II Commissione
Giustizia
Giustizia (II)
Commissione II (Giustizia)
Comm. II
1.
giovedì 27 settembre 2018
PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GIULIA SARTI
Sigle dei gruppi parlamentari:
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Lega - Salvini Premier: Lega;
Partito Democratico: PD;
Forza Italia - Berlusconi Presidente: FI;
Fratelli d'Italia: FdI;
Liberi e Uguali: LeU;
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo Italiani all'Estero: Misto-MAIE;
Misto-Civica Popolare-AP-PSI-Area Civica: Misto-CP-A-PS-A;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Noi con l'Italia: Misto-NcI;
Misto-+Europa-Centro Democratico: Misto-+E-CD;
Misto-Noi con l'Italia-USEI: Misto-NcI-USEI.
Sulla pubblicità dei lavori:
Sarti Giulia, presidente ... 3
INDAGINE CONOSCITIVA IN MERITO ALL'ESAME DELLE PROPOSTE DI LEGGE C. 392 MOLTENI E C. 460 MORANI, IN MATERIA DI INAPPLICABILITÀ DEL GIUDIZIO ABBREVIATO AI DELITTI PUNITI CON LA PENA DELL'ERGASTOLO
Audizione di rappresentanti dell'Osservatorio nazionale sostegno vittime:
Sarti Giulia, presidente ... 3 6 7 8 9 11
Aldrovandi Elisabetta, presidente dell'Osservatorio nazionale sostegno vittime ... 3 9 10
Alfano Mattia, legale dell'Osservatorio nazionale sostegno vittime ... 5 9
Ascari Stefania (M5S) ... 9
Bartolozzi Giusi (FI) ... 8
Ferraioli Marzia (FI) ... 9 11
Paolini Luca Rodolfo (Lega) ... 8
Profeta Carola, presidente dell'Associazione Noi per la famiglia ... 7 10
Tateo Anna Rita (Lega), relatrice ... 9
Vianello Romina, socia onoraria dell'Osservatorio nazionale sostegno vittime ... 6
Audizione di rappresentanti del Consiglio nazionale forense (CNF) e dell'Unione delle Camere penali italiane (UCPI):
Sarti Giulia, presidente ... 11 16 18
Brezigar Luca Andrea, rappresentante dell'Unione delle Camere penali italiane (UCPI) ... 13 16 17
Conte Federico (LEU) ... 17
Ferraioli Marzia (FI) ... 17
Miceli Carmelo (PD) ... 16
Savi Stefano, consigliere nazionale del Consiglio nazionale forense (CNF) ... 11 18
Audizione di rappresentanti dell'Associazione nazionale magistrati (ANM):
Sarti Giulia, presidente ... 18 21 22 24
Conte Federico (LEU) ... 21
Miceli Carmelo (PD) ... 22
Minisci Francesco, presidente dell'Associazione nazionale magistrati (ANM) ... 18 22
Paolini Luca Rodolfo (Lega) ... 22
Vitiello Catello (Misto–MAE) ... 22
Audizione di Nicola Triggiani, professore di diritto processuale penale presso l'Università degli studi di Bari «Aldo Moro», di Agostino De Caro, professore di diritto processuale penale presso l'Università degli studi del Molise, di Stefano Preziosi, professore di diritto penale presso l'Università Lum «Jean Monnet» di Bari, di Giuseppe Della Monica, professore di procedura penale presso l'Università degli studi di Cassino e del Lazio meridionale e di Giorgio Spangher, professore emerito di procedura penale presso l'Università degli studi di Roma «La Sapienza»:
Sarti Giulia, presidente ... 24 27 29 37 38 40 42
Bazoli Alfredo (PD) ... 40
De Caro Agostino, professore di diritto processuale penale presso l'Università degli studi del Molise ... 26 27 40
Della Monica Giuseppe, professore di procedura penale presso l'Università degli studi di Cassino ... 33 39
Paolini Luca Rodolfo (Lega) ... 38
Preziosi Stefano, professore di diritto penale presso l'Università Lum «Jean Monnet» di Bari ... 30 41
Spangher Giorgio, professore emerito di procedura penale presso l'Università degli studi di Roma «La Sapienza» ... 35 38
Triggiani Nicola, professore di diritto processuale penale presso l'Università degli studi di Bari «Aldo Moro» ... 24
Vitiello Catello (Misto–MAE) ... 37
Sulla pubblicità dei lavori:
Sarti Giulia, Presidente ... 3
INDAGINE CONOSCITIVA IN MERITO ALL'ESAME DELLE PROPOSTE DI LEGGE C. 392 MOLTENI E C. 460 MORANI, IN MATERIA DI INAPPLICABILITÀ DEL GIUDIZIO ABBREVIATO AI DELITTI PUNITI CON LA PENA DELL'ERGASTOLO
Audizione di rappresentanti dell'Osservatorio nazionale sostegno vittime.
Sarti Giulia, Presidente ... 3
Aldrovandi Elisabetta, presidente dell'Osservatorio nazionale sostegno vittime ... 3
Alfano Mattia, legale dell'Osservatorio nazionale sostegno vittime ... 5
Sarti Giulia, Presidente ... 6
Vianello Romina, socia onoraria dell'Osservatorio nazionale sostegno vittime ... 6
Sarti Giulia, Presidente ... 7
Profeta Carola, presidente dell'Associazione Noi per la famiglia ... 7
Sarti Giulia, Presidente ... 8
Paolini Luca Rodolfo (LEGA) ... 8
Sarti Giulia, Presidente ... 8
Bartolozzi Giusi (FI) ... 8
Aldrovandi Elisabetta, presidente dell'Osservatorio nazionale sostegno vittime ... 9
Sarti Giulia, Presidente ... 9
Ascari Stefania (M5S) ... 9
Ferraioli Marzia (FI) ... 9
Tateo Anna Rita (LEGA) ... 9
Sarti Giulia, Presidente ... 9
Alfano Mattia, legale dell'Osservatorio nazionale sostegno vittime ... 9
Aldrovandi Elisabetta, presidente dell'Osservatorio nazionale sostegno vittime ... 10
Profeta Carola, presidente dell'Associazione Noi per la famiglia ... 10
Ferraioli Marzia (FI) ... 11
Sarti Giulia, Presidente ... 11
Audizione di rappresentanti del Consiglio nazionale forense (CNF) e dell'Unione delle Camere penali italiane (UCPI):
Sarti Giulia, Presidente ... 11
Savi Stefano, consigliere nazionale del Consiglio nazionale forense (CNF) ... 11
Brezigar Luca Andrea, rappresentante dell'Unione delle Camere penali italiane (UCPI) ... 13
Sarti Giulia, Presidente ... 16
Brezigar Luca Andrea, rappresentante dell'Unione delle Camere penali italiane (UCPI) ... 16
Sarti Giulia, Presidente ... 16
Brezigar Luca Andrea, rappresentante dell'Unione delle Camere penali italiane (UCPI) ... 16
Sarti Giulia, Presidente ... 16
Miceli Carmelo (PD) ... 16
Ferraioli Marzia (FI) ... 17
Conte Federico (LeU) ... 17
Brezigar Luca Andrea, rappresentante dell'Unione delle Camere penali italiane (UCPI) ... 17
Savi Stefano, consigliere nazionale del Consiglio nazionale forense (CNF) ... 18
Sarti Giulia, Presidente ... 18
Audizione di rappresentanti dell'Associazione nazionale magistrati (ANM):
Sarti Giulia, Presidente ... 18
Minisci Francesco, presidente dell'Associazione nazionale magistrati (ANM) ... 18
Sarti Giulia, Presidente ... 21
Conte Federico (LeU) ... 21
Miceli Carmelo (PD) ... 22
Vitiello Catello (Misto-MAIE) ... 22
Paolini Luca Rodolfo (LEGA) ... 22
Sarti Giulia, Presidente ... 22
Minisci Francesco, presidente dell'Associazione nazionale magistrati (ANM) ... 22
Sarti Giulia, Presidente ... 24
Audizione di Nicola Triggiani, professore di diritto processuale penale presso l'Università degli studi di Bari «Aldo Moro», di Agostino De Caro, professore di diritto processuale penale presso l'Università degli studi del Molise, di Stefano Preziosi, professore di diritto penale presso l'Università Lum «Jean Monnet» di Bari, di Giuseppe Della Monica, professore di procedura penale presso l'Università degli studi di Cassino e del Lazio meridionale e di Giorgio Spangher, professore emerito di procedura penale presso l'Università degli studi di Roma «La Sapienza»:
Sarti Giulia, Presidente ... 24
Triggiani Nicola, professore di diritto processuale penale presso l'Università degli studi di Bari «Aldo Moro» ... 24
De Caro Agostino, professore di diritto processuale penale presso l'Università degli studi del Molise ... 26
Sarti Giulia, Presidente ... 27
De Caro Agostino, professore di diritto processuale penale presso l'Università degli studi del Molise ... 27
Sarti Giulia, Presidente ... 27
De Caro Agostino, professore di diritto processuale penale presso l'Università degli studi del Molise ... 27
Sarti Giulia, Presidente ... 29
Preziosi Stefano, professore di diritto penale presso l'Università Lum «Jean Monnet» di Bari ... 30
Della Monica Giuseppe, professore di procedura penale presso l'Università degli studi di Cassino ... 33
Spangher Giorgio, professore emerito di procedura penale presso l'Università degli studi di Roma «La Sapienza» ... 35
Sarti Giulia, Presidente ... 37
Vitiello Catello (Misto-MAIE) ... 37
Paolini Luca Rodolfo (LEGA) ... 38
Sarti Giulia, Presidente ... 38
Spangher Giorgio, professore emerito di procedura penale presso l'Università degli studi di Roma «La Sapienza» ... 38
Della Monica Giuseppe, professore di procedura penale presso l'Università degli studi di Cassino ... 39
Sarti Giulia, Presidente ... 40
Bazoli Alfredo (PD) ... 40
De Caro Agostino, professore di diritto processuale penale presso l'Università degli studi del Molise ... 40
Bazoli Alfredo (PD) ... 40
De Caro Agostino, professore di diritto processuale penale presso l'Università degli studi del Molise ... 40
Preziosi Stefano, professore di diritto penale presso l'Università Lum «Jean Monnet» di Bari ... 41
Sarti Giulia, Presidente ... 42
PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
GIULIA SARTI
La seduta comincia alle 15.40.
Sulla pubblicità dei lavori.
PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-TV della Camera dei deputati.
Audizione di rappresentanti dell'Osservatorio nazionale sostegno vittime.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione, nell'ambito dell'indagine conoscitiva in merito all'esame delle proposte di legge C. 392 Molteni e C. 460 Morani, in materia di inapplicabilità del giudizio abbreviato ai delitti puniti con la pena dell'ergastolo, di rappresentanti dell'Osservatorio nazionale sostegno vittime.
Darei la parola prima al presidente Elisabetta Aldrovandi per un'illustrazione. Seguirà la relazione dell'avvocato Mattia Alfano e delle due socie onorarie, Romina Vianello e Carola Profeta, che si articolerà in un quarto d'ora, venti minuti. Lasceremo poi lo spazio per qualche domanda da parte dei commissari e per una breve replica.
Do la parola al presidente Aldrovandi.
ELISABETTA ALDROVANDI, presidente dell'Osservatorio nazionale sostegno vittime. Spettabile Commissione, relatrice onorevole Anna Rita Tateo, partecipanti tutti a questa indagine conoscitiva, ringrazio sentitamente per l'invito rivolto all'Osservatorio nazionale sostegno vittime allo scopo di conoscere anche il punto di vista di coloro che, subendo gravissimi fatti di reato, si ritrovano a sopportare, oltre a un dolore spesso insostenibile, il peso di una giustizia inefficiente sia sotto il profilo di un'adeguata condanna riparativa, sia sotto il profilo di una giusta pena per il reo.
In particolare, la nostra associazione ha come scopo precipuo la stesura di proposte di legge, ossia si pone l'obiettivo di colmare quell'insostenibile squilibrio tra diritti, benefici, talvolta privilegi degli imputati e dei condannati, cui corrisponde un inesorabile assottigliamento dei diritti delle vittime, relegate in fondo nelle aule di tribunale, spesso neppure ascoltate nel loro dolore, soprattutto quando, come nel caso di fruizione di riti alternativi garanti di sconti di pena, si evita la fase più importante di un processo, ossia quella istruttoria.
La riforma del rito abbreviato si pone quale misura assolutamente necessaria, stante la connotazione stratificata che compone l'attuale ambito processuale italiano, caratterizzato da una serie di procedure e situazioni legislative di favore che garantiscono al condannato sconti di pena e liberazioni anticipate per il solo fatto di avere commesso un delitto ed essere stato condannato, parafrasando un famoso romanzo, in perfetto stile «Delitto e premio».
Basta pensare alla legge 10 ottobre 1986, n. 663, più conosciuta come legge Gozzini, che prevede, tra le altre misure in favore del reo, tre mesi di riduzione di pena per ogni anno di condanna, applicata sì, sulla carta, in presenza di determinati presupposti, ma nei fatti beneficiata dalla quasi totalità dei detenuti.
Il rito abbreviato, come spiegherà meglio l'avvocato Alfano, che in prosieguo approfondirà gli aspetti tecnici di queste proposte di legge, è un giudizio alternativo, che, se chiesto dall'imputato, va concesso, a differenza dell'applicazione della pena su richiesta, e comporta lo sconto di pena di un terzo, nella generalità dei casi, una cosiddetta misura deflattiva introdotta per ridurre i carichi pendenti dei tribunali e finita con l'essere sfruttata e, a nostro avviso, abusata per i crimini più orrendi contro la persona, come lo stupro, la pedofilia, l'omicidio, le lesioni gravissime.
È usuale, infatti, il ricorso a questo rito soprattutto nei casi di evidente e conclamata colpevolezza dell'imputato, perché, in questo modo, unitamente a un'offerta risarcitoria piuttosto che a una lettera ben scritta in cui manifesta resipiscenza per il delitto commesso, il reo ha ottime possibilità di vedersi ridotta considerevolmente la pena, il tutto senza considerare che il ricorso a questo rito non nega la possibilità di ricorrere in appello, ottenendo spesso ulteriori riduzioni di condanna.
Per questo il sentimento comune, avvalorato dai dati di fatto, quasi unanimemente grida all'ingiustizia di questo rito, soprattutto laddove sia applicato per crimini efferatissimi, puniti con l'ergastolo: stupro seguito da omicidio, omicidio premeditato aggravato dalla crudeltà, abusi su minore seguiti da omicidio.
Sono gli stessi familiari di persone care rimaste vittime di questi atroci delitti a scendere in campo, denunciando apertis verbis l'ingiustizia di questo rito e degli sconti di pena che reca con sé e promuovendo raccolte di firme a sostenerne la modifica.
Qui con noi oggi ci sono Romina Vianello, che racconterà la sua terribile storia di ingiustizia subita, e Carola Profeta, che, assieme alla mamma di Jennifer Sterlecchini, uccisa dal fidanzato con 17 coltellate, ha raccolto tantissime firme perché questa proposta di legge venisse approvata, così come Antonella Fontana, sorella di Anna Rosa, letteralmente decapitata dall'ex compagno davanti ai due figli piccoli, che da anni si batte perché questa riforma sia finalmente approvata.
Non sono i poteri forti, non sono intellettuali avulsi dalla realtà quotidiana, sono loro, le vittime, che chiedono di vietare sconti di pena per i delitti più gravi. Noi dell'Osservatorio nazionale sostegno vittime siamo immensamente grati all'onorevole Nicola Molteni, primo firmatario di questa proposta di legge, per aver accolto e ascoltato il grido di dolore di persone lasciate sole in un ergastolo che probabilmente è peggio della più stretta, fredda e angusta cella e per aver strenuamente combattuto, assieme ai parlamentari che l'hanno sostenuto, nella scorsa legislatura, perché tale proposta fosse approvata prima dello scioglimento delle Camere.
Qualcuno sostiene che sono i familiari di persone così barbaramente uccise a non volere la riforma di questo rito, perché un rito abbreviato consente un risarcimento danni più veloce e soprattutto elimina il fardello di un processo penale lungo e oneroso, che ricorda loro ogni giorno la disgrazia subita. Nulla di più falso. Il dolore lacerante che prova una madre che ha perso una figlia per mano di chi avrebbe dovuto amarla non svanisce con la sentenza di condanna del suo carnefice, ma logora anima e corpo per tutto il resto della sua vita. Chi si trincera dietro queste giustificazioni per lasciare tutto così com'è non ha mai parlato con chi ha subìto simili lutti ed efferatezze, dai quali è spesso impossibile riprendersi.
Peraltro, anche qualora si volesse ricorrere alla motivazione del risarcimento che con il rito abbreviato potrebbe essere più veloce, si può sconfessare questa motivazione in un battito di ciglia, perché nella grande maggioranza dei processi decisi con questo rito il condannato è nullatenente e non risarcisce alcunché, o quantomeno non risarcisce se non in minima parte il danno economico riconosciuto in via provvisionale.
Le vittime vogliono non vendetta, ma giustizia. Questo sistema reocentrico, del tutto concentrato a concedere benefìci a pioggia, spesso senza verificare se veramente sussistono presupposti soggettivi di meritevolezza, ha reso il carnefice protagonista non solo delle cronache giudiziarie, bensì pure di quelle mediatiche. Chi si ricorda il nome della vittima di Amanda Knox? Chi si ricorda il nome della vittima di Stefano Parolisi? Chi si ricorda il nome delle vittime di Rosa e Olindo?
Essere dalla parte delle vittime sempre, uno degli hashtag che contraddistingue le nostre battaglie, non significa vendicarsi dei carnefici. Significa restituire giustizia alle vittime, a chi le ha amate in vita e si ritrova a piangerle in una disperazione inconsolabile, resa tale anche dal fatto di assistere a condanne evidentemente sproporzionate per difetto rispetto alla gravità del crimine commesso. La rieducazione della pena passa anche da qui, dai princìpi di certezza e di proporzionalità della condanna. Non dimentichiamolo mai.
MATTIA ALFANO, legale dell'Osservatorio nazionale sostegno vittime. Sarò breve, perché Elisabetta Aldrovandi mi ha tolto molti degli argomenti.
Innanzitutto vi ringrazio per l'invito. Io vi porto la parola non di un professore universitario, come potete vedere anche dalla mia età, ma di un avvocato penalista che da quindici anni calca le aule dei tribunali in tutta Italia, principalmente difendendo le vittime.
Vi esporrò forse dei concetti già conosciuti, ma che cos'è il rito abbreviato? Il rito abbreviato è una scelta dell'imputato, che può decidere di farsi giudicare sulla base degli atti presenti nel fascicolo del pubblico ministero. L'idea del rito abbreviato ha la sua giustificazione in un momento storico ben preciso. Si passava da un processo costruito integralmente dal pubblico ministero sulle carte processuali a un processo che, invece, si doveva costruire nelle aule di giustizia. L'idea, in un dato senso, era quella di invogliare gli imputati a seguire un rito che avrebbe dovuto essere più celere, perché si temeva l'ingolfamento delle aule di giustizia.
Questo momento storico, che ha giustificato la scelta di un rito così per tutte le tipologie di reati, in realtà, secondo noi, è stato superato dalle modifiche legislative successive. Penso principalmente alle investigazioni difensive. Mentre prima il rito abbreviato era pensato effettivamente per un imputato che accettava la ricostruzione dei fatti offerta dalle indagini svolte dal pubblico ministero, adesso la difesa può svolgere investigazioni difensive, può raccogliere sommarie informazioni testimoniali (SIT), ossia testimonianze, nel proprio studio e le può produrre cinque giorni prima dell'udienza preliminare.
Di fatto il pubblico ministero e le parti civili si trovano un fascicolo che prima era costruito in un modo e può essere poi costruito in tutt'altro. A fronte di questa situazione, comunque, se l'imputato fa una richiesta di rito abbreviato, il pubblico ministero e il giudice non possono far altro che prenderne atto.
Sorge, allora, il problema di capire se sia ancora attuale uno sconto di pena così consistente senza alcun tipo di valutazione, perché, proprio di fronte a una richiesta di rito abbreviato semplice, è impossibile qualunque tipo di opposizione da parte della parte civile o del pubblico ministero.
Dicevo prima che lo sconto di pena è automatico. A differenza delle attenuanti, non c'è alcun bilanciamento e non si tiene conto né della gravità della condotta né della totale assenza di condotte riparatorie o riabilitative.
Il nostro sistema, che da sempre, dalla creazione del Codice di procedura penale, è stato pensato come riabilitativo e non come punitivo, ha introdotto un rito che snatura totalmente le pene pensate dal legislatore, senza che si possa tener conto della personalità del soggetto che lo richiede.
Spesso si è detto che la parte civile è ospite nel processo penale. Io penso che non sia così, forse questo concetto ormai è stato superato dalle modifiche normative. La parte civile è a tutti gli effetti parte del processo dall'inizio alla fine. Io penso – lo ripeto – che anche la parte civile possa svolgere le investigazioni difensive e possa presentare una lista di testi. Ci sono soprattutto due concetti fondamentali molto pratici che è bene tener presente: la parte civile, se non svolge le proprie difese all'interno del processo penale, ha l'alternativa di svolgere un processo civile a proprie spese; più grave è il reato commesso e più gravi sono le conseguenze e il costo di un processo civile, oltre alla lunghezza dei tempi processuali.
