XVIII Legislatura

VII Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 2 di Mercoledì 10 luglio 2019

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Gallo Luigi , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULL'INNOVAZIONE DIDATTICA

Audizione di rappresentanti dell'Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile (ASVIS).
Gallo Luigi , Presidente ... 3 
Molina Stefano , coordinatore del gruppo di lavoro ASVIS dedicato al goal 4, istruzione ... 3 
Bilotta Francesca , coordinatrice del gruppo di lavoro ASVIS dedicato al goal 4, istruzione ... 5 
Molina Stefano , coordinatore gruppo di lavoro ASVIS dedicato al goal 4, istruzione ... 6 
Gallo Luigi , Presidente ... 7 
Fusacchia Alessandro (Misto-+E-CD)  ... 7 
Aprea Valentina (FI)  ... 8 
Casa Vittoria (M5S)  ... 8 
Palmieri Antonio (FI)  ... 9 
Ciampi Lucia (PD)  ... 9 
Gallo Luigi , Presidente ... 9 
Molina Stefano , coordinatore gruppo di lavoro ASVIS ... 9 
Bilotta Francesca , coordinatore gruppo di lavoro ASVIS ... 11 
Gallo Luigi , Presidente ... 12 

Allegato 1: Relazione depositata dai rappresentanti dell'ASVIS ... 13 

Allegato 2: Presentazione informatica illustrata dei rappresentanti dell'ASVIS ... 26

Sigle dei gruppi parlamentari:
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Lega - Salvini Premier: Lega;
Partito Democratico: PD;
Forza Italia - Berlusconi Presidente: FI;
Fratelli d'Italia: FdI;
Liberi e Uguali: LeU;
Misto: Misto;
Misto-Civica Popolare-AP-PSI-Area Civica: Misto-CP-A-PS-A;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Noi con l'Italia-USEI: Misto-NcI-USEI;
Misto-+Europa-Centro Democratico: Misto-+E-CD;
Misto-MAIE - Movimento Associativo Italiani all'Estero: Misto-MAIE;
Misto-Sogno Italia - 10 Volte Meglio: Misto-SI-10VM.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
LUIGI GALLO

  La seduta comincia alle 9.35.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche dalla trasmissione in diretta sul canale web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di rappresentanti dell'Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile (ASVIS).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva in materia di innovazione didattica, l'audizione di rappresentanti dell'Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile (ASVIS).
  Sono presenti Francesca Bilotta e Stefano Molina, coordinatori del gruppo di lavoro ASVIS dedicato al Goal 4, istruzione.
  Do la parola a Stefano Molina per lo svolgimento della sua relazione.

