Sulla pubblicità dei lavori:
Ruocco Carla , Presidente ... 3
INDAGINE CONOSCITIVA SUI SISTEMI TRIBUTARI DELLE REGIONI E DEGLI ENTI TERRITORIALI NELLA PROSPETTIVA DELL'ATTUAZIONE DEL FEDERALISMO FISCALE E DELL'AUTONOMIA DIFFERENZIATA
Audizione di rappresentanti della Corte dei conti
Ruocco Carla , Presidente ... 3
Graffeo Maurizio , presidente di sezione della Corte dei conti preposto alla funzione di coordinamento della Sezione delle autonomie ... 3
Ruocco Carla , Presidente ... 3
Petronio Francesco , presidente di sezione della Corte dei conti preposto alla funzione di referto della Sezione delle autonomie ... 3
Ruocco Carla , Presidente ... 10
Ruggiero Francesca Anna (M5S) ... 10
Pagano Alessandro (LEGA) ... 11
Topo Raffaele (PD) ... 11
Ruocco Carla , Presidente ... 12
Graffeo Maurizio , presidente di sezione della Corte dei conti preposto alla funzione di coordinamento della Sezione delle autonomie ... 12
Petronio Francesco , presidente di sezione della Corte dei conti preposto alla funzione di referto della Sezione delle autonomie ... 12
Romano Massimo , consigliere della Sezione regionale di controllo Emilia-Romagna ... 13
Petronio Francesco , presidente di sezione della Corte dei conti preposto alla funzione di referto della Sezione delle autonomie ... 13
Ferone Rinieri , consigliere della Sezione delle autonomie ... 13
Topo Raffaele (PD) ... 13
Ruocco Carla , Presidente ... 13
Ferone Rinieri , consigliere della Sezione delle autonomie ... 14
Topo Raffaele (PD) ... 14
Ferone Rinieri , consigliere della Sezione delle autonomie ... 15
Pagano Alessandro (LEGA) ... 15
Petronio Francesco , presidente di sezione della Corte dei conti preposto alla funzione di referto della Sezione delle autonomie ... 15
Ruocco Carla , Presidente ... 15
ALLEGATO: Documentazione depositata dai rappresentanti della Corte dei conti ... 16
Sigle dei gruppi parlamentari:
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Lega - Salvini Premier: Lega;
Forza Italia - Berlusconi Presidente: FI;
Partito Democratico: PD;
Fratelli d'Italia: FdI;
Italia Viva: IV;
Liberi e Uguali: LeU;
Misto: Misto;
Misto-Cambiamo!-10 Volte Meglio: Misto-C10VM;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Noi con l'Italia-USEI: Misto-NcI-USEI;
Misto-Centro Democratico-Radicali Italiani-+Europa: Misto-CD-RI-+E;
Misto-MAIE - Movimento Associativo Italiani all'Estero: Misto-MAIE.
PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE
CARLA RUOCCO
La seduta comincia alle 15.10.
Sulla pubblicità dei lavori.
PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna, ove non vi siano obiezioni, sarà assicurata anche attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.
Audizione di rappresentanti della Corte dei conti
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione di rappresentanti della Corte dei conti, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sui sistemi tributari delle regioni e degli enti territoriali, nella prospettiva dell'attuazione del federalismo fiscale e dell'autonomia differenziata.
Sono presenti il dottor Maurizio Graffeo, accompagnato dal dottor Francesco Petronio, dal dottor Massimo Romano, dal dottor Alfredo Grasselli, dal dottor Rinieri Ferone, dal dottor Francesco Uccello, dalla dottoressa Grazia Marzella e dal dottor Andrea Petrella, che saluto e ai quali do il benvenuto a nome di tutta la Commissione.
Cedo la parola al presidente di sezione Maurizio Graffeo, al quale chiederei di limitare il proprio intervento, se possibile, a una ventina di minuti al massimo, al fine poi di dare spazio al successivo dibattito.
MAURIZIO GRAFFEO, presidente di sezione della Corte dei conti preposto alla funzione di coordinamento della Sezione delle autonomie. Porgo i saluti alla Commissione da parte del presidente Buscema e concludo, perché ora vorrei cedere la parola, se lei consente, al collega Petronio, perché sono vari gli argomenti, quindi vorremmo essere preparati.
PRESIDENTE. Benissimo. Grazie.
FRANCESCO PETRONIO, presidente di sezione della Corte dei conti preposto alla funzione di referto della Sezione delle autonomie. L'audizione riguarda il tema dei sistemi tributari delle regioni e degli enti locali nella prospettiva dell'attuazione del federalismo fiscale e dell'autonomia differenziata. Non è un tema nuovo per la Corte dei conti, che è stata chiamata più volte in audizione presso le Commissioni parlamentari per esprimere considerazioni sul processo di attuazione dei princìpi posti dalla legge delega n. 42 del 2009, con riferimento al modello di finanziamento e al sistema perequativo degli enti di autonomia territoriale. In tale ambito, la Corte ha sempre dimostrato il proprio interesse verso processi evolutivi finalizzati a un più efficiente impiego delle risorse e a una razionalizzazione delle fonti di prelievo, per migliorare l'impatto delle gestioni pubbliche sulle comunità amministrate.
In linea di principio, il processo autonomistico persegue il raggiungimento di una migliore efficienza del sistema fiscale, attraverso la ricerca di una più calibrata rispondenza tra i bisogni dei cittadini e le decisioni politiche, differenziando l'offerta di beni e servizi in base alle effettive esigenze e caratteristiche dei territori.
Le risorse rivenienti dall'autonomia di entrata degli enti dovrebbero costituire, quindi, la principale forma di finanziamento. L'autonomia impositiva è essenziale Pag. 4per ottimizzare l'utilizzo dei cespiti fiscali disponibili e recuperare le basi imponibili con relativo incremento del gettito.
Nell'attuazione del disegno federalista, il ruolo del legislatore nazionale è stato tuttavia caratterizzato da ripensamenti, spesso determinati dall'insorgenza di emergenze economico-finanziarie e dalla necessità di consolidamento dei conti pubblici. Nel percorso prefigurato dalla legge delega n. 42 del 2009 si sono verificati, infatti, ritardi in ordine all'attuazione di punti cardine del disegno riformatore. Il sistema di finanziamento delle regioni non ha ancora assunto un assetto stabile e la trasformazione in entrate proprie dei trasferimenti dello Stato non è stata completata.
Il sistema perequativo, basato sui fabbisogni standard e sulla capacità fiscale, non è stato completato e una parte delle misure volte a rafforzare l'autonomia impositiva delle regioni è rimasta inattuata.
Anche il sistema tributario dei comuni non ha registrato, sul piano dell'attuazione della riforma del federalismo fiscale, significativi ampliamenti dei margini di autonomia riconosciuti, né ha segnato sostanziali progressi sotto il profilo della semplificazione e della trasparenza del sistema tributario complessivo.
