XVIII Legislatura

VII Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 7 di Mercoledì 29 gennaio 2020

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Gallo Luigi , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA IN MATERIA DI INNOVAZIONE DIDATTICA

Audizione di Lucia Balduzzi, membro del direttivo della SIPED (Società italiana di pedagogia), e di Raffaella Reali, membro della direzione della Rete nazionale «Scuole senza zaino».
Gallo Luigi , Presidente ... 3 
Balduzzi Lucia , membro del direttivo della SIPED (Società italiana di pedagogia ... 3 
Gallo Luigi , Presidente ... 6 
Reali Raffaella , membro della direzione della Rete nazionale «Scuole senza zaino» ... 6 
Gallo Luigi , Presidente ... 8 
Aprea Valentina (FI)  ... 8 
Casa Vittoria (M5S)  ... 9 
Ciampi Lucia (PD)  ... 10 
Gallo Luigi , Presidente ... 10 
Balduzzi Lucia , membro del direttivo della SIPED (Società italiana di pedagogia) ... 10 
Reali Raffaella , membro della direzione della Rete nazionale «scuole senza zaino» ... 11 
Gallo Luigi , Presidente ... 12 

Allegato 1: Documentazione depositata da Lucia Balduzzi ... 13 

Allegato 2: Documentazione informatica depositata da Lucia Balduzzi ... 17 

Allegato 3: Documentazione depositata da Raffaella Reali ... 25 

Allegato 4: Documentazione informatica depositata da Raffaella Reali ... 37

Sigle dei gruppi parlamentari:
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Lega - Salvini Premier: Lega;
Forza Italia - Berlusconi Presidente: FI;
Partito Democratico: PD;
Fratelli d'Italia: FdI;
Italia Viva: IV;
Liberi e Uguali: LeU;
Misto: Misto;
Misto-Noi con l'Italia-USEI-Cambiamo!-Alleanza di Centro: Misto-NI-USEI-C!-AC;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Centro Democratico-Radicali Italiani-+Europa: Misto-CD-RI-+E;
Misto-MAIE - Movimento Associativo Italiani all'Estero: Misto-MAIE.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
LUIGI GALLO

  La seduta comincia alle 15.05.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna è garantita anche dalla trasmissione in diretta sul canale web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di Lucia Balduzzi, membro del direttivo della SIPED (Società italiana di pedagogia), e di Raffaella Reali, membro della direzione della Rete nazionale «Scuole senza zaino».

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva in materia di innovazione didattica, l'audizione di Lucia Balduzzi, ordinaria di didattica e pedagogia speciale presso l'Università di Bologna e membro del direttivo della SIPED (Società italiana di pedagogia), e di Raffaella Reali, dirigente scolastica e membro della direzione della Rete nazionale «Scuole senza zaino», accompagnata da Luca Bianchini, componente della segreteria della Rete Nazionale.
  Saluto i nostri ospiti e li ringrazio della loro presenza. Come di consueto, darò la parola prima agli auditi e quindi ai colleghi che la chiederanno per porre questioni e, da ultimo, di nuovo agli auditi per le risposte e i chiarimenti chiesti. Do ora la parola a Lucia Balduzzi per la SIPED.