  STEFANO MOLINA, coordinatore del gruppo di lavoro ASVIS dedicato al goal 4, istruzione. Grazie, signor presidente. Onorevoli, grazie davvero dell'onore che fate ad ASVIS con il suo coinvolgimento in questa quanto mai opportuna indagine conoscitiva su un tema cruciale per il futuro dell'Italia.
  Vi racconteremo innanzitutto cos'è l'ASVIS, perché non è detto che sia conosciuta; poi, proveremo ad argomentare che l'Agenda 2030 e, in particolare l'Obiettivo 4, sono la cornice di riferimento ideale per l'oggetto della presente indagine. Vi faremo qualche esempio di casi di innovazione didattica notevoli.
  Cos'è l'ASVIS? Sapete che a settembre 2015 l'Italia, come altri 192 Paesi, ha sottoscritto l'Agenda 2030 delle Nazioni Unite, prendendo alcuni impegni dal 2015 al 2030. A pochi mesi di distanza, il 3 febbraio 2016, in Italia è stata costituita l'Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile, che ha come obiettivo quello di far conoscere anche in Italia l'Agenda 2030 e accompagnare l'Italia, nei limiti del possibile, verso il conseguimento dei diciassette obiettivi e dei 169 target che caratterizzano l'Agenda.
  L'ASVIS è un'organizzazione di secondo livello, perché i suoi aderenti sono a loro volta organizzazioni di varia natura. In questo momento abbiamo circa 230 aderenti, il portavoce è Enrico Giovannini, che è sin dall'inizio l'anima di questa avventura. L'organizzazione del lavoro si divide in tavoli tematici, e partecipiamo a questa audizione, con Francesca Bilotta, in quanto coordinatori del tavolo dedicato al Goal 4.
  Un solo elemento di informazione: tra maggio e giugno l'ASVIS ha organizzato un Festival dello sviluppo sostenibile, che ha avuto ben 1.061 eventi distribuiti sul territorio nazionale, con un «effetto palla di neve», perché, dal 2016 ad oggi, c'è stato un crescendo continuo di iniziative, di attività, di adesioni. In particolare, il nostro gruppo, il gruppo Goal 4, è composto da settanta organizzazioni, che vanno dalla «A» delle ACLI fino alla «W» del WWF.
  Facciamo adesso un passo indietro per capire come il Goal 4 sia davvero una cornice di riferimento per i nostri ragionamenti, andando indietro al 2000 per provare a vedere come le stesse Nazioni Unite avevano formulato nell'Agenda del millennio, che doveva concludersi nel 2015, l'obiettivo per i sistemi educativi. C'era un Pag. 4Goal 2 che aveva un solo target: fare in modo che entro il 2015 tutti i ragazzi, sia maschi che femmine, potessero terminare un ciclo completo di scuola primaria. Se guardiamo alla formulazione abbastanza elementare di questo obiettivo, ci accorgiamo di tre cose: la sua formulazione era chiaramente per Paesi in via di sviluppo (l'Italia del 2000 non aveva il problema di completare la scuola primaria); era focalizzato su una classe di età ben specifica, da 6 a 11 anni; era il classico esempio di approccio credenzialista, in cui a contare erano la frequenza e il conseguimento del titolo. Questo è molto importante perché, come vedremo, con l'Agenda 2030 cambia tutto. Tenete presente che questo tipo di approccio credenzialista caratterizza buona parte degli obiettivi dei sistemi educativi attualmente noti. Europa 2020, ad esempio – che ha tra i suoi obiettivi quello di raggiungere il 40 per cento di laureati tra 30 e 34 anni entro il 2020 e l'abbassamento della dispersione scolastica sotto al 10 per cento entro il 2020 – utilizza esattamente questo tipo di approccio. Lì vedete (purtroppo non si legge bene, ma nel documento allegato è tutto raccontato nel dettaglio) il posizionamento attuale dell'Italia rispetto a questi obiettivi. In base ad una proiezione lineare dei progressi concreti che l'Italia sta facendo, si vede che raggiungeremo, non nel 2020, ma nel 2030, quella che oggi è la media europea per quegli indicatori. Dobbiamo quindi essere consapevoli che stiamo parlando di un Paese in Europa che, dal punto di vista dello sviluppo dell'istruzione, è ancora un Paese a sviluppo tardivo.
  Questo approccio credenzialista, che è in via di superamento, ha alcuni aspetti positivi. Vorrei segnalare, ad esempio, il fatto che la statistica è perfettamente allineata con questo approccio. Sapete ad esempio che uno degli indicatori che seguiamo con maggiore attenzione è quella degli early leavers, ovvero quelle persone tra 18 e 24 anni che hanno finito gli studi senza conseguire un diploma o una qualifica.
  Come vedete (la linea inferiore gialla è quella delle ragazze e sopra stanno i maschi), abbiamo avuto in Italia un progresso tendenzialmente declinante verso quell'obiettivo del 10 per cento che si vuole conseguire. La precisione della rilevazione statistica in questo caso, coerente con la formulazione dell'obiettivo, ci permette di segnalare come dal 2017 al 2018, quindi ieri, ci sia stato un rimbalzo, una risalita del tasso di dispersione delle ragazze in Italia; le politiche e la ricerca dovrebbero interrogarsi sulle ragioni e cercare di contrastarlo.
  Questo approccio credenzialista ha quindi una statistica coerente, che è molto utile perché permette alle politiche di essere tempestive.
  Guardiamo invece come è formulato al 2015 l'Obiettivo 4. Esso si articola in dieci target, di cui sette diretti e tre means of implementation, mezzi di implementazione. Ne abbiamo riportati 4, ma si vede chiaramente che quell'approccio credenzialista è completamente abbandonato: non importa più la quantità di istruzione in termini di anni passati a scuola, che era figlia del XX secolo, ma conta cosa a scuola si sia effettivamente appreso. Come vedete, si parla di apprendimenti efficaci, di competenze spendibili per lavori dignitosi, di conoscenze e competenze per promuovere lo sviluppo sostenibile.
  Vedete che c'è una rivoluzione copernicana nella formulazione, che da un lato tiene conto del fatto che non ci interessa più quanto tempo è stato trascorso a scuola o che titolo di studio è stato conseguito; piuttosto, cosa effettivamente si può fare con quanto appreso. È quel sottile slittamento dall'idea di conoscenza, trasmessa e potenzialmente inerte, a competenza, cioè conoscenza messa intenzionalmente in azione.
  Si tratta di una rivoluzione per i sistemi educativi. Come vedete, tra l'altro, si perde l'idea che la prescrizione del Goal sia solo per i Paesi in via di sviluppo: vale per 193 Paesi e non è più legata a una singola classe di età, come erano gli obiettivi del millennio. Qui praticamente da 0 a 99 anni tutti sono coinvolti sia con lo sviluppo infantile, sia poi con l'educazione degli adulti, e – lo ripeto – si passa da una visione formale Pag. 5credenzialista a una visione sostanziale dei risultati dell'istruzione.
  Quando nel 2016 abbiamo letto come ASVIS questi obiettivi, ci siamo subito chiesti se fosse una formulazione soddisfacente, adatta all'Italia, perché è stata pensata per 193 Paesi a tutti gli stadi dello sviluppo: la risposta è stata corale, da parte di tutto il gruppo di lavoro: sì, è assolutamente una formulazione adatta a diventare una bussola per le politiche educative anche in Italia.
  Tra l'altro, il disegno di legge approvato da questo ramo del Parlamento sull'introduzione dell'educazione civica non a caso fa riferimento, all'articolo 3, subito dopo la Costituzione italiana, all'Agenda 2030 per l'introduzione di un insegnamento di educazione civica.
  Come possiamo sistematizzare quei dieci target per l'Italia? Il gruppo di lavoro ha cercato di creare alcune parole d'ordine e siamo giunti a sedimentare cinque direzioni nelle quali si può interpretare la spinta dell'Agenda 2030 per l'Italia: apprendimenti e competenze per l'occupabilità, precedenza all'inclusione, contenimento della dispersione, istruzione, formazione a tutte le età, in particolare per un Paese come l'Italia che ha una demografia debole e, molto importante, target 4.7: educazione allo sviluppo sostenibile e alla cittadinanza globale.
  Nel passare la parola a Francesca Bilotta che proseguirà questi ragionamenti, vi faccio una domanda: l'innovazione didattica è presente in questo quadro, è presente nei 10 target che abbiamo visto prima? La risposta è no, perché questo è il modo più diretto per chiarire che l'innovazione didattica non può essere un obiettivo, non può essere il fine da raggiungere, ma semplicemente il mezzo, o meglio i mezzi. Infatti non possiamo più parlare di un'unica didattica, come è stato nel 1800 e 1900, per raggiungere di volta in volta gli obiettivi che ci diamo. Quindi il superamento della didattica frontale, della lezione frontale, della didattica trasmissiva si inserisce in questo quadro che, a nostro avviso, l'Agenda 2030 interpreta in maniera molto chiara.
  Passo la parola alla dottoressa Francesca Bilotta di Save the Children per proseguire i ragionamenti. Grazie.

