriali) effettuino, con proprio provvedimento, un’analisi dell'assetto complessivo delle società in cui detengono partecipazioni, dirette o indirette, predisponendo, ove ricorrano i presupposti[34] di cui al comma 2 dello stesso art. 20, un piano di riassetto per la loro razionalizzazione, fusione o soppressione, anche mediante messa in liquidazione o cessione. Le stesse amministrazioni devono inoltre approvare una relazione sull’attuazione delle misure previste nel piano di razionalizzazione adottato l’anno precedente. La ricognizione e la relazione devono essere comunicate alla struttura di monitoraggio presso il Dipartimento del Tesoro del MEF e alla Corte dei conti. La mancata adozione di tali adempimenti comporta una sanzione amministrativa da cinquemila a cinquecentomila euro, oltre al danno erariale provocato.
In sede di prima applicazione, la ricognizione di cui al primo periodo è effettuata entro dieci mesi dalla data di entrata in vigore del decreto in esame.
Si ricorda che l’articolo 24 del d. lgs. n. 175 del 2016 ha previsto una procedura di revisione straordinaria delle partecipazioni: in base a questa, entro il 30 settembre 2017 ciascuna amministrazione pubblica è stata tenuta ad effettuare con provvedimento motivato la ricognizione di tutte le partecipazioni possedute alla data di entrata in vigore del T.U. (23 settembre 2016), individuando quelle che devono essere alienate, nel caso in cui: non siano riconducibili ad alcuna delle categorie previste dall'art. 4; non soddisfino i requisiti motivazionali e di compatibilità con la normativa europea; ricadano nelle ipotesi per le quali l'articolo 20, comma 2, prevede la predisposizione di piani di riassetto finalizzati alla dismissione.
Il mantenimento delle partecipazioni pubbliche (dirette e indirette) in sede di revisione straordinaria richiede, pertanto, una motivazione analitica circa le ragioni e le finalità che giustificano tale scelta, anche sul piano della convenienza economica e della sostenibilità finanziaria e della sua compatibilità con i principi di efficienza, efficacia ed economicità dell’azione ammnistrativa, come precisato dalla Corte dei conti, Sez. autonomie, nella delibera del 19 luglio 2017, n. 19, con cui sono state approvate le Linee di indirizzo per la revisione straordinaria delle partecipazioni di cui all’art. 24 del d. lgs. n.175/2016.
Le operazioni di alienazione individuate dal piano di ricognizione avrebbero dovuto essere effettuate entro un anno dalla ricognizione stessa, anche nel caso di partecipazioni societarie acquistate in conformità ad espresse previsioni normative, statali o regionali.
Nel maggio 2019 la direzione VIII del MEF, responsabile del controllo dell'attuazione del Testo Unico, ha pubblicato il Rapporto sugli esiti della revisione straordinaria delle partecipazioni.
La legge di bilancio 2019 (art. 1, comma 723, della legge n. 145 del 2018) ha previsto la disapplicazione, fino al 31 dicembre 2021, dei commi 4 (obbligo di alienazione entro un anno dalla ricognizione straordinaria) e 5 (divieto per il socio pubblico di esercitare i diritti sociali e successiva liquidazione coatta in denaro delle partecipazioni) dell'articolo 24 del d. lgs. 175/2016 nel caso di società partecipate che abbiano prodotto un risultato medio in utile nel triennio precedente alla ricognizione. Per queste società in utile, ai fini di tutela del patrimonio pubblico e del valore delle quote societarie pubbliche, la norma ha autorizzato pertanto l'amministrazione pubblica a prolungare la detenzione delle partecipazioni societarie. Tale termine è stato prorogato anche per l'anno 2022 dal D. L. n. 73 del 2021 (art. 16, comma 3-bis).
Articolo 31
(Trasparenza nei servizi pubblici locali)
L’articolo 31 disciplina gli obblighi di trasparenza posti a carico degli enti locali in relazione agli atti e dati concernenti l’affidamento e la gestione dei servizi pubblici economici, prevedendo un punto di accesso unico attraverso la piattaforma unica della trasparenza gestita dall’ANAC, in un’apposita sezione denominata “Trasparenza dei servizi pubblici locali di rilevanza economica – Trasparenza SPL”.
In particolare il comma 1 dell’articolo 31 stabilisce che, al fine di rafforzare la trasparenza e la comprensibilità degli atti e dei dati concernenti l’affidamento e la gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, gli enti locali redigono la deliberazione di istituzione del servizio di cui all’articolo 10, comma 5, la relazione nella quale sono evidenziate le ragioni e la sussistenza dei requisiti previsti dal diritto dell’Unione europea per la forma di affidamento prescelta di cui all’articolo 14, comma 3, la deliberazione di affidamento del servizio in house di cui all’articolo 17, comma 2 e la relazione contenente la ricognizione periodica della situazione gestionale dei servizi pubblici locali di rilevanza economica nei rispettivi territori di cui all’articolo 30, comma 2, tenendo conto degli atti e degli indicatori di cui agli articoli 7, 8 e 9 dello schema di decreto in esame.
Il successivo comma 2 stabilisce quindi che gli atti di cui al comma 1 e il contratto di servizio sono pubblicati senza indugio sul sito istituzionale dell’ente affidante e trasmessi contestualmente all’Osservatorio per i servizi pubblici locali di cui all’articolo 13, comma 25-bis[35], del decreto-legge n. 145 del 2013 che provvede alla loro immediata pubblicazione sul proprio portale telematico, dando evidenza della data di pubblicazione.
Il comma 3 prevede poi che gli atti e i dati pubblicati sul sito dell’Osservatorio di cui al comma 2 sono resi accessibili anche attraverso la piattaforma unica della trasparenza gestita dall’ANAC, in un’apposita sezione denominata “Trasparenza dei servizi pubblici locali di rilevanza economica – Trasparenza SPL”, che costituisce punto di accesso unico per gli atti e i dati relativi ai servizi pubblici locali di rilevanza economica.
Ai sensi del comma 4 sulla piattaforma unica della trasparenza gestita dall’ANAC sono anche accessibili, secondo le modalità? di cui al comma 3:
a) gli atti relativi ai servizi pubblici locali di rilevanza economica contenuti nella banca dati nazionale sui contratti pubblici prevista dall'articolo 29, comma 2, del decreto legislativo n. 50 del 2016;
b) le rilevazioni periodiche in materia di trasporto pubblico locale pubblicate dall’Osservatorio di cui all’articolo 1, comma 300, della legge 24 dicembre 2007, n. 244[36];
c) gli atti e gli indicatori cui agli articoli 7, 8 e 9, nonché, ove disponibili, le informazioni sugli effettivi livelli di qualità conseguiti dai gestori pubblicati dalle autorità di settore sui propri siti istituzionali.
Infine, il comma 5 dispone che gli atti e i dati di cui all’articolo in esame siano resi disponibili in conformità? a quanto previsto, in materia di disponibilità dei dati delle pubbliche amministrazioni, dall’articolo 50 del decreto legislativo n. 82 del 2005 recante il Codice dell'amministrazione digitale.
La relazione tecnica che accompagna lo schema di decreto legislativo in esame rileva che dalla disposizione, avente carattere ordinamentale e procedurale, non derivano nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.
Articolo 32
(Disposizioni di coordinamento in materia di trasporto pubblico locale)
L’articolo 32 reca norme di coordinamento tra la disciplina generale dettata dal decreto legislativo e il settore specifico del TPL.
È stabilito, in via generale, che anche al TPL si applicano i principi di sussidiarietà, sostegno agli utenti e adempimento degli oneri di servizio pubblico previsti dal titolo III del decreto legislativo proposto (al cui commento supra, pertanto, si rinvia). Si applica altresì – in questo contesto – l’art. 14 sui criteri di scelta del modo di gestione del servizio.
Si precisa altresì che - fatti salvi i commi 2 e 3 dell’art. 32 qui illustrato – si applicano gli artt. 29, 30 e 31, relativi alla necessaria previsione di procedure di composizione stragiudiziale delle liti (con il rinvio al codice del consumo, decreto legislativo n. 206 del 2005), alla verifica periodica dell’andamento del servizio e alla trasparenza[37].
Il senso di questo articolo si comprende alla luce della lettura congiunta dell’art. 8 della legge n. 118 del 2022 (che reca la delega sui servizi pubblici che qui viene esercitata) e dell’art. 9, che inerisce più direttamente al TPL e che è stato oggetto di ampio dibattito in sede referente, nella scorsa legislatura.
Il TPL – servizio pubblico da ricondursi al diritto di circolazione e di soggiorno di cui all’articolo 16 della Costituzione (d’ora innanzi: diritto alla mobilità) – è stato oggetto, sull’arco degli anni, di ampi studi e riflessioni (come si evince anche dal Considerando 7 del regolamento 2007/1370/CE)[38].
Nel Libro bianco della Commissione europea del 12 settembre 2001, intitolato La politica europea dei trasporti fino al 2010: il momento delle scelte, è stabilito quale obiettivo principale – per come riportato nel Considerando 4 del medesimo regolamento – “garantire servizi di trasporto passeggeri sicuri, efficaci e di qualità grazie a una concorrenza regolamentata, che assicuri anche la trasparenza e l’efficienza dei servizi di trasporto pubblico di passeggeri, tenendo conto, in particolare, dei fattori sociali, ambientali e di sviluppo regionale, o nell’offrire condizioni tariffarie specifiche a talune categorie di viaggiatori (a esempio, i pensionati), e nell’eliminare le disparità fra imprese di trasporto provenienti da Stati membri diversi che possono alterare in modo sostanziale la concorrenza”.
