XVIII Legislatura

VII Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 4 di Martedì 26 ottobre 2021

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Casa Vittoria , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLE FONDAZIONI LIRICO-SINFONICHE

Audizione, in videoconferenza, del Sovrintendente del Teatro alla Scala di Milano, Dominique Meyer.
Casa Vittoria , Presidente ... 3 
Meyer Dominique , Sovrintendente del Teatro alla Scala di Milano ... 3 
Casa Vittoria , Presidente ... 7 
Nitti Michele (PD)  ... 7 
Patelli Cristina (LEGA)  ... 7 
Casa Vittoria , Presidente ... 8 
Meyer Dominique , Sovrintendente del Teatro alla Scala di Milano ... 8 
Casa Vittoria , Presidente ... 9 

Audizione, in videoconferenza, del Sovrintendente del Gran Teatro La Fenice di Venezia, Fortunato Ortombina:
Casa Vittoria , Presidente ... 9 
Ortombina Fortunato , Sovrintendente del Sovrintendente del Gran Teatro La Fenice di Venezia ... 10 
Casa Vittoria , Presidente ... 13 
Nitti Michele (PD)  ... 13 
Patelli Cristina (LEGA)  ... 13 
Casa Vittoria , Presidente ... 14 
Ortombina Fortunato , Sovrintendente del Sovrintendente del Gran Teatro La Fenice di Venezia ... 14 
Casa Vittoria , Presidente ... 16 

ALLEGATO: Documentazione depositata dal Sovrintendente Ortombina ... 17

Sigle dei gruppi parlamentari:
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Lega - Salvini Premier: Lega;
Partito Democratico: PD;
Forza Italia - Berlusconi Presidente: FI;
Fratelli d'Italia: FdI;
Italia Viva: IV;
Coraggio Italia: CI;
Liberi e Uguali: LeU;
Misto: Misto;
Misto-L'Alternativa c'è: Misto-L'A.C'È;
Misto-MAIE-PSI-Facciamoeco: Misto-MAIE-PSI-FE;
Misto-Centro Democratico: Misto-CD;
Misto-Noi con l'Italia-USEI-Rinascimento ADC: Misto-NcI-USEI-R-AC;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Azione-+Europa-Radicali Italiani: Misto-A-+E-RI.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE
VITTORIA CASA

  La seduta comincia alle 9.50.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna è garantita anche dalla trasmissione in diretta sul canale web-tv della Camera dei deputati.

Audizione, in videoconferenza, del Sovrintendente del Teatro alla Scala di Milano, Dominique Meyer.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulle Fondazioni lirico-sinfoniche, l'audizione in videoconferenza del dottor Dominique Meyer, Sovrintendente del Teatro alla Scala di Milano. Saluto il Sovrintendente Meyer, che ringrazio per essere intervenuto, e saluto anche i colleghi, quelli presenti e quelli che partecipano da remoto.
  Ricordo che dopo l'intervento del Sovrintendente darò la parola ai colleghi che intendano porre domande o svolgere osservazioni. Successivamente il nostro ospite potrà rispondere alle domande. Chiedo ai colleghi interessati di far pervenire fin da adesso la propria iscrizione a parlare. Do quindi la parola al Sovrintendente Meyer.