  FRANCESCA BILOTTA, coordinatrice del gruppo di lavoro ASVIS dedicato al goal 4, istruzione. Come diceva il dottor Molina, nell'Agenda 2030 non appare il termine «innovazione didattica», però l'abbiamo interpretata tutti come un mezzo per raggiungere questi obiettivi, queste priorità. Di sicuro, considerandola un mezzo, non possiamo non prendere in considerazione tre diverse dimensioni: quella dello spazio, delle tecnologie digitali e della formazione dei docenti.
  In particolare, riferendoci allo spazio inteso come luogo di apprendimento e di benessere, così come anche citato in una delle declinazioni del Goal 4, parliamo di uno spazio, quello scolastico, che prima di tutto deve essere sicuro da un punto di vista strutturale e antisismico, e che sappia garantire l'accessibilità a tutti e a tutte.
  Innovare la didattica a partire dalla modifica degli ambienti di apprendimento significa renderla più dinamica e più inclusiva attraverso il superamento della lezione frontale e la promozione di pratiche nuove di insegnamento, active learning, con l'obiettivo di dare centralità agli studenti favorendo il confronto tra pari, tra studenti e adulti, docenti di riferimento, incrementando le capacità logiche e di relazione.
  L'attenzione alla partecipazione degli studenti alla vita scolastica sin dai primi anni del percorso educativo, così come la cura delle relazioni, rappresentano un fattore centrale dell'apprendimento, funzionale allo sviluppo di tutte quelle competenze che portano i ragazzi a costruire un pensiero critico, a negoziare con gli altri. L'attivazione di organi democratici come consigli fuoriclasse sperimentati da Save the children, ovvero organi permanenti di dialogo tra rappresentanze di docenti e studenti, favoriscono lo sviluppo di queste abilità cognitive, nonché la capacità di ascolto di sé e degli altri.
  In questa slide vedete alcune immagini che rappresentano bene come il coinvolgimento attivo degli studenti, in qualsiasi contesto scolastico, anche in aree disagiate Pag. 6del nostro Paese, porti soluzioni innovative anche nella definizione degli spazi. Questi esempi rappresentano tante iniziative promosse dai ragazzi all'interno di scuole di tutta Italia, dove gli studenti hanno progettato biblioteche, spazi innovativi e modulabili, dove potersi confrontare e sperimentare anche attività di peer education.
  L'obiettivo della piena partecipazione e della corresponsabilizzazione dello studente alla vita scolastica, quindi alla definizione delle regole di comunità e alla gestione del tempo comune a scuola, si ritrova anche nei principi metodologici della didattica aperta, che si costruisce proprio sul riconoscere l'autonomia dello studente nella capacità di scelta e di realizzazione del proprio progetto educativo, quindi una didattica che pone al centro una nuova visione dello studente, ma anche del docente, che diventa più sensibile e più disponibile ad assecondare le iniziative dello studente nell'apprendimento.
  In sintesi, abbiamo rilevato che quando gli studenti si sentono protagonisti della scuola, quando sviluppano un senso di responsabilità e di appartenenza, aumenta la loro affezione e, di conseguenza, diminuiscono fenomeni come quelli della dispersione scolastica e dell'esclusione sociale, piuttosto che problemi disciplinari.
  Sempre con riferimento alla dimensione spaziale, il documento conclusivo dell'indagine conoscitiva sullo stato dell'edilizia scolastica, approvato nel 2017 dalla VII Commissione, ci ricorda come il patrimonio edilizio scolastico italiano appaia particolarmente vecchio. Ne deriva spesso la necessità di ristrutturazioni complete o anche radicali, e uno degli esempi che portiamo oggi è il progetto Torino fa scuola, realizzato da Fondazione Agnelli con la Compagnia San Paolo, che prevede la riqualificazione completa di due scuole torinesi, con il coinvolgimento di tutta la comunità educante.
  In riferimento alle tecnologie digitali, riteniamo opportuno sottolineare alcuni aspetti che sottendono la definizione di didattica digitale o, più in generale, di scuola digitale, al fine di non fermarci ad una lettura superficiale. I dati del MIUR indicano che parte delle scuole ha una dotazione tecnologica, il punto è che l'introduzione di questa innovazione tecnologica non produce automaticamente effetti innovativi sui processi di insegnamento e di apprendimento.
  Con il termine «didattica digitale» dovremmo riferirci in modo più appropriato ad un processo di insegnamento e di apprendimento che deve soddisfare, anche a ragione del contesto digitalizzato, le tradizionali metodologie didattiche, basate sulla centralità del docente e non dello studente. Nell'ottica della promozione delle competenze utili in una società digitale, possiamo citare ad esempio il progetto Generazioni connesse, un progetto coordinato dal Ministero dell'istruzione in partenariato con associazioni e università e cofinanziato dalla Commissione europea nell'ambito del programma Connecting Europe Facility.
  Strettamente connessi alla dimensione digitale dell'innovazione didattica sono poi gli sviluppi della robotica educativa, che mantiene nei processi educativi un'artigianalità e una manualità spesso dimenticate. A questo proposito ricordiamo l'esperienza del laboratorio didattico Combo della Fondazione Agnelli, che ha superato le 5.000 presenze di studenti, con l'obiettivo di promuovere gli apprendimenti curricolari in materia, coinvolgendo studenti di ogni ordine e grado, per poi arrivare alla formazione dei docenti.