Ho letto sui giornali che in merito a questa proposta di legge ci possono essere profili di incostituzionalità. A mio avviso, questa concezione è superata anche da parte degli altri ordinamenti europei. Per esempio, sto seguendo un processo in Spagna, dove la parte civile a tutti gli effetti può chiedere la punizione e anche una modifica della pena rispetto alle richieste del pubblico ministero. Se siamo europei, guardiamo anche al resto dell'Europa per vedere cosa succede in favore delle vittime e quale tutela si offre loro.
Io penso anche ad altri due riti già presenti nel nostro ordinamento, cioè il patteggiamento e il decreto penale di condanna, che sono due riti alternativi rispetto al processo ordinario che comunque comportano una valutazione da parte del pubblico ministero. Il patteggiamento e il decreto penale di condanna sono esclusi in molti casi: il patteggiamento quando supera una certa soglia edittale, il decreto penale per determinate tipologie di reato elencate. Non vedo per quale ragione il rito abbreviato, che comunque comporta vantaggi e benefìci certamente evidenti per l'imputato, non possa o non debba comportare dubbi di legittimità costituzionale quando già da decenni abbiamo due riti che sono ugualmente diversificati.
Il criterio principe per stabilire la legittimità costituzionale di una norma è la sua ragionevolezza e, a nostro avviso, è irragionevole una norma che da trent'anni sta facendo venir meno due pilastri fondamentali del nostro ordinamento penale. Il primo pilastro è che la pena deve essere rieducativa. Secondo me, non è rieducativa una norma che blinda uno sconto così rilevante a prescindere dalla condotta dell'imputato.
Io sono salito in treno questa mattina per venire qui da voi a Roma: assisto una parte civile che ha visto le sue due bambine violentate dal convivente. Per tutta la durata processuale questa persona, non solo ha offeso la madre delle due bambine, ma non ha dato alcuna forma di risarcimento né altro. Ha scelto il rito abbreviato e oggi si è trovata uno sconto di quasi tre anni rispetto alla pena finale. C'è una finalità rieducativa in questa pena? C'è una finalità rieducativa per una persona che durante i tre anni di processo si è fatta beffe dei familiari delle vittime?
L'altro pilastro a cui mi riferivo è quello generale preventivo, cioè la pena deve spaventare – permettetemi il termine poco giuridico – chi si trova nel dubbio se commettere o meno un reato. Secondo me non ha senso, è irragionevole un rito che assicura a tutti gli imputati, a prescindere dalla gravità della loro condotta, e da quanto terribili siano i loro delitti, uno sconto così elevato, che sommato alle riduzioni di pena in fase esecutiva e agli istituti premiali di fatto rende la pena un miraggio.
Concludo dicendo una cosa: spesso parliamo per gli imputati di giusto processo, dell'articolo 111 della Costituzione. Noi siamo qui a portare la voce delle vittime che assieme a un giusto processo vogliono anche un processo giusto.
PRESIDENTE. Grazie, avvocato Alfano. Passiamo la parola a Romina Vianello.
ROMINA VIANELLO, socia onoraria dell'Osservatorio nazionale sostegno vittime. Buongiorno a tutti. Ringrazio per la possibilità di essere qui a rappresentare le vittime.
Mio marito è stato ucciso il 22 marzo 2007 da un ex dipendente, in maniera molto barbara, incaprettato. Mi sono ritrovata sola con tre figli, di cui la più piccola era ancora nel mio grembo: l'ho partorita dopo pochi giorni dal fatto. Praticamente l'omicida ci ha rovinato la vita, perché ci ha portato via tutto, mi ha portato via mio marito e ha creato altri problemi.
Noi siamo qui per chiedere giustizia, perché non venga applicato il rito abbreviato: l'assassino, ora in Moldavia, avrebbe preso l'ergastolo, con lo sconto di pena trent'anni, che non saranno mai... I complici non sono stati mai presi. Quindi credo che, alla fine, l'ergastolo lo fanno le vittime, come lo sto scontando io, perché non siamo mai stati aiutati, non c'è un risarcimento, non c'è niente, lo Stato ci ha lasciati soli. Mi sono ritrovata con tre figli. L'ergastolo lo sto scontando io, come tutte le altre nostre vittime dell'osservatorio e del mondo: lo stiamo subendo e lo subiremo a vita.
Chiedo che sia fatta giustizia, che almeno non venga applicato il rito abbreviato, affinché si possa avere giustizia. Chiedo solo questo: giustizia.
PRESIDENTE. Ringrazio per la testimonianza Romina Vianello. Diamo la parola a Carola Profeta.
CAROLA PROFETA, presidente dell'Associazione Noi per la famiglia. Buonasera a tutti. Ringrazio la Commissione, il presidente e gli onorevoli. Ringrazio l'osservatorio, che mi dà oggi la possibilità di portare la voce di altre vittime.
Io sono il presidente dell'associazione Noi per la famiglia, che è un'associazione che, tra le tante cose, difende la vita dal concepimento alla sua morte naturale e si è ritrovata in Abruzzo a dover sostenere e a combattere la battaglia contro la violenza di genere e contro il femminicidio. In Abruzzo negli ultimi diciotto mesi (l'Abruzzo ha 1,3 milioni di abitanti) sono state uccise otto donne. Oggi mi sento una grande responsabilità, perché sono la voce di queste vittime che sono in cielo e dei familiari delle vittime che qui chiedono giustizia. Di fronte alla legge, come si è detto già prima, l'unico ergastolo che viene emesso è quello nei loro confronti.
Io ho portato dei dati. Parto da un'indagine, i cui risultati sono stati recentemente depositati in Senato, dove si dice che il 60 per cento delle condanne per omicidio rientra tra i dieci e i trent'anni di reclusione, quindi significa che sei omicidi su dieci al massimo prendono trent'anni di carcere.
Con la mia associazione abbiamo sostenuto una raccolta firme molto importante che sostiene la proposta di legge che stiamo discutendo. Solo in Abruzzo abbiamo raccolto 30.000 firme. Questa petizione, che è nata dal desiderio di Fabiola Bacci e di Jonathan Sterlecchini, la mamma e il fratello di Jennifer Sterlecchini, non è in loro favore, perché non può essere applicata al processo che li riguarda in quanto già concluso il primo grado. Però, era il modo per dare senso alla loro grande sofferenza.
Questa petizione – leggo molto brevemente com'è stata impostata – fa riferimento al testo di legge e dice: «È giunta l'ora di dire basta a questi eventi di sangue commessi da individui», perché noi non vogliamo che ci sia una specificità di genere, in quanto la violenza degli omicidi riguarda sia le donne sia gli uomini, «che poi godono dei benefìci previsti dai riti alternativi al processo penale ordinario, con conseguente riduzione della pena, oltre a fruire delle premialità del regime carcerario vigente».
Stiamo raccogliendo le firme in tutta Italia, anche perché domenica scorsa su Rai Tre è andata in onda una puntata di una trasmissione molto importante che ha raccontato la vicenda: dal giorno dopo da tutta Italia ci hanno chiamato perché volevano firmare anche loro questa petizione.
Do voce anche alla storia di Anna Rosa Fontana, una storia emblematica perché l'assassino aveva già tentato di ucciderla nel 2005 con diciassette coltellate davanti al figlio. È stato condannato a 12 anni e qualche mese. Non riporto i dati, non sono precisa, ma sono scritti qua. Con il rito abbreviato, la pena è scesa a 8 anni. Il responsabile dopo due anni è stato mandato agli arresti domiciliari e viveva a 300 metri dalla casa della vittima, che ha dovuto denunciarlo nuovamente per stalking.
Mentre si celebrava il processo per stalking, al termine del quale è stato condannato, nel dicembre del 2010 ha finito ciò che non era riuscito a fare cinque anni prima: sempre sotto casa e sempre davanti agli occhi del figlio, l'ha ammazzata, l'ha decapitata.
Questo è per dire che, se non ci fosse stato il rito abbreviato, nel dicembre 2010 il sospetto sarebbe stato in carcere e probabilmente Anna Rosa sarebbe viva e in questo momento starebbe crescendo i suoi tre figli, che sono rimasti orfani, perché il padre è in galera, e che sono affidati alla nonna e alla zia, che se ne stanno prendendo cura. Ci tengo a sottolineare che anche lì lo Stato è completamente assente.
È importante capire che oggi, quando si uccide una donna, si uccide un intero nucleo familiare. Non è possibile, e lo dicono i dati, che chi commette un omicidio in Italia prenda 12 anni di media di carcere e dopo esca.
L'articolo 27 della Costituzione, e chiudo, dice testualmente che «le pene devono tendere alla rieducazione del condannato», ma in carcere, non fuori. Grazie.
PRESIDENTE. Do la parola ai colleghi che desiderano intervenire.
LUCA RODOLFO PAOLINI. Mi rivolgo all'avvocato Aldrovandi, che conosco avendo partecipato a più incontri, e all'avvocato Alfano, che non conosco.
Avete fatto riferimento alla normativa spagnola. Vorrei chiedervi conoscete o ci sapete indicare fonti su cui documentarci sull'esistenza di un istituto analogo in altri Paesi sia di common law sia di rito di origine latina e su come grosso modo viene disciplinata la materia.
Faccio una breve glossa a quello che ha detto la signora: lo Stato è assente. No, lo Stato è fin troppo presente, solo che è mal presente. Una pena viene già ridotta del 30 per cento, di un terzo, o poco più, poi a quel 30 per cento bisogna aggiungere un'ulteriore riduzione automatica del 20 per cento concessa per la liberazione anticipata: 10 anni diventano 5, gli ultimi 3 o 4 non si scontano, quindi alla fine accade che sommando tutti questi benefìci si ottiene una massima ingiustizia. Credo sia doveroso, quindi, da parte del Parlamento, provvedere.
Oltretutto, a quanto mi risulta, e concludo, nei Paesi anglosassoni, quando si patteggia, finisce lì. Io ho assistito poco tempo fa a un caso. Quando si patteggia, è finita lì, lo Stato non si deve più occupare di niente, quindi si applica il beneficio di pena a fronte della perdita totale della possibilità di impugnazione, e del diritto di chiedere o di tentare di chiedere il risarcimento per le vittime. Comunque, non c'è più un onere processuale.
Da noi, invece, oltre allo sconto di pena, attualmente c'è anche un continuo onere processuale. E non c'è neanche l'efficacia deflattiva...
PRESIDENTE. Onorevole Paolini, l'ho lasciata finire, però le considerazioni politiche si faranno in un'altra sede, in discussione generale. Questo è il momento per porre domande agli auditi, non per esprimere le proprie convinzioni.
GIUSI BARTOLOZZI. Innanzitutto, credo che a nome di tutta la Commissione sia doveroso un ringraziamento alla presidente Aldrovandi e alle due signore per il fattivo apporto dato alle vittime di questi reati.
La mia domanda è più tecnica. L'avvocato Alfano porta la sua esperienza quindicennale; io porto in questa Commissione la mia esperienza di tecnico, anch'io, della giustizia. Necessariamente le devo fare una brevissima premessa.
Dico per voi, che aiutate le vittime e che siete di supporto alle vittime, che una cosa è la condanna e una cosa è l'esecuzione di una pena che viene inflitta. E una cosa è certa: non può succedere quello che ha detto lei, che dai 12 anni inflitti si passi agli 8, e poi non si scontino neanche quelli.
Qui, però, parliamo di esecuzione della pena, che è una cosa diversa, è la mia parola da avvocato. Non confondiamo, per favore, il tema dell'accertamento con quello del passaggio all'esecuzione della pena. Il punto è che, finché l'indagato non chiede di celebrare il rito con l'abbreviato, fino a prova contraria è un innocente.
Sono cose tecniche. La domanda arriva subito, presidente.
Noi abbiamo un rito che, come correttamente ha detto lei, viene giudicato allo stato degli atti, quindi sulla base dell'incartamento che è nel fascicolo ed è visionabile sia dall'indagato sia dalla parte civile, per cui parliamo di una facoltà, di una scelta processuale, a cui consegue poi una riduzione. Nel momento in cui l'indagato lo chiede, l'imputato lo chiede, non è ancora un condannato, non è ancora un colpevole, è uno che deve subire un processo.
Allora, le chiedo se a suo giudizio è corretto che sia demandato al pubblico ministero consentire o meno l'accesso, sulla base di una formulazione di imputazione, a un rito, a una scelta. A suo giudizio, avvocato Alfano, è corretto che sia demandata a un pubblico ministero questa facoltà? Lei sa benissimo, perché come me è un tecnico, che l'imputazione è rimessa al pubblico ministero: è lecito demandare al pubblico ministero, sulla base dell'imputazione che formulerà, la possibilità o meno che una persona acceda a un rito, che è premiale, ma è premiale quando ancora è un presunto innocente?
ELISABETTA ALDROVANDI, presidente dell'Osservatorio nazionale sostegno vittime. Vorrei solo fare un piccolo inciso. La domanda è per l'avvocato Alfano, che sicuramente risponderà in maniera tecnica. Sono avvocato anch'io, ma comunque non è un problema.
Onorevole Bartolozzi, lei sa quante assoluzioni ci sono nei processi decisi con rito abbreviato, in percentuale? Quante sono?
È vero che c'è la presunzione di innocenza, ma le posso garantire, almeno dai dati che abbiamo in mano noi, che sono veramente poche le assoluzioni nei processi decisi con rito abbreviato.
PRESIDENTE. Ci sono ancora alcuni interventi, poi concludiamo e passiamo alla replica e alla prossima audizione, perché sono già arrivati i rappresentanti del Consiglio nazionale forense e dell'Unione delle camere penali.
STEFANIA ASCARI. Vorrei solo ringraziare veramente dal profondo per questi interventi, e vorrei ringraziare in particolare per il fatto di aver citato Anna Rosa Fontana.
Lei si era rivolta più e più volte con grande lucidità alle Forze dell'ordine, le quali, come risulta da un'intercettazione telefonica, le fecero presente di smetterla di chiamare. Noi siamo qui apposta per cercare di tutelare le vittime e per cercare veramente di ascoltarle e mettere un freno a questo silenzio. Grazie mille.
MARZIA FERRAIOLI. Vorrei un chiarimento sulla domanda che l'avvocato Aldovrandi ha rivolto all'onorevole Bartolozzi sul numero di assoluzioni attraverso l'abbreviato. Vorrei capire le ragioni di questa domanda. Non è che il solo fatto di chiedere un giudizio abbreviato possa corrispondere a un'ammissione di colpevolezza. È un rito come un altro. Non è ordinario, è alternativo a quello ordinario. Vigendo la considerazione di non colpevolezza e la valutazione di un giudice che raccoglie gli elementi di prova, il giudizio è rimesso al giudice. Non è che la scelta dell'abbreviato sia già ammissione di colpevolezza.
È diffusa, questa convinzione, nella collettività. Si ritiene che si chieda l'abbreviato per evitare l'ergastolo. Non è così. È l'accesso a un rito, premiale o non premiale, ma è un rito alternativo a quello ordinario. Non è un'ammissione di colpevolezza. È una scelta.
ANNA RITA TATEO. Vorrei ringraziarvi. Sicuramente faremo tesoro delle vostre testimonianze in particolar modo, perché sono rimasta realmente toccata dall'esperienza che hanno subìto le vostre socie. Tutto quello che fate nei diversi territori per noi è molto importante, per cui cercheremo in tutti i modi di farne tesoro: lo faremo e ci impegneremo per questo. Grazie.
PRESIDENTE. Lascio la parola gli auditi per la replica, a cominciare dall'avvocato Alfano.
MATTIA ALFANO, legale dell'Osservatorio nazionale sostegno vittime. Grazie, presidente. In primo luogo rispondo alla domanda sugli ordinamenti europei. Dico la verità, confesso la mia ignoranza, nel senso che ho citato l'ordinamento spagnolo perché sto seguendo un processo in Spagna.
In Spagna la vittima ha la possibilità di partecipare a un processo sia come parte civile sia come pubblico accusatore, quindi è un sistema che funziona tranquillamente, nel quale la vittima ha un ruolo attivo, non semplicemente passivo.
Per quanto riguarda invece la richiesta che mi faceva l'onorevole, da tecnico sottolineo che non è l'indagato, ma è l'imputato che fa la richiesta di rito abbreviato, perché siamo già dopo la fase di cui all'articolo 415-bis, del cpp, ma questa è solo un'annotazione tecnica, però secondo me si sbaglia il punto di partenza e il punto di vista. Qui non c'è la demonizzazione del rito, nessuno sta dicendo che deve essere soppresso il rito abbreviato. Io stesso, quando mi trovo a difendere gli imputati, lo valuto fra le possibilità di scelta per la miglior difesa dell'imputato.
Qui stiamo parlando di una cosa diversa, cioè se sia ancora attuale, con questo sistema di procedura penale, uno sconto secco di un terzo della pena o dall'ergastolo a 30 anni rispetto alla scelta di un rito – ripeto – che quando è stato introdotto era un rito allo stato degli atti, che prendeva per buone le investigazioni fatte dal pubblico ministero, quindi l'imputato accettava le documentazioni ricostruite dal pubblico ministero. Adesso la difesa dell'imputato può raccogliere investigazioni difensive, può raccogliere le proprie testimonianze presso lo studio del difensore, può produrre questa documentazione cinque giorni prima dell'udienza preliminare come fascicolo del difensore e fare il rito abbreviato sulla base di quei documenti.
Si tratta di una scelta assolutamente legittima, non credo che sia altrettanto ragionevole l'automaticità dello sconto della pena di un terzo rispetto a un rito che di fatto non è più quello che era stato pensato.
ELISABETTA ALDROVANDI, presidente dell'Osservatorio nazionale sostegno vittime. Brevemente, volevo rispondere all'ultima domanda dell'onorevole Ferraioli. Sì, è vero che c'è la presunzione di innocenza fino al terzo grado di giudizio, ma è altresì vero che come associazione, onorevole, andiamo oltre quello che c'è scritto sul codice di procedura penale, sul codice penale o nell'ordinamento penitenziario, perché nella nostra associazione ci sono decine di vittime, donne stuprate, familiari di persone che hanno subìto atroci perdite di figli, di mariti, di mogli, uomini e donne gravemente sfregiati con l'acido che hanno subìto lesioni gravissime, vittime di ogni genere.
Abbiamo una donna che è stata sequestrata per cinque ore, stuprata ripetutamente (non vi dico secondo quali modalità), le è stata tagliata la gola e si è salvata per caso, e chiaramente il carnefice ha avuto accesso al rito abbreviato.
Sapete qual è il fatto? Se uno va a leggere le carte processuali e non si limita al discorso delle statistiche, vede che nella stragrande maggioranza dei casi in cui si è avuto accesso a questo rito c'era una conclamata colpevolezza, c'erano degli indizi talmente gravi, precisi e concordanti che in realtà con un processo ordinario l'imputato avrebbe avuto una condanna molto più alta, quindi nella stragrande maggioranza dei casi chi accede a questo rito lo fa per avere uno sconto di pena.
Il discorso della presunzione di innocenza è tanto bello, è giusto, però ci sono anche casi di flagranza di reato, di colpevolezza talmente conclamata che la presunzione di innocenza fino al terzo grado di giudizio – scusatemi – è una ulteriore violenza per la vittima stuprata, una violenza ancora maggiore per Antonella Fontana che ha perso la sorella, per Fabiola Bacci che ha perso la figlia Jennifer e per tutte le altre persone che subiscono crimini violenti ed efferati, lutti forti e atroci da cui è impossibile riprendersi.
Vorrei che, al di là della forma e di ciò che viene scritto nei codici sterili, asettici, ci fosse anche un pochino non dico di emotività, ma di empatia, di capacità di mettersi nei panni di chi subisce reati simili e si trova la porta delle aule di giustizia sbattuta in faccia. Solo questo, grazie.
CAROLA PROFETA, presidente dell'Associazione Noi per la famiglia. Non sono un avvocato, non sono un tecnico, la presunzione di innocenza è legittima. Ma ricordo il caso ad esempio di Jennifer Sterlecchini, una ragazza di 26 anni uccisa con 17 coltellate, massacrata; dietro la porta c'era la mamma che ascoltava le urla della figlia che diceva: «mamma, aiutami, mi sta uccidendo». Il responsabile preventivamente aveva chiuso la porta a chiave, e non gli sono stati riconosciuti né la premeditazione, né i futili motivi: si trattava di un tablet. Era la sua ex fidanzata, e quindi c'è anche l'aggravante del vincolo sentimentale.
È stato condannato in primo grado a 30 anni, ma, se non ci fosse stato il rito abbreviato, sarebbe stato l'ergastolo. Il problema è che quei 30 anni non saranno mai tali e, che la mamma Fabiola e il fratello Jonathan probabilmente tra 15 anni lo vedranno in giro per la città, a Pescara. In questo caso c'è la colpevolezza in flagranza di reato perché lui ha aperto la porta, i soccorritori sono entrati e hanno constatato che lei era morta e che lui si era addirittura ferito per depistare le indagini, sostenendo che era stata lei per prima a colpirlo.