  DOMINIQUE MEYER, Sovrintendente del Teatro alla Scala di Milano. Buongiorno e grazie di avermi invitato. Sono molto felice di poter presentare la situazione del Teatro alla Scala. Prima di tutto sono qui da un anno e mezzo: un periodo particolare, come sapete tutti.
  Vorrei presentarmi. Ho 66 anni, sono stato direttore generale dell'Opera di Parigi, Palais Garnier, e ho fatto l'apertura del Teatro della Bastiglia. Dopodiché, ho voluto avere un incarico artistico e per questo motivo ho diretto per cinque anni l'Opera di Losanna in Svizzera; poi sono tornato a Parigi e ho diretto per dodici anni il Theatre des Champs-Élysées che è una sala privata di 2.000 posti, senza soldi pubblici, e fa un programma complessivo di concerti sinfonici, opere e balletti con tutti i grandi nomi della sinfonica. Poi ho diretto per dieci anni l'Opera di Vienna in Austria, uno dei mostri internazionali con 300 recite di opera e di balletto ogni anno con 50 titoli diversi e, infine, sono arrivato qui alla Scala. Ho preso subito la decisione di dare alla Scala tutto quello che ho imparato viaggiando in questi diversi Paesi e dirigendo questi grandi teatri.
  La Scala è dotata di una forma organizzativa un po' speciale. Il primo punto speciale è che abbiamo un contratto specifico, il contratto Scala, che ha delle particolarità notevoli. Il secondo punto è che abbiamo una struttura di ricavi molto diversa da tanti altri teatri, nel senso che abbiamo il 60 per cento di ricavi privati. I fondatori pubblici di diritto – Stato, regione e comune – rappresentano il 32,8 per cento dei ricavi, mentre il resto è fatto da privati. Abbiamo fondatori privati per 23 milioni, ricavi di biglietteria per 35 milioni, sponsorizzazioni per 13 milioni, erogazioni liberali per 3 milioni e altri ricavi per 9 milioni. Tra questi ultimi, un punto molto importante è costituito dalle tournée all'estero che rappresentano un ricavo che va da 2 a 4 o 5 milioni ogni anno, a seconda di dove andiamo.
  Quando sono arrivato ho capito abbastanza velocemente che cosa c'era da fare Pag. 4per rinnovare l'amministrazione. Arrivando da fuori, è difficile criticare un'organizzazione così importante come quella della Scala. Pensavo che fosse il tempo di modernizzare questa amministrazione; dunque ho cercato di creare una certa consapevolezza della situazione reale, perché una riforma non si fa contro un'organizzazione, ma si fa con l'organizzazione e con le persone. Tra l'altro, nella mia carriera non ho mai cambiato le persone arrivando in un nuovo teatro, ma ho sempre lavorato con quelli che erano già lì, creando regole diverse quando pensavo che fosse necessario. Per creare questa consapevolezza ho pensato di fare tre piani: un piano tecnologico, uno ecologico e uno di inclusione sociale. Sulla base di questi piani abbiamo fatto uno screening, un'analisi di tutte le funzioni dell'Opera, facendo 40 o 50 riunioni con tutti i reparti del Teatro sempre concentrati su un soggetto, perché ho visto che spesso si scappa dal soggetto per parlare di tutt'altra cosa. Quindi ho detto: «ragazzi, no; ci concentriamo sulla cosa principale di oggi. Evitiamo la retorica, la lingua fiorita e facciamo un po' tutto con soggetto, verbo e complemento». Questo ci è servito molto e siamo arrivati alla conclusione che c'era molto da fare.
  Forse il punto di partenza era che nell'amministrazione avevamo quattro programmi informatici che non corrispondevano: erano come quattro isole. Così ho pensato che dovevamo costruire dei ponti tra queste isole in modo da non rifare sempre gli stessi errori o correre il rischio di commettere errori importanti. Ho pensato a quanto fosse assurdo spendere una montagna di soldi facendo adattamenti informatici, se quello che non funziona sta dietro. Sono le procedure a essere complicate. Alla fine non ci si può nascondere sempre dietro all'idea che siamo un teatro lirico e che siamo una cosa particolare che si chiama «Teatro alla Scala», ma si tratta di ingaggiare persone e pagarle, di fare acquisti e pagare le fatture. Non vedo che cosa ci sia di così specifico in questa faccenda.
  Abbiamo lavorato per riorganizzare tutte le procedure. Dentro le procedure ho visto che era l'organizzazione a non essere adeguata. Per questo motivo, l'inverno scorso, ho fatto la proposta al Consiglio di amministrazione di cambiare l'organizzazione del Teatro alla Scala. Abbiamo fatto una rivoluzione silenziosa e, con l'appoggio del Consiglio, questa riforma è arrivata a maturità a giugno e abbiamo cambiato l'organigramma. Inoltre, c'era una funzione centrale di direttore generale che aveva un po' la funzione di tappo tra il Sovrintendente e la direzione. Questo direttore generale, che nel nostro caso era una direttrice, aveva 14 deleghe sui 19 poteri del sovrintendente. Trovo che questo sistema sia molto antico. Infatti, se si studia un po' il modo moderno di gestire le aziende normali e non soltanto quelle liriche, si vede che questa funzione ha la tendenza a sparire. Così abbiamo soppresso questa direzione generale, ripartito tutte le deleghe tra i direttori che sono molto validi e che lavorano bene. Inoltre, stiamo creando un sistema di audit che sarà piazzato presso il Consiglio di amministrazione. Quindi, ci sarà più potere ai delegati e ai direttori e più controllo, ma non un controllo prima di fare ogni gesto, bensì un controllo sistematico a posteriori. Sono molto a favore di questo controllo, avendolo verificato nelle tappe della mia carriera. Il teatro che mi ha dato la più grande impressione è il Teatro di Losanna in cui c'era un controllo ogni anno, fatto molto seriamente. Il controllo dà al dirigente una tranquillità che altrimenti non si può avere, perché non si può verificare tutto. Si può chiedere di firmare tutti i documenti, ma se ogni giorno si hanno 600 documenti da firmare, non si può controllare tutto. Semplicemente, non è vero. Io credo nella decentralizzazione dei poteri e nel controllo.
  Inoltre, ho creato un sistema di organizzazione interna. Quando sono arrivato, ho fatto una cosa ingenua, poiché ho fatto una riunione di direzione e mi hanno detto: «È la prima volta da sei anni», ed era molto strano. Ho chiesto ai miei direttori di fare una riunione di ogni direzione ogni settimana e di mandarmi un piccolo documento di cinque righe per farmi sapere Pag. 5quello che è stato fatto durante la settimana.
  Abbiamo creato una direzione amministrativa più ampia, in cui c'è gente molto competente, come un direttore amministrativo che era già nel Teatro che conosce molto bene tutte le procedure.
  Siamo ingaggiati nella semplificazione delle procedure e abbiamo creato una funzione informatica che non esisteva. C'erano due signori che facevano tutto e mi facevano pensare a quelli che nel circo fanno girare dei piatti sul metallo.
  Ho visto la mancanza di un piano più generale. La tecnologia oggi deve avere un'importanza maggiore nei teatri e si deve prendere sul serio. Per questo motivo abbiamo ingaggiato un ingegnere informatico che ha già fatto molto e stiamo preparando le gare per la nuova biglietteria e un nuovo sito informatico e con lui abbiamo montato un piano tecnologico complessivo. Stiamo lavorando a una riorganizzazione informatica della gestione.
  In questi ultimi mesi abbiamo installato un sistema finanziato da sponsor di streaming completo con telecamere remote 4K moderne che non necessitano di cambiare le luci. Avremo una piattaforma propria, ma lavoreremo anche con diverse piattaforme per avere una certa autonomia dal punto di vista della trasmissione di immagini e di suoni. Avevo fatto questo a Vienna dal 2013, con 350 trasmissioni dove abbiamo anche migliorato i rapporti con la società pubblica di televisione, come facciamo alla Scala con la Rai. Questo progetto è molto importante perché, come abbiamo visto durante la pandemia, lo streaming è un modo di comunicazione straordinario. A Vienna l'avevo usato anche per comunicare con le scuole, facendo programmi scolastici per più di 700 scuole. Credo che avremo la stessa cosa qui alla Scala.
  Stiamo per creare un nuovo sistema di sottotitoli e di traduzione dei libretti durante le recite. Sapete che alla Scala abbiamo questi piccoli schermi con due lingue. Il sistema è molto vecchio e per questo stiamo per installare in ogni poltrona un tablet con la possibilità di effettuare la traduzione in otto lingue. La Scala ha una media del 30 per cento di visitatori stranieri e quindi bisogna accoglierli correttamente. La tecnologia lo permette e dunque, oltre l'italiano, avremo traduzioni, in inglese, tedesco, francese, spagnolo, russo, cinese e giapponese. Abbiamo semplicemente scelto le lingue secondo l'ordine di importanza del numero di visitatori stranieri, non c'è niente di misterioso. I due progetti dello streaming e dei tablet funzioneranno insieme, nel senso che potremo usare le traduzioni dei tablet anche per i sottotitoli delle trasmissione, perché se si vuole andare sul mercato cinese per vendere mainstream, allora si deve avere un sottotitolo cinese e lo stesso deve avvenire in Russia o nei Paesi di lingua spagnola. Questo è un progetto molto importante.
  Abbiamo anche sviluppato l'uso dell'elettronica sul palcoscenico. Per esempio, usiamo i tablet invece delle vecchie partiture perché spesso possono contenere molte più informazioni di prima e ridurre il rischio di errore; inoltre sono un giocattolo simpatico per i colleghi del palcoscenico.
  Siamo andati avanti nella digitalizzazione delle partiture, dell'archivio, eccetera. Allo stesso tempo, abbiamo sviluppato un piano ecologico facendo audit energetici, poiché in teatro si consuma molta corrente. Dobbiamo lavorare su questo soggetto: useremo i pannelli solari e faremo un lavoro sulla raccolta differenziata dei rifiuti e la riduzione della carta. Mi sono spaventato perché ho scoperto che la Scala usa 10 tonnellate di carta ogni anno. Quindi, c'è da fare. Questo consumo si ridurrà utilizzando soprattutto un sistema di comunicazione interna molto più moderno di quello che avevamo prima.
  Per quanto riguarda l'inclusione, penso che tutti i teatri la debbano fare. Stiamo lavorando a un codice di pari opportunità dentro il Teatro. Ho osservato che a volte ci sono cose che non sono normali ma che sono accettate dalla società; poi, a un certo momento, si cambia l'origine della luce e la cosa che era accettata non lo è più. Siamo esattamente a quel momento e penso che dobbiamo essere tutti molto attenti a questo aspetto.Pag. 6
  Abbiamo fatto un lavoro anche dalla parte degli spettatori, rifacendo gli abbonamenti che erano troppo costosi. Secondo me c'è un problema di prezzo nell'opera, tutto è troppo costoso. A forza di voler migliorare i ricavi di biglietteria, li riduciamo perché buttiamo via persone che vorrebbero vedere gli spettacoli. C'è una riflessione su questo punto. Ho osservato che la Scala aveva il 50 per cento dei biglietti in prima categoria. Questo significa che dovevamo trovare ogni sera circa 500 coppie che possono pagare 460 o 480 euro, ma è troppo. Se vogliamo avere un bel futuro nella lirica, dobbiamo abbandonare questi prezzi che secondo me sono esagerati.
  Inoltre, abbiamo fatto una politica per le famiglie creando un sistema che si chiama «Un palco in famiglia»: se una famiglia compra due biglietti a prezzo normale nel palco, può far venire due bambini per un prezzo di 15 euro ognuno. Questo non ci costerà nulla perché una grande città che ci sponsorizza ci paga la differenza. Credo molto in queste cose.
  Abbiamo alcuni investimenti importanti. Stiamo costruendo un'aggiunta dietro al palazzo della Scala per avere dentro lo stesso palazzo tutti i laboratori del Teatro che costituiscono 1,5 chilometri del palazzo attuale. Avremo una sala nuova di prova per l'orchestra che è necessaria e poi potremo avere un ingresso che permetta di far entrare alcune scene durante una prova o una recita senza disturbare, nonché di fare pre-montaggi contemporaneamente a una prova o a una recita. Questo avrà una grande importanza perché permetterà di ridurre le notti, che non mi piacciono tanto.
  Un altro grande progetto è quello che abbiamo annunciato con il sindaco tre giorni fa, che consiste nel creare il nuovo complesso di laboratori e di depositi. Attualmente, abbiamo depositi in tre luoghi che sono costosissimi. Con il sindaco abbiamo deciso di indicare un nuovo complesso e abbiamo lanciato il progetto questi giorni.
  Vorrei fare alcune proposte perché so che state pensando al futuro della lirica. Forse non vi aspetterete una di queste, ma la faccio comunque: riguarda la nomina dei sovrintendenti. Penso che sarebbe molto meglio nominare i sovrintendenti tre anni prima dell'inizio del loro incarico perché queste nomine all'ultimo momento sono pessime, costano molto, perché l'alfa e l'omega del nostro mestiere è la pianificazione. Ad esempio, a Vienna, non ho mai fatto una stagione con meno di tre anni di anticipo. Quando si fanno le cose in anticipo, cambia tutto perché si può organizzare molto meglio il lavoro di tutti oppure si possono scegliere i cantanti e i direttori senza pressioni di tempo e senza esagerare il cachet. Questo è molto importante.
  La seconda proposta è quella di nominare un sovrintendente sempre all'inizio di una stagione e di un esercizio, così è la stessa persona a essere incaricata dei conti di un anno e del relativo programma. Per essere chiaro: designare un sovrintendente tre anni prima, che abbia un incarico di sovrintendente designato, che abbia la possibilità di ingaggiare gli artisti per il periodo del suo mandato e che possa iniziare il suo mandato con una pagina bianca, senza dover riprendere cose fatte a metà o non finite. Per chiarire tutta la situazione: quando un sovrintendente parte durante una stagione, occorre trovare una soluzione di completamento della stagione, ma l'incarico vero deve andare sempre dal primo all'ultimo giorno di una stagione e di un esercizio. Ho conosciuto questo sistema al Theatre Champs-Élysées, nonché a Losanna e a Vienna. Credetemi, permette di pianificare meglio e consente che la persona incaricata di fare il bilancio sia la stessa che è stata incaricata dal primo giorno dell'esercizio alla fine. Questo cambia la vita, veramente.
  Penso anche che occorrerebbe fare un programma di modernizzazione generale di semplificazione delle procedure amministrative. Si perde un tempo enorme facendo troppe cose troppo complicate. Mi sono spaventato nel vedere che a volte avevo bisogno di firmare cinque volte la stessa carta per arrivare a una decisione. Non si può lavorare così, è troppo complicato.
  Stiamo facendo un lavoro enorme con la mia squadra per semplificare le procedure.Pag. 7 Il libro delle procedure della Scala ha uno spessore di cinque centimetri. Francamente, «un gatto non troverebbe i suoi piccoli». Vi è un maggiore rischio di errore quando ci sono procedure così complicate. È imbarazzante. Per fare ogni gesto hai bisogno di avere dieci tappe nelle procedure.
  Direi che dobbiamo essere più semplici, dare più libertà ai direttori e introdurre un controllo serio fatto da un auditor esterno, che sia direttamente collegato al Consiglio di amministrazione. Penso che queste siano le linee di una gestione moderna.