  STEFANO MOLINA, coordinatore gruppo di lavoro ASVIS dedicato al goal 4, istruzione. La formazione dei docenti è fondamentale per evitare che queste esperienze siano solo degli episodi. Se vogliamo arricchire la cassetta degli attrezzi di tutti i docenti, ci vuole un'iniziativa di ampio respiro. Da questo punto di vista bisogna riconoscere che l'Agenda 2030 ci obbliga a uno sguardo lungo, ci obbliga a guardare di qui al 2030. Tra l'altro, per i tempi dei sistemi educativi, il 2030 non è lontanissimo: chi nasce adesso nel 2030 sarà in prima media, ovvero a metà del percorso dei propri studi.
  È importante capire che da qui al 2030 succederanno tante cose, alcune delle quali ci sono già note. Ad esempio, purtroppo, Pag. 7una delle cose già scritte nel nostro futuro è che la scuola italiana si trova su un piano inclinato della demografia: le proiezioni Eurostat, ma anche quelle Istat, ci dicono che da qui al 2030 la scuola italiana perderà circa 1.100.000 studenti. Si tratta di un'emorragia che si traduce, a regole vigenti, in circa 45.000 classi in meno, 60-65.000 posti cattedra in meno. Di questo bisogna essere avvertiti quando si pianifica l'attività di formazione iniziale per i prossimi dieci anni, perché le cessazioni saranno anno per anno superiori alle neo-immissioni, i neoassunti saranno meno rispetto ai cessati e dunque usare solo la leva della formazione iniziale potrebbe essere limitativo: bisogna pensare alla formazione iniziale, ma anche alla formazione in servizio dei docenti.
  Nel suo piccolo, l'ASVIS ha realizzato alcune iniziative: il Portale Scuola 2030 oppure, sul sito Indire, un corso di formazione aperto a tutti i docenti neoassunti, che recentemente, proprio in questa logica di condivisione con tutto il corpo docente, è stato aperto ai docenti in servizio.
  Con questo abbiamo concluso, mi sembra che dagli argomenti che ha portato Francesca Bilotta e che ho provato ad argomentare risulti la tempestività e la crucialità del tema oggetto della presente indagine, quindi siamo a vostra disposizione per ulteriori approfondimenti. Vi ringrazio.