  LUCIA BALDUZZI, membro del direttivo della SIPED (Società italiana di pedagogia). Grazie presidente. In primo luogo, vorrei ringraziare per l'opportunità che è stata accordata alla Società italiana di pedagogia, società attiva dal 1989 a cui aderiscono circa settecento docenti e ricercatori delle diverse università italiane, che si occupano di questioni educative.
  Per presentare il breve intervento che farò sono partita dal riferimento all'Azione 4 che avete inserito nell'ordine del giorno e che deve essere connesso al tema delle didattiche innovative. Ho cercato di evidenziare le parole chiave che sono nell'Azione 4 (accessibilità, equità e inclusione), perché penso che queste siano le tre parole che devono guidare il senso dell'innovazione didattica della scuola e del sistema extrascolastico in questo momento. Ho cercato di mettere assieme la sintesi di un pensiero pedagogico complesso: settecento docenti presentano modalità e approcci differenti fra loro. Ho inoltre tentato di mettere insieme le evidenze della ricerca scientifica con quanto richiesto dalle normative, sia europee sia nazionali, in tema di innovazione didattica.
  Il problema iniziale è quello della dispersione scolastica e delle disuguaglianze in aumento e fortemente correlate con la distribuzione della ricchezza nel nostro Paese. Quello che risulta da diversi report – faccio l'esempio di Save the Children, ma vi sono altri documenti ufficiali – è che nel nostro Paese ci troviamo di fronte a un totale di cinque milioni e 58 mila persone in povertà assoluta: 1,843 milioni vivono al Nord, 672 mila al Centro e ben 2,084 milioni nel Mezzogiorno. Sappiamo anche che complessivamente il 12,1 per cento (1,2 milioni) dei soggetti sono minori che frequentano le scuole dell'infanzia, le scuole primarie e le secondarie. Sappiamo anche che questo dato (quello della povertà) ha una rappresentazione, rispetto al nostro Paese, che mette in luce una distribuzione Pag. 4altrettanto non equilibrata degli accessi ai servizi e alle scuole di qualità. In particolare, mi riferisco ai servizi per l'infanzia. Vediamo che, mentre nelle regioni settentrionali abbiamo picchi, come quelli dell'Emilia-Romagna, in cui il 30 per cento dei bambini accede al nido, in Calabria, invece, questo accesso è riferito soltanto al 2 per cento. Ancora: nelle diverse regioni, nelle aree urbane troviamo più disponibilità di accesso ai servizi mentre, nelle aree rurali, questo accesso diventa più difficile.
  Perché è importante sottolineare, quando si parla di scuola primaria e secondaria, l'influenza dei servizi per l'infanzia? Perché tutte le ricerche mettono in luce che questo gap socioeconomico – che di fatto è quello maggiormente correlato alla dispersione scolastica o al successo scolastico – può essere ridotto dalla fruizione dei bambini e dalla partecipazione delle famiglie a questo tipo di servizi, e che primario è l'intervento e maggiori sono le possibilità di riuscita dei soggetti che entrano nei servizi e che fruiscono di un'educazione di qualità. Sottolineo il passaggio dell'educazione di qualità, perché le medesime ricerche evidenziano che non è sufficiente la frequenza, non è sufficiente andare al nido o frequentare una scuola dell'infanzia: bisogna che questi servizi e queste scuole offrano un livello qualitativo alto e che lo offrano a tutti.
  Un altro elemento molto significativo è quello del tasso di abbandono scolastico. Anche in questo caso vediamo che i dati, che per un certo periodo davano il tasso dell'abbandono in diminuzione, in questo momento stanno riprendendo e stanno crescendo, con particolare riguardo, tra l'altro, al genere femminile che era quello meno toccato dalla dispersione scolastica. Lo stesso avviene per le competenze alfabetiche e numeriche di base che non vengono raggiunte dagli studenti. Vediamo che il 34,40 per cento degli alunni non raggiungono la sufficienza nelle competenze alfabetiche numeriche nella scuola secondaria di primo grado e che questo tasso tende ad alzarsi lievemente per la secondaria di secondo grado. È importante sottolineare anche qui che la distribuzione varia sul piano regionale e, rispetto alla secondaria di secondo grado, varia fortemente anche in relazione alle scuole e agli istituti frequentati. Per esempio l'OCSE-PISA ci dice che, mentre uno studente su sei al liceo non raggiunge le competenze minime in scienze, abbiamo sei studenti su dieci che non le raggiungono in un istituto di tipo professionale. Ancora un elemento molto importante da evidenziare è il fatto che non sono solo le disomogeneità territoriali, di genere e di provenienza regionale a fare la differenza, ma che anche il background migratorio dei soggetti è una variabile molto importante.
  Vediamo quali sono le possibili soluzioni – forse è una parola forte – e che cosa ci dicono la ricerca e i documenti europei circa le possibilità di intervento. Sottolineano l'importanza di investire sulla prima infanzia per spezzare il circolo vizioso dello svantaggio sociale: faccio riferimento alle raccomandazioni che trovate nella slide. La prima evidenzia la necessità di migliorare l'accesso, la seconda invece la necessità di lavorare in termini innovativi sulla didattica dell'accoglienza di questi servizi. Inoltre, abbiamo la raccomandazione della Commissione europea del 2017 – e qui torniamo alla didattica inclusiva nella scuola primaria e secondaria – che insiste sulla necessità di lavorare sul tema dell'inclusività per migliorare la qualità didattica e di investire sulla formazione in servizio dei docenti, e su quella iniziale. In particolare, evidenzia l'importanza del tema della collegialità in sede di formazione. Ovvero, che è importante che siano i gruppi di docenti, soprattutto dei medesimi istituti scolastici, a lavorare insieme in questo senso.
