XVIII Legislatura

VI Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 7 di Martedì 10 dicembre 2019

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Ruocco Carla , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SUI SISTEMI TRIBUTARI DELLE REGIONI E DEGLI ENTI TERRITORIALI NELLA PROSPETTIVA DELL'ATTUAZIONE DEL FEDERALISMO FISCALE E DELL'AUTONOMIA DIFFERENZIATA

Audizione di rappresentanti dell'Associazione per lo sviluppo dell'industria nel Mezzogiorno (SVIMEZ).
Ruocco Carla , Presidente ... 3 
Giannola Adriano , presidente dell'Associazione per lo sviluppo dell'industria nel Mezzogiorno (SVIMEZ) ... 3 
Ruocco Carla , Presidente ... 7 
Ruggiero Francesca Anna (M5S)  ... 7 
Giannola Adriano , presidente dell'Associazione per lo sviluppo dell'industria nel Mezzogiorno (SVIMEZ) ... 8 
Volpe Mariella , esperta di finanza pubblica e componente della Commissione SVIMEZ sul federalismo fiscale ... 8 
Ruocco Carla , Presidente ... 9 
Volpe Mariella , esperta di finanza pubblica e componente della Commissione SVIMEZ sul federalismo fiscale ... 9 
Giannola Adriano , presidente dell'Associazione per lo sviluppo dell'industria nel Mezzogiorno (SVIMEZ) ... 10 
Ruocco Carla , Presidente ... 10 

ALLEGATO: Documentazione depositata dal professor Giannola ... 11

Sigle dei gruppi parlamentari:
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Lega - Salvini Premier: Lega;
Forza Italia - Berlusconi Presidente: FI;
Partito Democratico: PD;
Fratelli d'Italia: FdI;
Italia Viva: IV;
Liberi e Uguali: LeU;
Misto: Misto;
Misto-Cambiamo!-10 Volte Meglio: Misto-C10VM;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Noi con l'Italia-USEI: Misto-NcI-USEI;
Misto-Centro Democratico-Radicali Italiani-+Europa: Misto-CD-RI-+E;
Misto-MAIE - Movimento Associativo Italiani all'Estero: Misto-MAIE.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE
CARLA RUOCCO

  La seduta comincia alle 9.40.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di rappresentanti dell'Associazione per lo sviluppo dell'industria nel Mezzogiorno (SVIMEZ).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione di rappresentanti dell'Associazione per lo sviluppo dell'industria nel Mezzogiorno (SVIMEZ), nell'ambito dell'indagine conoscitiva sui sistemi tributari delle regioni e degli enti territoriali, nella prospettiva dell'attuazione del federalismo fiscale e dell'autonomia differenziata.
  Do il benvenuto da parte della Commissione e mio personale al professor Adriano Giannola, presidente dell'Associazione per lo sviluppo dell'industria nel Mezzogiorno (SVIMEZ), che saluto e ringrazio per la presenza.
  Cedo subito la parola al presidente Adriano Giannola, al quale chiederei di limitare il proprio intervento, se possibile, a una ventina di minuti al massimo, al fine di lasciare adeguato spazio al successivo dibattito.