  PRESIDENTE. Grazie. Prima di dare la parola ai colleghi, vorrei porre alcune questioni. Uno degli aspetti che, secondo me, è mancato in questo quadro generale è il tema dell'intelligenza emotiva, dell'intelligenza sistemica che negli Stati Uniti viene sviluppata da vent'anni, anche con programmi dedicati. Questo si lega a soft skills, che probabilmente sono ancora marginali nel nostro sistema scolastico, cioè la capacità di affrontare le sfide quotidiane non legate strettamente all'occupabilità e quindi al lavoro, ma quelle di relazione all'interno di una famiglia, di una società complessa e sul posto di lavoro; quindi la capacità di interagire in gruppi complessi. Si tratta di un aspetto che dovrebbe costituire una parte cospicua della formazione ai docenti, così come individuato.
  Questo si lega all'altro aspetto che volevo sottolineare in aggiunta al concetto degli spazi. Si è parlato degli spazi interni della scuola e di quanto sia auspicabile la loro modifica, come dicono tutte le proposte innovative che garantiscono benessere a studenti e docenti. Quanto è necessario utilizzare come spazio di studio, di formazione e di applicazione lo spazio esterno alla scuola, cioè i luoghi esterni ad essa? Quanto è avvertita la necessità di trasferire una parte del tempo scuola all'esterno, in parchi, musei e spazi aperti, per studiare la complessità che c'è all'esterno, per interagire, commettere errori e trovare soluzioni collettive?
  Do ora la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  ALESSANDRO FUSACCHIA. Mi associo ai ringraziamenti dei colleghi ai rappresentanti dell'ASVIS. Vorrei sollevare un paio di questioni rispetto alla presentazione che ci avete fatto: un paio di provocazioni.
  ASVIS sta diventando una piattaforma sempre più significativa nel Paese in termini di capacità di aggregazione, di superamento della soglia critica del migliaio di eventi per una singola edizione e così via. Che tipo di iniziative state facendo o come state ragionando rispetto al fatto che lo sviluppo sostenibile, l'Agenda 2030, non è l'ultimo capitolo di cose da trasferire come conoscenza agli italiani e in questo caso agli insegnanti e alla scuola, ma è qualcosa che deve entrare nel corpo vivo della cittadinanza? Non è un pacchetto di erudizione che gli italiani devono imparare, ma come quella roba entri nel quotidiano dell'insegnamento. Avete fatto qualche ragionamento sul contributo che ASVIS, visto il suo ruolo, può dare per andare oltre il fatto di mettere un flag sul box quando «x» docenti in Italia avranno capito che per il 2030, per l'Agenda sviluppo sostenibile, è necessario fare il lavoro che serve, che è quello più sofisticato?
  Aggiungo un altro punto che mi interessa molto e che avete citato sulla formazione dei docenti. Sono d'accordo sulla Pag. 8puntualizzazione che l'innovazione didattica sia uno strumento e non un fine (i fini sono quelli che avete indicato o che conosciamo come modello educativo della scuola). La domanda è come facciamo a non convertire sempre i convertiti, visto che quando poniamo il tema dello sviluppo sostenibile sono sempre gli stessi a rispondere, forse quelli già particolarmente sensibili e attenti, non dico quelli che già se ne occuperebbero anche se non esistessimo noi, ma quasi. La scommessa è come andarci a prendere quella parte di corpo docente che fa più fatica per varie ragioni, legate a vicissitudini personali, professionali, geografiche; come andare oltre la bolla crescente che per fortuna esiste – perché significa che lo zoccolo duro del Paese va avanti in una certa direzione, di cui però ci potremmo quasi dimenticare perché camminerebbe discretamente da solo – per andarci a prendere invece il resto del corpo docente, che è più distratto, più resistente e fa più fatica anche per background professionale e personale. Ritengo che la sfida centrale sia attorno a questo.

  VALENTINA APREA. Ringrazio le amiche e gli amici che stanno lavorando per un Goal che dovrebbe riguardare tutti, ma poi alla fine riguarda sempre pochi. Alcuni quesiti precisi.
  ASVIS ha già una convenzione con il MIUR? Qual è il vostro rapporto con il ministero? Se sì (vedo che annuite), che spazi avete nelle scuole grazie a questa convenzione, quali sono gli obiettivi che avete stabilito con il MIUR? Mi interessa altrettanto l'aspetto di collegamento con le università che formano i docenti del futuro, cioè quanta consapevolezza c'è nei corsi di formazione universitari che preparano i docenti all'abilitazione.
  Credo che sulla necessità di cambiare la scuola del primo ciclo, primaria e secondaria di primo grado, stia crescendo una consapevolezza. Penso alle sperimentazioni avviate dal ministero con le leggi più recenti e con le iniziative regionali delle regioni più avvertite; penso ad esempio alla diffusione del coding come quarta abilità nella scuola primaria insieme a leggere, scrivere, far di conto, ovvero la capacità di programmare; penso alle scuole nuove del primo ciclo, in particolare dell'infanzia e primaria, che i comuni e le regioni hanno costruito, che, corrispondono, quasi tutte, alle modalità che ci avete rappresentato.
  Credo che il nostro buco sia nella scuola secondaria superiore, in cui da sempre (sono fiera di ricordare questa cosa anche perché a 18 anni sono stata insegnante di scuola elementare, che si chiamava così prima della riforma che io stessa ho fatto, e i docenti della scuola primaria e delle scuole secondarie di primo grado sono molto più sensibili all'innovazione) mi pare ci sia una resistenza reale. È ciò che mi preoccupa di più, perché lì i centennials, ragazzi che non hanno conosciuto il mondo senza Internet, che hanno abilità e capacità sicuramente nuove, si trovano con vecchie didattiche, con logiche superate; vengono quasi mortificati e non fanno quel salto che pure ci potremmo aspettare visti i risultati che comunque conseguono a scuola. A scuola vanno bene, ma fanno quello che probabilmente non servirà loro e, soprattutto, fanno troppo poco rispetto a quello che si dovrebbe fare in vista del Goal del 2030.
  Sulla scuola secondaria superiore quali sono i progetti che state portando avanti e come? Conosco quello di Fondazione Agnelli della robotica; ma la robotica educativa che abbiamo visto è soprattutto della primaria. Poi ci sono alcune scuole di eccellenza, anche quelle di Torino, c'è l'agenzia di formazione della robotica che ha fatto grandi cose anche nella scuola secondaria superiore. Però, come diceva il collega Fusacchia, sono iniziative di eccellenza insite al sistema, ma che non hanno nulla a che vedere con un cambiamento, con una svolta didattica.
  Cosa pensate infine degli studi sulle STEM (Science, Technology, Engineering and Mathematics) e sull'intelligenza artificiale? Se tutto questo deve rientrare nell'Agenda 2030, forse siamo in ritardo anche per quello. Grazie.