Solo per la crudeltà di sapere che la mamma stava dietro la porta, gli dovrebbero dare altri tre anni, solo perché la mamma tutte le notti rievoca le urla della figlia.
MARZIA FERRAIOLI. Se posso, presidente....
PRESIDENTE. No, purtroppo non posso lasciarle la parola adesso, onorevole Ferraioli, le domande andavano fatte prima, adesso abbiamo un'altra audizione. Ringraziamo gli auditi per la loro testimonianza e per il contributo che ci hanno dato.
Dichiaro conclusa l'audizione.
Audizione di rappresentanti del Consiglio nazionale forense (CNF) e dell'Unione delle Camere penali italiane (UCPI).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione, nell'ambito dell'indagine conoscitiva in merito all'esame delle proposte di legge C. 392 Molteni e C. 460 Morani, in materia di inapplicabilità del giudizio abbreviato ai delitti puniti con la pena dell'ergastolo, di rappresentanti del Consiglio nazionale forense (CNF) e dell'Unione delle Camere penali italiane (UCPI).
Sono presenti il consigliere nazionale del Consiglio nazionale forense (CNF), Stefano Savi, e il rappresentante dell'Unione delle Camere penali italiane (UCPI), Luca Andrea Brezigar.
Lascerei quindi la parola prima al consigliere nazionale Savi e successivamente al rappresentante dell'UCPI Brezigar per una relazione di una decina di minuti. Alle relazioni degli auditi faranno seguito le domande dei commissari.
STEFANO SAVI, consigliere nazionale del Consiglio nazionale forense (CNF). Grazie, presidente, e grazie a tutti per l'attenzione che ci volete concedere. Il mio sarà un intervento tecnico, e prendo spunto proprio dalle terribili storie che abbiamo appena ascoltato, che certamente hanno una potenzialità suggestiva e ripropongono un problema che spesso è, prima di tutto, di ordine pubblico e ha una serie di sfaccettature.
Il processo penale (scusate se dico cose che conoscete benissimo) è un meccanismo assai complesso, che è chiamato a dare risposte molteplici su diversi piani, risposte di carattere pubblico, con riguardo alla tutela pubblica, risposte di carattere privato, con riguardo alla tutela delle parti civili, ma anche a garantire un sistema di giusto processo per cui non si fanno trattamenti di favore, ma si applica la legge uguale per tutti.
Il processo penale è frutto, anche se un frutto con una motivazione molto travagliata, di battaglie che hanno coinvolto la nostra società, la società europea e non solo quella, attraverso un comune cammino, che ha distillato princìpi che oggi stanno alla base del processo, che vanno articolati e attualizzati, ma che non si possono dimenticare.
Mi permetto di dire questo perché, nell'esaminare il problema del processo, occorre sforzarsi di avere una visione completa del processo stesso e non lasciarsi condizionare da un aspetto o dall'altro. Questo lo dico da avvocato, avvocato che naturalmente ha un ruolo di garanzia per tutti i tipi di processi, che difende l'imputato, che difende la parte civile, e noi siamo attenti da sempre a che nel processo si applichi la legge nel migliore dei modi e la legge sia fatta in modo tale da pervenire a risultati che diano risposte il più possibile soddisfacenti a tutte le istanze che si rivolgono al processo per avere giustizia e tutela.
Dico questo perché una delle caratteristiche del processo dovrebbe essere quella della sistematicità, cioè di uno strumento che abbia una sua logica interna, che spesso tende a perdere a fronte di interventi non organici. E il processo deve rispondere anche ad esigenze di celerità.
Credo che questo rito, che noi abbiamo salutato come una novità assoluta, con grandi speranze che poi in gran parte abbiamo perso, abbia subìto un vulnus notevole, quanto alla durata. Questo sistema si basa su un processo che deve essere veloce, che, a fronte di un fatto che può costituire reato, deve produrre una risposta in tempi rapidi. Se così fosse stato, avremmo avuto la spiegazione più semplice di tutta una serie di istituti.
Quando è entrato in vigore questo codice, i riti alternativi (noi conoscevamo il decreto penale, che era una cosa molto diversa dall'abbreviato e dal patteggiamento) suscitarono non poche riserve e non pochi contrasti, proprio per il fatto che nel nostro ordinamento fossero trasferiti istituti propri di altri ordinamenti di carattere anglosassone, che in qualche modo incidevano sull'azione penale.
Certo l'azione penale da noi rimane obbligatoria e sono convinto che sia giusto così, a fronte di altri Paesi dove l'azione penale è oggetto di contrattazione, ma l'obiettivo dei riti cosiddetti «premiali» è quello di arrivare prima a una sentenza definitiva, certamente allettando con uno sconto di pena. Non sono d'accordo sul fatto che l'abbreviato dia tutte queste garanzie, tutti questi vantaggi al pubblico ministero, che ha sempre strumenti diversi dalla difesa, ma ha anche la possibilità di contrastare all'ultimo momento i depositi di indagini difensive.
Al di là di questo dobbiamo pensare che questi riti, che non hanno avuto la diffusione che si pensava dovessero avere, perché il progetto iniziale parlava di riti che avrebbero dovuto sfoltire l'80 per cento dei processi, cosa che non è, dovrebbero avere la funzione di arrivare prima a una sentenza definitiva.
Questo è un dato che non può essere dimenticato, perché se abbiamo perso per adesso (spero che si faccia molto per riguadagnare terreno) la battaglia del tempo, che deve essere breve, quantomeno teniamo presente che questi riti hanno anche questa funzione, quella di arrivare prima – specialmente di fronte a processi complessi, che naturalmente prevedono pene più alte – ad una definizione del processo. Se ci fossero altre strade e un impegno di tutti per trovarle, si potrebbe anche pensare che questa concessione possa non essere più attuale.
La scelta di limitare l'inapplicabilità ai reati puniti con l'ergastolo, che oggi finiscono per essere tramutati in una pena di 30 anni, lascia abbastanza perplessi, perché effettivamente sono a volte proprio i processi dove è bene che si arrivi prima a una sentenza definitiva. Non dimentichiamo che, tra le varie cause che possono creare le giuste doglianze e preoccupazioni di chi non è un tecnico e non si intende di certe cose, c'è anche il fatto che il processo, essendo lungo, vede magari scadere i termini e l'imputato tornerà in libertà, cose che certo un rito più veloce non determinerebbe.
I reati più complessi dovrebbero essere definiti in un tempo minore ed evitare il processo in dibattimento potrebbe consentirlo. Parlare oggi di ergastolo può implicare passaggi successivi, nel quadro di una scelta totalmente politica, sulla quale non abbiamo interlocuzione, nel senso che è il legislatore che decide: ergastolo sì o no ergastolo. Però poi si aprirebbe un discorso facilmente estendibile a un'altra serie di reati gravi: quindi, perché l'ergastolo non deve essere ridotto, ma anche perché certe pene non devono essere ridotte.
Questa è una scelta che personalmente non mi convince, ma è una scelta più che legittima, se la si vuole fare. Teniamo presente quali implicazioni può avere rispetto al complessivo fenomeno del processo e ad un aspetto del processo che è tutt'altro che secondario dal punto di vista umano e sociale, come quello che abbiamo visto rappresentato. È uno degli aspetti del processo.
Sulle due proposte di legge ho ancora due brevissime osservazioni. Entrambe si occupano di circostanze, l'una addirittura giunge a negare la possibilità di concedere le circostanze in relazione alle modalità con cui si avanza l'istanza. Credo sia un passaggio che resisterebbe difficilmente a un giudizio di costituzionalità. E mi riesce davvero difficile capirne il senso.
Qui mi riallaccio all'altra proposta di legge, dove si estende ad alcune circostanze aggravanti la impossibilità di renderle oggetto di bilanciamento. Se vogliamo rispondere ad un'idea di sistematicità, le circostanze aggravanti ed attenuanti sono un meccanismo assolutamente particolare, che nasce dalla necessità di calibrare in concreto la sanzione: quindi è bene a mio avviso che rimangano nella disponibilità, nella discrezione del giudice, perché proprio attraverso quel bilanciamento, che può essere in un senso o nell'altro, si adegua la pena. Creare delle rigidità significa che una determinata aggravante cessa nella sostanza di essere tale e diventa ipotesi autonoma di reato: diventa una pena sulla quale bisogna poi calcolare le attenuanti.
Questa è un'altra scelta, però stiamo attenti perché io non credo che si possa agire così sulle circostanze, proprio perché la loro natura è tale da essere sottratta allo schema di reato e da configurare un elemento accessorio che può essere contestato o meno, che ha una funzione o meno. Ma noi non dimentichiamo mai che il processo serve a stabilire una sanzione per una persona per un fatto specifico. E non vedremo mai due processi uguali, in ragione della natura del fatto e soprattutto della natura del soggetto. Pertanto, l'importanza fondamentale del lavoro del magistrato e del giudice è quella di arrivare a stabilire per quel caso una sanzione che sia idonea e misurata sulla persona.
Poi c'è un altro discorso, ossia se la pena debba essere un abito cucito su misura, mentre l'altro abito, quello magari della stagione successiva, è quello che va cucito su misura in fase di esecuzione, ma di questo non parliamo.
Vorrei fare ancora due ultime osservazioni molto veloci. Una riguarda la rimessione dell'abbreviato alla Corte d'assise. Quanto alla Corte d'assise, è un giudice sulla cui necessità si potrebbe anche discutere, a mio avviso. Non riesco a immaginare un rito camerale con i giurati in Corte d'assise.
Lancio un'idea, uno spunto di discussione. La competenza nel processo penale è oggi quanto mai distribuita in modo poco funzionale. Il disastro colposo si tratta davanti al giudice monocratico, ed è un reato... inutile a dirsi.
Sostanzialmente, secondo il nostro punto di vista, al di là della necessità di ripensare totalmente la distribuzione della competenza nel processo penale, mi domando se sia giusto che un determinato reato vada in Corte d'assise e perché reati destinati al giudice collegiale vadano attribuiti per il rito abbreviato al giudice monocratico. Ci sarebbe un senso. Si recupererebbe forse una sistematicità. O si decide che il primo grado viene fatto da un giudice monocratico sempre e comunque, oppure – e questa è una scelta che potrebbe essere di garanzia e di miglior approfondimento – si recupera la competenza del giudice collegiale non solo in questi casi, ma in via generale.
Come ultimissima osservazione, una delle due proposte di legge stabilisce che, una volta entrata in vigore, questa norma si applicherà ai processi in corso. Anche questo ci lascia abbastanza perplessi, per una questione di certezza. Non dimentichiamo che la Corte Europea dei diritti dell'uomo (CEDU) è intervenuta proprio sul nostro sistema per chiarire che la certezza che il soggetto deve avere rispetto alle conseguenze della sua azione deve sussistere fin da prima che il reato venga commesso.
Il principio elaborato dalla Corte EDU, che è proprio anche del nostro ordinamento, prevede la certezza delle conseguenze di un determinato comportamento ex ante. Intervenire con una norma che modifica in modo sostanziale gli esiti del processo, applicandola anche ai processi in corso, a mio avviso, incide su questo principio in maniera negativa.
Grazie per l'attenzione. Ho finito.
LUCA ANDREA BREZIGAR, rappresentante dell'Unione delle Camere penali italiane (UCPI). Ho fatto bene o ho fatto male ad assistere alla precedente discussione? Non lo so, perché, in effetti, ho sentito cose che sono da meditare guardando il film di Sordi Un borghese piccolo piccolo, che è ancora attuale oggi. La giustizia non è mai quella delle persone offese.
Il monito lo debbo comunque svolgere. Credo sia ora di smettere di violentare il codice di procedura penale in ragione di propaganda elettorale, demagogia e populismo, senza tenere in considerazione gli aspetti tecnici e, quindi, la materia. Purtroppo, è questa la sensazione che noi abbiamo da tempo.
Queste proposte di legge rappresentano, a mio modo di vedere, un ulteriore attentato allo Stato di diritto. Non mi nascondo dietro un dito: sono fortemente critico rispetto alle modifiche ulteriori del rito abbreviato, che ormai risente, come paradigma processuale, di onde di risacca. Su questo poi mi concentrerò per farvi capire e per spiegarvi quali sono le perplessità dell'Unione delle camere penali italiane.
Intanto dobbiamo partire dalle ragioni – le ha ricordate il collega – per cui è stato istituito il rito abbreviato. Il rito abbreviato, ve lo ricordo – se dico che lo ricordo a me stesso è una frase idiota; lo ricordo a voi –, era un rito che prevedeva il consenso del pubblico ministero. Cordero, in uno dei primi commentari del codice di procedura penale, ne parlava non come del rito del colpevole, ma come del rito che quasi mai arriva a una sentenza di assoluzione. In realtà, voleva intendere che fosse il rito del colpevole: una sorta di ponti d'oro a chi fugge, al nemico che fugge. Questa era l'idea.
L'idea era animata anche e soprattutto da una proiezione assolutamente vera per i legislatori di allora. Si sapeva che, istituendo un processo che aspirava a essere un giusto processo, con contraddittorio, con la celebrazione e la rappresentazione davanti a un giudice terzo e vergine delle prove, comprese quelle scientifiche e tecniche, che venivano già previste, i tempi della giustizia sarebbero stati lunghi, ed è quello che è successo.
Di qui deriva la necessità di avere dei riti deflattivi, dei riti contratti. In mezzo c'erano il patteggiamento, l'accordo sulla pena e il rito abbreviato, che andava a coprire tutti gli aspetti relativi proprio ai reati più gravi, quelli che non si potevano ricondurre a un alveo di ragionevolezza che potesse accontentare sia il pubblico ministero, sia, soprattutto, chi accedeva al contratto.
Dopodiché, ci sono state alcune modifiche, ma tali modifiche hanno una ragione importante e seria, che non si può non tenere in considerazione e che non si può dimenticare. Poco prima della cosiddetta legge Carotti e con la medesima legge il rito abbreviato diventa una scelta tecnica difensiva. Qual è la ragione di questo? Perché si prescinde ormai dal consenso del pubblico ministero?
La ragione si trova nel codice di procedura penale. Era diventato un calibro per misurare l'efficacia dell'attività di indagine e rafforzare anche gli elementi che dovrebbero essere uniformi in qualsiasi Stato civile. Gli articoli 530 e 533 del cpp sono stati interpolati con formule e correttivi importanti. Si è introdotta la formula: «oltre ogni ragionevole dubbio», che soltanto da noi convive con il libero convincimento, per evitare che diventi convincimento libero, ossia per evitare di commettere errori giudiziari. Questo è: seguire le regole per evitare di sbagliare, per andare il più vicini possibile alla verità storica.
Ponti d'oro, un effetto premiale per ottenere l'economia del giudizio e, ovviamente, incentivare la scelta tecnica del rito contratto, dove si potevano trovare, se non nello sconto di pena? Quando mi sento dire, come è avvenuto, che questo tipo di situazione migliorativa, questo beneficio, non hanno una ragione d'esistere, penso che bisognerebbe che andassimo tutti a guardare l'articolo 24 della Costituzione.
Con il rito abbreviato c'è la rinuncia alla difesa, che è un diritto sacrosanto. C'è l'abdicazione a difendersi. C'è l'abdicazione a difendersi provando. È la negazione del motivo per cui è nato il codice accusatorio, cioè una difesa dinamica, attiva, con la possibilità di concorrere alla formazione della prova da parte della difesa, che non c'era nel rito inquisitorio. Quindi, si tratta di una rievocazione del vecchio rito per chi lo vuole. In cambio di cosa? Di un ponte che dovrebbe essere d'oro, ma che, in realtà, è oro fasullo.
Guardate bene che il rito abbreviato si è evoluto ancora di più. È stato necessario farlo arrivare a questa evoluzione, perché, come ricordava prima uno dei rappresentanti dell'associazione, ci sono state indagini difensive – grazie al cielo ci sono le indagini difensive – che sono state codificate.
Andrebbe spiegato che le indagini difensive, prima della loro codificazione, della loro formazione e della loro tipicizzazione, avevano una prospettazione più ampia, perché c'era una norma che non forniva alcun tipo di canone. Adesso almeno queste indagini, se non sono uniformi al canone, possono essere dichiarate inutilizzabili anche dal giudice. Capita anche più spesso di quanto non dovrebbe. Nel momento in cui ci sono, perché non arricchire il fascicolo del rito abbreviato con le indagini difensive? Era doveroso.
Questo continua a essere un rito in cui c'è un'abdicazione alla difesa attiva. Quanto alle richieste ai sensi dell'articolo 441 del cpp, l'allargamento istruttorio è deciso dal giudice sulla base di una necessità che egli valuta a fronte di suggestioni che possono arrivare dalla difesa, ma non è un diritto. La difesa non partecipa attivamente né porta le proprie prove.
Bisogna far luce su questi aspetti, prima di poter decidere che il rito abbreviato è qualcosa da mettere sul banco degli imputati. Senza questo tipo di rito, ovviamente, l'aspetto che ci interessa, cioè avere un rito alternativo deflattivo e una giustizia più economica sotto il profilo della velocità e magari anche più vicino alla realtà storica, sfuma inevitabilmente. A questo proposito vi sfido ad andare a vedere le statistiche, altroché.
Il rito abbreviato non è più il rito del colpevole, ma è diventato anche la scelta tecnica di chi si difende di fronte a delle accuse che non sono altro se non l’incipit di un processo penale che si vorrebbe sviluppare in dibattimento da parte di un pubblico ministero che spera in Dio e in un qualche coup de foudre all'interno del processo che gli dia ragione. Questo è ingiusto, perché significa tenere la spada di Damocle sulla testa dell'indagato per niente, confidando che un domani qualcosa cambi. Questa è la ragione per cui il rito abbreviato ha perso il consenso del pubblico ministero ed è diventata scelta tecnica.
Sempre parlando di onde di risacca, mi chiedo e vi chiedo: cos'è cambiato secondo voi da cinque anni a questa parte, dal momento in cui tutti abbiamo fatto parte – c'è il professor Spangher qui – della Commissione Canzio e abbiamo cercato di incentivare ancora di più il rito abbreviato sotto il profilo delle statistiche? Erano tutti matti? C'era il presidente emerito della Cassazione, autorevolissimi esponenti di dottrina, l'avvocatura, la magistratura.
Si era contratto qualche aspetto di poco conto (guardate l'effetto deflattivo): niente incompetenza territoriale; le nullità, se non quelle assolute – per l'amor di Dio – non si possono più eccepire. Su questo aspetto è intervenuta anche la riforma Orlando. Si è stabilita l'inutilizzabilità – al di là di tutte le fattispecie che sono nate, l'inutilizzabilità relativa di fase e quella genetica – della prova, che non è assolutamente e in alcun modo contemplata dal codice. È una sorta di atto abnorme. Quindi, è un rito contratto, veloce, rapido. Si sceglie lo stato delle carte, degli atti, a parte il fatto di poterli interpolare con qualche elemento nuovo. Quanto all'interrogatorio dell'imputato, sarà un sacrosanto diritto far sentire la propria voce nel momento in cui lo Stato pretende la sua punizione, o vogliamo negargli pure quello? Questi sono princìpi generali. E non è che si possa cambiare processo da reato a reato, perché ciò invade limiti costituzionali che sono a mio avviso assolutamente inabbattibili. Questo è il tema.
Nel momento in cui avveniva questo, addirittura, una delle previsioni importanti, a proposito di quello che abbiamo ascoltato prima, era: se si sceglie il rito abbreviato, a queste condizioni la parte civile non potrà costituirsi; rimarrà salva la possibilità di fare una causa davanti a un giudice ordinario civile, ma non c'è la parte civile, quell'ospite fastidioso, che rappresenta un'accusa privata in realtà. Diciamo le cose come stanno: non è vero che la parte civile è un ospite del processo; sarebbe giusto, secondo noi, che fosse un ospite del processo, ma non lo è più da tempo. La parte civile è una parte attiva eccome, è una parte che fa indagini, che comunque va nelle stanze del pubblico ministero, per quanto ci riguarda e per quanto riguarda il mio distretto, ma anche da altri, a gestire la pubblica accusa, a dare informazioni, ad aiutare la pubblica accusa. Questa è la realtà delle cose.
In quella Commissione avevamo detto: se volete fare il rito abbreviato, sappiate che non avete la parte civile. Cos'è cambiato? Le statistiche erano a disposizione: c'era poco accesso al rito abbreviato e una grande necessità di riti deflattivi. Queste sono le cose verso le quali, secondo me, dovete aver riguardo, oltre ad ascoltare ovviamente i guai e i patemi assolutamente giustificabili da parte di chi ha subìto gravi reati.
Affermando che trent'anni di prigione, che sono il risultato di un rito abbreviato per un delitto molto efferato, non sono abbastanza, si interferisce con qualsiasi tipo di discorso che abbia un senso sotto il profilo della pena. Lo sappiamo tutti, non possiamo tornare indietro di trent'anni: le pene non possono essere pene senza speranza; l'effetto rieducativo della pena ci vuole, è necessario, va al di là dell'effetto deterrente della pena, che – come sappiamo perfettamente dalle statistiche – non conta nulla. Queste sono statistiche che conosciamo bene. Questi sono gli argomenti e gli elementi che devono, secondo noi, essere tenuti in considerazione.