Per converso, la concessione ai comuni di più ampi margini di manovra sul piano fiscale, ha favorito l'emergere, specie in materia di imposizione immobiliare, di una congerie di regimi differenziati per aliquota, sistemi agevolativi e detrazioni. Inoltre, gli strumenti di coordinamento fra prelievo centrale e locale non hanno evitato che si producesse, nel tempo, un aumento della pressione fiscale complessiva.
Nel sistema di finanziamento degli enti locali – caratterizzato, da un lato, dall'ampliamento delle risorse proprie e, dall'altro, da una scarsa manovrabilità della leva fiscale – assume particolare rilievo l'efficientamento dello strumento perequativo, soprattutto per i comuni sottodotati rispetto alle capacità fiscali.
In tale prospettiva, il sistema di finanziamento degli enti territoriali dovrebbe anzitutto tendere a un'effettiva corrispondenza tra gli oneri derivanti dall'esercizio delle funzioni e le risorse disponibili in termini di potestà impositiva e di devoluzione di gettiti erariali, assicurando anche il rispetto dell'obbligo di copertura della spesa ai sensi del nuovo testo degli articoli 81, sesto comma, e 119 della Costituzione.
In ambito regionale, i principi affermati dalla legge delega sono stati declinati dal decreto legislativo n. 68 del 2011 all'interno di un vincolo economico di finanziamento predeterminato che riguarda il sistema sanitario. Tale sistema esprime un criterio di riparto basato sul costo di erogazione dei livelli essenziali di assistenza in condizioni di efficienza, efficacia e appropriatezza, utilizzando la media pro capite pesata del costo registrato dalle regioni benchmark.
Invece, nelle materie diverse dalla sanità – questo è un po' il tema centrale – l'attuazione del federalismo regionale è stata rinviata al 2021 ed entro quella data dovrebbero essere stabiliti i parametri sulla base dei quali interrompere il finanziamento fondato sul criterio della spesa storica, stabilizzare il fabbisogno delle principali funzioni regionali e incentivare la partecipazione e lo sforzo fiscale di ciascuna regione, collegando la responsabilità di spesa alla responsabilità del prelievo.
Per completare la riforma del Fondo perequativo regionale è necessario attuare un meccanismo di riparto della quota di compartecipazione al gettito IVA che superi il criterio di calcolo basato sulla spesa storica, per dare applicazione a nuovi parametri obiettivi riferiti alla popolazione residente, alla capacità fiscale e alla dimensione geografica regionale.
Per orientare la corretta attuazione del principio di capacità contributiva, il progetto di riforma avviato dalla legge delega aveva previsto un modello di coordinamento del sistema tributario che avrebbe dovuto accompagnare il percorso di convergenza dalla spesa storica al fabbisogno, determinato secondo i costi standard.
La mancata individuazione dei trasferimenti da fiscalizzare, dei livelli essenziali delle prestazioni, e quindi dei costi standard, ha mantenuto inalterata la disomogeneità territoriale delle fonti di finanziamentoPag. 5 individuate per sostituire la complessa rete di trasferimenti erariali.
Nell'attuale sistema di gestione tributaria residuano alle regioni stretti margini di manovra. Inoltre, lo sviluppo dei mezzi di contrasto all'evasione, elusione ed erosione dei tributi regionali non ha assicurato un ampio recupero di basi imponibili. In proposito si evidenzia che il decreto-legge n. 1 del 2012 ha soppresso il principio attuativo in base al quale le regioni concordano con il Ministro dell'economia e delle finanze l'atto di indirizzo per il conseguimento di obiettivi di politica fiscale e la definizione delle linee generali e delle altre condizioni per lo sviluppo della gestione dei tributi regionali.
In questo quadro si rileva anche come le elaborazioni di stime analitiche dei livelli regionali del tax gap contribuirebbero a dare maggiore impulso alle azioni delle regioni finalizzate al miglioramento del rispetto della normativa fiscale e potrebbero garantire maggior chiarezza sul tema dell'evasione e sull'efficienza degli attuali sistemi di riscossione.
L'incompiuta attuazione della riforma non ha consentito un adeguato incremento del livello di autonomia impositiva, che per le regioni viene esercitata sul 37,6 per cento delle risorse tributarie; di queste, solo il 6 per cento offre un'ampia libertà di manovra. Si tratta dei cosiddetti tributi propri autonomi, poiché l'IRAP e l'addizionale IRPEF offrono spazi di autonomia limitati alla definizione di aliquote, circoscritte in un range prestabilito.
L'autonomia impositiva delle regioni a statuto ordinario, infatti, nel 2018 non è andata oltre il 32 per cento delle entrate correnti accertate, così come l'autonomia finanziaria non si discosta molto da quel livello e si attesta al 36 per cento.
Il blocco della leva fiscale, attivato dapprima con la legge finanziaria per il 2003 (legge n. 289 del 2002), ha sospeso il potere delle regioni di deliberare aumenti di aliquote dell'addizionale IRPEF e dell'IRAP, esteso poi a ogni tributo e addizionale. Tali limitazioni, confermate fino al 2011, si sono tradotte, tra il 2012 e il 2018, in una contrazione della base imponibile IRAP, conseguente agli interventi statali volti a ridurre il cosiddetto cuneo fiscale sull'impiego del lavoro e in un nuovo blocco della manovrabilità delle aliquote dei tributi derivati e delle addizionali, previsto dapprima solo per il 2016, ma poi prorogato fino al 2018.
Di rilievo è anche il decreto-legge n. 138 del 2011, che ha previsto che tutte le maggiori entrate regionali, anche di natura tributaria, dipendenti dalle disposizioni per la stabilizzazione finanziaria, introdotte con il medesimo decreto al fine di realizzare un maggior gettito, siano devolute all'erario per un periodo di cinque anni, per essere destinate alle esigenze prioritarie di raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica concordati in sede europea.
Tuttavia, pur a fronte di una ridotta autonomia impositiva, la capacità media di riscossione dei tributi regionali risulta, nel complesso, alquanto elevata, dato il considerevole peso che hanno i meccanismi di anticipazione di tesoreria previsti per i tributi devoluti e per le altre fonti di finanziamento del Servizio sanitario nazionale. Le compartecipazioni, infatti, benché non costituiscano fondamento di autonomia impositiva, ma semplicemente entrate devolute, per le quali non vi è possibilità di variazione di aliquota, assicurano alle regioni un gettito sicuro e ben programmabile, grazie ai predetti meccanismi di anticipazione.
In quest'ambito, la compartecipazione che registra il più elevato tasso di realizzazione è quella relativa al Fondo nazionale per il concorso agli oneri del trasporto pubblico locale, che viene interamente riscossa nell'esercizio. Tale Fondo, tuttavia, non può considerarsi del tutto coerente con gli obiettivi della riforma, in quanto rappresenta sempre un intervento di finanza derivata, non collegato al rafforzamento dell'autonomia.