In tempi più recenti e dopo l’emanazione del citato regolamento 2007/1370/CE è stato istituito – con la legge finanziaria per il 2008 (articolo 1, comma 300, della legge n. 244 del 2007) – l’Osservatorio nazionale sulle politiche del TPL, cui partecipano i rappresentanti dei Ministeri competenti, delle regioni e degli enti locali, al fine di creare una banca dati e un sistema informativo pubblico, correlati a quelli regionali, e di assicurare la verifica dell'andamento del settore e del completamento del processo di riforma.
Nella XVII legislatura, una ricognizione è stata svolta con l’indagine conoscitiva sul TPL condotta dalla IX Commissione Trasporti della Camera dei deputati e terminata l’8 aprile 2014, con l’approvazione del documento conclusivo.
I lavori preparatori dell’art. 9 della legge n. 118 del 2022 rivelano il rilievo assunto dall’interpretazione del citato regolamento 2007/1370/CE, il quale prevede tre modalità di gestione del servizio del TPL:
§ la gestione diretta dell’ente pubblico territoriale;
§ l’affidamento diretto[39];
§ la messa a gara.
La scelta tra questi metodi è assunta a seconda del livello di equilibrio che i Paesi membri intendano stabilire tra le esigenze di assicurare il diritto alla mobilità e quelle della concorrenza, funzionali al mercato interno.
L’ordinamento italiano appariva impostato sull’affidamento con gara pubblica. Tale opzione risulta dal decreto-legge n. 50 del 2017; esso infatti:
§ da un lato, ha novellato l’articolo 37 del decreto legge n. 201 del 2011 (c.d. Salva Italia) in ordine ai compiti dell’Autorità di regolazione dei trasporti (ART), prevedendo che esso approvi gli schemi dei contratti di servizio per il TPL nei casi sia di affidamento diretto a società in house, sia di gara pubblica (comma 2, lett. f), periodi secondo e terzo);
§ dall’altro, ha inciso sul concorso finanziario dello Stato agli enti locali e territoriali per il TPL.
Proprio tale concorso finanziario – in larga misura – costituisce un temperamento alla scelta di propendere per il sistema delle gare pubbliche ed è giustificato dalla considerazione che il diritto alla mobilità rientra tra le prestazioni essenziali, cui deve essere assicurato su tutto il territorio nazionale un livello minimo uniforme (esso rientra, in definitiva, tra i LEP). Il decreto-legge n. 95 del 2012 ha dunque istituito (all’articolo 16-bis) il Fondo per il predetto concorso finanziario.
Il senso di questa disposizione appare ben spiegato in un passaggio della sentenza della Corte costituzionale n. 137 del 2018: “Tale fondo è istituito dall’articolo 16-bis, comma 1, del decreto-legge n. 95 del 2012 è alimentato da una compartecipazione al gettito derivante dalle accise sul gasolio per autotrazione e sulla benzina” (peraltro, questa fonte di finanziamento del fondo è stata modificata proprio dal decreto-legge n. 50 del 2017, n.d.r.). “Il comma 3 dello stesso articolo 16-bis prevede che i criteri e le modalità di riparto delle risorse del fondo fra le regioni a statuto ordinario sono definiti con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, previa intesa in sede di Conferenza unificata. I criteri di riparto sono diretti a incentivare le regioni e gli enti locali a razionalizzare e favorire un incremento dell’efficienza nella programmazione e gestione dei servizi relativi al trasporto pubblico locale, mediante: un’offerta di servizio più idonea, più efficiente ed economica per il soddisfacimento della domanda di trasporto pubblico; il progressivo incremento del rapporto tra ricavi da traffico e costi operativi; la progressiva riduzione dei servizi offerti in eccesso in relazione alla domanda e un corrispondente incremento qualitativo e quantitativo dei servizi a domanda elevata; la definizione di livelli occupazionali appropriati; la predisposizione di strumenti di monitoraggio e di verifica. Il successivo comma 5 prevede che la ripartizione è operata con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, da emanare, sentita la Conferenza unificata, entro il 30 giugno di ciascun anno” (v. punto 3 del Considerato in diritto).
A tal proposito, l’articolo 27, comma 2, lett. d), del citato decreto-legge n. 50 del 2017 prevede una “riduzione in ciascun anno delle risorse del Fondo da trasferire alle regioni, qualora i servizi di trasporto pubblico locale e regionale non risultino affidati con procedure di evidenza pubblica entro il 31 dicembre dell'anno precedente a quello di riferimento, ovvero ancora non ne risulti pubblicato alla medesima data il bando di gara, nonché nel caso di gare non conformi alle misure di cui alle delibere dell'ART adottate ai sensi dell'articolo 37, comma 2, lettera f) del decreto-legge n. 201 del 2011.
L’entrata in vigore di questo sistema di penalizzazione per gli enti che non mettono a gara il servizio di TPL – tuttavia - è stata più volte differita (da ultimo, con il decreto-legge n. 183 del 2020).
Con l’art. 9 della legge n. 118 del 2022, è stato – sì – riavviato il meccanismo delle decurtazioni ai trasferimenti alle Regioni ma è stato chiarito nuovamente che i servizi di TPL locale e regionale possono (ma non debbono) essere oggetto di procedure di evidenza pubblica.
Il riferimento alle “procedure conformi” alla normativa eurounitaria di cui all’art. 9 significa che alle stazioni appaltanti pubbliche italiane è lasciata la scelta di quale percorrere tra le tre strade consentite dal citato Regolamento (CE), senza imporre a priori l’evidenza pubblica.
Per concludere sulla norma in commento, il comma 2 puntualizza ciò che già era chiaro dall’art. 9 della citta legge n. 118 (vale a dire la possibilità di scelta entro la gamma prevista dal diritto dell’UE) e che – trovando applicabilità i commi 2 e 3 dell’art. 14 (alla cui illustrazione si rinvia) - ai fini della scelta della modalità di gestione del servizio e della definizione del rapporto contrattuale, l’ente locale e gli altri enti competenti tengono di regola conto: delle caratteristiche tecniche ed economiche del servizio da prestare, inclusi i profili relativi alla qualità del servizio e agli investimenti infrastrutturali;
i) della situazione delle finanze pubbliche, dei costi per l’ente locale e per gli utenti, dei risultati prevedibilmente attesi in relazione alle diverse alternative, anche con riferimento a esperienze paragonabili;
ii) nonché dei risultati dell’eventuale gestione precedente del servizio sotto il profilo degli effetti sulla finanza pubblica, della qualità del servizio offerto, dei costi per l’ente locale e per gli utenti e degli investimenti effettuati;
iii) dei dati e delle informazioni che emergono dalle verifiche periodiche di cui all’articolo 30.
Il comma 3 statuisce poi che occorre tener conto della disciplina di settore su tre versanti:
i) circa le tutele sociali di cui all’art. 20. Appare che – allorchè il servizio di TPL sia messo effettivamente a gara – può trovare ingresso il principio di cui all’art. 20, secondo cui i bandi di gara, gli avvisi o la deliberazione di cui all’art. 17, comma 2, assicurano, nel rispetto del principio di proporzionalità, un’adeguata tutela occupazionale del personale impiegato nella precedente gestione, anche mediante l’impiego di apposite clausole sociali, secondo la disciplina in materia di contratti pubblici (decreto legislativo n. 50 del 2016).
Sul punto – e nel silenzio della relazione governativa -, si potrebbe intendere che, con tale richiamo, il legislatore abbia voluto affermare l’applicabilità delle clausole sociali[40] di cui al codice degli appalti come normativa minima inderogabile in peius, lasciando al contempo aperta la strada a normative di settore che prevedano maggiori tutele occupazionali le quali, pertanto, essendo deroghe in melius alla predetta normativa minima, sarebbero destinate a prevalere comunque su di essa;
ii) circa le disposizioni del titolo II, parrebbe che il richiamo alla normativa di settore significhi che restano ferme le competenze dell’ART e che non possa trovare applicazione l’art. 8, che inerisce ai servizi pubblici non di rete;
iii) circa le disposizioni del titolo IV, la vigente disciplina di settore sembra evocare la necessità di tener presente la natura del TPL.
In ogni caso, si valuti l’opportunità di adottare una formulazione più chiara del comma 3.
Ai sensi del comma 4, l’art. 14 dello schema qui illustrato – a eccezione dei suoi commi 2 e 3 – non si applica ai seguenti segmenti di TPL, gestiti direttamente dal MIT:
iv) le ferrovie già oggetto di gestione commissariale e poi assegnate al MIT, ai sensi dell’art. 21, comma 5, del decreto-legge n. 98 del 2011 (convertito nella legge n. 111 del 2011);
v) il trasporto sui laghi Maggiore, Garda e Como, ai sensi della legge n. 614 del 1957.
Dato che il comma 4 si riferisce a gestioni dirette da parte del MIT, si valuti l’opportunità di sopprimere l’eccezione dei commi 2 e 3 dall’esclusione dell’applicazione dell’art. 14.
Articolo 33
(Disposizioni di coordinamento in materia di servizio idrico)
L’articolo 33 – ai fini della piena attuazione degli impegni contenuti nel Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) e in relazione agli affidamenti in essere alla data di entrata in vigore del presente decreto – consente agli enti di governo dell’ambito e alle autorità di regolazione, in deroga a quanto previsto dall’art. 6 del presente decreto, di partecipare ai soggetti incaricati della gestione del servizio idrico.
L’articolo in esame, ai fini della piena attuazione degli impegni contenuti nel PNRR, prevede la non applicazione delle disposizioni recate dall’articolo 6, comma 2, del presente decreto, alle partecipazioni degli enti di governo dell’ambito, in relazione agli affidamenti del servizio idrico in essere alla data di entrata in vigore del presente decreto.