  VITTORIA CASA. Ringrazio i componenti dell'ASVIS. Vorrei portare l'attenzione su uno dei cinque obiettivi dell'Agenda 2030, che è il contenimento della dispersione scolastica. Soprattutto mi colpiva Pag. 9 la sperimentazione dei Consigli fuoriclasse che state portando avanti per ricondurre il dibattito all'interno delle relazioni, in un contesto democratico di interazione tra docenti e alunni. Mi chiedevo quanto questa sperimentazione abbia potuto incidere su questo obiettivo, il contenimento della dispersione scolastica, che credo sia una delle piaghe forti del nostro sistema scolastico, soprattutto al sud. Tuttavia, oltre a contenere i livelli di dispersione scolastica non dobbiamo dimenticare i NEET (Not in Education, Employment or Training). Cosa state facendo come ASVIS nei confronti di queste persone che non seguono né un percorso di studio, né un percorso lavorativo? All'interno di Agenda 2030, sono allo studio percorsi su cui è possibile lavorare anche in collaborazione con il MIUR, legati all'istruzione a tutte le età? Grazie.

  ANTONIO PALMIERI. Anch'io mi unisco ai ringraziamenti e volevo tranquillizzare che sappiamo chi siete e cosa fate, perché altrimenti sarebbe disdicevole per noi. Mi riallaccio alle considerazioni dei colleghi Aprea e Fusacchia. Al di là del campo di rieducazione forzato per gli insegnanti, che mi sembra uno strumento poco praticabile, unitamente al fatto che il corpo degli insegnanti è più numeroso dei marines, credo che l'unica possibilità concreta sia quella di moltiplicare iniziative come la vostra, cioè moltiplicare il buon esempio, nella speranza che per contagio e per invidia si possa colpire la coscienza e la motivazione delle persone.
  Conosciamo i dati sul corpo insegnante, sull'età media, su tutte le aspettative rispetto alle uscite, ai cessati, come si dice con linguaggio burocratico, ma, escludendo il campo della rieducazione, non vedo altra possibilità se non quella di moltiplicare il buon esempio, perché molte cose della vita avvengono per contagio, per invidia e per emulazione, a partire spesso dall'apprendimento. Tenevo quindi a completare le osservazioni dei miei amici e colleghi per dare un ulteriore spunto. Grazie.

  LUCIA CIAMPI. Anch'io voglio ritornare sulla formazione, che è uno strumento e non può essere un obiettivo. Il problema è convertire chi non è convertito.
  I comuni hanno dato molto per risolvere il problema degli spazi, che sono stati aperti alle nuove didattiche innovative. Come sindaco, ho costruito una scuola bellissima, con grandi spazi, però il Collegio dei docenti ha deciso di non utilizzarla appieno, per quanto la potenzialità dell'istituto poteva consentire. C'è questa discrasia, questa contraddizione tra uno sforzo che anche gli enti locali fanno relativamente a questa tematica e l'atteggiamento conservatore di una parte della categoria degli insegnanti. Pertanto, a fronte di questo problema, chiedo a voi, come è stato fatto dai colleghi, come si possa stimolare questa parte conservatrice degli insegnanti, perché riesca a recepire i messaggi per l'apertura alle nuove didattiche. Questo è un problema fondamentale che riguarda non solo voi, ma anche il MIUR e noi, la politica, perché non possiamo rimanere in mano a una conservazione didattica che non ha più senso.

  PRESIDENTE. Se non ci sono altri interventi, passerei la parola agli auditi non prima di aggiungere un quesito. Quanto è utile costruire patti sociali con tutti gli attori intorno alla scuola e far funzionare quello che abbiamo detto con queste collaborazioni strutturate?
  Do la parola ai nostri ospiti per la replica.