  ADRIANO GIANNOLA, presidente dell'Associazione per lo sviluppo dell'industria nel Mezzogiorno (SVIMEZ). Grazie, presidente, anzitutto per l'opportunità di interloquire con la Commissione.
  Come sapete, la SVIMEZ si occupa da sempre delle questioni connesse al tema del federalismo. Costituimmo la Commissione sul federalismo fiscale proprio nel 2001, in occasione della riforma del Titolo V, e da allora abbiamo seguito numerose vicende. Abbiamo seguito in particolare la vicenda della legge n. 42 del 2009, di attuazione dell'articolo 119 della Costituzione, con notevole intensità di lavoro e di interventi e c'è molta documentazione in proposito. Come immaginate, noi siamo stati particolarmente sensibili fin dall'inizio al tema dell'autonomia differenziata e dell'attuazione dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione, avendo alcune idee abbastanza precise.
  Riattivammo la Commissione sul federalismo fiscale, che era in sonno – perché era in sonno il federalismo fiscale – nel febbraio 2018, in occasione delle preintese del Governo Gentiloni con le tre regioni Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto, ravvisando in quelle intese una contraddizione molto rilevante e soprattutto un'incostituzionalità di base del loro fondamento, che era la modalità di finanziamento dei fabbisogni standard. Quelle preintese furono richiamate nel contratto di Governo del maggio 2018, cosa che ci ha ancor più convinto a lavorare su questo tema, anche se da quel momento il tema si inabissò con le trattative più o meno segrete, che dettero luogo alle bozze del febbraio 2019 e poi del maggio 2019. Noi siamo intervenuti inizialmente non per contraddire l'opportunità o meno di attuare l'articolo 116 – questo spetta alle regioni – ma abbiamo soprattutto cercato di indicare il percorso costituzionalmente corretto, che è molto semplice e di fatto è quello recepito dall'attuale Pag. 4Governo, che ripropone l'articolo 116, terzo comma, alla luce dell'articolo 119 e che rinvia alla legge n. 42 del 2009.
  Il primo Governo Conte non aveva intrapreso il percorso di discussione nel modo che da sempre ci è sembrato l'unico accettabile. In ordine sparso si andava alle trattative. Riteniamo che da questo punto di vista l'aspetto formale sia molto importante e guardiamo con soddisfazione al fatto che il tema si sia rimesso su questo binario. È un tema che ha un rilievo molto significativo, perché nei fatti il rischio latente è quello di trasformare una serie di diritti, che poi sono beni pubblici, in beni pubblici regionali, quindi di disarticolare il sistema dei diritti, che – poi vedremo – è un altro punto.
  La relazione che lasciamo agli atti considera alcuni passaggi, che sono stati anche segnati dall'evoluzione della discussione che si è conclusa nell'agosto 2019 con la crisi di Governo, che ha interrotto quel processo di attuazione dell'articolo 116 della Costituzione. Nel secondo paragrafo della relazione proponiamo un'analisi di quella che abbiamo definito un'operazione verità, nel senso di far emergere i rapporti della finanza pubblica tra regioni, tra Stato e regioni e tra grandi aggregazioni, Centronord e Mezzogiorno, visto che uno dei cavalli di battaglia di chi chiedeva l'autonomia – anche se poi era questo l'oggetto dell'incostituzionalità dell'intesa Gentiloni – era questo richiamo al residuo fiscale, al diritto alla restituzione. Mi ricordo di quando Luca Zaia il 4 marzo scorso disse: «Finalmente i veneti avranno i loro soldi» e gli altri osservarono come si trattasse di un evento epocale. È esattamente quello il tema, trattenere sul territorio le risorse, che per noi non ha alcuna base analitica né soprattutto – come vedremo – fondamento quantitativo. L'oggetto del secondo paragrafo è un chiarimento su questi problemi.
  Analizziamo poi molto rapidamente il tema dei residui fiscali, di cos'è il residuo fiscale, cos'è il reale residuo fiscale una volta che si va a guardare in dettaglio questa che è una partita contabile e la si interpreta in modo contrario a come è stata interpretata all'origine. Nei paragrafi successivi analizziamo il disegno di legge dell'attuale Governo, del Ministro Boccia, il cui aspetto critico centrale, che vediamo come un rischio, è il mantenimento di fatto della spesa storica come criterio transitorio, com'era già nella precedente situazione; tutto è transitorio e non c'è nulla di più definitivo delle cose transitorie. Proponiamo, in conclusione un criterio, proposto da chi ha elaborato i conti pubblici territoriali, la dottoressa Volpe, che ci sembra pragmaticamente un criterio utile, perché automaticamente affronta il vero tema, che è la perequazione, e contemporaneamente è un incentivo a fare, nel modo più rapido possibile, i famosi livelli essenziali delle prestazioni – LEP, proprio per chiarire le situazioni sul terreno.
  La prima verifica sull'effettiva ripartizione della spesa pubblica è stata condotta partendo da una «provocazione» del Governo precedente, perché – come ricorderete – la Ministra Stefani pubblicò sul sito del Ministero per gli affari regionali e le autonomie una tabella della Ragioneria generale dello Stato che faceva riferimento alle materie chieste soprattutto da Veneto e Lombardia, dalla quale emergeva che pro capite queste regioni avevano molte meno risorse erariali delle altre regioni. Mi ricordo che in una conversazione che avemmo come SVIMEZ al Ministero, in cui con molta cortesia la Ministra ci spiegò la filosofia delle cose che stavano facendo, ci disse che non veniva chiesto nulla di particolarmente incidente sulle risorse, semplicemente una perequazione.