Le compartecipazioni ripartire con il criterio geografico, assegnate in base al gettito prodotto nel territorio, tenuto conto del nesso esistente fra gettito locale e somme assegnate, possono essere considerate come entrate tributarie. Invece, le compartecipazioni distribuite secondo criteri perequativi,Pag. 6 ossia in base alla capacità fiscale e al fabbisogno di spesa – per le quali la quota percepita da ogni regione non corrisponde a quella teoricamente spettante in considerazione del gettito prodotto sul territorio – andrebbero considerate piuttosto come trasferimenti. Tale aspetto costituisce un elemento distorsivo per le analisi sulle evoluzioni delle entrate regionali, attraverso la ricostruzione di un quadro rappresentativo omogeneo dei dati di bilancio.
Ulteriore effetto distonico di particolare rilievo è dato dallo sbilanciamento dei movimenti nelle contabilità speciali per anticipazioni e rimborsi dei finanziamenti per la sanità, i quali sono suscettibili di alterare la consistenza effettiva delle entrate tributarie riscosse nell'anno, a causa dei ritardi nella ripartizione definitiva delle risorse destinate ai Servizi sanitari regionali. In sostanza, poiché noi traiamo i dati dai rendiconti degli enti, alcuni movimenti di regolazione che avvengono dopo l'esercizio, possono alterare gli esiti che andiamo a esporre. Tale prassi applicativa, che comporta la tardiva imputazione ai capitoli di entrata del Titolo I delle risorse, oltre a riflettersi negativamente sulla capacità delle regioni di effettuare un'adeguata programmazione, altera la rappresentazione del gettito tributario delle diverse regioni a statuto ordinario.
Sulla base di detta riclassificazione, la serie storica del gettito tributario regionale dell'ultimo decennio evidenzia una sostanziale tenuta del prelievo fiscale, benché il livello complessivo medio degli incassi registri una moderata flessione nel quinquennio.
Anche i rapporti di composizione delle principali fonti di finanziamento delle regioni a statuto ordinario non mostrano, nel periodo, significative variazioni di incidenza, ad eccezione di una più ridotta autonomia impositiva.
L'elevata capacità di riscossione delle entrate devolute si affianca a quella di una parte dei tributi propri, come l'addizionale IRPEF che finanzia la sanità regionale, o l'addizionale regionale sul gas naturale. A livelli poco inferiori si attesta, invece, la capacità di riscossione dell'IRAP per la quota non sanitaria, mentre l'IRAP sanitaria registra un più ridotto livello di realizzazione nell'esercizio, questo anche per via delle compensazioni.
Alla luce dei dati illustrati, è da ritenere che la presenza di un più consistente livello di tributi propri potrebbe conferire agli enti decentrati una maggiore autonomia e responsabilità nell'attuazione delle scelte. Ciò in quanto le imposte locali rendono più immediata la percezione del costo dei servizi da parte dei cittadini, sicché gli amministratori sono incentivati ad agire sia dal lato del prelievo sia da quello della spesa, con metodi più efficienti, che valgano a minimizzare gli sprechi e a conseguire maggiori risultati in termini di soddisfazione dei bisogni dei cittadini.
Passiamo ora all'esame della fiscalità comunale. Ci siamo concentrati sui comuni, rispetto al complesso degli enti locali, per vari motivi, ma essenzialmente perché la finanzia provinciale sta attraversando un momento di sistemazione, mentre l'assetto fiscale comunale ci dà esiti più stabili e meglio osservabili.
Con riguardo all'assetto dei rapporti finanziari tra lo Stato e gli enti locali, le linee fondamentali tracciate dalla legge delega hanno definito il quadro dei principi per il passaggio da un sistema di finanza derivata a una fiscalità comunale autonoma. L'adozione del decreto legislativo n. 23 del 2011 rappresenta la prima tappa del cammino verso il federalismo municipale.
Il sistema di fiscalità comunale si fonda su basi più solide rispetto a quello delle regioni, in quanto, sin dal 1992, si è assistito a un ripristino della leva fiscale autonoma, con l'introduzione dell'imposta immobiliare, pilastro fondante dell'autonomia impositiva comunale. Tuttavia, le nuove fonti di entrata derivanti dalla fiscalizzazione dei trasferimenti statali, che si sono affiancate alle tradizionali entrate comunali, non sono state assegnate direttamente agli enti, ma in una prima fase sono confluite nel Fondo sperimentale di riequilibrio.
Con la legge di stabilità per il 2013, in luogo del Fondo sperimentale di riequilibrio, è stato istituito il Fondo di solidarietà comunale, le cui risorse devono essere ripartitePag. 7 tenendo conto sia dei costi e dei fabbisogni standard (criterio perequativo), sia delle variazioni delle risorse determinate dal nuovo Fondo di solidarietà (criterio compensativo).
In occasione del primo riparto del Fondo e dell'attribuzione del gettito dell'IMU ai comuni, si è ricomposto il quadro delle risorse comunali, con l'eliminazione della compartecipazione IVA e delle risorse rivenienti dalla fiscalità immobiliare.
Una prima parziale ripartizione del Fondo di solidarietà comunale secondo i fabbisogni e le capacità fiscali standard è avvenuta nel 2015, per una quota che corrisponde al 20 per cento e si tratta di una quota che dovrebbe consolidarsi attraverso un'entrata a regime progressiva, fino al raggiungimento del tetto del 55 per cento nel 2018. Tuttavia, il percorso prefigurato ha subito, in seguito, un rallentamento.
Il progressivo consolidamento dei criteri di riparto sulla base dei fabbisogni e delle capacità fiscali standard sarebbe dovuto andare a regime entro il 2021, stando alle previsioni della legge di bilancio per il 2017, che ha disposto la ripartizione dell'intero Fondo secondo i nuovi criteri perequativi. Tuttavia, il recente decreto-legge fiscale n. 124 del 2019 – ad oggi in corso di conversione – ha previsto, invece, un notevole differimento del termine per la completa attuazione del sistema perequativo, prorogato fino al 2030.
Nell'impostazione originale del decreto legislativo n. 23 del 2011 era prevista l'assegnazione pressoché in via esclusiva di tutta la materia imponibile immobiliare ai comuni; mentre nel successivo percorso, la leva fiscale autonoma si è focalizzata sul versante patrimoniale.
Passando in rassegna i dati di bilancio dei comuni nel biennio 2017-2018, notiamo un lieve incremento delle risorse disponibili – cioè delle entrate correnti accertate – del 2 per cento, che comunque è superiore al tasso di inflazione riscontrato nello stesso periodo.
Il dato delle riscossioni rispetto al dato di competenza, invece, si attesta a livelli più bassi e c'è un gap di circa 13 miliardi l'anno di entrate accertate ma non riscosse nello stesso anno.