  Ho quindi cercato di sintetizzare in che modo l'innovazione scolastica può fare fronte alle sfide educative attuali. A nostro avviso, è possibile che l'innovazione didattica faccia la differenza, se la si considera in termini sistemici, ovvero se declinata nella necessità di coniugare i metodi, le tecniche e le tecnologie didattiche con l'organizzazione degli spazi scolastici, dei tempi scuola, della formazione dei docenti, sia iniziale sia in servizio, e della partecipazione degli alunni e delle loro famiglie. Non Pag. 5bisogna infatti pensare che l'innovazione didattica possa essere un fatto isolato: non è sufficiente che un solo insegnante abbia una buona didattica affinché la qualità dell'intero istituto migliori: essa presuppone invece una concezione culturale che superi il tradizionale approccio di tipo trasmissivo, e per questo richiede tempi lunghi di realizzazione nel corso dei quali, a vecchi metodi e strumenti, vengano affiancati, via via, approcci e tecnologie più moderne, i cui esiti risultino supportati dalla ricerca empirica in educazione. Rispetto ai metodi, alle tecniche e alle tecnologie didattiche la ricerca indirizza prevalentemente verso l'utilizzo di metodologie attive, anche di natura gruppale; lezioni dialogate e approccio induttivo; l'utilizzo del «cooperative learning», di giochi di ruolo, di strategie di peer tutoring; la strategia delle classi capovolte: sono alcuni fra gli approcci attivi, già sperimentati a partire dalla fine del secolo scorso nelle nostre scuole, che hanno dato importanti riscontri non solo in termini di apprendimento, ma anche di socializzazione e affettività. E sappiamo che anche queste due tematiche sono rilevanti oggi nel mondo della scuola.
  Ogni approccio scelto, però, richiede insegnanti formati a progettarlo e a realizzarlo, dunque non solo ad applicarlo. Richiede, inoltre, scelte culturali e organizzative precise. Un metodo, dunque, non vale l'altro. Essi vanno scelti consapevolmente e utilizzati in funzione degli obiettivi educativi e cognitivi che si vogliono raggiungere o, meglio, delle competenze che si vogliono supportare. Per questo motivo il docente deve conoscere una pluralità di metodologie tecniche proprio per poterle utilizzare in modo sinergico e integrato, anche sfruttando gli spazi in modo sempre più flessibile. Si diceva che non è sufficiente che il docente viva la sua classe: la scuola deve essere una scuola aperta, che utilizza tutti gli spazi disponibili, sia quelli interni – penso ai corridoi, agli atrii – che, ovviamente, quelli esterni. Ma, ancora, la scuola deve avere il coraggio di uscire fuori e andare verso il territorio, verso i servizi e le opportunità che ciascun territorio offre.
  In sintesi, quindi, quali possono essere i principi orientativi e le linee guida per implementare una innovazione didattica che abbia buoni esiti nel ridurre il problema della differenza di opportunità e offrire un'educazione di qualità? In primo luogo – mi sembra di averlo già sottolineato – il tema dell'individualizzazione: offrire, attraverso una pluralità di metodologie, supporti differenti ai bisogni e alle potenzialità dei soggetti che sono all'interno della scuola, ovvero gli allievi in apprendimento; lavorare sul rispetto e sulla valorizzazione delle diversità. Questo significa che ciascun apprendimento diventa efficace nel momento in cui si àncora a tutto ciò che gli studenti e le studentesse, che i bambini e le bambine vivono nella loro quotidianità, e soprattutto a tutti gli apprendimenti che hanno acquisito negli anni precedenti. Le nuove conoscenze, se vengono solo appoggiate su quelle vecchie, non producono apprendimento. Producono apprendimenti che poi si dimenticano velocemente. Per questo gli insegnanti devono conoscere gli allievi che hanno davanti, devono valorizzare il background da cui essi provengono; possono utilizzare, per esempio, il plurilinguismo come una importante risorsa, visto che ormai nelle nostre classi sono presenti bambini che parlano tante lingue diverse. Ancora: devono creare un senso di appartenenza che, partendo dalle differenze, però, crei una comunità, crei un senso di comunione tra le persone che appartengono ai medesimi contesti. Occorre lavorare su un'organizzazione modulare di spazi, tempi e raggruppamenti perché non può esistere un unico tempo scuola e un unico luogo spazio scuola Deve potersi vedere la possibilità di integrarsi: perché non aprire le secondarie di pomeriggio, ad esempio, e sfruttare anche maggiormente questo tempo? Ancora: la formazione professionale dovrebbe essere maggiormente incentrata sulla dimensione collegiale e rilanciando anche sperimentazioni sul curricolo verticale: quindi il tema della continuità educativa tra i diversi cicli d'istruzione, e poi l'apertura alle famiglie e al territorio.
  Concludo dicendo che cosa può fare la SIPED. La SIPED è una società che consta Pag. 6di settecento iscritti e copre tutte le aree della ricerca pedagogica e didattica; i nostri sono colleghi che operano non solo nella formazione dei docenti in servizio iniziale, dei docenti di sostegno, ma sono anche impegnati esattamente in quei programmi che voi avete indicato come fondamentali per la costruzione di una conoscenza condivisa in Europa. Penso a «Horizon 2020» o agli «Erasmus Plus», Azione K2 e K3, ovvero proprio quelli che lavorano per l'innovazione didattica. Quindi quello che la SIPED può offrire è sicuramente un expertise di altissimo livello, che potrebbe entrare in quella sinergia di intervento insieme alle scuole, ai territori e al resto della società civile.