  Noi abbiamo riflettuto su quella formulazione delle richieste osservando che, in termini di redistribuzione e finanziamento delle funzioni nei territori, la Ragioneria generale dello Stato regionalizza soltanto una quota molto bassa della spesa statale, mentre i conti pubblici territoriali riferiti allo Stato regionalizzano molto di più, e già in questa seconda ripartizione le quote pro capite nelle varie regioni diventano diverse da quelle delle tabelle allora pubblicate sul sito del Ministero. Ma poi, a nostro avviso, i dati effettivi ai quali fare riferimento sono i dati dei conti pubblici territoriali, che sono una parte del sistema statistico nazionale,Pag. 5 quindi sono certificati come tali, e che si riferiscono a flussi di pagamenti e riscossioni effettivamente realizzate, mentre la Ragioneria generale dello Stato parla di mandati di pagamento, quindi non è neanche il dato effettivo, ma il dato nozionale. Rispetto a questa situazione il perimetro di riferimento che i conti pubblici territoriali offrono riguarda sia lo Stato, sia la pubblica amministrazione, che probabilmente è l'aggregato che a noi più interessa, e anche il settore pubblico allargato che comprende le famose imprese di Stato, che non è esattamente il dato più pertinente, ma è molto significativo soprattutto per il discorso della perequazione infrastrutturale.
  Andando molto velocemente, nella tabella 1 della documentazione che depositiamo – quindi non sto a commentarla più di tanto – quello che emerge è questa rivoluzione che avviene, a seconda dell'aggregato di riferimento, in cui, ancora con la Ragioneria generale dello Stato o i conti pubblici territoriali dello Stato, il Centronord e il Mezzogiorno stanno alla pari, senza entrare nel dettaglio delle regioni. Anzi il Centronord già supera il Mezzogiorno anche a livello di aggregato statale, ma dove poi emerge con estremo rilievo il differenziale tra le risorse pro capite è quando si passa ai conti pubblici territoriali, gli unici disponibili, riferiti alla pubblica amministrazione. Il Centronord con 13.400 euro e il Mezzogiorno con 10.900 euro, con Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna che stanno al di sopra dei valori di Campania, Calabria, Sicilia e così via. Questo viene ulteriormente incrementato – com'era prevedibile – nei conti pubblici territoriali se guardiamo al settore pubblico allargato: si passa al Nord con più di 17.000 euro pro capite, rispetto al Sud che, con 13.390 euro, rimane indietro di circa 4.000 euro, Poi c'è il dettaglio per regioni.
  In definitiva ciò che di significativo emerge nella tabella 2, che riproporziona rispetto alla popolazione e rispetto al PIL le quote di spesa, è che la quota che va al Mezzogiorno è molto inferiore alla popolazione. Se rimaniamo sullo Stato nei dati della Ragioneria generale, il Mezzogiorno è al 37 per cento, quindi appare al di sopra, ma appena andiamo allo Stato nei conti pubblici territoriali, si va al 33 per cento, quindi al di sotto; con la pubblica amministrazione si scende al 30 per cento; e con il settore pubblico allargato al 29 per cento. Da qui viene fuori quel dato che il Ministro Boccia ha commentato con lei, che certifica non solo la validità ma la significatività dell'affermazione che negli anni, da quando esiste una regola per distribuire le risorse in base al modello di federalismo cooperativo, ovvero la legge n. 42 del 2009, quella regola non ha mai avuto applicazione, anzi ci si è sempre più discostati, con l'effetto di una perequazione alla rovescia in cui il Mezzogiorno lascia sul campo circa 60 miliardi di euro all'anno di risorse. Questo meccanicamente. Per la giustificazione di tutto questo si può andare a vedere l'effetto sui fondi europei. Da qui si aprono mille considerazioni.
  Però questo è un dato di fatto che, a nostro avviso, rappresenta quello che noi chiamiamo «il convitato di pietra», perché è chiaro che una cosa del genere, ufficializzata, è totalmente incostituzionale, quindi impone un discorso che sarà alla fine da aprire. Poi vedremo, quando lo commenteremo, che il disegno di legge attuale su questo tema – per motivi di procedibilità, capisco – è molto guardingo e direi anche elusivo, nonostante lo stesso Ministro qui venga a dichiarare che effettivamente c'è un buco. Questo buco non è sanabile, non è restituibile, è però un problema di mancata applicazione del concetto di equità orizzontale, che è alla base del federalismo cooperativo. Non a caso chi chiede l'autonomia non chiede il federalismo cooperativo, ma a dir poco un federalismo competitivo, come quello che esiste adesso, e il pericolo più rilevante è la cristallizzazione di questo sistema, perché poi – andando a concludere in termini di Paese – questo sistema sta portando a picco il Paese. Se il Sud crolla, il Nord, che il maggiore mercato ce l'ha nel Sud, per quanto esporti con grande brillantezza, non corre assolutamente. Questo pone un tema di fondo, che adesso qui noi non affrontiamo.Pag. 6
  Lascio impregiudicato il discorso sul residuo fiscale, in cui quello che noi riteniamo rilevante è che il vero problema della gestione del debito pubblico è rappresentato dal finanziamento degli interessi, che fa aumentare il debito. Quindi qualcosa che si autoalimenta meccanicamente. Se questo lo inseriamo nel concetto di residuo fiscale, il residuo fiscale sostanzialmente scompare: la Lombardia da 40 miliardi passa a 12, e così l'Emilia-Romagna e così il Veneto, ed è un tema anche questo delicato.
