Sulla pubblicità dei lavori:
Gusmeroli Alberto Luigi , Presidente ... 3
INDAGINE CONOSCITIVA SUI SISTEMI TRIBUTARI DELLE REGIONI E DEGLI ENTI TERRITORIALI NELLA PROSPETTIVA DELL'ATTUAZIONE DEL FEDERALISMO FISCALE E DELL'AUTONOMIA DIFFERENZIATA
Audizione di rappresentanti dell'Associazione nazionale dei comuni italiani (ANCI).
Gusmeroli Alberto Luigi , Presidente ... 3
Canelli Alessandro , sindaco di Novara e delegato politico alla finanza locale dell'ANCI ... 3
Ferri Andrea , responsabile finanza locale dell'ANCI ... 5
Tarantino Leonardo (LEGA) ... 6
Gusmeroli Alberto Luigi (LEGA) ... 6
Baratto Raffaele (FI) ... 7
Ruocco Carla , Presidente ... 7
Angiola Nunzio (M5S) ... 8
Ruocco Carla , Presidente ... 8
Ferri Andrea , responsabile finanza locale dell'ANCI ... 8
Canelli Alessandro , sindaco di Novara e delegato politico alla finanza locale dell'ANCI ... 10
Ruocco Carla , Presidente ... 10
ALLEGATO: Documentazione depositata dal sindaco Canelli ... 11
Sigle dei gruppi parlamentari:
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Lega - Salvini Premier: Lega;
Forza Italia - Berlusconi Presidente: FI;
Partito Democratico: PD;
Fratelli d'Italia: FdI;
Italia Viva: IV;
Liberi e Uguali: LeU;
Misto: Misto;
Misto-Cambiamo!-10 Volte Meglio: Misto-C10VM;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Noi con l'Italia-USEI: Misto-NcI-USEI;
Misto-+Europa-Centro Democratico: Misto-+E-CD;
Misto-MAIE - Movimento Associativo Italiani all'Estero: Misto-MAIE.
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE
ALBERTO LUIGI GUSMEROLI
La seduta comincia alle 9.15.
Sulla pubblicità dei lavori.
PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.
Audizione di rappresentanti dell'Associazione nazionale dei comuni italiani (ANCI).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione di rappresentanti dell'Associazione nazionale dei comuni italiani (ANCI), nell'ambito dell'indagine conoscitiva sui sistemi tributari delle Regioni e degli enti territoriali, nella prospettiva dell'attuazione del federalismo fiscale e dell'autonomia differenziata, che saluto e ai quali do il benvenuto a nome di tutta la Commissione, in particolare al dottor Alessandro Canelli, sindaco di Novara e delegato politico alla finanza locale dell'ANCI, ed al dottor Andrea Ferri, responsabile della finanza locale dell'ANCI.
Cedo subito la parola al sindaco di Novara, al quale chiederei di limitare il proprio intervento, se possibile, a una quindicina di minuti al massimo, al fine di lasciare adeguato spazio al successivo dibattito.
ALESSANDRO CANELLI, sindaco di Novara e delegato politico alla finanza locale dell'ANCI. Grazie, Presidente. L'audizione di oggi ha per i comuni un'importanza fondamentale, perché ci consente di far rilevare alcune criticità e alcune distorsioni che in tutti questi anni si sono verificate nel sistema di finanza locale e nei rapporti tra Stato, Regioni ed enti locali sul tema del finanziamento.
La reale ed effettiva attuazione del progetto di revisione dei rapporti finanziari tra Stato, Regioni ed enti locali deriva ovviamente dalla riforma del Titolo V della Costituzione con l'articolo 119 e la legge delega di attuazione, la legge n. 42 del 2009, che aveva la finalità precipua di superare il meccanismo di spesa storica per attuare un effettivo federalismo fiscale. Attraverso quella legge delega, l'intenzione del legislatore era proprio quella di dare attuazione al dettato costituzionale, in particolare all'articolo 119, superando il meccanismo basato unicamente sulla spesa storica e realizzando un meccanismo basato su fabbisogni, costi e capacità fiscali standard.