Concludo parlando delle questioni tecniche relative...
PRESIDENTE. Le chiedo di ridurre l'intervento, perché altrimenti non avremo lo spazio per le successive audizioni e per qualche intervento dei colleghi che hanno delle domande da porvi.
LUCA ANDREA BREZIGAR, rappresentante dell'Unione delle Camere penali italiane (UCPI). Presidente, le chiedo scusa, ma come vede ci teniamo molto. Le questioni che vorrei segnalare sono tre, e questo è un apporto tecnico. Parto dalla fine: la norma transitoria. La norma transitoria dimentica che qui non si può utilizzare il principio consolidato per quanto riguarda le questioni processuali, cioè il tempo regge l'atto, perché la Corte costituzionale poco tempo fa, parlando della contravvenzione e della diminuzione fino alla metà, ha detto che si tratta di un beneficio di carattere sostanziale, che incide sulla pena. Pertanto, non è possibile coniugarla così e nel momento in cui si scrivono le leggi bisogna tenere in considerazione queste situazioni.
Facciamo il caso che si voglia accedere all'abbreviato e si chieda la derubricazione del reato – questa è una domanda che faccio al professor Spangher, che è anche il mio maestro, al quale telefono spesso, però ne parlerà lui: io credo che anche questo sia un problema piuttosto serio, perché determinerebbe un'incompatibilità. Quel giudice, a proposito di deflazione, una volta che si sia pronunciato sulla derubricazione del reato, come fa...?
PRESIDENTE. Mi perdoni, ma abbiamo davvero bisogno di ridurre i tempi, perché ci sono ancora i commissari che devono porre le domande.
LUCA ANDREA BREZIGAR, rappresentante dell'Unione delle Camere penali italiane (UCPI). Io ho finito.
PRESIDENTE. Grazie mille, avvocato. Non è assolutamente una censura, ma è solo un'esigenza di tempo. Ci eravamo accordati per una decina di minuti.
Sarà un piacere leggere anche le osservazioni scritte che prontamente ci fate sempre avere come Unione camere penali.
Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.
CARMELO MICELI. Faccio riferimento all'ultima questione, ossia all'eventuale necessità di individuare un nuovo giudice a seguito della qualificazione giuridica dei fatti: sorgerebbe infatti una sorta di incompatibilità per atti compiuti nel procedimento. Mi chiedo: cosa accadrebbe se il nuovo giudice dovesse rilevare la necessità di riqualificare giuridicamente i fatti in modo diverso? Se il nuovo giudice non dovesse condividere l'impostazione data dal giudice precedente, che evidentemente ha riconosciuto la possibilità di riqualificare i fatti e ha rimesso gli atti, cosa accadrebbe?
Premesso che ritengo che il problema dell'incompatibilità sopravvenuta potrebbe sorgere tanto in caso di rigetto quanto in caso di accoglimento, perché comunque è una pronuncia sulla qualificazione giuridica del fatto, mi pongo il problema ove essa dovesse essere rigettata e, quindi, rimessa.
MARZIA FERRAIOLI. Io non voglio banalizzare, però c'è stata una domanda: «che cosa è successo negli ultimi anni?» Pertanto, banalizzo, purtroppo mi devo ancorare a una cosa... Con rispetto massimo per le vittime e per le persone che si occupano delle associazioni, della tutela delle famiglie e delle vittime e via dicendo, che cosa è successo? È successo che vediamo Barbara D'Urso, in Quarto grado, in una tipologia di fiction che inculca negli spettatori errori incredibili, convinzioni insostenibili che poi sono difficilissime da sradicare. Il processo penale è diventato uno spettacolo, ma non è uno spettacolo, è una cosa serissima. Credo che sia semplicemente lì, non c'è altro.
FEDERICO CONTE. Vorrei soltanto chiedere agli autorevoli auditi se hanno rilevato specifici profili di patologia costituzionale dell'articolato normativo di cui stiamo parlando e, se sì, se anche schematicamente li possono rassegnare al dibattito.
LUCA ANDREA BREZIGAR, rappresentante dell'Unione delle Camere penali italiane (UCPI). Sulla questione relativa al rigetto, quindi avevo ben capito.
Secondo me, c'è una questione di incompatibilità. E anzi lì diventa una questione di compatibilità che riguarda proprio la difesa, che ha l'aspettativa di vedersi riconoscere qualcosa che fa parte del giudizio. La derubricazione è qualcosa che entra prepotentemente nel merito, fa parte di una delle linee difensive e non è eventuale, magari può essere anche la sola, soprattutto se spinta dall'esigenza di riuscire nel nuovo disegno a ottenere il rito abbreviato. Se quella è la scelta che si vuole perseguire, è chiaro che si deve passare per forza da lì, secondo questa stesura. A quel punto, immagino che ricuserei quel giudice che volesse occuparsi o rioccuparsi del caso, perché mi avrebbe già anticipato come va a finire secondo il suo giudizio. Questa è la prima questione.
Quanto al commento, sono d'accordo con l'onorevole Ferraioli. La domanda voleva quella risposta.
Per quanto riguarda i profili di incostituzionalità, credo che la domanda sia correttissima, giusta. È uno degli argomenti di cui non ho trattato, ma che davo per scontato, perché pensavo che il collega del Consiglio Nazionale Forense ne avesse già tracciato sommariamente le linee.
Intanto, la prima questione riguarda il conflitto con gli articoli 3 e 24 della Costituzione per tutte le vicende che comportano disparità di trattamento. Credo che siano degli sbarramenti clamorosi. Andare a spiegare che per determinati reati non si può chiedere l'abbreviato diventa un problema piuttosto serio.
La giustificazione che se ne dà è un richiamo all'articolo 117 della Costituzione, che però è un richiamo secondo me fallace. La norma della nostra fonte primaria si utilizza normalmente per verificare i contrasti con le norme sovranazionali e rimanda alla potestà statuale, ma non c'entra alcunché in questa vicenda. Dobbiamo verificare se c'è disparità all'interno, e non credo che sia l'Europa a illuminarci sul fatto che la disparità non c'è. In realtà, la disparità c'è. Mi viene in mente un reato di mafia.
È un reato continuativo, dove c'è una delinquenza importante, seria, di vita, o brutale, come in un reato di quelli di cui abbiamo sentito oggi, ma rimane un elemento gravissimo nella costellazione di una vita. Anche sotto questo profilo, quindi, c'è disparità di trattamento.
Mi viene in mente la questione del mancato bilanciamento delle aggravanti con le attenuanti. Non si trova una ragione che sia compatibile con le norme che vi ho già citato. Anche gli errori di cui abbiamo parlato è chiaro che si inseriscono su questioni...
Io penso che non passerebbe il vaglio di costituzionalità.
STEFANO SAVI, consigliere nazionale del Consiglio nazionale forense (CNF). Faccio solo una battuta per rispondere a uno stimolo importante.
Io credo che certe materie non debbano essere di competenza esclusiva dei tecnici della materia. Il processo penale non è una cosa di magistrati e avvocati, ma una cosa che va affrontata con competenza e che va divulgata, certamente va divulgata.
Io penso che, se in Italia ci fosse una maggior comprensione dei meccanismi processuali, avremmo fatto un grosso passo avanti, ma va divulgata con competenza, facendo come avete fatto qui oggi, cioè sentiamo tutte le voci, cerchiamo di individuare la sintesi delle diverse necessità, ma con un gradiente di competenza che non deve lasciar nulla alla spettacolarizzazione. Certi interventi a gamba tesa nei processi, e lo dico da avvocato, sappiamo che fanno male, perché condizionano l'andamento del processo oltre il necessario, con spinte che portano non solo a vedere la realtà da un unico punto di vista, ma sostanzialmente a inquinare anche il meccanismo e a volte a produrre dei condizionamenti.
Poi, secondo me, banalizzare così il processo, fargli una sorta di violenza, come se il processo fosse uno spettacolo, è pericoloso e sbagliato. Forse, sarebbe bene che tutti insieme riprendessimo quest'argomento, che proprio magistrati e avvocati diventassero interpreti di un movimento di divulgazione, che passi ad esempio per le scuole e che porti un gradiente tecnico e anche la voce di chi ha subìto i reati, così come la voce di chi si deve adoperare perché i reati vengano scoperti e così via. Sarebbe bene che si desse un'immagine diversa del processo. Forse, avremo la maturazione di una consapevolezza diversa nella nostra Italia.
PRESIDENTE. Ringraziamo il Consiglio nazionale forense e l'Unione camere penali italiane. Grazie mille per quest'audizione.
Dichiaro conclusa l'audizione.
Audizione di rappresentanti dell'Associazione nazionale magistrati (ANM).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione, nell'ambito dell'indagine conoscitiva in merito all'esame delle proposte di legge C. 392 Molteni e C. 460 Morani, in materia di inapplicabilità del giudizio abbreviato ai delitti puniti con la pena dell'ergastolo, di rappresentanti dell'Associazione nazionale magistrati (ANM).
Lascerei la parola al presidente Francesco Minisci per una relazione di una decina di minuti, per poi, a seguire, dare la parola per qualche domanda ai commissari.
Grazie per l'attesa.
FRANCESCO MINISCI, presidente dell'Associazione nazionale magistrati (ANM). La ringrazio, presidente. Vi ringrazio ancora una volta per aver coinvolto l'Associazione nazionale magistrati (ANM) nel dibattito parlamentare relativo alle proposte di modifica legislativa.
Io vorrei prima di tutto fare una considerazione di tecnica legislativa di coordinamento tra norme, leggendo un po’ le due proposte di legge.
Il giudizio abbreviato, evidentemente, non è ammesso soltanto nell'udienza preliminare, che è l'ipotesi base prevista dall'articolo 438 del codice di rito, ma anche a seguito del giudizio immediato. A seguito dell'introduzione del cosiddetto immediato cautelare (i nuovi commi 1-bis e 1-ter dell'articolo 453 introdotti nel 2008), questa forma di immediato è diventata l'ipotesi più diffusa nell'esperienza giudiziaria. Soprattutto, è diventata l'ipotesi più diffusa per i fatti di maggiore allarme sociale, per i più gravi, quelli per cui per esempio è previsto l'ergastolo. Mi riferisco, in particolare, al reato più diffuso per cui è previsto l'ergastolo: il caso di omicidio aggravato, perché sostanzialmente di quello parliamo maggiormente.
In genere, per i reati puniti con l'ergastolo si procede in stato di custodia cautelare, quindi si procede con il giudizio immediato cautelare, istituto ormai diffusissimo, perché consente di saltare l'udienza preliminare e di arrivare in tempi rapidi al dibattimento o, ed è quello che ci interessa, al giudizio abbreviato. Questa necessità di coordinamento, quindi, ci deve essere.
In questo nuovo ipotetico articolo 438 occorrerebbe richiamare anche l'articolo 458, cioè l'abbreviato in caso di giudizio immediato, altrimenti si giungerebbe a un paradosso: nell'un caso, cioè nel caso di abbreviato a seguito di udienza preliminare, quindi di esercizio dell'azione penale con rito ordinario, dunque con la richiesta di rinvio a giudizio, non sarebbe possibile l'abbreviato; nel caso di immediato cautelare, che riguarda la maggior parte dei casi di reati puniti con l'ergastolo, sarebbe possibile l'abbreviato. Questo riguarda il profilo della tecnica legislativa.
Andiamo, però, un attimo alle ricadute processuali di una tale modifica e facciamo una premessa.
Anche in caso di giudizio abbreviato, oggi è possibile applicare l'ergastolo, ricorrendo le condizioni che tutti conosciamo. Naturalmente, non vado qui a ripercorrerle. Partiamo, quindi, da questo presupposto.
Abbiamo, però, un problema. Mi riferisco, in particolare, a quelli che potremmo chiamare, per intenderci, maxiprocessi, processi di criminalità organizzata.
Molto spesso, in questi casi vi è un omicidio, magari un omicidio accaduto diversi anni prima, di cui parla un collaboratore di giustizia. Arriveremo ai collaboratori di giustizia, perché c'è una ricaduta anche sotto quel profilo. Nel frattempo, si sviluppano le indagini. Quest'omicidio poi si accompagna a una serie di altri reati (associazione mafiosa, articolo 74 del decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, associazione a delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, estorsioni, interposizioni fittizie di beni), perché riguardano l'operatività del gruppo criminale che ha commesso l'omicidio, magari aggravato dal nuovo articolo 512-bis del codice penale o ex articolo 7 della legge n. 203 del 1991, l'aggravante mafiosa; e quindi vi sono trenta, quaranta, cinquanta persone che rispondono di questi reati, dieci delle quali, quindici delle quali – c'è una commistione: mandanti, esecutori, palo e così via – che rispondono anche dell'omicidio, oltre che di tutti gli altri reati.
Se in questi casi vi è la preclusione del giudizio abbreviato – per l'omicidio basta un'aggravante come la premeditazione, per far scattare la pena dell'ergastolo – arriveremo alla conseguenza che si giungerà a un dibattimento per quaranta o cinquanta persone, le quali non potranno fare il giudizio abbreviato nemmeno per l'associazione mafiosa, per l'interposizione fittizia di beni, per l'estorsione, per lo spaccio di sostanze stupefacenti, perché vi è la connessione con l'omicidio che ci precluderà questa possibilità.
Se il problema maggiore del processo penale sono le lungaggini – lo sappiamo tutti, lo diciamo, lo ripetiamo tutti e siamo tutti d'accordo in quest'aula, così come siamo d'accordo tutti fuori da quest'aula – in questo modo non accorciamo, ma allunghiamo, evidentemente stiamo allungando i termini, quindi con dibattimenti che dureranno molto tempo, appesantiti dalla presenza di numerosi soggetti che non hanno potuto fare il giudizio abbreviato per alcuni, per molti dei reati, perché c'è il reato di omicidio aggravato che ce lo impedisce. Questo è un primo profilo.
Andiamo ad altre ricadute: il caso del soggetto che confessa un omicidio aggravato, per cui è previsto l'ergastolo, ma che chiama in causa altri soggetti, che quindi fa delle chiamate in correità. Lasciamo stare per adesso i collaboratori di giustizia, cui poi arriveremo.
Se questo soggetto che ha confessato, che ha offerto un contributo all'autorità giudiziaria per addivenire agli altri responsabili, non potrà fare il giudizio abbreviato, continuerà a chiamare in causa gli altri soggetti? Dobbiamo farcela, questa domanda. Viene meno ogni forma di deflattività e premialità, connessa proprio alla ratio sottostante al giudizio abbreviato.
Peraltro, la tendenza è verso la premialità per chi collabora, e mi riferisco – ne parlerete, ne parleremo sicuramente – al disegno di legge Anticorruzione. Se chi contribuisce all'accertamento dei fatti chiamando in causa gli altri deve essere premiato, in questo caso andiamo in una direzione evidentemente opposta.
Passiamo ai collaboratori di giustizia, perché un problema significativo si porrà proprio con riferimento ai collaboratori di giustizia, che rendono dichiarazioni auto - ed eteroaccusatorie.
È chiaro che quasi tutti i reati di mafia sono connotati dalle aggravanti che fanno scattare l'ergastolo. Questo sbarramento normativo comporterà l'impossibilità dell'abbreviato, e dunque la celebrazione del dibattimento anche nei confronti di quel collaboratore di giustizia per il quale occorre aggiungere poco nel corso di un abbreviato, ma anche nel corso di un dibattimento. Ma il dibattimento dovrà essere svolto comunque sentendo tutti i testimoni, trascrivendo tutte le intercettazioni, analizzando in dibattimento tutte le consulenze, le perizie e così via, perché quel collaboratore di giustizia non potrà accedere al rito abbreviato. In un processo che si può chiudere agevolmente con il rito abbreviato, per questo soggetto, per questa posizione, dovremmo andare a dibattimento.
Come dicevo, se il maggiore problema del nostro sistema sono le lungaggini, è evidente che sotto questo profilo la norma, senza opportuni correttivi, comporterà dei problemi. Non so quale possa essere la soluzione, ma certo così com'è strutturata evidentemente comporterà questi problemi. A quel punto, per esempio, il collaboratore di giustizia potrà avvalersi soltanto della diminuente prevista ex articolo 8 della legge n. 203 del 1991, ma non dell'altro aspetto di premialità rappresentato dal giudizio abbreviato.
Passiamo a qualche altra considerazione. La richiesta di giudizio abbreviato, secondo questa nuova formulazione, potrà essere avanzata subordinandola a una diversa qualificazione dei fatti o all'individuazione di un reato diverso allo stato degli atti. Tutte e due le proposte di legge prevedono questa modifica con piccole differenze.
Abbiamo detto che il reato più diffuso per il quale è previsto l'ergastolo è quello di omicidio aggravato, essendo rare – diciamo la verità – altre ipotesi nella pratica giudiziaria, nella nostra esperienza. Il tema che si pone, parlando proprio di omicidio, non è quello di un reato diverso o di una diversa qualificazione del fatto. L'omicidio quello è.
Le proposte di legge parlano di diversa qualificazione del fatto, di un reato diverso, ma il punto su cui occorre focalizzare l'attenzione è quello delle circostanze, cioè del fatto diversamente circostanziato, perché è quello che fa scattare le aggravanti tali da prevedere l'ergastolo e quindi da non consentire l'abbreviato. È la sussistenza o meno di queste aggravanti, ad esempio il nesso teleologico con un altro reato, l'utilizzo di un mezzo insidioso (si può discutere sul concetto di mezzo insidioso), la premeditazione.
È necessario, quindi, focalizzare l'attenzione soprattutto sulle circostanze del fatto e non sul fatto. L'omicidio, come dicevo, raramente consente una diversa qualificazione del fatto.
Ancora, i commi 2 e 3 del nuovo articolo 438-bis previsto dalla proposta di legge C. 460 consentono di chiedere il giudizio abbreviato al giudice del dibattimento in due ulteriori ipotesi, quando il fatto risulta diverso nel corso dell'istruttoria e viene modificato a norma dell'articolo 516 del codice di procedura penale dal pubblico ministero e quando il decreto che dispone il giudizio viene emesso per un fatto diverso da quello per cui vi è stata richiesta di rinvio a giudizio, tale da non poter essere punito con l'ergastolo. Questa nuova qualificazione giuridica, escludendo alcune aggravanti, viene fatta dal giudice per l'udienza preliminare.
La prima previsione fa venir meno in radice la ratio dell'istituto nel suo intento deflattivo, perché potrà capitare che si sarà arrivati alla fine dell'istruttoria dibattimentale, quindi avendo svolto tutto il dibattimento: a quel punto il pubblico ministero procede ex articolo 516 del codice di procedura penale. E allora, quale decisione allo stato degli atti? Avendo svolto tutta l'istruttoria, viene meno la natura del giudizio abbreviato, la deflazione che deve essere connessa allo stesso giudizio abbreviato.
La seconda previsione, quella che stabilisce che il giudice per l'udienza preliminare escluda un'aggravante, quindi rinvii a giudizio per un reato diverso da quello per cui era stata avanzata la richiesta di rinvio a giudizio, può ritenersi conforme alla ratio della riforma dell'istituto. L'imputato viene messo nelle condizioni di accedere al rito abbreviato, rito che non aveva chiesto in precedenza perché la qualificazione giuridica originaria non glielo consentiva. Qui vengono salvaguardati i due cardini del giudizio abbreviato che sono la premialità e la deflattività.
Un'ultima considerazione riguarda il tema della competenza della Corte d'assise. Io, giudice per l'udienza preliminare, ammetto il rito abbreviato e rinvio alla Corte d'assise. È una norma che snatura totalmente il rito abbreviato, prevedendo una nuova forma di questo giudizio di competenza del giudice del dibattimento, senza che però vi sia stato alcun mutamento delle condizioni nel corso del procedimento o dell'udienza preliminare: quella era la contestazione, quella la valutazione del giudice per l'udienza preliminare, e si va a giudizio nelle medesime condizioni, con la medesima qualificazione giuridica dei fatti.
Incide significativamente sulla funzione deflattiva del rito, in quanto lo svolgimento del processo davanti alla Corte d'assise comporta tempi e – consentitemelo – anche moduli organizzativi incompatibili con la ratio del giudizio abbreviato, che viene così snaturato. Con questo istituto si tiene conto solo della premialità del rito, ma non della sua funzione deflattiva.
Sinceramente non comprendo la ratio di questa modifica, che può essere considerata un ibrido all'interno del sistema: io che ammetto l'abbreviato rinvio al giudice del dibattimento, pur venendo meno l'oralità e la formazione della prova in dibattimento, princìpi che connotano e giustificano la giurisdizione dei giudici popolari, i quali si troveranno a dover valutare atti e non testimonianze.
Come si diceva anche prima, siamo di fronte ad un giudizio in camera di consiglio, qual è l'abbreviato davanti alla Corte d'assise, con la conseguenza peraltro d'intasare i ruoli delle Corti d'assise, le quali dovranno così svolgere processi per tutti gli omicidi volontari non aggravati (perché di questo parliamo), e per gli omicidi preterintenzionali, oltre che per gli omicidi volontari, puniti con l'ergastolo, e per tutti i reati, i fatti, i maxi processi per cui è prevista l'inammissibilità dell'abbreviato. Chiaramente infatti le Corti d'assise dovranno decidere anche su tutti gli altri casi di omicidio, su tutti quelli per cui le aggravanti fanno scattare l'ergastolo. Le Corti d'assise risulteranno quindi totalmente intasate: si tratta di un profilo organizzativo, profilo che fa venir meno la ratio del giudizio abbreviato.