  Arrivando invece alla proposta del disegno di legge quadro del Ministro per gli affari regionali e le autonomie, questa rappresenta sicuramente un cambio di passo importante, perché recupera e riafferma con chiarezza il percorso necessariamente da seguire per un'applicazione o una regolazione dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione. Questo ci rallegra e lo riconosciamo. Tanto vale esplicitare invece quelli che riteniamo i punti significativi e, in qualche modo, anche contraddittori.
  Il primo punto, che rischia di indebolire fortemente l'impostazione corretta della legge quadro, è che nella sua esplicitazione si fa riferimento al fatto, anche questo contraddittorio, che si prevede – almeno noi così l'abbiamo capita – che ci possa essere un'approvazione delle intese prima che vengano definiti i famosi livelli essenziali delle prestazioni. Questa a nostro avviso è una condizione prioritaria, perché altrimenti abbiamo un terreno di gioco molto accidentato, invece di un terreno di gioco che deve essere esattamente identico per tutti. Se attualmente c'è quella disarticolazione che abbiamo visto prima in base all'operazione verità – questo è nei fatti, i diritti sono diversi – prevedendo che, se entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della legge non sono approvati i LEP, si mantiene il criterio della spesa storica, si rischia di essere in continuità con la prassi attuale, che è totalmente incostituzionale e che quindi necessita di essere sanata. Quindi la prima cosa che noi riteniamo è che i LEP devono essere prioritari, perché giustamente si dice che l'autonomia differenziata non può essere calata su un sistema di finanza pubblica, che non sia quello previsto dalla regola del federalismo cooperativo, altrimenti si fa una specie di vestito da Arlecchino in cui ogni regione ha una situazione e poi si vede di far convergere ventuno vestiti diversi. Questa ci sembra una cosa rilevante e ci sembra una contraddizione nello spirito, perché lo spirito di cui si parla è quello di dare una veste omogenea – quindi omogenei punti di partenza – per poi parlare dell'autonomia, mantenendo questa omogeneità sovradeterminata.
  Quello che noi proponiamo è l'abbandono immediato della spesa storica. Ovviamente dobbiamo avere un criterio immediato di sostituzione che spiazzi l'esigenza della spesa storica, che può essere al momento giustificata come un'esigenza emergenziale.
  Qui noi – soprattutto la dottoressa Volpe, che ha esperienza sulla qualità dei dati dei conti pubblici territoriali – abbiamo una proposta di applicazione nella fase transitoria di un sistema con una doppia caratteristica: incentiva le regioni a premere perché si arrivi ai famosi LEP, perché c'è un interesse generale a farlo, non solo per chiarezza ma anche per interesse specifico, una volta che si applichi questo sistema, e contemporaneamente inizia o impone una perequazione che può essere modulata – poiché non è possibile applicarla al 100 per cento immediatamente – perché l'idea è che il riferimento devono essere le risorse pro capite erogate nel lungo periodo, per più di dieci anni, quasi venti. Noi infatti siamo in grado, con i conti pubblici territoriali, di dettagliare funzione per funzione, territorio per territorio, le risorse pro capite erogate nel lungo periodo. Quindi questa è una proxy, non è il costo standard. È la proxy più attendibile al momento. Visto che le risorse non sono illimitate, quindi anche quando avremo i LEP, questi, se sono costruiti sulla base di un'ideale esigenza, non potranno essere finanziati, avremo dei livelli essenziali di assistenza – LEA legati al plafond di risorse che possiamo destinare, e allora sarà molto importante avere un costo standard affidabile per poi fare una ripartizione equa. Questo sistemaPag. 7 comporta un progressivo avvicinamento all'equità orizzontale di cui si parlava. È una cosa empirica ma, contemporaneamente, affidabile, nel senso che abbiamo la storia dietro, di una vicenda che per dieci anni non è stata mai affrontata. Però abbiamo tutto il cronoprogramma.
  L'altra obiezione è che non è detto, e non ce lo prescrive il medico, che dobbiamo dare un'autonomia così ampia a chi la chiede. Occorre che sia dimostrato che questa autonomia sia un vantaggio non soltanto per chi la chiede, ma sia un vantaggio a livello di sistema. Quindi il tema dell'economia di scala, dell'economia di scopo, dei beni pubblici locali o beni pubblici nazionali va attentamente valutato, e non mi risulta che, né adesso, né tantomeno prima, queste considerazioni fossero all'ordine del giorno. Sono invece considerazioni, qualitative apparentemente, ma molto importanti, che possono anche trovare una verifica quantitativa. Pensiamo all'economia di scala o al tema dell'economia di scopo. Quindi una presunzione di efficienza o di virtuosità a priori è smentita prima di tutto dall'operazione verità, perché è chiaro che, se ho 4.000 euro in più per abitante, c'è una legge molto nota in finanza pubblica per cui chi è più povero è molto meno efficiente: appena aumentano le risorse, diventa più virtuoso e più efficiente. Dieci anni di povertà indotta creano tanti stimoli all'inefficienza e anche a qualcosa di diverso.
  Concludo qui. Se dovessero esserci richieste di precisazioni ulteriori, anche la dottoressa Volpe e il direttore Bianchi sono a disposizione.