  STEFANO MOLINA, coordinatore gruppo di lavoro ASVIS. Grazie, presidente. Grazie delle tante domande che proveremo a ripercorrere. Avete toccato i punti chiave, quelli che chiunque si occupa di scuola e di università oggi in Italia sa essere i grandi dilemmi.
  Il tema delle soft skills, che sono una delle tante declinazioni del passaggio delle competenze (relazionalità, problem solving) è la sfida didattica. Nel 1800 ci siamo inventati un sistema di trasmissione di conoscenza che aveva una serie di cerimonialità e di metodologie didattiche, una docimologia coerente, una statistica coerente. Ci accorgiamo che questo non funziona più. Inizialmente credevamo che fosse Pag. 10il mercato del lavoro a chiederci competenze, qualche anno fa si era prudenti nei confronti del termine «competenze», perché sembrava che fosse una pressione da parte dei datori di lavoro.
  L'Agenda 2030 dimostra chiaramente che sono necessarie competenze in quanto comportamenti responsabili (quello che diceva l'onorevole Fusacchia). A noi non importa sapere quali sono gli elementi chimici e fisici che ci permettono di comprendere il buco nell'ozono, noi vogliamo indurre comportamenti responsabili affinché questo problema sia meno un problema nel futuro. Questa è una sfida che non riguarda solo il lavoratore, riguarda il cittadino, il consumatore, il genitore e riguarda l'elettore. Indurre comportamenti responsabili non è facile, è la vera sfida. Sapete che in Italia l'età media dei docenti è superiore ai 50 anni e chiunque abbia già superato quella soglia sa benissimo che le proprie abitudini sono difficilissime da modificare.
  Si parla di convertiti e dei non convertiti, ma probabilmente è più facile convertire un diciottenne aperto a tutte le possibilità che non un cinquantasettenne, che da trent'anni ripete una quotidianità; però questa è la vera sfida. Per questo dicevamo che l'innovazione didattica è al cuore delle questioni che investono la scuola e l'università. Non c'è una soluzione, non c'è una formula magica, ma bisogna lavorare moltissimo, guardando dove funziona.
  Sappiamo dove gli apprendimenti crescono; sapere dove le competenze sono messe in azione intenzionalmente, in modo positivo, è molto più difficile da rilevare. Noi abbiamo delle rilevazioni come quelle PISA (Programme for International Student Assessment), che però restringono un po’ il campo di visione. Ad esempio, misurare l'educazione allo sviluppo sostenibile – sfida che anche l'ASVIS sta cercando di seguire – è estremamente complesso; però, chiarire i termini del problema è il primo passo nella logica del problem solving, di questo tipo di soft skills: dobbiamo chiarire i termini del problema per provare ad affrontarlo.
  Come fare a indurre comportamenti, a convertire i convertiti? Come ASVIS possiamo dare una testimonianza, cioè che dal 2016 al 2019 è cambiato qualcosa di molto importante da questo punto di vista: ce lo stanno chiedendo i giovani. Questo movimento di Fridays for future, con il quale abbiamo organizzato alcuni degli eventi del festival, rivela come, in modo disordinato, senza obiettivi ben precisi, le giovani generazioni capiscono che il futuro è lì e glielo stiamo spogliando, e vogliono interventi anche da parte delle istituzioni per preservare il futuro.
  Questa è una grande novità e penso che per convertire i difficilmente convincibili, il fatto che i loro stessi studenti appartengano a una generazione un po’ diversa rispetto a quelle precedenti, possa essere un fattore molto importante.
  L'onorevole Aprea chiedeva quale rapporto abbiamo con il MIUR. Possiamo dire che nel 2017 il MIUR ha fatto una cosa che nessun altro ministero in Italia aveva fatto: un'autocritica delle proprie politiche alla luce dell'Agenda 2030. Furono quindi identificate 20 diverse azioni, dai dottorati di ricerca in materia di sviluppo sostenibile fino a cose più banali, come un'alimentazione più sostenibile anche all'interno del ministero di viale Trastevere; ci fu uno sforzo corale.
  Come ASVIS bandiamo un concorso che quest'anno ha coinvolto quattrocento scuole, che continuiamo a realizzare con il nuovo ministro e che ha avuto di recente la cerimonia di premiazione. Abbiamo rapporti stretti con la Rete delle università sostenibili (RUS), alla quale aderiscono oltre settanta atenei; però la questione della didattica non è al primo posto, cioè le università sono più attente a far sì che il loro comportamento istituzionale sia compatibile con il riciclo, mentre capire che la didattica fa parte dello stesso ragionamento è qualcosa di più complesso.
  È stata anche sollevata la questione che nelle scuole primarie forse è più facile, mentre in quelle secondarie di secondo grado ci sono più difficoltà. Questa è una regola empirica che abbiamo trovato, per cui il passaggio da trasmissione di conoscenza a costruzione di competenze trova resistenze che crescono con il grado di Pag. 11scuola. Con la scuola secondaria di primo grado, con l'arrivo delle discipline e la strutturazione dei curricula per discipline, cominciano ad esserci alcune resistenze, perché una delle cose che fa la didattica per competenze, qualunque cosa voglia dire, è scardinare questi steccati, che sono anche tempo, non solo spazio (un'ora a fare questo, un'ora a fare quell'altro). Man mano che si cresce, quando si arriva all'università, dove le aree scientifiche disciplinari sono la declinazione del potere, diventa molto difficile superare la didattica tradizionale, però la sfida è anche quella di mettere a fuoco il tema.
  Lascio la domanda dell'onorevole Casa a Francesca Bilotta, che interverrà anche su altre questioni. Moltiplicare il buon esempio, come proponeva l'onorevole Palmieri, è vero; ma ricordiamoci che la scuola italiana, per i gradi che ci interessano (primaria, secondaria di primo e secondo grado), è per il 95-97 per cento una scuola statale, e permettere che la diffusione di buone pratiche di formazione sia lasciata alla buona volontà dei singoli andrebbe affiancato da qualche riflessione più politica.
  Qualche anno fa, era legge l'obbligo di formazione, poi progressivamente è stato trasformato in obbligo di coerenza nei confronti del piano dell'offerta formativa. Noi ovviamente non ci permettiamo di dire nulla, però lasciare tutto solo al libero contagio delle buone pratiche ci sembra non del tutto corretto rispetto alla crucialità di questi temi per il futuro non solo della scuola italiana, ma dell'Italia.
  Onorevole Ciampi, convertire chi non ci crede è un tema che ritorna. C'è una cosa importante che emerge dalla ricerca e che mi permetto di porgere alla vostra attenzione: se la formazione didattica innovativa riguarda un solo soggetto o due all'interno di un collegio dei docenti connotato da una forte resistenza, al ritorno dalla formazione questa innovazione sarà rigettata; quindi la ricerca ci dice che funziona bene, come leva per l'introduzione di innovazione didattica, una formazione dei docenti che sia collegiale, quanto più condivisa.
  Questo pone problemi organizzativi non da poco, perché immaginate il dirigente scolastico che si trova senza metà del corpo docente che va a seguire il corso: è un problema organizzativo e di costi, però una delle poche indicazioni che ci deriva dalla ricerca in campo educativo è che la formazione dei docenti funziona bene ed è innovativa se assume questo carattere di collegialità all'interno del corpo docente di una singola istituzione scolastica.
  Per quanto riguarda gli studi STEM, sappiamo che l'Italia ha una debolezza anche nei confronti internazionali. È molto importante sviluppare in quella direzione promettente per gli stessi ragazzi e ragazze. Come sapete, c'è anche un problema di disuguaglianza di genere.
  Da questo punto di vista ci sono tante iniziative in corso. Segnalo che la Fondazione Agnelli sta collaborando con il CERN (Comitato Europeo per le Ricerche Nucleari) di Ginevra proprio in direzione di una diffusione della cultura scientifica nelle scuole italiane, ma di questo ci sarà occasione di parlarne più avanti.
  Passo la parola a Francesca Bilotta.