Due ultime considerazioni molto brevi. La prima riguarda le circostanze, di cui si è parlato anche prima. Le circostanze devono servire ad adeguare la pena al fatto, quindi non possiamo essere troppo rigidi sull'applicazione delle circostanze.
Seconda considerazione sulla norma transitoria: è chiaro che non possiamo applicarla ai processi in corso, perché è una norma che ha significativi risvolti di natura sostanziale. Grazie.
PRESIDENTE. Grazie, presidente Minisci. Lascio la parola ai colleghi che desiderino intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.
FEDERICO CONTE. Buonasera, presidente, farò due precisazioni. Posto che, per come è strutturato, l'articolato normativo incide esclusivamente sui casi di omicidio non aggravato, perché quelli di omicidio aggravato vedono l'elisione della sanzione accessoria dell'isolamento diurno, ma la pena dell'ergastolo rimane intatta, se l'obiettivo dei proponenti la riforma è quello che gli omicidi vengano puniti con la pena dell'ergastolo, ciò riguarda soltanto gli omicidi non aggravati.
Se condivide questa premessa, dottor Minisci, volevo chiederle se sia a disposizione anche un elemento statistico che ci consenta di valutare l'incidenza giudiziaria di questa tipologia di reato e se questa sperequazione (così la ritengo) processuale sia giustificata sul piano quantitativo dal punto di vista dell'economia processuale.
Quanto alla possibilità che la competenza a decidere sulla richiesta di giudizio abbreviato, nel caso di omicidi aggravati e non, venga trasferita alla Corte d'assise, il suo giudizio negativo si riferisce soltanto all'ipotesi della riforma che ha valutato, cioè con riferimento all'eventuale approvazione di questa riforma? Considerata invece in maniera avulsa, cioè come una norma riferita a quell'unico aspetto, a legislazione invariata, se incidessimo solo sul punto, così da far celebrare i processi per reati di particolare allarme sociale dal giudice collegiale specializzato, lei ritiene che i costi in termini di modello organizzativo rimarrebbero alterati o sarebbero tali da poter essere sopportati, considerata l'utilità di un giudizio celebrato davanti a un giudice collegiale, seppur allo stato degli atti?
CARMELO MICELI. Grazie, presidente. Intanto, come già prima, chiedo se ad avviso dell'audito l'eventuale mancato accoglimento della richiesta di abbreviato previa riqualificazione obblighi a declaratoria di incompatibilità.
Nell'ipotesi di rigetto, credo che questo dovrebbe avvenire con ordinanza. Credo che l'ordinanza rimanga impugnabile. E mi chiedo, ove l'ordinanza dovesse essere impugnata in sede di appello e il motivo di impugnazione dovesse trovare accoglimento, tecnicamente cosa accadrebbe: una regressione del procedimento all'abbreviato, una declaratoria di inutilizzabilità di tutti gli atti acquisiti? Questa è una domanda tecnica che mi pongo per prevedere quello che sarà il futuro.
Altra domanda. Poiché la ratio del legislatore sembrerebbe legata più che altro alle ipotesi di delitti efferati, per le quali si vuole impedire la possibilità di uno sgravio di pena, mi chiedo se non sarebbe stato più utile a suo avviso rivedere questi delitti sotto il profilo delle pene e della pena massima piuttosto che sotto il profilo dell'accessibilità al rito.
Mi chiedo, quindi, di conseguenza, se ci siano strumenti che potrebbero, anche in termini di bilanciamento delle circostanze eventuali, portare eventualmente a neutralizzare un ricorso strumentale e forzato alla richiesta di abbreviato, finalizzato solo ed esclusivamente a ottenere lo sconto della pena.
In ultimo, poiché credo che il più delle volte la ratio del legislatore sia stata quella di impedire lo sconto della pena nell'ipotesi di episodi delittuosi particolarmente gravi e palesi, le chiedo se sia, a suo avviso, possibile immaginare, mantenendo l'impianto della norma così come è previsto nel progetto oggi al nostro esame, di inserire la condizione che il divieto possa operare solo in caso di flagranza di reato o di quasi flagranza.
CATELLO VITIELLO. Buonasera, Presidente Minisci. Devo dire la verità: io ho apprezzato molto il fatto che lei si sia calato nella veste dell'operatore e che abbia fatto riferimento al coordinamento di norme e alla ricaduta immediata di questa novella.
La mia domanda è molto semplice: ritiene che ci siano elementi per individuare delle pregiudiziali di incostituzionalità e, se sì, ritiene che, sulla base di quanto verificato con l'ultima sentenza della Corte costituzionale del 2018, la n. 149, che, pur lambendo l'argomento, opera una ricostruzione anche della giurisprudenza costituzionale, la novella possa incorrere in problemi di incostituzionalità?
Lei ha fatto riferimento alla compatibilità delle norme all'interno del processo. Le chiedo in breve la compatibilità delle nuove norme rispetto alla Carta costituzionale.
LUCA RODOLFO PAOLINI. Pongo una domanda secca. Vorrei sapere, se è a sua conoscenza, come è disciplinata la questione in altri ordinamenti europei e/o di common law.
PRESIDENTE. Do la parola all'audito per la replica.
FRANCESCO MINISCI, presidente dell'Associazione nazionale magistrati (ANM). Onorevole Vitiello, lei dice che mi sono calato nella veste dell'operatore. Faccio il pubblico ministero da vent'anni e mi occupo di criminalità organizzata da 15-16 anni. Non mi sono calato, ma sono salito dal basso verso l'alto oggi, perché sto negli uffici giudiziari a fare questo da vent'anni. La ringrazio per questa domanda, perché mi offre la possibilità di dirle questo. Parlo a ragion veduta, perché vivo l'esperienza di questi reati.
Si chiedeva prima se questa novella riguarda solo l'omicidio non aggravato. No, riguarda solo l'omicidio aggravato, non l'omicidio non aggravato. L'ipotesi base dell'articolo 575 del codice penale non prevede l'ergastolo. Si tratta solo dell'omicidio aggravato.
Si badi bene: vi sono casi, che personalmente sono capitati anche a me, di omicidi aggravati, che fanno scattare l'ergastolo, in cui, richiesto il rito abbreviato, l'imputato è stato condannato all'ergastolo, con la formulazione che dicevo all'inizio, quindi isolamento diurno, o non isolamento diurno.
In generale, faccio una considerazione che vale per tutte le norme che si vogliono approvare: facciamo fare ai giudici i giudici, facciamo valutare ai giudici i fatti sulla base di una cornice normativa definita. Se mettiamo troppi paletti, se ingessiamo troppo il processo penale, rischiamo di non far fare ai giudici il proprio lavoro.
Si parlava prima della Corte d'assise. Il problema è che, se trasferiamo alla Corte d'assise la competenza per tutti questi reati, snaturiamo il rito e affossiamo le Corti d'assise. Alla Corte d'assise di Roma operano persone che vengono da Rieti e da tutti i paesi della provincia, operano persone che fanno un altro lavoro. Sono i privati cittadini che devono concorrere a formare il giudizio. Quando parlavo di moduli organizzativi, parlavo anche di questo. Far trattare tutti gli omicidi, che siano aggravati o non aggravati, alla Corte d'assise comporterebbe problemi di non poco momento.
In merito al discorso dell'incompatibilità, è chiaro che un problema di incompatibilità ce lo dobbiamo porre, ma non soltanto nel caso di rigetto. Probabilmente il problema ce lo dobbiamo porre anche nel caso di accoglimento.
Che cosa significa accoglimento? Significa decidere se c'è la premeditazione o non c'è la premeditazione, se ci sono le sevizie o non ci sono le sevizie, ossia fare un'analisi approfondita. Lasciamo stare l'ammissione dell'abbreviato. Questo è rilevantissimo per il giudizio. Il giudice fa un'analisi molto approfondita, quando decide se ci sia o non ci sia la data aggravante. Un problema di incompatibilità, a mio avviso, ce lo dobbiamo porre.
Per il resto, con riguardo all'impugnazione, all'impugnabilità, a chi decide e a chi non decide, per come sono strutturate le norme, non abbiamo elementi per dire che cosa succederebbe. Sono valutazioni de iure condendo, o, meglio, più che de iure condendo, perché de iure condendo sono queste proposte di legge. Una cosa che non è prevista e che non è nemmeno proposta non possiamo valutarla.
Come incidere sulle pene? Questi reati sono puniti con l'ergastolo. Come possiamo incidere sulle pene? Mi pare che la risposta sia breve.
Onorevole Miceli, lei parla di flagranza di reato, ma un reato che viene scoperto in flagranza non è più grave di un reato che non viene scoperto in flagranza. La gravità del reato è la stessa. C'è la possibilità, nel primo caso, di fare l'arresto e procedere per direttissima, ma la gravità è quella. Qui si incide sulla pena e, quindi, sulla gravità del fatto. È una strada, secondo me, non praticabile.
Quanto ai profili di incostituzionalità, sicuramente qualche dubbio rispetto agli articoli 3 e 24 della Costituzione lo dobbiamo avere, perché si crea un doppio binario. Mi rivolgo al professor Spangher, qui presente. Con riferimento all'impossibilità del patteggiamento allargato per alcuni reati – parlo dell'articolo 74 del codice penale e dei reati aggravati dall'ex articolo 6 e dal 512-bis del codice penale – la disposizione ha superato il vaglio della Corte costituzionale. Mi affido a lei, Onorevole Vitiello, anche per questa valutazione.
Sì, i dubbi ci sono, ma abbiamo un altro istituto in qualche modo vicino, deflattivo premiale, introdotto una decina d'anni fa, per il quale questo problema di costituzionalità non è stato considerato.
Onorevole Paolini, non so, nel caso specifico, come si regolino gli altri ordinamenti.
PRESIDENTE. Grazie, Presidente Minisci. Ringraziamo l'Associazione nazionale magistrati per la presenza.
Dichiaro conclusa l'audizione.
Audizione di Nicola Triggiani, professore di diritto processuale penale presso l'Università degli studi di Bari «Aldo Moro», di Agostino De Caro, professore di diritto processuale penale presso l'Università degli studi del Molise, di Stefano Preziosi, professore di diritto penale presso l'Università Lum «Jean Monnet» di Bari, di Giuseppe Della Monica, professore di procedura penale presso l'Università degli studi di Cassino e del Lazio meridionale e di Giorgio Spangher, professore emerito di procedura penale presso l'Università degli studi di Roma «La Sapienza».
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione, nell'ambito dell'indagine conoscitiva in merito all'esame delle proposte di legge C. 392 Molteni e C. 460 Morani in materia di inapplicabilità del giudizio abbreviato ai delitti puniti con la pena dell'ergastolo, di Nicola Triggiani, professore di diritto processuale penale presso l'Università degli studi di Bari «Aldo Moro», di Agostino De Caro, professore di diritto processuale penale presso l'Università degli studi del Molise, di Stefano Preziosi, professore di diritto penale presso l'Università Lum «Jean Monnet» di Bari, di Giuseppe Della Monica, professore di procedura penale presso l'Università degli studi di Cassino e del Lazio meridionale, e di Giorgio Spangher, professore emerito di procedura penale presso l'Università degli studi di Roma «La Sapienza».
Invito gli auditi a contenere le relazioni entro una decina di minuti a testa. Passeremo alle domande dei membri della Commissione al termine delle audizioni dei professori.
Do la parola agli auditi.
NICOLA TRIGGIANI, professore di diritto processuale penale presso l'Università degli studi di Bari «Aldo Moro». Grazie, presidente. Buonasera a tutti.
Il rapporto tra giudizio abbreviato e delitti punibili con l'ergastolo è da sempre un rapporto altalenante e tormentato. Le modifiche che si vorrebbero introdurre con gli articoli 1, lettera a), e 2 della proposta di legge n. 392 e con gli articoli 1, lettera a), e 3 della proposta di legge n. 460 comportano sostanzialmente un ritorno alle origini, posto che la legge delega 16 febbraio 1987, n. 81, sulla cui base è stato redatto il codice vigente, non contemplava la possibilità di richiedere il rito abbreviato per tali reati, stabilendo che in caso di condanna vi fosse una diminuzione secca di un terzo della pena prevista.
È nota la successiva evoluzione normativa e giurisprudenziale – non è qui il caso di ripercorrerla – che ha portato alla disciplina vigente. Non c'è dubbio che la fisionomia del giudizio abbreviato sia profondamente mutata nei quasi trent'anni di vigenza dell'istituto, a causa di numerose declaratorie di incostituzionalità e novelle legislative, ma la finalità per la quale questo rito è stato introdotto nel nostro ordinamento è rimasta inalterata. Si tratta di un rito che mira a deflazionare il dibattimento; si muove, quindi, in un'ottica di economia processuale, ovvero di risparmio di tempo e costi, prevedendo uno sconto di pena come contropartita per l'imputato che rinuncia alle garanzie proprie del giudizio ordinario.
Se questo è vero, visto che tra i reati punibili con l'ergastolo e per i quali risulta, quindi, ammissibile allo stato della disciplina il giudizio abbreviato, quello più rilevante – lo ha ricordato poc'anzi il presidente Minisci – è l'omicidio aggravato e considerando che gli ultimi dati Istat disponibili indicano che gli omicidi volontari per fortuna sono in calo, c'è innanzitutto da domandarsi, nell'ambito di una valutazione puramente economica di costi-benefìci per l'amministrazione della giustizia, se il gioco valga la candela.
Dobbiamo domandarci se, a fronte di un risparmio di tempo e di risorse che può ritenersi complessivamente modesto se rapportato al numero complessivo dei procedimenti per i quali è stata esercitata l'azione penale, sia giusto ed eticamente accettabile consentire a un imputato riconosciuto colpevole di reati particolarmente gravi di poter beneficiare, per la sola scelta processuale del rito, di un trattamento sanzionatorio sensibilmente più mite di quello che diversamente dovrebbe essere applicato, compromettendo così pesantemente il principio della proporzionalità della pena rispetto alla gravità del reato.
È vero, come è stato ricordato, che nei casi di concorso di reati e di reato continuato la pena dell'ergastolo con isolamento diurno non è sostituita con trent'anni di reclusione. Tuttavia, ciò non toglie che la disciplina vigente consenta comunque, anche in caso di omicidi particolarmente efferati – come in tanti femminicidi – la possibilità della sostituzione dell'ergastolo con la pena della reclusione di anni trenta, con quel che ne consegue dal punto di vista della mancata risposta alle istanze di giustizia dei familiari delle vittime di tali reati, ma anche dell'intera collettività, e con possibili riverberi sulla credibilità del sistema giustizia nel suo complesso a fronte della commissione di reati che suscitano grave allarme sociale.
Nessuno – tanto meno io – vuole mettere in discussione la finalità rieducativa della pena prevista dall'articolo 27, comma 3, della Costituzione. Si discute da tempo anche in dottrina della difficile compatibilità della pena dell'ergastolo con la nostra Carta costituzionale. Tuttavia, fino a quando tale pena risulterà prevista dal nostro ordinamento penale, a mio avviso, non può essere una scelta di tipo processuale operata unilateralmente dall'imputato a impedirne l'applicazione in concreto. Se si vuole abolire l'ergastolo per una serie di fattispecie di reato, si deve avere il coraggio di intervenire direttamente in questo senso sul codice penale, non si può aggirare l'ostacolo in maniera surrettizia attraverso un'opzione processuale rimessa all'imputato e insindacabile dalle altre parti processuali.
Mi sembra nel complesso apprezzabile la previsione che consente all'imputato di presentare comunque una richiesta subordinandola a una diversa qualificazione dei fatti, anche se, come ricordava il presidente Minisci, il problema riguarda soprattutto le circostanze. La norma vuole sicuramente salvaguardare l'intento deflattivo ed evitare anche possibili sperequazioni tra gli imputati.
Detto questo sul punto più qualificante della riforma, a mio avviso suscita, invece, più di una perplessità la previsione contenuta nell'articolo 2 della proposta di legge n. 392, laddove si dispone che nella determinazione della pena si deve tener conto soltanto delle circostanze aggravanti e non anche delle attenuanti. Mi sembra una previsione di eccessivo rigore, soprattutto se si considera che nel momento in cui l'imputato richiede il giudizio abbreviato conosce i limiti edittali della pena prevista dall'ordinamento per quel reato, ma non sa quale sarà la pena base determinata dal giudice, con una scelta rimessa alla sua discrezionalità, per operare la riduzione premiale. Potrebbe essere anche la pena massima prevista dalla legge.
La riduzione, secondo la proposta di legge Molteni, dovrebbe essere di un terzo sia per i delitti che per le contravvenzioni, laddove la legge 23 giugno 2017, n. 103, entrata in vigore poco più di un anno fa, aveva previsto il dimezzamento delle pene in caso di contravvenzione, con il chiaro intento di incentivare l'efficacia premiale del rito, ma soltanto per i reati meno gravi.
A mio avviso, c'è il rischio che queste due modifiche combinate, cioè la mancata considerazione delle circostanze attenuanti per tutti i reati per i quali è possibile chiedere il rito abbreviato e la previsione della riduzione di un terzo, anziché della metà, per i reati contravvenzionali, possa rendere di fatto poco appetibile la scelta del rito alternativo, con conseguenze apprezzabili sul piano della mancata deflazione dibattimentale.
Sulla stessa linea della proposta di legge Molteni, ma con una previsione invece di carattere generale, si pone l'articolo 5 della proposta di legge Morani, che ridisegna per i delitti contro la persona il bilanciamento delle circostanze. In questo caso, a mio avviso, le perplessità sono maggiori. Si tratta di una norma che va, quindi, a incidere sulla parte generale del codice penale e, a mio modesto avviso, meriterebbe forse un più attento approfondimento nell'ambito di una riforma sistematica del codice penale e del trattamento sanzionatorio.
Mi lascia, invece, molto perplesso la previsione contenuta nell'articolo 2 della proposta di legge Morani, tesa a introdurre l'articolo 438-ter del codice di procedura penale in ordine alla celebrazione del rito abbreviato davanti alla Corte d'assise invece che davanti al giudice dell'udienza preliminare, giudice, quindi, monocratico, laddove si proceda per i delitti previsti dall'articolo 5 del codice di procedura penale diversi da quelli puniti con l'ergastolo, innovazione alla quale si collega poi l'introduzione del nuovo articolo 134-ter al decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271.
È vero che in astratto si potrebbe intravedere una possibile violazione del principio del giudice naturale precostituito per legge ex articolo 25, comma 1, della Costituzione, nella circostanza che sia un giudice monocratico a occuparsi di reati di competenza della corte d'assise, come peraltro già accade con il sistema vigente. Tuttavia, mi sembra assolutamente contraddittorio introdurre la previsione della celebrazione del rito abbreviato davanti alla corte d'assise contestualmente a quella che rende inapplicabile tale rito ai reati più gravi puniti con l'ergastolo.
Del resto, si può ritenere che la richiesta dell'imputato di procedere con il rito alternativo comporti una rinuncia a tutte le garanzie dibattimentali, inclusa quella della collegialità del giudizio e della partecipazione dei giudici popolari in relazione al riparto della competenza per materia. Diversamente opinando – è stato sottolineato anche questo – il carico di lavoro delle corti d'assise sarebbe assai elevato, con inevitabile allungamento dei tempi processuali, perché all'attuale ruolo si aggiungerebbero, da un lato, i procedimenti per i reati puniti con la pena dell'ergastolo, che si vogliono appunto sottratti al rito abbreviato, e, dall'altro, i procedimenti da celebrare con rito abbreviato per i reati di cui all'articolo 5 del codice di procedura penale puniti con pena diversa dall'ergastolo.
Di conseguenza, i benefìci connessi all'utilizzo del rito abbreviato, dal punto di vista dell'economia processuale, a questo punto verrebbero a essere assai ridotti.
Faccio un brevissimo cenno, e concludo, sulla necessità di una normativa transitoria. La proposta di legge Molteni non prevede nulla al riguardo nell'articolo 3, dedicato all'entrata in vigore delle nuove norme, facendo evidentemente leva sul principio generale tempus regit actum. L'esperienza ci insegna, però, che quando si vanno a modificare le norme processuali, sorgono molto spesso dubbi interpretativi sulla loro possibile applicabilità ai procedimenti pendenti, con conseguenti questioni di legittimità costituzionale e con la necessità di interventi chiarificatori della Corte di cassazione anche a sezioni unite. Forse, sarebbe opportuna, invece, un'espressa indicazione normativa per quanto riguarda il diritto intertemporale.
Vi ringrazio.
AGOSTINO DE CARO, professore di diritto processuale penale presso l'Università degli studi del Molise. Grazie e buonasera a tutti.
Cercherò di focalizzare la mia attenzione su un tema che mi è particolarmente caro e che credo sia la premessa indispensabile per valutare le due proposte di legge che puntano a eliminare la possibilità di chiedere il giudizio abbreviato nei reati puniti con pena dell'ergastolo, Mi riferisco ai profili di costituzionalità, alla tenuta costituzionale di queste due proposte di legge.