  PRESIDENTE. Grazie, Sovrintendente per la sua relazione. Adesso do la parola ai colleghi che l'hanno chiesta, cominciando dall'onorevole Nitti.

  MICHELE NITTI(intervento da remoto). Grazie, presidente. Buongiorno a tutti. È un prestigio internazionale della Scala, credo non abbia bisogno di alcun tipo di commento. Ci fa solo piacere ospitare questo contributo così qualificante.
  A questo Teatro sono legati i nomi più prestigiosi dell'arte e della cultura musicale italiana e internazionale non solo degli ultimi anni, ma direi degli ultimi secoli. Ho avuto la fortuna di assistere a tantissimi concerti in questo Teatro, negli anni in cui studiavo direzione d'orchestra proprio a Milano e, di recente, ho diretto anche diversi concerti con alcune prime parti della Scala, avendo avuto modo e privilegio di fare un'esperienza diretta dell'altissima qualità artistica di questa realtà.
  La Scala è un modello e credo che l'intervento del Sovrintendente vada proprio in questa direzione e, come da tutti i modelli, bisognerebbe essere in grado di assimilare gli aspetti positivi in modo pervasivo.
  Voglio ricordare che anche la Scala è passata attraverso un grande progetto di rilancio circa cento anni fa, quando fu assegnato l'incarico di consulente artistico ad Arturo Toscanini, il quale stabilì tre condizioni per il rilancio del Teatro che a me sembrano di una modernità inaudita nella loro semplicità: più produttività, più qualità e più diritti. Credo che siano questi i tre pilastri fondanti anche di questa serie di audizioni e, almeno dal mio punto di vista, sta emergendo proprio questo. Peraltro, il piano di rilancio economico della Scala si basò anche sul rapporto virtuoso tra pubblico e privato di cui ancora oggi si parla tanto e che abbiamo anche avuto modo di apprendere dal Sovrintendente.
  Alla luce di questo vorrei chiedere al Sovrintendente, ringraziandolo per il suo intervento, quali aspetti della Scala potrebbero essere assunti a modello e a sistema anche per le altre Fondazioni, per evitare che questo teatro resti un caso unico e isolato, pur tenendo conto delle diverse specificità sociali, culturali, demografiche e territoriali delle altre realtà su cui insistono le altre fondazioni. Lei ha messo in luce queste dinamiche prettamente e specificamente aziendali molto volte e indirizzate all'efficienza, ma questi modelli possono funzionare anche altrove? Penso anche semplicemente all'enorme difficoltà di intercettare sponsor privati al di fuori del contesto del Teatro alla Scala.
  Infine, ho un'ultima cosa. La pandemia – lei ne ha fatto cenno – ha obbligato a una rapida accelerazione nell'utilizzo delle nuove tecnologie. Oggi sentiamo spesso parlare con insistenza di queste due grandi transizioni, quella digitale e quella ecologica. Ho parlato spesso in Commissione anche della necessità di applicare questi due aspetti non soltanto alle strutture, ma anche alle produzioni artistiche. Quanto è importante per lei questo processo di innovazione, sottolineando il fatto che possa essere utile a intercettare nuovi segmenti di pubblico? Oppure, potrebbe rappresentare un rischio per la dispersione di una certa tipologia di competenze che, hanno rappresentato elementi caratterizzanti degli allestimenti storici tradizionali di un'opera? Grazie.