Nel richiamare gli enti di governo dell’ambito, la norma in esame precisa che si tratta degli enti di governo dell’ambito indicati nell’art. 147, comma 1, del D.Lgs. 152/2006 (Codice dell'ambiente).
Tale disposizione prevede – in estrema sintesi – che i servizi idrici sono organizzati sulla base degli ambiti territoriali ottimali (ATO) definiti dalle regioni e che gli enti locali ricadenti nel medesimo ATO partecipano obbligatoriamente all'ente di governo dell'ambito territoriale ottimale (EGATO) individuato dalla competente regione per ciascun ATO. All’EGATO è trasferito l'esercizio delle competenze in precedenza spettanti agli enti locali in materia di gestione delle risorse idriche, ivi compresa la programmazione delle infrastrutture idriche.
Relativamente al disposto dell’art. 6, comma 2, dello schema di decreto in esame, si ricorda che tale comma vieta agli enti di governo dell’ambito e alle autorità di regolazione di partecipare (direttamente o indirettamente) a soggetti incaricati della gestione del servizio e precisa che non si considerano partecipate indirettamente le società formate o partecipate dagli enti locali ricompresi nell’ambito. Per un commento di tali disposizioni si rinvia alla scheda di lettura dell’articolo 6.
In relazione agli investimenti dal PNRR in materia di acque si ricordano in particolare gli investimenti in infrastrutture idriche primarie per la sicurezza dell'approvvigionamento idrico (M2-C4.4-I.4.1) a cui sono destinati 2 miliardi di euro, nonché la linea di investimento per la riduzione delle perdite nelle reti di distribuzione dell'acqua, compresi la digitalizzazione e il monitoraggio delle reti (M2-C4.4-I.4.2) a cui sono destinati 900 milioni di euro. Degni di nota anche gli investimenti nella resilienza dell'agrosistema irriguo per una migliore gestione delle risorse idriche (M2-C4.4-I.4.3), a cui sono destinati 880 milioni di euro, e gli investimenti in fognatura e depurazione (M2-C4.4-I.4.4), a cui sono destinati 600 milioni di euro. Informazioni sull’attuazione di tali investimenti sono contenute nel paragrafo “Acqua e territorio” della scheda “PNRR - Ambiente”.
Articolo 34
(Disposizioni di coordinamento in materia di farmacie comunali)
L’articolo 34 reca disposizioni di coordinamento in materia di farmacie comunali, relativamente a profili concernenti le modalità di gestione e i riflessi delle stesse sulle risorse dei comuni.
Più in dettaglio, al comma 1, l'articolo in commento chiarisce che il rinvio operato dall'articolo 9, comma primo, secondo periodo, della legge 2 aprile 1968, n. 475[41] alle modalità di gestione di cui alla legge 8 giugno 1990, n. 142, è da intendersi riferito alle "corrispondenti norme" del Titolo III del provvedimento in esame.
Si ricorda che il richiamato articolo 9, primo comma, secondo periodo, della legge 475/1968 prevede che le farmacie di cui sono titolari i comuni possano essere gestite, ai sensi della legge 8 giugno 1990, n. 142[42], nelle seguenti forme: a) in economia; b) a mezzo di azienda speciale; c) a mezzo di consorzi tra comuni per la gestione delle farmacie di cui sono unici titolari; d) a mezzo di società di capitali costituite tra il comune e i farmacisti che, al momento della costituzione della società, prestino servizio presso farmacie di cui il comune abbia la titolarità.
Si ricorda che il titolo III del provvedimento in esame è composto da due capi: Capo I, Istituzione del servizio pubblico locale (artt. 10-13), e Capo II, Forme di gestione del servizio pubblico locale (artt. 14-20).
Sembra che con l'espressione "corrispondenti norme" il comma in esame intenda riferirsi agli articoli contenuti nel Capo II dello schema. Si valuti l'opportunità di chiarire la portata di tale espressione.
Il comma 2 prevede, per il caso di affidamento della gestione a società in house ovvero a capitale misto, l'applicazione tassativa ("in ogni caso") delle previsioni di cui all’articolo 3, commi da 30 a 32, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (legge finanziaria 2008), in tema di trasferimento di risorse e rideterminazione delle dotazioni organiche.
Il comma 30 richiamato stabilisce che le amministrazioni che costituiscono società o enti, comunque denominati, o assumono partecipazioni in società, consorzi o altri organismi, anche a seguito di processi di riorganizzazione, trasformazione o decentramento, adottano, sentite le organizzazioni sindacali per gli effetti derivanti sul personale, provvedimenti di trasferimento delle risorse umane, finanziarie e strumentali in misura adeguata alle funzioni esercitate mediante i soggetti di cui allo stesso comma e provvedono alla corrispondente rideterminazione della propria dotazione organica.
Il successivo comma 31 prevede che, fino al perfezionamento dei provvedimenti di rideterminazione, le dotazioni organiche sono provvisoriamente individuate in misura pari al numero dei posti coperti al 31 dicembre dell'anno precedente all'istituzione o all'assunzione di partecipazioni di cui al comma 30, tenuto anche conto dei posti per i quali alla stessa data risultino in corso di espletamento procedure di reclutamento, di mobilità o di riqualificazione del personale, diminuito delle unità di personale effettivamente trasferito.
Il comma 32, infine, dispone che i collegi dei revisori e gli organi di controllo interno delle amministrazioni e dei soggetti interessati dai processi di cui ai commi 30 e 31 asseverino il trasferimento delle risorse umane e finanziarie e trasmettano una relazione alla Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento della funzione pubblica e al Ministero dell'economia e delle finanze - Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato, segnalando eventuali inadempimenti anche alle sezioni competenti della Corte dei conti.
Si ricorda che le società in house ricevono affidamenti diretti di contratti pubblici dalle amministrazioni che esercitano su di esse il controllo analogo[43] o da ciascuna delle amministrazioni che esercitano su di esse il controllo analogo congiunto solo se non vi sia partecipazione di capitali privati, ad eccezione di quella prescritta da norme di legge e che avvenga in forme che non comportino controllo o potere di veto, né l'esercizio di un'influenza determinante sulla società controllata (art. 16, co. 1, D.Lgs. 19 agosto 2016, n. 175, recante "Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica").
Si ricorda inoltre che nelle società a partecipazione mista pubblico-privata la quota di partecipazione del soggetto privato non può essere inferiore al trenta per cento e la selezione del medesimo si svolge con procedure di evidenza pubblica e ha a oggetto, al contempo, la sottoscrizione o l'acquisto della partecipazione societaria da parte del socio privato e l'affidamento del contratto di appalto o di concessione oggetto esclusivo dell'attività della società mista (art. 17, co. 1, D.Lgs. 175/2016).
Articolo 35
(Disposizioni di coordinamento in materia di impianti di trasporti a fune)
L’articolo 35 esclude gli impianti di trasporti a fune per la mobilità turistico-sportiva in aree montane dal campo di applicazione del decreto.
Si ricorda che, in via generale, il D.M. 1° dicembre 2015, n. 203 stabilisce la vita tecnica di ogni impianto a fune, distinguendo tra quelli costruiti prima e dopo l'entrata in vigore del decreto legislativo n. 210 del 2003, con il quale è stata data attuazione alla direttiva 2000/9/CE - relativa agli impianti a fune adibiti al trasporto di persone - precisando che, spirato il periodo di vita tecnica dell'impianto, cessano gli effetti dell'autorizzazione o del nulla osta tecnico rilasciato.
La direttiva 2000/9/CE è stata successivamente abrogata e sostituita dal Regolamento (UE) n. 424 del 9 marzo 2016, che stabilisce le norme sulla messa a disposizione sul mercato e la libera circolazione dei sottosistemi e dei componenti di sicurezza destinati agli impianti a fune e contiene norme relative alla progettazione, alla costruzione e alla messa in servizio degli impianti a fune nuovi.
Si ricorda, infine, che le disposizioni tecniche riguardanti l'esercizio e la manutenzione degli impianti a fune adibiti al trasporto pubblico di persone sono contenute altresì nel Decreto Dirigenziale 29 maggio 2019, n. 189 "Impianti aerei e terrestri. Disposizioni tecniche riguardanti l'esercizio e la manutenzione degli impianti a fune adibiti al trasporto pubblico di persone. Regolamenti di esercizio e relativi allegati per tipologia di impianto”.
La disciplina della gestione e dell’esercizio dei predetti impianti è, in massima parte, rimessa alla disciplina delle regioni e delle Province autonome: per tutte, si pensi alla legge della regione Lazio n. 59 del 1983, o alla legge della Provincia autonoma di Bolzano n. 10 del 2018, di modifica della legge provinciale n. 1 del 2006, sulla quale si è di recente pronunciata anche la Corte costituzionale con la sentenza n. 103 del 2020.
L’autonomia nella regolazione si riflette nella diversità delle scelte operate in punto, per tutti, di qualificazione del servizio come servizio di trasporto pubblico locale soggetto ai relativi oneri di servizio pubblico o meno, o, ancora, di determinazione delle modalità di affidamento e gestione del servizio.
Ad esempio, come si evince proprio dalla citata pronuncia della Corte costituzionale, se la legge della regione Lazio considera l’intera attività di trasporto a fune - inclusa, quindi, anche quella svolta con finalità sportiva o turistico-ricreativa - come vero e proprio servizio di trasporto pubblico locale, al contrario la Provincia autonoma di Bolzano opera una distinzione, considerando come servizio pubblico locale il solo esercizio degli impianti funiviari di prima categoria integrati nella rete provinciale di trasporto che collegano località stabilmente abitate (l. prov. n. 15 del 2015) e lasciando, invece, fuori dalla nozione gli impianti di funivie a uso sportivo o turistico-ricreativo.