  PRESIDENTE. Do la parola a Raffaella Reali, membro della direzione della Rete nazionale «Scuole senza zaino».

  RAFFAELLA REALI, membro della direzione della Rete nazionale «Scuole senza zaino». Grazie presidente. Grazie dell'opportunità che mi è stata data di poter presentare il modello delle «Scuole senza zaino» che sono una realtà piuttosto importante in Italia.
  Sono la dirigente scolastica di uno degli «istituti senza zaino» dell'Umbria: una realtà abbastanza diffusa, come potete vedere in questa tabella: 279 istituti scolastici, 571 scuole, quasi quarantamila studenti e 3.300 docenti. Una realtà grande che sta prendendo piede in tutte le nostre regioni.
  Il modello «senza zaino» è una realtà viva nella scuola italiana che si rifà, però, ad una tradizione antica: si ispira ai maestri pedagogisti quali Montessori, Dewey, Bruner, Freinet e Gardner. In questa slide potete vedere quali sono i tre valori fondamentali sui quali poggia l'impianto del modello «senza zaino»: la comunità, la responsabilità e l'ospitalità. Mi fa piacere che anche la relatrice che mi ha preceduto abbia parlato di comunità, dell'importanza di creare una scuola che diventi luogo di comunità. Il sostrato culturale e pedagogico a cui si ispira è quello di un approccio globale al curricolo, nel quale si possano compenetrare sia aspetti che riguardano gli artefatti materiali (pensiamo alle aule, agli ambienti), ma anche alla parte immateriale che riguarda il come fare scuola e le idee sulla scuola.
  Il primo grande momento innovativo della «Scuola senza zaino» è stato quella di destrutturare gli spazi. Si è passati da una realtà di classe monofunzionale e unidirezionale, senz'altro poco ospitale, a una realtà più polifunzionale. In tutte le circa duemila «classi senza zaino» è stata operata questa trasformazione, che rappresenta una vera e propria rivoluzione copernicana, con tavoli cooperativi, angoli morbidi, l'angolo della discussione e l'agorà, alcune parti laboratoriali. Questa è un'immagine, ad esempio, di una classe tipo. Potete vedere anche come il senso del bello, la bellezza e il benessere caratterizzino le nostre scuole. Non ci si è accontentati però di una operazione di restyling – questo è importante sottolinearlo –, perché la parte innovativa è senz'altro quella legata al modo con cui si fa scuola. Uno degli aspetti importanti – qui vedete i nostri bambini che usufruiscono dell'agorà per momenti di lettura personale – riguarda l'organizzazione della vita della scuola, perché tutto è normato a seconda di istruzioni che vengono co-costruite tra il docente e gli alunni. Il modello è quello di un apprendimento che deve avvenire in modo sociale, condiviso, compartecipato. I tavoli delle responsabilità e gli oggetti sono in comune: altro elemento importante da sottolineare. Ci si rifà anche al semaforo montessoriano per mantenere un tono di voce piuttosto contenuto all'interno delle aule. Diciamo con una metafora che il brusio di un alveare è quello che di solito si avverte, quando si entra all'interno di un'aula senza zaino. Un brusio operoso. Questo è un elemento importante e ancora di innovazione che vale la pena rimarcare: attivare in questo modo uno spazio per l'apprendimento significa anche poter sviluppare attività differenziate. In questi tavoli vedete alcuni bambini che stanno svolgendo contemporaneamente lavori diversi. Questo è importante perché sappiamo che i tempi e i modi di apprendimento dei bambini sono diversi; in questo modo possiamo applicare Pag. 7sul serio quell'esortazione di don Milani che diceva che non possiamo fare delle parti uguali tra disuguali. Nelle nostre scuole ci sono anche bambini che presentano, a volte, alcune difficoltà di apprendimento; questo tipo di organizzazione del lavoro potrebbe essere funzionale soprattutto a loro, perché è senz'altro più importante lavorare in coppia, lavorare con un amico, lavorare utilizzando il peer tutoring piuttosto che fare riferimento all'insegnante o anche all'insegnante di sostegno.
  È importante sottolineare il fatto che i materiali che si trovano all'interno delle «Scuole senza zaino» possono essere di varia natura: materiali digitali, materiali tattici e materiali iconici. Sono raccolti in angoli polifunzionali. Le cosiddette «fabbriche degli strumenti delle scuole senza zaino» raccolgono poi tutti gli specimen di tutte le lavorazioni e le sperimentazioni che sono state fatte nelle classi.
  Un altro elemento di cui vorrei parlare è relativo alla valutazione. Nelle «scuole senza zaino» si tende, soprattutto nella scuola primaria, ad abolire il voto numerico, dando evidenza a percorsi che possano permettere di comprendere quale sia la valutazione, se così vogliamo dire, di tipo più formativo rispetto a quella sommativa. Si arriva senz'altro, alla fine, all'elaborazione del voto, ma la cosa più importante è prevedere percorsi che pongano in essere dei feedback, ma anche una riflessione sull'errore, sui percorsi autovalutativi. Qui vedete alcuni pannelli dell'autovalutazione: ciascuno studente sceglie, anche durante la giornata, alcune attività a cui porre poi la propria valutazione. Rispetto a questo possiamo dire che si tratta di un elemento importante per arrivare a scardinare il valore del voto che a volte – come spesso sappiamo – viene utilizzato come premio o come punizione, mentre il valore del progresso che i ragazzi fanno e, soprattutto, il gusto che devono trovare nel proprio apprendimento, dovrebbe essere più intrinseco che estrinseco.
  La costruzione della scuola comunità. Qui vedete alcuni bambini che stanno svolgendo un'attività assembleare: i grandi aiutano i piccoli nell'apprendimento. Nelle «scuole senza zaino» vi sono anche prove di una democrazia, quali i consigli dei ragazzi e anche i consigli generali che vengono tenuti alla presenza dei vari docenti e del dirigente.
  La famiglia costituisce l'altro elemento importante. Comunità significa anche includere i genitori, che svolgono alcune attività all'interno delle scuole, anche di fundraising, e che aiutano nella costruzione e nell'ammodernamento degli ambienti, nella costruzione degli strumenti. Questo perché è il senso della comunità, il senso fondamentale che caratterizza il «senza zaino».
  Gli insegnanti. Un'ultima parola la vorrei spendere per loro. Dicevamo, circa 3.300 insegnanti che hanno sfidato la rigidità del sistema, come la resistenza al cambiamento di molti colleghi. Hanno messo in soffitta modi di lavorare, decenni di pratiche poco fruttuose, e si sono messi in gioco. Questi docenti sono la forza della nostra rete. Il «senza zaino» pone attenzione anche a loro on boarding, ovvero l'accompagnamento nel momento in cui affrontano per la prima volta la realtà delle «scuole senza zaino», svolgendo attività di formazione importante per tutti gli anni nei quali stanno all'interno della rete. Questo è un elemento essenziale che va valutato, tenendo delle potenzialità che la scuola italiana possiede. Circa duecento di loro, ad esempio, sono diventati formatori e girano per tutta Italia per diffondere il modello.
  Qui troviamo lo sviluppo delle attività della rete nazionale. Di alcune cose ho già parlato, pertanto vorrei parlare di alcuni accordi che sono stati siglati con gli istituti, con centri importanti, con l'università. I visiting delle «scuole senza zaino» sono diventati polo di attrazione anche per i docenti appena immessi in ruolo, che vengono a conoscere e a visitare le nostre scuole. Presto arriverà anche una rivista delle «scuole senza zaino». Il dibattito culturale per ciò che è stato messo in piedi e che promana sia dall'associazione che dalla rete senza zaino è consistente: incontri, convegni, seminari sia a livello regionale che locale caratterizzano il lavoro del «senza zaino». Pag. 8
  Vorrei chiudere con questa immagine, in cui i nostri bambini sono impegnati nel cosiddetto «senza zaino day» a livello nazionale. Sono stati ripresi dall'alto con un drone. Vorrei provare a fare un parallelismo tra questo volo che caratterizza le «scuole senza zaino» e il fatto che il movimento mette a disposizione di noi dirigenti attività di formazione che riescono in qualche modo a ricentrare la nostra leadership, il nostro ruolo di liberi educanti e a rifocalizzare sugli aspetti della didattica, della formazione e dello sviluppo professionale. In un lavoro come quello dei dirigenti che spesso è oberato da tante attività, e qualche volta invischiato in certe pastoie, l'attività del «senza zaino» ci permette di poter rialzare lo sguardo e di costruire quella scuola che desideriamo, che sogniamo e che vorremmo realizzare.