  CRISTINA PATELLI (intervento da remoto). Grazie, presidente. Egregio Sovrintendente Meyer, avrei brevemente ricordato il suo curriculum vitae per introdurre la mia domanda, ma lo ha fatto egregiamente lei. Aggiungo che la sua storia spiega molto del suo approccio e ricordo anche la sua Pag. 8direzione della Staatsoper di Vienna, prima di arrivare alla Scala di Milano un paio di anni fa.
  All'epoca avevo ascoltato una sua intervista in cui si dichiarava sostenitore della figura unica a capo di un teatro, considerando superata la tradizionale diarchia italiana fra sovrintendente e direttore artistico. Infatti, lei non ha titoli musicali specifici, ma non lo considero assolutamente un impedimento. In quell'intervista spiegò che chi critica un manager perché non è un musicista, dice una cosa ridicola e molto provinciale.
  Premesso che la sua Staatsoper dall'indiscussa qualità era il miglior teatro europeo in termini di produttività e di copertura dei posti da parte del pubblico – in pratica sempre al 100 per cento – ci ha spiegato l'approccio e i primi interventi di governance introdotti alla Scala. Le domando quale dimensione prevale in lei: quella gestionale del manager o quella artistica, dopo così tanti anni di vita trascorsa in questo mondo? Non esiste antitesi – come invece ancora in molti ritengono, erroneamente, a mio parere – fra un approccio industriale a quelle che sono vere e proprie aziende culturali? Ritiene che questo approccio si possa efficacemente applicare a tutte le altre Fondazioni lirico-sinfoniche che non hanno una forma organizzativa speciale come, invece, accade alla Scala? La ringrazio.

  PRESIDENTE. Grazie, onorevole Patelli. Sovrintendente Meyer, a lei la parola per una breve replica, prego.

  DOMINIQUE MEYER, Sovrintendente del Teatro alla Scala di Milano. Trovo molto interessante la domanda relativa all'indirizzo rispetto al quale la Scala può essere il modello. Vorrei rispondere un po' negativamente per diverse cose, perché, naturalmente, la Scala ha due vantaggi che non si possono trovare ovunque. Il primo è che i ricavi di ogni serata sono superiori ai costi. Questo è essenziale. Complessivamente, il programma porta 12 o 13 milioni al finanziamento dei costi permanenti, ma questo è possibile soltanto in una città ricca e in un teatro dotato di 2.000 posti, altrimenti sarebbe impossibili. Per questo non si può paragonare la situazione finanziaria della Scala con la situazione di tante altre fondazioni. Il secondo vantaggio è che a Milano abbiamo la fortuna di poter trovare sponsor, un supporto economico da grandi aziende che certamente non si può avere in altri luoghi. Parlando di Vienna, ad esempio, non ci sono grandi centri economici e trovare 4 milioni di ricavi di sponsorizzazione è un miracolo, non è la tradizione. La realtà scaligera non si può trasporre così dappertutto.
  Non vorrei criticare, ma l'idea che la stessa fondazione sia in attivo a Milano, a Bologna o a Ferrara, secondo me non è giusta perché i teatri che non possono avere questi ricavi propri non sono nella stessa situazione della Scala: questa è la verità. Noi dipendiamo per un terzo dai ricavi pubblici che ci hanno permesso anche di uscire dagli Stati e avere un po' più di libertà.
  Secondo me, la cosa che si dovrebbe fare è un piano di riformulazione dell'amministrazione dei teatri in questo indirizzo di efficienza e di semplificazione che è troppo complicato. Credo molto nell'idea di poteri più decentralizzati ai direttori con un controllo, con un audit che sia serio e indipendente, piazzato presso il Consiglio di amministrazione e nell'idea di nominare i sovrintendenti in anticipo, in modo da poter pianificare meglio sia l'attività di produzione, l'attività di scritturazione degli artisti e l'attività di produzione dei laboratori.
  Inoltre, penso che tutto il lavoro che facciamo dal punto di vista della tecnologia si dovrebbe poter adattare a tanti teatri. Io sono pronto e la porta è aperta per dare informazioni a chi vuole. Non vogliamo tenere tutto questo per noi.
  Per quanto riguarda la domanda dell'onorevole Patelli, ho sempre pensato che quando la parte sinistra del cervello parla direttamente con la parte destra, è tutto più semplice. Credo molto che la parte iniziale debba essere la parte artistica, ma penso anche che sia molto importante essere consapevoli, ogni volta che si prende Pag. 9una decisione artistica, di tutte le conseguenze economiche, organizzative, eccetera. Dunque, penso che si dovrebbe fare tutto per preparare una nuova generazione di sovrintendenti che siano qualificati per dirigere un'azienda e per fare la politica artistica.
  Io qui sono il direttore artistico. Lo faccio da più 29 stagioni: in Austria, in Svizzera e adesso alla Scala. Inoltre, sono presidente di non so quante giurie di concorso di canto, perché mi piace trovare giovani interpreti e parlare di progetti artistici con grandi direttori e grandi registi per sviluppare la carriera di cantanti. È questa la passione. All'inizio una formazione economica serve molto. Vedo che abbiamo sviluppato quest'indirizzo all'accademia, in cui credo molto, aiutando i giovani a entrare nella carriera, avendo sempre in mente l'equilibrio tra decisioni artistiche e necessità di gestione. Un grande teatro va gestito così. Devi poter parlare quotidianamente con la spalla o con l'oboe, organizzare concorsi, trovare cantanti, frenare un regista che vuole costruire il Palazzo Vecchio sul palcoscenico quando non ci sono i soldi per farlo. Credo nella combinazione delle due cose. Non dico che la giornata di un sovrintendente debba essere una gioia dall'inizio della giornata alla fine, perché ci sono anche tante cose pesantissime. Si deve accettare, fa parte della cosa. Per esempio, qui ho fatto cose che non avevo fatto durante i dieci anni a Vienna. Ad esempio, a Vienna non ha fatto una riunione sindacale in dieci anni, mentre qui è pane quotidiano. Quando avevo chiesto se i sindacati fossero tremendi, mi avevano detto: «No, non sono tremendi, si può lavorare con loro». Si deve trovare un bilanciamento tra la parte artistica e quella gestionale.
  Qui ho un'eccellente squadra con cui si lavora bene, è una squadra di altissimo livello con un coordinatore artistico che lavorava con me già prima, Alessandro Galoppini, che era direttore artistico del Regio di Torino e poi è venuto con noi. Siamo una squadra meravigliosa: si parla di tutto, si capisce tutto e si trova una soluzione per tutto. Dall'altra parte, abbiamo una squadra forte di gestione del Teatro. Non si deve mai dimenticare che un grande teatro lirico è un'impresa: non si scherza. Quando arrivi dall'estero, a volte è difficile capire tutta la giungla di regole di questo libro delle procedure. Ho approfittato della pandemia per leggerlo, ma non lo consiglio, ci sono letture più belle. Non penso che tanti nell'amministrazione dei teatri siano al corrente di tutti i dettagli di questo libro di procedure.
  Rendiamo le cose più semplici, più efficaci, più dirette e avremo un bel futuro. Non pretendo di sapere tutto, ho solo accumulato alcune esperienze. Se posso essere utile in Italia, ne sarò felicissimo.