Con riferimento alla capacità degli enti di provvedere con risorse proprie al finanziamento delle funzioni locali di competenza, rileva l'indice di autonomia finanziaria, che sarebbe il complesso delle entrate autonome, quindi, oltre alle entrate di carattere tributario, anche le entrate extratributarie, ovvero entrate da patrimonio e da servizi; in questo caso l'indice si eleva al 75 per cento del complesso delle entrate correnti. Un minor grado di autonomia, invece, si nota nei comuni più piccoli – sotto i 5.000 abitanti – che raggiungono valori anche di dieci punti più bassi rispetto a questa media, mentre le punte più elevate di autonomia finanziaria si registrano negli enti di medie dimensioni.
L'indice di autonomia impositiva – entrate tributarie in rapporto a entrare correnti – raggiunge il 53 per cento, quindi le entrate tributarie autonome sono di poco superiori alla metà del complesso di entrate correnti. Questo indice è molto più basso nei comuni delle regioni a statuto speciale, in relazione a un sistema di finanziamento delle funzioni locali che è informato a logiche e criteri diversi.
L'osservazione dei dati relativi alla capacità di riscossione delle entrate di natura tributaria evidenzia, anche qui, andamenti ancora lontani dagli obiettivi di autonomia, rimanendo attestata attorno al 60 per cento delle entrate accertate.
I comuni di alcune regioni, nelle quali il livello dell'indicatore di autonomia impositiva è al di sotto della media nazionale, registrano anche valori ridotti di riscossione; ciò induce a ritenere che la ridotta capacità di generare entrate tributarie sul territorio si possa anche tradurre, in assenza di un sistema perequativo adeguato, in una carenza dei servizi ai cittadini. Tale situazione si nota, in particolare, nei comuni della Calabria.
Si osserva poi che, nel nuovo sistema di contabilità armonizzata, a una bassa capacità di riscossione consegue un significativo obbligo di accantonamento al Fondo crediti di dubbia esigibilità, il quale, a sua volta, comprime ulteriormente la capacità di spesa, Pag. 8perché si tratta di accantonamenti obbligatori di risorse che non possono essere spese in corso d'esercizio. In ogni caso, tali effetti distorsivi possono ritenersi solo in parte compensati dall'intervento degli strumenti di perequazione, il cui scopo si limita alla mera correzione degli effetti della distribuzione non omogenea delle basi imponibili e dei bisogni di spesa tra gli enti territoriali.
La perequazione operata nell'ambito del Fondo di solidarietà comunale persegue lo scopo di garantire, su tutto il territorio nazionale, l'accesso a un medesimo livello di servizi pubblici a parità di sforzo fiscale. Il Fondo viene alimentato con una quota di gettito IMU di competenza comunale ad aliquota standard. Il sistema di compensazione orizzontale ci dà modo di osservare i flussi redistributivi tra i comuni: quindi esistono enti che beneficiano, ossia hanno un saldo netto positivo, enti che cedono ed enti che si trovano in una sostanziale situazione di stabilità.
I beneficiari del riparto orizzontale si concentrano tra i comuni di minori dimensioni e gli enti con popolazione compresa tra 60.000 e 100.000 abitanti. Invece, contribuiscono al Fondo in misura superiore a quel che ricevono gli enti con popolazione oltre i 250.000 abitanti.
Il percorso previsto per il raggiungimento del target perequativo – come detto in precedenza – è graduale e di recente è stato fissato al 50 per cento, salvo poi quella diluizione ulteriore che abbiamo visto nel recente decreto-legge fiscale.
Può ritenersi, quindi, che l'attuale Fondo di solidarietà comunale non sia idoneo a garantire la perequazione integrale dei fabbisogni standard dei comuni e ciò per due ragioni principali. In primo luogo, per la mancanza della componente verticale, atteso che il totale delle risorse da sottoporre alla perequazione è limitato alle capacità fiscali comunali mancando, invece, l'intervento erariale e quindi nel confronto tra il dato del Fondo e il totale dei fabbisogni c'è un gap di oltre 35 milioni che dovrebbe, eventualmente, trovare copertura in un intervento verticale dello Stato. Mentre il totale delle risorse del Fondo è destinato per l'80 per cento a colmare lo squilibrio tra i fabbisogni standard relativi alle funzioni fondamentali e le capacità fiscali, residua il 20 per cento per il riequilibrio delle funzioni non fondamentali, in base alle sole capacità fiscali.
A riprova del fatto che le capacità fiscali assumono un ruolo centrale nel meccanismo perequativo, vi è la circostanza che è proprio il totale delle capacità fiscali a definire l'entità di risorse che determina i delta perequativi, confinando i fabbisogni standard entro questo perimetro.
L'attuale soluzione di calcolo dei fabbisogni sulle diverse funzioni fondamentali rappresenta, tuttavia, un punto di equilibrio fra le due contrapposte esigenze di efficienza e di equità: a parità di entrate standard, vengono sostenuti gli enti che offrono maggiori servizi; allo stesso tempo, a parità di fabbisogni standard, si assegnano maggiori risorse agli enti meno dotati di entrate proprie. Si tratta di scelte condizionate, oltre che dalla scarsità delle risorse, dall'assenza di una definizione di quantità assolute di fabbisogno o di livello di servizio da assicurare. Infatti, l'assenza dei livelli essenziali delle prestazioni ha fatto sì che l'impianto redistributivo del Fondo di solidarietà comunale sia stato realizzato impiegando i valori storici di erogazione dei servizi, con la conseguenza che, riproducendo sul versante dei fabbisogni i livelli della spesa storica, viene riconosciuto di più a chi fa di più.
L'insieme di queste condizioni crea una situazione sperequata a svantaggio delle zone più deboli del Paese, che deve essere corretta attraverso un più efficiente impiego del sistema perequativo, i cui meccanismi sono ancora principalmente basati sulla spesa storica, che costituisce anch'essa un fattore di distorsione, in quanto premia la capacità di erogazione della spesa, ma non contribuisce a realizzare condizioni di equità.
Per la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni – LEP è necessario individuare il costo unitario per garantire una determinata prestazione, riferita almeno ad alcune funzioni o servizi fondamentali. Si tratterebbe quindi di quantificarePag. 9 i LEP e calcolare la spesa necessaria per dotare di questi servizi i comuni che ne sono privi.
Nel quadro delle esposte problematicità, l'esercizio 2018 potrebbe essere considerato come una linea di confine lungo la strada di un recupero di autonomia finanziaria e gestionale degli enti locali, in quanto dal 2019 è stata ripristinata la facoltà di attivazione della leva fiscale, viene a consolidarsi l'assegnazione delle risorse, si attenuano i vincoli alla spesa corrente e vengono rimossi i limiti all'utilizzo di risorse rivenienti da esercizi pregressi.