  FRANCESCA BILOTTA, coordinatore gruppo di lavoro ASVIS. Per quanto riguarda l'osservazione sugli spazi, abbiamo parlato in questa sede dell'opportunità di promuovere un nuovo modo di fare scuola, che significa considerare tante metodologie diverse e anche tante modalità di ingresso di queste metodologie nelle scuole. Le esperienze che abbiamo portato oggi non riguardano soltanto gli ambienti interni all'ambito scolastico, ma anche gli esterni: l’outdoor education è sicuramente una delle metodologie che tante scuole a livello nazionale stanno sperimentando soprattutto a livello di scuole primarie.
  La questione è che si tratta di tante buone sperimentazioni e che probabilmente manca un censimento di queste esperienze, così come, in generale, di tutte quelle buone pratiche di innovazione didattica che nel Paese si stanno piano piano sviluppando nell'ottica di favorire un cambiamento del contesto scolastico italiano.
  Quando parlavo di cura delle relazioni e di partecipazione degli studenti, mi riferivo alla necessità di investire in questo affinché gli studenti siano protagonisti della propria Pag. 12scuola. Laddove i ragazzi vengono coinvolti nelle scelte che riguardano la gestione degli spazi o nel modo di fare didattica aumenta il livello di affezione nei confronti della scuola, portando quindi alla riduzione di fenomeni come quello della dispersione scolastica. Ci sono buone pratiche, ne abbiamo registrate alcune, sarebbe fondamentale fare un censimento per poterle valorizzare ancora di più.
  A questo proposito crediamo sia fondamentale ragionare in un'ottica di rete, e l'ASVIS è una rete di tante realtà che si uniscono per un obiettivo comune. Promuovere delle reti in contesto scolastico per raggiungere obiettivi comuni, come questa grande sfida di innovare la scuola italiana, è un ambito interessante di intervento anche per ridurre quel senso di isolamento che alcune scuole del nostro Paese vivono a seguito dell'autonomia, perché in contesti più disagiati del Paese. Quindi una risposta potrebbe essere messa in rete per valorizzare tutte queste esperienze. Per quanto riguarda la questione ripresa nell'intervento dell'onorevole Palmieri sul buon esempio, strutturiamo questo buon esempio.
  In merito al riferimento alla dispersione scolastica dell'onorevole Casa, ritengo che intervenire in un contesto di dispersione scolastica significa approcciare il fenomeno a due livelli, non solo apprendimento, così come è stato fatto per tantissimi anni, ma anche motivazione. Affrontarlo in modo preventivo come fenomeno, quindi iniziare a lavorare sin dai primi anni delle scuole primarie, si diceva addirittura dall'infanzia (alcuni studi riportano l'importanza di lavorare sin dall'infanzia), lavorare in modo integrato con docenti, famiglie e studenti, riconoscendo il protagonismo di ognuno di questi attori e soprattutto la necessità di creare un'alleanza educativa tra tutti loro, ma anche con il territorio, per riprendere l'ultima domanda del Presidente Gallo.
  È fondamentale che la scuola dialoghi con il territorio, anche per riassumere il ruolo che deve avere essendo l'agenzia educativa primaria, in quanto anche laddove si trovi in situazioni di difficoltà detiene il futuro del Paese, quindi è fondamentale continuare a investire su questi assi.
  Bisogna cambiare il modo di affrontare determinati fenomeni. Invece di parlare di contrasto alla dispersione scolastica sarebbe opportuno parlare di favorire il benessere scolastico, perché laddove i ragazzi stanno bene a scuola, automaticamente diminuisce questo processo di disaffezione nei suoi confronti, processo che poi sfocia nell'abbandono.
  Se ritenete utile, potremmo inviare tutte le informazioni al riguardo, perché in collaborazione con la Fondazione Agnelli abbiamo valutato l'impatto di un modello costruito in determinate scuole del nostro Paese che ha mostrato elementi di efficacia, quindi la direzione su cui investire è sicuramente questa.

  PRESIDENTE. Ringrazio i nostri ospiti e dichiaro conclusa l'audizione. Autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna della relazione consegnata e delle slides illustrate (vedi allegati).

  La seduta termina alle 10.30.

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ALLEGATO 1

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