La legge delega n. 42 del 2009 prevedeva due tipologie di perequazione: una perequazione che doveva colpire quelle che sono generalmente considerate le funzioni fondamentali dei comuni (l'amministrazione, l'istruzione, gli asili nido, i servizi sociali, il trasporto pubblico locale, la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti), mentre il gap esistente tra fabbisogni standard e capacità fiscale, secondo la legge n. 42, doveva essere coperto integralmente dallo Stato secondo un principio di perequazione verticale; poi c'erano tutte le altre funzioni non fondamentali. A quel punto il meccanismo prevedeva una perequazione orizzontale che attuava, in un'ottica di solidarismo «intercomunale», una ridistribuzione della ricchezza e della raccolta delle capacità fiscali tra i vari comuni, per soddisfare le esigenze non fondamentali dei Pag. 4servizi comunali. Vi era quindi un doppio meccanismo: uno verticale e uno orizzontale.
Questo meccanismo teneva insieme il sistema, perché da una parte consentiva di soddisfare i dettati costituzionali secondo i quali lo Stato si deve occupare della perequazione, soprattutto con riferimento ai servizi fondamentali dei cittadini, in un'ottica di soddisfacimento dei diritti civili fondamentali e di coesione sociale e, dall'altra, perseguiva quell'aspetto solidaristico che tutti i comuni ovviamente devono mantenere tra loro.
In realtà questo non è accaduto, per tutta una serie di ragioni, tra cui anche la crisi economico-finanziaria, che ha danneggiato fortemente il nostro Paese, così come altri Paesi, e a causa della quale lo Stato ha colpito soprattutto il comparto dei comuni, che in questi anni hanno dato molto per poter realizzare gli obiettivi di risanamento della finanza pubblica nazionale. Solo per quanto riguarda i comuni, i tagli che sono stati attuati nell'arco di cinque o sei anni ammontano a circa 12 miliardi di euro.
Oltre a questo, c'è stata la questione dell'armonizzazione contabile, che ha imposto tutta una serie di accantonamenti – in parte anche giusti – sul fondo crediti di dubbia esigibilità; ma tutto ciò in questo momento corrisponde ad un ammontare pari a 4,5 miliardi di euro, che non possono essere utilizzati dai comuni per il soddisfacimento dei servizi fondamentali dei cittadini.
Inoltre c'è stato un taglio nel 2014 di 560 milioni di euro, che doveva essere reintegrato nel 2018, e ciò purtroppo non è avvenuto (infatti i comuni hanno presentato ricorso alla giustizia amministrativa).
Quindi abbiamo un quadro dove, da una parte, il federalismo fiscale non è stato realizzato – anzi, ci sono dei meccanismi perequativi che creano forti distorsioni tra i comuni – e, dall'altra, sono i comuni stessi che danno risorse per la perequazione. Lo Stato in tutto questo non esiste, non c'è.
Per quale ragione il meccanismo perequativo è distorto? Perché non si è mai fatto un ragionamento serio, un'analisi e una definizione serie dei cosiddetti LEP (livelli essenziali delle prestazioni). Da lì si comincia. Se non conosciamo quanto serve ai vari comuni per poter soddisfare i servizi fondamentali, che tipo di ridistribuzione possiamo fare, che sia seria ed equa? Quindi si parte da lì. Ma per partire da lì, ci vuole l'input politico. In mancanza dell'input politico, non c'è la possibilità di dare inizio a questo percorso virtuoso.
Forse in parte questo input politico vi è stato per la redistribuzione a livello nazionale delle risorse per l'assistenza domiciliare agli anziani: abbiamo sottoscritto l'accordo in Conferenza unificata proprio l'altro giorno, basandoci per la prima volta sui LEP. Questo è un primo, timido inizio, però c'è da fare ben altro. Quindi si parte dai LEP; senza questi non si riuscirà ad avere un sistema serio di ridistribuzione a livello nazionale, perché in questo momento ci sono comuni che danno anche più di quello che dovrebbero dare, secondo le loro capacità fiscali, e comuni che ricevono più di quello che dovrebbero ricevere, secondo le loro necessità. Quindi c'è iniquità.