L'insieme di queste misure mette le basi per restituire ampiezza alla programmazione finanziaria e alla possibilità di definire obiettivi sia di sviluppo economico e sia di migliore assetto dei servizi, nonché di un recupero di spazi per il sostegno al welfare, che, in misura rilevante, è affidata alle politiche più vicine al territorio.
Il disegno di legge di bilancio per l'anno 2020, all'esame del Parlamento, prevede altresì misure che tendono a migliorare la riscossione e a dare impulso all'applicazione della revisione delle rendite catastali. Restano comunque irrisolti i nodi relativi al sistema di perequazione, che ha trovato ostacoli nella difficoltà della misurazione dei fattori di efficienza nell'erogazione dei servizi.
Passando alle considerazioni conclusive, appare evidente che, nel quadro di incertezza che contraddistingue il sistema di finanziamento delle autonomie, il percorso prefigurato dalla legge delega debba ancora recuperare i ritardi accumulati, tenuto conto, in particolare, dell'accelerazione che è stata impressa dall'iniziativa di alcune regioni, volta alla richiesta di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, come previsto dall'articolo 116, terzo comma, della Costituzione.
Dalla soluzione dei molteplici nodi rimasti ancora da sciogliere dipende il buon esito della riforma e l'attivazione di quel circuito virtuoso di controllo democratico e di recupero di efficienza che è alla base di ogni strategia di responsabilizzazione degli enti territoriali sul fronte del prelievo fiscale e della spesa.
Temi come il rafforzamento dell'autonomia impositiva, lo sviluppo del ruolo di coordinamento della finanza territoriale, la fiscalizzazione dei trasferimenti statali, il superamento della spesa storica, costituiscono ancora oggi il principale terreno di confronto su cui occorre misurarsi per dare attuazione al disegno di decentramento finanziario prefigurato dalle disposizioni della Costituzione.
Inoltre si pongono una serie di aspetti problematici, spesso riconducibili alla riforma costituzionale del 2001, che ha accentuato le difficoltà di dare attuazione al processo di ridefinizione dei rapporti tra Stato e autonomie; primo fra questi, la difficoltà di interpretare in modo univoco l'elencazione delle materie contenuta nell'articolo 117 della Costituzione, cui hanno fatto seguito il problema degli squilibri territoriali, la gestione del debito pubblico, la necessità di controllare la pressione fiscale nel suo complesso e il rispetto dei vincoli in materia di coordinamento della finanza pubblica.
A un disegno complessivo rivolto allo sviluppo delle autonomie, che parte dalla riforma costituzionale del 2001, mediante l'effettivo sostegno di mezzi finanziari propri, ha fatto riscontro un processo attuativo spesso connotato da ripensamenti, cui ha contribuito anche un assetto istituzionale che non si è dimostrato funzionale alla migliore definizione degli ambiti di operatività e delle funzioni assegnate ad ogni livello di governo.
Mentre gli aspetti connessi alla ripartizione delle funzioni hanno avuto immediata operatività, il fronte del nuovo sistema di finanziamento si è dimostrato molto più complesso, rimanendo tuttora ancorato a un modello che è parzialmente di finanza derivata. Quindi si nota una asimmetria tra il livello di spesa assegnato alle autonomie e la quota di finanziamento autonomo delle stesse, che si attesta a livelli inferiori.
Sul piano organizzativo restano aperte numerose problematiche operative, fra cui assumono particolare rilievo gli strumenti di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, la strutturazione dei Pag. 10centri di servizio regionali per la gestione organica dei tributi, l'individuazione di possibili modelli perequativi infraregionali e la messa a punto di soluzioni tecniche per la condivisione di basi informative.
Occorrerebbe, inoltre, individuare più stringenti meccanismi di monitoraggio che, pur nel rispetto dell'autonomia degli enti territoriali, siano in grado di stimolare la responsabilizzazione degli amministratori e una maggiore consapevolezza delle criticità della gestione.
Un cenno va fatto anche al Patto di convergenza, uno strumento di programmazione dei saldi finanziari e dei livelli di ricorso al debito, che intendeva realizzare l'obiettivo della convergenza dei costi e fabbisogni standard dei vari livelli territoriali di governo, in un percorso dinamico e concertato di riequilibrio economico-patrimoniale. Esso avrebbe altresì consentito di assicurare i livelli essenziali delle prestazioni e le funzioni fondamentali, di cui all'articolo 117 della Costituzione, attraverso l'attivazione di un sistema di monitoraggio in grado di rilevare gli enti che si discostano maggiormente dagli obiettivi loro assegnati, con la conseguente adozione, previa intesa in Conferenza unificata, di un piano per il conseguimento degli obiettivi di convergenza.
La parziale realizzazione del disegno di decentramento finanziario garantisce, infatti, ridotti livelli di autonomia di entrata, fondati su basi imponibili, manovrabili solo in parte, e maggiormente su compartecipazioni.
Quindi il superamento della finanza derivata e l'attribuzione di una maggiore autonomia di entrata e di spesa dovrebbe trovare soluzione in un'azione correttiva rispetto ai due principali fattori di distorsione: l'esistenza di forti squilibri a livello territoriale e la ridotta responsabilizzazione degli enti. A ciò si aggiunga che gli spazi di autonomia concessi al legislatore regionale devono trovare un coordinamento nell'ambito del perimetro impositivo oggi occupato dal fisco statale, nella ricerca di un equilibrio rispettoso del principio di capacità contributiva.
Un sistema perequativo tuttora ancorato a meccanismi che premiano la capacità di erogazione della spesa, avvicinando i fabbisogni ai livelli di spesa storica, non contribuisce a stabilire effettive condizioni di efficienza e di equità.
Si ribadiscono, da ultimo, le considerazioni espresse nella recente audizione del 17 luglio in tema di autonomia differenziata, dinanzi ad altra Commissione parlamentare, nella quale si sottolineava come sia difficile presidiare i profondi e complessi cambiamenti nascenti dal processo autonomistico, senza che ne siano definite le basi di funzionamento, essenziali per una riforma che mira a incidere sulla complessiva funzionalità del sistema e che non può andare disgiunta da una rappresentazione chiara e trasparente degli esiti della gestione, affinché gli amministratori locali siano effettivamente responsabilizzati nei confronti dei rispettivi corpi elettorali. Quindi si insiste ancora sull'adozione di sistemi di monitoraggio e di rendicontazione per preservare non solo gli equilibri e la sostenibilità della finanza pubblica, ma anche i principi di leale collaborazione e unitarietà del sistema finanziario.
PRESIDENTE. Grazie.
Do la parola ai colleghi che desiderano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.
FRANCESCA ANNA RUGGIERO. Vi ringrazio per essere qui oggi. Ricordo benissimo l'audizione svolta presso la Commissione bicamerale per l'attuazione del federalismo fiscale, in quanto sono capogruppo del MoVimento 5 Stelle in quella Commissione.