  PRESIDENTE. Ringrazio nuovamente gli auditi, che ci confermano molte delle cose che abbiamo già avuto modo di ascoltare. Si vede che il ciclo sta tendendo alla conclusione, perché si stanno sedimentando alcuni temi: spazi, tempi e formazione dei docenti, formazione anche nella comunità dei genitori (un altro punto che viene segnalato), così come l'innovazione e il peer to peer.
  Voglio fare una domanda specifica e poi passo la parola ai colleghi. C'è un ampio dibattito sugli spazi e sull'edilizia; questa Commissione ha avviato una proposta di legge – tra l'altro sollevata dalla società civile, Save the Children e Cittadinanzattiva – che va ad affrontare l'aspetto regolamentare sull'edilizia, su cui bisogna mettere mano e sul quale c'è una particolare attenzione da parte del Ministero dell'istruzione e di questa Commissione. Tuttavia, l'esperienza «senza zaino» sembra dimostrare la possibilità di intervenire sugli spazi senza aspettare la nuova costruzione o la scuola innovativa ricostruita ex novo. Quindi sollevo una questione tecnica: mi interessa questa parte relativa al tema degli arredamenti e delle modifiche degli spazi, oltre naturalmente al modello di gestione che va di pari passo. Siccome, però, è stata affrontata in questi primi mesi di questa legislatura, la questione di una certa difficoltà di competenza da parte del Ministero ad intervenire sul fronte degli arredi all'interno della scuola, vorrei capire quali erano stati gli interlocutori della rete «scuole senza zaino» e quali sono stati gli attori operativi che hanno permesso anche il ricambio degli arredi in modo sostanziale. Ora passiamo al giro di domande e poi alle vostre risposte.