Io vi assicuro – lo dico in quanto sindaco – che riuscire a mettere insieme le capacità fiscali con la contrazione della spesa corrente che si è verificata in questi anni per i sindaci dei territori è veramente difficile, perché devono erogare i servizi fondamentali, devono banalmente assicurare il trasporto dei disabili, l'assistenza agli anziani; cose che si toccano con mano tutti i giorni. Devono assicurare i servizi sociali, che hanno subìto, a causa della crisi, una pressione fortissima da parte dei cittadini (ovviamente delle fasce più svantaggiate e più fragili). Però, se si continua a contrarre la spesa corrente e si continuano a mantenere dinamiche distorsive all'interno di questo meccanismo di perequazione, questo diventa veramente difficile, non per i sindaci, non per i comuni, ma per i cittadini, che sono coloro che alla fine ci rimettono.
L'invito quindi è di ripensare il sistema nella sua globalità, tenendo in considerazione due aspetti: in primo luogo – finalmente – la definizione dei LEP; in secondo luogo, l'introduzione, così come dice la Pag. 5legge – cosa che fino adesso non è stata fatta –, di una perequazione verticale con il concorso dello Stato, che consenta di colmare, almeno per quanto riguarda le funzioni fondamentali, quel gap tra fabbisogni e capacità fiscali dei vari comuni, magari – cosa che potrebbe sanare la ferita che si è aperta tra il comparto dei comuni e lo Stato – anche utilizzando quei benedetti 560 milioni che sono all'attenzione in questo momento del TAR e che, con un accordo tra comuni e Governo, potrebbero essere utilizzati in parte (poco per volta magari) proprio per finanziare la perequazione verticale, fondamentale per il comparto dei comuni.
Qui con me c'è Andrea Ferri, responsabile finanza locale dell'ANCI, che possiede la competenza tecnica per entrare più nel dettaglio di alcune questioni inerenti la materia in oggetto. Io vi ringrazio per avermi ascoltato. Restiamo a disposizione per ogni domanda.
ANDREA FERRI, responsabile finanza locale dell'ANCI. Interverrò soltanto per aggiungere alcune osservazioni, perché l'essenziale è stato detto. Quella che va sottolineata è la differenza rivelatasi in questi anni tra immaginare uno schema federalista in un contesto non ancora di crisi e attuarlo in un contesto di crisi, la più intensa a partire dal dopoguerra, che peraltro ha scisso di fatto il binomio responsabilità e autonomia che sta alla base dell'imposizione fiscale locale. Si immagina che sia opportuno che i comuni abbiano una tassazione propria, una pluralità di tasse proprie, perché bisognerebbe avvicinare i centri di spesa ai centri di entrata, unificarli in uno stesso soggetto e sottoporlo al giudizio dei cittadini.
Quanto al vecchio sistema, in cui c'erano un po' di tasse, parecchi trasferimenti – magari troppi, anche come incidenza – e poche altre cose minori, viene sostituito da un sistema integralmente basato su un tributo principale, quello immobiliare. Ce ne sono anche altri, ma il tributo immobiliare fa tutto, assumendo in primo luogo compiti di finanziamento dello Stato (è nato per questo). L'IMU, che nasce nel 2012, viene istituita per non imporre un tributo statale immobiliare. Si diceva: «La tassazione immobiliare è troppo bassa, il Paese non se lo può permettere, è un cespite che può crescere». Quindi il finanziamento dell'aggiustamento strutturale si è fatto non attraverso un tributo statale, con il quale lo Stato direttamente avrebbe potuto contribuire all'aggiustamento, ma attraverso un tributo che già esisteva, facendo sì che il sindaco chiedesse ai propri cittadini un tributo che poi non avrebbe potuto utilizzare. In questo modo si è verificata una scissione molto importante.
C'è una scissione abbastanza importante per il fatto che forse si è troppo marcato quell'ampliamento di imposizioni immobiliari, su cui si sono fatte le agevolazioni nazionali: l'abolizione dell'IMU sulla prima casa per i pensionati. Sono tutte cose giuste – o tutte opinabili – ma decise centralmente. È una scelta di politica fiscale: una volta che ti sei costruito una tassazione così importante (più del doppio della vecchia ICI) poi tornare indietro significa in sostanza inserire ulteriori elementi di centralismo. Infine, siccome bisogna mantenere i rapporti relativi tra i vari enti, vi è anche la necessità di realizzare la perequazione, mentre la «piccola» ICI permetteva di attuare eventualmente la perequazione attraverso i grandi trasferimenti.