  PRESIDENTE. La ringrazio molto.
  Do la parola ai colleghi che desiderano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  FRANCESCA ANNA RUGGIERO. Professore, la ringrazio di essere venuto in Commissione e di averci portato questo documento molto importante. Sono capogruppo nella Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale e in questi mesi abbiamo più volte posto l'attenzione sulla definizione dei LEP prima di tutto, per poi continuare. Noi tutti auspichiamo che tutte le regioni d'Italia, all'unisono, possano chiedere l'autonomia, e quindi che ogni regione possa gestire e offrire le prestazioni di cui il cittadino ha bisogno.
  Mi piace molto la considerazione finale che ha fatto. È evidente che in questi dieci anni è mancata la spinta politica, perché, nonostante che la Soluzioni per il Sistema Economico S.p.A. – SOSE, e la vostra Associazione, così come tanti altri istituti, abbiano elaborato e proposto delle soluzioni, è mancata da parte della politica la volontà di portare effettivamente a termine questo disegno costituzionale. La proposta che ci piacerebbe molto è proprio spingere politicamente all'individuazione dei LEP e porci l'obiettivo di definire i LEP per due materie all'anno e, una volta definiti i LEP, poter concedere quelle materie alle regioni che ne fanno richiesta. In questo modo avremmo la parte politica che spinge per le intese, che finalmente si siede al tavolo e lavora per rispettare la Costituzione. Anche perché un punto a cui teniamo molto è che, nel momento in cui non definisco i LEP, non posso attuare l'articolo 120 della Costituzione, quindi lo Stato non potrà mai entrare all'interno di un'intesa già siglata e subentrare a una regione che non eroga un determinato servizio al cittadino, che onestamente paga le tasse e si aspetta quel servizio.
  Sono contenta perché in questi mesi abbiamo approfondito molto questo argomento, quindi abbiamo visto che – al di là del calcolo sbagliato, come diceva lei, ovvero del fatto che non si calcolano gli interessi passivi, non si calcola quindi il debito, e del fatto che poi la spesa ricade su tutti, anche su coloro che non hanno quel servizio, anzi su di loro ancora di più, quindi per assurdo pagano per tre volte il servizio che non hanno – anche nel Centronord soffrono moltissimo i piccoli comuni rispetto alle grandi città. Quindi non è più una questione solo tra Nord e Sud: è una questione proprio tra l'abitante della grande città e l'abitante del piccolo paesino.Pag. 8
  Io spero che in Italia la questione possa essere risolta, da qui a pochi anni, perché è un nostro obiettivo risolverla, però secondo i dettati costituzionali, perché mi auguro che mio figlio un giorno, in qualsiasi paese vada ad abitare in Italia, abbia gli stessi servizi in Sicilia, in Lombardia, in Sardegna o in Friuli Venezia Giulia.
  In chiusura ci tengo ancora a ringraziarla e magari chiederle se questa proposta di unire la spinta politica all'ottenimento del «frutto proibito», che sarebbe l'intesa, possa essere una proposta fattibile.