  PRESIDENTE. Grazie, sovrintendente, per la sua presenza e per la sua audizione di altissimo livello. La ringrazio ancora una volta e ringrazio i colleghi. Dichiaro conclusa questa prima audizione.

Audizione, in videoconferenza, del Sovrintendente del Gran Teatro La Fenice di Venezia, Fortunato Ortombina.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione in videoconferenza, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulle Fondazioni lirico-sinfoniche del maestro Fortunato Ortombina, Sovrintendente del Gran Teatro La Fenice di Venezia. Saluto il Sovrintendente Ortombina, che ringrazio per essere intervenuto e saluto anche i colleghi, sia quelli presenti che quelli che partecipano da remoto. Ricordo che, dopo l'intervento del sovrintendente, darò la parola ai colleghi che intendano porre domande o svolgere osservazioni. Successivamente il nostro ospite potrà rispondere alle domande.
  Avverto che il sovrintendente ha già fatto pervenire alla segreteria della Commissione i programmi delle due stagioni lirico-sinfoniche 2018-2019 e 2021-2022 della Fenice. Il materiale è stato reso disponibile ai deputati mediante pubblicazione sulla piattaforma GeoComm.
  Chiedo ai colleghi interessati di far pervenire fin da adesso la loro iscrizione a parlare. Do quindi adesso la parola al Maestro Ortombina. Prego, sovrintendente.