Quindi si è tutto convogliato lì dentro e questo è un meccanismo di difficile trattazione; però è forse la principale ragione dell'allontanamento dai princìpi della legge n. 42, insieme a ciò che ha sottolineato il sindaco Canelli, vale a dire il fatto che la perequazione in questo scenario, da un punto di vista formale, non ha neanche un euro dello Stato.
Non confondiamo i trasferimenti per ristoro dei gettiti aboliti con i classici trasferimenti statali. Quelli sono il rimedio finanziario alle scelte di politica fiscale nazionale che, se tolgono qualcosa ai comuni, come alle province e alle città metropolitane (ma anche all'ACI, a chiunque ha una situazione di cambiamento normativo) – comuni, province, città metropolitane e Regioni hanno anche un rango costituzionale e quindi è un fatto ordinamentale, avviene quasi da sé, salvo quando si Pag. 6tratta di discuterne un po' più aspramente –, è naturale e ordinamentale che si preveda un compenso. Non hanno le caratteristiche di riequilibrio che normalmente i trasferimenti hanno.
PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE
CARLA RUOCCO
LEONARDO TARANTINO. Ringrazio gli auditi per i loro interventi, che sono stati molto esaustivi. Ci tengo a condividere una considerazione anche con gli altri membri della Commissione, perché questa audizione ha messo in evidenza, forse più delle altre, un aspetto fondamentale su questo tema. Intanto è singolare che, proprio dopo il 2009, quindi dopo l'approvazione di una legge in materia di federalismo fiscale – che voleva dire dare autonomia ai comuni, dare certezza sulle risorse, quindi trasferire la responsabilità e le risorse a livello locale – si sia assistito nel decennio successivo a un taglio significativo proprio in quel settore, quindi contrario allo spirito della norma. Si è trattato di una contrazione importante.
L'altro aspetto, toccato solo marginalmente nelle precedenti audizioni, riguarda i tagli dovuti alla crisi economica. Durante le audizioni svoltesi in questa Commissione siamo venuti a conoscenza dei dati statistici, anche relativi alla perequazione, che evidenziavamo come vi siano dei comuni della fascia media e zone territoriali nel Sud del Paese che sono stati penalizzati dall'attuazione della perequazione. Il dato più rilevante tuttavia è che mancano all'appello i 12 miliardi di euro tagliati ai comuni piuttosto che i 4,5 miliardi del fondo crediti, che è una limitazione della spesa. Quindi è diventata una guerra tra poveri. Forse gli aspetti emersi nelle precedenti audizioni sono marginali rispetto a questo, che ritengo sia molto più importante.
Credo quindi che si dovrà intervenire su questo aspetto e ritengo anche che il legislatore – come pure chi ci governa – dovranno imprimere una svolta a questo percorso, perché l'approccio di chi ha governato dal 2010-2011 fino all'anno scorso, di un colore politico, probabilmente ha inciso su questo tipo di scelte. La verità è che i 12 miliardi di euro di spending review dei comuni è stata molto più alta della spending review del bilancio dello Stato, che quindi è stata fatta pagare in buona parte ai bilanci dei comuni, creando le difficoltà che sono state denunciate dai sindaci e anche da alcuni colleghi, difficoltà che anche noi abbiamo toccato con mano. È veramente indispensabile quindi che si realizzi la perequazione verticale, attraverso il reperimento delle risorse necessarie, anche se non sarà facile. Gli enti locali sono stati molto penalizzati in questi anni e sarebbe giusto che vi fosse un'inversione di tendenza.
ALBERTO LUIGI GUSMEROLI. Il comparto dei comuni in questi anni ha fatto più del proprio dovere, nel senso che la spesa corrente dei comuni è stata contratta al massimo, è stata fatta una fortissima spending review, sia a causa dei tagli ai trasferimenti provenienti dallo Stato sia perché ovviamente la necessità di ottimizzare la spesa fa parte delle logiche con cui si dovrebbe ben amministrare. Lo Stato, viceversa, ha visto dal 2012 ad oggi aumentare costantemente la spesa corrente e, se andiamo a vedere le percentuali, stiamo parlando di oltre il 2 per cento l'anno.