  ADRIANO GIANNOLA, presidente dell'Associazione per lo sviluppo dell'industria nel Mezzogiorno (SVIMEZ). Una delle cose più positive del disegno di legge presentato dal Ministro Boccia è questa insistenza sul fatto che non è solo Nord e Sud, ma che il tema è tra aree arretrate vicino a Milano, come aree arretrate in Sicilia, quindi è anche un discorso implicitamente tra il livello della regione e il livello del comune, e non a caso desta preoccupazioni anche in Lombardia, in Emilia-Romagna e in Veneto questo centralismo, questa visione da piccola patria, perché poi divento io lo Stato, mi sostituisco allo Stato. Questo è molto importante, rilevante e sono d'accordo che il tema della perequazione sia un tema orizzontale, però è il tema fondamentale.
  Sui LEP dico solo una cosa. I LEP sono per forza una sorta di creazione concreta ma ideale, che in questa situazione noi non potremo mai garantire. Per cui dovremmo essere abbastanza saggi da avere i LEP come stella polare alla quale puntare, ma intanto dobbiamo avere il massimo possibile rispetto a quella stella polare. In un criterio di questo genere il tema del costo standard diventa fondamentale, perché, se io ho cento, devo distribuire cento, sapendo che devo rispettare quel costo standard; se ho mille, la stessa cosa; se invece io so che posso arrivare all'infinito, la quantità cambia. Questa non è una cosa da niente, anche proprio nell'arrivare pragmaticamente a gestire questa situazione.
  L'ultima cosa che voglio dire riguarda la perequazione tra i comuni, tra le regioni e tra Nord e Sud: questo tema diventa meno drammatico e meno conflittuale se il sistema cresce. Il primo obiettivo delle regioni dovrebbe essere quello di far crescere il Paese e qui abbiamo un criterio molto semplice: se investita al Sud – estremizzando – la spesa pubblica è molto più produttiva, è molto più efficace e molto più efficiente. Questo l'abbiamo verificato in mille modi. Se il Paese vuole massimizzare le possibilità, dovrebbe fare una scelta. Prescindiamo se la Campania o la Lombardia, dovrebbe essere lo Stato ad avere una strategia di questo genere, che pone le condizioni per un minor conflitto distributivo.