Le ricadute pratiche di una tale distinzione non sono di poco conto: e infatti, mentre gli impianti attivi nel Lazio sono soggetti – come ricorda ancora la Corte costituzionale - ad un espresso «potere di iniziativa» degli enti locali, ai quali soltanto compete provvedere alla costruzione e alla gestione degli impianti stessi, che avviene di preferenza in economia, o in subordine mediante aziende speciali, ovvero ancora in «regime di concessione» a imprese private, scelte quest’ultime secondo i princìpi dell’evidenza pubblica, all’opposto, le procedure di affidamento a evidenza pubblica sono riservate, dalla legislazione della Provincia autonoma di Bolzano, ai soli impianti che svolgono attività di trasporto pubblico locale collegando località stabilmente abitate, mentre gli impianti a uso sportivo o turistico-ricreativo, non integrati nel sistema provinciale dei trasporti pubblici, sono lasciati alla libera iniziativa economica privata.
Mentre, quindi, gli impianti che svolgono attività turistico-ricreativa o sportiva attivi nel Lazio sono proprietà degli enti locali che li hanno costruiti, al contrario quelli ricompresi nella Provincia di Bolzano «sono in massima parte di proprietà di privati, insistono su terreni di proprietà privata, e sono armonicamente integrati con sistemi di piste, impianti di nebulizzazione artificiale, scuole da sci, attrezzature alberghiere e di ristorazione, parimenti realizzati e gestiti da imprese private».
Pertanto, il procedimento concessorio dell’esercizio di questa tipologia di impianti a fune (di cui alla legge prov. Bolzano n. 1 del 2006) «parte dal presupposto dell’iniziativa di un privato: il quale chieda per l’appunto di essere autorizzato a costruire, e poi a gestire, l’impianto a fune, in molti casi su un terreno già di propria proprietà, allo scopo di esercitare un’attività imprenditoriale di fornitura di servizi commerciali aventi a oggetto impianti destinati all’uso sportivo e turistico-ricreativo».
Si segnala che il tema è stato comunque oggetto di diversi interventi normativi, nel corso della XVIII legislatura, anche in relazione alla situazione derivante dalla diffusione del virus COVID-19.
Innanzitutto, la legge di bilancio 2018 ha disposto la proroga di un ulteriore anno della vita tecnica degli impianti di risalita in scadenza nel 2018, limitatamente agli skilift siti nel territorio della regione Abruzzo (rispetto a quella già prevista per gli impianti in scadenza nel 2017) estendendo la proroga, con riferimento agli impianti in scadenza nel 2018, anche alla regione Marche.
Successivamente, il decreto-legge n. 123 del 2019 ha ulteriormente prorogato per il 2020, alle medesime condizioni, la vita tecnica dei suddetti impianti ed il decreto-legge n. 104 del 2020 ne ha previsto l'ulteriore proroga al 2021.
Il decreto-legge n. 18 del 2020 ha disposto uno stanziamento di 4 milioni di euro destinati alla realizzazione degli interventi urgenti di ripristino della funzionalità dell'impianto funiviario di Savona, a seguito della frana verificatasi lungo l'impianto, in concessione alla società Funivie S.p.a., per la realizzazione dei quali è stato inoltre nominato un commissario.
Il decreto-legge n. 23 del 2020, come modificato dal decreto-legge n.183 del 2020, ha disposto che le scadenze relative alle revisioni generali e speciali quinquennali nonché quelle relative agli scorrimenti e alle sostituzioni delle funi e al rifacimento dei loro attacchi di estremità sono prorogate di 12 mesi, qualora sia trasmessa prima delle suddette scadenze all'Autorità di sorveglianza, da parte del direttore o del responsabile dell'esercizio, una dettagliata e completa relazione in merito ai controlli effettuati, ai provvedimenti adottati e all'esito delle verifiche e delle prove eseguite, contenente l'attestazione della sussistenza delle condizioni di sicurezza per l'esercizio pubblico.
Si è quindi previsto che, per il 2020 e fino al termine dell'emergenza da Covid-19, non sia obbligatoria la partecipazione dell'Autorità di sorveglianza alle verifiche e alle prove periodiche da effettuare da parte del direttore o del responsabile dell'esercizio o dell'assistente tecnico. Infine, le scadenze relative ai termini di inizio e di conclusione delle opere di realizzazione di impianti a fune per le quali è già stata rilasciata l'approvazione dei progetti sono prorogate di 24 mesi (secondo quanto previsto dal citato decreto-legge n. 183 del 2020).
Le procedure per l'attuazione delle citate disposizioni sono rimesse ad un regolamento adottato con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti.
Da ultimo, con D.M. 25 gennaio 2021, n. 28 (GU 11.03.2021) è stato emanato il "Regolamento recante proroga delle scadenze delle revisioni generali e speciali quinquennali, nonché di quelle relative agli scorrimenti e alle sostituzioni delle funi e al rifacimento dei loro attacchi di estremità degli impianti a fune".
Vale la pena infine ricordare che – con riferimento al tragico incidente del Mottarone in Piemonte del 2021 – in risposta alle interrogazioni in Commissione Trasporti dei deputati Tasso 6095 e Maccanti e altri 6095 – il Governo ebbe a rispondere che:
“in relazione al tragico incidente che è avvenuto il 23 maggio 2021 sulla funivia Stresa Mottarone, esprimo in primo luogo profondo cordoglio nei confronti dei familiari delle vittime. Quanto all'esatta dinamica dell'incidente ed all'accertamento delle relative cause, sono, come è noto, in corso le indagini da parte della competente Procura della Repubblica, nei cui confronti le strutture del Ministero stanno fornendo e forniranno tutte le informazioni e i documenti richiesti. A tale fine, la Direzione generale per le investigazioni del Ministero ha istituito un'apposita Commissione ispettiva, composta da esperti qualificati nel settore della sicurezza del trasporto a fune, con il compito di individuare, anche in collaborazione con l'Autorità giudiziaria, le cause di natura tecnica che hanno contribuito a generare l'evento. Allo stato, in relazione all'impianto in questione, aperto al pubblico esercizio nel 1970, risulta che:
???il 12 agosto del 2016 è stato rilasciato dall'USTIF (Ufficio Speciale per i Trasporti ad Impianti Fissi, organo periferico del Ministero) competente per territorio il nulla osta tecnico alla riapertura al pubblico esercizio a completamento dei lavori di revisione generale e di verifiche e prove svolte nei giorni 2, 3, 4 e 11 agosto 2016;
???nei giorni 12 e 13 luglio 2017 è stata effettuata, dallo stesso ufficio, la visita di ricognizione preliminare al rilascio del nulla osta tecnico all'esercizio notturno degli impianti rilasciato il giorno 19 luglio 2017;
???nei giorni 29 e 30 novembre 2017, a seguito della pubblicazione del decreto esercizio nel maggio 2017, è stata effettua la visita calendariale con la partecipazione di funzionari USTIF dopo il primo anno dalla revisione generale;
???il 14 dicembre 2018, è stata effettuata, per consentire l'esercizio pubblico in assenza del vetturino, sulla base del voto n. 3 del 2017 della Commissione Funicolari Aeree e Terrestri, organo consultivo del Ministero in materia funiviaria, la visita di ricognizione per la verifica del rispetto delle prescrizioni previste dallo stesso voto. La nuova visita da parte dell'USTIF era calendarizzata, in coerenza con le previsioni della normativa tecnica, per il corrente anno.
??Quanto alle funi traenti, risulta che esse sono state sottoposte a controllo magneto-induttivo di integrità, nel corso dell'anno 2020, da parte di una ditta specializzata in possesso di specifica certificazione.
??Più in generale, relativamente al regime dei controlli e delle attività manutentive degli impianti, esso è contenuto nel decreto del Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti 1° dicembre 2015 n. 203, nel decreto direttoriale n. 1 del 7 gennaio 2016, nel decreto direttoriale 11 maggio 2017, nel decreto dirigenziale n. 144 del 18 maggio 2016, nonché, da ultimo, nel decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti 5 gennaio 2021, n. 28, adottato in attuazione delle previsioni di cui all'articolo 14-ter del decreto-legge n. 23 del 2020. Detti decreti prevedono tempistiche rigorose e attribuiscono specifiche responsabilità al Direttore di esercizio dell'impianto, nominato dal gestore ed in possesso dei requisiti professionali accertati dall'USTIF.
??In particolare, sono previsti in capo all'esercente l'esecuzione di ispezioni annuali, di controlli giornalieri, settimanali e mensili.
??In caso di interruzione per periodi superiori ad un mese, qual è quella determinata dall'emergenza sanitaria in corso, prima della ripresa del servizio è necessaria l'effettuazione da parte del gestore di specifici controlli.
??Relativamente al tema della sicurezza degli impianti, nell'evidenziare che i controlli anche di natura ispettiva effettuati dagli USTIF avvengono secondo le modalità e le tempistiche definite nell'Allegato A del decreto ministeriale n. 203 del 2015, ricordo che, anche laddove si è provveduto ad approvare risoluzioni o emendamenti relativi all'effettuazione degli interventi di revisione di detti impianti, il Governo ha sempre escluso la possibilità di estendere tout court la durata della loro fine-vita tecnica in ragione del fermo da Covid-19. Ciò in considerazione dell'ineludibile necessità di garantire la sicurezza degli impianti e l'incolumità degli utenti”.
Articolo 36
(Abrogazioni e ulteriori disposizioni di coordinamento)
L’articolo 36 reca abrogazione delle disposizioni vigenti in materia di servizi pubblici locali di interesse economico generale, confluite nel provvedimento in esame o comunque ritenute non più necessarie rispetto al disegno complessivo di riordino della disciplina dei servizi pubblici locali di rilevanza economica (comma 1). La disposizione reca inoltre una disposizione di coordinamento con la nuova disciplina introdotta dal provvedimento in esame in materia di affidamenti di servizi pubblici locali di rilevanza economica (comma 2).