Bisogna cercare di sfatare questo modo di pensare per cui, se si realizza l'autonomia, si divide l'Italia e si peggiorano le condizioni delle aree del Centro-Sud a favore delle altre aree del Paese. Questa è una visione delle cose destituita di fondamento, nel senso che vale il principio per cui, se si dà autonomia ai territori, si aumenta l'efficienza.
In questi anni i territori sono stati fortemente penalizzati non solo dai tagli ai trasferimenti da parte dello Stato, ma anche dall'inserimento di una serie di vincoli, come i vincoli alle assunzioni, i vincoli ai tetti di spesa corrente. Stiamo ancora ragionando, per esempio, sulle spese dei dipendenti con dei tetti che risalgono ad alcuni anni fa. Mi riferisco anche alle spese di pubblicità: addirittura si guardano il 20 per cento delle spese di pubblicità del 2009. Un Paese che dovrebbe crescere – e dovrebbe Pag. 7 anche investire – è gravato da tutti questi vincoli.
Dall'altro lato i comuni, per fare fronte ai tagli ai trasferimenti, hanno tendenzialmente innalzato le aliquote dell'IMU. Questa è una critica all'abolizione della TASI che è in corso, a quel progetto che è nato in questa sede ma che sta andando verso una direzione completamente diversa. Dire che i comuni possono abbassare le imposte sulla casa è un po' come non dire nulla, nel senso che i comuni hanno sostituito l'imposta sulla casa cercando di fare fronte all'ampio taglio dei trasferimenti. Credo quindi che sia assolutamente fondamentale cercare di restituire agli enti territoriali l'autonomia che è stata loro sottratta dal Governo Monti in poi, perché gli enti territoriali sono quelli più vicini ai cittadini e quindi possono comprenderne le necessità ed intervenire efficacemente. A me interesserebbe che si sfatasse questo modo di pensare secondo il quale se si fa l'autonomia si penalizzano i territori; al contrario, realizzando l'autonomia si dà la possibilità al territorio di essere efficiente.
RAFFAELE BARATTO. Credo anch'io che ai comuni e ai territori purtroppo sia stato tolto molto, anche perché sappiamo tutti che il sindaco è il front office per i cittadini, con un compito che non è sicuramente facile.
Io ricordo che negli anni Ottanta per i servizi sociali c'era qualche comune che non aveva neanche l'ufficio, perché serviva e non serviva; il compito primario di un comune erano i lavori pubblici – e credo che chi ha amministrato lo possa confermare. Oggi le cose sono completamente cambiate: i servizi sociali sono la voce di bilancio più importante della maggior parte dei comuni. Credo che solo per questo lo Stato dovrebbe capire quanto bisogno hanno i comuni per poter affrontare queste criticità in favore dei cittadini.
Come ha detto bene il collega che mi ha preceduto, si sono tolte risorse agli enti locali per cercare di lenire le difficoltà a livello centrale, ma la coperta era corta. Pertanto ritengo sia assolutamente importante rivedere questa situazione e conferire maggiore autonomia ai nostri territori, perché non significherebbe impoverire una parte o l'altra del Paese, ma solo dare un arricchimento e dare più forza a chi deve occuparsi in prima persona dei cittadini.
PRESIDENTE. Non ci sono altre richieste di intervento, per cui ne approfitto per esprimere alcune mie considerazioni.
Sta emergendo in maniera sempre più chiara, nel corso dell'indagine conoscitiva, che il punto fondamentale è la determinazione dei livelli essenziali di prestazioni, senza cui non si può andare da nessuna parte.
Altro punto importante è che effettivamente vedere la realtà dal punto di vista di più livelli amministrativi cambia totalmente la prospettiva e quindi, quando si parla di comuni, sbiadisce – definitivamente, per fortuna – il ragionamento a compartimenti stagni che divideva il Nord dal Sud, perché, alla fine dei conti, questa determinazione, dettata dal federalismo malfatto e incompiuto del 2009 – dopo il quale peraltro si sono susseguite una serie di misure che sono andate in direzione opposta, come l'eliminazione di alcuni tributi locali che sono serviti da trasferimenti –, arreca danno a tutte le zone del Paese.