  MARIELLA VOLPE, esperta di finanza pubblica e componente della Commissione SVIMEZ sul federalismo fiscale. Io potrei approfondire questa questione dei numeri, questa questione dei dati e toccare anche un po' la storia dei LEP, sui quali si lavora dal 2001.
  Approfondisco il percorso dei numeri. La critica che noi abbiamo fatto ai dati della Ragioneria generale dello Stato, che portano ai risultati noti, è di una sottostima dell'informazione. Il dato pubblicato sul sito del Ministero per gli affari regionali e le autonomie riguardava il solo operatore Stato, con una regionalizzazione relativa a meno della metà, esattamente il 43 per cento, della spesa dello Stato; la nostra convinzione, invece, è che è solo l'agire complessivo di tutti i soggetti del settore pubblico a determinare effetti sul territorio in termini di erogazione di servizi. Quindi soltanto in questo modo si può andare a misurare la sperequazione tra territori.
  Non a caso – come ha già detto il professor Giannola – man mano che si allarga l'universo, l'effetto antidistributivo cresce. Se nella spesa dello Stato, sulla base dei dati della Ragioneria, il Mezzogiorno copriva il 37,4 per cento, già solo passando allo stesso aggregato, ma sulla base dei dati dei conti pubblici territoriali, che regionalizzano il 100 per cento, non il 43 per cento, il Mezzogiorno arriva al 33 per cento. Se si passa alla pubblica amministrazione, quindi all'aggregato che comprende lo Stato, le regioni, le province, i comuni, le ASL, eccetera, il Mezzogiorno ha il 30 per cento. Se si passa addirittura al settore pubblico Pag. 9allargato, quindi includendo anche tutti i soggetti di natura privatistica, ma che rimangono sotto l'egida pubblica, come le Ferrovie, le Poste, l'ANAS, eccetera, il Mezzogiorno ha solo il 29 per cento. Quindi complessivamente i dati dei conti pubblici raccontano una storia diversa.
  Cosa sono i conti pubblici. Come ha già indicato il professor Giannola, si tratta di una regionalizzazione delle erogazioni finali di tutti i soggetti appartenenti al settore pubblico allargato. È un'informazione federata, e condivisa soprattutto, perché nasce da un'elaborazione che viene da ventuno nuclei regionali e fa parte del Sistema statistico nazionale, quindi è un'informazione solida, che consente ora una serie storica di quasi vent'anni, con un'articolazione enorme. Quel lavoro che si potrebbe ipotizzare, di ricostruire i costi medi di lungo periodo, lo si può fare per tutti i settori, per tutte le regioni, per tutti i territori e per i sub-segmenti, quindi con un'articolazione enorme.
  Detto questo, il macro dato è che il modello di comportamento rimane profondamente sperequato: il 70,7 per cento della totalità della spesa del settore pubblico allargato continua ad essere concentrato, anche nel 2017 (ultimo dato disponibile), nel Centronord; il 29,3 per cento va al Mezzogiorno, a fronte di una popolazione, rispettivamente, del 65,7 nel Centronord e del 34,3 nel Mezzogiorno. Non a caso ci sono stati anche tutta una serie di tentativi di portare la spesa almeno al livello della rispettiva popolazione. Non ultimo il tentativo, di cui all'articolo 7-bis del decreto-legge n. 243 del 2016, ora riportato nel Documento di economia e finanza, anche se ha ancora qualche pecca. Quindi in termini monetari ogni cittadino del Centronord in tutto quest'arco temporale, come media del periodo dal 2000 al 2017 a prezzi costanti, si è avvalso di 15.500 euro contro i 12.000 circa del cittadino del Mezzogiorno, quindi quello che rimane è un divario medio di 3.500 euro circa tra Centronord e Mezzogiorno.
  La proposta di utilizzare il costo medio di lungo periodo deriva anche dal fatto che la costruzione dei LEP non è operazione agevole. Ai LEP hanno lavorato varie Commissioni, dalla Commissione tecnica paritetica per l'attuazione del federalismo fiscale – COPAFF alla Commissione Cottarelli, per circa quindici anni senza arrivare ad alcuna definizione. Sia per obiettivi motivi di difficoltà tecnica metodologica, ma anche perché costruire i LEP implica una grossa mediazione di interessi, anche politici, tra territori. Le due grandi scuole sono state quelle della definizione dei LEP costruiti dall'alto, quindi partendo dai vincoli di bilancio, con un procedimento top-down, arrivando a un riparto di risorse non dissimile da quello attuale, mentre i veri fabbisogni dovrebbero essere costruiti dal basso, con un procedimento bottom-up, arrivando a definire effettivamente i fabbisogni necessari per settori, per territori, eccetera.
  È vero quello che diceva il professor Giannola, che probabilmente questa potrebbe essere una chimera, nel senso che i vincoli di bilancio sono tali da non consentire un'effettiva realizzazione, un'effettiva definizione dei LEP, quindi questa proposta di utilizzare i costi medi di lungo periodo potrebbe essere una soluzione nella fase di definizione dei LEP, ma comunque un'ipotesi di tipo transitorio. È chiaro che non sono costi standard, nel senso che si tratta di spesa erogata che potrebbe includere anche le inefficienze locali, le maggiori inefficienze del Mezzogiorno, ma sono serie talmente di lungo periodo, talmente articolate che compensano le differenze e le disuguaglianze.