  VALENTINA APREA. Ringrazio anch'io gli auditi e dico subito che condivido certamente le due grandi questioni: formazione docenti e nuovo modo di fare scuola, tra l'altro stressando il concetto di modelli, che nulla hanno a che vedere con quello trasmissivo, e che intendono ancora la scuola come una serie di banchi, con i ragazzi dietro e l'insegnante che, unidirezionalmente, trasmette e insegna. Purtroppo è ancora presente nel nostro Paese, ma abbiamo capito tutti che è un modello che va abbandonato, per tante ragioni.
  Intanto apprezzo e faccio i complimenti alle «scuole senza zaino». Mi domando però – e immagino che i colleghi stiamo già pensando cosa io sto per chiedervi, perché ormai è diventata la mia crociata della legislatura – come mai non si faccia alcun riferimento al digitale, alla didattica digitale, al coding, alle nuove abilità del terzo millennio. Questi bambini, quando lasceranno la scuola, si troveranno nella società del 2030, del 2040, che certamente non farà ricorso alla penna, non farà ricorso alla seduta per imparare. Ci siamo affrancati in questo secolo anche dalla posizione, è come se fosse una nuova nascita. Noi adulti, anche se siamo «immigrati» digitali, lo facciamo continuamente: mentre camminiamo, mandiamo email, leggiamo, scriviamo. Invece obblighiamo i bambini, proprio nel momento in cui avrebbero bisogno di muoversi molto di più degli adulti, ad apprendere stando seduti per la maggior parte del tempo. Questo è veramente un nonsenso. Gli studi sulle neuroscienze ci hanno già detto tutte queste cose.
  C'è di più, e mi rifaccio a quello che ci ha ricordato – cosa che noi abbiamo già esaminato, studiato, conosciuto, ma è bene sempre ribadire – la professoressa, quando ha richiamato i quattro principi dell'Agenda Pag. 9 2030, parlando di accessibilità. Oggi non possiamo fare né accessibilità, né inclusione senza didattica digitale. Ho appena visitato una scuola che è molto avanzata da questo punto di vista, perché è una Apple Distinguished School, che quindi ha scelto tutto il modello digitale per l'insegnamento, dalla scuola dell'infanzia alla scuola secondaria di primo grado. Sono entrata per assistere a una dimostrazione didattica in una classe con tre o quattro bambini dislessici, un autistico grave e, per di più, con tre ragazzi extracomunitari, che erano stati appena inseriti; quindi era una classe difficile, ma non c'era alcun dramma. Il dramma di questi inserimenti e di questa educazione lo troviamo solo nella scuola tradizionale. Quei ventinove ragazzi lavoravano dotati di iPad – quindi device singolo, individuale – dotati di schermi, dotati di strumenti diversi, anche piccoli droni, facendo esercizi di geometria, di programmazione, coding, matematica. Lavoravano tutti senza drammi, e io non ho capito che erano bambini dislessici finché non me l'hanno detto. C'era un bambino di colore che aveva problemi seri, perché era appena arrivato, che è stato il migliore, e quello autistico di più.
  Se continuiamo per piccoli passi, non ci salviamo. A Londra, in questo evento mondiale fatto per tre/quattro grandi regioni del mondo (Europa, Africa, India e Medio Oriente), i pedagogisti e quelli che preparano le varie applicazioni didattiche, ci hanno detto «be bold», «siate audaci!». Al punto in cui siamo, con la tecnologia che vi aiuta in maniera esponenziale, che segue le vostre esigenze, dà risposte alle vostre esigenze e alle esigenze dei bambini, dovete trasformare l'azione didattica. Certo, se uno non vuole, può anche non vederlo e continuare ad accontentarsi dei piccoli passi; però, mi chiedo come si possa fare oggi innovazione didattica, nel 2020, senza far riferimento alla trasformazione che le tecnologie hanno introdotto nella didattica, ai tantissimi cambiamenti che intervengono. Già sarebbero bastati quelli delle neuroscienze, quindi tutto il rapporto scientifico dalle neuroscienze alla didattica digitale; per non parlare, poi, di quello che ci dice la nostra scienza. Come si fa ancora a proporre un modello di scuola che è tutto molto italiano, molto tradizionale? Da voi mi aspetto qualcosa di dirompente come quello che abbiamo sentito. Basta mettere il naso fuori per capire che nel resto del mondo sono stati più audaci, più coraggiosi. Come faranno i nostri ragazzi a recuperare, se non li abituiamo?

  VITTORIA CASA. Grazie presidente. Ringrazio anch'io gli auditi. Ho diverse sollecitazioni e domande da porre, soprattutto alla collega, responsabile della rete «scuole senza zaino».
  I punti chiave di questa esperienza formativa sono essenzialmente tre: l'ospitalità, la responsabilità e soprattutto il senso di comunità, che poi è un po’ la sintesi di questo percorso che racchiude benissimo tutto quello che chiediamo alla scuola. Chiediamo una comunità di relazioni, una comunità inclusiva, una condivisione a tutti i livelli di tutte le componenti che gravitano attorno alla scuola, a cominciare soprattutto dai ragazzi. Tuttavia, lei citava anche i genitori, per non parlare poi dei docenti. Vorrei chiederle: questa esperienza ha maggiori risultati in termini formativi per quanto riguarda la scuola primaria? Ovvero, nelle altre esperienze, scuola secondaria di primo grado e scuola secondaria di secondo grado, la co-costruzione dei saperi, a cui lei faceva riferimento, raggiunge gli stessi livelli di apprendimento o è un'esperienza formativa che dà maggiori risultati soprattutto nella scuola primaria, dove ancora le discipline non esistono e si lavora per ambiti disciplinari?
  L'esperienza – almeno per quanto è di mia conoscenza – mi dice che in molte scuole le classi sperimentali non sono comuni a tutta la scuola in alcune realtà; allora, mi chiedevo se, nella comparazione degli esiti di apprendimento tra le classi che sperimentano, le «scuole senza zaino» e quelle che invece hanno un'organizzazione di tipo tradizionale, le performance dei ragazzi, in termini di esiti di apprendimento, sono diverse. Volevo comprendere se questo metodo influenza anche la formazione dei nostri alunni e se può essere esteso per cercare di colmare il gap che in Pag. 10alcune regioni e in alcune realtà è sotto gli occhi di tutti, a giudicare dalle rilevazioni.