È giusto ascoltare anche le istanze localistiche delle varie Regioni, ma purtroppo la storia degli ultimi giorni ci insegna ancora una volta che c'è bisogno dello Stato centrale. Una situazione come quella che si è verificata a Venezia, città a cui tutti teniamo tantissimo, dimostra ancora una volta quanto sia importante che vi sia uno Stato centrale pronto ad aiutare le varie realtà locali perché purtroppo non c'è nessuna parte del Paese esente da fortuna e da sfortuna, e ci sono dei momenti in cui bisogna essere pronti ad affrontare anche gli errori che sono stati commessi, in qualunque parte del Paese. Quindi, qualsiasi passo in avanti si voglia compiere, è necessario ascoltare il moto di disagio di alcune parti d'Italia, ma sempre considerando in maniera approfondita i passi giusti da fare. In ogni caso, la determinazione dei fabbisogni standard e dei livelli essenziali di prestazione resta il pilastro fondamentale su cui fondare i prossimi passi del processo di autonomia differenziata.
NUNZIO ANGIOLA. Vorrei chiedere ai nostri ospiti quali ragionamenti hanno seguito sul differenziale tra il costo storico e l'importo che scaturirebbe dai livelli essenziali di prestazione. I costi storicamente sostenuti per la soddisfazione dei servizi potrebbero risultare per diversi territori del Nord superiori ai conteggi che derivano dai livelli essenziali di prestazioni, cioè i fabbisogni standard per livello minimo di servizio. Quindi vorrei sapere che ragionamenti avete fatto rispetto a questo divario: secondo il mio parere, in taluni casi il costo storico risulterà eccedente rispetto al conteggio dei livelli essenziali di prestazione mentre invece, in taluni altri casi, si verificherà esattamente il contrario. Vorrei capire se avete fatto delle analisi di questo tipo e come, secondo voi, si può porre rimedio a questo discorso, in quanto ci saranno dei territori che saranno a credito e dei territori che saranno a debito.
Per quanto riguarda invece il residuo fiscale, vorrei capire come vi ponete rispetto a questo discorso, voi che rappresentate i comuni italiani, che tipo di orientamento c'è in giro, a seconda di quale regione stiamo considerando. Infine vorrei capire, visto che il collega Gusmeroli parlava di gestione più efficiente delle risorse, cosa vuol dire per l'ANCI una gestione più efficiente delle risorse. Devo ritenere che si tratti di una migliore capacità di gestione delle risorse, a parità di risorse. L'efficienza non è altro che un maggior rendimento connesso all'utilizzo degli stessi fattori della produzione, quindi delle stesse risorse. Per scolastica nozione l'efficienza è la capacità di gestire in condizione di alti rendimenti e bassi costi. Quindi devo ritenere che, una volta che si sia individuato un importo di 100 milioni di euro per una regione, talune Regioni del Nord intravedano la possibilità o la capacità di saper incidere sui costi, nel senso di diminuirli e quindi di essere più efficienti, oppure di incidere sui rendimenti e quindi di essere più efficienti.
PRESIDENTE. Lascio la parola al dottor Ferri per la replica.
ANDREA FERRI, responsabile finanza locale dell'ANCI. Intanto grazie dell'apprezzamento riferito all'emergenza, all'importanza dei tagli e all'aggiustamento strutturale. Dal punto di vista quantitativo (sono dati del MEF, quindi non sto citando dati che possono essere ulteriormente accentuati), l'aggiustamento strutturale del Paese nel periodo 2010-2016 – la manovra più critica – è stato di 25 miliardi di euro; il risultato positivo di restrizione, di rientro nei conti. Il contributo degli enti locali è stato di 12 miliardi, di cui 9 miliardi venuti dai comuni, che nel frattempo hanno subito 9 miliardi di tagli scarsi (sempre dati MEF) e incrementi di 3,5-4 miliardi di vincoli di patto. Questo è il quadro. Quindi è una situazione che mi fa piacere venga ricordata e sottolineata da voi più che da noi, perché voi siete tutti sindaci ma adesso avete un ruolo diverso, e questo è per noi molto importante.
Per quanto riguarda i LEP, federalismo multilivello e federalismo differenziato, è chiaro che l'Associazione dei comuni non ha una posizione netta sul meccanismo di differenziazione, anche perché l'articolo 116 è uno dei più brevi della Costituzione. L'attenzione principale di un'associazione di comuni è rivolta alla necessità di chiarire bene che lo Stato non si può spogliare della perequazione. All'interno della Lombardia c'è il comune più povero d'Italia. Sarà falso? È vero statisticamente, probabilmente non gliene importerà niente di essere poveri, perché hanno una rete. Sarà un caso, ma è così.