Le domande che vorrei porvi sono molto semplici. Il quadro che avete illustrato oggi lo conosciamo benissimo da anni: i ritardi e le mancanze nell'assetto, tanto che molto spesso siete intervenuti voi, proprio per mettere ordine e ristabilire un po' di equilibrio. Ricordo benissimo una sentenza della Corte dei conti che annullò un trasferimento tra società di riscossione nel mio comune, che ha portato poi il comune ad avere un buco non piccolo nel bilancio. È Pag. 11ancora un processo aperto e quindi poi vedremo come andrà a finire.
Proprio per questo la domanda è: visto il cammino delle autonomie, quando si pensa alla spesa da destinare alle regioni che chiedono le autonomie, non sarebbe il caso, invece di considerare il rendiconto generale dello Stato – e quindi le risorse dello Stato – prendere in considerazione i conti pubblici territoriali, cioè la somma tra le entrate dello Stato, delle regioni, dei comuni, delle società partecipate e di tutto quello che gravita attorno a una regione e a un comune? Prima, per esempio, leggevo nella sua relazione il tema dei rifiuti: è ovvio che una regione potrebbe avere un servizio efficientissimo, spendendo però magari dieci volte di più rispetto a un'altra che ha meno capacità fiscale e quindi non si può permettere di gestire il servizio in quel modo. Ecco perché mi auguro davvero che siano definiti i LEP, rispettando la Costituzione, in modo tale che ci si ponga anche l'obiettivo da raggiungere, con il vostro aiuto però. Quindi vorrei che la Corte dei conti dica quale dovrebbe essere lo strumento migliore o, comunque quello da privilegiare, e i costi, un minimo e un massimo, che si potrebbero avere.
Un'altra domanda. Visto che dovremmo pensare il sistema come sommatoria di conti, quindi tra conti di Stato, regioni, comuni o anche di enti pubblici, come università e aziende sanitarie, se sia il caso di permettere la compensazione di crediti e debiti fiscali tra pubbliche amministrazioni. Quindi il cittadino che ha un credito fiscale con lo Stato e deve pagare dei tributi comunali o regionali, può utilizzare lo stesso credito spostandolo, quindi magari avere un aumento di tributi pagabili in F24 delle diverse pubbliche amministrazioni, per fare in modo che l'attività di vigilanza sia sempre in capo allo Stato, in modo tale che possa attuare poi l'articolo 120 della Costituzione, però che al tempo stesso ci sia questa compensazione sul territorio.
ALESSANDRO PAGANO. Io vorrei fare quattro domande secche, sintetiche. Vorrei capire la Corte, in questa relazione che ho apprezzato, cosa mi sa dire su questi argomenti: Fondo di perequazione orizzontale e verticale, perché avete parlato di quello verticale e accennato a quello orizzontale, ma ci sono problemi seri tra province e province. Io sono di Caltanissetta e rispetto a Palermo c'è già un abisso e non è soltanto una fotografia siciliana, è una fotografia italiana, vale anche per il Nord.
Per la perequazione infrastrutturale: noi siamo passati dallo 0,85 per cento di trent'anni fa allo 0,15 per cento di adesso, significa che rispetto al nostro prodotto interno lordo vengono spesi in infrastrutture in questo momento nell'Italia del Sud – che comprende sette regioni, dalla Campania alla Sicilia, Sardegna compresa – 530 milioni di euro, cioè zero, nulla. Tra l'altro, ci sono tre fra le regioni più popolose d'Italia: Campania, Puglia e Sicilia. Quindi abbiamo deciso di azzerare il Sud e la Corte – lo dico con umiltà – non mi pare che abbia dato grande enfasi a questo argomento. Chiaramente invece a noi interessa che la Corte svolga la funzione delle «oche del Campidoglio», cioè che dica le cose in maniera tale da poterci avvisare.
Per quanto riguarda la funzione consultiva della Corte dei conti nei confronti degli enti locali, secondo me, abbiamo bisogno di una grandissima e importante funzione di consulenza, quasi da advisor, verso questi poveri amministratori locali, questi sindaci, che rischiano la galera tutti i giorni e che quindi hanno bisogno anche di una funzione consultiva. Cosa ne pensate su questo argomento?
Infine dal 2021 finisce la spesa storica, intanto il danno storico è stato fatto, sono 61 miliardi che mancano al Sud. Io ho una mia idea; mi piacerebbe sapere cosa potrebbe suggerire la Corte dei conti per accorciare questo divario. Naturalmente mi rendo conto che quest'ultima domanda è più da convegno, però confido nella sinteticità.
RAFFAELE TOPO. Dalla relazione si evince in modo plastico che il tema vero è l'attuazione della riforma costituzionale. Introduciamo il tema del regionalismo differenziato, ma alle spalle abbiamo un tempo di assoluto blocco parlamentare sull'attuazione della riforma e, dunque, la difficoltà di passare dal criterio della spesa storica a Pag. 12quello che sostanzialmente riflette il fabbisogno.
Alla luce anche di quello che sta accadendo, dunque della difficoltà di passare in tempi rapidi alla definizione dei livelli essenziali delle prestazioni, quindi di superare il tema della spesa storica, c'è nella legge di stabilità un tentativo di superamento, per esempio per alcuni servizi. Mi riferisco in modo esplicito al tema degli asili nido che, in qualche maniera, il Governo prova a correggere rispetto alla spesa precedente. La domanda è: è una modalità transitoria in qualche modo utilizzabile? E per quali servizi? Vorrei sapere cosa pensate, visto che c'è una storia ormai decennale, nella quale non siamo riusciti a fare passi avanti. Ritenete che questa modalità può essere suggerita per i servizi di maggiore interesse, nel mentre si attua la riforma costituzionale?
Abbiamo visto un po' di dati e abbiamo anche visto che in questi anni la spesa del personale delle regioni è scesa, come anche quella del sistema dei comuni; è sceso l'indebitamento delle regioni e si è ridotta la spesa per acquisto di beni e servizi, mentre lo Stato, in realtà, su questi tre versanti ha una spesa che invece è cresciuta in questo decennio. Questo trend positivo si riflette in modo equilibrato tra le regioni? Nelle regioni del Sud e nelle regioni del Nord, la spesa per acquisto di beni e servizi si riduce in modo uguale? C'è un equilibrio anche in questo, o invece, anche sotto questo profilo, ci sono ancora delle differenze? Nel senso che le performance da una parte indeboliscono, mentre da qualche altra parte rendono il sistema più efficiente, mettiamola così.
PRESIDENTE. Non ci sono altre domande. Cedo quindi la parola ai rappresentanti della Corte dei conti per la replica.