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  FORTUNATO ORTOMBINA, Sovrintendente del Sovrintendente del Gran Teatro La Fenice di Venezia. Buongiorno, presidente. Signore e signori deputati, grazie per questa occasione di confronto in un momento tanto importante della nostra storia. Ci sono tre punti che voglio enunciare e che poi svilupperò in questi venti minuti che considero fondamentali per quello che vogliamo illustrarvi. Tengo anche a precisare che se ho mandato questi due cartelloni di stagione – per ciascuna delle due stagioni, una stagione lirica e una stagione sinfonica – non era per usare questa occasione per fare promozione, ma solamente per mostrarvi la sintesi di un modello gestionale economico e finanziario di cui vi vorrei parlare.
  La Fondazione Teatro La Fenice di Venezia è l'unica Fondazione lirico-sinfonica di regione a statuto ordinario ad avere un ordinamento normale, non inserita nei provvedimenti previsti con la legge Bray. Noi non siamo nella legge Bray. C'è un'altra Fondazione che non è nella legge Bray, il Teatro di Cagliari, ma appartiene a una regione a statuto speciale.
  Nell'individuare e sostenere un modello gestionale efficiente, in questi anni la Fondazione non ha perso nessun posto di lavoro. Tutto questo tenendo presente l'assunto principale: la ragione dell'esistenza di una fondazione lirico-sinfonica è quella di produrre un progetto culturale in stretta sintonia con e per il proprio territorio di riferimento.
  Per parlare della Fenice di questi anni userò un'espressione, un titolo che si chiama «modello Fenice». Non l'abbiamo coniato noi, bensì ci è stata attribuito nel tempo, per l'effetto assolutamente dirompente che questo modello ha avuto nel panorama nazionale, essendo stati i primi ad adottarlo come una visione che era certamente dettata dai tempi – adesso ve lo spiegherò –, per portare di fatto al superamento di un vecchio sistema che era il sistema a stagione di tutte le opere.
  Con la diminuzione dei finanziamenti pubblici connessi alla crisi finanziaria del 2007, il sistema produttivo e gestionale del Teatro La Fenice di Venezia doveva essere ripensato. Le alternative erano quelle di ridurre drasticamente la produzione oppure pensare di utilizzare economie di scala connesse a un nuovo modello.
  Quando mi riferisco a quegli anni, voglio ricordare che ci fu anche una contrazione della finanza pubblica che, nel nostro caso, nel triennio 2008-2010, ci portò ad accumulare perdite per 8,5 milioni di euro. Pertanto, La Fenice, nella seconda parte del 2010, ritenne di dover cambiare passo, altrimenti non sarebbe riuscita a continuare a rimanere in vita. Che cosa ha fatto La Fenice? Il sistema italiano praticato ancora dalla maggior parte dei teatri è quello a stagione, che vuol dire fare in una stagione 8 o 9 titoli d'opera, con una rappresentazione per ognuno dei turni di abbonamento. Ad esempio, La Fenice aveva cinque turni d'abbonamento, il che voleva dire che tra 40 e 45 rappresentazioni si esauriva la stagione. Questo cosa significava? Significava innanzitutto andare avanti con un sistema consolidato anche in termini di rapporti. Infatti, accontentare gli abbonati voleva dire garantirsi la continuità di un rapporto con la città, essendo quello degli abbonati – perdonatemi, ma sono davanti al Parlamento – una sorta di parlamento cittadino di tutti gli appassionati frequentatori di teatro e, con quella sicurezza nel rapporto con la città, consolidarsi rispetto ad alcuni meccanismi produttivi. In sostanza, quando le opere andavano bene, si sapeva che si sarebbero accontentati gli abbonati e altro problema non sussisteva; tuttavia, questo voleva dire andare avanti con un modello di gestione che non apriva mai conflitti all'interno del teatro e così tutti stavano tranquilli. Quello che si è pensato a quel tempo è stato di guardare alla Fenice come a un teatro non solo per gli abbonati della sua città, con una dimensione territoriale più ampio, quantomeno nazionale, per arrivare poi anche a una dimensione internazionale.
  Si sapeva perfettamente che in Germania e in Austria alcuni teatri facevano 300 rappresentazioni di opere all'anno e in Italia si arrivava a malapena 50. Tuttavia vigeva l'assunto in base al quale si diceva: «non si può produrre di più, perché produrrePag. 11 di più costa.». Di fronte a questo assunto quasi sempre i sovrintendenti e i direttori artistici pensavano: «in fin dei conti con la nostra città siamo tranquilli, andiamo bene. Di che cosa dobbiamo preoccuparci? Perché avventurarci alla ricerca di nuove frontiere?».
  Quando poi ci siamo trovati con le sovvenzioni pubbliche diminuite di 3 milioni l'anno, abbiamo realizzato che, invece, era giunto il momento di cambiare strategia e non di stare in difesa, perché avevamo capito che stare in difesa ci avrebbe portati a fallire entro poco tempo.
  Per questo motivo abbiamo adottato una strategia opposta, una strategia dello sviluppo del nostro modello, che ha portato in sostanza a un aumento della produzione, a un aumento della nostra proposta nei vari cartelloni che avete visto – quello della lirica e di balletto e quello della sinfonica – a una serie di rapporti sviluppati con il territorio e con le sue istituzioni e le collaborazioni con il conservatorio, l'università, la Biennale, i musei civici e quant'altro. Rispetto all'assunto «produrre di più costa di più», la prima analisi che abbiamo fatto è stata proprio quella delle risorse e siamo giunti alla conclusione che produrre di più può costare di più, ma dipende da che cosa si produce e come si produce.
  Per fare questo passaggio, l'analisi che bisognava fare era quella delle risorse che vanno intese non solo in termini monetari. La prima risorsa è quella dei soldi e delle sovvenzioni e delle entrate che possiamo avere. Poi vi è la risorsa del lavoro. A quel tempo, vedevamo che dell'ammontare di lavoro che ciascun dipendente doveva alla Fondazione, per contratto e per quello che di fatto era pagato, nelle ipotesi più gravose si arrivava al 50 per cento e non si andava oltre. Quindi, occorreva trovare la maniera di ottimizzare la risorsa lavoro insieme a quella dei nostri spazi.
  Nessuno può dimenticare che La Fenice è stata ricostruita all'inizio del millennio e inaugurata dopo l'incendio devastante del 1996. È stata ricostruita com'era e dov'era, anzi più bella e lucente di prima per la sala e per la parte storica e, in quell'occasione, si rigenerò completamente la macchina scenica, con un palcoscenico molto più agile e tecnologicamente innovato. Dobbiamo pensare anche a questo. Negli anni successivi dovevano cercare di meritare tutto quell'investimento che lo Stato italiano e tanti altri soggetti avevano fatto per renderci un teatro così proiettato nel futuro attraverso quell'investimento.
  L'altro argomento che riguarda le risorse è quello della letteratura. Nel documento che avete mandato abbiamo visto che si parla soprattutto di legge Bray e conseguenti e della vexata quaestio sulla natura pubblica o privata delle Fondazioni. Su questo non mi voglio addentrare in questo momento, ma c'è una cosa che riguarda il teatro d'opera che è di rilevanza e di portata assolutamente nazionale. Faccio solo una breve citazione. Questa non è la presentazione di un programma artistico, ma il teatro d'opera italiano è la nostra letteratura nazionale. Le risorse sono il denaro, le sovvenzioni, l'ottimizzazione del lavoro e la nostra letteratura, perché c'è un assunto del quale siamo assolutamente convinti, come ci dimostra anche la storia. L'assunto è che la letteratura operistica italiana è la vera letteratura nazionale di questo Paese e questo avviene solo in Italia, perché l'opera, come genere e come forma d'arte, è nata in Italia. Quello che Dostoevskij è per la Russia piuttosto che Thomas Mann o Goethe sono per la Germania o Victor Hugo per la Francia, per l'Italia non sono Manzoni e Ugo Foscolo, ma sono Verdi, Donizetti, Rossini e Puccini.
  Produrre di più costa di più a seconda di come e che cosa si produce. Ottimizzando tutte queste tipologie di risorse, alla fine del 2010 siamo riusciti a ripartire con un aumento della produzione che ci ha portato ad incassare gradualmente sempre di più.
  Delle due stagioni che vi ho mandato una è la prossima, quella che si inaugura adesso e che va al 2022, che è figlia della pandemia; mentre l'altra, quella 2018-2019, era per mostrarvi a che cosa ha portato la progressione di questo attento modello produttivo. Vedete che ci sono 22 titoli per un totale di quasi 150 rappresentazioni, senza aver aumentato i costi di Pag. 12produzione, oppure avendoli aumentati di una percentuale minima che era quella che ci veniva consentita dal fatto di incassare molto di più.
  La stagione 2018-2019 che vedete è la stagione di un bilancio di 34 milioni di euro, 11,3 dei quali, quindi il 33 per cento – vuol dire delle risorse per coprire il bilancio – sono autoprodotti, cioè vengono dalla vendita dei nostri biglietti. Di questi, 10 milioni di euro derivano da quelli per assistere allo spettacolo e 1,3 milioni, invece, da quelli delle visite guidate.
  L'altra stagione che vi ho mandato invece, quella di quest'anno, è figlia della pandemia. In quella 2018-2019 c'è un elenco molto fitto di opere e un elenco meno fitto di concerti. In quella di quest'anno, invece, la stagione 2021-2022, c'è un elenco veramente misero per quelli che erano i nostri standard di opere e un elenco molto più fitto di concerti, di attività sinfonica. Questa attività discende da un bilancio che non è di 34 milioni di euro, come eravamo arrivati con i nostri standard prima della pandemia. Questa è fatta con un bilancio di 26 milioni di euro, quindi di fatto con un incasso che per noi, da 11 milioni e oltre, viene ridotto a 2 milioni e mezzo, se va bene.
  Ora su questo tema mi voglio fermare perché altrimenti parlo troppo, però credo di avervi dato abbastanza spunti affinché ciascuno di voi possa fare domande. Riguardo alla situazione economico-finanziaria, come ho detto, non siamo in Bray, ma questo non significa che non si abbia un debito. È un debito che noi sappiamo gestire. Quello dell'anno scorso era il consuntivo del 2020: è stato il decimo bilancio in pareggio che abbiamo chiuso – mi permetto di dire con quello dell'ultimo anno, come sapete gravato della pandemia – e ci apprestiamo a preparare il bilancio del 2021, anche questo in pareggio. Ma in pareggio abbiamo disposto, e contiamo che sia così, anche quello del 2022. Ci apprestiamo ad arrivare all'undicesimo esercizio in pareggio di bilancio.
  Il nostro debito era arrivato nel 2016 a 19 milioni di euro, fatto per metà di quella perdita che si era accumulata negli ultimi anni del decennio precedente. Gli altri si sono sommati, di fatto, per aver ricevuto dagli enti locali, invece di denaro, immobili. Noi siamo proprietari di questi immobili naturalmente, ma sono venute meno proprio risorse liquide per questa funzione, per quella posizione per cui ci dovrebbero essere dati i soldi. Per questo abbiamo un'esposizione bancaria che di fatto ci aiuta ad anticipare l'arrivo del FUS, in sostanza. Ci tengo a dire che in questo modo non c'è nessun artista che avanzi nulla da noi. La Fenice ha sempre pagato tutti gli artisti. L'artista quando arriva a casa, finito un mese che è stato qui, trova i soldi sul conto. Purtroppo qualche volta è capitato, per questa categoria che non ha riscontrato negli ultimi anni lo stesso comportamento ovunque, di dover pagare le recite prima che le facessero, poveretti, perché altrimenti non ci stavano dentro.
  Per quello che riguarda la nostra dimensione internazionale, questa ci viene dal pubblico che abbiamo, dalle tournée che abbiamo fatto, dalla rilevanza della nostra immagine all'estero. Do solo un numero riguardo allo sviluppo dell'attività in streaming che abbiamo fatto, perché noi, pur avendo fatto 27 settimane di FIS durante la pandemia – e quando dico 27 settimane vuol dire che tutti i lavoratori della Fenice sono stati per 27 settimane, nell'arco di questo anno e mezzo, in FIS – abbiamo comunque fatto molte attività in streaming, che ha portato il nostro sito YouTube a essere quello con il maggior numero di iscritti a livello nazionale, ovvero 109 mila iscritti, e ad avere incrementato le visualizzazioni dei nostri programmi, che all'inizio del 2020 erano arrivate a 18 milioni. Ad oggi siamo a 36 milioni e mezzo di visualizzazioni da tutto il mondo di tutto quello che abbiamo fatto in streaming.
  Ora, un brevissimo cenno a quanto riguarda le risorse umane. Abbiamo presentato entro i termini stabiliti dalla legge la pianta organica, che ha avuto il nulla osta del MEF. Attendiamo il nulla osta definitivo da parte del Ministero della cultura. Durante tutto questo periodo, non avendo perso posti di lavoro, abbiamo istituito anche per i nostri lavoratori un sistema di Pag. 13welfare aziendale che, di fatto, a ogni lavoratore porta circa 1.500 euro l'anno in più: vuol dire una mensilità aggiuntiva.
  Faccio brevemente tre proposte. La prima: ci auguriamo che i ristori arrivino quest'anno e, mi permetto di dire, in maniera un po' più equa rispetto a quelli dell'anno scorso. Non si tratta solo di ristorare un valore assoluto in denaro; bisogna vedere anche quanto quella perdita di biglietteria pesava in percentuale sul bilancio, perché l'anno scorso, da 11 milioni di euro, abbiamo incassato un milione e 500 mila euro. La seconda, naturalmente, è quella dell'esigenza della ripatrimonializzazione del sistema delle fondazioni liriche, augurandoci che non investa solo coloro i quali sono in legge Bray. Noi in questi anni ci siamo portati dietro il debito ma, come vi ho dimostrato, l'abbiamo gestito come si deve. Dopodiché ci vuole, oltre all'attenzione, una prospettiva più lunga. Mi permetto di dire che la Fenice ha, di fatto, tutti i requisiti stabiliti dalla legge per avere lo statuto speciale, ma, per favore, e questo lo auspico veramente per tutti, la triennalità delle sovvenzioni. Questo è fondamentale. Ho finito.