Tutti i territori comunque considerati, oltre un certo ambito territoriale (una provincia, una mezza provincia), presentano situazioni difformi in termini di fabbisogno e capacità fiscali. Quindi noi abbiamo un interesse nazionale – costituzionalmente tutelato, non ce lo inventiamo noi come Associazione – verso l'elemento perequativo, oltre che l'individuazione dei livelli essenziali di prestazioni adeguatamente finanziate. Bisogna sempre aggiungerlo, perché se no sembra che gli asili nido o le infrastrutture si facciano distribuendo un po' di soldi tra Reggio Emilia e Catanzaro; purtroppo non è così. Anche volendo farlo, non è così, non ci arriveremmo. Pag. 9
Per carità, poi Catanzaro è una cittadina che magari non ne ha bisogno. Ma non può avvenire che distribuisci un pochino per macro aree e magicamente hai nuove infrastrutture sociali. Non succederà, non ci sono le quantità sufficienti per fare una cosa del genere. Quella responsabilità nazionale che è definire i livelli essenziali di prestazioni, definire uno schema perequativo che riguarda gli enti locali – nel senso che riguarda i cittadini, non il sindaco – è una cosa che qualsiasi federalismo rafforzato intermedio non può sostituire. Può aggiungervisi molto utilmente. Può essere che una regione, nella sua autonomia, nel coordinamento della finanza locale, nell'ambito delle ventitré funzioni dell'articolo 117, quelle concorrenti che potrebbero essere riassunte in una maggiore autonomia regionale, faccia qualcosa in più; ma non ci può essere un patto tra Stato e Regione in cui il primo dice alla seconda: «Io cedo, e al tema dei diritti sociali ci pensi tu».
Quello che sto per dire è un mio personale pensiero: il tema, per come è stato posto fino ad ora, anche nel caso del federalismo differenziato, è un problema di responsabilità. Quando tu dai una quota di un certo rilievo di funzioni, quantificate in un certo quantitativo di denaro che ha un'incidenza, a un certo livello autonomo di governo, dovresti dargli contemporaneamente una leva fiscale, non il denaro corrispondente. Facendo tutti i conti, ad un certo momento quella regione dovrebbe trovarsi a dover gestire ulteriori funzioni basate su uno standard di qualche genere, che corrisponde a una capacità fiscale nuova, sostitutiva di quella dello Stato (un'addizionale IRPEF, una compartecipazione autonoma), in maniera tale che poi il lavoro che si fa in termini di efficienza possa avere quel risultato per esempio di riduzione di imposte ovvero di ampliamento dei servizi resi.
Le cose che si sono lette fino a qualche tempo fa sembravano prefigurare un mero meccanismo di trasferimento statale riportato sul tributo e lasciato completamente libero. Questo è un problema, perché noi abbiamo visto quanto è complicato definire i livelli essenziali. Ma gli stessi fabbisogni standard, che sono una fotografia dell'esistente, mediata e standardizzata, richiedono un'attività complessa, rispetto alla quale non puoi fare i conti ogni anno su quanto vale la singola funzione oppure ogni anno cambiare i trasferimenti perché devono essere precisamente uguali alla funzione.
Come si gestiscono i più e i meno, il rapporto tra il fabbisogno storico e il fabbisogno standard? Intanto il sistema perequativo ha tre gambe, non due: fabbisogni standard, capacità fiscale e situazione storica delle dotazioni di risorse che cambia completamente. La città di Napoli perde dalla perequazione, non perché i suoi fabbisogni siano bassi o la sua capacità fiscale particolarmente alta, ma perché nell'assetto dei trasferimenti delle risorse disponibili storicamente stava già molto in alto. Questo non succede per altre città meno grandi, ovviamente paragonabili, del Sud.