MAURIZIO GRAFFEO, presidente di sezione della Corte dei conti preposto alla funzione di coordinamento della Sezione delle autonomie. L'onorevole Pagano ha posto due problemi. Che cosa abbiamo fatto e cosa faremo sulle spese di investimento e la questione della spesa di investimento nel Sud. Proprio stamattina abbiamo varato, a Sezioni riunite, il programma di lavoro per il 2020, programma generale che poi sarà trasmesso a tutte le sedi parlamentari competenti. C'è stato proprio un dibattito su questi due argomenti. Non vorrei essere accusato di nordismo – io che sono palermitano – ma segnalo che studi di econometria molto approfonditi mettono in luce che le spese di investimento destinate ad aree ristrette o non provocano nessun effetto positivo in termini di PIL, oppure addirittura hanno effetti negativi. Questa è la teoria econometrica. Evidentemente alla Corte non sfugge il fatto che tutta la sostenibilità della spesa pubblica oggi, in regioni come la nostra, onorevole Pagano, si regge essenzialmente ed esclusivamente sui fondi comunitari, che abbinati anche a fondi messi a disposizione dallo Stato – alludo a tutti i Patti per la Sicilia, per le varie regioni – devono per forza spingerci ad accendere i riflettori su questi ambiti di intervento pubblico. Già da tre anni io sono d'accordo su questa impostazione, perché quando ero presidente della Sezione di controllo Sicilia, le spese del Patto Palermo-Catania-Messina e le spese del Patto Sicilia, erano già soggette a monitoraggio.
Per le spese di investimento, un po' tutte le Sezioni regionali di controllo, in sede di parifica dei rendiconti regionali, o per alcune indagini autonome, già hanno effettuato indagini in materia. Il programma di oggi delle Sezioni riunite porta a matrice comune queste indagini, che sono un po' a macchia di leopardo, affinché si possa fare un referto per il Parlamento, che affronti queste problematiche che sono vitali per il nostro Paese.
So comunque che lei non è soddisfatto.
FRANCESCO PETRONIO, presidente di sezione della Corte dei conti preposto alla funzione di referto della Sezione delle autonomie. Riprendiamo un po' tutti gli argomenti e poi do la parola ai colleghi in base alla specificità della domanda.
Inizialmente ci viene chiesto un approccio sui conti regionali. L'esame per conti regionali vede quello che viene messo a terra pro capite in un territorio da tutte le componenti – quindi Stato, regione ed enti Pag. 13locali – ed è un approccio assolutamente valido, ma non è quello sul quale abbiamo basato il nostro lavoro, che invece andava a concentrarsi sulla potestà autonoma impositiva e quindi sull'autonomia di risorse e sulla responsabilizzazione delle amministrazioni e nell'ambito del quale c'è comunque un tema di perequazione, e lo abbiamo visto. Sono due oggetti di analisi che convergono, però sono approcci un po' diversi.
Per quello che riguarda le compensazioni fiscali, darei la parola subito al collega Romano.
MASSIMO ROMANO, consigliere della Sezione regionale di controllo Emilia-Romagna. Se il pagamento avviene tramite il modello F24, il sistema già funziona. Io per esempio pago l'IMU col credito IRPEF ogni anno in sede di dichiarazione. Ovviamente, il problema si pone per crediti degli enti locali che non transitano dall'F24, quindi lì si tratterebbe di studiare un ampliamento dell'utilizzo del modello F24 che, attraverso la famosa struttura di gestione, consente questa compensazione. Però, già una parte dei tributi, dei crediti e debiti tributari degli enti locali transita attraverso questa possibilità di compensazione.
FRANCESCO PETRONIO, presidente di sezione della Corte dei conti preposto alla funzione di referto della Sezione delle autonomie. Ancora molto velocemente, concentriamoci su questa domanda: in assenza dei LEP, proviamo a sganciare qualche servizio, in modo che almeno un segmento di servizi lo mettiamo a terra, mentre è molto difficile avere la perequazione complessiva. Qui cedo la parola al collega Ferone, che sta seguendo anche i lavori sulla possibile autonomia differenziata e questo è un tema che sicuramente si iscrive in quell'ambito.
RINIERI FERONE, consigliere della Sezione delle autonomie. La difficoltà di individuare le spese per i LEP è quella che fino a questo momento ha rallentato le iniziative di addivenire a un concreto avvio della famosa autonomia differenziata e dipende dal fatto che la varietà dei servizi stessi e la non standardizzabilità, per le variabili che ci sono in questi servizi, non rendono possibile al momento, se non individuando dei settori molto specifici delle attività e delle funzioni, arrivare a individuare dei criteri per poter poi, anche in questo caso, quantificare le spese e quindi individuare i LEP. È una questione ancora sul tappeto e ci si sta molto impegnando, ma al momento non c'è una soluzione davvero ottimale.
RAFFAELE TOPO. Per sottolinearvi le differenze, voglio fare un esempio pratico sul diritto allo studio, visto che abbiamo cominciato con l'asilo nido. Con riferimento al diritto allo studio, consideriamo borse di studio e residenza in due regioni diverse: Emilia-Romagna e Campania. Io ho la situazione della Campania sotto osservazione, come si può notare dall'accento. Le borse di studio da noi sono bassissime e assegnate a un numero limitato di studenti. Anche il tema delle residenze, per ragioni storiche, è un tema assolutamente complicato da gestire. A prescindere dai LEP – una formula che i cittadini capiscono fino a un certo punto – c'è una compressione plateale del diritto allo studio, che differenzia le due regioni. Se la cosa avesse funzionato così in Italia trent'anni fa, più o meno nessuno di noi sarebbe oggi qua a partecipare alla seduta della Commissione, e penso di non sbagliarmi.
Chi ha una responsabilità così importante può spingersi, per esempio, al punto da dire: l'asilo è importantissimo, ma poi c'è anche qualcosa da fare dopo l'asilo? Io comincerei dal diritto allo studio, così il Legislatore è chiamato a un'assunzione di responsabilità, perché qui, secondo me, non è in discussione come differenziare gestioni che sono già super differenziate, il tema è come rendere praticabili alcuni diritti decisivi per la crescita del Paese. Quindi la domanda è proprio specifica: potete proporre, si può proporre di sganciare qualcosa di concreto, di diretto, che arrivi sulla pelle delle famiglie italiane? Potremmo farlo anche noi.
PRESIDENTE. Vorrei aggiungere un particolare, perché, in effetti, da questa indaginePag. 14 conoscitiva sta emergendo un dato importante: bisogna superare assolutamente l'idea che una parte del Paese, cioè il Sud Italia, stia vivendo sulle spalle di un'altra parte del Paese, perché i numeri dicono tutt'altro, dicono di 61 miliardi di euro, nell'ambito della spesa del settore pubblico allargato, che non vengono riconosciuti alle aree più depresse del Paese, proprio per questa mancanza di determinazione dei LEP. Quindi significa che l'Italia intera sta morendo dietro questa indeterminatezza.