  PRESIDENTE. Grazie, sovrintendente. Do la parola all'onorevole Nitti.

  MICHELE NITTI. Grazie, presidente. Ringrazio il sovrintendente per il suo intervento. Sono molto felice di aver ascoltato questa audizione, che ci consegna l'immagine di un teatro che sta riprendendo con grande slancio le sue attività dopo questo lungo periodo di pandemia. Sono molto legato emotivamente alla storia della Fenice e alla vicenda di questo teatro che ha dovuto subire, come per il caso della mia città, il Petruzzelli, il dramma di un incendio. Anzi, credo che la Fenice sia risorta per ben due volte dalle sue stesse ceneri perché, se non ricordo male, ci fu anche un altro incendio nei primi anni dell'Ottocento.
  Tutti sappiamo che questo teatro è stato la sede di numerose prime assolute di opere di Rossini, Bellini, Donizetti, Verdi, Stravinskij, Prokofiev, Britten, Maderna. Questa tradizione credo sia arrivata anche fino ai tempi più recenti. Anche nell'ultimo secolo c'è stata grande attenzione alla produzione contemporanea. Ricordo numerose prime mondiali. Penso a The Rake's Progress di Stravinskij, L'angelo di fuoco di Prokofiev, Hyperion di Maderna. A questo proposito vorrei fare una domanda al sovrintendente, perché se da un lato c'è chi sottolinea l'importanza di continuare a rappresentare insistentemente, con approcci innovativi, le opere della grande tradizione, nell'ottica di una costante e continua rieducazione, reintroduzione del pubblico a questo grande patrimonio, dall'altro c'è invece chi lamenta in Italia il fatto che, analizzando i cartelloni delle diverse fondazioni, si evinca una certa ripetitività di titoli, una scarsa circuitazione delle produzioni e pochissime opere prime. Secondo lei è effettivamente così? È un limite e questo per il nostro sistema?
  Poi vorrei fare una domanda su un tema che non riguarda direttamente Venezia, come lei stesso ha precisato, ma di cui si è parlato molto negli scorsi mesi. Molti artisti e diverse agenzie hanno pubblicamente protestato per la scelta fatta da alcuni teatri di non pagare, almeno parzialmente, il cachet delle opere cancellate proprio a causa della pandemia. Si è lamentato, inoltre, che non sempre sia stato previsto un successivo impegno degli artisti dopo la cancellazione dei contratti. Vorrei sapere come avete affrontato voi il tema della riprogrammazione e se ritenete che non aver remunerato gli artisti, laddove ciò sia avvenuto, sia stato in fondo un errore, alla luce del fatto che in questi due anni comunque sono stati garantiti i finanziamenti del FUS, i contributi di comuni, regioni e anche l'utilizzo di strumenti per ridurre il costo del lavoro. Grazie.

  CRISTINA PATELLI. Grazie, presidente. Egregio Sovrintendente Ortombina, premetto che ho notato e apprezzato l'utilizzo attento che la Fenice fa degli strumenti social, e mi sembra molto impegnata nelle politiche di audience development. Sono sicura che lei darà una risposta meditata e puntuale alla mia domanda, e questo ricreerà sicuramente il dibattito in Commissione.Pag. 14 La mia domanda è articolata, ma, a mio avviso, questo è necessario per inquadrare anche in ottica legislativa il tema, allo scopo di stimolare noi stessi a immaginare nuovi scenari ed eventuali interventi di riforma.
  Analizzando lo scenario dal punto di vista dell'offerta, noto che a livello europeo ci sono due poli: il modello italiano, con teatri d'opera concentrati sulla produzione della stagione, con una compagnia che si forma volta per volta a ogni produzione e spettacoli di ottimo livello, caratterizzati tuttavia da costi alti e bassa produttività; il modello tedesco, invece, con compagnie stabili, capace di grande produttività e bassi costi, ma con livelli qualitativi medi. Nel resto d'Europa i modelli sono per lo più misti, e il confronto con i teatri d'Oltralpe stimola un quesito a noi osservatori: come fanno gli altri a fare così tante produzioni e rappresentazioni? Come fanno ad andare in scena con titoli diversi in serate successive o in rapida sequenza?
  Sul punto ho notato che proprio la Fenice riesce ormai da molti anni a essere un teatro così europeo, nel senso che coniuga l'alta qualità alla produttività. Un piccolo inciso: ci riuscite, come dicono alcuni critici forse con una punta di cattiveria, perché a Venezia ci sono tanti turisti in attesa di vivere l'atmosfera della Fenice? Questo mi porta alla domanda, dottor Ortombina. A suo parere, nel quadro delle buone pratiche, esiste un unico modello di gestione – gestione intesa nel senso più ampio del termine di un ente complesso come una fondazione lirica – o piuttosto si eleva il luogo dell'uniformità degli schemi, il genius loci? Esiste in pratica la possibilità di caratterizzare una gestione in modo distintivo e particolareggiato, secondo un modello originale ed efficace, benché magari non uniforme? Questo è un tema centrale, perché il modello di produzione è uno degli elementi principali che determinano una serie di conseguenze. E ci si interroga molto spesso su quale sia in effetti il modello più corretto. Si tende in effetti quasi sempre di più verso un modello misto rispetto a quelli tradizionali italiano e tedesco.
  Poi ci sono le domande che ho evidenziato, che sono un po' il cuore del perché noi non riusciamo a essere competitivi rispetto alla proposta di altri teatri negli altri Paesi. Se andiamo a Parigi, a Madrid, a Vienna, una sera per l'altra ci sarà la Carmen, La bohème, Il barbiere e via discorrendo. Una cosa del genere da noi, se non si cambia modello, è impossibile farla. A Venezia invece lo fate bene e ci riuscite.
  Venezia è un modello davvero molto interessante, tant'è che Venezia in passato – se ricordo bene – venne definita «il primo teatro tedesco d'Italia», e quella era la sua mission. Per gli addetti ai lavori e per chi sa di cosa stiamo parlando ritengo questa domanda pertinente. In particolare, il punto che mi permetto di evidenziare è: esiste un solo modello di gestione o non è così, nell'ottica di un ipotetico modello di riforma delle fondazioni lirico-sinfoniche che sia in linea con il rispetto per l'autonomia, la sussidiarietà, il territorio e le tradizioni? Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie, onorevole Patelli. Sovrintendente, a lei la replica. Prego.