In particolare, sono abrogate le seguenti disposizioni (comma 1):
a) del regio decreto (R.D. 15/10/1925, n. 2578) di approvazione del testo unico della legge sull'assunzione diretta dei pubblici servizi da parte dei comuni e delle province, in materia di costituzione ed amministrazione delle aziende speciali (art. 1) aventi ad oggetto:
· trasporti funebri, anche con diritto di privativa, eccettuati i trasporti dei soci di congregazioni, confraternite ed altre associazioni costituite a tal fine e riconosciute come enti morali (numero 8);
· costruzione ed esercizio di stabilimenti per la macellazione, anche con diritto di privativa (numero 10);
· costruzione ed esercizio di mercati pubblici (numero 11);
· pubbliche affissioni, anche con diritto di privativa, eccettuandone sempre i manifesti elettorali e gli atti della pubblica autorità (numero 17).
b) del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali (d.lgs. n. 267 del 2000), già in parte abrogate o derogate da altre disposizioni di legge speciale, in materia di servizi pubblici locali (art. 112), gestione delle reti ed erogazione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica (art. 113) e tariffe dei servizi (art. 117) la cui disciplina è ora recata rispettivamente dagli articoli 21, 22, 23 e 26 del provvedimento in esame;
c) di alcune norme in materia di servizi pubblici recate dalla legge finanziaria 2002 (legge n. 448 del 2001) relative all’articolo 113 TUEL, abrogato per effetto della lettera b);
d) di alcune norme in materia di servizi pubblici recate dalla legge finanziaria 2008 (legge n. 244 del 2007) in materia di obbligo per ogni comune di aderire ad un'unica forma associativa tra quelle previste dal TUEL, divieto di permanenza di «adesioni multiple» oltre il 1° gennaio 2009 (articolo 2, comma 28) e rideterminazione degli ambiti territoriali ottimali per la gestione del servizio idrico integrato e del servizio di gestione integrata dei rifiuti (articolo 2, comma 38). Si tratta di disposizioni i cui termini siano scaduti ovvero in parte riconducibili alla più generale disciplina relativa ai nuovi meccanismi di incentivazione delle aggregazioni previsti dal presente provvedimento (art. 5);
e) di alcune norme del decreto legislativo (n. 4 del 2008) correttivo e integrativo del c.d. Codice dell’ambiente, che aveva introdotto l’articolo 206-bis (originariamente rubricato Osservatorio nazionale sui rifiuti, la cui rubrica è ora denominata Vigilanza e controllo in materia di gestione dei rifiuti) al predetto Codice;
f) di alcune norme del decreto-legge (n. 138 del 2011) recante ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo, relativamente agli ambiti territoriali e ai criteri di organizzazione dello svolgimento dei servizi pubblici locali (articolo 3-bis, comma 1-bis, quarto, quinto e sesto periodo) che facevano riferimento alla relazione abrogata per effetto della lettera h) che segue;
g) di alcune norme del decreto-legge c.d. liberalizzazioni (n. 1 del 2012) in materia di contenuto delle carte di servizio (art. 8), promozione della concorrenza nei servizi pubblici locali (art. 25, commi 6 e 7) e utilizzazione di crediti d'imposta per la realizzazione di opere infrastrutturali e investimenti finalizzati al miglioramento dei servizi pubblici locali (art. 26-bis). La disciplina della carta dei servizi è ora recata dall’articolo 25 del provvedimento ed è ispirata ai principi generali di concorrenza (di cui all’articolo 3 del provvedimento);
h) di alcune norme del decreto-legge c.d. crescita 2.0 (n. 179 del 2012) in materia di servizi pubblici locali di rilevanza economica (articolo 34, commi 20, 21, 22 e 25).
In particolare, viene abrogato (comma 20) l’obbligo per l’ente affidante di predisporre e pubblicare sul proprio sito internet la relazione che supporta l’affidamento dei servizi pubblici locali di rilevanza economica e che dà conto delle ragioni e della sussistenza dei requisiti previsti dall'ordinamento europeo per la forma di affidamento prescelta e che definisce i contenuti specifici degli obblighi di servizio pubblico e servizio universale, indicando le compensazioni economiche se previste.
La relativa disciplina è ora ripresa in alcuni punti dagli articoli 10, commi 4 e 5, art. 14 e art. 24.
Vengono inoltre abrogati alcuni obblighi di adeguamento degli affidamenti alla normativa europea che dovevano essere posti in essere entro termini scaduti oramai da diversi anni (commi 21, 22 e 25).
In aggiunta alle predette abrogazioni, per effetto dell’abrogazione della relazione di cui alla lettera h) che precede, viene infine sostituito il terzo periodo del comma 1-bis dell’articolo 3-bis del menzionato decreto-legge n. 138 del 2011 (su cui interviene altresì la lettera f) che precede).
In conseguenza dell’abrogazione dell’obbligo di relazione di cui art. 34, comma 20, del decreto-legge n. 179 del 2012, si prevede ora che le deliberazioni delle regioni (e province autonome) possano essere assunte nei competenti organi degli stessi senza necessità di ulteriori deliberazioni, preventive o successive da parte degli organi degli enti locali.
Articolo 37
(Clausola di invarianza finanziaria)
L’articolo 37 contiene la clausola di invarianza finanziaria riferita all’attuazione complessiva delle disposizioni del decreto legislativo in esame, dalle quali non devono derivare effetti finanziari negativi a carico della finanza pubblica (comma 1).
Le amministrazioni interessate devono, dunque, provvedere agli adempimenti previsti dal decreto con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente (comma 2).
[1] In quell'occasione, la Corte di Giustizia stabilì che le compensazioni degli obblighi di servizio pubblico non costituiscono aiuti di Stato se sono rispettate specifiche condizioni, fra cui la previa individuazione di parametri sulla base dei quali viene calcolata la compensazione in modo obiettivo e trasparente, affinché si eviti che essa possa comportare un vantaggio economico atto a favorire l'impresa beneficiaria rispetto a imprese concorrenti. Al riguardo, la Corte precisò che la compensazione da parte di uno Stato membro delle perdite subite da un'impresa, senza che siano stati previamente stabiliti i richiamati parametri, quando in un secondo tempo risulti che l'esercizio di alcuni servizi nell'ambito dell'adempimento di obblighi di servizio pubblico non è stato economicamente redditizio, costituisce un intervento finanziario ricadente nella nozione di aiuto di Stato. Inoltre, la compensazione non deve eccedere quanto necessario per coprire tutti o parte dei costi originati dall'adempimento degli obblighi di servizio pubblico, tenendo conto degli introiti relativi agli stessi, al netto di un margine di utile ragionevole per l'adempimento di tali obblighi. Infine, nei casi in cui la scelta dell'impresa chiamata a svolgere obblighi di servizio pubblico non consegua a una procedura di appalto pubblico che consenta di selezionare il candidato in grado di fornire tali servizi al costo minore per la collettività, occorre che l’ammontare della compensazione sia determinato tenendo conto dei costi che un'impresa media, gestita in modo efficiente e adeguatamente dotata delle risorse per poter soddisfare le esigenze di servizio pubblico richieste, avrebbe sostenuto per adempiere a tali obblighi, al netto degli introiti ad essi attinenti nonché di un margine di utile ragionevole.
Sulla materia si segnala, inoltre, la comunicazione della Commissione europea 2012/C 8/02 del gennaio 2012 che, tra le altre cose, ha fornito indicazioni interpretative in ordine ai principi stabiliti dalla sentenza Altmark. In particolare, è stato precisato che la compensazione degli oneri di servizio pubblico deve essere calcolata considerando i costi al netto degli introiti che l'impresa percepisce dalla fornitura del servizio economico di interesse generale; inoltre il margine di utile ragionevole deve essere considerato come tasso di remunerazione del capitale che sarebbe richiesto da un'impresa media per valutare se prestare o meno il servizio di interesse economico generale per l'intera durata del periodo di incarico, tenendo conto del livello di rischio.
[2] Come rilevato nello studio di sintesi del Protocollo n. 26 condotto dal CESI-European Academy, sebbene i servizi non economici non siano disciplinati dall’articolo 1 del Protocollo stesso, ciò nonostante essi non dovrebbero in alcun modo essere esclusi dall’attuazione dei valori del Protocollo da parte delle autorità nazionali. Al contrario, trattandosi di servizi intrinsecamente legati al sociale e alla cittadinanza, essi dovrebbero essere esemplari in termini di qualità, sicurezza, accessibilità economica, parità di trattamento, accesso universale e diritti degli utenti.
[3] L'art. 23-bis riconduceva all'interno della disciplina delle modalità di affidamento dei servizi pubblici locali di rilevanza economica anche il trasporto pubblico locale.
[4] Le disposizioni dell'art. 113 del Tuel abrogate per incompatibilità con l'art. 23-bis non sono tuttavia tornate a rivivere a seguito dell'abrogazione referendaria dello stesso art. 23-bis (come espressamente dichiarato dalla Corte costituzionale nella sent. n. 320 del 2011).
[5] In tema di affidamento, cfr. l'art. 7 del provvedimento in esame.