  PRESIDENTE. Per i servizi che non sono stati erogati – ad esempio abbiamo visto in alcune zone gli asili nido – a cosa si riferirebbe il costo medio di lungo periodo?

  MARIELLA VOLPE, esperta di finanza pubblica e componente della Commissione SVIMEZ sul federalismo fiscale. L'operazione va attraverso vari canali e varie fonti, i LEP io credo che potrebbero essere definiti anche a un livello leggermente più alto: quello dell'assistenza sociale nei comuni per esempio. Tutto questo percorso che ho Pag. 10illustrato lo abbiamo fatto anche per singoli segmenti. Partiamo dal fatto che la Ragioneria fornisce un dato che è pari al 5 per cento in questo caso del totale della spesa dell'assistenza sociale dei comuni, noi l'abbiamo fatto per un aggregato di livello un pochino più alto di quello degli asili nido. Lì si dovrebbe arrivare alla conclusione che anche il comune che non ha mai erogato l'asilo nido ha diritto a un suo LEP, ha diritto a un suo zoccolo minimo.

  ADRIANO GIANNOLA, presidente dell'Associazione per lo sviluppo dell'industria nel Mezzogiorno (SVIMEZ). Una volta che hai un euro e non lo offri, può intervenire la sussidiarietà verticale dello Stato.
  È quello che diceva la dottoressa Volpe, che l'articolo 120 è il fantasma nella Costituzione perché politicamente non è facile; ma in un sistema aggiornato e rodato dovrebbe essere proprio l'elemento di intervento. È come quando arriva la vigilanza della Banca d'Italia in una banca. È bello che la comunità locale decida, però, se poi è vi è un'anomalia rispetto a una questione di interesse complessivo, una forma di correzione è la sussidiarietà, non orizzontale ma verticale, ovvero la gerarchia. In Costituzione le abbiamo tutte e due, noi ne applichiamo solo una, con risultati un po' complicati.

  PRESIDENTE. Io vi ringrazio molto. Questa è una audizione che è stata molto importante, illuminante e chiara. La relazione la metteremo agli atti e approfondiremo tutti i punti che sono stati trattati, soprattutto alla luce della legge quadro del Governo, che deve essere vagliata dal Parlamento, quindi è importante arrivarci dopo gli approfondimenti su punti così importanti.
  Una base di partenza deve essere sicuramente quella di superare il discorso Nord/Sud, altrimenti piuttosto che disegnare una strategia per il Paese si finisce con delle tattiche di basso cabotaggio per prendere voti nelle varie regioni, cosa che non risolverebbe, anzi aggraverebbe notevolmente il problema del sistema Italia nel suo complesso. Il punto fondamentale che deve essere superato è l'idea che lo stabilire i livelli essenziali di prestazione possa convenire ad uno piuttosto che ad un altro.
  Noi abbiamo ascoltato i rappresentanti dei comuni, tra i quali alcuni, che si collocano nelle aree del Nord (in Piemonte e in Veneto), si sono espressi in maniera estremamente chiara a favore dei LEP, e sono stati netti e categorici sulla necessità che, anche per i comuni, vengano stabiliti questi livelli essenziali delle prestazioni. Questo è uno spunto ulteriore che deve far analizzare questo problema in maniera molto seria e scevra da qualunque tattica elettorale. Io mi auguro che si abbia la calma e la tranquillità per approfondire e riportare poi nei provvedimenti normativi, con criteri razionali, quello che è stato approfondito nelle Commissioni. Quella che abbiamo visto essere nel 2001 una riforma monca e incompleta ha poi trascinato il Paese da un problema a un altro e, a quanto pare, come giustamente lei diceva, quando non si sviluppa una parte del Paese, non si sviluppa neanche l'altra. Forse questo bisognerebbe iniziare a capirlo.
  Ringrazio ancora una volta i nostri ospiti, autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna della documentazione consegnata dal professor Giannola (vedi allegato) e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 10.25.

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ALLEGATO

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