  FORTUNATO ORTOMBINA, Sovrintendente del Sovrintendente del Gran Teatro La Fenice di Venezia. Comincio dall'onorevole Nitti. Ogni stagione della Fenice deve essere la più ampia possibile in termini di varietà di stili e di ambito temporale da cui provengono gli artisti e i compositori che hanno scritto queste cose. Nella stagione 2021-2022 lei parla di musica contemporanea. Le baruffe viene da Le baruffe chiozzotte di Goldoni, ma ci tengo a precisare che non lo facciamo con musica di Vivaldi o di Tomaso Albinoni. È il testo, il libretto di una prima assoluta che la Fenice di Venezia fa a Carnevale – quindi in un periodo di sentire profondamente stracittadino – con la musica di Giorgio Battistelli e la regia di Damiano Michieletto. Così come vede che ci sono opere del Seicento e del Settecento.
  Riguardo ai titoli che si continuano a rappresentare, per quello che ho detto prima, – sempre sperando di non ferire affetti quando dico che in Italia la letteratura nazionale è il melodramma – questo Pag. 15arriva a consolidare dei classici. Verdi tecnicamente era un compositore, ma, di fatto, era un profeta, come tutti gli scrittori e i compositori dei grandi classici, perché ha saputo indagare l'umano così da rendere i suoi valori validi e vivi per generazioni e per secoli a venire.
  Alla Fenice ci deve essere tutto. È la varietà, questa è la storia della Fenice. Non è un caso che le prime mondiali che ha detto l'onorevole Nitti si siano fatte a Venezia. Venezia è da sempre, da secoli, quasi da millenni oramai, il luogo dell'innovazione. Non è un caso che lo Stato italiano abbia deciso di mettere a Venezia la mostra d'arte contemporanea più importante del mondo, che è la Biennale. Venezia è questo posto.
  Nonostante quello che vi sto dicendo di Venezia, debbo confessare che sono un po' stanco di sentirmi dire che qui le cose vanno bene perché ci sono i turisti. Mi viene da rispondere con un'altra domanda: lasciamo stare Venezia, ma dov'è che non ci sono i turisti in Italia? Ma faccio una domanda ancora più devastante: cosa sarebbe l'Italia intera senza il turismo? Si tratta di fare le dovute interazioni con il turismo.
  Rispondo alla domanda sulla questione del sistema misto. Quello che abbiamo impiantato a Venezia è proprio questo: il sistema misto, un sistema che contemperi l'esigenza storica italiana, che è quella della stagione, affiancando e intrecciando lo studio di come fare a contemperare esigenze di personale, esigenze di competenza del personale e poi i materiali e gli spazi che andiamo a usare. L'onorevole parlava dell'alternanza degli spettacoli. Arriviamo ad avere tre spettacoli diversi in tre serate successive. Nel 2014, per i novant'anni della morte di Puccini abbiamo fatto una sera La bohème, una sera la Butterfly, la sera successiva arrivava una nuova produzione di Tosca. Questo bisogna saperlo fare; bisogna parlare con gli scenografi, con i registi, e qua si arriva a quello che dicevo prima: il progetto che deve avere il teatro.
  Prima ho messo ed enumerato la letteratura fra le risorse. Per favore, non andiamo adesso a parlare di qualità perché, anche quando faccio l'ennesima ripresa de La Traviata, comunque viene provata. Ho bravissimi maestri collaboratori che mi preparano i cantanti. Facciamo quello che nell'industria alimentare si chiama ogni giorno il «controllo di qualità». Ma sul piano della risorsa c'è un'altra cosa: l'interesse che destano questi grandi classici; perciò ho detto prima all'onorevole Nitti che per me Verdi, tecnicamente, è un compositore. Sono di fede verdiana da sempre, ma, di fatto, era un profeta.
  C'è l'interesse che questa letteratura continuerà inevitabilmente a suscitare. Questo vuol dire, da una parte, continuare a produrre e a produrre anche reddito. Oltre ad avere creato nuovi posti di lavoro, vuol dire avere scoperto artisti nuovi. Dall'altra, c'è anche una missione propriamente intesa come risorsa. L'avvicinamento alle esperienze dell'arte è una cosa fatta di approfondimento. Non credo che ci sia nessuno di voi che ha la Divina Commedia a casa e che l'ha letta una volta sola dall'inizio alla fine e se la ricorda tutta la vita. È impossibile, scusate, con la massima stima che, ovviamente, devo avere per voi che state nel nostro Parlamento. Ma l'esperienza è fatta nella ripresentazione delle cose. E anche qui, per favore, smettiamola di dire che a Venezia ci sono i turisti. I turisti hanno avuto un grande effetto nel ravvivare all'inizio. Quando siamo passati da 50 a 105 rappresentazioni, una stagione dopo l'altra, i turisti hanno cominciato a ravvivare un interesse verso la Fenice, che oramai si era reso un po' stanco per una programmazione che pensava solo ed esclusivamente agli abbonati.
  Adesso succede che quando rifai opere come La traviata, Il trovatore, Butterfly, che periodicamente vengono riprese, vedi lo spettatore italiano che torna a vederle perché sono testi di una tale profondità che non basta accostarcisi solo una volta per risolverla. Andrei avanti ore con questo argomento, come avete capito, ma non posso. Però il modello è questo, che va declinato in ogni città in maniera diversa. Ma il modello e il futuro, per noi, è questo.
  Sulla gestione degli artisti durante la pandemia quello che noi abbiamo fatto, Pag. 16onorevole Nitti, è riprogrammare immediatamente, appena il Governo ci ha dato la possibilità di riaprire, l'anno scorso. Siamo stati i primi a fare un'opera al chiuso, perché a Venezia non abbiamo il Circo Massimo, non abbiamo l'Arena, non abbiamo questi posti. Dobbiamo fare l'attività qui dentro, e abbiamo subito inventato una programmazione che ci permettesse, con le regole del COVID, di far lavorare, se non tutti, il numero massimo degli artisti. Non potevo fare Il trovatore con un coro di 80 persone. Ho fatto alcune opere di Vivaldi con un organico più piccolo. Pur mantenendo la distanza tra gli artisti, si riusciva a fare la rappresentazione.

  PRESIDENTE. Grazie molte, sovrintendente, per il suo contributo.
  Autorizzo la pubblicazione, in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna, della documentazione consegnata dal dott. Fortunato Ortombina (vedi allegato) e dichiaro conclusa questa audizione.

  La seduta termina alle 11.25.

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