Prima, devo segnalarvi un piccolo errore che secondo me è presente in una norma, in caso non fosse stato già evidenziato. All'articolo 5 della proposta Morani si dice «non possono essere ritenute equivalenti o prevalenti rispetto a queste, anche se costituiscono circostanze aggravanti speciali»: no, circostanze attenuanti speciali, perché qui si parla della possibilità che le attenuanti non competano con le aggravanti. È un mero errore lessicale, ma vale la pena correggerlo, se ovviamente lo ritenete.
Veniamo al tema fondamentale.
PRESIDENTE. Posso interromperla soltanto un secondo per una considerazione? Forse, non era stata ancora fatta fino ad ora. Relativamente all’iter procedurale, la proposta Morani era stata già approvata da un ramo del Parlamento nella precedente legislatura; la proposta Molteni, invece, era stata presentata originariamente nel testo attuale e poi modificata nel corso dei lavori dalla precedente Commissione giustizia, durante la scorsa legislatura.
AGOSTINO DE CARO, professore di diritto processuale penale presso l'Università degli studi del Molise. Io ho letto la bozza che mi è stata mandata. Verificate se è una mia lettura o è...
PRESIDENTE. Per precisazione anche nei confronti di tutti gli altri auditi, abbiamo voluto reinviare entrambe le proposte di legge per fare un discorso complessivo. Poi, ovviamente, arriveremo a redigere un testo base. Sicuramente vi renderemo noti i prossimi lavori che ci vedranno partecipi in Commissione.
AGOSTINO DE CARO, professore di diritto processuale penale presso l'Università degli studi del Molise. Per tornare all'argomento principale, il giudizio abbreviato è un istituto introdotto nel codice di procedura penale nel 1988. Lo sapete meglio di me, è un istituto che ha avuto un'evoluzione, che è importante sottolineare.
Si definiva un istituto a prova bloccata: l'imputato poteva chiedere di essere giudicato allo stato degli atti, il pubblico ministero doveva esprimere il consenso e il giudice doveva valutare se la vicenda fosse decidibile allo stato degli atti, altrimenti rigettava la richiesta.
Poiché questa modalità del giudizio abbreviato era ritenuta insoddisfacente dalla maggior parte della dottrina e nella prassi viveva poco e male, si è ritenuto nel 1999, con la cosiddetta legge Carotti (legge 16 dicembre 1999, n. 479), di modificarla, e di modificarla radicalmente. Il giudizio abbreviato è divenuto un diritto a prova semplificata: non è più richiesto il consenso del pubblico ministero, non c'è più alcuna possibilità per il giudice di rigettarlo. È, cioè, un diritto dell'imputato. Sottolineo questo aspetto perché esso ritornerà nella valutazione di legittimità delle premesse costituzionali, che mi sembra invece siano necessarie.
È un diritto dell'imputato. Tenete presente che l'imputato ha il diritto all'accelerazione del processo, anche nell'ottica dell'articolo 111 della Costituzione; ha il diritto allo sconto di pena. In particolare, che quello allo sconto di pena sia un diritto vero e proprio lo ricaviamo da una serie di sentenze della Corte costituzionale, che si sono occupate negli anni 1991-92 del patteggiamento nel rito abbreviato e che lo hanno via via modificato, intervenendo anche in maniera abbastanza drastica, e che hanno ricostruito il diritto dell'imputato alla riduzione come un vero e proprio diritto. Perché dico questo?
Quando nel campo dei diritti si introducono delle discriminazioni, delle disparità, c'è sempre il rischio che l'articolo 3 della Costituzione venga violato. Naturalmente, voi legislatori siete liberi di disciplinare anche in maniera diversificata situazioni simili, ma a una condizione, che non si violi il principio della ragionevolezza, che è il criterio utilizzato dalla Corte costituzionale per verificare la tenuta del principio di eguaglianza, cioè per verificare se risposte diverse a situazioni uguali violino o meno il principio dettato dall'articolo 3 della Costituzione.
Nel caso di specie, il problema quindi è stabilire se sia ragionevole o almeno non irragionevole eliminare i reati puniti con la pena dell'ergastolo dal novero dei reati per i quali è possibile chiedere il giudizio abbreviato.
È stata richiamata, sia pur nella domanda di un commissario, una fondamentale sentenza, che vi inviterei a leggere, la n. 149, del 21 giugno 2018, depositata il 19 luglio, della Corte costituzionale, estensore Lattanzi, relatore Viganò.
In questa sentenza si supera – direi fortunatamente, ma questa è una mia opinione molto personale – l'idea di fondo legata all'istituto dell'ergastolo, cioè «fine pena mai», rappresentando come sia fondamentale, nella prospettiva dell'articolo 27 della Costituzione in tema di rieducazione del condannato, consentire la trasformazione di ogni ergastolo in pena temporanea. Ogni ergastolo, tutti gli ergastoli del mondo si possono trasformare in pena temporanea durante la loro vita, perché a un certo punto è possibile accedere ai benefìci, perché dopo 26 anni è possibile ottenere la liberazione condizionale, che normalmente negli altri reati può essere ottenuta dopo aver scontato la metà della pena.
L'ergastolo non è una pena irriducibile. Il nostro codice penale, al di là della norma di rito di cui stiamo discutendo, prevede (all'articolo 65) che, se viene concessa un'attenuante, la pena dell'ergastolo si trasforma nella reclusione da 20 a 24 anni. Stiamo parlando quindi di una pena molto inferiore ai 30 anni, vale a dire a quella prevista in sostituzione dell'ergastolo nel caso di giudizio abbreviato.
Si dice: però si tratta di un reato grave. Guardate, non possiamo ancorare il concetto di gravità esclusivamente alla pena prevista o al bene tutelato. L'omicidio è punito con la pena più severa perché il bene è di fondamentale importanza per la collettività, vale a dire la vita.
Guardate che sotto il profilo della tutela sociale, dell'ordine pubblico, è molto più grave il reato di associazione camorristica o di associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, soprattutto quando vede contestato a un soggetto il ruolo di capo promotore, specialmente se l'organizzazione mafiosa è particolarmente insistente sul territorio, di quanto non sia l'omicidio.
L'omicidio resta gravissimo, perché il bene tutelato è il bene vita, che è particolarmente importante. Sotto il profilo degli effetti sull'ordine pubblico, però, occorre fare attenzione. Nel momento in cui intraprendiamo la strada di non consentire il giudizio abbreviato per i reati puniti con la pena dell'ergastolo perché gravi, dovremmo dire: dobbiamo eliminare il giudizio abbreviato anche per tutti gli altri reati in cui le fattispecie sono denotate di particolare gravità.
Su questa strada, però, ne esce sconfitta l'efficienza del sistema. Il rito abbreviato funziona soprattutto nei reati particolarmente gravi, con imputati detenuti, dove si ha un interesse a essere giudicati subito e ad avere anche uno sconto di pena.
Il problema è, quindi: è ragionevole escludere dal novero delle possibili applicazioni del rito abbreviato i reati puniti con la pena dell'ergastolo?
Voi rispondete: sì perché la pena è particolarmente grave ed è importante un giudizio a contraddittorio pieno; sì perché è un reato grave e, proprio perché è un reato grave, la riduzione di pena ci lascia sconcertati. Sul secondo aspetto, credo di avervi già rappresentato che ciò non è affatto vero, perché ci sono reati gravi che non sono puniti con la pena dell'ergastolo e perché la pena dell'ergastolo in sé è riducibile già a sistema invariato, escludendo la riduzione prevista dal giudizio abbreviato.
Sotto il profilo delle garanzie di difesa, fate attenzione: il giudizio abbreviato è diverso dal patteggiamento. E questa è la ragione per la quale la divisione tra patteggiamento semplice e allargato ha resistito al vaglio di costituzionalità: quella è una richiesta concordata di applicazione della pena, è un'applicazione di pena senza giudizio. Nel nostro caso invece si tratta di un giudizio vero e proprio, svolto con tutte le regole del giusto processo.
L'unica regola del giusto processo che manca, e manca perché ne ha fatto richiesta l'imputato che è il titolare del diritto, è il contraddittorio sulla formazione della prova, perché questa situazione è contemplata come una delle eccezioni legittime previste dallo stesso articolo 111 della Costituzione.
Passo al secondo profilo. Noi continuiamo a ragionare come se il giudizio abbreviato si dovesse concludere con la condanna. Scusatemi, e l'imputato che si ritiene innocente non ha il diritto di chiedere l'anticipazione del giudizio? Perché deve aspettare i tempi biblici del giudizio dibattimentale? Soprattutto se inserito in un contesto di tanti imputati, il giudizio dibattimentale durerà anni. E il processo – dicevano i maestri di un tempo – è una pena che è meglio evitare di far scontare a chi non la merita.
Quanto al terzo profilo, ci colleghiamo al diritto ad essere giudicato con rito abbreviato e ad ottenere lo sconto di pena nel caso di condanna. C'è un triplice versante costituzionale: articolo 3, principio di eguaglianza e non discriminazione; articolo 111, ragionevole durata del processo; articolo 24, comma 2, diritto di difesa, che significa consentire all'imputato di azionare pienamente tutti i diritti che il sistema prevede. Noi avremo una categoria di imputati – ci stiamo abituando al doppio binario purtroppo, ma anche questa è una nota personale – che non potranno accedere al rito deflattivo anche se innocenti, perché c'è una sorta di prevenzione in quanto si ritiene irriducibile la pena dell'ergastolo, connotativa dell'enorme gravità del reato.
La pena dell'ergastolo – ribadisco – è riducibile nel sistema attuale, perché una sola attenuante consente la riduzione quando l'ergastolo è secco. Poniamo il caso di un delitto aggravato dall'evento, non pensiamo sempre e soltanto al femminicidio: c'è il classico omicidio aggravato dai motivi abietti e futili o dalla crudeltà nei confronti delle vittime – articolo 61 del codice penale, numero 1) e numero 4) – o il sequestro di persona con morte dell'ostaggio, reato odioso, punito con l'ergastolo. Parliamo di delitto aggravato dall'evento: in questo caso, se l'imputato risarcisce il danno o se merita le attenuanti generiche, si applica o non si applica l'articolo 65 del codice penale?
Ponete il caso che il colpevole confessi, faccia trovare il cadavere, consenta di ricostruire il fatto, ma la sua confessione non sia tale da configurare la dissociazione prevista dall'articolo 630 del codice penale. Se tuttavia il soggetto risarcisce il danno e il giudice ritiene applicabile un'attenuante, il suo ergastolo si ridurrà da 20 a 24 anni, neppure a 30 anni.
Passo all'ultimo rilievo. C'è tutta una gamma di processi che sono i più delicati. E qui dobbiamo fare chiarezza, perché il singolo reato può essere punito soltanto con la pena dell'ergastolo: l'omicidio aggravato o alcuni reati specifici come la strage, il sequestro di persona a scopo di estorsione, a scopo di terrorismo o eversione con la morte dell'ostaggio sono puniti con l'ergastolo secco. Non esiste reato singolo che sia punito con l'ergastolo con isolamento diurno. L'isolamento diurno deriva dalla combinazione tra il reato punito con la pena dell'ergastolo e uno o più reati puniti con pena superiore a 5 anni. Cosa vi fa pensare ciò? Che ci troviamo di fronte a un processo complesso con una pluralità di reati.
Ultima considerazione: vi sembrano pochi 30 anni di reclusione? Sapete che nel nostro sistema, se un imputato viene condannato cento volte a 23 anni di reclusione e quindi dovrebbe scontare 2300 anni di reclusione, ne sconta 30 perché questo è il limite massimo, cioè la pena si riduce a 30 anni?
Ci sono tantissimi collaboratori di giustizia che sono stati condannati perché hanno confessato e hanno consentito di ricostruire 100-200 omicidi, hanno avuto un cumulo di pene concorrenti di migliaia di anni, ma hanno scontato o stanno scontando 30 anni di reclusione, quindi 30 anni è il limite massimo in situazioni di enorme gravità. L'ergastolo si trasforma in 30 anni, e non mi pare un premio troppo appetibile; l'ergastolo con isolamento diurno si trasforma in ergastolo.
Vi ringrazio per la pazienza che avete avuto e concludo con una chiosa. Forse andrebbe meditata (ma siamo in una direzione ontologica, culturale completamente opposta) la legittimità della pena dell'ergastolo nel nostro sistema, che credo da più punti di vista dovremmo approcciare. Se può essere interessante un dibattito su questo tema, sono a vostra disposizione. Vi ringrazio.
PRESIDENTE. Grazie, professor De Caro. Ricordo, anche se lo farà dopo l'onorevole Conte, che è stata presentata una proposta di legge sull'abolizione dell'ergastolo; quindi stiamo facendo valutazioni che potranno riguardare anche le proposte che metteremo all'ordine del giorno nei prossimi mesi.
Farei intervenire gli altri professori per poi lasciare spazio a un giro di domande da parte dei commissari.
STEFANO PREZIOSI, professore di diritto penale presso l'Università Lum «Jean Monnet» di Bari. Grazie, presidente.
Vorrei partire da una premessa che potrebbe apparire scontata, ma che credo sia l'angolo visuale da cui bisogna prendere le mosse per esaminare queste proposte di legge. Non si deve pensare che sia possibile rendere effettiva la pena dell'ergastolo introducendo modifiche al rito abbreviato. Non si deve coltivare cioè l'idea che, laddove sia un problema che per determinati delitti molto gravi non venga irrogata in concreto la sanzione dell'ergastolo, si debba modificare il rito abbreviato, precludendolo ai reati puniti con l'ergastolo.
Come è stato già detto in alcuni interventi che mi hanno preceduto, nessuna ipotesi di reato implica necessariamente l'ergastolo come pena irrogabile in concreto. C'è solo un'ipotesi nel nostro ordinamento in cui l'ergastolo deve essere applicato, ed è quella prevista dall'articolo 73 del codice penale: si tratta di un'ipotesi di concorso di reati e più precisamente di cumulo delle pene derivanti da una pluralità di condanne oltre un certo limite.
Mi permetto quindi da umilissimo studioso di rivolgere quasi una raccomandazione a voi che siete parlamentari e quindi avete il dovere nei confronti dell'opinione pubblica di non far passare questa idea: vale a dire che, per evitare il problema – se è un problema, ma non lo è neanche per tutti – che l'ergastolo non viene irrogato in determinate ipotesi che destano un allarme sociale enorme, si debba modificare il rito del giudizio abbreviato. Sono due cose diverse.
Venendo alle proposte, una prima questione concerne i reati per i quali è prevista la pena dell'ergastolo. Anche qui va fatta una premessa indispensabile: per pena dell'ergastolo intendiamo la pena edittale, ad esempio nei casi di strage (articoli 285 e 422 del codice penale), oppure ci riferiamo anche a reati per i quali può essere applicata la pena dell'ergastolo ove concorrano determinate circostanze aggravanti, quali l'omicidio aggravato?
Ebbene, ove venissero introdotte queste norme, chiaramente ritengo che l'interpretazione scontata sarebbe che la preclusione opererebbe all'indirizzo degli uni e degli altri, quindi all'indirizzo non solo dei reati per i quali è prevista la pena edittale dell'ergastolo, ma anche di tutti i reati per i quali sia astrattamente applicabile l'ergastolo.
Benissimo, ma, signori, questo quadro normativo, ove venisse così introdotto, ci riporterebbe semplicemente alla situazione che si è venuta a creare dopo il 1991, cioè allorquando una sentenza della Corte costituzionale ha dichiarato illegittimo l'articolo 42 del codice di procedura penale nella parte in cui prevedeva appunto che alla pena dell'ergastolo venisse sostituita la reclusione di anni 30. Perché lo dichiarò illegittimo? Per una questione che esula dalle problematiche che oggi noi dobbiamo affrontare: per eccesso di delega.
Caducata quella norma, che cosa accadde? Sorsero molti problemi interpretativi. Che cosa succede se l'ergastolo preclude, come dopo il 1991 e fino al periodo a cavallo tra 2000 e 2001, il rito abbreviato? Dunque, nulla di nuovo sotto questo aspetto. Che cosa succede se all'imputato viene applicata una pena che discende da un reato non più punibile con l'ergastolo, ad esempio perché venga ritenuta non sussistente quella circostanza aggravante che aveva determinato la punibilità dell'ergastolo? È una cosa estremamente plausibile.
A tal proposito ci fu un lavorìo della Cassazione a sezioni unite. Anche la Corte costituzionale si pronunciò in qualche modo sull'argomento e si arrivò ad una soluzione: ad esempio, se l'insussistenza di quella circostanza era ex ante evidente e, quindi, si trattava in sostanza di una sorta di errore nella formulazione del capo d'imputazione, che cosa accadeva? Attenzione, non è che si rifacesse il processo in un altro modo. Il beneficio premiale riconnesso al giudizio abbreviato doveva essere riconosciuto dal giudice del dibattimento, perché effettivamente, laddove ex ante si fosse potuto riconoscere che l'elemento che giustificava l'applicazione dell'ergastolo non era sussistente, bisognava concedere il beneficio premiale. Altrimenti, sarebbe stata una violazione innanzitutto dell'articolo 24 della Costituzione, ma io direi anche di altre disposizioni costituzionali.
Questo scenario è mutato nel 2000-2001, perché si è introdotta nell'articolo 442 del codice di procedura penale la formulazione attuale che – dopo la sostituzione dell'ergastolo con la pena della reclusione di anni 30 e la successiva modifica della disposizione della cosiddetta legge Carotti nel 2001 – prevede una duplice modalità dell'ergastolo: ergastolo con isolamento diurno ed ergastolo «semplice».
Sullo sfondo di tutto questo, ci sono tematiche processualistiche di grande rilievo. Io non voglio assolutamente andare a falciare un campo che non è di mia pertinenza, ma faccio soltanto un accenno che mi sembra doveroso sotto questo profilo. Il rito abbreviato è mutato, c'è un percorso della giurisprudenza costituzionale estremamente articolato. Qual è l'approdo conclusivo più significativo ai fini di una valutazione su queste proposte di legge? Il binomio premialità e speditezza e, quindi, rinuncia al dibattimento si è rotto, non è indissolubile.
Qualcuno ha già detto che la scelta del rito abbreviato è divenuta un diritto dell'imputato. Nel momento in cui il giudizio abbreviato non ha più come premessa necessaria il consenso del pubblico ministero, non ha più una premessa di ordine diverso dalla volontà dell'imputato di ricorrervi, ebbene il rito abbreviato muta fisionomia dal punto di vista processuale e, dunque, questo binomio tra premialità e speditezza del processo o economia processuale può venir meno. Questo comporta che, ove l'abbreviato non sia stato ammesso, in una prima fase la giurisprudenza costituzionale si è orientata verso il recupero della premialità all'esito del giudizio ordinario e, quindi, l'imputato che lo avesse richiesto e al quale è stato illegittimamente negato dovrà comunque beneficiare della diminuente processuale. Successivamente abbiamo qualcosa di più e di diverso, cioè non basta questo, ma occorre anche che il rito alternativo venga recuperato in tutta la sua essenza, essendo ben possibile che anche davanti al giudice del dibattimento si celebri il processo con il rito abbreviato. Su questo la Corte costituzionale, dunque, è andata molto avanti.
In questo scenario ci rendiamo conto di quali e quante problematiche potrebbero sorgere, almeno a mio avviso naturalmente, dalla reintroduzione nel giudizio abbreviato della preclusione dell'ergastolo accompagnata dalla previsione di una richiesta subordinata alla diversa qualificazione del fatto o alla sussistenza di un fatto diverso da quello oggetto della contestazione? Si aprirebbe uno scenario, a mio avviso, di difficile compatibilità con l'assetto attuale del rito abbreviato, ma anche di difficile compatibilità con il quadro costituzionale.
Perché dico questo? Innanzitutto, rispetto a una richiesta di giudizio abbreviato subordinata a una diversa qualificazione del fatto, cosa vuol dire «diversa qualificazione del fatto»? A questo proposito mi sembra che si intreccino profili strettamente processual-penalistici con profili di diritto sostanziale. È chiaro che in chiave processual-penalistica il tema della diversa qualificazione del fatto verte essenzialmente sugli articoli 516 e 517 del codice di procedura penale, quindi sulla modifica dell'imputazione, laddove appunto quello che muta è il fatto nella sua consistenza fenomenica. Ma quando si parla di diversa qualificazione del fatto si potrebbe anche pensare che all'interno di questa locuzione debbano ricomprendersi anche quei casi in cui, per esempio, la valutazione sulla sussistenza di una circostanza sia mutata, magari proprio per effetto dell'istruttoria dibattimentale, e all'esito del dibattimento vengano ritenute insussistenti la premeditazione o un'altra circostanza che comporta l'applicabilità dell'ergastolo.