  LUCIA CIAMPI. Grazie presidente. Grazie agli auditi, che ci hanno dato un quadro di speranza della scuola attiva, di una scuola aperta alla comunità, una scuola responsabile e ospitale, una scuola che deve senz'altro includere anche, secondo me – concordo con l'onorevole Aprea – una didattica digitale che apre ulteriormente queste esperienze e queste proposte alla scuola che cambia e che va incontro alla comprensione di un mondo in grande evoluzione.
  Credo che questo incontro con voi oggi sia estremamente importante, perché gli spazi, i tempi, la didattica al chiuso, all'aperto, ovunque, rappresentano ciò che noi vogliamo dalla nostra scuola, per toglierla dall'autoreferenzialità e dal chiuso degli ambienti; per fornire alla scuola la possibilità di essere veramente un luogo di espressione di una comunità educante, fatta di bambini, di insegnanti, di dirigenti, di personale ausiliario e di famiglie.
  Anch'io chiedo gli auditi, sulla base delle loro esperienze, quali sono i risultati di evidenza scientifica che possono essere tratti dalle loro esperienze.
  Un'altra domanda riguarda il tipo di collaborazione che avete instaurato con gli enti locali. Questo è un punto importantissimo per quanto riguarda gli ambienti, perché sono di competenza degli enti locali ed è molto importante che si instaurino buoni rapporti di confronto dialettico tra gli amministratori e le esperienze didattiche come la vostra.
  Un'altra cosa ancora. In questa Commissione ci occupiamo anche di responsabilità dei dirigenti scolastici, ce ne vogliamo occupare; ogni didattica porta con sé una problematica nei confronti della risposta a questo problema della responsabilità. Noi in questa Commissione, e voi immagino siate d'accordo con me, crediamo che una didattica all'aperto, capace quindi di approfittare di tutte le potenzialità che ogni tipo di spazio offre, non può che essere positiva. Tuttavia, nella realtà quotidiana, questo comporta rischi, pericoli, timori e la responsabilità dei dirigenti spesso è frenante. Questa è una domanda che a noi serve per capire meglio come affrontare questo problema che va assolutamente affrontato.
  Poi, mi collego a quanto l'onorevole Casa chiedeva, perché è importante anche per me. L'ideale sarebbe che una «scuola senza zaino» avesse tutte classi e sezioni senza zaino. A volte capita che ce ne sia una sola e, a questo proposito, piacerebbe anche a me sapere se ci sono differenze nei risultati tra le sezioni con didattica «senza zaino» e quelle no.

  PRESIDENTE. Non essendovi altri interventi, do la parola alle nostre ospiti per la replica.

  LUCIA BALDUZZI, membro del direttivo della SIPED (Società italiana di pedagogia). Grazie presidente. Credo di dover rispondere a solo due degli interventi. Sono assolutamente d'accordo rispetto alle nuove tecnologie, nel senso che, nei miei riferimenti a metodi, tecniche e tecnologie, quelle digitali erano assolutamente pensate all'interno di questo ragionamento.
  Certo è che, nel momento in cui noi andiamo ad introdurre in maniera massiva le nuove tecnologie dentro le scuole, dobbiamo – e ritorno un po’ al mio leitmotiv – lavorare in termini sistemici. Non è sufficiente portare le tecnologie, perché il rischio è di avere laboratori che nessuno sa usare, allora la LIM si usa per guardare il film, quando c'è. E non è questo.
  L'altro elemento credo sia, quindi, vedere come le nuove tecnologie influenzano i modi di lavorare degli allievi, che impatto hanno su di loro – si diceva – a supporto di precise disabilità, ma anche per introdurre strumenti che creano possibilità di condivisione e modi diversi di ragionare. La possibilità di usare software che supportano nell'elaborazione di mappe cognitive significa cambiare il modo di lavorare e di pensare l'apprendimento. Quindi, su questo, sono assolutamente d'accordo. Tra l'altro, si integrano perfettamente, per esempio, con il cooperative learning: non sono in contrapposizione, sono strumenti.
  Il secondo livello, però, che va in parallelo, è quello delle nuove tecnologie per gli Pag. 11insegnanti, che devono cominciare a usare per recepire le informazioni, comunicare, creare comunità tra di loro, scambiarsi, non i surgelati didattici di cui parlava Fraboni, ma le esperienze che possono essere riprese, cambiate, andate a vedere, perché la formazione si fa anche tra pari. Gli insegnanti hanno un expertise enorme: sono duecento insegnanti che vanno e spiegano il loro metodo e come l'hanno applicato; sanno ragionare anche meglio con i loro pari. Credo che sia un altro punto interessante e di spessore.
  Il terzo punto riguarda – e questa è una riflessione forse più a monte – l'impatto delle nuove tecnologie sul sapere. Sul discorso della «Media Literacy» ci si era divisi tra apocalittici e integrati; la mia impressione è che siamo tornati, con lo stesso modello, a discutere se internet fa bene ai bambini o fa male, se le app fanno bene o fanno male. No, sono strumenti e, come la web-tv è uno strumento che utilizziamo tutti dai due anni, dal momento in cui il bambino sa usare un telecomando, fino all'ultimo giorno di vita, così le nuove tecnologie non devono entrare: sono già entrate. Per il contesto che conosco io – sono di Bologna e conosco di più l'Emilia-Romagna come regione avendo lavorato e collaborato con le scuole del mio territorio – è più facile, diventa solo un contatto più diretto. In realtà, credo che le nuove tecnologie siano entrate, ma non sono entrate ancora nella mentalità dei docenti per essere viste come strumenti che devono integrarsi con le altre metodologie. È come dire «la cooperative learning sì o non si fa più lezione», «arriva il computer, si usa solo questo». Il tema è come riusciamo ad integrare tutte le metodologie, le tecniche e le tecnologie didattiche in una visione d'insieme.