[6] Testualmente, l’art. 1, comma 2, lett. c) della legge n. 239 dispone che le attività di distribuzione di energia elettrica e gas naturale a rete, di esplorazione, coltivazione, stoccaggio sotterraneo di idrocarburi, nonché di trasmissione e dispacciamento di energia elettrica sono attribuite in concessione secondo le disposizioni di legge. Cfr. sul punto, anche Corte Costituzionale, sentenza n. 248/2006. Ivi la Corte ha affermato che “Vige, invece, nell’ordinamento il principio fondamentale, espresso ora dall’art. 1, comma 2, lettera c), della legge n. 239 del 2004, secondo cui l’attività distributiva dell’energia è attribuita «in concessione», principio che non è stato scalfito nel passaggio dal d.lgs. n. 79 del 1999 (Attuazione della direttiva 96/92/CE recante norme comuni per il mercato interno dell’energia elettrica) (art. 1) a tale testo normativo, pur a fronte del rafforzamento delle competenze regionali, assicurato, in sede di definizione dei criteri generali per le nuove concessioni, dalla necessità della previa intesa con la Conferenza unificata di cui all’art. 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281 (art. 1, comma 8, numero 7 della legge n. 239 del 2004, nel testo risultante a seguito della sentenza della Corte n. 383 del 2005).”
[7] Le attività di dispacciamento e trasmissione sono attività di interesse pubblico, riservate allo Stato e attribuite a Terna S.p.A. in concessione (c.d. monopolio naturale). Terna si occupa dunque, della trasmissione, ossia la gestione, il mantenimento e lo sviluppo della rete elettrica nazionale ad alta tensione, e del dispacciamento, attività che consiste nel gestire i flussi di elettricità sulla rete. Sul sistema elettrico, si rinvia alla pagina del sito istituzionale di Terna spa.
[8] Data di entrata in vigore del D.Lgs. n. 79/1999.
[9] Articolo 2, par. 1, n. 5) Direttiva 2009/73/CE, da ultimo modificata dalla Direttiva 2019/692/UE. Si veda anche D.lgs. n. 164/2000 articolo 1, comma 1, lett. n), che definisce distribuzione: il trasporto di gas naturale attraverso reti di gasdotti locali per la consegna ai clienti.
[10] D.lgs. di recepimento della direttiva 1998/30/CE, e successivamente modificato e integrato dal decreto legislativo n. 93/2011, di recepimento della Direttiva 2009/73/CE e dal decreto legislativo n. 46/2020 di recepimento della direttiva 2019/692/UE
[11] Cfr. ARERA segnalazione al Governo e Parlamento 86/2016/I/GAS e Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, segnalazione AS1262 approvata il 9 marzo 2016.
[12] Fonte: ANCI, Guida normativa agli enti locali 2022, Maggioli ed., pag. 2435. Nell’anno 2019, secondo quanto riporta l’AGCM nella segnalazione AS1633 – Pubblicazione dei bandi di gara per l’aggiudicazione del servizio di distribuzione del gas naturale del 19 novembre 2019, risultavano essere stati pubblicati, su un totale di 177 ATEM, solo ventotto bandi di gara. Di tutte quelle espletate, erano state aggiudicate due sole gare d’ATEM.
[13] il cui importo può giungere fino all'1 per cento del fatturato totale realizzato durante l'esercizio sociale precedente.
[14] delle loro controllate, controllanti e controllate da una medesima controllante.
[15] di fatto, o per legge, atto amministrativo o contratto.
[16] Cfr. articolo 17 del D.lgs. n. 175/2016, Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica.
[17] Cfr. ARERA deliberazione 6 dicembre 2012, 514/2012/R/Gas e D.M. 5 febbraio 2013, che ha approvato il contratto di servizio.
[18] Al riguardo si rammenta che l'articolo 1 del Protocollo 26 del Trattato sul funzionamento dell'Unione Europea prevede che i valori comuni dell'Unione con riguardo al settore dei servizi di interesse economico generale ai sensi dell'articolo 14 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea comprendono in particolare: il ruolo essenziale e l'ampio potere discrezionale delle autorità nazionali, regionali e locali di fornire, commissionare e organizzare servizi di interesse economico generale il più vicini possibile alle esigenze degli utenti; la diversità tra i vari servizi di interesse economico generale e le differenze delle esigenze e preferenze degli utenti che possono discendere da situazioni geografiche, sociali e culturali diverse; un alto livello di qualità, sicurezza e accessibilità economica, la parità di trattamento e la promozione dell'accesso universale e dei diritti dell'utente.
[19] Si riportano di seguito i principi e criteri direttivi previsti per l’esercizio della delega dal comma 2 del richiamato articolo 8: “2. I decreti legislativi di cui al comma 1 sono adottati, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, nel rispetto dei seguenti princìpi e criteri direttivi:
a) individuazione, nell'ambito della competenza esclusiva statale di cui all'articolo 117, secondo comma, lettera p), della Costituzione, da esercitare nel rispetto della tutela della concorrenza, dei princìpi e dei criteri dettati dalla normativa dell'Unione europea e dalla legge statale, delle attività di interesse generale il cui svolgimento è necessario al fine di assicurare la soddisfazione delle esigenze delle comunità locali, in condizioni di accessibilità fisica ed economica, di continuità, universalità e non discriminazione, e dei migliori livelli di qualità e sicurezza, così da garantire l'omogeneità dello sviluppo e la coesione sociale e territoriale;
b) adeguata considerazione delle differenze tra i servizi di interesse economico generale a rete di cui all'articolo 3-bis, comma 6-bis, del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148, e gli altri servizi pubblici locali di rilevanza economica, nel rispetto del principio di proporzionalità e tenuto conto dell'industrializzazione dei singoli settori, anche ai fini della definizione della disciplina relativa alla gestione e all'organizzazione del servizio idonea ad assicurarne la qualità e l'efficienza e della scelta tra autoproduzione e ricorso al mercato;
c) ferme restando le competenze delle autorità indipendenti in materia di regolazione economico-tariffaria e della qualità, razionalizzazione della ripartizione dei poteri di regolazione e di controllo tra tali soggetti e i diversi livelli di governo locale, prevedendo altresì la separazione, a livello locale, tra le funzioni regolatorie e le funzioni di diretta gestione dei servizi e il rafforzamento dei poteri sanzionatori connessi alle attività di regolazione;
d) definizione dei criteri per l'istituzione di regimi speciali o esclusivi, anche in considerazione delle peculiari caratteristiche economiche, sociali, ambientali e geomorfologiche del contesto territoriale di riferimento di determinati servizi pubblici, in base ai princìpi di adeguatezza e proporzionalità e in conformità alla normativa dell'Unione europea; superamento dei regimi di esclusiva non conformi a tali princìpi e, comunque, non indispensabili per assicurare la qualità e l'efficienza del servizio;
e) definizione dei criteri per l'ottimale organizzazione territoriale dei servizi pubblici locali, anche mediante l'armonizzazione delle normative di settore, e introduzione di incentivi e meccanismi di premialità che favoriscano l'aggregazione delle attività e delle gestioni dei servizi a livello locale;
f) razionalizzazione della disciplina concernente le modalità di affidamento e di gestione dei servizi pubblici, nonché la durata dei relativi rapporti contrattuali, nel rispetto dei princìpi dell'ordinamento dell'Unione europea e dei princìpi di proporzionalità e ragionevolezza;
g) fatto salvo il divieto di artificioso frazionamento delle prestazioni, previsione, per gli affidamenti di importo superiore alle soglie di cui all'articolo 35 del codice dei contratti pubblici, di cui al decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, di una motivazione qualificata, da parte dell'ente locale, per la scelta o la conferma del modello dell'autoproduzione ai fini di un'efficiente gestione del servizio, che dia conto delle ragioni che, sul piano economico e sociale, con riguardo agli investimenti, alla qualità del servizio, ai costi dei servizi per gli utenti, nonché agli obiettivi di universalità, socialità, tutela ambientale e accessibilità dei servizi, giustificano tale decisione, anche in relazione ai risultati conseguiti nelle pregresse gestioni in autoproduzione;
h) previsione di sistemi di monitoraggio dei costi ai fini del mantenimento degli equilibri di finanza pubblica, nonché della qualità, dell'efficienza e dell'efficacia della gestione dei servizi pubblici locali;
i) previsione che l'obbligo di procedere alla razionalizzazione periodica prevista dall'articolo 20 del testo unico in materia di società a partecipazione pubblica, di cui al decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 175, tenga conto anche delle ragioni che, sul piano economico e della qualità dei servizi, giustificano il mantenimento dell'autoproduzione anche in relazione ai risultati conseguiti nella gestione;
l) previsione di una disciplina che, in caso di affidamento del servizio a nuovi soggetti, valorizzi, nel rispetto del principio di proporzionalità, misure di tutela dell'occupazione anche mediante l'impiego di apposite clausole sociali;
m) estensione, nel rispetto della normativa dell'Unione europea, della disciplina applicabile ai servizi pubblici locali, in materia di scelta della modalità di gestione del servizio e di affidamento dei contratti, anche al settore del trasporto pubblico locale;
n) revisione delle discipline settoriali in materia di servizi pubblici locali, con particolare riferimento al settore dei rifiuti e alla gestione del servizio idrico, al fine di assicurarne l'armonizzazione e il coordinamento;
o) razionalizzazione del rapporto tra la disciplina dei servizi pubblici locali e la disciplina per l'affidamento dei rapporti negoziali di partenariato regolati dal codice del Terzo settore, di cui al decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 117, in conformità agli indirizzi della giurisprudenza costituzionale;
p) coordinamento della disciplina dei servizi pubblici locali con la normativa in materia di contratti pubblici e in materia di società a partecipazione pubblica per gli affidamenti in autoproduzione;
q) revisione della disciplina dei regimi di gestione delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni, nonché di cessione dei beni in caso di subentro, anche al fine di assicurare un'adeguata tutela della proprietà pubblica, nonché un'adeguata tutela del gestore uscente;
r) razionalizzazione della disciplina e dei criteri per la definizione dei regimi tariffari, anche al fine di assicurare una più razionale distribuzione delle competenze tra autorità indipendenti ed enti locali;
s) previsione di modalità per la pubblicazione, a cura degli affidatari, dei dati relativi alla qualità del servizio, al livello annuale degli investimenti effettuati e alla loro programmazione fino al termine dell'affidamento;
t) razionalizzazione della disciplina concernente le modalità di partecipazione degli utenti nella fase di definizione della qualità e quantità del servizio, degli obiettivi e dei costi del servizio pubblico locale e rafforzamento degli strumenti di tutela degli utenti, anche attraverso meccanismi non giurisdizionali;
u) rafforzamento, attraverso la banca dati nazionale dei contratti pubblici di cui all'articolo 29, comma 2, del codice di cui al decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, resa interoperabile con le banche dati nazionali già costituite, e la piattaforma unica della trasparenza, ivi compreso l'Osservatorio di cui all'articolo 1, comma 300, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, della trasparenza e della comprensibilità degli atti e dei dati concernenti la scelta del regime di gestione, ivi compreso l'affidamento in house, la regolazione negoziale del rapporto tramite contratti di servizio e il concreto andamento della gestione dei servizi pubblici locali dal punto di vista sia economico sia della qualità dei servizi e del rispetto degli obblighi di servizio pubblico;
v) definizione di strumenti per la trasparenza dei contratti di servizio nonché introduzione di contratti di servizio tipo.”.