Allora ci domandiamo se è veramente così impossibile, oppure se è una questione di coperture. Da questa indagine conoscitiva sta emergendo anche che, in realtà, gli algoritmi e i criteri tecnici per determinare i LEP ci sarebbero pure, il problema è di copertura. E se il problema è di copertura, è gravissimo che un Paese che sta morendo non trovi le coperture per rialzarsi in piedi, perché il discorso non è tra Nord e Sud, perché, a quanto pare, anche il Nord soffre terribilmente di questa situazione, intanto perché le aree depresse sono anche lì e poi perché c'è questa disomogeneità. Il fatto è che anche a livello di perequazione infrastrutturale c'è una parte del Paese dove non ci sono le infrastrutture, allora un'azienda del Nord – tanto per dire – dove trova la strada ferrata, oppure anche semplicemente un'autostrada, per portare i propri prodotti in un'altra parte d'Italia?
Questa situazione sta deprimendo definitivamente la nostra economia e non vorremmo che, più che un dato tecnico – come sta emergendo da queste audizioni – fosse un discorso di soldi, perché questi soldi andrebbero immediatamente investiti in questo ambito, piuttosto che continuare a divagare. Il fermarsi non è un movimento neutro, perché ci sono le istanze del Nord che premono per un'autonomia, che a questo punto non sta né in cielo né in terra, evidentemente, se non c'è la possibilità tecnicamente di stabilire su che basi deve avvenire. Non capisco perché non lo si spieghi, a quelle regioni che chiedono questa autonomia, che non è possibile, perché è una cosa impossibile da determinare.
Qui c'è una parte che attribuisce tutto a questo Sud che vivrebbe alle spalle di questo Nord, quindi si genera disagio, e un'altra parte del Paese cui si drenano 61 miliardi di euro che non vengono riconosciuti e quindi precipita sempre di più verso il basso e mancano proprio quei servizi importantissimi che servirebbero per risollevarla.
Ieri in audizione la SVIMEZ, per esempio, parlava di costo medio nazionale considerato per molti anni – quindi un ricalcolo – che già sarebbe migliore rispetto al costo storico, che è una distruzione del Paese. Quindi un costo medio nazionale calcolato sulla spesa degli ultimi anni, ovviamente di un arco temporale molto ampio. Insomma in qualche maniera una soluzione bisogna trovarla, perché sicuramente vedere il Paese dissanguato così è una pena.
RINIERI FERONE, consigliere della Sezione delle autonomie. Posso dire solo che ci sarà una soluzione tecnica, ma bisogna partire dal dato sicuro e certo, che è la spesa regionale dello Stato; da lì si parte e poi da lì si possono individuare i famosi livelli essenziali delle prestazioni, ma partendo anche dai fabbisogni standard. Non si può pensare di individuare, senza un'analisi dei costi e senza un'analisi della spesa, quelli che sono i servizi da garantire. È evidente che non è semplicissimo, però da lì bisogna partire.
RAFFAELE TOPO. Noi dobbiamo fare una foto di quello che è accaduto in questi anni. Mi permetto di dirlo, perché io ho iniziato a fare il sindaco nel 2001, subito dopo la riforma. Le regioni prima gestivano il sistema sanitario con un fondo trasferito e con il ripiano dei debiti a carico dello Stato. A un certo punto questo carico di debiti è andato alle regioni. Accade, quindi, che una regione, che ha un debito di 7 miliardi, spende 560 milioni l'anno di fondi non sanitari per pagare quel debito e sottrae risorse ad altre destinazioni. Quindi una regione in queste condizioni non è in grado di garantire il diritto allo studio. Il diritto allo studio c'era nel 2001 ed è stato Pag. 15cancellato nel 2018. Questo è il punto. Quindi cosa storicizziamo? Il pagamento dei debiti?
Allora se questo è l'andazzo – e secondo me il tema delle coperture è un tema decisivo, da analizzare secondo quello che è accaduto – a noi comunità meridionale conviene il centralismo, perché se lo Stato fa tutto è meglio, perché almeno la borsa di studio sarà di 5.000 euro a Bari e di 5.000 euro a Milano, magari con le differenze che sono necessarie per poter vivere lì. Questo è accaduto. Questo regionalismo non pensato è oggi affidato alla riflessione di persone che di governo conoscono poco – perché si sono trovati per accidente in ruoli di responsabilità – e finisce per strozzare il Paese. Questo è il punto. Non c'è una differenza tra Nord e Sud, perché noi siamo pieni di cittadini del Sud che al Nord campano bene e anche meglio; non è un tema legato alla residenza temporanea, ma è legato alla capacità di un Paese di sostenere la vita delle persone nei prossimi anni.
Dobbiamo chiarirci, perché non è che copriamo sulla base di un atto estetico o di buona condotta. No, questo serve a far funzionare il Paese. Allora io sarei molto, molto più aggressivo su questo argomento, perché se guardiamo i numeri veri, ci rendiamo conto che i diritti fondamentali – non parliamo del di più – sono oggi compromessi. Il massimo sforzo – ahimè – che il Governo ha fatto è stato quello di partire almeno dagli asili nido, perché quelli permettono il miglioramento della vita delle persone, fino a un certo punto. Ovviamente è solo un segno.
RINIERI FERONE, consigliere della Sezione delle autonomie. Siccome per i comuni si è dovuto trovare il sistema di perequare e non ha funzionato molto bene, anche per le regioni, nell'individuare i LEP, nel trasferire le funzioni, il meccanismo è quello: vediamo quanto costano, vediamo i soldi che abbiamo e vediamo come perequare. Anche la perequazione infrastrutturale è una cosa importantissima e anche quella serve. Però non c'è una soluzione unica.
ALESSANDRO PAGANO. Avevo chiesto della consulenza da parte della Corte dei conti nei confronti degli enti locali.
FRANCESCO PETRONIO, presidente di sezione della Corte dei conti preposto alla funzione di referto della Sezione delle autonomie. Noi siamo proprio la Sezione delle autonomie, che ha potere di coordinamento delle Sezioni regionali, sia per quanto riguarda indirizzi di controllo, ma anche sulla funzione consultiva. Per la verità, si tratta di un sistema che necessita di momenti di armonizzazione e coordinamento che tuttora sono in atto. Se la devo dire tutta, è stato presentato un subemendamento alla legge di bilancio in corso di esame al Senato, che sottrae alle Sezioni regionali la funzione consultiva. Non sappiamo perché ed è una cosa che ci ha stupito. Va nella direzione opposta a quello che lei ci stava chiedendo: si va verso una centralizzazione. Noi come Sezione delle autonomie ne siamo stupiti.
PRESIDENTE. Chiudo formalmente la seduta, perché stanno iniziando le votazioni in Aula. Ringrazio molto i rappresentanti della Corte dei conti.
Autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna della documentazione consegnata dai rappresentanti della Corte dei conti (vedi allegato) e dichiaro conclusa l'audizione.
La seduta termina alle 16.05.
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