  RAFFAELLA REALI, membro della direzione della Rete nazionale «scuole senza zaino». L'utilizzo dei locali scolastici, l'edilizia, gli arredamenti, penso che siano un elemento fondamentale. Naturalmente lo Stato e gli enti locali, le Province per le scuole secondarie di secondo grado, dovrebbero fornire gli spazi. E i nostri spazi negli ultimi anni sono molto cambiati. Grazie ai bandi PON, ad esempio, le scuole si sono dotate di aule strutturate di tecnologia. Ci sono aree del Paese che hanno bisogno comunque di spazi effettivi, per cui è necessario che l'edilizia venga trasformata nell'ottica della creazione di queste nuove scuole, dove lo spazio non sia soltanto l'aula, ma anche il laboratorio, a volte addirittura il corridoio, che può essere funzionale all'apprendimento.
  In «senza zaino» la relazione con la comunità è fondamentale, è il primo appuntamento che il dirigente scolastico prende con il sindaco del paese, perché è in questo modo che si può fare un piano per trasformare gli ambienti. In questo piccolo centro, il nostro centro di Citerna, è stato il Comune che ha avuto la forza, con i propri mezzi, di fornire tutti gli arredi dalla prima alla quinta.
  I genitori possono dare una mano con le attività di fundraising, anche per la costruzione degli strumenti, nei limiti di ciò che loro compete. Però, se c'è partecipazione e compartecipazione, si riescono senz'altro a raggiungere importanti livelli di trasformazione degli spazi.
  Vengo al tema del digitale. La mia presentazione è stata piuttosto veloce, perciò forse non sono stata molto dettagliata parlando degli strumenti che vengono utilizzati all'interno delle «scuole senza zaino»: strumenti digitali, tattili, iconici. La modalità che la scuola senza zaino ha adottato è quella di strumenti cosiddetti «blended». È vero che noi abbiamo gli iPad all'interno delle nostre classi, abbiamo computer fissi, i bambini hanno la possibilità di utilizzare tablet. Come si diceva prima, quando è possibile fare differenziazione degli apprendimenti, è possibile anche fare alcuni focus, ad esempio, sull'utilizzo delle tecnologie. Di conseguenza, non ci troviamo in contrasto con questo. Il mondo delle tecnologie è entrato, si fa coding nelle nostre classi, parlo soprattutto di quelle della primaria, e si utilizzano le tecnologie anche per poter fare ricerca. L'aula di «senza zaino» assomiglia quasi a un laboratorio, a una biblioteca, per cui c'è la possibilità che i ragazzi anche utilizzino in autonomia i device che sono all'interno delle scuole. Pag. 12
  Quanto poi i docenti siano consapevoli dell'utilizzo, sappiano utilizzare le tecnologie è un punto interrogativo. Sulla formazione dei docenti, come forse avrete dibattuto anche altre volte, ancora non è stato definito un monte ore annuale: noi non sappiamo quanto i nostri docenti debbano formarsi. Io ho visto che, per quanto riguarda il digitale, molto dipende anche dalla sana contaminazione, se così vogliamo dire, anche fra i docenti; per cui il peer tutoring fra docenti permette di sviluppare l'utilizzo e l'introduzione delle nuove tecnologie all'interno della scuola.
  L'ultima parte era relativa alla diffusione del «senza zaino» in uno stesso plesso. Nel momento in cui le scuole fanno domanda per entrare all'interno della rete, si richiede che almeno tutto un plesso possa diventare «senza zaino». Laddove però si tratti di una scuola secondaria di primo grado con vari corsi, possiamo anche decidere che magari soltanto una sezione possa iniziare.
  Ancora non abbiamo – e di questo faccio un mea culpa, ma ne stiamo discutendo all'interno della rete «scuole senza zaino» – questa comparazione oggettiva dei dati, ma ci stiamo incamminando in questa direzione. Si è fatto riferimento anche ai dati Invalsi. In generale i dati delle nostre scuole – posso parlare per l'esperienza delle scuole della mia regione – sono buoni e sono positivi. È giusto che ora si intraprenda questo cammino che vada a definire effettivamente qual è il valore aggiunto che può aver dato e può dare il «senza zaino».
  Per quanto riguarda quei valori di cui si parlava, il senso di responsabilità e di autonomia e le soft skill, va da sé che i nostri ragazzi sono senz'altro sulla strada giusta.

  PRESIDENTE. Grazie a tutti della partecipazione e dei vostri contributi.
  Autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della documentazione presentata (vedi allegati), e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 16.

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