Allora forse, riprendendo la distinzione operata in giurisprudenza e ripresa dalla Corte costituzionale nel lungo e complesso iter in materia di giudizio abbreviato, ci si dovrebbe riferire ad un mutamento fisiologico – o meglio ad una qualificazione del fatto non erronea, che discende fisiologicamente da come si è sviluppata l'istruttoria dibattimentale, che ha consentito di mettere in evidenza connotati del fatto diversi rispetto a quelli originariamente contestati dal pubblico ministero – o si dovrebbero ricomprendere anche, o meglio soltanto, le ipotesi in cui invece la modificazione dell'imputazione è patologica, come appunto si suol dire, e cioè dipende da un errore originato dalla pubblica accusa nella formulazione di un capo di imputazione, che comportava l'applicabilità della pena dell'ergastolo?
Tutte queste questioni riemergerebbero inevitabilmente con profili, anche qui, di legittimità costituzionale a mio avviso molto, molto delicati.
In altre parole, a me sembra che la disposizione in cui si prevede una richiesta subordinata alla diversa qualificazione del fatto, da un lato, sia commendevole perché tenta di porre rimedio al pericolo di una dilatazione eccessiva dell'arbitrio o della discrezione del pubblico ministero nel formulare il capo d'imputazione ma, dall'altro lato, non possa riuscire a conseguire l'intento voluto, perché si creerebbe una serie di enormi problemi interpretativi a cavallo tra aspetti strettamente processuali penalistici e aspetti sostanziali.
Concludo, sorvolando su molti argomenti, che comunque andrebbero affrontati. Mi scuso per la mia posizione, evidentemente abbastanza critica, ma che ovviamente non vuole assolutamente essere mancante di rispetto nei confronti dei legislatori, però, così com'è configurato il rito abbreviato, si creerebbe un'inevitabile commistione della sua natura, un'ibridazione della sua natura, non più meramente processualistica.
Sul punto giurisprudenza e dottrina sono costanti: il rito abbreviato ha natura strettamente processualistica; anche la diminuente, il beneficio premiale, ha natura processualistica, con effetti di natura sostanziale, in quanto incide sulla pena. Questo vuol dire che la diminuzione della pena si applica una volta che sia stato valutato, alla stregua di tutte le norme dell'ordinamento penale sostanziale vigente, il fatto oggetto di accertamento.
La riduzione della pena opera una volta che il giudice abbia esperito tutte le attività, tutti gli accertamenti che gli sono imposti alla stregua delle norme del diritto sostanziale, quindi soltanto dopo che abbia accertato la gravità del reato, abbia effettuato il giudizio di comparazione delle circostanze, abbia verificato la pena applicabile in caso di concorso di reati, di continuazione e così via. Solo alla fine di tutto questo percorso, il giudice potrà applicare la diminuente per il giudizio abbreviato.
Se, però, facciamo dipendere l'ammissibilità del giudizio abbreviato da una qualificazione astratta, e più precisamente dalla specie della pena applicabile in astratto, secondo voi quest'istituto non inizia ad assumere anche le sembianze di un istituto di diritto sostanziale?
Inoltre, se addirittura, nello scomputo di pena, quindi nel beneficio, precludiamo l'operatività delle circostanze attenuanti perché il giudice deve operare la diminuzione sulla pena risultante dall'applicazione delle sole aggravanti, questo significa trasformare il rito abbreviato, o quantomeno la diminuente processuale, in una circostanza attenuante, comunque in un elemento di valutazione di ordine sostanziale.
Praticamente, significherà che il giudice, nel momento in cui valuta le circostanze aggravanti, farà una comparazione con la diminuente del rito. Che cosa significa se non portarlo sul piano del diritto sostanziale, cioè di quella integrale valutazione del fatto che deve concorrere a determinare la pena legale e giusta per ciascun reato? Quella diminuente perde, quindi, la sua natura processuale e diventa di natura sostanziale, o quantomeno ibrida.
Faccio un'ultima considerazione eminentemente pratica, e concludo.
Una volta che si stabilisce che la diminuzione di pena operi solo sulle circostanze aggravanti, cioè sulla pena risultante dall'applicazione delle sole circostanze aggravanti, chi chiederà il giudizio abbreviato? Ma chi chiederà il giudizio abbreviato? Abbiamo fatto una considerazione molto pratica, soprattutto per chi è del mestiere: chi va a chiedere un rito abbreviato quando sa che la riduzione di un terzo parte dal reato circostanziato soltanto aggravato? Rinuncio alle attenuanti a priori, e con una scelta che dipende dalla volontà dell'imputato.
Penso – non c'è tempo, e quindi concludo – che i profili di illegittimità costituzionale sarebbero veramente notevolissimi.
GIUSEPPE DELLA MONICA, professore di procedura penale presso l'Università degli studi di Cassino. Ho riflettuto a lungo sulle due proposte di legge e sono giunto alla conclusione che è necessario distinguere la scelta di fondo, la scelta politica sottesa alle due proposte, la sua ratio e le modalità di attuazione di questa scelta politica.
La scelta, e soprattutto la ratio che la anima, hanno a mio avviso una loro giustificazione. Il problema è la modalità di attuazione di questa scelta. Mi spiego meglio.
Qual è l'obiettivo delle due proposte di legge? Rimuovere una preclusione. Attualmente, il giudice del rito abbreviato non può infliggere l'ergastolo anche laddove debba giudicare un omicidio gravissimo, pluriaggravato, che non entra in concorso con altri reati. È tecnicamente impossibilitato a infliggere la pena dell'ergastolo.
A un problema riflesso ha fatto cenno il professor De Caro: più omicidi, venti, trenta, giudicati separatamente, tutti con pena temporanea grazie al ricorso dell'ergastolo; criterio moderatore: trent'anni. È un problema. Alla fine, noi avremo un condannato a cui è inflitta una pena non proporzionata al disvalore dei fatti che sono stati accertati e ritenuti in sentenza.
Veniamo alle modalità attuative della scelta politica e al limite che a mio modestissimo avviso hanno le due proposte di legge.
Le due proposte di legge collegano la preclusione al beneficio sanzionatorio alla preclusione al rito: per escludere il beneficio, escludono l'accesso al rito. A mio avviso, invece, i due piani vanno tenuti distinti. Peraltro, così come sono formulate, le proposte appaiono tecnicamente di difficile attuazione. Faccio un esempio.
Come le proposte individuano l'area di operatività della preclusione? Stabiliscono che il rito abbreviato è precluso agli imputati a cui viene contestato un reato per il quale la legge prevede la pena dell'ergastolo. Strage, devastazione, sono reati per i quali la legge prevede la pena dell'ergastolo. L'omicidio non è un reato per il quale la legge prevede la pena dell'ergastolo. È punito con la pena detentiva da 21 a 24 anni di reclusione. Diventa punibile con la pena dell'ergastolo per effetto della contestazione di circostanze aggravanti (futili motivi, sevizie, crudeltà).
Allora dobbiamo confrontarci con una questione, al di là della formula che forse sarebbe stato più corretto utilizzare, cioè «preclusione per i reati punibili con la pena dell'ergastolo anche per effetto delle contestate aggravanti» (questa era la formula forse più adatta e questa è la formula che ha utilizzato la Corte costituzionale nella sentenza n. 176 del 1991, non a caso). Poniamo il caso di doverci confrontare con la contestazione formulata dal pubblico ministero, perché la questione diventa la seguente: l'accesso al rito può essere precluso da contestazioni pretestuose del pubblico ministero.
Innanzitutto il pubblico ministero potrebbe contestare una pluralità di reati: ai sensi dell'articolo 130 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale è lui che all'atto dell'esercizio dell'azione penale forma il fascicolo. Un esempio potrebbe essere: procedimento per omicidio aggravato. In occasione di una perquisizione nel corso delle indagini viene rinvenuta a casa dell'indagato della sostanza stupefacente, il pubblico ministero agisce per l'omicidio aggravato e per la detenzione di sostanza stupefacente congiuntamente, così preclude all'imputato la possibilità del giudizio abbreviato ai sensi dell'articolo 73 del decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309.
Secondo esempio. Il pubblico ministero contesta all'imputato l'omicidio qualificandolo come doloso, mentre in realtà si tratta di omicidio colposo. Le proposte di legge intervengono sul punto e consentono all'imputato di formulare una richiesta di giudizio abbreviato, condizionata alla diversa qualificazione giuridica del fatto. Si parla anche di diverso reato, ma lì occorrerebbe una modifica dell'imputazione da parte del pubblico ministero. Lasciamo perdere.
Mi chiedo: laddove il giudice decida di accedere alla richiesta dell'imputato e quindi operi una riqualificazione del reato, la sua determinazione è vincolante? Se poi in sede di abbreviato emerge la necessità di un'integrazione probatoria ex ufficio, ai sensi dell'articolo 441, comma 5, del codice di procedura penale, i cui esiti danno conto della correttezza della originaria contestazione formulata dal pubblico ministero, cosa accade?
Seconda eventualità. Il pubblico ministero contesta un omicidio aggravato dai futili motivi o dai motivi abietti. Domanda: può l'imputato subordinare la richiesta di giudizio abbreviato all'esclusione dell'aggravante pretestuosamente contestata dal pubblico ministero? Ulteriore domanda: come fa il giudice dell'udienza preliminare ante iudicium ad escludere un'aggravante?
Terzo problema. Esiste oggi il giudizio abbreviato condizionato, condizionato su richiesta dell'imputato ad un'integrazione probatoria. Io sono destinatario di una contestazione di omicidio aggravato dalla premeditazione o dai futili motivi, ritengo però che con un'integrazione probatoria io posso dimostrare l'insussistenza delle contestate aggravanti. Domanda: posso formulare richiesta di abbreviato condizionato, indicando l'integrazione volta ad escludere una delle aggravanti che mi precludono l'accesso all'abbreviato?
Domanda ulteriore: il giudice, laddove condivida la prospettazione dell'imputato, cioè ritenga possibile attraverso l'integrazione probatoria elidere l'aggravante, cosa fa, ammette il rito per un reato punibile con l'ergastolo perché ab origine c'è la contestazione dell'aggravante? Ulteriore domanda: se ammette il rito, espleta l'integrazione probatoria e si convince invece che il pubblico ministero ha correttamente contestato l'aggravante, per cui il reato resta punibile con l'ergastolo, cosa fa? La soluzione è tecnicamente impraticabile, la scelta ha un suo perché, ha una sua ratio, il problema sono le modalità attuative, che hanno implicazioni anche sul piano costituzionale.
Il collega Agostino De Caro ha paventato chiaramente la violazione dell'articolo 3 della Costituzione, derivante dalla disparità di trattamento che patiscono imputati a cui vengono contestati reati diversi. Questa disparità è irragionevole? A me hanno insegnato all'Università ad applicare il criterio di ragionevolezza in questi termini: guardo alla ratio dell'istituto su cui vado ad incidere, il giudizio abbreviato, guardo alla ratio della regola: la ratio della deroga deve essere adeguata rispetto alla ratio dell'istituto.
Allora mi chiedo: rispetto a reati punibili con l'ergastolo qual è la ratio della preclusione? La ratio della preclusione è la particolare gravità, il particolare allarme sociale che destano tali delitti. Questa ratio giustifica il divieto di accedere al beneficio sanzionatorio, non il divieto di accedere al giudizio abbreviato. Le proposte potrebbero essere formulate in questi termini: accesso all'abbreviato per tutti, anche nel caso di reati punibili con l'ergastolo; all'esito dell'abbreviato, laddove il giudice ritenga concretamente applicabile la pena dell'ergastolo, la trasformazione dell'ergastolo in 30 anni o dell'ergastolo con isolamento in ergastolo diventa facoltativa, applicando i criteri fissati dall'articolo 133 del codice penale.
Questo non significa duplicare un'attenuante, non significa concedere in rito un'attenuante simile a quella di cui all'articolo 62-bis del codice penale, perché l'attenuante generica riduce l'ergastolo ad una pena da 20 a 24 anni di reclusione. Nel caso di specie invece la diminuente del rito ti porta dall'ergastolo a 30 anni, ma soltanto se il giudice, valutando la gravità del fatto, l'intensità del dolo e tutte le circostanze del caso concreto, ritiene l'imputato meritevole della diminuente facoltativa. Senza introdurre limitazioni all'accesso al rito, le proposte potrebbe scindere la preclusione al beneficio sanzionatorio dalla preclusione all'accesso al rito abbreviato.
Ovviamente ci sarebbe tanto da dire, ma mi fermo qui, rinviando eventualmente alla replica gli aspetti relativi alla formulazione delle due proposte e ad alcuni miglioramenti che potrebbero essere apportati. La mia idea è quella di coltivare la scelta politica e perseguirla attraverso modalità attuative diverse. Grazie.
GIORGIO SPANGHER, professore emerito di procedura penale presso l'Università degli studi di Roma «La Sapienza». Ho ascoltato con molto interesse, e meno male: le cose che dovevo dire sono già state in parte dette. Parto dal discorso finale o comunque dal filo rosso che ha collegato tutti gli interventi.
Quando il codice di procedura penale è nato con l'abbreviato, lo si è costruito come istituto di natura processuale, lasciando perdere qualsiasi riferimento di natura sostanziale, e la stessa cosa vale per il patteggiamento. Recentemente le cose si sono modificate, per cui il diritto penale ha cercato di governare nuovamente gli istituti di diritti speciali (sospensione, messa alla prova, tenuità del fatto e quant'altro).
Voi volete affrontare un problema attraverso un'altra questione. Qui c'è un'esigenza che qualcuno sente di effettività di pena che corrisponda alla gravità dei fatti. E voi pensate di risolvere il problema, come ha detto Della Monica, confondendolo con la finalità di economia processuale, che è un valore del codice di procedura penale. Quando si dice che il rito abbreviato condizionato viene rifiutato perché incompatibile con la celerità del rito vuol dire che al fondo non c'è un problema solo di pena, di sanzione, di accertamento, c'è un problema di ratio del sistema processuale, e la ratio dell'abbreviato è quella per la quale oggi l'imputato accetta le carte del pubblico ministero, sana le invalidità del pubblico ministero, accetta di essere giudicato in Camera di consiglio dal giudice monocratico allo stato degli atti.
Lo si configura come diritto perché prima il pm ha potuto fare tutto quello che voleva e raccogliere tutto quello che gli pareva. L'imputato ha guardato le carte e ha accettato di giocarsi la partita su questo.
Tra parentesi, questo rito ha un'economia processuale che la proposta non ha. È già stato detto quasi tutto. Guardate che, una volta che non si fa l'abbreviato, si fanno il giudizio di primo grado, il giudizio d'appello, che è un giudizio d'appello pieno, mentre l'appello dell'abbreviato è camerale – e oggi si discute se sia anche cartolare, ossia se sia soltanto cartolare o se consenta la rinnovazione quando l'imputato è stato prosciolto. In più, si fa il ricorso per Cassazione. Come ha detto il Presidente Minisci, si raccolgono tutte le prove, si sentono tutti i testimoni, si rinnova. Non si sana nulla. Si fanno le eccezioni e le eccezioni si portano avanti.
Voi pensate di risolvere il problema dell'effettività della pena per i reati gravi come se fosse una questione di diritto processuale penale. Non è così. E allora risolvete il problema per la strada giusta. L'ha detto anche il collega, ma io non sono d'accordo sulla conclusione relativa alla discrezionalità, perché già oggi la pena dell'abbreviato ha un limite: non si sa mai da quanto parte il giudice quando abbatte la pena di un terzo. Mentre nel patteggiamento si concorda la pena, nell'abbreviato il giudice può alzare la pena o abbatterla.
Il discorso che voi fate sull'effettività va anche rovesciato. Si può dire che sia stata data una pena bassa, ma si potrebbe anche dire che è stata data una pena alta e che l'abbattimento del terzo non è proporzionale all'entità che sarebbe stata da riconoscere se si fosse andati a dibattimento per quel determinato fatto.
Volete fare l'assise? L'ha già detto il Presidente Minisci. Se volete fare l'assise, vi siete dimenticati che avete anche un onere finanziario. Mi è stato detto ieri da un responsabile del Ministero, parlando incidentalmente, che questo rito, in queste condizioni, non è a invarianza finanziaria. Dovete anche trovare le risorse per fare i procedimenti dell'articolo 5 con l'assise.
È sbagliata la norma transitoria, perché c'è la sentenza Scoppola. Vi ricordate? La mattina l'abbreviato è in un dato modo, la sera in un altro. Avrete un rischio di incompatibilità del giudice. Faccio solo un riassunto.
Avrete anche un'altra questione: l'incompatibilità del giudice e il rito senza sanatorie, a prova piena.
Avrete anche procedimenti penali con molti imputati, perché basterà un reato punito con l'ergastolo per attrarre tutti i reati connessi e sviluppare tutti i procedimenti. Guardate che, finché c'è un procedimento per un reato solo, il codice di procedura penale funziona, ma, quando c'è un procedimento penale per reati connessi, un impedimento dell'avvocato, un rinvio, una nullità, o un qualcosa del genere e quei procedimenti non decollano. Più sono gli imputati, meno i procedimenti decollano, e i tempi si allungano. Ecco la ratio di economia processuale che sta a fondamento dell'istituto.
Voi volete risolvere un problema con un altro. Vi capisco, ma allora ragionate per quei determinati reati. Io non so trovare la soluzione, se non quella delle modalità di esecuzione della pena. Si può incidere sulla riduzione di determinati benefìci. La riduzione, invece che sul profilo iniziale sanzionatorio, può intervenire sui profili collaterali per quei determinati reati gravi, senza «scassare» un istituto che sta all'interno del codice di procedura penale, e che ha la sua ratio assoluta.
Tra parentesi, c'è un altro piccolo problema: questi reati sono veramente gravi, ma non hanno misure cautelari obbligatorie, sono talmente gravi che non ricadono nell'articolo 275 del codice di procedura penale. Allungando i tempi, invece che subire una condanna, può essere che gli imputati per quei determinati reati, puniti con l'ergastolo, o come volete voi, non siano sottoposti a misura cautelare. Se i termini di durata della custodia cautelare sono decorsi, l'articolo 275 non consente la misura obbligatoria.
Dirò una cosa che va in controtendenza. Forse i colleghi non saranno d'accordo con me. Il problema della pena dell'abbreviato esiste veramente, ma non esiste sulla questione dell'ergastolo, bensì sulla riduzione della pena da trent'anni a venti. Quello è il problema. Il discorso era e sarebbe quello di rimodulare il sistema sanzionatorio. Non sono neanche d'accordo a ridurre la pena della metà per le contravvenzioni: si può ipotizzare una riduzione di un sesto, un quinto, un quarto, un terzo. Da 30 anni si arriva a 25, perché si riduce di un sesto, da 24 si può andare...
Non so se mi sono spiegato. Questo è un sistema che lascia l'istituto e rende effettiva la pena. È un discorso che può piacere o non piacere, ma che salva l'istituto e contempera le esigenze.
Lo so, ho capito, ma, scusatemi, 10 anni, riducendo la pena da 30 a 20, in termini di effettività non sono pochi. È vero che la proporzione da 3 a 2 anni è la stessa – un terzo in entrambi i casi – ma in questo caso la riduzione di un terzo è pari a dieci anni... Non mischiamo i problemi. Lasciamo, secondo me, l'accesso al rito. Ma il terzo ora è secco. Non ci sono santi.
Farei un'altra considerazione. Stiamo attenti ai due riti da parte delle Corti d'assise. Le Corti d'assise sono, con la presenza dei giudici, una a rito camerale e una a rito pubblico. Voi sapete cosa vuol dire riunire una Corte d'assise? Quando stavo al Consiglio superiore della magistratura, i procedimenti delle assise non arrivavano quasi mai alla fine e si bloccavano per strada. Lo sapevate? Anche questo è un aspetto negativo della proposta.
Una domanda, tra le tante che sono state poste, è: che cosa accade se il giudice, all'esito del dibattimento di primo grado, cambia la qualificazione giuridica? Se prima dice di no e poi, alla fine, guardando le carte, l'integrazione probatoria, la nullità, l'invalidità, l'inutilizzabilità degli atti, decide che questo reato non è più così, che si fa? Si dà lo sconto di pena all'esito del giudizio, dopo che abbiamo fatto l'udienza preliminare?
No, non è scritto così. Se si fa in appello? Io impugno, in appello cambia la qualificazione e la Corte di cassazione accoglie con rinvio. Capite che questo discorso della qualificazione giuridica del fatto è un problema? È questo l'errore del collegamento, collegare un elemento processuale alla riduzione di pena.
Volete più pena? Trovate il sistema per aumentare le pene. Volete aumentare, per esempio, l'isolamento? Volete togliere i benefici penitenziari? Fatelo, ma non toccate – a me non interessa, non ho alcun interesse – un meccanismo processuale che ha la sua ratio e il suo equilibrio dentro il sistema.
Tale sistema, naturalmente, presenta anche dei limiti molto forti per l'imputato. Sapete per quale imputato? Per l'imputato prosciolto all'esito del rito abbreviato. L'imputato prosciolto all'esito del rito abbreviato, il famoso innocente che ha ottenuto il proscioglimento, si trova un appello del pubblico ministero, una rinnovazione obbligatoria. Non ha l'appello incidentale. Non può fare nulla. Ha sanato gli atti, e si rinnova. Si rinnova oggi e, secondo una determinata giurisprudenza, si rinnova totalmente, mentre invece, se fosse secco, non si dovrebbe neanche rinnovare.