[20] Si ricorda che nel corso della XVII Legislatura, con la legge n. 124 del 2015, era stata conferita una delega al Governo per il riordino dei servizi pubblici locali di interesse economico generale (art. 16 e art. 19 della legge citata). Nonostante la presentazione alle Camere del relativo schema di decreto legislativo, la delega non venne esercitata nei prescritti termini essendo intervenuta la sentenza della Corte costituzionale n. 251 del 2016, con la quale - tra l'altro - la Corte ebbe a dichiarare l'illegittimità costituzionale della delega in questione nella parte in cui, in relazione ai profili indicati nella sentenza medesima, prevedeva che il Governo adottasse i relativi decreti legislativi attuativi previo parere, anziché previa intesa, in sede di Conferenza unificata. La Corte rilevò, più specificamente che, nella materia dei servizi pubblici locali, sussiste un inscindibile intreccio fra competenze esclusive statali (con riferimento alla materia “tutela della concorrenza”, cui sono riconducibili, fra le altre, le disposizioni sulla soppressione dei regimi di esclusiva non conformi ai principi generali di concorrenza) e competenze regionali residuali (in materia di organizzazione amministrativa cui sono riconducibili, fra le altre, le disposizioni sulla soppressione dei regimi di esclusiva non indispensabili per assicurare la qualità e l’efficienza del servizio, nonché sugli ambiti territoriali ottimali). In presenza di tale intreccio, funzionale al progetto complessivo di riordino del settore, sarebbe stato necessario, ad avviso della Consulta, nel rispetto del principio di leale collaborazione, subordinare l’esercizio della delega alla concertazione con Regioni ed enti locali, attraverso lo strumento dell’intesa in sede di Conferenza unificata, non ritenendosi sufficiente il previo parere (previsto dall’articolo 16, comma 4, della citata legge n. 124 del 2015).
In ragione di ciò, la Corte costituzionale dichiarò l'illegittimità costituzionale dell’art. 19, lettere b), c), d), g), h), l), m), n), o), p), s), t) e u) della legge n. 124 del 2015 nella parte in cui, in combinato disposto con l’art. 16, commi 1 e 4, prevedeva che il Governo adottasse i relativi decreti legislativi attuativi previo parere, anziché previa intesa, in sede di Conferenza unificata.
Al fine di tener conto delle ricordate indicazioni della giurisprudenza costituzionale il comma 3 del articolo 8 della legge 118 del 2022 prevede che i decreti legislativi siano adottati previa intesa in sede di Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo n. 281 del 1997 relativamente ai criteri di delega di cui alle lettere a), b), c), d), e), l), m), n), o), q), r), s), t) e v) del comma 2 del medesimo articolo 8. Al riguardo si segnala che le disposizioni della citata legge n.124 oggetto di censura costituzionale per la previsione di un parere e non dell'intesa in sede di Conferenza unificata, investivano anche i seguenti ambiti: l'individuazione e allocazione dei poteri di regolazione e controllo tra i diversi livelli di governo e le autorità indipendenti (lettera n)), la distinzione tra le funzioni di regolazione e controllo e le funzioni di gestione dei servizi (lettera l)), la soppressione dei regimi di esclusiva (lettera b)), la revisione della disciplina dei regimi di proprietà e gestione delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni, nonché di cessione dei beni in caso di subentro (lettera m)), l'individuazione dei criteri per la definizione dei regimi tariffari (lettera g)), il coinvolgimento e la tutela degli utenti (lettere p), h) e o)), nonché la definizione di strumenti per la trasparenza e la pubblicizzazione dei contratti di servizio (lettera u)). Tali ambiti risultano sostanzialmente ricompresi fra quelli per i quali il comma 3 dell'articolo in questione prevede attualmente la necessità di adottare i decreti legislativi previa intesa in sede di Conferenza unificata.
[21] Consiglio di Stato, Sez. V, 13 dicembre 2006, n. 7369.
[22] Le aziende municipalizzate trovano la loro prima disciplina nella legge Giolitti n. 103 del 1903 e nel successivo testo unico n. 2578 del 1925 e costituiscono il modello organizzativo per la gestione, da parte dei comuni, dei servizi di primaria necessità in alternativa alla concessione a imprenditori privati.
[23] Le altre possibili forme di gestione erano: a) la gestione in economia, "quando per le modeste dimensioni o per le caratteristiche del servizio non sia opportuno costituire una istituzione o una azienda"; b) la concessione a terzi, "quando sussistano ragioni tecniche, economiche e di opportunità sociale"; c) a mezzo di istituzione, "per l'esercizio di servizi sociali senza rilevanza imprenditoriale"; d) "a mezzo di società per azioni o a responsabilità limitata a prevalente capitale pubblico locale costituite o partecipate dall'ente titolare del pubblico servizio, qualora sia opportuna in relazione alla natura o all'ambito territoriale del servizio la partecipazione di più soggetti pubblici o privati"; e) "a mezzo di società per azioni senza il vincolo della proprietà pubblica maggioritaria a norma dell'articolo 116".
[24] Si tratta dell'art. 17 della direttiva 2014/23/UE (Concessioni tra enti nell'ambito del settore pubblico), dell'art. 12 della direttiva 2014/24/UE (Appalti pubblici tra enti nell'ambito del settore pubblico), dell'art. 28 della direttiva 2014/25/UE (Appalti tra amministrazioni aggiudicatrici), i quali - con identiche disposizioni - disciplinano tipologie di concessioni e di appalti che presentano caratteristiche tali da poter essere escluse dall'ambito di applicazione della normativa europea in materia di procedure di affidamento dei contratti pubblici e da consentire il ricorso all’affidamento in house. Tra le disposizioni europee richiamate, la previsione di cui all'art. 12 della direttiva 2014/24/UE, che disciplina l'in house nei settori classici, può essere assunta a paradigma anche per l'in house nell'ambito delle concessioni e dei settori speciali, vista l'identità dei testi normativi specifici. Il citato art. 12 ha definito le condizioni che nrecessitano ai fini dell'esclusione, dall'ambito di applicazione della direttiva stessa, di un appalto pubblico aggiudicato da un'amministrazione a una persona giuridica di diritto pubblico o di diritto privato.
[25] In tale articolo, rubricato "Soglie di rilevanza comunitaria e metodi di calcolo del valore stimato degli appalti" si individuano specifiche soglie di rilevanza comunitaria - peraltro periodicamente rideterminate con provvedimento della Commissione europea - distinte a seconda che si tratti di: i) appalti pubblici di lavori e concessioni; ii) appalti pubblici di forniture, di servizi, nonché concorsi pubblici di progettazione aggiudicati dalle amministrazioni aggiudicatrici che sono autorità governative centrali (indicate nell'allegato III); gli appalti pubblici di forniture, di servizi e per i concorsi pubblici di progettazione aggiudicati da amministrazioni aggiudicatrici sub-centrali; appalti di servizi sociali e di altri servizi specifici elencati all'allegato IX alla medesima direttiva.
[26] Si tratta delle seguenti attività: a) produzione di un servizio di interesse generale, ivi inclusa la realizzazione e la gestione delle reti e degli impianti funzionali ai servizi medesimi; b) progettazione e realizzazione di un'opera pubblica sulla base di un accordo di programma fra amministrazioni pubbliche, ai sensi dell'articolo 193 del decreto legislativo n. 50 del 2016; c) realizzazione e gestione di un'opera pubblica ovvero organizzazione e gestione di un servizio d'interesse generale attraverso un contratto di partenariato di cui all'articolo 180 del decreto legislativo n. 50 del 2016, con un imprenditore (selezionato con le modalità di cui all'articolo 17, commi 1 e 2); d) autoproduzione di beni o servizi strumentali all'ente o agli enti pubblici partecipanti o allo svolgimento delle loro funzioni, nel rispetto delle condizioni stabilite dalle direttive europee in materia di contratti pubblici e della relativa disciplina nazionale di recepimento; e) servizi di committenza, ivi incluse le attività di committenza ausiliarie, apprestati a supporto di enti senza scopo di lucro e di amministrazioni aggiudicatrici.
[27] Legge annuale per il mercato e la concorrenza 2021
[28] Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali
[29] Codice dei contratti pubblici di cui al D.Lgs. 18 aprile 2016, n. 50.