Quindi sono tre meccanismi che possono entrare nello schema in modi diversificati. Nel momento in cui si decide che un meccanismo è giusto, quindi uno schema perequativo porta ovviamente a dei più e dei meno, hanno origine i quesiti che poneva il sindaco Canelli: chi ce li mette quei denari? Siamo sicuri che va bene trasferirli tra un ente e l'altro? Nessuno ha mai studiato bene, con tutto l'armamentario che abbiamo messo su sui fabbisogni standard, la congruenza delle risorse destinate ai comuni in relazione al loro valore assoluto. Sono sufficienti e sono un livello minimo, anche se non perfettamente definito, ma un minimo sensoriale? Un venticinquesimo, trentesimo, quarantesimo percentile, la parte più bassa della distribuzione pro capite è garantita a tutti o ci sono dei picchi che rimettono tutto in discussione?
Questo ragionamento produce la necessità di adeguamento a cui dovrebbe concorrere un intervento verticale caratterizzato dalla gradualità. In nessun sistema si sostituisce il giusto allo sbagliato in un momento: è necessaria la gradualità. È sempre successo, anche in situazioni meno complicate di queste, quindi è alla nostra portata. Certo, dire che si può fare tutto Pag. 10quello che si vorrebbe fare, senza un intervento forte a livello statale, è un po' strano. Raddoppiare il numero di comuni dove c'è un asilo nido – sono duemila circa – potrebbe essere un obiettivo sensato, ma lo si fa valutando i finanziamenti necessari per infrastrutture e per spesa corrente.
ALESSANDRO CANELLI, sindaco di Novara e delegato politico alla finanza locale dell'ANCI. Nelle considerazioni dell'onorevole Angiola mi sembra di aver colto una sorta di preoccupazione, se cioè abbiamo valutato bene cosa succede dal trasferimento di un principio di costo storico a un principio di fabbisogno standard, in modo tale da prevedere se questo possa creare delle difficoltà al contrario.
Bisogna partire da alcuni presupposti: in primo luogo c'è una legge che va attuata secondo principi costituzionali, che sono stati approvati (revisione Titolo V); in secondo luogo, è necessario un salto culturale, perché il costo storico che bene o male in questo momento viene garantito dal sistema di perequazione esistente, non è proprio così. Il sistema esistente infatti, attraverso un sistema redistributivo e perequativo in atto in questo momento, cerca di minimizzare gli impatti sul costo storico. Se la torta è il 100 per cento, il sistema perequativo va ad incidere sul 50 per cento della torta, che è la capacità fiscale complessiva del comparto dei comuni; l'altro 50 per cento adesso ha ancora un sistema di trasferimento basato sulla spesa storica (pian piano verrà adeguato, nel corso dei prossimi anni, con la nuova legge di bilancio). Quindi, in questo consiste il salto culturale: da una parte, dare attuazione effettiva a quella legge, perché esiste (o la modifichi oppure quella legge è in vigore); dall'altra parte, con l'individuazione dei cosiddetti LEP, è vero, magari qualche comune del Nord potrebbe rimetterci in favore di qualche comune del Sud, ma magari in qualche comune del Sud cominciano a fare un asilo nido che adesso non c'è.
Magari in qualche comune del Sud, dove adesso hanno troppe risorse rispetto a quelle di cui hanno bisogno, vengono assegnate le risorse giuste in modo tale che ci sia la soddisfazione di un altro principio cardine che sta alla base del federalismo fiscale: autonomia uguale responsabilità degli amministratori. È questo a cui bisogna arrivare. Finché non si fa questo e paga sempre Pantalone, sulla base del costo storico, le cose non miglioreranno mai laddove non vanno bene. In questo senso si tratta di un salto culturale. Il principio che sta alla base di questo meccanismo non è egoistico e individualista: «Io mi tengo la mia spesa storica, perché sono soddisfatto così». No! Il sistema cambia completamente. È un sistema che tiene insieme il Paese in maniera migliore e responsabilizza maggiormente gli amministratori locali. Questo è il salto culturale.
Qui non c'è Nord o Sud, perché dai LEP alcuni comuni o territori del Sud potrebbero guadagnarci. Anzi, certamente. Ma chi se ne importa se ci guadagnano! Se è giusto che ci guadagnino e che possano soddisfare servizi fondamentali per i loro cittadini, è bene che ciò avvenga.
PRESIDENTE. Ringrazio i nostri ospiti.
Autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna della documentazione consegnata dal sindaco Canelli (vedi allegato) e dichiaro conclusa l'audizione.
La seduta termina alle 10.
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