Non è un rito che va solo a vantaggio. Secondo me, negli interventi che ho sentito per primi, si sono confusi vari argomenti. Non si può parlare di rito abbreviato quando uno ha avuto 12 anni. Vuol dire che non ha fatto un rito abbreviato punito con l'ergastolo. Avrà avuto degli sconti di pena per un reato grave, ma questo non c'entra niente con l'ergastolo. Ho sentito fare riferimento a casistica nella quale il problema dell'ergastolo non c'entra assolutamente niente. Se si dava l'ergastolo, si davano 30 anni. Non si finiva a 12.
Se volete trovare delle soluzioni, trovatele rimodulando la pena per quei determinati reati o per gli effetti collaterali di quella condizione soggettiva, senza necessariamente toccare l'istituto, per tutte le implicazioni negative che abbiamo visto oggi (incompatibilità, Corte d'assise, principio di proporzionalità).
In una delle proposte di legge avete tolto addirittura la riduzione della metà per le contravvenzioni. Non mi pare che sia un problema. Scusatemi, nel procedimento per decreto la pena può essere ridotta sino alla metà del minimo edittale, e abbiamo un problema se facciamo la metà della pena effettiva concreta – non so se mi spiego – per le contravvenzioni? Soprattutto c'è la mancanza di cautele, con il rischio che la persona sottoposta a un procedimento penale che dura molto a lungo possa ottenere la libertà personale. Forse sarebbe opportuna una meditazione più seria sulle implicazioni negative di questo procedimento.
C'è poi un errore materiale nella proposta Molteni, il che dimostra la fretta con cui è stata elaborata. Si fa un riferimento al comma 5-bis, dell'articolo 438 del codice di procedura penale che è sbagliato perché, invece, il riferimento corretto è al comma 5-ter, ma è un errore materiale.
Peggiori degli errori materiali sono gli errori di sistema. Questo a me sembra di doverlo dire. Trovate la soluzione in una maniera diversa. Non mischiate profili processuali con profili sanzionatori.
PRESIDENTE. Grazie a tutti gli auditi. Vi pregherei di rimanere qui, nel caso ci fosse qualche intervento da parte dei commissari.
Do la parola ai deputati che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.
CATELLO VITIELLO. Grazie, presidente. Sarò breve, perché le audizioni hanno avuto la loro durata. Cercherò di non rubare troppo tempo.
Premetto che mi fa piacere salutare e ringraziare gli ospiti che sono intervenuti oggi. Li abbiamo ascoltati con estremo piacere. In particolare – non me ne vogliano il professor De Caro e il professor Della Monica – rivolgo un ringraziamento al professor Spangher, che ho coinvolto personalmente nella questione. Chiedo che non me ne vogliano perché li conosco personalmente.
La domanda è rivolta proprio al professor Spangher e al professor Della Monica, che hanno cercato di suggerire una soluzione alternativa. Posto che la mia idea è che si debba intervenire post giudicato sull'effettività della pena, e secondo me quello risolve ogni problema a monte, non si mette a repentaglio il concetto di premialità riducendo comunque la possibilità di accedere al rito alternativo, che invece ha tutt'altro scopo?
Condivido, infatti, quello che il professor De Caro più volte ha sottolineato a proposito del problema della deflazione. Il rito abbreviato nasceva proprio per andare incontro alla ragionevole durata del processo. Avere una rimodulazione della pena, o addirittura consentire una discrezionalità del giudice, come diceva il professor Della Monica, nel secondo caso introduce un'alea e invece nel primo caso riduce ancora di più la premialità, che serve poi a un accesso più veloce all'esito. Attenzione, l'abbreviato non significa ottenere un terzo della pena. Significa arrivare prima alla condanna, qualora naturalmente l'imputato sia condannato.
Mi rimetto a voi anche rispetto alle soluzioni che avete prospettato.
LUCA RODOLFO PAOLINI. Vi rivolgo una domanda che ho fatto anche ai colleghi precedenti.
Voi siete processual penalisti: sapete dirci come viene affrontato il problema di riti alternativi simili o paragonabili all'abbreviato in altri ordinamenti europei o anche di common law?
PRESIDENTE. Do la parola agli auditi per la replica. Se venissero in mente ulteriori considerazioni, faremo un altro giro di domande.
GIORGIO SPANGHER, professore emerito di procedura penale presso l'Università degli studi di Roma «La Sapienza». Dirò due cose brevemente.
I diversi sistemi non sono comparabili. Io sono abbastanza restio a fare questi trasferimenti di modelli processuali retti da regole assolutamente diverse. Tra sistemi di civil law e di common law c'è una profonda differenza. Noi abbiamo una Carta costituzionale, loro hanno il potere del giudice, il discorso viene fatto dalla giuria. Lì si può addirittura rinunciare a un'imputazione, si può negoziare, come vedete con la vicenda Trump e company, sulle imputazioni. Non farei la comparazione. Restiamo nella nostra tradizione giuridica. Sotto questo profilo, noi abbiamo fatto una scelta guardando oltreoceano, ma costruendo il meccanismo secondo il nostro schema. (Interruzione fuori microfono)
Mi rendo conto di una cosa, mi rendo conto che voi siete in una sede legislativa e anche in una sede politica. Il problema del processo e dei processi è più o meno questo: finché affrontiamo la questione di un reato isolato (il mio furto, la mia rapina), il discorso è facile. La questione diventa più complessa quando ci si trova di fronte ai cosiddetti fenomeni, al fenomeno sociale di più ampio respiro. Un conto è uccidere una donna – per carità, reato – un conto è, per esempio, il fenomeno della corruzione, e avete sotto gli occhi il provvedimento anticorruzione quale azione di contrasto.
Quando ci sono fenomeni di questo tipo, e questa è una degenerazione che viene dalla criminalità terroristica italiana degli anni Settanta, che poi si trasferisce alla criminalità degli anni successivi, alla criminalità organizzata, alla criminalità terroristica... Posso fare un inciso? Il passaggio dalla prima alla seconda sentenza di Mafia capitale è determinato dall'episodio di Ostia, nella mia lettura.
Quando un dato, invece di essere isolato, diventa un fatto endemico, o comunque generale, sociale, voi state affrontando – ecco il senso degli interventi di oggi – reati particolarmente gravi, particolarmente efferati che colpiscono la collettività, che si ritiene vadano puniti adeguatamente, per cui sono state intrecciate situazioni relative all'abbreviato con situazioni relative alla pena che non c'entravano niente con l'abbreviato. Diventano, però, fenomeni di impatto sociale. In questo caso, le risposte sono più difficili. Un conto è isolare il singolo fatto, un altro è dare una risposta complessiva a quello che si ritiene un fenomeno.
Ecco il senso del discorso che sta emergendo oggi, ma ciò non deve essere l'anticipazione anche per questo settore, altrimenti di percorsi processuali ne avremo a doppio binario, a triplo binario, a quadruplo binario: tanti piccoli percorsi con meccanismi assolutamente differenziati.
Bisogna avere la capacità di trovare, sì, la risposta, ma secondo me senza alterare la struttura del rito. Per i reati di criminalità organizzata, per esempio, si fa l'abbreviato, non è che non si faccia. Per i reati di corruzione si fa l'abbreviato. Anche per questi reati si può fare l'abbreviato: si trovino determinati rimedi sanzionatori che possono essere ritenuti efficaci o deterrenti.
In realtà – diciamocela tutta, e proprio la corruzione l'ha evidenziato – non è che aumentando le pene, si diminuiscono i reati, tant'è vero che nel provvedimento contro la corruzione si è dovuto andare a cercare che cosa? Le pene accessorie. Non si è risolto il problema aumentando la pena o escludendo l'abbreviato. Si è cercato di risolvere il problema con l'inasprimento di una pena affiancata.
Probabilmente, oggi è questa la strada per i fenomeni che state analizzando, senza alterare la struttura del rito.
GIUSEPPE DELLA MONICA, professore di procedura penale presso l'Università degli studi di Cassino. I problemi posti dall'onorevole Vitello sono sostanzialmente due. Il primo è la discrezionalità del giudice.
Nella soluzione che io suggerisco, all'esito del giudizio abbreviato, laddove sia applicabile la pena dell'ergastolo, il giudice ha la possibilità di applicare la pena dell'ergastolo non riconoscendo all'imputato la diminuente oppure, tenuto conto dei criteri di cui all'articolo 133 del codice penale, di riconoscere la diminuente e applicare la pena dei 30 anni di reclusione.
Relativamente al problema della discrezionalità, rivolgo una domanda all'onorevole Vitiello. Oggi, abbiamo reati punibili con l'ergastolo per i quali, con il riconoscimento delle attenuanti generiche, che danno al giudice un potere discrezionale forse più ampio, può essere applicata una pena da 20 a 24 anni, cioè passo dall'ergastolo a 20 anni con l'applicazione delle attenuanti generiche, che vuol dire che valuto una confessione secca, rapida, fatta all'ultima udienza dall'imputato, che si alza, si limita a dire «ammetto gli addebiti» per un omicidio efferatissimo, e posso comminare una pena di 20 anni. Questo il sistema prevede oggi. E poi riteniamo compromettente un potere discrezionale che consente al giudice di comminare l'ergastolo o i 30 anni? Mi sembra che sul piano della comparazione le situazioni siano le stesse.
Quanto al problema dell'effetto premiale, perché scelgo l'abbreviato se poi la diminuente è facoltativa? Innanzitutto, la scelta del rito abbreviato non è in funzione della condanna. La ratio dell'abbreviato non è l'effetto premiale. Io posso essere innocente, interessato ad avere rapidamente una sentenza assolutoria allo stato degli atti e non vedermi precluso l'accesso al rito solo perché il reato che mi contestano è punibile con l'ergastolo.
Vi invito a leggere due sentenze, l'una citata dal professor Spangher, la sentenza Scoppola della Corte europea; l'altra la sentenza Morabito contro Italia. Lì è chiaramente messa in luce questa differenza. Attenzione, un conto sono i presupposti per accedere al rito; altro conto sono i presupposti per ottenere il beneficio premiale all'esito del rito. Il premio c'è all'esito.
È un premio facoltativo, ed è ragionevole che sia facoltativo perché rispondi di un reato particolarmente grave. Ecco perché è ragionevole che il premio non sia secco, da ergastolo a 30 anni. Hai la garanzia dell'accesso a un rito che ti consente una sentenza allo stato degli atti, una sentenza in tempi ragionevolmente brevi. Laddove tu sia condannato, sarà il giudice a decidere tra ergastolo e 30 anni, recuperando la possibilità di comminare l'ergastolo. Il punto debole dell'attuale sistema è la preclusione a comminare l'ergastolo quando l'imputato lo merita.
Vengo all'ultima riflessione: si è detto anche che si può intervenire in fase esecutiva. Consentitemi di esprimere il mio aperto assoluto dissenso.
Poniamo il caso dell'imputato che prende 30 anni e li merita tutti e quello dell'imputato che prende 30 anni e avrebbe meritato l'ergastolo, ma il giudice non ha potuto comminarglielo: che facciamo, rendiamo ostative le due pene di 30 anni per due imputati in situazioni completamente diverse? Agire nella fase esecutiva significa non poter differenziare tra chi ha preso la pena di 30 anni all'esito di un rito abbreviato per la preclusione imposta al giudice, che non poteva comminargli l'ergastolo, e chi ha preso 30 anni perché li meritava.
Non si può spostare il problema in avanti, alla fase esecutiva. Bisogna agire, laddove si vuole perseguire la scelta politica, sull'articolo 442 del codice di procedura penale. Ha ragione il professor Spangher, perché l'articolo 442 è norma di diritto penale, è l'unica norma di tutto il complesso della disciplina del giudizio abbreviato che è considerata anche dalla Corte europea dei diritti dell'uomo norma di diritto sostanziale. Lo stesso discorso non vale per l'articolo 438 del codice di procedura penale. Quella è norma processuale, perché l'articolo 438 è relativo all'accesso al rito. E si deve consentirlo, perché si potrebbe avere interesse a una rapida assoluzione. L'accesso si deve consentire. Il problema è il premio.
Non è detto che il premio debba essere doveroso. Non è detto che il premio debba essere secco. Il premio può essere modulato. Il professor Spangher ha proposto una riduzione di un sesto, un quarto, un terzo, un mezzo. Non si modulano i premi così? E perché sarebbe irragionevole modulare il premio come facoltativo all'esito del giudizio, laddove concretamente sia applicabile la pena dell'ergastolo? Premio sì o premio no, e lo decide il giudice sulla base di una valutazione attenta di tutte le circostanze del caso concreto. A mio avviso, è una proposta sulla quale bisogna riflettere attentamente, se siete intenzionati a perseguire quella scelta.
PRESIDENTE. Do la parola all'onorevole Bazoli, poi faremo un altro giro di interventi da parte dei professori Preziosi e De Caro. Non so se anche il professor Triggiani vorrà aggiungere qualcosa.
ALFREDO BAZOLI. Ho una domanda veloce e anche abbastanza banalotta – mi rendo conto – ma è giusto per capire. Io ho capito che avete criticato in maniera abbastanza chiara l'impostazione della proposta di legge. Non sono un penalista, sono un civilista, quindi magari mi manca qualche riferimento, ma se non sbaglio tra il 1991 e il 1999 in Italia, per effetto della sentenza n. 176 del 1991 della Corte costituzionale e prima che venisse introdotta la cosiddetta riforma Carotti, c'è stato un periodo in cui effettivamente per i reati puniti con l'ergastolo non si accedeva al rito abbreviato.
Voglio capire com'era allora quel sistema, visto che oggi voi invece ritenete inapplicabile una riforma che cerca di ripristinare quelle condizioni, se erano tali?
AGOSTINO DE CARO, professore di diritto processuale penale presso l'Università degli studi del Molise. Rispondo subito all'ultima domanda. La Corte costituzionale dichiarò illegittimo il giudizio abbreviato per i reati puniti con la pena dell'ergastolo per eccesso di delega, perché la legge delega, che rappresentava la premessa dell'articolato del codice di procedura penale, stabiliva solo la riduzione di un terzo. La Corte ritenne che non era possibile pensare che la riduzione di un terzo corrispondesse alla riduzione ergastolo/30 anni proprio per un fatto matematico: ergastolo/30 anni non è un terzo. C'era, quindi, un eccesso di delega, tant'è vero che poi il legislatore è intervenuto con una legge, e quindi autonomamente ha ricostruito il sistema, ovviamente calandolo sul nuovo abbreviato, che nel frattempo era modificato.
ALFREDO BAZOLI. (fuori microfono) In quegli otto anni funzionava?
AGOSTINO DE CARO, professore di diritto processuale penale presso l'Università degli studi del Molise. In quegli otto anni non ha funzionato, però poi è intervenuta la Corte europea, che ha stabilito che chi avesse fatto richiesta di abbreviato aveva comunque diritto allo sconto di un terzo della pena.
Io vorrei fare due riflessioni. Mi intriga molto, come sempre, la proposta del professor Spangher di modulare la riduzione di pena. Non sono d'accordo però circa l'idea di lasciarla alla discrezionalità del giudice, perché con grande difficoltà riesco a capire l'espressione «discrezionalità del giudice».
Il giudice che applica le attenuanti generiche, a mio giudizio non le applica discrezionalmente. Quando ci sono le condizioni previste dalla legge, è obbligato ad applicarle, e deve darne conto nella motivazione, che è controllabile da un giudice di merito e poi da un giudice di legittimità. Il giudice deve applicare la riduzione se ci sono le condizioni per farlo.
Una cosa è la valutazione del fatto, degli elementi essenziali e degli elementi accidentali, nonché delle aggravanti; altra è la verifica dell'applicazione di una riduzione, che è di carattere squisitamente processuale. Nessuno chiederebbe più il giudizio abbreviato senza un minimo di premialità, e la premialità sta nella possibile riduzione della pena, fermo restando che la ratio del rito è l'accelerazione dei tempi del processo.
Vengo alla terza considerazione. Il professor Spangher ha sottolineato un aspetto che mi pare importantissimo: quando ci sono determinati fenomeni, vanno contrastati. Guardate, il modo per contrastare i fenomeni (il femminicidio o la corruzione) non è aumentare di un giorno la pena, ma rendere efficiente l'accertamento e rapida la decisione. Questi sono i due connotati che caratterizzano l'efficienza del sistema processuale. E noi abbiamo bisogno di un sistema efficiente.
Non abbiamo bisogno e non vogliamo più, anzi non dovremmo volere, un processo che dura un tempo interminabile. Il rito abbreviato è l'unico modo per accelerare i tempi di processi complessi con imputati detenuti. Nella pratica, sono quelli i processi che oggi si celebrano celermente. Il rito abbreviato fallisce nei processi di poco momento; e sapete perché? Lo sapete meglio di me: lì c'è il rischio di prescrizione. Se non si mette mano alla prescrizione, difficilmente diventerà appetibile il rito abbreviato nei reati bagatellari o nei reati meno gravi.
Nei reati più gravi, invece, in cui non c'è il rischio di prescrizione, c'è da parte dell'imputato una rinunzia a difendersi provando. Si fa risparmiare enorme tempo allo Stato in termini economici e in termini di efficienza. Il premio è connaturato a questa scelta, che è di tipo meramente processuale, per cui non la possiamo confondere né affidare alla discrezionalità del giudice.
Forse calibrare le riduzioni a seconda della gravità del fatto può essere interessante, ma ribadisco che non è la quantità della pena che credo connoti l'efficienza dell'accertamento. È l'effettività della pena, che non significa quantità, ma significa percentuale di casi in cui il colpevole viene individuato e condannato e la pena diviene esecutiva.
STEFANO PREZIOSI, professore di diritto penale presso l'Università Lum «Jean Monnet» di Bari. Io vorrei tornare un momento al punto di partenza. Nella politica criminale, e quindi nell'attività del legislatore in materia penale, il punto di partenza deve essere reso massimamente chiaro.
Nel nostro ordinamento non esistono reati per i quali sia preclusa l'applicazione dell'ergastolo, o meglio non esistono situazioni in cui per reati per i quali l'ergastolo è previsto sia preclusa l'irrogazione di questa pena. Non è previsto. Se partiamo da questo punto di partenza, commettiamo un errore.
Ove sia previsto l'ergastolo in relazione, per esempio, a una circostanza aggravante dell'omicidio, quella pena potrà sempre essere applicata anche – anche, lo ripeto – con il rito abbreviato, salva la trasformazione da ergastolo con isolamento diurno a ergastolo senza isolamento diurno.
Quando si va verso l'applicazione di una pena diversa, ciò dipende esclusivamente dall'esercizio del potere discrezionale del giudice. Dipende, cioè, da come il giudice ha ritenuto, o meglio da quale valore ha assegnato alle circostanze.
Il punto focale, se parliamo di pene, sta tutto nella disciplina delle circostanze del reato, non certo nel rito abbreviato.
Bisogna partire dalla premessa che non esiste una situazione in cui sia preclusa l'applicazione dell'ergastolo per effetto della scelta del rito. Non c'è. Non c'è nel nostro ordinamento.
Mi permetto di aggiungere proprio su questo punto una piccola notazione. Le circostanze del reato sono state martoriate dal 1974 sino a oggi da una serie di interventi che ne hanno stravolto la fisionomia. Se si vuole intervenire sulle sanzioni, bisogna partire da lì e da tante altre questioni – ma certo non si può tralasciare quel profilo – e anche dal potere discrezionale del giudice. Non c'è una sentenza della Cassazione che intervenga sul contenuto della motivazione nell'esercizio del potere discrezionale del giudice.
Quindi, non sono d'accordo su alcune cose che sono state dette, cioè che il potere discrezionale non c'è. Un potere discrezionale c'è. È troppo ampio proprio nella dosimetria sanzionatoria in sede di irrogazione della pena, e soprattutto è fuori controllo, perché la Cassazione si è sempre rifiutata, di fatto, di effettuare un sindacato di legittimità sulle decisioni dei giudici in ordine alla commisurazione della pena.
Questo mi sembra un punto rilevante. Il problema che sta alla base degli obiettivi di queste proposte legislative, cioè quelli dell'inasprimento, o comunque della certezza della pena e della garanzia che la pena più grave, l'ergastolo, sia applicata laddove ci sia ragione di applicarla, si colloca effettivamente da un'altra parte, in un altro settore dell'ordinamento processual-penalistico, non certo in quello del rito abbreviato.
C'è una considerazione processualistica che avevo dimenticato di fare prima, e che mi sembra molto importante. L'accenno soltanto. In una delle proposte si prevede una sorta di dissociazione tra la contestazione e la vocatio in iudicium. Possono divergere il contenuto della contestazione e il provvedimento che dispone il giudizio. Possono esservi due diversi fatti contestati.
A me questo sembra assolutamente inaccettabile. Non riesco neanche a collocare dal punto di vista logico-giuridico una situazione di questo tipo. Mi sembra che di questo debba essere fatta assolutamente emenda. È una dissociazione che non può trovare alcun tipo di riscontro.
PRESIDENTE. Se non ci sono altri interventi, ringraziamo tantissimo i nostri ospiti per questa audizione molto importante per tutti noi. Ci aggiorneremo per i lavori futuri e vi terremo aggiornati. Grazie per essere stati con noi fino ad ora.
Dichiaro conclusa l'audizione.
La seduta termina alle 19.05.