[30] Il richiamato comma 461 dell’articolo 2 della legge n. 244 del 2007 stabilisce che al fine di tutelare i diritti dei consumatori e degli utenti dei servizi pubblici locali e di garantire la qualità, l'universalità e l'economicità delle relative prestazioni, in sede di stipula dei contratti di servizio gli enti locali sono tenuti ad applicare le seguenti disposizioni:
a) previsione dell'obbligo per il soggetto gestore di emanare una «Carta della qualità dei servizi», da redigere e pubblicizzare in conformità ad intese con le associazioni di tutela dei consumatori e con le associazioni imprenditoriali interessate, recante gli standard di qualità e di quantità relativi alle prestazioni erogate così come determinati nel contratto di servizio, nonché le modalità di accesso alle informazioni garantite, quelle per proporre reclamo e quelle per adire le vie conciliative e giudiziarie, nonché le modalità di ristoro dell'utenza, in forma specifica o mediante restituzione totale o parziale del corrispettivo versato, in caso di inottemperanza;
b) consultazione obbligatoria delle associazioni dei consumatori;
c) previsione che sia periodicamente verificata, con la partecipazione delle associazioni dei consumatori, l'adeguatezza dei parametri quantitativi e qualitativi del servizio erogato fissati nel contratto di servizio alle esigenze dell'utenza cui il servizio stesso si rivolge, ferma restando la possibilità per ogni singolo cittadino di presentare osservazioni e proposte in merito;
d) previsione di un sistema di monitoraggio permanente del rispetto dei parametri fissati nel contratto di servizio e di quanto stabilito nelle Carte della qualità dei servizi, svolto sotto la diretta responsabilità dell'ente locale o dell'ambito territoriale ottimale, con la partecipazione delle associazioni dei consumatori ed aperto alla ricezione di osservazioni e proposte da parte di ogni singolo cittadino che può rivolgersi, allo scopo, sia all'ente locale, sia ai gestori dei servizi, sia alle associazioni dei consumatori;
e) istituzione di una sessione annuale di verifica del funzionamento dei servizi tra ente locale, gestori dei servizi ed associazioni dei consumatori nella quale si dia conto dei reclami, nonché delle proposte ed osservazioni pervenute a ciascuno dei soggetti partecipanti da parte dei cittadini;
f) previsione che le attività di cui alle lettere b), c) e d) siano finanziate con un prelievo a carico dei soggetti gestori del servizio, predeterminato nel contratto di servizio per l'intera durata del contratto stesso.
[31] L’art. 141-octies individua le seguenti “Autorità competenti”, preposte, fra l’altro, alla tenuta degli elenchi degli organismi ADR: Ministero della giustizia unitamente al Ministero dello sviluppo economico (ora Ministero delle imprese e del made in Italy, ai sensi dell’art. 2 del DL 173/2022); Commissione nazionale per le società e la borsa (CONSOB); Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni (IVASS); Autorità per l’energia elettrica, il gas e il sistema idrico (ora Autorità di regolazione per energia reti e ambiente – ARERA – ai sensi dell’art. 1, comma 528, delle legge 205/2017, legge di bilancio 2018); Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (AGCOM); Banca d’Italia; altre autorità di regolazione di specifici settori.
[32] Si rinvia, per quanto concerne gli organismi ADR, alle informazioni pubblicate sul sito del Ministero delle imprese e del made in Italy.
[33] Ministero della giustizia unitamente al Ministero delle imprese e del made in Italy, con riferimento al registro degli organismi di mediazione relativo alla materia del consumo, nonché CONSOB, IVASS, ARERA, AGCOM, per quanto di rispettiva competenza, Banca d’Italia, altre Autorità Amministrative indipendenti, di regolazione di specifici settori, ove, secondo le rispettive competenze, disciplinino specifiche procedure ADR, e il Ministero delle imprese e del made in Italy, nel caso di negoziazioni paritetiche.
[34] Il richiamato comma 2 dispone che i piani di razionalizzazione sono adottati ove le amministrazioni pubbliche rilevino:
a) partecipazioni societarie che non rientrino in alcuna delle categorie consentite dall'articolo 4;
b) società che risultino prive di dipendenti o abbiano un numero di amministratori superiore a quello dei dipendenti;
c) partecipazioni in società che svolgono attività analoghe o similari a quelle svolte da altre società partecipate o da enti pubblici strumentali;
d) partecipazioni in società che, nel triennio precedente, abbiano conseguito un fatturato medio non superiore a un milione di euro (tale soglia è ridotta a 500 mila euro per i trienni 2015-2017 e 2016-2018);
e) partecipazioni in società diverse da quelle costituite per la gestione di un servizio d'interesse generale che abbiano prodotto un risultato negativo per quattro dei cinque esercizi precedenti;
f) necessità di contenimento dei costi di funzionamento;
g) necessità di aggregazione di società aventi ad oggetto le attività consentite all'articolo 4.
[35] Il citato comma 25-bis dell’articolo 13 del decreto legge n. 145 del 2013 stabilisce che gli enti locali sono tenuti ad inviare le relazioni di cui all'articolo 34, commi 20 e 21, del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, all'Osservatorio per i servizi pubblici locali, istituito presso il Ministero dello sviluppo economico che provvede a pubblicarle nel proprio portale telematico contenente dati concernenti l'applicazione della disciplina dei servizi pubblici locali di rilevanza economica sul territorio. I richiamati commi 20 e 21 dell'articolo 34 del decreto-legge n. 179 del 2012 prevedono a loro volta che, per i servizi pubblici locali di rilevanza economica, al fine di assicurare il rispetto della disciplina europea, la parità tra gli operatori, l'economicità della gestione e di garantire adeguata informazione alla collettività di riferimento, l'affidamento del servizio è effettuato sulla base di apposita relazione, pubblicata sul sito internet dell'ente affidante, che dà conto delle ragioni e della sussistenza dei requisiti previsti dall'ordinamento europeo per la forma di affidamento prescelta e che definisce i contenuti specifici degli obblighi di servizio pubblico e servizio universale, indicando le compensazioni economiche se previste. Dei citati commi 20 e 21, essendo le relative previsioni assorbite o comunque superate da quelle dello schema di decreto in esame, viene disposta l'abrogazione dal successivo articolo 36 dello schema medesimo.
[36] Il richiamato comma 300 dell’articolo 1 della legge n. 244 del 2007 ha previsto l’istituzione, presso il Ministero dei trasporti (ora delle infrastrutture della mobilità sostenibile), dell'Osservatorio nazionale per il supporto alla programmazione e per il monitoraggio del trasporto pubblico locale e della mobilità locale sostenibile, cui partecipano i rappresentanti dei Ministeri competenti, delle regioni e degli enti locali, al fine di creare una banca dati e un sistema informativo pubblico correlati a quelli regionali e di assicurare la verifica dell'andamento del settore.
[37] Si noti che l’art. 31 dello schema qui in commento prevede che i dati ricevuti dall’Osservatorio di cui all’art. 1, comma 300, della legge n. 244 del 2007 (su cui v. infra nel testo) siano caricati sulla piattaforma unica gestita dall’ANAC.
[38] Tra i più recenti, v. lo studio di Mediobanca sugli Indicatori di efficienza e qualità delle local utilities operanti nei 10 maggiori comuni italiani (2019).
Con decreto del Ministro pro tempore Paola De Micheli in data 4 gennaio 2021, è stata poi istituita una commissione di studio per il TPL (presieduta dal prof. Bernardo Mattarella) che ha terminato i suoi lavori nel mese di settembre 2021. La Relazione finale è stata quindi trasmessa alle Camere dal Ministro, Enrico Giovannini.
Elementi sulla tematica generale dei rapporti tra impresa, mercato unico europeo e diritto alla mobilità emergono anche a proposito della continuità territoriale delle isole maggiori. Al riguardo, la nozione di “onere di servizio pubblico” propone quesiti sostanzialmente analoghi a quelli del TPL: sul punto, v. il contenuto dell’audizione del presidente dell’Autorità di sistema portuale del Mar di Sardegna, Massimo Deiana, alla Commissione Trasporti della Camera, il 14 novembre 2021 (v. minuti da 30 in poi).
[39] Si ricorda, per esempio, che per il comune di Roma (consiliatura 2016-2021) si è svolto un referendum consultivo - ai sensi dell’articolo 8 del tuel e dell’articolo 10 dello statuto del comune di Roma (Roma Capitale) - sulla messa a gara pubblica del servizio di trasporto pubblico (c.d. privatizzazione dell’ATAC). La consultazione si è tenuta l’11 novembre 2018 ma non è stata ritenuta valida, poiché vi ha partecipato solo il 16,4 per cento degli aventi diritto (inferiore al 33 per cento richiesto dal citato articolo 10 dello statuto, al comma 2, secondo periodo). Successivamente, Roma Capitale ha riassegnato, con affidamento diretto, il servizio all’ATAC e il TAR Lazio (RM), sez. II, 3 febbraio 2020, n. 1408, ha dichiarato inammissibile il ricorso del comitato promotore del referendum – volto a impugnare tale affidamento diretto - in ragione della sopravvenuta carenza di legittimazione attiva (proprio in virtù dell’esaurimento della procedura referendaria).
[40] Sulle clausole sociali in generale v. il parere del Consiglio di Stato – reso sulle linee guida dell’ANAC – il 21 novembre 2018, n. 2703 nonché tra le tante Consiglio di Stato, sez. V, 2 novembre 2020, n. 6761.
[41] Norme concernenti il servizio farmaceutico.
[42] Ordinamento delle autonomie locali. Legge abrogata dall'art. 274 del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267.
[43] Per controllo analogo s'intende la situazione in cui l'amministrazione esercita su una società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi, esercitando un'influenza determinante sia sugli obiettivi strategici che sulle decisioni significative della società controllata. Tale controllo può anche essere esercitato da una persona giuridica diversa, a sua volta controllata allo stesso modo dall'amministrazione partecipante.